Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato...

16
la Ludla 1 “Poca favilla gran fiamma seconda” Dante, Par. I, 34 la Ludla (la Favilla) Periodico dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr” per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo Autorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001 Questo numero è stato realizzato con l’apporto del Comune di Ravenna Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XVIII • Giugno 2014 • n. 6 (151°) SOMMARIO Notte Rosa di Giovanni Nadiani Giuseppe Porisini - L’Ôpra di Addis Sante Meleti E’ dè dla liberaziõn di Enrico Berti Illustrazione di Giuliano Giuliani Le figure magiche nelle fiabe popolari romagnole: V - La strega (Parte seconda) di Cristina Perugia Parole in controluce: palug Rubrica di Addis Sante Meleti La paura delle vocali e l’amore per le consonanti. Breve viaggio nella fonetica romagnola di Silvia Togni Pr’i piò znen di Rosalba Benedetti Stal puiðì agli à vent Franco Ponseggi - Bruno Zannoni Pier Giorgio Bartoli - Sénz’ânma di Paolo Borghi p. 4 p. 6 p. 8 p. 10 p. 11 p. 12 p. 13 p. 14 p. 16 Sabato 7 giugno, verso sera, in uno di questi interminabili tramonti che preludono al solstizio, Don Serafino Soprani, e’ prit d’i Suvr, e’ Pàruch d’Sa-Ste i van” (anche se dal 2005 era pensionato a Santa Teresa) ci ha lasciati, dopo una lunga vita operosa e disinteressata, pagando anche lui– che pure si era sempre speso per gli altri – quel tributo di sofferenza che quasi sempre ci aspetta all’uscita. Già entrarvi non è semplice: Nasce l’uomo a fatica, ed è rischio di morte il nascimento, come avverte il Pastore errante, ma neanche la Morte è gratis, e Don Serafino, composto pietosamente nella bara a Santa Teresa, era l’irriconoscibile spoglia di quell’uomo esuberante di caritatevole disponibilità che noi tutti abbiamo conosciuto e amato. «U s’é dicline a com’ una cande i la!» ripeteva incredulo un vecchio che era venuto da Santo Stefano per l’ultimo saluto; e poi manifestava tutto il suo disappunto: se la camera ardente fosse stata allestita a Santo Ste- fano, diceva, tutte le Ville Unite sarebbero convenute per l’ultimo saluto, come in quel meriggio dell’estate del 2005 nella festa in onore del parroco che andava in pensione a Santa Teresa… In quell’occasione si radunò una folla di gente e di oratori che si succedevano a parlare a nome delle componenti più svariate della società civile delle Ville; e tutti ringraziavano, perché Don Serafino, per tutti quelli che chiedevano, aveva qualcosa da dare, e si faceva in quattro per farlo, e con disarmante semplici- tà, quasi lui ringraziando, dando all’espressione “per piacere” tutta l’estensione del significato. Ricordo di don Serafino di Gianfranco Camerani Giugno 2014 Don Serafino Soprani (1927-2014)

Transcript of Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato...

Page 1: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 1

“Poca favilla gran fiamma seconda”Dante, Par. I, 34

la Ludla(la Favilla)

Periodico dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr”per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo

Autorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001

Questo numero è stato realizzato con l’apporto del Comune di Ravenna

Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XVIII • Giugno 2014 • n. 6 (151°)

SOMMARIO

Notte Rosadi Giovanni Nadiani

Giuseppe Porisini - L’Ôpradi Addis Sante Meleti

E’ dè dla liberaziõndi Enrico BertiIllustrazione di Giuliano Giuliani

Le figure magiche nelle fiabepopolari romagnole:V - La strega (Parte seconda)di Cristina Perugia

Parole in controluce: palugRubrica di Addis Sante Meleti

La paura delle vocali e l’amore perle consonanti. Breve viaggio nellafonetica romagnoladi Silvia Togni

Pr’i piò znendi Rosalba Benedetti

Stal puiðì agli à ventFranco Ponseggi - Bruno Zannoni

Pier Giorgio Bartoli - Sénz’ânmadi Paolo Borghi

p. 4

p. 6

p. 8

p. 10

p. 11

p. 12

p. 13

p. 14

p. 16

Sabato 7 giugno, verso sera, in uno di questi interminabili tramontiche preludono al solstizio, Don Serafino Soprani, e’ prit d’i Suvrẽ, e’“Pàruch d’Sa-Steivan” (anche se dal 2005 era pensionato a Santa Teresa)ci ha lasciati, dopo una lunga vita operosa e disinteressata, pagandoanche lui– che pure si era sempre speso per gli altri – quel tributo disofferenza che quasi sempre ci aspetta all’uscita. Già entrarvi non èsemplice: Nasce l’uomo a fatica, ed è rischio di morte il nascimento, comeavverte il Pastore errante, ma neanche la Morte è gratis, e Don Serafino,composto pietosamente nella bara a Santa Teresa, era l’irriconoscibilespoglia di quell’uomo esuberante di caritatevole disponibilità che noitutti abbiamo conosciuto e amato.«U s’é diclinea com’ una candeila!» ripeteva incredulo un vecchio che eravenuto da Santo Stefano per l’ultimo saluto; e poi manifestava tutto ilsuo disappunto: se la camera ardente fosse stata allestita a Santo Ste-fano, diceva, tutte le Ville Unite sarebbero convenute per l’ultimosaluto, come in quel meriggiodell’estate del 2005 nella festa inonore del parroco che andava inpensione a Santa Teresa…In quell’occasione si radunò unafolla di gente e di oratori che sisuccedevano a parlare a nomedelle componenti più svariatedella società civile delle Ville; etutti ringraziavano, perché DonSerafino, per tutti quelli chechiedevano, aveva qualcosa dadare, e si faceva in quattro perfarlo, e con disarmante semplici-tà, quasi lui ringraziando, dandoall’espressione “per piacere” tuttal’estensione del significato.

Ricordo di don Serafinodi Gianfranco Camerani

Giugno 2014

Don Serafino Soprani (1927-2014)

Page 2: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla2 Giugno 2014

Altri hanno parlato dell’uomo diChiesa e altri ancora parlerannodella persona che sempre sapevaporsi al centro delle necessità dellasua comunità, che non era solo par-rocchia, ma, se del caso, il paese o ilcircondario delle Ville; e del modocon cui lo faceva: con un taglio cosìriservato e signorile (con modestia,voglio dire); qui consentitemi alcu-ne cose sull’uomo di cultura di cuifui consocio nella Schürr e che con-corse, con pochi altri avventurieri,ad ideare questa Ludla, a farla nasce-re e ad accompagnarla nei primipassi cruciali e determinanti per ilsuo avvenire.Chi voglia conoscere più nel detta-glio quelle vicende, può ricorrerealla prefazione del primo dei volumiche raccolgono questo periodico dal1997 al 2004.Qui basti dire che fu nel primodirettivo della Schürr, nel giugnodell’ormai lontano ’97, che conobbiDon Serafino, quando venne fuoril’idea di dar vita ad un bollettinoper socializzare le nostre ricerche edar conto delle attività in corso.Il Direttivo fu subito d’accordo e ilpresidente Ermanno Pasini addirit-tura entusiasta. Don Serafino eral’unico che aveva esperienze tipogra-fiche e possedeva nella canonicaun’attrezzatura per stampare – unaspecie di offset – cui ricorrevano in

tanti nella comunità delle Ville,data la generosità del titolare…Generosità che neppure in quell’oc-casione venne a mancare, anzi! Giuliano Giuliani che pure facevaparte del Direttivo, non poteva esi-mersi dal mettere a disposizione lasua prestigiosissima matita, ed io fuiterzo del gruppo in quanto promo-tore della proposta. All’inizio si pensava ad un fascicolet-to senza pretese di fogli ciclostilati epinzati insieme, ma già al primoincontro che si svolse in canonica,Don Serafino, illustrate le potenziali-tà della sua macchina, ci fece notareche la spesa sarebbe stata la stessa perprodurre un cvèal a la sanfaðon (senzaforma definita) o una cosa più cura-ta, addirittura un giornalino… Il dado fu subito tratto, quantun-que nessuno avesse esperienza inmateria, né idea di come si facesse! Don Serafino, con la sua calma e(talora insano) ottimismo, aveva ildono di contagiare la gente con lesue proposte: potevamo cominciareda come il giornalino non dovevaessere… Così nei giorni seguenticominciammo a raccogliere giorna-letti: prima dell’abolizione dellatariffa postale ridotta per la stampa,ovunque se ne produceva in grannumero: quasi ogni associazione,ogni cooperativa, ogni ditta aveva ilsuo. Quando ci riunimmo ne aveva-

mo più di cento! Cominciammo lospoglio per capire come il nostrogiornale non doveva essere: “Ecco,diceva uno di noi, la pagina nondeve avere margini così ristretti, lapagina deve essere ariosa…” e DonSerafino cestinava il giornaletto ene apriva un altro: “Qui troppe man-chette… a forza di riquadrare, a forzadi evidenziare, tutto si confonde enon si vede più niente… Via, via.”;“Troppi tipi di caratteri non vannomica bene…Via.”; “E le immagini?Massimo una per pagina, ben leggibi-le e sempre congrua col testo; maiimmagini di riempimento…” E così,criticando e scartando, la Ludla (maallora non era ancora stato scelto ilnome) prendeva lentamente corpo,uscendo dalla nebbia dell’indefinito.La macchina consisteva in un foto-incisore che riproduceva in pellicolaun foglio di formato B4 contenentedue pagine affiancate del giornale(testo e immagini); la pellicola sidisponeva in un rullo inchiostratoreche stampava a ciclostile… Opera-zioni lente, da impostare attenta-mente e da controllare costante-mente in corso d’opera… e in que-sto l’impegno di don Serafino eramassimo ed indispensabile… e cre-sceva di volta in volta perché laLudla aveva vitalizzato l’Associazio-ne e il numero dei soci cresceva ver-tiginosamente… Il Nostro era persino restio a chiede-re aiuto; ci accorgemmo che a voltelavorava anche di notte, così non fupiù lasciato solo finché le risme dicarta stampata non lasciavano lacanonica per la sede sociale dovevenivano piegate, fascicolate eccete-ra. Stando a lungo con lui, poteiconoscere la radice del suo amoreper il dialetto, la sua lingua materna,che gli ricordava la madre e l’am-biente caldo degli affetti domestici… Il romagnolo era la lingua in cuiaveva imparato a nominare le cosedella natura, le relazioni fra le per-sone, in cui gli era stata propostauna prima idea del mondo e delposto dell’uomo nella natura e nellasocietà.Don Serafino ricordava un grannumero di ninne nanne, di fila-strocche, di dirindine – una summa

