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1 Caserta 15 maggio 2009 LOTTIZZAZIONI ABUSIVE E VINCOLI ALBERGHIERI di Alberto Coppola Sommario: 1.Premessa;2 piano di lottizzazione e vincolo alberghiero;3.il piano di lottizzazione;4.il vincolo alberghiero; 5.vincolo alberghiero e commerciabilità del bene;6. la legislazione della Regione Campania in ordine al vincolo alberghiero; 7.conclusioni. 1. PREMESSA Desidero, innanzitutto, ringraziare il Consiglio Notarile di Santa Maria C. V. per l’opportunità che mi concede di trattare, nell’ambito di un incontro che si occupa di affrontare, in modo organico e sistematico, il tema della circolazione dei beni , un aspetto delicato e particolarmente sofferto dalla categoria, in un territorio che sempre più avverte la scarsa vigilanza sull’attività edilizia da parte degli operatori della pubblica amministrazione. E’, infatti, proprio la scarsa vigilanza sull’attività edilizia da parte degli enti locali a scaricare sulle spalle del notaio la responsabilità di verificare quanto, normalmente, non dovrebbe essere Loro attribuito. Ed, allora, dovendo, ancora una volta, la categoria svolgere funzione di supplenza in funzioni pubbliche che, nell’ambito delle attribuzioni, non dovrebbero spettare al notaio, è opportuno attrezzarsi e documentarsi sui nuovi strumenti di applicazione della norma sulle lottizzazioni, legittime o abusive che, con il passare del tempo, acquistano contorni sempre più fluidi e di complessa applicazione.

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Caserta 15 maggio 2009

LOTTIZZAZIONI ABUSIVE E VINCOLI ALBERGHIERI

di Alberto Coppola

Sommario: 1.Premessa;2 piano di lottizzazione e vincolo alberghiero;3.il piano di lottizzazione;4.il vincoloalberghiero; 5.vincolo alberghiero e commerciabilità del bene;6. la legislazione della Regione Campania inordine al vincolo alberghiero; 7.conclusioni.

1. PREMESSA

Desidero, innanzitutto, ringraziare il Consiglio Notarile di Santa Maria C. V. per

l’opportunità che mi concede di trattare, nell’ambito di un incontro che si occupa di

affrontare, in modo organico e sistematico, il tema della circolazione dei beni, un

aspetto delicato e particolarmente sofferto dalla categoria, in un territorio che sempre

più avverte la scarsa vigilanza sull’attività edilizia da parte degli operatori della

pubblica amministrazione.

E’, infatti, proprio la scarsa vigilanza sull’attività edilizia da parte degli enti locali a

scaricare sulle spalle del notaio la responsabilità di verificare quanto, normalmente,

non dovrebbe essere Loro attribuito.

Ed, allora, dovendo, ancora una volta, la categoria svolgere funzione di supplenza in

funzioni pubbliche che, nell’ambito delle attribuzioni, non dovrebbero spettare al

notaio, è opportuno attrezzarsi e documentarsi sui nuovi strumenti di applicazione

della norma sulle lottizzazioni, legittime o abusive che, con il passare del tempo,

acquistano contorni sempre più fluidi e di complessa applicazione.

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2. PIANO DI LOTTIZZAZIONE E VINCOLO ALBERGHIERO

Entrando nel merito, mi piace ricordare che l’argomento a me oggi affidato è stato

portato all’attenzione del Consiglio Nazionale del Notariato che, con uno studio

organico, ma non risolutivo, ha affrontato la materia già nel 2007, segno evidente

che, da tempo, si è posto il problema di assicurare, con un’attività notarile sempre più

impegnata a tutela dell’attività negoziale, una funzione professionale ancora più

attenta e qualificata.

Al fine di poter valutare l’interazione tra i due argomenti – piano di lottizzazione e

vincolo alberghiero – è necessario, pur in forma sintetica, affrontare la genesi che ha

portato all’emanazione dei provvedimenti normativi o regolamentari, su base statale o

locale, che disciplinano i due strumenti.

3. IL PIANO DI LOTTIZZAZIONE

Senza attardarsi nella storia giuridica che ha portato all’attuale configurazione della

“ lottizzazione “, con conseguente definizione per via legislativa della “ lottizzazione

abusiva “, è giusto attribuire all’articolo 28 della legge n. 1150 del 1942,

l’introduzione delle norme per l’attuazione della lottizzazione delle aree fabbricabili.

