Logica Matematica Corso A - Altervista...quello della logica matematica (= logica formale moderna)....

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Logica Matematica Corso A Corso di Laurea in Informatica Anno 2002-03

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Logica MatematicaCorso A

Corso di Laurea in Informatica

Anno 2002-03

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Indice

Indice i

1 Introduzione 1

2 Dal linguaggio naturale alla logica 32.1 Esercizi 7

3 Logica proposizionale 103.1 Connettivi 103.2 Sintassi 10

3.2.1 Il linguaggio proposizionale 113.2.2 Analisi sintattica 133.2.3 Esercizi 20

3.3 Semantica 223.3.1 Tavole di verita 233.3.2 Esercizi 263.3.3 Validita e conseguenza 263.3.4 Esercizi 31

3.4 Sull′implicazione 33

4 Insiemi e algebre di Boole 364.1 Variabili 364.2 Algebra degli insiemi 374.3 Algebre di Boole 47

4.3.1 Esercizi 494.4 Algebra delle proposizioni 504.5 Rapporti tra proposizioni e insiemi 56

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5 Relazioni 605.1 Prodotto cartesiano 605.2 Relazioni 61

5.2.1 Esercizi 645.3 Relazioni d′ordine 655.4 Relazioni di equivalenza 695.5 Funzioni 71

6 Forme normali 756.1 Definibilita dei connettivi 75

6.1.1 Esercizi 776.2 Forme normali disgiuntive 776.3 Forme normali congiuntive 796.4 Esercizi 83

7 Dimostrazioni 867.1 Dimostrazioni dirette 867.2 Distinzione di casi 907.3 Sillogismo disgiuntivo 937.4 Contrapposizione e Modus tollens 957.5 Dimostrazioni per assurdo 967.6 Dimostrazioni in avanti e all′indietro 102

8 Alberi di refutazione 1048.1 Il metodo 1048.2 Correttezza e completezza 1108.3 Forme normali 1148.4 Esercizi 115

9 Variabili e quantificatori 117

10 Linguaggi predicativi 12210.1 Alfabeto 12210.2 Termini e formule 12310.3 Variabili libere e vincolate 13110.4 Interpretazioni 13410.5 Sui quantificatori ristretti 13710.6 Esercizi 138

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11 Leggi logiche 14011.1 Esercizi 147

12 Quantificatori e dimostrazioni 148

13 Sillogismi 15713.1 Sillogismi categorici 15813.2 Diagrammi di Venn 167

14 Alberi di refutazione 17214.1 Regole per i quantificatori 172

14.1.1 Esercizi 17814.3 Applicazione ai sillogismi 178

15 Il principio di induzione 18315.1 I numeri naturali 18315.2 Il principio di induzione 18615.3 L′induzione empirica 19215.4 Il ragionamento induttivo 19515.5 Esercizi 19815.6 Definizioni ricorsive 201

15.6.1 Esercizi 20715.7 Il principio del minimo 20915.8 Varianti dell′induzione 21615.9 Errori e paradossi 22115.10 Definizioni induttive 222

15.10.1 Esercizi 230

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1 Introduzione

Lo scopo di questo corso e quello di rendere familiari con le forme di ra-gionamento tipiche degli argomenti matematici; in informatica in particolareinteressano soprattutto quelli che mirano a trovare la soluzione di un prob-lema, a dimostrare che e una soluzione e a presentarla come un algoritmo.

Un algoritmo e un insieme articolato e connesso di istruzioni per risolvereun problema; gli algoritmi non sono scritti in un linguaggio di program-mazione, ma inizialmente nel linguaggio matematico o addirittura in quellonaturale, e in questo devono essere formulati e riconosciuti tali, prima che laloro descrizione guidi alla traduzione nei relativi programmi.

La maggior parte degli algoritmi che sostengono le prestazioni dei cal-coltori non sono numerici ma riguardano manipolazioni di simboli (ad es-empio l’ordinamento di una lista, o la fusione di due liste in una), quindila prima consapevolezza - e competenza - da acquisire e che il linguaggiomatematico non e solo quello dei numeri, ma abbraccia qualsiasi argomentoche si possa riferire ad elementi strutturati.

I ragionamenti relativi devono avere ed hanno lo stesso rigore di quellinumerici, e si svolgono con l’ausilio di un simbolismo appropriato, che equello della logica matematica (= logica formale moderna).

In vista della precisione richiesta, che non ammette licenze ne eccezioni,e bene realizzare che ogni ragionamento si puo rappresentare in forme stan-dardizzate di passaggi, e imparare a farlo, usando regole logiche e la proprietafondamentale dei numeri naturali che e il principio di induzione.

Il corso e l’equivalente di quelli che nelle universita americane si chiamanodi Introduction to Proofs , che contengono in genere anche elementi di matem-atica discreta (strutture finite, combinatoria). Tali corsi sono concepiti comeponte tra la scuola secondaria e il college, rivolti a studenti che hanno ap-preso la matematica come un insieme di ricette e di calcoli, senza aver maiimparato a seguire e tanto meno a fare una dimostrazione.

Nella scuola italiana qualche esperienza con le dimostrazioni si acqui-sisce con la geometria, ma limitatamente alle sue costruzioni e senza ap-profondire le ragioni di tale forma di ragionamento tipicamente matematica.Ne tale problema sara indagato in questo corso introduttivo: lo studio delledimostrazioni e l’obiettivo della familiarita con esse sono perseguiti non invista di spiegare il senso dell’impostazione deduttiva delle teorie, ma solo perabituare a vedere le connessioni tra i vari risultati, la loro mutua dipendenzae derivabilita, il che aiuta anche a ricordarli meglio.

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Scrivere dimostrazioni presuppone comunque la comprensione degli argo-menti trattati, e costituisce quindi un’occasione di ripasso di nozioni elemen-tari di aritmetica che sono alla base del pensiero informatico.

Nel testo, il segno !!! a margine segnala che si deve prestare particolareattenzione. !!!

I riferimenti in nota del tipo “Horstmann, p. 186” rimandano al testo delcorso di Programmazione C. S. Horstmann, Java 2 .

Le parti scritte in corpo minore sono letture con informazioni integrative.

Il segno 2 e usato per indicare la fine di una dimostrazione, al posto deltradizionale QED.

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2 Dal linguaggio naturale alla logica

La prima competenza che bisogna acquisire e quella della formalizzazione,ovvero della traduzione di frasi della lingua naturale, o del gergo matematico- misto di formule e di parole - in espressioni di un linguaggio semplificato edalla sintassi precisa.

La semplificazione e guidata dalla volonta di restringersi ad espressionimatematiche o comunque di carattere logico. Non si considerano quindi frasicon indicatori di tempo e luogo (tempi dei verbi, avverbi di tempo, luogo emodo). Non si considerano espressioni di comando o di interrogazione, masolo frasi dichiarative. Ci si riduce, come primo livello di semplificazione, afrasi elementari che esprimono fatti, e a loro combinazioni mediante particellelogiche.

Le particelle logiche della lingua italiana sono parole come “e”, “oppure”,“se” e altre, che collegano frasi di senso compiuto. Nella lingua italianaqueste parole da una parte sono polivalenti e ambigue, hanno diversi sensi- in generale discriminati dal contesto - e dall’altra si presentano in tanteversioni equivalenti.

La congiunzione “e” puo ad esempio essere resa da una virgola, da “eanche”, da “ma” e altre espressioni. Il senso avversativo di “ma” e uno degliaspetti che vengono lasciati cadere nel passaggio ad un linguaggio formaliz-zato, in quanto esprime un’aspettativa soggettiva. La congiunzione e resaanche da costrutti piu complicati, come “sia . . . sia”: “vado sia che piova siache faccia bel tempo” significa “se fa bel tempo vado, e se piove vado”, magaricon l’aggiunta di un “ugualmente” che di nuovo esprime una determinazionesoggettiva.

La stessa congiunzione talvolta esprime qualcosa di piu o di diverso dallasemplice affermazione di entrambe le proposizioni congiunte; talvolta puosignificare “e poi”, come in “si sposarono e vissero felici”; talvolta significa“e quindi, come in ”si immerge una cartina di tornasole, e diventa rossa” (sequesta frase e intesa non come una descrizione di avvenimenti, nel qual caso“e” significa “e dopo”, ma come come una caratterizzazione di particolarisostanze).

La disgiunzione, “o” o “oppure”, talvolta ha un senso debole (“A o Bo tutt’e due”), talvolta un senso esclusivo (“A o B ma non tutt’e due”).L’affermazione “piove o c’e il sole” e compatibile con la situazione in cuipiove da una nuvola anche se c’e il sole. Il latino aveva due parole diverse“vel” e “aut”, ma la distinzione non e rimasta nelle lingue moderne. La

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differenza non sempre e espressa dalla semplice ripetizione di “o” (“o A oB”) ma piu spesso dall’enfasi della pronuncia; il tono e il contesto devonoessere tenuti presenti per capire il significato inteso. C’e voluto del tempoper tornare a riconoscere due particelle diverse:

Alcuni dicono che per la verita di una disgiunzione si richiedesempre che uno dei disgiunti sia falso, perche se entrambi fosseroveri non sarebbe una vera disgiunzione, come dice Boezio. Questopero non mi piace. In realta io dico che se entrambe le parti diuna disgiunzione sono vere, l’intera disgiunzione e vera (WalterBurleigh, De Puritate, XCI, 3-19, XIV sec .)

La disgiunzione in italiano talvolta e resa con “ovvero”, ma questa parolasignifica anche “cioe”, “vale a dire”.

Qualche volta la stessa frase puo essere espressa sia con la “e” che conla “o”. Si puo dire equivalentemente sia “Tutti, bianchi o neri, hannoun’anima”, sia “Tutti, bianchi e neri hanno un’anaima”. L’affermazione“mele e pere sono frutti” vuole anche dire che “se si prende una mela ouna pera, si ha un frutto”.

La negazione di una frase si realizza in diversi modi, di solito con laparticella “non”, inserita pero (o soppressa) in vari modi nella frase da negare,con diversi costrutti che coinvolgono altre parole, in particolare i verbi. Da“piove” a “non piove”, o “non e vero che piove”; da “qualche volta piove” a“non piove mai”; da “piove sempre” a “qualche volta non piove”; da “nonama nessuno” a “ama qualcuno”, da “e bello” a “e brutto”, e cosı via. Pernegare “non piove” non si dice “non non piove” ma “piove” o “non e veroche non piove”.

La parola “se” e un’altra particella dai molteplici sensi, e dalle molteplicirese, ad esempio con “B, se A”, “A solo se B”, “se A allora B”, “A implica !!!B, “A, quindi B” - ma “quindi” ha anche un significato temporale, come“poi”.

Quando si afferma “se A allora B”, A e detta condizione sufficiente perB, e B condizione necessaria per A. “A e condizione sufficiente per B” e unaltro modo di esprimere “se A allora B”.

Al “se . . . allora” sara dedicata una discussione speciale per la sua im-portanza rispetto all’inferenza logica.

In considerazione di queste ambiguita e molteplicita di espressione, unprimo passo e quello di introdurre una sola versione fissa delle particelle

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logiche, sia come simboli che come significati; fatto questo tuttavia, la com-petenza piu importante consiste poi nel saper tradurre le frasi della linguanaturale, disambiguandole quando necessario e possibile, e trovando la ver-sione formale corrispondente.

Tale standardizzazione e necessaria per poter comunicare con le macchine;ma prima di parlare alle macchine occorre parlare ad altre persone e a sestessi per costruire gli algoritmi. Nell’apprendere a formalizzare si deve ancheraffinare la propria logica naturale.

Tuttavia non esiste un elenco completo di quelle che nei linguaggi nat-urali si riconoscono come particelle logiche. Non abbiamo menzionato adesempio “ne . . . ne”, o “a meno che”1. Qualche volta, parole che non sem-brano particelle logiche possono essere usate in questo modo, e lo si riconoscenella formalizzazione: “quando” e di solito una determinazione temporale,ma “quando piove, prendo l’ombrello” puo essere reso da “se piove, prendol’ombrello”.

Nell’ottica della formalizzazione, chiedere cosa significa “quando piove,prendo l’ombrello” non e altro che la richiesta di tradurre la frase in un’altrain cui compaia una particella logica (una di quelle riconosciute tali) e scom-paia “quando”; cosı si vede subito a quale delle particelle note la parola eequivalente; ma non sempre e evidente una possibile riduzione di una frasead un’altra, ne sempre una sola.

Esistono peraltro parole di difficile catalogazione, che sembrano particellelogiche in quanto legano due frasi, ma hanno sfumature che si perdono nellaformalizzazione: ad esempio “siccome piove, prendo l’ombrello”, o “prendol’ombrello perche piove” potrebbe essere espressa dall’asserzione unica “lapioggia e la causa del mio prendere l’ombrello”, che coinvolge pero la deli-cata parola “causa”; la frase contiene tuttavia una determinazione temporale(“siccome sta piovendo”), o anche una qualitativa (con un implicito riferi-mento forse a un particolare tipo di pioggia - a dirotto) che non la rende deltutto equivalente a “quando piove, prendo l’ombrello”.

Esistono parimenti frasi di difficile interpretazione; la stessa “siccomepiove, prendo l’ombrello”, o “poiche piove, prendo l’ombrello” invece cheuna frase puo essere considerata un argomento, poiche in essa si affermaun fatto, che piove, oltre a un legame condizionale. Potrebbe corrispondere

1Si noti l’uso della “o” nella nostra frase, di nuovo scambiabile con “e”: si voleva direche non abbiamo menzionato “ne . . . ne” e non abbiamo menzionato “a meno che”; l’usodi “o” suggerisce un’altra versione equivalente: “una particella che sia “ne . . . ne” o “ameno che” non l’abbiamo menzionata”.

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ad un esempio di modus ponens (si vedra a suo tempo): “Se piove, prendol’ombrello. Piove. Quindi prendo l’ombrello”.

Useremo simboli speciali per rappresentare alcune particelle logiche chesembrano di uso piu comune, almeno nei discorsi meno sofisticati. Per questesi potrebbero usare parole della lingua italiana - o comunque di una linguanaturale - fissando per convenzione in modo rigido il loro significato, comesi fa ad esempio quando per la congiunzione si usa and, in informatica.Quando si usano and, e simili, si vuole che il linguaggio sia friendly percheci si deve concetrare su altro; noi invece vogliamo concentrarci proprio suquelle parole, per cui sono meglio simboli nuovi, insoliti, che sorprendano; lascelta di simboli artificiali e piu vantaggiosa anche perche, procedendo, questisimboli non saranno soltanto abbreviazioni, ma insieme ad altri diventerannouna struttura che e essa stessa, se si vuole, oggetto di una teoria matematica,con suoi problemi specifici.

Ad esempio una prima questione comprensibile anche solo sulla base diquanto detto finora e se le particelle scelte sono anche fondamentali, e inche senso, o se sono sufficienti, o quante ce ne potrebbero essere. Un’altrariguarda l’equivalenza, affermata per alcuni esempi precedenti, tra frasi di-verse espresse con particelle diverse.

Queste strutture forniranno un ricco campo di scrittura di algoritmi nonnumerici ma simbolici, applicati a liste o alberi o altre strutture di dati,

Il significato delle particelle logiche e lo stesso a prescindere dal lessico, eper studiarlo occorre non fissarsi su un linguaggio particolare; la trattazionedeve valere per tutti, quindi useremo lo stesso artificio matematico di us-are lettere (come p, q e altre) per indicare entita non precisate, che nelleapplicazioni dovranno essere asserzioni sensate.

Oggetto di studio saranno dunque configurazioni simboliche astratte deltipo “p e non q”2 che non rientrano apparentemente nell’esperienza comune;si consideri tuttavia che le persone sono in grado di pronunciare tutte le frasidel tipo “c’e una tavolo e non c’e una sedia”, “c’e una quadrato e non c’eun tavolo”, . . . e cosı via per tutte le circa diecimila parole del lessico di unapersona (colta). Il numero di queste e di tutte le altre frasi (come “se c’eun tavolo non c’e una sedia”) supera il numero dei neuroni del cervello, percui, anche ammettendo - che non e - che ogni frase richieda un neurone ouna combinazione di neuroni per la memorizzazione, non si puo pensare chetutte le frasi della competenza linguistica siano immagazzinate in memoria;

2Al posto di “e” e “non” ci saranno i simboli speciali corrispondenti.

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questo significa che, insieme al lessico, sono immagazzinati invece schemi chepossiamo immaginare di rappresentare (esternamente) come “p e non q”, eche questi fanno parte dell’inconscio cognitivo3. Si tratta solo di diventarneconsapevoli. L’oggetto di studio della logica sono tali schemi di frasi, non lefrasi, e per questo si parla di logica formale.

La formalizzazione del linguaggio naturale non e qualcosa di meccanicoe di compiuto per l’intera gamma delle potenzialita espressive. Esistonoargomenti controversi e ancora oggetto di discussioni e di proposte per unaformalizzazione soddisfacente - che rientrano in studi piu avanzati.

La restrizione alle frasi dichiarative e uno di questi, dal momento che icomandi ad esempio hanno un ruolo apparentemente importante nella pro-grammazione.

Abbiamo visto qualche difficolta con “siccome”. Allo stesso modo e dis-cutibile se “e necessario che . . . ” sia da considerare una particella logica: “enecessario che al giorno segua la notte”, o “al giorno segue necessariamente lanotte”, non sembra equivalente a “al giorno segue la notte”, e neanche a “algiorno segue sempre la notte”, che e equivalente alla precedente se “segue”,privo di determinazioni temporali, assorbe il “sempre”; anche “necessaria-mente 2 + 2 = 4” forse dice di piu di “2 + 2 = 4”, ma non e del tutto chiaroche cosa.

Ancora, e possibile sostenere che il costrutto “e vero che . . . ” e pleonas-tico, in quanto “e vero che piove” e equivalente a “piove”, ma e altrettantopossibile sostenere che non e possibile farne a meno.

2.1 Esercizi

1. Esaminare i seguenti discorsi (e altri tratti a scelta da fonti letterarieo giornalistiche) ed individuare le particelle logiche e le frasi elemen-tari (racchiudendole tra parentesi e se necessario riformulando in modoequivalente i discorsi e le loro frasi).

Se non e possibile prevedere tutte le azioni delle persone al-lora o l’universo non e deterministico o le persone non sonoperfettamente razionali. Chi sostiene il determinismo deve

3Non freudiano. Significa che nel cervello e memorizzato (hardwired) uno schema delgenere; non sappiamo come, ma di esso diventiamo coscienti attraverso l’uso delle variabili.

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dunque sostenere che se le azioni delle persone sono prevedi-bili allora le persone sono perfettamente razionali.

Se non e possibile prevedere tutte le azioni delle persone al-lora o l’universo non e deterministico o le persone non sonoperfettamente razionali. Chi sostiene il determinismo devedunque sostenere che se le azioni delle persone non sonoprevedibili allora le persone non sono perfettamente razion-ali.

Suggerimento. Introdurre abbreviazioni per le frasi che si ripetono, inmodo da arrivare, nel caso del primo brano, a

Se non Prev allora o non Det o non Raz. Chi sostiene Detallora deve sostenere che se Prev allora Raz

e ancora, togliendo il “chi sostiene”, a

Se non Prev allora o non Det o non Raz. Se Det allora (sePrev allora Raz).

Le abbreviazioni aprono la strada all’uso delle lettere per indicareproposizioni; quando si saranno anche introdotti simboli per le par-ticelle logiche e se ne saranno viste alcune leggi, sara anche facile es-primere un giudizio sulla corettezza o meno dell’argomento.

Altri esempi:

Se le persone sono interamente razionali, allora o tutte leazioni di una persona possono essere previste in anticipoo l’universo e essenzialmente deterministico. Non tutte leazioni di una persona possono essere previste in anticipo.Dunque, se l’universo non e essenzialmente deterministico,allora le persone non sono interamente razionali.

Il numero di queste e di tutte le altre frasi supera il numerodei neuroni del cervello, per cui, anche ammettendo - che none - che ogni frase richieda un neurone o una combinazione di

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neuroni per la memorizzazione, non si puo pensare che tuttele frasi della competenza linguistica siano immagazzinate inmemoria.

2. Con il costrutto “se . . . allora” e le frasi “dico x” e “x e una verita”esprimere: “dico tutta la verita e solo la verita”.

3. Scrivere con le giuste particelle logiche:

a) non c’e fumo senza arrosto

b) fumo vuol dire fuoco.

4. Trovare altre particelle logiche della lingua italiana, oltre a quelle men-zionate nel testo.

5. Discutere se “cioe” e una particella logica o no, e a quali altre e even-tualmente equivalente, in diversi contesti.

6. Cosa significa per voi “necessariamente 2 + 2 = 4”?

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3 Logica proposizionale

3.1 Connettivi

Useremo per le particelle logiche i simboli:

¬ per la negazione∧ per la congiunzione∨ per la disgiunzione inclusiva⊕ per la disgiunzione esclusiva→ per il condizionale “se . . . allora”↔ per il bicondizionale “se e solo se”

senza escluderne a priori altri, e li chiameremo connettivi proposizionali. Lanegazione e un connettivo unario (cioe agisce su una proposizione), gli altriindicati sono connettivi binari (cioe connettono due proposizioni).

Introdotti i simboli per i connettivi, occorre dare le loro precise regoled’uso, sia dal punto di vista sintattico (dove scriviamo ad esempio ¬ performare la negazione di un’asserzione?), sia dal punto di vista semantico(come interpretiamo il significato delle frasi composte, in funzione delle frasicomponenti?).

3.2 Sintassi

La necessita di fornire regole rigide per la formazione delle frasi e data dallavolonta di evitare le ambiguita possibili nelle lingue naturali:

la vecchia porta la sbarra

e un esempio di frase essenzialmente ambigua, se non sono indicati quali sonosoggetto e verbo. Si tratta di un’ambiguita che e risolvibile nel contesto dellastoria raccontata, e nel parlato soprattutto con le pause.

Altre ambiguita si riferiscono proprio alla distribuzione dei connettivi;supponiamo ad esempio di leggere un problema:

x2 + 4x + 3 < 0 e x < −3 o x > −2.

Lo studente tende a rispondere “risolvo l’equazione, poi interseco con x < −3e unisco con x > −2”, ma e l’ordine di queste operazioni che conta, che nonsempre e quello del first come, first served nella scrittura del problema.

Si puo intendere che si chieda quali siano i valori per cui o si ha che

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x2 + 4x + 3 < 0 e x < −3

o si ha che

x > −2;

si puo anche intendere che si chieda quali siano i valori per cui si ha

x2 + 4x + 3 < 0

ma ristretti ad essere

x < −3 o x > −2.

Nel primo caso la risposta e (−2, +∞), nel secondo caso e (−2,−1).Naturalmente l’ambiguita, che nel parlato si risolve con le pause, nella

scrittura matematica si risolve con le parentesi, il primo caso essendo

(x2 + 4x + 3 < 0 e x < −3) o x > −2

e il secondo caso

x2 + 4x + 3 < 0 e (x < −3 o x > −2).

La stessa soluzione delle parentesi1 adotteremo per le formule logiche.

3.2.1 Il linguaggio proposizionale

Le frasi di ogni linguaggio sono stringhe2 di simboli dell’alfabeto. L’alfabetodel linguaggio proposizionale contiene, oltre ai connettivi, le parentesi sinistra“(” e destra “)”, e un insieme L di lettere proposizionali.

Tali lettere non le chiamiamo variabili, come talvolta si usa, perche il lorodominio di variabilita (le frasi) e troppo indefinito.

Le parole accettabili di questo alfabeto si chiameranno proposizioni , untermine tecnico per distinguerle dalle asserzioni dei linguaggi dotati di senso.Quello che importa delle proposizioni e solo la loro struttura formale, che poisi dovra riconoscere nelle frasi dei linguaggi naturali o matematici, quando

1Le parentesi sono state anche aggiunte al linguaggio naturale, ma solo nella scrittura- almeno la saggistica, meno la letteratura - non nel parlato.

2Con “stringa” s’intende o lista o successione finita. Non e necessario entrare nei parti-colari del tipo di rappresentazione dei dati che si sceglie, finche non si deve implementare.

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il linguaggio proposizionale sara interpretato sostituendo alle lettere frasirelative ad un precisato argomento.

Non tutte le stringhe di simboli dell’alfabeto sono ammesse come propo-sizioni. Una generica stringa, anche illecita, e chiamata “parola”.

La definizione dell’insieme P delle proposizioni stipula innanzi tutto che:

Per ogni lettera p ∈ L, (p) e una proposizione atomica

(cioe non ulteriormente analizzata e scomposta nel contesto della trattazione).Per il resto della definizione, occorre parlare di proposizioni qualunque e

della loro composizione; e quindi necessario avere delle variabili che varianosull’insieme delle proposizioni, e che si chiamano metavariabili3; useremo lelettere A,B, . . .

Si danno quindi le seguenti clausole:

1 Se A e una proposizione, anche (¬A) lo e.

2 Se • e un connettivo binario, e se A e B sono proposizioni, anche (A •B)lo e.

Le clausole della definizione sono anche regole di costruzione. S’intende cheogni proposizione si ottiene applicando un numero finito di volte le clausoledella definizione.

Esempi

1. (p∩ q) non e una proposizione perche ∩ non e un elemento dell’alfabeto4.

2. p ∧ q non e una proposizione, perche:

Ogni proposizione contiene almeno una parentesi5.

3La ragione di questo termine, non usato altrove in matematica, e che queste variabiliindicano elementi di una struttura che e anch’essa un linguaggio, e che contiene a suavolta variabili (le lettere) che devono essere interpretate su frasi; “meta” significa “sopra”,“oltre”, e deriva dal greco, dove significava piuttosto “dopo”; ma dopo che sono statichiamati “metafisica” i libri di Aristotele che seguivano quelli di fisca, e venuta questavariante di significato.

4Per i linguaggi formali si chiede sempre che l’alfabeto e le sue diverse categorie disimboli siano insiemi decidibili, cioe tali che l’appartenenza o meno ad essi di un simbolopossa essere decisa da un algoritmo.

5Tutte queste proprieta diventeranno esercizi sul principio di induzione nel paragrafo15.

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3. )p( non e una proposizione, come non lo sono p o )p), perche:

Ogni proposizione inizia con una parentesi ( e termina con una parentesi).

4. ((p) → (q)) e una proposizione perche ottenuta dalle proposizioni atom-iche (p) e (q) con una applicazione della clausola induttiva relativa a→.

5. (¬((p) → (q))) e una proposizione perche ottenuta dalle proposizioniatomiche (p) e (q) con una prima applicazione della clausola induttivarelativa a → e una seconda applicazione della clausola relativa a ¬.

6. ((p) non e una proposizione perche:

In ogni proposizione il numero di parentesi sinistre e uguale al numerodi parentesi destre.

7. (pq) non e una proposizione perche non e atomica e non contiene nessunconnettivo.

Se una proposizione e della forma (¬A) o della forma (A •B), ¬ e • sonorispettivamente il suo connettivo principale, e A e B le sottoproposizioniimmediate.

Si dice che (¬A) e una negazione, citando il suo connettivo principale, lanegazione di A - e si legge “non A”; si dice che (A ∧B) e una congiunzione,la congiunzione di A e B - e si legge “A e B”; A e B sono le proposizionicongiunte in (A∧B); analogamente per la disgiunzione6 (A∨B) - che si legge“A o B”; (A⊕B) si puo leggere “o A o B”; (A → B) si dice un condizionale- e si legge “se A allora B”; A si chiama antecedente, e B conseguente;(A ↔ B) si dice bicondizionale - e si legge “A se e solo se B”.

3.2.2 Analisi sintattica

Una proposizione e una lista di simboli, ma e anche passibile di una rapp-resentazione con una diversa struttura. A ogni proposizione e associato unalbero di costruzione, o di analisi sintattica7, che e un albero etichettato finitobinario.

6Chiameremo ∨ semplicemente disgiunzione, e ⊕ disgiunzione esclusiva o forte.7In inglese parsing .

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Un albero binario8 e un insieme parzialmente ordinato9 X con una re-lazione ¹ con le seguenti proprieta. ¹ e una relazione riflessiva, transitivae antisimmetrica10. Gli elementi dell’albero si chiamano nodi . Se x ¹ y, sidice che y e un successore, o un discendente di x. Esiste un nodo minimor tale che r ¹ x per ogni nodo di X, e si chiama radice. I nodi a tali chenon esiste b 6= a per cui a ¹ b si chiamano foglie11. Ogni nodo che non siauna foglia ha uno o al massimo due successori immediati12, dove si dice cheb e un successore immediato di a se a ¹ b, a 6= b e non esiste un c tale chea ¹ c ¹ b, con c 6= a e c 6= b.

La rappresentazione usuale di un albero binario e di questo tipo:

•↙ ↘• •

↙ ↘ ↓• • •

↓•

dove con la freccia si indica il successore immediato, la radice e in alto el’albero cresce verso il basso.

Un ramo e un insieme totalmente ordinato13 di nodi che va dalla radicea una foglia. La sua lunghezza e il numero di nodi che vi appartengono.L’altezza dell’albero e la massima lunghezza dei suoi nodi.

Un albero si dice etichettato se ad ogni nodo e associato un elemento diqualche insieme prefissato, che si chiama etichetta.

8Esistono definizioni leggermente diverse, piu o meno generali, ad esempio con una opiu radici; diamo quella che serve ai nostri scopi.

9Presenteremo in seguito la definizione di relazione d’ordine e della terminologia con-nessa; per ora e sufficiente la rappresentazione data sotto.

10Questo significa che x ¹ x, che se x ¹ y e y ¹ z allora x ¹ z e che x ¹ y e y ¹ ximplicano x = y.

11Esistono sempre se l’albero, ovvero l’insieme dei nodi X, e finito.12Un’altra terminologia e “figli”. Se ci sono due figli, s’intende che sono esplicitamente

distinti il primo e il secondo - sulla pagina, a sinistra e a destra.13Per ora basti intendere che ogni nodo del ramo salvo l’ultimo ha esattamente un

successore immediato.

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L’albero sintattico di una proposizione e definito in questo modo:

• la radice e etichettata con la proposizione data

• ogni nodo ha nessuno, uno o due successori immediati a seconda chela proposizione etichetta del nodo sia atomica, o della forma (¬A), odella forma (A • B). Nel secondo caso il successore e etichettato conA, nel terzo caso i due successori sono etichettati rispettivamente conA e con B.

Si chiama altezza della proposizione l’altezza del suo albero di costruzione.

Esempio L’albero per (((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))) e il seguente:

(((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p)))↙ ↘

((p) ∧ (¬(q))) (¬(p))↙ ↘ ↓

(p) (¬(q)) (p)↓

(q)

La sua altezza e quattro.

Le etichette dei nodi dell’albero di costruzione di una proposizione sono lesue sottoproposizioni . Le lettere che compaiono nelle (proposizioni atomichenelle) foglie sono le lettere che occorrono nella proposizione; si dice che unsimbolo occorre in una proposizione se e un elemento della lista (che e laproposizione); le occorrenze di un simbolo in una proposizione sono i variposti della lista in cui il simbolo si presenta. Se p, . . . , q sono le lettere cheoccorrono nella proposizione A, si scrive anche A[p, . . . , q]. Qualche voltasi usa questa notazione anche se p, . . . , q sono solo alcune delle lettere cheoccorrono in A, o viceversa se le lettere che occorrono in A sono incluse trale p, . . . , q; invece di introdurre notazioni apposite, la differenza sara chiaradal contesto o da esplicite precisazioni.

Le parentesi sono essenziali per individuare il connettivo principale di unaproposizione, e quindi per costruire il suo albero sintattico. Per individuareil connettivo principale, si usa un contatore di parentesi14.

14Horstmann, p. 76.

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Il contatore scansisce la lista da sinistra verso destra, e scatta di +1quando incontra una parentesi sinistra, di −1 quando incontra una parentesidestra. Condizione necessaria affinche una parola sia una proposizione e cheil contatore, inizializzato a 0, torni a 0 solo alla fine della parola. Perche poi !!!la parola sia una proposizione bisogna che gli altri simboli siano distribuitiin mezzo alle parentesi in modo corretto.

Ad esempio per

(((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p)))

il contatore assume i valori:

0 1 2 3 2 3 4 3 2 1 2 3 2 1 0.

Per individuare il suo possibile connettivo principale, si elimina la primaparentesi, e si mette di nuovo in funzione il contatore su

((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p)))

notando che esso assume questa volta i valori

0 1 2 1 2 3 2 1 0

quando arriva alla fine di

((p) ∧ (¬(q))).

Questa parola e candidata ad essere una sottoproposizione; nel prossimoposto a destra compare un connettivo ∨, candidato a essere il connettivoprincipale, e se anche

(¬(p))

e una parola si sara trovato che la parola data e una disgiunzione di ((p) ∧(¬(q)) e di (¬(p)).

Poiche quest’ultima si vede facilmente che e una proposizione, proseguiamol’analisi di

((p) ∧ (¬(q))).

Il contatore applicato a questa assume i valori

0 1 2 1 2 3 2 1 0

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e applicato a

(p) ∧ (¬(q)))

i valori

0 1 0

alla fine di (p), individuando a destra il connettivo ∧, che lega (p) e (¬(q)).In questo modo si arriva a costruire l’albero sintattico.

Alcune parentesi sono sovrabbondanti, ma solo quelle della coppia piu es-terna e quelle nelle proposizioni atomiche, dove sono usate sia per uniformitasia per sottolineare la differenza tra una lettera come elemento dell’alfabetoe la lettera come proposizione15. Ma ora per comodita di scrittura e let-tura e meglio ridurre il numero di parentesi con le seguenti convenzioni:non si scrivono le parentesi intorno alle lettere nelle proposizioni atomiche,non si scrivono le parentesi piu esterne, e si eliminano alcune coppie di par-entesi intorno ad alcune sottoproposizioni, con un criterio sufficiente a farleripristinare in modo corretto formulato nel seguente modo.

Si ordinano per priorita i connettivi secondo le seguente graduatoria:

¬∧∨⊕→↔

Data quindi una parola le cui parentesi non rispettano le condizioni peressere una proposizione (sı pero la parita, il fatto che il numero di parentesisinistre sia uguale a quello delle parentesi destre, il fatto che in ogni puntoche non sia l’ultimo il numero di sinistre e maggiore o uguale di quello delledestre, e tutte le proprieta che si mantengono quando si eliminano alcunecoppie di parentesi corrispondenti16), le parentesi si rimettono secondo questoprocedimento: prima si rimettono le parentesi a sinistra e a destra delle

15Tra alfabeto e parole ce una differenza di tipo logico. Nei linguaggi naturali si presen-tano alcune eccezioni, come le vocali “e” e “o” usate come parole, ma e raro che si parlidell’alfabeto; quando lo si fa, si scrive appunto “e” e non e.

16In questo caso, in seguito, la chiameremo ancora proposizione.

17

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lettere17; quindi si prende in esame la negazione, se occorre nella parola; siesamina un’occorrenza della negazione che non abbia immediatamente allasua destra un’altra negazione18. Alla sua destra c’e una parentesi sinistra- altrimenti si puo dire che quella parola non proviene dalla eliminazionedi coppie di parentesi da una genuina proposizione (brevemente, che none una proposizione). Sia σ la parola alla sua destra che termina con laparentesi destra che chiude la parentesi sinistra. Per trovare la parentesidestra che “chiude” la parentesi sinistra si usa di nuovo il contatore in modo !!!ovvio. Allora si rimette una parentesi sinistra alla sinistra della negazione,se non c’e gia, e una parentesi destra a destra di σ, se non c’e gia, ottenendo(¬σ); si ripete per ogni occorrenza di ¬, quindi si passa ai connettivi binarie per ciascuno di essi •, nell’ordine di priorita, si considerano le piu cortesottoparole σ e τ a sinistra e a destra di • che sono chiuse tra due parentesisinistre e destre, e si introduce una parentesi ( a sinistra di σ e ) a destra diτ , se non ci sono gia, ottenendo (σ • τ), e cosı via.

Per occorrenze dello stesso connettivo si conviene l’associazione a destra,cioe ad esempio con A → B → C si intende A → (B → C).

EsempiData p ∧ ¬q ∨ ¬p, la reintroduzione delle parentesi avviene attraverso

questa successione di passi:

1 (p) ∧ ¬(q) ∨ ¬(p)

2 (p) ∧ (¬(q)) ∨ (¬(p))

3 ((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))

4 (((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))).

Data p → ¬(q ∧ ¬¬r)

1 (p) → ¬((q) ∧ ¬¬(r))

2 (p) → ¬((q) ∧ ¬(¬(r)))

17Questo praticamente si puo fare anche alla fine, per non appesantire la scrittura, selo si fa del tutto.

18A parte questa condizione, l’ordine in cui si lavora sulle eventuali diverse occorrenzedella negazione non e rilevante; lo si puo anche fare in simultanea. Lo stesso vale per glialtri connettivi.

18

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3 (p) → ¬((q) ∧ (¬(¬(r))))

4 (p) → (¬((q) ∧ (¬(¬(r)))))

5 ((p) → (¬((q) ∧ (¬(¬(r))))))

oppure, per rendere piu chiara la lettura

1 p → ¬(q ∧ ¬(¬r))

2 p → ¬(q ∧ (¬(¬r)))

3 p → (¬(q ∧ (¬(¬r))))

4 (p → (¬(q ∧ (¬(¬r)))))

rimettendo infine le parentesi intorno alle lettere.Si noti che se fosse stata data p → ¬q ∧ ¬¬r la reintroduzione delle

parentesi avrebbe portato a una diversa proposizione: ((p) → ((¬(q)) ∧(¬(¬(r))))) (esercizio, e si confrontino i due alberi sintattici), per cui le dueparentesi lasciate in p → ¬(q ∧¬¬r) sono essenziali, se si vuole parlare della !!!proposizione ((p) → (¬((q) ∧ (¬(¬(r))))) .

Non e comunque necessario ne obbligatorio togliere tutte le parentesi;per agevolare la lettura, o all’inizio quando non si e ancora fatta esperienza,puo essere conveniente lasciarne alcune, che pure grazie alle convenzioni sipotrebbero eliminare. Cosı ad esempio si potra scrivere p → (q ∧ r) invecedi p → q ∧ r oppure (p ∨ q) → r invece di p ∨ q → r.

Le parentesi si rimettono solo se si ha necessita di capire quale e il con-nettivo principale, per svolgere l’analisi sintattica. Le parentesi esterne pos-sono tranquillamente essere tralasciate, finche la proposizione non deve esserecombinata con altre mediante qualche connettivo.

L’albero sintattico si puo costruire direttamente anche per le espressioniprive di tutte le parentesi, se si tiene presente la priorita dei connettivi. Ilconnettivo principale e sempre quello di priorita piu bassa. !!!

Esempio L’albero per p ∧ ¬q ∨ ¬p e il seguente, essendo ∨ il connettivoprincipale:

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p ∧ ¬q ∨ ¬p↙ ↘

p ∧ ¬q ¬p↙ ↘ ↓p ¬q p

↓q.

Le etichette sono diverse, ma l’albero e lo stesso della proposizione analizzatain precedenza.

Dal prossimo paragrafo, chiameremo “proposizioni” anche le parole ot-tenute da proposizioni per eliminazione di parentesi.

3.2.3 Esercizi

1. Discutere se le seguenti parole sono proposizioni:

(p ∧ (q)

(p)) ∧ q)

((p) ∧ q)

((p) ∧ (¬(q)))

((p) → ∧)

p

((p)).

2. Verificare quali delle seguenti parole sono proposizioni e quali no, costru-endo l’albero sintattico e spiegando dove eventualmente la costruzionefallisce e per quale ragione:

(¬(¬p))

((p) → ((q) ∨ (¬(r))))

(¬¬((p) → (q)))

((((p) → (q)) ∧ (p)) → (q))

((¬(p)) ∧ (q)) ∨ (r))

(((¬(p)) ∧ (q)) ∨ (r)).

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3. Dare ragioni per le seguenti proprieta (e si vedano poi gli esercizi in15.10.1):

Ogni proposizione ha lunghezza maggiore o uguale a 3.

In ogni proposizione non atomica occorre un connettivo.

In nessuna proposizione occorrono due connettivi consecutivi.

In nessuna proposizione occorre la sottosequenza (), ne )p.

In ogni proposizione la sua lunghezza (come lista) e maggiore della suaaltezza.

4. Una misura di complessita delle proposizioni e una funzione dalle propo-sizioni nei numeri naturali che soddisfa la condizione che la misura diuna proposizione e maggiore delle misure delle proposizioni compo-nenti, e le atomiche hanno tutte la stessa misura minima. Il numero(di occorrenze) dei connettivi e una misura di complessita, come lo sonola lunghezza (della stringa) e l’altezza (dell’albero sintattico).

Trovare la relazione tra il numero di occorrenze di connettivi e l’altezza.

Dimostrare con un controesempio che il numero di connettivi diversinon e una misura di complessita.

5. Eliminare le parentesi, applicando le convenzioni sulla priorita dei con-nettivi, dalle seguenti proposizioni:

((p) ∧ ((¬(q)) → (¬(p))))

((¬(¬(¬(p)))) ∨ ((p) ∧ (q)))

(((¬(p)) ∨ (¬(q))) ∧ ((¬(p)) ∨ (q)))

(((p)⊕ (¬(q))) → ((p) ∨ (¬(q)))).

6. Reintrodurre le parentesi nelle seguenti parole in modo da ottenere, sepossibile, proposizioni, o se no spiegare il perche:

¬¬p

¬p ∧ q ∨ r

p → q ∨ ¬r

(p → q) ∧ p → q

p → q ∧ p → q

21

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p ∨ q ∧ r → ¬p

p ∧ q ∧ r ∨ ¬r

p ∧ (→ r ∨ q)

p⊕ ¬q → ¬p⊕ q

p⊕ q ∨ r.

3.3 Semantica

La semantica ha a che fare con le interpretazioni, grazie alle quali le propo-sizioni vengono ad assumere un senso (che a noi non interessa, lo bypassiamo)e diventano vere o false. Tale attribuzione finale di valori di verita e per noil’operazione di interpretazione, che viene studiata in astratto per vedere seabbia proprieta generali, indipendenti dalle interpretazioni concrete.

I valori di verita saranno rappresentati dall’insieme19 {0, 1}. Ci si collocacon tale scelta nell’ottica della logica classica a due valori.

Nell’insieme {0, 1} e necessario introdurre un minimo di struttura20: lapiu per semple consiste in convenire che 0 < 1 e usare la sottrazione come se0 e 1 fossero numeri interi, con | x | a indicare il valore assoluto.

Un’interpretazione e una funzione21 i : L −→ {0, 1}; una valutazione euna funzione v : P −→ {0, 1} che soddisfa le seguenti condizioni22:

v((¬A)) = 1− v(A)v((A ∧B)) = min{v(A), v(B)}v((A ∨B)) = max{v(A), v(B)}v((A⊕B)) = | v(A)− v(B) |v((A → B)) = max{1− v(A), v(B)}v((A ↔ B)) = 1− | v(A)− v(B) | .

19Altre notazioni per i valori di verita sono {V, F}, {T, F}, {>,⊥}, True, False.20Vedremo in seguito che si puo considerare un’algebra di Boole.21La notazione con la freccia sara spiegata in seguito; per ora si intenda che a ogni

lettera corrisponde un valore di verita, e per v sotto che a ogni proposizione corrispondeo 0 o 1.

22Si noti che in v((¬A)) e in altre espressioni analoghe ci sono due tipi di parentesi, cheandrebbero tipograficamente distinte; quelle interne sono le parentesi della proposizione,quelle esterne servono per la notazione funzionale v(x).

22

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In alternativa, si considerano 0 e 1 come interi modulo23 2, {0, 1} = Z2 conle solite operazioni aritmetiche e si scrivono le condizioni:

v((¬A)) = 1− v(A)v((A ∧B)) = v(A) · v(B)v((A ∨B)) = (v(A) + v(B))− v(A) · v(B)v((A⊕B)) = v(A) + v(B)v((A → B)) = 1− v(A) · (1− v(B))v((A ↔ B)) = 1− (v(A) + v(B)).

Ogni interpretazione i si estende a una valutazione i∗ ponendo

i∗((p)) = i(p)

e definendo i∗ sulle proposizioni composte in modo da soddisfare le condizionidella definizione di valutazione.

Per ogni valutazione v il valore di verita di una proposizione A si ottieneapplicando ai valori delle sottoproposizioni immediate di A una funzione, chedipende dal connettivo principale di A.

3.3.1 Tavole di verita

Ad ogni connettivo e associata una funzione di verita, cioe una funzione da{0, 1}n in {0, 1}, dove n e il numero di argomenti del connettivo ({0, 1}n el’insieme delle n-uple di 0 e 1). Per il loro carattere finito queste funzionisono rappresentate da tabelle, che sono dette tavole di verita.

La tavola di verita della negazione e:

A ¬A

0 11 0

la tavola di verita della congiunzione:

23Per chi non sa cosa significa, sara spiegato in seguito.

23

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A B A ∧B

0 0 00 1 01 0 01 1 1

la tavola di verita della disgiunzione:

A B A ∨B

0 0 00 1 11 0 11 1 1

la tavola di verita della disgiunzione esclusiva:

A B A⊕B

0 0 00 1 11 0 11 1 0

la tavola di verita del condizionale:

A B A → B

0 0 10 1 11 0 01 1 1

e la tavola di verita del bicondizionale:

A B A ↔ B

0 0 10 1 01 0 01 1 1

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Quando si deve trovare il valore di verita di una proposizione, o di un nu-mero finito di esse, sotto un’interpretazione, e sufficiente considerare i valoriassunti dalle lettere che vi compaiono, quindi le interpretazioni diventanoassegnazioni di valori 0 o 1 ad un numero finito di lettere, e per ogni propo-sizione ce ne e un numero finito. Data una proposizione, il calcolo dei suoivalori di verita per ogni possibile interpretazione si puo organizzare in unatabella con i valori progressivi attribuiti alle sottoproposizioni (individuatedall’analisi sintattica), come nei seguenti esempi:

Se A e p ∧ ¬p → q:

p q ¬p p ∧ ¬p p ∧ ¬p → q

0 0 1 0 10 1 1 0 11 0 0 0 11 1 0 0 1

Se A e p ∨ r → ¬p ∧ (q → r):

p q r ¬p q → r ¬p ∧ (q → r) p ∨ r A

0 0 0 1 1 1 0 10 0 1 1 1 1 1 10 1 0 1 0 0 0 10 1 1 1 1 1 1 11 0 0 0 1 0 1 01 0 1 0 1 0 1 01 1 0 0 0 0 1 01 1 1 0 1 0 1 0

Tali tabelle si chiamano tavole di verita delle proposizioni.Come si vede dagli esempi, ci sono proposizioni che per ogni interpre-

tazione hanno il valore 1, altre che per alcune interpretazioni hanno il valore0 e per altre interpretazioni il valore 1. Si possono dare esempi di proposizioniche per ogni interpretazione assumono il valore 0 (esercizio).

Si ricordi che una proposizione, in quanto schema, non e ne vera ne falsa; !!!solo la sua tavola di verita completa spiega tutti i possibili modi in cui loschema puo realizzarsi nelle diverse interpretazioni.

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3.3.2 Esercizi

1. Costruire la tavola di verita delle proposizioni:

(p → p) → p

p → (p → p)

p ∨ q → p ∧ q

p ∨ (q ∧ r) → (p ∧ r) ∨ s

p → (q → p).

2. Dire quale e la disgiunzione usata nella programmazione, considerandoche ivi si adotta la valutazione pigra: “quando viene valutata una dis-giunzione, e la prima condizione e vera, la seconda condizione non vieneesaminata”24.

3. Trovare le tavole di verita corrispondenti a “a meno che”, “anche se”.

4. Scrivere la tavola di verita per le particelle logiche “ne . . . ne” e “non(e vero che) sia . . . sia . . . ”.

5. Costruire la tavola di verita per if . . . then . . . else.

Suggerimento. Si faccia attenzione che il costrutto if . . . then neilinguaggi di programmazione e usato piuttosto come↔; se lo statemente falso l’istruzione non viene eseguita: ad esempio se si esegue25

if importo ≤ saldo then saldo = saldo - importo,

“l’enunciato dell’assegnazione verra eseguito sole se l’importo da prel-evare e minore o uguale al saldo”.