Santo Stefano, 2005. Don Serafino, nella giornata di saluto ai suoi parrocchiani, con ArrideZanchini.

Page 3: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 3Giugno 2014

della cultura popolare di allora –che lui recitava con accorato esognante trasporto, ma non senzasenso critico… Non era tutto oroquello che brillava nel pascolianovespero vermiglio ed egli sapeva far latara persino alle forme della cate-chesi popolare… E più di un aned-doto potrei raccontare al riguardo. Non era un laudatore del tempo trascor-so: sapeva distinguere con finezza eacume intellettuale quello che giusta-mente il secolo si era lasciato allespalle e quello che di positivo abbia-mo invece colpevolmente negletto eperduto. Stando con lui moltotempo fra lo sferragliare della stam-patrice, ne conoscevo sempre piùprofondamente le abitudini e l’ani-

mo. Le parrocchie erano visitate daun gran numero di questuanti, ognu-no dei quali raccontava le sue pene:chi con accenti di sincerità, ma circo-lavano anche persone così bieche daprovocar sgomento con la sola loropresenza… Ma neppure questi mai sene andavano a mani vuote.Io sapevo bene che poi Don Serafi-no avrebbe scontato questa accondi-scendenza con una vita di quasi

indigenza; e una volta cercai di dis-suaderlo: “Mo Sarafĩ, s’a feit?!...” Elui rispose con quel sorriso ironicoe mite che molti hanno conosciu-to… Per lui la carità era l’unica viache conosceva per cercare di toccareil cuore della gente, anche nei casidisperati; fors’anche era diventatauna seconda natura. Dietro casacontinuava a nutrire una pletora digatti randagi… Se gli parlavo deipericoli anche per la sua salute, luial massimo si lamentava di quellidella Protezione animali, che promet-tevano, promettevano, ma non veni-vano mai a sterilizzare le gatte… Una volta, nel corso di quelle lenteconversazioni, inframezzate da lun-ghi silenzi, in cui hai tutto il tempo

per riflettere o per fantasticare, mivenne da dire, indotto, non ricordo,da quale circostanza: “Serafino avevaun suffolo e suffolava così ben, / chequando l’era nuvolo facea tornarseren….” E già mentre lo dicevo mipentivo di questa voce dal cor fuggi-ta… che poteva essere presa comeuna maleducata ingerenza nella suaintimità e nel suo privato… Tastiche non si toccano con i preti…

Serafino come suo solito masticòper un attimo (che a me parve lun-ghissimo) la sua risposta, poi parlòcon accenti così sinceri e profondidel celibato dei preti e del modocon cui nella coscienza e nella carnelo si può affrontare… Io avrei volutofermarlo, dirgli che non era tenutoa rispondere alla mia dabbenaggine,ma ormai lui parlava a me e a sestesso, ed era una professione difede e di vita… così alta che se finoad allora lo avevo sentito come fra-tello, in seguito non poteva apparir-mi che come maestro. Non essendo uno che frequenta lachiesa non posso dire come si com-portasse nel suo officio, ma in pri-vato non predicava mai: non tenta-

va di convincere nessuno a parole;lui si imponeva con le opere, conl’esempio che la sua vita dispensavaa passo a passo: una coerente emodesta imitazione di Cristo cheforse cominciò proprio dall’infanziacon le devozioni domestiche dellamadre, che accoglieva, ma nonsenza ragionarci sopra, perché quelSerafino Soprani che io ho cono-sciuto era proprio fatto così.

Santo Stefano, primavera 2001. Al termine dell’assemblea annuale dei soci, don Serafino è attorniato da alcuni amici della Schürr. Da sinistra: Antonio Sbrighi “Tunaci”, Paolo Melandri, Gianfranco Camerani, Vanda Budini.

Page 4: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla4 Giugno 2014

…tra e’ lom e e’ scur de’ prem sabt d’loj…i zuvn tot a e’ mer a divartis – i à det acsè – alla Notte Rosa della costa romagnola’nt la cunfusion fina a matena prestch’la n t fa gnanch rispirera que invezi ’nt la libartè de’ zardench’u m à lasè e’ sudor di vec u n s mov ’na fojae’ timpurel fels d’quatr gozlil’à tirè sò e’ fiè di tumbenint i cafè cun al finestri avertii furnel viola a frezr agli el d’zanzeladi vec ch’i bosa e i stresa cun al chertie u n i è nench d’qui ch’i taja cun un verspr no ster sempr sol a ca a ster da aspterch’u s finesa i su dèsi no a surnacer dnenz a la television senza vosintant ch’i n sera…al sireni dla pulizia – o srala la cros rosa? – ch’al cres fen a inzurlij par perdrs pu int la notagli rcorda la storia d’stcen d’corsapr e’ mond ins l’autostrè…

al lus de’ sòlit aparec dla Ryanairda ca d’dio l’ultm os a sbaliner sempr piò basipar sparir cun un rug d’là de’ fiom…

i fiul ormai da par ló a spas int i su dècoma li che la s è avieda senza un bes…

a que fura ins e’ tavulen d’legn imbarlèsota l’elbr cargh d’foji (incora un cverc d’buldez)che pr en l’à vest la nostra storia insene i zugh d’chi basterd– la lona pina ades l’à un zircionatorna a la fazona (cs’a vral dir?) – e’ talafunin l’è apiè zet in squelau n um zerca inson, u n um scriv insoncun la rubrica pina, i amigh a ca suo in do ch’i srà i srà…

e’ pinsir smalvì di su vec da un pez sol di bighete’ tramischer dla vsena da sempr vedvasenza fiul a ’daquer la gera nench da st’ora…

Notte Rosa

di Giovanni Nadiani

Notte Rosa fa parte della piùrecente raccolta poetica di

Nadiani: Il brusio delle cose.Sintagmi feriali in linguabastarda (Faenza, 2014).

Il volume consta di due sezioni:la prima intitolata aNmarcord

che comprende, oltre a NotteRosa, anche Invigia,

Imbacont e la poesia che dà iltitolo alla sezione.

La seconda parte, Ritrèt-Istantanee, consta di una

cinquantina di coppie di distici,simili ad haiku: vere e proprie

fotografie in versi che riprendonoframmenti di realtà quotidiana.Il brusio delle cose si segnala

anche per l’adozione di unagrafia dialettale che

rappresenta un tentativo ditrovare un punto di incontrosulla resa grafica delle varie

parlate romagnole, inparticolare quelle centro

occidentali. Una soluzione che partedall’origine della parola

romagnola, cioè dalla suaetimologia, per poi seguirne ivari passaggi fonetici fino a

fermarsi alla forma che si puòragionevolmente considerare

comune, cioè panromagnola. Questo comporta di necessità lamancanza, in più occasioni, di

un rapporto univoco fra lettere esuoni, e – per dirla in modo piùchiaro – i testi non si potranno(né si dovranno) leggere “come

sono scritti”: ciascun lettore,una volta riconosciute le singole

parole, dovrà pronunciarleadattandole alla sua parlata.

Inoltre dovrà introdurvi leeventuali vocali e/o consonanti

“d’appoggio” che sono quantomai variabili da zona a zona.

Page 5: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 5Giugno 2014

ins e’ giurnel un’etra lez vutedapr scricher incora e’ rispir dla zentsol quatr ghet spurì a miuler da par lóe u n i abeda inson…

a ’rves ’na bera pian a ’pej un muzgon d’fujaza pian piansora un blues d’Van Morrison: Cry for Home...

a e’ lom d’candela,a stegh in squelache la s finesache e’stupenusfegaro

sa

.

.

.