La stessa legge, prevedendo varie forme di piano di lottizzazione – a) “ incorporata “

nel piano particolareggiato, b) “ obbligatoria “ in cui l’invito alla redazione del piano

di lottizzazione parte dall’autorità comunale e c ) “ facoltativa “, quella che,

convenzionalmente, viene definito “ piano di lottizzazione “, aveva dato indicazioni

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di ordine tecnico sul contenuto dello stesso piano, sulla sua procedura di

approvazione, non potendo prevedere, in pieno conflitto, abusi che avrebbero portato

nel tempo a patologie giuridiche dei negozi relative al trasferimento dei terreni.

Nella impostazione della legge del 1942 i piani di lottizzazione avrebbero potuto

essere lo strumento giusto per la disciplina degli interventi edilizi sul territorio,

particolarmente se inquadrati all’interno di un articolato sistema di pianificazione

previsto dalla stessa legge; ma essi, almeno per buona parte del Paese, forse anche a

causa delle necessità di ricostruzione del dopoguerra, ebbero scarsa applicazione.

Si rese, pertanto, necessario, al fine di porre un freno ad un sistematico aggiramento

della norma, stabilire un divieto assoluto di lottizzazione a scopo edilizio nei Comuni

sprovvisti di uno strumento urbanistico a livello comunale ( Piano regolatore generale

o Programma di fabbricazione ).

Non avendo introdotto la legge n. 765 del 1967, la “ legge – ponte “, alcuna

definizione del concetto di lottizzazione, al fine di colmare una carenza legislativa, fu

necessario, per il Ministero dei LL. PP., utilizzare la circolare n. 3210 del 1967,

esplicativa dell’applicazione della citata legge-ponte, per introdurre il concetto di

lottizzazione, rilevando testualmente: “ Come utile criterio orientativo può dirsi che

costituisce lottizzazione non il mero frazionamento dei terreni, ma qualsiasi

utilizzazione del suolo che, indipendentemente dal frazionamento fondiario e dal

numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea o successiva di una

pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale e conseguentemente

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comporti la predisposizione delle opere di urbanizzazione occorrenti per le necessità

primarie e secondarie dell’insediamento “.

La definizione della circolare citata non fu sufficiente ad aiutare per l’interpretazione

al meglio della norma, anche perché la successione dell’orientamento della

giurisprudenza amministrativa portava a considerare che ci si trovasse in presenza di

una lottizzazione di fatto “ quando – mediante il rilascio di uno o più permessi di

costruire - sia autorizzato, per la prima volta, l’asservimento all’edilizia ( a scopo

residenziale, industriale, commerciale, turistico etc. ) di una zona di territorio non

ancora urbanizzata e quando per effetto del nuovo insediamento sia necessario

realizzare opere di urbanizzazione primaria e secondaria ( che non riconducano a

semplici allacciamenti delle nuove costruzioni alle reti infrastrutturali esistenti)“.( 1 )

Tale dominante orientamento giurisprudenziale lasciava, comunque, “ pericolosi

margini di incertezza “ ( 2 ) inducendo il legislatore ad introdurre, con la legge n. 47

del 1985 ( una norma con la quale si è, ormai, formata un’intera generazione di

tecnici, magistrati, avvocati, notai ) la definizione, oggi recepita nell’articolo 30 del

d. P. R. n. 380/2001 – il testo unico dell’edilizia –, secondo cui “ si ha lottizzazione

abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che

comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione

delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite

dalle leggi statali o regionali senza la prescritta autorizzazione;

(1) Cons. di Stato, sez. V, 10 giugno 1982, n. 527

(2) D’Angelo, Diritto dell’edilizia e dell’urbanistica, Cedam editore

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nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e

la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali

la dimensione in ordine alla natura del terreno, alla sua destinazione secondo gli

strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di

urbanizzazione ed in rapporto agli elementi riferito agli acquirenti, denuncino, in

modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio “.

La definizione introdotta, pur avendo ancora bisogno di interpretazioni integrative per

quanto attiene alcune fattispecie che si vanno configurando, ha certamente risolto il

problema della individuazione della lottizzazione abusiva nel caso di vendita

frazionata dei terreni pur senza l’esecuzione di opere.