Nell’esercizio, si consideri invece “se . . . allora . . . , altrimenti . . . ”.

3.3.3 Validita e conseguenza

Se i∗(A) = 1, si dice che A e vera nell’interpretazione i, o che i soddisfa A,o che i e un modello di A, e si scrive anche !!!

i |= A.

24Horstmann, p. 212.25Horstmann, p. 186.

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Se esiste almeno una i tale che i |= A, si dice che A e soddisfacibile, o(semanticamente) consistente. Se non esiste alcun modello di A, si dice cheA e insoddisfacibile, o (semanticamente) inconsistente, o contraddittoria, ouna contraddizione. Se per ogni i si ha i |= A, si dice che A e logicamentevalida, o logicamente vera, o una tautologia, e si scrive

|= A.

Si dice che B e conseguenza logica di A, o che A implica B, e si scrive

A |= B

se per ogni i, se i |= A allora i |= B. Si noti che, grazie alla tavola di veritadel condizionale,

Osservazione 3.3.1 Per ogni A e B,

A |= B se e solo se |= A → B.

Se A e A1 ∧ . . . ∧ An, A1 ∧ . . . ∧ An |= B si scrive A1, . . . , An |= B. SeT = {A1, . . . , An}, allora si dice che i soddisfa T se e solo se i |= A1∧. . .∧An.

Se A |= B e B |= A, si dice che A e B sono logicamente equivalenti , oanche solo equivalenti, e si scrive A ≡ B.

Per ogni A e B,

A ≡ B se e solo se |= A ↔ B.

Si noti che |= e ≡ sono segni metalinguistici. Le tautologie, in particolarequelle che sono nella forma di equivalenze, sono dette anche leggi logiche.

Un elenco di leggi logiche notevoli e presentato nella pagina successiva.

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Leggi logiche notevoli 1

A → A legge dell′identitaA ↔ ¬¬A legge della doppia negazioneA ∧B ↔ B ∧ A commutativita di ∧(A ∧B) ∧ C ↔ A ∧ (B ∧ C) associativita di ∧A ∨B ↔ B ∨ A commutativita di ∨(A ∨B) ∨ C ↔ A ∨ (B ∨ C) associativita di ∨A ∧ A ↔ A idempotenza di ∧A ∨ A ↔ A idempotenza di ∨A ∧B → A eliminazione di ∧A → A ∨B introduzione di ∨A ∧ (B ∨ C) ↔ (A ∧B) ∨ (A ∧ C) distributivitaA ∨ (B ∧ C) ↔ (A ∨B) ∧ (A ∨ C) distributivitaA ∧ (A ∨B) ↔ A legge di assorbimentoA ∨ (A ∧B) ↔ A legge di assorbimento¬(A ∧B) ↔ (¬A ∨ ¬B) legge di De Morgan¬(A ∨B) ↔ (¬A ∧ ¬B) legge di De Morgan¬A ∨ A legge del terzo escluso¬(A ∧ ¬A) legge di non contraddizioneA → B ↔ ¬B → ¬A legge di contrapposizioneA ∧ ¬A → B Lewis, o ex falso quodlibetA → (B → A) affermazione del conseguente¬A → (A → B) negazione dell ′antecedente(A → B ∧ ¬B) → ¬A legge di riduzione all′assurdo(A → ¬A) → ¬A riduzione all′assurdo debole(¬A → A) → A consequentia mirabilis((A → B) → A) → A legge di Peirce(A → B) ∨ (B → A) legge di DummettA → ((A → B) → B) modus ponensA → (B → C) ↔ B → (A → C) scambio antecedenti(A → C) ∧ (B → C) ↔ A ∨B → C distinzione di casi(A → B) ∧ (¬A → B) → B distinzione di casi(A → (B → C)) → ((A → B) → (A → C)) distributivita di →(A → B) ∧ (B → C) → (A → C) transitivita di →A → (B → C) ↔ (A ∧B) → C importazione/esportazione

delle premesse

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Per verificare queste leggi, dove A,B, . . . sono qualunque, si devono primaverificare le stesse nel caso particolare che A,B, . . . siano atomiche (ad es-empio p → p per la legge dell’identita), e poi sfruttare il fatto che se A[p] euna tautologia e B e qualunque, allora anche il risultato della sostituzione diB a p in A e una tautologia (vedi esercizi).

Per le leggi che sono scritte come condizionali e non bicondizionali, sivedra in seguito che l’implicazione inversa in generale non sussiste (salvoalcuni casi, ad esempio per l’inverso della riduzione all’assurdo debole ¬A →(A → ¬A), che rientra nell’affermazione del conseguente).

L’associativita della congiunzione giustifica che si possa scrivere senzaambiguita, indipendentemente dalle convenzioni sulle parentesi, A ∧ B ∧ Cper (indifferentemente) A∧ (B∧C) o (A∧B)∧C, o in generale A1∧ . . .∧An

(e lo stesso per la disgiunzione). A ∧ (B ∧ C) e (A ∧ B) ∧ C sono diverse(si disegni il loro albero sintattico) ma si dice che sono uguali a meno diequivalenza logica.

Anche le seguenti sono leggi logiche:

A → B ↔ ¬A ∨B(A ↔ B) ↔ (A → B) ∧ (B → A)A⊕B ↔ (A ∧ ¬B) ∨ (B ∧ ¬A)A⊕B ↔ (A ∨B) ∧ ¬(A ∧B).

Si noti che le due leggi per ⊕ forniscono un esempio di come una particellalogica possa essere espressa con diversi giri di frase equivalenti; queste equiv-alenze in genere mostrano cosa significa che frasi diverse vogliono dire lastessa cosa.

Per mezzo di esse, dalle leggi elencate sopra se ne derivano altre; adesempio dal modus ponens e dall’esportazione, con la prima, si ricava

A ∧ (¬A ∨B) → B sillogismo disgiuntivo.

Ma queste leggi soprattutto permettono di vedere che i connettivi ⊕,→,↔sono definibili in termini di ¬,∧ e ∨.

Alcune leggi sono spesso presentate in forma di regole di inferenza; adesempio il modus ponens da

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A, A → B

B,

il sillogismo disgiuntivo da

A, ¬A ∨B

B

o da

¬A, A ∨B

B,

l’eliminazione della congiunzione da

A ∧B

Ae

A ∧B

B

e l’introduzione della disgiunzione da

A

A ∨Be

B

A ∨B.

Le leggi corrispondenti permettono di asserire che se sono vere le propo-sizioni sopra la riga, o premesse della regola, allora e vera anche la propo-sizione sotto la riga, o conclusione. Regole d’inferenza di questo genere sidicono corrette se le premesse implicano logicamente la conclusione - quindile regole sopra elencate sono corrette. Per mezzo delle regole di inferenzasi deduce una proposizione da un’altra, o da altre date, che si chiamano as-sunzioni; si dice che una proposizione B si deduce da un’altra A se A |= Be se questo fatto e riconosciuto e certificato da una spiegazione. Un modoper riconoscere la sussistenza di A |= B e quello di inserire tra A e B altreproposizioni legate tra loro dalla relazione di premesse-conclusione di regolecorrette.

Ad esempio per stabilire

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(r → p ∨ q) ∧ r ∧ ¬p |= q

si puo eseguire la seguente deduzione:

(r → p ∨ q) ∧ r ∧ ¬pr → p ∨ q

r¬p

p ∨ qq

usando l’eliminazione della congiunzione, il modus ponens e il sillogismo dis-giuntivo.

La relazione di conseguenza logica e evidentemente transitiva: se A |= Ce C |= B allora A |= B (esercizio).

3.3.4 Esercizi

1. Verificare con le tavole di verita le precedenti leggi logiche.

2. Spiegare perche

• Se |= A allora B |= A per ogni B.

• Se |= A allora |= A ∨B per ogni B.

• Se |= A e |= A → B allora |= B.

3. Spiegare perche se A[p] e una tautologia, anche la proposizione che siottiene sostituendo p con una B qualunque e una tautologia.

4. Verificare la seguente generalizzazione delle leggi di assorbimento, cheA ≡ A ∨ C se C |= A, e che A ≡ A ∧ C se A |= C. !!!

5. Verificare che A ≡ T ∧ A se T e una tautologia e che A ≡ F ∨ A se Fe una contraddizione, e dedurlo dal risultato del precedente esercizio.

6. Verificare che A → B ≡ ¬(A ∧ ¬B) (sia con le tavole, sia in base alladefinizione di interpretazione).

7. Verificare che A⊕B e equivalente a ¬(A ↔ B), in base alla definizionedi interpretazione.

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8. Verificare che |= A⊕B → A ∨B ma non viceversa.

9. Spiegare perche A → A⊕B non e logicamente vera.

10. Verificare che p ∨ q e equivalente a p ∨ (q ∧ ¬p) ed a p⊕ (q ∧ ¬p).

11. Notare ¬(A ⊕ B) ≡ ¬A ⊕ B e A ⊕ ¬A ≡ A ∨ ¬A (provare a trovarefrasi in italiano che si possono dire bene in entrambi i modi).

12. Verificare che la regola del sillogismo disgiuntivo e corretta anche con⊕ al posto di ∨.

13. Verificare se A⊕ (B ⊕ C) ≡ (A⊕B)⊕ C.

14. In base al precedente esercizio, discutere quando A1 ⊕ . . .⊕An e vera.

15. Verificare che ¬¬¬¬A ≡ A e che ¬¬¬¬¬¬¬A ≡ ¬A. Generalizzare.

16. Si consideri il problema del merging di due liste List1 e List2 in unaterza lista List3 (ad esempio nomi, in ordine alfabetico).

Una prima formulazione dell’algoritmo e la seguente: nello scorrere ledue liste, se List1 non e esaurita e List2 e esaurita oppure l’elementoin considerazione di List1 precede il primo non ancora inserito di List2,allora l’elemento di List1 e inserito in List3.

Un’altra formulazione potrebbe essere la seguente: il prossimo elementoin List3 e preso da List1 quando List1 non e esaurita e List2 sı, oppurequando List1 non e esaurita e l’elemento in considerazione di List1precede il primo non ancora inserito di List2.

Usando lettere p, q, r per rappresentare rispettivamente “List1 non eesaurita”, “List2 e esaurita” e “l’elemento di List1 precede quello diList2”, scrivere le proposizioni corrispondenti alle due versioni dellecondizioni (che portano entrambe a mettere in List3 l’elemento in esamedi List1), e discutere se siano o no equivalenti, in base a quali leggi.

17. Si distribuiscono carte da gioco, e si sa che un giocatore ha in mano unAsso o un Re. Si considerino le seguenti due proposizioni:

A: se c’e in mano un Asso, c’e un 2B: se c’e in mano un Re, c’e un 2.

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Che cosa si puo dedurre se esattamente una tra le proposizioni A e Be vera?Che cosa si puo dedurre se entrambe le proposizioni A e B sono vere?

18. Per conquistare la principessa, Aladino deve scegliere di aprire una didue scatole A e B; sa che in una c’e un anello di fidanzamento, nell’altraun serpente velenoso. Sulla scatola A e scritto: “Almeno una di questescatole contiene un anello”; sulla scatola B e scritto: “Nella scatolaA c’e un serprente velenoso che uccide all’istante”. Ad Aladino vienedetto che o entrambe le scritte sono vere, o entrambe false. Qualescatola apre?

19. “Se io ho ragione, tu hai torto; se tu hai ragione, io ho torto; quindiuno di noi ha ragione”. Corretto o no? Perche?

20. “La storia insegna che non si impara niente dalla storia”. Vero o falso?Perche?

Suggerimento. Riduzione all’assurdo debole.

3.4 Sull’implicazione

Abbiamo distinto il condizionale, che e un connettivo, o il nome di una propo-sizione della forma A → B, dall’implicazione, che e una relazione tra propo-sizioni, e non si scrive A → B ma |= A → B. “A implica B” significa “ilcondizionale A → B e una tautologia”.

La terminologia e qualche volta ambigua perche per leggere ad esempiouna regola come il sillogismo disgiuntivo si trova anche detto “se A e ¬A∨Ballora B”, in alternativa a “A e ¬A∨B implicano B”. Se si e in un contestodeduttivo si capisce forse che si sta parlando dell’implicazione e non leggendosemplicemente la forma di una proposizione. L’importante ad ogni modo none la terminologia quanto capire la differenza.

Il soggetto di “A implica B” non e A ma A → B. Qualche volta - nonqui - si trova introdotto un simbolo speciale per l’implicazione (in analogiaal caso dell’equivalenza), ad esempio A ⇒ B.

Si dice ad esempio “il condizionale p → p ∨ q ha cinque simboli”, non“l’implicazione p → p ∨ q ha cinque simboli”, perche l’implicazione e unfatto che sussiste o no, e un fatto non e formato da simboli. Al massimo eun predicato, sotto cui cadono alcuni condizionali, come in “il condizionale

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p → p ∨ q e un’implicazione”. Oppure si puo dire che vale l’implicazionep → p∨ q, ma non si parlera ad esempio dell’implicazione p → q ∨ r, che none una tautologia.

Siccome purtroppo la terminologia non e uniforme, e si possono trovareusate entrambe le parole, bisogna fare attenzione al contesto.

Nella tradizione logica, il condizionale era anche chiamato “implicazione mate-riale”, per distinguere la relazione di conseguenza da altre forme di implicazione,o da altri sensi del costrutto “se . . . allora”.

In effetti, il significato di “se . . . allora” e polimorfo:

• significato logico (o inferenziale):

Se tutti gli uomini sono mortali e Socrate e un uomo, allora Socrate e mor-tale.

• significato definitorio:

Se e scapolo, allora non e sposato.

• significato causale:

Se si immerge una cartina di tornasole e diventa rossa, allora il liquido e unacido.

• significato materiale:

Se la Terra vola, allora la Terra e piatta.

E difficile trovare qualcosa di positivo in comune tra queste diverse accezionidel “se . . . allora”. In particolare il caso che ha sollevato maggiori discussionie l’ultimo, come considerare il condizionale se antecedente e conseguente sonoentrambe false.

Una cosa in comune ce l’hanno, ed e che in tutte le accezioni l’unico modoper dichiarare il condizionale falso e quello di riscontrare antecedente vera e con-seguente falsa, anche per il significato materiale: “se la Terra e rotonda, allora ilSole e freddo” si considera falso.

Allora il significato parziale comune si puo esprimere riempiendo la tavola diverita con i valori che sono di fatto quelli di ¬(A ∧ ¬B): !!!

Un condizionale e corretto [secondo Crisippo] se la negazione dellasua conclusione e incompatibile con la sua premessa (Sesto Empirico,Schizzi pirroniani , II, 110-2).

Si ottiene cosı quella che gli antichi chiamavano implicazione materiale:

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Secondo lui [Filone di Megara] ci sono tre modi in cui un condizionalepuo essere vero, e uno in cui puo essere falso. Perche un condizionalee vero quando inizia con una verita e termina con una verita, come“se e giorno, e chiaro”. Ed e vero anche quando inizia con una fal-sita e termina con una falsita, come “se la terra vola, la terra haali”. Analogamente, e vero un condizionale che inizia con una falsitae termina con una verita, come “se la terra vola, la terra esiste”. Uncondizionale e falso soltanto quando inizia con una verita e terminacon una falsita, come “se e giorno, e notte (Sesto Empirico, Contro imatematici , VIII, 113).

Con questa scelta per la tavola di → si giustifica la regola del modus ponens, chee quello che interessa, per l’uso che se ne fa nei discorsi con “se . . . allora”.

Il motivo per cui il condizionale e difficile e controverso e che non gli sipuo associare una rappresentazione mentale immediata di quello che descrive.Quando si ascolta A ∧ B, le rappresentazioni nella mente del fatto descrittoda A e di quello descritto da B vengono fuse in un’unica rappresentazione, delfatto descritto da A∧B, affiancandole o integrandole; anche con A∨B le duerappresentazioni possono essere compresenti, con l’attenzione che si spostadall’una all’altra e viceversa, come se si guardassero alternativamente duequadri vicini. Con il condizionale non e possibile avere una rappresentazionedel fatto descritto da A → B, combinando quelle relative ad A e B. Nonesiste una rappresentazione unica della falsita di A. Vengono meno perciogli ausili dell’immaginazione e della sensibilita; l’unico modo per dominare ilcondizionale e quello di imparare bene fino a interiorizzarle le sue condizionid’uso, sia il calcolo dei valori di verita sia le leggi e le regole che lo concernono.

La definizione del condizionale tuttavia non e solo adeguata per svolgerele dimostrazioni, grazie alla giustificazione del modus ponens , ma e anchecomoda (nella scelta di dare il valore vero quando l’antecedente e falsa) perla costruzione generale dei linguaggi formali, e la trattazione delle variabili,come vedremo oltre.

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4 Insiemi e algebre di Boole

4.1 Variabili

Esempi di proposizioni a cui si applicano utilmente le nozioni e le tecnichelogiche sono le formule matematiche; in esse tuttavia compaiono le variabilix, y, . . . 1

Le variabili che occorrono in una formula, ad esempio 1 < x < 3, si chia-mano anche variabili individuali, perche prendono come valori gli elementidell’universo del discorso. In generale, un’asserzione in cui compare la vari-abile x sara indicata con p(x). Possiamo considerare una formula del generecome una proposizione, che afferma qualcosa a proposito di x; x denota unelemento non precisato dell’universo.

Quanto visto finora sulla logica proposizionale e gia utile per alcune analisilogiche anche delle formule con variabili. Consideriamo di nuovo la formulaaritmetica 1 < x < 3; immaginiamo che si stia parlando di numeri naturali(che cioe il dominio o universo di discorso sia costituito dai numeri naturali,e < rappresenti la relazione d’ordine). Di una tale formula non si puo dire see vera o falsa, dipende. Si puo dire che e soddisfatta da certi (valori di) x; ecome se fosse presente un numero incappucciato, che dice “io sono compresotra 1 e 3”. Se si toglie il cappuccio ed appare 2 ha detto il vero, se appare 0,o 3 o 5 o qualsiasi altro numero, ha detto il falso.

Se il numero incappucciato continua dicendo “quindi io sono il numero2”, bisogna ammettere che la deduzione e corretta, anche senza sapere chi e ilnumero incappucciato. La formula 1 < x < 3 e soddisfatta dal solo elemento2, e possiamo affermare 1 < x < 3 → x = 2.

Se invece l’universo di discorso, che dalla formula in se non si evince, e !!!quello dei numeri reali, la formula e soddisfatta anche da 1,1, da 1,9, da 2,5e da tutti gli infiniti elementi dell’intervallo (1, 3).

La formula 1 < x < 3 d’altra parte e un’abbreviazione per 1 < x∧ x < 3;perche un valore di x la soddisfi, questo valore deve soddisfare sia 1 < x siax < 3.

Abbiamo dunque formule che assomigliano a quelle le linguaggio propo-sizionale, in quanto sono composizione mediante connettivi di formule atom-

1All’argomento delle variabili sara dedicato ampio spazio in seguito, per la loro impor-tanza, non solo matematica ma logica in generale; esse permettono di completare l’analisilinguistica in modo molto piu approfondito di quello che si realizza limitandosi a consid-erare i connettivi.

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iche, solo che queste ultime invece di lettere sono espresisoni che contengonoanche x. Si potrebbe dire che si tratta di un linguaggio proposizionale ap-plicato. Ogni volta che si da a x un valore, nell’universo fissato, e comeassegnare il valore vero o falso alle componenti atomiche. Parleremo persemplicita anche in questo caso per ora di proposizioni, per non complicarela terminologia, quando applicheremo risultati della logica proposizionale,oppure le chiameremo formule, in analogia alle formule matematiche.

4.2 Algebra degli insiemi

Se le proposizioni si riferiscono a un dominio di discorso costituito da uninsieme U , “U” per “universo”, ad ognuna di queste proposizioni p(x) eassociato un insieme, che si puo chiamare insieme di verita di p(x):

Vp(x) = {x ∈ U | p(x) e vero in U}.Nel linguaggio insiemistico, x ∈ X significa che x e un elemento di X, o

che x appartiene a X; x 6∈ X significa che x non appartiene a X.Con la notazione {x ∈ U | p(x) e vero in U}, si indica l’insieme degli

elementi di U che soddisfano la condizione p(x) in U . Talvolta si scriveanche {x ∈ U | p(x)} o addirittura {x | p(x)} se e chiaro l’insieme ambienteU .

Con la notazione {x1, . . . , xn} si indica l’insieme i cui elementi sono x1,. . . , xn.

L’insieme {x, y} si chiama coppia (non ordinata) di x e y, che sono gliunici elementi di {x, y}: x ∈ {x, y} e y ∈ {x, y}2, e inoltre z ∈ {x, y} → z =x∨ z = y. La coppia {x, y} ha due elementi se x 6= y; altrimenti se x = y neha uno solo, si indica {x} e si chiama anche insieme unitario, o singoletto dix.

L’insieme di verita di p(x) e anche l’insieme definito da p(x) in U . Adesempio, se U = {a, b, c, d} e p(x) ↔ x = a∨x = b, l’insieme definito da p(x)in U e {a, b}.

Se U e l’insieme dei numeri naturali e p(x) e la condizione “x e divisibileper 2”, l’insieme di verita di p(x) e l’insieme dei numeri pari, e tale insiemee definito dalla condizione “x e divisibile per 2”.

2Talvolta si scrive x, y ∈ X per “x ∈ X e y ∈ X”.

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Un insieme di verita e un sottoinsieme di U ; si dice che X e un sottoin-sieme di Y , o che e contenuto3 in Y , in simboli X ⊆ Y , se ogni elemento diX e anche elemento di Y : per ogni x, se x ∈ X allora x ∈ Y .

Qualche volta, raramente, si scrive Y ⊇ X per X ⊆ Y .Si dice che X e un sottoinsieme proprio di Y , e si scrive X ⊂ Y , se X ⊆ Y

ma X 6= Y .Se X ⊆ Y e Y ⊆ X allora X e Y hanno gli stessi elementi; questo

per definizione significa che X = Y . Quello che caratterizza gli insiemi nonsono le loro eventuali definizioni ma i loro elementi; ad esempio l’insieme deitriangoli con due lati uguali e l’insieme dei triangoli con due angoli ugualisono lo stesso insieme. Cosı {x, y} = {y, x}, da cui la dizione “non ordinata”.

Le operazioni insiemistiche principali, sui sottoinsiemi di un insieme U ,sono le seguenti:

Complemento. Il complemento di X (rispetto a U) e l’insieme degli elementidi U che non appartengono a X:

∼ X = {x ∈ U | x 6∈ X}.

Differenza. La differenza di X meno Y e l’insieme degli elementi di U cheappartengono a X e non a Y :

X \ Y = {x ∈ U | x ∈ X ∧ x 6∈ Y }.

Differenza simmetrica. La differenza simmetrica di X e Y e l’insieme deglielementi di U che appartengono a X e non a Y o a Y e non a X:

X4Y = {x ∈ U | x ∈ X ⊕ x ∈ Y }.

Intersezione. L’intersezione di X e Y e l’insieme degli elementi di U cheappartengono sia a X sia a Y :

X ∩ Y = {x ∈ U | x ∈ X ∧ x ∈ Y }.3Si distingue tra “essere contenuto”, che si riferisce a sottoinsiemi, ed “appartenere”,

che si riferisce ad elementi.

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X ∩Y si legge: “X intersezione Y ” o “X intersecato con Y ” o “l’intersezionedi X e Y ”.

Unione. L’unione di X e Y e l’insieme degli elementi di U che appartengonoad almeno uno dei due insiemi X e Y :

X ∪ Y = {x ∈ U | x ∈ X ∨ x ∈ Y }X ∪ Y si legge: “X unione Y ” o “X unito a Y ” o “l’unione di X e Y ”.

L’intersezione di X e Y e il piu grande insieme che e contenuto sia in Xsia in Y , nel senso che

X ∩ Y ⊆ X4

X ∩ Y ⊆ Y

e

se Z ⊆ X e Z ⊆ Y allora Z ⊆ X ∩ Y

mentre l’unione di X e Y e il piu piccolo insieme che contiene sia X sia Y ,nel senso che

X ⊆ X ∪ YY ⊆ X ∪ Y

e

se Y ⊆ X e Z ⊆ X allora Y ∪ Z ⊆ X.

Per dimostrare X ∩ Y ⊆ X ad esempio, si osservi che se x ∈ X ∩ Y allorax ∈ X ∧ x ∈ Y , ma x ∈ X ∧ x ∈ Y → x ∈ X, quindi x ∈ X. Inoltrex ∈ X ∧ x ∈ Y → x ∈ Y , quindi X ∩ Y ⊆ Y . In modo analogo per le altre.

Nella proprieta di minimalita dell’unione troviamo la spiegazione delloscambio di “e” ed “o” osservato in precedenza in certe frasi. Se si indicacon Y l’insieme delle mele, con Z l’insieme delle pere, e con X l’insieme deifrutti, allora la frase “mele e pere sono frutti”, intesa come “le mele sono

4Si noti che non occorrono parentesi perche non e possibile interpretare questa formulacome X ∩ (Y ⊆ X) in quanto si avrebbe un’operazione tra un insieme e una proposizione- un errore di tipo, si dice in logica. Qualche volta le parentesi di mettono per agevolarela lettura.

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frutti e le pere sono frutti” significa che Y ⊆ X ∧Z ⊆ X, ma questa implicaY ∪ Z ⊆ X, cioe che “mele o pere sono frutti”.

Viceversa, se Y ∪Z ⊆ X, allora siccome Y ⊆ Y ∪Z si ha, per la transitivitadi ⊆ - vedi oltre - che Y ⊆ X e analogamente Z ⊆ X, cioe “mele o pere sonofrutti” implica a sua volta “le mele sono frutti e le pere sono frutti”.

Le operazioni insiemistiche corrispondono ai connettivi: l’appartenenza alcomplemento e definita mediante la negazione, l’appartenenza all’intersezionemediante la congiunzione, e cosı via. In analogia, si possono usare le stesseconvenzioni sull’ordine di priorita dei simboli di operazione (∼,∩,∪) per !!!ridurre il numero di parentesi.

Viceversa, ai connettivi proposizionali corrispondono le operazioni in-siemistiche sugli insiemi di verita delle proposizioni componenti.

V¬p(x) = ∼ Vp(x)

Vp(x)∧q(x) = Vp(x) ∩ Vq(x)

Vp(x)∨q(x) = Vp(x) ∪ Vq(x).

In particolare si ha Vx∈X = X.Si puo osservare allora che le operazioni non sono tutte indipendenti, ad

esempio:

X \ Y = X ∩ (∼ Y ).

Infatti

X \ Y = {x | x ∈ X ∧ x 6∈ Y }= {x | x ∈ X ∧ x ∈∼ Y }= {x | x ∈ X ∩ (∼ Y )}= X ∩ (∼ Y ).

Ma le mutue relazioni delle operazioni le vedremo meglio piu avanti.

L’insieme vuoto ∅ e l’insieme che non ha alcun elemento, ed e un sottoin-sieme di qualsiasi U , definito da una condizione contraddittoria qualunque:

∅ = {x ∈ U |p(x) ∧ ¬p(x)},o

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∅ = {x ∈ U |x 6= x}.Se si denotasse questo insieme ∅U e si definisse ∅V = {x ∈ V | x 6= x} siavrebbe ∅U = ∅V perche i due insiemi hanno gli stessi elementi, nessuno perentrambi.

Caratteristica dell’insieme vuoto e che per ogni x, in qualunque U , x 6∈ ∅.Due insiemi X e Y la cui intersezione sia vuota, X ∩ Y = ∅, cioe non

abbiano alcun elemento in comune, si dicono disgiunti .

Le relazioni tra le operazioni insiemistiche sono espresse da un gruppo dileggi.

1 X ∩X = X idempotenza dell′intersezione2 X ∪X = X idempotenza dell′unione3 X ∩ Y = Y ∩X commutativita dell′intersezione4 X ∪ Y = Y ∪X commutativita dell′unione5 X ∩ (Y ∩ Z) = (X ∩ Y ) ∩ Z associativita dell′intersezione6 X ∪ (Y ∪ Z) = (X ∪ Y ) ∪ Z associativita dell′unione7 X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) distributivita di ∩ rispetto a ∪8 X ∪ (Y ∩ Z) = (X ∪ Y ) ∩ (X ∪ Z) distributivita di ∪ rispetto a ∩9 X ∩ (X ∪ Y ) = X assorbimento

10 X ∪ (X ∩ Y ) = X assorbimento11 ∼ (∼ X) = X doppio complemento12 ∼ (X ∩ Y ) = (∼ X) ∪ (∼ Y ) legge di De Morgan13 ∼ (X ∪ Y ) = (∼ X) ∩ (∼ Y ) legge di De Morgan14 ∼ ∅ = U15 ∼ U = ∅16 X ∩ (∼ X) = ∅ legge dell′inverso per ∩17 X ∪ (∼ X) = U legge dell′inverso per ∪18 X ∩ U = X legge dell′elemento neutro per ∩19 X ∪ U = U20 X ∩ ∅ = ∅21 X ∪ ∅ = X legge dell′elemento neutro per ∪ .

Esistono altre leggi che riguardano la relazione ⊆ (alcune gia menzionate),come

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22 X ⊆ X23 ∅ ⊆ X24 X ⊆ U25 X ⊆ X ∪ Y26 X ∩ Y ⊆ X

e proprieta come

27 se X ⊆ Y e Y ⊆ Z allora X ⊆ Z28 X ⊆ Y se e solo se X ∩ Y = X29 X ⊆ Y se e solo se X ∪ Y = Y30 X ⊆ Y se e solo se X ∩ (∼ Y ) = ∅31 X ⊆ Y se e solo se ∼ X ∪ Y = U32 se X ⊆ Y e X ⊆ Z allora X ⊆ (Y ∩ Z)33 se Y ⊆ X e Z ⊆ X allora (Y ∪ Z) ⊆ X.

Ma non tutte sono indipendenti. La loro dimostrazione puo consistere nelmostrare direttamente che i due insiemi implicati hanno gli stessi elementi.

Esempi

3 X ∩ Y = Y ∩X.

Dimostrazione Se x ∈ X ∩ Y , allora x ∈ X ∧ x ∈ Y ; ma per lacommutativita della congiunzione si ha allora x ∈ Y ∧ x ∈ X, quindix ∈ Y ∩X. Il viceversa, partendo da x ∈ Y ∩X, e analogo.

4 X ∪ Y = Y ∪X.

Dimostrazione Se x ∈ X ∪ Y allora x ∈ X ∨ x ∈ Y . La conclusionesegue come sopra per la commutativita della disgiunzione. Oppureusiamo la distinzione di casi: se x ∈ X, allora x ∈ Y ∨ x ∈ X per latautologia A → B ∨ A. Se x ∈ Y allora per la tautologia A → A ∨ Bsi ha x ∈ Y ∨ x ∈ X. Quindi x ∈ X ∨ x ∈ Y → x ∈ Y ∨ x ∈ X eX ∪ Y ⊆ Y ∪X. Il viceversa e analogo.

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5 X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z).

Dimostrazione Mostriamo prima che X ∩ (Y ∪Z) ⊆ (X ∩Y )∪ (X ∩Z).Se x ∈ X∩(Y ∪Z) allora x ∈ X e x ∈ Y ∪Z. Ci sono due casi: o x ∈ Yo x ∈ Z. Nel primo caso, x ∈ X e x ∈ Y , quindi x ∈ X ∩ Y , e quindix ∈ (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) per la 25, che supponiamo dimostrata5. Nelsecondo caso, x ∈ X e x ∈ Z, quindi x ∈ X ∩ Z e quindi x appartienea (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z), per la 25 e la 4.

Si mostri ora nello stesso modo (esercizio) che (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) ⊆X ∩ (Y ∪ Z), e l’uguaglianza e provata.

21 X ∪ ∅ = X.

Dimostrazione Se x ∈ X ∪ ∅, allora x ∈ X ∨ x ∈ ∅, ma x 6∈ ∅ quindiper il sillogismo disgiuntivo x ∈ X. Il viceversa segue dalla 25.

24 X ⊆ U .

Dimostrazione x ∈ U → (x ∈ X → x ∈ U) - quale legge logicainterviene?

23 ∅ ⊆ X.

Dimostrazione Per ogni x, x ∈ ∅ → x ∈ X e vera, qualunque sia X,perche l’antecedente e falso.

17 X ∪ (∼ X) = U .

Dimostrazione Per ogni x, x ∈ X ∨ ¬(x ∈ X) e vera per la legge delterzo escluso. Cosı si dimostra ⊇, il viceversa e 24.

30 X ⊆ Y se e solo se X ∩ (∼ Y ) = ∅.Dimostrazione Se x ∈ X allora x ∈ Y ; se ora esistesse un x ∈ X∩(∼ Y )si avrebbe una contraddizione x ∈ Y e x ∈∼ Y .

Come si vede dagli esempi, alcune proprieta delle operazioni sono di-retta conseguenza delle omonime proprieta dei connettivi corrispondenti; dalterzo esempio relativo alla 5 si vede anche che in dimostrazioni di questotipo fa comodo, per saltare qualche passaggio, fare appello ad altre delleleggi elencate - piu semplici, o intuitive o gia dimostrate. Piu in generale,

5La dimostrazione e implicita nella precedente dimostrazione di 4.

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una volta dimostrate alcune delle suddette leggi in modo diretto, e possibilederivare le altre in stile algebrico, usando quelle gia dimostrate e le leggidell’uguaglianza.

Con leggi dell’uguaglianza si intendono le proprieta riflessiva, simmetricae transitiva di =, rappresentate dalle formule

x = xx = y → y = x

x = y ∧ y = z → x = z,

e le proprieta di sostituzione, che sono di due tipi:

t = s → f(t) = f(s),

dove t ed s sono termini del linguaggio in uso, e f(x) un altro termine con-tenente la x, e

t = s → (p(t) ↔ p(s)),

dove p(x) sta per una proposizione qualunque contenente x.Queste leggi sono tacitamente usate nei passaggi di trasformazione di

formule algebriche, o di proposizioni di qualunque linguaggio che contengal’uguaglianza. I passaggi da un’uguaglianza ad un’altra presuppongono ilmodus ponens : da t = s a f(t) = f(s) grazie a t = s → f(t) = f(s).

Nel caso delle leggi insiemistiche in esame le variabili sono X,Y, . . . inveceche x, y . . . , perche non si riferiscono agli elementi ma ai sottoinsiemi.

Esempi

1. La 15 segue dalla 14 e dalla 11 con i passaggi

∼ ∅ = U

∼ (∼ ∅) =∼ U

∅ =∼ U

∼ U = ∅.

2. La 17 segue dalla 16 e dalle 12, 14, 11, 4, nell’ordine, con i seguentipassaggi

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X ∩ (∼ X) = ∅∼ (X ∩ (∼ X)) =∼ ∅

(∼ X) ∪ (∼ (∼ X)) = U

(∼ X) ∪X = U

X ∪ (∼ X) = U .

3. La 18 segue da 17, 7, 1, 16 e 21 con i seguenti passaggi

X ∪ (∼ X) = U

U = X ∪ (∼ X)

X ∩ U = X ∩ (X ∪ (∼ X))

X ∩ U = (X ∩X) ∪ (X ∩ (∼ X))

X ∩ U = X ∪ ∅X ∩ U = X.

4. La 31: X ⊆ Y se e solo se ∼ X ∪ Y = U , segue dalla 30 e da DeMorgan con 11 e 14.

Grazie alla validita delle leggi associative per unione e intersezione, questeoperazioni possono essere generalizzate a piu di due insiemi.

Se A1, . . . , An sono n sottoinsiemi di U , la loro unione e l’insieme i cuielementi sono gli elementi di U che appartengono a qualche Ai, in simboli:

n⋃i=1

Ai = {x ∈ U | per qualche i, 1 ≤ i ≤ n, x ∈ Ai}

o anche

⋃ni=1 Ai, o semplicemente

⋃Ai.

L’intersezione generalizzata degli n insiemi e l’insieme degli elementi cheappartengono a tutti gli Ai, in simboli:

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n⋂i=1

Ai = {x ∈ U | per ogni i, 1 ≤ i ≤ n, x ∈ Ai}

o anche⋂n

i=1 Ai, o semplicemente⋂

Ai.

Per queste operazioni generalizzate valgono molte delle leggi dell’unionee intersezione, opportunamente riformulate, ad esempio le proprieta commu-tativa, associativa e di assorbimento; valgono le leggi di De Morgan:

∼ (⋂n

i=1 Ai) =⋃n

i=1(∼ Ai)

e

∼ (⋃n

i=1 Ai) =⋂n

i=1(∼ Ai).

Valgono le leggi distributive di una operazione generalizzata rispetto a unanormale (non con entrambe generalizzate):

(n⋂

i=1

Ai) ∪B =n⋂

i=1

(Ai ∪B)

e

(n⋃

i=1

Ai) ∩B =n⋃

i=1

(Ai ∩B).

Piu in generale ancora, si definisce l’unione⋃

i∈I Ai o⋃{Ai | i ∈ I}

per una famiglia di insiemi indiciata6 da I ponendo che

x ∈ ⋃i∈I Ai se e solo se esiste un i ∈ I per cui x ∈ Ai,

e analogamente per l’intersezione. La definizione come si vede e la stessa,con “i ∈ I” al posto di “1 ≤ i ≤ n”.

6Si chiama cosı e si indica anche con {Ai}i∈I un insieme i cui elementi corrispondonociascuno a un elemento di un insieme I. Si veda alla fine del paragrafo 5.

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4.3 Algebre di Boole

Indagando la reciproca derivabilita delle varie leggi, ci si accorge che tutte(sia quelle elencate che altre, quelle che sono valide per ogni famiglia disottoinsiemi di un insieme) sono derivabili dalle seguenti:

3 X ∩ Y = Y ∩X commutativita dell′intersezione4 X ∪ Y = Y ∪X commutativita dell′unione5 X ∩ (Y ∩ Z) = (X ∩ Y ) ∩ Z associativita dell′intersezione6 X ∪ (Y ∪ Z) = (X ∪ Y ) ∪ Z associativita dell′unione7 X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) distributivita di ∩ rispetto a ∪8 X ∪ (Y ∩ Z) = (X ∪ Y ) ∩ (X ∪ Z) distributivita di ∪ rispetto a ∩9 X ∩ (X ∪ Y ) = X assorbimento

10 X ∪ (X ∩ Y ) = X assorbimento16 X∩ ∼ X = ∅ legge dell′inverso per ∩17 X∪ ∼ X = U legge dell′inverso per ∪18 X ∩ U = X legge dell′elemento neutro per ∩21 X ∪ ∅ = X legge dell′elemento neutro per ∪ .

Queste leggi si chiamano assiomi delle algebre di Boole. La scelta degliassiomi non e arbitraria (ci sono ragioni di analogia con altri sistemi di as-siomi per altre strutture) ma non e univoca. Abbiamo visto ad esempio chese ci fosse la 1, la 18 sarebbe superflua. L’importante e la mutua e varia in-terderivabilita delle leggi tra loro, e che tutte le leggi valide per i sottoinsiemidi un insieme non vuoto U siano derivabili da quelle scelte come assiomi. Laraccolta di queste negli assiomi e solo, inizialmente, una comodita mnemon-ica.

L’insieme dei sottoinsiemi di un insieme non vuoto U , con le operazioni∼,∩,∪ e gli elementi speciali ∅ e U e una particolare algebra di Boole, chesi chiama algebra di insiemi .

Vediamo come si derivano dagli assiomi alcune delle altre leggi primaelencate.

1 X = X ∩X

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X = X ∩ U per la 18X = X ∩ (X∪ ∼ X) per la 17X = (X ∩X) ∪ (X∩ ∼ X) per la 7X = (X ∩X) ∪ ∅ per la 16X = X ∩X per la 21

2 X = X ∪X (esercizio)

20 X ∩ ∅ = ∅X ∩ ∅ = (X ∪ ∅) ∩ ∅ per la 21X ∩ ∅ = ∅ ∩ (∅ ∪X) per la 3 e la 4X ∩ ∅ = ∅ per la 9

19 X ∪ U = U (esercizio).

Prima di considerare altre leggi, occorre dimostrare l’unicita degli ele-menti neutri e del complemento. Per quello dell’intersezione, questo significa:

34 Se X ∩ Y = Y per ogni Y , allora X = U .

Dimostrazione Sostituendo U a Y si ha X ∩U = U ma X ∩U = X perla 18, quindi X = U .

Per l’elemento neutro dell’unione, l’unicita significa:

35 Se X ∪ Y = Y per ogni Y , allora X = ∅ (esercizio).

L’unicita del complemento, o dell’inverso, e la proprieta che:

36 Se X ∩ Y = ∅ e X ∪ Y = U allora X =∼ Y .

Dimostrazione

X = X ∩ U per la 18= X ∩ (Y ∪ ∼ Y ) per la 17= (X ∩ Y ) ∪ (X∩ ∼ Y ) per la 7= ∅ ∪ (X∩ ∼ Y ) per l′ipotesi= (Y ∩ ∼ Y ) ∪ (X∩ ∼ Y ) per la 16= (Y ∪X)∩ ∼ Y per la 7= U∩ ∼ Y per l′ipotesi=∼ Y per la 18.

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11 X =∼∼ X

Dimostrazione Siccome X∩ ∼ X = ∅ e X∪ ∼ X = U , per la 36 oravista con ∼ X al posto di Y si ha X =∼∼ X.

13 ∼ (X ∪ Y ) =∼ X∩ ∼ Y

Dimostrazione Per applicare la 36, facciamo vedere che

(∼ X∩ ∼ Y ) ∪ (X ∪ Y ) = U

e

(∼ X∩ ∼ Y ) ∩ (X ∪ Y ) = ∅.

La prima segue da questi passaggi (abbreviati, esplicitarli tutti peresercizio, serve anche la 19 di sopra):

(∼ X∩ ∼ Y ) ∪ (X ∩ Y ) = (∼ X ∪X ∪ Y ) ∩ (∼ Y ∪X ∪ Y )

= U ∩ U = U

e la seconda (utilizzando 20) da:

(∼ X∩ ∼ Y ) ∩ (X ∪ Y ) = (∼ X∩ ∼ Y ∩X) ∪ (∼ X∩ ∼ Y ∩ Y )

= ∅ ∪ ∅ = ∅.

4.3.1 Esercizi

1. Dimostrare

A ∩ (B ∪ (C \ A)) = A ∩B

A ∩B ∩ (A ∪B) = A ∩B

A ∪ (C ∩ (A ∪B)) = A ∪ (C ∩B)

(A \B) ∪ (B ∩ A) = A

(A ∩ (B ∪ C)) ∩ (∼ B ∪ A) = (A ∩B) ∪ (A ∩ C).

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2. Dimostrare le proprieta 22 - 33 della relazione⊆, a partire dagli assiomi,usando 28 come definizione di ⊆7.

3. Lo stesso, usando una volta 29, una volta 30 e una volta 31 comedefinizione di ⊆

4. Dimostrare, a partire dagli assiomi delle algebre di Boole, tutte le altreleggi sopra elencate per le operazioni di un’algebra di insiemi.

4.4 Algebra delle proposizioni

Due altre notevoli algebre di Boole sono importanti, l’algebra 2 e l’algebradelle proposizioni.

Quando si dice che gli assiomi sopra elencati sono gli assiomi delle algebredi Boole, non si intende che i simboli di operazioni usati nella formulazionedegli assiomi denotino le operazioni insiemistiche di unione, intersezione ecomplemento; altrimenti le uniche algebre di Boole sarebbero le algebre diinsiemi. S’intende solo che siano operazioni rispettivamente binarie (le primedue) e unaria (la terza), e che soddisfino le proprieta espresse dagli assiomi.Puo essere utile addirittura riscrivere gli assiomi con altri simboli8:

x ◦ y = y ◦ x commutativitax + y = y + x commutativitax ◦ (y ◦ z) = (x ◦ y) ◦ z associativitax + (y + z) = (x + y) + z associativitax ◦ (y + z) = (x ◦ y) + (x ◦ z) distributivitax + (y ◦ z) = (x + y) ◦ (x + z) distributivitax ◦ (x + y) = x assorbimentox + (x ◦ y) = x assorbimentox ◦ (−x) = 0 inversox + (−x) = 1 inversox ◦ 1 = x elemento neutrox + 0 = x elemento neutro

7La 22 e la 27, insieme a “X = Y se e solo se X ⊆ Y e Y ⊆ X” stabiliscono che ⊆ euna relazione di ordine parziale, secondo la definizione che sara data nel paragrafo 5.

8Con l’ordine di priorita −, ◦, +.

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e indicare la relazione definita da x ◦ y = x con ≤.Si ha 0 ≤ x ≤ 1 per ogni x (esercizio). La relazione ≤ e un ordine parziale

per l’esercizio 1 di 4.3.1.L’algebra 2 e l’algebra il cui universo e {0, 1} con 0 < 1, rappresentata

dal diagramma

1↑0

dove ↑ e < e x + y = max{x, y} e x ◦ y = min{x, y}.L’algebra 2 e l’algebra dei valori di verita. Le sue tre operazioni sono

quelle che intervengono nel calcolo dei valori di verita di negazioni, disgiun-zioni e congiunzioni.

Esistono altre algebre di Boole finite, come ad esempio l’algebra 4

1↗ ↖

a b↖ ↗

0

dove a e b sono inconfrontabili rispetto a ≤; ≤ e proprio parziale.Esercizio: definire le operazioni in modo che questa struttura diventi

un’algebra di Boole.Esercizio. Dimostrare che e l’algebra dei sottoinsiemi di un universo con

due elementi.

L’algebra delle proposizioni si ottiene nel seguente modo; gia si sono di-mostrate (considerando anche gli esercizi) quasi tutte le leggi logiche chehanno lo stesso nome degli assiomi delle algebre di Boole:

A ∧B ↔ B ∧ A commutativitaA ∨B ↔ B ∨ A commutativitaA ∧ (B ∧ C) ↔ (A ∧B) ∧ C associativitaA ∨ (B ∨ C) ↔ (A ∨B) ∨ C associativitaA ∧ (B ∨ C) ↔ (A ∧B) ∨ (A ∧ C) distributivitaA ∨ (B ∧ C) ↔ (A ∨B) ∧ (A ∨ C) distributivitaA ∧ (A ∨B) ↔ A assorbimentoA ∨ (A ∧B) ↔ A assorbimento.

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Le equivalenze non sono uguaglianze ma si possono trasformare in vereuguaglianze tra (nuovi) oggetti con la seguente costruzione.

La relazione ≡ e una relazione di equivalenza, vale a dire soddisfa leproprieta:

A ≡ A riflessivase A ≡ B allora B ≡ A simmetricase A ≡ B e B ≡ C allora A ≡ C transitiva.

Si definisce allora per ogni A la classe di equivalenza di A come

[A] = {B | A ≡ B}e si ha che

[A] = [B] se e solo se A ≡ B

(esercizio).Date due proposizioni A e B, esse o sono logicamente equivalenti o no.

Nel primo caso, [A] = [B]. Nel secondo caso le due classi [A] e [B] sonodisgiunte: se infatti ci fosse un elemento C in comune, vorrebbe dire cheA ≡ C e che B ≡ C, ma allora per la transitivita si avrebbe A ≡ B e[A] = [B].

A si dice un rappresentante della classe [A]; ogni classe ha piu rappresen-tanti, anzi infiniti. Se B ∈ [A] allora B ≡ A quindi [A] = [B] e B e un altrorappresentante di [A]. In particolare ad esempio [A] = [A∧A] = [A∧A∧A] . . .

Si possono definire tra queste classi le seguenti operazioni:

−[A] = [¬A][A] ◦ [B] = [A ∧B][A] + [B] = [A ∨B].

Le definizioni sono ben poste, in questo senso. Si tratta di operazioni sulleclassi, ma la loro definizione fa riferimento ad un particolare rappresentantedelle classi. Ad esempio −[A] e definita con ¬A e non ad esempio con ¬¬¬A.Se si cambia il rappresentante di una classe, si vuole che il risultato, che euna classe, sia lo stesso.

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In effetti e cosı per le operazioni sopra definite. Ad esempio se A1 ≡ Ae B1 ≡ B, siccome A1 ∧ B1 ≡ A ∧ B (esercizio - si veda anche paragrafo6.1) si ha [A1] ◦ [B1] = [A ∧ B], cosı come [A] ◦ [B] = [A ∧ B], quindi[A1] ◦ [B1] = [A] ◦ [B].