Notte Rosa ... all’imbrunire del primo saba-to di luglio ... / i giovani tutti al mare adivertirsi - così hanno detto - / alla NotteRosa della costa romagnola / nel caos finoall’alba / che non concede respiro / qui inve-ce nella libertà del giardino / lasciatomi dalsudore dei vecchi non muove una foglia / ilnon-temporale di quattro gocce / ha sollevatoil respiro fetente dei tombini / nei caffè conle finestre aperte / i fornelli violacei a frigge-re le ali di zanzara / vecchi «bussano» e «stri-sciano» con le carte / e alcuni pure «taglia-no» con un grido / per non restare sempre esoltanto a casa ad attendere / la fine deiloro giorni / oppure a russare di fronte al tele-visore senza volume / fino all’ora di chiusura... / le sirene della polizia - o sarà l’autoam-bulanza? - / aumentano di intensità fino adassordarli per poi disperdersi nella notte /ricordano la storia degli uomini di corsa / peril mondo in autostrada ... // le luci del soli-to aereo Ryanair / da in capo al mondo abalenare qui sempre più basse / a sparire conun rombo oltre il fiume ... // i figli ormai dasoli a spasso nei loro giorni / come lei che sene è andata senza un bacio ... // Qui fuorisul tavolino di legno ricurvo / sotto l’alberocarico di foglie (ancora un tetto d’afa) / cheper anni ha visto la nostra storia insieme / ei giochi dei bambini / - la luna piena ora haun alone attorno / alla grande faccia (chesignificato avrà?) - / il cellulare acceso all’er-ta / nessuno mi cerca nessuno mi scrive /anche se la rubrica è piena / gli amici a casaloro o là dove saranno ... // il ricordo impal-lidito dei vecchi ormai da tempo soltantovermi / il tramestio della vicina da semprevedova senza / figli ad innaffiare la ghiaiaanche a quest’ora ... // sul giornale un’altralegge votata / per soffocare ancora il respirodi tutti // soltanto quattro gatti impauriti amiagolare da soli / e nessuno ad ascoltarli ...// lento stappo una birra / lento lento accen-do un mozzicone di toscano / su un blues diVan Morrison: Cry for Home ... // al lumedi candela / sto in agguato / che finisca dibruciare / che lo / stoppino / si / faccia / r/ o / s / a / . / . / . /

Page 6: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla6 Giugno 2014

Di solito si recensiscono libri nuovi, reperibili, non unavecchia raccolta irreperibile di sonetti in dialetto (Giu-seppe Porisini, L’Ôpra. Sonetti, Faenza, 1972). Tuttavia,sarebbe peccato non scriverne, almeno perché vi sidocumenta, sebbene in forma scherzosa, la diffusa pas-sione per l’opera lirica tra il 1930 e il 1946. L’autore riassume e commenta le trame di una ventinadelle opere tra le più rappresentate nei teatri di provin-cia, comprese quelle più recenti. In ogni nostra città unnutrito gruppo di affezionati era coinvolto in un tifoche sta alla pari di quello odierno per il calcio: senzainvasioni di campo, ma con qualche verso sguaiato didisapprovazione che scendeva dal buio del loggione,riservato agli appassionati con pochi soldi, ma di buonorecchio, che discutevano in dialetto e reagivanod’istinto a tutto ciò che non era all’altezza dell’autore odi precedenti rappresentazioni. Il giorno dopo, dovun-que capitasse, si ridiscuteva su autore, opera, trama,cantanti. Ma già da prima le bande musicali suonavanonelle feste di paese dei potpourri di motivi operistici chesuggerivano nuovi nomi di battesimo: Aida, Carmen,Norma, Tosca, Fedora, Wally, Loris, Danilo e, persino,Amonasro o Lohengrin.

Proprio nel Lohengrin, più sacro d’un ufficio funebreche non concede un solo istante al sorriso, tra lo stupo-re mozzafiato per il primo atto irrompe in un fascio diluce il cigno che porta l’eroe salvatore: … Mó long e fion un burciéll1

tiré da un cigno, con insò un guarrierche pareva l’arcanzul Raffaèll,l’avneva com e vent e us afarmè,e, smuntend, e fasè ste cavalier: «Bastêrda, fat de cor ch’ a so qua mè»È quel che avrebbe detto più di un loggionista. Dopotanti accordi voltati e rivoltati, ecco l’interminabile duet-to d’amore, per i wagneriani il più bello mai scritto:D’trovêt in Paradis l’et mai sugnêquand che j enzul i canta a gl’j urazion?ut imbranca p’r e côr un emuzionche t’an se bon d’stê zett e né d’rugiê.L’istéss a què che quand t’sent a cantèin t’e duétt d’amor l’è na passion;ravôzat, ten e dur, mo e ven i guzlune e trema l’anma come una gujê2

Ma l’antagonista femminile, la malvagia Otruda, tor-menta la fragile Elsa, sposa d’un eroe ‘senza nome’, ilquale dopo tanta lagna si rivela e parte. «Anima méja – e canta – anima méja,hai vuluto sapere ch’i c’am so,ma dop a quest e bsogna ch’am avéja…»’stciavo [ciao], u ven e burchièll e uj monta in so.E dis un Pater nostar e un’Ave Maréja,e allora una culomba la ven in zo,e cigno, com e foss una smaréja,3

us cambéja in t’ un zovan da par lo.Otruda ui stciopa e fell, l’aravôz j occ, e re u s’adrézza e e grida: «Ch’us él maj!»

e pupulazz l’esclama e e piga i znocc.L’Elsa pardend e tanabed,4 la grida,cal don a gli fa vent con e vintaj,mò, bona not, la môr sécca arabida:

non è bastato il fratello redivivo a consolarla.

E che dire dell’opera Rigoletto, tutt’azione, col duca cheha un solo pensiero, dal principio alla fine?Ut dis ch’u’n trova intciona diffarenzatra questa e quella e al don basta ch’al sejaun po da stcian e agli epa simpateja,u s’li scannocia cun indiffarenza.La donna mobile poi, decideva il futuro d’ogni tenorenovello. Ma il destino crudele ritorce la vendetta finalesul buffone con una bella borla a la bulgnesa.

Il discorso sulla Lucia offre anche un vivo quadretto delloggione dove gli spettatori gustavano l’opera, stretti,accaldati, indolenziti, talora esposti a zaffate di sudore econ tri piston söra i garett provenienti dalla fila dietro.Coglie però pure la discrepanza, propria d’ogni opera,tra la musica che ti prende, ma richiede i suoi tempi eimpone ai cantanti d’indugiare, quando chi ha ‘sangueromagnolo’ freme perché si agisca:Invezi d’ saltê a là cumpagna a un matt con dal vigliachi curtlê da ôli sant,us aferma impalê fina che tanti sunadur i arriva a dêj e scatt;intanto un grido spazientito scende dal loggione:ch’s fet d’che saracot ch’ut sbat in s’è fianc? 5

Ma tensione e commozione non svaniscono per unasporadica battuta: non c’è dissacrazione che tenga dovele emozioni contano più della logica.

La Cavalleria Rusticana, ad esempio, esagera col verismofin dall’esordio … ritornando dal lavoro all’ora dellamessa di Pasqua; ma in questo giornot’el mai saltê par l’occ dla zent smanghêdach’al sappa, ch’al rastèlla, ch’la s’affana…?La musica però spazza via ogni incongruenza:La rumanza su d’lò l’è un lugaren:6

la su simplizitê la s’appasiona;l’è come una preghiera a la madona

Giuseppe Porisini

L’Ôpra

di Addis Sante Meleti

Page 7: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 7Giugno 2014

e e salut quand che e corr a e so disten.I zir dal nôt i fa una meludéjach’la pêr una zirandula incantêdae l’anma la s cummôv e la s’invêjae la se smaréss, la pianz, la s’imbarbaja,la s’ingavagna totta imbambulêdacome ch’ l’avéss ciapê una bèlla scaja.7

Il nostro è meno soddisfatto dei Pagliacci. L’opera veri-sta si chiude con un’inconsistente ‘commedia dell’arte’,dove non viene ucciso il finto ganzo, ma quello veroseduto tra il finto pubblico; e anche questa è una finta.Il verismo, con cui s’è voluto strafare, non è da solo unagaranzia: l’autor in ste’ drammazz cunfus e tejatrêle zerca d’ parsuèdar con dl’armor.

Ad Andrea Chenier si rimprovera d’avere una tistaza acsèbislacca, da fè e patacca, contento com’è che l’amatamuoia con lui:e andê a la mort acsé tranquillamentcom du sasanen par no lassês,um pêr un ragiunê abbastanza stort;t’a j e sintu a cantê come galétt: «L’êjba la ven, la ven: Viva la mort!»Eviva un cazz, me d’ bota arébb rugiê…

L’amico Fritz invece ci trastulla con un amore lento,incontrastato, melenso – zarchês tott du e fê cont d’stês dalunten – tra la contadinella e il padrone scapolo incalli-to:ut ven la voia ad dij: e mi balusa, sòtta, ch’a vegna mè a fêv da ruffian?I due non si sciolgono neppure col ‘duetto delle ciliege’,che faceva lacrimare le ragazze da marito: E quand pu che is abbrazza finalmentut rid e pataiôl a la camisa che t’se cuntent parché j è tant cuntent,t’an se se pianz’r, ridar o starnudì…Avdì, burdelli, us cmenza cun ’na zrisae pu ul sa e cazz d’in döv ch’us va a finì.

Sempre meglio del Werther che s’uccide per amore, purnella dolcezza della musica a la franzesa e col mondopieno di donne.