La stessa definizione ha, sostanzialmente, riconosciuto tra le diverse categorie di

lottizzazione abusiva:

a) la lottizzazione abusiva negoziale, che viene determinata, per la integrazione del

reato in esame, sia con l’alienazione non autorizzata di un terreno diviso in lotti,

sia con la dimostrazione dell’intento lottizzatorio che può essere desunto da indici

sintomatici dettagliatamente elencati in modo non tassativo dal legislatore.

Per la giurisprudenza penale “ non è necessario che tali elementi indiziari siano

presenti tutti in concorso fra di loro, in quanto è sufficiente anche la presenza

di uno solo di essi, rilevante ed idoneo a far configurare, con margini di

plausibile veridicità, la volontà di procedere a lottizzazione “ ( 3 );

( 3 ) Cass. Penale, III, 12 ottobre 2005, n. 36940

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b) la lottizzazione abusiva materiale che sussiste allorquando vengono realizzate

opere edilizie o opere di urbanizzazione che determinano un’ apprezzabile

trasformazione urbanistica della zona, funzionalizzando i relativi terreni a nuovi

insediamenti urbani non assentiti o non programmati ( ad es. costruzione di

strade, manufatti, frazionamento dei terreni in lotti ).

In tale direzione anche la giurisprudenza penale la quale, in particolare, ha

affermato che “ sussiste il reato di lottizzazione abusiva laddove una struttura

adibita a campeggio, sia pure debitamente autorizzata, venga radicalmente

mutata, per effetto di opere edilizie non autorizzate e di roulotte posizionate

stabilmente a terra e, pertanto, non più agevolmente trasportabili, in uno stabile

insediamento abitativo di rilevante impatto negativo sull’assetto territoriale“( 4 ).

Restano, però, aperte alcune applicazioni della definizione di lottizzazione abusiva in

relazione, ad esempio, all’argomento di cui oggi si tratta, cioè alla circolazione di

beni sottoposti a vincolo di natura alberghiera.

Cercherò, in prosieguo, dopo aver inquadrato, in estrema sintesi, la legislazione in

relazione al detto vincolo alberghiero, di collegare i due argomenti, al fine di

contribuire, senza nessuna presunzione esaustiva, a restringere i margini di incertezza

interpretativa che si pongono in ordine alla circolazioni di beni sottoposti al citato

vincolo alberghiero.

( 4 ) Cass.penale, III, 31 gennaio 2008, n. 4974

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4. IL VINCOLO ALBERGHIERO

Il vincolo alberghiero nasce con un regio decreto legge del 1936, il n. 274,

successivamente convertito in legge con la L. 24 luglio 1936 n. 1621, con il quale

veniva imposto il mantenimento, nella contrattazione, della destinazione ad albergo,

pensione o locanda per destinazione dei proprietari o per concessione risultante dal

contratto di locazione degli immobili che, alla data del 3 marzo 1936 – data di entrata

in vigore del provvedimento –, avessero avuto tale destinazione.

Necessaria, ai fini del trasferimento della proprietà o della locazione, era

l’autorizzazione del Sottosegretario per la stampa, lo spettacolo ed il turismo.

Scopo del provvedimento era quello di controllare, attraverso un meccanismo

procedurale da attivare in caso di attività negoziale che prevedeva anche la prelazione

da parte dello Stato, la conservazione della destinazione d’uso del bene, considerando

lo stesso come un bene a rilevanza economico- sociale di interesse pubblico.

In sintesi, se si voleva negoziare un immobile a destinazione alberghiera occorreva

l’autorizzazione da parte dello Stato, pena la nullità del negozio posto in essere.

Si trattava di nullità relativa e non di nullità assoluta, nel rispetto di quanto previsto

dal codice civile del 1865; la legge prevedeva, infatti, che il contratto di vendita o di

locazione era nullo, ma l’azione di nullità poteva essere promossa od opposta soltanto

dalla pubblica autorità “ entro due anni dalla vendita o dalla locazione “.

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La legge n. 1692 del 1936 ebbe vigore fino al 1943 per espressa previsione

governativa.

Successivamente, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 117 del 1945, venne

ripristinato il detto vincolo alberghiero, prorogato sino a 5 anni dalla cessazione dello

stato di guerra ed esteso ad ogni tipo di negozio giuridico che, comunque, importasse

il mutamento della destinazione degli immobili adibiti ad uso alberghiero.

