Love Game Antep.135pag
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Transcript of Love Game Antep.135pag
Edizioni R.E.I.
Love Game
Rossella Leone
ISBN 97888-1427-0321 Copyright 2013 - Edizioni R.E.I. Progetto grafico: Max Rambaldi
www.edizionirei.com [email protected]
Rossella Leone
LOVE GAME
Edizioni R.E.I.
UN INSOLITO INVITO
Quel giorno Katia si sentiva più agitata del solito.
– Siamo arrivate! – gridò gioiosa la compagna di viaggio, sbattendo con forza la portiera.
– Non è magnifico qui? – esclamò poi correndo esultante sullo spiazzo erboso. Katia la
raggiunse senza troppo entusiasmo. Il lieve senso di disagio provato fino a poco prima si
trasformò in marcata angoscia quando si guardò bene intorno: erano nel cuore della
Svizzera, tra montagne puntute e boschi intricati. Intorno a loro, a parte un manto
innevato e qualche scoiattolo, il nulla. Non c’era traccia di civiltà per molti, molti
chilometri. Troppi.
– Ylaria, dove siamo di preciso? – domandò allarmata. La sua voce risuonò sinistra come
il grido di un uccello spaventato.
– Stai tranquilla. Nessun orso ti attaccherà. Dovrebbero già essere tutti in letargo –
l’informò seria l’amica, imboccando con scioltezza un viottolo seminascosto da un
gruppo di alberi. Da quello che poteva vedere – ed era ben poco – la stradina saliva
verso l’alto serpeggiando lungo una collina.
E poi la sua mente si cristallizzò su un dettaglio: Orsi? C’erano degli orsi in quel luogo
sperduto?
Senza pensarci si precipitò a rotta di collo verso la compagna guardandosi le spalle con
febbrile, ritmica circospezione. Di fronte alla sua espressione atterrita l’amica scoppiò in
una fragorosa, forte risata e poi scartò in avanti, distanziandola di qualche metro.
– Sei la solita credulona! – la motteggiò da quella distanza di sicurezza, mimandole
smorfie di scherno.
Katia trasalì. – Mi hai preso in giro! – constatò incredula, per metà offesa e per metà
sollevata.
– Lascia che ti acchiappi e me la pagherai! – la minacciò ridendo, inseguendola con foga
per l’irto sentiero.
Iniziarono a correre spensierate. Katia si impegnò al massimo per stare dietro a quel
corpo scattante ma la neve era come una corda tesa che rallentava i suoi passi e l’aria
fredda le sferzava la faccia ricacciandola indietro. Fu una guerra impari contro tutti gli
elementi della natura e quando, esausta, raggiunse l’amica, aveva il fiato troppo corto e le
gambe troppo fiacche per acciuffarla. Ma, oramai, non aveva più importanza.
– Ci siamo! Ci siamo! – l’informò raggiante Ylaria, raggiungendola.
– Non è bellissimo?
Katia, ansimando leggermente, guardò attentamente l’edificio davanti a sé.
Un piccolo, elegante cottage di pietre e legno si stagliava al centro della radura, il rosso
vivace del tetto risaltava sullo sfondo candido come una pennellata purpurea su una tela
bianca.
– E’ davvero… – “piccolo!” pensò tra sé, ma, invece, aggiunse con un gran sorriso –
grazioso, sembra accogliente.
– Già! Ma ti rendi conto che passeremo qui sei giorni? E cinque indimenticabili notti?
Katia chiuse gli occhi mentre una scossa elettrica la percorreva tutta. Ancora quella
sgradevole sensazione.
La prima volta l’aveva provata quando Ylaria l’aveva informava che entrambe erano
state invitate, in pieno ottobre, a passare una settimana bianca con degli amici.
– Quali amici? – aveva ribattuto curiosa e per la prima volta da quando si conoscevano
l’amica l’aveva deliberatamente ignorata, cambiando rapidamente argomento. Lei però
non si era arresa. Dopo una sfiancante insistenza tutto quello che aveva ottenuto era
stato un laconico, snervante ”Fidati: non li conosci”.
L’idea di mollare tutto per un po’ l’aveva fatta sentire strana, vuota e nello stesso tempo
carica di adrenalina.
Non che non avesse provato a sganciarsi ma Ylaria era stata irremovibile. Il ricordo di
quella conversazione era ancora vivo nella sua mente. Erano in macchina. Fuori pioveva
forte.
– Cosa! Non vuoi venire?? Ma perché?
Silenzio. Perché? Perché non voleva andare? Per una stupidissima sensazione?
– Ho molto da fare… lo studio si sta ingrandendo ehm… sai… l’avvocato pensava di
affidarmi cause di maggior responsabilità. Non posso lasciarli ora...
Falsa. La sua voce era spudoratamente falsa. Aveva parlato senza un briciolo di
convinzione. Se in aula avesse discusso un caso in quel modo persino lei non si sarebbe
creduta.
– Ma tu sei già un avvocato di successo!
– Una praticante, devo ancora sostenere l’orale dell’esame di stato.
– Ma tu sei preparatissima!! E lo sai!
Vero. Stava studiando come una pazza da due anni.
– Ma non posso mollare ora.
– Cosa devi mollare? Hai appena fatto gli scritti e gli esami ci sono tra sei mesi. Quale
momento è più buono per prendersi una piccolissima vacanza? Pensa: gli ultimi sei mesi
di libertà prima di entrare definitivamente nel mondo del lavoro! Non puoi rifiutarti!
Era tutto vero. Eppure non era ancora convinta.
– Ma come mai tutto così in fretta? La partenza è fissata tra appena tre giorni. Perché
non me l’hai detto prima?
Borbottio di sottofondo.
– Come: perché? Ti ho già spiegato che lo chalet non è mio; dovevano andare un paio di
persone che, all’ultimo momento, sono venute meno. Un amico, ricordandosi di me, mi
ha invitato – dichiarò soddisfatta, mostrandole un’originale busta rossa su cui, pur
gettando attentamente l’occhio, non vide nessun mittente – ed io ho colto al volo
l’occasione. Tu sai che non spreco le occasioni. Mai.
Katia non se ne meravigliò: sapeva bene quanto Ylaria potesse essere testarda quando
voleva una cosa.
– E dov’è questo posto stupendo? – esclamò debolmente ad un passo dalla resa.
– In Svizzera.
Almeno la nazione le piaceva. Non era mai stata in Svizzera.
– Dove di preciso?– aveva chiesto svogliatamente, aprendo la sua agenda per controllare
eventuali impegni.
– Non te lo posso dire.
Quasi le era caduto il libro di mano per lo stupore.
– E perché no?
– C’è scritto nell’invito. Non posso rivelare il posto ad altri – le aveva annunciato
chetamente come se quella prassi fosse la più normale del mondo.
A conferma di quanto detto le aveva poi sventolato un foglio rosso sotto il naso
indicandole spavaldamente un rigo.
– E’ qui: vedi? – aveva ribadito, avvicinandole la lettera.
In effetti, nero su bianco (o su rosso per l’esattezza), c’era quella strana imposizione.
Katia non riuscì a mascherare il proprio sconcerto.
– Non ti sembra… insolito? – aveva ribattuto lei, restando decisamente perplessa.
Ylaria aveva fatto spallucce prima di sorprenderla sul serio.
– Non più della regola successiva – l’aveva informata enigmaticamente, iniziando a
leggere ad alta voce: “Puoi estendere l’invito a qualcuno ricordando però che è
indispensabile che la persona che ti accompagnerà non sia in stretta confidenza con te
(fratelli/sorelle, compagni di uscita, migliore amici, fidanzati). La violazione di questo
avvertimento comporterà l’esclusione dallo chalet.”
– Ma tutto ciò è assurdo! – aveva esclamato sbigottita. Poi, un’improvvisa
consapevolezza, era balenata sul suo viso.
– Ma, allora, io non posso venire! Noi ci conosciamo dai tempi della scuola, oltre ad
essere migliori amiche.
– Non potresti venire.
Qualcosa nel tono della compagna l’aveva allarmata. Si era girata giusto in tempo per
vedere un sorriso malizioso increspare quelle labbra spavalde, subito coperte dai lunghi,
splendenti capelli ricci.
– Gli hai mentito?
Gli occhi le si erano fatti grandi quasi come due piattini da tè.
Ylaria si era portata un dito alle labbra ridenti, sussurrando:– Solo un pochino. Ci tenevo
davvero tanto che tu ti distraessi un po’. Quindi ora non puoi abbandonarmi!!
Katia aveva sospirato. C’era qualcosa che non la convinceva affatto. Generalmente si
invitavano le persone più care e fidate in vacanza, non le meno conosciute.
Le sembrava che ci fosse altro (e conoscendo Ylaria, chissà che altro!) che la fedele
compagna non le avesse detto. Stava ancora rimuginando su come tirarsi indietro
quando l’amica, inaspettatamente, le aveva detto una cosa che l’aveva colpita a fondo,
facendola capitolare.
– Ultimamente sei troppo stressata. Come se qualcosa ti turbasse. Ma io ho la soluzione!
– aveva esultato afferrandole con slancio le mani mentre, con voce supplice, le diceva: –
Vieni con me. Se ti rilassi e rallenti un po’ vedrai che tutto tornerà a posto. Credimi!
Quel suo sorriso fiducioso l’aveva scossa come una terremoto.
Non era mai stata molto brava a nascondere le cose, anzi, generalmente veniva sempre
scoperta subito ma, questa volta, si era davvero convinta di avercela fatta. Fino a quella
sera avrebbe giurato che Ylaria non avesse sospettato nulla del suo silenzioso tormento.
Ma si era sbagliata, e di grosso. L’ansia dipinta su quel volto caro le aveva dimostrato
che, in realtà, l’unica cieca era stata lei.
L’amica aveva intuito che era successo qualcosa mentre era via, qualcosa di terribile, di
cui non riusciva a parlare.
La storia degli amici, si disse, doveva essere una balla per convincerla ad andare e il
viaggio una ghiotta occasione per divertirsi un po’ insieme, come ai vecchi tempi.
Guardò quel viso speranzoso in attesa di una risposta e, d’improvviso, avvertì quanto
fosse davvero preoccupata per lei. Non poteva tirarsi indietro.
– Ok. Accetto. Passo a prenderti martedì mattina. Sii puntuale.
Ed ora se ne stava già pentendo. Eccola lì la loro vacanza: una piccola casa sperduta tra
le montagne da dividere con degli sconosciuti per quasi una settimana. Come le era
saltato in mente?
*******
Katia e Ylaria si accomodarono sul grande, morbido sofà di pelle bianca. Non erano mai
state in montagna e l’aria fredda del mattino le aveva elettrizzate più dei dieci caffè presi.
Ora si guardavano intorno con occhi da cerbiatte, curiose di ogni particolare, avide di
ogni dettaglio. In quel momento di perlustrazione fotografica una porta si spalancò di
botto. Una lunga chioma bionda, semicoperta da un buffo berretto di lana, si
materializzò davanti a loro.
– Benvenute nello chalet. Come vi chiamate?
– Io sono Katia e lei è la mia amica Ylaria.
Entrambe allungarono la mano, aspettando di conoscere il nome della ragazza ma la
nuova venuta, sorprendendole, le cinse a sé, trascinandole in un affettuoso, stritolante
abbraccio a tre.
Katia la guardò meglio; aveva un sorriso aperto e cordiale; due occhi azzurri cielo e una
marea di piccole lentiggini.
– Questo posto è bellissimo, grazie di averci ospitato – mormorò staccandosi un po’ da
lei.
– Oh, ma non è mio! – replicò l’altra sorridendo.
– Anch’io sono stata invitata. La casa è di un mio amico. Mi ha detto di venire un po’
prima a fare gli onori di casa poiché lui non potrà raggiungerci che all’ora di pranzo. Nel
frattempo potete lavarvi, disfare i bagagli, sistemarvi – annunciò alla velocità della luce,
senza mai smettere di sorridere.
Non avevano ancora sentito le sue ultime parole che la ragazza, altrettanto celermente,
aveva afferrato un borsone da terra.
Un attimo dopo era già in cima ad una lunga scala.
– Vi ho sistemate di sopra. Seguitemi!! – ordinò allegramente, quasi saltellando sul posto.
Katia e Ylaria si fissarono per un secondo, indecise sul da farsi: c’era qualcosa nel modo
di fare di quella ragazzina di… sconcertante, sembrava un po’…come dire…
– Fuori di testa? – sussurrò Ylaria, ridacchiando.
Katia annuì.
– Allora: che fate? Non venite? – ripeté la voce con maggior brio.
Beh, in fondo…avevano forse scelta?
- 1°GIORNO –
La visita dello chalet fu una piacevole sorpresa. Quello che in principio aveva preso per
un edificio di modeste dimensioni era in realtà un vero e proprio palazzotto dislocato su
ben quattro piani. Due di essi, come aveva già potuto notare, si affacciavano sulla collina
da cui erano arrivate mentre i restanti due, secondo quanto aveva raccontato la loro
guida, scendevano nelle viscere della terra e si affacciavano solo sul versante opposto.
Aprì la finestra. Un soffio gelido le sollevò i capelli. Davanti a lei apparve tutta la
vastissima vallata sottostante
Caspita quanto erano in alto!!
– Ehi, guarda: Abbiamo la montagna attaccata a noi! – esclamò Ylaria indicandole un
punto alla loro sinistra.
Era vero. Un lato dell’abitazione confinava con un enorme picco roccioso. Sembrava
quasi che le mura finissero nel duro granito. E di pietre, anche se più pregiate, era
interamente rivestita tutta l’abitazione. La loro guida le aveva condotte per le
innumerevoli stanze al piano di sopra. Ovunque trionfava una moderata opulenza.
– Che ne direste di una bella sauna? – propose la giovane, aprendo teatralmente l’ultima
stanza.
- Lì ci sono i costumi – le informò indicando degli indumenti ordinatamente impilati su
una sedia.
– E questo dovrebbe essere proprio della tua taglia – aggiunse raggiante, parandogli
davanti il bikini più piccolo e luccicante che avesse mai visto.
Come no. Le sue bambole avevano più stoffa addosso.
Katia rabbrividì: odiava sudare e il solo pensiero di stare delle ore in mezzo al vapore,
cuocendo come un pollo, con un sottofondo di pettegolezzi la spaventò a morte.
– Io declino. Sono davvero stanca e vorrei fare una bella doccia.
– Noi allora andiamo. A dopo! – strillarono le due ragazze fiondandosi subito dentro.
Non appena le due scomparvero dalla sua vista Katia si sentì sollevata.
Finalmente era libera! Si era guadagnata almeno un’oretta di pace.
Iniziò a girovagare distrattamente per l’abitazione, attardandosi beatamente su ogni
dettaglio, ripercorrendo in lungo e in largo ogni stanza. Fu solo dopo un bel po’ che la
stanchezza prese il sopravvento convincendola a rientrare in camera. Era quasi arrivata
alla porta e già pregustava la sua lunga, bollente doccia, quando una sirena invase la
quiete della casa. Un suono sordo, ripetuto per tre volte.
Katia stava ancora cercando di capire cosa fosse quando un rombo proveniente dal
basso destò i suoi sensi. Qualcosa stava venendo verso di lei a gran velocità. Vide un
insieme di braccia e gambe muoversi come una massa unica ma poi dal blocco si staccò
una figura che, più veloce delle altre, la raggiunse afferrandola per un polso.
Un attimo dopo era al fianco di un ragazzo e correva a perdifiato per stare al suo passo.
Svoltarono ad un angolo e poi ad un altro. Gli inseguitori erano rimasti un po’ indietro e
non si vedevano più. Katia guardò avanti: avevano preso un vicolo cieco; davanti a loro
c’era solo un muro con uno specchio stretto e alto.
– Fermati o sbatteremooooo! – gridò cercando di puntare i piedi ma il nuovo venuto,
anziché rallentare, prese un ultimo slancio e si gettò deciso contro il loro riflesso.
Katia chiuse gli occhi attendendo l’urto. La paura si impadronì all’istante di ogni sua
fibra, soggiogando in un attimo la sua mente per piegarla al suo volere. Inatteso ed
incontrollato partì un flash back che la riportò indietro, ad anni prima, molti anni prima.
Era un giorno d’agosto. Nuvole bianche correvano svelte in un cielo di morbide onde.
Lei, pur odiando guidare, per l’occasione si era fatta coraggio e aveva preso la golf nuova
del padre senza dirglielo. Faceva tanto caldo in città e come se non bastasse il traffico
sembrava peggiore del solito quel giorno. Ricordava il caldo opprimente, l’afa che le
impediva di respirare, il sudore che le scorreva in perle lucenti sulla fronte.
Quando, finalmente, da lontano era apparsa la meta tanta agognata aveva provato un
tonfo al cuore.
L'orologio segnava quasi le nove. Aveva fatto in tempo! Si era lisciata il lungo vestito
nuovo.
“Sarà una sorpresa che lui non dimenticherà mai!” ripeteva una vocina dentro di lei.
Corse svelta sui tacchi vertiginosi cercandolo tra la folla quando, ad un tratto,…
– Ehi! Siamo vivi! Puoi aprire gli occhi.
In un attimo il suo passato svanì per lasciar posto ad uno sconcertante presente. Erano
in una stanza. Un ragazzo moro, a pochi passi da lei, la osservava divertito.
– Benvenuta nella mia squadra. Mi chiamo Massimo ma gli amici mi chiamano Max –
aggiunse porgendole la mano.
– Non credo di aver capito bene…di che squadra stai parlando?
Delle urla concitate dal corridoio la distrassero dalle sue congetture costringendola a
voltarsi. Il gruppo, evidentemente non trovandoli, aveva cercato altrove scovando le due
ragazze in bikini nella sauna.
– Che sta succedendo? Questa è la voce di Ylaria! – gridò gettandosi in avanti. Doveva
accorrere in aiuto della sua amica.
Cercò una porta ma davanti a sé c’era solo uno strano mobile stretto ed alto che toccava
quasi il soffitto. Iniziò a tastare convulsamente ogni parete alla ricerca di un pomello.
Max ora si era fatto molto serio.
– Non sai nulla? – domandò attonito.
– Sapere cosa? – replicò isterica. Tutto quel mistero iniziava ad innervosirla.
Lui si avvicinò. – Questo non ti dice niente? – chiese brusco, afferrandole la mano e
tracciandole nel palmo due lettere che lei però non riconobbe. Di fronte alla sua
ennesima incertezza Max finalmente sembrò convincersi della sua sincerità.
– Oh, no! – esclamò contrito – mi è toccata una novellina. Quest’anno perderemo di
sicuro – concluse coprendosi gli occhi con disperazione.
Poco lontano, tra strilla di gioia e cori goliardici, iniziò ad echeggiare il suo nome.
Max si rianimò all’istante. Batté le mani ordinando: – Seguimi. Dobbiamo raggiungere gli
altri senza fargli capire che eravamo qui.
Dicendolo sollevò il tappeto, aprì una botola e si tuffò in una sorta di scivolo.
Katia si diede un vigoroso pizzicotto e, preso atto che quello non era un sogno, si lasciò
cadere nel buio.
Quando riaprì gli occhi era su una pila di cuscini e Max la stava strattonando.
– Muoviti o ci scopriranno! – ripeteva febbrilmente.
Lo seguì oltre una strana porta orizzontale che dava su una stanza molto più in basso.
Max si sedette sul bordo dell’uscita prima di gettarsi oltre e lei fece altrettanto. Fu solo
quando si rimise in piedi che, con stupore, focalizzò dove fossero: erano arrivati in
salone ed erano appena scesi dal quadro che troneggiava in mezzo alla parete principale!
Max richiuse la cornice pochi attimi prima che la stanza si riempisse di gente.
– Finalmente siete arrivati. Ma dov’eravate? – si informò curiosa la biondissima ragazzina
avanzando dritta verso di loro.
– In giro – replicò vago lui.
– Allora siamo tutti pronti per iniziare.
– Presentazione squadre!! – gridò una ragazza battendo le mai. Al suo segnale le altre
persone si separarono prontamente in due gruppi.
Ylaria e la loro guida si posizionarono in quella di sinistra accanto ad un ragazzo biondo.
Katia guardò l’amica ma stranamente i ricci dorati, portati sempre all’indietro, ora le
coprivano il viso come una fitta tenda ondulata. Un dubbio fece breccia nella sua mente.
– Tu sei dei nostri – le annunciò secco Max che, dopo averla condotta nello
schieramento di destra, composto da due ragazzi, avanzò prontamente di un passo. Di
fronte a lui troneggiava il capo dell’altra squadra. O meglio la “Capa”: era una ragazzina
dai tratti quasi orientali con lunghi capelli corvini annodati in due rigide, lucentissime
trecce.
– Benvenuti alla seconda edizione del ” Love Game”– esordì la piccola Mulan a gran
voce, guardandoli tutti.
– Io sono Marta. Lui, come già sapete è Massimo, il proprietario di questa casa. Noi due,
insieme, dirigeremo la competizione controllando che tutti seguano al meglio le regole.
Dal nulla apparve un libro rilegato in cuoio rosso avvolto da un nastro.
– Questa è la sceneggiatura di quest’anno. Si tratta di un canovaccio ambientato in uno
chalet. I protagonisti sono otto amici.
– Esattamente quanti noi! – squittì la dolce biondina saltellando sul posto.
La lunga chioma bionda ondeggiò in faccia a Marta che, infastidita, si portò al centro
della sala.
– Già. Il gioco è semplice. Ognuno di voi dovrà estrarre da un’urna uno pseudonimo.
Solo alcuni pseudonimi corrispondono ai “Ranger Love“ del racconto.
– Ranger Love? Che vuol dire? – chiese Katia prima di riuscire a trattenersi. Tutta quella
storia iniziava a sembrarle una follia.
Max la guardò come si scruta un bambino un po’ lento.
– Come saprai i veri Ranger sono i cavallerizzi che, lazo alla mano, guidano le mandrie al
pascolo. In questo gioco i nostri Ranger avranno un compito analogo: dovranno
condurre delle persone sulla giusta via facendo in modo che seguano un percorso che
altri hanno tracciato. Capita spesso che ciò significhi combinare “incontri d’amore” da
qui la dicitura di “Ranger Love”.
– Spiegati meglio Max – lo incitò Marta vedendo lo stupore su molte facce.
– Con piacere – disse questi afferrando il prezioso scritto e alzandolo in alto cosicché
tutti potessero vederlo.
– Se tutti noi interpretassimo la trama del libro allora non ci sarebbe altro che una mera
recitazione, come un film in cui tutti hanno una parte predefinita. Ognuno saprebbe già
tutto ciò che sta per succedere, scena per scena.
Si fermò. I presenti annuirono rumorosamente.
– Se invece solo alcuni hanno una parte il loro compito sarà più difficile perché
dovranno fare in modo che compagni ignari si comportino in un determinato modo.
Dovranno sforzarsi cioè di far accadere le scene descritte.
Marta alzò la voce dicendo: – In conclusione i Ranger Love sono i soli personaggi
destinati a recitare. Possono essere due, tre, o anche quattro. Il loro numero dipende
dalla complessità del racconto e verrà reso noto solo alla fine del Love Game.
Katia sentì un brivido lungo la schiena. Gente a lei sconosciuta l’avrebbe ingannata
ripetutamente per uno stupido gioco!
– Non penso di esserne capace. Forse non è stata una buona idea quella di venire qui.
Sarà meglio che vada – disse voltandosi di scatto e cercando di raggiungere la porta.
Marta le si parò davanti bloccandole la strada. Aveva uno sguardo truce.
– Povera bambolina. Fammi indovinare: sei stata delusa dall’amore ed hai paura di
rimetterti in gioco? – domandò sprezzante.
Il cuore di Katia saltò un battito.
– Hai fatto bene a tirarti subito indietro perché sai – continuò tagliente, – ci vuole
coraggio nella vita per vivere le avventure più belle. Se tu non vuoi rischiare nulla non
meriti nulla – concluse guardandola come si può guardare un insetto in un
appartamento.
Katia la fissò. Era quasi sicura che la piccola Mulan la stesse sfidando.
– Che cosa dovrei vivere? Una farsa? No, grazie.
La superò con un balzo e mise la mano sulla porta.
– Questa è una farsa, hai ragione, ma la vita stessa non è forse un teatro in cui tutti
recitiamo una parte? Tu non fingi forse di essere calma e misurata mentre una rabbia ti
divora? – gridò il ragazzo biondo salendo su una sedia con fare teatrale.
Era finita in mezzo a dei pazzi. La mano si chiuse rapida sulla maniglia dorata.
Una voce limpida sovrastò il chiacchierio giungendole dritta al cuore.
– In questi giorni vivrai più che in tutta la tua vita ogni possibile sentimento umano:
compassione, odio, tradimento, amore. Pensaci: tu non saprai fino alla fine chi starà
recitando con te, chi vorrà essere realmente tuo amico o chi sarà semplicemente se
stesso quindi dovrai rischiare il tutto per tutto per capire i tuoi compagni. Dovrai
conoscerli.
Max l’aveva raggiunta con poche decise falcate. Ora, con il viso a pochi centimetri da lei,
la scrutava dal suo metro e novanta, senza staccarle gli occhi di dosso.
– Quello che voglio dire è che, anche se ci saranno azioni dettate dal gioco, parole che tu
riterrai false, ciò che proverai sarà autentico – dichiarò posandosi una mano sul cuore.
Ylaria corse da lei con gli occhi visibilmente lucidi.
– Pensa che questa sia una splendida occasione per divertirti un po’. Qui nessuno di noi
è un attore professionista. Siamo persone normali con una vita normalissima alle spalle.
Ci è stata data un’occasione per spezzare la nostra quotidianità con una parentesi di
follia. Per una settimana potremo vestire i panni di un altro, crearci un diverso passato.
E’ un’esperienza unica, elettrizzante. Ed, in fondo,… cos’hai da perdere?
Già. Cosa? La dignità!?
Quella l’aveva già persa tempo prima.
– So che non mi conosci molto bene – disse Ylaria facendole un occhiolino veloce – ma
dammi fiducia. Credo fermamente che questa esperienza ti gioverà.
Katia si guardò intorno. In fondo, lì, nessuno la conosceva.
L’amica le prese le mani chiedendole: – Ti va di provare?
Lei la guardò negli occhi mentre la stretta si faceva più forte.
Nella stanza il silenzio ricopriva del suo pesante velo ogni rumore.
Katia abbracciò con lo sguardo quella gente che la scrutava incuriosita. In fondo era solo
per una settimana… e se qualcosa fosse andato storto poteva sempre infilare la porta e
andarsene.
– Mi hai convinto ma sappi che mi devi un favore!
Ylaria l’abbracciò con forza mentre il giubilio si diffondeva nel gruppo.
Un ragazzo dai capelli biondissimi (lo stesso che poco prima era salito sulla sedia)
avanzò con in mano un vaso rosso. – Estrai il tuo pseudonimo e da oggi sarai un’altra
persona – esclamò con voce altisonante.
Katia infilò la mano ed afferrò un foglietto accuratamente piegato.
– Vuoi che lo legga io? – si propose Ylaria togliendoglielo velocemente di mano. Sembrò
ripensarci perché un attimo dopo glie lo restituì dicendo: – No, devi farlo tu.
– Allora come ti chiamerai? – chiese l’amica, sbirciando curiosa oltre le sue spalle.
– Karen. Lo ripeté piano nella sua mente. Le piaceva.
– E’ carino! Fa molto soap-opera. Speriamo di averne uno altrettanto bello! – mormorò
tuffando la mano nell’urna.
– Io sarò Jessika! – mugugnò poi, con meno allegria.
– Ed io sarò Ariel – squittì il folletto biondo saltellando sul posto.
Marta, in un silenzio ultraterreno, annunciò: io sarò Sofia.
Quasi contemporaneamente un vaso blu retto da una divertitissima Ylaria circolò tra i
ragazzi. L’esile biondino fu presto ribattezzato Michael.
Katia fece mente locale dei componenti della sua squadra; alla sua destra, l’uomo
taciturno era diventato Tom; alla sua sinistra, il buffo ragazzino dai capelli a spazzola e il
piercing al naso sarebbe stato Jak.
L’ultimo ad estrarre il nome fu Massimo.
– Io sarò Max – annunciò divertito dalla casualità del destino.
– Ma non è possibile! E’ già il tuo nome!
– Cosa prevede il regolamento in questi casi? – chiese Ariel guardandosi intorno in cerca
di una soluzione. Marta la fulminò con un’occhiataccia, ignorandola
– Salite tutti nelle vostre stanze. Il pranzo è previsto per l’una nel salottino. E ricordate:
da quando scenderete non sarete più voi!
Non sapeva bene perché ma quell’avvertimento le risuonò sinistro.
*******
Ylaria sedette a gambe aperte sul tappeto.
“Devo fare presto oppure mi scoprirà” si incitò aprendo il computer portatile davanti a
sé. Aprì la posta scorrendo tutte le missive con ansia crescente. Niente. Si accasciò al
suolo. Un plin meccanico le risuonò nelle orecchie.
– E vai!! – urlò a mezza voce, trovando quello che cercava.
Si guardò intorno quasi temendo che qualcuno si fosse materializzato dal nulla accanto a
lei per rimproverarla della sua sconsideratezza.
Iniziò a digitare freneticamente. Le mani veleggiavano sicure su quel mare di lettere note.
Pochi minuti dopo aveva finito. Rilesse il suo messaggio con il cuore pulsante.
Lo stava facendo davvero?
D’altronde non poteva più tirarsi indietro. Era tardi ormai.
– Oddio se Katia lo sapesse … – mormorò in un attimo di incertezza.
Il dito si avvicinò lentamente al tasto invio.
Sentiva il battito crescere come un tamburo che si diffonda echeggiando nella foresta.
Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum. La stanza era piena di quell’assordante, ritmico ritornello.
– Lo faccio per te amica mia – disse premendo con foga.
Sullo schermo comparve la figura di una letterina che volava.
E’ fatta, pensò sospirando. La parte più facile era andata.
– Ed ora… inizia il difficile! – gridò afferrando un paio di forbici.
*******
Uno squillo spezzò l’aria. Ariel prese il proprio cellulare con ansia . Il cuore batteva a
mille mentre leggeva il breve sms. Un sorriso triste le illuminò il bel volto. Quello che
temeva era successo.
Due grosse lacrime rotolarono giù dalla guance rosee.
Il piano A era fallito. Non le rimaneva altro che seguire ora il piano B.
*******
Katia sentì un rintocco lontano. Da qualche parte nella casa doveva esserci una pendola.
Chiuse gli occhi cercando di dormire ma sapeva già che non ci sarebbe mai riuscita
L’adrenalina scorreva a fiumi nelle sue vene. Socchiuse piano le palpebre per accertarsi
che non stesse già nelle braccia di Morfeo. Forse era stato tutto un sogno.
Avvolte da una sonnolenta nebbia apparvero tutte le sue cose così come le aveva
lasciate.
Al centro della stanza, nella sua piena magnificenza, giaceva la sua nuovissima valigia. In
uno slancio di diligenza l’aveva aperta per sistemare tutto nell’ armadio ma il buon senso
se n’era andato subito, rapido come una folata di vento tra i rami, lasciando tutti i suoi
vestiti in bella vista.
Oltre la montagna di cose, accanto alla porta, risplendevano lucidissime le otto paia di
scarpe che aveva reputato necessario portare con sé.
Sorrise al pensiero di Ylaria che, aprendo il bagagliaio, aveva strabuzzato gli occhi.
Cosa poteva capirne l’amica? A lei non interessava un accidente di cosa metteva addosso
ma le scarpe erano l’unica cosa a farla sentire veramente a posto.
Accarezzò con lo sguardo gli stivaletti di camoscio, si beò dei riflessi argentati del suo
ultimo acquisto.
E poi quel tocco di rosso è davvero unico, rifletté in estasi.
Un momento. Ma lei non aveva comprato nulla con i risvolti rossi.
Con un balzo scese dal letto. Quello che da lontano aveva preso per un pezzo di scarpa
era in realtà una busta rossa che qualcuno aveva fatto passare sotto la porta. Questa,
incontrando il fermo ostacolo delle sue scarpe, si era inerpicato a metà sulle stesse.
Nessun mittente. Sul davanti, a grandi lettere, era scritto ”Per Karen”
Strappò in un lampo la carta e prese il foglietto accuratamente ripiegato.
Una scrittura minuta e fitta riempiva le due facciate senza lasciare un angolino vuoto.
Iniziò a leggere. Come aveva previsto (su queste cose non si sbagliava mai) a lei era
toccato il ruolo di Ranger Love. Il suo personaggio era quello di una giovane liceale
uscita fresca fresca dagli esami di stato. Si era presa un anno di riflessione. La sua
passione erano l’ arte, i concerti e il cibo cinese.
Fin qui sembrava facile.
– Adora alla follia il karaoke. Canticchia sempre e dovunque – ripeté ad alta voce.
E qui le cose iniziavano già a complicarsi. Lei era stonata come una campana.
Continuò a divorare notizie. C’era un elenco dettagliato dei suoi presunti precedenti
amori, flirt, delusioni.
– La mia prima volta è stata… Noo! Ad un concerto! Ma chi le ha scritte queste cazzate!
– urlò coprendosi gli occhi.
Allora sarà un miracolo se non mi abbiano arrestata per atti osceni in luogo pubblico!, pensò
ridacchiando.
Detto e fatto. Karen aveva collezionato due arresti.
Mandò a memoria il resto della storia: aveva una sorella minore, un padre divorziato
molto affettuoso con lei. Della madre, scappata anni prima con un atleta, non amava
parlare. Fumava ma in questa settima aveva il fermo proposito di smettere.
Karen si accasciò sul letto. Ora era certa che non ce l’avrebbe mai fatta: lei odiava il
fumo. Si sarebbero accorti tutti che stava mentendo al suo primo tiro. Soffocare e
sputare non era proprio tipico dei fumatori accaniti.
Arrivò con ansia alle ultime righe. In una grafia più spessa ed elegante era scritto:
“Karen, entro i primi tre giorni, deve:
1) Sedere a tavola di fianco a Tom e rivolgergli molte attenzioni. Con una scusa farsi imboccare da lui.
Fargli credere di essere cotta di lui.
2) Simulare nel corso della giornata una crisi davanti ad una delle ragazze.
3) Improvvisare una danza per Jak.
Segna con una croce tutti i compiti che riesci ad adempiere.”
“Sono una sgualdrina!” urlò la sua mente, ribellandosi alle sue stesse parole.
Sventolò la carta davanti a sé con una crescente tristezza. Non era umanamente possibile
che in un giorno si trasformasse in una mangiatrice di uomini. Proprio lei! In una vita
aveva amato un solo uomo!
Il pensiero di Andrea la investì con forza. Lui che ogni mattina le portava la colazione.
Lui che cucinava il suo solito uovo aromatizzandolo con il pepe rosa.
Il cuore le si era già fermato quando un post scritto in fondo alla pagina lo riaccelerò
bruscamente.
“ Ps. Il premio di quest’anno è una vacanza per due tutto spesato in America. Vincerà il premio
l’attore/attrice capace, con più naturalezza possibile, di adempiere al maggior numero di missioni senza
compromettere la sua copertura.”
L’America! Un fulmine non l’avrebbe scossa tanto.
Il premio corrispondeva esattamente al suo più grande sogno.
Aggrottò la mente riflettendo sulla notizia. Quante possibilità c’erano che fosse tutto una
coincidenza!? Si era davvero ritrovata ”per caso” nel luogo giusto al momento giusto?
No. Non lei. Non aveva mai vinto neppure i pesciolini alle giostre, non avrebbe mai
avuto una tale fortuna, neppure in due vite. Un’improvvisa luce sfolgorò nel buio dei
suoi pensieri: Ylaria doveva sapere tutto! Era stata lei!
Ecco perché l’amica l’aveva portata in quel tranello! Per realizzare il piano Alfa!
Il piano Alfa (A stava per America), come lo chiamavano da bambine era di una
semplicità innaturale: andare in America e fare tutte le follie mai compiute a casa per via
dei genitori, della società, della morale (e lei sospettava anche della decenza).
In undici anni la lista si era fatta piuttosto lunga.
Poiché non potevano realizzare milleduecento desideri (elencati minuziosamente giorno
per giorno) alla fine avevano trovato un ragionevolissimo compromesso.
La lista aggiornata e approvata prevedeva:
– baciare uno sconosciuto sull’empire street building
– fare colazione da Tiffany, come voleva lei (adorava l’omonimo film)
– volare a La Svegas (il sogno di Ylaria) per sbancare a black Jak
– farsi un tatuaggio uguale sulle spalle.
– i capelli viola o un piercing all’ombelico
– colazione con champagne e frutta esotica in un mega albergo.
– fare finta di essere una coppia lesbica a passeggio per le vie di Manhattan
– fare bungee jumping da un ponte
– una foto a seno scoperto sulla statua della libertà
– tuffarsi in una vasca idromassaggio stracolma di latte
Sorrise. L’amica aveva fatto carte false per portarla in quello chalet al solo scopo di avere
una chance in più di realizzare il loro sogno.
– Non posso tirarmi indietro – annunciò a sé stessa. Un brontolio dello stomaco le
ricordò che era quasi arrivata l’ora del pranzo. L’orologio le confermò che mancavano
dieci minuti all’una.
– Forza! – gridò mettendosi in moto.
Frugò tra i suoi vestiti per sceglier le mise più adatta. Alla fine optò per un jeans pieno di
strass con sopra una semplice camicetta bianca e sotto due elegantissime scarpe nere con
il tacco a spillo. Si applicò velocemente mascara, fondo tinta e un lucidalabbra perlato e
poi corse a guardarsi. L’immagine che lo specchio le rimandò era davvero notevole. I
due occhi verde smeraldo scintillavano sul viso candido incorniciato dai lunghi capelli
ramati. Due lucidissime labbra a cuore completavano l’immagine della “femme fatale”.
Appariva curata ma non esageratamente ricercata. Il cuore le si gonfiò d’orgoglio. Aveva
dimenticato ormai cosa si provava a “mettersi in tiro” per cacciare, la frenesia dei
ritocchi, il desiderio di voler a tutti i costi piacere. Era una sensazione gradevole.
– Tom, preparati – mormorò imbracciando la sua borsetta – perché farò di tutto per
andare in America!
*******
Quando arrivò nella sala da pranzo uno scenario imprevisto le mozzò il respiro.
Il salotto era stato completamente trasformato rispetto a poche ore prima. Ovunque
erano state disposte piante alte quanto lei; dai lampadari pendevano enormi liane; a terra,
vicini tra loro, erano stati srotolati lunghi tappeti color foglia, dalle vetrinette e dalla
consolle centrale ricadevano, quasi a formare una tendina naturale, fitte matasse di edera.
Tutta la restante mobilia; tavolini, sedie, pouf, era stata completamente rivestita di un
setoso manto smeraldino. Su ogni sporgenza, volutamente sparpagliate affioravano
piccoli cespugli di rose selvatiche. Infine campanelle, non ti scordar di me, rose,
giunchiglie, viole, sbucavano da ogni angolo, saldamente incastrate da invisibili lacci.
Regnava una quiete innaturale spezzata ogni tanto da un dolce cinguettio di sottofondo.
Katia era quasi certa che, se avesse guardato meglio, avrebbe potuto scorgere un
uccellino librarsi in volo. Si stropicciò gli occhi con entrambe le mani. Lì, davanti a lei,
era stato ricreato un vero e proprio spaccato di bosco!
– Sono stati davvero bravi, eh? I fiori sono tutti finti, ho controllato. E il cinguettio
proviene da un registratore.
Si voltò. Un bel ragazzo dai tratti nordici le sorrise. I finissimi capelli biondi gli
scendevano morbidi sulle spalle. Gli occhi di ghiaccio erano curiosamente dolci.
– Piacere: sono Michael – si presentò con garbo, porgendole una mano affusolata.
Era il tipo che prima era salito sulla sedia e che lei, mentalmente, aveva ribattezzato
come “il poeta”.
– Io sono Karen.
Fra loro apparve una figura massiccia.
– Io sono Tom. Scusate se non mi fermo ma ho davvero fame – annunciò brusco il
nuovo arrivato che, senza rallentare il passo, li aggirò fiondandosi direttamente a tavola.
Mentre li superava Katia si soffermò a guardare la sua vittima.
Tom era un uomo di poco più alto di lei. Aveva un fisico robusto, spalle appena
pronunciate e capelli nerissimi con l’attaccatura un po’ alta sulla fronte. Niente di ché, si
disse, eppure c’era un’irrequietezza nel suo sguardo che lo toglieva dalla cesta della
banalità per ammantarlo di un sinistro, cupo fascino.
– Hai avuto una visione? Ti conviene chiudere la bocca! – sentì poco prima che una
mano le sollevasse affettuosamente il mento.
Non riuscì a fermare il calore che le divampò sul viso. Guardò con occhi inceneritori il
proprietario di quell’arto e la bocca, serratissima, le si spalancò di botto.
Ylaria le era davanti. Ma non sembrava più lei. I suoi bellissimi, lunghi ricci dorati si
erano mutati in corte ciocche scure che mani esperte avevano accuratamente ingellate a
formare elaborati intrecci da cui sbocciavano piccole perline d’avorio.
– Allora il mio vestito ti ha colpito? – disse lisciandosi con finta noncuranza la gamba.
E finalmente lo vide.
L’amica era fasciata in un lungo, elegantissimo abito color crema impreziosito da
sfavillanti ricami dorati sul décolleté. Al braccio sfoggiava orgogliosamente una deliziosa,
minuscola borsetta a forma di fiore ricoperta di perline dorate. Conoscendo la compagna
(e la sua straordinaria bravura con ago e filo) sospettava che quella dovesse essere la sua
ultima creazione.
– Uau!! Ma sei bellissima! – esclamò estasiata.
– Non avevo capito che il pranzo fosse un’occasione così formale – mormorò poi
guardando con tristezza i suoi vestiti. Il suo bellissimo jeans ora le sembrava davvero
fuori luogo.
– Ma cosa hai fatto ai capelli? I tuoi adorabili riccioli! – iniziò allungando una mano per
toccare quell’assurda, fantastica capigliatura.
– Mi ero stancata di quell’insulso colore. Non trovi che il cioccolato mielato sia
tremendamente più chic! – squittì l’altra, allontanandole il polso con gesto sgarbato.
Katia trasalì. La sua amica non era mai stata chic. Era testarda, anticonformista,
selvaggia.
– Mi dispiace ma non posso trattenermi oltre chèri. Ho gente con cui parlare. Se avessi
bisogno di qualche consiglio… – e qui gettò uno sguardo di commiserazione ai suoi
capelli crespi – non esitare a venire da me – concluse con un sorriso odiosamente
melenso veleggiando verso un gruppo di persone poco più in là.
Katia rimase come paralizzata. Non riusciva a crederci! Cosa avevano fatto alla sua dolce
amica?
– Ma chi diavolo crede di essere? – ruggì ad un tono decisamente più alto di quanto
avesse desiderato.
– Chi? Quella stangona con la puzza sotto al naso? E’, o dice di essere, l’unica figlia di un
magnate della finanza. Non trovi che sia assolutamente insopportabile?
Dal nulla si era materializzata Ariel. Giusto per non dare troppo nell’occhio la biondina
si era fasciata in una lunga salopette rosa che aveva deciso di coordinare con un
maglioncino multicolore dal collo esageratamente alto.
Almeno lei non sarebbe stata la meno elegante del gruppo.
– Tu sei Ariel? – disse leggendo il nome sulla sua collanina.
– Già. Non è orrendo? Jessika mi ha detto che l’unica persona che lei conosce con
questo nome è la sirenetta. Hai presente: quella del cartone Disney? – mormorò afflitta.
– Beh,… non mi sembra affatto un’offesa.
– Già – annuì l’altra con forza – non lo sarebbe stata se non avesse aggiunto che io ero
più una sirena al contrario, con gambe umane e faccia da pesce. E’ veramente odiosa! E
lo sai cosa penso? – aggiunse avvicinando di colpo il volto ad un centimetro dal suo.
Katia notò come, da così vicino, quei grandi occhioni sbarrati ricordassero un po’ le
creature marine.
– Io non penso che stia fingendo – bisbigliò in un soffio.
– Sai come sarebbe scontato un personaggio del genere? – aggiunse fissandola.
– Una caricatura borghese della mondanità. No, non credo proprio. Secondo me quella lì
è semplicemente se stessa – e dicendolo annuì gravemente.
Katia trasformò in tosse la risata che le era salita alle labbra. Si rimproverò mentalmente
della propria profonda, abissale stupidità.
Come aveva potuto cascarci? Ylaria era una grande.
– Posso chiederti un immenso favore? – domandò la sirenetta, spiazzandola.
Odiava quel genere di proposte. Serviva solo a legittimare perfetti sconosciuti a metterti
in situazioni imbarazzanti senza poter replicare niente per fermarli.