Infine, sarà vero che lo zum pa pa della Traviata distur-ba? Macché: tutto s’affoga nel sentimento,e d’quest a què uj [n’è] una fiumanaChu l’innonda tott quent da chêv a vètta,êtar che tram tram d’na canzunétta,cla rassarméja a una balusa vana…

È il settembre 1946: la guerra ha prodotto guasti anchenel nostro gusto musicale: ormai impazza assordante loscomposto boogie-woogie. Ma nel ricordo delle melodieudite e riudite l’autore trova la sua catarsi:Mò se, am n’impôrt un caz de tu jazzbandCon cla su sputanêda d’cagnarazza,me am aracoz a què d’in quand in quande artrôv quélla che te t’n’e mai zarchê8

e che in ’ste temp un s cnoss piò la su fazza:d’sintim ’n t’e côr incora un pô d’buntê.

Chiudiamo coi versi dedicati alla ‘danza delle ore’, dallaGioconda, gli ultimi della raccolta:E ball da gl’j ör e pê una dirindena,’na côsa fata par un urganen,mo u i è dla forza indentr’ e dla mulenaE pu t’l’oja da dir e pinsir precis:9

la srà brotta, la srà da buratten,mo sangua dla madosca, a me l’am pis.Questo a lui basta; gli altri la pensino come vogliono.

Note1. Barca2. L’anima trema come la gugliata che una mano malfer-ma tenta d’infilare.3. Smarèja: ‘cosa da niente’, anche dismarì: da decimo‘sciocco’.4. Tanabéd, cioè ‘tu non ci badi!’ rivela l’origine faenti-na dell’autore.5. Saracòt (grosso sàrago) è la spada che resta nel fodero.6. Il lucherino è un piccolo passeraceo.7. La ‘bela scaja’ è la sbronza; ma prim’ancora fu la ‘sec-caia’, il ceppo quasi secco, traslato dal bosco alla gola,la cui arsura va innaffiata ben bene.8. Cioè la musica.9. Verso eccedente: doveva essere oj, non oja! Ce n’èqualcun altro, ma a quei tempi si poteva dar la colpa alproto.

… Mó long e fion un burciélltiré da un cigno, con insò un guarrierche pareva l’arcanzul Raffaèll,l’avneva com e vent e us afarmè,e, smuntend, e fasè ste cavalier: «Bastêrda, fat de cor ch’ a so qua mè»

Page 8: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla8 Giugno 2014

Avì da fê da savé che de mĕlnóvzĕntcvarãntacvàtar, par la rinfraschêda,j’alejé i cminzè l’atach finêl cõntra itudĕsch; in prinzipi e paréva ch’iduvĕs fê una spasigêda e in dò e dòcvàtar j’arivè a libarê mëzaRumāgna mo pu dŏp u i tuchè d cal-mês parchè i tugnĩn j’è una razagnara cŏma la gramĕgna e e’ frõnt us farmè a e’ Séni ch’l’è che fiumðëlch’e pasa da Castèlbulgnés, da Cud-gnõla e dagl’Infulsẽn e pu e va a fnìint e’ Pò d Parmêra impët a laMadòna de Bösch; e’ Séni u sputrĕb cavalê cun un sêlt mo u ni fògnĩt da fê, par môd che da nujétarpar tŏt cvãnt cl’invéran, da e’ cva-rãntacvàtar a e’ cvarãtazẽncv, int lanòstra ca a j’avĕsm’ i tudĕsch. I nôv d’abril de cvarãntazẽncv acminzĕsm a sintì l’armór de bum-bardamẽnt de frõnt, dal pêrt adFusgnãn; i tudĕsch in ca a ngn’avĕma piò, j’éra scapé e’ dèprĕma e j’avéva smuntê la batarì dlacontraerea ch’l’éra sŏta l’êrzan defiõn; i dið a s svigĕsum ch’l’éra incó-ra bur che i scŏpi dal bŏmb e dalgranat i s sintéva piò d’avðẽn; pucvãnt che e’ zil e cminzipiè a s-ciarêse tachè nẽnch l’arbŏmb dj aparĕc, ealóra e’ mi bab e dès “A i sẽn”;andĕsum zò int e’ rifug, ch’l’éra intla stala grānda. E’ bumbardamẽnt èdurè tŏt cvãnt e’ dè, ignatãnt e paré-va ch’i smitĕs mo i géva stê zẽncvminut e pu i tachéva dlêt; al bŏmbparò agli andéva a fnì dalŏngh, dalpêrt dla feruvì; me a s’éra tŏt rama-sê int una brandina ch’l’éra tachêdaal trêv de rifug e a staðéva in urĕciapar sintì e’ fĕs-c dal granat, e pu atartnéva e’ rispir e aspitéva la bötach’l’arivèva in chêv de fĕs-c. Alà decãnt dla séra i smitè, mo nõ amagnĕsum l’istĕs int e’ rifug e pudŏp a m’indurmintè. A m svigè tŏt ad böta alà dŏp mèza-nöt che al granat adës al caschévadri ca e tŏti al võlt ch’al s-ciupéva eparéva ch’u i fŏs e’ taramöt e dint alcarvai stra agli ësi de sufĕt e vnévaþò de sabiõn. E’ mi bab u s fumévauna zigarĕta dri clêtra e la mi māmala m tnéva strĕt int la brazêda; lanöna Gigia la biaséva di patèr edagli êvmarì cun e’ ruðêri int almãn. I durè par dagli ôr a bumbar-

dê la macia sŏta e’ fiõn do cheinfēna a du dè prĕma u j’éra la con-traerea di tudĕsch; e’ mi bab e dĕs“Nõ i s bumbêrda par vi dla contrae-rea, u s véd che i ne sa che i canõn ij’à purté vi ajir dlà”. Vérs al cvàtaruna granata la ciapè d pösta int lacasēna sóra la stala grānda, u s parĕtche la ca la vnĕs þò e e’ rifug u srimpè d pŏrbia e d fŏm; pu e zuzidèe’ finimŏnd, dagli êtar granat agliarivè int la ca; la nöna la purĕta laparéva ch’la fŏs andêda þò d tësta ela s’aracmandéva a e’ Signór e a laMadòna, me a m séra agraplê a lami māma e a capè par la prĕma vôltacos che vléva dì la pavura. E’ mi babu s’aþardè a mĕtar fura la tësta da lapôrta dla stala, e turnè indrì e u sdĕs che tŏt du i capanõn j’avévaciapê fugh, j’éra fët ad canĕza e alfiāmb agli éra bèla che piò êlti ch’nei bdŏl; int e’ rifug e’ spurbiaz u stuléva e’ rispir, la mi māma la m’avé-va ciutê la bŏca e e’ nêð cun unfazulĕt bagnê; e pasè una mez’ôrach’la parĕt un’eternitê sĕmpar sŏta iculp dal granat, pu i scŏpi i smitè eint e’ silẽnzi u s sintéva sól e’ scri-cadĕz de fugh di capanõn ch’i bruðé-va. E’ mi bab l’andè fura int e’ cur-til pu l’arivè ins la strê; e turnèindrẽnta e u s dĕs che la ca dl’Uli-võn u i paréva ch’i n l’avĕs bumbar-dêda; a dizidĕsum d’andêr a cadl’Ulivõn par pavura ch’e ciapĕs

fugh nẽnch la casēna sóra la stalach’l’éra pina d paja, che pu sŏta a isĕma nujétar int e’ rifug; a pasĕsumda la pôrta da d drì, mè a butè l’öca la stala znina do ch’u j’éra e’sumar e la burëla; Giorgetto,ch’l’éra e’ mi sumarẽn sardignôlch’u m l’avéva rigalê e’ mi pór nön,l’éra tŏt parcusê e e daðéva di grentirõn int la côrda; e vultè la tësta, us gvardè e pu e tachè a rangê; nujtara saltĕsm’e’ fös ch’l’è drì la Viôla epr’e’ põnt de Canalaz a ciapĕsum lastrê ad cursa e arivĕsum a ca dl’Uli-võn; stra al fiāmb de fugh di capa-nõn e e’ luðór di bengala e parévache fŏs mezdè e un’éra incóra l’éiba.Ins la pôrta u j’éra l’Òlga cun Min-ghinĩn, ch’l’éra e’ mi amigh; “Avẽnvĕst e’ fugh” la dĕs l’Òlga; andĕsmin ca, u j’éra e’ fiôl piò zŏvan, Alfie-ro, la Tugnina e la Fides; Mario, e’fiôl piò grānd u n’éra a ca e Gusto,e’ vëc, l’éra môrt du tri mið dŏpch’l’éra môrt e’ mi nön, u j’éra vnùun cólp sĕch. Mè e Minghinĩn i s mitè int e’ surifug do ch’u j’éra dal brānd; i scŏpii durè pr’un pô pu i s faðè piò rêd eluntẽn e nõ a s’indurmintĕsum. A ssvigĕsum che e’ sól l’éra bèla che piòêlt ch’ne al bdŏli de Canalaz e uj’éra un silẽnzi fura de nurmêl; agvardè vérs a la nòstra ca, e’ cvértl’éra scvéði avnù zò tĕt e da d dri, doch’u j’éra i capanõn, u s’avdéva

E’ dè dla liberaziõn

di Enrico Berti

Racconto segnalato alla 7a edizione del concorso “e’ Fat”.