Il vincolo, con leggi successive, in ultimo la legge 24 febbraio 1979 n. 61, veniva

prorogato fino al 31 dicembre 1979, limitatamente al territorio delle Regioni che non

avessero ancora disciplinato la materia con proprie leggi.

Nel 1981 la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 4 del 28 gennaio 1981,

dichiarava costituzionalmente illegittimo l’articolo 5 della legge n. 628 del 28 luglio

1967, la penultima legge di proroga del vincolo, per contrasto con l’articolo 3 della

Costituzione.

La legge n. 628 del 1967 era, in effetti, una delle tante leggi di proroga del regime

vincolistico, instaurato con il R. D. L., rinnovatosi, poi, come detto, fino a tutto il

1979, data alla quale la citata pronuncia della Consulta è posteriore.

La sentenza della Corte, in punto di diritto, ha ritenuto che il vincolo avesse una

precisa ragione di esistere nell’immediato dopoguerra al fine di non diminuire

ulteriormente, nella sindrome di ricostruzione delle residenze che prese il Paese, le

ridotte ed insostituibili attrezzature turistiche allora esistenti, rilevando l’inattualità

del vincolo alla luce dell’accresciuto ed ammodernato patrimonio edilizio a

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destinazione alberghiera, mentre le discriminazioni introdotte col regime vincolistico,

troppo a lungo tramandate da una legge di proroga all’altra, avevano sconfinato oltre

il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa ( per notizia, l’Avvocatura

dello Stato aveva ribadito la necessità della conservazione del vincolo sui vecchi

alberghi dei centri cittadini che, testimoni di una storia, avrebbero avuto la funzione

di attrarre il turismo di qualità ).

Tale sentenza della Consulta va letta anche alla luce di una precedente pronuncia del

Consiglio di Stato, sez. V, 23 novembre 1979, n. 743, che considerava “ illegittimo il

provvedimento con il quale il sindaco nega la licenza edilizia in variante di una

costruzione destinata ad albergo, quando sia considerata modificazione della

destinazione d’uso originaria la utilizzazione dell’edificio a residence con

organizzazione dei servizi alberghieri “.

Sulla spinta dell’incostituzionalità dichiarata dalla Consulta, fu approvata la legge

n. 217 del 17 maggio 1983, la quale prevedeva, per la prima volta, in ossequio

all’allora vigente articolo 117 della Costituzione che ripartiva in modo netto,

contrariamente a quanto previsto oggi dall’attuale formulazione del citato articolo

117 Cost., le competenze tra Stato e Regioni, l’attribuzione del potere legislativo sul

vincolo alberghiero alle Regioni, venendo, così, a cessare il vincolo come stabilito dal

legislatore statale.

L’essenza della norma del 1983 può così essere riassunta:

a) la competenza legislativa per l’imposizione del vincolo alberghiero spetta alle

Regioni;

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b) l’imposizione del vincolo non è previsto come obbligo da parte delle Regioni,

ma come facoltà;

c) il vincolo non sussiste fino a quando le regioni non l’avranno imposto con

legge;

d) il vincolo, una volta imposto, non riguarda soltanto alberghi, pensioni e

locande, ma tutte le “ strutture ricettive “ indicate all’articolo 6 della detta

legge, ad eccezione degli alloggi rurali, degli alloggi gestiti da affittacamere,

delle case e appartamenti per vacanza. Restano, quindi, inclusi nel vincolo

alberghi, motels, residenze turistico – alberghiere, villaggi turistici, campings,

rifugi etc.;

e) il vincolo, una volta imposto, può essere rimosso “ su richiesta del

proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico –

produttiva della struttura ricettiva “, facendo, in tal modo, prevalere l’interesse

del soggetto che utilizza la struttura ricettiva come impresa sull’esigenza di

mantenere il vincolo.

Fin qui la spiegazione della natura del vincolo alberghiero da un punto di vista

imprenditoriale che non cessa anche nel caso di una pluralità di soggetti proprietari.

Per completezza di informazione e rispetto del territorio che ospita questo incontro

è da dire che nel territorio della Regione Campania vige la legge regionale n. 16 del

28 novembre 2000, pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regionale n. 56 del 4 dicembre

2000, norma che sarà successivamente esaminata.