– Dimmi. Se posso aiutarti, volentieri – replicò cauta.
– Se ti importuna ancora vieni da me. Insieme elaboreremo una piccola vendetta. Io
odio la gente snob e priva di scrupoli!
Non riusciva a crederci. Non era neanche entrata in gioco e aveva già quasi stretto
un’alleanza. Era forte!
– Ma certo. Contaci.
Ariel l’abbracciò con vigore prima di scappare a tavola. Solo allora si avvide che, mentre
lei si era attardata a conversare, tutti si erano accomodati già ai propri posti.
Accanto a Tom si era seduta Marta, alias Sofia, alias la Regina-delle-nevi.
– Stiamo cominciando. Vuoi sederti o no? – l’apostrofò tagliente.
L’unico posto libero era quello accanto a lei. L’idea non l’entusiasmava ma almeno alla
sua destra c’erano Max e la sua nuova amica e, con questo lieto pensiero, si accomodò.
Nello stesso istante Michael, seduto di fronte a lei, si tirò su di scatto.
– Prima di cominciar vorrei spendere due parole di ringraziamento per gli autori di
questo prodigio.
Grida di gioia seguirono il suo gesto. Lui aspettò che il suo pubblico tornasse muto.
Nei suoi modi traspariva la familiarità delle scene.
– Mai avevo visto una foresta in una casa. Tutto ciò – mormorò aprendo le braccia per
indicare la stanza – è straordinario!! Qui tutto sembra magico e se ci sentiremo dei
novelli tarzan lo dovremo solo a voi – dichiarò euforico, facendo un piccolo inchino in
direzione di Marta e Max.
– Perciò vi meritate di tutto cuore un applauso – asserì con enfasi, battendo forte le
mani. Tutti lo imitarono. Tutti tranne Tom che, ignaro delle buone maniere, aveva
ripreso a mangiare.
Michael aveva ragione: da vicino la tavola appariva ancora più magica che da lontano.
Sulla tovaglia, interamente stampata con scene foresti, erano state poste pietanze stese su
lunghi vassoi a forma di foglia. Piccoli fiori di ceramica si alternavano a composizioni di
giacinti. Persino gli stretti bicchieri, di uno splendente verde smeraldo, erano stati
impreziositi con vere foglie attaccate sopra. Il gruppo mandò un unico, crescente grido
di stupore quando Max usò le piccole creazioni di ceramica come saliere.
– E non è tutto – esclamò questi afferrando un piccolo bonsai. Nelle sue mani da un
ramo cavo iniziò a sgorgare un liquido dorato.
– E’ un’oliera? – domandò Ariel con occhi quasi alieni.
– Sì. Se guardi attentamente noterai la riga che segna l’apertura del contenitore. Quello
che tu hai preso per un ramo non è altro che un beccuccio ben camuffato.
Nel mostrarglielo le loro mani si sfiorarono e la piccola sirenetta lo fissò intensamente.
– E’ davvero… magnifico! – sussurrò guardando ben oltre lo strano oggetto.
Katia per poco non si affogò con il vino. La sua prima alleata stava facendo gli occhi
dolci ad un uomo! E da come le riusciva naturale sembrava che non avesse mai fatto
nient’altro.
Questo le ricordò il suo compito. Accanto a lei Marta stava discutendo animatamente
con Tom. Lui, notò con disappunto, l’ascoltava rapito senza quasi fiatare.
Max le riempì il bicchiere.
– Un brindisi a questo banchetto! – esclamò tintinnando il proprio calice contro il suo.
In quel momento Katia aveva poche certezze ma, una di queste, era che, da sobria, non
ce l’avrebbe mai fatta. Bevve tutto d’un fiato.
– Bravaaaa!! – gridarono in coro Ariel, Michael e Max.
Al terzo bicchiere si sentiva già più forte. Al quarto, sentendo la ola dei suoi amici,
un’incredibile euforia la pervase tutta.
Con rinnovato coraggio picchiettò sulla spalla di Marta. Doveva solo ingraziarsela e
chiederle di cambiare di posto. Poteva farcela.
A quel tocco Miss-Simpatia si voltò bruscamente, lanciandole uno sguardo incendiario
prima di aggredirla con un aspro: – Che diamine vuoi?
Se stava fingendo di odiarla ci riusciva davvero alla grande.
– Volevo solo offrirti un drink – mormorò timidamente, inclinando la bottiglia verso il
suo bicchiere.
Marta non parve gradire il gesto perché si portò il calice più vicino al petto, quasi a
volerlo proteggere da un assalto nemico.
– E poi mi lascerai in pace? – sillabò sporgendo di un millimetro il contenitore verso di
lei.
Quella doveva essere il suo più enorme sacrificio per venirle incontro.
“Stronza” pensò Katia sforzandosi di non ringhiarle contro. Si sporse verso di lei… e
quello che successe dopo fu alquanto confuso.
L’ultima cosa che vide chiaramente fu il liquido rosso mancare il bersaglio ed investire in
pieno la sua vicina. L’attimo dopo sentì un schiocco fortissimo e poi il buio.
Quando riaprì gli occhi era a terra. La testa le pulsava a mille e sentiva che il suo stomaco
era completamente in subbuglio. Qualcuno l’aiutò a rialzarsi.
– L’hai schiaffeggiata! Ma come ti sei permessa! – stava gridando Ariel.
Ora erano tutti in piedi.
– L’ha fatto apposta! Stupida ubriacona! Vi dico che era tutto premeditato!
La nebbia si dissolse e Katia vide Marta, livida di rabbia, che urlava a pieni polmoni. Era
quasi sicura che le sarebbe saltata addosso come una belva se due braccia non l’avessero
stretta saldamente.
– Stai esagerando. E’ solo uno stupido vestito. Và in camera e cambiati – ordinò una
voce profonda alle sue spalle spingendo malamente la donna verso l’uscita.
Il suo salvatore, incredibile a dirsi, era Tom.
Katia vide Ylaria seguire la schiaffeggiatrice folle con rapidi passi e sentì un magone
salirle alla gola. L’amica sembrava fuori di sé dalla rabbia e, anche se in passato, le aveva
spesso rimproverato di essere troppo impulsiva, mai come in quell’occasione, la sua
grinta vendicativa le era davvero di grande conforto.
– Sofia! Mia cara! – cinguettò invece, raggiungendola. Quando questa si voltò, Jessika,
sfiorandola con tocco gentile, mormorò: – Lascia che ti accompagni. In questa sala io
solo l’unica a poter capire il danno che quella zotica ti ha arrecato – e qui le lanciò uno
sguardo d’intesa.
Marta la squadrò senza tradire alcuna emozione.
– Oh, ma questo vestitino è un Armani! – esclamò portandosi le mani alla bocca in un
moto d’orrore.
– Mio Dio! Poverina! Comprendo appieno il tuo dolore. Andiamo subito a far qualcosa
per salvarlo – aggiunse poi in tono efficiente, porgendole un braccio.
A quella dimostrazione di vera amicizia Marta afferrò la mano con slancio e insieme le
due arpie marciarono fuori dalla stanza.
Katia si sentì mancare e fu solo grazie ad una fulminea presa di Tom che non ricadde.
– Sarà meglio che tu ti sieda – esclamò questi, facendola accomodare bruscamente
accanto a sé.
Senza volere era riuscita nel suo intento.
Rimase per tutto il pranzo così, imbambolata. Come poteva la sua amica riuscire ad
essere così? Le sembrava di aver conosciuto solo il dottor Jekyll e che ora Mr. Hyde
avesse preso definitivamente il suo posto.
– Devi mangiare qualcosa o starai peggio – borbottò Max, scuotendola lievemente.
La sua voce spezzò il trance in cui era caduta. Solo allora notò quanto il clima fosse
cambiato. Ariel, con le mani a coppa su un viso falsamente atterrito, imitava fedelmente
la faccia di Jessika. Di fronte a lei Michael e Jak erano piegati in due dalle risate. Max
completava l’idillio facendo finta ogni due minuti di rovesciarsi il bicchiere addosso.
Tutti stavano parlando dell’accaduto e ci ridevano sopra. L’unico a non aver detto una
parola era Tom. Da quando l’aveva fatta accomodare si era chiuso in un mutismo
parallelo al suo. Guardandolo meglio notò una cicatrice più chiara spiccare sul naso
aquilino. La mascella era molto pronunciata e le labbra erano una riga rigida e sottile.
Non si poteva dire bello eppure da tutto il suo essere trasudava mascolinità, solidità.
Quasi sentendo il suo sguardo Tom si voltò. Due occhi nerissimi la squadrarono
facendole accapponare la pelle. Quell’uomo non era per niente allegro e simpatico.
Sarebbe potuto benissimo essere un killer. E le sue occhiate erano inquietanti. Si ritrovò
a chiedersi se fosse davvero un tipo timido o stesse solo fingendo. Quel pensiero le
ricordò del perché era lì. Ylaria stava facendo l’impossibile (o almeno così sperava) per
entrare nella sua parte. Ora toccava a lei.
Il pranzo era quasi terminato e, se non si sbrigava a cogliere un’occasione, la sua
missione sarebbe fallita. Non poteva sperare in un altro colpo di fortuna. Si rivolse a lui
con la faccia più contrita che le riuscì, dicendogli piano: – Potresti passarmi un po’ di
pane?
La voce, a lungo trattenuta, uscì talmente fioca da sembrare quasi un sussurro. Un
sussurro che Tom non udì ma che a Max non sfuggì. Un attimo dopo una bella fetta
comparve nel suo piatto.
Maledizione. Ed ora?
La mano, già pronta a prendere il cibo, iniziò lievemente a tremare.
Doveva ricordarsi di non bere. Mai più. E poi, improvvisa, la folgorazione.
– Tom, mi aiuteresti? – lo pregò. Questa volta l’uomo, udendo perfettamente la sua
richiesta, si girò a fissarla. Un genuino stupore gli allargò le folte sopracciglia scurissime.
Soppesò con diffidenza prima lei, poi il suo piatto, quasi temendo un agguato dalle sue
posate.
Katia, costringendosi a non ridere, rispose al suo sguardo indagatore stendendo una
mano singhiozzante sul tavolo pieno di bicchieri ma non tanto vicino da toccarli.
– Ho paura di combinare altri guai – mormorò nel tono più sincero che poté.
– Sai, non mi sento troppo in me oggi, d’altronde se non mangio qualcosa svengo. Mi
faresti davvero un enorme piacere – aggiunse debolissimamente stringendosi nelle spalle.
Evidentemente il suo pallore aveva confermato le sue parole perché Tom annuì e,
staccato un boccone, glie lo porse.
Ce l’aveva fatta!
Si sporse per addentarlo ma un denso fumo le oscurò la visuale.
– Al fuoco! – gridò qualcuno.
Fu il panico.
Tutti correvano in quel labirinto di finti rami senza una meta precisa. Riusciva ad
intravedere braccia e gambe in movimento ma non capiva a chi appartenessero.
– Vai al quadro, presto! – sentì gridarsi in un orecchio.
Era più facile a dirsi che a farsi. Tutto era di un verde innaturale ed era difficile orientarsi
in quel mare di finti cespugli. Iniziò a barcollare nella spessa foschia quando qualcuno,
convinto di spegnere le fiamme, le rovesciò addosso un’intera secchiata d’acqua. Le sue
altissime scarpe non l’aiutarono molto nella fuga ed anzi una le volò via quando,
inciampando in qualcosa, forse una sedia, si slogò una caviglia.
Quella non doveva davvero essere la sua giornata fortunata. Fradicia, scalza e zoppicante
raggiunse a tastoni la parete con la grande cornice. Salì sul divano sottostante il dipinto e
cercò di entrare ma l’intelaiatura restava ferma al suo posto.
– Vuoi una mano? – domandò una voce nota toccando gli spessi bordi. Magicamente la
porta si aprì e Max la spinse dentro. La raggiunse nell’attimo stesso in cui, fuori, si
accendevano i dispositivi antincendio. Una pioggerella sottile si abbatté sulla foresta.
Anche se chiusi nel caldo tepore di quel piccolo antro i due ragazzi sentirono in
lontananza le grida di gioia degli altri.
*******
Ovunque, intorno a lei, c’erano morbidi cuscini che odoravano di bucato. Su uno
particolarmente grande spiccavano delle piccole roselline rosse ricamate con indiscutibile
maestria. Ogni venatura, ogni foglia, persino ogni piccola bocciolo sembrava vivo, quasi
sul punto di sbocciare tra le sue mani.
La mente volò indietro ad uno scenario simile eppure tanto diverso: il giorno più bello
della sua vita.
Lei che dormiva baciata dai raggi di un sole estivo. D’un tratto un refolo di vento si
insinuava tra le lenzuola, baciandole malizioso tutto il corpo. Simile ad una carezza
piumata, un brivido, partendo dalla schiena, fluiva dolcemente sui fianchi per perdersi
sulle lunghe gambe.
– Svegliati, pigrona! – le aveva sussurrato una voce morbida nelle sue orecchie.
Ma lei, per tutta risposta, si era avvolta di più nelle fresche lenzuola.
– Allora non avrai il regalo del tuo compleanno.
Ecco la parola magica. Si era tirata su di scatto. Aveva quasi scordato che quel giorno
compiva diciotto anni.
– Sei cattivo – aveva biascicato schiudendo due occhi sonnolenti.
Lo spettacolo che le si era presentato davanti l’aveva svegliata completamente. Tutta la
stanza era interamente sommersa di enormi, spettacolari, stupefacenti mazzi di rose
rosse.
– Andrea!! Ma sono tantissimi!! – aveva esclamato incredula.
– Non tantissimi. Sono solo diciotto mazzi di diciotto rose – aveva ribattuto lui
baciandola.
– E non è tutto – aveva esclamato scostandosi di lato così che, da quella nuova
angolazione, potesse scorgere una piccola fila di pacchetti terminante sul tavolo della
cucina.
Lei, novella Pollicino, si era avvolta stretta nel lenzuolo, prima di lanciarsi divertita sulla
luccicante scia di fiocchetti
– Diciotto regali – aveva mormorato incredula.
– Ma tu sei un pazzo! – aveva esultato abbracciandolo forte. Sapeva di buono.
Lui l’aveva tempestata di piccoli, schioccanti baci mentre una mano le toglieva, con un
unico strappo, quel candido manto.
– Ci sono diciotto dolci pronti per la tua colazione – aveva spiegato indicandole un
grande vassoio colmo sulla sua destra.
– Ma è ancora presto per mangiare – aveva aggiunto poi con voce roca, prendendola in
braccio.
– Oggi è il tuo giorno, Baby, e farò di tutto per rendertelo indimenticabile – aveva
dichiarato riportandola a letto.
Tutto poteva dire, ma su una cosa non si discuteva: Andrea era un uomo di parola.
Quando, ore dopo, si era acciambellata al suo fianco lui si era assopito di schianto. Lo
aveva guardato: era così maledettamente bello con i capelli nerissimi che gli cadevano
lunghi sulla fronte ampia. Gli aveva sfiorato con un bacio leggero le palpebre chiuse e
subito queste si erano aperte. Due occhi azzurro cielo l’avevano fissata amorevolmente.
– Io ti amo e ti amerò per sempre. Tu sei la mia vita. Credimi.
E lei, sciocca, c’aveva creduto.
Una lacrima ingioiellò le sue ciglia prima che riuscisse a ricacciarla. Tremò per la rabbia
di non aver capito, di essere stata così irrazionalmente stupida.
Una voce del presente ricacciò le ombre del passato in fondo al pozzo dei ricordi.
– Stai bene? – stava chiedendo Max, scrutandola con gran preoccupazione.
Lei annuì afferrandosi i gomiti per non sussultare. Il sorriso di gioia che rischiarò il volto
del compagno la disarmò completamente.
– Questa deve essere tua, Cenerentola – proclamò maestosamente porgendole la sua
preziosa scarpetta.
– Ma al momento il tuo primo pensiero è cambiarti quella camicetta o ti verrà una
polmonite – le ordinò, improvvisamente allarmato.
Voleva dirgli che non era necessario, che stava bene così ma lui, senza esitare, si era già
tolto agilmente il maglioncino e, cavallerescamente, glie lo stava porgendo.
Solo allora Katia si accorse di come il tessuto bianco, ormai fradicio, le si fosse
inguantato addosso rendendo ben visibile i pizzi del reggiseno e parte del décolleté.
Arrossì violentemente cercando di coprirsi con le mani.
– Devi asciugarti bene. Tra poco usciremo all’aperto e qui il freddo non perdona – la
informò lui, serissimo, di fronte alla sua ritrosia.
– Io mi volto, non ti preoccupare – aggiunse poi, consegnandole anche la sua camicia a
mo di asciugamano.
Era rimasto con una aderentissima maglietta termica. Katia trasalì nel costatare come
quegli spessi strati di panni nascondessero un fisico asciutto e ben proporzionato.
Lei invece era davvero fuori forma. Nel “periodo no” aveva preso un po’ di carne che,
ammorbidendole i fianchi ossuti, le avevano conferito più femminili rotondità. Troppe
forse.
– Non sbirciare. Potresti rimanere segnato a vita! – cercò di scherzare mentre si toglieva
la camicetta bagnatissima.
Oddio com’è imbarazzante, pensò mentre si frizionava delicatamente la pelle nuda con la
grande camicia. Dopo poco si accorse dell’inutilità del suo gesto. Dal reggiseno intriso
d’acqua sgorgavano, come da una fontanella, piccoli, innumerevoli, umidi rivoli d’acqua.
Non c’era altra scelta: doveva toglierlo.
Quando un secco tlac segnò lo sganciarsi dell’ultimo indumento nel silenzio della stanza
si sentì chiarissimo il rumore di un groppo che attanaglia la gola in uno spasmo
involontario. Con un morbido puf le piccole coppe toccarono il suolo. Rapidamente si
coprì il seno con un cuscino mentre con l’altra mano afferrava il maglione steso davanti
a lei. E in quell’istante, chinando gli occhi, vide una piccola palla pelosa muoversi vicino
ai suoi piedi.
– Un topooo! – strillò. Si voltò per scappare ma una collinetta piumata frenò
bruscamente la sua fuga proiettandola lunga in avanti.
Max la prese al volo. Il contatto di quel corpo forte e muscoloso sul suo fu devastante.
Un caldo intensissimo salì dallo stomaco fino ad incendiarle le guance. Sentì un brivido
di risposta percorrere il corpo di lui mentre il fiato le si faceva corto. Passarono degli
attimi interminabili.
– Devi stare più calma, Cenerentola, o ci faremo male – mormorò lui ridendo.
Tu-tum. Tu-tum. Sentiva il cuore galoppare a briglia sciolta.
Non poteva essere. Non poteva capitare a lei.
Un’intuizione la spiazzò: e se fosse una scena prevista dal Love Game?
Probabilmente lui stava recitando. Anzi: sicuramente era così.
E lei sarebbe stata all’altezza della parte! Bella e seducente come la rossissima Jessica
Rabbit. Il suo corpo però non volle saperne di staccarsi da quel contatto rassicurante per
passare all’attacco. Una vocina piccola piccola le ricordò alcune piccolissime differenze.
Per prima cosa, non era una cartone animato e secondo, insignificante particolare, si
sentiva parecchio più “rabbit” che Jessica.
– Vuoi che te lo infili così ti riscaldi un po’? – propose Max all’improvviso, stringendola
con intensità. I suoi occhi nocciola mandavano scintille dorate.
Oh Dio. Dio. Dio. Sono da sola con un maniaco sessuale!
Alzò lo sguardo e sussultò vedendo che il presunto maniaco, ignaro delle sue
fantasticherie, aveva allungato le mani oltre le sue spalle e, mentre lei lo fissava come un
coniglio spaventato, la stava avvolgendo dolcemente nel suo cardigan.
– Stai tremando come una foglia – costatò strofinandole delicatamente il tessuto sulla
pelle.
– Su, infilalo – ripeté dolcemente.
Lei obbedì in silenzio. Ma si può essere così stupide?, si domandò rivestendosi.
– Ti sei spaventata per niente – aggiunse lui calciando un cuscino. Con esso volarono in
aria lunghe frange adorne di piccole palle di pelo colorate.
– Mia sorella è sempre stata originale nel creare i bordi – dichiarò divertito.
Katia si sentì sprofondare.
Si, evidentemente posso diventare la regina della stupidità, si rispose afflitta.
Max, ignorandola, fece crollare una pila di cuscini posti ad un lato dell’affollatissima
stanzetta e dietro di essi, magicamente, comparve uno stretto corridoio. Lo seguì in
silenzio fino a che non sbucarono in una piccola saletta colma di attrezzi e con un lato
del tetto squarciato. La coperta di ragnatele che le si incastrò nei capelli le confermò che
era da un bel po’ che nessuno entrava in quel magazzino.
– Dobbiamo tornare allo chalet seguendo sempre il sentiero. Ci sono molti crepacci qui
– la ragguardì Max indicando un sottile argine che si affacciava nel vuoto.
Katia obbedì risalendo piano la ripida scarpata, seguita dal suo anfitrione. Il silenzio si
fece greve. Katia, imbarazzata, provò ad intavolare di nuovo la conversazione ma da
quando erano all’aria aperta Max sembrava diverso… quasi inquieto.
Probabilmente si vergogna di farsi vedere in giro con me pensò, ricacciando subito l’idea in fondo
alla sua mente. Stava diventando paranoica.
Quando furono a metà percorso, seppure ancora lontani, intravidero Tom in piedi
davanti alla casa. Si muoveva con andatura lenta nello spiazzale guardandosi intorno
come un cane che perlustra il territorio. Loro erano molto più in giù ma se si fosse
affacciato li avrebbe sicuramente scorti. Non appena Max intravide l’uomo si staccò
subito da Katia, come se fosse stato scottato da quel contatto.
– Io devo proprio andare. A dopo! – dichiarò agitato, defilandosi senza mai voltarsi.
Neppure un saluto, uno sguardo. Niente. Dopo quello che c’era quasi stato. Katia si
sentì stupidamente delusa. Era certa che Max non stesse recitando. Aveva avvertito della
tensione nella sua voce. E allora perché si era tirato indietro? Era davvero tanto brutta da
non meritare neppure una miserissima avance?
Con rabbia bruciò gli ultimi metri, catapultandosi furiosamente nello spiazzale erboso
della collina.Tom era dal lato opposto ma, scorgendola, non diede segni di gioia. Si voltò
e, senza accelerare la sua andatura, la raggiunse a piccoli passi evitando con cura quelle
che sembravano sottili lastre di luce bianca sul terreno scuro. I piccoli cumuli di
nevischio ai lati delle imposte, per la stradina e, soprattutto, sul pantalone di Tom, le
fecero capire il perché di tutta quella posata lentezza.
Nonostante fissasse sfrontatamente la chiazza umida sul suo fondoschiena Tom, con
stoica indifferenza, si limitò a dirle, in tono compassato: – Ah. Sei qui.
Il fatto che lei fosse sbucata all’aperto, lontano dalla casa e con il maglione di Max
addosso non sembrò stupirlo affatto.
– Come stanno gli altri? Cos’è successo? – lo interrogò non appena fu a portata di tiro.
L’uomo alzò le spalle infastidito, come se lei gli avesse chiesto un’assurdità.
– Stanno tutti bene. A quanto pare è stata Sofia a far scattare l’allarme antincendio. Una
piccola vendetta contro di te per averle rovinato il vestito – annunciò con distacco.
– Ma questo non è importante – continuò rianimandosi.
– Il nostro gruppo deve creare due costumi per domani sera. Max non si trova. Jak non
sa tenere un ago in mano ed io da solo non penso di farcela. La nostra ultima speranza
sei tu. Sei capace di cucire vero?
La voce, poco prima tanto calma, gli si era fatta improvvisamente un po’ stridula. Katia
sbarrò gli occhi. – Cucire? Perché?
– Perché mentre tu eri misteriosamente scomparsa abbiamo estratto le tre gare in cui le
squadre dovranno cimentarsi per vincere il premio – urlò una vocetta squillante.
Katia si stropicciò gli occhi. Tom sapeva fare il ventriloquo?
Ben nascosta dall’enorme figura apparve, più minuta e bionda che mai, Ariel.
– Ti stavo cercando – gridò afferrandole le mani e saltellando sul posto a ritmi frenetici.
– Abbiamo vinto la Iacuzzi!! – esclamò tra uno strattone e l’altro senza mai rallentare il
ritmo.
La sua faccia doveva sembrare davvero scioccata perché Tom, uscendo dal suo mutismo,
le venne in soccorso. – Quello che vuole dire è che la casa dispone di alcuni notevoli
confort – precisò. Spiegò le dita enunciandole. – Ci sono una sauna, una piscina, un
solarium, la vasca idromassaggio, un palestra, cose così. Per evitare che tutti si riversino
sulle stesse cose lo stesso giorno sono stati fatti dei turni con una specie di estrazione.
Oggi è toccato ad Ariel. Poiché la vasca è a due posti è previsto che, se lei vuole, possa
portare con sé un’altra persona. A quanto pare ha scelto te. Che fortuna! – disse alzando
gli occhi al cielo in un gesto di muta disperazione.
– Iacuzzi! Iacuzzi! – urlò irrequieta la piccola Barbie, spingendola dentro la casa.
– Quando avrai finito di rilassarti bussami così parleremo con calma dei costumi – la
ammonì Tom prima di lasciarla andare.
*******
Dalla terrazza di un piccolo pub Ylaria guardava l’immensa vallata ai suoi piedi.
Nonostante fosse solo l’inizio di ottobre un vento freddo soffiava dal nord e tutti gli
avventori avevano preferito il tepore del locale alla gelida vista mozzafiato. Lei era la sola
ad occupare un tavolino all’aperto. Il gelato si stava sciogliendo nell’elegante bicchiere
senza che riuscisse a ingoiarne un solo boccone. Lo stomaco era così stretto da farle
male.
– Sono in ritardo?.
Una donna in tailleur scuro avanzò tra le sedie. La sua eleganza stonava con la rusticità
del posto. I capelli scuri e lucentissimi, raccolti in un severo chignon, lasciavano scoperto
un viso delicato, appena intaccato da sottili rughe sulla fronte.
Ylaria fissò quei bei lineamenti. Sapeva che quella donna aveva quasi quarant’anni ma
sembrava poco più di una ragazzina ben truccata.
– No, vicedirettrice Madison, siete puntualissima.
– Bando alle formalità, finché siamo qui chiamami semplicemente Madison. E dammi
del tu. Questo posto è bellissimo, grazie per avermelo fatto conoscere – si complimentò
con fredda cortesia, accomodandosi con eleganza.
Ylaria sembrò perplessa ma, se il suo capo voleva così…
– Dovere. Madison ti andrebbe una sigaretta? – chiese, giusto per vedere come suonava.
– Non avevi smesso?
Ah, già. Perché se n’era scordata?
– A Londra. Ma qui ho ricominciato.
Un pacchetto nuovissimo apparve sul tavolo.
– Beh, allora ti tengo compagnia.
Le due donne si rilassarono attorniate da sottili fili di fumo lasciando che il tempo
scorresse.
La vicedirettrice Madison resistette cinque minuti prima di capitolare.
– C’è un motivo particolare per cui mi hai chiamato? Spero che tutto il progetto sia
partito senza intoppi – esclamò sfoderando un sorriso accattivante.
Ylaria sapeva di avere un ruolo importante ma solo ora, di fronte all’improvvisa dolcezza
della donna più odiosa che conoscesse, capì appieno quanto fosse preziosa. Senza di lei il
progetto sfumava. Si prese un attimo per il gusto di vederla friggere ancora un po’.
– Stamattina ho sentito Corinne – iniziò lentamente.
Ogni discorso che iniziava con “ho sentito Corinne” non era mai un buon principio e il
suo capo, intuendolo, annuì gravemente.
– Ha cambiato nuovamente idea su alcune cose, stravolgendole. Ed ogni giorno diventa
più isterica – si lamentò.
– Io ero sicura di riuscire a seguire al meglio questo progetto ma, ecco,… ora sono
nuovamente punto e accapo. Mancano solo sei giorni e non so se riesco a convincere gli
altri e contemporaneamente a lavorare. Sinceramente non sono più sicura che sia una
buona idea andare avanti.
Come prevedeva Maggy Madison saltò dalla sedia come se l’avessero punta.
– Ma tu devi farcela! Abbiamo riservato moltissimo spazio a questo nostro progetto! –
tuonò inclemente.
“Nostro” significava che a lei non sarebbe andato alcun merito.
– Sai quanto conto su questo lavoro ma sono troppo impegnata per occuparmene
personalmente – le ripeté.
Ylaria aveva notato la maestria con cui Madison stava sorvolando su un piccolissimo
dettaglio: Corinne Comet voleva solo lei.
– Non puoi dirmi semplicemente che non ce la fai. Non è professionale. Avevamo un
accordo. Devi rispettarlo!
– Lo so. Ma…
L’altra si sporse in avanti. Il vestito scurissimo contrastava con il pallore del viso.
– NON PUOI PIANTARMI IN ASSO COSI’! NON LO ACCETTO! – scandì
furiosamente.
I bei tratti si erano tirati a formare una maschera di pura rabbia. Ora faceva davvero
paura. – Sai che potrei anche rovinarti? Una mia parola nell’ambiente giusto e nessuno ti
assumerà più. Mai più – sibilò in una fedele imitazione di un serpente a sonagli.
Ylaria non la degnò di uno sguardo. Aveva lei le carte vincenti e, per quanto l’altra
sbraitasse, avrebbe chiuso quella mano con una scala reale.
Di fronte all’indifferenza delle sue minacce la donna cambiò repentinamente tattica.
– Ma non arriverò a tanto. Tu lo sai. Ho fiducia nelle tue doti.
La voce era calata improvvisamente diventando quasi un miagolio.
Prese qualcosa dalla borsa.
– Facciamo così – scandì pianissimo, sollevando un libretto per gli assegni – ogni buona
azione ha un suo prezzo. Si fermò.
– E tu stai dando prova di notevole pazienza lavorando per Corinne. Qual è il prezzo
per, diciamo, superare questo imprevisto?
Ylaria guardò un puntino lontano all’orizzonte immersa in pensieri profondi.
Era stato più facile del previsto. Ora doveva solo aggiustare il tiro per raggiungere il suo
scopo.
– Non sono i soldi che mi interessano.
– Ah no?. Questa volta il suo capo sembrava davvero sconvolto.
– I ragazzi hanno dovuto fare un lavoro in più. Dovevo motivarli in qualche modo –
iniziò prendendola volutamente un po’ alla lontana.
La Madison ora la fissava attentissima, con le labbra serrate sulla sigaretta.
– Loro avevano un desiderio. Ho fatto leva su quello.
– E i soldi non possono realizzare questo desiderio?
– Anche la nostra società potrebbe farlo. Si tratta di un soggiorno di un mese in
America. L’ideale sarebbe una specie di tour per le varie città: Washington, Manhattan,
New York e Las Vegas. Naturalmente tutti gli spostamenti saranno spesati e sia gli aerei
che gli alberghi dovranno essere di lusso.
– Ma sei pazza? – esplose l’altra, alzandosi così furiosamente da far cadere la sedia.
– Perché? Non sarebbe la prima volta che la nostra ditta fa queste cose – asserì Ylaria
ostentando una calma che era ben lungi dal possedere.
Ora si stava avventurando su un terreno minato composto di pettegolezzi e supposizioni
ma l’altra non doveva assolutamente accorgersene. Doveva bleffare.
Sfoderò la sua migliore faccia tosta.
– E tu, signorina, come lo sai? – proruppe il suo capo a denti stretti, asciugandosi
nervosamente la fronte con un tovagliolino.
– Lo so e basta – ribatté con voce trionfale. Allora aveva ragione!
– Comunque non si può fare un cosa del genere per otto persone. Te ne rendi conto?
Era arrivata dove voleva. Ora poteva abbassare la posta.
– Ne basterebbero due. Due soltanto – disse in tono conciliante.
– Ho promesso ai ragazzi che se avessero finito tutto per domani due di loro avrebbero
avuto questa occasione. Decideranno poi loro chi.
La vicedirettrice tirò un evidente sospiro di sollievo.
Aveva vinto??
– Va bene ma prima di rilasciare questo premio dovrò costatare di persona che il
progetto in più sia stato fatto a regola d’arte. Dovrà davvero entusiasmarmi.
– Vuoi venire a vedere di persona come sta procedendo? – esclamò per fare scena.
Sapeva che quella donna era una persona impegnatissima e che non avrebbe mai
accettato.
Ma, contrariamente ai suoi piani, la Madison esitò. Aprì una minuscola agenda leggendo
fra fitti scarabocchi d’inchiostro. Stava valutando forse se la gravità della situazione
reclamasse un suo intervento diretto?
– E poi non ci saranno altri intoppi?– domandò bruscamente.
Ohi. Ohi. La situazione le era sfuggita lievemente di mano.
– Certamente! Ma se hai altri impegni… non preoccuparti! La questione è
completamente sotto controllo – chiarì precipitosamente Ylaria, sfoderando un sorriso
rassicurante.
– Quando i piani cambiano mai nulla è sotto controllo! – protestò vivacemente il suo
capo.
Chiuse il piccolo libro e aprì un altrettanto microscopico cellulare.
– Dammi un secondo per liberarmi di tutti gli appuntamenti fino a domani – la informò
imperiosamente, allontanandosi di qualche passo.
– Perfetto – sibilò Ylaria con una vocina tremula.
*******
Immersa in una bellissima vasca di marmo rosa Katia si rilassò.
– Non è fantastico qui? – esclamò immergendo anche la testa tra i piccoli flutti di bolle
artificiale.
Ariel annuì. Da quando erano arrivate si era avvolta in un morbido accappatoio rosa e
non faceva altro che ciabattare felice da un lato all’altro dell’enorme sala. I suoi gridolini
avevano accompagnato la scoperta, poco più in là di una doccia idromassaggio a due
posti , di un solarium e di alcuni lampioncini da muro che si accendevano battendo le
mani.
Salì veloce i tre gradini che portavano alla vasca incassata al centro della sala e fissò in
estasi i faretti disposti a cerchio esattamente sopra di loro.
– Potrei davvero morire felice. Ora. Subito. Come si fa a vivere come prima dopo aver
visto quali meraviglie esistono? – esclamò serissima.
– Perciò godiamoci questi momenti. Arrivo! – strillò poi, slacciandosi l’accappatoio e
tuffandosi.
Nell’impatto il bikini le si sciolse e prese a galleggiare sull’acqua.
– Uffi! – beata te che hai un bel seno grande, il mio non merita neppure un costume che
lo copra! – dichiarò mettendo un finto broncio.
Katia sorrise afferrando il piccolissimo triangolo. Ariel la raggiunse.
– Le tue sono vere? Posso toccarle? – chiese estasiata, guardandole il seno.
“Certo di si. E ovviamente no che non puoi!” avrebbe voluto gridare.
– Non è nulla di entusiasmante, te lo assicuro! – rispose invece scostandosi un po’
troppo bruscamente.
Ariel sembrò capire ma non si scompose più di tanto.
– Sei troppo tesa. Potrei farti un massaggio. Sono brava sai! Che dici?
Katia si immerse tra le bolle prima di rispondere. Non voleva essere scortese ma,
onestamente, non le sembrava una grande idea. Farsi mettere le mani addosso da una
perfetta sconosciuta non rientrava tra le sue priorità. E perché poi?! Per essere strizzata e
pungolata. Rabbrividiva al solo pensiero. Imbastì un sorriso triste di circostanza.
– Mi piacerebbe molto – esordì fissandola con apparente-genuina-falsissima-gratitudine
– ma, come puoi notare, qui – e sottolineò con il braccio l’immensa distesa marmorea –
purtroppo non c’è nulla su cui stendermi.
– Mi sarebbe piaciuto davvero molto…beh, sarà per un’altra volta! – concluse dandole
una pacca affettuosa sulla spalla.
Ariel annuì pensosa.
Finalmente era tutto risolto.– Aspettami qui. Forse so come rimediare! – annunciò
invece, uscendo di corsa dall’acqua.
Oh no. Oh no! Non poteva essere. Ed invece si.
Qualche minuto dopo la biondina era di ritorno e trascinava con se un lettino di toghe
di legno con le rotelle.
– Questo andrà benissimo. Sapevo che qui accanto c’era un solarium. Siamo state
fortunate! – squittì felice.
Già. La fortuna la perseguitava. Si stese di malavoglia.
Ora sarebbero arrivate le gomitate gratuite. Chiuse gli occhi. Pochi attimi dopo sentì un
liquido fresco scenderle per la schiena.
– Non ti preoccupare. E’ un olio essenziale. Ha proprietà tonificante – le spiegò una
voce vellutata sopra di lei.
Sentì qualcosa sulla necessità di creare l’atmosfera “giusta” ma le parole le attraversarono
la mente come una musica senza parole. Il suo cervello era paralizzato da mille
agghiaccianti pensieri. E se Ariel si fosse messa a camminarle sulla schiena? Aveva visto
che in “Charlie’s Angel“ l’agente cinese travestita da massaggiatrice l’aveva fatto.
Aspettò con ansia che un peso morto la schiacciasse pregando in cuor suo di non urlare.
O almeno di non urlare troppo.
Passarono i secondi ma, stranamente, non accadde nulla. Anzi un piacevole aroma di
abete e muschio si sprigionò nell’aria. Contemporaneamente un tocco leggero iniziò a
tracciare piccoli cerchi alla fine della colonna vertebrale.
– Questo è il massaggio Kundalini. Ora risalirò sui tuoi chakra.
Sui suoi che?
Dita sapienti toccavano il suo corpo sprigionando qualcosa in lei. Man mano che la sua
pelle veniva lentamente stretta e poi rilasciata Katia sentiva un’energia attraversarla. Il
suo corpo, come una corda a lungo contorta, ad ogni spinta riprendeva la sua flessuosa,
originaria forma. I nodi di tensione si scioglievano.
– E’… bellissimo! – mormorò con un filo di voce.
– Te l’avevo detto! E aspetta che arrivi alle gambe!
Ariel non mentiva. I successivi dieci minuti furono l’apoteosi del piacere.
Katia era rilassata e felice. Avevano parlato di tante cose (o meglio lei aveva parlato
snocciolando tutti i dati previsti dal suo personaggio). Si era raccontata esattamente
come indicato e (incredibile a dirsi!) le era piaciuto! In fondo era divertente fingersi
ancora giovane e confusa, piena di libertà e di vita!
Ariel non l’aveva importunata con sciocche riflessioni su cosa fare. Il suo silenzio era
stato carico di complicità. Per forza, – rifletté – chissà quante marachelle doveva aver
fatto quel pepperino biondo! Se la vedeva, vestita come una hyppie, a bere vodka
insieme alle sue compagne di stanza. Sulla scia di questi pensieri si era inventata anche
alcune scene extra del suo passato, una bella ubriacata sulla spiaggia, tanto per
dimostrare alla dolce barbie che anche lei sapeva come divertirsi e che non era una
asociale musona (come invece era sempre stata nella sua vita reale). La compagna non si
era dimostrata solidale quanto sperava, limitandosi per lo più ad annuire ma questo non
era importante. Sentiva che erano entrate in perfetta sintonia. Si era creato qualcosa di
unico e profondo tra loro.
– Ora posso anche confessartelo – disse rivestendosi – io non avevo mai creduto a quei
ciarlatani che fanno queste cose. Li avevo sempre reputati degli sfigati alla ricerca di
sciocchi narcisisti da abbindolare.
– Ma tu!! – esclamò poi, afferrandole entrambe le mani – tu sei davvero bravissima. Hai
un dono. Dovresti usarlo! – dichiarò ammirata.
Si aspettava un abbraccio. O almeno un sorriso ma, con suo sommo stupore, l’altra le
lasciò le mani con evidente disprezzo.
Forse non le faceva piacere essere lodata per questa sua qualità. Probabilmente odiava
essere accomunata ad una comune massaggiatrice.
– Scusami – continuò in tono mite – non volevo paragonarti a quella gentaglia. Era solo
un modo carino per dirti che sei eccezionale. Amiche come prima? – esclamò giuliva.
Ma le sue parole, anziché produrre l’effetto sperato, riuscirono semmai a peggiorare la
situazione. Quando alzò lo sguardo su Ariel si accorse che le sue sopracciglia
biondissime erano increspate in una maschera di pura indignazione.
– Che c’è? – le sfuggì.
– Ma tu … CHI DIAVOLO CREDI DI ESSERE ? – l’accusò l’altra, infiammandosi.
L’urlo, tanto inaspettato quanto forte, la spiazzò.
Qualcosa non tornava. Lei si era dimostrata gentile. Perché veniva attaccata?
La scrutò con occhi sbarrati dallo stupore.
– Sei solo una stupida ragazzina viziata! E’ facile per te, sostenuta dai soldi di mamma e
papà, farti venire dubbi e crisi esistenziali! E’ facile darti alla bella vita! – esplose.
Katia incassò senza battere ciglio. Darsi alla bella vita? Proprio lei che aveva studiato
come una matta per anni. Stava quasi per sorridere dell’equivoco quando la fanciulla,
letteralmente schiumante rabbia, si avvicinò.
– Beh, non tutti sono così fortunati – riprese ad un centimetro da lei.
– Anch’io avrei voluto fare l’università. Diventare qualcuno… ma purtroppo non è stato
possibile!
Oh no. Ora i suoi occhi mandavano lampi.
Doveva assolutamente sdrammatizzare la situazione.
– Non devi preoccuparti. Puoi sempre iscriverti dopo. Qualunque ostacolo può essere
superato. Basta solo avere tanta buona volontà e…
– NON DIRE ASSURDITA’! – sbottò l’altra voltandosi. E poi, in tono diverso, quasi
triste, aggiunse: – Nel mondo vero non sempre basta la buona volontà. Ho perso i miei
genitori a sedici anni. Ero sola. Completamente sola. Ho dovuto arrangiarmi da subito.
Vivevo in un sottoscala. Ma tu – e qui, puntandole un minaccioso dito contro, le lanciò
uno sguardo di disgusto – tu di certo non puoi capire cosa vuol dire! – l’aggredì con voce
sferzante.
Si fermò. La fissò glaciale, quasi sfidandola a replicare.
Karen provò ad immaginare cosa volesse dire trovarsi ogni mattina sola contro il
mondo. Avere bollette da pagare, cibo da comprare, dovere correre al lavoro, finire tardi
la sera per poi ricominciare tutto daccapo. Senza la speranza che nulla migliori e che
nessuno ti sia vicino. Un brivido di freddo le risalì la schiena mentre la testa prese a
girarle. Doveva essere stato agghiacciante. Era entrata in qualcosa di molto più grande di
lei. Che cosa si diceva in queste situazioni?
“Mi dispiace?”. Troppo banale.
“Posso fare qualcosa per te?”. Probabilmente le avrebbe risposto di affogarsi.
No. Non le sembrava il caso. Preferì tacere.
Di fronte al suo silenzio la ragazza iniziò a raccogliere furiosamente le sue cose, sparse
un po’ ovunque.
– E poi c’è la gente come te. Gente che ha tutto ed ha anche il coraggio di lamentarsi, di
GIUDICARE!! – protestò con un tono che diventava via via più alto e stridulo.
Era di spalle ma Katia vide chiaramente il suo braccio strofinare via qualcosa dalla faccia.
Bene. L’aveva fatta piangere.
In pochi passi Ariel raggiunse la porta e qui si voltò. Il suo viso era rigato di dolore e
rosso di vergogna.
– Poiché per te lavorare onestamente e cioè fare l’aromaterapeuta equivale ad essere una
cialtrona… non ho più nulla da dirti – annunciò dura.
Si allontanò senza mai girarsi.
Katia sentì le gambe diventare improvvisamente molli. Aveva fatto una gaffe dietro
l’altra. Si era già giocata una possibile alleata.
Rimase lì, ferma, fino a quando Tom, spuntando dalla porta non la raggiunse.
– Karen! Finalmente ti ho trovata! – esclamò raggiungendola.
– Stiamo facendo gli strumenti per il gioco. Questa è una piantina della casa – disse
mettendole in mano un foglio accuratamente disegnato.
Notò che vicino ad ogni stanza era stato annotato, in una grafia stretta e lunga, il nome
della sala e la sua funzione.
Una scrittura ben diversa da quella piccola e tonda della lettera, si ritrovò a pensare.
– E questi sono gli orari delle prove per domani. Mi sono permesso di fare dei turni per
evitare che ci ritroviamo tutti nello stesso posto, ad ostacolarci inutilmente – aggiunse
porgendogli un altro foglio leggermente più grande.
Su questo, dipinti in tenui colori ad acquerello, splendeva una strepitosa decorazione
floreale intrecciata in una complessa architettura di archi e volte formanti una deliziosa
cappella.
– Ma è magnifica! – esclamò a bocca aperta.