Illustrazione di Giuliano Giuliani

Page 9: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 9Giugno 2014

incóra de fŏm négar ch’e piruléva insò, vérs e’ zil. “E bsögna ch’a vëga adêr e’ fẽn a Giorgetto e a la burëla!”u m scapè d dì: “Adës te t stê acvè et an t muv!” la m dĕs la mi māma. Emi bab l’éra dri che scuréva cunAlfiero: “Sgŏnd a mè i s putéva spa-ragnê tŏt ste bumbardamẽnt; a vutmo ch’i ne savĕs che i tudĕsch j’érabèla che scapé!; mo adës t’avdiréch’j ariva”. Mè e Minghinĩn a s magnĕsum unatarēna d lat cun e’ pãn e puandĕsm’int la stala do ch’u j’éra alvach e al pìgur; Minghinĩn u m faðè

d’avdé e’ pigurĩn ch’l’éra nêd e’ dèprĕma, mè al tus sò int la brazêda elò u m lichê la faza; la su māma lablè. A un zért mumĕnt u m parè dsintì un ciuladĕz, un strìdar cŏmach’e faðéva e’ tratór a cìngoli diBagatõn dla Ca Lŏnga e nẽnca Min-ghinĩn u l sintéva e l’armór u s faðé-va sĕmpar piò d’avðẽn; a s’av-sinĕsum a la pôrta dla stala, cvĕla dad drì ch’l’andéva a fnì int la buða destabi e a s’infilĕsum stra e’ mur dlaca e cvĕl d’un capanõn pr’andê cõn-tra d’indò che vnéva l’armór; cvãntch’a fŏsm’arivé int e’ cantõn ch’a

butĕsum l’öc cõntr’a la pisghéraarmastĕsm’ a bŏca avérta: un cararmê u s’éra scvéði adös; mè e Min-ghinĩn invézi d scapê armastĕsumfìrum cŏma dò ôch, paralizé da lapavura; da d drì da cla bĕs-cia e daðèfura di suldé cun e’ mitra int almän, mo i n’éra tudĕsch, j’avéva lapël scura, di gren bëfi e una barbazanégra e int la tësta j’avéva e’ turbãntcŏma Tremal Naik, ch’u j’éra la figu-ra int e’ mi lìvar di Pirati dla Male-sia; i s faðè sĕgn d stê zĕt, i s ciapèpar la män e insẽn cun lóarivĕsm’int e’ curtil dri e’ car armê.

Page 10: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla10 Giugno 2014

Oltre a poter diventare donne giovanie bellissime, le streghe delle fiabe ana-lizzate hanno anche il potere di tramu-tarsi in animali, di solito un gattonero, come la strega che Federicoincontra vicino al focolare1, al puntoche, come dice lo stesso protagonista,esisteva in Romagna il detto “gat négar,striga o mazapédar”2. Ma a volte le stre-ghe possono trasformarsi anche inpipistrelli, in capre o in galline nere:tale potere, particolarmente frequentein questi esseri magici, è ricollegabile,dal punto di vista antropologico, allasignoria sugli animali, dominio dete-nuto dagli sciamani e dai sacerdoti cheofficiavano il rito iniziatico e che veni-va trasmesso agli iniziandi3. Allo stessosignificato si può ricondurre anche lacapacità di comprender il linguaggiodelle bestie che una madre stregalascia al figlio Cirillino prima di“andarsene”:«E’ mi fiôl, me dmân a n’iso piò; tu pê pu, cun e’ temp, u t’dirà e’parchè. Me a j ò fni i mi dè e e’ bðognach’a m’aveia». Alóra Cirlì u s’mitè a piân-þar, mo lì la l’cunsulè e pu la i des: «Meadës a t’les una vartò: da dmân te t’putrécapì j animél quel ch’i dið, e t’putré scòrarcun ló; mo a m’aracmend, nö l’dì cunnison, gnânch cun e’ tu bab, parchè sinöt’pirdaré sòbit ste don».4

Un’altra caratteristica tipica delle stre-ghe è l’obbligo di “passare” il propriopotere magico al termine della lorovita, come è possibile rilevare nellafiaba E’ lêdar de’ re5, in cui la giovaneserva della striga Varséra spiega all’eroeche vorrebbe portarla con sé: “«A vit, senench a vles a n’putreb, parchè me a soquela ch’à j ò d’avé e’ lësit da lì, e quândla murirà, me a dvintarò una striga comalì.»”. Anche nella tradizione folkloricasi ritrova la stessa credenza, come affer-ma il De Nardis: «L’agonia della stregaè lunghissima, straziata. [...] Alle primesofferenze, si preoccupa di confidaregli oggetti di sua magia a una compa-gna che per carità li accolga. Con glioggetti, questa eredita ogni virtù dellastrega che trapassa. Se la strega nontrovasse chi accoglie volente il suodono, avrebbe l’agonia travagliata enon godrebbe pace oltre la morte».6

Nella tradizione folklorica era inoltreviva la credenza che le streghe fosserocostrette a contare le cose sparse sulloro cammino ed erano quindi impos-

sibilitate a passare oltre se trovavanodei chicchi di qualche erba o cereale,superstizione che si ritrova poi anchenelle fiabe: “cun al spigh tachêdi al’os [lamêdra Varsira] la n’pö andêr in ca”7.A livello popolare le streghe eranoanche molto temute soprattutto per ilfatto che esse potevano celarsi ovun-que, dietro le sembianze di qualsiasipersona della comunità, benché ilsospetto ricadesse più frequentementesulle donne anziane e sole, in qualchemodo emarginate dalla società, emagari detentrici dell’antico saperedelle erbe. Un altro motivo per cuiqueste versiere godevano di una famatanto terribile era rappresentato dallacredenza che esse fossero intoccabili, el’unico modo sicuro per liberare lacomunità della loro presenza fossebruciarle; questa opinione popolare,estremamente diffusa, si riflette anchenella fiaba: come dice la fata Laurina,“se t’baston una striga t’at mur int e’ þird’una stmâna”8. Nel racconto di unavedova, il marito che ha osato picchia-re le streghe è morto in modo improv-viso e terribile: “«(...) lo, e’ puren, un’e’savéva che al strigh an al s’putes bastunê.Ben, da lè a tri dè u i ciapè un azidentch’e’ vanzè in böta, négar coma un carbon.(...)»”9.Nei fairytales in cui è presente il temadella stregoneria, compare sovente chequello del rogo su cui la malvagia vec-chia finisce: “i gridéva tot: «L’è una stri-ga, l’è una striga, e’ bðogna bruðêla! Fugh,fugh!»10 . Questi roghi possono avereuna duplice interpretazione: se da unlato rappresentano senza dubbioun’eco lontana delle condanne del-l’Inquisizione, non è tuttavia improba-bile che in essi si possa nascondere

anche il classico meccanismo fiabescodell’inversione del rito, per cui coluiche fungeva da sacerdote durante l’ini-ziazione si tramuta poi in figura nega-tiva col decadere del rito stesso, ed èquindi destinato alla morte, stavoltanon più rituale, un tempo prevista pergli iniziandi. Inoltre occorre tenerepresente due fattori che avvaloranoquesta tesi: da una parte il fuoco eracertamente uno degli elementi piùimportanti nell’iniziazione, e non dirado la morte mistica avveniva propriograzie ad esso; dall’altra, invece, nonbisogna dimenticare che la Romagnafu territorio scarsamente colpito dalfenomeno inquisitoriale11, per quantonon del tutto immune da esso.

Note1. Baldini - Foschi a cura di, Fiabe di Roma-gna raccolte da Ermanno Silvestroni, vol. I,Ravenna, 1993. Fiaba n. 6.2. Ibidem, p. 95.3. Gatto Trocchi, La fiaba italiana dimagia: ipotesi di ricerca semiologica, Roma,1972.4. Baldini - Foschi a cura di, vol. III. Fiaban. 33.5. Ibidem. Fiaba n. 58.6. De Nardis, cit. in Baldini, Paura e “mara-viglia” in Romagna: il prodigioso, il sopranna-turale, il magico tra cultura dotta e culturapopolare, Ravenna, 1988, p. 169.7. Baldini -Foschi a cura di, vol. III. Fiaban. 55.8. Baldini - Foschi a cura di, vol. II. Fiaban. 25.9. Baldini - Foschi a cura di, vol. I. Fiaban. 8.10. Ibidem, p. 169.11. Baldini, 1988, p. 103.

Le figure magichenelle fiabe popolari romagnoleV - La strega (Parte seconda)

di Cristina Perugia

Page 11: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 11Giugno 2014

palùg, impalughìs: in ital. pisolino,appisolarsi. L’ital. ‘pisolino’ di solitoviene derivato da un arcaico‘pé[n]solo’, quindi dal verbo lat. pen-dere, attraverso l’agg. lat. pensilis ‘pén-sile’, ‘attaccato su’. Si suppone unintermedio *pendiculari, da cui ‘penco-lare’ o ‘penzolare’1. L’appisolato dormedove capita, con testa e braccia cion-doloni, come se fossero ‘appese’ alcorpo rilassato: u pè Crest ch’i l’ tiraþò d’int la croð. Palùg, benché significhi ‘pisolino’,deriva da un’altra radice, cioè dal raroverbo lat. deponente pandiculari(‘espandersi’, ‘stiracchiarsi’), quasiomòfono di *pendiculari e, prim’anco-ra, da pàndere; con la differenza chepandiculari non è solo supposto, maanche documentato in Plauto, Men.833: ut pandiculans oscitatur (comesbadiglia stiracchiandosi). Ci si stirac-chia mentre si sbadiglia; ma ci si puòstiracchiare anche prima e dopo unbreve sonno, come succede all’infanteo al vecchio che dormicchiano dovecapita. Il vocabolo nella bimillenariatradizione orale è scivolato dallo stirac-chiamento al sonno: in palùg continua*pandiculum: a m s’era impalughì.2