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5. VINCOLO ALBERGHIERO E COMMERCIABILITA‘ DEL BENE

Nessun dubbio sulla incidenza del vincolo alberghiero sulla commerciabilità del

bene, finchè ha avuto vigenza la legge del 1936, anche attraverso le sue diverse

proroghe; la norma, infatti, come visto, aveva espressamente previsto la preventiva

autorizzazione amministrativa in caso di trasferimento della proprietà o della gestione

della struttura, pena l’invalidità dell’atto negoziale posto in essere.

Venuto meno il vincolo previsto dalla legge del 1936, non essendo stato confermato

esso vincolo se non sotto il profilo di struttura recettiva realizzata con il contributo

pubblico, il problema va esaminato sotto il profilo che tocca aspetti più di normativa

urbanistica ed edilizia che di carattere commerciale – imprenditoriale.

E’ sempre più frequente, infatti, sotto il profilo della prassi negoziale ed in particolare

nelle zone di più assidua frequentazione turistica, la tendenza a cedere porzioni di

strutture turistiche ricettive, alberghiere od altre, a singoli proprietari, allo scopo di

consentire agli acquirenti la utilizzazione non più come beni turistico – alberghieri,

ma a destinazione abitativa, come una comune casa di abitazione o di vacanza.

Un fenomeno tipico è rappresentato dalla “ compravendita frazionata di strutture

ricettive “, anche se, bisogna dire - ed è una vicenda che è stata sottoposta alla mia

attenzione professionale per un comune della Provincia di Caserta - con disinvoltura

si realizzano abitazioni, con tutte le caratteristiche peculiari delle stesse, in zona

territoriale omogenea con destinazione “ turistico – ricettiva “, facendo ricadere

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all’interno di tale destinazione d’uso anche le case di abitazioni di un Comune

certamente non a vocazione turistica. Ed in questi casi, credo, che, con la mancata

vigilanza da parte della pubblica amministrazione, i Comuni in particolare, è

augurabile che vi sia un rifiuto alla prestazione da parte del notaio e, ancora di più, un

rifiuto da parte degli istituti di credito a contrarre mutuo per la realizzazione di

immobile con destinazione abitativa.

E’ da dire che, ovviamente, il fenomeno non riguarda alberghi tradizionali, ma

strutture turistiche diffuse sul territorio, magari formatesi non in un’unica soluzione,

ma in tempi differenziati; è il caso, ad esempio, di villaggi – vacanze o di residenze

turistico – alberghiere.

Da un punto di vista della commerciabilità del bene occorre distinguere fra:

1) trasferimento del bene che subisce la modifica di destinazione d’uso

e

2) trasferimento dell‘ immobile che, pur frazionato, conserva la sua destinazione

d’uso, magari con un’unicità di gestione di carattere commerciale imprenditoriale che

potrà comportare dei problemi di carattere burocratico – amministrativo

ma difficilmente potrebbe incidere sulla validità del negozio posto in essere.

Diverso, invece, è il caso in cui il bene trasferito perde, di fatto, la sua destinazione

d’uso o per una destinazione sostanzialmente difforme da quella assentita, pur se non

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accompagnata da opere edilizie, o per un vero e proprio frazionamento della struttura

con una frantumazione negoziale che ne faccia perdere, con certezza, la possibilità di

rispettare la originale destinazione d’uso.

Il problema si sposta sulla legislazione urbanistica ed edilizia, sulle pronunce della

giurisprudenza sulla stessa.

La modifica di destinazione d’uso si può definire, di massima, come una destinazione

del bene per un utilizzo diverso da quello indicato nel titolo abilitativo ( permesso di

costruire o denuncia di inizio attività ).

Dalla giurisprudenza penale il mutamento di destinazione d’uso viene definito come

“ attività volta a vincolare in maniera non precaria una costruzione ad una

determinata utilizzazione, classificabile fra quelle correnti in materia urbanistica,

qualora si realizzi in contrasto con la previsione dell’atto di concessione “ ( 5 ).

Il citato t.u. dell’edilizia, il d.P.R. n. 380/2001, all’articolo 10, rinvia la disciplina alle

leggi regionali, ma solo per la definizione dei titoli abilitativi necessari per la

modifica di destinazione d’uso.

( 5 ) Cass. penale , III, 13 giugno 1983, n. 7404

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La Regione Campania, con L. R. n. 16/2004 ( che si occupa del Governo del

territorio ), articolo 49, parziale modifica dell’articolo 2 della L. R. n. 19/2001,

dispone che il mutamento senza opere è libero ma che sono soggetti a permesso di

costruire i mutamenti di destinazione d’uso con opere che incidano sulla sagoma

dell’edificio o sui volumi e sulle superfici, nonché tutti i mutamenti di destinazione

d’uso compresi nelle zone agricole (Z.T.O. “ E “ ).