– Cosa? Ah, ho sbagliato foglio – borbottò l’uomo arrossendo lievemente. Cercò nella
lunga pila davanti a sé e sostituì il pezzo di carta con un altro completamente pieno di
tabelle a colori vivaci.
Katia osservò il complicatissimo schema su cui erano annotati tutti i nomi e tutte le cose
da fare e a che ora farle. Doveva essergli costato molto tempo.
Tom sembrò leggerle nel pensiero.
– Sono un tipo molto preciso. Odio che le cose siano lasciate al caso.
Questo spiegava molte cose. Tom non aveva le fattezze di un ragazzino. Doveva essere
il più grande del gruppo. Ad occhio di certo oltre la trentina. Probabilmente era uno di
quegli uomini maturi e posati con un’innata passione per gli hobby artistici.
– Quel dipinto fantastico: l’hai fatto tu? – domandò preferendo sorvolare su quanto lei
invece amasse seguire un ordine beh, diciamo, “relativo” delle cose.
– Si – replicò in fretta, riprendendo a riordinare le sue carte.
Un semplice laconico si. Aveva immaginato che il suo commento scaturisse almeno un
pistolotto di alcuni minuti. Tutti amano vantarsi delle proprie qualità. Ed invece Tom
non si era scomposto. Evidentemente non amava elogiarsi o forse, più semplicemente,
non c’era dialogo tra loro.
Ora, quasi a conferma dei suoi dubbi, lui si era voltato, dandole le spalle.
La ignorava deliberatamente! Non bastava il flop di prima, ora anche Tom le complicava
la vita. La giornata sarebbe finita e lei non sarebbe riuscita a seguire il copione. Non
pretendeva certo di saltargli addosso o di irretirlo con languidi e roventi sguardi ma
doveva almeno trovare il modo per sciogliere quel gelo.
Sarebbe andata per gradi, si disse.
Un approccio morbido e prudente, si propose.
Magari un bel complimento disinteressato e sincero poteva aiutare.
– Sei davvero bravissimo. Io non sarei capace di disegnare un albero figuriamoci archi e
volte! Le tue invece sono davvero realiste. Fammi indovinare come hai imparato –
cinguettò allungandosi verso di lui.
– Ti diletti per caso a fare il pittore?.
– No – ribatté lui.
Il suo tono non era più distante. Era diventato molto seccato.
Diede un ultimo colpetto in modo che la pila traballante di fogli si riassestasse
milletricamente e poi, senza guardarla, aggiunse: – Sono un architetto. Ho imparato
studiando e mi sono laureato a pieni voti.
Tiè! Questo perché non imparava mai a stare zitta.
–Non appena ti sei ricomposta raggiungici – esclamò aspramente, rivolgendo
un’occhiataccia al suo costume e poi, senza neanche un saluto, scomparve nel corridoio.
Katia afferrò con rabbia un asciugamano.
Ma quando sarebbe finita quella maledetta giornata?
*******
Due ore dopo era in un’immensa sala. Le avevano dato in mano quelle che sembravano
delle lunghe federe bianche spiegandole che il suo compito consisteva nel cucire degli
orli dorati sui tre lati del candido tessuto.
Avrebbe voluto più chiarimenti ma Max era scappato via con Tom urlando che erano già
in un ritardo mostruoso.
E l’aveva lasciata così, con ago e filo in mano.
C’era solo lei in compagnia di un enorme oggetto ricoperto da un brutto telo sporco.
Non avendo nient’altro da fare decise di mettersi subito all’opera. Iniziò con l’imbastire
velocemente le due federe e, dopo un paio di punti, ed altrettanti giri d’ago, si sentì
davvero orgogliosa di sé.
Era davvero una cosa facile e rilassante. Avrebbe dovuto farlo più spesso.
Ma come mai aveva smesso?
Un’ora dopo la risposta era stampata a fuoco sulla sua fronte grondante di sudore.
Ma come, c–o–m–e , le era venuto in mente di ricominciare a cucire? Il viso era chiazzato
di rosso, in parte per il caldo, in parte per la concentrazione; si era punta un migliaio di
volte, gli occhi le bruciavano e i risultati erano stati… guardò l’informe massa di fili
dorati pendere come una ragnatela dal tessuto latteo… beh… dire pietosi sarebbe stato
riduttivo.
Nella stanza si sentiva solo il ritmico tamburellare delle sue dita nervose.
Sentì in lontananza un chiacchierio concitato. Oddio! Stavano ritornando! E lei era
praticamente ancora in alto, altissimo mare. Il suo orgoglio si rifiutò di fare un’ennesima
brutta figura. Per quel giorno aveva già raggiunto e superato i suoi record personali.
Avanzò per la sala vuota alla ricerca di una nicchia, di un vuoto, di qualsiasi cosa in cui
far scomparire le prove ma, ovunque guardasse, c’erano solo lisce pareti senza mobili.
– Allora, com’è andata? – domandò allegramente Max.
Con suo orrore, accanto a lui, c’era Sofia, perfetta in un attillatissimo pantalone firmato.
– Bene! – mentì ad un tono un po’ troppo alto.
– Non hai avuto difficoltà ad assemblare i pezzi, vero?–scandì questa con un tono
tutt’altro che amichevole.
– No. Assolutamente! – confermò lei forse un po’ troppo precipitosamente.
Sofia le piantò addosso due occhi del tipo non-mi-freghi-carina, squadrandola sorniona.
– Allora, perché non ci mostri i tuoi capolavori? – domandò poi guardandosi intorno
con curiosità.
Che bastarda! Pensa! Pensa! le ripeteva una vocina nella sua testa.
– Veramente sono di là – iniziò incespicando nelle parole. Era diventata color peperone.
– Non ora. Ce li mostrerai dopo – ordinò Max, avanzando.
Katia sentì affiorare sulle labbra una preghiera di ringraziamento.
Finalmente un colpo di fortuna.
Un mormorio alle sue spalle la indusse a voltarsi. Senza che lei se ne fosse accorta la
stanza si era improvvisamente popolata. In un angolo, silenzioso e rabbuiato, c’era Tom.
Poco distante vide il poeta Michael, il ”chiodato” Jak (solo sulla faccia aveva oltre cinque
orecchini, più di quanti ne avesse lei in tutto il corpo) e, in fondo in fondo, la piccola
Ariel. Più indietro, quasi ancora sulla soglia, c’era la sua amica Ylaria con in mano una
busta enorme. Max si portò al centro di un immaginario cerchio umano e, come un vero
capitano d’armi, con voce imperiosa spiegò: – Vi ho riunito qui per darvi gli ultimi
dettagli sulla gara. Disponetevi in squadre!
Katia si avvicinò tra Tom che, stranamente, guardava da un’altra parte, e Michael che
non faceva nulla per far finta di ignorarla.
– Domani sera ci sarà la prima prova! – strillò Sofia.
Ariel Jessica e Jak rimasero imperturbabili.
– Ricordatevi che la vittoria delle squadre è fondamentale per la propria vittoria
personale – continuò Max.
Parlavano in tandem. Come se avessero diviso un discorso a metà.
Sofia prese ad avanzare avanti ed indietro come un colonnello davanti al suo squadrone.
– Come ben sapete il gioco prevede un vincitore. Il migliore Ranger Love però non sarà
effettivamente il migliore fra tutti ma …
– Il più bravo della squadra che ha totalizzato più punti – concluse Max imitandola.
Katia si sforzava di non ridere serrando le labbra. Fissò il pavimento per non esplodere.
Tutta quella messa in scena era ridicola; le sarebbe quasi venuto spontaneo di saltare
sull’attenti urlando …
– SIGNORSI’ SIGNORE!!!!
Tutti si voltarono. Sette paia di piedi si mossero nella stessa direzione.
Serrò i pugni convulsamente.
Non poteva averlo fatto. Non poteva averlo detto ad alta voce!
– Jessika! Questo non è un gioco! Mostra un minimo di rispetto! – grugnì Sofia.
Alzò la testa e fissò quegli occhi sbarazzini sentendosi improvvisamente più sollevata.
Non era sola: c’era Ylaria lì con lei.
– Mi scusi signora. Mi sono lasciata trasportare. Non ricapiterà – scandì l’amica, facendo
un passo avanti nella fedele imitazione di un soldato.
Sofia si fermò, apparentemente indecisa se ritenere l’atto lusinghiero o meno, poi, con
vera classe, continuò come se nulla fosse. – Domani probabilmente sarà con noi un
arbitro esterno. Il suo nome è Maggy Madison.
Un silenzio carico di timore riverenziale calò nella stanza. Tutti sembravano intimiditi.
– Come già sapete è una delle finanziatrici di questo progetto quindi è essenziale
attenersi alle regole. Dovete dimostrare il massimo impegno – sillabò Max serissimo.
– E’ fondamentale che ci sia collaborazione – sottolineò Sofia guardando intensamente
Ariel. O forse stava fissando Jessika. Sì, questo era decisamente più probabile.
– D’altra parte ricordate: se la vostra squadra non vince non vincete neppure voi!
– Ed ora guardate che vi aspetta! – esclamò Max con orgoglio
Con orrore crescente Katia vide i lenzuoli volare morbidamente in aria.
Un “ohhh” percorse la sala. Ma neppure lo stupore nel vedere due grandi bighe dorate in
un salone riuscì a distoglierla dall’imminente catastrofe.
– Cosa sono questi cosi? – domandò stridula Sofia sollevando, con evidente disgusto,
quelle che, un po’ tardi, Katia aveva capito dovevano essere delle tuniche romane.
– Sei stata tu? E questo sarebbe il tuo capolavoro? – esclamò con voce sferzante,
guardandola malignamente da due occhi stretti a fessura.
Tutti la stavano osservando. E giudicando. Arrossì violentemente.
– Veramente no – annunciò Ylaria, avanzando rapida verso la dittatrice.
– Che vuoi dire Jessika? – sbottò questa, incredula, piantandole addosso due raggi
accusatori. Sofia sembrava arrabbiata come un bambino a cui hanno appena rivelato che
babbo natale non esiste.
– Quelli sono i miei. Karen si era offerta di farmi vedere i modelli. Questi sono i suoi –
aggiunse togliendo dalla busta quattro magnifiche toghe orlate doro.
– Bellissime!! – esclamò Max, afferrandole.
All’improvviso tutti si congratularono con lei. Pacche amichevoli piovvero dovunque.
Lei, anche se stretta nella folla di abbracci, continuò a guardare Ylaria con occhi lucidi
cercando di trasmetterle telepaticamente tutta la sua gratitudine e l’amica, forse capendo,
annuì.
- 2°GIORNO –
Quando Katia aprì gli occhi vide una stanza che non conosceva. Come un’onda i ricordi
della giornata precedente la sommersero. Per fortuna la serata era passata tranquilla. Non
avrebbe retto qualche altra sciagura.
Scese dal letto raggiante: aveva sognato Max. Un sogno di fuoco e passione per la
precisione. Decisamente poco morale ma sicuramente molto appagante. Accese
distrattamente il suo cellulare. C’era un messaggino.
“Sto tornando a Roma. Vorrei vederti per parlare. A”
Un pugno nello stomaco le avrebbe fatto meno male.
Non c’era proprio nulla di cui parlare. E lui lo sapeva!
Si infilò con rabbia i jeans cercando di concentrarsi su qualcosa di piacevole. Arrivò un
altro sms.
“So che non mi hai scordato. Voglio solo parlarti. Ti amo ancora tanto. A”.
A quelle parole una pietra si poggiò sul fondo del suo stomaco. Poi lentamente si sollevò
iniziando a vorticare paurosamente. Il sangue le salì alla testa mentre il cuore, pulsando
violentemente, premeva sempre più forte contro la sua gabbia toracica.
Mi ama ancora, sussurrò alla sua mente.
E, il vero problema, era che anche lei provava ancora qualcosa per lui.
Rimase così, tremante, a fissare quelle dolci parole.
Lo odiava, si ripeteva. Doveva odiarlo.
E allora perché ogni volta che chiudeva gli occhi lo vedeva sorridente tra le sue braccia?
Non merita altre possibilità!, urlò il suo orgoglio.
Le mani iniziarono a digitare febbrilmente una risposta ma sapeva che era un errore.
Non era ancora pronta per affrontarlo. Avrebbe ceduto alle sue parole, alle sue lusinghe.
Un moto di terrore le scosse la mano che, con uno spasmo involontario, lasciò cadere il
cellulare sul letto.
Ora o mai più, si disse, alzandosi di scatto. Uscì di corsa dalla stanza. Un foglietto, in
bilico nella scanalatura laterale della porta, svolazzò come una piuma danzante davanti a
lei. Sorpresa, lo afferrò al volo. In una grafia veloce c’era scritto: ” Vorrei tanto vederti.
Ti aspetto in camera. M.”
Un martello le pulsava nella testa. Doveva sfuggire dal suo passato o non avrebbe mai
voltato pagina.
L’immagine di Max che la teneva stretta a sé tra i cuscini le diede una scossa pari quasi al
sordo dolore che le attanagliava la pancia.
– Chiodo schiaccia chiodo – le aveva ripetuto Ylaria per mesi ma lei era troppo
frastornata o troppo debole per tentare. Ma questa volta era diverso. In quella casa
nessuno la conosceva e, soprattutto, quella era la sua ultima speranza per scrivere il
capitolo fine alla sua storia.
Avanzò sicura nel corridoio. Sapeva che la stanza di Max era l’ultima a sinistra. Ma poi,
una volta entrata, che avrebbe fatto? Era meglio non pensarci.
Si costrinse a guardare avanti: un bel sole inondava con fette dorate il pavimento. Non
era presto. Una parte di lei voleva trovarlo sveglio, un’altra, decisamente più carnale,
sperava di trovarlo ancora tra le braccia di Morfeo, così da potersi beare del suo volto
per un po’.
Bussò lievemente. Niente. E, normalmente, a questo punto, la vecchia Katia avrebbe
girato sui tacchi e se ne sarebbe tornata in camera. Ma non quel giorno. Non lì. Non si
sentiva razionale: era stordita, confusa, ma, soprattutto, era arrabbiata con se stessa.
Dopo mesi di forzato autocontrollo e di lunghi discorsi sulla propria autostima si era
accorta che bastava un nonnulla (per l’esattezza due righe) per rigettarla
prepotentemente nel passato.
Ogni volta che Andrea si rifaceva vivo le riaffioravano le mille scuse, le mille bugie.
Ma ora basta! ordinò al suo io.
Basta essere passiva e soffrire. Occorre ricominciare a vivere! si incitò.
Inoltre, le scioccava ammetterlo, ma quel torrido sogno a luci rosse aveva ridestato in lei
istinti che aveva scordato di possedere.
Prese il coraggio a piene mani, e, con il cuore a tamburo battente, aprì la porta.
Max, in effetti, stava ancora dormendo.
Occupava solo il bordo del letto. Aveva i capelli scarmigliati, il capo ricadeva con
eleganza su un braccio abbandonato a terra, quasi in una plastica posa da modello. Un
po’ del nudo torace affiorava spavaldo dal piumone.
Un debolissimo fascio di luce danzava sulle sue guance illuminandolo come un angelo. Il
resto, intorno a tanta perfezione, appariva come volgare inchiostro.
Al cigolio della porta Max schiuse appena gli occhi assonnati e vedendola sussurrò un
“ciao piccola ...” un po’ impastato.
Era destino! urlò un coro dentro di sé. Come in una moviola da film rosa, avanzò
lentamente verso il suo “momento magico”; quello in cui gli occhi degli amanti si
incatenano in un laccio invisibile che li attrae l’uno verso l’altro; quello in cui non esiste
niente all’infuori di loro; quello in cui tutti i nemici scompaiono avvinti dal sommo
amore.
Volò accanto al suo amato e, con posa da attrice consumata, si chinò su quelle labbra
carnose per sfiorarle delicatamente.
– KAREN!! – urlò una sirena non proprio da film d’amore.
Sollevò la testa e il sangue le si ghiacciò all’istante. Si era accorta un po’ tardi che, quasi
del tutto coperta da Max, nell’ombra, giaceva un’altra persona: Sofia.
– Si può sapere cosa stai facendo? – strillò questa con toni da vero tenore.
A quel suono da stadio Max si era completamente svegliato ed ora la fissava stranito.
Sembrava non capire perché lei fosse lì. Ma come? Se l’aveva invitata lui?
Oppure no?
Indietreggiò fino alla porta portandosi il foglietto davanti agli occhi. Dopo la emme, in
piccolo, c’erano delle lettere che prima, nella foga, non aveva visto. Ora però il nome
aveva preso la giusta forma e ballava nitido davanti ai suoi occhi increduli. C’era scritto
Michael!
Ma perché Michael la voleva vedere?
– Cosa ci fai qui? – le stava chiedendo Max, mentre con una mano tratteneva una Sofia
scalpitante ferma al letto.
Già. Perché era lì? Non poteva dire la verità. Neppure lei c’avrebbe mai creduto.
– Scu-sate. Non volevo disturbare…
Silenzio. Se non diceva presto qualcosa l’avrebbero presa per una maniaca.
– Sapete io ho viaggiato molto… con la scuola.
Ci voleva un’idea! E subito!
– L’anno scorso siamo andati in Finlandia e… iniziò cercando l’inspirazione – lì mi
hanno insegnato che è un’antica tradizione lappone salutare sempre con un bacio in
fronte il padrone di casa! – esclamò a gran voce.
Entrambi gli amanti erano rimasti colpiti (forse scioccati era un termine più appropriato)
da quella rivelazione e lei, approfittando del loro stupore, se l’era data velocemente a
gambe.
Nella fuga aveva travolto qualcuno ma questo non l’aveva arrestata. Si era fermata solo
una volta tornata tra le sicure pareti della sua stanza.
Quasi nello stesso istante in cui si era seduta aveva visto lampeggiare la spia del suo
cellulare. Aveva ricevuto un nuovo messaggio.
Forse – le disse una vocina dentro di lei – sarebbe stato più facile affrontare il passato.
*******
Tutti sapevano che Maggy Madison era una bella donna. Quello che non tutti sapevano
era il tempo e il denaro spesi, giorno dopo giorno, per realizzare meccanicamente tanta
naturale bellezza.
Una leggenda metropolitana narrava che ad ogni alba lei sparisse per poi riapparire fresca
come un fiore accanto al suo amante di turno. Nessuno aveva mai saputo dove andasse,
o che facesse. Almeno fino a quel momento.
Ylaria avrebbe volentieri evitato di confermare il mito. Ed invece era lì, costretta a
guardare due sopracciglia tremanti di rabbia. Probabilmente si sarebbero storte dal
furore se due spessi strati di crema al cetriolo non l’avessero completamente bloccate.
– Vuoi sbrigarti con quel ghiaccio! – sbraitò isterica, stendendo il piede dolorante sul
letto a baldacchino.
Ylaria glie lo porse senza guardarla in faccia. Sapeva che se avesse riso tutta la sua
carriera si sarebbe sgretolata al vento. E la sua vita era pur sempre nelle mani di quella
donna.
– Ti rendi conto di quello che ho vissuto stamattina? – gracchiò alzandosi elegantemente
i lunghi capelli castani.
Persino la sua chioma sembrava indignata.
– Un urlo disumano mi ha svegliato all’alba. E poi, quando mi sono alzata per andare a
vedere cosa fosse successo, una furia mi ha investito. Senza neppure fermarsi a vedere
come stavo! – esclamò vibrando di sdegno.
Doveva essere un vero affronto per il suo mastodontico ego.
– Le assicuro che la ragazza in questione stava davvero male – mormorò Ylaria tenendo
gli occhi fissi su una macchia del tappeto.
– Voglio sperare che tu stia facendo un buon lavoro qui. Voglio le bozze preliminari
dell’articolo entro tre ore! – esclamò furente con il chiaro intento di punirla.
La donna sapeva benissimo che, fino a quel momento, tutto il suo articolo consisteva
solo in un’imbastitura generale dei lavori e che non avrebbe mai potuto renderlo
presentabile in tre ore.
– E spero vivamente per te che la visita di oggi proceda al meglio. Ho sprecato un’intera
giornata del mio preziosissimo tempo per venire qui e non staccherò nessun premio
extra se ciò che vedrò non mi esalterà – annunciò acida, sistemando la borsa di ghiaccio
sulla caviglia slogata.
Ylaria squadrò con rabbia quella odiosa megera. Il viso era quasi completamente
nascosto da fogli da alluminio.
Poco era mancato che svenisse dalla paura quando, un’ora prima, aveva visto una
mummia argentata avanzare urlando verso di lei, con le braccia tese e ricoperte di una
poltiglia scura. La paura si era sostituita ad un’irrefrenabile ilarità quando aveva capito
chi fosse e che quella schifezza su braccia, collo e gambe altro non era che una
costosissima cura di fango accuratamente avvolto in fogli di pellicola trasparente.
L’aveva accompagnata nella sua stanza e si era prodigata per aiutarla ricevendo in cambio
solo insulti e velate minacce. Neanche tanto velate.
– Stia tranquilla. Questi ragazzi sono tutti dei veri professionisti – aggiunse con voce
affettata ma estremamente decisa.
– Lo spero per lei perché se quello che vedrò oggi non mi piacerà non solo non
finanzierò il viaggio in America ma, probabilmente, ad operazione compiuta, la
retrocederò.
La voce con cui parlò era così bieca e malvagia che, al confronto, la strega di Biancaneve
sarebbe sembrata un’innocua fatina.
Parte di quel cambiamento, doveva ammetterlo, era stato indirettamente causato da lei.
Da quando l’aveva portata nello chalet, quella donna, alla vista di altri essere umani, si
era trasformata, lasciando cadere all’istante ogni traccia di umanità in favore di una
corazza battagliera e sprezzante. La prima cosa che si era premurata di dirle era stata: –
Bene Ylaria, da adesso in poi esigo che tu mi dia del voi davanti agli altri. Nessuna
confidenza e nessun favoritismo. Chiaro?
E adesso la minaccia della retrocessione. Di bene in meglio!
Ylaria ingoiò l’amaro boccone senza battere ciglia.
– Certamente. Ma ora si rilassi e chiuda gli occhi. L’impacco farà il suo effetto tra dieci
minuti – esclamò con un sorriso tiratissimo, poggiandole delicatamente un cuscino
dietro la nuca.
Fosse dipeso da lei avrebbe scaraventato quel mostro di stagnola fuori di casa. Subito!
La donna la guardò storto prima di serrare le palpebre.
– Visto che è qui si renda utile. Perché non riassetta la mia camera? Almeno questo me
lo deve! – ordinò impietosamente.
Ylaria, livida di rabbia, si apprestò ad obbedirle ma quando, dieci minuti dopo, sentì il
suo capo russare allegramente, smise di colpo. Afferrò silenziosamente il suo cellulare e
puntò quel mostro argentato con la fotocamera.
Doveva fargliela pagare. E ora sapeva anche come.
*******
A pranzo tutti sapevano ormai della sua incursione mattutina.
Un primo dubbio l’aveva avuto quando a colazione Jak, di punto in bianco, le aveva
chiesto informazioni sulle tradizioni di Helsinki. I presenti l’avevano fissata come si può
guardare un curioso e raro animale a tre corna.
Lei, non capendo, si era profusa in vaghi commenti ma la situazione era diventata
improvvisamente lampante quando l’Uomo-Chiodo si era alzato fulmineo (la qual cosa
aveva fatto tintinnare rumorosamente le sue mille borchie d’acciaio) e, raggiungendola di
corsa, le aveva urlato: potresti far vedere anche a me il saluto finnico!?
Tutti avevano riso.
Da quel preciso istante aveva elargito baci in fronte praticamente ad ognuno. All’inizio
era stato simpatico, ma ora, dopo tre ore di effusioni, quella trovata goliardica iniziava a
stufarla anche se i suoi compagni non la pensavano così.
Ovviamente c’erano delle eccezioni: Tom, ad esempio, la evitava come un’appestata.
D’altronde il contatto umano non era una materia universitaria, si ritrovò a pensare un
po’ malignamente.
Altro discorso valeva per Ariel. Simile ad una colorata farfalla, l’eccentrica biondina (che
per quel giorno aveva scelto di vestirsi di tutte le sfumature del lilla) volava da una
persona all’altra parlando freneticamente con tutti, salvo poi zittirsi di colpo davanti a lei.
Se, inizialmente, questi taciturni atteggiamenti l’avevano crucciata l’incontro faccia a
faccia con Sofia le ricordò che c’era qualcosa di peggio del muto disprezzo: la pubblica
gogna.
Già da lontano l’aveva vista avanzare a passo di marcia.
Sembrava un condottiero pronto alla battaglia. Uno scontro all’ultimo colpo di fascino,
dedusse da come si era agghindata. E, scrutandola, Katia si rese conto che aveva già
perso in partenza; i lunghi capelli corvini dell’avversaria le scendevano lucenti e compatti
sulla schiena; la pelle, di un lucente ambrato, usciva in generose porzioni dal suo micro
abitino di purissima lana bianca. Era stupenda. Il peggio era che lo sapeva.
Ancheggiando agilmente su dei costosissimi stivali a spillo la guerriera la raggiunse.
– Se dovessi mai entrare in camera mia ricordati che non amo scambiare baci saffici con
una donna – l’aveva apostrofata tagliente, senza neppure salutarla.
– Bene, me ne ricorderò – aveva ribattuto lei, cercando di allontanarsi in fretta per
nascondere la faccia rossissima.
– Ah! E poi! – urlò inseguendola – sarebbe davvero una buona cosa se, oltre a sposare
incondizionatamente le usanze straniere, ti ricordassi almeno quelle basi del tuo. Bussare
prima di entrare in una camera da letto è la più vecchia fra queste! – aggiunse con
soddisfazione.
Stava sottolineando che Max era suo. SUO.
Per la prima volta il pensiero fece breccia nella sua mente.
Fino a quel momento non aveva ancora visto Max, e, presa com’era dal sdrammatizzare
la sua performance, non aveva minimamente pensato a lui, ma ora, un leggero rimescolio
dentro la pancia, seguito da un improvviso vuoto, la convinsero che, forse, la notizia la
infastidiva un po’.
Con suo sommo stupore, si accorse di non essere l’unica ad essere rimasta turbata. A
pochi passi da lei, Ariel si era visibilmente irrigidita.
Sofia, seguendo il suo sguardo, soppesò malevolmente l’esile biondina
– Io e Max stiamo insieme e non accetto interferenze. Da parte di NESSUNO – scandì
mandando lampi nella sua direzione.
Ariel abbassò gli occhi e corse via. Sofia ancheggiò nella direzione opposta.
Katia, rimasta sola in cucina, rifletté sul da farsi.
Lentamente entrò nel salone vuoto. Quella lussureggiante ed intricata foresta era lì, come
per magia, e l’attraeva come l’acqua incanta un assetato.
Si sdraiò sul divano abilmente mimetizzato e lasciò che tutto quel verde ristabilisse il suo
equilibrio interiore, la sua normalità.
Fu solo quando vide sbucare dalla cornice una mano che la invitava a seguirla che
realizzò: in quella vacanza, di normale, c’era ben poco.
*******
– Signora Madison le volevo presentare Tommaso Lorenzi, il floer designer.
Maggy strinse la mano all’elegante uomo davanti a lei.
– Mi chiami pure Tom – disse lui con deferenza.
– Quindi è lei l’anima di queste creazioni, Tom. Sono davvero affascinanti – esclamò
colpita.
E non solo le sue opere, pensò scrutando ammaliata quegli occhi di brace.
– Non credevo di finire in tempo. Questo progetto non era in programma. Ho dovuto
bruciare i tempi per realizzarlo – si lamentò l’artista senza degnare la donna di uno
sguardo. Non sembrava aver apprezzato i complimenti sulla sua creazione più dell’aria
che respirava.
Ylaria, corrucciata, gli lanciò un’occhiata torva.
– Capisco – mormorò serafica la Madison.
Si avvicinò alla creazione per esaminare meglio alcuni dettagli. I suoi occhi di volpe
vagarono su tutti i pezzi, indugiando su alcuni particolari.
– In effetti ci sono delle piccole imperfezioni – rivelò inaspettatamente.
– Mi scusi? – esclamò l’uomo, improvvisamente vigile, con tono tutt’altro che cordiale.
Maggy non esitò. In questo campo era la migliore. Anni di pratica l’avevano abituata ad
avere sempre l’ultima parola con gli artisti. Gente fantasiosa ma totalmente priva di
cervello a cui bisognava far capire chi comandasse.
– Beh, sì, ad esempio… – disse avanzando alla ricerca di qualcosa su cui obiettare.
Guardò su e sorrise.
– Lì – aggiunse indicando un punto in alto. – Quel triangolo disadorno non mi piace.
– Il Timpano? Ma la tradizione classica vuole che sia racchiuso nella cornice del frontone
e delimitato inferiormente dalla trabeazione. Non si può adornarlo di fiori!
Silenzio. Maggy iniziò a credere che quell’uomo che aveva davanti non fosse un semplice
fioraio inspirato. Cos’erano tutte quelle strane cose che aveva detto?
– Come ben saprà – continuò Tom indicando qualcosa – ho seguito l’architettura
classica. Nello specifico questa è una trabeazione dorica con fregi a triglifi alternati con
metope e il cornicione fortemente aggrottante.
La Madison esitò. Di che diavolo stava parlando? Possibile che fosse tutto un bluff?
– Non so … – mormorò con sussiego dandosi un’aria intelligente – il dorico non è male
ma lo ionico mi è sempre piaciuto decisamente di più!
– Davvero avrebbe preferito l’ordine ionico con l’architrave a tre fasce? – domandò
l’uomo con espressione sbigottita.
Forse aveva detto una bestialità. Un trillo la salvò da ulteriori, scomode, spiegazioni.
– Corinne, mia cara! Come va il tuo soggiorno in Spagna? Io sono proprio qui ad
ammirare le tue idee – trillò allontanandosi un po’ dagli altri.
Ylaria e Tommaso la sentirono sperticarsi in lodi sul suo buongusto.
– Non è giusto che quell’oca si prenda tutto il merito – bisbigliò Ylaria quasi in un soffio.
Tom si limitò ad annuire.
– E l’idea del tempio romano! Semplicemente D–I–V–I–N–A. Da prima pagina – urlò la
Madison con occhi sfavillanti di una strana luce estatica.
– E sono stata io a proporre l’ambiente romano – sbuffò silenziosamente Ylaria con
malcelata rabbia.
– Già e grazie a questa tua genialata ho dovuto fare le ore piccole per seguire la scaletta.
La ragazza gli rimandò un sorriso enigmatico
– Devi perdonarmi ma l’unico modo per ottenere un finanziamento extra era realizzare
un lavoro extra.
– Allora non lamentarti se per tutti questi extra ti serviva l’appoggio di una giovane e
ricca donzella bramosa di pubblicità. Se lei è sleale con te… e qui la guardò dritto negli
occhi – non si può dire che tu non ti stia preparando a ripagarla con la stessa moneta – la
rimproverò con voce durissima
– Allora, vogliamo andare? – li interruppe una Maggy gioiosa, raggiungendoli.
Il cellulare riprese a squillare e il gran capo tornò a confabulare nel piccolo apparecchio.
Qualche attimo dopo il bel viso, accuratamente dipinto, si contrasse come una foglia
accartocciata nel fuoco.
Quando chiuse la chiamata era diversa, se possibile ancora più altezzosa e pungente. Era
come se intorno al suo corpo si fosse propagata un’aura di potere. Ora Ylaria capiva
come mai tutti la temevano. In quel momento Maggy Madison sprizzava autorità e
carisma da ogni bottone dell’impeccabile abito.
– Cambio di programma! – tuonò riaprendo la sua fedele ventiquattro ore.
Aprì un’agenda di cuoio e iniziò a segnare velocemente nomi ed orari.
– E’ stata indetta una riunione straordinaria a cui non posso proprio mancare – spiegò
ad alta voce.
– Se quella maledetta di Paggy pensa di fregarmi andando al mio posto si sbaglia. L’idea
della collezione è mia e sarò io a presentarla al direttore! – sibilò poi cancellando
furiosamente qualcosa.
Ylaria si felicitò di essere tanto in basso sulla scala del successo da non doversi
preoccupare che qualcuno la scavalcasse. Non era sicura che avrebbe retto allo stress con
cui sembrava convivere il suo capo.
– Per l’ora di pranzo devo essere a Londra, poi una capatina veloce a Dublino e stasera
ho un cocktail ai Champs Elysées di Parigi. Quindi… – e qui guardò il suo cartier d’oro
– avete esattamente due ora e mezza per farmi vedere gli altri due giochi, i costumi, le
novità e convincermi che siano eccezionali! Sbrigarsi! March!
Di fronte a quel tono Tom si raddrizzò lievemente. Lui amava le sfide. Quando aveva
un’antagonista a spronarlo dava il meglio di sé. E quella donna sfrontata ed esigente
sembrava proprio pane per i suoi denti.
– Posso pensarci io se tu hai da fare – propose con determinazione.
Ylaria fece spallucce. Quando i due sparirono dalla sua vista un sorriso trionfale le si
stampò sulla faccia.
– Non pensi di essere stata crudele? Aizzare due leoni uno contro l’altro! Non sarebbe
stato meglio che le illustrassi io le opere?
Ylaria non si voltò: conosceva bene quella voce.
– Ho dovuto farlo – replicò piano, socchiudendo gli occhi.
– Tom si era demotivato. Sembrava quasi che non gli importasse più nulla del Love
Game.
– E’ perché questo mese ricade l’anniversario. Dovevi immaginare che crollasse. Bastava
dargli un po’ di tempo.
– Io non credo nel tempo. Ti porta via solo momenti preziosi
L’uomo si avvicinò da dietro e l’abbracciò.
– E’ per questo che gli hai scagliato contro Miss-Generale-in-Gonnella? Per risvegliare il
guerriero che è in lui?
Ora la stava baciando sul collo. Lei annuì felice.
– E, forse, chissà! Ti immagini se si innamorassero? Avere un’alleata del genere sarebbe
davvero utile – esclamò allegramente. Non che ci sperasse sul serio: Tom le sembrava un
tipo davvero esigente ma non era un’ipotesi da scartare del tutto.
Lui smise di baciarla.
– Devi smetterla di giocare con i sentimenti degli altri – le sussurrò secco ad un orecchio.
Ylaria rabbrividì.
– Non lo sto facendo per me. E tu lo sai.
– Ma quante persone soffriranno per il tuo nobile gesto? Ci hai pensato?
Sì, c’aveva pensato. O meglio si era tormentata per notti intere. Ed era arrivata ad una
sola possibile conclusione.
– Sto facendo la cosa giusta. Lo so.
Silenzio. Quando aprì gli occhi intorno a sé non c’era più nessuno.
*******
Katia si massaggiò la gamba indolenzita. Seguire Max per i tortuosi cunicoli della casa si
era dimostrata un’impresa tutt’altro che facile ma, in compenso, aveva ricevuto la più
bella notizia della giornata. Tra lui e Sofia non era successo niente. Niente.
Le aveva fatto capire che quell’incontro doveva essere previsto dal gioco e si era
addirittura preoccupato di farle vedere alcuni passaggi segreti dello chalet.
Erano rimasti soli per ore.
Ed ora, seduta nell’immenso salone frondoso, tra scrosci di acque e frullio di ali, si
sentiva davvero in un mondo magico e fatato.
– Possiamo cominciare. Gli altri mangeranno dopo – annunciò Sofia sedendosi al tavolo.
Solo allora Katia scese sulla terra e si avvide che tra piante e fiori c’era più spazio del
solito come se la foresta si fosse fatta più grande.
Mancava Tom. E questo, a ben pensarci, era quasi un sollievo ma erano vuoti anche i
posti di Ariel, di Max e di Ylaria.
– Dove sono tutti? – chiese guardando Jak.
Questi si aggiustò meglio il piercing al naso e l’ignorò deliberatamente.
– Tom e Jessika dovevano finire di preparare il gioco. Degli altri non so nulla – l’informò
Michael accanto a lei.
Lei annuì. Stava sentendo continuamente parlare di questa gara ma, fino ad allora, aveva
capito ben poco di come si svolgesse.
– Non dovremmo fare delle prove, come a ”Giochi senza frontiere”?
– Sì. Proveremo oggi pomeriggio. E quando vedrai cosa ci aspetta resterai a bocca
aperta, credimi.
Michael la guardò con gli occhi a triglia e lei, improvvisamente, si ricordò del suo
biglietto.
– Volevi vedermi stamattina? E’ successo qualcosa? – domandò schietta.
Il bel biondino, per tutta risposta, avanzò pericolosamente verso la sua bocca.
– Ma cosa fai? – esclamò confusa, fermandolo.
La sua mano continuò fino alla guancia.
– Avevi qualcosa che deturpava il tuo bel viso. Mia dolce pulzella – aggiunse
mostrandole, con aria divertita, un grumo di sugo grande quanto una nocciolina fermo
sul suo dito.
– Non avrai pensato che ti volesse baciare! – starnazzò Miss-micro-abito-bianco ridendo
sguaiatamente.
Katia non sapeva più cosa dire.
– In effetti era quello che volevo fare, ma senza intingoli vari – dichiarò Michael
fiondandosi sulle sue labbra prima che lei avesse il tempo di replicare.
In realtà la baciò proprio sotto il naso, a qualche centimetro dalla bocca ma il grido di
incoraggiamento di Jak mostrò che l’inganno, abilmente mascherato dalle mani
dell’uomo chiuse sulle sue guance, aveva funzionato.
Labbra o non labbra quel gesto scioccò Katia che allontanò sgarbatamente il suo
pretendente. Tutta quella teatralità non le piaceva affatto.
– Eravate così carini che vi ho fatto una foto – annunciò Jak passandole il cellulare su
cui, ben in vista, trionfava quello che sembrava un bacio vero. E molto appassionato.
– Abbiamo capito che Michael ha avuto il ruolo di Ranger Love – esclamò Sofia stizzita,
alzandosi con disappunto.
– Non crederle. Tu mi piaci! – protestò l’uomo scrutandola con immensi occhi acquosi.
Sembrava stesse sempre sul punto di commuoversi. E la cosa iniziava vagamente ad
irritarla.
– In effetti un romantico cavaliere non si comporta esattamente così – lo freddò
alzandosi senza guardarlo. Voleva guadagnare un po’ di libertà ma Michael,
sorprendendola, l’aveva afferrata saldamente per un braccio.
– Non lascerò che Sofia ti ferisca così – esclamò alzando un braccio verso il suo
immaginario pubblico.
– In realtà non era mia intenzione palesarlo ma la sua condotta sleale mi impone, per
proteggere la mia bella e il mio onore, di venir meno all’etichetta di gentiluomo – recitò
pomposamente senza mai fermarsi.
La platea era ammutolita e, in quel silenzio carico di aspettativa, puntando un dito verso
l’esuberante brunetta dichiarò: – Lei parla così solo perché è gelosa. Ieri sera l’ho rifiutata
e lei, indignata, è corsa a piangere da Max!
Jak, assorto in un attenta pulizia dei suoi gingilli ferrosi, alzò di scatto la testa dal tavolo.
Il gesto fu talmente rapido da provocare un secco tintinnio.
– Non dire sciocchezze – strepitò Sofia, imporporandosi.
Nonostante il tono deciso, Katia notò come il volto già scuro di miss rompiscatole
avesse preso una tonalità in più e le mani, dotate di unghie simili ad artigli – sempre
pronti ad attaccare – tamburellavano nervosamente sul tavolo.
– Se per te chiedere il dentifricio equivale a flirtare significa che conosci davvero ben
poco dell’amore romantico, mio poetastro! – aggiunse gelida, lanciandogli
un’occhiataccia.
Prima che lui potesse replicare era già andata via, a testa alta.
C’era da costatare che, se anche stava perdendo, sapeva farlo con molta classe.
– Tu mi piaci veramente. Vuoi diventare la mia fidanzata? – le domandò Michael
prendendole entrambe le mani.
Aveva un’espressione sognante e speranzosa.
Il cuore le salì in gola. Possibile che stesse accadendo a lei? Che, con il suo fascino avesse
ammaliato quel bel ragazzo a tal punto da bruciare tutte le convenzionali tappe?
Avrebbe tanto voluto crederci ma, più forte del romanticismo, prevaleva un briciolo di
buonsenso. Michael stava senza dubbio recitando. E, doveva dargliene atto, era davvero
sfacciatamente bravo!!
– Mi dispiace ma vorrei conoscerti un po’ meglio prima. Puoi darmi un po’ di tempo?
Con un briciolo (leggi una valanga) di disappunto lui non si disperò come si sarebbe
aspettata.
– L’avevo immaginato. Forse il mio ardore è stato eccessivo – mormorò, parlando quasi
a se stesso. – Non volevo spaventarti. Prenditi i tuoi tempi per conoscermi. Io ti
aspetterò! – aggiunse con tono melodrammatico, allontanandosi a grandi falcate.
– Se vuoi un consiglio spassionato quello lì è pazzo da legare – esclamò Jak.
E, in fondo, come dargli torto?
*******
– Ecco la Travel card.
Ylaria la prese in un silenzio mistico con la stessa entusiastica gioia di un devoto che
riceva le reliquie di un santo. L’ aveva sognata per mesi ed ora, finalmente, era nelle sue
mani. Katia sarebbe stata orgogliosa di lei.
Guardò quello che per lei era un vero tesoro, in realtà era una semplice scheda
plastificata simile a quelle per telefonare o alle carte fedeltà dei supermercati ma quel
rettangolo di plastica dura aveva qualcosa che lo rendeva speciale, unico. Stampate su di
esso, in cubitali lettere dorate c’era la sigla della più grande sede giornalistica di Londra:
la Celebrity World TV.
– Abbiamo un conto aperto presso questa società di viaggio. Dagli la card e penseranno
loro al trasferimento economico – disse spicciamente la vicedirettrice Madison.
Con tutti i viaggi gratis che la ditta le pagava Ylaria immaginò che fosse proprio Maggy,
da sola, a mandare avanti quell’agenzia.
– Per maggiore sicurezza telefonerò spiegando che una mia dipendente passerà per
definire i dettagli e dare i nominativi. Tutto chiaro? – disse in tono efficiente sistemando
la giacca sulla valigia pronta.
– Solo una cosa: se mi dovessero domandare spiegazioni sul motivo della vacanza?
Maggy rise di cuore come se lei avesse detto qualcosa di tremendamente buffo.
– Mio dio, Ylaria! Sei una giornalista ora! Fà come fanno tutti! – squittì gongolando.
– E cioè? – esclamò l’altra con aria stupita.
Aveva un’idea precisa del trucco ma voleva una conferma. Ne aveva bisogno.
– Dì le solite cose. Che c’è una conferenza stampa prevista per una convenzione
internazionale sui trasporti, sull’inquinamento, sulla pace, una sfilata di moda. Quello che
vuoi insomma. E’ facile, no? – esclamò l’altra spazientita da tanta stupidità.
Se era tanto facile perché aveva finto fino all’ultimo momento di non poter finanziare quel viaggio?
pensò furiosa. Le avrebbe risparmiato tutto quel difficilissimo progetto. Tutte quelle
menzogne, quel lavoro in più.
– E il direttore, controllando, non si accorgerà che addebitiamo un viaggio vacanza tra le
spese di lavoro? – gettò lì, quasi per caso.
– Chi? Frank Logan? Ma lui è un vero sciocco! Figurati che non controlla mai queste
cose. Ti facevo più sveglia sai? – esclamò giuliva salendo sull’elicottero appena atterrato.
Quando il veicolo scomparve all’orizzonte Ylaria si sbottonò un po’ la camicia e vi infilò
una mano dentro.
Un secco clic segnò l’arrestarsi di un avvolgitore meccanico.
– Già, – mormorò guardando il piccolo registratore nero nascosto nel profondo scollo
dei suoi seni – in fondo, anche io ti facevo più sveglia – sussurrò soddisfatta.
*******
Quando Katia passò in salotto si sentiva davvero felice. Quello era stato un giorno da
ricordare: Max che aveva voluto a tutti i costi chiarirsi con lei preannunciava qualcosa di
buono e poi Michael, il bellissimo poeta maledetto, che le si era dichiarato in quel modo!
Nulla avrebbe potuto turbare quel karma positivo.
La vista di Ariel, raggomitolata in una poltrona a piangere, spense un po’ del suo brio.
Da quando quella mattina aveva saputo di Max e Sofia era letteralmente scomparsa.
Doveva essere proprio cotta, rifletté comprensiva.
D’altronde Max si era preso la briga di chiarire solo con lei quindi Ariel non poteva
sapere! Se lei l’avesse informata si sarebbe tranquillizzata e, molto probabilmente,
avrebbe messo una pietra sulla loro litigata. Quello era il momento buono per fare pace
con lei.
– Posso accomodarmi? – domandò, avvicinandosi di un passo.
La biondina si limitò a singhiozzare rumorosamente.
– Ho una bella notizia per te – disse piano prendendo posto sul sofà.