Si giustifica in questo modo la dizione “a meno di equivalenza” con cui unaproposizione e considerata uguale ad ogni altra ad essa logicamente equiva-lente, o almeno indistinguibile da quelle, ai fini della trattazione semantica.

Date queste definizioni, le precedenti equivalenze danno allora origine alleuguaglianze:

[A] ◦ [B] = [B] ◦ [A] commutativita di ◦[A] + [B] = [B] + [A] commutativita di +[A] ◦ ([B] ◦ [C]) = ([A] ◦ [B]) ◦ [C] associativita di ◦[A] + ([B] + [C]) = ([A] + [B]) + [C] associativita di +[A] ◦ ([B] + [C]) = ([A] ◦ [B]) + ([A] ◦ [C]) distributivita[A] + ([B] ◦ [C]) = ([A] + [B]) ◦ ([A] + [C]) distributivita[A] ◦ ([A] + [B]) = [A] assorbimento[A] + ([A] ◦ [B]) = [A] assorbimento.

Tutte le tautologie sono tra loro equivalenti, e non equivalenti a nessunaproposizione non logicamente valida; lo stesso per le contraddizioni; denoti-amo con 1 la classe delle tautologie, e con 0 la classe delle contraddizioni.

Allora [A] ◦ (−[A]) = [A ∧ ¬A] = 0 e [A] + (−[A]) = [A ∨ ¬A] = 1 epossiamo quindi aggiungere:

[A] ◦ (−[A]) = 0 inverso[A] + (−[A]) = 1 inverso[A] ◦ 1 = [A] elemento neutro[A] + 0 = [A] elemento neutro

completando la lista degli assiomi delle algebre di Boole.Le ultime due leggi seguono dal fatto (o lo esprimono in altra forma) che

se T e una tautologia A∧T ≡ A e se F e una contraddizione allora A∨F ≡ A.

La relazione [A] ≤ [B] e definita da [A]◦[B] = [A], oppure dall’equivalente9

[A] ◦ −[B] = 0.

9O anche da [A]+[B] = [B] - a seconda dei casi converra usare l’una o l’altra definizione.

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Inseriamo qui una dimostrazione dell’equivalenza tra due definizioni di ≤,dove si notera l’analogia formale con quella fatta in 4.3.1 per la definizionedi ⊆ (la 28 e la 30 dell’algebra degli insiemi).

Se

x ◦ y = x

allora

1 = x + (−x)1 = (x ◦ y) + (−x)

1 = (x + (−x)) ◦ (y + (−x))1 = (y + (−x)0 = x ◦ (−y).

Viceversa se

x ◦ (−y) = 0

allora

x = x ◦ 1x = x ◦ (y + (−y))

x = (x ◦ y) + (x ◦ (−y))x = x ◦ y.

Esercizio. Dimostrare l’equivalenza con la (versione corrispondente della) 29.

Dall’equivalenza booleana delle due definizioni di ≤ si deriva la seguenteproprieta logica, che

A ≡ A ∧B se e solo se |= A → B.

Una dimostrazione logica di questo fatto ricalca la dimostrazione algebricadi sopra. Si noti che [A] = 0 significa che A e una contraddizione.

Allora la seguente e una deduzione del fatto che |= A → B segue daA ≡ A ∧B:

A ∨ ¬A(A ∧B) ∨ ¬A

(A ∨ ¬A) ∧ (B ∨ ¬AB ∨ ¬AA → B.

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Ogni proposizione o e una tautologia o segue logicamente dalle precedenti eda A ≡ A ∧B, quindi l’ultima e una tautologia.

Viceversa, se A ∧ ¬B e una contraddizione

A ↔ A ∧ (B ∨ ¬B)A ↔ (A ∧B) ∨ (A ∧ ¬B)

A ↔ A ∧B.

Esercizio. Dimostrare in modo analogo che A ≡ A∨B se e solo se |= B → A.

La corrispondenza tra le deduzioni algebriche e quelle logiche e fondatasulla corrispondenza tra [A] ≤ [B] e |= A → B.

Il fatto che per ogni A, 0 ≤ [A] ≤ 1 corrisponde al fatto che una con-traddizione implica qualsiasi proposizione, e una tautologia e implicata daqualsiasi proposizione.

La relazione booleana ≤ ha le seguenti proprieta, che se a ≤ b allora−b ≤ −a e per ogni c, c ◦ a ≤ c ◦ b e c + a ≤ c + b (esercizio).

Queste proprieta corrispondono per l’implicazione al fatto che se |= A →B allora |= ¬B → ¬A e per ogni C, |= C ∧A → C ∧B e |= C ∨A → C ∨B(esercizio).

La proprieta transitiva di ≤ corrisponde alla transitivita del condizionale,mentre la proprieta di sostituzione t = s → f(t) = f(s) corrisponde adun’analoga proprieta logica: se in una proposizione si sostituisce una sotto-proposizione con una equivalente, il risultato e una proposizione equivalentea quella iniziale.

Conviene indicare l’operazione di rimpiazzamento di una sottopropo-sizione B con C in una proposizione A, con la notazione: A[B//C].

Si ha allora che

se B ≡ C allora A ≡ A[B//C].

Nell’esempio di sopra A ∨ ¬A ≡ (A ∧B) ∨ ¬A poiche A ≡ A ∧B.Nella dimostrazione, per trattare i vari casi, si fa uso dei seguenti fattiPer ogni A e B,

se A ≡ B, allora ¬A ≡ ¬Bse A1 ≡ A2 e B1 ≡ B2, allora A1 •B1 ≡ A2 •B2

che si dimostrano facilmente con le tavole di verita per i vari connettivi.

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4.5 Rapporti tra proposizioni e insiemi

I rapporti tra algebra degli insiemi con operazioni insiemistiche, logica propo-sizionale con connettivi e algebra boleana sono molteplici e bidirezionali.Sostanzialmente l’argomento e sempre lo stesso, con varianti formali, e a sec-onda delle preferenze si puo adottare l’uno o l’altro dei tipi di simbolismocoinvolti; la familiarita con l’uno aiuta anche nello svolgimento dell’altro, mail ragionamento e identico.

Abbiamo visto come, per dimostrare le leggi dell’algebra degli insiemi(cioe identita valide per tutti i sottinsiemi di un qualunque insieme non vuotoU), procedendo direttamente in base alla definizione di uguaglianza tra in-siemi (X = Y se e solo se X ⊆ Y e Y ⊆ X) ci si riconduca ad applicare leggilogiche a proposizioni costruite su atomiche della forma x ∈ X, x ∈ Y, . . .

Si possono anche al contrario derivare le leggi logiche dalle leggi dell’algebradegli insiemi.

In generale due proposizioni (con o senza la x) logicamente equivalenti10

hanno lo stesso insieme di verita in ogni U .Supponiamo infatti che p(x) sia equivalente a q(x). Allora siccome p(x) →

q(x) e q(x) → p(x) sono sempre vere, Vp(x)→q(x) e Vq(x)→p(x) sono entrambiuguali a U ; ma siccome Vp(x)→q(x) = (∼ Vp(x)) ∪ Vq(x), se questo e uguale a Uallora Vp(x) ⊆ Vq(x) e viceversa, quindi Vp(x) = Vq(x).

Vale anche il viceversa; diciamo che una proposizione p(x) e valida in Use Vp(x) = U ; allora se Vp(x) = Vq(x) in U si ha che p(x) ↔ q(x) e valida in U .Basta ripercorrere all’indietro i precedenti passaggi.

Supponiamo allora di voler dimostrare |= ¬(p ∨ q) ↔ ¬p ∧ ¬q.Pensiamo ad un insieme qualunque U (che non c’e bisogno di precisare,

in accordo col fatto che usiamo leggi valide per insiemi qualunque). Conside-riamo i sottoinsiemi Vp = {x ∈ U | p } e Vq = {x ∈ U | q }. Non importa chep e q contengano o no la x; basta che valga, per definizione, che x ∈ Vp ↔ p,cioe che Vp sia definito ponendo che x ∈ Vp e vero se e solo se p e vero. Sep non contiene x, p o e vera o e falsa, indipendentemente da x. In tal casoVp = {x ∈ U | p } o e ∅ o e U .

Dalla definizione di insieme di verita e dalla legge insiemistica

∼ (Vp ∪ Vq) = (∼ Vp) ∩ (∼ Vq),

10Nel senso che p(x) e q(x) hanno sempre lo stesso valore di verita calcolato a partiredalla attribuzione di 0 e 1 alle loro componenti atomiche, anche se contengono x.

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cioe

x ∈∼ (Vp ∪ Vq) se e solo se x∈ (∼ Vp) ∩ (∼ Vq),

segue, siccome x ∈∼ (Vp ∪ Vq) se e solo se ¬(p ∨ q), e analogamente perx ∈ (∼ Vp) ∩ (∼ Vq), che

¬(p ∨ q) ↔ ¬p ∧ ¬q

e vero qualsiasi siano p e q, la cui verita o falsita non gioca alcun ruolo nelladimostrazione11.

Un altro modo piu semantico e il seguente. Siccome p e q non contengonola x, gli insiemi Vp = {x ∈ U | p } e Vq = {x ∈ U | q } come abbiamo dettosono o ∅ o U .

Possiamo interpretare allora ∼ (Vp∪Vq) = (∼ Vp)∩(∼ Vq) o direttamente¬(p ∨ q) ≡ ¬p ∧ ¬q nell’algebra 2, riscrivendola formalmente come

−(x + y) = −x ◦ −y,

che e una legge valida in 2. Questo significa che comunque si sostituiscano ivalori 0 o 1 a x e y l’uguaglianza vale, e questo e un altro modo di dire checomunque si diano a p e q i valori 0 o 1 si ottiene che ¬(p ∨ q) e ¬p ∧ ¬qhanno lo stesso valore, cioe la tavola del bicondizionale ¬(p ∨ q) ↔ ¬p ∧ ¬qha tutti 1 nella colonna finale.

Un ragionamento semantico del genere puo sostituire il modo di procedereformale diretto, in cui una deduzione algebrica viene trasformata in unalogica, come negli esempi di 4.4; occorre prestare attenzione alle insidie delleanalogie formali quando e coinvolta la relazione ≤.

Consideriamo la seguente dimostrazione booleana di una proprieta di x◦yche formalmente corrisponde alla massimalita dell’intersezione:

se z ≤ x e z ≤ y allora z ≤ x ◦ y.

Algebricamente, nel senso delle algebre di Boole, se

z ◦ (−x) = 0

e

11Si vede in particolare che le leggi logiche dimostrate per il linguaggio proposizionalecostruito astrattamente sulle lettere, valgono anche per proposizioni contententi variabili.

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z ◦ (−y) = 0

allora

z ◦ (−x) + z ◦ (−y) = 0z ◦ (−x +−y) = 0z ◦ −(x ◦ y) = 0

z ≤ x ◦ y.

Si conclude quindi correttamente che

z ≤ x ∧ z ≤ y → z ≤ x ◦ y

vale in tutte le algebre di Boole.Poiche sappiamo che ≤ corrisponde a →, siamo tentati di scrivere

|= (C → A) ∧ (C → B) → (C → A ∧B),

ottenendo in tal modo la versione corrispondente della massimalita dellacongiunzione.

Ma questo passaggio non e corretto. Infatti se interpretiamo direttamentela legge booleana z ≤ x ∧ z ≤ y → z ≤ x ◦ y nell’algebra delle proposizionidobbiamo scrivere

[C] ≤ [A] ∧ [C] ≤ [B] → [C] ≤ [A ∧B],

che equivale a

se [C → A] = 1 e [C → B] = 1 allora [C → A ∧B] = 1,

o

se |= C → A e |= C → B allora |= C → A ∧B.

Questa affermazione e diversa e piu debole di quella voluta (spiegare perche).Per ricavare booleanamente la legge della massimalita della congiunzione

ci sono due strade. Bisogna dimostrare che e uguale a 1 l’elemento booleanocorrispondente alla proposizione in questione; siccome essa contiene il con-dizionale, una possibilita e quella di eliminare il condizionale a favore di altriconnettivi booleani, quindi ad esempio di dimostrare che

−((−z + x) ◦ (−z + y)) + (−z + x ◦ y) = 1;

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ma

(−z + x) ◦ (−z + y)) = −z + x ◦ y

per la proprieta distributiva, quindi ci si riduce a −a + a = 1, che e vero.Altrimenti, si puo associare anche al connettivo→ un’operazione booleana

(non un’asserzione quale e x◦ (−y) = 0), come per negazione, congiunzione e !!!disgiunzione. L’operazione binaria x ⇒ y associata12 a → e introdotta comeci si aspetta con la definizione

x ⇒ y = −x + y.

Si ha che x ⇒ y = 1 se e solo se x ≤ y (esercizio).La legge proposizionale |= (C → A)∧(C → B) → (C → A∧B) si ottiene

dimostrando che

((z ⇒ x) ◦ (z ⇒ y)) ⇒ (z ⇒ (x ◦ y)) = 1

nel seguente modo:

(z ⇒ x) ◦ (z ⇒ y) = (−z + x) ◦ (−z + y)= −z + (x ◦ y)= z ⇒ x ◦ y

quindi(z ⇒ x) ◦ (z ⇒ y) = z ⇒ (x ◦ y).

Ma si noti che se a = b allora a ≤ b e quindi a ⇒ b = 1, e anche b ⇒ a = 1.Quindi risulta dalla dimostrazione anche il viceversa, e in effetti

|= (C → A) ∧ (C → B) ↔ (C → A ∧B).

Le mutue relazioni illustrate tra insiemi, algebre di Boole e proposizioniche secondo gli assiomi valgono per le proposizioni scritte con i connettivi¬,∧,∨ si estendono a tutte le proposizioni che contengono gli altri connettiviche sono definibili in termini di questi, come ⊕,→,↔.

12Questo e il motivo per cui non usiamo questo segno per indicare l’implicazione |= A →B, che booleanamente corrisponde all’asserzione x ≤ y.

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5 Relazioni

5.1 Prodotto cartesiano

Un’operazione su insiemi diversa, e in un certo senso piu importante, di quellebooleane e il prodotto cartesiano di due insiemi.

Si indica 〈x, y〉 la coppia ordinata di x e y, e x e y si chiamano rispet-tivamente prima e seconda componente di 〈x, y〉. La coppia ordinata e bendiversa dalla coppia non ordinata {x, y}, per cui vale {x, y} = {y, x} e nonha senso parlare di primo o secondo elemento. Invece 〈x, y〉 6= 〈y, x〉 a menoche non sia x = y; inoltre 〈x, y〉 = 〈z, u〉 se e solo se x = z e y = u1.

Il prodotto cartesiano di X e Y e

X × Y = {〈x, y〉 | x ∈ X e y ∈ Y }.L’operazione × e diversa da quelle booleane in quanto se anche X ⊆ Ue Y ⊆ U , X × Y non e un sottoinsieme di U ; e un insieme di elementistrutturati, in generale un insieme piu ricco; se ad esempio U e la rettanumerica2, U ×U e il piano (cartesiano), dove ogni punto e individuato dallesue due coordinate, che sono le due componenti della coppia, e sono detteascissa la prima componente, ordinata la seconda. Le coppie 〈x, x〉 formanola diagonale di U .

Esempio Se X e {a, b, c, . . . , h} e Y e {1, 2, 3, . . . , 8}, X × Y si puoidentificare con la scacchiera.

Se X e Y sono due insiemi finiti, il numero di elementi di X × Y e ilprodotto del numero di elementi di X e del numero di elementi di Y , da cuiil nome.

Il prodotto cartesiano di due insiemi non e commutativo3.

1Non spieghiamo l’artificio con cui si definisce la coppia ordinata; si ricordi tuttaviache x e y non sono elementi di 〈x, y〉, e infatti si chiamano componenti, o proiezioni.

2Con “retta numerica” si intende di solito l’insieme dei numeri reali; tuttavia a secondadel contesto puo anche significare un altro sistema numerico. Ricordiamo che gli insiemidei numeri naturali, interi, razionali e reali si indicano usualmente con N, Z, Q, R. Sela retta numerica e N o Z, il piano e il reticolo infinito dei punti a coordinate naturali, ointere.

3Non e neanche associativo, anche se X × (Y ×Z) e (X × Y )×Z possono essere messiin corrispondeza biunivoca e identificati; quindi con una opportuna definizione delle terne〈x, y, z〉 si puo definire il prodotto a tre fattori X × Y × Z, e anche quello a n fattori conle n-uple come elementi.

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Il prodotto X×X si indica anche con X2, e X × · · · ×X︸ ︷︷ ︸n

con Xn, insieme

delle n-uple di elementi non necessariamente distinti di X.

5.2 Relazioni

Un sottoinsieme di un insieme X × Y si chiama anche relazione tra X e Y . !!!Se X = Y una relazione R ⊆ X ×X si dice anche relazione in X.

La rappresentazione grafica usuale delle relazioni e quella per mezzo diun diagramma cartesiano, come il seguente:

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

•••••

1

2

X//

YOO

dove X = {0, . . . , 8} e Y = {0, . . . 9} e la relazione e {〈x, y〉 | y = 2x}.Se gli insiemi sono infiniti, se ne puo indicare solo una porzione; ad es-

empio la diagonale

·········

·········

·········

·········

·········

········

·········

·········

·········

•••

•••

••

Z//

ZOO

rappresenta la relazione {〈x, y〉 ∈ Z×Z | x = y } solo in una regione limitatadel piano a coordinate intere, ma si intende che va estesa uniformemente

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all’infinito.

EsempiLa relazione di paternita e una relazione nell’insieme del genere umano,

l’insieme di tutte le coppie 〈x, y〉 dove x e un maschio che ha generato, e yuno dei suoi figli.

La relazione di discendenza genealogica nell’insieme del genere umano el’insieme di tutte le coppie 〈x, y〉 dove x e un antenato (maschile o femminile)di y.

La relazione di divisibilita4 {〈x, y〉 ∈ N × N | x | y } tra numeri naturalie rappresentata, nell’area limitata disegnata, dal diagramma:

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

•••••••••

•••

•••••

• • • • • • • • • N//

NOO

La relazione {〈x, y〉 ∈ Z× Z | x = y2} e parzialmente rappresentata da

4Con x | y indichiamo che esiste uno z tale che xz = y, e diciamo che x divide y o e undivisore di y o che y e divisibile per x, o y e un multiplo di x. Con questa definizione x | 0perche x0 = 0, mentre escludiamo 0 | 0, che pure rientrerebbe nella definizione, perchequando si introduce la divisione si vuole l’uncita del quoziente z in xz = y, mentre 0z = 0per ogni z.

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···········

···········

···········

···········

···········

···········

··········

···········

···········

···········

···········

•••

Z//

ZOO

La relazione {〈x, y〉 ∈ Z × Z | xy = 4} e un insieme finito i cui elementisono tutti indicati nel grafico:

···········

···········

···········

···········

···········

···········

··········

···········

···········

···········

···········

••

••

·•Z//

ZOO

mentre {〈x, y〉 ∈ Q × Q | xy = 4} e un insieme infinito; alcuni suoi punti5

sono indicati nel grafico:

5Le coppie ordinate che sono elementi di una relazione si chiamano anche punti, inanalogia ai punti del piano.

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···········

···········

···········

···········

···········

···········

··········

···········

···········

···········

···········

•• ••

•·

••

•Q//

QOO

Si dice talvolta che {〈x, y〉 ∈ Q × Q | xy = 4} e {〈x, y〉 ∈ Z × Z | xy =4} sono la stessa relazione, {〈x, y〉 | xy = 4} considerata una volta in Qe una volta in Z. Tale modo di esprimersi non e corretto (al massimo, laseconda e una restrizione della prima), ancorche diffuso e innocuo, una voltache si abbiano le idee chiare: uguale e la formula xy = 4 che definisce ledue relazioni, ma le relazioni in se sono due insiemi diversi. Spesso, negliinsiemi finiti soprattutto, perche gli insiemi infiniti trattabili sono solo quellidefinibili, non c’e alcuna formula definitoria.

Ad esempio, se U = {0, 1, . . . , 9}, l’insieme {〈2, 4〉, 〈2, 6〉, 〈2, 8〉} e unarelazione in U . L’unico modo di caratterizzarla e quella di elencare le suecoppie.

Considerare una relazione solo come l’insieme delle coppie di individuiche stanno nella relazione stessa, e non la definizione (la proprieta che legale componenti delle coppie), significa trattare le relazioni dal punto di vistaestensionale.

Talvolta come notazione invece di scrivere che 〈x, y〉 ∈ R si scrive ancheR(x, y), o anche xR y.

5.2.1 Esercizi

1. Disegnare in un diagramma cartesiano le relazioni (o parte di esse):

{〈x, y〉 ∈ N× N | x2 + y2 < 20}{〈x, y〉 ∈ Z× Z | x2 + y2 < 20}{〈x, y〉 ∈ N× N | x < 6 ∧ y < 4}.

2. Abbiamo visto esempi di relazioni finite e infinite; come e {〈x, y〉 ∈

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Z× Z | xy = 12}?

5.3 Relazioni d’ordine

Data una relazione R ⊆ X × Y si chiama dominio di R l’insieme

dom(R) = {x ∈ X | esiste un y ∈ Y tale che 〈x, y〉 ∈ R } ⊆ X

e si chiama immagine l’insieme

im(R) = {y ∈ Y | esiste un x ∈ X tale che 〈x, y〉 ∈ R } ⊆ Y .

Se R e una relazione in U si ha sia dom(R) ⊆ U sia im(R) ⊆ U . L’unionedom(R) ∪ im(R) si chiama anche campo di R e si denota campo(R)6.

Esempio Nella relazione di paternita il dominio e l’insieme di tutti gliuomini che hanno generato, l’immagine l’insieme di tutti gli uomini e tuttele donne7.

Le relazioni si distinguono e si classificano in base ad alcune proprieta dicui possono o no godere.

Una relazione R in un insieme U soddisfa la proprieta riflessiva se perogni x ∈ campo(R) 〈x, x〉 ∈ R. Invece si dice antiriflessiva se per ognix ∈ campo(R) 〈x, x〉 6∈ R.

Una relazione R in un insieme U soddisfa la proprieta transitiva se perogni x, y, z ∈ campo(R), se succede che 〈x, y〉 ∈ R e 〈y, z〉 ∈ R allora anche〈x, z〉 ∈ R.

Una relazione R in un insieme U soddisfa la proprieta simmetrica se perogni x e y ∈ campo(R), se succede che 〈x, y〉 ∈ R allora anche 〈y, x〉 ∈ R. Unarelazione e simmetrica se e uguale alla sua simmetrica (nel piano, rispettoalla diagonale) che si ottiene scambiando ogni coppia 〈x, y〉 con 〈y, x〉.

Invece una relazione R si dice antisimmetrica se 〈x, y〉 ∈ R e x 6= yimplicano 〈y, x〉 6∈ R, o in modo equivalente, per contrapposizione, se 〈x, y〉 ∈R e 〈y, x〉 ∈ R implicano x = y.

EsempiLa relazione di paternita e antiriflessiva e non e transitiva, ed e antisim-

metrica. La relazione di discendenza e transitiva.

6La notazione non e standard.7Qualcuno puo non essere d’accordo sul caso critico di Adamo ed Eva, se ci crede; non

consideriamo i problemi della clonazione.

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Le relazioni {〈x, y〉 | xy = 4} e {〈x, y〉 | x = y} sono simmetriche. Larelazione {〈x, y〉 | x = y2} non lo e.

La relazione di conseguenza logica, nell’insieme delle proposizioni, e rif-lessiva (legge dell’identita) e transitiva (transitivita del condizionale).

Un tipo importante di relazioni e quello costituito dalle relazioni d’ordine. !!!Una relazione R in un insieme U si chiama relazione d’ordine se soddisfa leproprieta riflessiva, transitiva e antisimmetrica per gli elementi nel campo(R).Si dice anche che R e un ordine in U , un ordine del campo(R).

Per le relazioni d’ordine si suole usare il simbolo ¹; le condizioni a cuideve soddisfare ¹ sono dunque

x ¹ xx ¹ y ∧ y ¹ z → x ¹ zx ¹ y ∧ y ¹ x → x = y.

Se a queste si aggiunge la condizione che due elementi qualunque siano con-frontabili:

x ¹ y ∨ y ¹ x

per ogni x, y ∈ campo(¹), che si chiama anche condizione di connessione,allora ¹ e un ordine totale di campo(¹).

Altrimenti, se non e verificata la condizione di connessione, si parla diordine parziale.

Un insieme U si dice totalmente, o parzialmente ordinato, se esiste unarelazione ¹ in U con campo(¹) = U che e un ordine totale o rispettivamenteparziale. Un insieme ordinato si indica spesso con la coppia 〈U,¹〉, che mettein evidenza la relazione d’ordine.

EsempiL’insieme N con la relazione ≤ e totalmente ordinato.L’insieme {0, 1, . . . n} con la relazione ≤ e totalmente ordinato.La relazione ⊆ nell’insieme dei sottoinsiemi di U e un ordine parziale.Un albero e un insieme parzialmente ordinato.Un ramo di un albero e un insieme totalmente ordinato, e chiuso verso il

basso8.

8Questo significa che se x appartiene al ramo e y ¹ x anche y appartiene al ramo.

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Dato un ordine ¹ si puo sempre introdurre una nuova relazione ≺ con ladefinizione x ≺ y ↔ x ¹ y ∧ x 6= y, che risulta antiriflessiva, antisimmetricae transitiva. Viceversa, data una relazione ≺ antiriflessiva, antisimmetricae transitiva, si puo definire x ¹ y ↔ x ≺ y ∨ x = y e si ha una relazioned’ordine (si veda 7.3).

Un maggiorante di x - rispetto a un ordine 〈U,¹〉 - e un elemento y ∈ Utale che x ¹ y. Il maggiorante e stretto, o proprio, se x 6= y.

Un minorante di x e un elemento y ∈ U tale che y ¹ x. Il minorante estretto, o proprio, se x 6= y.

Dato un insieme totalmente o parzialmente ordinato 〈U,¹〉, un elementox ∈ U si dice minimo - rispetto all’ordine - se x ¹ y per ogni y ∈ U . Si dicemassimo se y ¹ x per ogni y ∈ U .

Dato X ⊆ U , un minimo di X e un elemento x ∈ X tale che x ¹ y perogni y ∈ X; simmetricamente per il massimo.

Il minimo di un insieme X e unico; analogamente il massimo.

Dato un insieme parzialmente ordinato 〈U,¹〉, un elemento x ∈ U si diceminimale - rispetto all’ordine - se non ha minoranti propri. Si dice massimalese non ha maggioranti propri.

Se X ⊆ U , un elemento minimale di X e un elemento x ∈ X tale cheper nessun y ∈ X, y 6= x si ha y ¹ x, cioe che non ha minoranti propriappartenenti a X; simmetricamente per un elemento massimale. Gli elementiminimali o massimali non sono necessariamente unici.

EsempiLa relazione d’ordine totale ≤ nell’insieme dei numeri naturali ha un min-

imo, nessun massimo. Negli altri insiemi numerici degli interi, dei razionalie dei reali9 ≤ e un ordine totale senza ne minimo ne massimo.

La relazione d’ordine parziale ⊆ nell’insieme dei sottinsiemi di un insiemeU ha un massimo U e un minimo ∅. Nell’insieme dei sottoinsiemi non vuoti diU esistono tanti elementi minimali, gli {x}, quanti sono gli elementi x ∈ U .Nell’insieme di tutti gli insiemi contenuti sia in X sia in Y l’intersezioneX ∩ Y e il massimo.

In generale, in un’algebra di Boole, la relazione {〈x, y〉 | x ◦−y = 0} e unordine parziale con minimo 0 e massimo 1.

9I numeri complessi invece non possono essere ordinati in modo che la relazione d’ordinesia compatibile con le operazioni, ad esempio nel senso che se x ¹ y allora x + z ¹ y + z.

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Dato un insieme X ⊆ campo(¹), un elemento x ∈ U , anche non apparte-nente a X, si dice maggiorante di X se y ¹ x per ogni y ∈ X; simmetrica-mente per il minorante.

Se esiste il minimo dell’insieme dei maggioranti di X, questo elemento diU si chiama estremo superiore di X; il massimo dell’insieme dei minoranti,se esiste, si chiama estremo inferiore di X.

Esempio√

2 e in R l’estremo superiore dell’insieme {x ∈ Q | x2 < 2}.Tale insieme non ha estremo superiore in Q.

Un ordine si dice discreto se per ogni elemento x che abbia maggiorantipropri esiste un elemento z, che si puo chiamare successore immediato, taleche x ≺ z e per nessun v sia x ≺ v ≺ z, e per ogni elemento x che ab-bia minoranti propri esiste un elemento y, che si puo chiamare predecessoreimmediato, tale che y ≺ x e per nessun u sia y ≺ u ≺ x.

t t t tt zxy

Esempio L’ordine dei numeri naturali e quello dei numeri interi sonoordini discreti.

Un ordine si dice denso se dati due qualunque elementi distinti x e y, conx ≺ y, esiste uno z tale che x ≺ z ≺ y.

Esempio L’ordine dei razionali e quello dei reali sono ordini densi.

Una relazione d’ordine totale ¹ di un insieme U si dice un buon ordinese ogni X ⊆ U non vuoto ha minimo. Un insieme con un buon ordine si dicebene ordinato.

EsempiTipici insiemi bene ordinati sono {0, . . . , n} con la relazione ≤ e l’insieme

N = {0, . . . , n, . . . } con la stessa relazione.L’insieme degli interi non e bene ordinato da ≤. L’insieme dei razionali

non e bene ordinato da ≤.

Il fatto che l’insieme dei naturali sia bene ordinato significa che al di ladella catena formata da 0 e dal successore di 0, e dal successore del successoredi 0 e cosı via, non ci sono altri elementi, come sarebbe ad esempio in unastruttura del genere:

t t t tttt s s s s r q q t0

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e questo e importante per le proprieta dei naturali che studieremo nel para-grafo 15.

Se al di la di tutti i numeri raggiungibili da 0 ci fosse ancora ad esempiouna struttura ordinata come quella degli interi, cun una catena discendente

t t t tttt s s s s r q q qq q q r r s0

l’insieme non sarebbe bene ordinato; il sottoinsieme formato dalla catenadiscendente da destra non avrebbe minimo.

5.4 Relazioni di equivalenza

L’essenziale sulle relazioni di equivalenza e stato detto a proposito dell’algebradelle proposizioni. Ricordiamo che una relazione R in un insieme U si diceuna equivalenza se essa e riflessiva, simmetrica a transitiva, vale a dire, pergli elementi di campo(R):

xR xxR y → yR x

xR y ∧ yR z → xR z.

Non ci sarebbe bisogno di richiedere la riflessivita in quanto essa e con-seguenza delle altre due: infatti

xR y ∧ yR x → xR x,

quindi basta che x sia in relazione R con un elemento qualsiasi10 perche xR x.Tuttavia si menziona la riflessivita per la sua importanza.

Esempi

1. La relazione di uguaglianza e una equivalenza.

2. Nell’insieme U = {a, b, c, d, e} la relazione

R = {〈a, a〉, 〈b, b〉, 〈c, c〉, 〈d, d〉, 〈e, e〉,〈a, b〉, 〈b, a〉, 〈a, c〉, 〈c, a〉, 〈b, c〉, 〈c, b〉,

〈d, e〉, 〈e, d〉}10Se c’e solo x nel campo di R, allora deve gia essere xR x.

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e una relazione di equivalenza, rappresentata dal seguente diagramma11.

·····

·····

·····

·····

·····

•a••••••

••b••b•c d e

•cde

U//

UOO

3. Nel dominio degli interi, la relazione di congruenza x ≡ y (mod p),p ≥ 2, che vale se la differenza x− y e divisibile per p, e una relazionedi equivalenza12.

4. La relazione di parallelismo tra rette in un piano e una relazione diequivalenza.

5. La relazione di similitudine tra triangoli e una equivalenza.

6. La relazione di equivalenza logica e una equivalenza.

Data una relazione di equivalenza R in un insieme U = campo(R), sidefinisce per ogni x ∈ U la classe di equivalenza di x come

[x] = {y ∈ U | xR y }e x si chiama rappresentante della classe [x].

Date due classi [x] e [y ], queste o sono uguali (hanno gli stessi elementi)o sono disgiunte. Se xR y, allora ogni z ∈ [x], essendo xR z, e anche zR y,quindi z ∈ [y], e viceversa. Allora x e y sono due diversi rappresentanti dellastessa classe.

Se x non sta nella relazione R con y, allora non ci puo essere uno z ∈[x] ∩ [y ], altrimenti si avrebbe zR x e zR y, e quindi xR y.

L’insieme U e ripartito dalla relazione di equivalenza R in una famigliadi insiemi disgiunti, di cui U e l’unione. Una tale famiglia si chiama appuntopartizione di U .

11Il significato delle linee tratteggiate sara spiegato in seguito.12x ≡ y (mod p) si legge“x congruo a y modulo p”.

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EsempiPer la relazione dell’esempio 2 di sopra, [a] = [b] = [c] = {a, b, c} e

[d] = [e] = {d, c}. Nel grafico si vedono i due agglomerati di punti cheformano le due classi disgiunte.

Per la relazione di congruenza x ≡ y (mod 2) ci sono due classi, quelladei numeri pari e quella dei numeri dispari.

L’insieme {[x] | x ∈ U} delle classi di equivalenza di un insieme U ,rispetto alla relazione R, e detto il quoziente di U rispetto ad R, ed e indicatocon U/R.

Il quoziente dell’insieme dei numeri naturali rispetto a x ≡ y (mod 2) el’insieme {0, 1}.

Se si definiscono operazioni e relazioni nel quoziente, a partire da oper-azioni e relazioni tra gli elementi di U , occorre sempre fare attenzione chesiano bene definite, vale a dire che, nel caso di operazioni ad esempio, la classerisultante non dipenda dalla scelta dei rappresentanti delle classi argomento.

Esempio Nel quoziente degli interi rispetto alla relazione x ≡ y (mod p),che si indica Zp, si definisce la somma con

[x] +p [y] = [x + y],

e analogamente il prodotto, rendendo possibile la cosiddetta aritmetica mod-ulare.

L’operazione13 +p e ben definita perche se [x1] = [x] e [y1] = [y ], allorax = mp+r, y = np+s e x1 = m1p+r e y1 = n1p+s; quindi (x+y)−(x1+y1) =(m + n − m1 − n1)p e divisibile per p e x + y e x1 + y1 appartengono allastessa classe.

Nella congruenza (mod 2), in Z2, 1 +2 1 = 0 corrisponde al fatto che lasomma di due dispari qualunque e pari.

5.5 Funzioni

Una relazione R si dice funzionale se per ogni x ∈ dom(R) esiste un solo ytale che 〈x, y〉 ∈ R.

Una relazione funzionale R tra X e Y si dice anche una funzione tra Xe Y , o una funzione da dom(R) in Y . Se si parla di una funzione da X in Ys’intende che il suo dominio e tutto X.

13Usiamo questo segno per distinguere la somma delle classi dalla somma degli interi.

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Per le funzioni si usano di solito i simboli f, g, . . . . Se f e una funzioneda X in Y si scrive anche

f : X −→ Y .

Se 〈x, y〉 ∈ f , si scrive y = f(x) e si dice che y e il valore di f per l’argomentox, o l’immagine di x mediante f .

Sinonimi per “funzione” sono “mappa” o “corrispondenza”. Si dice pureche y corrisponde a x o che e il valore associato all’argomento x, e talvoltasi scrive f : x 7→ y per y = f(x).

Se Z ⊆ X, l’immagine di Z mediante f e l’insieme delle immagini f(y),per ogni y ∈ Z: {f(y) | x ∈ Z}.

Tale insieme si indica anche con f“Z, non con f(Z), che Z 6∈ dom(f). !!!Se y ∈ im(f), l’insieme {x ∈ X | f(x) = y} si chiama controimmagine

di y e si indica f−1(y). f−1(y) e un insieme, e in generale con piu di unelemento.

Un modo abbreviato di presentare una funzione e quello di scrivere laformula che definisce la relazione, ad esempio si parla della funzione y = x2,ma occorre allora precisare a parte il dominio e l’immagine della funzione.

Una funzione f : X −→ Y si dice iniettiva o uno-uno se a elementi diversicorrispondono valori diversi: x 6= y → f(x) 6= f(y).

Una funzione iniettiva si indica talvolta con la notazione:

f : X ↪→ Y .

Se una funzione f e iniettiva, per ogni y ∈ im(f) f−1(y) ha un solo elementox che si chiama lui controimmagine di y. Viceversa, se ogni f−1(y) ha unsolo elemento, per y ∈ im(f), f e iniettiva.

Una funzione f : X −→ Y si dice suriettiva, o sopra se Y = im(f),ovvero se per ogni y ∈ Y esiste almeno un x ∈ X tale che y = f(x).

EsempiLa funzione

f : Z −→ Zx 7→ 2x

e iniettiva, non suriettiva.La funzione

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f : Q −→ Qx 7→ 2x

e iniettiva e suriettiva.La funzione

f : Q −→ Qx 7→ x2

non e iniettiva e non e suriettiva, cosı come

f : R −→ Rx 7→

√|x|.

La funzione

f : R −→ Rx 7→ x3 − x.

invece non e iniettiva ma e suriettiva.La corrispondenza definita da x 7→ 1

x, o dalla formula y = 1

x, definisce

una funzione tra Q e Q il cui dominio e Q \ {0}:

f : Q \ {0} −→ Qx 7→ 1

x

e iniettiva e non e suriettiva.La funzione

f : Q \ {0} −→ Q \ {0}x 7→ 1

x

e iniettiva e suriettiva.

Una funzione f : X −→ Y che sia iniettiva e suriettiva si dice biiettiva, ouna biiezione tra X e Y o una corrispondenza biunivoca tra X e Y .

Se X = Y si parla di una biiezione di X in se.

EsempiLa funzione

f : Q −→ Qx 7→ 2x

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e una biiezione di Q in se stesso.La funzione

f : Z −→ Zx 7→ 2x

e invece solo una iniezione di Z in se.La funzione

f : Q \ {0} −→ Q \ {0}x 7→ 1

x

e una biiezione di Q \ {0} in se..La funzione che a ogni i < n associa i + 1 e a n associa 0 e una biiezione

di {0, 1, . . . , n} in se.

Le biiezioni di un insieme finito in se si chiamano permutazioni dell’insieme.

Il concetto di “funzione” e molto comodo per definire o collegare diversialtri concetti matematici; abbiamo visto quello di “permutazione”; le se-quenze 〈a0, . . . , an〉 di elementi di X si possono definire come funzioni da{0, 1, . . . , n} in X; le disposizioni di X a n elementi, se X ha piu di n el-ementi, sono le funzioni iniettive da {0, 1, . . . , n} in X; un insieme {ai}i∈I

indiciato da I e l’immagine di una funzione da I nell’insieme cui apparten-gono gli ai; un sottoinsieme X ⊆ U e anche uguale a c−1

X (1), dove cX e lafunzione caratteristica di X, cioe la funzione U −→ {0, 1} definita da

cX(x) =

{1 se x ∈ X0 se x 6∈ X,

e cosı via, tutte le nozioni matematiche si possono esprimere in termini in-siemistici.

Se per una funzione f : X −→ Y il dominio e un prodotto cartesianoX = V ×W , allora si dice che la f e una funzione di due variabili, o di dueargomenti, e per ogni 〈v, w〉 ∈ V ×W il valore di f si indica con f(v, w).

Analogamente se il dominio e un prodotto di piu di due fattori. Per unafunzione f di n argomenti il valore della funzione per la n-upla 〈x1, . . . , xn〉si indica con f(x1, . . . , xn).

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6 Forme normali

Dopo aver imparato le definizioni riguardanti la semantica delle proposizioni,e alcune prime tecniche per stabilire in particolare se sono tautologie, sia di-rettamente con il calcolo del valori di verita sia deducendole da altre conpassaggi logici o algebrici booleani, passiamo a porci alcuni problemi meta-teorici sul linguaggio proposizionale.

6.1 Definibilita dei connettivi

Ad ogni proposizione e associata una tavola di verita, come abbiamo vistonegli esempi di 3.3.1. Viceversa, data una qualunque tavola di verita, comead esempio

p q r ?

0 0 0 10 0 1 10 1 0 10 1 1 11 0 0 01 0 1 01 1 0 01 1 1 0

esiste una proposizione scritta utilizzando soltanto i connettivi ¬, ∧, ∨ cheha quella data come sua tavola di verita associata.

La proposizione si costruisce nel seguente modo, appoggiandosi come es-empio alla tavola di sopra. Sara una disgiunzione con tanti disgiunti quantesono nella tavola le righe che hanno il valore 1, quindi A1 ∨ A2 ∨ A3 ∨ A4;ogni disgiunto Ai dovra essere vero solo per l’interpretazione della riga cor-rispondente; la riga assegna valori 0,1 alle lettere, quindi 1 a certe lettere e1 alle negazioni di certe altre lettere; una congiunzione e vera se e solo setutti i congiunti sono veri; Ai potra quindi essere una congiunzione di tanteproposizioni quante sono le colonne di entrata della tavola, nell’esempio 3,e ciascuna di queste proposizioni sara una lettera o la negazione di quellalettera a seconda che nella riga corrispondente la lettera abbia il valore 1oppure 0. Quindi

(¬p ∧ ¬q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ ¬q ∧ r) ∨ (¬p ∧ q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ q ∧ r).

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Per le proprieta della valutazione della disgiunzione e congiunzione - che unadisgiunzione e vera se e solo se almeno un disgiunto e vero, e una congiunzionese e solo se tutti i congiunti sono veri - e della negazione, si puo facilmentevedere procedendo al contrario che la tavola associata a questa proposizionee uguale alla tavola data, che era la tavola di p ∨ q → ¬p ∧ (q → r). 2

Il risultato si esprime anche dicendo che tutte le funzioni di verita sonodefinibili in termini dell’insieme di connettivi {¬,∧,∨}, o che questo e uninsieme adeguato di connettivi. Questo significa che non si e perso nulla, !!!quanto a capacita espressiva, non ammettendo nell’alfabeto altri connettivi,ad esempio quello per la duplice negazione “ne . . . ne”; se avessimo introdottoun connettivo ↑ o nor per questa combinazione di proposizioni, con la tavola

A B A ↑ B

0 0 10 1 01 0 01 1 0

a posteriori potremmo ora sostituire ogni occorrenza della proposizione p ↑ qcon l’equivalente ¬p ∧ ¬q1.

Vale la pena di notare esplicitamente cosa significa che un simbolo e defini- !!!bile (a differenza ad esempio dalla definibilita di un insieme).

Un simbolo di operatore binario • si dice definibile (in termini di altri) sep • q ↔ A(p, q) oppure p • q = A(p, q), a seconda che p • q sia una formulaoppure un termine, dove A e un’espressione che non contiene • e contienesolo gli altri simboli o nozioni nei termini dei quali • si dice definito.

S’intende che il bicondizionale o l’uguaglianza devono essere validi nelcontesto in esame: in logica sara |= p • q ↔ A(p, q), mentre una uguaglianzap • q = A(p, q) deve essere dimostrata nella relativa teoria, aritmetica oalgebra o altro.

Analogamente se il numero di argomenti e diverso da 2.

Ad esempio in geometria piana per due rette “r//s ↔ r e s non siintersecano”, in aritmetica “x | y ↔ esiste uno z per cui xz = y”, o il

1Se c’e una sola riga con valore 1, la proposizione costruita come detto sopra e dellaforma A1, dove A1 e una congiunzione. Si puo dire tuttavia che anche in questo caso laproposizione associata alla tavola e una disgiunzione, pensando che A1 ≡ A1 ∨A1

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simbolo di elevamento a quadrato “x2 = x · x”, nell’algebra degli insiemi“X \ Y = X∩ ∼ Y ”.

Ma il precedente risultato dice anche che gli stessi connettivi del lin-guaggio proposizionale sono sovrabbondanti, perche {¬,∧,∨} e adeguato, eneanche il piu ridotto possibile. Quando un sistema adeguato e minimale,nel senso che nessun suo sottoinsieme proprio e ancora adeguato, si chiamauna base, in analogia con le basi degli spazi vettoriali (si vedano gli esercizi).

Si ha che p ⊕ q risulta equivalente a (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ ¬q), e p → q ≡(¬p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ q) e analogamente p ↔ q (esercizio).

Ognuna di queste equivalenze comporta l’eliminabilita del connettivodefinito, cioe che all’interno di una proposizione una sottoproposizione, adesempio della forma A → B, puo essere rimpiazzata dalla proposizione equiv-alente (¬A ∧ ¬B) ∨ (¬A ∧B) ∨ (A ∧B).

6.1.1 Esercizi

1. Dimostrare che {¬,∧} e {¬,∨} sono due basi di connettivi, definendola disgiunzione nel primo e la congiunzione nel secondo.

2. Dimostrare che {¬,→} e una base di connettivi.

3. Dimostrare che il connettivo “ne . . . ne” da solo costituisce una base,definendo in termini di esso la negazione e la congiunzione.

4. Scrivere la funzione di verita del connettivo ↓ o nand, “non entrambe”,o “non sia . . . sia”, e dimostrare che costituisce da solo una base diconnettivi.

5. Esaminare tutte le tavole di verita a una entrata, e spiegare perche nonesiste un connettivo per “e necessario che”.

6. Discutere se e possibile ripetere la trattazione di questo paragrafo con⊕ al posto di ∨ (associare a ogni tavola una proposizione con ¬,∧,⊕che abbia quella data come sua tavola di verita). L’insieme {¬,∧,⊕}e adeguato? E {¬,⊕}? E {⊕,∧}?

6.2 Forme normali disgiuntive

La proposizione costruita a partire da una tavola di verita nel modo sopradescritto ha una forma particolare. Si chiami letterale una proposizione che

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sia o una lettera p, letterale positivo, o la negazione di una lettera ¬p, letteralenegativo.

La proposizione associata alla tavola ha dunque la forma di una disgiun-zione di congiunzioni di letterali. Una tale forma di chiama forma normaledisgiuntiva. Poiche e evidente che

Osservazione 6.2.1 Per ogni A e B che contengano le stesse lettere,

A ≡ B se e solo se A e B hanno la stessa tavola di verita

si puo concludere che

Teorema 6.2.1 Per ogni proposizione A esiste una proposizione con le stesselettere che e in forma normale disgiuntiva ed e logicamente equivalente ad A.

Dimostrazione. Come nell’esempio di sopra, data A si calcoli la sua tavola,quindi si costruisca la proposizione in forma normale disgiuntiva associataalla tavola.

Nel caso che la tavola di A non abbia alcun 1 nella colonna dei valori,quindi che A sia una contraddizione, la proposizione equivalente in formanormale disgiuntiva si puo scrivere nella forma (¬p∧ p)∨ . . .∨ (¬q ∧ q) comedisgiunzione di contraddizioni elementari, una per ogni lettera di A. 2

Anche una proposizione come ¬p ∨ q e in forma normale disgiuntiva,perche il concetto di congiunzione e disgiunzione e usato ovviamente in sensogeneralizzato, ammettendo due o piu componenti, o anche una sola2. Leproposizioni in forma normale disgiuntiva associate a tavole di proposizioninon contraddittorie hanno l’ulteriore proprieta che in ogni disgiunto com-paiono le stesse lettere, e che in ogni congiunzione ogni lettera compare unasola volta, o positiva o negata3. Qualche volta si usa l’aggettivo ulterioreregolare per indicare questa caratteristica delle forme normali. Una propo-sizione in forma normale disgiuntiva regolare permette di leggere diretta-mente i modelli della proposizioni, uno per ogni disgiunto:

(¬p ∧ q) ∨ (p ∧ ¬q)

2Vedi anche la nota 1 del paragrafo.3Questa disgiunzione nel testo e esclusiva.

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ha due modelli, i1(p) = 0 e i1(q) = 1, e i2(p) = 1 e i2(q) = 0.Tale possibilita di lettura sussiste peraltro anche per le forme normali

disgiuntive non regolari, considerando pero le interpretazioni come definitein modo arbitrario sulle lettere che non occorrono in alcuni disgiunti:

(¬p ∧ q) ∨ p

ha tre modelli: da ¬p ∧ q viene i1(p) = 0 e i1(q) = 1, e da p viene i(p) = 1,che pero ne riassume due: i2(p) = 1 e i2(q) = 1, e i3(p) = 1 e i3(q) = 0.

