Logica rudimentale - Dipartimento di Matematica e Applicazioni … · Lo scopo di queste note e...

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versione 1.2.4 — 24 settembre 2019. Logica rudimentale GIOVANNI CUTOLO 1. Premesse 1 2. Connettivi proposizionali 2 Negazione 2 Congiunzione 2 Tavole di verit` a 2 Disgiunzione (inclusiva) 3 Equivalenza, o Doppia implicazione 4 Implicazione 4 3. Tautologie 6 Alcune tautologie elementari 7 Distributivit`a 8 Leggi di De Morgan 9 Tautologie sulla implicazione 9 4. Altri connettivi binari 11 5. Quantificatori 13 Variabili libere e vincolate 14 Quantificatori ristretti 16 6. Qualche regola d’uso 17 Quantificatori multipli 17 Negazione di quantificatori 18 Un errore da evitare 19 7. Insiemi 19 Formule insiemistiche 21 Ancora De Morgan 22 Differenza simmetrica 22 Parti di un fissato insieme 23 1. Premesse Lo scopo di queste note ` e quello di dare alcune indicazioni sull’uso corretto dei simboli logici utili, o piuttosto necessari, nello studio della matematica. Una vera e propria (e pi` u rigorosa) introduzione alla logica va al di l` a degli obiettivi del corso di Algebra ed ` e rimandata a corsi degli anni successivi e della laurea magistrale. Molto informalmente, ci limitiamo qui a dire che ogni teoria matematica ` e espressa in quello che si chiama un linguaggio, che ` e costituito (1) da un alfabeto di simboli (semplicemente, dei caratteri tipografici), che possono essere messi insieme per costituire parole (stringhe di caratteri) e (2) da regole sintattiche che permettano, tra l’altro, di distinguere tra stringhe “correttamente composte”, che si chiamano formule e stringhe che non sono correttamente composte. L’aggettivo ‘sintattiche’ indica che le regole riguardano solo le modalit` a di manipolazione formale dei simboli e non fanno alcun riferimento a ci` o che questi simboli intendono rappresentare. Spero che un esempio possa aiutare a chiarire la nozione di formula. Il linguaggio di una teoria che voglia descrivere l’usuale aritmetica dei numeri interi potrebbe contenere dei simboli per indicare variabili (ad esempio, “x”, “y”, “z”, ... ), alcuni simboli che indichino costanti (come “0” e “1”), operazioni (ad esempio, “+”, “·”, “-”), relazioni (come “<”, ma anche, su un piano diverso, “=”). Le regole sintattiche saranno probabilmente scritte in modo che stringhe come “x +1= y” oppure “x · y< 1+ z” siano formule (ben formate, come anche si usa dire), mentre “x<”, “x == ·y” oppure “x + y” non lo siano. 1 ` E utile ribadire che la sintassi prescinde completamente dall’interpretazione dei simboli utilizzati nel linguaggio, e va tenuta ben separata da questa interpretazione. Ad esempio, non ` e affatto detto che i simboli che appaiono nel linguaggio dell’aritmetica appena richiamato debbano davvero essere interpretati come i nostri abituali numeri interi, che “+” debba indicare la consueta addizione, che le costanti “0” e “1” rappresentino necessariamente i familiari numeri zero ed uno, e cos` ı via. La parte della logica che si occupa di queste “interpretazioni” si chiama semantica e, in una trattazione rigorosa, va tenuta sempre ben distinta dalla sintassi. 1 Osserviamo di passaggio che le regole sintattiche di un linguaggio hanno anche lo scopo di distinguere, tra le possibili stringhe, i cosiddetti termini, che cos` ı come i simboli di variabile e di costante intendono rappresentare gli oggetti “di cui parla” la teoria; nel nostro esempio i numeri interi. Delle tre stringhe che non sono formule appena mostrate, le prime due non sono termini, l’ultima (“x + y”) invece lo ` e. 1

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versione 1.2.4 — 24 settembre 2019.

Logica rudimentale

GIOVANNI CUTOLO

1. Premesse 12. Connettivi proposizionali 2

Negazione 2Congiunzione 2Tavole di verita 2Disgiunzione (inclusiva) 3Equivalenza, o Doppia implicazione 4Implicazione 4

3. Tautologie 6Alcune tautologie elementari 7

Distributivita 8Leggi di De Morgan 9

Tautologie sulla implicazione 9

4. Altri connettivi binari 11

5. Quantificatori 13Variabili libere e vincolate 14Quantificatori ristretti 16

6. Qualche regola d’uso 17Quantificatori multipli 17Negazione di quantificatori 18Un errore da evitare 19

7. Insiemi 19Formule insiemistiche 21

Ancora De Morgan 22Differenza simmetrica 22

Parti di un fissato insieme 23

1. Premesse

Lo scopo di queste note e quello di dare alcune indicazioni sull’uso corretto dei simboli logici utili, opiuttosto necessari, nello studio della matematica. Una vera e propria (e piu rigorosa) introduzione allalogica va al di la degli obiettivi del corso di Algebra ed e rimandata a corsi degli anni successivi e dellalaurea magistrale.

Molto informalmente, ci limitiamo qui a dire che ogni teoria matematica e espressa in quello chesi chiama un linguaggio, che e costituito (1) da un alfabeto di simboli (semplicemente, dei caratteritipografici), che possono essere messi insieme per costituire parole (stringhe di caratteri) e (2) da regolesintattiche che permettano, tra l’altro, di distinguere tra stringhe “correttamente composte”, che sichiamano formule e stringhe che non sono correttamente composte. L’aggettivo ‘sintattiche’ indica chele regole riguardano solo le modalita di manipolazione formale dei simboli e non fanno alcun riferimentoa cio che questi simboli intendono rappresentare.

Spero che un esempio possa aiutare a chiarire la nozione di formula. Il linguaggio di una teoria chevoglia descrivere l’usuale aritmetica dei numeri interi potrebbe contenere dei simboli per indicare variabili(ad esempio, “x”, “y”, “z”, . . . ), alcuni simboli che indichino costanti (come “0” e “1”), operazioni (adesempio, “+”, “·”, “−”), relazioni (come “<”, ma anche, su un piano diverso, “=”). Le regole sintattichesaranno probabilmente scritte in modo che stringhe come “x+1 = y” oppure “x ·y < 1+z” siano formule(ben formate, come anche si usa dire), mentre “x <”, “x == ·y” oppure “x+ y” non lo siano.1

E utile ribadire che la sintassi prescinde completamente dall’interpretazione dei simboli utilizzati nellinguaggio, e va tenuta ben separata da questa interpretazione. Ad esempio, non e affatto detto che isimboli che appaiono nel linguaggio dell’aritmetica appena richiamato debbano davvero essere interpretaticome i nostri abituali numeri interi, che “+” debba indicare la consueta addizione, che le costanti “0” e“1” rappresentino necessariamente i familiari numeri zero ed uno, e cosı via. La parte della logica che sioccupa di queste “interpretazioni” si chiama semantica e, in una trattazione rigorosa, va tenuta sempreben distinta dalla sintassi.

1Osserviamo di passaggio che le regole sintattiche di un linguaggio hanno anche lo scopo di distinguere, tra le possibilistringhe, i cosiddetti termini, che cosı come i simboli di variabile e di costante intendono rappresentare gli oggetti “di cui

parla” la teoria; nel nostro esempio i numeri interi. Delle tre stringhe che non sono formule appena mostrate, le prime due

non sono termini, l’ultima (“x+ y”) invece lo e.

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Una delle nozioni semantiche fondamentali , che siamo abituati a dare per scontata, e quella di veritao falsita di una affermazione. Ad esempio, facendo ancora riferimento all’aritmetica, con le consueteinterpretazioni dei simboli che qui appaiono, siamo abituati a considerare vera la formula “0 < 1” e falsala formula “0 + 0 = 1”. Abbiamo qualche perplessita, invece, a proposito di “x > 1 + 1” (dove x e unavariabile); diremmo che il valore di verita (cioe se essa e vera o falsa) di questa formula dipende (qualsiasicosa cio significhi) da x; quindi questa formula non ha un valore di verita nel senso piu intuitivo.

Esiste una classe di formule alle quali, in modo piuttosto ragionevole, e sempre possibile in linea diprincipio, attribuire un valore di verita. Queste sono le cosiddette formule chiuse, che vengono anchechiamate proposizioni,2 o sentenze (con una discutibile traduzione dell’inglese sentences).

Daremo solo piu avanti una definizione di formula chiusa (e sara comunque una definizione piuttostoapprossimativa; la definizione precisa di formula chiusa richiede tecnicismi di cui in queste note e benefare a meno). Per ora ci accontentiamo di sapere che sono chiuse tutte le formule ben formate in cui nonappaiano variabili (ma, attenzione!, come vedremo esistono formule chiuse contenenti variabili). Delle treformule esibite poco sopra, sono chiuse le prime due (“0 < 1” e “0+0 = 1”, che non contengono variabili)ma non la terza (“x > 1 + 1”).

E interessante sapere che la nozione di formula chiusa e sintattica, non semantica; ad essere rigorosiavremmo dovuto introdurre questa nozione prima di quelle semantiche di interpretazione e di verita.

2. Connettivi proposizionali

Ogni linguaggio contiene dei simboli, i cosiddetti simboli logici, che permettono di costruire formule a par-tire da formule piu semplici. Tra i simboli logici appaiono di regola (alcuni dei) connettivi proposizionali,che presenteremo in questa sezione. Il nostro punto di vista sara essenzialmente semantico: descriveremoi connettivi proposizionali guardando a come essi influenzano i valori di verita delle proposizioni in cuiappaiono. E appena il caso di ripetere che ci stiamo discostando da quanto sarebbe richiesto da unatrattazione rigorosa.

Negazione. Il connettivo piu semplice da descrivere e quello di negazione: ¬, che si indica anche conNOT o talvolta con ∼ e che possiamo semplicemente leggere come “non”. Se p e una formula allora ¬p(oppure ¬(p); anche le parentesi, usate come di consueto per suggerire come vadano raggruppati i simboli,sono spesso comprese nell’alfabeto di un linguaggio) e anch’essa una formula. Se p e una proposizionevera, allora ¬p sara una proposizione falsa; se p e falsa, allora ¬p e vera. Detto in modo piu sintetico,il connettivo di negazione ha come argomento una sola formula (questo fatto si esprime dicendo che lanegazione e un connettivo unario) ed inverte il valore di verita del suo argomento.3

Congiunzione. Il connettivo di congiunzione si indica con ∧ (oppure con AND) ed e, come tutti quelliche definiamo di seguito, un connettivo binario, vale a dire: richiede due formule come argomenti. Se pe q sono proposizioni, p ∧ q e una proposizione che e vera quando sono vere sia p che q, falsa altrimenti.Dunque, ∧ corrisponde alla congiunzione “e” del linguaggio ordinario, e possiamo leggere p ∧ q come “pe q”.

Tavole di verita. La semantica dei connettivi appena introdotti e sintetizzata, in modo molto efficace,da tavole (o tabelle) di verita:

negazione

p ¬pV F

F V

congiunzione

p q p ∧ qV V V

V F F

F V F

F F F

Vediamo di cosa si tratta. Ciascuna delle due tavole e divisa in due parti. La parte destra consiste diuna colonna, la cui intestazione e una formula (¬p per la prima tavola, p ∧ q per la seconda); in questa

2avvertenza: alcuni autori usano il termine ‘proposizione’ come sinonimo di ‘formula’, non necessariamente chiusa.3ad essere piu precisi, dovremmo aggiungere la condizione che il valore di verita dell’argomento sia definito.

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colonna andra letto il valore di verita della formula. Nelle formule che stiamo esaminando appaiono dellevariabili (p e q), che rappresentano proposizioni. Nella parte sinistra di ciascuna delle tavole abbiamouna colonna per ogni variabile che appare nella formula considerata (quindi solo una colonna, intestatada p, per la prima tavola; due colonne, intestate da p e q, per la seconda). Guardiamo alla prima tavola,quella della negazione. I valori di verita possibili per la variabile p sono ovviamente due: vero (V ) e falso(F ). In corrispondenza di questi due possibili valori abbiamo due righe: la prima ci dice (guardando lacolonna destra) che la formula ¬p e falsa quando p e vera, la seconda che ¬p e vera quando p e falsa, inaccordo con quanto avevamo detto definendo il connettivo ¬. La seconda tavola ha invece quattro righe,perche la formula p ∧ q ha due variabili e le combinazioni possibili per i valori di verita di due variabilisono quattro. Nell’ordine in cui appaiono nella tavola, le possibilita sono: (1) p e q sono entrambe vere;(2) p e vera e q e falsa; (3) p e falsa e q e vera; (4) p e q sono entrambe false. Anche qui ciascuna rigariporta, nella colonna di destra, il valore di verita della formula (in questo caso p ∧ q) in funzione deivalori di verita di p e q che appaiono, nella stessa riga, a sinistra. Come si vede, la tavola fornisce, anchein questo caso, esattamente le stesse informazioni che avevamo dato come definizione (semantica) di ∧.

Completiamo questa introduzione alle tavole di verita con un minimo di terminologia e qualche indi-cazione ulteriore. Le variabili (come p e q, nei nostri esempi) che rappresentano proposizioni vengonochiamate variabili proposizionali ; le formule costituite da variabili proposizionali, connettivi proposizio-nali (i due gia definiti e quelli che stiamo per definire) e parentesi si chiamano forme proposizionali. Ilcalcolo proposizionale e la parte della logica che studia le forme proposizionali.

Come si puo facilmente immaginare, esistono tavole di verita piu complesse delle due che abbiamoesibito. Incontreremo tavole di verita che descrivono contemporaneamente piu forme proposizionali, equindi hanno piu di una colonna nella parte destra, non solo una come nei nostri esempi. Incontreremoanche tavole che descrivono forme proposizionali con piu di due variabili. E utile verificare (esercizio!) ericordare poi che la tavola di verita di una forma proposizionale con un numero k di variabili richiede 2k

righe, perche 2k e il numero di possibili combinazioni di valori di verita per k variabili.