Ecco fatto, ora non doveva far altro che aspettare che Ariel si abbandonasse alla sua
naturale curiosità pregandola di continuare.
Altro singhiozzo.
I minuti passarono lenti senza che la figura accanto a sé si smuovesse dalla sua posa a
koala.
Katia provò un moto di stizza. Da quando era fra quella quattro mura nessuno sembrava
più seguire le regole che tutto il mondo aveva creato per facilitare i rapporti sociali.
Non solo il pesciolino non aveva abboccato all’amo ma continuava a nuotare in un lago
di lacrime; lago che diventava, di attimo in attimo, sempre più grande.
Doveva evitare che straripasse.
– Ho saputo delle cose stupende: Sofia stamani ci ha mentito. Quei due non stanno
affatto insieme! – dichiarò d’impeto, per frenare quel fiume in piena. Funzionò.
I singhiozzi cessarono all’istante.
Ariel sollevò di pochi centimetri la testa dalle ginocchia.
Quando Katia la vide un urlo le morì in gola. Era stravolta, pensò tristemente,
osservando le occhiaie scure che, come un fossato, si erano formate sulla pelle candida.
Come un quadro scolorito dal troppo sole così anche le pennellate azzurre dei suoi occhi
si erano stinte trasformandosi in un pallido cielo autunnale. Non aveva affatto una bella
cera.
– Ne sei… sicura? – sussurrò la ragazzina in un soffio.
Sembrava indecisa se crederle o meno.
– Ma certo! Fidati, io non ti farei mai soffrire! – aggiunse in un impeto di solidarietà.
E, mentre lo diceva, si accorse di pensarlo veramente. Se per Ariel Max era tanto
importante lei poteva benissimo farsi da parte. In fondo non lo conosceva affatto e
quella fragile creatura aveva sofferto già abbastanza nella sua vita.
– Anzi, per farmi perdonare, ti aiuterò! – esclamò folgorata dalla sua brillante idea.
– Fa-faresti questo per me? – balbettò emozionata, illuminandosi all’istante.
– Ma certo. Saremo amiche!
Ariel si mise in piedi, serissima. Stretta nel suo ennesimo maglione arcobaleno sembrava
un fantasma intrappolato in un lenzuolo troppo colorato.
– Giuralo – ordinò, porgendole il mignolo.
Oddio. Esistevano davvero delle persone che facevano quel gesto infantile.
Katia mosse lentamente la mano. Stava per stringerla quando Jak si fiondò tra loro,
separandole bruscamente.
– Cosa state facendo? Gli altri vi aspettano per le prove. Seguitemi!
– E tu da dove sbuchi? – esclamò Katia un po’ scocciata da quell’interruzione che aveva
rovinato per sempre il suo magico momento di riappacificazione.
–Vengo dalla camera di Sofia. Ha dato ordini tassativi che le squadre inizino ad
esercitarsi – esclamò iniziando a spingerle verso le scale.
– E ha mandato te a dirlo? E’ strano che miss eleganza abbia delegato ad altri questo
compito. Pensavo la divertisse un mondo comandarci a bacchetta – si ritrovò ad
osservare con rabbia, correndo per non cadere.
– Beh, lei e Max sembravano un tantino… presi. Ci raggiungeranno stasera – aggiunse
Jak facendole un significativo occhiolino. Lei lo guardò senza capire.
Non voleva mica dire che… Non poteva essere!
Ariel si fermò di botto.
– TU MI HAI MENTITO! – l’accusò ferocemente squadrandola con disprezzo.
– Ma è normale. Stiamo tutti gareggiando per un gioco. Probabilmente Karen doveva
seguire degli ordini. Non farla tanto lunga piccola – spiegò Jak dandole delle affettuose
pacche sulle spalle.
A quell’improvvisa rivelazione l’esile biondina divenne tutta rossa.
– Io ti ODIOOO! Sei una persona meschina e spregevole!! – gridò a pieni polmoni.
Stava per voltarsi ed andare via ma Jak, con un unico, veloce movimento, la sollevò da
terra, caricandosela sulle spalle come un sacco.
– Sono stufo di gente che gira sui tacchi e se ne va. Questo è un gioco e bisogna seguirlo
– borbottò seccato, avanzando veloce per il corridoio.
Entrò spedito nell’ultima stanza a destra.
Katia lo seguì. Lei era già stata in quella stanza e, affacciandosi con Ylaria, aveva potuto
ammirare l’immensa discesa davanti a loro e la ancor più grande montagna di fianco a
loro.
– Io non stavo seguendo il gioco. Credimi. Davvero volevo aiutarti! – provò a spiegare
ma Ariel si era chiusa le orecchie con le mani.
– Non ti devi giustificare Baby. Non è mica colpa tua! Anzi, ti dirò, avresti fatto una cosa
sensata – dichiarò Jak aprendo una porta con un calcio.
– Non so te, ma io ci tengo davvero a vincere, soprattutto dopo tutto l’impegno che è
stato messo per rendere il Love Game così bello – affermò fermandosi e guardando in
alto.
Katia rimase di sasso.
Davanti a lei, in una specie di mastodontica grotta naturale alta una ventina di metri era
stato ricreato un vero tempio romano, con tanto di timpano, gradini e un lungo
colonnato interno. Ogni colonna era costituita da un’unica, avvolgente spirale floreale
che, ruotando su se stessa, arrivava fino al soffitto.
Avanzò piano, suggestionata dal silenzio che permaneva ovunque.
– Ma dove siamo? – esclamò incredula.
Un debole eco le rimandò un mormorio insensato.
– Siamo al centro della montagna – l’informò Michael guardandola con occhi sognanti.
Per l’occasione aveva raccolto la lunga chioma bionda in un basso codino e tutto il viso
sembrava averne guadagnato. Ora, non più nascosta dalla dorata criniera, apparivano in
tutto il loro splendore la fronte aristocratica, gli zigomi affilati come rasoi e un naso
perfetto, piccolo e all’insù.
Se lei avesse fatto lo stesso sarebbe apparse le orecchie a sventola e gli occhi troppo
vicini.
– Lascia che sia il tuo anfitrione – mormorò poi gettandosi sulla sua mano per darle un
veloce baciamano.
Katia sbuffò lievemente ma l’improvvisato cavaliere non diede cenno di accorgersene.
– In origine questa era una piccola cavità naturale. La grotta originale ha oltre duecento
anni ma solo ultimamente è stata ampliata artificialmente. Attualmente è lunga
centoottanta metri ed alta quasi venti. A quanto pare il proprietario dello chalet ha
costruito l’edificio a ridosso dell’entrata per averne un accesso esclusivo. L’idea era di
creare un salone. Per evitare che l’oscurità e l’umidità rovinassero il progetto sulla cima
di una parete, in alto, sono state fatte decine di piccole finestre decorate – dichiarò
indicando un punto altissimo alla sua destra.
Più che finestre quelle erano lunghe vetrate simili a quelle che adornavano le chiese.
– Belle vero?
Ma Karen non lo ascoltava più. I suoi occhi erano rimasti ammaliati dalle fette di luce
che, entrando dagli altissimi, stretti ritagli di vetro, tagliavano l’area come centinaia di
oblique lamine dorate pronte a squarciare la tremula atmosfera della sala.
L’effetto era quello di trovarsi in un’immensa cattedrale su cui aleggiava un’aurea mistica.
A rafforzare la sensazione di essere in un luogo sacro c’erano i migliaia di boccioli e
piccole roselline bianche, che, colpite dal sole, splendevano di un accecante candore.
Il risultato era che le colonne apparivano simili ad aristocratici colli impreziositi da fitti
fili di perle bianchissime.
Davanti al tempio, piccolissima rispetto alla mastodontica costruzione, appariva una
specie di piccola cappella ornata da centinaia di ciclamini. Un lilla tenue e delicato
affiorava a grappoli dagli archi verdi, rivestendo interamente la cupoletta.
Ai due lati della stanza, ad intervalli regolari, dalla nuda roccia sporgevano statue di
delicati serafici putti. Tutti reggevano in una mano una lucente sfera e nell’altra una
lunghissima ghirlanda di tulipani.
Ogni statua aveva una posa diversa ma un eguale espressione meravigliata, con la bocca
appena schiusa in un grazioso, genuino stupore. Ed infine, in fondo a quelli che
dovevano essere oltre cento metri di sala splendevano, ai due lati della costruzione, due
cascate gemelle che si riversavano in un laghetto sottostante.
– Ma è… è tutto vero? – esclamò Katia dandosi un pizzicotto mentre avanzava.
Ariel iniziò a correre ovunque con un’espressione di pura gioia. Stava tornando l’allegra
peste che aveva conosciuto.
– Avrete modo di guardare ogni pezzo per ore. Iniziamo a provare – urlò Jak
richiamandole.
Solo allora le due fanciulle si avvidero che, sistemate ai lati del portone, erano state
portate le due bighe bianche con ai lati complicati intarsi dorati.
– Il gioco è semplice – esordì Tom afferrando un lungo palo sporgente della costruzione
mentre Jak contemporaneamente ne sollevava l’altro.
– Tu sali sulla biga e ti fai scarrozzare da noi fino al laghetto.
Lei guardò il lungo percorso annuendo.
– Una volta giunta alle cascatelle noi ci fermeremo. Lì, Karen, entri in gioco tu.
– Cosa devo fare? – domandò salendo sullo strano mezzo. Si sentiva molto Ben Hur.
– Al bordo del lago ci sono due ceste con dei vestiti dentro. Devi prenderne una e
correre indietro fino al tempio.
Katia valutò la distanza. Era una bella corsetta ma poteva farcela. Si guardò i piedi.
Fortunatamente per quel giorno aveva indossato una mise sportiva e le sue scarpe
preferite: delle morbide ballerine.
– Al centro di esso troverai due piedistalli più corti. Sali su quello alla tua destra e vestiti
con il costume romano.
– Questo è tutto?
– No. Quando sarai completamente pronta getta la cesta davanti a te. Quello è il segnale.
Noi partiremo per riprenderti. La meta finale è la cappella. Vince la squadra che entra
con tutti i giocatori per prima in essa.
– Siete Pronti?! – gridò una voce che lei riconobbe come quella di Ylaria.
Katia si voltò. Presa com’era dalle spiegazioni aveva quasi scordato la presenza della
squadra avversaria. Vide una Ariel euforica in piedi sul calesse. Michael e Jessica erano
stati scelti come portantini.
– Al mio tre: Uno. Due. Tre. VIAA!
*******
– Allora? – domandò Sofia stendendo svogliatamente un altro strato di smalto, il terzo
per l’esattezza, sul pollice curatissimo dopo di ché, per constatare meglio il risultato,
stese al massimo le sue chilometriche gambe verso la luce del sole.
– Belle notizie. La Madison non solo ha approvato il progetto ma ci ha anche rilasciato il
finanziamento. Il premio promesso non è più una chimera.
La donna ora si era spostata davanti ad uno specchio intero. Sembrava presissima da sé
stessa ed, apparentemente, incurante di tutto il resto. Max la vide ingaggiare una
silenziosa lotta con la sua minigonna in pelle. Per quanto si sforzasse di allungarla con le
mani il mini indumento, non appena veniva liberato, come un prigioniero pentito,
ritornava veloce sui suoi passi, fermandosi sicuro sui sinuosi fianchi, quasi orgoglioso di
coprire appena quel tesoro nascosto.
Massimo guardò allora la magliettina aderente dal cui scollo tracimavano due seni
esplosivi. Non capiva come mai Sofia si desse tanto pena di vestirsi dato che i risultati
erano molto simili ad un nudo.
Un nudo mozzafiato pensò, osservando cupidamente quel corpo esplosivo.
– Mi stai ascoltando o no? – sbuffò, indispettito più dalla propria debolezza che non dal
silenzio della ragazza.
Sofia gli si avvicinò e, sedendosi sinuosa di fronte a lui, accavallò le gambe in una
strabiliante imitazione di Sharon Stone ai tempi di Basic Instinct. A quel gesto la
gonnellina schizzò irrimediabilmente su.
– Maggy Madison è una donna in gamba, un’arrampicatrice sociale… tu pensi davvero
che non abbia scoperto nulla? – chiese con voce tremendamente sensuale.
Due occhi di brace lo catapultarono in uno dei suoi sogni proibiti più belli.
Max trattenne il fiato. Era venuto in quella stanza con comandi da capo ed ora si
ritrovava completamente assoggettato in balia di quella fascinosa creatura.
– Siamo stati bravi. Non ha scoperto nulla – dichiarò fermamente, cercando di
riappropriarsi del suo tono da leader.
– O forse la signora era così presa dalle sue continue telefonate a dallo scrivere al
computer da non avere il tempo per indagare – sussurrò Sofia avvicinando di qualche
centimetro il viso al suo.
Bingo. Fortunatamente per loro la Vicedirettrice del Celebrity World era una donna
oberata di lavoro. Probabilmente se avesse avuto più tempo libero non sarebbero riusciti
a cavarsela.
– C’è andata bene. Questo è vero. Ma non è per questo che sono venuto qui – esclamò
duramente Max, staccandosi velocemente da lei.
Sofia, intuendo che la sua malia si era dissolta, si allontanò cautamente per dedicarsi al
make-up del viso.
– Allora cos’è successo? – mormorò qualche minuto dopo passandosi veloce l’eyeliner.
Max sfogliò pigramente il libro di cuoio rosso che aveva estratto dalla giacca senza
rispondere. Passarono pochi, lentissimi attimi.
Una riga nera deviò leggermente dalla consueta strada. Sofia alzò gli occhi al cielo,
tamponando l’errore e poi, richiudendo velocemente il pennellino, passò al rossetto.
Anche questo però non sembrava andare a dovere. Al terzo tentativo si girò di scatto
verso il compagno gridando:– Sono ore che siamo chiusi qua dentro a parlare del più e
del meno. Questa è l’ultima volta che te lo chiedo, dopo di ché me ne andrò: perché hai
indetto questa riunione sul Love Game? Qualcosa non va?
Massimo chiuse con forza il testo davanti a sé.
– Devo dartene atto: ti stai impegnando davvero tanto per adempiere al tuo ruolo. Ho
notato la tua azione di ieri a pranzo: dare addirittura uno schiaffo a quella ragazza…non
pensavo che arrivassi a tanto! Devo proprio complimentarmi con te – dichiarò
avvicinandosi.
– Grazie. In effetti ho dovuto improvvisare – mugugnò soddisfatta.
– Non proprio a malincuore, credo – gettò lì massaggiandole piano le spalle.
La donna finse di non aver sentito.
– E stamattina? Che ci facevi nel mio letto? – continuò imperterrito, sporgendosi oltre la
nuvola di capelli. I suoi occhi furenti scintillavano sul volto imperturbabile.
– No comment. Sai che non posso rivelarti i miei piani.
– Quindi immagino fosse necessario per il gioco – ipotizzò.
La donna non smentì, né annuì.
– E dimmi, – esclamò stringendo con più forza la presa – era necessario anche quel
foglietto che ti ho visto scrivere ieri sera e che, stranamente, stamattina Karen aveva in
mano. Giusto?
Un improvviso contrarsi dei muscoli sotto le sue mani dimostrò quanta tensione
percorresse quel corpo snello. Il volto invece era innaturalmente calmo.
– Hai molta fantasia. Io non centro.
Lui la scrutò ma non avrebbe saputo capire se mentisse o meno.
– Finora sei stata magistrale. Perfetta. Maniacale oserei dire… ma
– Ma… cosa? – fremette lei, improvvisamente irrequieta.
– Ma, come tu ben sai, stiamo giocando con dei sentimenti umani quindi…
Sofia si girò di scatto, fissandolo burrascosa.
– Cosa stai cercando di dirmi? Sii chiaro! – lo assalì con grinta.
Lui la guardò cheto, quasi impassibile. – Non ti starai un po’ accanendo?? – domandò
fulminandola.
Lei si alzò stizzita.
– Io sto facendo solo il mio dovere – dichiarò sfidandolo a controbattere.
– Davvero? Mi sono informato sai. E ho scoperto alcune cose davvero interessanti su di
te.
Ora la donna era impallidita.
– Perciò mi è venuto un dubbio. Non è che, per caso, stai usando il ruolo che ti è
toccato per farti passare qualche sfizio? Tipo… una vendetta personale?
– Ti stai sbagliando di grosso! Non lo farei mai! – esclamò con occhi fiammeggianti.
Man mano che lei si accaldava il suo antagonista riacquistava calma e controllo.
– Hai ragione. Anche perché a fine gioco tutti leggeremo la trama e non avrebbe avuto
senso calcare la mano perché tutti se ne accorgerebbero. DOPO. – esclamò Max
sorridendole.
Lei incassò il colpo
– Posso darti un consiglio spassionato? – disse lui toccandole delicatamente una spalla.
– Non è affatto necessario che ci vai giù così dura. Rilassati.
– Io sono calmissima.
– E non ti farai provocare? Riuscirai a scindere i sentimenti personali da quelli del gioco?
– Ma certo. Io sono una persona seria.
– Bene. E’ questo che volevo sapere.
Detto ciò Max raggiunse la porta con poche decise falcate. Senza accorgersene Sofia tirò
un sospiro di sollievo.
– Un’ultima cosa! – aggiunse, fermandosi di botto.
– Se non sbaglio c’è una persona tra noi a cui tu stai, diciamo, ”particolarmente” a cuore.
Come immagini che abbia preso questa notizia di noi due?
Lei si strinse leggermente nelle spalle
– Non bene. Sta facendo in modo di ingelosirmi ma io non ci casco – mormorò a denti
stretti.
– Bene. E’ a questo che volevo arrivare. La sofferenza di questa persona non era prevista
dal racconto, quindi, ergo, non era necessaria. Ma tu questo non lo sapevi. Giusto? –
l’apostrofò tagliente. Non c’era traccia di buonismo nel suo tono glaciale.
Sofia annuì debolmente chinando la testa.
– Quindi mi aspetto che, ora che lo sai, il tuo atteggiamento cambi. Da ora in poi niente
più ripicche che non siano espressamente previste dal Love Game. Pena: la tua
esclusione dal gioco. Chiaro?.
*******
Alle otto di sera la tensione nello chalet era arrivata alle stelle. Al di là degli intrighi
mentali previsti dalla trama quella era la prima vera prova fisica del gruppo. Non solo il
risultato era totalmente imprevisto ma, dopo di esso, per la prima volta, una squadra si
sarebbe portata in vantaggio sull’altra. Quella sera avrebbe segnato un passo in avanti nel
tragitto verso l’America.
Dopo i primi dieci minuti di finto autocontrollo Katia si lasciò completamente andare
alla disperazione. E se non ce l’avesse fatta? Se avesse fatto perdere la propria squadra?
– Devi rimanere calma. Nelle prove sei stata eccezionale – la confortò Jak indossando la
sua corta toga imitato da Tom.
– Non sempre. Un paio di volte sono inciampata.
In realtà era finita lunga sulla nuda pietra. Il graffio che si era procurato le faceva ancora
molto male. L’unica consolazione era stato vedere Michael precipitarsi al suo fianco
visibilmente turbato. In effetti, dovette ammettere, il ragazzo stava recitando davvero
bene.
Per tutto il pomeriggio, durante le prove, le sue attenzioni erano state un continuo
crescendo.
Sul versante totalmente opposto erano i rapporti con la piccola sirenetta bionda. Ariel
infatti, nonostante lei si fosse sforzata in tutti i modi di parlarle, non solo non sembrava
apprezzare la sua buona volontà ma evitava con cura anche solo di guardarla. Dopo quel
pomeriggio insieme poteva dire tranquillamente che il loro rapporto era in caduta libera.
Anzi, si era sfracellato sulle rocce.
Si ripeteva che la cosa non avrebbe dovuto toccarla più di tanto ma non riusciva ad
arrendersi all’idea che erano stati solo degli equivoci ad allontanarle, e che, chiarendosi,
sarebbero potute essere ottime amiche.
Era ancora immersa in questi pensieri quando Max e Sofia entrarono nell’immensa sala.
Le bighe furono all’istante portate dietro una linea bianca che prima non aveva notato.
– La nostra vittoria dipende molto da te. Lo sai? – la informò Max, aiutandola a salire.
Come poteva non saperlo?
– Farò del mio m–meglio – si ritrovò a balbettare, odiandosi per la propria goffaggine.
Non era sicura ma con la coda dell’occhio le era sembrato che Tom avesse alzato gli
occhi al cielo in un improvviso gesto di muta disperazione.
La considerava forse un’ochetta senza spina dorsale?
Se continuava così non sarebbe riuscita a conquistarlo.
Guardò di sottecchi Ylaria. Lei sì che si stava davvero impegnando per vincere. Per tutto
il pomeriggio era stata sempre a suo agio nel ruolo di signorina snob ed era stata
altrettanto perfetta nella competizione atletica. Era un modello, al contrario di lei che
non riusciva a cimentarsi in entrambi i ruoli senza impazzire.
Devo impegnarmi al massimo, devo impegnarmi al massimo, si incitò.
Dopo tutto quello che l’amica aveva fatto per lei non era giusto che lei fosse da meno.
Se ci teneva davvero ad andare in America doveva smetterla di sciogliersi davanti a Max
e mostrare più interesse per Tom o, almeno, compiere un atto degno della sua lode.
Decise all’istante che, questa volta, ce l’avrebbe messa davvero tutta.
Quella era la sua occasione per farsi apprezzare.
Dal centro della sala echeggiò la voce altisonante di Max.
– Io sarò allo starter. Sofia invece sarà nel tempio a controllare che le ragazze si vestano
con tutti i pezzi prima di gettare il cesto. Tutto chiaro?
Un sii corale riempì la grotta.
– Bene. Al mio tre abbasserò la bandierina e le squadre partiranno.
Calò un silenzio agghiacciante e poi, finalmente, si udì: – Uno. Due. Tre: Viaa!
Tom e Jak iniziarono a correre veloci come non avevano mai fatto in tutta la giornata.
Katia si afferrò saldamente per non cadere.
Dall’altro lato Ylaria e Michael stavano facendo del loro meglio ma, anche se Ariel era
decisamente la più leggera da trasportare, lentamente stavano perdendo terreno.
– Forza ragazzi! Li stiamo staccando! Non mollate! – gridò euforica.
Tom grugnì per lo sforzo. Jak non diede segni visibili di aver udito, ma pochi istanti,
dopo la biga accelerò ancora.
All’inizio del tempio i rivali erano poche spanne dietro di loro ma, quando arrivarono al
lago, avevano guadagnato quasi venti metri. Katia afferrò al volo la cesta ed iniziò a
correre. Doveva andare davvero forte perché sentiva Tom e Jak incitarla come non mai.
Sembravano euforici.
Ce la stava facendolo!
In un lampo percorse i cento metri che la separavano dal piedistallo e, trionfante, iniziò a
vestirsi mentre Ariel arrivava al lago.
E’ fin troppo facile così! si disse, infilandosi velocemente i calzari dorati, la collana da
cerimonia, gli orecchini. Tuffò la mano per il pezzo principale: la toga bianca ricamata da
Ylaria e, improvvisamente, si accorse che la cesta era vuota. Mise la testa dentro. Niente.
Sofia, affianco a lei, sorrideva perfidamente.
– Dove l’hai messa? – le urlò in preda alla disperazione.
L’altra allargò la bocca in un ghigno di soddisfazione.
– Io non centro affatto. E’ tutto merito tuo. L’hai persa per la strada – gongolò
indicando compiaciuta un punto lontanissimo.
A terra, quasi vicino al lago, c’era un’informe massa bianca. Ed Ariel era quasi arrivata a
metà del tragitto di ritorno.
– Oh, noo!!
– Se ti sbrighi puoi ancora farcela – la incitò Sofia.
– Ad arrivare ultima, naturalmente! – sbottò iniziando a ridere crudelmente.
Katia sentì il furore scorrere come lava incandescente nelle vene.
Non poteva rimaner lì inerme a compiangersi ma, soprattutto, a farsi deridere. Anche se
sicuramente avrebbe fallito avrebbe perso provandoci. Almeno questo lo doveva ai suoi
compagni.
Iniziò a correre come una pazza con lo sguardo fisso a terra nel vano tentativo di non
guardare le facce di Tom e Jak. Anche da tanto lontano leggeva la loro disapprovazione
negli occhi. Avevano tentato di avvisarla in tutti i modi ma lei, stupida, non li aveva
proprio ascoltati, presa com’era dalla sua autocelebrazione.
Incrociò Ariel. La gara era decisamente persa, pensò superandola. Chiusa per sempre.
Il cuore le martellava fortissimo per la delusione. Decise di ignorarlo.
Dopo quello che le parve un secolo vide la nuvola bianca sulla pietra nerissima e l’afferrò
con una gioia indescrivibile. Quando riprese la via del tempio Ariel era in piedi sul
piedistallo intenta a perfezionare gli ultimi cimeli.
Forse si era imbrogliata con i pezzi o ne aveva perso anche lei qualcuno, mormorò un
fievole sussurro dentro di lei. L’ultima, esile speranza, si frantumò come uno specchio al
suolo quando, un attimo dopo, vide la cesta di vimini volare in alto e atterrare sul lucido
marmo con un clangore fortissimo.
Dietro di lei uno stridio di ruote invase l’aria: Michael e Ylaria erano partiti.
E lei era spacciata.
Una voce nella sua testa le disse di arrendersi. Oramai era tutto finito. I suoi piedi,
obbedendo ad un ordine superiore, iniziarono a rallentare sempre di più.
Voleva disperatamente fermarsi ma farlo significava ammettere la sconfitta.
Nell’attimo in cui le sue gambe stavano per immobilizzarsi definitivamente una nuova,
vigorosa scossa la percorse da capo a piedi. Avvertì come un boato esplodere nel suo
cervello.
Lentamente, quasi zoppicante, riprese il ritmo. Destro. Sinistro. Ancora destro.
La vista le si stava annebbiando ma oramai non le importava più di niente. L’unica cosa a
cui riusciva a pensare e a vedere erano i suoi piedi.
Tutt’intorno era sfocato. Sentì le grida dei compagni e questa volta udì le loro parole. La
stavano incoraggiando!!
Forse volevano solo vederla stramazzare al suolo, si disse sconsolata, percorrendo
ansimante il colonnato. Salì quasi strisciando sul piedistallo ed infilò mestamente l’ultimo
indumento.
Ecco! Ora potevano deriderla tutti! Pensò alzando gli occhi appannati ma fieri davanti a
sé.
– Devi gettare la cesta! – disse nella sua testa la voce di Ariel.
Lei, automaticamente obbedì. Solo quando avvertì le grida di gioia di Jak e Tom iniziò a
sfregarsi con forza le palpebre. E quello che vide la spiazzò.
La loro biga stava avanzando mentre, fermi su un lato della pista, c’erano Yessika e
Michael intenti a fare qualcosa.
– Che sfortuna che la ruota sia esplosa – mugugnò Ariel, ancora in piedi sul podio
affianco.
– Già – mormorò Sofia con aria davvero infelice.
– Ecco. Ripartono!! – gridò Ariel saltando di gioia.
Katia si affacciò per seguire la gara ma la testa prese a girarle vorticosamente. Iniziò a
vedere doppio, poi triplo. Sentì il suo nome e si mosse o, forse, cercò di muoversi. Una
nebbia era calata su di lei. Le immagini che vedeva si susseguivano confusamente come
un film montato a scatti. Vide Max, i suoi piedi, un flash confuso, poi altri piedi. Flash. Il
viso di Tom. Flash. Dei fiori e poi più nulla. Un nero cieco e assoluto.
*******
Quando riaprì gli occhi era in salotto. In apparenza sola.
– Ti sei svegliata finalmente. Ci hai fatto davvero spaventare molto – esclamò Max
alzandosi dalla sedia accanto per abbracciarla.
Il suo cuore fece una capriola: era preoccupato per lei!
Fu solo l’attimo dopo l’esultanza che la sua mente le ricordò di lasciare perdere Max. Era
Tom il suo obiettivo. E non doveva scordarlo.
– Cos’è successo? – chiese quando lui si staccò dalla presa.
I ricordi della serata erano molto confusi. Nella sua testa un turbinio di colori e suoni
sostituiva quella che doveva essere stata la fine della competizione.
– Abbiamo vinto? – domandò in un sussurro.
In fondo in fondo lei aveva sempre creduto nei miracoli.
Max le accarezzò dolcemente una guancia mentre scuoteva negativamente la testa.
E aveva sempre sbagliato. Perché continuava ad illudersi? Lei non era tipo da happy end.
– Allora tutti ce l’avranno con me per la sconfitta?
Senza volere l’aveva detto ad alta voce. Ma, in fondo, non le importava più di essere
diplomatica quando, oramai, la sua più grande paura si era realizzata: non solo non era
stata eccezionale ma aveva anche fatto perdere la squadra. Ora sì che era nei guai
– E chi ti ha detto che abbiamo perso? – esclamò Max aggiustandole un capello dal viso.
Se credeva di essere spiritoso cascava male. Lei non aveva voglia di ridere.
Lui lasciò la ciocca sulla fronte e iniziò a lisciarle delicatamente la chioma mantenendo
un’aria divertita. La trattava con condiscendenza, si disse furiosa, come si fa con un
cucciolo piccolo ed indifeso.
– Non prendermi in giro. Non sono stupida sai! – sbottò
– Non lo faccio, credimi. Tu ci hai salvato – e chinandosi rapido sulla sua fronte le
schioccò un bacio. – Grazie di cuore Karen!
Adesso Katia era non solo confusa ma anche tremendamente imbarazzata.
– Io non capisco…
– Pa-ri-tà – scandì raggiante.
– Siamo arrivati nello stesso istante nella cappella.
Provò a ricordare qualcosa ma senza riuscirci.
– E poi io… – esordì cercando un elemento a cui appigliarsi.
– Sei svenuta per la stanchezza – precisò Max mimando con una mano una caduta libera.
– Sei stata fantastica. Tutta la squadra ti adora!
– Anche Tom? – chiese d’impulso. E subito se ne pentì. A quel nome Max sembrò
rabbuiarsi per un secondo ma, forse – osservò molto più ragionevolmente – era solo la
stanchezza che le faceva vedere strane ombre.
– Sì, anche lui – concluse l’altro.
– Sai, sembra un tipo così compito, serio, posato. Ci terrei che si facesse una buona
opinione di me – spiegò per fargli capire le sue intenzioni.
– Se posso darti un consiglio: io non crederei ciecamente ai suoi modi di fare – esclamò
l’altro, meravigliandola.
– A quanto so il suo vero carattere è ben diverso.
Katia avrebbe voluto saperne di più ma all’improvviso la porta si spalancò e apparvero
Michael e Ariel. Stranamente la biondina le sorrideva. Avanzò con una rosa bianca in
mano e glie la pose delicatamente sui capelli.
Doveva essere il suo modo di fare pace, pensò Katia.
Michael invece, chino alla sua sinistra, le afferrò saldamente le mani e poi, con grazia, le
stampò sui dorsi piccoli baci.
– Cosa diavolo succede? – grugnì Sofia quando, entrando, scorse il quadretto.
Sembrava incavolata nera.
– Smettila di essere così acida! – le urlò contro Ariel con viso duro.
L’altra rimase paralizzata dal rimprovero.
– Non sto parlando con te. Quindi, cortesemente, non intrometterti più – l’ammonì
brutalmente la donna poi, ignorandola deliberatamente, concentrò tutto il suo
disappunto su Michael.
Katia vide l’indifferenza del ragazzo mutarsi in qualcosa, forse fastidio o semplicemente
rimorso, non avrebbe saputo dirlo. Si ritrovò a pensare che, forse, effettivamente, tra i
due ci fosse stato qualcosa.
– Basta litigare. Gli altri ci aspettano al bar – si intromise Max.
– Questa sera lasciamo lo chalet per mangiare fuori quindi andate a farvi belle – concluse
spingendo le ragazze verso le scale.
Katia si sentì felice. Da quando erano arrivate non aveva visto nulla al di fuori di quella
casa straordinaria con quei compagni eccezionali. Vedere gente normale l’avrebbe aiutata
a tornare con i piedi a terra.
– Vado a cambiarmi – esclamò, scendendo dal divano.
– Karen. Tu no.
Lei si bloccò. Vogliono punirmi, pensò prima di riuscire a razionalizzare.
– Non fare quella faccia, o mia diletta. Tu puoi scegliere se unirti a codesto gruppo o
trascorrere una soap-dinner – l’informò il poeta, sorridendole.
– Una soap che? – domandò incredula, guardando ora Max ora Michael.
– E’ una cena speciale inserita tra gli splendori della casa. E’ toccata a me e, potendo
scegliere una compagna ho dato il tuo nome, Baby – disse Jak entrando.
Anche se le borchie d’acciaio su naso ed orecchie erano quelle di sempre avvertì che
c’era qualcosa di diverso in lui. E poi, guardando meglio, capì.
Non era una trasformazione interna la sua ma un esteriorissimo cambio di look. I capelli
a spazzola erano stati modellati in una sorta di riga lucente ed i maglioni informi e larghi
sostituiti con un completo gessato dal taglio perfetto. E costoso.
Quando avanzò nella foresta Katia notò come procedesse con un’ innata eleganza, senza
tradire alcun impaccio.
Che fine aveva fatto il teppistello da strada che aveva conosciuto?
– Vedo che ti ho stupito. Se accetterai di passare la sera con me ti prometto che rimarrai
piacevolmente sorpresa. So essere un vero gentleman quando voglio – dichiarò
strizzando bonariamente un occhio con la solita aria di scherno.
Katia lo fissò interdetta. E se l’Uomo-Chiodo avesse sofferto di personalità multipla?
Non era sicura di volere conoscere anche questo suo aspetto.
– Ma puoi sempre unirti a noi se vuoi – l’invitò Michael con trasporto. Ed, era una sua
impressione, o una luce di speranza aveva illuminato i suoi occhi?
– Già. Non sei obbligata a restare – confermò Max con altrettanto fervore.
Questa le sembrava la soluzione migliore.
– Allora venite? – esclamò una voce lievemente alterata.
Ariel era già pronta. Per l’occasione aveva abbinato un top di ciniglia rosa interamente
ricoperta di paiette ad una stretta gonna di jeans che risaltava il suo fondoschiena
perfettamente tondo mentre la maglia, finendo di poco sopra l’ombelico, scopriva una
pancia piatta su cui brillava un brillante rosato.
Katia stava per farle un complimento quando notò la sua espressione rabbuiata.
Sembrava nuovamente in collera con lei.
– E Sofia? – domandò Max.
– Sono qui – echeggiò una voce, seguita da un maestoso incedere.
Fasciata in un mini abito nero aderentissimo l’ultima arrivata, avanzò ondeggiando sicura
come una miss che sfili ad un concorso di bellezza.
D’altronde, constatò Katia con amarezza quando le due furono vicine, sebbene
diversissime come il sole e la luna, entrambe erano magnifiche, la prova vivente che
esistevano due bellezze estreme: algida e delicata la prima, calda e prorompente la
seconda.
– Non avrai intenzione di venire anche tu? – tuonò stridula Sofia.
Ariel lanciò un’occhiata di sfuggita alla stanza ma, lei ne era certa, si soffermò un attimo
in più su Max.
Katia sbuffò piano. Immaginava già come sarebbe potuta andare la serata tra le grinfie
(anche se accuratamente curate e smaltate) di due ragazze gelose.
Il suo cervello prese a lavorare febbrilmente e, come già immaginava, non c’erano molte
alternative: era meglio che lei si tirasse fuori da quello strano gioco di coppie prima che
la situazione degenerasse.
Lasciare Max le costava un po’ ma, si ripeté, doveva agire in funzione del gioco.
In passato aveva sempre seguito il cuore, questa volta avrebbe usato la testa.
– No. Voi andate pure. Io resterò qui con Jak – dichiarò alzandosi.
– Voglio proprio vedere se riuscirai a stupirmi – esclamò dandogli la mano.
Jak le lanciò un sorriso disarmante ed, insieme, uscirono dalla sala.
*******
Nell’immensa casa vuota i rintocchi delle la pendola risuonarono sinistri sino a spegnersi
nel silenzio ovattato.
– Sono già le nove. Pensi di riuscire a completare l’opera per dopodomani? – domandò
Ylaria corrugando la fronte.
Tom si appoggiò stancamente alla parete. – Ti ho già detto e ridetto di sì. Si può sapere
come mai sei così nervosa stasera?
Una canzone di Britney Spears si diffuse nella stanza. Ylaria aprì il suo cellulare il più
velocemente possibile e la musichetta cessò all’istante.
– Corinne, che piacere sentirti! – gridò gioiosa mentre con il pugno chiuso sollevava
l’indice medio verso l’apparecchio.
Tom trattenne un sorriso.
– Ma certo che siamo perfettamente in regola. Io sono venuta qui apposta per
controllare tutto. Sarà una serata indimenticabile!
All’improvviso la ragazza si rabbuiò.
– Ma... – balbettò.
– … lo so che essendo tutto pronto si potrebbe già parlarne ma eravamo rimaste
d’accordo di mantenere la sorpresa. Anticipare l’evento ridurrà l’effetto.
Doveva assolutamente fare qualcosa.
Pensa. Pensa. Pensa!!
– Se è questo che vuoi preparo subito il servizio. Sarà in stampa per domani mattina.
D’altronde, – esclamò con falsa calma – tu sei così bella e famosa da non aver bisogno di
primeggiare su altre donne. Di certo, con un preavviso tanto breve, neppure Christy
Logan riuscirebbe ad imitarti.
Silenzio dall’altra capo del filo.
Entrambe sapevano benissimo che Chris, la storica rivale di Corinne, era famosa per la
sua capacità di stupire. In passato era stata in grado di far scattare sull’attenti mezzo
mondo pur di realizzare al volo un suo capriccio.
Tom vide che all’improvviso la ragazza iniziò a lanciare pugni di trionfo in aria,
dimenandosi come una ballerina in discoteca.
– Benissimo… se e è questo quello che vuoi… – proclamò con tono laconico, quasi
dispiaciuto, mentre contemporaneamente un sorriso trionfante le si stampava in faccia.
– A presto allora! – concluse riattaccando.
– E’ lei il motivo di tanto panico? – domandò Tom.
– Già. E’ tutto il giorno che mi tempesta di chiamate. A quanto pare la Madison le ha
fatto racconti entusiastici dell’operato ed ora lei non stava più nella pelle. Voleva vedere
tutto con i propri occhi – mormorò afflitta, passandosi una mano sulla fronte.
Non era sicura di reggere per altri quattro giorni a quei ritmi.
– Mi sembra giusto. In fondo ha pagato perché la serata sia speciale. La prima nella
storia del suo genere. Anch’io, fossi in lei, vorrei controllare di persona che tutto sia stato
fatto a regola d’arte.
– Non ti ci mettere anche tu! L’unica idea che quella donna ha dell’arte sono i diamanti
incastonati nei suoi gioielli. Fidati, senza di me sarebbe persa! – esclamò crollando su una
sedia.
Ma Tom non l’ascoltava più. Si era allontanato lentamente.
– Devo rimettermi al lavoro. Tu oramai non mi servi più quindi se vuoi puoi raggiungere
gli altri – borbottò.
Ylaria si rialzò con rinnovata energia e afferrò al volo borsetta e cappotto.
– Sicuro che non ti dispiace restare da solo? Gli altri sono andati al pub del paese.
Potresti sempre raggiungerci dopo per un bicchierino della staffa – suggerì tanto per non
sembrare scortese. Parole al vento. Tom le aveva voltato le spalle e sembrava
completamente perso nei suoi compiti.
Oh. Al diavolo, pensò correndo via. Quell’uomo era di una diligenza impressionante. Non
riusciva proprio a prendere le cose con un po’ di calma.
*******
Quando Katia entrò nella sala del tempio era calata la notte oramai.
Ovunque era buio pesto. L’atmosfera divenne magica quando, ad un gesto di Jak, le due
lunghe pareti della grotta furono rischiarate da decine e decine di lampioncini rotondi,
simili a spettacolari perle di luci, saldamente strette nelle mani dei cupidi scolpiti.
– Caspita!!! – fu l’unica cosa che le riuscì di dire.
– Ed aspetta di vedere il resto! – esclamò Jak premendo un altro piccolo tasto laterale.
Immediatamente, dal centro della sala, una ragnatela di luce avvolse il piccolo gazebo
davanti al Tempio. Sembrava che un milione di lucciole si fossero date convegno tra i
decori floreali. Per l’occasione, all’interno dell’edificio, era stato posto un tavolino
rotondo in ferro battuto con ai lati due eleganti poltroncine coperte di cuscini
bianchissimi.
Una serie di cupole d’argento copriva le varie portate. Era tutto molto chic.
– Stappo lo champagne?
Katia lo guardò in tralice. Immobile sotto quella cupola di verde, con delicati grappoli
vermigli che scendevano armoniosamente lungo gli archi laterali creando volte colorate,
per la prima volta si sentì una pedina in un gioco più grande di lei. Era tutto
maledettamente perfetto.
La cena fu spettacolare. Disposti su piatti di finissima porcellana erano state disposte
delle vere e proprie creazioni culinarie. Tutte le portate sembravano appena uscite da un
albergo a quattro stelle e, cosa ancora più eccezionale, il suo unico timore e cioè che un
profondo imbarazzo trasformasse la serata in una sorta di film muto, si era
completamente dissolto davanti alla loquacità del suo cavaliere.
In realtà ora l’unico piccolo, piccolissimo neo era che, da quando aveva iniziato a parlare,
circa un’ora prima, Jak non era più riuscito a smettere. Quel cicaleccio, all’inizio
rilassante, ora l’assordava.
La voce del compagno le ronzava nell’orecchio come una radio mal sintonizzata da cui
ogni tanto riusciva ad afferrare solo stralci di parole …
– Bzz … so cucinare davvero divinamente … bzz ... bravissimo a suonare … bzz … ti
ho raccontato di quando ho salvato?? ... bzz ... fatto il modello … piace il golf …
discoteca
Ma che cavolo! si ritrovò a pensare. C’era qualcosa che quell’uomo non avesse fatto? Tipo: scalare
l’Everest? Buttarsi da un ponte?
Trattenne uno sbadiglio. Jak era così pieno di sé che probabilmente il suo ego sarebbe
entrato a stento in quell’immensa caverna. Se non fosse stato per i piatti eccezionali
avrebbe già finto un bel mal di testa per defilarsi.
Imbastì un sorriso di circostanza mentre cercava di concentrarsi su quel fiume di parole.
– bzz … davvero occupato ... bzz Max … invitato … dovuto annullare impegni … bzz
MAX. Come le sembrava dolce ora quel nome! Lui sì che sapeva come intavolare un
discorso: quando fermarsi, dove insistere, come coinvolgerla.
– Ma Karen, ora basta parlare della mia vita – annunciò ad un tratto, zittendosi.
Lei sollevò un po’ di più la testa, sconvolta dall’improvviso silenzio.
– Ti va di parlarmi un po’ di te? – chiese allegro.
Assolutamente NO, pensò fingendosi intenta a tagliare qualcosa nel piatto. Dopo le
disastrose performance precedenti Katia era decisa a non ripetere più lo stesso errore.
Piuttosto sarebbe diventata muta.
Si attardò a spazzolare anche l’ultima briciola di torta dal suo piatto dopo di ché, con
finta noncuranza replicò: – Ti stai trovando bene qui?
– Si. Il posto è eccezionale e le persone sono…
– Uniche? – suggerì cauta.
– Diciamo pure strane – concluse lui, abbozzando un sorriso.
Un pensiero che da un po’ le girava in testa le uscì di bocca prima di riuscire a frenarsi.
– Ma tu sai chi è Max in realtà?. Era da un po’ che ci pensava.
Jak le versò il liquido ambrato nel calice di cristallo senza rispondere.
– Nessuno di voi si meraviglia del fatto che in questa casa ci sia una foresta
perfettamente ricostruita in salotto? – insisté, stringendo con forza il trasparente
bicchiere.
Il suo cavaliere posò la bottiglia di lato per permettere di mantenere un contatto visivo
ma, stranamente, continuò a tacere.
– E ti sembra normale che ci sia una grotta del genere? – esclamò sbalordita, sbattendo
il pugno sulla tovaglia candida
Nessuno dava segni di stupore di fronte a tali meraviglie e lei iniziava a credere o di
essere pazza (cosa che in alcuni giorni non avrebbe escluso affatto) o, più
verosimilmente, che tutti fossero d’accordo per attuare una congiura contro di lei.
– In realtà c’è una voce che gira su Max ma non so se sia vera – le confidò l’altro,
abbassando diplomaticamente un po’ la voce.
Katia aguzzò le orecchie.
– Si dice che Max sia un produttore cinematografico. Questa casa in realtà sarebbe una
sorta di set che usa per girare alcune scene dei suoi film.
Ora le cose iniziavano ad avere un senso. Non tutto però.
– E noi che ci facciamo qui?