Per quanto attiene la rilevanza della modifica di destinazione d’uso del bene in ordine

alla commerciabilità dello stesso si possono distinguere, all’interno della modifica di

destinazione d’uso, due fattispecie tipiche:

a) mutamento funzionale, cioè privo di opere;

b) mutamento strutturale, cioè con opere che necessitano di titolo abilitativi;

In linea generale sul punto a ), salvo quanto necessario di approfondimento specifico

per il vincolo alberghiero, particolarmente se non c’è modifica catastale della

destinazione d’uso, vi è da dire che tale mutamento non assume alcuna rilevanza ai

fini della commerciabilità del bene e attiene solo al rispetto della normativa, statale,

regionale e locale vigente in materia urbanistica.

Meno facile appare, invece, delineare la diligenza notarile in caso di mutamento di

destinazione d’uso dell’immobile di cui al punto b); è pur vero che al notaio può

bastare il requisito formale della commerciabilità del bene, con tutte le dichiarazioni

di rito della parte venditrice che assevera titolo abilitativo e provenienza

dell’immobile ma il professionista deve, altresì, preoccuparsi che l’atto non nasca

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invalido o invalidabile, ma anche che lo stesso strumento riduca al minimo i rischi

dell’insorgenza di liti interpretative tra le parti.

Certamente il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile non autorizzato

determina una irregolarità urbanistica ed impone che detta irregolarità debba essere

sanata; se non provvede l’alienante a sanarla, toccherà all’acquirente successivamente

provvedere a farlo, ove sia possibile, dal momento che egli ha acquistato validamente

un bene parzialmente irregolare da un punto di vista della regolarità urbanistica od

edilizia.

Meno facile è inquadrare il mutamento di destinazione di una struttura a

destinazione turistico – ricettiva, alberghiera o altro, in uso residenziale privato.

La fattispecie in esame può configurarsi con due ipotesi:

a) un mutamento ininfluente ai fini della commerciabilità del bene, perché

ritenuto appartenente ad un più ampio contesto generale di mutamento di

destinazione d’uso;

b) un cambio di destinazione d’uso presupposto per la non - commerciabilità del

bene ed, in questo caso, è da individuare la tipologia di abuso cui ascrivere lo

stesso ai fini di una conferma della non – commerciabilità.

Occorre, in premessa, ricordare la competenza delle Regione, come sopra richiamata

a seguito della sentenza della Consulta del 1981, all’apposizione del vincolo

alberghiero, di guisa che si è nell’ipotesi paradossale che la detta commerciabilità

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rischia di essere consentita o meno in forma più restrittiva in virtù del vincolo

alberghiero, a seconda che la Regione competente per territorio, abbia o meno

legiferato in materia ( la Regione Campania, come visto, lo ha fatto ).

Certamente l’abuso configurato da mutamento di destinazione d’uso di un immobile

da alberghiero ad altro, residenziale in primis, in assenza di specifica legislazione

regionale, e con la realizzazione di opere va ascritto alle diverse categorie di abuso

elencate dall’articolo 31 e seguenti del citato d. P. R. n. 380/2001; ovviamente,

conseguentemente sanzionate come previste dallo stesso d. P. R..

Con riferimento al citato articolo 31, comma 1, va evidenziato che : “ sono interventi

eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la

realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche

tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso

stesso, …….( omissis ) “; la inclusione della “ realizzazione di un organismo edilizio

integralmente diverso…… per utilizzazione “ tra le categorie di abusi da ascrivere

alla totale difformità propende per una non commerciabilità di un bene che non sia

stato preventivamente sanato, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, ove

possibile.

Con questa lettura dell’articolato del t.u. è utile che il notaio controlli, e non solo per

l’eventuale presenza del vincolo alberghiero, la conformità del bene trasferito rispetto

al titolo abilitativo assentito.

Diverso è, invece, il caso, affermato in più occasioni dalla giurisprudenza di

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“ lottizzazione abusiva “, ricordandosi che la categoria cui ascrivere l’abuso cambia

se l’immobile è sottoposto a vincolo paesaggistico.