Esercizi.A.1. Scrivere le tavole di verita di ciascuna delle forme proposizionali: “p ∧ p”, “(¬p) ∧ q” e“(¬p) ∧ (¬q)”.A.2. Scrivere le tavole di verita delle forme proposizionali “p ∧ (q ∧ r)” e “p ∧ (q ∧ (¬r))”.

Riprendiamo ora nostra lista di connettivi proposizionali binari. Come nel caso di ∧, anche per i successivivale questa regola sintattica: se p e q sono formule e ∗ un connettivo binario allora p ∗ q e una formula.Inoltre, se p e q sono proposizioni allora p ∗ q e una proposizione ed il suo valore di verita dipende solodal connettivo ∗ e dai valori di verita di p e q.

Disgiunzione (inclusiva). Il connettivo di disgiunzione si indica con ∨ o con OR. Da un punto di vistaformale la sua descrizione e altrettanto semplice che quella della congiunzione, ma nell’uso la disgiunzionepresenta qualche difficolta in piu. La ragione e che questo connettivo corrisponde ad uno dei significatiche la particella4 “o” ha in italiano (ovvero, che “or” ha in inglese). Il problema e, appunto, che nellinguaggio corrente “o” puo assumere piu significati, che hanno valore logico molto diverso.5 Il significatoche viene attribuito al connettivo proposizionale ∨ in matematica e quello, come si dice, inclusivo, per ilquale, se p e q sono proposizioni, la forma p ∨ q e vera a condizione che almeno una tra p e q sia vera,ed e falsa nell’altro caso, cioe quando sia p che q siano false. La tavola di verita che definisce questoconnettivo e dunque:

4secondo la grammatica della lingua italiana questa ‘particella’ e una congiunzione, ma evitiamo di chiamarla cosı pernon fare confusione con il connettivo proposizionale ∧, che abbiamo chiamato congiunzione.

5la necessita di rimuovere questo genere di ambiguita che sono proprie del linguaggio naturale e uno dei motivi per i

quali, nel discorso scientifico, si deve utilizzare un linguaggio almeno parzialmente formalizzato.

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disgiunzione (inclusiva)

p q p ∨ qV V V

V F V

F V V

F F F

Mettiamo in evidenza che p ∨ q risulta vera anche quando p e q sono entrambe vere. Invece, se il menuturistico della trattoria prevede una portata di carne o una di pesce, possiamo esser certi che l’ostenon intende questo “o” come una disgiunzione inclusiva, ma come quella che si chiama una disgiunzioneesclusiva: il cliente ha diritto ad avere un piatto di carne oppure uno di pesce, ma non entrambi. Sulladisgiunzione esclusiva (indicata con ∨, oppure con XOR) torneremo piu avanti; per ora diciamo che ivalori di verita di p ∨ q e p ∨ q differiscono solo nel caso in cui p e q siano entrambe vere; in questo casop ∨ q e vera, p ∨ q e falsa. Come detto, in italiano (e in inglese, ed in altre lingue) purtroppo sia ladisgiunzione inclusiva che quella esclusiva sono rese dalla stessa particella (“o”, “or” etc.), ma qualcunoprobabilmente ricorda che in latino questi due connettivi sono ben distinti anche nel linguaggio ordinario:vel esprime la disgiunzione inclusiva, aut quella esclusiva.6

E importante insistere (da parte di chi scrive) e ancora di piu ricordare (da parte di chi legge) che inmatematica, e generalmente nel linguaggio scientifico, per disgiunzione si intende sempre la disgiunzioneinclusiva. Confusione su questo punto porta invariabilmente a pericolose incomprensioni e macroscopicierrori.

Equivalenza, o Doppia implicazione. Questo connettivo, chiamato anche bicondizionale e indicatocon ⇔ oppure con ↔, si potrebbe definire in termini dell’implicazione, che verra descritta tra poco, ma emolto semplice da descrivere in modo diretto. Se p e q sono proposizioni, “p⇔ q” (che viene letta come“p se e solo se q”, oppure “p equivale a q”) e vera se p e q hanno lo stesso valore di verita, falsa altrimenti.La relativa tavola di verita e dunque:

equivalenza

p q p⇔ q

V V V

V F F

F V F

F F V

Implicazione. Questo connettivo e chiamato anche condizionale e si indica con⇒ o con→. Ancora piuche la disgiunzione, esso presenta delle difficolta dovute al fatto che l’uso che se fa in logica non combaciacon l’uso suggerito dal linguaggio ordinario. Se p e q sono formule, la formula “p ⇒ q”, o meglio la suaespressione verbale: “se p allora q” nel linguaggio quotidiano presuppone che ci sia un qualche nesso tra pe q che faccia apparire q come conseguenza di p. Ad esempio, “se piove allora non esco di casa” appareuna frase del tutto naturale: si intende che il fatto che io non esca di casa dipende proprio dalla pioggia.Invece, la frase “se piove allora il Vesuvio e alto piu di mille metri sul livello del mare” sembra priva disenso, per chi non ha studiato logica. Chi invece lo ha fatto ed e disposto a trasportare al linguaggioquotidiano i modi di espressione del linguaggio formale potra convenire che la frase, per quanto di generepoco usuale, presa alla lettera non solo un senso lo ha ma e addirittura vera, come stiamo per vedere.

La tavola di verita che definisce l’implicazione e:

6a titolo di (forse comunque istruttiva) curiosita menzionamo il fatto che “o” puo assumere in italiano almeno un altro

significato. Se le richieste del piccolo Pasqualino superano un certo livello di soglia, la mamma potra cercare di arginarledicendogli che puo avere “o il gelato o la pizzetta”. Probabilmente in questo caso la mamma intende solo dire che non

puo avere entrambe le cose, ma che e piu che soddisfatta se Pasqualino rinuncia ad entrambe. In questo caso, dunque, “o”

esprime il connettivo NAND (negazione della congiunzione) a cui faremo cenno in seguito.

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implicazione

p q p⇒ q

V V V

V F F

F V V

F F V

Dunque, la formula p⇒ q (dove p e q sono proposizioni) e vera sempre tranne che nel caso in cui p (chesi chiama antecedente dell’implicazione7) e vero e q (che si chiama conseguente dell’implicazione) e falso.Mentre piu o meno tutti sono subito d’accordo con questa definizione nel caso in cui l’antecedente siavero, quasi nessuno studente accetta di buon grado la seconda parte della definizione (data dalle ultimedue righe della tavola di verita), cioe il fatto che la formula si consideri vera quando l’antecedente e falso(per giunta, indipendentemente dal valore di verita del conseguente!). Lo scopo dei prossimi paragrafi equello di mostrare che questa definizione non solo non e frutto di una scelta capricciosa di qualcuno, mae l’unica coerente con l’uso ‘intuitivo’ che dell’implicazione siamo sempre stati abituati a fare.

L’obiezione che spesso, in aula, gli studenti sollevano e che ‘quando si sa gia che p e falso la frase “sep allora q” (o la formula “p ⇒ q”) non ha senso’, e quindi non dovrebbe essere definito il suo valore diverita. E, inoltre, molti ritengono che se anche si deve proprio attribuire a questa frase un valore di veritasia innaturale la scelta di porla vera.

Non e cosı: una delle caratteristiche specifiche dei linguaggi formalizzati e, per cosı dire, l’indifferenzarispetto ai contenuti. La correttezza sintattica di una formula (come “p⇒ q”), ed il fatto che essa vengainterpretata nella semantica (in parole semplici, il fatto che la formula ‘abbia senso’) deve poter esserestabilita una volta per tutte e non puo dipendere da informazioni accessorie di cui possiamo disporre omeno, come il contenuto fattuale di p (e che sono magari soggette a cambiare col tempo e le circostanze8).Questo fatto e addirittura utile, altrimenti, a rigore, non potremmo neanche discutere di formule come“p ⇒ q” se avessimo il dubbio che si possa dimostrare la falsita di p; ad essere pignoli non sarebberopossibili in matematica le dimostrazioni per assurdo o per contrapposizione.

Detto cio, perche le implicazioni con antecedente falso devono proprio essere vere? Spero che questoesempio chiarisca la ragione della definizione. Consideriamo la frase “per ogni numero intero x compresotra 1 e 3 si ha che se x > 2 allora x > 1”. Tutti concordiamo su fatto che questa frase e vera. Analiz-ziamola; essa significa che tutte le implicazioni x > 2⇒ x > 1 ottenute sostituendo ad x uno dei numeri1, 2, 3 sono vere. Dunque sono vere la proposizione Φ1 : “1 > 2 ⇒ 1 > 1”, la Φ2 : “2 > 2 ⇒ 2 > 1”e la Φ3 : “3 > 2 ⇒ 3 > 1”. Vediamo che la Φ3 e del tipo ‘non contestato’: una implicazione in cui siaantecedente che conseguente sono veri, quindi vera, come indica il primo rigo della nostra tavola di ve-rita. Le altre due proposizioni hanno invece l’antecedente falso. La Φ1 e del tipo descritto dal quarto rigodella tavola di verita (‘falso implica falso’), dal momento che sia l’antecedente (1 > 2) che il conseguente(1 > 1) sono falsi; la Φ2 e del tipo descritto dal terzo rigo (‘falso implica vero’). Se siamo d’accordo chesia ragionevole sostenere che la frase da cui siamo partiti (“per ogni numero intero x compreso tra 1 e3 si ha che se x > 2 allora x > 1”) sia vera, allora dobbiamo essere d’accordo anche sul fatto che siano(ragionevolmente) vere Φ1 e Φ2, quindi che siano ragionevoli i valori di verita che appaiono nella nostratabella e che abbiamo usato per definire l’implicazione.9

Dunque le implicazioni con antecedente falso sono vere; osserviamo anche che sono vere le implicazioni

7con un piccolo, ma conveniente, abuso di linguaggio si usa chiamare implicazione sia il connettivo (⇒) che una formulacome α⇒ β (dove α e β siano a loro volta formule) in cui il connettivo appare. Similmente accade per gli altri connettivi:

puo capitare ad esempio di dire che la formula α ∧ β sia una congiunzione8come caso limite, si pensi ad una formula che esprima una frase del tipo “se esiste un polinomio non nullo f a coefficienti

razionali di cui il numero π e radice, allora . . . ”. Accogliendo l’obiezione secondo cui una implicazione il cui antecedente

sia (notoriamente) falso non ha senso, dovremmo concludere che questa frase aveva senso verso la meta dell’ottocento manon lo ha piu a partire dal 1882, anno in cui e stato dimostrato (da Ferdinand von Lindemann) che un polinomio come f

non puo esistere. O, peggio, non ha piu senso per chi conosce il risultato di Lindemann, lo ha per chi non lo conosce. In unliguaggio formale non c’e posto per pasticci del genere.

9ad ulteriore conferma, se la frase di partenza fosse stata “per ogni numero intero x compreso tra 1 e 3 si ha che se

x > 1 allora x > 2”, la frase sarebbe stata falsa. Infatti, le tre proposizioni ottenute sostituendo ad x i numeri 1, 2, 3non sono tutte vere: quella ottenuta ponendo 2 al posto di x, cioe “2 > 1 ⇒ 2 > 2” e falsa, in accordo col secondo rigodella tavola, avendo l’antecedente vero ed il conseguente falso. Su questi esempi torneremo piu avanti per chiarirli, si spera,

ulteriormente.

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con conseguente vero. In effetti, possiamo dire, sinteticamente, che una implicazione e vera precisamentequando il suo antecedente e falso o il suo conseguente e vero.

Esercizi ed Esempi.B.1. Scrivere le tavole di verita di ciascuna delle forme proposizionali: “p ∧ (p ∨ q)”, “(p ∧ q) ∧ r”,“(p ∧ q) ∨ r”.B.2. Scrivere le tavole di verita di ciascuna delle forme proposizionali: “p⇒ (p∨q)”, “(p∧q)⇒ r”,“(p ∧ q)⇔ r”.B.3. Stabilire i valori di verita delle formule e frasi (assumiamo nota la matematica elementarecoinvolta): “(1 + 1 = 0) ∨ (0 + 0 = 0)”; “(1 + 1 = 0) ∧ (0 + 0 = 0)”; “(1 + 1 = 0) ⇒ (0 + 0 = 0)”;

“√

2 e un numero razionale o un numero irrazionale”; “25 = 32⇒ 47− 1 = 46”.B.4. E molto importante saper ‘tradurre’ espressioni del linguaggio ordinario (della lingua italianache parliamo quotidianamente) in linguaggio ‘semiformalizzato’, riconoscendo la presenza ed il ruolodei connettivi proposizionali contenuti nelle frasi. Ad esempio, se indichiamo con α la frase ‘domanipiovera’ e con β la frase ‘domani prendero l’ombrello’, si puo rendere con α ∧ β la frase ‘domanipiovera e prendero l’ombrello’. Fare lo stesso per le frasi:

(a) Il supermercato era aperto e non ci sono entrato.(b) Il supermercato era aperto ma non ci sono entrato.(c) Se vedo Nicola lo saluto.(d) Se domenica non piove e vado a Roma, 2 > 1, ma se Marco mangia la pizza allora certamente

fioriranno le rose.

B.5. Come nell’esercizio precedente, che struttura logica ha la frase: ‘Maria ha cucinato la torta,e Franco non l’ha vista oppure l’ha mangiata’? Scriviamo t per ‘Maria ha cucinato la torta’, v per‘Franco ha visto la torta’ e m per ‘Franco ha mangiato la torta’. Se facciamo attenzione alla virgolache appare nella frase, concludiamo che questa frase si puo rendere con t∧ ((¬v)∨m). Bene, comepossiamo rendere: ‘Maria ha cucinato la torta e Franco non l’ha vista, oppure l’ha mangiata’? Ledue frasi hanno necessariamente gli stessi valori di verita, oppure possono esserci circostanze in cuiuna e vera e l’altra falsa?B.6. Spiegare la seguente (vecchia e non particolarmente esilarante) storiella: la moglie del logicochiede al marito: ‘Caro, stasera usciamo o restiamo a casa?’. Il marito risponde: ‘Sı’.