In alternativa, specie in collina e forse

dal vernacolo toscano, si usa ancheabiòc ‘abbiocco’: u t’ ciapa (o tu t’ lèsandè a) e’ mument dl’abiòc. Chi s’ab-biocca imita la chioccia che si rilassaassonnata nella cesta, par cuvè‘covare’, in lat. cubare. L’etimo di abiòcè condiviso con biòcol (‘bioccolo’ daflocculus, dimin. di floccus ‘fiocco’,fiòc), il ciuffo di lana o di peli, arriccia-to, tenero al tatto, elastico, che nellecase di una volta si raccoglieva sotto iletti3; ma le voci biòcol e abiòc non ser-vono più da quando le vecchie nonfilano la lana e le uova dei polli sonocovate dalle lampade elettriche.4

Potrebbe derivare da *pandiculumanche la romanesca ‘pennichella’ cheha come sinonimo ‘siesta’ d’originespagnola: ovvero è il riposo durante lacalura estiva dei paesi mediterranei,dopo il pasto all’antica ora sesta, a par-tire dal mattino.5

Note1. Per i verbi ital. ‘pencolare’ o ‘penzolare’si suppone «un lat. parl. *pendiculare,derivato anch’esso dal lat. ‘pendere’…;[ma] desta qualche perplessità la mancanzadi attestazioni anteriori al XIX sec.» (Corte-lazzo-Zolli). Dal lat. pendere, oltre che pènd‘pendere’ – anche i piatti della bilanciapendono – deriva spènd ‘spendere’; tra iderivati, spesa. Plauto, Most. 304: ratioaccepti atque expensi (’ragione’ del ‘preso’ edello ‘speso’). Dal supino di penderederivano anche ‘pesare’ e ‘pensare’, che èun ‘pesare’ figurato. Se il part. pass. di pen-dere erano pensum, quello di pandere erapansum o passum, da cui uva pasa, uva passagià in latino: ‘espansa’ perché l’aria circolitra gli acini e non si formino muffe. Dapassum vengono pure pas ‘passo’ e pasé,‘passare’ e deriv. ‘Passo’ è l’espansione delbifurcum (Petronio), la furzéla dal gambi.È da segnalare in bðè la scomparsa della equando è àtona e il mutamento della p inb: me a péð, nuìter a bðen. Ciò è dovutoallo spostamento dell’accento. In qualchezona qualcosa di analogo si verifica ancheper il verbo ‘potere’ e derivati: la psiòn‘possessione’, la proprietà di un fondo,dove la s resta sorda perché doppia in ori-gine), oltre che alcune voci verbali semprecon la vocale àtona caduta: puteva, pude-va o bðéva [diverso da bðèva = pesava]: avleva savé s’a bðéma [‘potevamo’] pasè daque. Ma oggi sono ormai ‘particolarità’ lin-guistiche locali e in regresso rispetto a va-

rianti più vicine all’italiano: una volta ildialetto premeva sull’italiano fino a sug-gerire ‘impaluchito’; oggi al contrario l’ital.preme sul dialetto. 2. Dal lat. parlato *pandiculum per sincopedella sillaba intermedia si passa a pànculume, quindi, con inversione di sillaba espostamento d’accento a *pa[n]lùcum,palùg. Come s’è detto, già in lat. i dueverbi pendere e pandere si richimano l’unl’altro, come ancor oggi nel modo di direper metà nella lingua dei ‘signori’: spendie spandi: acsé i baiòc i s’ n’a va che tu ’nt’ n’adé. 3. Il vecchio diz. ital. Tommaseo riporta‘abbioccare’ da ‘abbiocca’: «voce contadi-nesca. Si appella così la gallina, quandocova le uova…»; e per ‘bioccolo’: «piccolaparticella di lana spiccata dal vello. Affinea fiocco; quasi flocculus per il commutarsidella B alla F. Si dice della lana, della nevee di molte altre cose…». 4. Sotto i letti – dove si nascondevanoscarpe, mele e patate - gli stracci i faðeva isórg. A lungo non s’intese che i sorci vifacessero solo il nido, ma pure che vinascessero per ‘generazione spontanea’,nella quale fin dall’antichità anche gliistruiti credevano per gli esseri più minutidi cui non si vedesse l’uovo: le larve dellamosca sarebbero nate dalla carne putrefat-ta; le api dal sangue putrefatto di un toro(Virg. Georg., IV). Il Redi nel ’600, Spallan-zani nel ’700 non convinsero neppure iloro colleghi medici che omne vivum e vivo(ogni vivente viene da un vivo). Si dovetteattendere Pasteur dopo metà ’800.5. Anche i nostri contadini, che d’estatecominciavano a lavorare all’alba, per il fre-sco, i s’ butéva þò a’ fè un arpons [‘riposo’che non era palùg, ma recupero del sonnoperduto] int e’ s-ciòp de’ cheld o de’ su-gliòn, magari a l’ombra de’ ruvròn od’un paiér. O, come scrisse il Pascoli,‘dentro il meridïano ozio dell’aie’. L’om-bra de’ ruvròn l’è la pió frèsca e a durmìisota la ’n fa briðol mèl, cumpagn a ch’u fae’ nóð. Anche questa era una credenza dif-fusa. Nel cesenate ‘ombra’ è ora, dal lat.aura ‘soffio’, nell’ital. aulico ‘aura’: cheall’aperto e all’ombra si avverte meglio,anche se ridotta ad avarina (Ercolani,Voc.). Aura, attraverso ‘auretta’, muta neltoscano ‘orezzo’ e diventa rèz: e’ rèz de’vent. All’aria si associano i verbi tiré, sufiéed anche rèþ ‘reggere’ che nulla a che farecon rèz ‘orezzo’, o réz ‘riccio’: a m god e’réz de’ vent.

Rubrica curatada Addis Sante Meleti

da Civitella

Page 12: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla12 Giugno 2014

Quando si parla in e di dialettoromagnolo è impossibile non nota-re le molteplici inflessioni nella pro-nuncia delle stesse parole spostan-dosi anche solo di pochi chilometrie questo, quasi sempre, in ragionedel complesso sistema vocalico chelo caratterizza. Se la classificazionedelle vocali impiegate nel nostrodialetto è un vero rompicapo perstudiosi e semplici parlanti, ciò cheaccomuna il romagnolo da Rimini aSant’Alberto e da Imola a Cervia èsenza dubbio il sistema consonanti-co. Alla paura delle vocali, declinatein mille maniere quando addirittu-ra non sono soppresse, si contrap-pone l’amore del dialetto per le con-sonanti, dando vita a gruppi conso-nantici complessi del tutto ignotialla fonetica italiana, ma ancora pre-senti in altre lingue europee, spe-cialmente in quelle più antiche delgruppo slavo.Già l’Ascoli nell’Ottocento, analiz-zando tutte le parlate a Nord degliAppennini, aveva notato che soloqui esiste una caduta totale delleatone: nel romagnolo, infatti, leatone cadono ad eccezione della ‘a’,che si conserva di norma in ogniposizione, così le parole latine trisil-labe o quadrisillabe vengono ridottea monosillabi: per esempio, il lat.cerasu- diventa in romagnolo zriþ,così come tepidu- diventa tévd oppu-re genuculu- diventa znòc. Si noti cheinvece l’italiano standard ha sempreoptato per la pleofonia, cioè la con-servazione di vocali tra due o piùconsonanti, in modo da semplifica-re notevolmente la fonetica e ren-derla accessibile ad un pubblico piùvasto; così facendo zriþ, tévd e znòcsono diventati ciliegio, tiepido e ginoc-chio.Il totale annientamento delle atonee la conseguente creazione di gruppiconsonantici complessi nel dialettoromagnolo ricorda molto da vicinolo slavo ecclesiastico antico, dettoanche antico bulgaro, la lingua svi-luppata nel IX secolo dai due mis-sionari bizantini Cirillo e Metodio.Siamo in pieno Alto Medioevo, lostesso periodo in cui in Italia si svi-luppano dal latino i ‘volgari’ nelledifferenti aree geografiche.

Così in bulgaro ‘latte’ si dice мляко[mljàko], in croato mlijeko, in mace-done e serbo млеко [mléko] cheperò, per anaptissi vocalica, nelrusso moderno diventa молоко[molokó]; ugualmente il bulgaroздраве [zdràve] ‘salute’ in russodiventa здоровье [zdoróvje]. Scom-paiono quindi i gruppi consonanti-ci complessi ‘ml‘ e ‘zdr‘ per lasciarespazio ad una sillabazione più sem-plice ‘consonante/vocale - conso-nante/vocale’, tipica della foneticarussa come di quella italiana.