Qualche volta, sempre per le forme non regolari, disgiunti diversi hannomodelli in comune; e ovviamente se in una congiunzione occorre sia unalettera sia la sua negazione quella congiunzione non ha modelli.

6.3 Forme normali congiuntive

Un altro modo di associare a una tavola una proposizione scritta solo coni connettivi ¬, ∧ e ∨ e il seguente, dove sono scambiati i ruoli di 0 e 1 edi congiunzione e disgiunzione: si cerca ora una proposizione che sia falsaesattamente nei casi prescritti dalla tavola data. In riferimento allo stessoesempio di prima, la proposizione deve essere falsa solo ed esattamente incorrispondenza alle ultime quattro righe della tavola, sara percio una con-giunzione A5 ∧ A6 ∧ A7 ∧A8, e ogni Ai sara la disgiunzione di tre letterali,ogni letterale positivo o negativo a seconda che nella riga in questione la !!!lettera abbia il valore 0 oppure 1. Quindi:

(¬p ∨ q ∨ r) ∧ (¬p ∨ q ∨ ¬r) ∧ (¬p ∨ ¬q ∨ r) ∧ (¬p ∨ ¬q ∨ ¬r).

Per confermare che questa proposizione ha la tavola data come sua tavola diverita occorre questa volta ricordare che una congiunzione e falsa se e solose una delle proposizioni congiunte e falsa, e che una disgiunzione e falsa see solo se tutte le proposizioni disgiunte sono false.

Una proposizione che sia una congiunzione di disgiunzioni di letterali sidice in forma normale congiuntiva.

Esempio La forma normale congiuntiva di p → q, applicando il proced-imento descritto, e ¬p ∨ q, che e forma congiuntiva, se si considera, come siconsidera, la congiunzione in senso generalizzato; ¬p ∨ q e dunque in formasia congiuntiva sia disgiuntiva.

Come sopra, risolvendo a parte anche il caso in cui nella tavola non cisiano 0, si ha:

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Teorema 6.3.1 Per ogni proposizione A esiste una proposizione con le stesselettere che e in forma normale congiuntiva ed e equivalente ad A.

Le forme normali, non necessariamente regolari, sono convenienti per verifi-care in modo efficiente (alla sola scansione e ispezione della lista) la validita !!!logica o l’insoddisfacibilita, ma ciascuna forma e adeguata solo per una delledue proprieta.

Teorema 6.3.2 Una proposizione in forma normale congiuntiva e una tau-tologia se e solo se in ogni sua clausola c’e una lettera che occorre sia positivasia negata.

Una proposizione in forma normale disgiuntiva e insoddisfacibile se e solose in ogni suo disgiunto c’e una lettera che occorre sia positiva sia negata.

Dimostrazione. Per le forme congiuntive, una clausola in cui occorra unalettera e la negazione della stessa lettera e una tautologia, e una congiunzionee una tautologia se e solo se lo sono le sue componenti. Una clausola in cuinon si verifichi la presenza di una lettera e della sua negazione puo assumereil valore 1 se a tutti i letterali si assegna il valore 1 interpretando a 1 le letteredei letterali positivi e a 0 le lettere dei letterali negativi.

Un ragionamento analogo vale per le forme disgiuntive. 2

Si noti che due proposizioni equivalenti non debbono necessariamenteavere le stesse lettere, ad esempio q ∧ (¬p ∨ p) e equivalente a q, e ¬p ∨p e equivalente a q → q (sono tutt’e due tautologie); quando si controllache per ogni interpretazione le due proposizioni hanno lo stesso valore siconsiderano interpretazioni definite sull’insieme piu ampio di lettere, ma sipossono trascurare in una proposizione i valori delle lettere non occorrenti.

Le proposizioni in forma normale che si ottengono da una tavola non sonosempre le piu semplici possibili. Se ad esempio il criterio che interessa e quellodella lunghezza, la forma ¬p∨ q, e preferibile alla forma normale disgiuntivaregolare che si ottiene dalla tavola del condizionale. A ¬p ∨ q si puo passaredalla forma normale disgiuntiva regolare (¬p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ q) con iseguenti passaggi:

(¬p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ q)(¬p ∧ (¬q ∨ q)) ∨ (p ∧ q)

¬p ∨ (p ∧ q)(¬p ∨ p) ∧ (¬p ∨ q)

¬p ∨ q

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applicando le leggi distributive e la semplificazione delle tautologie (si notiche la seconda proposizione non e in forma normale).

Come mostra l’esempio, esistono quindi diverse forme normali disgiuntive(e lo stesso per le congiuntive) equivalenti a una data proposizione; si parlerapercio solo impropriamente della forma normale disgiuntiva (o congiuntiva)di una proposizione A, ma si usera ugualmente tale dizione, intendendola ameno di equivalenza logica; si chiamera in tal modo una qualunque formanormale disgiuntiva (o congiuntiva) che sia equivalente ad A4, e si potraanche scrivere, se conveniente, dnf(A) (rispettivamente cnf(A)).

Il risultato generale che ogni proposizione e equivalente a una propo-sizione in forma normale disgiuntiva o congiuntiva si puo ottenere anche ap-plicando un algoritmo forma normale di trasformazioni successive comenell’esempio di sopra per il condizionale.

Il procedimento e il seguente:

• eliminare ⊕, ↔ e →• spostare ¬ verso l’interno con le leggi di De Morgan

• cancellare le doppie negazioni, con la legge della doppia negazione

• cancellare le ripetizioni, con le leggi di idempotenza

• applicare ripetutamente le leggi distributive.

L’ultima indicazione puo sembrare vaga, ma si puo rendere piu precisa edeterministica. Con i passi precedenti si e ottenuta una proposizione equiv-alente che e formata a partire da letterali con applicazioni ripetute di ∧e ∨, anche se non necessariamente nell’ordine che produce una forma nor-male. Supponiamo di volerla trasformare in forma normale congiuntiva (perla forma normale disgiuntiva il procedimento e lo stesso con scambiati i ruolidi ∧ e ∨).

Consideriamo il connettivo principale della proposizione; se e ∧, passiamoalle due sottoproposizioni immediate trasformandole separatamente con ilprocedimento sotto descritto5 e facendo alla fine la congiunzione delle due

4Non necessariamente con le stesse lettere, come mostra l’esempio delle due formenormali disgiuntive p ∨ (q ∧ ¬q) ≡ p.

5L’algoritmo che stiamo presentando e ricorsivo - si veda il paragrafo 15.

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forme congiuntive cosı ottenute; se e ∨, e la proposizione e della forma A∨B,e necessaria qualche preparazione.

Se in A non occorresse per nulla ∧, potremmo lavorare su B come dettosotto, dopo aver fatto, per la precisione, lo scambio con B ∨ A. Possiamoallora supporre che A sia della forma C ∧ D, perche se A a sua volta fosseuna disgiunzione C ∨ D, potremmo considerare al suo posto l’equivalenteC ∨ (D ∨ B) e andare a cercare ∧ in C, oppure in D dopo aver fatto loscambio con l’equivalente D ∨ (C ∨B).

La proposizione data si trasforma allora nella equivalente (C∨B)∧(D∨B)e possiamo applicare ricorsivamente il procedimento alle due proposizioni piucorte C ∨ B e D ∨ B. Quando procedendo in questo modo si e eliminato ilconnettivo ∧ a sinistra di B, si passa a lavorare nello stesso modo su B.

Esempio Da

(p → q) → (r ∨ ¬p)¬(p → q) ∨ (r ∨ ¬p)¬(¬p ∨ q) ∨ (r ∨ ¬p)

(¬¬p ∧ ¬q) ∨ (r ∨ ¬p)(p ∧ ¬q) ∨ (r ∨ ¬p),

che e in forma normale disgiuntiva

(p ∧ ¬q) ∨ r ∨ ¬p

con due disgiunti unitari r e ¬p. Se invece si vuole la forma normale con-giuntiva, si continua con

(p ∨ (r ∨ ¬p)) ∧ (¬q ∨ (r ∨ ¬p))(p ∨ r ∨ ¬p) ∧ (¬q ∨ r ∨ ¬p)

che e in forma normale congiuntiva.

Esempio Trasformare la forma normale disgiuntiva (p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q)in forma normale congiuntiva:

(p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q)(p ∨ (¬p ∧ q)) ∧ (¬q ∨ (¬p ∧ q)).

Il primo congiunto si trasforma in

(p ∨ ¬p) ∧ (p ∨ q),

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il secondo in

(¬q ∨ ¬p) ∧ (¬q ∨ q),

quindi la proposizione in

(p ∨ ¬p) ∧ (p ∨ q) ∧ (¬q ∨ ¬p) ∧ (¬q ∨ q),

da cui si possono ancora eliminare le tautologie, ottenendo

(p ∨ q) ∧ (¬q ∨ ¬p).

.Non e detto che questo procedimento, che ha il merito di far vedere

la terminazione del compito, se lo si segue come filo d’Arianna, sia sem-pre il piu efficiente; puo essere utilmente integrato con l’applicazione initinere dell’eliminazione delle ripetizioni, e con l’eliminazione delle tautolo-gie dalle congiunzioni, e della contraddizioni dalle disgiunzioni, ogni voltache sia possibile; sono utili le leggi di assorbimento ed equivalenze come !!!¬(A → B) ≡ A ∧ ¬B; oppure ci sono scorciatoie come quando, volendo mi-rare a una forma congiuntiva, si incontra una sottoproposizione della forma(A ∧B) ∨ (C ∧B) che conviene rimpiazzare direttamente con (A ∨ C) ∧B.

Le forme normali disgiuntive e congiuntive si trovano ai poli estremi diuno spettro su cui si immagini di collocare le proposizioni misurando la lorodistanza con il numero di applicazioni delle proprieta distributive necessarieper passare dall’una all’altra. Se si pensasse di decidere se una proposizionein forma normale disgiuntiva e una tautologia applicando il teorema 6.3.2,dovendola prima trasformare in forma congiuntiva, si affronterebbe un com-pito non inferiore come complessita a quello di costruire la tavola di veritacompleta (e forse piu rischioso, se fatto a mano).

6.4 Esercizi

1. Scrivere la forma normale congiuntiva e disgiuntiva, usando le tavoledi verita, delle seguenti proposizioni:

(p ∨ q → r) ∧ ¬p ∧ ¬r

¬p → ¬(q → p)

(¬(p → q) ∨ ¬q) → p.

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2. Per le proposizioni del precedente esercizio, trasformare la forma nor-male disgiuntiva in quella congiuntiva e viceversa con l’algoritmo formanormale.

3. Scrivere la forma normale disgiuntiva e congiuntiva, usando l’algoritmoforma normale, delle seguenti proposizioni:

(p ∨ q) → ¬(p → (q → r))

(p ∨ q) → ¬(p ∧ (q → r))

p → (¬q ∨ p → (r → p))

p⊕ (¬p⊕ q) → q.

4. Trasformare le leggi logiche del paragrafo 3.3.3 in forma normale con-giuntiva e disgiuntiva.

5. Osservare che la tavola della proposizione p∨ q → ¬p∧ (q → r) di 3.3.1e uguale a quella di ¬p (se questa e estesa a una tavola a tre entratep, q, r indipendente da q e r) e trasformare in ¬p la sua forma normaledisgiuntiva ottenuta dalla tavola.

6. Scrivere ¬p ∨ q → ¬p ∧ q in forma normale disgiuntiva e leggerne imodelli.

7. Verificare, ai fini dell’applicazione delle trasformazioni con le leggi dis-tributive, che e

(A ∨B) ∧ (C ∨D) ≡ (A ∧ C) ∨ (A ∧D) ∨ (B ∧ C) ∨ (B ∧D)

e analogamente

(A ∧B) ∨ (C ∧D) ≡ (A ∨ C) ∧ (A ∨D) ∧ (B ∨ C) ∧ (B ∨D).

8. Verificare come si trasforma, applicando le leggi di De Morgan, lanegazione di una forma normale congiuntiva (rispettivamente disgiun-tiva) in una forma normale disgiuntiva (rispettivamente congiuntiva).

9. Spiegare, utilizzando le leggi di De Morgan e la legge della doppianegazione, perche cnf(A) ≡ ¬dnf(¬A) e dnf(A) ≡ ¬cnf(¬A).

L’osservazione fornisce un altro modo per ottenere la forma normaledisgiuntiva, o congiuntiva, di una proposizione. Se si vuole ad esempiola forma normale disgiuntiva di A, si puo provare a vedere se non sia

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relativamente facile ottenere cnf(¬A); ottenuta questa, la si nega esi applica De Morgan; spesso si evita cosı l’applicazione ripetuta delleleggi distributive.

Errore frequente: lo studente ha trovato dnf(A) e per ottenere cnf(A) !!!nega dnf(A) e applica De Morgan, ricordando malamente l’esercizio 8,perche ottiene sı una forma congiuntiva, ma quella della negazione:cnf(¬A). E forse il residuo dell’idea di premettere due negazioni, us-andone una per trasformare dnf in cnf con De Morgan: ¬¬dnf(A),¬(¬dnf(A)), ¬cnf(¬A). Di quella esterna pero ci si dimentica - se sitenesse conto dell’altra negazione, una nuova applicazione di De Mor-gan riporterebbe a dnf(A). Due negazioni consecutive non possonocreare nulla di nuovo.

10. In riferimento alle osservazioni del precedente esercizio, trovare la formanormale disgiuntiva e congiuntiva e confrontare i diversi modi per ot-tenerle, per le proposizioni

(p → q) → (r → ¬p)

p ∨ q → ¬p ∨ q

p ∨ (q ∧ r) → (¬r → p).

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7 Dimostrazioni

Esaminiamo ora alcune semplici dimostrazioni per mettere in luce quali leggilogiche vengano utilizzate nei vari passaggi - e vedremom che tutte vengonousate, quelle chiamate notevoli - approfittandone per fare una rassegna (in-completa) delle diverse tipologie di argomentazione.

Lo scopo di questa trattazione non e quello di invitare a presentare semprele dimostrazioni con una pignola insistenza sui dettagli, quanto di insegnaread esporle (a se e agli altri) attraverso un discorso chiaro e comprensibile;quando si deve eseguire un passaggio logico, invece che un calcolo algebrico,si incontrano spesso difficolta di espressione, perche si ha a che fare conuna materia impalpabile, il linguaggio allo stato puro nelle sue articolazionisintattiche che sono indipendenti dall’argomento concreto in oggetto; ci siaccorge tuttavia con l’esperienza che la formulazione corretta e necessaria egia disponibile per cosı dire in una forma standard - e che non sono molti i tipidi passaggi logici, al contrario sono quasi sempre gli stessi pochi ricorrenti.

Non e che nell’esposizione informale si saltino dei passaggi, come talvoltasi sente dire, e che si usano spesso forme linguistiche compatte, non familiaria chi non e fluente nel parlare, ma tali forme sono valide, derivate da quellepiu semplici, e bisogna imparare ad usarle con disinvoltura dopo averne coltola portata sezionandole su semplici esempi.

7.1 Dimostrazioni dirette

Un primo stile, in senso lato, molto frequente, di dimostrazione si chiamadimostrazione diretta, ed e esemplificata dal seguente caso.

Consideriamo il teorema che (afferma che) se due numeri sono divisibiliper 3, anche la loro somma e divisibile per 3.

Il primo passo di formalizzazione consiste nell’indicare due numeri con ned m, e nello scrivere l’ipotesi

Ip. n e divisibile per 3 e m e divisibile per 3

o con un ulteriore passo di formalizzazione

Ip. 3|n e 3|m.

Un secondo passo consiste nell’espandere la definizione dei concetti ingioco - definizione che ha accompagnato l’introduzione dei simboli; in questo

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caso quello di divisibilita:

Def. 3|n se e solo se n = 3i per qualche i

e analogamente:

Def. 3|m se e solo se m = 3j per qualche j.

Il passo successivo sfrutta l’equivalenza delle definizioni per riformularel’ipotesi in1

Ip. n = 3i ∧m = 3j.

Usiamo ora una legge che non e propriamente una legge logica dei tipo diquelle che abbiamo finora considerato, ma e una legge dell’uguaglianza checonsideriamo universalmente vera in ogni universo (derivabile da quelle giaricordate nel paragrafo 4.2).

2. n = 3i ∧m = 3j → n + m = 3i + 3j.

Da 1 e da 2, con un’applicazione del modus ponens

3. n + m = 3i + 3j.

Di qui, si passa a n + m = 3(i + j), con una manipolazione algebrica direttadelle uguaglianze. In verita questo passaggio suppone il riferimento ad unfatto noto, valido nell’universo aritmetico che stiamo considerando, vale adire la proprieta distributiva:

4. n + m = 3i + 3j → n + m = 3(i + j);

e una nuova applicazione del modus ponens a 3 e 4 che fornisce

5. n + m = 3(i + j).

Dalla 5 si arriva alla conclusione voluta ripristinando le definizioni, permezzo di equivalenze, vale a dire scrivendo che, siccome n + m = 3k perqualche2 k, in particolare per k = i + j, allora 3|(n + m), come si dovevaconcludere.2

1La scomparsa di “per qualche i” e di “per qualche j”, e la ricomparsa piu avanti,rientra nella manipolazione delle variabili, di cui si parlera nella seconda parte del corso:m, n, i, j sono variabili.

2Vedi nota precedente.

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Un’altra possibilita sarebbe stata quella di inserire, dopo

2. n = 3i ∧m = 3j → n + m = 3i + 3j,

subito

4. n + m = 3i + 3j → n + m = 3(i + j)

e quindi, con un’applicazione della transitivita del condizionale, da 2 e 4

6. n = 3i ∧m = 3j → n + m = 3(i + j)

e la stessa conclusione di prima con il modus ponens da 1 e 6.2

Questo tipo di dimostrazione si chiama diretto, o in avanti , perche pro-cede da proposizioni a proposizioni da esse implicate con l’uso sostanzial-mente delle leggi logiche del modus ponens

p ∧ (p → q) → q

e della transitivita del condizionale, o sillogismo ipotetico

(p → q) ∧ (q → r) → (p → r),

o meglio delle regole associate. Quella del sillogismo ipotetico e

p → q, q → r

p → r.

Anche la legge della distributivita del condizionale

(p → (q → r)) → ((p → q) → (p → r)),

che incontreremo in seguito in altri esempi, si puo considerare nella stessacategoria delle regole “in avanti”.

Si noti, anche se non entriamo in dettagli sulle proprieta dell’uguaglianza,che tutte le manipolazioni algebriche usuali, le sostituzioni, coinvolgono difatto appelli al modus ponens applicato a leggi dell’uguaglianza come nella 4di sopra.

In verita non abbiamo neanche segnalato tutti i punti in cui i passaggierano di tipo logico, e non aritmetico o riguardanti l’uguaglianza. Ad es-empio la prima trasformazione dell’ipotesi “3|n e 3|m” avviene lavorando

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separatamente sulle due affermazioni. Questo significa che da 3|n ∧ 3|msi passa prima a 3|n con una mossa che e giustificata dalla legge logicadell’eliminazione di ∧. Quindi da 3|n ↔ n = 3i e da 3|m ↔ m = 3j sipassa a 3|n ∧ 3|m ↔ n = 3i ∧ m = 3j con leggi del bicondizionale che siverificano facilmente e che dovrebbero essere interiorizzate.

A questo scopo, si usa in particolare la legge della introduzione di ∧nel conseguente, o distributivita di → su ∧, oppure una legge derivata cheafferma che

(p → q) ∧ (r → s) → (p ∧ r → q ∧ s)

(esercizio).Vale anche (esercizio):

(p → q) ∧ (r → s) → (p ∨ r → q ∨ s).

Un’altra regola che si puo far rientrare nei procedimenti in avanti e quelladella affermazione del conseguente, che da p permette di dedurre q → pqualunque sia q. Questa mossa merita un commento perche in se sembrerebbeun indebolimento ozioso di p. La sua funzione e quella di portare sottol’azione di ipotesi o fatti gia stabiliti risultati che in verita non ne dipendono, !!!ma che devono essere combinati con altri che ne dipendono.

Ad esempio si consideri la dimostrazione che se n e dispari allora anchen2 e dispari. Se n = 2k + 1, allora si puo fare appello a un prodotto notevoleper affermare

(2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1,

ma quindi, per l’affermazione del conseguente

n = 2k + 1 → (2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1.

Questa implicazione serve perche insieme a

n = 2k + 1 → n2 = (2k + 1)2

permette di dedurre, con l’introduzione di ∧ nel conseguente

n = 2k + 1 → n2 = (2k + 1)2 ∧ (2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1

e per la transitivita dell’uguaglianza,

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n = 2k + 1 → n2 = 4k2 + 4k + 1,

da cui segue poi n = 2k + 1 → n2 = 2h + 1, dispari, con h = 2k2 + 2k.2

L’ultima cruciale implicazione si sarebbe anche potuta ottenere in unaltro modo; con una legge di sostitutivita dell’uguaglianza:

n = 2k + 1 → ((2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1 → n2 = 4k2 + 4k + 1),

quindi, per la distributivita si →(n = 2k+1 → (2k+1)2 = 4k2 +4k+1) → (n = 2k+1 → n2 = 4k2 +4k+1),

e infine la conclusione voluta con il modus ponens dalla stessa implicazionedi prima (n = 2k + 1 → (2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1).2

L’affermazione del conseguente si sarebbe comunque potuta evitare deltutto, qui e in geenrale con lo stesso trucco: dal caso particolare della sosti-tutivita dell’uguaglianza di sopra, si sarebbe potuto scrivere

(2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1 → (n = 2k + 1 → n2 = 4k2 + 4k + 1)

con la legge dello scambio degli antecedenti, e quindi applicare il modusponens con (2k + 1)2 = 4k2 + 4k + 1.2

7.2 Distinzione di casi

Consideriamo ora il teorema che di tre numeri interi consecutivi uno almenoe divisibile per 3. Per rappresentare tre generici numeri interi consecutivi -supponiamoli positivi - una possibilita e quella di indicarli con n, n + 1 en + 2. L’enunciato del teorema allora diventa: o 3|n o 3|(n + 1) o 3|(n + 2).

L’usuale dimostrazione si basa sulle proprieta della divisione e del resto,che e minore del divisore, quindi in questo caso uguale a 0, 1 o 2. Nonabbiamo nessuna ipotesi esplicita del teorema relativamente al dato che e n,ma abbiamo che per ogni n, grazie al teorema fondamentale della divisione:

1. n = 3q + r con r < 3

per qualche q ed r.Di qui per semplici fatti aritmetici si puo affermare3

3Non stiamo piu a segnalare i punti in cui si procede in modo diretto; ad ogni modo,in questo caso n = 3q + r con r < 3 significa n = 3q + r ∧ r < 3 cioe n = 3q + r ∧ (r =0 ∨ r = 1 ∨ r = 2) e per la distributivita segue la formula di sopra.

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2. n = 3q o n = 3q + 1 o n = 3q + 2.

Ci sono ora tre possibilita: se r = 0, cioe n = 3q, allora siamo a posto(cosı si dice). Ma cosa significa questo rispetto all’enunciato del teorema? Ilteorema e implicato da n = 3q, ovvero da 3|n, perche

3|n → 3|n ∨ 3|(n + 1) ∨ 3|(n + 2)

per la legge logica di introduzione della disgiunzione. Abbiamo dunque

3. n = 3q → 3|n ∨ 3|(n + 1) ∨ 3|(n + 2).

Se invece n = 3q +1 allora n+2 = 3q +3 = 3(q +1); quindi nell’universoaritmetico n = 3q + 1 → 3|(n + 2) e quindi di nuovo per l’introduzione di ∨

4. n = 3q + 1 → 3|n ∨ 3|(n + 1) ∨ 3|(n + 2).

Analogamente si ottiene

5. n = 3q + 2 → 3|n ∨ 3|(n + 1) ∨ 3|(n + 2).

Ora per la legge logica della distinzione di casi, da 3, 4 e 5 si deduce che ladisgiunzione dei rispettivi antecedenti implica la stessa conclusione, che none altro che l’enunciato del teorema; ma tale disgiunzione degli antecedenti ela 2, per cui per modus ponens si ha la conclusione4.2

Altre applicazioni della distinzione di casi si sono viste nelle dimostrazionirelative all’algebra degli insiemi. Ricordiamo quella per:

se Y ⊆ X e Z ⊆ X allora Y ∪ Z ⊆ X.

Se x ∈ Y ∪ Z allora per definizione x ∈ Y ∨ x ∈ Z; se x ∈ Y allora perY ⊆ X vale x ∈ X e se x ∈ Z allora per Z ⊆ X vale pure x ∈ X. 2

Altre situazioni in cui si fa naturalmente ricorso alla distinzione di casisono quelle in cui per un’affermazione universale sui naturali si distinguonoil caso pari e il caso dispari; oppure quando in un’affermazione universalenumerica si distingue il caso positivo dal caso negativo e dal caso nullo.

4Naturalmente le due circostanze che si verificano in questo esempio, che l’enunciato delteorema e una disgiunzione, per cui a un certo punto interviene la legge della introduzionedel ∨, e che la dimostrazione si fa per casi, quindi con una disgiunzione degli antecedenti,perche anche l’ipotesi e una disgiunzione, non hanno nessuna relazione tra loro.

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Ad esempio, per dimostrare che ogni numero reale non negativo ha unaradice quadrata si parte esplicitando il dato, un generico numero non nega-tivo, scrivendo 0 ≤ x, quindi, per la relazione tra < e ≤, x = 0 ∨ x > 0.

I due casi si trattano in modo molto diverso; se x = 0 basta osservare che0 e una radice di 0, e quindi questa esiste; se x > 0 occorre la descrizione diun processo che genera il numero che e la radice di x, che comunque esisteanche in questo caso; alla fine si applica tacitamente la distinzione di casi.2

Esercizio. Dimostrare e dire quali leggi logiche sono implicite nella di-mostrazione del fatto che per ogni numero naturale n, n2 + n e pari.

Un caso particolare della distinzione dei casi si ha quando i due casi sonodel tipo p e ¬p, e sono introdotti come artificio ad hoc, e allora apparente-mente si riesce a dimostrare un risultato che non dipende da ipotesi specifiche:da p → A e ¬p → A e p ∨ ¬p → A segue A con il terzo eslcuso.

Supponiamo ad esempio di voler far vedere che ogni numero reale e minoreo uguale al suo valore assoluto; e da dimostrare

x ≤ |x|,senza alcuna ipotesi su x, salvo che si tratta di un numero reale (fatto chepermette di richiamare tacitamente tutte le proprieta dei numeri reali). Manoi introduciamo l’alternativa

x < 0 ∨ x 6< 0,

come legge logica del tertium non datur , che si trasforma agevolmente (perle proprieta di <, vedi oltre) in

x < 0 ∨ x ≥ 0.

Ora se x ≥ 0 allora x = |x|, quindi x ≤ |x|; se x < 0 ≤ |x|, allora x < |x|,quindi x ≤ |x|.2

Esercizio. Dimostrare che per ogni numero reale x, |x| ≥ −x.

A volte sembra che si usi la distinzione di casi ma non e cosı, o meglio,e anche cosı ma c’e una spiegazione piu breve. Ad esempio, consideriamol’argomento con cui si dimostra che per p primo, se p|(nm) allora p|n oppurep|m.

La dimostrazione di solito inizia nel seguente modo: mostriamo che se p6 |nallora p|m. (L’argomento matematico poi puo continuare con un appello alla

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fattorizzazione dei numeri naturali: data la scomposizione di nm in fattoriprimi, tra essi compare p, ma raccogliendo quelli di n, p resta tra gli altri,cioe tra quelli di m.)

Se richiesto di un chiarimento sull’impostazione della partenza, chi parlaprobabilmente spiega: se p|n siamo a posto, se p6 |n allora . . . , con un’implicitoappello alla distinzione di casi.

Ma la spiegazione piu semplice e che q ∨ r e equivalente a ¬q → r,quindi p|(nm) → p|n ∨ p|m e equivalente a p|(nm) → (p 6 | n → p|m), e sista procedendo in modo diretto (e non c’e bisogno di dire “se p|n siamo aposto”).

7.3 Sillogismo disgiuntivo

Mettiamo ora ordine nella trattazione delle relazioni d’ordine negli usu-ali sistemi numerici, di cui abbiamo gia usato alcune proprieta familiaridall’esperienza scolastica. La relazione d’ordine puo essere introdotta in duemodi diversi, a seconda che si privilegi la relazione di ordine stretto oppurequella attenuata. O si introduce prima5 ≤, e quindi si definisce < con

x < y ↔ x ≤ y ∧ x 6= y

oppure si introduce prima < e si definisce ≤ con

x ≤ y ↔ x < y ∨ x = y.

Nel primo caso per la relazione ≤ si hanno a disposizione le leggi

x ≤ x riflessivax ≤ y ∧ y ≤ z → x ≤ z transitivax ≤ y ∧ y ≤ x → x = y antisimmetricax ≤ y ∨ y ≤ x ordine totale

e si dimostrano le proprieta

x 6< x antiriflessivax < y → y 6< x antisimmetricax < y ∧ y < z → x < z transitivax < y ∨ x = y ∨ y < x ordine totale

5Non stiamo a dire come si definisce, che non e rilevante, e d’altra parte si procede inmodo diverso nelle diverse situazioni; ad esempio tra i naturali si usa definire x ≤ y seesiste un z tale che x + z = y; in altri casi si definiscono prima i numeri positivi, e poix < y se y − x e positivo.

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nel secondo caso il viceversa.Diverse leggi logiche intervengono in queste dimostrazioni. Ad esempio

per dimostrare la proprieta riflessiva di ≤, a partire dalle proprieta di <, sinota che

x = x → x = x ∨ x < x,

per la legge dell’introduzione di ∨ a partire dalla legge logica dell’identitax = x → x = x e quindi si ottiene la conclusione con il modus ponens dax = x che si assume sempre valida per l’uguaglianza. In questa dimostrazionequindi non intervengono proprieta di <.2

Per dimostrare la proprieta dell’ordine totale per ≤, a partire dalle pro-prieta di <, si dimostra, sfruttando la mutua definibilita dei connettivil’equivalente

x 6≤ y → y ≤ x.

A tal fine si osserva che x 6≤ y e equivalente, per la definizione di ≤, a

x 6< y ∧ x 6= y,

per una delle leggi di De Morgan. Ma con la proprieta di ordine totale di <e due applicazioni del sillogismo disgiuntivo (precedute da un’eliminazionedi ∧) x 6< y e x 6= y forniscono y < x che con l’introduzione del ∨ diventay ≤ x:

x 6< y ∧ x 6= yx 6< yx 6= y

x < y ∨ x = y ∨ y < xx = y ∨ y < x

y < xy < x ∨ x = y.2

Esercizio. Completare le dimostrazioni delle proprieta di ≤ a partire daquelle di < e viceversa, cercando di non perdere la bussola.

Nella dimostrazione di x ≤ |x| del precedente paragrafo siamo partiti dax < 0 ∨ ¬(x < 0) e abbiamo rimpiazzato x 6< 0 con x ≥ 0, appellandoci aproprieta di <, arrivando a x < 0 ∨ x ≥ 0. Ma quest’ultima formula, scritta

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come x < 0 ∨ x = 0 ∨ x > 0, e la proprieta di ordine totale di <, e nonci sarebbe stato bisogno di derivarla facendo appello al tertium non datur ealla distinzione di casi, come abbiamo fatto prima.

Il fatto e che la proprieta di ordine totale di < equivale proprio a ripartireil dominio in tre insiemi disgiunti. Quando si ha il dominio ripartito in ninsiemi disgiunti si possono seguire due vie equivalenti e difficilmente distin-guibili. Si puo usare la distinzione di casi (generalizzata a n), oppure si puousare ripetutamente il terzo escluso e il sillogismo disgiuntivo.

Un altro esempio che abbiamo visto di uso del sillogismo disgiuntivo e ladimostrazione della legge booleana

21 X ∪ ∅ = X

Dimostrazione X ⊆ X ∪ ∅ segue da un’altra legge gia vista, la 25;viceversa, se x ∈ X ∪ ∅ allora x ∈ X ∨ x ∈ ∅; ma x 6∈ ∅, quindi x ∈ X.

Il sillogismo disgiuntivo non e altro che una diversa formulazione delmodus ponens , che tuttavia ha una sua giusta autonoma formulazione per icasi come quello dell’ultimo esempio, in cui interviene in modo naturale unadisgiunzione e la negazione di un disgiunto; altrimenti bisognerebbe artifi-cialmente sostituire la disgiunzione con il condizionale (x 6∈ ∅ → x ∈ X perx ∈ X ∨ x ∈ ∅) per applicare il modus ponens .

Qualche volta invece la sostituzione di una disgiunzione con il condizionalenon e innaturale, ma al contrario piu elegante, come abbiamo visto nel casodi p|(nm) → p|n ∨ p|m.

7.4 Contrapposizione e Modus tollens

La legge logica di contrapposizione

(p → q) ↔ (¬q → ¬p)

e spesso usata quando si deve dimostrare un condizionale.Ad esempio per dimostrare

P ∪Q =∼ (∼ P∩ ∼ Q)

si considera il bicondizionale

x ∈ P ∪Q ↔ x ∈ ∼ (∼ P∩ ∼ Q)

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e prima si assume x ∈ P ∪Q derivando x ∈∼ (∼ P∩ ∼ Q) (esercizio; si notil’applicazione della distinzione di casi), quindi per l’implicazione inversa siassume x 6∈ P ∪Q e si deriva x ∈∼ P∩ ∼ Q, dimostrando cosı di fatto

x ∈ P ∪Q ← x ∈ ∼ (∼ P∩ ∼ Q) !!!

attraverso

x 6∈ P ∪Q → x ∈ ∼ P∩ ∼ Q,

come richiesto.2

La legge di contrapposizione giustifica anche la regola del modus tollensche si schematizza con

p → q, ¬q

¬p

che si puo vedere come un modus ponens applicato al condizionale ¬q → ¬p,equivalente a p → q, e che ha le applicazioni piu varie.

Un esempio dovuto a Lewis Carroll e il seguente argomento:

a) I bambini sono illogici.b) Le persone che sanno come trattare i coccodrilli non sono disprezzate.c) Le persone illogiche sono disprezzate.d) Percio i bambini non sanno trattare i coccodrilli.

L’argomento e valido in quanto la conclusione d) segue dalle premesse conquesti passaggi: da b) e c) per modus tollens si ha che le persone illogichenon sanno come trattare i coccodrilli; quindi la conclusione segue da questoe da a) per transitivita.

7.5 Dimostrazioni per assurdo

La contrapposizione e collegata alla dimostrazione per assurdo, di cui ci sonodiverse varianti.

La piu comune e quella in cui partendo dall’assunzione p si arriva aduna contraddizione, e quindi si conclude ¬p, secondo la legge di riduzioneall’assurdo.

Un esempio, dove la riduzione all’assurdo interviene come parte finaledella dimostrazione, dopo altri argomenti, che includono la contrapposizioneper modificare e meglio usare un condizionale, e il seguente teorema:

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Se n divide (n− 1)! + 1 allora n e primo6,

la cui conclusione che n e primo dimostriamo provando che p non divide nper ogni p < n7. Ovviamente consideriamo p > 1.

L’ipotesi e n|((n− 1)! + 1). Osserviamo innanzi tutto che se p < n alloraovviamente p|(n− 1)!. Questa condizione su p resta adesso fissata per tuttoil ragionamento, o meglio p < n implica tutte le affermazioni seguenti.

Ricordiamo il fatto noto che

a|b ∧ a|(b + c) → a|ce contrapponendo

a6 | c → a6 | b ∨ a6 | (b + c).

Come caso particolare

p 6 | 1 → p 6 | (n− 1)! ∨ p 6 | ((n− 1)! + 1).

Ma p 6 | 1, quindi

p 6 | (n− 1)! ∨ p 6 | ((n− 1)! + 1).

Ma p|(n− 1)!, quindi p 6 | ((n− 1)! + 1) per il sillogismo disgiuntivo.La conclusione parziale di questa prima parte diretta della dimostrazione

e che, per p < n,

p 6 | ((n− 1)! + 1).

Ora dobbiamo provare che p non divide n, e lo facciamo per assurdo.Assumiamo p|n. Siccome per ipotesi n|((n − 1)! + 1), se p|n avremmo perla transitivita della relazione di divisibilita che p|((n − 1)! + 1), una con-traddizione con la conclusione della parte precedente della dimostrazione.Dunque p6 | n.2

Osservazione: Torniamo un momento indietro a vedere come funziona lacondizione p < n che abbiamo usato nel corso della dimostrazione, dicendoche implicava tutte le successive affermazioni. Nella prima parte, quandoabbiamo detto sopra “Ma p|(n − 1)!, quindi p 6 | ((n − 1)! + 1) per il sillo-gismo disgiuntivo”, ci siamo espressi in modo corretto ma abbreviato; ci sonoalmeno tre modi in cui esplicitare le leggi logiche che intervengono.

Primo modo. Noi in realta avevamo che6L’operazione “fattoriale” n! e definita da n! = 2 · 3 · . . . · n. Si veda il paragrafo 15.7Tale formulazione ristretta e equivalente alla definizione di primalita perche i divisori

di un numero sono minori del numero stesso. Anzi basterebbe di meno (esercizio).

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p 6 | (n− 1)! ∨ p 6 | ((n− 1)! + 1)

e inoltre

p < n → p|(n− 1)!,

ovvero quest’ultima e

p|(n− 1)! → p 6 | ((n− 1)! + 1).

Allora per la transitivita del condizionale si ha

p < n → p 6 | ((n− 1)! + 1).

Secondo modo. Da

p|(n− 1)! → p6 | ((n− 1)! + 1).

con l’affermazione del conseguente si ha

p < n → (p|(n− 1)! → p 6 | ((n− 1)! + 1)).

e con

p < n → p|(n− 1)!,

e la distributivita di → si arriva alla stessa conclusione.Terzo modo. E’ quello che di fatto e stato usato. Il sillogismo disgiuntivo

e sempre valido anche relativizzato a una (stessa) condizione che implica ledue premesse e la conclusione:

p → q, p → ¬q ∨ r

p → r

e la dimostrazione si puo fare in generale come nel secondo modo di sopra.2

La piu famosa dimostrazione per assurdo della storia e quella della ir-razionalita di

√2, che non faremo il torto di presentare (esercizio).

Una contraddizione e normalmente un enunciato della forma q ∧ ¬q, op-pure due enunciati q e ¬q, ottenuti separatamente8, q qualunque perche tutte

8Se si sono dedotti, separatamente, dalle stesse premesse, q e ¬q, si puo derivare es-plicitamente q ∧ ¬q, ad esempio con due applicazioni del modus ponens alla legge logicaq → (¬q → q ∧¬q), che a sua volta deriva dalla legge dell’identita q ∧¬q → q ∧¬q e dallalegge di esportazione.

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le contraddizioni sono equivalenti tra loro (per ex falso quodlibet da una diesse si puo dedurre qualunque enunciato).

A volte si dice che certi enunciati, come 0 = 1, sono un assurdo, o unacontraddizione in se, ma in realta non esistono contraddizioni in se; la formula0 = 1 e una contraddizione solo perche tra gli assiomi o i fatti noti si hagia 0 6= 1. Se da p si deduce 0 = 1, allora da 0 6= 1, per l’affermazione delconseguente si ha anche p → 0 6= 1, e ci si riporta alla contraddizione classicap → q ∧ ¬q. Lo stesso con altre formule.

Ad esempio, dimostriamo che per verificare se n e primo basta provare adividerlo per i primi che sono ≤ b√n c, dove con b√n c indichiamo la parteintera9 della radice quadrata di n. Supponiamo che tutti questi primi nondividano n, e dimostriamo che allora n e primo. Supponiamo per assurdoche n non sia primo; allora n e un prodotto di primi tutti maggiori di b√n c,prodotto che e maggiore di n, e si avrebbe n < n, assurdo10.2

La riduzione all’assurdo debole non e piu debole, ma solo un caso specialedella riduzione all’assurdo, in cui partendo da p si arriva a ¬p, ma anche ap, e allora la contraddizione e data da p ∧ ¬p e la conclusione e la negazionedella premessa, cioe ¬p. Nel caso particolare in cui si parte da ¬p e si arrivaa ¬¬p, per la legge della doppia negazione si puo concludere p, e questa legge

(¬p → p) → p,

in cui si dimostra p assumendo ¬p e derivando p, cioe derivando quello chesi vuole dimostrare dalla propria negazione, ha talmente colpito la fantasiada essere chiamata consequentia mirabilis .

Un teorema in cui si puo riconoscere questa forma di argomento e quellocon cui si stabilisce che esistono infiniti numeri primi. Si puo formulare lastessa conclusione dimostrando che non ci sono solo k primi, qualsiasi sia k.

Supponiamo che ci siano solo (esattamente) k primi p0, p1, . . . , pk−1. Siconsidera il numero

N = 1 + (2 · 3 · 5 · . . . · pk−1)

e si dimostra facilmente (con un argomento simile ad uno visto in precedenza)che nessuno dei primi p0, p1, . . . , pk−1 e un divisore di N , che peraltro e mag-giore di tutti questi. Ora si applica una distinzione di casi. Se N e primo,

9Il piu grande intero ≤ √n.

10n < n congiunta con l’antiriflessivita di < da una contraddizione.

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e un nuovo primo; se N non e primo, e divisibile per un primo maggioredei p0, p1, . . . , pk−1, e in entrambi i casi non e vero che i numeri primi sonotutti i {p0, p1, . . . , pk−1}, o che ne esistono solo k. Quindi non esistono solok primi.211

Una riduzione all’assurdo si puo vedere anche quando si applica il modustollens ; infatti avendo p → q e ¬q si puo dire che se si avesse p, si avrebbeper modus ponens anche q, cioe insieme a ¬q una contraddizione; quindi ¬p.Piu esplicitamente, da ¬q segue p → ¬q per la legge di affermazione delconseguente, quindi si ha sia p → q sia p → ¬q e si applica la riduzioneall’assurdo.

Viceversa la riduzione all’assurdo si puo derivare dalla contrapposizione,perche da p → q∧¬q contrappondendo si ha ¬q∨ q → ¬p, e q∨¬q e la leggedel tertium non datur .

Alcune dimostrazioni per assurdo possono dunque essere sostituite daapplicazioni della contrapposizione.

Ad esempio, si consideri la dimostrazione del fatto che se b e c sono interie se l’equazione x2 + bx + c = 0 ha soluzioni razionali, queste in realta sonointere. Una dimostrazione in cui si usa la riduzione all’assurdo e la seguente.

Si parte da

x =−b±√b2 − 4c

2

e si osserva che per essere x intero occorre che il numeratore, intero peripotesi, sia pari. Per dimostrare che il numeratore e pari, essendovi un radi-cale che non e facile decidere che proprieta abbia, viene in mente di consid-erare il quadrato.

Abbiamo prima dimostrato che se un numero e dispari, il suo quadrato edispari. Se vogliamo (provare a) fare uso di questo fatto, possiamo impostareuna dimostrazione per assurdo, assumendo che il numeratore sia dispari.Allora il suo quadrato e dispari. Ma svolgendo i conti, si vede facilmente cheil quadrato e della forma 2m, cioe pari. Dunque che il numeratore sia dispariimplica una contraddizione, e il numeratore e pari.2

11La complicazione dell’argomento e dovuta anche alla complicazione della formulazionedell’enunciato di partenza, un po’ artificiosa. Se si fosse detto semplicemente che si in-tendeva dimostrare: dati k primi, ne esiste uno maggiore, si sarebbe potuto fare unadimostrazione diretta.

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Altrimenti, ricordando sempre l’implicazione gia dimostrata “n dispari→ n2 dispari”, si puo inserire la contrapposizione “n2 pari → n pari”, chetermina con la conclusione desiderata, e provare a dimostrare che il quadratodel numeratore e pari. Elevando al quadrato e facendo i conti, si vede chequesto in effetti e il caso.2

Consideriamo un altro esempio. Per dimostrare che, per a e b razionalio reali, se ab = 0 allora o a = 0 o b = 0, si puo per assurdo negare ilcondizionale, e quindi supporre che

ab = 0 e a 6= 0 e b 6= 0,

per la legge sulla negazione dell’implicazione e De Morgan.Ma ora se a 6= 0 si puo dividere ambo i membri della prima uguaglianza

per a, e si ottiene b = 0, e si ha una contraddizione.2

Si noti in questo esempio che si potrebbe anche vedere un caso di conse-quentia mirabilis , perche quando si arriva a dedurre b = 0 si puo continuarecon

ab = 0 → b = 0

per l’affermazione del conseguente, quindi

ab = 0 → a = 0 ∨ b = 0

per l’introduzione della disgiunzione, e quindi dalla negazione del condizionaleda dimostrare si e arrivati al condizionale stesso.2

Infine invece in modo diretto si puo assumere ab = 0 e dimostrare laconclusione, che e una disgiunzione, nella forma che a 6= 0 → b = 0. Questosi ottiene come sopra dividendo ab = 0 per a.212

Tutte le varianti di dimostrazioni illustrate in questo paragrafo sono resepossibili dalla mutua derivabilita delle leggi logiche proposizionali e dallaequivalenza di diverse regole e sistemi di regole.

12Quest’ultimo teorema non e banale come sembra, dimostra che un corpo (come quellodei razionali o dei reali) non ha divisori dello zero, cosa che puo succedere in strutturesenza la divisione.

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7.6 Dimostrazioni in avanti e all’indietro

Una distinzione che viene fatta tra possibili impostazioni delle dimostrazionie quella tra il procedere in avanti (forwards), a partire dalle ipotesi, versola conclusione oppure nel risalire indietro (backwards), dalla conclusione aenunciati che implichino la conclusione, con l’obiettivo di arrivare tra questialle ipotesi.

La distinzione non coincide esattamente con quella tra le dimostrazionidirette e le altre, anche se vi sono collegamenti; la scelta tra le due strategiedipende spesso dalla forma delle ipotesi e della conclusione, o dalle conoscenzeche si hanno a proposito delle ipotesi stesse e di altri fatti connessi allapossibile conclusione.

Se la conclusione e un enunciato negativo, l’idea di una dimostrazioneper assurdo o per mezzo della contrapposizione e plausibile, anche se nongarantita. Ma ci sono altri motivi per scegliere questa strategia.

Ad esempio, per dimostrare che

Se 2n − 1 e primo, allora n e primo,

e piu facile, o almeno promettente, partire dalla conclusione in cui si parladi n, su cui con operazioni aritmetiche si puo arrivare a 2n − 1, che nonviceversa, visto che per estrarre n da 2n − 1 occorre passare attraverso unlog2.

In effetti, assumendo n non primo, quindi della forma n = hk, con h > 1e k > 1, si puo osservare che

2n − 1 = (2h)k − 1 = mk − 1 = (m− 1)(mk−1 + . . . + 1)

che, per quel che si sa sui valori di h e k, fornisce una scomposizione di 2n−1nel prodotto di due fattori > 1.2

Analogamente, supponendo che si dovesse dimostrare

x +1

x≥ 2,

se x > 0, conviene partire dalla disuguaglianza da dimostrare, e compiere sudi essa manipolazioni algebriche che forniscono espressioni algebriche equiv-alenti, fino ad arrivare ad un risultato noto che vale per ogni x > 0.

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x2 + 1

x≥ 2

x2 − 2x + 1

x≥ 0

(x− 1)2

x≥ 0,

vero per la regola dei segni. 2

Quando come in questo caso e in molti altri si usano equivalenze, nelledimostrazioni all’indietro, bisogna fare attenzione a non perdere il senso delladirezione13. Qui l’ipotesi e x > 0 (oltre al fatto che x e un numero reale,o razionale) e si risale dall’ultima disuguaglianza alla prima che si dovevadimostrare. La dimostrazione e diretta, ma all’indietro.

Nel caso delle trasformazioni algebriche il fatto che il legame sia quellodell’equivalenza permette di andare sia avanti che indietro, il che e comodoperche in genere non e facile divinare enunciati validi che implichino la con-clusione voluta - per lo meno non ci sono criteri generali.