3. Tautologie

Interrompiamo la lista dei connettivi per introdurre alcune importanti nozioni. Consideriamo una formaproposizionale Φ e supponiamo che p, q, r, . . . siano le variabili proposizionali che possono apparire in Φ(quest’ultimo fatto si puo esprimere scrivendo Φ(p, q, r, . . . ) per Φ). Se attribuiamo un valore di verita (Vo F ) a ciascuna delle variabili in Φ (in modo consistente, ovviamente: ad esempio sempre lo stesso valoreper ogni occorrenza della p) possiamo calcolare il valore di verita di Φ in funzione di quelli attribuiti a p,q, r, . . . : e quello che facciamo quando scriviamo una tavola di verita. Si dice che Φ e una tautologia see solo se il valore di verita di Φ cosı calcolato e V , indipendentemente dai valori attribuiti alle variabiliche appaiono in Φ. In altri termini, Φ e una tautologia se e solo se, nella tavola di verita che la descrive,la colonna intestata da Φ contiene esclusivamente V . Alcuni esempi banali di tautologie sono le forme“p ⇒ p” e “p ⇔ p”; un altro, che esprime il principio del terzo escluso, di cui qualcuno potrebbe averememoria scolastica, e la forma “p ∨ (¬p)”. Per quanto facile, verifichiamo questa tautologia usando unatavola di verita:

terzo escluso

p ¬p p ∨ (¬p)V F V

F V V

Come gia minacciato, abbiamo qui una tavola di verita in cui la parte destra contiene piu di una colonna:la prima contiene i valori di verita della sottoformula ¬p, usati come passaggio intermedio nel calcolo:

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prima si e calcolata questa colonna a partire dalla colonna di p ed usando la descrizione di ¬, poi si eottenuta la terza colonna applicando la disgiunzione alle prime due.

Dualmente, esistono forme proposizionali Φ per le quali, calcolando come detto sopra il valore diverita, si ottiene sempre il valore F . Queste si chiamano contraddizioni. Dovebbe essere chiaro che Φ euna contraddizione se e solo se ¬Φ e una tautologia. Un famoso esempio di contraddizione (lo si verifichiper esercizio) e la forma p∧ (¬p), quindi la sua negazione ¬(p∧ (¬p)) e una tautologia, il principio di noncontraddizione. Una forma proposizionale che non sia ne una tautologia ne una contraddizione si dicecontingente. Ad esempio, la forma p ⇒ q e contingente perche puo assumere, in dipendenza dei valorisostituiti a p e a q, sia il valore V che il valore F .

Se α e β sono due forme proposizionali, si dice che α e β sono logicamente equivalenti (o, semplicemente,equivalenti) se e solo se la forma α⇔ β e una tautologia. Naturalmente, questa condizione vuol dire cheper qualsiasi scelta dei valori di verita attribuiti alle variabili che appaiono o in α o in β, α e β hannolo stesso valore di verita. O, ancora in altri termini: α e β sono logicamente equivalenti se e solo inuna tavola di verita in cui appaiano entrambe, ad esse corrisponda la stessa colonna di valori di verita.Vediamo un esempio molto semplice: questa tabella mostra che p e ¬(¬p) sono logicamente equivalenti.

tautologia della doppia negazione

p ¬p ¬(¬p)V F V

F V F

Detto diversamente, p⇔ (¬(¬p)) e una tautologia, quella della doppia negazione.Se una forma α appare come componente (o sottoformula) di una forma proposizionale Φ e se β e una

forma logicamente equivalente ad α, e chiaro che sostituendo in Φ la sottoformula α con β si ottiene unaforma Φ′ che sara logicamente equivalente a Φ. Ad esempio, se in Φ appare una sottoformula come ¬(¬ϕ),possiamo cancellare le due negazioni e quindi sostituire ϕ a ¬(¬ϕ) ottenendo una forma equivalente a Φ.Manipolazioni di questo genere sono spesso utili per calcolare valori di verita senza dover necessariamentefar ricorso a tavole di verita.

Alcune tautologie elementari. Abbiamo gia visto qualche esempio di tautologia. Ne elenchiamo oraaltre, in modo piu sistematico, spesso attribuendo loro, per nostra comodita, dei nomi che serviranno apoterle richiamare piu avanti. La maggior parte di quelle che stiamo per vedere non necessitano di parti-colari commenti, risultando spesso addirittura ovvie. Chi legge e pero caldamente invitato ad esercitarsiverificando che quelle elencate sono effettivamente tautologie. Le prime che incontriamo ricordano, anchenel nome, proprieta abitualmente definite per operazioni algebriche.

idempotenza

(p ∧ p)⇔ p

(p ∨ p)⇔ p

commutativita

(p ∧ q) ⇔ (q ∧ p)(p ∨ q) ⇔ (q ∨ p)(p⇔ q)⇔ (q ⇔ p)

associativita((p ∧ q) ∧ r

)⇔(p ∧ ( q ∧ r)

)((p ∨ q) ∨ r

)⇔(p ∨ ( q ∨ r)

)((p⇔ q)⇔ r

)⇔(p⇔ (q ⇔ r)

)Sull’associativita di ∧ e ∨, osserviamo che (p ∧ q) ∧ r risulta vera se e solo se sono contemporaneamentevere sia p che q che r (lo stesso vale per p ∧ (q ∧ r), altrimenti non avremmo una tautologia), mentre(p ∨ q) ∨ r (ovvero, p ∨ (q ∨ r)) e vera se e solo se e vera almeno una tra p, q ed r. Piu in generale(come accade in algebra), a partire da queste tautologie e possibile (ma noioso) provare che, qualunquesia l’intero positvo k le forme proposizionali in cui appaiano tutte e sole le le variabili p1, p2, . . . , pk,delle parentesi e, tra i connettivi, solo ∧ sono equivalenti tra loro, indipendentemente dall’ordine in cuiappaiano le variabili, dalle eventuali ripetizioni e dal modo in cui esse sono raggruppate (cioe da comesono disposte le parentesi).10 Per queste forme si puo allora rinunciare all’uso delle parentesi e scrivere

semplicemente p1 ∧ p2 ∧ p3 ∧ · · · ∧ pk (omettendo, magari, anche le ripetizioni) o∧ki=1 pi per indicare una

qualunque di queste forme. Questa forma assume il valore V se e solo e valgono V tutte le pi. Simile

10ad esempio, per k = 4, le forme (p1 ∧ p2) ∧ (p3 ∧ p4), p1 ∧ ((p2 ∧ p3) ∧ p4), ((p2 ∧ p4) ∧ (p1 ∧ p3)) ∧ p4 ed infinite

altre sono tra loro equivalenti

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LOGICA RUDIMENTALE 8

enunciato vale per ∨ e giustifica l’uso di scritture come p1 ∨ p2 ∨ p3 ∨ · · · ∨ pk o∨ki=1 pi, questa forma vale

V se e solo se almeno una tra le pi vale V .Anche a proposito dell’associativita di ⇔ qualche commento puo essere utile. La verifica del fatto che

tratti di una tautologia, cioe del fatto che (p ⇔ q) ⇔ r e p ⇔ (q ⇔ r) sono logicamente equivalenti, econtenuta nella tavola di verita (la cui verifica e lasciata a chi legge):

associativita della equivalenza

p q r (p⇔ q)⇔ r p⇔ (q ⇔ r)

V V V V V

V V F F F

V F V F F

V F F V V

F V V F F

F V F V V

F F V V V

F F F F F

Si noti che (p⇔ q)⇔ r vale vera se e solo se esattamente uno o tutti e tre tra p, q e r valgono vero.

Distributivita. Altre tautologie che ricordano da vicino proprieta algebriche sono le leggi distributive (di∧ rispetto a ∨ e viceversa):

p ∧ (q ∨ r) ⇐⇒ (p ∧ q) ∨ (p ∧ r)p ∨ (q ∧ r) ⇐⇒ (p ∨ q) ∧ (p ∨ r),

Verifichiamo la prima delle due utilizzando una tavola di verita, questa volta con tutti i passaggi intermedi:

p q r q ∨ r p ∧ (q ∨ r) p ∧ q p ∧ r (p ∧ q) ∨ (p ∧ r)V V V V V V V V

V V F V V V F V

V F V V V F V V

V F F F F F F F

F V V V F F F F

F V F V F F F F

F F V V F F F F

F F F F F F F F

Confrontando la quinta e l’ottava colonna, che coincidono in tutto tranne che nell’intestazione, si ottieneil risultato.

Esercizi.C.1. Verificare la seconda delle tautologie appena enunciate (cioe la distributivita della disgiunzionerispetto alla congiunzione).C.2. La forma proposizionale (p∧ q)⇒ (p∨ q) e una tautologia, mentre (p∨ q)⇒ (p∧ q) non lo e.

Scrivere la tavola di verita di quest’ultima. E possibile scrivere una forma proposizionale piu breve(nel senso ovvio) di (p ∨ q)⇒ (p ∧ q) e che sia equivalente a questa?C.3. Verificare la tautologia

(p ⇒ (q ⇒ r)

)⇐⇒

((p ⇒ q) ⇒ (p ⇒ r)

)(distributivita da sinistra

della implicazione rispetto a se stessa).

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LOGICA RUDIMENTALE 9

Leggi di De Morgan. Quando e che una proposizione della forma p ∧ q e falsa? Risposta: quando (e soloquando) e falsa almeno una tra p e q. Questo e evidente dalla tavola di verita che descrive la congiunzione.La risposta che qualche volta capita di ricevere: ‘quando sia p che q sono false’ e sbagliata: la proposizionee sicuramente falsa in questo caso, ma lo e anche in altri. Ad esempio, perche non sia vero che io abbiapreso il treno e sia arrivato a Firenze non e necessario che io non abbia preso il treno e non sia arrivatoa Firenze, la frase e falsa anche se io ho preso il treno e mi sono fermato a Roma, ad esempio, o anche seio sono andato a Firenze, ma in auto.

Dualmente, una proposizione della forma p ∨ q e falsa precisamente quando sia p che q sono false(come mostra la tavola di verita della disgiunzione), quindi la negazione di ‘prendo l’auto o vado a piedi’e ‘non prendo l’auto e non vado a piedi’. Tutto questo e espresso da due tautologie molto importanti,note come leggi di De Morgan: (

¬(p ∧ q))⇐⇒

((¬p) ∨ (¬q)

)(¬(p ∨ q)

)⇐⇒

((¬p) ∧ (¬q)

) (De Morgan)

Dunque, una disgiunzione (o una congiunzione) si negano negando i due termini che stiamo disgiungendo(o congiungendo) e, contemporaneamente, scambiando tra loro i simboli ∧ e ∨.

Esercizi.D.1. Negare ciascuna delle frasi: “Mario corre e Maria nuota”; “La bottiglia e vuota oppuretappata”.D.2. Negare la frase: ‘Alice ha i capelli biondi ricci’. (Si chiede che anche la negazione inizi con‘Alice ha i capelli . . . ’. Attenzione: quale connettivo proposizionale e nascosto nella frase?)D.3. Usando le leggi di De Morgan, negare p ∨ (¬(q ∧ (¬p))). Cio che si chiede e scrivere unaformula che sia equivalente alla negazione di quella data e che non abbia ¬ come primo simbolo.D.4. Come per l’esercizio precedente, negare ciascuna delle due formule: “p ∧ q ∧ r” e “(p ∨ q) ∧((p ∨ r) ∧ (q ∨ s))”.

Tautologie sulla implicazione. Le tautologie sulla implicazione hanno grande importanza: il caratteremeno intuitivo di questo connettivo le rende meno ovvie di quelle che abbiamo incontrato finora, mal’uso frequentissimo che si fa in matematica del connettivo di implicazione rende queste tautologie unostrumento utilissimo. Vale dunque la pena di soffermarsi con una certa attenzione su di esse.

In primo luogo, il connettivo “⇒”, a differenza degli altri connettivi binari analizzati finora, non ecommutativo; vale a dire: le forme “p⇒ q” e “q ⇒ p” non sono equivalenti tra loro. Basta una tavola diverita per convincersene:

p q p⇒ q q ⇒ p

V V V V

V F F V

F V V F

F F V V

Prendiamo nota del fatto che spesso si scrive “p ⇐ q” per “q ⇒ p”. Si puo considerare questo simbo-lo “⇐” come un ulteriore connettivo binario (implicazione inversa), definito appunto dall’essere p ⇐ qlogicamente equivalente a q ⇒ p.

Come chi legge queste note certamente gia sa, la congiunzione di una implicazione e della corrispondenteimplicazione inversa equivale alla doppia implicazione, cioe vale la tautologia:(

p⇔ q)⇐⇒

((p⇒ q) ∧ (p⇐ q)

), (tautologia della doppia implicazione)

come mostrato dalla tavola di verita:

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LOGICA RUDIMENTALE 10

p q p⇔ q p⇒ q p⇐ q (p⇒ q) ∧ (p⇐ q)

V V V V V V

V F F F V F

F V F V F F

F F V V V V

Non basteranno mai gli avvertimenti e le preghiere rivolte agli studenti perche facciano attenzione anon confondere tra loro implicazione, implicazione inversa ed equivalenza. Si tratta, lo abbiamo vistoin dettaglio, di connettivi che hanno funzioni logiche ben diverse; confonderli porta quasi certamente aderrori di ragionamento, spesso molto gravi.11

Forse questo e un punto adatto per elencare alcune delle tante espressioni che vengono utilizzate inmatematica per rendere nel linguaggio ordinario i connettivi di implicazione, implicazione inversa edequivalenza. In ciascuna colonna si possono leggere frasi che traducono la formula nell’intestazione:

p⇒ q p⇐ q p⇔ q

Se p allora q

p solo se q p se q p se e solo se q

p e condizione sufficienteper q

p e condizione necessariaper q

p e condizione necessariae sufficiente per q

Come si e visto, dunque, il connettivo di equivalenza puo essere ridotto a quelli di implicazione e congiun-zione. Anche il connettivo di implicazione puo essere espresso in termini di altri connettivi (disgiunzionee negazione). Si ha infatti questa tautologia:(

p⇒ q)⇐⇒

((¬p) ∨ q

), (implicazione come disgiunzione)

che segue direttamente dalle tavole di verita di implicazione e disgiunzione e che avevamo sostanzialmentegia osservato nelle ultime righe della sezione in cui e stata introdotta l’implicazione, dove abbiamo notatoche una una implicazione e vera se e solo se il suo antecedente e falso o il suo conseguente e vero. Daquesta tautologia se ne puo facilmente dedurre un’altra, la legge di contrapposizione:(

(p⇒ q))⇐⇒

((¬q)⇒ (¬p)

). (legge di contrapposizione)

Il passaggio e il seguente: p ⇒ q equivale a (¬p) ∨ q, ovvero a q ∨ (¬p) (per la commutativita di ∨),ovvero a (¬(¬q)) ∨ (¬p) (per la tautologia della doppia negazione), ma quest’ultima, per la tautologiadell’implicazione come disgiunzione, equivale a (¬q)⇒ (¬p).