La Cassazione penale, in più occasioni, ( 6 ), ( 7 ), e ( 8 ), ha adottato l’orientamento di

configurare il reato di lottizzazione abusiva allorché “ la modifica di una

destinazione d’uso di una residenza turistico - alberghiera “ realizzata attraverso la

vendita di singole unità a privati allorché non sussista un’organizzazione

imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in

locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni del

contratto di albergo, atteso che in tale ipotesi le singole unità perdono la originale

destinazione d’uso alberghiera per assumere quella residenziale, in contrasto con lo

strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione “.

In particolare, in altra occasione ( 9 ), è stato sentenziato che la “ costruzione di un

complesso immobiliare costituito da villette destinate ad uso residenziale , non può

ritenersi assentita da un piano di lottizzazione convenzionato, dal momento che

quello esistente ha un oggetto del tutto diverso e riguarda unicamente un complesso

immobiliare a destinazione alberghiera “ ….... ” Nel caso in esame, poi, le

trasformazioni realizzate si pongono anche in contrasto con gli strumenti urbanistici

più generali che per quella zona e per quella volumetria consentivano soltanto opere

aventi un interesse pubblico perché destinate ad uso alberghiero, mentre per le altre

opere erano consentite solo volumetrie inferiori “.

( 6 ) Cass. Penale, III, 2 marzo 2004, n. 20661;

( 7 )Cass. Penale, III, 21 gennaio 2005, n. 10889;

( 8 ) Cass. Penale, III, 7 novembre 2006, n. 6396;

( 9 ) Cass. Penale, III,24 febbraio 2006, n. 6990;

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La lettura letterale dell’articolo 30 del t.u. dell’edilizia non autorizza a condividere

tale orientamento, dal momento che la fattispecie della lottizzazione abusiva viene

riferita, nella citata norma, solo con esclusivo riferimento ai terreni, rendendo, quindi,

non applicabili le sanzioni consequenziali, a cominciare dalla confisca degli

immobili.

E’, però, comunque da distinguere la fattispecie di un frazionamento di una struttura

ricettiva in un fase iniziale di avvio dell’attività da quella realizzata in una fase

successiva all’avvio stesso o anche il caso di un piano di lottizzazione approvato con

destinazione alberghiera – ricettiva che, poi, viene trasformata in residenza/e.

In tale ultima fattispecie la configurazione del reato di lottizzazione abusiva, con

conseguente non – commerciabilità del bene, è condivisibile.

Altra fattispecie è, ad esempio, rappresentata da un’iniziativa turistica, organizzata

non a mezzo di un solo immobile, che neanche avvia la sua attività ma viene

immediatamente divisa in unità abitative, facilmente individuabili per tipologie

costruttive; in tale caso si potrebbe configurare un asservimento di aree a scopo

edificatorio realizzato senza un preventivo strumento pianificatorio attuativo.

Invero, si tratterebbe di una fattispecie difficilmente difendibile e dalla quale sarebbe

opportuno per il notaio stare lontano.

Diversa è, invece, il frazionamento di un immobile successivo alla fase di avvio

dell’attività turistica, con la vendita, parziale o totale, di unità abitative singole,

sempre che le condizioni e le prescrizioni urbanistiche, edilizie e catastali lo

consentano e ci si sia dotati delle eventuali autorizzazioni imposte dalle leggi

regionali.

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6. LA LEGISLAZIONE DELLA REGIONE CAMPANIA IN ORDINE AL

VINCOLO ALBERGHIERO

Prima di avviarmi alla conclusione ritengo necessario soffermarmi sulle prescrizioni

della Regione Campania che, con la sopra citata legge n. 16/2000, ricalcando la legge

statale del 1983, individua due tipi di vincolo:

1) un vincolo provvisorio;

2) un vincolo permanente.

Il primo è previsto nelle “ more dell’adeguamento “ degli strumenti urbanistici

comunali ( piano regolatore generale, ora piano urbanistico comunale ); il secondo

( vincolo permanente) è quello successivo all’adeguamento della pianificazione

comunale alla detta legge.

In entrambi i casi ci si trova in presenza di vincolo di destinazione urbanistica, per

cui, ove esistente, detta destinazione edilizia non può essere variata senza il cambio

della destinazione urbanistica dell’area, cioè senza una variazione dello strumento

urbanistico comunale.