Jak alzò il calice con aria furba. – E se ti dicessi che non lo so? – disse vago, guardandola
con aria sorniona.
Lei si poggiò le mani sui fianchi a mo’ di anfora scrutandolo con la sua studiata
espressione da non-mi-freghi-carino.
Dopo un paio di minuti carichi di silenziosissime accuse Jak sospirò, arrendendosi.
– Comunque non prendere tutto ciò che ti dirò come oro colato. Non ho certezze ma
solo alcune personalissime idee al riguardo.
Se voleva catturare la sua attenzione ci era riuscito in pieno.
– Tipo? – gettò con tono casuale mentre tutto il suo essere si protendeva per cogliere
ogni minima sfumatura.
– In realtà non è proprio una scoperta mia. Diciamo pure che sono state Sofia e Jessika a
suggerirmela, anzi – precisò posando il calice e scrutandola intensamente – mi sembra
strano che le ragazze non te ne abbiano parlato. A me l’hanno detto senza indugi.
Invece, visto i suoi attuali rapporti con le due, le cose tornavano.
– Sembra che tra non molto qui si girerà qualche scena di un nuovo film. La
protagonista dovrebbe essere una nota attrice: Corinne Comet. La conosci?
Katia annuì. Chi non conosceva la bellissima Corinne? Recentemente tutti i giornali
avevano parlato di un suo ennesimo, misterioso fidanzato. Qualche attore
eccezionalmente bello, se non ricordava male. La scaltra ereditiera però era riuscita a non
farsi mai beccare in sua compagnia. Non erano comunque gli uomini ad averla portato
tanto spesso alla ribalta della cronaca bensì i suoi leggendari capricci in scena e fuori. Se
non ricordava male Ylaria le aveva detto di averla incontrata qualche volta a Londra,
dove la vip aveva un mega attico, per farle un’intervista su richiesta del giornale a cui
lavorava.
– E’ davvero così odiosa! – le aveva confermato, gettandosi sul divano di casa sua. E poi,
a bassissima voce aveva aggiunto – Non ci crederai mai ma per concedermi l’intervista
ha preteso che le portassi due dozzine di rose e un regalino. Ma ti rendi conto? Per chi
mi ha preso, per un suo spasimante? Quella persone è pazza, completamente PAZZA!
Sorrise al pensiero dell’amica costretta ad essere gentile e cortese con qualcuno che
avrebbe voluto solo uccidere a mani nude.
– A quanto pare Corinne è una cara amica di Max e gli ha espressamente richiesto una
co-protagonista carina-ma-non-troppo, sveglia ma-non-esplosiva e che, possibilmente,
non offuschi il suo talento.
Katia sbatté più volte le palpebre. Non era affatto sicura di aver capito bene: lei era in
lizza per recitare in un film? In un vero film?
– E i ragazzi? E il premio? – riuscì a dire boccheggiando.
– Non ci sei ancora arrivata Baby? Il gioco è tutto una montatura. O meglio, è un
pretesto –a mio avviso davvero poco plausibile – per convincere voi ragazze a provare a
recitare e vedere come ve la cavate. La presenza maschile serve solo ad evitare che il
genere femminile si estingua durante le prove. Non so se hai notato ma il cosiddetto
gentil sesso tende ad essere piuttosto aggressivo quando vuole qualcosa.
Lasciò che questa nuova verità facesse breccia nella sua mente confusa, che, quasi in
risposta ai suoi mille dubbi, vagando nei ricordi degli ultimi giorni, le lanciò davanti agli
occhi, simili a spezzoni di un film (un film con suono surround) le immagini di una Sofia
super sofisticata, di una Ylaria diventata improvvisamente super aristocratica e quella di
un’Ariel esageratamente new age. Era ovvio che stavano recitando. Tutte. Lei compresa.
– In sostanza vogliono una fascinosa dilettante che reciti discretamente ma a cui dare
uno stipendio base, molto base, così da poter concentrare il resto dei proventi milionari
sull’unica ed indiscussa star. Chiaro no?
Altra pausa ad effetto. Se Jak si aspettava un suo commento sarebbe rimasto deluso. Lei
era completamente incapace di muoversi, figurarsi ragionare e parlare!! A tratti poi le
mancava completamente l’aria. Era entrata in iperventilazione.
Respira. Stai calma. Respira. Stai calma.
Jak si aggiustò i capelli con studiata lentezza senza mai staccarle gli occhi di dosso.
– Non hai notato come tutte le ragazze presenti siano davvero belle? Molto al di sopra
della media in effetti. E come stiano facendo di tutto per farsi notare? – continuò
squadrandola con evidente soddisfazione.
In effetti, visto così, tutto quadrava.
Ecco perché Ylaria aveva cambiato look! Non era per il gioco ma per dimostrare di
essere sempre bellissima, anche con un taglio diverso. Ed ecco il perché di quei fantastici
vestiti eterei che sia l’amica sia Sofia indossavano in pieno gelo!!
L’unica sprovveduta era lei… o no? No. Neppure il vestiario decisamente hippy della
piccola Ariel era all’altezza della situazione. E poi un pensiero improvviso: e se forse,
proprio come lei, neppure l’esuberante biondina fosse stata informata dello strano
provino?
Eppure qualcosa non le tornava.
– Ma perché non fare un semplice casting? Non sarebbe stato tutto più facile (e più
normale!)?
Il suo cavaliere rise di gusto. La sua spavalderia iniziava davvero a stancarla.
– Sei davvero un ingenua Baby. La voce era diventata bassa e cospiratoria.
– Non dovrei dirtelo ma… – si guardò intorno e poi quasi in sussurro concluse – a
quanto sembra nessuno deve sapere di questa produzione … è stata un’idea di Corinne.
Se ci fosse stato un casting ufficiale tutti ne sarebbero statti informati. E lei non voleva.
Katia non finse nemmeno di sembrare soddisfatta della quella spiegazione poiché,
quanto più sentiva, meno riusciva a seguire il filo del discorso.
Probabilmente il suo sguardo vuoto fu più eloquente di quanto credesse perché Jak,
prendendole affettuosamente una mano, le parlò come si può fare ad una bimbetta di
due anni.
– Il progetto è e deve rimanere segreto. Chiaro Baby?
Credeva davvero che lei fosse un’idiota?
– Il film deve uscire nelle sale a dicembre.
– Ma non è possibile. Siamo già a ottobre!! – esclamò incredula. Anche per lei che era
una profana in materia il tempo sembrava decisamente poco.
– Appunto. Nessuno se l’aspetterà. A quel che so il progetto è in realtà una specie di
sfida tra la ricca ereditiera ed una sua acerrima rivale, una tale Christina, Caterina, un’altra
snob altrettanto egocentrica e svitata.
– Non starai parlando per caso della celebre Christy Logan? – esclamò esterrefatta.
Jak annuì.
Non riusciva a crederci. Quella non era una notizia: era un vero scoop!!
Corinne e Christy erano le Regine indiscusse degli eventi, siano essi mondani o non. I
giornali scandalistici annotavano con fiumi di inchiostro ogni loro vicenda ed era così
che, in tutto il mondo, tutti, ma proprio tutti, sapevano che tra le due ricchissime
fanciulle era in atto un’epica lotta all’ultimo colpo di fascino. Non mancava mese in cui
una non cercasse di primeggiare sull’altra. Non rinunciavano a sfidarsi per ogni cosa.
C’era stata la volta in cui Christy si era presentata alle sfilate di moda parigine con
indosso uno spettacolare visone nero.
Corinne era stata vista qualche giorno dopo con una pelliccia bianca con finiture in oro.
Era una guerra infinita all’insegna dello spreco. Una lotta a chi fosse più egocentrica e
superficiale.
E ora anche lei faceva parte del gioco.
Si diede un pizzicotto giusto per essere sicura di essere sveglia.
– Ahiiii!. Sì. Era sveglissima.
– Ho bisogno di bere qualcosa.
Ma neppure le frizzanti bollicine riuscirono a distrarla dalla notizia più sconvolgente
della sua vita. Avrebbe voluto cantare, ballare e gridare in contemporanea. Era qualcosa
di troppo grande anche per lei.
Ora che ricordava bene a dicembre era previsto un film in cui Christy faceva una
comparsa. Nulla di eccezionale ma, essendo il suo primo lavoro, tutti ne avevano parlato.
Ed ecco che Corinne, segretamente, stava preparando la contro-partita spiazzando i
media e il pubblico. Le avrebbe tolto la fama e gloria!!
– Questa è una serata perfetta – dichiarò con trasporto.
– Non ancora.
La voce profonda di Jak la destò dal suo torpore. Il suo cavaliere si era alzato e stava
premendo un tasto invisibile su un altrettanto invisibile display posto su un lato del
gazebo. Passarono alcuni istanti. L’unico rumore che si sentiva era il sommesso
sciabordio delle acque provenienti dalle due cascatelle in lontananza. All’improvviso una
musica dolcissima si propagò nell’aria. Jak l’affiancò, stese piano un braccio verso di lei
e con uno strano scintillio negli occhi le domandò: – Mi faresti l’onore di questo ballo?
In quel preciso istante migliaia e migliaia di bolle trasparenti uscirono dalle bocche
socchiuse dei piccoli putti di pietra volando leggere nell’antro per poi ricadere a fiotti
iridescenti. Katia si alzò, ammutolita da quella nuvola di sfere e, quasi senza
accorgersene, si ritrovò stretta tra le braccia di Jak, intenta a volteggiare leggera sotto una
magica pioggia di luci.
– Ora sì: è una serata perfetta! – asserì raggiante.
*******
Quando, due ore dopo, la cena finì, Katia era euforica. Odiava ammetterlo ma l’idea di
Ylaria era stata davvero grandiosa. Niente impegni, niente problemi e una parentesi di
assoluta follia lontana anni luce dalla logorante quotidianità. Quando la pendola suonò la
mezzanotte lei, novella cenerentola, complice anche qualche generosa coppa di
champagne, si sentì davvero elettrizzata, felice come le eroine delle fiabe, colma di una
serenità che oramai aveva dimenticato.
Un’ombra scura nel corridoio spense di un microtono il suo pensiero positivo. Il cuore,
già in panico, si riassestò non appena riconobbe il naso aquilino di Tom.
Stava parlando fitto fitto con qualcuno che lei non vedeva.
– Certo che glie lo dirò. Stia pure tranquillo – stava dicendo Tom.
La sua voce era atona ma il suo volto sembrava un fascio di nervi.
Questi comunque non sono affari miei, si disse, incamminandosi.
– Per la milionesima volta … Andrea – continuò Tom con aria davvero stanca – non
appena Katia torna l’avviserò. Ed ora… buona notte – aggiunse secco riagganciando il
telefono.
La gamba si inchiodò al suolo.
Aveva sentito bene? Ma questo non aveva senso: Andrea non avrebbe dovuto affatto
sapere che lei era lì.
E chi gli aveva dato poi il numero dello chalet? Un flash back della mamma che le
chiedeva il telefono per rintracciarla in caso di emergenza fu una risposta più che
esauriente.
Ma perché i genitori sembravano avere un handicap congenito contro ogni forma di
tecnologia? Cosa c’era di tanto difficile ad usare un telefonino?
– E’ già la terza volta che chiama. Ti consiglio di parlarci perché non sopporterei proprio
di essere disturbato ancora. Sono stato chiaro? – la strigliò seccamente Tom prima di
sparire nelle tenebre.
Il senso di serenità e gioia di pochi attimi prima si dissolse sotto la cupa coltre della
paura. All’improvviso anche lì, a chilometri da casa, nel cuore di una montagna, si sentì
vulnerabile ed esposta.
– A letto! – gridò un Jak esultante che, ignaro del suo stato, prese a spingerla
allegramente verso la sua camera.
– Domani è un altro giorno ta ta ta ta – canticchiò in perfetto stile “Via col Vento”
chiudendosi la porta alle spalle mentre andava via.
– Domani è un altro giorno – ripeté a voce alta, tanto per convincersi.
Suonava bene. Avrebbe pensato a tutto l’indomani, con calma e sangue freddo.
In fondo Andrea era a chilometri e chilometri da lei. Lì era al sicuro.
Sì. C’erano mille modi per evitarlo, concluse sorridendo beata sul soffice cuscino.
L’occhio le cadde sul telefonino: c’era un messaggio.
“– Perché non mi rispondi? E chi sono quegli uomini da cui stai? Sono preoccupato per
te. Domani ti raggiungo. Dobbiamo assolutamente parlare. Andrea.”
E fu il panico.
- 3 GIORNO –
– Ricapitoliamo. Andrea, che è il tuo ex, sta venendo qui – proclamò allegramente Ariel.
Katia annuì mestamente.
– E tu pensi che sia geloso. Giusto? – continuò Max, in piedi davanti alla porta,
fissandola in modo strano.
– Ma non vorresti vederlo né parlargli quindi questa seccatura toccherà a noi – concluse
seccamente Tom non mostrando la benché minima comprensione per il suo dolore.
Bisognava prendere atto di una cosa, rifletté Katia davanti a quello sguardo freddo come
il marmo: si poteva accusare quell’uomo di tante cose – e la lista era piuttosto lunga
(menefreghismo, insensibilità, egoismo, forse anche misoginismo) – ma non si poteva
assolutamente negare che non fosse sempre e completamente se stesso in ogni
occasione: un mostro senza cuore.
Non era così che aveva immaginato la giornata quando, qualche ora prima, era corsa
trafelata dall’amica per parlarle della visita del suo ex.
Si era aspettata una sceneggiata (Ylaria non aveva mai sopportato Andrea), una lunga
opera di dissuasione o al massimo una feroce strigliata per ricondurla sulla via della
ragione; tutto… ma non quel placido, strano, irreale silenzio.
Ylaria, alla sconvolgente notizia, non aveva battuto ciglio, come se avesse già messo in
programma da tempo l’eventualità che la sua migliore amica corresse all’alba da lei in
pantofole, con gli occhi gonfi e il cuscino in mano. L’aveva trattata con la stessa
freddezza ed efficienza del medico che esamina un paziente malato.
E, proprio come il miglior rappresentante dei camici bianchi, aveva esaminato il male da
ogni punto di vista per poi comunicarle, inesorabile, la terribile sentenza.
– Devi incontrarlo o non supererai mai questa storia – aveva dichiarato incrociando le
braccia al petto con fare professionale.
Questa era l’ultima cosa che Katia voleva fare. Scosse negativamente la testa.
– Non posso. Davvero.
– Te lo chiederò solo una volta – aveva detto in un tono solenne, avvicinandosi: – Si può
sapere cosa ti ha mai fatto Andrea di così grave da non riuscire neppure a guardarlo in
faccia?
Dolore, umiliazione, delusione esplosero incandescenti come bolle di lava.
Rabbrividì mentre quel fuoco le bruciava lo stomaco.
– Stai bene? – si preoccupò Ylaria stringendola a sé.
Guardando il viso angosciato dell’amica Katia sentì di averla tradita. Lei non meritava un
conforto del genere… lei era stata così, così… stupida.
Doveva dirle la verità. Almeno... doveva provarci.
Stava per aprire bocca quando quelle braccia dolci e confortanti l’allontanarono
bruscamente.
– Ora basta piangere. Non voglio sapere nulla. Dimmi solo una cosa: quel bastardo
merita una punizione?
Katia spalancò gli occhi, annuendo impercettibilmente.
Ed ecco che la sua fedele compagna si dimostrava al di sopra di ogni aspettativa, non
pretendeva neppure una spiegazione ma correva in suo soccorso ad occhi chiusi. Era
semplicemente eccezionale.
– Allora noi ti aiuteremo. Aspettami qui: vado a chiamare gli altri – le aveva detto
sparendo nel corridoio.
Nella stanza improvvisamente vuota, soffiandosi forte il naso, Katia aveva scioccamente
pensato di aver capito male. Ylaria non poteva aver detto “Noi”.
NOI? Chi era poi quel noi?
La risposta le era comparsa davanti qualche minuto dopo, sotto forma di Ariel, Tom e
Max che, ancora in pigiama, si erano precipitati da lei.
*******
La vicedirettrice Madison ticchettò fino al bancone. Guardò con aria critica il tavolo di
mogano lucente. Persino la sua segretaria aveva una scrivania più grande. In un moto di
rabbia affondò con forza i tacchi argentati nel parquet graffiato.
Lanciò una rapida occhiata all’ambiente circostante; si soffermò scontenta sui tappeti
lievemente scoloriti, sui quadri falsi alle pareti, sui lampadari di volgare vetro ma fu sugli
arazzi di misero cotone cremisi che la sua bocca ebbe un vero e proprio guizzo di
indignazione.
– Lilìììì!! – strillò furente nel cellulare.
– Dove diavolo mi hai portatooo!! Cos’è questa topaiaaa!!
Nell’impeto del momento pigiò rabbiosamente il campanello dorato davanti a sé.
Un lungo, festoso scampanellio rimbombò nella sala.
– Posso fare qualcosa per lei? – domandò cortesemente un ragazzo apparendo dal nulla.
– Puoi sparire! – tuonò la donna, avanzando contro di lui con la stessa ferocia di una
belva che veda un agnellino indifeso su un prato.
Il giovane, intimidito, indietreggiò di un passo.
– Cosa succede? – esclamò una voce armoniosa, quasi musicale.
Una ragazza minuta, fasciata in un severo completo pantalone nero, apparve sul lato
opposto della sala. Avanzava spedita nonostante avesse una valigetta enorme in una
mano e un grande fascio di fogli in bilico nell’altra.
Un ghigno malevolo arricciò le labbra della Madison. – Eccoti. Finalmente! Si può sapere
dove diavolo eri finita? – le sbraitò contro, fumante di rabbia.
– Io!? Ero qui – replicò l’altra, confusa da tutto quel chiasso.
– Perché mi cercava? Qualcosa non va? – si informò garbatamente.
La Madison poggiò il suo sguardo freddo su quell’esile ragazzina dal viso dolcissimo;
odiava quel volto così grazioso e tenero, tanto simile alle madonnine dei quadri che,
immuni al passare del tempo, le sorridevano beate dalle loro pose plastiche, sempre
felici, serene, beffeggiandola. Per quanto lei si curasse, si incremasse, preservasse il suo
fascino (o quello che ne era rimasto), c’era sempre una stupida ragazzina dagli occhi
color cielo e la carnagione pesca a ricordarle che il tempo scorreva inesorabile.
Le detestava con tutto il suo essere. Stupide oche dai corpi scolpiti!
Ma si sarebbe presa la sua rivincita. Piano, con costanza, sarebbe riuscita a far sfiorire
quella creatura. I segni scuri comparsi sotto quegli occhi marini erano già un buon inizio.
– E’ questo il modo di presentarsi al tuo capo? Sei un mostro! – la criticò malignamente.
Lilì si guardò di sfuggita allo specchio dietro al bancone. Non era certo nella sua forma
migliore; aveva il volto chiazzato per lo sforzo di affrettarsi e alcuni dei capelli,
originariamente alzati in un severo chignon, erano “sparati” in tutte le direzioni mentre la
massa più folta si era incrinata di lato, minacciando da un momento all’altro di sfuggire
alla prigionia delle numerose forcine per spiccare il volo verso la libertà.
– Mi dica: c’è qualcosa che non va? – domandò con calma, trattenendosi.
– TUTTO NON VA! TUUU sei davvero un’inetta! Era così difficile eseguire un mio
ordine? – strillò ad un volume talmente alto che, probabilmente, anche in strada li
avrebbero sentiti.
La nuova arrivata non osò replicare. Anche perché non avrebbe saputo a quale dei
numerosi ordini che aveva eseguito per tutta la mattina la donna si stesse riferendo.
– Questo posto è INDECENTE – dichiarò il gran capo insoddisfatto, togliendo
velocemente il dito dal legno quasi potesse infettarsi.
– Come potevi solo pensare che mi abbassassi ad un tale rudere?
Il cameriere, approfittando della furia della donna, si era mimetizzato in fondo al muro e
si preoccupava bene di trattenere il fiato.
– Ma è qui che si terrà la riunione e avevo pensato che...
– E da quando TU PENSI? Tu devi solo eseguire i miei ordini! Sono stata c-h-i-a-r-a? –
la redarguì aspramente, soffiandole una nuvola di fumo in faccia.
Lily trattenne un colpo di tosse.
– Mi hai proprio delusa! – l’informò greve, con aria di lieve compatimento.
Lily inchiodò gli occhi al suolo. La cosa, a dire il vero, non la meravigliava affatto.
Da quando era a servizio di quella donna non c’era stato giorno che non l’avesse delusa
in qualche modo. Non mancava occasione per lamentarsi di lei; il caffè che le portava era
sempre troppo caldo o troppo freddo, le relazioni che le faceva erano sempre troppo
lunghe, troppo corte, troppo dettagliate e, addirittura, una volta l’aveva accusata di non
aveva usato il “suo” stile.
A sapere poi, quale fosse il suo stile! Non l’aveva mai vista scrivere neppure una sillaba.
– Mi dispiace. Non ricapiterà – si scusò a denti stretti, evitando di guardarla in faccia.
– Lo voglio sperare bene! Ed ora dammi la mia presentazione, le ricerche per il direttore,
il numero di stanza di Corinne e il riassunto di 500 parole sulla nostra cliente – ordinò
seccamente, allungando le braccia simili ad artigli.
Lily prese con zelo una cartellina dalla valigetta nera e due blocchi di fogli dalla pila.
– Non mi hai evidenziato i punti salienti? – costatò astiosamente, dando una scorsa
veloce a tutte quelle pagine.
La ragazzina si morse la lingua per non scoppiare. Ovviamente non sarebbe servito a
nulla replicare che se l’avesse avvisata almeno una settimana prima, anziché delle solite
ventiquattro ore scarse, sarebbe riuscita a fare tutto con più calma, oltre che ad
evidenziarle tutte le parole che voleva.
– Deludente. Davvero deludente – fu l’ultimo, amaro commento che aleggiò nell’aria
prima che la donna poggiasse bruscamente tutto il blocco nella sua borsa firmata.
Sigh. E così anche quella nottata insonne era stata ripagata con lo stesso disappunto delle
altre.
– Per questa volta passi ma la prossima volta voglio un lavoro degno di questo nome –
l’ammonì duramente.
– E metti a posto questo caos, non vedi che i fogli sono tutti pericolanti? – esclamò
toccando la pila di fogli, che, a quel tocco, rovinarono tutti a terra sparpagliandosi.
Maledetta. L’aveva fatto apposta.
– Appunto! Impara ad essere più ordinata o sarò costretta a licenziarti – cinguettò il suo
capo improvvisamente allegro, allontanandosi baldanzosa verso gli ascensori.
Nell’attimo in cui le porte d’acciaio si chiusero, nascondendo quel mostro, un secco
clack segnò il cedimento dell’ultima forcina di sostegno. I suoi capelli esplosero nell’aria,
creando una nuvola di luce che atterrò dolcemente sull’esile schiena. Lily iniziò
stancamente a raccogliere quel mare di carta dal tappeto.
– Come fai a sopportarla? E’ un’arpia – domandò sbigottito il cameriere, emergendo dal
suo nascondiglio e poi, vedendola china, si precipitò ad aiutarla.
– Aspetta che ti do una mano – mormorò solidale, afferrando fogli a piene mani.
– Grazie. Te ne sono davvero grata – replicò amabilmente la giovane, alzando
improvvisamente la testa.
Per tutto il tempo della discussione il ragazzo aveva continuato a fissare l’essere urlante
con crescente timore, notando ben poco della fragile figura contro cui si stava
accanendo, perciò il suo stupore fu autentico quando quello che era stato definito un
mostro, un essere orrendo si rivelò una bellezza mozzafiato. Una bellezza che gli stava
sorridendo dolcemente.
Un trillo ricordò all’uomo il suo lavoro. Rispose con efficienza ma, man mano che
ascoltava, sul suo viso si delinearono piccole rughe.
– Non penso di poterlo fare… – concluse affranto.
Le urla di disapprovazione giunsero fino a Lily che, preoccupata, si rialzò.
Quando chiuse l’apparecchio era di un tono più pallido.
– Qualcosa non va? – chiese avvicinandosi.
– E’ da non credersi. Abbiamo una cliente ancora più pazza del tuo capo – mormorò a
voce bassa.
Lilì alzò un sopracciglio, chiaramente incuriosita.
Il cameriere si sporse verso di lei sussurrando: – E’ arrivata da sole due ore ma mi sta
dando il tormento. Vuole cose impossibili! Una vasca di champagne, una tenda di
swarosvki, una massaggiatrice indiana… ma a che serve una massaggiatrice indiana? –
mormorò disperato.
Lily sorrise di fronte al quel volto scoraggiato.
– Forza – l’incitò poggiandogli una mano sulla spalla, – devi solo resistere a questa
giornata. Ce la puoi fare… – si sporse per leggere il nome sulla targhetta dorata
– Simone. Io penso che troverai qualcosa per placare l’ira di questa esigentissima cliente.
La fiducia con cui lo disse toccò il cuore del suo interlocutore.
– Ti ringrazio.
Si fermò consapevole di non sapere il nome della bella ragazza.
– Ah già. Ho dimenticato le buone maniere – si scusò l’altra stringendogli
affettuosamente la mano – io sono Leira. Lilì per gli amici.
– Non so tu come fai. Io sono a pezzi e se fallisco con questa cliente il capo mi
licenzierà… anche lui è un vero Hitler.
Lei lo guardò seria prima di dirgli: – Non puoi arrenderti così. Devi darti da fare. Non è
difficile, basta aguzzare l’ingegno.
– Non ce la farò. Io non ho queste cose qui! – costatò l’altro afflitto, agitando una lunga
lista.
– Sei tu che non capisci: basta un po’ di iniziativa e vedrai che andrà tutto bene. Inizia
chiamando una massaggiatrice del posto. Generalmente sanno dove mettere le mani.
Quanto al bagno un qualunque vino andrà bene. Non penso che berrebbe mai il liquido
in cui fa il bagno, non trovi?
Simone tirò il petto scarno in fuori con rinnovata energia.
– Mi metto subito all’opera – dichiarò animosamente armeggiando con delle agende.
– Bravo ragazzo! – si complimentò l’altra facendogli un occhiolino prima di allontanarsi.
*******
La consapevolezza che la propria vita privata fosse stata sbandierata ai quattro venti
inizialmente aveva sconvolto Katia ma poi, parlando con i compagni, il loro entusiasmo,
la loro complicità, era riuscita a sfondare il muro di protezione che si era creata. Ed ora,
anche senza quella barriera, si sentiva al sicuro.
– Allora, chi ha un piano? – chiese Ariel sorridendo con fare cospiratorio.
Sicuramente la dolce barbie bionda credeva che quella novità fosse una semplice trovata
del Love Game e, tre giorni fa, quella sensazione di farsa l’avrebbe fatta uscire di testa,
ma ora, dopo aver giocato alla seduttrice ed essere stata invece sedotta, dopo aver avuto
una parte ma non essere riuscita sempre a seguirla, dopo aver conosciuto delle persone
senza capire veramente chi avesse di fronte, si era resa conto che quel gioco, in realtà,
non era poi così diverso dall’imprevedibilità della vita, in cui spesso si sottovaluta un
avversario o si stringono alleanze per andare avanti … o quando, pur sapendo benissimo
cosa fare, non si riesce affatto a seguire la testa.
– Come prima cosa io suggerirei di vederlo fuori di qui. Perché non gli dai
appuntamento al bar del paese? – propose Tom.
Katia trattenne uno sbuffò. Quell’uomo era veramente testardo. Continuava ad insistere
sul punto nonostante lei avesse chiarito sin da subito di non voler assolutamente vedere
Andrea.
– Perché non gli scrivi una lunga lettera in cui lo mandi al diavolo una volta per tutte?
Gli scrivi chiaramente perché le cose non possono funzionare tra voi e lo saluti per
sempre – le consigliò Ariel.
Questa non era una brutta idea. La ragazzina aveva capito appieno il problema.
– Inoltre, – aggiunse improvvisamente inspirata – sicuramente scrivere quello che provi
ti aiuterà a capire meglio i tuoi sentimenti, a riordinare le idee e magari, vedendo la
situazione con distacco, ti renderai conto che non è tutto perduto – concluse con occhi
sognanti.
O forse no. Quella giovane era un caso senza speranza.
– Perché non gli dici che sei fidanzata e gli mandi uno di noi come prova. Vedrai che gli
passerà la voglia di importunarti per sempre – azzardò Max.
A questo non aveva mai pensato. Probabilmente ad Andrea sarebbe venuto un colpo e
così, finalmente, avrebbero pareggiato i conti. Già si vedeva, bella ed elegante, mentre al
braccio di un giovane sfilava a testa alta davanti al suo ex.
L’idea di ferirlo le piacque. Alzò il pollice in segno d’intesa.
– Non è così che si risolvono le questioni. Se davvero questa persona ha avuto valore
per te devi essere onesta con lei. Questi trucchetti meschini non ti faranno stare meglio –
sbraitò Tom alzando la testa di scatto. Sembrava davvero arrabbiato.
– Devi chiarirti – iniziò con tono da professorino integerrimo.
All’improvviso tutta quella supponenza la infastidì.
– Lo vuoi capire o no che IO NON VOGLIO VEDERLO! – si ritrovò a gridare.
– Allora telefonalo e diglielo. E’ così facile! – esclamò l’altro calmissimo.
– Non posso.
– Mandagli un sms? – propose Max esitando.
Ma davvero la credevano così scema? Si lanciò su una sedia, esausta.
– Già fatto. Ha il telefono spento… e se lo conosco, e lo conosco – scandì – non lo
riaccenderà fino a quando non sarà arrivato qui.
– Beh, allora quando arriva vai e lo rimandi dritto a casa – sentenziò Tom con tono
sbrigativo.
– Davvero: non penso di riuscirci.
La voce si spense mentre un magone le saliva agli occhi.
– Non pretendo che voi mi capiate ma io non posso rivederlo – mormorò piano.
– Se lo facessi mi si spezzerebbe qualcosa qui – concluse mettendosi le mani incrociate
sul cuore.
In un silenzio carico di complicità due esili braccia l’afferrarono stretta.
– Non ti preoccupare, troveremo un modo! – esclamò Ariel con voce commossa e uno
sguardo dolcissimo.
Una sensazione di tepore la invase.
Clap. Clap. Clap.
Tom stava battendo le mani lentamente. I suoi zigomi alti e affilati si erano increspati in
una smorfia che, volendo essere buoni, poteva essere definita di disgusto, ma che, in
realtà, trasudava vero e proprio disprezzo. Un disprezzo totale e assoluto. Una secchiata
gelata l’avrebbe tramortita meno. Il sangue si gelò nelle vene.
– Sei davvero un’ottima attrice. Complimenti!! – esclamò con tono pungente.
Credeva che stesse fingendo? Non riusciva a crederci! Da quando era arrivata allo chalet
quello era stato l’unico momento in cui, scordando la finzione, aveva lasciato che i suoi
veri sentimenti uscissero fuori… e lui la credeva una bugiarda?
Il cuore prese a battere violentemente contro il petto.
Tutti la stavano fissando. Gli occhi marini di Ariel si aprirono un po’ di più per
l’improvvisa rivelazione. E la delusione che lesse in quel profondo blu fu più scottante di
mille offese.
– Non sto mentendo. Credimi. E’ tutto vero! – ribadì.
– Allora mettiamola così – sentenziò Tom, marciando su e giù per la stanza.
– Vorresti farci credere che sei stata tanto sciocca da incasinarti con un poco di buono,
da non capirlo per anni e poi, magari, scopri anche di essere stata tradita e che fai?
Anziché prendere il toro per le corna piangi in silenzio senza riuscire a reagire? – tuonò
avanzando. – E’ questa la verità? – chiese con sarcasmo.
Detta così sembrava proprio poco plausibile
Si fermò e incenerendola concluse additandola: – Se non sei una bugiarda come ci vuoi
far credere allora, data la situazione, vuol dire che non sei altro che una codarda. Una
persona senza spina dorsale. Mi fai solo pena – dichiarò impassibile.
Questo era davvero troppo. La mano iniziò a pruderle dalla voglia di colpire quell’essere
abominevole, quel cyborg travestito da uomo.
– Smettila Tom. Questo non è né il momento né il luogo per questi commenti – esclamò
Max tagliente.
Il naso aquilino ebbe un fremito di disappunto ma lei non si sentì soddisfatta. Quella era
la sua battaglia e toccava a lei difendersi.
– Io ti faccio pena? Ma sentitelo!! – gridò a pieni polmoni. Serrò i pugni per evitare che
le mani le partissero all’attacco.
– Da quando sei qui l’unico a non mostrare mai i propri sentimenti sei stato tu. Ti
comporti come un pezzo di ghiaccio e ora vorresti darmi consigli in amore? – sputò
fuori con una voce così carica di disprezzo da non sembrare neppure sua.
Tom si bloccò. Ora erano pericolosamente vicini, poteva vedere nitidamente la cicatrice
pallida pulsargli sul naso appuntito.
– Lascialo perdere. E’ solo un tipo piuttosto sbrigativo – intervenne Max, frapponendosi
tra i due con l’evidente scopo di acquietarla. Ma lei non riusciva a calmarsi. Il sangue le
ribolliva ardente nella testa come lava in un vulcano.
– No, non lascio perdere affatto!! – e, mentre parlava, spinse con forza Max di lato, in
modo da mantenere il contatto con il suo rivale.
– Sei tu che mi fai pena – scandì a gran voce – indicandolo con l’indice – perché una
persona che si comporta come fai tu dimostra di non aver mai amato. Per te la parola
amore è solo un termine letto sui libri di scuola. Tu non mi capirai mai perché sei solo
un freddo menefreghista insensibile – esclamò rossa di rabbia.
Tiè! Beccati questa Mister-Ghiacciolo!
La scossa di adrenalina che la percorreva si spense guardando Tom.
Era durato non più di un battito di ciglia eppure, ne era certa, in quell’istante qualcosa in
lui si era spento, come se una mano invisibile avesse coperto la luce della sua anima. I
suoi occhi , per un attimo, erano diventati vitrei, come se una nebbia sottile fosse calata
dentro di lui.
L’attimo dopo era tutto passato e un Tom rabbioso le si era parato viso contro viso.
– Sei solo una stupida! Non è così che risolverai i tuoi problemi! Ma questi non sono
affari miei. ARRANGIATI DA SOLA!!! – ringhiò sbattendo ferocemente la porta.
Oh Dio! Che aveva fatto?
– Sei stata bravissima! Non lo sopportavo proprio più! – esclamò Ariel avvicinandosi.
– Un tantino forte ma efficace – mormorò Max, annuendo con il capo.
Eppure non riusciva a scordare quell’espressione angosciata sulla faccia di Tom.
Sentiva di averlo ferito anche se non aveva capito bene come.
– Allora la smettete di fare casino? Vi si sente da giù! Non fatemi vergognare di voi –
disse una voce un po’ snob.
Ylaria era finalmente tornata ma non appena Katia posò gli occhi su quella sinuosa figura
perfettamente vestita e truccata, poggiata elegantemente sulla porta, capì che non aveva
più davanti la sua cara amica: si era ritrasformata nel suo personaggio.
– Mentre voi – e qui lanciò un’occhiataccia ai presenti – vi perdevate in chiacchiere io ho
contattato gli altri ed ho escogitato un piano – disse guardandoli tutti dall’alto in basso.
– Ah bene. Allora potevi evitare di svegliarci, non credi? – la rimbeccò Max.
– Ed invece anche voi mi servite. In particolare tu Max. Pensi di poter contattare il
proprietario dell’Over-Size e chiedergli un favore?
Questa volta toccò a Max guardarla con superiorità.
– Non so. Pensavo di non rientrare tra la “gente che conta” – mormorò guardandosi le
unghie delle mani, con finto disinteresse.
– La smettiamo di giocare e andiamo avanti? – esclamò Ariel stizzita, stupendoli tutti.
Max tornò subito in sé e con fare pratico aggiunse: – Non c’è problema. Luisa è una mia
amica. Che devo dirle?
– Dovresti avvisarla di comportarsi come se noi fossimo sempre stata ospiti da lei. Di
darci una stanza se può. Io andrò a prendere il seccatore… ehm, l’ospite, e lo porterò
direttamente lì. E poi…
Nel silenzio generale Ylaria raggiunse Ariel e, afferrandole il visino pallido fra le lunghe
dita artigliate, esclamò compiaciuta: – e poi la nostra cara biondina lo sedurrà.
– Ma perché? – sbottò Katia.
– Perché tu provi ancora qualcosa per quel verme – sentenziò squadrandola.
–E l’unico modo per superare questa sorta di blocco emotivo che hai è capire da sola
che lui non ti merita.
Fin qui la cosa aveva un senso.
– Per cui lo metteremo, diciamo, alla prova. Ylaria annuì soddisfatta.
Katia non batté ciglio. Non era certa di aver capito dove volevano andare a parare.
– Che tradotto significa mandargli una sventola a provarci con lui – chiarì l’amica
guardandola con aria di sfida.
Ah. Ecco dove. Katia sentì la stanza che le girava intorno a ritmi sempre più frenetici.
– e se… cadesse nella trappola? – disse con un filo di voce.
– Avrai un motivo per odiarlo. Basta dubbi e congetture. Più chiaro di così. Saresti una
stupida ad insistere e, finalmente, potrai affrontarlo faccia a faccia.
Ma lei l’odiava già! E sapeva già che era un traditore.
Ma affrontarlo… quella era un’altra cosa!
– Allora chiamo – annunciò Max, spiazzandola.
Da quando in qua erano diventati tutti così zelanti verso di lei?
– Non è necessario. Perché non ci pensiamo un po’ su? – iniziò, ma Max la zittì con un
dito. Dal nulla apparve un telefonino che, magicamente, era già attaccato al suo orecchio.
– Over-Size? – chiese forte.
Attimo di silenzio. Katia strinse le mani in preghiera.
Ti prego, Signore, fa che abbia sbagliato numero, che la direttrice non ci sia, qualunque imprevisto va
bene.
– Ciao Simone. Ti ricordi di me? Sono Max. Potresti passarmi Luisa?
Parlando si era allontanato dal gruppo per non sentire il brusio di fondo. Lo vedeva
parlare ma non colse le parole.
Forse aveva una speranza, si disse. Luisa poteva sempre dirgli di no.
Un attimo dopo Max tornò con un gran sorriso.
– E’ fatta. Contenta?
Ahi voglia.
*******
Andrea si guardò estasiato la mano abbronzata.
– Gradisce qualcosa da bere?
Una hostess si era avvicinata con il suo carrello.
Andrea finse di guardare quello che la ragazza gli indicava ma i suoi occhi saettarono
lesti su quel corpo sinuoso, sulla vita sottile e sulla gonna stretta di poco sopra il
ginocchio.
– E’ tutto così… invitante – disse con tono seducente. Lei gli sorrise complice. Qualche
passeggero, due file più avanti, la chiamò.
– Arrivo subito! – esclamò cortese ma i suoi modi non tradivano alcuna fretta. Anzi.
Mentre la vedeva allontanarsi sorrise soddisfatto. Magari l’avrebbe raggiunta più tardi.
Nello stesso istante un movimento brusco accompagnato da un “Yahhhhhhhhhhh” lo
fece voltare. Due braccia sode e perfettamente abbronzate saettarono nell’aria. Il
passeggero alla sua destra si era svegliato. Finse di non accorgersene.
Una ciocca riccissima gli finì sulla guancia, stuzzicandogli la pelle. Continuò a guardare
avanti a sé. La setosa distrazione continuò lungo il suo profilo, scendendo fino al mento.
– Un soldo per un tuo pensiero? – esclamò una voce suadente ad un millimetro dalla sua
bocca.
Questa volta fissò il viso dorato della ragazza. Era la giovane turista francese con cui
aveva parlato all’inizio del viaggio. Era ancora un po’ assonnata e i tentativi di sbarrare
gli occhi per metterlo a fuoco la rendevano dolce, quasi ingenua. Stava flirtando con lui
da quando si erano seduti vicino. O era stato il contrario? Non ricordava.
– Stavo pensando a te e a come questo incontro sia stato un segno del destino – le
confessò con trasporto.
Come di consueto, a quelle parole, la sua preda si illuminò protendendosi un po’ di più
verso di lui. Le labbra della francesina erano fresche e saporite.
– E’ il comandante che vi parla. Prego allacciare le cinture. Stiamo per atterrare.
Andrea si staccò da quella bocca avida, tornando velocemente al suo posto.
Appena in tempo: la hostess carina tornò a controllare che tutti avessero eseguito gli
ordini e, anche se cercò di fare la disinvolta, notò come lo sguardo di lei saettasse spesso
dalla sua parte. Si soffermò da lui un attimo più del dovuto.
Atterrarono dolcemente. Il silenzio era rotto solo dal frenetico cicaleccio della sua
compagna che continuava a dargli informazioni non richieste su di lei, sui suoi hobby.
Come se a lui interessasse!
– Allora mi dai il tuo numero? – chiese ad un tratto.
Sembrava stupita che l’altro non l’avesse ancora fatto.
Andrea sorrise mentre cercava con le mani qualcosa nelle sue tasche.
Conosceva già il tipo: Teen-ager che si credevano donne di mondo.
Ma fatemi il piacere! Era sin troppo facile. Bastava che un bel tipo le abbordasse usando
i più classici (e scontati) salamelecchi che loro (sceme!!) scambiava l’interessamento fisico
per amore, per l’incontro della vita.
Sarebbe stato da sbellicarsi dalle risate se non fosse stato davvero utile per lui...e per tutti
quelli come lui. E poi venne la frase che già si aspettava.
– Io ho sempre saputo che sarebbe successo... che avrei incontrato qualcuno di speciale.
Me lo sentivo qui (mano sul cuore).Tu no?
Certo che no! Lui annuì.
Era passata alla fase due: lo sconosciuto scalava in un secondo la vetta del suo cuore
sedendosi sul trono riservato al principe azzurro.
Oramai conosceva la psiche femminile. Ogni donna si sarebbe sparata piuttosto che
etichettarsi come una ”facile”. Per tradizione la donna doveva essere la dea
irraggiungibile dell’olimpo, il trofeo della maratona degli innamorati … insomma: doveva
tirarsela!. Ma quando succedeva l’irreparabile, quando si baciava un perfetto sconosciuto
su un volo di un paio d’ore che si poteva dire a se stesse? Quale giustificazione poteva
esserci a tanta spudoratezza?
Ed ecco la risposta: LUI (quel perfetto estraneo che potrebbe essere anche un serial
killer) era senz’altro L’UOMO GIUSTO!! Era stato sicuramente l’amore a farle rompere
gli schemi tradizionali! Se aveva agito così doveva esserci un disegno divino, un
momento magico, l’atmosfera o chissà quale altre fesserie.
Le donne erano davvero brave a dirsi le bugie.
– Din Don. Siete pregati di scendere con calma…
Erano arrivati. Andrea decise di chiudere quella farsa. Prese con grazia la mano della
francesina e le baciò il dorso. Lei lo guardava con occhi a cuore.
– Non potrò telefonarti . Purtroppo sono sposato. Mi dispiace.
La bocca della ragazza ora era spalancata dall’orrore.
Quella bugia funzionava sempre perché spezzava crudamente ogni speranza sul nascere.
Lui strinse di più la piccola mano tra le sue.
– Non dovevo farlo, lo so… ma tu sei così tremendamente bella…
Lei stava per replicare ma lui l’anticipò.
– Lo so. Questa non è una giustificazione ma piccola… Guardati! Come avrei potuto
non essere ammaliato dal tuo fascino? In realtà sono io una tua vittima.
Sorrisino ammaliante. Silenzio carico d’effetto e… battuta finale
– Riuscirai mai a perdonarmi? Non potrei vivere con questo tormento – aggiunse
abbassando gli occhi, con voce volutamente tremula.
Fatto.
La ragazza lo abbracciò con tristezza, conscia che il suo sogno era stato spezzato ma
lusingata da tanta dolcezza. Andrea le diede le solite fraterne pacche sulla schiena, poi si
alzò e mise in atto la parte dei film che più gli piacevano: le uscite di scena.
*******
Katia incrociò le braccia al petto con rabbia. La situazione le era sfuggita di mano. Il
piano di Ylaria non le piaceva affatto; non la convinceva l’idea di rimanere nello chalet
mentre l’amica andava a prendere il suo ex, né, tanto meno, le garbava che qualcuno
irretisse il suo Andrea. Anche se quel qualcuno era Ariel. Sorrise all’immagine sbarazzina
della biondina, sempre avvolta in maglioni multicolori o tempestata di paiette.
Qualunque cosa avesse fatto non sarebbe riuscita nel suo intento. Andrea amava le
donne eleganti e lei, anche se carina, sembrava più una lolita che una femme fatale.
Poteva stare tranquilla. Almeno su quello.
– Karennn!! Ti decidi a scendere? E’ un ora che ti sto chiamando!