Pare insomma che le lingue moder-ne più parlate, proprio per ragionidi accessibilità, evolvano nella stessadirezione. D’altronde anche l’ingle-se britannico I want to go ‘io voglioandare’ viene semplificato nel diffu-sissimo inglese d’America in Iwanna go.Appurato il fatto che esistono affini-tà linguistiche quando meno ce loaspettiamo, studiando slavistica miè capitato spesso di appellarmi allafonetica romagnola più che a quellaitaliana: così il suono ‘zl‘ di злато[zlato] ‘oro’ lo ritroviamo nel dialet-to zlê ‘gelato’, oppure il suono ‘sr‘ diсребро [srebró] ‘argento’ lo incontri-amo in srê ‘chiuso’. Ma il romagnolo è una fucina digruppi consonantici complessi eimpronunciabili ai più, basti pensa-re a parole come bdóla ‘betulla’,pchér ‘macellaio’, pizgòt ‘pizzicotto‘,saivêdg ‘selvatico’, sflèzna ‘lampo,scintilla’, vluntira ‘volentieri’, soloper citarne alcune. In merito all’ul-timo esempio, inoltre, possiamoosservare come spesso il nostro dia-letto cerchi di mettere un freno aquest’accozzaglia di consonanti conl’ausilio di una ‘a’ (sempre lei!) nonetimologica. È il caso dei verbi cheiniziano col prefisso re-/ri-: rfê ‘rifa-re’ diventa arfê e rdusr ‘ridurre’ dallat. ‘riducere’ diventa ardusar. Mal’esempio classico di tale fenomenoè quello dell’impronunciabile rzdorderivante dal latino ‘regitore’ chediventa arzdor e, nella pronunciacorrente con caduta eufonica dellalettera ‘r’, azdor.

La paura delle vocalie l’amore per le consonanti

Breve viaggio nella fonetica romagnola

di Silvia Togni

Page 13: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

13Giugno 2014la Ludla

Quale insegnante esperta della Schürranche quest’anno sono stata chiamatadalla Scuola primaria di San Pietro inCampiano (RA) per guidare gli alunninella composizione delle zirudelle da reci-tare in pubblico durante la Festa delPrimo Maggio.

Questa è la zirudella prodotta dalla clas-se Prima A.

Animél pr’un dè

A so un caval e a galoppiò veloce d’una pala da s-ciop.

A so e’ gat che mâgna i surgatin,e me un vulpin birichin.

A so un cunej e cun i mi dintin a roðgh un carutin.

Me a so una pôra furmighina incion u-m dà una briðulina.

Me a so un leon e i nemigh a mi mâgn int un pcon!

Bau bau, ecco, a so qua cun me i lédar in ven in ca!

A bév int e’ laghet a cor coma una mata, a so una bëla cerbiata.

A sen do farfalini: me a so bëla e culurêda e a vól sora l’érba profumêda; me a so ben curióða del mondo voglio vedere ogni cosa!

A so un gorilla, a so fôrt, quand ch’a pas a spach tot al pôrt.

A so cerbiattina e cun al côran a pos ðluntanê j animél che i m ven a scucê.

A faðen i tof int e’ mêr a sen du delfen e insen a-s diverten.

A so un ors tot maron a zerch int e’ bosch j amigh che i s’è nascost.

Son dolce coccinella cun tent puntin a vegh cun agli amighi a fer un þirtin.

Miao, a so una dolza gatina! Tra i fiur a faz una durmidina.

A so un ragnin, una téla a voi fê tot al mosch a voi ciapê.

A so un tôr fôrt e grös, staðì in là, ch’a v vegn adös.

Sono un cervo de’ bosch a so e’ re. E a stagh propi ben a que.

Me a so Rudolf, la renna di Babbo[Natale

e a l saviv i mi burdel? Se u j è e’ mi bab a so tranquel.

A javen det la zirudëla a s daðiv la caramëla?

� � �

Questa è la zirudella composta daglialunni della Prima C:

La scôla

Nó a sen vintdù babintot quent bel, tot birichin,anden a scôla a Sa’ Pirene’ Tempo Pieno nó a fasen.Tempo Pieno, cs’a vôl dì?Dal lunedì al venerdì,otto ore tutti i dì,che a momenti i s fa murì!A lèþar e scrìvar a duven imparê:puret nó, u j è da s-ciupê!E cal mestri, cal quàtar doni,

al n’è miga tanti boni!No scòrar, no rugê,t’an é gnanca da rispirê;no þughê cun e’ palon,e no dê tot chi spintlon,e camena in ponta ad piche l’armór u m fa invurnì,bota la chêrta int e’ ziztin,lasa stê che pôr babin;e non dir le parolaccee non far quelle boccacce!

Uffa, uffa, uffa!!! (in coro)

� � �

Si chiude con quella della Prima B:

… e i þugh?

A pösi andê a e’ gabinet?Prema culora che fujet!A pösi magnem ‘ste bel panino?No, devi sbucciare il mandarino!Non mi piace la verdura…S’t’an la megn, t’an vé piò fura!Con le Barbie vogliamo giocare,i peluches li vogliamo cullare.Al machinini, i traturche a nó u s pies i mutur.La play-station a voj druvê,int e’ spazio a la voj purtê.A vlen pastrucê cun la sabia e la tërae þughêr a fê la guëra.Cun i Lego a faren una muntâgnae a vlen còrar par la campâgna.Quând a sonla la campanella?Quando arriva la bidella?Nó a scôla avlen avnì mo a s’avlen nench divartì!Mo maestra siamo piccinifacci giocare coi palloncini!

Rosalba Benedetti

Pr’i piòznen

Page 14: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla14 Giugno 2014

Concorso di poesia dialettale Giustiniano Villa

San Clemente (RN)XXII edizione

Sezione Zirudela

E’ poétadi Franco Ponseggi - Bagnacavallo

Primo classificato

E’ poéta l’è un sugëtche s’u-t càpita d’impët,s t’al’incõntar par la strê,t fares mej a scantunê.Intindens, u n’è cativ,mo se nenc al fa un pô schiv,þira e prela, cvãnd ch’u-t véd,còma mènum e’ suzédch’u-t vô lèþr’al su puiðej.L’è par cvest che me a-t cunsejd stê a la lêrga, d dêj la strêe d no fêt ingavagnê.D’êtra pêrt, a-l saven pu,e pu sèmpr’ u s’è savù,che e’ poéta l’è un tip strãn,ch’e’ pö rësar un bõn sčiãn,mo dal vôlt l’è un pô ðbalê,un pô mat e strambalêe l’à sèmpr’ al su manejcvãnd ch’e’ scriv al su puiðej.“Mo cus’ëli nenc stal nôv?”A-m dirì ch’u-j vô dal prôve me a pës a dimustrêcvela ch’l’è la varitê.E cminzènd da l’eceziõn,parchè cvest l’è õn di bõn,e’ piò grãnd dl’antichitê,l’è che têl che l’à inventêcla grãn stôria e tot cl’imbrojd Menelào cun su moj

e dal côran ch’ la j’à fat.Lo l’à cmenz a fêr e’ matcvãnd che l’à magnê la fojae pu dgènd che l’è una troja(l’è mo acsè ch’u s’j’ è atachêste fat nöm a cla zitê!)a che têl ch’l’à pôrta veja,arvinèndi la fameja,u j’avléva fê la pël.Cun l’aiut ad su fradël,cun Ules e cun Chilen,tot armé com’asasen,cun al nêv, cun i suldé,ch’i n’avéva purasé,i s’aveja e par dið èni sta in þir a fê di dèn.E la n’è finida a cvè,parchè Ules e’ þavajèét dið èn, da cva e da là,par puté turnêr a ca.Óh, mo miga det acsè,còma ch’ j’ uða fê’ incudè!Tot i virs dla stesa mðura,ch’u-n gn’è õn ch’e’ ðgara fura,tot esàmetri pulì,ch’j’à la mùðica int i “pi”.L’éra zig, a cvel ch’i dið,e l’andéva pr’i paiða cuntê sta bëla stôria,miga screta, mo a memôria!,pr’un töc d pãn, un fiasc da bée un cantõn par stêr in ðdé..L’è mo acsè che a l’ucaðiõn,cvãnd che e’ ven l’éra d che bõn,spes pu alóra, piò ch’e’ dbéva,e cun piò l’eðageréva,cun dal stragi e dj’amazirich’l’éra tot un grãnd zantiri.Un poéta piò mudéranl’è che têl ch’l’andè a l’Inféran,Purgatôri e Paradið,s’a staðen’a cvel ch’e’dið.Int e’ mëþ d’una furëstafesa e scura, cun la tëstapina d sön u s’è truvêch’u-n savéva piò cum fê,vest ch’u s’éra nenc ðmarìe u-n savéva turnê indrì.E par þõnta una bisčiazala-j faðè ðbianchê la faza,la-j faðè tarmêr i þnočch’ u j’avnéva al gozl’a j’oč.Par furtõna par salvêlda sta raza d’animêlch’u-j faðéva acsè pauraint e’ mëþ d cla sélva oscura,d’impruvið e’ sêlta furaun fantêðm, una figura:

l’è Virgilio, in cuncluðiõn,ch’u-j farà di cicerõn.Int l’Inférn’ u-l pôrta a vdétoti agl’ãnum di danéint un buð, andènd in þo,e pu e’ cmenza andêr in so,… Purgatôri, …e’ cãmbia guida,e’ va so pr’una salidae a la fen’ a l’impruviðu s’artrôva in Paradið.Õn ch’e’ cõnta tot ste fatsenza dobi i dið ch’l’è mate d sicur ch’u n’è nurmêle pu i-l liga e i-l pôrta a e’bðdêl.A l’Inféran, s’u-n gn’è andê,cvel ch’l’è zért e cunstatêl’è che incóra, a sò cunvent,i glia’ mãnda tènt student!E par dì d’un êt’ tip strãnu-n gn’è bðögn d’andê’ luntãn,tot a scôla aven stugêche têl Ugo ch’l’è fisêcun al tòmb e cun i murt,specialment s’ j’éra di “furt”.Sèmpr’e’piãnþ e pu u-s dispérae pu e’ dið ch’u-j piéð la sérasól parchè la s’asarmejaa la môrt, l’è una maneja!Cvãnd ch’e’ môr pu su fradëlcun e’ sölit riturnëlu-s lamenta ch’l’è ðgraziêpi d dulur e sfurtunê.Di Sepolcri a n’in scuren,ch’u j’à mes prinfèna i chenche stra al tòmb i va ðmarìe pu j’orla avãnti e indrì,e la popa so ins al cróðch’la ðvulaza, cun la vóðch’ la dà i brìvidi int la schena,e pu lutto, ðgrëzia e arvena,teschi, ös e funerêl:dgim mo vó s’l’è õn nurmêl!Tot’al vôlt che t’in ciachër,te l’è mej che t toca fër!Õn famóð int la puisejanenca lo par l’aligrejache me adës a putreb dìl’è che pôvar cõnt Jacmì,ch’e’ gvardéva e’ pasarötch’e’ cantéva infèna a nötalà in zèma, sulitêri,tot e’ dè, senza un urêri.U n’avéva grãn furtõna,la salut la n’éra bõna,mo d fameja l’éra un cõnte cvatre’ u n’avéva un mõnt.Mo lo invézi d spasigê’,fê’ dal fëst, andê’ a balê’,

Stal puiðì agli à vent...