Molto importante, ed anch’essa immediata dalla tavola di verita della implicazione, e la tautologiache mostra come negare una implicazione: questa e falsa precisamente quando l’antecedente e vero ed ilconseguente e falso. (

¬(p⇒ q))⇐⇒

(p ∧ (¬q)

). (negazione dell’implicazione)

Un’altra tautologia di uso frequentissimo e quella della transitivita dell’implicazione:((p⇒ q) ∧ (q ⇒ r)

)⇒(p⇒ r

). (transitivita dell’implicazione)

Piuttosto che scrivere una (noiosa e lunga) tavola di verita, verifichiamo questa tautologia utilizzandoun metodo che e spesso molto conveniente quando si ha a che fare con le implicazioni. Per provareche la formula risulti vera, indipendentemente dal valore di verita attribuito a p, q, r, poveremo chein nessun caso essa puo risultare falsa. Perche la formula sia falsa occorre che sia vero l’antecedente((p ⇒ q) ∧ (q ⇒ r)) e falso il conseguente (p ⇒ r). La prima condizione significa che sono vere p ⇒ q eq ⇒ r, la seconda che sia vera p e falsa r. Ora, assumendo queste condizioni, sono in particolare vere pe p ⇒ q; da cio segue subito che q e vera (se p e vera ma q e falsa, allora p ⇒ q e falsa!). Quindi, se lanostra formula e falsa, risultano vere p e q, ma falsa r. Tuttavia, in questo caso, q ⇒ r e falsa, mentreavevamo detto che, perche la formula sia falsa, q ⇒ r deve essere vera. Questo ragionamento mostra che

11come quello del contadino che, sapendo che se piove si esce con l’ombrello, pensa che sia sufficiente prendere l’ombrello

per garantire un po’ di pioggia ai suoi campi.

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LOGICA RUDIMENTALE 11

la formula considerata, cioe((p⇒ q) ∧ (q ⇒ r)

)⇒(p⇒ r

), non puo essere falsa in nessun caso, quindi

e una tautologia.L’idea esemplificata da questa dimostrazione consiste in questo: imporre che una implicazione sia falsa

fornisce immediatamente due informazioni: i valori di verita di antecedente e conseguente. Dunque puoessere conveniente, nello studiare una implicazione, analizzare subito le conseguenze dell’ipotesi che essasia falsa.

E chiaro che dalla transitivita dell’implicazione (e dalla tautologia della doppia implicazione si possonodedurre molte altre tautologie che coinvolgano i connettivi ⇒, ⇐ e ⇔, come ad esempio la transitivitadella equivalenza:

((p⇔ q)∧ (q ⇔ r)

)⇒(p⇔ r

)o altre come

((p⇔ q)∧ (q ⇒ r)∧ (r ⇒ t)

)⇒(p⇒ t

).

Concludiamo accennando a una notazione abbreviata, molto intuitiva e di uso comune, quella dellecosiddette catene di implicazioni, che esprimono congiunzioni tra formule che sono a loro volta im-plicazioni, implicazioni inverse o equivalenze. Dovrebbe bastare qualche esempio: espressioni comeα ⇒ β ⇔ γ oppure α ⇐ β ⇒ γ ⇒ δ (senza parentesi), vengono usate al posto di (α ⇒ β) ∧ (β ⇔ γ) e(α⇐ β)∧ (β ⇒ γ)∧ (γ ⇒ δ) rispettivamente. Dunque, la transitivita della implicazione si puo riscriverecome (p⇒ q ⇒ r)⇒ (p⇒ r).

Esercizi ed Osservazioni.E.1. Torniamo sull’Esercizio B.5. La prima frase proposta in quell’esercizio si potrebbe rendere, inmodo equivalente, con t ∧ (v ⇒ m)? Oppure con t ∧ (m⇒ v)?E.2. Studiare la forma (p ⇒ q) ∨ (p ⇐ q). Confrontarla col secondo membro (il termine a destradi “⇔”) nella tautologia della doppia implicazione.E.3. Utilizzando le leggi di De Morgan, si determini la negazione di (¬p) ∨ q. Si confronti quan-to ottenuto con le tautologie della implicazione come disgiunzione e con quella della negazionedell’implicazione.E.4. La legge di contrapposizione e alla base di una tecnica dimostrativa di uso molto frequente.Per dimostrare una tesi T partire da una ipotesi H, cioe per dimostrare l’implicazione H =⇒ T , sipuo assumere falsa T e dedurre da questa assunzione la falsita di H. In altri termini, cio che si fa inquesto modo e dimostrare l’implicazione (¬T ) =⇒ (¬H). Per la legge di contrapposizione, questaformula equivale ad H =⇒ T , quella che si voleva dimostrare. Dimostrazioni condotte in questomodo si chiamano dimostrazioni per contrapposizione.E.5. Si provi che le forme proposizionali “(p ∧ q) ⇒ r”, “p ⇒ (q ⇒ r)” e “q ⇒ (p ⇒ r)” sonotra loro logicamente equivalenti. Si consiglia di non utilizzare, a questo scopo, tavole di verita madi ragionare come fatto per la transitivita dell’implicazione. Questo consiglio si estende anche agliesercizi che seguono.E.6. Verificare la tautologia “

(p ∧ (p⇒ q)

)⇒ q”, nota come legge dell’inferenza.

E.7. Tornare all’Esercizio C.3 (se lo si e svolto) e ripetere (o farla ex-novo) la verifica senza usaretavole di verita. La forma “

((p⇒ q)⇒ r

)⇔((p⇒ r)⇒ (q ⇒ r)

)” e una tautologia?

E.8. Verificare le tautologie “(p ⇒ (q ∧ r)

)⇔((p ⇒ q) ∧ (p ⇒ r)

)” e “

(p ⇒ (q ∨ r)

)⇔((p ⇒

q) ∨ (p ⇒ r))” (distributivita da sinistra di ⇒ rispetto a ∧ e a ∨). Suggerimento: si usi la

tautologia della implicazione come disgiunzione per trasformare tutte le implicazioni in disgiunzioniche coinvolgano ¬p.

Le forme “((q ∧ r)⇒ p

)⇔((q ⇒ p) ∧ (r ⇒ p)

)” e “

((q ∨ r)⇒ p

)⇔((q ⇒ p) ∨ (r ⇒ p)

)” sono

tautologie?

4. Altri connettivi binari

Per completare la nostra discussione sul calcolo proposizionale vanno ancora menzionati alcuni connettivibinari, che hanno interesse di per se e sono spesso utilizzati in informatica. Il piu importante tra questie la disgiunzione esclusiva (∨, o XOR), a cui abbiamo gia fatto cenno. Altri due sono le negazioni dellacongiunzione e della disgiunzione, rispettivamente NAND e NOR (da leggere come not-and e not-or), chesono anche noti, rispettivamente, come operazione di Sheffer (o stroke, indicata con | o ↑) e operazionedi Pierce (e indicata con ↓). Le tavole di verita sono:

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LOGICA RUDIMENTALE 12

p qp ∨ q

p XOR q

V V F

V F V

F V V

F F F

p qp | q

p NAND q

V V F

V F V

F V V

F F V

p qp ↓ q

p NOR q

V V F

V F F

F V F

F F V

E chiaramente giustificato quanto abbiamo appena detto su NAND e NOR: questi connettivi negano ∧e ∨, nel senso che “(p NAND q)⇔ (¬(p ∧ q))” e “(p NOR q)⇔ (¬(p ∨ q))” sono tautologie. Allo stessomodo, XOR nega⇔. Si ha infatti una utilissima serie di tautologie, che si possono esprimere come catenadi equivalenze:(

¬(p⇔ q))⇐⇒

((¬p)⇔ q)

)⇐⇒

(p⇔ (¬q)

)⇐⇒

(p XOR q

). (negazione dell’equivalenza)

Ricordiamo cosa significa: le quattro forme proposizionali elencate sono a due a due logicamente equi-valenti. Che lo siano si vede subito: ciascuna di esse e vera quando e solo quando p e q hanno diversivalori di verita, cioe una vale ‘vero’, l’altra vale ‘falso’. Notiamo che queste tautologie ci mostrano comepossiamo importare ed esportare (portare ‘dentro’ o ‘fuori’ a nostro piacimento) il simbolo di negazioneda una equivalenza a ciascuno dei termini che vi appaiono. Usando questo fatto possiamo dimostrareuna proprieta molto importante: l’associativita del connettivo XOR.12

Consideriamo infatti la forma p XOR (p XOR r). La catena di equivalenze appena osservata mostrache p XOR (q XOR r) equivale a ¬(p⇔ (q XOR r)) e questa (importando la negazione al secondo terminedell’equivalenza), equivale a p⇔ (¬(q XOR r)), cioe a p⇔ (q ⇔ r). Abbiamo dunque la tautologia(

p XOR (q XOR r))⇐⇒

(p⇔ (q ⇔ r)

).

Allo stesso modo (oppure usando quest’ultima tautologia insieme alla commutativita, ovvia, di XOR13 ea quella di ⇔) si verifica la tautologia(

(p XOR q) XOR r)⇐⇒

((p⇔ q)⇔ r

).

Da queste due, e dall’associativita di ⇔ si ricava la tautologia che volevamo provare:(p XOR (q XOR r)

)⇐⇒

((p XOR q) XOR r

). (associativita di XOR)

Altre due facili tautologie che riguardano XOR sono espresse in questa catena di equivalenze:

(p XOR q) ⇐⇒((p ∧ (¬q)) ∨ (q ∧ (¬p))

)⇐⇒

((p ∨ q) ∧ (¬(p ∧ q))

). (esplicitazione di XOR)

Anche queste equivalenze si provano facilmente osservando che, evidentemente, sia((p∧(¬q))∨(q∧(¬p)

)che

((p∨ q)∧ (¬(p∧ q)

)sono vere se e solo esattamente uno tra p e q e vero, ma si veda a questo riguardo

anche l’Esercizio F.1. E poi importante (per lo studio delle strutture booleane) la tautologia(p ∧ (q XOR r)

)⇐⇒

((p ∧ q) XOR (p ∧ r)

), (distributivita di ∧ rispetto a XOR)

di verifica diretta.L’ultima osservazione che facciamo prima di chiudere con il calcolo proposizionale evidenzia una par-

ticolarita che rende interessanti i connettivi NAND e NOR. Sappiamo che la nostra lista di connettivie piuttosto ridondante. Non avremmo avuto bisogno, ad esempio, di definire in modo indipendente ilconnettivo di equivalenza, ma avremmo potuto considerare la scrittura “p ⇔ q” come una semplice ab-breviazione di “(p ⇒ q) ∧ (q ⇒ p)”, dal momeno che la tautologia della doppia implicazione ci dice chele due formule sono equivalenti. Similmente, la tautologia della implicazione come disgiunzione mostracome sia possibile fare a meno anche del connettivo⇒ ed esprimere tutte le implicazioni (e le implicazioniinverse) utilizzando ¬ e ∨; in modo ancora piu immediato NAND e NOR si ottengono da ¬, ∨ e ∧, che

12il fatto che XOR sia associativo permette, tra l’altro, di definire in modo sintetico le strutture booleane, che hanno

enorme importanza nell’informatica teorica.13cioe la tautologia (p XOR q) ⇐⇒ (q XOR p). Anche NOR e NAND sono commutative; tutto cio e evidente dalle

descrizioni che abbiamo dato di questi connettivi.

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LOGICA RUDIMENTALE 13

certamente bastano per esprimere anche XOR. Dunque possiamo esprimere tutto il calcolo proposizio-nale usando solo i connettivi ¬, ∨ e ∧. Meglio ancora: dalle leggi di De Morgan (e dalla tautologia delladoppia negazione) seguono le tautologie(

p ∨ q)⇔(¬((¬p) ∧ (¬q))

)e

(p ∧ q

)⇔(¬((¬p) ∨ (¬q))

),

che mostrano come la disgiunzione si possa esprimere utilizzando ¬ e ∧, mentre la congiunzione si puoesprimere utilizzando ¬ e ∨. Dunque tutte le formule del calcolo proposizionale possono essere espresse (ameno di equivalenze) usando solo due connettivi: ¬ ed uno a scelta tra ∧ e ∨. Se siamo davvero interessatia ridurre il numero dei connettivi usati, si puo addirittura fare di meglio: basta un solo connettivo, unoa scelta tra NAND e NOR. Abbiamo infatti due tautologie (di semplicissima verifica):

(p NOR p) ⇐⇒ (¬p) ⇐⇒ (p NAND p)

che garantiscono come l’uso della negazione possa sempre essere sostituito dall’uso di una qualsiasitra NAND e NOR. Dunque, il connettivo NAND permette di esprimere ¬, e quindi ∧ (perche p ∧ qequivale a ¬(p NAND q), cioe a (p NAND q) NAND (p NAND q)). Per quanto visto sopra, possiamoconcludere che ogni formula del calcolo proposizionale equivale ad una formula in cui l’unico connettivoche appaia e NAND. Allo stesso modo, dal momento che NOR basta per esprimere la negazione e quindila disgiunzione (tramite la tautologia (p ∨ q) ⇔ (¬(p NOR q)), anche NOR ha la stessa proprieta. Equesto il motivo che rende le porte NAND e le porte NOR cosı utili per la progettazione di circuitielettronici.