L’articolo 2, comma 4, estende il vincolo di destinazione “ anche a quelle parti della

struttura alberghiera che, pur potenzialmente autonome, costituiscono parti

integranti ed essenziali della struttura stessa ….“, ponendo, quindi, dei limiti per

legge a qualsiasi forma di alienazione parziale dell’immobile.

In entrambi i casi, vincolo provvisorio o vincolo definitivo, quindi, vi è una stretta

interdipendenza tra vincolo urbanistico e vincolo alberghiero; ancora di più si

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evidenzia tale interdipendenza dalla lettura del comma 2 dell’articolo 5, il quale

dispone che “ il Comune non può consentire il mutamento della destinazione turistico

– ricettiva in atto né adottare la variante al piano regolatore a tal fine eventualmente

necessari, se non previa autorizzazione della Giunta Regionale “.

Se ne ricava, quindi, inequivocabilmente, che nel territorio della Regione Campania il

notaio deve prestare particolare attenzione al momento del trasferimento di un

immobile che, pur con originaria destinazione turistico – ricettiva, possa essere stato,

totalmente o parzialmente, modificato in residenza, facilmente individuabile per

tipologia edilizia costruttiva.

7. CONCLUSIONI

La complessità dell’argomento non aiuta ad essere brevi sulle conclusioni che si

possono trarre dalle considerazioni, necessariamente incomplete e sintetiche, sopra

formulate.

In sintesi:

a) l’impresa alberghiera non perde la sua specificità in presenza di una pluralità di

soggetti proprietari, anche se la cessione totale o parziale di essa avviene in una

fase successiva al suo avvio commerciale;

b) Se l’impresa alberghiera, o meglio, l’immobile che la ospita, viene frazionato

perde la caratteristica di impresa ed acquista la caratteristica di immobile

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destinato in via definitiva ad una o ad una pluralità di immobili destinati alla

residenza.

Fermo restando i divieti imposti con legge nel territorio della Regione Campania,

laddove non vi siano specifiche leggi regionali, nel caso ipotizzato sopra con la

lettera b) ( frazionamento dell’immobile e vendita dello stesso con destinazione

alberghiera, pur se, di fatto, residenza ), ci si può trovare in presenza di conseguenze

che possono essere così riassunte:

b.1.) effetti di carattere amministrativo ( cancellazione dal registro delle imprese )

e di tipo urbanistico – edilizio ( necessità di titolo abilitativo );

b.2. ) conseguenze di carattere economico – finanziario, con la perdita di eventuali

contributi pubblici ricevuti ( per l’intero o pro – rata );

b.3.) rischi di tipo penale, atteso l’orientamento della Cassazione penale, come

sopra richiamato, che ha configurato, in più occasioni, in caso di

frazionamento di immobile destinato a struttura turistico – ricettiva, il reato di

lottizzazione abusiva, ove in origine fosse stato tale strumento attuativo a

generare l’intervento ma con destinazione turistico - ricettiva;

In qualunque dei tre casi sopra esaminati è necessario che il notaio, con l’esame

puntuale della documentazione storica dell’immobile, anche per la non completa

tranquillità di non rischiare la nullità dell’atto, provveda a disciplinare lo strumento

giuridico sul piano pattizio, allo scopo di evidenziare le possibili conseguenze

critiche del trasferimento e di stabilire le rispettive responsabilità e conseguenze

risarcitorie.

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Certamente ancora meno tranquillo potrà essere il notaio che avalli con atto il

trasferimento dell’immobile palesemente trasformato da struttura turistico – ricettiva

a residenza/e, particolarmente in presenza di destinazione d’uso dello strumento

urbanistico specifica o, peggio, senza titolo abilitativo che legittimi la modifica di

destinazione d’uso dell’immobile.

Il notaio, quale privato esercente di pubbliche funzioni, deve aver cura di sopperire

anche alle tante carenze ed inadempienze della pubblica amministrazione, assumendo

una ulteriore funzione di controllo documentale che vada anche oltre i compiti

assegnati dalle leggi.

Trattandosi di un interesse generale da tutelare, oltre quello delle parti costituite in

atto, è necessario che Egli si ponga di ostacolo rispetto ad una prassi negoziale di

abusi edilizi che, particolarmente nel territorio della provincia di Caserta, si va

estendendo in modo preoccupante per qualità e quantità, anche ed in particolare per

l’assenza di vigilanza da parte della Pubblica Amministrazione.

Grazie