Gli esempi aritmetici di questo paragrafo sono stati di necessita moltosemplici, perche la maggior parte dei teoremi aritmetici si dimostrano conuna tecnica dedicata, l’induzione, che vedremo nel paragrafo 15.

13I greci chiamavano analisi il processo per cui un problema, o un enunciato da di-mostrare, era ricondotto ad altri di cui la soluzione era nota, e sintesi il processo inversodi controllo, con cui dalla soluzione dei problemi noti si ricavava la risposta a quello dato;alcune oscurita delle loro descrizioni del metodo si chiariscono se si considera che essipensavano soprattutto ad equivalenze.

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8 Alberi di refutazione

8.1 Il metodo

La risposta alle domande semantiche, sulla verita logica o sulla insoddisfaci-bilita delle proposizioni, si puo dare con metodi piu efficienti della ricercaesaustiva offerta dalla costruzione delle tavole di verita, che e di complessitaesponenziale. Uno di questi e il metodo degli alberi di refutazione1. Il nomederiva dal fatto che sono usati, per rispondere alla domanda sulla veritalogica, secondo l’impostazione della ricerca del controesempio: si cerca discoprire se esiste un’interpretazione che falsifichi la proposizione. Il metodoha la proprieta che o la trova, se esiste, e quindi fornisce un’interpretazionein cui la negazione della proposizione e vera (controesempio: la proposizione !!!e falsa) oppure mostra che non e possibile che esista, e quindi la proposizionee una tautologia.

Piu in generale, il metodo serve a stabilire se esista o no un’interpretazioneche soddisfa una proposizione composta, non partendo dal basso dalle possi-bili interpretazioni delle lettere (bottom up) ma dall’alto, dalla proposizionedata, scendendo verso le sottoproposizioni componenti (top down); nel pro-cesso, si accumulano condizioni necessarie che l’ipotetica interpretazione, seesiste e soddisfa la radice, dovrebbe pure soddisfare - nel senso di qualialtre proposizioni essa dovrebbe soddisfare o no - fino alle condizioni nec-essarie riguardanti le proposizioni atomiche; queste, se non sono incom-patibili tra di loro, si traducono in condizioni sufficienti per la definizionedell’interpretazione.

Gli alberi di refutazione possono dunque essere usati anche per risponderealle altre domande semantiche, ad esempio quella sulla soddisfacibilita.

Si chiamano in generale calcoli logici i metodi per rispondere ai quesitilogici sulla verita, l’insoddisfacibilita, la conseguenza, metodi che sono pro-cedure guidate dalla sintassi, e che si articolano in applicazioni iterate diregole che producono strutture come sequenze o alberi di proposizioni, che sichiamano derivazioni o dimostrazioni .

Gli alberi di refutazione sono alberi etichettati con proposizioni. Identi-fichiamo per comodita di scrittura i nodi con le loro etichette. Nella radicee una proposizione, di cui si vuole sapere se esiste un modello. L’albero e

1Altri nomi usati, insieme a qualche variante di presentazione, sono quelli di alberisemantici , oppure di tableaux semantici.

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sviluppato secondo la seguente procedura.Ad ogni stadio, si saranno gia prese in considerazione alcune proposizioni,

messe tra parentesi quadre o segnate con un asterisco, e ne resteranno daconsiderare altre. Se sono gia state considerate tutte, l’albero e terminato;se no, si prende in esame una proposizione A non ancora considerata, e aseconda della sua forma si prolunga l’albero nel modo seguente, dopo aversegnato A e aver notato quali sono i rami non chiusi che passano per A, doveun ramo si dice chiuso se su di esso occorre sia una proposizone sia la suanegazione:

• Se A e una proposizione senza connettivi, non si fa nulla (si va al passosuccessivo).

• Se A e B ∧ C, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siappendono alla foglia due nodi in serie etichettati con B e C, comenello schema:

[B ∧ C]...↓F↓B↓C

• Se A e B ∨ C, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siaggiunge alla foglia una diramazione con due nodi B e C, come nelloschema:

[B ∨ C]...↓F

↙ ↘B C

con l’ovvia generalizzazione (qui e nella prececente regola) che si ottieneapplicando ripetutamente la regola se si tratta di una congiunzione odisgiunzione generalizzata.

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• Se A e B → C, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siaggiunge alla foglia una diramazione con due nodi ¬B e C, come nelloschema:

[B → C]...↓F

↙ ↘¬B C

• Se A e ¬B e B non ha connettivi, non si fa nulla.

• Se A e della forma ¬B e B e ¬C, al fondo di ogni ramo non chiusopassante per A si appende alla foglia il successore C, come nello schema:

[¬¬C]...↓F↓C

• Se A e della forma ¬B e B e B1∨B2, alla fine di ogni ramo non chiusopassante per A si aggiungono alla foglia due nodi in serie ¬B1 e ¬B2,come nello schema:

[¬(B1 ∨B2)]...↓F↓¬B1

↓¬B2

con l’ovvia generalizzazione se B e una disgiunzione generalizzata.

• Se A e della forma ¬B e B e B1 → B2, alla fine di ogni ramo nonchiuso passante per A si appendono alla foglia due successori in serie

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B1 e ¬B2, come nello schema:

[¬(B1 → B2)]...↓F↓B1

↓¬B2

• Se A e della forma ¬B e B e B1∧B2, alla fine di ogni ramo non chiusopassante per A si aggiunge alla foglia una diramazione con due nodi¬B1 e ¬B2, come nello schema:

[¬(B1 ∧B2)]...↓F

↙ ↘¬B1 ¬B2

Ovviamente se per il nodo in considerazione non passa alcun ramo non chiuso,non si fa nulla. Dalla formulazione e chiaro che quando tutti i rami sonochiusi il procedimento termina, anche se non tutte le proposizioni sono stateconsiderate, e in tal caso l’albero si considera terminato e si dice chiuso.

Non diamo le regole per il bicondizionale (esercizio) perche non sarebberoaltro che l’adattamento di quelle che derivano dal fatto che p ↔ q e equiva-lente a (p → q) ∧ (q → p). Lo stesso per ⊕, ma si preferisce eliminare primaquesti connettivi (comunque si diano le regole per ⊕ esercizio), e questa el’unica preparazione o trasformazione che si fa sulle proposizioni; altrimentisi prendono cosı come sono. !!!

Si leggano con attenzione le regole, cogliendone tutte le informazioni e ivincoli: ad esempio, quando si lavora su di un nodo, si aggiungono propo-sizioni su tutti i rami passanti per quel nodo, ma non sugli altri. !!!

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Esempio

1. Consideriamo la proposizione ¬((¬p ∨ q) ∧ p → q) che mettiamo nellaradice dell’albero

¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)

2. Lavorando su di esso, che e la negazione di un condizionale, otteniamo

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]↓

(¬p ∨ q) ∧ p↓¬q

3. Lavorando su (¬p ∨ q) ∧ p otteniamo

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]↓

[(¬p ∨ q) ∧ p]↓¬q↓

¬p ∨ q↓p

4. Lavorando prima su ¬q, senza alcun effetto, e poi su ¬p ∨ q

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]↓

[(¬p ∨ q) ∧ p]↓

[¬q]↓

[¬p ∨ q]↓p

↙ ↘¬p q .

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Non e neanche necessario indicare che si sono presi in considerazione lerestanti proposizioni, perche il loro effetto e nullo. L’albero e chiuso, perchesu uno dei sue due rami occorrono p e ¬p, e sull’altro occorrono q e ¬q.

Se si deve interpretare come e stato ottenuto un albero sviluppato, e diaiuto che sia segnato a fianco di ogni proposizione l’ordine in cui e stata presain considerazione, come in

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]1↓

[(¬p ∨ q) ∧ p]2↓

[¬q]3↓

[¬p ∨ q]4↓p

↙ ↘¬p q .

Esempio

¬((p ∧ q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ ¬q)1

↓¬(p ∧ q)3

↓¬(¬p ∧ q)4

↓¬¬q2

↓q

↙ ↘¬p ¬q↙ ↘ chiuso

¬¬p ¬qchiuso

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dove il ramo di destra con foglia ¬q non e sviluppato con

¬q↙ ↘

¬¬p ¬q

come dovrebbe essere per il lavoro su ¬(¬p∧ q), perche il ramo e gia chiuso;il ramo di sinistra non e prolungato con

¬¬p↓p

perche anch’esso chiuso.

8.2 Correttezza e completezza

Il primo problema con ogni algoritmo e quello della terminazione, in parti-colare per gli algoritmi di decisione; se l’algoritmo non si ferma sempre, conuna risposta, dopo un numero finito di passi, non ci si puo affidare ad essoper decidere le questioni che interessano (nel senso di lanciarlo e stare adaspettare).

Lemma 8.2.1 (Terminazione) La costruzione dell’albero di refutazione in-izializzato con una proposizione termina sempre in un numero finito di passi.

Dimostrazione. Se ad ogni stadio si lavora su una proposizione di quelle chehanno altezza massima n tra quelle non ancora considerate, l’applicazionedelle regole fa sı che dopo un numero finito di passi tutte quelle di altezzan siano state considerate, e l’altezza massima delle proposizioni non ancoraconsiderate sia quindi < n. Infatti le proposizioni introdotte nell’albero conle regole hanno tutte altezza minore della proposizione che governa la regola,salvo il caso di B → C, per cui si introducono ¬B e C, e ¬B puo avere lastessa altezza di B → C (quando? esercizio); ma la successiva applicazionedi una delle regole per proposizioni negate a ¬B, che si puo eseguire subito,la sostituisce con proposizioni di altezza minore.

Anche se dunque nel corso del procedimento il numero di proposizioninei nodi dell’albero cresce con il crescere dell’albero, diminuisce quello delle

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proposizioni di altezza massima, e dopo un numero finito di passi ci sarannosolo proposizioni di altezza minima, senza connettivi, non ancora considerate,e a quel punto il processo termina, se non e terminato prima per la chiusuradell’albero. 2

Quando si da un metodo sintattico per rispondere a quesiti di naturasemantica (o un calcolo per risolvere un problema), si pone la questione, e larichiesta, della correttezza e completezza del metodo. Correttezza significache le risposte che da il metodo sono giuste, completezza significa che quandola risposta c’e il metodo la da, quella giusta.

Qualche ambiguita puo sussistere quando le domande possibili sono di-verse, e tuttavia collegate. Ad esempio per il fatto che

Osservazione 8.2.2 Per ogni p,

A e una tautologia se e solo se ¬A e insoddisfacibile

ci si puo porre come problema semantico sia il problema della verita log-ica sia il problema dell’insoddisfacibilita. Un calcolo si puo pensare siacome calcolo per stabilire la verita logica sia come un calcolo per stabilirel’insoddisfacibilita. Scegliamo il metodo degli alberi di refutazione per ilproblema dell’insoddisfacibilita, e come risposta preferenziale affermativa lachiusura dell’albero (un esito in generale piu rapido e che non richiede ulte-riori elaborazioni); abbiamo allora

Teorema 8.2.3 (Correttezza) Se l’albero di refutazione con radice A sichiude, allora A e insoddisfacibile.

Dimostrazione2. Procediamo per contrapposizione dimostrando che se esisteun’interpretazione i che soddisfa A, allora a ogni stadio di sviluppo dell’alberoesiste almeno un ramo tale che i soddisfa tutti le proposizioni del ramo.Allora l’albero non e mai chiuso, perche se un ramo e chiuso non tutte le sueproposizioni possono essere vere in una stessa interpretazione.

Allo stadio n, consideriamo un ramo σ le cui proposizioni siano tuttesoddisfatte da i, e una proposizione B su di esso, quindi vera in i, e non

2Per questo e per il successivo teorema diamo dimostrazioni complete, anche se, es-sendo per induzione, si potranno apprezzare solo in seguito. Si puo tuttavia gia cogliereugualmente l’essenza del ragionamento e la ragione della validita del risultato.

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ancora considerata (se non ce ne sono, il lavoro su quel ramo e terminatosenza che esso sia chiuso, e tale rimane alla fine, e l’albero finale non echiuso). Se B e una congiunzione, al ramo sono aggiunti due nodi che sonoanch’essi etichettati con proposizioni vere in i, e il ramo prolungato soddisfa,allo stadio successivo, la proprieta richiesta. Se B e una disgiunzione B1∨B2,o il ramo3 σ_B1 o il ramo σ_B2 soddisfano la proprieta richiesta, a secondache B1 o B2 siano vere in i. Lo stesso vale per gli altri casi (esercizio). 2

Viceversa

Teorema 8.2.4 (Completezza) Se A e insoddisfacibile, l’albero di refu-tazione con radice p si chiude.

Dimostrazione. Dimostriamo che

Lemma 8.2.5 Se l’albero non si chiude, allora per ogni ramo non chiusoe terminato esiste un’interpretazione i che soddisfa tutti le proposizioni delramo, inclusa la radice.

Dimostrazione del lemma. Sia σ un ramo non chiuso dell’albero terminato.Si definisca un’interpretazione i ponendo i(p) = 1 per ogni proposizioneatomica p che occorre come nodo nel ramo σ, e i(p) = 0 per ogni proposizioneatomica tale che ¬p occorre come nodo nel ramo σ. Si dimostra ora che ogniproposizione di σ e vera in i. Supponiamo questo verificato per tutte leproposizioni sul ramo che hanno un’altezza minore di un numero fissato n,e facciamo vedere che lo stesso vale per quelle di altezza n. Se B e unacongiunzione B1 ∧ B2, quando e stata presa in considerazione B si sonoaggiunti come nodi del ramo sia B1 che B2, che sono quindi in σ e hannoaltezza minore di n e quindi si suppongono vere in i; dunque anche B e verain i. Se B e una disgiunzione B1∨B2, quando e stata presa in considerazioneB si sono aggiunti a tutti i rami passanti per B, incluso (quello che sarebbediventato) σ, o B1 o B2; quindi una delle due e su σ, e vera in i, quindi ancheB e vera. Gli altri casi si trattano nello stesso modo. 2 2

Se in un ramo terminato non chiuso manca una lettera che occorre nellaradice, nel definire l’interpretazione si puo dare ad essa il valore che si vuole;cio significa che al ramo e associata piu di una interpretazione.

3σ_B1 e il ramo prolungato con B1; la notazione e quella della concatenazione di liste.

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L’esito complessivo dei teoremi di correttezza e completezza e che ilmetodo degli alberi prende in esame tutte le possibili strade per provarea definire interpretazioni, e se ce ne sono le fornisce tutte, e se non ce ne sonolo rivela.

La dimostrazione delle proprieta di correttezza e completezza non prendein considerazione l’ordine in cui si sviluppa l’albero. Il procedimento deglialberi di refutazione si puo rendere deterministico fissando un ordine progres-sivo per le proposizioni introdotte e quelle da prendere in considerazione maproprio il fatto che la dimostrazione e indipendente dall’ordine permette divedere che la risposta dell’albero e le sue proprieta non dipendono dall’ordineeventualmente fissato; lavorare su una proposizione prima che su di un’altrapuo modificare l’albero ma non la risposta finale; ogni mossa dipende solodalla proposizione in considerazione e non dalle altre presenti in altri nodi.

Si puo sfruttare questa circostanza (oltre che come si e fatto nella di-mostrazione della terminazione) per formulare utili regole euristiche, comequella di prendere in esame prima le proposizioni che si limitano ad allungare !!!i rami e non introducono diramazioni.

Riassumendo

Corollario 8.2.6 Per ogni A,A e soddisfacibile se e solo se l’albero di refutazione con radice A non sichiude

mentre, nello spirito del controesempio,

Corollario 8.2.7 Per ogni A,A e una tautologia se e solo se l’albero di refutazione con radice ¬A si chiude.

Per la nozione di conseguenza logica, serve infine il

Corollario 8.2.8 Per ogni A e B,|= A → B se e solo se l’albero di refutazione con radice ¬(A → B), o conradice A ∧ ¬B, si chiude.

Si noti che e indifferente avere nella radice ¬(A → B) oppure l’equivalenteA ∧¬B perche in entrambi i casi l’applicazione delle regole per la negazionedi un condizionale o per la congiunzione portano ad aggiungere alla radice

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↓A↓¬B

dopo di che si continua lavorando solo su A e su ¬B e loro sottoproposizioni.Si puo addirittura partire con

A↓¬B

se interessa la domanda A |= B.

8.3 Forme normali

Gli alberi di refutazione permettono di ottenere altre informazioni sulle propo-sizioni a cui si applicano. Se A e una proposizione soddisfacibile, e quindil’albero di refutazione con radice A non si chiude, una forma normale dis-giuntiva di A si puo ottenere nel seguente modo: per ogni ramo terminatoe non chiuso, si faccia la congiunzione di tutti i letterali che sono nodi del !!!ramo, quindi si faccia la disgiunzione di queste congiunzioni. Le proprietadimostrate della correttezza e della completezza garantiscono che questa dis-giunzione e proprio equivalente a A (esercizio).

Esempio

¬(p ∨ ¬q) ∨ q ∨ ¬(p → q)↙ ↓ ↘

¬(p ∨ ¬q) q ¬(p → q)↓ ↓¬p p↓ ↓¬¬q ¬q↓q .

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L’albero non e chiuso e la forma normale disgiuntiva della radice e (¬p∧ q)∨q ∨ (p ∧ ¬q); i tre modelli dati dai tre rami non chiusi sono

i1(p) = 0, i1(q) = 1,i2(q) = 1,i3(p) = 1, i3(q) = 0

dove il secondo sta per due interpretazioni, di cui una pero coincide con laprima; rami diversi non danno necessariamente interpretazioni diverse. La !!!proposizione non e una tautologia in quanto manca l’interpretazione i(p) =i(q) = 0 tra i suoi modelli.

Se l’albero per A si chiude, si sa che A e una contraddizione e una formanormale disgiuntiva si scrive direttamente.

Dall’albero di A non si legge invece la forma normale congiuntiva di A;per ottenere questa, una via indiretta e la seguente: si mette nella radice ¬A, !!!si sviluppa l’albero per ¬A e si trova una forma normale disgiuntiva di ¬A.Quindi si nega questa premettendo una negazione, e si applicano le leggi diDe Morgan.

Poiche l’albero terminato e non chiuso permette di leggere i modelli dellaradice, per verificare che A e una tautologia si puo anche sviluppare l’alberocon radice A, e controllare che ci siano alla fine 2n interpretazioni associate airami non chiusi, se A ha n lettere. Ma se la domanda e se A sia una tautologia,e piu conveniente impostare l’albero con ¬A, perche se la risposta e positiva !!!essa arriva dalla chiusura dell’albero, in generale piu in fretta dello sviluppointegrale dell’albero con radice A.

8.4 Esercizi

1. Verificare con gli alberi di refutazione le leggi logiche del paragrafo3.3.3.

2. Verificare con gli alberi di refutazione se le seguenti proposizioni sonotautologie, e se no indicare i controesempi:

(p ∨ q) ∧ (r → ¬p) → (r → q)

((p → ¬p) ∧ (q → p)) → ¬q

(p ∧ q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ q

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(p ∧ q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ ¬q.

3. Verificare con gli alberi di refutazione che le seguenti proposizioni sonoinsoddisfacibili:

((p ∨ q) ∧ (¬p ∨ q) ∧ ¬q) → q

(p → ¬q) ∧ (¬p ∨ q)

(p → ¬q) ∧ ¬p ∧ q

(p → ¬q) ∧ p ∧ q

(p ∨ ¬q ∨ r) ∧ ¬r ∧ (¬p ∨ q) ∧ ¬p.

4. Trovare con gli alberi di refutazione la forma normale disgiuntiva e imodelli delle seguenti proposizioni:

p ∧ q → (p → q)

p ∧ q → (p → q ∧ r)

(p → (q ∨ (p ∧ r))) ∧ (¬p ∧ (q → p)).

5. Con gli alberi di refutazione trovare la forma normale congiuntiva delleseguenti proposizioni:

p ∧ q → (p → q ∧ r)

(p ∨ q → r) ∧ ¬p → (p ∨ r)

(p → (q ∨ (p ∧ r))) ∧ (¬p ∧ (q → p)).

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9 Variabili e quantificatori

Finora abbiamo considerato le variabili solo in relazione a formule contenentiuna variabile x, a cui abbiamo associato, in ogni universo U , un insiemedi verita. La variabile sembrerebbe un elemento alieno del linguaggio checompare solo nei simbolismi matematici, ma non e cosı.

Gli insiemi di verita si incontrano invero quasi solo in matematica, dove eproprio tipico lo studio di insiemi definibili. Ad esempio dopo aver introdottola definizione dei numeri primi ci si chiede come e l’insieme dei numeri primi(risulta che e infinito), si elaborano algoritmi per trovare i suoi elementi, sene studiano sottoinsiemi.

Tuttavia la definizione dei numeri primi - in simboli x > 1 ∧ (y |x → y =1∨ y = x) - si puo dare a parole: un numero e primo se e maggiore di 1 e unnumero che lo divide e o 1 o il numero stesso. Il ruolo della variabile x e svoltoda “un numero”. Veramente nella definizione compare anche il riferimentoad y, con qualche ambiguita nella frase in italiano, per la doppia occorrenzadi “un numero”, che tuttavia non e fonte irrimediabile di confusione, graziealle potenzialita espressive dei linguaggi naturali, che hanno altre soluzioni.L’uso delle variabili corrisponde alla funzione nel linguaggio di diverse parolecome “uno”, “chiunque”, “ogni, “qualche” e simili.

I pronomi servono a formare nuove frasi collegando frasi che hanno unriferimento in comune; nella frase “se uno ha un amico, e fortunato” si in-dividuano due proposizioni componenti “uno ha un amico” e “e fortunato”.La seconda frase non presenta il soggetto, ma s’intende che e lo stesso dellaprima; si puo ripetere (“uno e fortunato”) oppure piu spesso, in altri casi, sideve precisare, con un indicatore che faccia capire piu esplicitamente che ilsoggetto e lo stesso (ad esempio “egli”, “colui”, e simili).

Nella seconda di due frasi, il soggetto della prima puo apparire comeoggetto, come in “se uno e generoso, di lui tutti dicono bene”.

Anche per questo tipo di parti del discorso, si hanno molte versioni equiv-alenti, ciascuna con i suoi vantaggi e la sua convenienza, ad esempio “chi-unque abbia un amico e fortunato”, “coloro che hanno un amico sono for-tunati”; talvolta addirittura basta un’unica frase indecomponibile, come “igenerosi sono lodati” per “coloro che sono generosi sono lodati”1.

Nei linguaggi simbolici moderni il ruolo dei pronomi e svolto appunto

1La possibilita di questa espressione e all’origine di una diversa analisi del linguaggio,che ha portato alla prima logica formale della storia, nell’opera di Aristotele, come vedremotrattando i sillogismi.

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dalle variabili: “se x ha un amico, x e fortunato”. L’uso delle variabili odella loro versione con pronomi presenta tuttavia aspetti delicati.

Nella frase “se uno ha un amico, uno e fortunato” - oppure “se x hay come amico, x e fortunato” - ci sono due tipi di “uno”, il primo “uno”soggetto, presente tacitamente anche come soggetto di “e fortunato”, e ilsecondo “un” di “ha un amico”2. Il primo “uno” significa “chi”, “chiunque”,il secondo significa “qualche”. La stessa parola “uno”, e le corrispondentivariabili x e y possono cioe avere sia un senso universale che uno particolare.

Anche se il senso della frase e ovvio, si puo dire meglio “chiunque abbiaqualche amico e fortunato”. La varieta di costrutti linguistici disponibiliha la funzione di evitare possibili ambiguita in altre frasi di non immediatadecifrazione.

Un esempio di frase ambigua, se presa isolatamente, e “uno che segue ilcorso di Logica si addormenta”. Il professore spera che voglia solo dire chesi conosce uno studente che tende ad addormentarsi, ma magari gli studentiintendono che tutti si addormentano sempre.

L’uso delle variabili da sole non risolve le ambiguita, anzi le potrebbeaccrescere, se vengono a mancare le differenze di significato dei pronomispecifici; in “se x ha y come amico, x e fortunato”, se y fosse presa in sensouniversale, come la x, allora la frase significherebbe che chi e amico di tuttie fortunato, che e discutibile, piuttosto e un santo.

La stessa analisi si puo svolgere sul precedente esempio della definizionedi numero primo.

Un altro esempio e il seguente: nelle due frasi di argomento aritmetico

un numero moltiplicato per se stesso da 1

e

un numero sommato al suo opposto da 0

“un numero” e da intendersi in modo diverso; nel primo caso l’unico numerocon quella proprieta e 1, e la frase potrebbe essere una sua descrizione es-trapolata dal contesto, o un indovinello: “quale e . . . ?”; nel secondo caso“un numero” significa “qualunque numero”.

2Non c’e differenza tra “uno” e “un”; si potrebbe dire in entrambi i casi “una persona”,ristabilendo l’uniformita. A seconda del contesto, “uno” puo essere reso da “una cosa”,“uan persona”, “un numero”, “un Tizio” e simili varianti inessenziali.

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La differenza si coglie se si formalizza, la prima frase con x · x = 1 e laseconda con x+(−x) = 0, ma non basta, si devono considerare gli insiemi diverita. L’insieme di verita di x · x = 1 e {−1, 1}, mentre l’insieme di veritadella seconda formula e dato da tutti i numeri.

Tuttavia usare la x e calcolare gli insiemi di verita per capire il sensorichiede del lavoro, e spesso non e nemmeno sufficiente.

Supponiamo di stare ragionando su questioni di aritmetica, e di voler adesempio dimostrare che

se un numero e pari, il suo successore e dispari.

Il primo passo della versione aritmetica e quello di scrivere:

se x e pari, allora x + 1 e dispari.

Questa abbiamo visto che e una delle funzioni delle variabili3, quella di indi-care un elemento generico. Quindi occorre sostituire i termini tecnici con leloro definizioni, continuando con

se x e divisibile per 2, allora x + 1 non e divisibile per 2.

La frase “x e divisibile per 2” significa che esiste un numero (indicato con y,perche non lo conosciamo, e non possiamo conoscerlo se non conosciamo x, ofinche non conosciamo x4) che moltiplicato per 2 da x, o x = 2y; ma questaformula e da intendere nel senso che x e uguale a 2 moltiplicato per qualchey, non che x e uguale a 2 moltiplicato per tutti i numeri. La sola scrittura diy non basta a chiarire.

La frase successiva “x+1 e dispari” infatti, resa da x+1 6= 2z, e diversa,significa che tutti i numeri z moltiplicati per 2 sono diversi da x + 1.

In italiano, si direbbe correttamente:

se per qualche y si ha x = 2y, allora per nessun z si ha x + 1 = 2z.

Nel gergo matematico, si scrive

se x = 2y, allora x + 1 6= 2z,

3L’abbiamo gia considerata nell’introduzione al paragrafo 7.1, col passaggio da “unnumero” a “m”.

4Non possiamo dire che y e x/2 perche a rigore non abbiamo l’operazione di divisione,se stiamo considerando solo i numeri naturali, anche se questa possibilita di espressione,e comoda, quando e disponibile; in generale pero y non e una funzione esplicita di x.

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ma le variabili non rendono la duttilita delle parole che indicano se si parladi uno, qualcuno o tutti. S’impone di nuovo una standardizzazione, neilinguaggi formali.

Si introducono due simboli che si chiamano quantificatori , rispettivamenteuniversale ∀ ed esistenziale ∃, e questi segni si premettono alle formule convariabili per segnalare che, nel loro raggio d’azione determinato dalle par-entesi, le variabili stesse devono essere intese nel senso di “tutti” ovvero nelsenso di “qualcuno”.

La frase precedente diventa allora

∃y(x = 2y) → ∀z(x + 1 6= 2z).

Vero e che questi segni devono essere eliminati per svolgere le dimostrazioniche richiedono manipolazioni algebriche di formule, e si dovra arrivare a

x = 2y → x + 1 6= 2z,

ma l’aver scritto i quantificatori aiuta a ricordare come devono essere trattatele variabili.

In questo caso, dato x, anche y e determinato e fissato (ancorche sconosci-uto, vedi nota precedente); x+1 6= 2z e un’affermazione relativa a tutti gli z(a tutti i numeri da pensare presi come valori di z) e va dimostrato come sidimostrano le affermazioni universali, riferite a z. Ad esempio per assurdo,oppure per induzione, tecnica che vedremo in seguito.

Si noti che anche in italiano si passa spesso, nei ragionamenti, da frasiche contengono i quantificatori “qualche”, “tutti”, o equivalenti, a frasi con“uno”, o equivalenti, vale a dire di quelle che prese isolatamente sarebberoambigue. Ad esempio, per giustificare l’affermazione “chi segue il corso diLogica non impara niente” si potrebbe argomentare nel seguente modo, primaeliminando un quantificatore universale e infine ripristinandolo: chiunquesegue il corso di Logica (prima o poi) si addormenta; uno che segue il corso diLogica si addormenta; uno che si addormenta perde qualche spiegazione; unoche perde una spiegazione non capisce neanche il resto; quindi uno che segueil corso di Logica non capisce la materia, quindi, come volevasi dimostrare,tutti quelli che seguono il corso di Logica non imparano niente. Vedremo inseguito l’organizzazione in un formato standard di queste mosse logiche.

I quantificatori si tolgono nel corso di un argomento per poter lavoraresolo a livello proposizionale o algebrico; tale eliminazione e soggetta a precisivincoli che vedremo. Nelle definizioni invece occorre scrivere tutti i necessari

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quantificatori nel modo corretto; non e lecito ometterne alcuni; la definizionedi “x e primo” e

“x e primo” se e solo se x > 1 ∧ ∀y(y | x → y = 1 ∨ y = x).

o piu esplicitamente

“x e primo” se e solo se x > 1 ∧ ∀y(∃z(y · z = x) → y = 1 ∨ y = x).

Lo stesso rigore occorre quando si vuole fare un’affermazione il cui sensodeve essere esplicito e netto. La frase “uno che ha un amico e fortunato”diventa, schematizzata, ∀x(∃yA(x, y) → F (x)).

Per spiegare come ci arriva, dobbiamo introdurre i simboli dei linguaggipredicativi , spiegando come sono analizzate e costruite ora le frasi simboliche,non solo come composizione proposizionale di frasi piu semplici ma anchegrazie ai legami stabiliti dalla presenza di soggetti o complementi in comune,quindi rappresentando la struttura interna delle frasi atomiche.

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10 Linguaggi predicativi

10.1 Alfabeto

Le frasi elementari nel linguaggio naturale sono di diverso tipo, ma in tuttesi puo individuare un soggetto, un verbo e un complemento (eventualmentepiu soggetti e piu complementi, o nessuno). I verbi possono essere transitivio intransitivi, ed esprimere azioni o stati.

Si possono tutti standardizzare nella forma della attribuzione di una pro-prieta, o di un predicato, o di uno stato a uno o piu termini. Questo cor-risponde se si vuole ad avere un solo verbo, la copula “essere”, nelle dueversioni “essere qualcosa” per i verbi intransitivi e “essere nella relazione . . .con” per i verbi transitivi: “Giovanni dorme” puo diventare “Giovanni ha laproprieta (la caratteristica) di stare dormendo”, o “Giovanni e dormiente”;“Giovanni sta dormendo” significa che Giovanni e nello stato di sonno; “Gio-vanni possiede un Piaggio 50” diventa “la relazione di possesso sussiste traGiovanni e un Piaggio 50”, o meglio “la relazione di possesso sussiste traGiovanni e una cosa, e questa cosa e un Piaggio 50”; “Giovanni ama Maria”,cosı come “Maria e amata da Giovanni”1, vuol dire che la relazione di amoresussiste tra Giovanni e Maria (ma non necessariamente tra Maria e Giovanni,perche la relazione di amore non e simmetrica).

Le frasi matematiche elementari, uguaglianze e disuguaglianze, “e ugualea”, “e minore di”, rientrano in questa tipologia. Cosı quelle insiemistiche con“appartiene a”, cioe “e un elemento di”.

I soggetti e gli oggetti non sono denotati solo da nomi propri, ma anche dadescrizioni, o da pronomi. Ad esempio oltre ai nomi propri, come “Giovanni”e “2”, si possono avere descrizioni come “il padre di Giovanni”, “il presidentedella Repubblica”, “la radice quadrata di 2”. Tali descrizioni coinvolgonofunzioni, quando sono univoche, come nei precedenti esempi2. Chiamiamofunzione “il padre di . . . ” in analogia a quello che e “la radice di . . . ”.

Si introducono percio simboli per designare predicati, e altri per costruiretermini, che corrispondono alle descrizioni. Useremo preferibilmente le lettereP , Q, R, . . . per predicati, le lettere f , g, . . . per funzioni, le lettere a, b,c, . . . per costanti (corrispondenti dei nomi propri), le lettere x, y, . . . pervariabili, con o senza indici.

1La distinzione tra forma attiva e passiva e inessenziale.2Per “padre” non e un controesempio alla funzionalita la famosa Lola, figlia di cento

padri e una madre sola.

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Tuttavia la rappresentazione grafica dei simboli non e rigida, per comoditadi traduzione si possono anche usare altre lettere, come le iniziali delle paroleitaliane (A per “essere amici”), o addirittura complessi di lettere o paroleintere, magari in caratteri particolari, come amici(x, y).

Quando non si ha una funzione che indica un individuo, come in “il figliodi Tizio” - a meno che non si sappia che Tizio ha un solo figlio - la descrizionenon e univoca; sarebbe meglio dire “uno dei figli di Tizio”, e si puo prevedereche l’espressione corretta richieda giri di frase piu complicati, con variabili(“uno”), che sono tuttavia possibili con un alfabeto del tipo descritto: “figliodi . . . ” e una relazione. Una frase come “Maria ama un figlio di Giovanni”diventa “Maria ama uno , e quest’uno e figlio di Giovanni”.

Per ottenere i linguaggi predicativi, all’alfabeto costituito dai connettivie dalle parentesi si aggiungono dunque le variabili, con i due quantificatori,e simboli di predicato, di funzione e di costante. Le variabili sono disponibiliin quantita illimitata, anche se ogni volta se ne utilizzeranno solo un numerofinito. Gli altri simboli differiscono da linguaggio a linguaggio, possono an-che mancare, anche se almeno un simbolo di predicato deve sempre esserepresente.

10.2 Termini e formule

La struttura di base di un’affermazione atomica e l’attribuzione di un predi-cato a uno o piu termini. Ogni (simbolo di) predicato ha un numero fisso diposti; i predicati a un posto, o monadici, sono anche detti proprieta; quellia piu di un posto relazioni . Se t1, . . . , tn sono termini, non necessariamentedistinti3, si scrivera

P (t1, . . . , tn)

a indicare che il predicato P (o piu precisamente la proprieta P se n = 1, ola relazione P se n > 1) sussiste per gli individui denotati dagli n termini.

I termini sono le costanti, le varibili, e se f e un simbolo di funzione a nposti, e t1, . . . , tn sono n termini, non necessariamente distinti, f(t1, . . . tn) eun termine.

I termini chiusi sono i termini che non contengono variabili. !!!

3Si potrebbe anche dire: “data una n-upla di termini”, dove le componenti di unan-upla non sono necessariamente distinte.

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Quando si trattano argomenti matematici, si usano le convenzioni a cuisi e abituati, di scrivere i simboli delle operazioni usuali4 in mezzo ai termini,laddove la notazione funzionale preferisce mettere il simbolo di funzione da-vanti; la stessa notazione infissa si adotta per le relazioni =, < e ≤.

Esempio Supponiamo di avere una costante 0 e un simbolo funzionale aun argomento, indicato con ′; scriveremo x′ per ′(x) e quindi x′′ per (x′)′, . . .I termini sono

0, x, y, . . . per tutte le variabili0′, x′, y′, . . .0′′, x′′, y′′, . . .. . .

L’insieme degli infiniti termini puo essere enumerato in una successione unica,ad esempio

0, 0′, x, 0′′, x′, y, 0′′′, x′′, y′, z, . . .

Il criterio che guida l’enumerazione e quello, dopo il primo passo iniziale 0, 0′,di introdurre una nuova variabile, aggiungere un apice ai termini precedenti,e ricominciare con una nuova variabile.

L’insieme dei termini distribuito in una matrice infinita viene percorsosecondo le diagonali:

...

0′′′

0 x y z . . .

0′ x′ y′ . . .

0′′ x′′ y′′ . . .

?¶¶7

¶¶7

¶¶7

¶¶7

4In aritmetica e algebra si parla preferibilmente di operazioni, ma sono la stessa cosadelle funzioni. Qualche volta il segno di moltiplicazione non si scrive.

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Se le variabili sono indicate con t2, t3, . . . , e 0 con t1, si puo determinare

esplicitamente con operazioni aritmetiche il posto di t

m︷︸︸︷′′ . . .′n , in funzione di n

ed m5.L’enumerazione per diagonali della matrice infinita i cui posti sono indi-

viduati dalla riga n-esima e dalla colonna m-esima dimostra che N× N e in !!!corrispondenza biunivoca con N.

I termini 0, 0′, 0′′, . . . sono quelli che denotano i numeri naturali. Talvoltasi pensa che ci sia a disposizione una costante diversa per ogni numero nat-urale, perche si pensa a 0, 1, 2, 3, . . . , ma le cifre distinte sono solo dieci. Glialtri numeri sono denotati da termini chiusi, quelli che si possono formarecon la rappresentazione posizionale. Pensare di disporre di infinite costantie possibile teoricamente, ma non e realizzabile in concreto.

Se e presente anche un solo simbolo di funzione a due argomenti l’insiemedei termini e molto piu complicato.

Esercizio. Si elenchi l’insieme dei termini chiusi del linguaggio che ha lecostanti 0 e 1 e il simbolo di operazione binaria +.

Le versioni formali delle frasi saranno chiamate formule, in analogia alleformule matematiche.

Le formule sono definite nel seguente modo:

1 Se P e un predicato a n posti e t1, . . . , tn termini, (P (t1, . . . , tn)) e unaformula.

2 Se A e una formula, anche (¬A) lo e.

3 Se A e B sono formule e • un connettivo binario, anche (A • B) e unaformula.

4 Se A e una formula, e x una variabile, anche (∀xA) e (∃xA) sono formule.

Le parentesi si riducono con le stesse convenzioni viste per le proposizioni,dove ora i quantificatori sono al primo posto nell’ordine di priorita, insiemealla negazione (se adiacenti, si procede prima dall’interno, o da destra versosinistra, come gia per la negazione nel linguaggio proposizionale).

5Esercizio, dopo il principio di induzione.

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Esempio ∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x∃yR(x, y) rimettendo le parentesi,non intorno alle formule atomiche e la coppia esterna, diventa

∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x(∃yR(x, y))∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬(∃x(∃yR(x, y)))∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))∃xP (x) ∧ ∃y(¬Q(y)) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))∃xP (x) ∧ (∃y(¬Q(y))) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))

(∃xP (x)) ∧ (∃y(¬Q(y))) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))((∃xP (x)) ∧ (∃y(¬Q(y)))) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))

da cui si vede la struttura, che e quella di un condizionale con l’antecedenteche e una congiunzione e il conseguente che e una negazione; ∧,→ e ¬ col-legano tra loro formule quantificate (che iniziano con un quantificatore).

Per le formule si possono costruire gli alberi sintattici individuando ilsegno logico principale, che ora puo essere un connettivo oppure un quantifi-catore, per le formule del tipo (∀xA) e (∃xA).

Nei nodi dell’albero sintattico di una formula occorrono le sottoformuledella formula stessa.

L’albero per ∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x∃yR(x, y) e il seguente:

∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x∃yR(x, y)↙ ↘

∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) ¬∃x∃yR(x, y)↙ ↘ ↓

∃xP (x) ∃y¬Q(y) ∃x∃yR(x, y)↓ ↓ ↓

P (x) ¬Q(y) ∃yR(x, y)↓ ↓

Q(y) R(x, y).

Esempi

1. Tipiche formule atomiche di argomenti aritmetici e algebrici sono x −1 = 0, x · y + x = x · (y + 1), x + (y + z) = (x + y + z), x < x + 1, e ingenerale t1 = t2 e t1 ≤ t2 o t1 < t2 dove t1 e t2 sono termini.

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2. Le identita booleane sono altri esempi di formule atomiche, ma si sonoanche incontrate altre formule piu complesse del linguaggio insiemistico,ad esempio le definizioni

∀x(x ∈ X ∩ Y ↔ x ∈ X ∧ x ∈ Y )

X ⊆ Y ↔ ∀x(x ∈ X → x ∈ Y )

o teoremi come

∀x(x ∈ X → x ∈ X ∨ x ∈ Y ),

che prima avevamo scritto senza quantificatori universali per l’abitudineche c’e nell’esposizione matematica di ometterli quando si tratta diidentita (cioe di formule valide per ogni x).

In queste formule X,Y, . . . non sono variabili, ma simboli predicativi aun posto; x ∈ X e una scrittura alternativa per la notazione predicativaX(x)6.

3. La frase “chi ha un amico e fortunato”, e formalizzata con l’enunciato

∀x(∃yA(x, y) → F (x))

dove A e un simbolo di relazione binaria, che sta per “essere amici”, eA(x, y) per “x e y sono amici”, F un simbolo di proprieta che significa“essere fortunato”, e F (x) per “x e fortunato”.

4. “Giovanni possiede un Piaggio 50” e formalizzata dall’enunciato

∃x(P1(g, x) ∧ P2(x)),

dove g e una costante, che sta per “Giovanni”, P1 una relazione binaria,P1(x, y) significa “x possiede y”, e P2 la proprieta di essere un Piaggio50.

6Si puo anche considerare ∈ come un simbolo di relazione tra insiemi, quando si studianoquestioni piu avanzate che coinvolgono insiemi di insiemi, insiemi i cui elementi sonoinsiemi, e non si fa una distinzione logica tra individui ed insiemi; tutte le variabili varianosu insiemi e si possono trovare formule come x ∈ y ∧ y ∈ z.

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5. “Maria ama il figlio di Giovanni” e formalizzata da

A(m, f(g))

dove m e g sono costanti, m per “Maria” e g per “Giovanni”, ed f unsimbolo funzionale per “il figlio di . . . ”.

6. “Maria ama un figlio di Giovanni” e formalizzata da

∃x(A(m,x) ∧ F (x, g))

dove F e un simbolo relazionale a due posti, e F (x, y) sta per “x e figliodi y”.

7. “Maria ama i figli di Giovanni”, che significa che Maria ama tutti i figlidi Giovanni, si formalizza con

∀x(F (x, g) → A(m,x))

e non con ∀x(A(m,x)∧ F (x, g)); questa significa che tutti sono figli diGiovanni, e che Maria li ama tutti; il che implica che Giovanni sia Dio,e forse Maria la Madonna.

La frase “Maria ama uno che e figlio di Giovanni”, che significa “Mariaama uno, e questi e figlio di Giovanni”, che corrisponde a A(m,x) ∧F (x, g), potrebbe essere interpretata in modo ambiguo, ad esempiorivoltandola in “uno e figlio di Giovanni, Maria lo ama”; ma questanon va confusa con “uno che e figlio di Giovanni, Maria lo ama” che varesa da F (x, g) → A(m,x) (si veda il paragrafo 10.5 sui quantificatoriristretti).

8. La frase “dati due numeri, uno minore dell’altro, esiste un terzo numerocompreso tra i due”, vera nel campo reale, puo essere resa da

∀x∀y(x < y → ∃z(x < z ∧ z < y)).

La congiunzione x < z∧z < y si puo abbreviare, secondo l’uso matem-atico, con x < z < y.

Il complesso ∀x∀y . . . si legge “per ogni x e per ogni y . . . ”. E anche !!!

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lecito abbreviare con ∀x, y . . . , cosı come ∃x∃y . . . con ∃x, y . . . .

Non esiste un quantificatore che quantifichi sulle coppie; ci si comportacome se la frase fosse “dato un primo numero e dato un secondo nu-mero . . . ”. Ma “un primo” e “un secondo” servono solo a facilitarel’espressione, si sarebbe potuto dire anche “dato un numero e dato unnumero . . . ”, con qualche difficolta nel seguito per i riferimenti appro-priati. Si faccia attenzione che neanche la presenza di “due” vuol direche i numeri devono essere considerati diversi; tale forma comune diespressione distingue il modo, il momento in cui i numeri sono presen-tati, o pensati, ma non e escluso che si presenti lo stesso numero duevolte.

Le parole “un primo”, “un secondo”, . . . , o “Tizio”, “Caio”, . . . sonoquelle che corrispondono alle diverse variabili di un linguaggio matem-atico o logico; le variabili corrispondenti potrebbero essere indicate conx1, x2, . . . ; anche x1 e x2 (o x e y) come variabili sono diverse ma, pren- !!!dendo tutti i valori, possono anche prendere un valore uguale. Se sidice “dati due numeri esiste la loro somma” - formalmente ∀x∀y∃z(z =x+y) - non si eslcude che esista x+x, anzi lo si comprende. “Dati duenumeri” significa “fatta due volte la scelta di un numero”, e le sceltepossono cadere sullo stesso numero.

Quando tuttavia si mette la condizione “uno minore dell’altro”, allorasi esclude che possano essere uguali perche la relazione “minore di” none riflessiva. Tuttavia lo si esclude solo attraverso una deduzione, noncon la semplice scrittura: se x e y denotano lo stesso numero, e bisognaconsiderare anche questo caso, x < y → ∃z(x < z∧z < y) e soddisfattacome condizionale con valori falso-falso.

Con “un terzo” di nuovo si vuol dire semplicemente “un numero”, eche sia diverso dai primi due segue automaticamente se “compreso”significa “strettamente compreso”, altrimenti, se fosse inteso come ≤allora potrebbe anche essere uguale a uno dei due; non e questo il sensodella frase, che vuole esprimere la densita dell’ordine dei numeri reali- e anche dei razionali. Se nella stessa formula il segno di relazione einterpretato su di una relazione riflessiva, come

∀x∀y(x ≤ y → ∃z(x ≤ z ∧ z ≤ y)),

o piu in generale

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∀x∀y(R(x, y) → ∃z(R(x, z) ∧R(z, y))) ∧ ∀xR(x, x),

allora la formula e banalmente vera per ogni relazione7.

9. La frase “dati due numeri diversi tra loro, esiste un numero che e pro-priamente compreso tra i due numeri dati” si rappresenta con

∀x∀y(x 6= y → ∃z(x < z < y ∨ y < z < x)).

La frase tra parentesi e soddisfatta da tutti gli x e y, anche quandox = y, perche allora l’antecedente e falso.

10. La frase “ogni numero positivo ha una radice quadrata”, vera nei reali,si rappresenta come

∀x(0 < x → ∃y(x = y2)).

11. La frase “esistono due numeri primi consecutivi” si rappresenta con

∃x∃y(x = y + 1 ∧ pr(x) ∧ pr(y)),

dove pr(x) e un’abbreviazione per la definizione di “x e primo” gia vista

x > 1 ∧ ∀z(∃u(z · u = x) → z = 1 ∨ z = x).

Che i numeri siano due non risulta dallo scrivere ∃x∃y ma da x = y +1che implica x 6= y; infatti si potrebbe anche scrivere:

∃x(pr(x) ∧ pr(x + 1)),

dando per scontato (vedremo che si tratta di un assioma dei numerinaturali) che x 6= x + 1 e i numeri sono due.

7Con “banalmente” s’intende che dati x e y come z si puo prendere o x o y, e la formulanon ci da veramente informazioni.

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10.3 Variabili libere e vincolate

La clausola 4 della definizione del linguaggio predicativo8 e la clausola nuova,rispetto al linguaggio proposizionale.

In una formula del tipo (∀xA), o (∃xA), A si chiama raggio d’azionedel primo quantificatore universale, o rispettivamente esistenziale. Tuttele occorrenze di x all’interno del raggio d’azione vanno intese in senso ouniversale, o rispettivamente esistenziale.

Naturalmente in (∀xA) fuori dal raggio d’azione del primo quantificatorenon c’e nulla, ma si potrebbe costruire (∀xA) ∧B.

Per le occorrenze di x al di fuori del raggio d’azione del quantificatore, senon cadono dentro al raggio d’azione di un altro quantificatore, il senso in cuivanno interpretate non e determinato. L’interpretazione di tutta la formulaallora e ambigua, o necessita di ulteriori precisazioni per essere compresa.