Jak era tornato il bulletto con il chiodo. Ma, in fondo, lo preferiva così. Insieme
raggiunsero il piano sotterraneo.
– Perché quella faccia? La prova di oggi ti piacerà un sacco Baby! – esclamò allegro.
La prova. Ecco il motivo ufficiale per cui era inchiodata lì.
“Le prove devono andare avanti. Domani ci sarà una gara!! L’’hai scordato?” – aveva
strillato Ylaria guardandola con sufficienza prima di partire.
Dio!! Quanto la odiava quando recitava!
Aveva provato a replicare che anche Max doveva provare (anche perché l’idea di
rimanere sola con Tom e Sofia l’atterriva) ma l’amica era stata irremovibile.
– Quante volte devo ripetertelo? Ariel non sa guidare quindi Max ci serve…non posso
mica presentarmi all’aeroporto con la tentatrice insieme a me? Altrimenti addio casualità!
E detto ciò era partita a razzo.
Eppure qualcosa le sfuggiva. Ylaria non avrebbe potuto portare prima Ariel al locale e
poi, da sola, andare all’aeroporto?
– Sei pronta? – chiese il compagno, spalancando una porta. Scesero al piano
seminterrato.
– In cosa consiste questa gara? Salto? Nuoto? Corsa?
Non le andava affatto di fare ginnastica. Jak le rimandò un sorriso cospiratorio.
– Ti ricordi il nostro discorso di ieri sera?
Quale delle mille cose? Praticamente non era stato zitto un secondo.
Annuì vaga.
– Bene perché oggi dovrai sfoderare tutto il tuo fascino. Oggi vivrai un giorno da star –
sillabò spingendola in un’immensa sala.
Una piccola bolla si sollevò nello stomaco guardando davanti a sé. Su un pavimento di
lucentissimo parquet era stato disposto un piccolo palco con un’attrezzatura tale da far
invidia ad un set cinematografico.
C’erano luci, apparecchi strani, sfondi che pendevano dal cielo e, accatastati
ordinatamente su espositori d’acciaio, centinai di scintillanti vestiti!!
Le tornò in mente la teoria di Jak. Allora era vero!
Max era un produttore e loro stavano facendo un provino! Si fiondò in quel mare di
ricche stoffe sentendosi una prima donna. Sarebbe stata fantastica.
– Dovremo recitare? – chiese afferrando un abito stile Via col Vento.
– Oh no. E’ molto più semplice.
Quasi ci rimase male. Ma se non servivano a far vedere il loro talento davanti alla
cinepresa allora quei costumi a che servivano?
– Faremo un book fotografico. Un calendario per l’esattezza. Dodici scatti d’autore.
Inizieremo da questo – disse indicandole un candido abito color porpora con un lungo
strascico e corpetto di perline.
– Corro a cambiarmi.
Mentre entrava nella preziosa stoffa Jak le parlava. Non colse tutto il suo discorso presa
com’era da quel magico momento. L’unico pensiero che l’assillava era: sarebbe entrata in
quell’abito?
Siiii!!, urlò la sua testa mentre chiudeva l’ultimo minuscolo bottoncino sul lato.
Quando uscì dal camerino (il termine appropriato sarebbe stata tenda) ancheggiò
orgogliosa verso uno specchio intero. Non era male. Il seno non traboccava fuori dal
corpetto, e i fianchi non erano minuti come le vere modelle ma tutta la sua carne (che
purtroppo non era poca) si era disposta nei punti giusti senza fare inestetiche pieghe.
Sorrise soddisfatta a Jak che, in risposta, fischiò. Mentre lei si era cambiata il compagno
non aveva davvero perso tempo a preparare la scena che, Katia se ne accorse urtandoci
contro, consisteva in un divanetto d’epoca sormontato da delle magnifiche tende nere
ampiamente drappeggiate, da un tavolino rotondo a tre gambe (su cui era stato poggiato
un piccolo e scenografico cesto di frutta finta) e da una colonna di finto marmo
poggiata un po’ più di lato, quasi a voler limitare la scena.
– Allunga un braccio verso l’arazzo, bambola!
Lei obbedì, felice.
– Sì. Sì. Così! Ora voltati di lato e sorridi. Più maliziosa! Sìì! Bravissima!!
Scatto. Mano sulle labbra. Scatto. Stesa in posa lasciva su un divano. Scatto. Adagiata
con la schiena contro la colonna. Scatto.
Iniziava a prenderci gusto.
– Ora afferra quel grappolo d’uva e fingi di addentarlo!
Forse aveva un futuro come modella. E lei non ci aveva mai pensato!
– Non vorrai sprecare tutto il tuo rullino su quello scherzetto della natura?
Sofia li aveva raggiunti. E, vedendola avanzare in un semplicissimo abito a sirena nero
che rimarcava ogni magnifica e superba curva, le mancò il fiato. Lei, con quello
straccetto addosso, sarebbe sembrata un sacchetto dell’immondizia invece su quell’arpia
sembrava il più raffinato abito del mondo.
Jak non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Come ebbe modo di constatare da subito a
Sofia non serviva uno sfondo che la risaltasse, giacché, per sua natura, risaltava su tutto.
Il suo fascino splendeva ovunque mettendo in ombra tutto il resto. E quel resto era lei.
– Sei magnifica Baby – esclamò il novello fotografo , iniziando a scattare foto come un
pazzo.
L’odiosa primadonna ondeggiò provocante alla luce dei flash muovendosi con
naturalezza quasi fosse nata e cresciuta sotto i riflettori. Jak non doveva neppure dirle
cosa fare perché lei anticipava i suoi desideri. Katia sentì una gran rabbia montarle
dentro. Perché si affannava ancora a rivaleggiare? Sicuramente la parte sarebbe stata di
quell’ammaliante e perfida creatura.
– Ora basta occuparsi di me. Voglio che ci fai qualche foto insieme! – gridò Miss-Mondo
raggiungendola e ponendole un braccio intorno alle spalle.
Lo shock del gesto impedì a Katia di indietreggiare. Perché Sofia la stava abbracciando?
– Ehi, Karen, cerca di sorridere! – esclamò Jak.
Evidentemente quegli scatti rubati avevano colto tutto il suo stupore (ribrezzo sarebbe
stato forse un termine più appropriato). Cercò di ricomporsi.
In fondo erano solo un paio di foto. Non poteva essere una cosa tanto difficile da
gestire. Iniziarono gli scatti ma, malauguratamente per lei, non fu facile come sperava, né
tanto meno piacevole.
Ad ogni nuova posa Sofia sapeva sempre come sottrarle la scena; ora le si appiccicava
addosso spingendola ai margini dell’inquadratura, ora la torceva scherzosamente
facendola assomigliare ad un gobbo e anche quando, finalmente, stava nei suoi ”spazi”
ecco che i suoi lunghi capelli corvini sconfinavano finendo accidentalmente/di-
proposito sugli occhi o sul viso della compagna.
Era certa che lo stesse facendo apposta.
Ad un tratto Sofia la squadrò tutta e, quasi la vedesse per la prima volta, trattenne a
stento il suo evidente disappunto. Le ciglia si trasformarono in due piccole saette mentre
la bocca si storceva in un moto di disgusto. Ecco, ora dovevano farle una foto!
– Non avevo notato di come non siamo affatto coordinate! – squittì dolcemente
indicando prima il suo modernissimo abito e poi quello di Karen, alquanto più retrò.
Katia fissò perplessa le due diverse mise. Forse, dopotutto, non aveva poi tanto torto.
– Che ne diresti di cambiarci? Ho visto due abiti carini che ci starebbero davvero un
amore!!
Detto fatto. Odiava ammetterlo ma, per una volta, Sofia aveva maledettamente ragione.
Ed aveva anche un discreto occhio. Tra centinaia di capi (alcuni dei quali decisamente
eccentrici) ne aveva scovati due piuttosto sobri ma magnifici.
Katia si ammirò nello specchio a figura intera: indossava un modello semplice, un
abitino stile impero, con delle bellissime increspature sul seno, stretto da una sottile
striscia di velluto bianco da cui partiva una cascata di morbide pieghe color avorio
lunghe quasi fino ai piedi.
E stava bene. Davvero bene.
Sofia aveva un modello simile, color crema, che le arrivava poco prima del ginocchio.
L’effetto era diversissimo perché lei aveva completato la sua mise con lunghi, setosi,
guanti avorio che le arrivavano fino ai gomiti. Stranamente tra le due era lei la più
elegante.
– Siete bellissime ragazze.
Jak dopo l’ennesimo invito a ad uscire da lì, stufo, era entrato ed ora le fissava estasiato.
E Katia avrebbe giurato che si fosse soffermato di più su di lei.
Doveva un favore a Sofia. Anche se non era sicura che quell’effetto fosse stato
veramente voluto.
– Non dovevi vederci. Manca ancora qualcosa – esclamò Sofia girandole intorno come
una madre affettuosa.
No, doveva ricredersi, Sofia ce la stava mettendo tutta per renderla speciale.
– Jak, prima ho notato che non hai usato un faretto che sta nel ripostiglio. E’ il più forte
dei tre. Potresti prenderlo? – chiese Sofia con improvviso trasporto.
– Saremo stupende sotto quelle luci. Credimi! – concluse poi voltandosi verso di lei.
L’uomo si diresse obbediente verso un punto lontano della sala.
– Oh! Ho dimenticato di chiamare Tom – costatò ad un tratto la compagna.
– Era andato a riposare e mi aveva chiesto di svegliarlo ma ho questi tacchi assurdi che
mi fanno un male! – biascicò triste osservando i suoi piedi. Katia seguì il suo sguardo e
vide i suoi favolosi sandali a spillo con i lacci alla schiava che salivano come una
ragnatela fino al polpaccio. Facevano male solo a guardarli.
A lei invece, fortunatamente, erano toccate delle scarpe basse.
Provò un moto di compassione e l’impulso di restituire la gentilezza avuta.
– Posso andare io – propose.
In fondo, per una volta, Sofia si era davvero comportata bene con lei.
– Davvero lo faresti? Saresti un tesoro!
– Ma certo.
Jak stava tornando con passo traballante verso di loro, schiacciato sotto il peso di quello
che sembrava un lungo palo nero sormontato da faretti.
– Faresti meglio ad andare ora… prima che Jak ci blocchi qui per ore.
Non aveva tutti i torti.
Mentre la sorpassava Sofia inaspettatamente le poggiò la mano sul capo dandole
un’affettuosa pacca fraterna e dicendo: – Brava la mia piccola. E fa presto!!
Quel giorno era davvero memorabile.
Da lontano sentì Jak chiederle dove andasse.
– Da Tom. Torno subitoooo – rispose scomparendo per le scale.
– SOFIAAA!!
L’interpellata si girò piano. Sul volto un’espressione sorniona.
– Tu sai perché Karen sta correndo da Tom vestita da sposa? – gridò lasciando cadere di
botto le luci che aveva preso. Un rumore metallico riecheggiò sinistro nell’aria.
– Devo fermarla – aggiunse lanciandosi all’inseguimento ma due mani artigliate lo
afferrarono stretto.
– Lasciala andare – sibilò la voce di Sofia come un serpente.
Lui, con un potente, strattone si divincolò.
– Ti rendi conto che Tom non ha ancora superato la cosa? – le gridò in faccia.
– E’ stato mollato. Ed è passato un anno da allora – aggiunse incrociando le braccia al
petto, quasi sfidando a contraddirlo – dunque è proprio ora che la superi. Non trovi?.
Non c’era ombra di rimorso nella sua voce. Jak scosse violentemente la testa.
– Le cose non sono andate così… ti rendi conto che così lo costringerai a rivivere un
momento doloroso della sua vita? Lo capisci? – e dicendolo l’afferrò stretta. Per la prima
volta da quando lo conosceva Sofia vide quegli occhi marini, generalmente luminosi e
sereni trasformati in un blu tempestoso, le sembrava di vedere i lampi della tempesta nel
nuovo, sinistro scintillio.
– Mi stai facendo male. Lasciami – mormorò. Lui non l’ascoltò.
– Devi smetterla di giocare con i sentimenti della gente. Fa male sai?
– L’ho fatto per lui. Se rivivrà quel momento scatterà qualcosa. Magari troverà la forza di
chiamare la sua ex e di chiarirsi. C’è ancora qualcosa di sospeso nell’aria. Lo sento!
Sofia adesso aveva cambiato tono. Sembrava davvero convinta della sua idea.
Jak la lasciò e iniziò a fissare il pavimento.
– Dunque non è una stupida ripicca la tua, o magari voglia di vendetta. Stai
psicoanalizzando Tom? E’ una specie di gesto nobile per aiutarlo?
La ragazza annuì soddisfatta.
– Beh, fatti dire, cara la mia psichiatra, che hai commesso un errore fatale. La questione è
e rimarrà in sospeso – e parlando si allontanò per raggiungere la porta.
– Non capisci tu!
Sofia aveva riafferrato il braccio di Jak, trattenendolo.
– Sei solo una stupida! – replicò furiosamente Jak dimenandosi.
– Lo vuoi capire che non c’è niente da fare? La ex di Tom è morta! MORTA! CAPISCI!!
Sofia barcollò leggermente, staccandosi improvvisamente dall’uomo.
– E, fossi in te, la smetterei subito di perseguitare quell’uomo. Può diventare pericoloso
quando vuole… – l’ammonì serio.
Il lampo di preoccupazione che accese i suoi occhi agitò la donna.
– Che, c–che vuoi dire? – mormorò allerta.
– Niente di che, solo che lui continua a ripetere a tutti… di averla uccisa.
*******
Max vide Ylaria correre alle spalle di un uomo parandogli due mani sugli occhi.
– Ciao grand’uomo! Felice di vedermi? – la sentì gridare.
– Allora com’è? – lo raggiunse una vocina nell’orecchio
– Aspetta Ariel… ancora non lo vedo. Ylaria lo copre quasi completamente.
Sbuffo dall’altro lato del telefono.
– Ecco ora si è tolta.
– Allora dimmi: è bello? Com’è vestito? E’ bello?
Max trasalì. Anche se a malincuore doveva ammettere che Andrea era davvero un
bell’uomo. Non quella bellezza femminea, dolce, che a volte è un po’ imbarazzante
riconoscere. Andrea era l’essenza del tipo ben piantato: era alto, con vita stretta e spalle
larghe e, dulcis in fundo, aveva un viso perfettamente abbronzato con mascella da
macho inclusa.
Assolutamente insopportabile.
– Allora?
– Non è niente di eccezionale – mentì.
– Muoio dalla curiosità. Devi darmi qualche indicazione. Ricordati che dovrò abbordarlo
dopo.
– Ti basterà sapere che ha un completo azzurro, camicia bianca, scarpe lucide nero e un
porta un fazzoletto bianco nel taschino. Ti bastano come indizi?
Altro sbuffo.
– Come sei freddo e impersonale nella tua descrizione! Voglio det-ta-gli! Det-ta-gli! –
iniziò a cantilenare l’altra.
Max si scostò leggermente l’auricolare del cellulare dalle orecchie. L’idea di guardare
Andrea da lontano (all’insaputa di Ylaria) per permettere ad Ariel di individuarlo con
certezza non gli era piaciuta sin dall’inizio.
– E’ lui che dovrebbe abbordare te e non viceversa – aveva replicato per la centesima
volta ma la dolce barbie non aveva voluto sentire ragioni.
– E se mi si avvicinasse qualcun altro? Devo sapere che faccia ha! E’ un mio diritto!
Altrimenti non ci sto!
Ora, dopo due ore d’attesa, con i piedi doloranti, la pancia vuota e il tempo che
prometteva pioggia maledisse ancor di più la sua missione da 007.
– Facciamo così … gli faccio una foto con il telefonino e te la mando: ok?
– SIIIIIIIIII!! Mitico! Sei un genio!
Chiuse la chiamata e cercò di mettere a fuoco il soggetto. Purtroppo però la leggera
pioggerellina si stava evolvendo velocemente in un vero e proprio temporale. Doveva
avvicinarsi per avere un’immagine nitida. Quando vide Andrea avvicinarsi all’auto di
Ylaria si trattenne dall’esultare. La sua macchina era proprio di fianco. Lo avrebbe
fotografato e non si sarebbe neppure bagnato. Finalmente un colpo di fortuna.
*******
Ylaria sorrise ad un Andrea decisamente stupito.
– Non mi sembri felice di vedermi? O sbaglio? – gli chiese abbracciandolo.
In un lampo il viso di lui era tornato sorridente come i protagonisti delle pubblicità
dentarie.
– La piccola Ylaria! Onestamente non ti aspettavo. Katia è qui in giro? – aveva aggiunto
voltandosi in fretta a cercarla. Non sembrava affatto contento di attardarsi con lei.
– No. Ti porterò io da lei. In realtà ho dovuto insistere molto per avere un tete-à-tete
con te quindi potresti mostrare un minimo di gratitudine – esclamò con voce
improvvisamente dura.
– Hai assolutamente ragione, – sbottò Andrea dandosi un pugno su un palmo – sono
stato davvero maleducato – riprese poi prendendole le mani su cui impresse un
cerimonioso baciamano.
– E’ davvero un piacere vederti. Credimi! – cinguettò allegramente ma, nonostante si
sforzasse di apparire sciolto, a Ylaria non sfuggirono le sue occhiate furtive in giro.
Vedendola aveva subito subodorato il tranello. Era furbo il tipo.
– Sono sola. Ti volevo parlare… tu sai di che – aggiunse a voce bassissima.
Plic. Plic. Piccole gocce caddero sul terreno brullo.
–Ma non qui. Potrebbe sentirci chiunque. Sali in macchina. E’ più sicuro – disse
indicandogli la sua vettura.
L’uomo obbedì visibilmente sollevato. Un tuono spaccò l’aria e il cielo sembrò in
procinto di esplodere. Mille stelle d’acqua si formarono rapidamente sullo specchio del
parabrezza ad un ritmo sempre più incessante. Sembrava di essere sotto una tempesta di
proiettili.
– Non ti aspettavi di vedermi qui? – chiese Ylaria
Andrea sospirò. – E’ sempre un piacere vedere la miglior amica di Katia – disse calmo
guardando ostinatamente qualcosa avanti a sé.
Aveva calcato sulla parola “amica” con tono di accusa, quasi sputando su quel caro
nome. Ylaria si sentì le gote in fiamme.
– Non ci riuscirai!! – esclamò furente.
Lui si girò a scrutarla con sguardo canzonatorio. – A fare che scusa?
– A farmi sentire una traditrice.
Ecco l’aveva detto. In quell’istante un lampo aveva illuminato l’abitacolo.
*******
Max corse verso la sua auto. In realtà il proposito di continuare la sua parte di spia era
velocemente crollato, sconfitto da numerose, valide, ragioni; prima tra tutte l’idea che
quell’uomo non sembrava affatto il pericoloso bastardo che Ylaria gli aveva descritto; in
secondo luogo, con i due che parlottavano tranquillamente in macchina, la situazione gli
sembrava sotto controllo; infine, la terza e schiacciante intuizione che l’aveva convinto
era il pensiero che, dovendo lui entrare in scena come il fidanzato geloso di Ariel, non
poteva correre il rischio di essere riconosciuto. E una persona ferma sotto la pioggia è
davvero sospetta. Ma forse il tuono, più di ogni logica deduzione, era stata la leva che
l’aveva convinto ad abbandonare tutto per una dignitosa ritirata.
In quel momento, sotto la pioggia battente che gli inzuppava i capelli incollandoli alla
faccia, il suo unico, trepidante desiderio era sprofondare sul comodo sedile, aprire l’aria
calda e partire calmo verso l’Over-Size.
Spiare era l’ultimo dei suoi desideri. Non ne aveva né la forza né tanto meno la volontà
eppure il lampo che aveva rischiarato il cielo l’aveva portato, quasi involontariamente, a
voltarsi verso i suoi vicini. Lì, in quell’abitacolo baciato appena da una fioca lama di luce,
lo sguardo spiritato di Ylaria, pallida e stravolta, l’aveva inchiodato al suolo.
La bocca lattea della ragazza si era schiusa in un grido di rabbia che aveva oltrepassato il
vetro.
– NON E’ COSI’ CHE E’ ANDATA!! – aveva strillato con quanta voce aveva in corpo,
colpendo lo sterzo con un pugno.
E poi, all’improvviso, una voce maschile fredda ed ironica aveva risposto: – Vuoi dire
che non sei venuta a letto con me? Fidati: è esattamente così che è andata.
Max si accasciò velocemente vicino alla portiera per non essere visto.
Il punto due andava rivisto: la situazione era decisamente fuori ogni controllo.
*******
Katia corse verso il salotto con la sensazione di volare.
Fuori una lieve pioggerellina batteva a ritmi sempre più veloci. Le nuvole chiare si
stavano diradando per lasciare spazio ad un cielo cupo e grigio. Un lampo squarciò l’aria
rivelando una sala nella quasi totale oscurità. I rami e le piante avevano assunto sinistre
sembianze e lunghe, strane ombre si allungavano contorte sul pavimento. Da brivido.
Quello era il tempo ideale per schiacciare un pisolino, cullati dal fruscio dell’acqua sui
vetri e dai rumori lontani della tempesta. Tom non si era fatto sfuggire una tale
occasione e, steso sul sofà, dormiva beatamente stringendo due cuscini sotto la testa. Era
strano come sembrasse indifeso e dolce con gli occhi chiusi.
Katia si chinò su di lui scuotendolo delicatamente. Niente.
Ci riprovò ancora ma senza successo.
Ma, in fondo, perché svegliarlo? Lei lo preferiva decisamente così: silenzioso e buono.
Quasi approvando la sua decisione Tom borbottò qualcosa e si girò su un fianco.
Sorrideva beato.
Katia si allontanò piano. Non era il caso di insistere.
Si sedette sui primi gradini delle scale e decise di aspettare qualche minuto prima di
ridiscendere nella sala delle foto. Avrebbe semplicemente detto di non averlo trovato.
E fu lì che la raggiunse il ticchettio elegante di Miss-Donna-Perfetta.
Sofia l’avvicinò velocemente. Era stranamente pallida e sembrava un po’ nervosa.
– Stai bene? Tom non ti ha fatto male? – chiese con una voce che non sembrava più la
sua, bassa e debole, quasi un sussurro.
– Io non sapevo come stavano le cose altrimenti non mi sarei mai permessa – continuò
ignorandola.
Ma di che stava parlando? L’altra iniziò a torturarsi le unghie.
– Spiegati meglio–la incitò.
– Tu assomigli molto alla ex di Tom. Loro stavano per sposarsi. Io… pensavo di fargli
uno scherzo facendoti comparire così davanti a lui.
Dunque l’aveva agghindata apposta così solo per prendere in giro Tom? L’aveva usata!
– Ma io non potevo sapere che Tom avesse reagito a quel modo e che lei… lei… – e qui
si poggiò una mano sulla bocca.
Che lei cosa? Ora iniziava ad avere i brividi... che aveva mai fatto Tom?
– Lei cosa? L’ha lasciato?
Sofia scosse la testa nervosamente. – Di più: l’ha tradito.
Katia sospirò. Aveva temuto il peggio. Immaginare che una ragazza potesse lasciare Tom
non era difficile, era il pensiero che lo potesse amare ad essere assurdo.
– Ma quando lui l’ha saputo è andato su tutte le furie. C’è stata una lotta. E’ lì che si è
procurato quella cicatrice.
– Fammi indovinare: ora non si parlano più? – esclamò con voce allegra.
Ne aveva abbastanza di quel dramma.
Sofia si coprì la faccia con entrambe le mani. – Lei… in quell’occasione… è morta.
*******
Katia chiuse le portiere della propria macchina con un click. Da quando aveva saputo di
Tom si era precipitata fuori, lontana dalla casa.
– E’ solo finzione. E’ SOLO FINZIONE!! – si ripeteva instancabilmente da quasi
un’ora.
Tom non poteva essere un assassino. Sofia doveva averlo detto solo per terrorizzarla.
Ma, anche vista così, la situazione non migliorava.
Come aveva potuto Ylaria lasciarla da sola con quei pazzi? Razionalmente sapeva che
tutti stavano fingendo ma con quell’uscita Sofia aveva davvero esagerato; esisteva un
limite al buon gusto e lei l’aveva ampiamente superato. E lei non sarebbe rimasta un
attimo di più in compagnia di tali persone senza alcuno scrupolo.
La cosa peggiore di tutte era che non poteva fare niente. Aveva provato a contattare
l’amica ma, o il suo telefonino era spento o, con la fortuna che aveva, in quella zona non
c’era campo. Ed ora, con la grandine battente e l’ululare della tempesta, sarebbe stato
impossibile avventurarsi giù dalla montagna per quelle stradine tortuose senza finire in
qualche precipizio. Era bloccata lì.
– Maledizione!! – urlò battendo un pugno sul volante.
Un tok tok ravvicinato la costrinse a girarsi.
Jak, rannicchiato sotto un piccolo ombrello, era in piedi davanti al suo finestrino.
Abbassò di poco il vetro.
– Karen, che ci fai qui?
– Sto aspettando il ritorno degli altri.
L’altro non batté ciglio come se aspettare per mezz’ora in macchina, da soli, sotto la
pioggia battente, fosse una cosa assolutamente ordinaria.
Non appena però la guardò meglio i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa.
–Ma non ti sei cambiata?
Anche Katia guardò l’abito bianco e si sentì avvampare. Salvarsi la vita da un pazzo
omicida le era sembrata una priorità maggiore rispetto al togliersi uno stupido abito
– Non ti preoccupare. Non appena vedo Tom gli spiegherò io la situazione. Non farà
nulla di strano. Non più del suo solito – e qui le fece l’occhiolino.
Nonostante il tono allegro di Jak Katia non si sentì affatto sollevata. Non era sicura di
riuscire a vedere Tom in faccia senza provare un moto di puro orrore.
– Io resto qui ancora un po’.
Jak fece spallucce e si apprestò a tornare dentro.
– Per caso hai visto Sofia? – chiese prima di avviarsi dentro.
Ancora non era rientrata? Eppure era passata più di mezz’ora dalla loro chiacchierata…
Possibile che quella narcisista fosse andata sul serio a cercare Tom sotto quel diluvio?
– Hai cercato in casa?
Jak annuì. Sembrava lievemente in ansia.
– In realtà io le ho fatto un piccolo scherzo… non vorrei che mi avesse preso sul serio.
Non aveva resistito alla tentazione di dire a quell’arpia che Tom, vedendola, era fuggito
dallo chalet terrorizzato. La faccia preoccupata della donna l’aveva ripagata solo in parte
dall’amarezza di essere stata usata.
Spiegò l’accaduto a Jak, che, con sua sorpresa, non la prese affatto bene come aveva
sperato.
– Ma sei pazza? Girare per la montagna con questo tempo è pericolosissimo! Potrebbe
esserci una frana, potrebbe scivolare in qualche scarpata! – la rimproverò.
Ma come poteva sapere che Sofia avrebbe compiuto il suo unico gesto di solidarietà in
un momento del genere?
– Dobbiamo avvisare Tom e andare a cercarla – ordinò l’altro in un tono che non
ammetteva repliche.
– Io non posso… aspettarvi qui? – suggerì pianissimo.
– Tu rientri in casa. SUBITO!! Non ho né il tempo né la volontà di preoccuparmi anche
per te.
Lei obbedì a malincuore.
– Io non credo che Sofia sia là fuori. Sicuramente sarà rientrata sul set e ci aspetta furiosa
per continuare il calendario – sbottò mentre avanzavano lentamente sotto la tempesta.
Jak taceva.
– O si è nascosta in casa e aspetta il momento buono per farci venire un bello spavento.
Queste erano più cose da Sofia, non certo rischiare la vita per un estraneo.
In realtà aveva bisogno disperatamente di credere che fosse così per soffocare il senso di
colpa che le torceva lo stomaco.
– Forse hai ragione tu. Inizieremo ricontrollando meglio in casa.
Jak le stava sorridendo. C’era una flebile speranza che si fossero preoccupati invano e
che, per una volta, le cose non sarebbero peggiorate.
Lei appoggiò la mano sulla maniglia del portone con un po’ di sollievo.
Tutto sarebbe andato bene.
Mentre metteva piede in casa un tuono rimbombò in lontananza seguito, subito dopo,
da un agghiacciante grido. Il suono era stato tanto stridulo e si era spento così
repentinamente da non far capire a chi potesse appartenere, se ad un animale selvatico,
ad un uccello… o ad una persona.
Il volto tirato di Jak le confermò come anche lui stesse pensando al peggio.
– Io vado a controllare – annunciò voltandosi. – Tu invece avvisa Tom e resta in casa –
le urlò prima di sparire nella cortina di pioggia.
Sbam. Un’ondata di vento fece chiudere la porta.
Ecco: ora era sola in casa con un potenziale omicida.
*******
– No. Non so qual è il succo preferito da Corinne! Mi dispiace ma ho molto da fare.
Arrivederci! Simone riagganciò la cornetta con forza.
Come se lui avesse tempo da perdere in quelle sciocchezze.
Era da più di un’ora che andava avanti così e sentiva che stava per scoppiare.
Sembrava che tutte le tv locali volessero contattarli
Man mano che si avvicinava la fatidica “ora x” le persone intorno a lui si moltiplicavano
e tutti gli chiedevano curiosità sulla star. Non ne poteva più.
Come amava il cappuccino? Era vero che dormiva solo su lenzuola con ricami d’oro?
Ma per favore! Anche volendo però non avrebbe potuto rispondere.
Aveva avuto ordini tassativi di non parlare con nessuno. Luisa, in un eccessivo zelo
professionale, aveva imposto a tutto il personale di non comunicare con i nuovi arrivati,
temendo infiltrati a caccia di scoop.
“Anche un’apparente inezia può essere usata contro la nostra cliente ed è nostro preciso
dovere tutelarne la privacy” aveva ripetuto fino alla nausea.
Dopo una mattinata passata a fare commissioni assurde per conto di quella pazza lui
avrebbe preferito morire che ripetere ancora quel nome.
– Puoi sostituirmi un attimo? Vado solo a prendere un caffè al bar – chiese al primo
amico che gli passò davanti.
La sua voce doveva avere un tocco di panico perché Davide, un collega per nulla
accomodante, si collocò alla reception senza protestare mentre lui percorreva
velocemente lo stretto corridoio interno che collegava l’edificio al bar. Amava quel
piccolo posto.
Di fatto anche quell’attività era parte della proprietà alberghiera ma il suo ingresso era
dietro l’angolo, su una stradina laterale poco frequentata. Lì sarebbe stato al sicuro dai
giornalisti e dagli esigenti ospiti dell’albergo. Perciò il suo stupore fu autentico quando,
sugli alti sgabelli beige del bar, vide Leira sorseggiare un aperitivo. Aveva sostituito il
rigido completo nero con una mise decisamente più femminile che le arrivava un po’
sotto il ginocchio. Un paio di lucentissimi stivaletti completavano l’opera.
Era più che elegante: era bellissima.
– Ehi, bellezza! Posso offrirti un altro drink? – esclamò allegramente, raggiungendola.
Leira si voltò. Ad una prima impressione i suoi occhi non gli sembrarono più dolci e
aperti come quella mattina ma sicuramente, si disse , era per colpa di quel tocco di trucco
scuro che risaltava gli iridi azzurrissimi rendendola incredibilmente intrigante.
Aveva perso anche la sua aria ingenua e un po’ bambina per un tocco decisamente più da
“femme fatale”.
Qualche attimo dopo, quella che era stata solo un’iniziale sensazione prese corpo quando
Leira, con una gelida occhiata, lo squadrò da capo a piedi. Non sembrava averlo
riconosciuto. Esaminò con disprezzo la sua divisa e, finita la radiografia, riprese a bere
come se lui non ci fosse.
Si affacciò per vederla meglio: possibile che avesse sbagliato persona?
Ma non aveva dubbi, anche con quelle labbra perfettamente dipinte e una costosa
acconciatura era e rimaneva lei.
– Hai avuto una giornata difficile? Sapessi la mia… – riprovò più cortesemente.
A quel punto apparve l’inaspettato; Leira si voltò incenerendolo con occhi di fuoco e
l’apostrofò con disprezzo: Sto aspettando qualcuno! – gli urlò in faccia.
– Potrebbe farmi il grande favore di non importunarmi?
Si erano voltati tutti. Bambini e donne l’avevano fissato con occhi d’accusa. Il barman,
che lo conosceva, aveva alzato le spalle impotente indicandogli con la testa di andare via.
Era scappato come un ladro, inseguito solo dal confuso borbottio di riprovazione della
folla. Ma cosa stava succedendo a tutti? La follia era contagiosa?
*******
Ylaria ricordava nitidamente come tutto era iniziato: una timidissima primavera si
affacciava pallida sull’asfalto e sul cemento della metropoli inglese, lei si era trasferita a
Londra già da qualche mese ma, nonostante il suo carattere aperto e allegro, tardava ad
ambientarsi. Tutto si erano dimostrato peggio di quanto si aspettasse, a partire dal
lavoro, dove la gavetta si stava dimostrando massacrante, fino al suo monolocale al
piano terra con vista su un muro sporco. Per risparmiare aveva preso casa in una zona
fuori mano e, solo dopo aver dato l’anticipo di tre mesi, aveva scoperto che il suo
quartiere era il teatro designato di ogni battaglia sociale, culturale, razziale e ideologica
esistente. Ogni pretesto era buono perché gruppi di teen-ager si azzuffassero con
spranghe e catene. Con il calare della notte la situazione peggiorava: le mazze lasciavano
il posto alle pistole. Solo un pazzo avrebbe messo piedi fuori di casa.
Il risultato era che ogni giorno, da quasi due mesi, lei passava le proprie giornate ad
ingobbirsi su un tavolo pieno di scartoffie in una stanza grande quasi come un ripostiglio
per le scope. Di sera, quando usciva da quel buco senz’aria, correva a chiudersi a chiave
in quella scatola senza luce. Stava diventando ogni giorno più triste. A volte si svegliava
in lacrime.
Era stato proprio durante una di quelle sere di malinconia acuta che aveva chiamato
l’amica. Com’era stata contenta di sentirla!
Katia le aveva raccontato le ultime novità sui loro amici, pettegolezzi su dei conoscenti,
novità sulla sua pratica e poi, dopo parecchio tempo, aveva lanciato la bomba: Andrea
l’indomani avrebbe partecipato ad un’importante conferenza sul diritto e qualcosa… a
Londra!
“Poteva per caso passare a salutarlo?”, aveva chiesto con finto disinteresse.
“E se avesse avuto tempo, magari, avrebbero potuto passare una serata insieme?”, aveva
aggiunto con una vocina flebile flebile.
Lei sapeva che, nonostante quell’apparente noncuranza, in realtà, l’amica desiderava
ardentemente che si incontrasse con il suo ragazzo. La sua presenza avrebbe evitato che
l’uomo cadesse, diciamo per sbaglio, nelle braccia di qualche sventola inglese.
Andrea era molto bello e Katia era diventata un po’ troppo sensibile sull’argomento
gelosia (paranoica era il termine giusto per definirla). Per una volta però sarebbe stata più
che felice di assecondarla.
Era andata alla conferenza (in realtà era arrivata a pochi minuti dalla fine). Per fortuna
era una cerimonia serale perché altrimenti difficilmente sarebbe riuscita a muoversi dal
lavoro. Aveva fatto la sua sorpresa ad Andrea ed insieme erano andati a festeggiare il
loro incontro in un pub.
Questo era tutto quello che si ricordava.
Dopo i primi drink tutto iniziava a sfocarsi. La nebbia scompariva solo sull’agghiacciante
scena finale: il suo risveglio, nuda, tra le braccia di Andrea. Il resto era buio pesto.
– Allora non vuoi dirmi realmente com’è andata? – ripeté stancamente.
Andrea le fece un sorriso malizioso che rivelò una fossetta sulla guancia ben rasata. Una
volta adorava quella fossetta. Ma ora non più
– Lo sai com’è andata: Tu mi volevi. Fine della storia.
Sospirò. Se continuava così non avrebbe scoperto nulla.
Stavano girando da più di un ora ma lui continuava a non scoprirsi. Non stava arrivando
da nessuna parte, in tutti i sensi.
– Non puoi darmi qualche indizio. Tipo: il tuo fascino mi ha stregato? Mi hai detto
qualcosa di straordinariamente romantico? Mi hai strappato tutto di dosso? Mi è
piaciuto? – insisté cupa.
– Io non ricordo nulla di quella sera.
Andrea si poggiò le mani dietro la testa e sorrise beato.
– Io invece ricordo ogni dettaglio – mormorò lascivo, guardandola ai raggi x.
Ylaria trattenne il fiato, aspettandosi qualche sordido dettaglio.
– Ma sono un cavaliere e sai che non potrei mai sciupare con aride e volgari parole la
bellezza di quel momento – concluse invece lui, deludendola.
Peccato che mentre dicesse tante belle sciocchezze la stesse letteralmente spogliando con
gli occhi. Maledetto buffone!
Frenò bruscamente ad uno stop e lui sbatté in avanti, dritto contro il cruscotto.
– Ahi! Stai più attenta!
– Scusa, non l’ho fatto apposta.
Aveva sperato che il suo animo spavaldo l’avrebbe indotto a vantarsi così da darle
elementi in più ed invece Andrea si era dimostrato un tipo molto riservato. Molto
riservato o molto scaltro.
– Siamo arrivati? E’ da un’ora che vaghiamo senza meta.
Ylaria inchiodò ad un semaforo giallo.
Con un tempismo perfetto Andrea si ancorò saldamente alle maniglie laterali.
Peccato. Non lo faceva tanto agile.
– Perché io non ricordo nulla? – esclamò spazientita.
– Semplicemente perché eri ubriaca.
E questa era un’altra cosa strana. Lei non si ubriacava mai, il massimo che si concedeva
era quel piacevole stato di torpore che segue ad un paio di birre. Con la terza si
addormentava di colpo.
– Sei proprio sicuro che non abbiamo fumato niente? Non è che mi hai dato uno
spinello? O dell’ecstasy?
Era un’ ipotesi assurda ma avrebbero spiegato quella strana amnesia.
Non sapeva cos’altro pensare.
Andrea iniziò a ridere di gusto. Una risata cattiva.
– Hai visto troppi film cara. Dimentichi la cosa più importante: io non sapevo neppure
che ti avrei incontrato. Se non sbaglio sei stata tu a volermi fare una sorpresa!
Era tutto vero. Si morse le labbra a sangue.
– So che stai cercando di fare ma non ci riuscirai – l’accusò ostile, additandola.
– Tu vorresti dare tutta la colpa a me, dipingermi come il mostro che ti ha costretta a
tradire la fiducia di una persona cara – replicò improvvisamente astioso.
– Ebbene le cose non sono andate così. Io non vado fiero delle mie azioni ma almeno ne
prendo coscienza. E dovresti farlo anche tu.
– La colpa è di entrambi. Questa è la verità. Quando prima lo accetterai prima supererai
la cosa.
Non c’erano alternative. Avrebbe dovuto accettare la realtà a cui cercava tanto
disperatamente di sfuggire. Aveva agito di propria volontà: era una traditrice, una
sciagurata. Non c’erano scappatoie né vie di uscite.
– Le hai detto di averla tradita? – si informò con ansia.
Altra risata sferzante.
– Ma stai scherzando! Non volevo certo che soffrisse.
Se fosse stato vero non tradirla sarebbe stato molto più saggio.
Eppure Katia stava già soffrendo. Da quando era tornata da Londra l’aveva vista
piangere di nascosto. Ed era sempre distratta. E aveva smesso di confidarsi con lei. Non
bisognava essere un genio per fare due più due. C’era qualcosa che la turbava e di cui
non riusciva a parlare con lei forse perché non voleva rovinare la loro amicizia. Doveva
aver saputo del tradimento di Andrea e ora temeva che lei, come aveva fatto tante volte
in passato, la liquidasse con un doloroso, snervante “ti avevo avvertito di lasciarlo”.
– L’appuntamento con Katia è la dentro. Ti raggiungerà tra un po’ – lo avvisò
accostando dolcemente davanti ad un bar.
Andrea afferrò la valigetta, il soprabito, e aprì di scatto la portiera. Fuori diluviava.
– E hai intenzione di dirglielo? – domandò brusca.
Di fronte alla sua occhiata perplessa si sentì in dovere di giustificarsi, mormorando un
confuso: – Beh, è possibile. In fondo ora non state più insieme. E poi tu mi odi –
aggiunse secca.
Andrea si voltò, scrutandola torvo.
– Allora direi che siamo pari: anche tu mi hai sempre odiato. Sapevo che ripetevi a Katia
di lasciarmi.
Vero. Ma chi l’avrebbe mai incoraggiata a continuare una storia con una persona di dieci
anni più grande di lei? E una persona come Andrea poi! Un dongiovanni incallito.
L’uomo scosse la testa, oramai stufo di quell’interrogatorio.
– Non trovi che sarebbe inutilmente crudele verso Katia – dichiarò in tono definitivo,
mettendo un piede fuori dall’auto.
Doveva averlo stressato parecchio se preferiva uscire sotto quella tempesta piuttosto che
rimanere all’asciutto con lei. Lo guardò aprire un piccolo ombrello pieghevole; stava per
andare via e, con lui, se ne sarebbe andata anche la possibilità di sciogliere quel dubbio
che la tormentava da mesi.
– Un’ultima cosa! – gridò, fermandolo.
Andrea, stanco e irritato, si bloccò sul posto e, con un moto di stizza ribatté aspramente:
– Cos ’altro c’è? Dimmi!
– E’ stato per quella cosa tra noi se…
Il cuore le si fermò. Non riusciva a dirlo. Sapere avrebbe significato prendersi una bella
responsabilità.
– Se… cosa? Andrea ora sembrava realmente stupito.
Ma non sapere sarebbe stato peggio. Erano mesi che si stava logorando. Vedeva Katia
stare male e temeva di sapere, di informarsi. Non poteva andare avanti così.
– L’hai lasciata per causa mia? – chiese con un filo di voce.
Poco mancò che Andrea lasciasse cadere la sua ventiquattrore a terra.
Era riuscito davvero a sconvolgerlo.
Quella faccia, per lei, fu più bella di mille dolci parole. Non era colpa sua. NON ERA
COLPA SUA. Avrebbe voluto gridarlo al mondo intero.
– Certo che tu e Katia non vi parlate davvero più – esclamò sorpreso l’altro, afferrando
la maniglia della portiera per chiuderla. Mise la testa dentro.
– La risposta è no e, tanto per la cronaca, è stata lei a lasciare me.
Lo sportello sbatté fragorosamente mentre lui si allontanava.
Cosa. Cosa!! COSA???
*******
Katia si nascose alla meglio dietro la porta. Il lungo abito bianco però non voleva
saperne di non straripare dall’ombra in cui l’aveva confinato perciò raccolse il piccolo
strascico in grembo come un fagotto.
Era già da un po’ che evitava Tom e fino a quel momento c’era riuscita senza ricorrere al
nascondino, poi però aveva avuto l’infelice idea di farsi uno spuntino e, solo giunta in
cucina, si era accorta che quella stanza era l’unica priva di altri sbocchi. Come avvertendo
la sua paura i passi di Tom si erano diretti rapidi verso di lei.
Quando lui era entrato in cucina non era riuscita a trattenersi dal nascondersi.
Lo scroscio della pioggia sui vetri echeggiava per la casa silenziosa mescolandosi con il
rombo dei tuoni. Le finestre tremavano leggermente. Un cigolio lontano anticipò lo
sbattere di una porta. Tutto era innaturalmente sinistro, sembrava di essere in uno degli
scenari horror di Stephen King.
Clang. Stunf.
I rumori di cassetti e ante sbattute le indicò che Tom stava cercando qualcosa.
“Cerca te”, le sibilò una vocina nella sua testa.
Ma perché aveva visto tanti film sugli assassini? Sapeva benissimo di essere un soggetto
facilmente impressionabile, si spaventava persino se vedeva un bambino cadere!
Si sporse lievemente: vedere la realtà le avrebbe impedito di suggestionarsi.
Tom stava frugando tra i mobili. Razionalmente sapeva che, non vedendo le etichette,
stava cercando solo di annusare l’odore di alcuni vasetti di spezie ma quel suo scavare,
frugare, cercare, le ricordò le fiabe che la mamma le raccontava da bambina; in tutte c’era
irrimediabilmente un Orco cattivo che annusava l’aria in cerca di bambini nascosti.
Ricordava ancora la frase del mostro “Ucci Ucci… sento odore di cristianucci”.
Iniziò a tremare. Maledizione!!
Doveva assolutamente calmarsi. Tom non era un assassino.
Cercò di fare un passo ma i piedi si rifiutarono di obbedirle.
Respira. Inspira. Respira. Doveva sbloccarsi emotivamente o non sarebbe riuscita a
muoversi. Si ricordò di una(e sola) lezione di Yoga a cui aveva partecipato l’anno prima
con Ylaria. L’istruttore le aveva detto di chiudere gli occhi e di rievocare momenti felici,
immagini rassicuranti. Serrò le palpebre.