Esercizi.F.1. Usando le leggi distributive e le leggi di De Morgan, verificare direttamente che la formaproposizionale (p∧(¬q))∨(q∧(¬p)) e equivalente a (p∨q)∧((¬q)∨(¬p)) e quindi a (p∨q)∧(¬(p∧q)).Utilizzando le tautologie della doppia implicazione e della implicazione come disgiunzione verificarepoi che anche (¬p)⇔ q e equivalente a (p ∨ q) ∧ ((¬q) ∨ (¬p)). Questo fornisce una dimostrazionealternativa per le due tautologie cha abbiamo chiamato esplicitazione di XOR.F.2. Verificare in dettaglio la distributivita della congiunzione rispetto a XOR. Basta usare unatavola di verita, ma si puo ragionare in modo piu sintetico cosı: se p vale ‘falso’ entrambi i membridella equivalenza sono falsi, se p vale ‘vero’, entrambi sono equivalenti a q XOR r. Completare ilragionamento verificando tutti i passaggi.F.3. Vale la tautologia “

(p ∨ (q XOR r)

)⇐⇒

((p ∨ q) XOR (p ∨ r)

)” (distributivita della

disgiunzione rispetto a XOR)?F.4. Scrivere una forma proposizionale equivalente a p ⇒ q in cui appaiano solo le variabili p e q,il connettivo NAND e, eventualmente, parentesi.

5. Quantificatori

Consideriamo la formula “x > 1” del linguaggio dell’aritmetica che abbiamo gia (informalmente) intro-dotto nella prima sezione di queste note. In accordo con quanto scritto lı, questa formula non ha unvalore di verita, perche non e una proposizione. Abbiamo pero a disposizione una idea intuitiva di ‘so-stituzione’14 che ci permette di estendere la nostra nozione di verita, valutando la formula per ciascunodei numeri che possono essere sostituiti alla variabile x.15 In termini semplici, non abbiamo difficolta adire che la formula e vera “per x = 10” (cioe sostituendo ad x il numero 10) ed e falsa per x = 0. Sechiamiamo ϕ, o ϕ(x), la nostra formula, possiamo indicare con ϕ(10) e ϕ(0), rispettivamente, le formule“ottenute da ϕ sostituendo ad x i numeri 10 e 0”, nell’ordine, quindi ϕ(10) e la formula (chiusa! e vera)10 > 1 mentre ϕ(0) e la formula (chiusa e falsa) 0 > 1.

Puo capitare che una formula risulti vera per ogni possibile sostituzione delle variabili. In questo casodiremo che la formula e valida.16 Ad esempio, sono valide le formule x = x o anche le formule ricavate

14idea che naturalmente, ma con qualche fatica, si potrebbe formalizzare. A qualcosa in piu accenneremo tra poche

pagine, dopo aver discusso di variabili libere e vincolate15scriviamo ‘numeri’ perche il linguaggio che stiamo usando e quello dell’aritmetica e quindi implicitamente assumiamo

che le variabili possano indicare solo oggetti che chiamiamo numeri interi, qualsiasi cosa essi siano.16Ancora una volta dobbiamo sottolineare che stiamo fornendo una trattazione molto semplificata della materia. Quella

di validita di una formula e in realta una nozione piu ricca di quanto risulta qui, ma la sua definizione completa dipende da

concetti che non ci e necessario toccare e non toccheremo.

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da tautologie, come ad esempio ϕ ∨ (¬ϕ), per qualsiasi formula ϕ, che si ottiene rimpiazzando p con ϕnella tautologia principio del terzo escluso. Useremo espressioni come ‘vale l’implicazione ϕ ⇒ ψ’ perdire che la formula ϕ⇒ ψ e valida, oppure ‘ϕ e ψ sono equivalenti’ per dire che ϕ⇔ ψ e valida; questoper arbitrarie (cioe non necessariamente chiuse) formule ϕ e ψ.

Torniamo al nostro discorso. La nozione di sostituzione ci premette di introdurre due nuovi simbolilogici, che svolgono un ruolo centrale in un capitolo della logica chiamato calcolo dei predicati. Questisimboli sono il quantificatore universale ∀ ed il quantificatore esistenziale ∃.17 La sintassi e semplice: seϕ e una una formula ed x e una variabile allora anche “∀x(ϕ)” e “∃x(ϕ)” sono formule; per maggiorleggibilita si puo anche scrivere “(∀x)(ϕ)” e “(∃x)(ϕ)” o, come al solito, scrivere ϕ(x) al posto di ϕ perevidenziare la possibilita che x appaia in ϕ.

La prima formula, ∀x(ϕ), e quella che si chiama una formula universale18 e si legge ‘per ogni x, ϕ’.Questa formula esprime la contemporanea affermazione di tutte le formule ϕ(a) ottenute sostituendo ad xogni possibile valore a. Puo aiutare pensare a questa formula come ad una versione generalizzata dellacongiunzione: la congiunzione tra tutte le formule ϕ(a) ottenute da ϕ per sostituzione di x con a, perogni possibile scelta di a.19 Nel caso in cui ciascuna delle formule ϕ(a) cosı ottenute sia chiusa (cioe unaproposizione), la formula ∀x(ϕ) esprime il fatto che ciascuna delle ϕ(a) e vera. Ad esempio, usando comeϕ la formula x = x otteniamo la formula ∀x(x = x), che e una proposizione (vedremo come mai) veraperche qualsiasi sia l’oggetto che sostituiamo ad x, questo oggetto e uguale e se stesso. Invece, se partiamodalla formula x > 1 dell’aritmetica usata come esempio nel paragrafo precedente, otteniamo ∀x(x > 1),che e ancora una proposizione ma e falsa, perche non tutti i numeri interi verificano la condizione diessere maggiori di uno.

Se le formule universali possono essere pensate come una sorta di congiunzione generalizzata, le formuleesistenziali, cioe quelle introdotte dal quantificatore ∃, possono invece essere pensate come disgiunzionigeneralizzate. Se x e una variabile e ϕ = ϕ(x) una formula, ∃x(ϕ) (che si puo leggere: “esiste un x taleche ϕ”) esprime l’affermazione di almeno una tra le formule ϕ(a) ottenute sostituendo ad x ogni possibilevalore a. Ad esempio, nel linguaggio dell’aritmetica la formula ∃x(x > 1) e una proposizione (lo vedremo)ed e vera perche, ad esempio, e vera la formula “3 > 1” ottenuta sostituendo 3 ad x in “x > 1”. Invecela formula ∃x(x 6= x) e falsa.

Oltre a ∀ ed ∃ esistono altri quantificatori. Quello di uso piu frequente e “∃!”. Se ϕ e una formulaed x e una variabile, la formula “∃!x(ϕ)” si legge “esiste uno ed un solo x tale che ϕ” ed afferma ϕ(a)per uno dei possibili valori a che possono essere sostituiti ad x, negando ϕ(b) per ogni b diverso da a; intermini piu semplici: ϕ e verificata da a e solo da a. In modo sintetico e piu formale, se y e una variabile(diversa da x) che non appare in ϕ, questo quantificatore e definito dall’equivalenza:20

∃!x(ϕ(x)) ⇐⇒ ∃x(∀y(ϕ(y)⇔ y = x)). (descrizione di ∃!)

E un utile esercizio comprendere questa equivalenza, cioe il fatto che il suo membro a destra (vale adire ∃x(∀y(ϕ(y)⇔ y = x)) ) esprime proprio cio che vogliamo esprima il membro a sinistra (∃!x(ϕ(x)) ).Commenti a questo proposito sono nell’Osservazione G.1.

Variabili libere e vincolate. In una formula come ∀x(ϕ) o come ∃x(ϕ) (anche se queste appaiono comesottoformule di formule piu complesse) si dice che le occorrenze di x sono vincolate (dal quantificatore ∀o dal quantificatore ∃). Dunque sono vincolate le (occorrenze delle) variabili che appaiano nel ‘raggiod’azione’ di un quantificatore (si intende pero che ogni quantificatore puo vincolare solo le occorrenzedella variabile che lo segue immediatamente: in ∀x(x = y), il quantificatore vincola la x, non la y). Inuna qualsiasi formula, le (occorrenze delle) variabili che non sono vincolate si dicono libere. Ad esempio,sono vincolate le occorrenze di x in “(∀x(x+ 1 > x))∧ (∃x(x > y))”, mentre nella stessa formula e liberal’occorrenza di y. Attenzione: e possibile che nella stessa formula la stessa variabile abbia sia occorrenzelibere che occorrenze vincolate: ad esempio, in “(∀x(x+ 1 > x)) ∨ (x = 0)” l’ultima occorrenza di x elibera, le altre sono vincolate (si noti pero che tutte le occorrenze di x in “∀x((x + 1 > x) ∨ (x = 0))”sono vincolate; attenzione alle parentesi!).

17l’origine del simbolo ∃ e ovvia: richiama la ‘E’ iniziale della parola ‘Esiste’ o delle sue varianti in diverse lingue. Ilsimbolo ∀ richiama invece la ‘A’ iniziale dell’inglese ‘All’ (o meglio, del tedesco ‘Alle’) che sta per ‘tutti’.

18cioe: introdotta da un quantificatore universale.19non si tratta effettivamente di una congiunzione, perche si possono congiungere, usando il connettivo ∧, solo un numero

finito di formule per volta, invece le formule ϕ(a) sono, in generale, in numero infinito.20questa frase vuol dire: ∃! e definito dal fatto che scelti comunque la formula ϕ e le variabili (distinte) x e y in modo

che y non appaia in x la formula che segue e valida, nel senso indicato sopra.

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Benche le nozioni di occorrenze libere e vincolate siano qui state presentate solo per grandi linee, ebene farci attenzione per almeno due motivi. Il primo e che la (gia promessa) definizione di formulachiusa dipende proprio dalle nozioni appena introdotte: una formula e chiusa se e solo se non contienevariabili con occorrenze libere. Vediamo cosı che formule come “∀x(x > 1)” e “∀x((x+1 > x)∨ (x = 0))”,che abbiamo incontrato poco sopra, sono proposizioni: in entrambe l’unica variabile che appare, x, hasolo occorrenze vincolate. Invece, la formula “∃x(x > y)” non e una proposizione, a causa dell’occorrenzalibera di y. Possiamo modificare questa formula perche diventi chiusa? Certamente, il modo ovvio di farloe quello di premettere un quantificatore che vincoli la variabile y: “∃y(∃x(x > y))” e “∀y(∃x(x > y))”sono proposizioni. Cosa significa tutto cio in termini piu semplici? Che se una formula contiene variabiliche non sono state introdotte da quantificatori (in tutte le loro occorrenze) allora questa formula non haun valore di verita e non ha senso stare a discutere sul fatto che sia vera o falsa. Per poterle attribuireun valore di verita dobbiamo prima ‘quantificare’, come si dice, le variabili libere che vi appaiono. Ov-viamente abbiamo piu modi di farlo, che portano, in genere, a formule molto diverse tra loro, come nelcaso delle due formule ∃y(∃x(x > y)) e ∀y(∃x(x > y)) appena viste.

E bene insistere su questo punto: i quantificatori sono essenziali per la corretta espressione ed interpre-tazione delle formule in logica e piu generalmente in matematica, ed e quindi importantissimo che sianosempre espressi, ed in modo non ambiguo.21 Si invita chi legge a prendere la sana abitudine di farlo; lapratica di omettere o sottintendere quantificatori e una delle piu frequenti cause di errori di ragionamentoe, cosa forse piu grave, di completa incomprensione di concetti matematici.

La seconda ragione per cui e bene cercare di familiarizzarsi con la nozione di occorrenza libera ovincolata di una variabile e che, nell’interpretazione di una formula, variabili libere e variabili vincolategiocano ruoli molto diversi. La questione e molto delicata e non facile da afferrare, non mi stupirei seil contenuto dei paragrafi seguenti risultasse poco comprensibile a chi legge, ma invito per lo meno aprovare a rifletteci sopra.

Guardiamo alle sostituzioni. Non abbiamo potuto dare piu che una idea intuitiva di come si effettuiuna sostituzione di un termine ad una variabile in una formula, ma una cosa che possiamo dire e chenelle sostituzioni si opera solo sulle occorrenze libere delle variabili. Se ci fermiamo a pensarci un attimo,questo non e strano. Infatti a nessuno (spero) verrebbe mai in mente di sostituire, ad esempio, 0 allavariabile x in “∀x(x > y)” ottenendo “∀0(0 > y)”, o magari “∀x(0 > y)”. Qualche esempio: nel linguaggiodell’aritmetica, consideriamo le tre formule ϕ, ϕ e ψ:

ϕ : “x > 1”; ϕ : “∀x(x > 1)”; ψ : “∀x(x > 1) ∧ x = 7”.

Sostituendo ad x il numero 3 in ciascuna delle formule otteniamo le formule

ϕ(3) : “3 > 1”; ϕ(3) = ϕ(x) : “∀x(x > 1)”; ψ(3) : “∀x(x > 1) ∧ 3 = 7”.

Cosa e successo? In ciascuna delle formule abbiamo sostituito 3 alle occorrenze libere di x, ma non aquelle vincolate; e questa la regola generale. Nelle formule chiuse non appaiono variabili libere, quindinon c’e nulla da sostituire e per questo le sostituzioni lasciano invariate le formule chiuse. Come si vede,questo e il caso che si e verificato per la formula (chiusa) ϕ(x). In ψ(x) l’unica occorrenza libera di x el’ultima, quella che appare in “x = 7”, quindi solo questa e stata sostituita.

Per dirla in modo grossolano ma comprensibile, una variabile libera e qualcosa che, nella formula,“rappresenta” un oggetto (e quindi puo essere sostituita da un oggetto), una variabile vincolata inveceno. Non per niente, per indicare una variabile con occorrenza vincolata si usa anche l’espressione ‘variabilemuta’.

Infine, un po’ di terminologia. Un predicato unario nella variabile x e formula che non contengaoccorrenze libere di variabili diverse di x. Quindi, se ϕ e una formula e x e una variabile, ∀x(ϕ) euna proposizione esattamente quando ϕ e un predicato unario in x; lo stesso vale per ∃x(ϕ) e ∃!x(ϕ).Similmente, si dice che la formula ϕ e un predicato binario quando in essa appaiono al piu due variabilicon occorrenze libere22, un predicato ternario e una formula in cui appaiono al piu tre variabili conoccorrenze libere, e cosı via.