Ad esempio ∀x(x2 + 1 > 0), che si legge “per tutti gli x, x2 + 1 > 0”,ha un senso compiuto, e l’affermazione di un fatto, e in particolare e vera intutti i domini numerici usuali ordinati; nella formula

(∀x(x2 + 1 > 0)) ∧ x < 0

invece l’ultima x e indeterminata, non cadendo nel raggio d’azione di nessunquantificatore9. Si puo studiare l’insieme di verita associato; nell’universo deireali, per esempio, tale insieme e l’insieme dei numeri negativi; nell’universodei naturali, e vuoto. La prima parte ∀x(x2 + 1 > 0) della congiunzione evera in entrambi i casi e non contribuisce nulla alla delimitazione dell’insiemedi verita.

In ∀x(x2 + 1 > 0) ∧ ∃x(x < 0) l’ultima occorrenza di x cade nel raggiod’azione di ∃x, e si ha la congiunzione di due formule che corrispondonoentrambe ad affermazioni di senso compiuto, vere negli interi, razionali oreali, mentre la seconda e falsa nei naturali.

Le occorrenze di una variabile entro il raggio d’azione di un quantificatorerelativo a quella variabile si dicono vincolate dal quantificatore (e cosı pure lax adiacente a ∀ in ∀x o a ∃ in ∃x, che spesso non viene neanche menzionata);altrimenti si dicono libere.

8Con “linguaggio” s’intende talvolta il complesso di alfabeto, regole sintattiche e nozionisemantiche, altre volte semplicemente l’insieme delle formule (o delle proposizioni per illinguaggio proposizionale).

9Abbiamo messo ancora le parentesi esterne a (∀x(x2 +1 > 0)) perche fosse chiaro dovefinisce il raggio d’azione del quantificatore universale.

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Se si vuole mettere in evidenza che la formula A contiene occorrenze liberedi x si scrive A(x), se contiene occorrenze libere di x e di y A(x, y).

Qualche volta si dice brevemente che x e libera in A per dire che inA vi sono occorrenze libere di x, o che x e vincolata per dire che vi sonooccorrenze vincolate, ma bisogna fare attenzione che allora come abbiamovisto una variabile puo essere sia libera sia vincolata in una formula.

Le formule in cui non ci sono occorrenze libere di variabili si dicono enun-ciati . Sono le formule per cui ha senso chiedere se sono vere o false (una voltafissata l’interpretazione con il dominio di discorso).

Le formule che non sono enunciati non esprimono frasi, piuttosto definis-cono insiemi, o relazioni, a seconda di quante variabili libere hanno.

Un’altra loro funzione e quella di intervenire nel procedimento per de-cidere se gli enunciati sono veri o falsi.

In ∀x(x2 + 1 > 0)∧ x < 0 le prime due occorrenze di x sono vincolate; laterza e libera.

In ∀x(x2 + 1 > 0) ∧ ∃x(x < 0) tutte le occorrenze della x sono vinco-late, ma le prime due dal quantificatore universale, le altre dal quantificatoreesistenziale.

Un quantificatore puo cadere entro il raggio d’azione di un altro quantifi-catore, come si e visto in diversi esempi.

Ma un quantificatore relativo a una variabile x puo anche cadere entro il !!!raggio d’azione di un altro quantificatore relativo alla stessa x. Ad esempio,dopo aver considerato la formula del tipo p(x), con una variabile x che occorrelibera:

∀x(x2 + 1 > 0) ∧ x < 0

nel dominio degli interi, e aver verificato che il suo insieme di verita non evuoto, si ottiene un enunciato vero premettendo ∃x. Infatti

Vp(x) 6= ∅ se e solo se ∃x(x ∈ Vp(x)) se e solo se ∃xp(x).

Ma allora si ottiene l’enunciato

∃x(∀x(x2 + 1 > 0) ∧ x < 0),

che richiede di essere letto con attenzione. Quando nella costruzione di unaformula si premette ad A un quantificatore con la variabile x, questo quan-tificatore vincola tutte le occorrenze di x che sono libere in A, e solo quelle.

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Proprio per come e stato ottenuto, e chiaro che il quantificatore esistenzialenell’esempio vincola l’occorrenza di x che prima era libera, cioe l’ultima, esolo quella. L’azione del quantificatore esistenziale premesso ∃x scavalca la !!!parte d. . . e in

d∀x(x2 + 1 > 0)∧ex < 0,

dove non ci sono occorrenze libere di x, per agire su x < 0 dove x occorrelibera. Le occorrenze vincolate di x in d. . . e, essendo gia vincolate, sonoinsensibili all’azione di un altro quantificatore. In effetti, e come se fossescritto ad esempio

∀z(z2 + 1 > 0) ∧ x < 0,

e si ottenesse percio

∃x(∀z(z2 + 1 > 0) ∧ x < 0),

che e un modo di scrivere l’enunciato piu chiaro, ed equivalente. Se si legge lafrase in italiano si vede bene che non c’e interferenza tra le occorrenze liberee vincolate di x, perche si possono usare locuzioni diverse; “esiste un numerotale che, mentre ogni numero elevato al quadrato e aumentato di 1 e maggioredi 0, lui e negativo”10. Ancor meglio, conviene leggere: “mentre ogni numeroelevato al quadrato e aumentato di 1 e maggiore di 0, esiste un numero chee negativo”. Infatti un altro modo di evitare difficolta interpretative e quellodi andare a piazzare il nuovo ∃x dove e richiesto, cioe scrivendo

∀x(x2 + 1 > 0) ∧ ∃x(x < 0).

Vedremo in seguito che tali trasformazioni equivalenti sono legittime.Infine un quantificatore relativo ad una variabile x si puo premettere an-

che a una formula che non contenga alcuna occorrenza di x libera, ad esempio∃x∀y(y2 + 1 > 0) o anche ∃x∀x(x2 + 1 > 0) o ∀x(y < 0). La definizione di“formula” non lo esclude11. In questi casi l’effetto del primo quantificatoree nullo, la sua presenza superflua, e la formula ottenuta equivalente a quellaoriginaria.

10Si e usato qui “mentre” come congiunzione, per sottolineare la non connessione tra ledue parti della frase.

11Non lo esclude perche sarebbe stato complicato inserire la condizione sulle occorrenzelibere nella definizione stessa iniziale.

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10.4 Interpretazioni

Le formule matematiche presentate negli esempi del paragrafo 10.2 possonoessere interpretate in diversi domini numerici; alcune sono vere negli uni efalse negli altri. La possibilita di diverse interpretazioni e ancora piu evidentein formule del tipo ∀x(∃yA(x, y) ↔ F (x)), dove ci sono simboli predicativi Ae F che non hanno un’interpretazione nemmeno nell’uso comune (come e ilcaso dei simboli matematici), e questa e la caratteristica della logica formale.

∀x(∃yA(x, y) ↔ F (x)) puo essere interpretato nell’universo delle persone,e significare che chi ha un amico e felice, e solo se ha un amico - se A e F sonointerpretati in questo modo12; ma lo stesso enunciato puo essere interpretatonei numeri naturali, usando A(x, y) per “x e divisibile per y con quozientemaggiore di 1 e minore di x” e F (x) per “x e un numero composto”, el’enunciato e vero in questa intepretazione.

Prima di chiedersi se un enunciato e vero o no occorre precisare qualeinterpretazione si ha in mente, vale a dire innanzi tutto quale sia l’universo deldiscorso, che deve essere un insieme non vuoto U ; quindi si devono stabilire lerelazioni e funzioni su questo insieme che corrispondono ai simboli predicativie funzionali che occorrono nell’enunciato. Se ci sono costanti, bisogna fissaregli elementi di U di cui le costanti sono nomi.

Dare un’interpretazione significa conoscere gli insiemi definiti dalle loroformule atomiche, o i loro insiemi di verita13

Dare un’interpretazione comporta anche in particolare di determinarequali elementi denotano le costanti e tutti i termini chiusi, e se questi el-ementi stanno o no nelle relazioni in esame, e quindi se gli enunciati atomicisono veri o no. Un enunciato privo di quantificatori, ma contenente connet-tivi, ad esempio 1 = 1 + 0 ∨ 1 6= 1 e vero in un’interpretazione U se assumeil valore 1 quando sia considerato come una proposizione costruita a partiredagli enunciati atomici, ai quali sono assegnati 1 o 0 a seconda che siano verio no nell’interpretazione U .

Un enunciato che inizia con un quantificatore universale ∀xA e vero in !!!un’interpretazione U se l’insieme di verita di A e tutto U . Si dice anche in

12Qualcuno potrebbe non essere d’accordo che l’enunciato e vero, perche il suo amicoe un cane, e se l’universo e l’universo delle persone, l’∃y non e verificato dal cane; se sivuole inserire anche gli animali nel discorso, allora l’universo deve essere modificato diconseguenza a tutti gli esseri viventi.

13Non si intende che queste conoscenze siano effettive, ma solo determinate in linea diprincipio.

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tal caso che la formula A e valida nell’interpretazione.Un enunciato che inizia con un quantificatore universale ∃xA e vero in

un’interpretazione U se l’insieme di verita di A non e vuoto. Si dice ancheche la formula A e soddisfacibile nell’interpretazione U .

L’insieme di verita di una formula composta si ottiene ricordando la cor-rispondenza tra i connettivi e le operazioni insiemistiche, a partire dagli in-siemi corrispondenti alle formule atomiche.

Tuttavia l’interrelazione tra quantificatori e connettivi nella valutazione14

di una formula e resa complicata dal fatto che i quantificatori possono trovarsinon solo all’inizio di una formula. Ad esempio nell’insieme dei numeri interiZ, l’insieme di verita di

x > 0 ∧ ∃y(x = 2y)

e l’intersezione dell’insieme dei numeri positivi {x | x > 0} e dell’insieme{x | ∃y(x = 2y)}.

Per determinare questo insieme, occorre prima considerare l’insieme dicoppie {〈x, y〉 | x = 2y }, che e una relazione, ed e l’insieme di verita dellaformula x = 2 · y nell’insieme Z×Z (esercizio: rappresentare questo insiemein un sistema di assi cartesiani xy nel piano), e quindi prendere le ascisse x diqueste coppie. Questo e in generale l’effetto di un quantificatore esistenziale∃, quello di eseguire una proiezione secondo l’asse della sua variabile.

Analogamente per ∀. L’insieme {x | ∀y(x |y)} si ottiene dall’insieme{〈x, y〉 | x |y } considerando tutti e soli gli x tali che tutti i punti della rettaparallela all’asse y passante per l’ascissa x stanno nella relazione. Per questol’effetto di una quantificatore universale si chiama anche cilindrificazione. Inquesto caso si ha solo x = 1.

Nell’ultimo esempio si e usata l’abbreviazione “x divide y”, la quale tut-tavia a sua volta nasconde un quantificatore ∃z(x · z = y). L’insieme e sem-plice da rappresentare,e si decide facilmente quali coppie vi appartengano,ma in teoria si sarebbe dovuto seguire una strada assai poco intuitiva, partireda un insieme di terne {〈x, y, z〉 | x · z = y} e proiettare secondo l’asse z,prima della cilindrificazione.

14Si chiama anche qui valutazione l’estensione dell’interpretazione a tutte le formule.

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6

©©©©©©©©©©©©©©©©©©©*

-

r

r〈x, xz, z〉

〈x, xz〉

x

yz

x

xz

..............

..............

............

La definizione di verita in U di un enunciato A e allora la seguente:siccome se un enunciato A e vero in un’interpretazione su U , l’insieme {x ∈U | A vero in U} e U , e se e falso e ∅, possiamo dire in generale che unenunciato e vero in U se il suo insieme di verita e tutto U .

In particolare si noti che ∀xA e vero in U se e solo se A e valida in U .Si giustifica cosı l’abitudine delle esposizioni di matematica di omettere iquantificatori universali, ad esempio davanti agli assiomi, presentati comeformule valide.

La verifica della verita di un enunciato si riduce quindi al calcolo delsuo insieme di verita, ∅ o U , calcolo che puo richiedere, come si e vistonell’esempio di sopra, la considerazioni di sottoinsiemi di U ×U o di spazi dimaggiori dimensioni.

L’insieme di verita di una formula soddisfa le seguenti condizioni:

se A e della forma ∀xB, l’insieme di verita di A e la cilindirificazionedell’insieme di verita di B; se A e un enunciato, il suo insieme di verita e Use l’insieme di verita di B e U , altrimenti e ∅;

se A e della forma ∃xB, l’insieme di verita di A e la proiezione dell’insiemedi verita di B; se A e un enunciato, il suo insieme di verita e U se l’insiemedi verita di B non e vuoto, altrimenti e ∅;

se A e della forma ¬B, l’insieme di verita di A e il complemento dell’insiemedi verita di B;

se A e della forma B ∧ C, l’insieme di verita di A e l’intersezione degliinsiemi di verita di B e di C;

se A e della forma B ∨C, l’insieme di verita di A e l’unione degli insiemi

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di verita di B e di C;se A e atomica, il suo insieme di verita e dato dalla relazione corrispon-

dente al suo simbolo relazionale.

E palese la maggiore complessita della valutazione delle formule rispettoalle valutazioni proposizionali, e tanto piu e auspicabile trovare un riduzionemeccanica di tale compito.

Per lo studio di questioni logiche, si cerchera di usare ove possibile inter-pretazioni costruite su insiemi finiti, ovviamente piu maneggevoli; ma nonsara sempre possibile, perche esistono enunciati che hanno solo modelli in- !!!finiti, ad esempio l’enunciato ∀x¬R(x, x) ∧ ∀x∃yR(x, y).

10.5 Sui quantificatori ristretti

L’interpretazione intesa per una formula spesso si coglie e si fa capire leggendoopportunamente i quantificatori, visto che le variabili variano - prendonovalori - nell’universo U fissato. ∀x si puo allora leggere a seconda di come eU , “tutte le persone . . . ” oppure “tutti i numeri naturali . . . ”.

Le variabili non variano mai sulla totalita delle cose esistenti, ma su uninsieme (di volta in volta) fissato, anche se e chiamato universo. Ma e dettoanche opportunamente “modello”.

In molte frasi tuttavia i quantificatori apparentemente non si riferiscono atutti gli elementi dell’universo ma a parti piu ristrette; in un’interpretazionearitmetica per esempio non iniziano con “tutti i numeri” ma con “tutti inumeri positivi”, o “tutti i numeri primi”; e raramente si parla di tutti gliesseri viventi, ma piuttosto di tutti gli uomini, o di tutte le donne, o di tuttigli italiani e cosı via restringendo.

Talvolta si usano diverse specie di variabili, che variano su sottoinsiemidell’universo, come ad esempio quando si stanno studiando i numeri realie si dice che si useranno le lettere m, n a indicare numeri naturali. None tuttavia necessario avere a disposizione diversi quantificatori ristretti odiverse specie di variabili perche si realizzino queste possibilita, grazie all’usodel condizionale materiale.

Per affermare che tutti i numeri positivi hanno una radice quadrata, si escritto

∀x(0 < x → . . . );

per affermare che tutti i numeri primi maggiori di 2 sono dispari si scrive

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∀x(pr(x) ∧ 2 < x → . . . );

per affermare che tutti i tedeschi sono biondi si scrivera ad esempio

∀x(T (x) → B(x)),

dove il quantificatore ∀x e letto rispettivamente “per tutti i numeri” o “pertutte le persone”, cioe con la x che varia su tutto l’universo. Il senso volutoe garantito da un predicato restrittivo nell’antecendente del condizionale. Sel’ultimo enunciato e vero per tutte le persone, allora ogni tedesco rende verol’antecedente e quindi vero il conseguente, ed e vero che tutti i tedeschi sonobiondi; se viceversa e vero che tutti i tedeschi sono biondi, anche l’enunciatodi sopra che si riferisce con ∀x non ai tedeschi ma a tutte le persone e vero: seuno e tedesco, allora e biondo e il condizionale e vero; se uno non e tedesco,il condizionale e comunque vero avendo l’antecedente falso.

In pratica, gli aggettivi sono resi da predicati con l’ausilio del condizionale:in “tutte le persone tedesche sono bionde” l’aggettivo “tedesco” diventa ilpredicato “essere tedesco” e la frase “tutte le persone, se sono tedesche, sonobionde”.

“Tutti i P sono . . . ” e “qualche P e . . . ”, dove P delimita il campo divariabilita del riferimento, si realizzano introducendo un predicato unario Pe scrivendo rispettivamente ∀x(P (x) → . . . ) e ∃x(P (x)∧ . . . ). Si noti ovvia-mente la differenza nel caso del quantificatore esistenziale, dove la restrizionee realizzata con la congiunzione, che viene dalla traduzione di “esiste uno chee P e che . . . ”.

Ricordiamo che sono frequenti abbreviazioni del tipo ∀x > 0 . . . per∀x(0 < x → . . . ), ad esempio ∀x > 0∃y(x = y2), o ∀x 6= y . . . o ∀x ∈ X . . . ,e analogamente per ∃. Bisogna tuttavia ricordare la forma estesa con i con-nettivi (→ nel caso di ∀ e ∧ nel caso di ∃), per interpretare tali abbreviazioniin modo corretto. Ad esempio ∀x ∈ X(x ∈ Y ) significa ∀x(x ∈ X → x ∈ Y ),cioe X ⊆ Y , mentre ∃x ∈ X(x ∈ Y ) significa ∃x(x ∈ X ∧ x ∈ Y ), cioeX ∩ Y 6= ∅.

10.6 Esercizi

1. Scrivere in linguaggio predicativo tutte le definizioni relative alle re-lazioni d’ordine del paragrafo 5.3 (massimo, maggiorante, . . . ).

2. Quali sono gli insiemi di verita in N di

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∃y(2y = x ∧ ∃z(2z = y))

e

∃y(2y = x ∧ ∃y(2y = x)) ?

3. Quali sono gli insiemi di verita in N di

∃y(xy = 2 ∧ ∃z(yz = 2))

e

∃y(xy = 2 ∧ ∃y(xy = 2)) ?

4. In un’assemblea di politici, questi si dividono in onesti e disonesti, e sisa che a) esiste almeno un politico onesto; b) presi due politici a caso,uno almeno e disonesto. Si formalizzino le condizioni sui politici.

Se nell’assemblea ci sono cento politici, si puo decidere quanti sono glionesti e quanti i disonesti?

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11 Leggi logiche

La terminologia semantica introdotta per i linguaggi proposizionali si estendeagli enunciati predicativi. Un’interpretazione (del linguaggio) dell’enunciatoA si dice modello di A se A e vero nell’interpretazione.

Un enunciato A si dice logicamente vero se e vero in ogni interpretazione,e si scrivera |= A.

Un enunciato B si dice conseguenza logica di A se in ogni interpretazionein cui A e vero anche B e vero, e si scrivera A |= B.

Un enunciato B si dice logicamente equivalente a un enunciato A se A |=B e B |= A.

Un enunciato A si dice insoddisfacibile o contraddittorio o inconsistentese non e vero in nessuna interpretazione.

Vale ancora che per ogni A e B, A |= B se e solo se |= A → B se e solose A ∧ ¬B e insoddisfacibile.

Qualche volta, poiche gli enunciati sono pur sempre formule, si dice anche“A logicamente valida” per |= A.

Ma inoltre si estendono le definizioni in modo da applicarle proprio anchea formule con variabili libere. Se A e una formula in cui occorre x libera, Asi dice logicamente valida se ∀xA e logicamente vero, cosı come si dice validain un’interpretazione se ∀xA e vero in quell’interpretazione. Una formula sidice soddisfacibile se esiste un’interpretazione in cui essa e valida1.

Le formule logicamente valide continuano a chiamarsi anche leggi logiche.

Esempi di leggi logiche si ottengono facilmente partendo da tautolo-gie proposizionali e rimpiazzando le lettere che vi compaiono con formulequalunque di un linguaggio predicativo, la stessa formula a tutte le occor-renze della stessa lettera.

Ad esempio da |= p ∨ ¬p segue |= ∃xP (x) ∨ ¬∃xP (x). Infatti, data unaqualunque intepretazione, con un qualunque predicato per P , in essa ∃xP (x)risultera o vero o falso. Se risulta vero, e come se si assegnasse il valore 1a p nella proposizione; se risulta falso, e come se si assegnasse 0 a p nellaproposizione; ma questa e una tautologia, per cui risulta vera in entrambii casi, e i calcoli che si fanno a partire dai valori di p per arrivare al valoredalla proposizione p ∨ ¬p sono gli stessi che si fanno a partire dal fatto che∃xP (x) e vero o no per arrivare a dire se ∃xP (x)∨¬∃xP (x) e vero o no. Non

1Si ricordi che invece una formula A si dice soddisfacibile in un’interpretazione U se∃xA e vero in U ; e generalizzando, se A e del tipo A(x, y), s’intende ∃x∃yA(x, y) vero.

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c’e bisogno di considerare alcuna interpretazione e vedere se in essa ∃xP (x)e vero o falso, perche comunque essa sia, e comunque sia l’interpretazione diP , e quindi il valore di ∃xP (x), in essa ∃xP (x) ∨ ¬∃xP (x) risultera vero.

Lo stesso succede con qualsiasi altra tautologia, e con la sostituzione diuna qualunque formula.

Quindi tutte le leggi logiche proposizionali restano tali considerando ora lelettere A, B, . . . che vi compaiono come formule di un qualunque linguaggiopredicativo.

Ma esistono anche altre leggi logiche per formule con quantificatori chenon si ottengono in questo modo. Ad esempio

∀x¬A ↔ ¬∃xA

e una di queste2.Per verificarlo si ragiona nel seguente modo: in una qualunque interpre-

tazione, se ∀x¬A e vero, l’insieme di verita di ¬A e tutto l’universo, quindil’insieme di verita di A e vuoto; allora ∃xA e falso, e quindi ¬∃xA e vero.Analogamente nell’altra direzione (esercizio). 2

La legge si puo considerare una generalizzazione di quelle di De Morgan,se si pensa che affermare ∀xA(x) sia come fare una grande congiunzione pertutte le A(x), e affermare ∃xA(x), cioe che A vale per almeno un x, sia comefare una grande disgiunzione.

Si e visto gia nella definizione di unione e intersezione generalizzate comei quantificatori esistenziale ed universale siano usati come generalizzazionedella disgiunzione e della congiunzione.

Se si combina questa legge logica con quella della doppia negazione siottengono altre versioni, come

¬∀x¬A ↔ ∃xA

o

∀xA ↔ ¬∃x¬A

che mostrano come i due quantificatori non siano indipendenti, ma l’unodefinibile in termini dell’altro, e della negazione.

2Nella verifica di questa e delle successive leggi logiche, come gia nella precedenteA ∨ ¬A, supporremo per semplicita che si tratti di enunciati, per mostrare solo in modopiu facile l’idea soggiacente.

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La legge tipica del quantificatore universale e la legge di particolariz-zazione

∀xA(x) → A(t),

dove A(t) si ottiene sostituendo il termine t a tutte le occorrenze libere di xin A.

Questa legge intuitivamente esprime il fatto che, se in una qualunqueinterpretazione vale ∀xA(x), allora A vale per un qualsiasi individuo, in par-ticolare quello descritto da t; ma occorre prestare attenzione alle insidie lin-guistiche non percepibili in una trattazione formale. La lettura della legge ecorretta se affermando che vale A(t) si intende che la proprieta espressa daA vale per l’individuo rappresentato da t, sempre la stessa proprieta appli-cata a diversi individui. Alcune sostituzioni sintatticamente lecite tuttaviamodificano il senso di A(t).

Se ad esempio A(x) e la formula ∃y(x 6= y), allora e vero che, poniamonei naturali, ma qualsiasi interpretazione con almeno due elementi andrebbeugualmente bene, ∀x∃y(x 6= y) e in particolare ∃y(0 6= y), ∃y(1 6= y), ∃y(1 +1 6= y), come pure ∃y(x2 6= y) o ∃y(z 6= y).

Se pero si sostituisce a x la variabile y allora non si ha piu la stessaproprieta affermata per y, come prima lo era per x, o per z o per x2, ma siha ∃y(y 6= y), che a parte che e falsa, non ha piu lo stesso significato.

Un esempio tratto, forzosamente, dal linguaggio comune potrebbe essereil seguente, dove si suppone di usare “Tizio” e “Caio” come variabili: invecedi dire che ognuno ha un padre, si dica “ogni Tizio ha un Caio per padre”;particolarizzando, non si puo dedurre “Caio ha Caio per padre”.

Le sostituzioni richiedono cautela anche al di fuori del contesto della par-ticolarizzazione; ad esempio, posto che x|y ↔ ∃z(x · z = y) significa che xdivide y, allora (2x)|y significa che 2x divide y, 1|y che 1 divide y, 0|y che 0divide y, u|y che u divide y, ma z|y significa che y e un quadrato.

Quando si applica la legge di particolarizzazione per dedurre A(t) da !!!∀xA(x) percio, t per essere ammissibile non deve essere e non deve contenerevariabili quantificate in A e tali che qualche occorrenza libera di x cade nelraggio d’azione di tali quantificatori. I termini chiusi sono sempre ammissi-bili.

Le applicazioni della legge sono frequenti; gli assiomi di una teoria sono ingenere enunciati che iniziano con un quantificatore universale (oppure sonopresentati come formule valide, supponendo tacitamente una possibilita di

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sostituzione di termini qualsiasi alle variabili che e di fatto un’applicazionedella particolarizzazione).

Si trovano esempi in cui t e chiuso come esempi in cui contiene variabili.

EsempioLa legge boleana dell’unicita dell’elemento neutro dell’addizione

∀x(x + y = x) → y = 0

si puo dimostrare in questi due modi.Applicando a ∀x(x + y = x) la particolarizzazione con 0 si ottiene 0 =

y = 0 da cui con trasformazioni algebriche, utilizzando y + 0 = y, si arriva ay = 0.

Applicando invece a ∀x(x+y = x) la particolarizzazione con −y si ottiene−y + y = −y, quindi 1 = −y e y = 0.

Nell’esempio la formula quantificata universalmente e del tipo ∀xA(x, y),e −y e ovviamente ammissibile perche A(x, y) non contiene quantificatori.

Una legge simmetrica rispetto a quella di particolarizzazione, che si chiamaanche di generalizzazione esistenziale, o di indebolimento esistenziale, af-ferma che e logicamente valida

A(t) → ∃xA(x),

con le stesse restrizioni su t.Ad esempio, siccome y +(−y) = 0 vale negli interi, si puo dedurre ∃x(y +

x = 0); qui bisogna pensare che A(t) e y + (−y) = 0, con −y per t, e chee ottenuta da y + x = 0 per sostituzione di −y a x. Ma potrebbe esserestata ottenuta per sostituzione di −y a z in y + z = 0 e si puo altrettantocorrettamente dedurre ∃z(y + z = 0).

Un’applicazione di questa regola appare nella prima dimostrazione delparagrafo 7.1, a proposito della proprieta che se due numeri sono divisibiliper 3 anche la loro somma lo e. Allora partendo da n = 3i e m = 3j edarrivando a n+m = 3(i+j) si concludeva correttamente che ∃k(n+m = 3k).

Se si combinano in serie particolarizzazione e generalizzazione esistenzialesi ottiene

∀xA(x) → ∃xA(x),

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che e valida in quanto si considerano solo sempre interpretazioni in cuil’universo non e vuoto3.

Sono leggi logiche anche le leggi di rinomina delle variabili vincolate,

∀xA(x) ≡ ∀yA(y)

e

∃xA(x) ≡ ∃yA(y),

dove y e una variabile che non occorre in A(x)4. E come se in italiano unafrase venisse espressa una volta con un “tutti” una volta con “chiunque” oaltro costrutto.

Altre leggi stabiliscono dei rapporti tra connettivi e quantificatori chepermettono di trasformare le formule in altre equivalenti con un diverso segnologico principale:

∀x(A ∧B) ≡ ∀xA ∧ ∀xB distributivita di ∀ su ∧∃x(A ∨B) ≡ ∃xA ∨ ∃xB distributivita di ∃ su ∨

sono immediate conseguenze del significato dei simboli logici.Mentre e pure ovvio che siano logicamente valide

∀xA ∨ ∀xB → ∀x(A ∨B)∃x(A ∧B) → ∃xA ∧ ∃xB,

non valgono le implicazioni inverse.Se ad esempio U e un insieme con due elementi {a, b} e l’interpretazione

di P e {a} e l’interpretazione di Q e {b}, allora in questa interpretazione∀x(P (x) ∨Q(x)) e vero, mentre sono falsi sia ∀xP (x) (l’insieme di verita diP (x) non e tutto U) sia ∀xQ(x).

Esercizio. Si trovi un’interpretazione in cui ∃xA∧∃xB e vero e ∃x(A∧B)e falso.

Sono particolarmente importanti le leggi che regolano i rapporti tra quan-tificatori e condizionale. Mentre e facile convincersi che la distributivita di ∀su →

3Se si scegliesse come U l’insieme di tutte le creature della fantasia, non si potrebbepretendere, come non si pretende, che ivi valgano tutte le leggi della logica.

4Sarebbero possibili condizioni meno forti sull’eventuale presenza di y in A(x), chetuttavia devono sempre evitare che si verifichi il fenomeno di stravolgimento di sensoillustrato a proposito della particolarizzazione, e che non e il caso di approfondire.

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∀x(A → B) → (∀xA → ∀xB)

e logicamente valida, l’inversa non lo e. Per trovare un controesempio, sideve pensare ad un’interpretazione in cui ∀xP (x) → ∀xQ(x) sia vero sem-plicemente perche ∀xP (x) e falso, mentre non e vero ∀x(P (x) → Q(x)).L’insieme U = {a, b, c} con {a, b} per l’insieme di verita di P (x) e {b, c} perl’insieme di verita di Q(x) risponde allo scopo.

Se A non contiene x libera, allora

∀x(A → B(x)) ≡ A → ∀xB(x)

e

∃x(A → B(x)) ≡ A → ∃xB(x).

Per verificare la prima, dato un U qualsiasi e supposto che A sia un enunciato,distinguiamo due casi. Se A e falso, A → ∀xB(x) e vero, ma d’altra parteanche ∀x(A → B(x)) e vero perche l’insieme di verita di A → B(x), che esempre soddisfatta se A e falso, e tutto U .

Se A e vero, l’insieme di verita di A → B(x) e uguale all’insieme di veritadi B(x). Se e uguale a U , ∀x(A → B(x)) e vero, ma anche ∀xB(x) lo e, ecosı pure A → ∀xB(x). Se non e uguale a U si ha falso da entrambi i lati. 2

Queste leggi esprimono un caso particolare della possibilita di mettere ilquantificatore nella posizione in cui il suo raggio d’azione esplica la sua fun-zione effettiva, sulle occorrenze libere della variabile (spostarlo all’indentro).

Altri casi analoghi sono le leggi

∀x(A ∨B(x)) ≡ A ∨ ∀xB(x)

e

∃x(A ∧B(x)) ≡ A ∧ ∃xB(x)

se x non occorre libera in A.Dello stesso tipo, ma piu sorprendenti forse sono le leggi !!!

∀x(A(x) → B) ≡ ∃xA(x) → B

e

∃x(A(x) → B) ≡ ∀xA(x) → B

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se x non occorre libera in B.La prima legge corrisponde al seguente uso linguistico: quando si dice

che qualche cosa, espressa da B, dipende solo dal fatto che (l’insieme diverita di) A non sia vuoto, e non da un particolare elemento (come sarebbese x occorresse in B e dovesse soddisfarla), allora si puo enfatizzare chequalunque elemento va bene. Se si afferma “se uno ha un amico e felice” -∃xA(x, y) → F (y) - si vuol dire che qualunque sia l’amico, anche un cane,porta felicita (a y).

Per la dimostrazione, si supponga ∃xA(x) → B vero, quindi B vero o∃xA(x) falso. Se B e vero, allora l’insieme di verita di A(x) → B e tuttol’universo, perche per ogni elemento il condizionale ha il conseguente vero. Se∃xA(x) e falso, di nuovo l’insieme di verita di A(x) → B e tutto l’universo,perche per ogni elemento il condizionale ha l’antecedente falso.

Se invece ∃xA(x) → B e falso, allora B e falso e ∃xA(x) e vero, quindialmeno un elemento soddisfa A. Quando si esamina la formula A(x) → B,per questo elemento si ha vero-falso per il condizionale, che risulta falso, equindi l’insieme di verita di A(x) → B non e tutto l’universo e ∀x(A(x) → B)e falso. 2

L’altra analoga legge si ricava nello stesso modo; se ∃x(A(x) → B) e veroin U , allora qualche elemento di U soddisfa A(x) → B; se B e vero, anche∀xA(x) → B lo e; se A(x) non e soddisfatto da questo elemento, allora∀xA(x) e falso e ∀xA(x) → B e vero.

Se ∃x(A(x) → B) e falso, per qualunque elemento A(x) → B non esoddisfatta, quindi il calcolo del condizionale porta a un vero-falso, e A(x)deve essere soddisfatta e B deve essere falso; ma allora ∀xA(x) e vero e B efalso e ∀xA(x) → B falso. 2

Le equivalenze che permettono di spostare all’interno i quantificatori per-mettono anche di spostarli all’esterno; si ottiene cosı che ogni formula eequivalente ad una formula in cui tutti i quantificatori sono all’inizio - eformano il cosiddetto prefisso - seguiti da una formula senza quantificatori -detta matrice; una formula scritta in questo modo di dice in forma prenessa5.

Ad esempio ∀xP (x)∨∀xQ(x) → ∀x(P (x)∨Q(x)) e equivalente (esercizio)a ∃x∃y∀z(P (x) ∨Q(y) → P (z) ∨Q(z)). Esistono altre forme prenesse dellastessa formula, a seconda dell’ordine in cui si esportano i quantificatori.

5L’interesse di tale trasformazione sta nel suo essere il passo preliminare diun’elaborazione su cui si basano i dimostratori automatici piu efficienti.

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Leggi logiche notevoli 2

∀x¬A ↔ ¬∃xA interdefinibilita dei quantificatori¬∀x¬A ↔ ∃xA∀xA ↔ ¬∃x¬A∀xA(x) → A(t) particolarizzazione (t ammissibile)A(t) → ∃xA(x) generalizzazione esistenziale ”∀xA(x) ↔ ∀yA(y) rinomina∃xA(x) ↔ ∃yA(y) rinomina∀x(A ∧B) ↔ ∀xA ∧ ∀xB distributivita di ∀ su ∧∃x(A ∨B) ↔ ∃xA ∨ ∃xB distributivita di ∃ su ∨∀xA ∨ ∀xB → ∀x(A ∨B) distributivita parziale di ∀ su ∨∃x(A ∧B) → ∃xA ∧ ∃xB distributivita parziale di ∃ su ∧∀x(A → B) → ∀xA → ∀xB distributivita parziale di ∀ su →∀x(A → B(x)) ↔ A → ∀xB(x) (x non libera in A)∃x(A → B(x)) ↔ A → ∃xB(x) (x non libera in A)∀x(A ∨B(x)) ↔ A ∨ ∀xB(x) (x non libera in A)∃x(A ∧B(x)) ↔ A ∧ ∃xB(x) (x non libera in A)∀x(A(x) → B) ↔ ∃xA(x) → B (x non libera in B)∃x(A(x) → B) ↔ ∀xA(x) → B (x non libera in B)∀x∀yA(x, y) ↔ ∀y∀xA(x, y) scambio dei quantificatori∃x∃yA(x, y) ↔ ∃y∃xA(x, y) scambio dei quantificatori

11.1 Esercizi

1. Trasformare in forma prenessa le seguenti formule:

∀x∃yR(x, y) ∧ (∃xP (x) ∨ ∃xQ(x))

∀x∃yR(x, y) ∨ (∃xP (x) ∧ ∃xQ(x))

∀xP (x) ∨ ∀x(Q(x) → ∃zR(x, z))

∀x(P (x) ∨ ∀xQ(x)) → ∃x(P (x) ∨Q(x)).

2. Dedurre la generalizzazione esistenziale dalla particolarizzazione uni-versale e da De Morgan generalizzata.

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12 Quantificatori e dimostrazioni

Completata la presentazione del linguaggio dei predicati possiamo rivederealcuni casi di dimostrazioni; quelli trattati finora riguardavano anche formulecontenenti variabili, ma i passaggi logici discussi erano solo quelli di tipoproposizionale, glissando sulla gestione delle variabili.

Le frasi matematiche presenti nelle premesse e conclusioni di una di-mostrazione sono rappresentate da enunciati di linguaggi predicativi, mentrei passaggi intermedi di solito sono formule, formule algebriche1 o loro com-binazioni proposizionali, con variabili libere; si tratta di vedere come si fa atogliere e (ri)mettere i quantificatori.

Queste mosse sono le sole da aggiungere; per il resto restano valide tuttele regole logiche e le strategie gia considerate, visto che le regole di inferenzache rispettano la relazione di conseguenza logica valgono anche quando lelettere indicano formule di linguaggi predicativi.

Riprendiamo l’esempio di

se x e divisibile per 2, allora x + 1 non e divisibile per 2,

che in simboli diventa, come abbiamo visto,

∀x(∃y(x = 2y) → ¬∃y(x + 1 = 2y)).

Per dimostrare questo enunciato, dimostriamo la formula

∃y(x = 2y) → ¬∃y(x + 1 = 2y),

quantificando alla fine universalmente la variabile x trattata in senso univer-sale nel corso della dimostrazione.

Per dimostrare un condizionale, assumiamo come premessa l’antecedentee deduciamo il conseguente.

Data ∃y(x = 2y), diciamo “sia c un elemento tale che x = 2c” e scriviamo

x = 2c,

dove c e una nuova costante.

1Una definizione generale di “formula algebrica” potrebbe essere “formula atomica conpredicato = o < e termini complessi”.

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Si dice che x = 2c e ottenuta per esemplificazione esistenziale. La mossariassume il ragionamento “introduciamo un nome temporaneo per uno2 diquesti elementi che soddisfano la formula x = 2y”, nome che non puo es-sere uno di quelli disponibili nell’alfabeto perche non si sa quale sia questoelemento3.

Ora da x = 2c occorre dedurre ¬∃y(x + 1 = 2y). La forma negativasuggerisce di fare una dimostrazione per assurdo; si assume quindi

∃y(x + 1 = 2y).

Di nuovo, sia d una nuova costante, per cui x + 1 = 2d. d non solo deveessere nuova non solo rispetto a quelle del linguaggio originario, ma ancherispetto a quelle introdotte nel corso dell’argomentazione; in attesa di ulteri-ori elaborazioni non si sa infatti e non si puo dire se l’elemento sia lo stessoo diverso4.

Ora occorre svolgere le conseguenze di x = 2c∧x+1 = 2d. c e d vengonoda due mosse indipendenti che non permettono di sapere come sono fra loroi due elementi cosı denotati; si devono quindi considerare tutte le possibilita,che c = d, che c < d, che d < c.

c = d porta a una contraddizione x = x + 1; d < c porta a una contrad-dizione x + 1 < x; c < d porta, per sottrazione, a 1 = 2(d − c) ≥ 2; in ognicaso una contraddizione, a partire da ∃y(x + 1 = 2y), e da x = 2c, quindi¬∃y(x + 1 = 2y), come si voleva dimostrare5.

¬∃y(x + 1 = 2y) e stata dedotta da x = 2c, ma nella conclusione non siparla di c, utilizzata come appoggio nel ragionamento; il che e bene, perchenon sarebbe opportuno concludere un teorema con una formula in cui occorreun elemento sconosciuto. D’altra parte l’obiettivo della dimostrazione, fissato

2In questo esempio particolare ce ne puo essere solo uno, ma in generale, col quantifi-catore esistenziale, non si sa quanti ≥ 1 ce ne sono.

3Siccome c dipende da x, si dovrebbe piuttosto avere una funzione di x, o una notazionedel tipo cx, che pero sarebbe inutilmente pesante.

4Se alla fine dovesse risultare che d e uguale a c, vuol dire che si sono attributi duenomi allo stesso elemento, che non e inusuale, sia nella vita comune sia in matematica,ogni volta che si dimostra che due termini sono uguali, ad esempio 0 = 0 + 0.

5Ripasso di logica proposizonale: se da p e q segue una contraddizione C, p ∧ q → C,ne segue ¬(p ∧ q), le due proposizioni sono incompatibili, ma quale salvare? ¬(p ∧ q) eequivalente sia a p → ¬q sia a q → ¬p. Tuttavia dallo svolgimento della dimostrazione sivede che in realta si e dimostrato l’equivalente, per importazione/esportazione, p → (q →C), da cui p → (¬C → ¬q) e quindi p → ¬q (perche?), e la scelta e dunque implicitanell’impostazione della dimostrazione.

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all’inizio, non contemplava elementi sconosciuti, ma enunciati determinati.E infine nella dimostrazione non si e usata alcuna proprieta di c, se non ilfatto che x = 2c.

Si conclude allora che ¬∃y(x + 1 = 2y) e stata in realta dedotta da∃y(x = 2y). 26

Quest’ultimo passaggio tecnicamente chiude l’applicazione della regoladell’esemplificazione esistenziale, che copre tutti i passi dal momento in cuisi dice “sia c un elemento tale che x = 2c” fino a quando scompare la c. Essopuo sembrare diverso da una meccanica applicazione di una regola sintattica(una o due premesse e una conclusione immediata).

Prima di discutere questo fatto, vediamo un altro esempio: dimostriamoche se un numero e divisibile per 4 allora e divisibile per 2. In questo casol’elemento sconosciuto apparentemente si mantiene fino alla fine, nella con-clusione, ed allora deve essere eliminato da questa con un’applicazione dellageneralizzazione esistenziale.

Da

∃y(x = 4y)

si passa a

x = 4cx = (2 · 2)cx = 2(2c)

Di qui si vede che x e divisibile per 2, ma non si puo terminare con questaformula. Per generalizzazione esistenziale invece, considerata la formula x =2(2c) del tipo A(t), con A(y) uguale a x = 2y e t uguale a 2c, si puo alloradedurre

∃y(x = 2y),

quest’ultimo passaggio come applicazione della generalizzazione esistenziale,per concludere

∃y(x = 4y) → ∃y(x = 2y)

6La dimostrazione termina poi scrivendo prima ∃y(x = 2y) → ¬∃y(x+1 = 2y) e quindipoiche x era qualunque, ∀x(∃y(x = 2y) → ¬∃y(x + 1 = 2y)).

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e

∀x(∃y(x = 4y) → ∃y(x = 2y)). 2

Il problema logico della regola di esemplificazione esistenziale consiste nelfatto che A(c) non e conseguenza logica di ∃yA(y), e quindi nella successionedi formule che costituiscono la proposta dimostrazione non ogni formula econseguenza logica delle precedenti (o un assioma del dominio in oggetto ouna legge logica).

A(c) non e conseguenza logica di ∃yA(y) perche puo succedere che inun’interpretazione ∃yA(y) sia vero ma c non sia uno degli elementi che sod-disfano A. Ad esempio ∃y(0 < y) e vero in N, ma se c denota 0 allora 0 < ce falso. E vero che noi affermiamo A(c), ma questa si presenta come unanuova assunzione su c, non come una conseguenza di ∃yA(y).

Si puo tuttavia dimostrare che, nelle condizioni della regola applicata a !!!∃yA(y), se B e una formula che non contiene c, e se B e conseguenza logicadi A(c) allora B e conseguenza logica di ∃yA(y) - nonostante A(c) non siaconseguenza logica di ∃yA(y).

Noi facciamo vedere che la regola di esemplificazione esistenziale si puogiustificare con una serie di regole logiche usuali, nel senso che le sue ap-plicazioni possono essere sostituite da altri ragionamenti che non ne fannouso.

Consideriamo di nuovo l’esempio di

∃y(x = 2y) → ¬∃y(x + 1 = 2y).

Se si ricorda la dimostrazione precedente, il problema e sempre quello ditogliere i quantificatori, in modo da poter manipolare poi le formule atomicheche si trovano nell’antecedente e nel conseguente.

Poiche y non e libera nel conseguente, si puo scrivere in modo equivalente

∀y(x = 2y → ¬∃y(x + 1 = 2y));

come nell’esempio dell’amico che rende felici, che puo essere qualunque, ancheora si dice che y puo essere qualunque, purche soddisfi poi l’antecedentex = 2y.

Allora y e trattata in questa versione della dimostrazione come una vari-abile universale. Data una y qualunque, occorre dimostrare che

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x = 2y → ¬∃y(x + 1 = 2y),

ovvero

x = 2y → ∀y(x + 1 6= 2y).

Il quantificatore del conseguente puo essere spostato nel prefisso, dopo avereseguito un’opportuna rinomina, e la formula da dimostrare e equivalente a

∀z(x = 2y → x + 1 6= 2z);

quindi possiamo provare a dimostrare

x = 2y → x + 1 6= 2z,

con tutte le variabili intese in senso universale.Per assurdo, assumiamo la negazione del condizionale, quindi

x = 2y ∧ x + 1 = 2z,

e con gli stessi calcoli fatti sopra, con y e z al posto rispettivamente di c e d,arriviamo a una contraddizione.

Abbiamo quindi

x = 2y → x + 1 6= 2z,

e quantificando universalmente

∀x∀y∀z(x = 2y → x + 1 6= 2z),

da cui con le leggi logiche pertinenti

∀x(∃y(x = 2y) → ∀z(x + 1 6= 2z)). 2

Si noti che di solito nel gergo matematico, dove non si usa indicare iquantificatori, attraverso un’interpretazione (corretta) dell’enunciato da di-mostrare si imposta direttamente proprio

se x = 2y, allora x + 1 6= 2z.

Altro esempio. Per dimostrare

∃y(x = 4y) → ∃y(x = 2y)

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si trasformi la formula nell’equivalente

∀y(x = 4y → ∃y(x = 2y))

e si provi a dimostrare

x = 4y → ∃y(x = 2y).

Partendo da x = 4y si fanno gli stessi passaggi di prima, x = (2 · 2)y,x = 2(2y) e quindi con la generalizzazione esistenziale ∃y(x = 2y). 2

Un altro problema delle esemplificazioni esistenziali, non logico ma pratico,e che non c’e l’abitudine di usare coerentemente costanti, ma spesso si uti-lizzano le variabili.

In riferimento all’esempio precedente, dato ∃y(x = 2y) si propone: “sia yun elemento tale che x = 2y”.

L’uso di variabili e legittimo, ma richiede diverse cautele.La variabile y di “sia y tale che A(y)”, a seguito di ∃yA(y), non deve

comparire libera in eventuali altre formule gia utilizzate nella dimostrazione,e che pongono vincoli sull’elemento denotato da y, mentre di questo si sa solo,e si vuole usare solo il fatto che soddisfa A(y). Nel caso in esame, ∃y(x = 2y)e la prima assunzione da cui si parte, quindi non si presenta questo problema,altrimenti si deve usare una nuova variabile e dire “sia w tale che A(w)” -o fare prima una rinomina di ∃yA(y). Questo ha anche il vantaggio, se lavariabile e insolita, di ricordare il suo status speciale. Il termine usato perl’esemplificazione esistenziale deve essere appunto un termine, vale a direun’espressione che denota un elemento (sconosciuto salvo per il fatto chedeve soddisfare A) delle interpretazioni. Che il simbolo nuovo sia un c nonpresente nell’alfabeto, o un simbolo w presente nell’alfabeto ma mai usato, esi chiami di conseguenza costante o variabile non fa nessuna differenza, se losi gestisce in modo corretto. Se e una variabile, questa variabile libera ha unsenso particolare, non universale, condizione che deve essere tenuta presentenel corso di tutta la dimostrazione, finche essa non scompare.

La variabile introdotta in un’esemplificazione esistenziale scompare nellostesso modo come abbiamo visto scomparire la c, ad esempio per generaliz-zazione esistenziale7.

7E in genere il destino piu comune delle variabili introdotte a partire da un quantifica-tore esistenziale.

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La dimostrazione prosegue come sopra: si deve dimostrare che da x = 2ysegue ¬∃y(x + 1 = 2y).

Per assurdo, si assume x = 2y e ∃y(x + 1 = 2y) e di nuovo si applical’esemplificazione esistenziale. La regola richiede che si utilizzi una variabilediversa da quelle che occorrono libere nella parte precedente, in questo casoda y.