Per un attimo si sentì serena e rilassata in balia di una musica dolcissima. Era bravissima.
Ma perché mai aveva lasciato?
Un tonfo e degli scricchiolii le ricordarono la presenza di Tom. Subito l’idillio
scomparve, scivolando via come acqua da un bicchiere rotto, sostituito da flash di mani
insanguinate, cadaveri, ferite raccapriccianti e, per finire, lo sguardo di terrore della
vittima prima del colpo finale.
Aprì gli occhi mentre un sudore freddo la gelava. Così non andava.
Doveva uscire allo scoperto prima che le venisse un infarto solo per le proprie
suggestioni. Tom ora era dal lato opposto della sala, intento a fare qualcosa sul tavolo.
Era il momento buono per salutare in fretta e guadagnare subito la porta.
Ora o mai più, si incoraggiò avanzando. In fondo era noto che la fantasia creava mostri
peggiori della realtà (e la sua galoppava a briglia sciolta).
– Buonasera Tom. Che stai facendo? – chiese.
La sua voce uscì strozzata e bassa ma almeno uscì.
Tom sussultò voltandosi nella sua direzione. Non sembrava averla vista. In effetti lui era
proprio sotto la finestra, avvolto da una dolce penombra, mentre lei, essendo un po’ più
in dentro nella stanza, doveva essere quasi completamente nelle tenebre.
Quando finalmente la scorse la faccia divenne pallida e tesa.
– Se questo è uno scherzo non è divertente! – le gridò con rabbia – puntandole qualcosa
contro.
Ma perché Tom cercava di spaventarla? Anche lui si era messo d’accordo con gli altri?
Un lampo illuminò la stanza. E non fu tanto il pallore di quel viso esangue a ghiacciarla
quanto il bagliore che baluginò nella sua mano. Stretto nel pugno destro c’era qualcosa di
lucente e affilato. Ci mise un secondo a realizzare che si trattava di un coltello da
macellaio dalla cui punta gocciolava qualcosa. Seguì con lo sguardo il plik fino a vedere la
macchia scura che si allargava a terra. Una densa massa scura.
– Smettila subito di prenderti gioco di me. Ti avverto che mi sto arrabbiando sul serio! –
sbraitò a toni sempre più alti avanzando e contemporaneamente agitando furiosamente il
coltello.
Qualcosa le schizzò sul viso. Lentamente, con un angosciante presagio che le
attanagliava lo stomaco, si toccò la faccia. Sul dito pallido come la neve c’era una sottile
striscia rossastra. Rosso sangue. Le tempie presero a pulsare violentemente.
Devo essere razionale, si ripeté. Niente panico. Nervi saldi. Ce la poteva fare.
Un altro lampo illuminò il viso di Tom. Aveva un ghigno feroce al posto della bocca. La
cicatrice splendeva come un marchio diabolico sulla pelle tirata e gli occhi scuri e cattivi
bruciavano di odio.
– Aiutoooooooooo! – strillò con quanto fiato aveva e poi, senza esitare oltre, si diede alla
fuga.
*******
Simone percorse rapido lo stretto corridoio ed entrò nella hall. Mentre si approntava ad
attraversare l’immensa sala per sprofondare, al sicuro, dietro la sua postazione passò
davanti all’ascensore che con un dolce plin si spalancò.
Si accostò per far uscire il cliente. Era tornato nel suo mondo.
Da lontano lo raggiunse la voce di Leira che chiedeva del bagno. Il bar non lo aveva
quindi l’avrebbero indirizzata lì. Doveva far presto a sparire.
Un’alta pila di fascicoli e carte uscì dalla gabbia metallica stupendolo. Sarebbe sembrata
quasi magica se due piccoli piedini non fossero apparsi sotto quella montagna di carta,
avanzando incerti. Scrutò quel pantalone scuro con una sensazione di familiarità ma non
aveva il tempo di chiedersi quale suo amico stesse facendo dei lavori senza la divisa
d’ordinanza. Il ticchettio degli stivali di Leira si avvicinava minaccioso. Con una mossa
improvvisa si spostò di lato per aggirare l’ostacolo, ma, proprio in quel momento, anche
l’altro deviò dalla sua traiettoria avanzando deciso. L’urto fu inevitabile. Lui riuscì a
puntellarsi sui piedi, invece la torre di fogli ebbe un profondo scossone e iniziò a
traballare paurosamente all’indietro. Per tentare di recuperare l’equilibrio perso i due
piedini iniziarono uno zigzagante, folle ballo per la sala finendo poi con una corsa
disperata verso l’imbocco dello stretto corridoio. Sapeva cosa sarebbe successo prima
che accadesse ma non poteva impedirlo. Gli sembrò di rivedere la scena al rallentatore,
come un’inquadratura alla Matrix. Leira non ebbe il tempo di mettere più di un piede sul
marmo pregiato dell’albergo che fu travolta. Cadde a gambe all’aria mentre una valanga
bianca si rovesciava a terra, seppellendo tutto sotto il suo spesso manto. Qualche
persona si voltò curiosa ma nessuno si alzò. Tutti erano troppo presi dalle loro faccende.
Simone si avvicinò per dare una mano e, soprattutto, per evitare che Leira uccidesse
l’altro sventurato. Una prima testa bionda emerse dalle scartoffie
– Ahi, ahi. Che dolore.
Di fronte a lei ne spuntò una seconda con un colore quasi uguale.
– Si può sapere cosa stavi tentando di fare? – sbottò aspramente quella che individuò
subito come la voce di Leira. Erano due donne. La situazione era peggiore del previsto.
– Su, ragazze. Niente panico. Si è trattato di un lieve imprevisto ma l’importante è che
state entrambe ben… – stava dicendo allegramente.
Il sorriso gli si gelò sul volto quando vide che, davanti a lui, una di fronte all’altra,
c’erano due facce identiche che lo scrutavano.
*******
Luisa andò nella camera dei video. Oltre venti monitor erano accesi uno accanto all’altro
e su di essi scorrevano fotogrammi di sale e corridoi mostrandole fedelmente cosa
accadeva in quel momento nel suo albergo. Sapeva che non era leale spiare così i suoi
dipendenti ma voleva che tutto fosse perfetto e quello era il modo più veloce per
controllare centinaia di persone senza correre su e giù per i quattro piani dello stabile.
Quasi nessuno sapeva di quella sala. I suoi genitori erano stati molto prudenti nel
costruirla e la maggioranza delle telecamere era nascoste o ben camuffate.
Il suo occhio cadde sul caos di carta rovesciato sul pavimento della hall e per poco non
le venne un malore. Di lì a poco sarebbero stati pieni di giornalisti e loro avevano una
giungla di fogli in mezzo all’ingresso?
In piedi, ferme davanti al caos, c’erano tre persone di spalle. Riconobbe la figura alta e
slanciata di Simone. Perché stava lì immobile come uno stoccafisso senza fare niente?
Chiamò sul numero interno dell’albergo e lo vide rispondere all’apparecchio sul bancone.
– Cos ’è quel caos nell’ingresso? Occupatene subitooooo!
Nello schermo il giovane apparve un po’ spaventato e si guardò intorno quasi cercandola
nei paraggi. Balbettò delle scuse e si precipitò.
Era così carino. Se solo fosse stato un po’ più deciso.
Ripensò a Max. Lui si che sapeva come prenderla. Non riusciva mai a dirgli di no.
E, proprio per evitare che i suoi genitori la vedessero in azione dietro tende e lavasciuga,
aveva dovuto confessargli l’esistenza di quella stanza. Era l’unico a cui ne aveva mai
parlato. Anche se la loro storia oramai era passata da un bel po’ lei continuava a provare
ammirazione per quell’uomo. Quella mattina, quando lui l’aveva chiamata, avevano
addirittura scherzato un po’ insieme, rinvangando ricordi felici.
Max non si era dimenticato di lei e, a quanto pare, neppure di quella stanza.
Allungò la mano verso due monitor solitamente spenti e li accese.
Ecco fatto, ora non le restava che veder cosa sarebbe successo.
*******
Leira trascinò la sorella in un angolo
– Simone puoi scusarci? Avrei due parole da dire alla mia sorellina. Sai non mi aspettavo
proprio di incontrarla qui – esclamò con voce stridula, quasi terrorizzata.
Ma erano parole al vento. Il ragazzo, dopo averle osservate impalato per un po’ era corso
al telefono ed ora stava sfrecciando verso la montagna di carta gridando ad altri suoi
amici di dargli una mano. Altre due persone erano accorse e, inginocchiatesi vicino a lui,
avevano iniziato a raccogliere tutti quei fogli.
Le due ragazze colsero l’occasione per sgattaiolare via.
– Che diavolo stai combinando? – domandò Leira quando si furono barricate al sicuro
dietro la porta della sua stanza.
Ariel sgranò un po’ gli occhi.
– Niente – rispose con il tono più innocente che le riuscì.
– E allora che ci fai vestita così? Sei in caccia? – e qui le lanciò uno sguardo incendiario.
– Si. Ma non è come pensi. La persona su cui devo fare colpo è un uomo di successo, un
professore universitario – si sentì in dovere di precisare.
Leira si ammutolì. Quella si che era una grande novità!
Ariel era sempre stata la creativa della famiglia. Tutto ciò che ruotava intorno alla pittura
o alla scultura era pane per i suoi denti. Purtroppo la vita degli artisti la portava spesso a
conoscere gente ai margini della società, gente con cui Ariel sembrava andare
d’accordissimo e questo, in più di un’occasione, l’aveva davvero preoccupata.
Tirò un sospiro di sollievo. Finalmente la sorella aveva messo la testa a posto.
Ariel intuì i suoi pensieri: – Stai sbagliando di nuovo – esclamò sorniona, stendendo le
gambe fuori dal letto e slacciandosi piano gli stivali lucentissimi. – Io non sono affatto
cotta di questa persona. E’ solo una cosa che devo fare.
– Spiegati meglio signorina.
Ariel digrignò i denti in una smorfia orrenda. Sebbene avessero la stessa età Leira si
comportava come una sorella maggiore sempre pronta a dare ordini e a giudicare il suo
operato. A volte proprio non la sopportava.
– Non devo spiegarti niente – replicò brusca.
Leira, con passo deciso, la raggiunse all’istante.
– Per chi credi che stia facendo tutto questo? – le ricordò indicando gli occhi cerchiati di
scuro, il viso pallidissimo e smunto, l’abito da lavoro.
– La Madison è un vero aguzzino eppure non sto mollando. Lavoro anche dieci ore al
giorno e questo è il tuo ringraziamento?
Ariel abbassò la testa, sinceramente dispiaciuta. Un piccolo trillo spezzò il silenzio.
– E’ il mio cerca persone. La Madison mi vuole. Ancora!! Alzò gli occhi al cielo.
– Non mi lascia mai in pace. Sarà meglio che vada – disse imbracciando al volo alcuni
fascicoli accuratamente impilati su un tavolino.
– Ma non appena tornerò mi racconterai tutto. Chiaro? – e dicendolo le scoccò un
bacetto sulla fronte.
Ariel la guardò raggiungere la porta con passi leggeri e veloci; aveva il viso
tremendamente serio che le conferiva un’aria da segretaria professionale.
– Leira…
L’altra si voltò sulla porta. – Che c’è?
– Se vuoi sembrare me devi avere una faccia decisamente più contenta – l’informò
mimando un gran sorriso.
Leira scosse tristemente i capelli. – Se vuoi quella promozione devi lavorare sodo e
questa è proprio la faccia di una che è in piedi dall’alba. Fidati.
*******
Ylaria buttò la testa sul volante. La giornata non era andata affatto come sperava. Andrea
non le aveva detto niente che già non sapesse. Non sapeva se essere più delusa o
amareggiata.
– Posso parlarti?. Max era entrato come una furia e si era accomodato accanto a lei.
Sollevò un braccio, invitandolo a continuare.
– Non ho potuto fare a meno di ascoltare un po’ della vostra conversazione – annunciò
stizzito.
Questa volta la ragazza sollevò un po’ la testa e scoccò un’occhiata al suo interlocutore:
Max sembrava decisamente infuriato. Ci mancava solo quello.
– Non pensi che mi dovresti una spiegazione? – le domandò bruscamente.
Quello doveva essere il giorno ufficiale dei chiarimenti. A lei, comunque, non era andata
un granché bene. La pioggia ora stava finalmente finendo. Ylaria si fermò a guardare il
paesaggio ancora bagnato con occhi imbambolati. Tutto appariva più bello dopo un
acquazzone. L’aria frizzante e fresca la rinvigoriva.
Non aveva risposto a Max. Erano quindici minuti buoni che si limitava a scrutare fuori
dal finestrino ma il compagno non dava segni di cedimento. Non sembrava spazientito.
A lei invece stavano cedendo i nervi.
– Ti avevo detto che Andrea era un furfante ed è così. Non mi sembra di averti
imbrogliato – dichiarò risoluta.
– Mi hai convinto a mettere in scena tutto questo per proteggere una persona. Se le cose
non stanno così… – tuonò minaccioso.
– Ed è così!!! – lo interruppe lei, frustrata.
Max, con rabbia crescente, le gridò: – Allora perché non mi hai detto di essere stata una
sua amante?
Ylaria tacque. Un silenzio colpevole.
– Ti vuoi vendicare di lui? – continuò.
Anche. Andrea doveva pagare per tutto il male che aveva fatto.
Ylaria si ricordò di qualcosa e si mise a frugare in borsa. Aprì il cellulare spento e,
sfogliando la rubrica, sorrise soddisfatta. Max la seguiva curioso.
– Qualcuno di importante?
– Solo Katia che mi ha cercato e qualche altro amico. Niente di che.
– Allora non vuoi spiegarmi come stanno veramente le cose? La verità intendo.
Max non mollava. E lei non si sentiva pronta a dirgli tutto, sarebbe stato troppo e non
voleva che lui si ritirasse proprio ora che erano quasi arrivati in fondo.
Un allegro motivetto si diffuse nell’abitacolo.
– E’ il mio – disse afferrando al volo il telefonino.
– E’ tutto il giorno che ti chiamo. Perché hai staccato il cellulare? – strillò una voce nel
suo orecchio
Era Ariel. E sembrava davvero stizzita.
– Cosa ti è successo? Andrea non ti ha abbordato e ti sei offesa? – scherzò mettendo il
viva voce ed invitando Max ad avvicinarsi.
– Smettila di scherzare. Qui la cosa è seria – disse un’altra voce identica ma più acuta.
Ylaria fissò in trance l’apparecchio. Possibile che…?
– Siamo e-n-t-r-a-m-b-e qui all’Over-Size – scandì la voce con nervosismo.
– Quindi contro-ordine! Porta Andrea lontano da qui. Lontanissimo.
Questo era davvero un guaio.
– Ma non posso farlo! Ho già lasciato Andrea lì.
La testa prese a ruotarle come un mulinello. Sapeva che se avesse perso quell’occasione
non avrebbe più avuto modo di incastrare quel furfante.
– Stammi a sentire Leira. Dobbiamo andare avanti e rischiare. Max ha già parlato con
Luisa e ci sono due telecamere pronte a riprendere la scena e noi abbiamo
disperatamente bisogno di prove! Non avremo altre occasioni: lo capisci?
Aveva fatto carte false per fare arrivare quell’uomo lì ed ora non si sarebbe tirata indietro
tanto facilmente.
– Se tu avessi acceso il telefonino stamattina sapresti già da un bel pezzo che io sono qui
con la Madison.
E non sono sola: tutti i giornalisti e le Tv locali sono appostati nell’albergo in attesa della
conferenza stampa convocata a sorpresa da Corinne… ah, ovviamente anche lei è qui e a
quanto pare smania dalla voglia di annunciare qualcosa di eclatante al mondo… tu sai
per caso di cosa si tratta?
Conoscendo Corinne si trattava sicuramente di un nuovo taglio di capelli o di uno
spettacolare intervento per gonfiarsi il seno. Ancora.
Ma la Madison che ci faceva con lei? Quella donna stava architettando qualcosa. E lei
non poteva fermarla. Leira continuò a parlare sempre più velocemente fino a ché Ylaria
smise di tentare di capire. Aveva quasi scordato quanto fosse snervante e logorroica la
sorella di Ariel quando era in ansia per qualcosa. A lei preferiva di gran lunga la pacifica
allegria della gemella.
– Chiudi Ariel in camera e non farla uscire – ordinò.
Leira sbuffò rumorosamente.
– Che altro c’è? – disse un po’ aspramente. Quella donna era indisponente.
– Andrea è nella sala accanto. Come speri che non veda i camioncini delle troupe
televisive? Che non senta i flash dei fotografi? Sai quant’è egocentrico!
– Basterà dargli una potente distrazione e diventerà cieco e sordo.
Aveva avuto un’idea.
– Tu fa come ti dico. Al resto ci penso io.
Chiuse di scatto il telefono mentre l’altra ancora parlava. Si girò verso il compagno.
– Ho bisogno che tu vada da Katia e inventi una scusa per non farla venire. Dille quello
che vuoi, che Andrea ha avuto un impegno, che è dovuto andare via subito. Insomma fa
tu.
Max scese dall’auto senza essere troppo convinto.
– Che hai intenzione di fare?
Ylaria prese un astuccio dorato, si avvicinò allo specchietto e con estrema cura iniziò a
passarsi un rossetto iridescente.
– Se è la guerra che vuole la guerra avrà – esclamò schioccando le labbra.
– Questo vuol dire che…
– Si passa al piano B – concluse con voce decisa.
– Non pensi di esagerare? Il piano B è inutilmente crudele.
– Per persone come Andrea non c’è niente di abbastanza crudele – e dicendolo sgommò
via di gran carriera.
*******
Katia aveva raggiunto di corsa il salone. Ad onore del vero Tom non le stava correndo
dietro come un serial killer dei film ma lei lo stesso non riusciva a smettere di avanzare.
Continuava a rivedere quella faccia mostruosa e il coltello sporco. Senza pensarci era
capitata nel luogo più sicuro della casa, la foresta sarebbe stata un posto ideale per
nascondersi poiché liane, foglie e piante creavano una naturale reticolo dove ombre e
contorni si confondevano impedendo una buona visuale. La tempesta poi, scurendo il
cielo, aveva infittito ogni angolo.
Si acquattò felice dietro un’alta pianta finta. Fu solo mentre si godeva un po’ di riposo
che, oramai tardi, si avvide delle numerose fasce di sole, che, rimbalzando di foglia in
foglia, stavano pian piano illuminando a giorno la stanza.
Il tempo si era improvvisamente schiarito e le ombre sicure stavano sparendo
velocemente sostituite da un manto di sfavillanti colori. Con tutta quella luce sarebbe
stata scoperta subito.
E poi si ricordò della cornice dietro cui si celava la stanza segreta che aveva visitato con
Max. Lì sarebbe stata al sicuro fino al ritorno degli altri. Si precipitò verso l’opera.
Intorno ad essa ora era stata abilmente drappeggiata un fitta cortina di edera. Quasi
come un morbido tendaggio il verde era stata ondeggiato e fissato con tale arte da creare
un piacevole effetto sipario intorno al bucolico sfondo.
Salì sul divano e, con furia crescente, iniziò a tastare la cornice alla ricerca di qualche leva
o pulsante ma senza successo. L’opera rimaneva ferma al suo posto.
I passi di Tom si avvicinarono.
– Ma che stai facendo? Scendi subito da lì! – tuonò.
Ma perché quel maledetto ingranaggio non funzionava? Smise di tastare e iniziò a tirare
ma niente. Non si spostava di un millimetro.
– Smettila!
Tom era vicinissimo. Ancora pochi passi e l’avrebbe raggiunta. La paura le diede un
ultimo guizzo di energia. Si concentrò e tirò. Tirò come mai in vita sua. Tirò fino a
rimanere senza fiato. Tirò come se tutta la sua vita dipendesse da quel gesto.
Sentì un clak secco.
Ce l’aveva fatta. Era salva!
Non appena sollevò gli occhi colse l’orrore della situazione. Non aveva spostato il
pannello nascosto sotto il quadro ma aveva sollevato la massiccia cornice verso l’alto
fino a rimuoverla dai suoi ganci. Ed ora un’opera grande quasi quanto una porta
traballava libera nelle sue mani, minacciando di rovinarle addosso da un momento
all’altro.
Si puntellò sui piedi cercando di spingere il dipinto indietro ma il divano era troppo
morbido e soffice per mantenere una presa salda. Inciampò in un vuoto inaspettato e,
nello scatto, l’opera si proiettò in alto, librandosi come un uccello che si appresti ad un
ultimo giro di ricognizione prima di sferrare l’attacco. Lei fu scaraventata a terra e da lì
aspettò il botto… che non venne. Aprì lentamente un occhio. Nella discesa il dipinto si
era incastrato in un fascio di liane che ora lo trattenevano come una fionda in tensione
tiene il sasso prima del lancio.
– Scappa da lì. E’ pericoloso! – gridò la voce di Tom quasi nelle sue orecchie. Ma lei era
troppo spaventata per muoversi e troppo stanca per azzardare qualunque movimento.
Quando il verde si lacerò con uno stridio sotto il peso della cornice Katia ebbe solo la
forza di coprirsi la testa con le mani.
Sentì un peso su di lei e poi uno schianto fortissimo.
*******
Il bar profumava di caffè fresco. I tavolini di marmo allineati come soldatini e la
moquette chiara risplendevano sotto le luci dei numerosi faretti mentre le paste ricoperte
di cioccolata e glasse ammiccavano invitanti dal bancone di radica e acciaio. L’aria sapeva
di zucchero e fragola. A completare l’idillio c’era il bel cielo terso e fresco che si
affacciava dai finestroni mostrando un aria più pulita e splendente. In altre occasioni
quello sarebbe stato un posto perfetto per rilassarsi… ma non quel giorno.
Seduto al suo tavolo Andrea spense pigramente la terza sigaretta nella ceneriera d’acciaio.
Katia era in ritardo e questo non era da lei.
Aveva anche provato a chiamarla ma il suo telefonino era sempre spento. Iniziava
davvero a temere che le fosse accaduto qualcosa.
Aprì la sua 24 ore e poggiò sul tavolo un tomo. Quando era giù guardarlo lo faceva
subito sentire meglio. Era quello il motivo per cui era volato dritto da Katia. Voleva che
lei lo vedesse e che fosse orgogliosa di lui. Quando si era ritrovato davanti Ylaria aveva
temuto un tranello.
– Posso portarle qualcosa?
Una giovane ragazza dai grandi occhiali rotondi si era materializzata accanto a lui.
Guardò con interesse il menù. Inizialmente aveva deciso di aspettare la sua ospite ma
ora, dopo quasi mezz’ora di attesa, pensava di meritarsi qualcosa.
– Si. Portami un caffè macchiato, un martini e dei rustici.
La ragazza si poggiò sul tavolo per scrivere più comodamente sul suo blocco e,
facendolo, notò immediatamente l’oggetto sulla superficie cromata. Era un libro patinato
e lucentissimo, come appena uscito di stampa, messo con la copertina in giù. Sul dorso,
immensa, troneggiava una fotografia.
– Ma questo è lei?
Andrea si gonfiò d’orgoglio.
– Si.
– Oh mio dio. Uno scrittore!! E io che credevo fosse un modello. Sa ultimamente stanno
passando molti vip di qui.
Andrea sfoderò il suo sorriso da essere superiore.
– Quando ero più giovane ho fatto qualche pubblicità ma nella vita sono un professore
universitario e, nel tempo libero, sto provando a fare lo scrittore.
L’oh di ammirazione della ragazza gli indicò che era appena passato dalla categoria Fico
a quella di intelligente-bellissimo-irraggiungibile.
– Che genere scrive?
– E’ un romanzo d’amore. Si intitola “Cuori rubati”.
L’altra rimase in silenzio cercando di scavare nella memoria.
– Non è ancora uscito. In effetti la sua presentazione ufficiale avverrà la settimana
prossima. Non vorrei sembrarti presuntuoso ma credo proprio che diventerà un best-
seller!
La ragazza sembrò colpita.
– Ma allora deve assolutamente farmi un autografo – chiese porgendogli il blocco degli
appunti. – Mi chiamo Clara.
Andrea riempì il taccuino con una frase di rito e fece uno svolazzante autografo in fondo
alla pagina.
– La ringrazio moltissimo – esclamò la giovane saltellando di gioia.
Il suo ego straripò dai margini del suo corpo. Immaginò la scena: lui, celebre e
bellissimo, che scendeva da un’auto di lusso accecato dai flash dei fotografi. La sua foto
su tutti i giornali che faceva il giro del mondo e poi… LA CELEBRITA’!!. Sapeva che
solo avendo successo avrebbe realizzato il suo più segreto e agognato sogno: stuoli di
ammiratrici adoranti. Bellissime ammiratrici pronte a soddisfare ogni suo capriccio.
Un passo familiare lo costrinse a scendere sulla terra. Ylaria era entrata nel bar e
avanzava al trotto verso di lui. Riuscì appena in tempo a posare il suo prezioso scritto
nella borsa che lei gli era già davanti.
– Ti dispiace se facciamo due chiacchiere?
Avrebbe preferito la sedia elettrica ad un altro interrogatorio come quello di prima.
La ragazza si accomodò all’istante senza aspettare alcun invito.
– Posso? – chiese, afferrando subito una sigaretta dal pacchetto posto sul tavolo.
– Pensavo che avessi smesso! – replicò Andrea precipitandosi ad accendergliela.
– Era così, ma, a quanto pare, tu riesci a farmi fare cose molto molto stupide – mormorò
fissandolo.
Ylaria aveva ripreso a fumare la mattina che si era svegliata nuda tra le sue braccia. Dalla
tosse lievemente imbarazzata dell’uomo dedusse che anche lui se ne ricordava.
Arrivarono le ordinazioni e Andrea, da vero cavaliere, le cedette il caffè mentre si
concentrava sull’alcolico. La tensione saliva ad ogni minuto.
– Quando arriverà Katia?
La domanda era stata formulata in tono cortese ma non nascondeva una certa ansia.
Lui non la voleva lì.
– Sono venuta per mettere le cose in chiaro con te: Katia non verrà. Per la precisione
non sa neppure che tu sei qui. Sono stata io ad invitarti.
Andrea la guardò sbigottito e con un alzata di spalle le indicò che non la credeva affatto.
– E allora questo messaggio? – disse aprendole il cellulare davanti, sfidandola a
contraddirlo.
Ylaria, con un’unica mossa, digitò un numero sul proprio apparecchio e glie lo porse.
Dopo qualche attimo il cellulare nelle mani dell’uomo iniziò a suonare.
Ylaria incrociò lentamente le braccia al petto e schioccò la bocca prima di sorridere
soddisfatta. Ora sapeva di avere tutta la sua attenzione.
– Perché l’hai fatto? – esclamò l’altro con evidente nervosismo.
– Semplicemente perché volevo informarti di alcune cose. Primo: Katia ora sta con un
altro. Volevo essere io a darti la lieta novella.
Dalla sua faccia impassibile fu incapace di dedurre se davvero non gli importava nulla o
fingeva solo indifferenza. Forse non la credeva.
– Solo per dimostrarti che non mento; guarda – aprì nuovamente il cellulare e gli mostrò
lo screensaver. Limpida e a colori apparve l’immagine di Katia che si baciava con
Michael.
Jak era stato pronto a scattare e dall’angolazione presa il bacio sembrava non solo
autentico ma anche molto passionale.
Andrea era lievemente sbiancato ma manteneva ancora il controllo.
– Fa male vedere qualcuno a cui si teneva tanto, che era tutto per noi, andare avanti per
la propria strada? E’ come vedere sbarrare una porta che si è visto sempre aperta. Non
potrai mai più passare per quella via…
Doveva stuzzicarlo un po’, alimentare la sua rabbia con discrezione.
–Chi è? Lo conosco?
Per un attimo la voce aveva tremato. Sì. Gli importava ancora.
– No. Non lo conosci. Stanno insieme da pochi mesi ma sono affiatatissimi. Se esiste
l’anima gemella penso proprio che Katia l’abbia incontrata – dichiarò con enfasi.
– Ti confesso che, a volte, sono un po’ gelosa.
E, dalla faccia di lui, a quanto pareva non era l’unica.
Andrea per tutta risposta bevve d’un sorso il suo drink e ne ordinò un altro.
– Ma forse anche tu sei andato avanti. Dimmi: hai trovato la persona giusta? – si informò
distrattamente allungandosi languidamente verso di lui.
Aveva sbottonato i primi bottoni della camicetta per permettergli la visuale di un po’ di
paesaggio.
– Come ben sai sono uscito da un amore profondo. Non potrò dimenticare Katia tanto
facilmente. Anzi, per dirla tutta, non ci sto neppure provando. In questo momento non
mi sento affatto pronto a trovare la mia anima gemella ed iniziare con lei una storia seria
e duratura – esclamò ammirando le dolci colline con occhi entusiasti.
Non era pronto ad una cosa seria ma sembrava prontissimo ad un avventura.
Brutto ipocrita!
– Bella la tua spilla, sbaglio o prima non l’avevi?
Ylaria corse con una mano al gingillo mentre il panico l’assaliva. Andrea aveva notato
che quella era una telecamerina?
– L’ho capito sai…ti sei messa il rossetto, la spilla, tutto per me: per conquistarmi! – la
smascherò soddisfatto.
Di fronte al suo sorrisino colpevole annuì gongolante.
– Ho indovinato? A me i particolari non sfuggono.
Che occhio di lince. Per fortuna il suo ego era decisamente più sviluppato del suo
cervello.
– Così mi confondi. Sono davvero felice di saper che sei single perché questa notizia mi
porta al secondo motivo della mia visita. Io…
Pausa di finto imbarazzo.
– ... non ti ho mai dimenticato.
Silenzio e occhi bassi. Non doveva ridere. Quella era la parte cruciale del piano.
– … ed ora che Katia sta con un altro non mi sento in colpa a dirtelo.
Quei continui riferimenti al nuovo amore di Katia servivano a minare il muro di
reticenza che avrebbe dovuto impedire ad un uomo di portarsi la migliore amica della
sua ex.
– Ti desidero. Ora.
Andrea esitò per un secondo, dopodiché si alzò.
Ylaria sudò freddo. Aveva fallito? Si era dimostrata troppo precipitosa? O aggressiva?
– Vado a pagare. Aspettami qui – sussurrò l’uomo lanciandole un’occhiata d’intesa.
CHE INFAME!!!
Tornò poco dopo. – Allora andiamo? – esclamò a gran voce porgendole una mano per
aiutarla ad alzarsi e poi, quando le fu vicino, bisbigliandole nell’orecchio aggiunse: hai
ancora quella parrucca nera con cui giocammo a Londra?
Ma cosa aveva mai fatto con quell’uomo?
– Sì, ma prima voglio una prova che tu tieni a me. L’altra volta abbiamo fatto tutto di
nascosto. Ora voglio essere amata alla luce del sole.
Andrea doveva aver frainteso perché la guardò come se fosse una squillo che volesse
lavorare davanti al pubblico in strada. Ma non sembrava disgustato, semmai divertito.
Pervertito!!
– Non mi hai capito. Voglio un bacio. Qui e ora – lo pregò dolcemente facendo le fusa.
Lui esitò. Questo era esporsi tantissimo. Ed era proprio per farlo sentire al sicuro che lo
aveva invitato in quel posto sperduto fra le montagne dove non conosceva nessuno, per
fargli abbassare la guardia.
– Devo dedurre che non valgo un misero bacetto – esclamò offesa, ancorando una
mano su un fianco e gettando il petto in fuori, quasi davanti ai suoi occhi.
I tacchi che aveva scelto si erano rivelati trampoli eccezionali per permetterle una tale
scena.
Andrea rifletté per un istante ancora ma quell’inaspettata visuale doveva annebbiargli il
cervello poiché qualche attimo dopo si gettò su di lei come un cacciatore sulla preda.
Fu un bacio lungo e pieno di lingua.
In assoluto la cosa più brutta che avesse mai dovuto sopportare.
– Vogliamo andare di sopra? – domandò affettuosamente, prendendole la mano.
– Conosco un posto molto più intimo qui vicino, seguimi.
La ragione impedirebbe ad un uomo di lasciare un albergo per andare in un altro albergo
ma, per fortuna di Ylaria, in situazioni del genere la ragione non entrava mai in gioco.
*******
Quando aveva riaperto gli occhi Katia aveva visto solo oscurità. Le ci era voluto qualche
momento prima di realizzare di essere sotto il quadro.
Provò ad azzardare qualche movimento ma il suo corpo non riuscì ad avanzare.
Qualcosa di pesante la teneva saldamente a terra.
– Karen, sei tu?
Ma quella era la voce di Michael.
– Sono incastrata! – gridò.
– Stai tranquilla. Ora sollevo la cornice. Non ti muovere.
La voce premurosa e dolce del ragazzo le scaldò il cuore. Finalmente si sentì al sicuro. Se
solo le fosse venuto in mente prima sarebbe andata direttamente da lui anziché scappare
da una stanza all’altra nel disperato tentativo di sfuggire a Tom.
Lo stesso Tom di cui ora non c’era traccia.
Conoscendolo doveva essersene andato lasciandola lì.
Qualche attimo dopo la luce entrò prepotente nei suoi occhi mentre un tonfo vicino
segnava la caduta del quadro un po’ più in là.
Era libera. Libera! Eppure, tranne l’ondeggiare convulso delle braccia, per il resto non
riusciva a muovere nient’altro. Non riusciva ad avanzare. Si sentiva come stretta in una
morsa d’acciaio. Che si fosse ferita? No, in quel caso sarebbe riuscita a strisciare ma
avrebbe sentito dolore ovunque. Lei invece non avvertiva più niente dalla vita in giù. Le
gambe erano come morte.
Ordinò mentalmente ai suoi arti di sollevarsi.
Niente.
Era come se non rispondessero più alla sua volontà. Riprovò.
Niente.
Una nuova agghiacciante consapevolezza le annebbiò la vista. Era rimasta paralizzata?
Era così che cominciava, giusto? E poi si finiva inermi su una sedia a rotelle.
Oh mio Dio.
– Tom. Tom! Stai bene?
Sollevò la testa confusa. Perché Michael la chiamava Tom? Seguì lo sguardo preoccupato
di Michael e fu costretta a girare tutta la testa indietro.
Steso un po’ di sbieco su di lei c’era un corpo.
Tom lo scorbutico, il folle omicida, il pazzo si era gettato su di lei per proteggerla.
Ed ora un rivolo di sangue gli scorreva dalle tempie.
Michael riuscì a far rotolare delicatamente il corpo fino a stenderlo sul tappeto.
– E’ vivo? – domandò spaventata. Non le sembrava che respirasse.
Michael non le parlava ma esaminava Tom con sicurezza e calma quasi come se fosse
una situazione ordinaria. Lei pregava in silenzio che stesse bene .
Dopo quella che le parve un’eternità il bel biondino si girò verso di lei con un sorriso.
– Respira e il battito è regolare. Ha solo qualche ecchimosi e una superficiale
escoriazione alla tempia destra.
Ma cos’aveva ingoiato? Un dizionario medico?
– Dovrebbe essere a posto ma sarà meglio portarlo in ospedale per un controllo –
aggiunse vedendo la sua faccia confusa.
Si sentì subito più leggera come se le avessero tolto un macigno dallo stomaco.
Quando squillò il telefono non pensò neppure di andare a rispondere. Aveva quasi paura
che, lasciando solo, Tom solo potesse magicamente peggiorare .
Michael, quasi intuendo il suo spirito di protezione, si precipitò in cucina.
Lo sentì scambiare poche battute coincise e tornare con una faccia da funerale.
– Dobbiamo andare all’ospedale.
Non era una novità ma due minuti prima non era così preoccupato.
– Era Max. Mentre veniva a prenderti ha incrociato Sofia e Jak per la strada. A quanto
pare Sofia era svenuta e Jake stava cercando di portarla in ospedale.
Un‘altra brutta notizia. Cosa sarebbe potuta succederle di peggio?
– Ah, il tuo Andrea ha avuto un impegno urgente ed e è dovuto scappare.
Una sensazione di sollievo la fece sentire leggera come un palloncino.
Almeno una sciagura le era stata risparmiata.
*******
L’idea di Michael, cioè che lei rimanesse a casa per aprire la porta ad Ariel e Jessika
quando fossero tornate dalla missione, era stato un muro incrollabile contro cui si erano
abbattute invano le sue proteste di accompagnarlo.
Ed ora, a quasi quattro ore dalla partenza di Michael, Katia vagava tristemente per la casa
vuota. Quattro ore di solitudine spezzate solo da una velocissima chiamata di Max – che
stranamente aveva il suo numero di cellulare – con cui era stata avvisata, molto
stringatamente, che Sofia e Tom stavano bene.
Quando, però, aveva provato a sapere qualcosa di più su dove fossero stati portati o su
cosa avessero, l’amico le aveva detto di essere molto occupato e aveva rimandato al suo
ritorno maggiori dettagli.
Ritorno che non si era mai verificato. Puff. Erano spariti tutti.
La parte peggiore del pomeriggio era stata la visita in cucina. Con sua somma sorpresa
aveva trovato tre rosette perfettamente allineate sul tavolo, dei salumi in un angolo e
dell’insalata già tagliata. L’unica cosa fuori posto era una bottiglietta rovesciata sul tavolo,
da cui partiva una sottile striscia rossa che cadeva fino a terra.
Aveva assaggiato la densa massa, ketchup.
Stupida. Stupida. Stupida. Ecco che cos’era. Come aveva potuto essere tanto sciocca?
Tutta la sua folle paura era stata scatenata dall’innocuo tentativo di Tom di prepararsi un
panino?
Ed ora quell’uomo era in ospedale, ferito, per averla aiutata.
Con che coraggio lo avrebbe guardato in faccia?
Mentre rifletteva sulle sue colpe sentì squillare il telefono.
Stava per rispondere quando partì la segreteria. Michael prima di partire l’aveva inserita?
Ma perché? Voleva forse che lei non comunicasse con nessuno?
– Sono Max e non sono in casa. Lasciate un messaggio e vi richiamerò presto – esordì la
voce elettronica.
– Max? Davvero non ci sei? – esclamò una voce femminile. Katia senza volere si ritrovò
a tendere l’orecchio.
– Ho rilasciato un’intervista stamani. So che tu eri contrario ma ho dovuto farlo. Non ho
detto niente di compromettente.
Seguì una pausa di riflessione un po’ lunga.
– O meglio non avrei voluto ma senza volere mi è scappato qualcosa. Ti prego di non
arrabbiarti, tesoro! Se vuoi vedermi la registrazione andrà in onda verso le quattro sul
programma pomeridiano Star News. Un bacio!
Un piccolo clak indicò la fine della registrazione.
Chi poteva mai essere quella ragazza? E perché chiamava Max tesoro?
E, soprattutto, perché lei si sentiva così infastidita? Non che la cosa le interessasse.
ASSOLUTAMENTE NO.
Iniziò a girare per le stanze. Non che a lei importasse vedere questa tipa. Era solo che le
era venuta una gran voglia di bersi una bibita e sgranocchiare patatine guardando la tv.
Soprattutto perché, a causa di quel trambusto e complice il senso di colpa, aveva saltato
il pranzo. Con crescente panico notò che non c’erano televisori in nessuna stanza.
Com’era possibile?
Non sta bene curiosare. In fondo questi non sono affari tuoi, l’ammonì una vocina dentro la sua
testa.
E invece sì. Devi scoprire quanto più possibile su Max perché questo è proprio lo scopo del gioco!,
ribatté un’altra voce.
Si ricordò di avere visto uno piccolo schermo nella stanza di Max la mattina della
sfortunata incursione. Quando arrivò davanti alla porta ebbe un attimo di esitazione.
Ma se gli altri tornassero che figura faresti a trovarti nella stanza di Max? Non sta bene!, iniziò la
sua coscienza.
– Oh. Al diavolo! – gridò entrando. Lei voleva sapere.
Mancavano pochi minuti alle sedici ed ebbe tutto il tempo per sistemarsi sul letto,
aprire il mega pacco di patatine che aveva portato con sé ed iniziare a banchettare
allegramente.
Partì la sigla. Era emozionantissima.
Quindici minuti dopo la sua frustrazione era palese; avevano intervistato un bambino
prodigio, un cantante semisconosciuto e c’era stato addirittura un pezzo sulla vita del
cane di non si sa quale divo. Ma non c’erano state modelle o ballerine sullo schermo.
Nessuna donna. Forse la ragazza di Max si era sbagliata.
“Amica !” la corresse una vocina dentro la sua testa.
Stava per spegnere quando l’annunciatrice annunciò “l’Evento”.
– Ed ora una straordinaria intervista doppia a Corinne e Christy, le due dive del
momento!
Katia si riassestò meglio sul copriletto. Anche se non avrebbe visto la famosa ragazza per
nulla al mondo si sarebbe persa le due star messe una contro l’altra.
Sullo schermo comparve una striscia bianca e, catodicamente vicine, ma, ci avrebbe
scommesso, geograficamente molto, molto lontano, apparvero le due star.
Sul lato sinistro del televisore c’era la scurissima Christy, (assomigliava sempre di più a
Naomi Campbell) per l’occasione sdraiata languidamente su un’amaca di corda. Dietro di
lei, su un cielo azzurrissimo, svettavano verdi palme e un trasparente mare tropicale. La
diva esibiva un fisico perfettamente abbronzato e a stento coperto da un mini bikini
nero.
Sul lato destro dello schermo c’era uno scenario più alpino. Corinne era ai piedi di quelle
che sembravano alte montagne innevate. Per l’occasione aveva arricciato i capelli biondi
in morbidi boccoli che le davano un’aria da eterna dolce bambina, quasi come una
Shirley Temple adulta. Nonostante fosse completamente coperta in realtà anche in
questo caso il suo fisico, ed ogni sua minima curva, era pienamente in vista. La
biondissima diva indossava infatti un’aderentissima tutina bianca che la faceva sembrare
una cat-woman versione polare, con tanto di stivali e cappuccio bianchi bordati di
pelliccia.
Katia le guardò estasiate. Sembravano il sole e la luna: due astri così diversi ma entrambi
tanto spettacolari.
– Qual è la novità di cui volevi parlarci? – iniziò l’intervistatore ai tropici.
Christy ondeggiò i lunghissimi capelli corvini a beneficio di tutti i suoi fan e poi prese il
microfono ammiccando in camera.
– Come il mio pubblico ben sa tra poco uscirà il mio singolo musicale, ci ho lavorato
tutta l’estate.
A giudicare dalla tintarella africana non doveva essere stata una grande fatica.
A questo punto si illuminò il riquadro di destra e un’altra voce riempì il silenzio.
– Hai sentito la tua collega? Un cd in uscita e una parte nel film di Dicembre. E’ stata
brava non trovi?
Corinne scosse i boccoli biondi con un sorriso anche se un piccolo lampo sembrò
attraversare il cielo sereno dei suoi occhi azzurri.
– Sono contentissima per lei. Anch’io però ho delle novità: a dicembre infatti uscirà un
film di cui sarò la protagonista assoluta. Sarò una cantante. Mi sto già esercitando perché
dovrò fare eseguire parecchi brani che poi verranno raccolti in un cd. DIECI canzoni
bellissime– esclamò con sguardo sognante.
“Uno a zero per Corinne “ pensò Katia affondando la mano nelle patatine.
Il riquadro a sinistra si illuminò subito.
Il cameraman zummò su una Christy troppo sorridente e disinvolta per sembrare
naturale. Generalmente il suo temperamento era decisamente aggressivo, irriverente e
sexy, non certo maturo e posato.
– Sono davvero lieta che la vita lavorativa della mia collega stia decollando. A quanto so
ultimamente non ha avuto distrazioni di alcun genere e si è potuta dedicare anima e
corpo agli affari.
Pausa di cortesia.
Questo era un colpo basso! Christy era fidanzata da anni con un famoso campione di
nuoto che a tempo perso faceva anche il modello. Katia si era storta gli occhi a furia di
guardare quegli addominali perfetti sul calendario appeso nella sua stanza. Corinne
invece non era mai stata fortunata in amore. A quanto pare gli uomini con cui stava
irrimediabilmente la tradivano o la lasciavano. L’ultimo, un famoso cantante di cui si
vociferava fosse veramente innamorata, l’aveva piantata qualche mese fa. Da allora la
star non si era più ripresa. Lei ovviamente non aveva mai ammesso lo smacco anzi, ai
giornalisti parlava spesso di un fantomatico uomo speciale nella sua vita, di cui però si
rifiutava categoricamente di dire il nome. Questa prolungata ritrosia, del tutto
discordante con i suoi modi e le sue innumerevoli dichiarazioni pubbliche, aveva
confermato l’idea generale che la sua fosse solo una tattica per non apparire sola. O
patetica. O entrambe le cose.