21ad esempio, andrebbero evitate espressioni del tipo: “f(x) < 4, con x > 0” dove chi legge deve, per bene che vada,tirare ad indovinare se quel “con” rappresenta un quantificatore esistenziale o uno universale. Analogamente, in “. . . , per

x > 0”, non sempre e chiaro se quel “per” vada inteso come “per ogni” o “per almeno un”. Il senso logico delle frasi, come

si vede, cambia se si cambia l’interpretazione.22attenzione: non due occorrenze, ma due variabili, con un numero arbitrario di occorrenze. Ad esempio, la formula

“(x < y) ∨ ((x = y) ⇒ (x > 7))”, in cui x appare tre volte, e un predicato binario in x e y (nel linguaggio dell’aritmetica).

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Osservazioni.G.1. Torniamo sulla equivalenza che abbiamo dato come descrizione del quantificatore ∃!. Siano ϕuna formula e x, y due variabili, e assumiamo che y non appaia in ϕ. Se chiamiamo ψ(x, y) la formulaϕ(y) ⇔ y = x, possiamo riscrivere l’equivalenza come ∃!x(ϕ(x)) ⇐⇒ ∃x(∀y(ψ(x, y)). Vogliamoesaminare il membro a destra di questa equivalenza. Per semplificare il discorso, supponiamo cheϕ sia un predicato unario in x, quindi che ∃x(∀y(ψ(x, y)) sia una proposizione; il ragionamento eanalogo nel caso generale. Quando e che questa proposizione e vera? Esattamente quando esistealmeno un a per il quale sia vera la formula (che e anch’essa chiusa) ∀y(ψ(a, y)); come sappiamoquesto equivale a dire che e vera ψ(a, b), cioe la formula ϕ(b)⇔ b = a, per ogni possibile scelta di b.Tra le possibili scelte per b c’e anche a; la formula diventa in questo caso particolare ϕ(a)⇔ a = a.Poiche a = a e vera, questa equivale a ϕ(a). Se invece scegliamo come b un qualsiasi oggetto diversoda a, allora b = a e falsa, quindi ϕ(b)⇔ b = a equivale alla negazione di ϕ(b).

In definitiva, abbiamo mostrato che la formula ∃x(∀y(ψ(x, y)) e vera se e solo se esiste un aper il quale e vera ϕ(a) e, contemporaneamente, e falsa ϕ(b) per ogni b diverso da a. Questoe precisamente quello che volevamo esprimere col quantificatore ∃!; e quindi giustificata l’idea didescrivere formalmente questo quantificatore come abbiamo fatto.G.2. Non abbiamo descritto in dettaglio le sostituzioni, abbiamo solo avvertito che la nozione esolo ingannevolmente semplice. Un esempio puo dare l’idea delle difficolta che possono sorgere(ma, niente paura, si risolvono). E lecito sostituire a variabili altre variabili. Consideriamo laformula ∃x(x 6= y) nella variabili x (vincolata) e y (libera). Cosa succederebbe se sostituissimo‘meccanicamente’ y con x in questa formula?G.3. Questa osservazione fornisce un suggerimento pratico, mirato a semplificare la scrittura delleformule. Una regola (molto intuitiva) del calcolo dei predicati afferma che se si “cambia nome”alle variabili vincolate in una formula si ottiene una formula equivalente. Piu precisamente, datauna formula ϕ in cui appare una variabile x, se y e una variabile che non appare in ϕ, la formulaottenuta scrivendo y al posto di x in ogni occorrenza vincolata di x in ϕ e equivalente a ϕ. Peresempio, “∀x(x+ 1 > x)” e “∀y(y + 1 > y)” sono equivalenti. Usando questa regola, e possibileriscrivere in modo equivalente qualsiasi formula in modo da evitare che la stessa variabile appa-ia sia libera che vincolata, con gran vantaggio per la chiarezza. Ad esempio, la gia menzionataformula “(∀x(x+ 1 > x)) ∨ (x = 0)” dell’aritmetica si potrebbe equivalentemente riscrivere come“(∀y(y + 1 > y)) ∨ (x = 0)”, sicuramente piu facile da leggere.

Quantificatori ristretti. Nella pratica matematica si incontrano con gran frequenza espressioni del tipo“(∀x ∈ S)(ϕ)” o “(∃x > 0)(ϕ)” (le parentesi non sono tutte necessarie, ma rendono le formule piu facilida leggere; come si sara immaginato qui ϕ e una formula e x una variabile, e S e un insieme), in cui ilquantificatore e accompagnato da una condizione che limita l’ambiente in cui la variabile possa assumerei suoi valori. Queste espressioni hanno ovvie interpretazioni, ma e bene sapere che sono semplicementeabbreviazioni di formule in cui i quantificatori sono usati nel modo indicato nella sezione precedente, ede bene sapere di quali formule sono abbreviazioni. La prima formula puo essere definita in questo modo:

(∀x ∈ S)(ϕ) :⇐⇒ ∀x(x ∈ S ⇒ ϕ)

(i due punti che precedono ⇐⇒ ci ricordano solo che questa equivalenza, o meglio l’affermazione chevale questa equivalenza, e stabilita come definizione dell’espressione a sinistra). Come spesso accade, nonessersi accontati di una idea intuitiva ma aver cercato una definizione precisa non e un atto di pignoleriafine a se stesso, ma comporta un utile vantaggio. In questo caso, ci permette di chiarire in modo moltosemplice un punto che spesso sfugge agli studenti: cosa accade quando S e l’insieme vuoto? La rispostae:

per ogni predicato unario ϕ nella variabile x, la proposizione (∀x ∈ ∅)(ϕ) e vera.23

Come mai? Stando alla nostra definizione “(∀x ∈ ∅)(ϕ)” significa “∀x(x ∈ ∅ ⇒ ϕ)”. Ora, qualunquesia l’oggetto a, la formula a ∈ ∅ e falsa (l’insieme vuoto non ha elementi: e questa la sua definizione)quindi l’implicazione “a ∈ ∅ ⇒ ϕ(a)” ha l’antecedente falso e quindi e vera. Dunque, se sostituiamoa ad x in “x ∈ ∅ ⇒ ϕ” otteniamo certamente una formula vera. Pertanto “∀x(x ∈ ∅ ⇒ ϕ)”, ovvero

23ricordiamo che se la formula ϕ non fosse un predicato unario in x, cioe se ϕ contenesse una variabile libera diversa

da x, allora (∀x ∈ ∅)(ϕ) non sarebbe una proposizione, quindi non sarebbe ne vera ne falsa.

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“(∀x ∈ ∅)(ϕ)”, e vera, come si voleva dimostrare. Possiamo a questo punto dire che, a meno che nonesistano cavalli24 verdi, la frase “ogni cavallo verde ha otto zampe” e vera.

Discorso analogo vale per altre restrizioni che possono essere imposte alla variabile quantificata. Adesempio, (∀x > 0)(ϕ) significa ∀x(x > 0⇒ ϕ).

Se cambiamo quantificatore la definizione e diversa:

(∃x ∈ S)(ϕ) :⇐⇒ ∃x((x ∈ S) ∧ ϕ)

e qui non ci dovrebbero essere difficolta: “esiste x in S tale che . . . ” significa proprio “esiste x tale chex sia in S e . . . ” . Ovviamente, nella solita ipotesi che ϕ sia un predicato unario in x, questa formula esicuramente una proposizione falsa quando S = ∅ .

Abbiamo introdotto i quantificatori ∀ ed ∃ suggerendo un’analogia tra essi ed i connettivi ∧ e ∨, cioeche i quantificatori in qualche modo corrispondano a forme piu generali di congiunzione (nel caso delquantificatore universale) e disgiunzione (per quello esistenziale). Questa analogia si puo effettivamenterendere precisa e verificare nel caso dei quantificatori ristretti ad insiemi finiti e non vuoti. Se S e appuntoun insieme finito e S 6= ∅, se ϕ e una formula e x una variabile, e chiaro che la formula (∀x ∈ S)(ϕ(x)) eequivalente a

∧a∈S ϕ(a), cioe a ϕ(a1)∧ϕ(a2)∧ · · · ∧ϕ(ak), dove a1, . . . ak sono gli elementi di S, mentre

(∃x ∈ S)(ϕ(x)) e equivalente a∨a∈S ϕ(a).25

Si puo, a questo punto, tornare all’esempio della frase “per ogni numero intero x compreso tra 1 e 3 siha che se x > 2 allora x > 1” discussa nella sezione in cui e stato introdotto il connettivo di implicazione.Come si puo ora riconoscere, questa frase non e altro che un modo per rendere verbalmente la formula(∀x ∈ {1, 2, 3})(x > 2⇒ x > 1); questa e una formula introdotta da un quantificatore universale ristrettoad un insieme di tre elementi, quindi si riduce ad una congiunzione tra tre formule, e sotto questo aspettol’avevamo studiata.

6. Qualche regola d’uso

Esiste un gran numero di regole del calcolo dei predicati che permettono di manipolare formule contenentiquantificatori. Si tratta per lo piu di regole estremamente intuitive; una e quella data nell’Osservazione G.3,ne vedremo altre. Spesso queste regole sono enunciate dichiarando la validita di determinate implicazioni.Anche in questa sezione, ma non lo ripeteremo ogni volta, le lettere x, y e z indicano sempre variabili, ϕe ψ sono invece formule.

Quantificatori multipli. Innanzitutto, puo capitare di avere piu quantificatori consecutivi; un esempiolo abbiamo gia visto con la formula a secondo membro della equivalenza che descrive formalmente ∃!. Ab-biamo formule del tipo ∀x(∀y(· · · (ϕ) · · · ) o ∃x(∃y(· · · (ϕ) · · · ), in cui e lo stesso quantificatore a ripetersi;in questi casi l’ordine in cui appaiono i quantificatori e irrilevante nel senso che, ad esempio, ∀x(∀y(ϕ))e ∀y(∀x(ϕ)) sono equivalenti. Si usa scrivere, per brevita, ∀x, y, . . . , z (ϕ) invece di ∀x(∀y(· · · ∀z(ϕ) · · · )e ∃x, y, . . . , z (ϕ) invece di ∃x(∃y(· · · ∃z(ϕ) · · · ). Diverso e il caso in cui appaiono sia il quantificatore esi-stenziale che quello universale. Le formule “∀x(∃y(ϕ))” e “∃y(∀x(ϕ))” non sono in generale equivalenti.La prima afferma che, scelto comunque un termine a, ne esiste almeno uno, b, dipendente, in generale,dalla scelta di a, per il quale si abbia ϕ(a, b). La seconda formula dice qualcosa in piu: che si ha la stessasituazione ma, questa volta, si puo scegliere b indipendentemente dalla scelta di a: esiste un particolare bper il quale si abbia ϕ(a, b) per ogni possibile scelta di a. Dunque, vale sempre l’implicazione

∃y(∀x(ϕ)) =⇒ ∀x(∃y(ϕ))

ma, in generale, non vale l’implicazione inversa. Un esempio puo aiutare: nel linguaggio dell’aritmetica,sia ϕ(x, y) la formula x < y. La prima delle nostre formule diventa

∀x(∃y(x < y)),

24si intende: cavalli vivi.25per una convenzione di uso universale, se S ha un solo elemento, cioe k = 1 e S = {a1}, sia

∧a∈S ϕ(a) che

∨a∈S ϕ(a)

valgono ϕ(a1). In verita la stessa convenzione permette di estendere questa notazione anche al caso in cui S = ∅, stabilendoche

∧a∈∅ ϕ(a) e

∨a∈∅ ϕ(a) indicano una formula vera ed una falsa, rispettivamente. Con questa ulteriore convenzione le

equivalenze ((∀x ∈ S)(ϕ(x))) ⇔∧

a∈S ϕ(a) e ((∃x ∈ S)(ϕ(x))) ⇔∨

a∈S ϕ(a) continuano a valere, anche nel caso in cui

S = ∅.

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che afferma che per ogni numero esiste un numero piu grande. Questa e una proposizione vera: se a e unnumero intero, a+ 1 e un numero intero maggiore di a, quindi ϕ(a, a+ 1) e vera.26 La seconda formulae invece

∃y(∀x(x < y)),

che afferma che esiste un intero (quello che andrebbe sostituito ad y) maggiore di tutti gli interi; questae una proposizione falsa.

Negazione di quantificatori. Come si nega una formula universale? E come si nega una formulaesistenziale? Dovrebbe bastare il buon senso a suggerirlo: per stabilire che sia falsa la frase “ogni cittadinoitaliano si chiama Mario” basta osservare che esiste qualche cittadino italiano che non si chiama Mario;anche se ce ne sono alcuni che effettivamente si chiamano Mario la frase e ugualmente falsa, perche nontutti hanno quel nome. Sarebbe un errore pensare che per rendere falsa la frase in questione bisognerebbeche nessuno dei cittadini italiani si chiamasse Mario. Questo esempio suggerisce che la negazione di unafrase universale sia una frase esistenziale (dove e negata la formula oggetto della quantificazione). Eproprio cosı; per ogni formula ϕ ed ogni variabile x vale:(

¬(∀x(ϕ)))⇐⇒

(∃x(¬ϕ)

).27 (negazione di formule universali)

Simmetricamente, pensiamo che la frase “esiste un cittadino italiano di nome Xwas” sia falsa, non percheesiste un cittadino italiano che non si chiama Xwas, ma perche nessun cittadino italiano si chiama Xwas,o, per dirla in modo piu utile ai nostri scopi, anche se meno naturale, ogni cittadino italiano non sichiama Xwas.28 La regola di negazione per le formule esistenziali e, infatti:(

¬(∃x(ϕ)))⇐⇒

(∀x(¬ϕ)

). (negazione di formule esistenziali)

Vale la pena di osservare che questa regola segue dalla precedente e dalle tautologie della negazione e dellacommutativita dell’equivalenza. Infatti, “

(¬(∃x(ϕ))

)⇐⇒

(∀x(¬ϕ)

)” equivale, per queste tautologie, a

“(∃x(ϕ)

)⇐⇒

(¬(∀x(¬ϕ))

)” e quindi a “

(¬(∀x(¬ϕ))

)⇐⇒

(∃x(ϕ)

)”. Questa (per la tautologia della

doppia negazione) non e altro che la regola per la negazione delle formule universali applicata con ¬ϕ alposto di ϕ.