Si perviene cosı a x = 2y ∧ x + 1 = 2z da cui segue una contraddizionecon gli stessi calcoli di sopra, con y e z al posto rispettivamente di c e d. 2

Altro esempio. La dimostrazione di ∃y(x = 4y) → ∃y(x = 2y) si svolgecome sopra assumendo ∃y(x = 4y) ed esemplifcando: sia y uno di questi, percui

x = 4yx = (2 · 2)yx = 2(2y)∃y(x = 2y),

quest’ultima per generalizzazione esistenziale. 2

E come se il quantificatore ∃y, staccato dall’ipotesi, restasse a seguiredall’alto i vari passi e trasformazioni della sua y, in questo caso in 2y, perpoi alla fine ripiombare nella posizione dovuta.

Useremo sempre le costanti per le esemplificazioni esistenziali, ma si deveessere avvertiti della possibilita di incontrare l’uso di variabili. Talvolta siincontrano soluzioni intermedie, ad esempio simboli come x0, k che sembranodiversi dalle variabili8.

La regola relativa all’eliminazione temporanea del quantificatore esisten-ziale afferma dunque che si puo esemplificare un’affermazione esistenziale∃yA(y) con A(c) o A(w) se per questa via si perviene a una conclusioneche non contiene la costante o non contiene libera la variabile usata perl’esemplificazione.

Finche la costante o la variabile introdotte come esemplificazione di unquantificatore esistenziale non sono scomparse, l’argomento e incompleto, e

8“Teorema: se esiste un massimo interno al dominio, esiste un punto in cui la derivatasi annulla. Dimostrazione: sia x0 un punto di massimo . . . ”. “Teorema: se x e pari allora. . . Dimostrazione: sia x = 2k . . . ”.

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non terminato, come in sospeso, per il riferimento a questo elemento sconosci-uto. La costante o variabile puo scomparire o per passaggi proposizionali(come sopra, una dimostrazione per assurdo di un altro enunciato, oppureper il taglio di un modus ponens), o per generalizzazione esistenziale.

L’affermazione ∃yA(y) introdotta per generalizzazione esistenziale com-porta un’affermazione apparentemente piu debole, generica, rispetto a A(t),che sembra indicare esplicitamente un elemento con la proprieta A, ma nelleapplicazioni come si e visto, se t deriva da un’esemplificazione esistenziale,allora in realta anche la sua denotazione e vaga.

Quello che bisogna assolutamente evitare e di quantificare universalmente !!!una variabile che sia stata introdotta come esemplificazione di un quantifica-tore esistenziale (in questo l’uso di una costante ha ovvi vantaggi).

Un esempio di errore clamoroso dovuto a una simile disattenzione e laseguente dimostrazione di ∃x∀y(x < y) a partire da ∀x∃y(x < y).

Assunto ∀x∃y(x < y), per particolarizzazione si ha ∃y(x < y); per es-emplificazione esistenziale, sia y tale che x < y. Se ora dimenticandosi dellanatura esistenziale di y si affermasse ∀y(x < y) si potrebbe concludere pergeneralizzazione esistenziale che ∃x∀y(x < y).

Ma questa conclusione non e conseguenza della premessa, come si vededal fatto che la premessa e ad esempio vera negli interi, mentre la conclusionenon lo e.

A differenza di ∀x∀y e ∃x∃y, non, si possono in generale scambiare tra !!!loro i quantificatori in ∀x∃y e ∃x∀y9.

Anche la gestione della introduzione del quantificatore universale e piudelicata di quanto finora abbiamo lasciato intendere. Si possono legittima-mente (ri)quantificare universalmente le variabili libere che derivano per par-ticolarizzazione da un quantificatore universale, ma non e questa tutta lastoria. A volte sembra di lavorare con varibili libere che non derivano dauna particolarizzazione, e che pure hanno un significato universale. La veracondizione e che le variabili non occorrano libere nelle premesse. !!!

Ad esempio, se si parte da 0 < x e con un argomento corretto, utilizzandole proprieta dei numeri reali, si conclude ∃y(x = y2), non si puo affermare∀x∃y(x = y2) - c’e una condizione restrittiva su x stabilita dalla premessa.In realta l’argomento che porta da 0 < x a ∃y(x = y2) stabilisce 0 < x →

9Capita con prefissi diversi di due forme premesse equivalenti di una stessa formula.

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∃y(x = y2) per x qualunque, senza alcuna premessa (salvo le proprieta deinumeri reali espresse da enunciati, senza variabili libere). Quindi x non elibera nelle premesse della derivazione di quest’ultima formula, che non cisono, e si puo correttamente quantificarla in ∀x(0 < x → ∃y(x = y2)).

Un altro caso del genere si ha nell’esempio precedente “se x e pari allorax+1 e dispari”. La dimostrazione che da “x e pari” porta a “x+1 e dispari”stabilisce “x e pari → x + 1 e dispari” senza premesse che non siano gliassiomi dei numeri naturali, espressi da enunciati. Quindi si puo quantificareuniversalmente la x.

Un esempio di errore dovuto a cattiva gestione della quantificazione uni-versale e il seguente. Da ∀x∃y(x < y), per particolarizzazione si ha ∃y(x < y)e per esemplificazione, sia c tale che x < c. Se ora si quantifica universalmentex si ottiene ∀x(x < c) e per generalizzazione esistenziale ∃y∀x(x < y). Laconclusione, che afferma l’esistenza di un massimo per <, e palesemente falsanei naturali, dove invece la premessa e vera. Ma la premessa e un enunciato,e sembrerebbe quindi che non vi fossero variabili libere nelle premesse. Laspiegazione sta nel fatto che quanto si dice “sia c tale che x < c” inizia, come !!!abbiamo detto sopra, un argomento particolare, una sorta di dimostrazione aparte che non si considera conclusa finche tale c non sparisce legittimamente.In questa dimostrazione subordinata, x < c e una premessa, e x e libera inx < c, e non e lecito percio quantificare universalmente la x.

Queste sottigliezze sono precisate e rese di agevole applicazione nei sis-temi di regole che costituiscono i calcoli logici per i linguaggi predicativi, adesempio il calcolo della deduzione naturale, che rientrano negli argomenti nonpropedeutici.

Esercizio. Si deduca con una dimostrazione la risposta all’esercizio 4 di10.6.

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13 Sillogismi

I sillogismi sono forme di ragionamento studiate fin dall’antichita che coin-volgono enunciati di linguaggi predicativi, ancorche di un tipo semplificato;molti argomenti del linguaggio comune si presentano in tale forma, e rapp-resentano percio un utile esercizio, sia di formalizzazione sia di deduzione,anche al di fuori della matematica.

Gli enunciati che intervengono nei sillogismi contengono solo predicatimonadici, e inoltre sono di una forma particolare.

Gli enunciati presi in considerazione e combinati tra loro affermano sem-pre una delle seguenti circostanze: che tutti quelli che hanno una proprietaP hanno anche la proprieta Q; che nessuno di quelli che hanno una proprietaP hanno la proprieta Q; oppure che qualcuno che ha la proprieta P ha ancheQ, o infine che qualcuno con la proprieta P non ha Q.

Enunciati di questa forma si chiamano, nella tradizione logica, propo-sizioni categoriche1.

A prima vista si direbbe che il loro studio costituisca un’analisi dei quan-tificatori, ma e forse piu corretto dire che mette in evidenza e sfrutta alcunerelazioni insiemistiche della sola intersezione, e precisamente

A ∩B = A, ovvero A ⊆ BA ∩B = ∅, ovvero A e B sono disgiuntiA ∩B 6= ∅, ovvero A e B non sono disgiunti.

Le proposizioni categoriche venivano scritte e lette nel seguente modo,dove a fianco mettiamo la versione insiemistica e quella logica moderna:

A Tutti i P sono Q P ⊆ Q ∀x(P (x) → Q(x))E Nessun P e Q P ∩Q = ∅ ∀x(P (x) → ¬Q(x))I Qualche P e Q P ∩Q 6= ∅ ∃x(P (x) ∧Q(x))O Qualche P non e Q P 6⊆ Q ∃x(P (x) ∧ ¬Q(x)).

Le lettere a sinistra sono la sigla con cui venivano indicate le corrispondenti

1Si ammetteva un’estensione a proposizioni contenenti termini singolari come “Socrate”introducendo un predicato S per “socraticita”, con un unico elemento, e traducendo“Socrate e mortale” con “Tutti quelli che hanno la proprieta S sono mortali”.

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proposizioni2: A ed E sono proposizioni affermative, rispettivamente uni-versale ed esistenziale; I e O sono negative, rispettivamente universale edesistenziale.

Le parole “tutti”, “nessuno”, “qualche” diventavano superflue, sostituitedalla sigla prefissa; scrivendo “A : P Q” si intendeva la frase “tutti i P sonoQ”, con “I : P Q” la frase “qualche P e Q”, e cosı via. Il simbolismo logicocome si vede ha una lunga storia.

Siccome c’era sempre solo una variabile, non si e sentita l’esigenza diindicarla. Il verbo era sempre il verbo “essere”; tuttavia noi sappiamo che neicasi di quantificatore universale (ristretto a P ) esso viene reso dal connettivocondizionale e in quelli particolari dal connettivo congiunzione.

13.1 Sillogismi categorici

I sillogismi categorici3 sono inferenze in cui occorrono due premesse e unaconclusione, tutte e tre proposizioni categoriche, costruite con tre predicati,di cui uno inevitabilmente occorre due volte nelle premesse, per stabilire unlegame, e si possono presentare ad esempio nel seguente modo:

I : P ME : S MO : S P .

Il predicato S si chiama di solito soggetto, il predicato P predicato e ilpredicato M termine medio.

Un sillogismo e valido se la conclusione e conseguenza logica delle pre-messe.

Tutti i possibili sillogismi si caratterizzano per due aspetti; il primo eil tipo di proposizioni categoriche che nell’ordine lo costituiscono, si chiamamodo, ed e rappresentato da tre lettere; ad esempio il modo del sillogismo disopra e I E O.

2I simboli per i quantificatori vengono probabilmente da questa tradizione di usare lelettere per indicare il tipo di quantificazione. In tutte le lingue dei logici moderni, italiano,inglese, tedesco, “esiste” inizia con “e”, mentre “tutti” inizia con “a” in tedesco e inglese.Le lettere A e I sono le prime vocali di affirmo, E e O quelle di nego.

3D’ora in avanti diremo soltanto “sillogismi”.

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Il secondo parametro e la disposizione dei tre predicati nelle tre propo-sizioni, e si chiama figura. Se si standardizza le presentazione, ad esempiochiedendo che la conclusione contenga sempre la coppia S P nell’ordine - dacui il nome di questi due predicati4 -, osservando che il termine medio devesempre comparire in entrambe le premesse - altrimenti si vede facilmente cheil sillogismo non e valido5 - e che l’ordine delle premesse non e rilevante (perla terminologia, si chiama premessa maggiore quella che contiene S, e minorel’altra) si ottengono in tutto quattro figure:

S M S M M S M SP M M P M P P M.

I sillogismi possibili sono 256 (esercizio), ma quelli validi solo 156.

Dimostrare la validita di un sillogismo equivale a dimostrare che la con-clusione e conseguenza logica delle premesse, e questo si puo fare con laderivazione della conclusione dalle premesse con passaggi che conservano laconseguenza logica. Per dimostrare che un sillogismo non e valido, quandonon lo e, non basta non riuscire a costruire la derivazione dalle premesse,occorre trovare un controesempio.

Per svolgere le dimostrazioni, occorre usare solo, sulle premesse, la regoladi particolarizzazione sugli enunciati universali e quella di esemplificazioneesistenziale sugli enunciati esistenziali; questa conviene applicarla prima dellaparticolarizzazione. Quindi si applicano leggi proposizionali e infine i quan-tificatori si reintroducono o con la generalizzazione esistenziale, se la conclu-sione e esistenziale, o con quella universale, se la conclusione e universale.

EsempiDerivazione della conclusione dalle premesse del sillogismo valido

4Sono grammaticalmente il soggetto e il predicato della conclusione.5A meno che la conclusione non coincida con una premessa.6Una lunga controversia ha riguardato il fatto di considerare o no predicati vuoti,

decisione che influenza la validita o meno di certi sillogismi. Nell’antichita si preferiva evi-tarli; nella trattazione moderna prevale l’interpretazione cosiddetta booleana, che ammettepredicati vuoti. Sono 15 i sillogismi validi nell’interpretazione booleana.

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E : P MI : S MO : S P ,

ovvero

∀x(P (x) → ¬M(x))∃x(S(x) ∧M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

Presentiamo la dimostrazione nella seguente tabella, in una colonna inversione formale, con la successione di formule, nell’altra con la loro letturain linguaggio naturale.

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∃x(S(x) ∧M(x)) Qualche S e un M.

S(c) ∧M(c) Sia c un S che e anche un M.

S(c) Allora c e un S e

M(c) c e un M.

∀x(P (x) → ¬M(x)) Nessun P e M.

P (c) → ¬M(c) Se c e un P allora c non e un M, oSe c fosse un P non sarebbe un M.

per contrapposizioneM(c) → ¬P (c) Se c e un M allora non e un P.

da questo e da M(c) Ma siccome c e un M,¬P (c) allora c non e un P.

da questo e da S(c) Siccome c e un S,S(c) ∧ ¬P (c) c e un S che non e un P.

∃x(S(x) ∧ ¬P (x)) Qualche S non e un P.

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In modo del tutto analogo, si dimostri (esercizio) la validita del sillogismo:

A : P MO : S MO : S P ,

ovvero

∀x(P (x) → M(x))∃x(S(x) ∧ ¬M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

Un altro esempio di sillogismo valido e il seguente:

A : M SI : M PI : S P ,

ovvero

∀x(M(x) → S(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x)).

con la dimostrazione:

161

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Dimostrazione

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∃x(M(x) ∧ P (x)) Qualche M e P.

M(c) ∧ P (c) Sia c un M che e anche un P.

M(c) c e un M.

P (c) c e un P.

∀x(M(x) → S(x)) Tutti gli M sono S.

M(c) → S(c) Se c e un M allora c e un S.

S(c) Siccome c e un M,c e un S.

S(c) ∧ P (c) Siccome c e un Pc e un S che e anche un P.

∃x(S(x) ∧ P (x)) Qualche S e un P.

Valido e anche il sillogismo

A : S MA : M PA : S P ,

ovvero

∀x(S(x) → M(x))∀x(M(x) → P (x))∀x(S(x) → P (x)),

162

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con la seguente dimostrazione:

Dimostrazione

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∀x(S(x) → M(x)) Tutti gli S sono M.

S(x) → M(x) Uno che sia un S e anche un M.

∀x(M(x) → P (x)) Tutti gli M sono P.

M(x) → P (x) Uno che sia un M e anche un P.

per transitivita da 2 e 4S(x) → P (x) Uno che sia un S e anche un P.

∀x(S(x) → P (x)) Tutti gli S sono P.

Si noti che “Qualche S e P” sembra piu debole di “Tutti gli S sono P”, equindi si potrebbe pensare che sia conseguenza delle stesse premesse. Inveceil sillogismo

A : S MA : M PI : S P ,

ovvero

∀x(S(x) → M(x))∀x(M(x) → P (x))∃x(S(x) ∧ P (x)),

non e valido in quanto, se S e vuoto ∃x(S(x) ∧ P (x)) e falso, nonostante

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∀x(S(x) → P (x)) sia vero (da ∀x(S(x) → P (x)) segue ∃x(S(x) → P (x)) -verificato da un elemento non appartenente a S - non ∃x(S(x) ∧ P (x)))7.

Per verificare che un sillogismo non e valido occorre trovare un controe-sempio, vale a dire un’interpretazione in cui le premesse sono vere e la con-clusione falsa.

Ad esempio il sillogismo

∀x(S(x) → M(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x))

e falsificato dalla seguente interpretazione: U = {a, b, c}, S = {a},M ={a, c}, P = {b, c}.

Un argomento in linguaggio naturale8 si dice corretto se e un caso parti-colare di un sillogismo formale valido.

Si consideri il seguente argomento:

I progressisti sono sostenitori dello stato socialeAlcuni ministri del governo sono sostenitori dello stato socialeQuindi alcuni ministri sono progressisti.

Si chiede se e corretto. Prima di proseguire, si prenda tempo (non troppo)e si dia una risposta.

La maggior parte delle persone risponde sı. Un modo tradizionale diconvincere che non lo e e quello di osservare: sarebbe come dire che

siccomeI cavalli sono veloci

eAlcuni asini sono veloci

alloraAlcuni asini sono cavalli.

“Sarebbe come dire” significa che se il primo argomento fosse corretto

7Questo e un esempio di un sillogismo non valido nell’interpretazione booleana, mentresarebbe valido se non fossero ammessi predicati vuoti.

8O in un formalismo interpretato, ad esempio una dimostrazione aritmetica.

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allora il sillogismo

A : P MI : S MI : S P

sarebbe valido e allora anche il nuovo argomento, della stessa struttura for-male, dovrebbe essere corretto. Ma quest’ultimo ovviamente non lo e.

Che non lo sia, e quindi che si sia esibito un controesempio, non e mai deltutto chiaro se gli esempi sono fatti in linguaggio naturale. Nessun insiemedefinito nel linguaggio naturale ha i confini esattamente delimitati senza am-biguita. Per questo i controesempi devono essere insiemi astratti, dove glielementi e i non elementi sono individuati in maniera precisa e indiscutibile.

Nel caso in oggetto, un controesempio e fornito da U = {a, b, c, d} conS = {c, d}, P = {a, b} e M = {a, b, c}.

Un esempio dello stesso tipo e il seguente. L’inferenza

Nessun triangolo rettangolo e equilateroQualche triangolo isoscele e equilateroQuindi qualche triangolo rettangolo non e isoscele

e corretta?Dopo aver risposto . . . , si consideri che sarebbe come dire

Nessun cerchio quadrato e equilateroQualche triangolo e equilateroQuindi qualche cerchio quadrato non e un triangolo

conclusione che implica che esiste un cerchio quadrato. Oppure sarebbe comedire

Nessun cane e un ruminanteQualche quadrupede e un ruminanteQuindi qualche cane non e un quadrupede.

Il sillogismo

E : S MI : P MO : S P

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non e valido se S e vuoto oppure se S ⊆ P .Nel valutare la correttezza logica di un argomento, non bisogna utilizzare

nessuna conoscenza non esplicitata relativa ai predicati concreti che vi sono !!!coinvolti.

Avevamo presentato a suo tempo un argomento di Lewis Carroll:

a) I bambini sono illogicib) Le persone che sanno come trattare i coccodrilli non sono disprezzatec) Le persone illogiche sono disprezzated) Quindi i bambini non sanno trattare i coccodrilli.

Questo argomento non e in verita un sillogismo perche e formato da quat-tro proposizioni categoriche; tuttavia si puo spezzare in due sillogismi con-catenati; gli argomenti riducibili a catene di sillogismi si chiamano soriti .

L’argomento di Carroll si puo dimostrare corretto con la seguente scom-posizione. Consideriamo prima l’argomento:

b) Le persone che sanno come trattare i coccodrilli non sono disprezzatec) Le persone illogiche sono disprezzatee) Quindi le persone illogiche non sanno trattare i coccodrilli

che e un sillogismo di modo EAE, figura

P MS M

valido, con M uguale a “essere disprezzato”, S uguale a “persone illogiche”e P uguale a “saper trattare i coccodrilli”.

Combiniamo ora la conclusione e con a:

a) I bambini sono illogicie) Le persone illogiche non sanno trattare i coccodrillid) Quindi i bambini non sanno trattare i coccodrilli

ottenendo sillogismo di modo AAA valido, e si ha la conclusione d.

Dimostriamo che il sillogismo sopra considerato

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E : P MA : S ME : S P

ovvero

∀x(P (x) → ¬M(x))∀x(S(x) → M(x))∀x(S(x) → P (x))

e valido:

Dimostrazione

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∀x(P (x) → ¬M(x)) Nessun P e M.

P (x) → ¬M(x) Uno che sia P non e M.per contrapposizione

M(x) → ¬P (x) Allora uno che sia M non e P.

∀x(S(x) → M(x)) Ogni S e M.

S(x) → M(x) Uno che sia un S e M.per transitivita di →

S(x) → ¬P (x) Quindi uno che sia unS non e P.

∀x(S(x) → ¬P (x)) Nessun S e P.

Esercizio. Si mostri che il sorite di Lewis Carroll si puo anche spezzare indue sillogismi di cui il primo ha come premesse b) e c). Quale e la conclusioneintermedia?

13.2 Diagrammi di Venn

I tre predicati che intervengono in ogni sillogismo sono rappresentati da treinsiemi, come in figura, senza escludere a priori nessuna possibilita per quanto

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riguarda le loro intersezioni (i loro complementi sono le regioni esterne aicerchi).

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'$

&%

'$

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'$S P

M

Nel disegno sono presenti diverse aree: S, S ∩ P , S ∩M , S ∩ P ∩M , S \ P ,S \ M , S \ (P ∪ M), . . . (completare per esercizio). Alcune possono esserevuote, altre no, a seconda degli insiemi, e di quanto su di essi stipulano lepremesse.

Le premesse dei sillogismi si riferiscono solo ad alcune delle aree e sonoequivalenti all’asserzione che certe intersezioni sono vuote o non vuote:

A : S M S ∩ (∼ M) = ∅E : S M S ∩M = ∅I : S M S ∩M 6= ∅O : S M S ∩ (∼ M) 6= ∅

e cosı le proposizioni categoriche che coinvolgono altre coppie di predicati.

Dato un sillogismo, se le aree corrispondenti a una sua proposizione risul-tano vuote le tratteggiamo, se non vuote mettiamo una crocetta all’interno. !!!

EsempiConsideriamo il sillogismo:

A : P MO : S MO : S P

ovvero

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∀x(P (x) → M(x))∃x(S(x) ∧ ¬M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

La prima premessa ci fa tratteggiare P ∩ (∼ M), che deve essere vuota.La seconda premessa ci fa mettere una crocetta in S ∩ (∼ M). Quest’areasarebbe composta di due parti, quella che interseca P e quella che non lointerseca; ma la prima e tratteggiata, in quanto S∩(∼ M)∩P ⊆ P ∩(∼ M),gia considerata; quindi la crocetta si mette in S ∩ (∼ M) ∩ (∼ P ).

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'$

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'$×S P

M

¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢¢

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Ora si interpreta quello che dice la figura, come conseguenza delle due pre-messe, confrontandolo con quello che afferma la conclusione. La conclusioneafferma che deve esserci una crocetta in S∩(∼ P ) e infatti la crocetta e statadisegnata in quell’area, come conseguenza delle due premesse; e stata messaprima di guardare la conclusione.

Un altro sillogismo valido e

E : P MI : S MO : S P

ovvero∀x(P (x) → ¬M(x))∃x(S(x) ∧M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

La prima premessa ci fa tratteggiare l’area P ∩ M che deve essere vuota

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perche P ⊆ ∼ M . La seconda premessa ci fa mettere una crocetta nell’areaS ∩M , ma di fatto nell’area S ∩M ∩ (∼ P ) perche S ∩M ∩ P = ∅.

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'$

&%

'$

&%

'$×

S P

M

Come conseguenza si ha una crocetta in S ∩ (∼ P ), che e quello che affermala conclusione: S ∩ (∼ P ) 6= ∅.

Consideriamo ora un sillogismo non valido:

A : S MI : M PI : S P

ovvero∀x(S(x) → M(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x)).

La prima premessa fa tratteggiare S ∩ (∼ M) che e vuota essendo S ⊆ M .La seconda premessa ci fa mettere una crocetta in M ∩P , ma questa e divisain due sottoaree M ∩ P ∩ S e M ∩ P ∩ (∼ S), e non sappiamo dove metterela crocetta. La si mette sulla linea di divisione delle due sottoaree, proprio !!!per indicare che non si sa in quale parte metterla.

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'$

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'$

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'$+

S P

M

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¿¿¿¿¿¿¿

Ma la conclusione dice che dovrebbe esserci una crocetta in S ∩ P e questaindicazione precisa non e conseguenza delle premesse; la crocetta e sul bordo,non e comunque nell’interno dell’area S ∩ P , potrebbe essere in (∼ S) ∩ P .Per certe esemplificazioni particolari dei predicati in gioco risulta in effetticosı, esiste un controesempio, anche se questo i diagrammi di Venn non loesibiscono.

Esercizio. Si usino i diagrammi di Venn per verificare che il sillogismo

E : S MI : P MO : S P

non e valido e trovare se possibile un controesempio in base a quanto suggeritodal diagramma.

Per non solo dimostrare la validita dei sillogismi, ma trovare i controe-sempi in modo meccanico, soccorre un metodo che estende gli alberi di refu-tazione a enunciati predicativi.

171

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14 Alberi di refutazione

14.1 Regole per i quantificatori

La tecnica degli alberi di refutazione si estende agli enunciati dei linguaggipredicativi aggiungendo le seguenti regole:

• Se A e ∃xB, si introduce una nuova costante c e alla fine di ogni ramonon chiuso passante per A si appende alla foglia il successore B(c)1,come nello schema

[∃xB]

...

F

↓B(c)

• Se A e ¬∀xB, si introduce una nuova costante c e alla fine di ogni ramonon chiuso passante per A si appende alla foglia il successore ¬B(c),come nello schema

[¬∀xB]

...

F

↓¬B(c)

• Se A Se A e ∀xB, allora alla fine di ogni ramo non chiuso passante perA, per tutti i termini chiusi t1, . . . , tn che occorrono in qualche enunciatodel ramo, e tali che B(ti) non occorre gia nel ramo, si appendono allafoglia n + 1 nodi in serie, prima B(t1), . . . , B(tn) e poi ancora ∀xB, !!!come nello schema

1S’intende che se B non contiene la x libera B(c) e B.

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[∀xB]

...

F

↓B(t1)

↓...

↓B(tn)

↓∀xB

• Se A Se A e ¬∃xB, allora alla fine di ogni ramo non chiuso passante perA, per tutti i termini chiusi t1, . . . , tn che occorrono in qualche enunciatodel ramo, e tali che B(ti) non occorre gia nel ramo, si appendono allafoglia n+1 nodi in serie ¬B(t1), . . . ,¬B(tn), e poi ancora ¬∃xB, come !!!nello schema

[¬∃xB]

...

F

↓¬B(t1)

↓...

↓¬B(tn)

↓¬∃xB

173

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Se l’albero e inizializzato con un enunciato, tutti i nodi dell’albero sonoetichettati con enunciati, di un linguaggio possibilmente arricchito con nuovecostanti. Il ruolo dei letterali e ora svolto dagli enunciati atomici e dallenegazioni degli enunciati atomici.

Basterebbero due regole, perche quelle per la negazione di un quantifica-tore sono ottenute considerando che ¬∀ e equivalente a ∃¬ e ¬∃ a ∀¬. Leprime due regole corrispondono all’esemplificazione esistenziale, le altre duealla particolarizzazione.

Nell’applicazione della regola per ∃xB la costante deve essere diversa daquelle che occorrono gia in enunciati del ramo - nuova perche le informazioni !!!disponibili non permettono di dire se l’elemento che esemplifica B sia uno gianoto o no - ma non necessariamente diversa da quelle che sono solo su altrirami. Ogni ramo e una strada indipendente dalle altre; tuttavia per evitareconfusioni e bene ogni volta prendere una costante che sia diversa da tuttequelle che occorrono in tutto l’albero.

Il senso delle due ultime regole e il seguente; si vorrebbe sostituire a xtutti i termini chiusi; ma questi sono in generale infiniti, e neppure ben deter-minati, per il fatto che successive applicazioni delle altre regole ad altri nodipossono introdurre nuove costanti sui rami considerati; allora s’incomincia asostituire i termini esplicitamente esistenti, ma si riscrive l’enunciato ∀xB inmodo che quando eventualmente (se il ramo non si e nel frattempo chiuso) sitorna a considerare l’enunciato, se nel frattempo si sono creati nuovi terminichiusi anche i nuovi vengano sostituiti (si veda l’esempio qui sotto).

Se in una prima applicazione delle ultime due regole non esistono terminichiusi negli enunciati dell’albero, si introduce una nuova costante c e si sos-tituisce quella (ma si tratta di un’eccezione, da non confondere con la regola !!!per ∃; e come se ci fosse sempre una costante iniziale, ad esempio in c = ccongiunta alla radice).

In pratica, non c’e bisogno di riscrivere ∀xB, basta non marcarlo comegia considerato e ricordarsi di tornare periodicamente a visitarlo. E quandotutti gli altri enunciati siano stati considerati e non ci siano altri termini dasostituire, lo si marca definitivamente per terminare.

EsempiL’albero:

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¬(∀x(P (x) → Q(x)) → (∀xP (x) → ∀xQ(x)))1

↓∀x(P (x) → Q(x))5

↓¬(∀xP (x) → ∀xQ(x))2

↓∀xP (x)4

↓¬∀xQ(x)3

↓¬Q(c)↓

P (c)↓

P (c) → Q(c)↙ ↘

¬P (c) Q(c)chiuso chiuso

e chiuso.

L’albero:

∃xP (x) ∧ ∀x(P (x) → ∃yQ(y)) ∧ ¬∃yQ(y)1

↓∃xP (x)2

↓∀x(P (x) → ∃yQ(y))3,7

↓¬∃yQ(y)4,8

↓P (c)↓

P (c) → ∃yQ(y)5

↓¬Q(c)↙ ↘

¬P (c) ∃yQ(y)6

chiuso ↓

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Q(d)↓

P (d) → ∃yQ(y)↓

¬Q(d)chiuso

e chiuso. Sono state eseguite due applicazioni della regola per ∀ e ¬∃ a∀x(P (x) → ∃yQ(y)) e a ¬∃yQ(y); la seconda scatta dopo che ∃yQ(y) haprodotto Q(d), introducendo la nuova d.

E quasi superfluo dire che, come si e fatto nei due esempi, conviene ap- !!!plicare prima le regole per ∃ e ¬∀ e dopo le regole per ∀ e ¬∃.

Applicheremo il metodo degli alberi di refutazione solo a enunciati che noncontengono simboli funzionali, sicche i termini chiusi potenziali si riducono !!!alle costanti.

Anche con questa restrizione tuttavia non vale piu la proprieta di termi-nazione, come mostra l’albero per l’enunciato ∀x∃yR(x, y)

∀x∃yR(x, y)↓

∃yR(c, y)↓

R(c, c1)↓

∃yR(c1, y)↓

R(c1, c2)↓

∃yR(c2, y)↓...

Valgono pero le proprieta fondamentali di correttezza e completezza.

Teorema 14.1.1 (Correttezza) Se l’albero di refutazione con radice A sichiude, allora A e insoddisfacibile.

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I precendenti esempi di alberi chiusi verificano il primo che ∀x(P (x) →Q(x)) |= ∀xP (x) → ∀xQ(x) e il secondo che ∃xP (x)∧∀x(P (x) → ∃yQ(y)) |=∃yQ(y).

Teorema 14.1.2 (Completezza) Se A e insoddisfacibile, l’albero con radiceA si chiude.

La dimostrazione come nel caso proposizionale segue dal

Lemma 14.1.1 Se l’albero di refutazione con radice A non si chiude, alloraper ogni ramo non chiuso, finito e terminato, o infinito, esiste un modello diA.

Considereremo solo alcuni esempi per mostrare come si definiscono le inter-pretazioni per i rami non chiusi, per enunciati che non contengono simbolifunzionali.

EsempioL’albero

P (c) ∧ (∃xP (x) → ∃xQ(x)↓

P (c)↓

∃xP (x) → ∃xQ(x)↙ ↘

¬∃xP (x) ∃xQ(x)↓ ↓

¬P (c) Q(d)chiuso

mostra che l’enunciato P (c) ∧ (∃xP (x) → ∃xQ(x)) e soddisfacibile conun modello, dato dal ramo di destra, perche quello di sinistra e chiuso.L’interpretazione e definita nel seguente modo: l’universo e l’insieme dellecostanti che occorrono in enunciati del ramo, in questo caso U = {c, d}; !!!quindi i predicati sono definiti in base a quali enunciati atomici occorronosul ramo, in questo caso P = {c}, che deve rendere vero P (c), e Q = {d},che rende vero Q(d).

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Le proprieta di correttezza e completezza assicurano che quando l’alberotermina, la risposta e quella giusta; inoltre, poiche se un albero si chiudeesso si chiude dopo un numero finito di passi, in tutti i casi in cui la radice einsoddisfacibile l’albero lo rivela chiudendosi; quando la radice e soddisfaci-bile, puo darsi che l’albero termini, e lo riveli, come puo darsi che continuiall’infinito, e non e detto che ci sia mai uno stadio in cui ci accorgiamo chel’albero andra avanti a crescere all’infinito (altrimenti e come se sapessimoche non si chiude).

Un metodo con queste caratteristiche si dice metodo di semidecidibilitae l’insieme degli enunciati insoddisfacibili e semidecidibile.

14.1.1 Esercizi

1. Verificare con gli alberi di refutazione tutte le leggi logiche finora in-contrate.

2. Verificare con gli alberi di refutazione che ∃xP (x)∧∃xQ(x) → ∃x(P (x)∧Q(x)) e ∀x(P (x) ∨Q(x)) → ∀x(P (x) ∨ ∀xQ(x)) non sono logicamenteveri.

3. Trovare con gli alberi di refutazione un controesempio a ∀xP (x) →∀xQ(x) |= ∀x(P (x) → Q(x)).

14.2 Applicazione ai sillogismi

Gli enunciati che contengono solo predicati monadici e non contengono sim-boli funzionali formano un linguaggio monadico.

Rientrano in questa categoria le proposizioni categoriche che intervengononei sillogismi, ma anche molti altri enunciati piu complicati.

Si puo dimostrare facilmente che l’albero con un enunciato monadico nellaradice termina sempre in un numero finito di passi.

Gli alberi di refutazione costituiscono percio un metodo effettivo per de- !!!cidere se un enunciato monadico e logicamente vero o no. Quindi la logica deilinguaggi monadici e decidibile, come quella proposizionale. In particolaregli alberi permettono di decidere se un sillogismo e valido o no.

Che un albero con un enunciato monadico nella radice termini sempre lo sipuo vedere nel seguente modo. Innanzi tutto bisogna preparare l’enunciato,se non e ancora nella forma voluta, in modo che non presenti quantifica-tori incapsulati, o nidificati, cioe nessun quantificatore cada dentro al raggio

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d’azione di un altro. Questa trasformazione e possibile applicando le leggilogiche sui quantificatori.

Ad esempio

∀x∃y(P (x) ∨ ∃zQ(z) → Q(y))

diventa

∀x(P (x) ∨ ∃zQ(z) → ∃yQ(y))

quindi

∃x(P (x) ∨ ∃zQ(z)) → ∃yQ(y)

e

∃xP (x) ∨ ∃zQ(z) → ∃yQ(y).

Un esempio piu difficile2 e il seguente

∀x∃y(P (x) ∨ ∀zQ(z) → P (x) ∨Q(y))

che diventa

∀x(P (x) ∨ ∀zQ(z) → ∃y(P (x) ∨Q(y)))

∀x(P (x) ∨ ∀zQ(z) → P (x) ∨ ∃yQ(y))

∀x(¬(P (x) ∨ ∀zQ(z)) ∨ P (x) ∨ ∃yQ(y))

∀x((¬P (x) ∧ ¬∀zQ(z)) ∨ P (x) ∨ ∃yQ(y))

∀x(((¬P (x) ∨ P (x)) ∧ (¬∀zQ(z) ∨ P (x))) ∨ ∃yQ(y))

∀x((¬∀zQ(z) ∨ P (x)) ∨ ∃yQ(y))

(∀x(¬∀zQ(z) ∨ P (x))) ∨ ∃yQ(y)

(¬∀zQ(z) ∨ ∀xP (x)) ∨ ∃yQ(y)

¬∀zQ(z) ∨ ∀xP (x) ∨ ∃yQ(y).

Eseguita la trasformazione si adotta la seguente euristica di sviluppo !!!dell’albero. Se alcuni enunciati inseriti nell’albero hanno un connettivo comesegno logico principale, si applicano ad essi e ai loro eventuali risultati le

2Non vogliamo nascondere che il risultato non e banale; per la dimostrazione occorresfruttare, come s’intravvede dall’esempio, le forme normali disgiuntive e congiuntive dellamatrice, dopo aver messo l’enunciato in forma prenessa.

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regole proposizionali relative, finche si perviene alla situazione in cui tutti glienunciati non ancora considerati, se non sono atomici o negazioni di atomici,iniziano con un quantificatore o con la negazione di un quantificatore.

A questo punto si lavora prima sugli enunciati che iniziano con un ∃ o un¬∀, il cui effetto e quello di introdurre nuove costanti - e sono i soli che intro-ducono nuove costanti. Essi danno origine a enunciati privi di quantificatori,per l’assenza di quantificatori incapsulati.

Ora si applicano le regole agli enunciati che iniziano con ∀ o ¬∃, eseguendotutte le sostituzioni possibili delle costanti, che danno di nuovo origine aenunciati privi di quantificatori. Tali enunciati non devono essere riscritti,perche il seguito del lavoro non costringera piu a tornare su di essi; non sigenerano piu altri enunciati che iniziano con ∃ o ¬∀. Ai nuovi enunciatiprivi di quantificatori si applicano eventualmente le regole proposizionali delcaso, ma l’applicazione di regole proposizionali dopo un numero finito di passitermina.

EsempiIl sillogismo

∀x(S(x) → M(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x))

equivalente all’affermazione che

∀x(S(x) → M(x)) ∧ ∃x(M(x) ∧ P (x)) |= ∃x(S(x) ∧ P (x))

e controllato per mezzo del seguente albero:

∀x(S(x) → M(x))3

↓∃x(M(x) ∧ P (x))1

↓¬∃x(S(x) ∧ P (x))4

↓M(c) ∧ P (c)2

↓M(c)↓

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P (c)↓

S(c) → M(c)5

↓¬(S(c) ∧ P (c))6

↙ ↘¬S(c) M(c)↙↘ ↙↘

¬S(c) ¬P (c) ¬S(c) ¬P (c)chiuso chiuso

Due rami sono chiusi; gli altri due danno le stesse informazioni, in quantocontengono entrambi M(c), P (c),¬S(c). Il controesempio fornito da questoalbero e U = {c} con M = {c}, P = {c} e S = ∅.

Questa non e l’interpretazione proposta a suo tempo come controesempio,che era stata U = {a, b, c}, S = {a},M = {a, c}, P = {b, c}, ma ques’ultimasi ottiene dalla presente aggiungendo a e b all’universo; l’interpretazione for-nita dall’albero e minimale, e lo e sempre3.

E raro che si trovi un solo modello di un enunciato, in realta non ce ne emai uno solo, ma la dimostrazione e complicata4.

Il sillogismo:

∀x(M(x) → S(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x))

e valido. L’albero:

∀x(M(x) → S(x))2

↓∃x(M(x) ∧ P (x))1

3Si potrebbe dire che e minima, a meno di biiezioni che rispettano i predicati in gioco,e si chiamano “isomorfismi”.

4Viene in mente ∀x(c = x), che sembrerebbe avere solo un tipo di modello, con un soloelemento, ma non e cosı perche l’interpretazione di = potrebbe essere solo una relazionedi equivalenza.

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↓¬∃x(S(x) ∧ P (x))3

↓M(c) ∧ P (c)

↓M(c)↓

P (c)↓

M(c) → S(c)4

↓¬(S(c) ∧ P (c))5

↙ ↘¬M(c) S(c)

chiuso ↙ ↘¬S(c) ¬P (c)chiuso chiuso

e chiuso.

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15 Il principio di induzione

Come si fa a dimostrare che un enunciato universale1 ∀xA(x) vale in ununiverso infinito? Non si possono certo passare in rassegna tutti gli elementidell’universo. Alcune regole logiche sembrano utilizzabili, in particolare lariduzione all’assurdo o quelle che permettono di derivare enunciati universalida altri, gia pero noti, come la distributivita di ∀ su →:

∀x(B(x) → A(x)) ∀xB(x)∀xA(x).

Con le sole regole logiche si dimostrano solo enunciati veri in tutte le inter-pretazioni, non in una particolare.

Un insieme infinito peraltro non puo essere dato se non attraverso unadefinizione, che ne mette in evidenza alcune proprieta caratteristiche. Questesono assunte in genere come assiomi della struttura, e a partire da essi sideducono altre proprieta vere nella struttura stessa (e in tutte le eventualialtre che soddisfano gli assiomi). !!!

Le strutture numeriche classiche, che sono insiemi infiniti, hanno poi cias-cuna qualche caratteristica particolare che permette di svolgere ragionamentitipici ed esclusivi2, ad esempio la continuita per i numeri reali. La piu sem-plice struttura numerica e quella dei numeri naturali N.

15.1 I numeri naturali

I numeri naturali3

0, 1, 2, . . . , n, n′, . . .

sono descrivibili in modo compatto e uniforme come se fossero tutti generatida un primo che e lo 0. Non e raccomandabile usare all’inizio le cifre 1, . . . , 9perche esse presuppongono la rappresentazione in una base, che e argomentodi la da venire. Meglio scrivere:

1Diciamo brevemente cosı per un enunciato che inizia con un quantificatore universale,anche se non e corretto; gli enunciati universali sono quelli che in forma prenessa hannosolo quantificatori universali nel prefisso.

2E questo vale anche per strutture finite, per cui sono pure disponibili tecniche parti-colari. Si veda ad esempio 15.7.

3Consideriamo anche 0 tra i numeri naturali, anche se non e molto naturale rispettoalla prima funzione dei numeri, quella di contare; talvolta i numeri naturali senza lo 0 sonoanche detti numeri di conto.

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0, 0′, 0′′, . . . , n, n′, . . .

che rappresenta visivamente il fatto che ogni numero4 n, salvo lo 0, ha unsuccessore indicato con n′, e iterando il successore non si ottiene mai unnumero gia considerato, perche i successori di due numeri diversi sono diversi.

Queste proprieta sono esprimibili con enunciati predicativi:

∀x∃y(y = x′)

∀x(0 6= x′)

∀x∀y(x 6= y → x′ 6= y′)

che costituiscono i primi assiomi dei numeri naturali.

Si e abituati a dire che ogni numero si ottiene dal precedente con “+ 1”,ma l’operazione di addizione compare, e definita, solo nella piu ricca strutturache si ottiene sulla base della definizione fondamentale.

Quando si parte da zero5 per introdurre N, si vuol dire innanzi tutto cheN e un insieme infinito; la definizione e la seguente: un insieme X e infinitose esiste una iniezione di X su un sottoinsieme proprio di se stesso.

I tre assiomi sopra presentati esprimono questo fatto, con la funzioneiniettiva (terzo assioma) “successore” che manda tutto l’insieme N (primoassioma) nel suo sottoinsieme proprio N \ {0} (secondo assioma)6.

Ora pero N non e solo un insieme infinito: ogni suo elemento si ottieneda 0 iterando un numero finito di volte l’operazione di successore. Non cisono altri elementi al di fuori di questa catena senza fine. La condizione nonsembra facile da esprimere, perche per parlare di iterare un numero finitodi volte il successore parrebbe necessario avere gia la nozione di numeronaturale.

Tuttavia soccorre questa idea, derivata dalla precedente intuizione, chese una proprieta, espressa da una formula A(x), e tale che si trasporta nelpassaggio da n a n′, o che e invariante, cioe e tale che se vale per un genericon allora vale per n′, in simboli A(n) → A(n′), allora come ogni numero siottiene da 0 passando attraverso una catena di successori, cosı se A vale per0 allora A vale per tutti i numeri.

4Il fatto che n nella successione venga dopo i puntini, non significa che e un numerogrande; n e una variabile che indica un numero qualunque, e puo assumere anche i valori0, 1, . . .

5In tutti i sensi.6Dopo si vede che e sopra: ∀x(x 6= 0 → ∃y(x = y′)).

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Un’immagine comoda per rappresentarsi la situazione e quella di unasuccessione di pezzi di domino messi in piedi in equilibrio precario, distantitra loro meno della loro altezza. Cosı se un pezzo cade verso destra fa cadereverso destra quello adiacente. Se cade il primo, fa cadere il secondo, che facadere il terzo, e tutti cadono.

¥¥¥¥¥¥¥

¥¥¥¥¥¥¥-

In alternativa, si puo esprimere in termini insiemistici l’idea che N deveessere il piu piccolo insieme infinito con l’affermazione

0 ∈ X ∧ ∀x(x ∈ X → x′ ∈ X) → N ⊆ X,

che N e il piu piccolo insieme che contiene 0 ed e chiuso rispetto al successore7.Da questa condizione, sostituendo a X l’insieme di verita di una for-

mula A(x), o dalle precedenti considerazioni intuitive, si ricava l’assioma diinduzione

A(0) ∧ ∀x(A(x) → A(x′)) → ∀xA(x),

dove A e una formula qualsiasi del linguaggio aritmetico, che all’inizio con-tiene solo 0 e ′, oltre a =.

Non sviluppiamo la costruzione sistematica dell’aritmetica a partire daquesti assiomi, che tuttavia sono sufficienti, perche tale trattazione non faparte del programma. Nel seguito ci limiteremo a familiarizzarci con le con-seguenze dell’assioma di induzione in una varieta di esempi, e per far questodaremo per note alcune proprieta aritmetiche, algebriche e geometriche ele-mentari.

In particolare useremo il fatto che dalla definizione dell’addizione (chedaremo in seguito) segue che n′ = n + 1 e adotteremo questa notazione peril successore.

7N e contenuto in ogni insieme che sia infinito grazie alla stessa iniezione “successore”e con lo stesso elemento non appartenente all’immagine dell’iniezione

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Supporremo anche definita8 la relazione d’ordine totale ≤ con minimo 0.

15.2 Il principio di induzione

Dall’assioma di induzione segue una regola dimostrativa che si chiama pro-priamente principio di induzione e che si puo schematizzare nel seguentemodo:

A(0) Base∀x(A(x) → A(x + 1)) Passo induttivo

∀xA(x).

Per dimostrare ∀xA(x) sono sufficienti due mosse: la prima consiste nel di-mostrare A(0), e la seconda nel dimostrare ∀x(A(x) → A(x + 1)).

Si dice allora che ∀xA(x) e stata dimostrata per induzione su x, e A(x)si chiama la formula d’induzione.

La base non si riferisce necessariamente solo a 0. Se a cadere verso destranon e il primo domino, ma il sesto

¥¥¥¥¥¥¥

¥¥¥¥¥¥¥

@@@R

a cadere saranno tutti i domino dal sesto in poi.In corrispondenza a questa idea si ha una formulazione piu generale del

principio di induzione:

A(k) Base∀x ≥ k (A(x) → A(x + 1)) Passo induttivo

∀x ≥ kA(x).

8Per mezzo dell’addizione la definizione sara: x ≤ y ↔ ∃z(x + z = y). Per ora lapossiamo pensare postulata, per poter fare esercizi con formule familiari e per scriverealcune formule in modo piu comodo.

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Se si deve dimostrare ad esempio ∀x > 0 A(x) si dimostra come base A(1)).

La dimostrazione del passo induttivo e la parte piu importante e delicata;la base di solito si riduce a calcoli di verifica. Trattandosi di un enunciatouniversale, la dimostrazione di solito si imposta come dimostrazione di

A(x) → A(x + 1)

per un x generico.Si assume quindi A(x), chiamandola ipotesi induttiva e si cerca di dedurre

A(x + 1):

A(x) Ipotesi induttiva...A(x + 1).

Come abbiamo osservato in precedenza, se si riesce a dedurre A(x + 1)dall’assunzione A(x) si stabilisce A(x) → A(x + 1) senza alcuna assunzioneparticolare, a parte gli assiomi che sono enunciati, e quindi si puo quantificareuniversalmente ∀x(A(x) → A(x + 1)).

Una volta dimostrato il passo induttivo - e la base - la conclusione ∀xA(x)segue come bonus.

Errori umoristici non infrequenti: !!!da A(x), per sostituzione, A(x + 1)oppureda A(x), direttamente per generalizzazione ∀xA(x).

Qualcuno giustifica questi errori alludendo a difficolta immaginarie dovutea una pericolosa somiglianza tra quello che si deve dimostrare e quello chesi assume. Ma nella dimostrazione del passo induttivo la tesi ∀xA(x) noninterviene per nulla. Quello che si assume nel passo induttivo, A(x), e che Avalga per un elemento, ancorche non precisato; quello che si vuole dimostrarein grande e ∀xA(x), cioe che A vale per tutti gli elementi; in piccolo, nel passoinduttivo, si vuole solo dimostrare che A vale per un altro elemento, una belladifferenza, anche sintatticamente visibile, se si usassero i quantificatori.