– Il vero motivo per cui ho indotto questo piccolo incontro però non è quello di
rilasciare vuote notizie lavorative ma di rendere partecipe i miei fan dell’unica, vera
gioia della vita: l’amore. La cosa in assoluto più importante al mondo! – gridò Christy
scuotendo il microfono come una cantante rock su un palco.
Sorrise e un’inquadratura ravvicinata mostrò due occhi castani scintillanti di pura gioia su
un volto raggiante. Quando l’immagine si ingrandì al suo fianco c’era un bellissimo
ragazzo in costume. Sembrava un modello pronto a fare una sfilata di intimo.
Christy lo fissava con occhi sognanti e felici. In quel momento sembrava una vulnerabile
e comune ragazza innamorata.
– Sono lieta di annunciare al mondo il mio fidanzamento con Kavin!
Ci fu un applauso generale. Dopo anni di tira e molla era proprio ora – pensò Katia
addentando un’altra patatina.
– Siamo andati a vivere insieme e, dalla settimana prossima, per tre mesi, potrete vederci
su Life Star. Saremo ripresi in diretta 24 ore su 24.
Questo era davvero uno scoop. Life Star era un reality che stava mietendo ascolti record
in America. Solo pochissimi vip potevano partecipare. Lo scopo del gioco era entrare
nelle lussuosissime ville dei divi per spiare, dall’interno, la loro vita di coppia. Le
telecamere riprendevano pregi e vizi (spesso questo era l’argomento più usato) dei
protagonisti. E spesso, a loro insaputa, le coppie famose venivano messe alla prova. La
direzione non esitava ad inviare persone a creare panico. A volte si trattava di un
vecchio fidanzato che tornava pentito dichiarando tutto il suo amore, altre era una finta
spogliarellista lasciata nuda per casa. Era solo la fiducia tra i due e il loro grande amore a
poter evitare il peggio.
Fino a quel momento, su quattro edizioni, solo una coppia era rimasta unita fino alla fine
del programma.
Ma per chi ci riusciva si aprivano le porte del successo. La life star infatti garantiva ai
vincitori contratti milionari, copertine mensili, comparse nei show e film.
Un successo stratosferico.
Christy aveva decisamente la partita in pugno.
Katia sorseggiò la sua coca cola con calma gustandosi quella notizia fino all’ultima
goccia.
– Ed ora la parola a te Corinne – disse un’allegra intervistatrice mentre si illuminava il
riquadro di destra.
Corinne pur se innaturalmente pallida manteneva una calma eccezionale. Con una mano
fece cenno a qualcuno di avanzare.
– Volevo tenere questo annuncio per me ancora per un altro po’ ma, visto che è periodo
di novità… perché aspettare? Vi presento Maggy Madison, vicedirettrice di Celebrity
World TV – annunciò gongolante.
Katia per poco non si strozzò. Quella era la stessa donna che era venuta da loro!
Ora l’intervistatrice sembrava davvero curiosa.
– Tra tre giorni ci sarà un mega evento di cui ho dato l’esclusiva a questo network
– Di cosa si tratta?
– Per ora la signorina non può dirvi di più – dichiarò severa la Madison.
– Neppure un’anticipazione piccola piccola?
La Madison e Corinne si lanciarono uno sguardo che sembrava assolutamente
premeditato. Corinne si poggiò entrambe le mani sul petto e con un unico, potente
strattone, si stracciò via la tutina rimanendo solo con un leggerissima, eterea ragnatela di
fili bianchi che partivano come stelle filanti dall’inguine per coprire a stento i suoi seni.
Solo guardando molto attentamente si notava il body color carne che era stato
sapientemente nascosto sotto quel costume mozzafiato.
Corinne avanzò decisa.
– Diciamo che è un reality nuovo, che non ha nulla a che fare con le solite cose trite e ri-
trite. La Madison annuì fiera. La frecciatina a Christy era lampante.
– Chi ci seguirà vedrà una persona che farà team con Corinne in una nuova,
entusiasmante avventura completamente on live! – cinguettò la vicedirettrice.
Sembrava davvero soddisfatta.
– Non sarà per caso un nuovo film?
Le due finsero orrore.
– Non possiamo dirvi di più. Per sapere dovrete aspettare altri tre giorni.
Katia si guardò intorno con sospetto. Allora era tutto vero? C’erano delle telecamere che
stavano spiando la selezione?
La parola passò a Christy che, ora, sembrava più nera di rabbia che non di sole.
Questa volta Corinne era stata geniale. Tre giorni di attesa avrebbe portato la suspense
alle stelle e per tre giorni tutti i giornali non avrebbero parlato d’altro.
Sicuramente la CWT si sarebbe lasciata sfuggire indiscrezioni per alimentare i
pettegolezzi e poi avrebbe smentito. La curiosità sarebbe salita alle stelle!
D’altronde lei si sentiva già in fibrillazione adesso.
Christy biascicò qualcosa su quanto fosse felice e di quanto fosse importante avere una
persona nella propria vita. Se davvero era felice non lo sembrava affatto.
– I film vanno e vengono ma a fine giornata, quando i ciak si chiudono, inizia la vera vita
e viverla da soli è davvero triste – dichiarò con tono convinto.
Katia sorrise. Sapeva cosa stava cercando di fare: voleva sminuire l’importanza della
rivale sbattendole in faccia l’unica cosa contro cui Corinne non poteva replicare: un
fidanzato.
– Lavorare è importante, ne sono certa, ma trovare qualcuno su cui poter sempre
contare, una persona da cui tornare la sera – sospirò rumorosamente – è questa la vera
felicità – esclamò con eccessivo entusiasmo.
Altra stoccata. Nessuno però sembrava troppo colpito dalle sue parole. Era palese che si
stava arrampicando sugli specchi. All’improvviso un lampo le balenò negli occhi scuri.
– Auguro a tutti di trovare il vero amore perché è solo quello che vi farà sentire appagati
– dichiarò, poi, a riprova della verità delle sue parole, afferrò Kavin imprimendogli un
bacio di fuoco sulle labbra. Le loro bocche si agguantarono con ferocia, rincorrendosi e
mordendosi mentre i corpi si incastravano come colpiti da un’urgente pressione.
Katia sussultò. Un gemito sommesso e poi la mano artigliata della diva, sapientemente
seguita da un cameraman, accarezzò il sedere scolpito del compagno. I muscoli delle
spalle di Kavin guizzarono sotto la pelle lucida quando afferrò con decisione la sua
amata sollevandola in braccio senza nessuno sforzo.
Katia si sentì accaldata come se stesse vedendo un porno. Non che lo avesse mai fatto
ma era certa ce dovesse suscitare le stesse pulsazioni.
Christy c’era riuscita: aveva completamente oscurato la rivale. Tutti avrebbero ricordato
quell’intervista per quella scena hot. L’immagine di lei che palpeggiava il suo fidanzato
sarebbe rimasta impressa a fuoco nella mente di milioni giovani.
La parola passò a Corinne per il saluto finale. Katia allungò la mano verso il tasto di
spegnimento. Qualunque cosa avesse detto non avrebbe mai potuto cancellare la scena
caliente di Christy. Mai.
– Devo dire che condivido appieno le parole della mia amica. Senza qualcuno vicino i
successi sono vuoti e le sconfitte sono ancora più scottanti. La vita è qualcosa di più di
un lavoro: è avere qualcuno sempre vicino a cui dedicarti. Qualcuno che ti ama.
Katia trasalì. Da quando Corinne condivideva le sciocchezze della rivale? E perché la
chiamava amica? Forse voleva tentare un nuovo approccio?
Se voleva mantenere questa condotta avrebbe dovuto ricominciare a parlare con la
compagna di lavoro.
– E’ per questo che sono lieta di annunciarvi che da oggi non sarò più sola…
Che il presunto uomo fantasma fosse vero?
– Sono incinta! – esclamò con entusiasmo.
Tutte le persone accanto a lei e quelle in studio si paralizzarono come in un brusco
fermo immagine. Nessuno se l’aspettava da una donna che, ufficialmente, non era
neppure fidanzata.
– E chi è il padre? – domandò l’intervistatrice gesticolando di nascosto per ottenere
qualche altro minuto di linea dalla regia. Corinne invece di rispondere prese la Madison
sotto braccio e si fissarono intensamente.
Uscirono i titoli di coda. Katia si sporse verso lo schermo quasi inconsapevolmente.
– Non voglio darvi un nome. Sarebbe inutile perché non si tratta di un personaggio
pubblico. Ma potrete vederlo…– iniziò la diva
– Tra tre giorni solo su Celebrity World live. A presto! – dissero le due all’unisono.
Era finita. Quella sconvolgente puntata era finita. Non aveva avuto modo di vedere
l’amica di Max ma era soddisfatta lo stesso. Quelle novità meritavano tutta la sua
attenzione.
Si guardò indietro. Prima di uscire doveva stare attenta a lasciare tutto esattamente come
aveva trovato.
Forse quei milioni di briciole sul plaid potevano essere un indizio.
Sollevò il lenzuolo e lo scosse con forza. Nel farlo la maggior parte della pioggia gialla
finì su un piccolo libro di cuoio scuro posto sul comodino. Lo guardò con curiosità:
chissà che tipi di libri leggeva Max.
Girò la copertina e, in lettere dorate, apparve la scritta: I miei ricordi.
Era un album fotografico! Il buon senso le disse di non curiosare fra le cose altrui ma
un’altra vocina, decisamente più saggia, le fece notare che tanto era già entrata in una
stanza altrui. Sfogliare un piccolo album cosa mai avrebbe cambiato? Era già in torto.
Sfogliò velocemente le foto.
Max era sempre stato bellissimo solo più magro. Aveva anche viaggiato tanto. Lei non
era mai stata in neppure la metà di quei posti dall’aria decisamente lontana.
Quando arrivò alle pagine finale si sentì stranamente sollevata. In tutti gli scatti Max era
con gruppi di amici o amiche ma mai da solo con una di loro.
Stranamente la cosa la riempì di gioia.
Gettò l’album in aria in un moto di felicità e da una tasca nascosta caddero a terra una
manciata di immagini. In tutte c’erano primi piani di un volto. Katia sentì un dolore al
petto come se fosse stata colpita da una freccia vacante.
Non erano foto informali e composte come quelle dei compleanni o delle vacanze.
Sembravano più attimi rubati all’intimità di una coppia. In tutte c’era una splendida
ragazza dai lunghi capelli dorati abbracciata a Max. Lui sorrideva beffardo mentre lei
sembrava divertirsi ad evitare l’inquadratura. Non c’era una foto in cui si vedesse
appieno la sua faccia; o si copriva gli occhi con le mani o si tirava i capelli sul viso, in
alcune aveva persino un cappello tirato fino al naso. Ad ogni nuova foto il cuore di Katia
accelerava. Anche con il viso mezzo nascosto la ragazza era spettacolare: alta, snella e
con le curve piene e invitanti. Se il volto fosse stato perfetto solo la metà di quanto era il
resto...
Non è detto che sia la sua ragazza!, protestò una vocina flebile.
Avrebbe potuto essere solo una buona amica.
Ogni speranza si infranse come uno specchio al suolo quando arrivò all’ultimo scatto.
In una foto nitidissima Max si baciava appassionatamente con la bella bionda.
E quella non era una bionda qualunque: quella era Corinne.
Si alzò lentamente con le gambe molli. Non riusciva quasi a respirare.
L’uomo misterioso di Corinne era Max?
Cosa poteva esserci di peggio di avere come rivale una donna splendida, ricca e famosa?
Una donna ricca, famosa e … incinta, le suggerì la sua mente.
*******
Quella sera tutti erano taciturni e distaccati.
Max si era barricato nella sua stanza e a cena, in un silenzio innaturale, c’erano Michael,
Jak, Ariel e Ylaria, alias Jessika. Anche lei, dopo la scoperta della relazione segreta di Max
si sentiva scossa e arrabbiata. Perché doveva sempre incappare in persone già impegnate?
Perché? Cos’aveva che non andava?
L’unica cosa positiva della situazione era che in quel continuo rimescolio di emozioni ne
mancava una, il dolore verso Andrea. Era solo sollevata di non averlo visto ma non c’era
più un vivo risentimento nei suoi confronti né tantomeno quella cieca rabbia degli ultimi
mesi. O meglio c’erano ma non erano più le stesse.
La sua storia con Andrea gli passava davanti agli occhi come lo spezzone di un film
senza più suscitarle emozioni violente o impulsive. Ricordava tutto di loro; risate, gioia,
entusiasmo e poi delusione, rabbia, tristezza, ma queste non la facevano più stare tanto
male, non la tormentavano: erano semplicemente ricordi come gli altri.
L’aveva superata! Era riuscita a farsene una ragione! E di questo, suo malgrado, doveva
ringraziare quella folle compagnia. Guardò i posti vuoti dei due compagni assenti e la
colpa l’assalì.
– Come mai Sofia e Tom non sono tornati con voi? – domandò per la milionesima volta.
Ariel prese a torturare le verdure nel suo piatto. Sembrava nervosa.
– Stanno bene ma il medico ha preferito tenerli in osservazione per la notte. Domani
sera saranno di nuovo qui – replicò Michael con gentilezza.
Tutti si stavano dimostrando eccezionalmente carini nei suoi riguardi, quasi intuissero
quanto potesse sentirsi responsabile.
– E’ rimasto il meglio. Non trovi Baby! – schiamazzò Jak ammiccando vistosamente.
Una risata allegra le salì alle labbra prima che riuscisse a frenarla.
– Gli indistruttibili! – urlò Ylaria ridendo forte e stendendo una mano aperta sul tavolo.
Tutti, tranne Ariel, vi poggiarono le loro e, come le spade dei tre moschettieri, le
lanciarono in aria.
– Lasciate che vi racconti la mia assurda giornata – incominciò Jak.
Katia si rilassò al suono di quel cicaleccio. Lei non sapeva neppure che Jak fosse andato
in paese a sbrigare delle commissioni per il Love Game. Ogni giorno qualcuno spariva
per ore intere ma nessuno si chiedeva il perché e, senza accorgersene, anche lei si stava
abituando a tutto questo mistero.
– E quando ho chiesto se avevano la Coca l’anziana signora alla cassa mi ha guardato di
traverso e mi ha detto scorbutica: dove pensa di essere giovanotto? Ed io, indicandole la
grande insegna e le ho risposto: Non è forse una drogheria?
Tutti ridevano a crepapelle.
Doveva ammettere che quando voleva Jak sapeva essere davvero l’anima del gruppo.
Si ritrovò a sorridere e, voltandosi, compì l’errore di incrociare lo sguardo di Ariel. Per
tutta la cena la dolce ragazzina aveva tenuto gli occhi fissi nel piatto senza mai parlare o
mangiare ma ora, quasi con dispetto, teneva due occhi scontrosi puntati dalla sua parte.
Cercò di mantenersi rilassata ma quella faccia ostile non preannunciava niente di buono.
– E’ tutta colpa tua! Solo tua! Dovresti essere tu in ospedale! – sbottò alzandosi dalla
sedia.
Tutto i commensali si fermarono.
– Ariel, calmati – sussurrò Ylaria cingendole le spalle amorevolmente.
Ora Ariel era diventata ancora più rossa.
– Non voglio calmarmi!! Voglio che lei si senta in colpa per quello che ha fatto! – rispose
serrando le mani a pugno lungo i fianchi.
Le vene azzurre sulle tempie sembravano sul punto di scoppiarle. Era uno spettacolo
terribile.
– Te l’abbiamo ripetuto mille volte: è stato solo un incidente. Karen non c’entra –
sentenziò Jak con voce dura.
– Perché tutti la difendete? – gridò divincolandosi fino a liberarsi.
– Se succede qualcosa a lei dobbiamo accorre. Capirla, aiutarla – incominciò guardandola
con odio.
– Ed ora che io sto male dovrei fare finta di niente solo per farle un piacere? Tacere per
non urtare la sensibilità di Miss Vittima? No. Io non ci sto. Io voglio che lei sappia
quanto la odio!
La voce di Ariel era cresciuta fino a diventare potente come una sirena antincendio.
– Non ti perdonerò mai. MAI!!! – strillò correndo via.
Michael, Jak e Ylaria erano rimasti come pietrificati davanti a quello scoppio di rabbia.
Improvvisamente nessuno sapeva più cosa dire.
– Ma perché ce l’ha tanto con me. Che le ho fatto? – chiese stupita, guardando a turno i
compagni. Nel farlo colse una fugace occhiata d’intesa tra Ylaria e Michael ma i due,
accorgendosi di essere osservati, si affrettarono a girare la testa altrove.
Non era possibile. La sua amica le stava nascondendo qualcosa?
– Io devo portare la roba per la prova di domani: chi mi aiuta? – domandò Jak come se
niente fosse.
– Vengo io! – si offrì Ylaria seguendolo.
– Aspetta! Volevo chiederti…
Troppo tardi. L’amica si era dileguata.
Michael si alzò per fare altrettanto ma lei fu più veloce e l’agguantò per un braccio.
– Cosa sta succedendo? Cos’è che non mi dite? – esclamò furibonda.
Voleva sembrare aggressiva ma con Michael cascava male. In piedi lui la sovrastava dal
suo metro e ottanta mentre lei, con il suo misero metro e sessantacinque, sembrava un
koala aggrappato ad un albero. Se avesse voluto scrollarsela di dosso non c’avrebbe
messo niente, ma, fortunatamente per lei, Michael non era il tipo.
– Mia adorata, farei di tutto per renderti felice ma, in questo caso, non so proprio che
dire per farti gioire…
Aveva ripreso a recitare la parte del poeta. Lo detestava quando parlava in versi.
– Non prendermi in giro. Mi merito una spiegazione, anche piccola. Io non volevo che
succedesse niente, devi credermi – lo supplicò con un groppo in gola.
E poi, nonostante fosse umiliante, aveva raccontato tutto dell’incidente (sorvolando solo
su alcuni dettagli: come la sua folle paura di Tom) invece gli altri non le dicevano mai
nulla. Lei era sempre l’ultima a sapere, l’ultima ad essere informata, come se a nessuno
importasse la sua opinione. Questo la feriva.
Michael si lasciò impietosire dai suoi occhi scintillanti di lacrime.
– E va bene. Non fare così.
Sembrava terrorizzato dall’idea che lei piangesse.
– Ma promettimi che non dirai a nessuno che te l’ho detto io.
Mentre annuiva Michael si era chinato pericolosamente verso la sua faccia. Se riprovava
a baciarla si sarebbe preso un sonoro schiaffone.
Con un po’ di delusione si avvide che si era solo avvicinato al suo orecchio.
– Ariel è innamorata e non ha preso bene la storia dell’incidente. Era solo
tremendamente scossa. Non voleva davvero prendersela con te – le sussurrò e poi,
approfittando della sua sorpresa, scappò via senza darle il tempo di aggiungere niente.
Da quando la dolce e timida Ariel si era invaghita di Tom?
Lei che era così aperta e gioviale che cosa poteva averci visto in quell’essere scorbutico e
severo?
Erano decisamente troppo diversi per funzionare.
Ripensò ad Andrea e poi alla sua attuale, piccola cotta per Max.
Forse, dopotutto, lei non era la persona più giusta per giudicare né per dare consigli
sull’argomento.
*******
Max aspettò al cellulare battendo le dita nervosamente. Era la centesima volta che
chiamava ma aveva sempre trovato il numero spento o occupato. Qualcosa gli diceva
che non era proprio un caso se nessuno gli rispondeva ma a lui non importava. La
notizia era troppo grave per non meritare una chiarificazione. Avrebbe atteso, anche
tutta la notte.
Al decimo squillo una voce lontana raggiunse il suo orecchio.
– Ciao Max! Che piacere sentirti!
Contò fino al tre per non esplodere.
– Corinne, oggi ti ho vista in tv – esclamò con voce atona.
– C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi? – aggiunse distaccato.
Era stato un po’ troppo freddo ma almeno non si era fatto prendere dal panico.
Silenzio dall’altra parte. Il suo cuore prese a trottare come un cavallo impazzito. Se era
vero, se davvero Corinne era incinta… cos’avrebbe fatto? Non riusciva neppure a
pensare. Non era pronto a tutto questo, stava accadendo troppo in fretta.
E avrebbe complicato tutto.
– Non volevo dare tutte quelle anticipazioni ma Christy continuava ad incalzarmi. Ho
dovuto difendermi. Mi dispiace – si scusò Corinne con tristezza.
Perché faceva finta di niente? Voleva prolungare la sua agonia? Era già pericolosamente
vicino alla strada per un infarto.
– Tesoro: non è quello che mi ha sconvolto. Il lavoro è lavoro. E’ l’altra cosa che hai
detto – aggiunse angosciato. Un magone gli seccò la gola.
– Ah. QUELLO...
Silenzio. Silenzio. E ancora silenzio.
Voleva farlo morire? Ora ne era certo.
– Per piacere ora non ti arrabbiare Max – continuò l’altra con tono supplice.
Arrabbiare? Lui era semplicemente sconvolto.
– Non sono arrabbiato con te. E’ che solo avrei preferito che me lo dicessi a voce (e di
persona magari e magari non davanti a milioni di telespettatori).
Era tramortito, scioccato, paralizzato ma non arrabbiato.
– Il fatto è che… NON sono incinta.
Max si afferrò ad un mobile per non cadere. Sentì una sensazione di benessere
diffondersi nel corpo come un’ondata calda.
– Ne... ne sei sicura? – chiese con voce strozzata.
– E’ stata un’idea della Madison per accrescere l’attenzione dei media su di me. Ed ha
funzionato: da quell’intervista ho ricevuto oltre trenta contatti. Tutti mi vogliono! Non è
fantastico?
C’era qualcosa che non tornava.
– E cosa farai quando tra qualche mese nessuno vedrà la pancia?
– Semplice. Dirò di aver perso il piccolo. La Madison dice che queste cose sensibilizzano
il pubblico, lo avvicinano alla star.
In un’altra occasione lo squallore di quella tattica l’avrebbe portato a replicare, a
discutere animatamente con lei sui mezzi che stava usando. In un altro momento le
avrebbe fatto una paternale storica. Ma non quel giorno. Era troppo felice per
arrabbiarsi.
–Vedi di non farmi prendere mai più un colpo del genere. Chiaro? – l’ammonì
allegramente.
La sua reazione spiazzò anche la ragazza che, allarmata, domandò: – Tutto qui? Dove
sono le urla? Gli strepiti?
– Corinne, grazie alla tua trovata, sono invecchiato di dieci anni in un giorno. In futuro,
prima di prendere altre iniziative, avvertimi – aggiunse semiserio, riprendendo a respirare
normalmente.
– Tu sarai sempre bellissimo, anche tra dieci anni – ribatté l’altra ridendo.
– L’importante è essere fantastici nell’immediato e, fra tre giorni, ti assicuro che sarò
stupendo. Quando ci saranno le telecamere e avanzerò tra la folla tutti non avranno
occhi che per me. Preparati a vedermi in azione – la canzonò. Sapeva quanto fosse
gelosa.
– Qualunque cosa farai non riuscirai a mettermi in ombra. Anche se sarai al mio fianco
tutti gli sguardi saranno su di me. Nessuno ti calcolerà – dichiarò Corinne con una punta
di orgoglio.
Poteva quasi immaginare il suo faccino imbronciato in una sensuale smorfia.
– Non ti sembra di essere troppo egocentrica? Ci saranno mille altre star oltre te in
sfavillanti abiti da migliaia di dollari. Sarà una bella gara – la stuzzicò lui.
– Già ma solo una si sposerà quel giorno. Non credi che meriti un po’ più di attenzione?
Anzi tutta l’attenzione! Sarò adorabile, vedrai!
Sembrava al settimo cielo
– Tu sei già adorabile.
– Ora ho un party. Tesoro, devo proprio andare. Ci vedremo tra tre giorni. Vedi di
esserci – gli intimò scherzosamente .
– E come potrei mancare? Ti basterà guardare un elegante pinguino sull’altare.
*******
Ylaria poggiò il ventesimo vaso davanti al bordo pietrato delle due fontanelle. Erano tutti
così vicini da aver creato un piccolo muro verde ed ora sembrava che il piccolo specchio
d’acqua sorgesse da una siepe fiorita. Guardò soddisfatta il suo lavoro.
– Sei instancabile. Perché non vai a riposarti?
Un ombra nera si era allungata vicino a lei.
– Ho bisogno di un tuo consiglio: devo mettere un'unica fascia di seta bianca intorno a
questi vasi di terracotta o è meglio della carta velina verde che si mimetizzi con la siepe?
L’altro sollevò le spalle.
– E’ solo per questa sciocchezza che mi hai chiamato?
Anche se la voce era controllata avvertì il nervosismo tra le righe.
– Non è una sciocchezza e lo sai. I dettagli sono importanti.
Quasi a conferma delle sue parole tornò indietro, attraversò in volata il tempio e si fermò
solo non appena giunta al gazebo di ferro battuto. Qui, con estrema cura, poggiò un
delicato e complesso centro tavola di pizzo sul tavolino.
– Tutto deve essere perfetto. Tra tre giorni qui ci sarà il matrimonio del secolo – esclamò
compiaciuta, osservando la sala con aria critica.
– Stiamo parlando dello stesso matrimonio che tu stai sabotando? Avevo capito che la
cerimonia non si sarebbe svolta – replicò l’altro.
Ylaria finse di non aver sentito e si concentrò a sistemare un bouquet di roselline
bianche sul centrino. Erano finte ma talmente piccole e delicate da sembrare vere.
– Solo perché forse Corinne non si sposerà non vuol dire che tutto questo debba andare
sprecato... – mormorò senza guardarlo.
La persona alle sue spalle rimase immobile.
La ragazza con disinvoltura pigiò qualche tasto su un display e, come per incanto,
l’immenso antro si oscurò mentre decine di piccole lune si illuminarono a rischiarare
quella buia notte.
– Ed ora un tocco di magia!
Su di loro piovvero mille e mille bolle di luci scintillanti. I contorni del gazebo si
accesero come percorsi da una lunga fila di lucciole.
– Cosa sta succedendo? Che stai facendo?. L’uomo si guardava intorno con meraviglia.
Ylaria poggiò un ginocchio a terra.
– Volevo che tutto fosse speciale – dichiarò solennemente, prendendogli le mani.
L’altro la guardò ed un’improvvisa consapevolezza passò nei suoi occhi veloce come una
saetta. Cercò di ritirare il braccio ma Ylaria lo strinse saldamente.
– Noi stiamo insieme da quasi un anno e tu mi sei sempre stato vicino. So che per te non
sarà molto ma io ho vissuto questo periodo come il più bello della mia vita ed ora vorrei
che la cosa diventasse… definitiva.
Lui non parlava, non annuiva, non negava. La fissava con un’espressione indecifrabile.
Ylaria sentì il sangue colorargli le guance: l’aveva stupito!!
Tuttavia quell’improvvisa rigidità la preoccupò. Non capiva se, dietro tanto
sbigottimento, si celasse una gioia inaspettata oppure un estremo terrore. Una parte di lei
si sarebbe voluta fermare ma un’altra la spronava a continuare.
Oramai il dado era tratto …
Una piccola e sottile verga dorata apparve nella sua mano.
– Io ti amo – sussurrò dolcemente.
L’eco della sua voce rimbombò cupo nella caverna.
– Dimmi: Vuoi sposarmi?
*******
Era quasi mezzanotte passata e Katia, stesa nel proprio letto, non riusciva a chiudere
occhio. Le notti insonni stavano diventando una costante di quella vacanza.
Anche se provava a dormire il suo cervello non smetteva di lavorare. Per quel giorno
aveva avuto troppe notizie scioccanti. Prima Max e Corinne, ora Ariel e Tom.
Ma cosa c’era nell’aria? Mentre analizzava tutto per la milionesima volta un piccolo
fruscio la fece voltare. Sotto la porta era stata infilata un’altra busta rossa: i nuovi ordini
del Love Game.
Scese dal letto e si precipitò ad aprirla. Su un foglio rosso, identico al precedente, era
stata scritta una breve lettera. Diceva:
“Non hai adempiuto quasi a nessuno dei tuoi precedenti compiti. Il tempo a disposizione è poco e dovrai
impegnarti al massimo se vorrai vincere ma non disperare: puoi ancora farcela. Sfodera la grinta! Queste
sono le ultime (e definitive) missioni:
– rivelare un tuo segreto a qualcuno
– diventare la migliore amica di Ariel (o farle credere che lo sei)
– dichiarare il tuo amore ad uno dei ragazzi e baciarlo in pubblico. (E fare coppia con lui fino al
termine del gioco)
– fare da cupido per far formare una coppia
– convincere gli altri a cantare qualcosa con te
– organizzare una festa a sorpresa
Buon lavoro Ranger Lover.”
Niente più? Cosa le restava da fare: scalare l’Everest?
Pensò a Ylaria: l’amica ce la stava mettendo tutta per vincere il premio. Lei non poteva
mollare così facilmente.
Bastava ragionare. Forse c’era una soluzione. Riprese il foglio in mano.
Lesse il primo rigo ”rivelare un tuo segreto a qualcuno”. Ci mise una croce vicino. Era
fuori discussione. Per nulla la mondo avrebbe rivelato delle sue cose intime e personali
ad un perfetto sconosciuto.
Passò al secondo obiettivo: diventare amica di Ariel. In tempi non sospetti questo
sarebbe stato facile ma ora la situazione si era un tantino complicata. Segnò un punto
interrogativo vicino alla frase. Nulla però le impediva di provare a parlare con Ariel.
Scorse la lista saltando le cose infattibili e, dopo un’attenta analisi, rimasero solo due
voci: organizzare una festa a sorpresa e fare da cupido per una coppia.
Ariel e Tom sarebbero stati una coppia ben assortita. C’era solo il piccolo inconveniente
che lui era in ospedale ferito (per causa sua) e che lei era arrabbiatissima (sempre per
causa sua).
Almeno ci fosse stata Ylaria con lei. L’amica sarebbe stata bravissima a darle consigli su
trappole e intrighi amorosi. Però il Love Game richiedeva segretezza nell’azione, non
poteva farsi aiutare da nessuno. Erano le regole.
Prese il cellulare e iniziò a digitare freneticamente.
– Yla, stai dormendo? Avrei un piacere da chiederti. E’ fondamentale che tu mi aiuti se
vogliamo vincere il viaggio. Domani ti spiegherò meglio. Un bacio forte Katia.
In fondo le regole erano fatte per essere infrante.
*******
Max guardò il suo rolex d’acciaio. Mancava poco all’una di notte ma quella sarebbe stata
la telefonata più difficile della sua vita e doveva farla prima di perdere coraggio. In casa
c’era un silenzio spettrale e, per evitare che qualcuno ascoltasse, aveva acceso la tv ad un
volume piuttosto alto.
Stava diventando paranoico.
Si incollò il cellulare all’orecchio passeggiando per la stanza come una tigre in gabbia.
Primo squillo. Secondo. Terzo. L’attesa era snervante. Se non avesse risposto al quinto
avrebbe messo giù. Quarto squillo e...
– Ciao Max. Come stai?. Urla di sottofondo e musica a palla.
– Ciao Christy… da quanto tempo. La fronte gli si imperlò di sudore.
– Quasi un secolo. Dove sei?
– Nella casa in montagna e tu? Sento dei rumori assordanti.
– A Parigi, ad una festa a casa di amici.
Bugia. Doveva essere in qualche discoteca o chissà solo dove.
– Come mai mi chiami a quest’ora? Non è da te. Ti è successo forse qualcosa? – gridò
allegramente la ragazza per sovrastare il frastuono.
Doveva prendere l’argomento alla larga se voleva convincerla.
– Volevo dirti che ho visto l’intervista oggi. Sei stata grande! – rispose con altrettanto
brio.
Christy urlò a qualcuno dal suo lato di stare zitto. Un secondo dopo la musica si era
abbassata. Forse era veramente a casa di amici ma con lei non si poteva mai dire.
Sarebbe riuscita a fare festa anche sul fondo ghiacciato di un burrone.
– Davvero ti sono piaciuta? Non ci avrei giurato affatto – riprese con tono
improvvisamente serio.
– Quella brutta oca di Corinne mi ha proprio fatta arrabbiare. Ma hai visto come si era
conciata? Incredibile! Certa gente farebbe di tutto per una briciola di successo.
Non sapeva quanto fosse vero. Max sorrise al ricordo di quell’assurdo confronto.
– Anche tu ci sei andata giù duro, la scena con Kavin era un po’ forte… non trovi? –
esclamò.
– Pensi che abbia esagerato? Guarda che nelle pubblicità fanno molto di peggio – ribatté
aspramente. Ora il suo tono si era fatto incredibilmente astioso.
Ma perché non imparava a controllarsi? Fece velocemente marcia indietro.
– Hai ragione. Inoltre penso che i tuoi fan avranno apprezzato. E’ stata una bella mossa
– Ma hai sentito cosa si è inventata Corinne per superarmi? Ha detto di essere incinta.
INCINTA!! – rimarcò malignamente, quasi sputando sulla parola.
– Che bugiarda! – aggiunse con disprezzo.
Max sbiancò. – E tu come sai che non è vero?. Era impallidito di due toni.
– Era solo uno sciocco bluff. Una trovata mediatica per fare audience. Quella non è
incinta, lo capirebbe anche un bambino.
Era stato davvero così sciocco?
– E poi, – continuò pungente – quale scemo vuoi che la lasci in cinta? Siamo seri!
Già. Chissà chi. Era meglio cambiare argomento.
– Ti ho chiamata perché tra tre giorni organizzo una specie di festicciola e vorrei che tu
ci fossi.
Non voleva mentire ma non c’era altro modo per farla arrivare lì.
Christy sembrò sovrappensiero per un secondo.
– Mi dispiace – mormorò poi con voce contrita – ma domani parto per l’America. Devo
promuovere il mio disco e poi ho numerosi impegni. Sarà per un’altra volta.
– Non puoi disdire qualche intervista? Magari posticiparla? – si informò cautamente.
Il silenzio glaciale che seguì lo raggelò.
– No che non posso. E’ stato tutto fissato mesi fa – ribadì seccamente.
– Ma alla prossima festa non mancherò – concluse con tono apparentemente
conciliatorio.
Stava per chiudere e lui non era riuscito a convincerla.
– E dai! So che sei tu che decidi le date, gli incontri: in fondo, non cambierà molto se
salti un giorno – insisté. Pensava di essere stato cortese ma fu solo quando finì di parlare
che si accorse dell’errore madornale che aveva compiuto.
– SO QUELLO CHE PENSI: CHE IL MIO NON E’ UN VERO LAVORO, MA
NON E’ COSI’! IO SONO UN’ATTRICE! – strillò l’altra piccata.
Ahi, ahi. Aveva toccato un tasto dolente. Christy era molto suscettibile sull’argomento; le
critiche feroci dei giornalisti sul suo modo di recitare avevano minato leggermente la sua
autostima. Detestava sentire messa in dubbia la sua professionalità.
– Solo perché a te è toccata la direzione dell’azienda di famiglia non vuol dire che il tuo
lavoro sia migliore del mio! – gli vomitò contro.
– Sei a capo della ditta solo perché era di tuo padre. Non certo per le tue capacità.
Era furiosa. Ecco, era riuscita a farla davvero arrabbiare.
Spostò lentamente l’orecchio dall’apparecchio.
… blabla... incapace… blabla… inetto... bla… superbo.
Era partita in quarta. Doveva assolutamente rimediare.
– Non era questo che volevo dire. Scusami… – tentò di replicare tra una sfuriata e l’altra.
– E ALLORA COSA VOLEVI DIRE? – sbraitò l’altra ostile.
– In realtà tra tre giorni mi sposo e volevo che tu ci fossi – esclamò tutto d’un fiato.
Ecco: l’aveva detto.
Silenzio.
Dopo quelle che parvero parecchie eternità sentì la tanto temuta domanda
– Ti sposi? E con chi?
– E’ una persona che conosci di vista. Farò una cerimonia semplice e molto segreta. Non
lo sa praticamente nessuno… mi piacerebbe che tu ci fossi. E’ solo per questo che ho
insistito tanto.
Christy scoppiò in una fragorosa risata.
– Devi essere completamente impazzito. Da te una cosa del genere non me la sarei mai
aspettata. E poi sarei io quella che fa follie? Pensaci bene…
– Christy! Da te mi sarei aspettato un po’ più di comprensione. Soprattutto dopo quello
che hai detto in televisione oggi sull’importanza dell’amore. Credevo che mi avresti
sostenuto. Si vede che mi sbagliavo – mormorò amareggiato.
Ma non era solo quello ad infastidirlo, era dura essere criticato da una persona che aveva
scelto di farsi riprendere 24 ora su 24 annullando qualsiasi forma di privacy nella sua vita.
– Mi hai frainteso. E’ ovvio che sono dalla tua parte. Voglio solo sapere una cosa: sei
proprio sicuro che sia la persona giusta?
La domanda da un milione di dollari!
– E’ quella giusta – sentenziò con calore.
– Allora già so che la sposa mi piacerà. Anzi, diventeremo grandi amiche. Me lo sento.
Su questo aveva seri, enormi, abissali dubbi.
Fu solo qualche secondo dopo che il cervello registrò il senso della frase.
– Vuol dire che verrai? – azzardò con il fiato sospeso.
– Non me lo perderei per nulla al mondo!
Ce l’aveva fatta. Davvero era riuscito a convincerla?
– Guarda che ci conto. E conto sul tuo silenzio. La cosa era ovvia ma con Christy era
sempre meglio specificare ogni dettaglio.
– Farò di più. Mi prenderò due giorni di relax per prepararmi all’evento. Massaggi,
lampade, fanghi, yoga. Quando mi rivedrai stenterai a riconoscermi: sarò solare!
Max si morse la lingua per non commentare come mai la sua settimana lavorativa
potesse essere cancellata in un lampo senza nessuna valida ragione mentre con lui aveva
fatto tutta la difficile. D’altronde era tipico di Christy: lei adorava farsi pregare.
– Non ti sembra di esagerare? Guarda che sono io il festeggiato! – la beffeggiò
fingendosi offeso.
– Esagerare? Quante volte credi che mi spetti partecipare alle nozze del mio fratellino?
Sarò semplicemente S–P–E–T–T–A–C–O–L–A–R–E.
Su questo c’era da stare certi. Non si sarebbe mai lasciata scappare una così ghiotta
occasione per apparire al meglio del meglio. Forse due giorni non erano neppure
sufficienti per provare le sue solito diciotto acconciature di rito o le sue tremila scarpe.
– Ora devo proprio scappare. Ci vediamo al grande evento. Notte fratello!
– Notte sorellina.
Non aveva fatto in tempo a dirlo che lei aveva messo giù.
La parte facile era andata.
Guardò con tristezza il bel completo Armani appeso nell’armadio.
Ancora tre giorni e poi l’inferno si sarebbe scatenato su di lui con tanto di diavoli e
forconi. Sorrise mestamente, nel suo caso però sarebbe stato solo contro l’ira di due
diavolesse.
*******
Con voce sferzante arrivò la domanda che tanto temeva.
– Cos ’è successo tra te e Andrea?
Ylaria, ancora con un ginocchio a terra, sobbalzò a quel nome.
– Non è successo niente – replicò fingendosi calma e distaccata.
– Ho saputo che sei passata al piano B.
Il disprezzo nella voce di lui le perforò il cranio spezzando ogni magia. Si rialzò di scatto,
nascondendo un moto di rabbia. Max aveva fatto la spia. Aveva rovinato il suo
momento. Come aveva potuto? Non appena lo avesse visto lo avrebbe conciato a
dovere.
– Ci serviva disperatamente una distrazione e Ariel non poteva muoversi. Sono stata
costretta ad agire… – replicò asciutta senza guardarlo.
Ma perché lui si ostinava a non capire? Era stata un’emergenza! Nessuno avrebbe
mollato arrivato a quel punto. NESSUNO!!
– Tu sapevi come la pensavo sull’argomento. Andrea è un tuo ex.
Ora l’uomo aveva iniziato a parlare a bassissima voce. Faceva così solo quando era
particolarmente teso.
– Dovevo farlo. Punto. Non era una situazione prevista – sbottò lei pentendosi subito
della sua reazione.
– Me l’avevi promesso – le sottolineò l’altro, bruciandola con gli occhi, dopo di ché,
senza altre spiegazioni, si voltò per andarsene.
Non poteva finirla così. Non gli avrebbe permesso di farla sentire in colpa, non dopo
tutti i sacrifici che stava facendo. – Tu sapevi quanto ci tenevo a questo progetto. Non ti
ho chiesto io di aiutarmi! – esclamò superandolo e bloccandogli il passo.
– Io ti ho capito, ti ho sostenuto ma ora mi sto accorgendo che questa situazione è
sfuggita ad ogni controllo e tu, pur di andare avanti, stai cambiando con lei. Io non ti
riconosco quasi più. E questo mi spaventa – dichiarò rigido.
Si era fermato e la stava osservando attentamente come se improvvisamente le fossero
uscite le antenne o la coda.
– Io sono sempre la stessa Ylaria. E’ solo un momento di nervosismo e di stanchezza.
Cerca di capirmi; tutto il mio lavoro, la mia vita dipende da questa cosa. E’ normale che
sia un po’ tesa – gli confessò agitata.
L’uomo le afferrò le spalle e l’avvicinò a sé. Sembrava tanto stanco e aveva un viso triste.
– Io sto cercando di capirti… ma tu hai mai cercato di capire me? Ti sei fermata a
chiederti come potevo sentirmi sapendo che hai baciato il tuo ex?
Ora la fissava con intensità, con due immensi occhi spenti.
L’aveva ferito. Questa consapevolezza la turbò.
– Non è un mio ex… è capitato solo una volta… e…è stato orribile… – cercò di
spiegare. Doveva sapere che lei non provava assolutamente niente per quell’essere.
L’uomo le mise una mano sulla bocca.
– Ma il peggio di questa situazione non è stata neppure la tua condotta. Hai sbagliato ma
ti avrei perdonato. Il peggio… – si fermò per un lungo, eterno, minuto. Il groppo che gli
serrava la gola sembrava strozzarlo.
– Ciò che mi ha veramente scioccato è stato che tu non me l’abbia detto. Se non l’avessi
scoperto tu non mi avresti messo al corrente. Era davvero così che volevi iniziare la
nostra storia insieme? Con una menzogna?
Ad ogni accusa Ylaria sentiva aggiungere un peso sulla sua anima. Un macigno che si
sommava ad un altro ed ad un altro ancora. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi.
– Questa vendetta ti sta logorando. Pur di distruggere quella persona saresti disposta a
calpestare qualunque intralcio sul tuo cammino. Anche me. Perciò esco di scena. Ora.
Finché ancora non mi fai male sul serio.
Non poteva parlare sul serio. Non poteva mollarla ora.
– Io dovevo farlo! – gli gridò dietro nel tentativo di fermarlo. Le lacrime scorrevano
veloci sul volto pallido.
L’uomo si voltò guardandola con scetticismo. – Dovevi? – ripeté con incredulità.
– Nella vita c’è sempre una scelta.
– Io non l’ho avuta. Non potevo fare nient’altro – obiettò asciugandosi goffamente le
lacrime con i gomiti.
– Era così importante? – chiese lui con rabbia allungando le mani verso l’immensità.
– Tutta questa farsa era davvero così importante?
Ylaria si guardò intorno ma aveva già dentro di sé la risposta. – Si. Per me lo è. Ho
lavorato sodo per creare tutto questo. Non posso mollare ora – dichiarò con sincerità.
– Bene. Ero venuto qui, stasera – cominciò l’altro con voce dura – solo perché volevo
mettere in chiaro la situazione. Assunse un’aria accigliata.
– Ora lo so: per te questo gioco è più importante di noi. Le cose stanno così?
Era un’accusa più che una domanda. Ylaria si strinse nelle spalle senza sapere cosa
replicare. La situazione non stava andando come previsto. Lui avrebbe dovuto capirla.
Seguì un lungo silenzio carico di imbarazzo. Cosa si faceva in quelle occasioni? Tu chiedi
al tuo lui di sposarti e lui, su due piedi, ti lascia. Esisteva forse una frase per risistemare
magicamente il tutto?
– Bene. Allora sarà meglio che anch’io riveda le mie priorità – l’ammonì ostile.
Ylaria avvertì il pericolo nell’aria. Quel tono non le piaceva.
Il viso dell’uomo si era indurito e la mascella era improvvisamente contratta.
– Che vuoi fare? – lo interrogò, improvvisamente allerta.
– Smettere di dare importanza ai sentimenti ed entrare nella parte. Io e te non esistiamo
più. Da domani inizierò a giocare seriamente anch’io. Buonanotte Ylaria.
Non ebbe il tempo di focalizzare che lui era già lontano.
Ylaria avrebbe voluto rispondere, gridare, spiegare, ma tutto ciò che le uscì fu un
singhiozzo convulso.