Se torniamo all’analogia tra i quantificatori ∀ ed ∃ ed i connettivi ∧ e ∨, possiamo pensare a questeregole di negazione come all’analogo delle leggi di De Morgan.

Notiamo che queste regole di negazione stabiliscono anche l’interdipendeza di ∀ ed ∃, nel senso chemostrano come l’uno dei due si possa definire in termini dell’altro; ad esempio, potremmo assumere dato ∀e definire ∃ usando l’equivalenza

(∃x(ϕ)

)⇔(¬(∀x(¬ϕ))

). La situazione, come si vede, e simile a quella

dei connettivi proposizionali: abbiamo introdotto due simboli (∀ e ∃) ma ci siamo accorti che, volendo,potremmo fare a meno di uno dei due.

Non sorprendentemente, per formule con quantificatori ristretti abbiamo regole di negazione simili aquelle per i quantificatori non ristretti (le notazioni sono quelle solite; in particolare, S indica un insieme):

¬(∀x ∈ S)(ϕ) ⇐⇒ ∃(x ∈ S)(¬ϕ) e ¬(∃x ∈ S)(ϕ) ⇐⇒ ∀(x ∈ S)(¬ϕ).

Il senso e chiaro, ma e utile e istruttivo verificare queste formule. Per la prima: (∀x ∈ S)(ϕ) significa∀x(x ∈ S ⇒ ϕ), la cui negazione e ∃x(¬(x ∈ S ⇒ ϕ)). Ricordiamo come si nega un’implicazione:affermando l’antecedente e contemporaneamente negando il conseguente. Quindi ¬(∀x ∈ S)(ϕ) equivale a∃x((x ∈ S)∧ (¬ϕ)). Ma questa formula, come abbiamo visto sopra, e proprio quella che viene abbreviatacon ∃(x ∈ S)(¬ϕ). La verifica e cosı completa. La seconda formula si puo dimostrare dalla prima(analogamente a quanto fatto nel caso dei quantificatori non ristretti) oppure in modo diretto, come sisuggerisce di fare in uno dei prossimi esercizi.

26seguiamo qui una convenzione standard: avendo indicato la formula ϕ come ϕ(x, y), abbiamo specificato l’ordine incui consideriamo le variabili. Dunque ϕ(a, a+ 1) sara la formula ottenuta sostituendo a ad x e a+ 1 ad y, non viceversa.

27stiamo facendo largo uso di parentesi, sperando che questo aiuti nella lettura. Potremmo pero anche farne a meno. Ad

esempio, questa formula si potrebbe anche scrivere ¬∀x(ϕ) ⇐⇒ ∃x(¬ϕ), senza nessuna ambiguita; si vedano le tautologiedella negazione dell’equivalenza per il ruolo di ¬ nella sua prima occorrenza.

28spero di non essere smentito, su questo punto, da un’indagine anagrafica.

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LOGICA RUDIMENTALE 19

Un errore da evitare. Qualunque sia il termine a, due (ovvie) regole29 stabiliscono la catena diimplicazioni: (

∀x(ϕ(x)))

=⇒ ϕ(a) =⇒(∃x(ϕ(x))

),

da cui segue(∀x(ϕ(x))

)⇒(∃x(ϕ(x))

)(a condizione che si ammetta, come in genere si fa, che esista

almeno un oggetto a cui il linguaggio si riferisce). Nel caso in cui i quantificatori siano ristretti lasituazione puo essere diversa. L’implicazione

((∀x ∈ S)(ϕ(x))

)⇒((∃x ∈ S)(ϕ(x))

)vale certamente se

S e un insieme non vuoto, ma non se S e l’insieme vuoto. Per convincercene, consideriamo il caso incui ϕ sia un predicato unario in x. Se S = ∅ l’antecedente (∀x ∈ ∅)(ϕ(x)) della nostra implicazione evero (si veda la discussione su queste formule nella sezione sui quantificatori ristretti) ed il conseguente(∃x ∈ ∅)(ϕ(x)) e falso, quindi l’implicazione e falsa.

Capita non tanto di rado di trovare errori di ragionamento dovuti proprio a questa disattenzione: dalfatto che tutti gli elementi di un insieme abbiano una certa proprieta si deduce l’esistenza di almeno unelemento con quella proprieta. Questo passaggio non e lecito a meno di non essersi assicurati che l’insiemein questione non e vuoto. Per esempio, abbiamo detto che ogni cavallo verde ha otto zampe, da questonon possiamo certamente dedurre che esistano cavalli verdi con otto zampe!

Esercizi.H.1. Vero o falso? E perche? Questo e un esercizio di corretta lettura ed interpretazione di formule.

(a) (∀x ∈ N)(x+ 1 < x⇒ x2 = 1).(b) ∃x ∈ N(∀y ∈ N(x ≤ y)).(c) ∀x ∈ N(∃y ∈ N(x < y)).(d) ∀x ∈ N(∃y ∈ N((x = y + 1)⇒ (x < y))).(e) ∃x ∈ N(∀y ∈ N((x < y) ∨ (y < x) ∨ (y = 11))).(f) ∃x ∈ N(∀y ∈ Z((x 6= y)⇒ (x < y))).(g) Ogni numero reale il cui quadrato sia negativo e maggiore di 10327.

H.2. Una regola (molto intuitiva) del calcolo dei predicati stabilisce l’equivalenza(∀x(ϕ ∧ ψ)

)⇐⇒

((∀x(ϕ)) ∧ (∀x(ψ))

),

qualsiasi siano le formule ϕ e ψ (ovviamente x indica una variabile). Oppure mi sbaglio? Anchequesto e un esercizio di lettura! Puo essere utile pensare a frasi come “ogni giorno mangio una pizzae vado al cinema” e “ogni giorno mangio una pizza e ogni giorno vado al cinema”. Con le stessenotazioni, confrontare tra loro le formule “∀x(ϕ ∨ ψ)” e “(∀x(ϕ)) ∨ (∀x(ψ)))”.

Ripetere l’esercizio sostituendo, in tutte le formule, “∀” con “∃”.H.3. Verificare (in modo diretto) la formula ¬(∃x ∈ S)(ϕ) ⇐⇒ ∀(x ∈ S)(¬ϕ).H.4. Si scriva la negazione di ∃!x(ϕ). Sono possibili piu risposte, diverse nella forma ma equivalentitra loro.H.5. Si neghi ciascuna delle le formule (le notazioni sono le solite):

(a) ∀x(∃y(ϕ(x, y)⇒ ψ(x, y)));(b) ∃x(ϕ(x) ∧ ∀y(¬ψ(x, y)));(c) ∀x, y(∃z(z 6= y ∧ ϕ(x, z)));

H.6. Si neghi ciascuna delle frasi:

(a) Ogni volta che vedo Astolfo, litighiamo.(b) Una volta ho visto Astolfo ed ho bevuto un caffe.(c) Tutti i giorni della prossima settimana andro al cinema, ed uno di quei giorni andro in pizzeria.

7. Insiemi

Sia ϕ = ϕ(x) un predicato unario nella variabile x. Si indica col simbolo {x | ϕ} la totalita (potremmoanche dire: la collezione, la classe; stiamo usando questi termini in modo del tutto informale) deglioggetti a che, sostituiti ad x in ϕ, rendono ϕ vera (vale a dire: tali che ϕ(a) sia una formula vera).Questa totalita si chiama anche l’estensione di ϕ. Si puo pensare a ϕ come espressione di una ‘proprieta’che un oggetto puo soddisfare oppure no, allora la sua estensione {x | ϕ} e la totalita degli oggetti chesoddisfano (verificano, hanno) la proprieta espressa da ϕ. Ad esempio, la formula “(x ∈ N) ∧ (x < 3)”,

29la prima delle quali si chiama regola di specializzazione

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esprime la proprieta di “essere un numero naturale minore di 3”, e {x | (x ∈ N) ∧ (x < 3)} e costituitodai numeri 0, 1 e 2.

La teoria degli insiemi tratta di enti matematici, appunto gli insiemi, che formalizzano l’idea intuitivadi ‘aggregato di oggetti’; gli assiomi di questa teoria regolano in modo preciso il modo in cui su questi entisi puo operare. Un tentativo (quello del logico tedesco Gottlob Frege) di fondare l’intera teoria sull’ideache l’estensione di ogni predicato unario si possa considerare come insieme fallı molto presto, non appenasi scoprı che questa assunzione porta necessariamente a contraddizioni.30 In altri termini: non semprel’estensione {x | ϕ(x)} di un predicato ϕ (unario, in x) e un insieme. Detto in modo ancora diverso,esistono ‘proprieta’ perfettamente ragionevoli e ben definite (cioe espresse da un predicato unario) tali che,sfortunatamente, non esista l’insieme degli oggetti che le verificano. Ad esempio, tutti gli studenti chesono stati sottoposti ad una qualche infarinatura di teoria degli insiemi (come questa!) dovrebbero sapereche non esiste l’insieme di tutti gli insiemi ; si vedano a questo proposito l’Esempio I.2 e l’Esercizio I.3.

Qualcosa dell’idea di Frege, pero, si salva. Dato un predicato unario ϕ, se proviamo a selezionare tuttigli oggetti che verificano ϕ e possibile, lo abbiamo appena detto, che non si ottenga un insieme; ma se noiabbiamo gia a disposizione un insieme S e limitiamo la selezione ai soli elementi di S (lasciando perderetutto cio che non appartenga ad S), allora sicuramente otteniamo un insieme: l’insieme degli elementidi S che verificano ϕ. Ce lo assicura uno degli assiomi della teoria degli insiemi, l’assioma di separazione(o di comprensione; piu precisamente, si tratta di uno schema di assiomi, ma non entriamo in questasottigliezza). In modo piu esplicito: dati un insieme S ed un predicato unario ϕ nella variabile x, laformula “(x ∈ S) ∧ ϕ” e ancora un predicato unario in x;31 l’assioma di separazione dice che, in questecircostanze, l’estensione {x | (x ∈ S)∧ϕ(x)} di questo predicato e un insieme. Per indicare questo insiemesi usa, in genere, una notazione piu compatta: {x ∈ S | ϕ(x)}. L’insieme cosı ottenuto e ovviamente unaparte di S.

Un altro assioma che conviene menzionare e l’assioma di estensionalita. Questo assioma stabilisce chegli insiemi sono completamente determinati dai loro elementi, ovvero: dati un insieme A ed un insieme B,si ha A = B se e solo se A e B hanno esattamente gli stessi elementi—si veda l’Esercizio I.5. Abbiamoimplicitamente fatto uso di questo assioma quando abbiamo descritto {x | ϕ(x)} (quando e un insieme)e {x ∈ S | ϕ(x)} specificando solo quali sono i loro elementi.

Torniamo sul significato di queste espressioni. Trattiamo come oggetti matematici ‘veri e propri’ gliinsiemi, ma non le estensioni di predicati che non siano insiemi. Quindi, continuando ad usare le notazioniche abbiamo introdotto nei paragrafi precedenti, per noi {x | ϕ(x)} esiste come oggetto della matematicase e un insieme, non esiste altrimenti. In effetti, piu in generale, nella teoria degli insiemi standardsi assume abitualmente che non esistano enti matematici che non siano insiemi.32 Scriviamo dunqueformule come A = {x | ϕ(x)} solo nel caso in cui {x | ϕ(x)} sia un insieme. In questo caso,

l’uguaglianza A = {x | ϕ(x)} equivale a: ∀x(x ∈ A⇔ ϕ(x)).

Invece la formula A = {x ∈ S | ϕ(x)} ha sempre senso, perche il secondo membro e un insieme, e

l’uguaglianza A = {x ∈ S | ϕ(x)} equivale a: ∀x(x ∈ A⇔ ((x ∈ S) ∧ ϕ(x))).

Esempi, Osservazioni, Esercizi (alcuni non facili).I.1. Usando l’assioma di estensionalita verificare che esiste solo un insieme vuoto.I.2. Abbiamo detto che se ϕ e un predicato unario, non necessariamente esiste l’insieme {x | ϕ(x)}degli oggetti che verificano ϕ. Per convincerci di questo fatto, esaminiamo un esempio. Scegliamocome ϕ la formula x /∈ x e supponiamo che esista l’insieme {x | x /∈ x}, che possiamo chiamare R.Stando al significato che abbiamo stabilito per questa notazione, abbiamo: ∀x(x ∈ R⇔ x /∈ x). Laregola di specializzazione, applicata sostituendo di R a x, fornisce allora R ∈ R ⇔ R /∈ R. Questae evidentemente una contraddizione; dobbiamo concludere che l’insieme {x | x /∈ x} non esiste.

Questo esempio contiene la cosidetta Antinomia (o Paradosso) di Russell (da cio l’uso dellalettera R) ed ha una bella ed istruttiva storia alle spalle (anzi, almeno due).

30Stiamo rendendo breve una storia che e molto piu lunga e complessa. In particolare, il primo sistema di assiomi per

la teoria degli insiemi, quello di Zermelo (1908), e storicamente successivo all’emersione delle contraddizioni a cui stiamoaccennando.

31come gia capitato in casi analoghi, ci stiamo prendendo una piccola liberta: trattiamo in questa formula S come un

simbolo di costante. Per una versione meglio formulata dell’assioma di separazione si veda l’Esercizio I.4.32Esistono teorie degli insiemi alternative, un po’ piu sofisticate, nelle quali le cose non stanno cosı e si puo dare un

significato matematico preciso a {x | ϕ(x)} anche nel caso in cui questo non sia un insieme.