Page 15: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla 15Giugno 2014

e’ stugéva còma un mat,mai u n’éra sudisfat,sèmpr’in ca a sudê’ dal chêrt,tot e’ rëst lasènd da pêrt,senza pérdar un minut,bagatènd che pô d salute cadènd in depresiõn,ch’u s’è fat la cunvinziõnch’l’è cativa la natura,che l’è tota una siagura,che la vita la t’ingãnae l’è tota una cundãna.Mo se invézi d stê’ avilìa pinsêr a l’infinì,a stugêr e’ dè e la nöto a gvardêr’e’ pasarötch’e’ staðéva alà ins la veta,s l’aves ciap cla tabachetache la ven da la campãgna,l’areb ðmes un pô la lãgna,s l’avès lës la puiðejapar andêr a l’ustarejacun la fjôla de’ cucir,u n’areb avù pinsir.E incudè, agli è röb da mët,i poéti j’è dj astrët,o dj ermètic, che pu spesuna maza la-n s capese i-t fa nenc avnì e’ narvóð,coma cvel che l’è famóðpr’una röba senza sens,ch’u s’illòmina d’immens:e tot cvènt i s’arabata,i va dgènd ch’l’è röba astratae ch’e’bðögna interpretê’

e’ mesağ che l’à vlu dê’.U j’è bðögn, in cuncluðiõn,d’inventês la spiegaziõn.Mo me a deg, e pu a scumet,che se un êtr’u l’aves det,õn ch’u-n seja cnusù invel,j’areb det ch’l’è un imbazel.A ste põnt pu vó a-m dirì,s’a n’a’ dgì, parò a-l pinsì:“E stra tot sti bel sugetun pô mët, te t’an t’i met?”Cõntr’a tot’ agli aparenz,e me a-n sò se pu a-v cunvenz,da sta brota malatejache la-s ciãma puiðejaa sò sól un pô infetêe, se nenc a sò amalê,a n’ariv a che livël:me a fëg sól dal zirudël!

� � �

Sezione poesia

Da piò luntândi Bruno Zannoni - Ferrara

Primo classificato

Da piò luntân dla strésa dl’urizónt l’onda, ruzlénd sò e’ mêr, èco, ch’l’arìva!Cun la bufèra l’ha zà fat i cónt e adëss la pënsa sòl d’andèr a riva; la spéra d’truvé là che pòch ad pès ch’l’ha tânt zarchê int e’ mëzz di cavalón,mó nòt o dè ch’e’ séa, e’ mèr un tès

e u la sbatòcia sènza cumpasión.

Ormài la véd la spiàgia da luntân e par guardêla méj l’èlza la crésta, la pónta a e’ zil, mó ogni sfòrz l’è vân che’ sòl par un mumênt dura la fèsta: adëss la piómba zò, mëzz a la s-cióma, i sbróff ch’i vola véja j’è e’ su piânt, l’acva l’arbóll che tânt e’ pè ch’la fóma,ógni góza l’arlùs cóm un diamânt.

Un àtim par pinsè, che l’è za óra ch’la cmënza un’êtra vôlta la su gita; alzêras so e pù caschér incora: ónda ch’la pê, da bón, la nòstra vita.

Da oltre… Da oltre la striscia dell’orizzon-te l’onda, / ruzzolando sul mare, ecco, chearriva! / Con la bufera ha già fatto i conti /e adesso pensa solamente di andare a riva; /spera di trovare là quel poco di pace / che hatanto cercato in mezzo ai cavalloni, / a gior-no o notte che sia, il mare non tace / la sba-tacchia senza compassione. // Ormai vede laspiaggia da lontano / per guardarla meglioalza la cresta, / punta verso il cielo, ma ognisforzo è vano / poiché solo per un momentodura la festa: / adesso piomba giù, in mezzoalla schiuma, / gli schizzi che volano via sonoil suo pianto, / l’acqua ribolle tanto che sem-bra che fumi, / ogni goccia riluce come undiamante. // Un attimo per pensare, che ègià ora / che cominci un’altra volta la suagita; / sollevarsi e poi cadere ancora: / ondache sembra, davvero, la nostra vita.

Page 16: Ludla Giugno 14 sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · 2 Giugno 2014 la Ludla Altri hanno parlato dell’uomo di Chiesa e altri ancora parleranno della persona che sempre sapeva porsi

la Ludla16 Giugno 2014

«la Ludla», periodico dell’Associazione Istituto Friedrich Schürr, distribuito gratuitamente ai sociPubblicato dalla Società Editrice «Il Ponte Vecchio» • Stampa: «il Papiro», Cesena

Direttore responsabile: Pietro Barberini • Direttore editoriale: Gilberto CasadioRedazione: Paolo Borghi, Gianfranco Camerani, Veronica Focaccia Errani, Giuliano Giuliani, Omero Mazzesi, Addis Sante Meleti

Segretaria di redazione: Carla Fabbri

La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli firmati va ascritta ai singoli collaboratori

Indirizzi: Associazione Istituto Friedrich Schürr e Redazione de «la Ludla», Via Cella, 488 •48125 Santo Stefano (RA)Telefono e fax: 0544. 562066 •E-mail: [email protected] • Sito internet: www.argaza.it

Conto corrente postale: 11895299 intestato all’Associazione “Istituto Friedrich Schürr”Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale. D. L. 353/2003 convertito in legge il 27-02-2004 Legge n. 46 art. 1, comma 2 D C B - Ravenna

Quello affrontato dalle donne, fin dai primordi è sem-pre stato un viaggio in salita, a partire da quell'Eva sca-turita da un frammento complementare di Adamo, allaquale fu addossato lì per lì il maggior peso di un pecca-to originale e di una successiva cacciata dal paradiso,che sarebbe stato ben più ineccepibile e corretto sparti-re imparzialmente in due.Da quell'espulsione in avanti, una delle poche armi tra-mite cui il gentil sesso s'è palesato idoneo a registrareun'ambigua sorta d'influenza sul maschio è semprestata la bellezza; prerogativa non esigua, comunque, epersino in grado nel passato (Elena c'insegna) di fomen-tare calamità e contese. Eppure si trattava di un'arma adoppio taglio perché, al fine di ristabilire le distanzeconsolidando e confortando un predominio ininterrot-

to, il più delle volte l'uomo ha correlato il possesso diquest'attributo a quello della stupidità, della frivolezza,in definitiva di un'inveterata carenza intellettiva, quasiche i due elementi specifici, allorché coniugati al fem-minile, fossero interdipendenti.Plotino (filosofo greco, 204–270 d.c.) ha sostenuto lamedesima imprescindibilità nei confronti dell'intelli-genza e dell'anima avanzando il concetto che l'una sia,per un verso, l'idea stessa dell'altra e sancendo senzamezzi termini il controsenso di intendere le due entitàdisgiunte fra loro, visto che un'anima del tutto operati-va richiede il concorso dell'intelletto, quasi identifican-dosi in esso compiutamente.Bellezza e ottusità, anima e ingegno: questi versi di PierGiorgio Bartoli sembrano considerare il garbuglio conbeffarda ironia, puntando il dito su un'ipotetica causadi correlazione collettiva e concedendo a se stesso, nelruolo di autore/arbitro, quel tantum di equanimità ed'indulgenza adeguato a fargli implicitamente elargire ibenefici del dubbio, al cospetto di una prima istanzamuliebre finalizzata non allo spirito e alla trascendenza,bensì alle mondane frivolezze della carne. Poi giunge opportuno e salvifico quel conclusivo “bëla,e sénz’ânma” ad arginare, stigmatizzandolo, quel secon-do sollecito della donna concernente le tette: acconten-tandolo, chissà a quali forme dissolute di perdizionesarebbe andato incontro l'umano consesso...

Paolo Borghi

Pier Giorgio Bartoli

Sénz’ânma

Sénz’ânma

Quând che Ilà Sói daséva vi’ agl’j’ânum,li l’éra in fila pr’al tètpar la sgónda völta:bëla, e sénz’ânma.

Senz’anima Quando Lassù / distribuivano le anime, / lei era in fila per le tette / per la seconda volta: / bella, e senz’anima.

Foto

P. G

. Bar

toli