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I.3. Usando l’osservazione precedente (I.2) e l’assioma di separazione, dimostrare che non esistel’insieme di tutti gli insiemi. Cosa sappiamo dire su {x | x = x}?I.4. Sia ϕ un predicato unario in x. La formula ∀y∃z∀x

((x ∈ z

)⇔((x ∈ y) ∧ ϕ)

))e uno dei

modi per esprimere l’assioma di separazione ‘applicato’ a ϕ (per meglio dire: l’istanza dell’assiomadi separazione per ϕ). Verificarlo; e un ulteriore esercizio di lettura.I.5. Assumendo che non esistano oggetti che non siano insiemi l’assioma di estensionalita e inveceespresso dalla formula: (∀y, z)(y = z ⇐⇒ (∀x(x ∈ y ⇔ x ∈ z))). Verificarlo.

Formule insiemistiche. La vaga ed imperfetta corrispondenza tra predicati unari ed insiemi, di cuiabbiamo parlato nella sezione precedente, puo essere comunque usata per tradurre risultati del calcoloproposizionale (come la validita di tautologie) in formule della teoria degli insiemi. Questa sorta di tradu-zione si puo ottenere facendo corrispondere relazioni o operazioni insiemistiche a connettivi proposizionali,come vedremo con diversi esempi.

Come punto di partenza, osserviamo che l’idea di estensione di un predicato, discussa nella sezioneprecedente, si puo in un certo senso invertire. Infatti, ogni insieme A si puo considerare come l’estensionedel predicato “x ∈ A”, vale a dire: A = {x | x ∈ A}.33 Ora, se A e B sono insiemi, l’assioma diestensionalita ci dice che vale:

A = B ⇐⇒ ∀x(x ∈ A⇔ x ∈ B),

mentre, per definizione di inclusione,

A ⊆ B ⇐⇒ ∀x(x ∈ A⇒ x ∈ B).

Queste due formule suggeriscono che, nello stesso senso, informale in cui facciamo corrispondere (ovvero‘traduciamo’) i predicati “x ∈ A” e “x ∈ B” con A e B, possiamo far corrispondere i connettivi ⇔e ⇒ ai simboli di uguaglianza e di inclusione tra insiemi. Ci vuole poco a convincersi di come, nellastessa ottica, la tautologia della doppia implicazione si traduca nella ben nota regoletta insiemistica delladoppia inclusione. A titolo di esempio, verifichiamolo in dettaglio, senza timore di essere troppo pignoli.La tautologia assicura che “x ∈ A ⇔ x ∈ B ” sia equivalente a “(x ∈ A ⇒ x ∈ B) ∧ (x ∈ B ⇒ x ∈ A)”.Inoltre, una delle tante regole del calcolo dei predicati (si veda l’Esercizio H.2) stabilisce l’equivalenza(

∀x(ϕ ∧ ψ))⇐⇒

((∀x(ϕ)) ∧ (∀x(ψ))

). (∗)

qualsiasi siano le formule ϕ e ψ. Abbiamo allora le equivalenze (alcune scritte in verticale, questa volta,e giustificate da un commento a destra):

A = B ⇐⇒ ∀x(x ∈ A⇔ x ∈ B)

m (tautologia)

∀x((x ∈ A⇒ x ∈ B) ∧ (x ∈ B ⇒ x ∈ A)

)m (regola (∗))(

∀x(x ∈ A⇒ x ∈ B))∧(∀x(x ∈ B ⇒ x ∈ A)

)m (definizione di inclusione)

(A ⊆ B) ∧ (B ⊆ A).

Quindi, e non e una sorpresa, A = B se e solo se A ⊆ B e B ⊆ A; questa e la regola della doppia inclusione.In modo analogo, la tautologia della transitivita dell’implicazione fornisce la transitivita dell’inclusione:

(∀A,B,C)(((A ⊆ B) ∧ (B ⊆ C))⇒ (A ⊆ C)

);

e un utile esercizio verificarlo in dettaglio.Abbiamo fatto corrispondere i simboli di uguaglianza e inclusione ai connettivi di equivalenza e di

implicazione; e chiaro cosa si possa far corrispondere ai connettivi di congiunzione e disgiunzione: leoperazioni di intersezione e di unione (binarie). Questo perche, scelti comunque gli insiemi A e B, si ha

∀x(x ∈ A ∩B ⇐⇒ ((x ∈ A) ∧ (x ∈ B))

)e ∀x

(x ∈ A ∪B ⇐⇒ ((x ∈ A) ∨ (x ∈ B))

),

33ovviamente questa non sarebbe accettata come una vera e propria descrizione di A. Il discorso su questo puntoandrebbe approfondito, ma cosı si andrebbe molto al la dei nostri scopi. Osserviamo ancora (vedi la nota 31) che nella

formula “x ∈ A” trattiamo A come una costante, similmente faremo in formule analoghe, dove altri insiemi appaiono al

posto di A.

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quindi il predicato di appartenenza ad A ∩ B equivale alla congiunzione del predicato di appartenenzaad A e di quello di appartenenza ad B, mentre il predicato di appartenenza ad A ∪ B equivale alladisgiunzione di questi due.34 Dalle tautologie di idempotenza, commutativita e associativita (pag. 7) edalle leggi distributive (pag. 8) per ∧ e ∨ si ottengono dunque le analoghe proprieta per le operazioni diunione e intersezione tra insiemi: per ogni A, B, C si ha:

A = A ∩A, A ∩B = B ∩A, A ∩ (B ∩ C) = (A ∩B) ∩ C,A = A ∪A, A ∪B = B ∪A, A ∪ (B ∪ C) = (A ∪B) ∪ C

e

A ∩ (B ∪ C) = (A ∩B) ∪ (A ∩ C)

A ∪ (B ∩ C) = (A ∪B) ∩ (A ∪ C).

Ad esempio, per la commutativita di ∧ abbiamo((x ∈ A) ∧ (x ∈ B)

)⇐⇒

((x ∈ B) ∧ (x ∈ A)

); ma

in questa equivalenza il primo membro equivale a x ∈ A ∩ B, il predicato da appartenenza ad A ∩ B, ilsecondo membro equivale a x ∈ B∩A, il predicato da appartenenza ad B∩A. Quindi questi due predicatisono equivalenti e cosı A ∩B = B ∩A per l’assioma di estensionalita. In modo analogo si ragiona per lealtre uguaglianze.

Il connettivo di negazione presenta invece una difficolta: se A e un insieme allora {x | x /∈ A},l’estensione della negazione del predicato di appartenenza ad A, non e un insieme (si veda l’Esercizio J.3).Dunque, non abbiamo a disposizione una immediata ‘traduzione’ insiemistica di ¬. Assegnati comunquedue insiemi A e B, abbiamo pero l’insieme ArB = {x ∈ A | x /∈ B}, e questo ci permette comunque ditradurre in formule insiemistiche tautologie sulla negazione.

Ancora De Morgan. Vediamo il caso delle leggi di De Morgan. Siano A, B e C insiemi, e chiamiamo α, βe γ i corrispondenti predicati di appartenenza nella variabile x: α e “x ∈ A”, β e “x ∈ B” e γ e “x ∈ C”.Allora “x ∈ Ar (B ∩C)” equivale ad α∧ (¬(β ∧ γ)). Ora, utilizzando la prima delle leggi di De Morgane poi una delle leggi distributive, abbiamo:(

α ∧ (¬(β ∧ γ)))⇐⇒

(α ∧ ((¬β) ∨ (¬γ))

)⇐⇒

((α ∧ (¬β)) ∨ (α ∧ (¬γ))

).

Ricordando le definizioni di α, β e γ, vediamo che l’ultima formula in questa catena equivale a “x ∈(ArB)∪ (ArC)”. Quindi “x ∈ Ar (B ∩C)” e “x ∈ (ArB)∪ (ArC)” sono equivalenti. Similmente,“x ∈ A r (B ∪ C)” equivale ad α ∧ ((¬β) ∧ (¬γ)), quindi ad (α ∧ (¬β)) ∧ (α ∧ (¬γ)), cioe a “x ∈(ArB) ∩ (ArC)”. Abbiamo cosı due importanti formule, che, analogamente alle tautologie, sono notecome formule di De Morgan: scelti comunque gli insiemi A,B e C,

Ar (B ∩ C) = (ArB) ∪ (Ar C)

Ar (B ∪ C) = (ArB) ∩ (Ar C).(De Morgan)

Differenza simmetrica. Definiamo l’operazione insiemistica 4 di differenza simmetrica come l’operazionecorrispondente alla disgiunzione esclusiva; poniamo dunque, per ogni A e B,

A 4 B := {x | (x ∈ A) XOR (x ∈ B)}.Questa operazione ha proprieta algebriche notevoli che non sono evidenti a prima vista; per questo essaassume un ruolo centrale per lo studio di strutture importanti in informatica, come gli anelli booleani.

Le tautologie che abbiamo chiamato esplicitazione di XOR:

(p XOR q) ⇐⇒((p ∧ (¬q)) ∨ (q ∧ (¬p))

)⇐⇒

((p ∨ q) ∧ (¬(p ∧ q))

)danno facilmente (chi legge e invitato a verificarlo):

A 4 B = (ArB) ∪ (B rA) = (A ∪B) r (B ∩A),

mentre la commutativita e l’associativita di XOR e la distributivita di ∧ rispetto a XOR forniscono,ancora piu direttamente, la commutativita e l’associativita di 4 e la distributivita di ∩ rispetto a 4. Perogni A, B, C, abbiamo, cioe:

A 4 B = B 4 A; A 4 (B 4 C) = (A 4 B) 4 C; A ∩ (B 4 C) = (A ∩B) 4 (A ∩ C).

34va aggiunto che A ∩ B = {x | (x ∈ A) ∧ (x ∈ B)} = {x ∈ A | x ∈ B} e A ∪ B = {x | (x ∈ A) ∨ (x ∈ B)} sono

effettivamente insiemi se lo sono A e B; nel primo caso cio segue dall’assioma di separazione, nel secondo invece da un altro,

apposito assioma della teoria degli insiemi, che si chiama, guarda caso, assioma dell’unione.

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Parti di un fissato insieme. La difficolta che abbiamo incontrato con la ‘traduzione’ del connettivo dinegazione scompare se limitiamo le nostre formule a parti di un prefissato insieme anziche ad insiemiarbitrari. Vediamo come. Fissiamo un insieme S. Se A e una parte di S, come abbiamo detto non esistel’insieme degli oggetti che non appartengono ad A, ma invece esiste (per l’assioma di separazione) l’insiemedegli elementi di S che non appartengono ad A; questo insieme e S r A. Possiamo dunque considerarel’operazione (unaria) di scelta del complemento in S come ‘traduzione’ insiemistica del connettivo dinegazione (nel prefissato ambiente S). Le ‘traduzioni’ degli altri connettivi logici (⇔, ⇒, ∧, ∨, XOR)che avevamo a disposizione nel caso generale continuano ad essere valide senza sostanziali modifiche (adesempio, per arbitrarie parti A e B di S vale: A = B ⇐⇒ (∀x ∈ S)(x ∈ A⇔ x ∈ B) ) e possiamo, comesopra, ottenere rapidamente formule della teoria degli insiemi da tautologie.

Ad esempio, la tautologia della doppia negazione si traduce nella formula

S r (S rA) = A per ogni A ⊆ S(bisogna fare attenzione: questa formula vale nell’ipotesi A ⊆ S; se A ed S sono insiemi arbitrari si haS r (S rA) = S ∩A; vedi l’Esercizio J.4).

Cosa ricaviamo di nuovo dalle tautologie sulla implicazione? Se A e B sono parti di S, sappiamo cheA ⊆ B equivale a (∀x ∈ S)(x ∈ A ⇒ x ∈ B). La tautologia della implicazione come disgiunzione e lalegge di contrapposizione (ricordiamo:

(p ⇒ q

)⇐⇒

((¬p) ∨ q

)⇐⇒

((¬q) ⇒ (¬p)

)) mostrano che

“x ∈ A ⇒ x ∈ B” equivale da una parte a “(x /∈ A) ∨ (x ∈ B)”, dall’altra a “x /∈ B ⇒ x /∈ A”. Laconclusione e che, per ogni insieme S e per arbitrarie parti A e B di S,

A ⊆ B ⇐⇒ S = (S rA) ∪B ⇐⇒ S rB ⊆ S rA.

Osservazioni ed Esercizi.J.1. Quello descritto nell’ultima sezione di queste note e solo uno dei tanti metodi per provareformule insiemistiche. Esistono tanti altri metodi, ad esempio quello dei diagrammi di Euler-Venn;a seconda dei casi (e dei gusti) puo essere conveniente usare i metodi descritti qui o uno degli altri.

Si incoraggia chi legge a verificare le formule dimostrate in quest’ultima sezione anche utilizzandoi diagrammi di Euler-Venn.J.2. Siano ϕ e ψ due predicati unari nella variabile x. Nell’ipotesi che le loro estensioni Aϕ = {x | ϕ}e Aψ = {x | ψ} siano insiemi, si ha: Aϕ = Aψ ⇐⇒ (∀x(ϕ⇔ ψ)) e Aϕ ⊆ Aψ ⇐⇒ (∀x(ϕ⇒ ψ)).J.3. Dimostrare che, come detto nel testo, se A e un insieme allora non esiste l’insieme degli oggettiche non appartengono ad A. Suggerimento: se esistesse questo insieme, allora la sua unione con Asarebbe . . .J.4. Provare, per arbitrari insiemi S ed A che S r (S rA) = S ∩A. Suggerimento: una volta chesi sia osservato che S ∩A ⊆ S e S rA = S r (S ∩A), la dimostrazione e quasi completa.J.5. Anche il principio del terzo escluso e quello di non contraddizione hanno una traduzione in-siemistica: per ogni insieme S ed ogni sua parte A si ha A ∪ (S r A) = S e A ∩ (S r A) = ∅.Verificarlo. Queste formule restano valide senza l’ipotesi che A sia contenuto in S?J.6. Dedurre da una delle tautologie proposte nell’Esercizio E.8 la formula:

(∀A,B,C)((A ⊆ B ∩ C) ⇐⇒ ((A ⊆ B) ∧ (A ⊆ C))

).

La formula analoga, con ∪ e ∨ al posto di ∩ e ∧, non vale. Come mai? (Riguardare tuttol’Esercizio E.8).