Se ci sono difficolta ad ogni modo, sono le difficolta tipiche della manipo-lazione di variabili e quantificatori.

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Esempio Dimostrare per induzione9 che

1 + 2 + ... + n = n(n+1)2

.

S’intende, poiche l’espressione di sinistra ha senso solo per n ≥ 1, che si devedimostrare ∀x ≥ 1 (1 + 2 + ... + x = x(x+1)

2), ma useremo la variabile n come

d’uso10.Chiamiamo P (n) la formula di induzione11.La dimostrazione per induzione della formula si svolge nel seguente modo:

Base: per n = 1, P (1) e 1 = 1(1+1)2

, e l’espressione di destra si riduce a 1,quindi P (1) e dimostrata;

Passo induttivo: ammesso

1 + 2 + ... + n = n(n+1)2

,

cioe P (n), aggiungendo n + 1 ad ambo i membri si ha

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = n(n+1)2

+ (n + 1)

= n(n+1)+2(n+1)2

= (n+1)(n+2)2

che e P (n + 1). 2

Sono possibili diversi sviluppi del passo induttivo, in avanti o all’indietro;in avanti si procede come nell’esempio, si scrive l’ipotesi induttiva P (n) e poila si manipola cercando di arrivare a P (n + 1).

Nel procedimento all’indietro si puo partire da quello che si deve di-mostrare, P (n + 1):

9Uno dei primi algoritmmi che si chiede di scrivere (Horstmann, p. 45) e quello per lasomma 1 + 2 + . . . + n.

10L’uso di n come variabile libera universale per i numeri naturali e tipica della scritturamatematica; se si usano i quantificatori introducendo la notazione logica e meglio tornarealla x. Il passo induttivo puo comunque essere sempre presentato come dimostrazione diA(n) → A(n + 1).

11Usiamo P perche e una formula atomica.

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1 + 2 + . . . + n + (n + 1) = (n+1)(n+2)2

,

riscrivere questa somma come

(1 + 2 + . . . + n) + (n + 1) = (n+1)(n+2)2

,

facendo emergere un’espressione 1 + 2 + . . . + n che e parte di P (n), di cuiin particolare P (n) afferma l’uguaglianza con altra espressione; si osservaquindi che “per ipotesi induttiva”, cioe facendo giocare a questo punto unruolo a P (n), essa si puo sostituire secondo quanto detta P (n) ottenendo

n(n+1)2

+ (n + 1) = (n+1)(n+2)2

;

si verifica quindi che quest’ultima uguaglianza e valida, perche diventa

(n+1)(n+2)2

= (n+1)(n+2)2

e quindi P (n + 1) e dimostrato. 2

Avvertenza P (n + 1) e dimostrato dai passaggi di sopra non perche da !!!esso segua un’identita; lo studente di logica sa che dal fatto che A → B siavero e B sia vero non segue la verita di A.

In realta i passaggi di sopra vanno letti all’indietro partendo dall’ultimauguaglianza, e tutte le uguaglianze scritte sono tra loro equivalenti (se si

assume P (n)). P (n + 1) e conseguenza di P (n) e di n(n+1)2

+ (n + 1) =(n+1)(n+2)

2, che e un’identita aritmetica.

In questa impostazione, ci sono due movimenti logici all’indietro: innanzitutto si parte dalla tesi da dimostrare P (n + 1), quindi si sviluppa una seriedi uguaglianze, che tuttavia, essendo collegate da equivalenza, vanno lettenell’ordine inverso, dall’ultima identita fino a P (n+1). Se si a disagio, in al-ternativa si puo partire, sempre in un’impostazione parzialmente all’indietro,non da P (n + 1) ma dall’espressione

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = ?,

di cui si vuole trovare il valore che confermi P (n + 1).Un primo passo e quello di riempire l’ignoto “?” con qualcosa di noto, ad

esempio

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = (1 + 2 + ... + n) + (n + 1),

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valida per la proprieta associativa, quindi si osserva che “per ipotesi indut-tiva”

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = n(n+1)2

+ (n + 1),

e con i soliti calcoli si arriva a

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = (n+1)(n+2)2

.

La formula P (n+1) e stata cosı dimostrata ma assumendo a un certo puntoP (n), quindi si e stabilito P (n) → P (n + 1). 2

Nella dimostrazione del passo induttivo possono intervenire tutte le strate-gie dimostrative. Illustriamo un problema in cui interviene la distinzione deicasi.

Esempio Dimostrare che

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n−1 1n

e sempre strettamente positivo.S’intende che si deve dimostrare che per ogni n ≥ 1

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n−1 1n

> 0.

Dimostrazione

Base: Per n = 1 la somma e 1 e 1 > 0.

Passo induttivo: Consideriamo

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n 1n+1

e distinguiamo due casi.

Se n + 1 e dispari, allora la somma fino a n + 1, riscritta come

(1− 12

+ 13

+ . . .− 1n) + 1

n+1

si ottiene da quella fino a n sommando 1n+1

, una quantita positiva.

Siccome per ipotesi induttiva anche (1− 12

+ 13

+ . . .− 1n) > 0, si ha la

conclusione voluta.

Se n + 1 e pari, la somma

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1− 12

+ 13

+ . . . + 1n− 1

n+1

si puo riscrivere

(1− 12) + (1

3− 1

4) + . . . + ( 1

n− 1

n+1)

per la proprieta associativa, e quindi osservare che e la somma di quan-tita tutte positive. 2

Si noti che l’ipotesi induttiva interviene solo in uno dei due casi in cui edistinta la dimostrazione del passo induttivo, ma comunque interviene.

Se si fosse voluto dimostrare che

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)i−1 1i+ . . .− 1

2n> 0

non ci sarebbe stato bisogno dell’induzione e si sarebbe potuto procederecome nel precedente caso pari con la sola proprieta associativa.

In verita anche questa proprieta dipende dall’induzione, perche in unatrattazione sistematica l’associativita della somma, come anche il fatto chela somma di un numero finito di addendi positivi e positiva, si dimostrano aloro volta per induzione, e lo vedremo piu avanti quando discuteremo dellasomma generalizzata.

Tutti i risultati aritmetici dipendono dall’induzione, perche questo e il soloassioma dell’aritmetica, a parte quelli riguardanti 0 e successore. Tuttaviac’eun uso prossimo e uno remoto dell’induzione; se si conoscono dei risultati(comunque a loro volta siano stati dimostrati) e li si usa in modo direttoin una dimostrazione, questa per parte sua non e una dimostrazione perinduzione.

Esistono casi in cui invece si ha una scelta tra due metodi dimostrativi,uno per induzione e uno no. Ad esempio si puo dimostrare per induzione chen3 − n e multiplo di 3: partendo da (n + 1)3 − (n + 1)

(n + 1)3 − (n + 1) = n3 + 3n2 + 3n + 1− n− 1 = (n3 − n) + 3n2 + 3n

che e divisibile per 3 in quanto somma di addendi tutti divisibili per 3 (ilprimo per ipotesi induttiva). 2

Ma si puo anche fattorizzare n3−n in (n−1)n(n+1) e osservare che unodei tre consecutivi deve essere divisibile per 3. 2

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Di solito quando sono disponibili due vie, una per induzione e una chepotremmo chiamare algebrica, la seconda da maggiori informazioni, in quantolega il problema dato con altri.

Nell’ultimo esempio abbiamo commesso un errore nell’esposizione delladimostrazione per induzione, un errore che lo studente non deve commettere, !!!quello di aver trascurato di dimostrare la base.

La leggerezza in questo caso e innocua, perche subito rimediabile: pern = 0 n3 − n vale 0 che e divisibile per 3. Ma in altri casi puo essere fatale.

Si consideri ad esempio la seguente dimostrazione sul valore della sommadei primi n pari:

2 + 4 + + 2n = n(n + 1) + 5.

Se indichiamo la somma con Sn = 2 + 4 + + 2n, e facile verificare che

Sn = n(n + 1) + 5 → Sn+1 = (n + 1)(n + 2) + 5

ma la formula e falsa. Lo si vede subito per n = 0 ed n = 1. Si potrebbepensare che valga solo da un certo punto in poi, e si puo provare con altrivalori, ma sempre con esito negativo.

Viene il dubbio che sia sempre falsa, e cosı e, ma questa affermazionerichiede a sua volta una dimostrazione (trattandosi di un’affermazione uni-versale infinita: sempre, per ogni n, Sn 6= . . . )12.

Una facile dimostrazione si trova se viene in mente di osservare che n(n+1) + 5 e sempre dispari, come somma di un pari e di un dispari, mentrela somma di pari e pari (ma le stesse considerazioni si potrebbero fare conn(n + 1) + k, k > 0 qualunque).

15.3 L’induzione empirica

Come non si deve trascurare la base, cosı non si deve trascurare il passo indut-tivo. Se non si dimostra il passo induttivo, non c’e traccia di dimostrazioneper un’asserzione del tipo ∀xA(x). Al massimo si possono verificare alcunicasi particolari iniziali, per numeri piccoli. Questa verifica e talvolta dettainduzione empirica.

12E quindi si puo dimostrare per induzione (esercizio).

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Con “induzione empirica” si intende il passaggio da un numero finito, limitato,di osservazioni, alla formulazione di una legge generale; dal fatto che tutti i cigniosservati sono bianchi alla affermazione che tutti i cigni sono bianchi. L’esempio,classico nei testi di filosofia della scienza, e stupido, ma e difficile trovarne di scien-tifici, nonostante si pensi che l’induzione caratterizzi le scienze empiriche, percheforme di induzione di questo genere sono in verita del tutto estranee alla ricerca sci-entifica. La parola e usata comunque in contrasto con “deduzione”, a indicare unpassaggio dal particolare all’universale (come se la deduzione fosse, cosa che non e,se non raramente, un passaggio dall’universale al particolare13). L’induzione em-pirica e anche detta induzione per enumerazione, dizione che suggeriamo di evitareperche non faccia venire in mente i numeri.

Quando all’inizio dell’eta moderna si ebbe una ripresa della ricerca matematica,la parola “induzione” era usata nella scienza per indicare la formulazione di leggigenerali suggerite e verificate da un certo numero di casi particolari. Anche imatematici, figli del loro tempo, usavano la parola in questo modo e per esserescienziati pretendevano di usare anch’essi l’induzione. Lo si riscontra soprattuttoin quegli autori, come Eulero, che basavano le loro congetture su molti calcoli edesplorazioni delle proprieta dei numeri. Il primo autore che formulo e proposeil principio d’induzione matematica nella forma moderna fu Pascal, ed egli vollechiamare cosı questo principio, che implicitamente era stato usato gia da Euclidee da Fermat in altra versione14, considerandolo la vera forma d’induzione adattaa, o tipica della matematica . In verita non v’e alcun rapporto; e vero che conl’induzione matematica si arriva a una conclusione valida per l’infinita dei numericon due soli passaggi, ma si tratta di due dimostrazioni, non di due osservazioni.

L’esplorazione di un piccolo numero di casi non e mai sufficiente a di-mostrare ∀xA(x); al massimo puo servire a trovare un controesempio, se sie fortunati. L’induzione empirica addirittura puo essere ingannevole quandosono tanti i casi confermati; “tanti” e sempre relativo; ad esempio il polinomio

f(n) = n2 + n + 41

e tale che f(n) e un numero primo per n = 0, 1, 2, . . . , 39 (verificare qualchecaso). La congettura che si potrebbe indurre che f(n) sia sempre primo etuttavia smentita dal controesempio

f(40) = 402 + 40 + 41 = 402 + 80 + 1 = (40 + 1)2 = 412.

13Lo e solo nelle applicazioni della particolarizzazione universale.14Il principio della discesa finita, discusso piu avanti.

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Di fronte alla congettura che f(n) sia sempre primo, naturalmente vienenaturale l’idea di controllare gli eventuali zeri e scomporre il polinomio (sesi sa che gli zeri permettono una scomposizione). Il tentativo di dimostrareil passo induttivo invece fallisce per mancanza di idee.

L’esplorazione empirica e utile tuttavia e raccomandabile quando non !!!viene proposta una formula da dimostrare, ma la si deve trovare, quandocioe bisogna formulare una congettura - e poi dimostrarla.

Ad esempio se si vuole trovare una formula per

12

+ 12·3 + 1

3·4 + . . . + 1n(n+1)

,

se si calcolano i primi valori dell’espressione

n = 1 12

= 12

n = 2 12

+ 12·3 = 2

3

n = 3 12

+ 12·3 + 1

3·4 = 34

si puo arrivare alla congettura che la risposta in generale sia nn+1

, quindiprovare a dimostrarla (esercizio, e come ulteriore esercizio trovare e dimostrarela formula in modo algebrico senza induzione).

Quando come in questo caso si esegue un’induzione empirica, convienefare attenzione che i calcoli possono dire di piu che suggerire solo la con-gettura, possono anche suggerire la traccia della dimostrazione del passoinduttivo.

Consideriamo ad esempio come si possa valutare e dimostrare l’espressioneper la somma dei primi dispari

1 + 3 + ... + (2n + 1)

I primi calcoli mostrano come risultato dei quadrati,

n = 0 1 = 1n = 1 1 + 3 = 4n = 2 1 + 3 + 5 = 9n = 3 1 + 3 + 5 + 7 = 16

ed e semplice forse il riconoscimento puro e semplice della legge, ma si puofare di meglio: se si riporta nella riga sottostante il valore ottenuto, per la

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somma dei primi termini, e se si indica sempre l’ultimo addendo con 2i + 1,come suggerisce l’espressione iniziale, si ottiene:

n = 2 1 + (2 · 1 + 1) = 4n = 3 22 + (2 · 2 + 1) = 9n = 4 32 + (2 · 3 + 1) = (3 + 1)2.

All’inizio si possono avere dubbi: 4 = 22 puo essere 4 = 2 · 2, anzi lo e,ovviamente; il problema e quale scrittura sia piu suggestiva della direzionegiusta da prendere; qui diventa presto trasparente la formula del quadrato(n + 1)2 = n2 + 2n + 1.

Un ulteriore passo di conferma da

n = 5 42 + (2 · 4 + 1) = (4 + 1)5

e quello che si intravvede e lo schema del passo induttivo:

1 + 3 + + (2n− 1) + (2n + 1) =n2 + (2n + 1) = (n + 1)2.

L’uso dell’ipotesi induttiva 1 + 3 + . . . + (2n − 1) = n2 per sostituire1 + 3 + . . . + (2n− 1) con n2 in 1 + 3 + . . . + (2n− 1) + (2n + 1) corrispondenei calcoli precedenti ai successivi rimpiazzamenti di 1 + 3 con 4 = 22, di1 + 3 + 5 con 9 = 32, di 1 + 3 + 5 + 7 con 16 = 42.

La dimostrazione per induzione non e diversa dai calcoli che hanno fattointravvedere la risposta; sono gli stessi calcoli che si ripetono (non i risultatiparziali, o non solo quelli), e che passando alle variabili si trasformano nelpasso induttivo.

Per riuscire a vedere lo schema bisogna che si facciano sı i calcoli con inumeri piccoli, ma non guardando solo al risultato, bensı allo spiegamentodelle operazioni aritmetiche implicate; si ottiene il tal modo il collegamentoo il passaggio dall’aritmetica all’algebra; l’algebra, rispetto all’aritmetica,non e altro che questa attenzione non al risultato numerico - che non puoesserci, in presenza delle variabili - ma alla struttura e all’organizzazionedelle operazioni da eseguire, e il loro trasporto alle variabili. L’importante elasciare indicate sempre le espressioni dei calcoli eseguiti.

15.4 Il ragionamento induttivo

L’induzione non e solo una tecnica di dimostrazione, ma una tecnica di ra-gionamento, che porta a trovare il risultato. Bisogna imparare a ragionare !!!

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per induzione.Il ragionamento induttivo e il ragionamento che costruisce una situazione

dinamica: s’immagina un insieme di n elementi e ci si chiede: cosa succedese se ne aggiunge un altro?

Consideriamo l’esempio del numero di sottoinsiemi di un insieme; se Uha 0 elementi, U = ∅, l’unico sottoinsieme di U e U , che quindi ha unsottoinsieme; se U = {a} ha un elemento, i suoi sottoinsiemi sono ∅ e {a} =U ; se U = {a, b} ha due elementi, i suoi sottoinsiemi sono ∅, {a}, {b}, {a, b}.

I conti empirici sono abbastanza complicati, da 2 in avanti; per esseresicuri di avere elencato tutti i sottoinsiemi, occorre in pratica fare il ragion-amento che presentiamo sotto, e che consiste nel considerare il passaggio daun insieme con n elementi ad uno con n + 1; il ragionamento si puo e si devefare prima di avere la risposta; questa puo essere lasciata indicata, comeincognita funzionale, con la scrittura f(n) per il numero di sottoinsiemi diun insieme con n elementi.

Il ragionamento necessario e il seguente: supponiamo che un insieme con nelementi abbia f(n) sottoinsiemi; se a un insieme U di n elementi si aggiungeun a 6∈ U , tra i sottoinsiemi di U ∪ {a} ci sono quelli che non contengono a,che sono quindi tutti i sottoinsiemi di U , e quelli che contengono a. Questituttavia si ottengono tutti da sottoinsiemi di U aggiungendo a a ciascunodi essi; o detto in altro modo, se a ciascuno di questi si sottrae a si otten-gono tutti i sottoinsiemi di U . Quindi anche i sottoinsiemi di U ∪ {a} delsecondo tipo sono tanti quanti i sottoinsiemi di U . In formule l’insieme deisottoinsiemi di U ∪ {a} e dato da

{X | X ⊆ U} ∪ {X ∪ {a} | X ⊆ U},e la cardinalita di questo insieme e f(n) + f(n). Ne segue ovviamente che

f(n + 1) = 2f(n).

Una funzione definita in questo modo, per cui il suo valore per un numeroqualsiasi si ottiene eseguendo operazioni note sul valore della funzione per ilnumero precedente, si dice che e definita ricorsivamente. Funzioni di questogenere si ottengono di solito quando si esegue un ragionemento induttivo.L’argomento delle funzioni definite ricorsivamente sara affrontato tra breve.

In alcuni casi casi, come l’attuale, da equazioni ricorsive come quella disopra, che definiscono implicitamente una funzione, si ricava un’espressioneesplicita.

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Il ragionamento e di nuovo induttivo; tenendo conto anche della con-dizione di base, f(0) = 1, si ricavano i seguenti valori

n = 0 f(0) = 1n = 1 f(1) = 2n = 2 f(2) = 2 · f(1) = 2 · 2n = 3 f(3) = 2 · f(2) = 2 · 2 · 2 = 23

n = 4 f(4) = 2 · f(3) = 2 · 23 = 24

e quindi si puo non solo congetturare la risposta f(n) = 2n ma dimostrarla,con il passo induttivo

f(n + 1) = 2f(n) = 2 · 2n = 2n+1.

In alcuni casi di definizioni ricorsive l’espressione esplicita si ricava conparticolari manipolazioni algebriche. Ad esempio, se si vuole valutare lasomma della progressione geometrica di ragione 2:

1 + 2 + 22 + 23 + ... + 2n = f(n)

si puo osservare che

1 + 2 + 22 + 23 + ... + 2n = 1 + 2(1 + 2 + 22 + 23 + . . . + 2n−1)

trovando la relazione ricorsiva

f(n) = 1 + 2f(n− 1);

ma se il primo membro si scrive f(n− 1) + 2n si ha

f(n− 1) + 2n = 1 + 2f(n− 1)

e quindi

f(n− 1) = 2n − 1,

da cui

1 + 2 + 22 + 23 + ... + 2n = 2n+1 − 1,

caso particolare della somma della progressione geometrica di ragione r

1 + r + r2 + . . . + rn = rn+1−1r−1

.

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15.5 Esercizi

Sono diversi i campi in cui l’induzione si rivela utile. Il piu ricco di appli-cazioni naturalmente e quello della

AritmeticaSi dimostri per induzione, e anche in altro modo se possibile:

1. 12

+ 12·3 + 1

3·4 + . . . + 1n(n+1)

= nn+1

2. 1 + 4 + 9 + . . . + n2 = n(n+1)(2n+1)6

3. 2 + 4 + . . . + 2n = ?

4. 2 + 6 + 12 + . . . + (n2 − n) = n3−n3

5. 2 + 2 · 3 + 3 · 4 + . . . + n(n + 1) = n(n+1)(n+2)3

6. n3 + 3n2 + 2n e divisibile per 6

7. n5 + 4n + 10 e divisibile per 5

8. n ≥ 3 → (n + 1)2 < 2n2

9. n > 0 → 2n | (n + 1)(n + 2) · · · (2n)

10. 1 + r + r2 + . . . + rn = rn+1−1r−1

.

11. Calcolare il posto del termine t

m︷︸︸︷′′ . . .′n nell’enumerazione dei termini vista

nell’esempio del paragrafo 10.2

Problemi divertenti:

12. Ammettiamo di avere francobolli da 3 e da 5 centesimi. Far vedere chequalsiasi tassa postale maggiore di 7 puo essere pagata con bolli da 3e 5.

Suggerimento: prima si suppone che per n si sia usato almeno un bolloda 5; poi, se si sono usati solo bolli da 3, si osserva che n deve esserealmeno 9.

Alternativa: distinguere i tre casi: n = 3k, n = 3k + 1, n = 3k + 2.

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13. Lo stesso con

bolli da 2 e 3, tutti gli n maggiori di 1,

bolli da 3 e 7, tutti quelli maggiori di 11,

bolli da 2 e da 2k + 1, tutti quelli maggiori di 2k − 1.

Esercizi di geometria:

14. Quante rette passano per n punti (di cui mai tre allineati)?

Suggerimento: impostare un ragionamento induttivo “se si aggiungeun punto . . . ”.

15. Quante sono le diagonali di un poligono convesso di n lati?

16. Quante diagonali non intersecantesi occorrono per dividere un poligonoconvesso di n lati in triangoli disgiunti?

17. La somma degli angoli interni di un poligono convesso con n lati eπ(n− 2).

Argomenti di analisi:

18. Se n intervalli su una retta sono a due a due non disgiunti, la lorointersezione non e vuota.

Suggerimento: anche se la base e n = 2, nella dimostrazione del passoinduttivo occorre (almeno nell’impostazione in mente a chi scrive) uti-lizzare il caso n = 3, che va dimostrato a parte, sfruttando proprieta diconnessione degli intervalli (se due punti appartengono a un intervallo,tutti i punti intermedi anche vi appartengono).

Combinatoria:

19. Quante sono le funzioni da un insieme con n elementi in un insieme conm elementi?

Suggerimento. Per induzione su n, con un ragionamento induttivo.Supposto di conoscere quante sono le funzioni da un insieme X con nelementi in un insieme Y con m elementi, si aggiunga a X un elementoa 6∈ X. Le funzioni di dominio X ∪ {a} si ottengono da quelle didominio X aggiungendo una coppia 〈a, y〉 con y ∈ Y .

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20. Quanti sono i sottoinsiemi di un insieme con n elementi?

21. Quante sono le relazioni tra un insieme con m elementi e un insiemecon n elementi?

22. Quante sono le permutazioni di un insieme con n elementi?

23. In una festa, le buone maniere richiedono che ogni persona saluti con un“Buona sera” ogni altra persona, una sola volta; se ci sono n persone,quanti “Buona sera” sono pronunciati? E se ci si da la mano, quantestrette di mano occorrono?

24. Con quale degli esercizi precedenti si gia risolto il problema 20?

Facciamo osservare che molti problemi in cui il passo induttivo, ses’imposta un ragionamento per induzione, consiste in un +n, come al-cuni di quelli di sopra, si possono risolvere anche direttamente con unconto del numero di eventi rilevanti, che porta non a caso a risultatiin forma di prodotto; e un’applicazione del cosiddetto principio fonda-mentale del conteggio che vedremo piu avanti.

Teoria degli algoritmi:

25. La Torre di Hanoi. Ci sono tre aste verticali; all’inizio su di una sonoinfilzati n dischi con un buco in mezzo, di raggio decrescente dal bassoverso l’alto. Bisogna spostare la pila in un’altra asta, muovendo undisco alla volta da una pila e infilzandolo in un’altra, servendosi anchedella terza asta come passaggio. La condizione e che in nessun momentosu nessuna pila ci sia un disco al di sotto del quale ce ne e uno di raggiominore.

Dimostrare che lo spostamento e possibile, per induzione su n, risol-vendo prima n = 3, e calcolare quante mosse (ogni mossa e lo sposta-mento di un disco) sono necessarie.

200

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Fondamenti:

26. Dimostrare che la funzione successore N −→ N \ {0} e suriettiva, osopra N \ {0}.Osservazione. Questo equivale a dimostrare che ∀x(x = 0∨∃y(x = y′)).

15.6 Definizioni ricorsive

Supponiamo di conoscere due funzioni numeriche15 e consideriamo la seguentecoppia di equazioni:

{f(x1, 0) = g(x1)f(x1, x

′) = h(x1, f(x1, x)).

Per ogni m ed n il valore f(m,n) puo essere calcolato in modo effettivoattraverso la seguente successione di valori:

f(m, 0) = g(m)f(m, 1) = h(m, f(m, 0))f(m, 2) = h(m, f(m, 1))

e cosı via fino a f(m,n).Lo abbiamo gia visto in un paragrafo precedente a proposito della funzione

definita da{

f(0) = 1f(n′) = 2f(n).

Qui abbiamo considerato il caso di una funzione a due argomenti, di cui unofunge da parametro.

Piu in generale, se sono date due funzioni: g(x1, . . . , xr) a r argomentie h(x1, . . . , xr, x, y) a r + 2 argomenti16, dove r puo essere 0, la coppia diequazioni

{f(x1, . . . , xr, 0) = g(x1, . . . , xr)f(x1, . . . , xr, x

′) = h(x1, . . . , xr, x, f(x1, . . . , xr, x))

15Con “funzione numerica” intendiamo ora una funzione f : N −→ N, o f : N×N −→ N,o anche a piu argomenti.

16In verita, per considerare tutti i casi possibili, g ed h non devono avere necessariamentelo stesso numero di parametri, e h puo non dipendere da x.

201

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definisce ricorsivamente f(x1, . . . , xr, x) a partire da g e h.Questa forma di ricorsione si chiama propriamente ricorsione primitiva,

ma non cosidereremo forme piu generali di ricorsione17.In una ricorsione primitiva, il valore di f ( con valori fissati dei parametri)

per ogni numero x′ maggiore di 0 dipende, attraverso operazioni note, dalvalore di f per il predecessore x. x si chiama anche variabile di ricorsione.

E ovvia la differenza rispetto alle definizioni esplicite; l’equazione di ri-corsione f(x1, . . . , xr, x

′) = h(x1, . . . , xr, x, f(x1, . . . , xr, x)) non e del tipof(~x) = . . . 18 dove . . . non contiene f , come richiesto dalla definibilita es-plicita, al contrario la definizione appare circolare.

Un teorema generale, che dipende solo dalla struttura fondamentale diN, cioe dagli assiomi che abbiamo proposto, afferma che questo tipo didefinizione individua una e una sola funzione che soddisfa le equazioni diricorsione per tutti i possibili argomenti.

Dal precedente esempio, e chiaro come si possa ottenere ogni valore conun numero finito di passi.

L’unicita della funzione si dimostra nel seguente modo. Supponiamo chedue funzioni f1 ed f2 soddisfino entrambe le equazioni. Dimostriamo perinduzione su x che f1 e f2 hanno sempre lo stesso valore:

Base: f1(x1, . . . , xr, 0) = g(x1, . . . , xr) = f2(x1, . . . , xr, 0).

Passo induttivo: Se f1(x1, . . . , xr, x) = f2(x1, . . . , xr, x), allora

f1(x1, . . . , xr, x′) = h((x1, . . . , xr, x, f1(x1, . . . , xr, x))

= h((x1, . . . , xr, x, f2(x1, . . . , xr, x))= f2((x1, . . . , xr, x

′).2

Con ovvie modifiche si definiscono ricorsivamente funzioni N \ Nk −→ Ncon equazioni del tipo

{f(k) = n0

f(x′) = h(x, f(x)) x ≥ k.

Con una semplice ricorsione primitiva si definisce l’addizione:

17L’argomento rientra in un’introduzione alla teoria della calcolabilita.18~x sta per una n-upla di elementi, n imprecisato.

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{x + 0 = xx + y′ = (x + y)′.

In queste equazioni + e il nuovo simbolo per la funzione da definire, a dueargomenti; x funge da parametro e y da variabile di ricorsione. Le funzionidate sono per la prima equazione la funzione identita x 7→ x e per la secondala funzione successore.

Si vede che, se con 1 si indica 0′, allora x + 1 = x + 0′ = (x + 0)′ = x′.

Con l’addizione a disposizione si definisce ricorsivamente la moltiplicazionecome una iterazione dell’addizione con le equazioni:

{x · 0 = 0x · y′ = x · y + x.

In modo analogo si definiscono la potenza, come iterazione del prodotto,e altre operazioni aritmetiche. Ad esempio il fattoriale

{0! = 1x′! = x! · x′.

La definizione del prodotto permette di dimostrare che la cardinalita19

c(X × Y ) del prodotto cartesiano di due insiemi X e Y e c(X) · c(Y ):Siano X e Y due insiemi di cardinalita rispettivamente n ed m. Se a Y

si aggiunge un elemento a 6∈ Y , allora

X × (Y ∪ {a}) = (X × Y ) ∪ {〈x, a〉 | x ∈ X}.

Ma ovviamente c({〈x, a〉 | x ∈ X}) = c(X) = n, ed inoltre X × Y e {〈x, a〉 |x ∈ X} sono disgiunti (vedi esercizi), per cui

c(X × (Y ∪ {a})) = n ·m + n = n · (m + 1). 2

A questo risultato si da addirittura il nome di Fundamental Counting Prin-ciple per la sua untilita in combinatoria, quando si devono contare i casi.

Quando una funzione e definita per ricorsione, la dimostrazione delle sueproprieta e svolta nel modo piu naturale per induzione. Ad esempio dimos-triamo la proprieta associativa dell’addizione:

19Il numero di elementi.

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(x + y) + z = x + (y + z),

per induzione su z.

Base: (x + y) + 0 = x + y = x + (y + 0).

Passo induttivo: Se (x + y) + z = (x + (y + z), allora

(x + y) + z′ = ((x + y) + z)′

= (x + (y + z))′

= x + (y + z)′

= x + (y + z′).2

Con la ricorsione non si definiscono solo funzioni numeriche, ma anchefunzioni non numeriche che dipendono da un parametro numerico. Ad esem-pio l’unione e l’intersezione generalizzata di n insiemi A1, . . . , An si possonodefinire con

⋃1i=1 Ai = A1

⋃n+1i=1 Ai = (

⋃ni=1 Ai) ∪ An+1

e rispettivamente

⋂1i=1 Ai = A1

⋂n+1i=1 Ai = (

⋂ni=1 Ai) ∩ An+1.

Se gli insiemi sono dati come A0, . . . , An l’unione si definisce come

⋃0i=0 Ai = A0

⋃n+1i=0 Ai = (

⋃ni=0 Ai) ∪ An+1

e analogamente per l’intersezione.

Se invece si vuole definire un’unione generalizzata su infiniti insiemi

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⋃i∈NXi,

o

⋃∞i=0 Xi,

si ricorre come si e visto alla generalizzazione della definizione originaria:x ∈ ⋃

i∈NXi se e solo se esiste un i ∈ N tale che x ∈ Xi.Analogamente per l’intersezione.

In modo ricorsivo si definisce anche la somma generalizzata, o sommatoriada 1 a n (per la sommatoria da 0 a n si applicano agli indici le stesse modifichedi sopra per l’unione):

∑1i=1 ai = a1

∑n+1i=1 ai = (

∑ni=1 ai) + an+1,

o piu in generale∑n

i=k ai, per n ≥ k ≥ 0, con

∑ki=k ai = ak

∑n+1i=k ai = (

∑ni=k ai) + an+1.

La sommatoria infinita∑∞

i=0 ai rientra negll’argomento delle serie, studi-ate in Analisi.

Anche le relazioni possono essere definite per ricorsione, sostituendo equiv-alenze alle uguaglianze, ad esempio

{x < 0 ↔ x 6= xx < y′ ↔ x < y ∨ x = y,

o con un altro metodo che vedremo in seguito e che utilizza anche nellanotazione la definizione di relazione come insieme di coppie ordinate.

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La ricorsione primitiva puo essere combinata con altre forme di definizione,come la definizione per casi, o essere usata per definire simultaneamente duefunzioni.

Un esempio e la seguente definizione di quoziente e resto per la divisionedi m per n, con m ≥ n > 0 (n e fissato, la ricorsione e su m).

qm+1 =

{qm se rm < n− 1qm + 1 se rm = n− 1

rm+1 =

{rm + 1 se rm < n− 10 se rm = n− 1

(qm e un’altra notazione per q(m); si dovrebbe scrivere q(m,n) o qm,n, manon e il caso di appesantire la notazione).

Come base della ricorsione si pone, per m = n, qn = 1 e rn = 0. Sidimostra (esercizio) per induzione su m, con base m = n, che

m = nqm + rm con 0 ≤ rm < n,

ottenendo quindi il teorema fondamentale della divisione

∃q∃r(m = nq + r ∧ 0 ≤ r < n).

Alcune forme frequenti di ricorsione non hanno apparentemente il formatodella ricorsione primitiva; ad esempio la successione20 dei numeri di Fibonaccie definita in modo che, a parte i primi due, arbitrari, ogni elemento dipendedai due immediati predecessori21:

a0 = 1a1 = 1an+2 = an + an+1.

Tali forme di ricorsione sono di fatto riconducibili alla ricorsione primitiva,e le proprieta di una successione come quella di Fibonacci possono esseremeglio dimostrate con un’induzione appropriata, come vedremo, oltre checon quella normale.

20Una successione a0, a1, . . . di elementi di un insieme U non e altro che una funzioneN −→ U tale che n 7→ an, e si indica {an | n ∈ N} o brevemente {an}.

21Horstmann, p. 273 e p. 646.

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15.6.1 Esercizi

1. Dimostrare per induzione che se due insiemi finiti X e Y sono disgiunti,c(X ∪ Y ) = c(X) + c(Y ).

Suggerimento: l’induzione e su c(Y ), ma occorre dimostrare a parte ilcaso in cui c(Y ) = 1, cioe che se a X si aggiunge un elemento a 6∈ Xallora c(X ∪ {a}) = c(X) + 1 (e questo e l’unico momento della di-mostrazione in cui interviene la condizione che gli insiemi siano dis-giunti). La dimostrazione richiede il teorema 15.7.1, ne e un immediatocorollario.

2. Dimostrare la proprieta distributiva x·(y+z) = x·y+x·z per induzionesu z.

3. Dimostrare per induzione la proprieta associativa della moltiplicazione.

4. Definire ricorsivamente mn e dimostrare mp+q = mp ·mq.

5. Dimostrare per induzione che x ∈ ⋃ni=1 Ai se e solo se x appartiene ad

almeno uno degli Ai (l’unione generalizzata era stata introdotta propriocon questa definizione, che ora va dimenticata a favore di quella ricor-siva; oppure si veda l’esercizio come una dimostrazione dell’equivalenzadelle due definizioni).

6. Dimostrare per induzione che x ∈ ⋂ni=1 Ai se e solo se x appartiene a

tutti gli Ai.

7. Dimostrare che∑n

i=1 m = m · n, dove∑n

i=1 m significa∑n

i=1 ai contutti gli ai = m.

8. Trovare e dimostrare per induzione la formula per la somma dei primitermini della progressione aritmetica di ragione k:

∑ni=0(a + ik).

Suggerimento: le somme, gia considerate, dei primi n numeri, dei primin pari e dei primi n dispari sono casi di somme di progressioni arit-metiche, le piu semplici, di ragione 1 e 2 a partire da a = 0 o a = 1.

9. Definire ricorsivamente il prodotto generalizzato∏n

i=1 ai e dimostrareche se gli ai sono numeri interi allora

∏ni=1 ai = 1 se e solo se ai = 1

per ogni i = 1, . . . , n.

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10. Dimostrare per induzione che se ai ≥ 0 per ogni i = 1, . . . , n, allora∑ni=1 ai ≥ 0.

11. Dimostrare per induzione che∑n

i=1 a2i = 0 se e solo se ai = 0 per ogni

i = 1, . . . , n.

12. Dimostrare che∑n

i=1 ai =∑k

i=1 ai +∑n

i=k+1 ai per ogni 1 ≤ k < n.

13. Data la definizione ricorsiva di < del testo, dimostrare che x < y eequivalente a ∃z 6= 0(x + z = y).

14. Definire ricorsivamente ≤ e dimostrare che x ≤ y ↔ ∃z(x + z = y).

15. Dimostrare che per la successione di Fibonacci, per ogni n > 0

∑ni=0 ai = an+2 − 1.

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15.7 Il principio del minimo

Abbiamo detto che un insieme X e infinito se esiste una iniezione di X suun sottinsieme proprio di se stesso. Il motivo per cui questa proprieta, che sichiama anche riflessivita di X, e stata assunta come definizione di “infinito”e che essa e intuitivamente falsa per gli insiemi finiti.

La sua negazione e una caratteristica positiva degli insiemi finiti, che eutile nelle dimostrazioni che li riguardano, e in combinatoria22 e nota comeil principio dei cassetti (in inglese Pigeonhole Principle):

se si distribuiscono m oggetti in n cassetti, con m > n, in almeno uncassetto c’e piu di un oggetto.

In altre parole, non esiste una iniezione di un insieme con m elementi inun insieme con n < m elementi, o ancora: ogni funzione da un insieme conm elementi in un insieme con n < m elementi non e iniettiva.

In una sistemazione rigorosa dei concetti di finito ed infinito, una voltascelta la riflessivita come definizione fondamentale di “infinito”, ed aver for-mulato gli assiomi per N, il principio dei cassetti diventa dimostrabile.

Consideriamo come tipici insiemi finiti gli insiemi Nn = {0, 1, . . . , n− 1},con N0 = ∅. Un insieme si dice finito se esiste una biiezione tra di esso e unNn.

Abbiamo allora

Teorema 15.7.1 Se m > n, non esiste una iniezione di Nm in Nn.

Dimostrazione La dimostrazione e per induzione su n. Si noti che la formuladi induzione questa volta non e atomica, ma inizia a sua volta con un ∀.Base: N0 e ∅ e non esiste nessuna funzione da un insieme non vuoto

nell’insieme vuoto23.

Passo induttivo: Supponiamo vero per n che per ogni m > n non esistaun’iniezione di Nm in Nn; supponiamo per assurdo che esista invece unm > n + 1 con un’iniezione di Nm in Nn+1, chiamiamola g. Nn+1 =Nn∪{n}. Deve essere n = g(i) per qualche i < m, altrimenti g sarebbeuna iniezione di Nm in Nn.

22La combinatoria e proprio lo studio degli insiemi finiti.23Poiche X×∅ = ∅ esiste solo una relazione tra X e ∅, la relazione vuota - ∅ e un insieme

di coppie ordinate (e di ogni altra cosa) perche e vero che per ogni x, se x ∈ ∅ x e unacoppia - ma il dominio di ∅ e ∅, non X.

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Se i = m−1 eliminiamo la coppia 〈m−1, n〉; altrimenti scambiamo tradi loro i valori attribuiti da g a i e a m−1, ed eliminiamo m−1 col suonuovo valore n; consideriamo cioe g1 cosı definita: g1(i) = g(m− 1), eg1(j) = g(j) per ogni altro j < m− 1, j 6= i. g1 risulta un’iniezione diNm−1 in Nn, con m− 1 > n, contro l’ipotesi induttiva. 2

La caratteristica del “finito” di non essere iniettabile propriamente in sestesso e collegata a proprieta intuitive, come il fatto che in qualunque modosi conti un insieme finito si arriva sempre allo stesso numero. Se esistesse unainiezione g di Nm in Nn, con m > n, e se contando gli elementi di un insiemesi fosse arrivati a m− 1, usando tutto Nm, si potrebbe contarli assegnando aogni oggetto il numero i < n tale che g(j) = i dove j e il numero attribuitoall’oggetto nel precedente conteggio, e si arriverebbe a contare al massimosolo fino a n− 1.

Nonostante “finito” e “infinito” siano l’uno la negazione dell’altro, ci sonomolte analogie strutturali tra N e gli insiemi Nn. Sono insiemi totalmenteordinati e per di piu bene ordinati.

La proprieta di buon ordine per N si esprime con il principio del minimo:

∅ 6= X ⊆ N→ ∃x(x ∈ X ∧ ∀y ∈ X(x ≤ y))

o equivalentemente:

∅ 6= X ⊆ N→ ∃x(x ∈ X ∧ ∀y < x(y 6∈ X)).

Il principio del minimo giustifica l’induzione: se l’induzione fallisse per qualcheproprieta A(x), allora si avrebbe A(0) e ∀x(A(x) → A(x′)) ma ∃x¬A(x) equindi ¬A(c) per qualche c. Ora c 6= 0 e quindi ha un predecessore c1 taleche c′1 = c. Deve essere ¬A(c1) perche A(c1) → A(c). A sua volta c1 6= 0deve avere un predecessore c2 tale che c′2 = c1 e per cui ¬A(c2), percheA(c2) → A(c1), e cosı via. Allora l’insieme {. . . , c2, c1, c}

t t t tttt s s s s r q q qq q q r r s0 c

non avrebbe un minimo. 2

Dal principio del minimo si ricava anche un’altro principio di induzione.Se A(x) e una qualunque formula aritmetica, considerando come X il suoinsieme di verita {x ∈ N | A(x)} se ne deduce un analogo principio delminimo per formule, vale a dire che

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∃xA(x) → ∃x(A(x) ∧ ∀y < x¬A(y)).

Poiche questo vale per ogni formula, possiamo considerare una formula cheinizi con una negazione, che scriveremo ¬A, e abbiamo

∃x¬A(x) → ∃x(¬A(x) ∧ ∀y < xA(y)).

Di qui, contrapponendo

¬∃x(¬A(x) ∧ ∀y < xA(y)) → ¬∃x¬A(x),

ovvero

∀x¬(¬A(x) ∧ ∀y < xA(y)) → ∀xA(x),

e infine

∀x(∀y < xA(y) → A(x)) → ∀xA(x)24.

La validita di questo schema giustifica un’altra forma di dimostrazione perinduzione, che si chiama induzione forte, o induzione completa o piu corret-tamente induzione sul decorso dei valori .

Per dimostrare ∀xA(x) e sufficiente dimostrare che ∀x(∀y < xA(y) →A(x)), ovvero, a parole, che per ogni x la validita di A(x) segue dal fatto cheA vale per tutti gli y < x:

∀x(∀y < xA(y) → A(x)) Passo induttivo

∀xA(x)

con ∀y < xA(y) che si puo considerare l’ipotesi induttiva, nel passo induttivo,e non c’e piu bisogno della base.

Questo non significa che lo 0 sia trascurato; il fatto e che se si dimostrail passo induttivo nella sua generalita, cioe per ogni x, la dimostrazione valeanche per 0, per particolarizzazione, e quindi ∀y < 0A(y) → A(0). Oratuttavia ∀y < 0A(y) e sempre vero, essendo ∀y(y < 0 → A(y)), ed essendol’implicazione soddisfatta da ogni y per l’antecedente falso y < 0. Quindi sie dimostrato (qualcosa che implica) A(0).

Bisogna fare attenzione che la dimostrazione del passo induttivo non sta- !!!bilisca la validita di ∀y < xA(y) → A(x) solo per x da un certo punto in

24Si faccia attenzione che qui e nel seguito ∀y < xA(y) sta per (∀y < xA(y)).

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poi, ad esempio diverso da 0, eventualita che si puo presentare, e allora iprimi casi restanti vanno trattati e dimostrati a parte. Ma non e la basedell’induzione, e una distinzione di casi all’interno del passo induttivo.

Se interessa dimostrare ∀x > kA(x) naturalmente, e sufficiente dimostrarecome passo induttivo ∀x > k(∀y(k < y < x → A(y)) → A(x)). La giustifi-cazione consiste nel fatto che N \Nk+1 (la catena che si ottiene cominciandoda k + 1 invece che da 0) e anch’esso bene ordinato e anche per esso vale ilprincipio del minimo.

Oppure formalmente si consideri la formula B(x) ↔ x > k → A(x) e siapplichi l’induzione forte a B, cioe si mostri che da

∀x > k(∀y(k < y < x → A(y)) → A(x))

segue

∀x(∀y < xB(y) → B(x))

e quindi si applichi l’induzione forte a B per concludere ∀xB(x), vale a dire∀x> kA(x).

Da ∀x > k(∀y(k < y < x → A(y)) → A(x)), per importazione dellepremesse, portando all’interno x > k,

∀x(∀y(k < y < x → A(y)) → (x > k → A(x))),

che si puo riscrivere, utilizzando di nuovo l’importazione delle premesse,

∀x(∀y(y < x → (y > k → A(y))) → (x > k → A(x))),

cioe proprio

∀x(∀y < xB(y) → B(x)).2

EsempiIl teorema che ogni numero naturale > 1 ammette una scomposizione

in fattori primi25 si dimostra per induzione forte nel seguente modo: datoun numero n, o n e primo, oppure e il prodotto di due numeri minori din e maggiori di 1. Se la proprieta vale per tutti i numeri minori di n e

25La formulazione concisa significa che ogni numero > 1 o e primo o e un prodotto dinumeri primi. Vale anche l’unicita della scomposizione, che non dimostriamo.

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maggiori di 1, per ipotesi induttiva, questi due o sono primi o ammettonouna scomposizione in fattori primi, e allora anche il loro prodotto n ammetteuna scomposizione in fattori primi. 2

Nella dimostrazione del passo induttivo per

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n−1 1n

> 0

si erano distinti due casi, a seconda che n fosse pari o dispari. Con l’induzioneforte la distinzione rimane ma non porta a due dimostrazioni diverse. Si puoragionare nel seguente modo: se la disuguaglianza vale per ogni m < n allorase n e pari vale

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−2

> 0

e quindi

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−2

+ ( 1n−1

− 1n) > 0

perche ( 1n−1

− 1n) > 0, mentre se n e dispari

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−1

> 0

e quindi

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−1

+ 1n

> 0. 2

Consideriamo di nuovo il problema di pagare qualsiasi tassa postale mag-giore di 7 con francobolli da 3 e da 5 centesimi. La dimostrazione e gia statafatta per induzione, ma si puo fare in modo piu rapido con l’induzione forte.

Dato un numero qualunque n > 7, ammesso che la possibilita di affrancarecon bolli da 3 e 5 valga per tutti i numeri minori di n e maggiori di 7, siconsideri n− 3. Questa cifra puo essere realizzata con bolli da 3 e 5, per cuibasta aggiungere un bollo da 3.

Tuttavia il ragionamento funziona per gli n tali che n − 3 sia maggioredi 7, quindi non per 8, 9, 10. Quindi il passo induttivo come svolto sopranon copre tutti i numeri, e questi tre casi devono essere trattati a parte percompletare il passo induttivo. 2

Come si vede dal confronto, rispetto alle dimostrazioni per induzionenormale con l’induzione forte si riduce la parte prettamente aritmetica. Tale

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possibilita e forse la ragione della attribuzione di “forte” a questo tipo diinduzione.

Da un punto di vista logico, la giustificazione dell’appellativo “forte” eche la stessa conclusione ∀xA(x) si ottiene nell’induzione forte da un’ipotesi∀x(∀y<xA(y) → A(x)) piu debole di A(0)∧∀x(A(x) → A(x+1)). Questa ul-tima affermazione sulla forza delle rispettive ipotesi a sua volta si giustifica colfatto che una stessa conclusione A(x) si ottiene una volta con un’assunzioneforte come ∀y < xA(y) e una volta con l’assunzione piu debole che A valgasolo per il predecessore.

Si tratta tuttavia di impressioni psicologiche. Il motivo per cui la dizione“forte” non e del tutto appropriata e che l’induzione forte e equivalente aquella normale.

La conclusione ∀xA(x) a partire da ∀x(∀y <xA(y) → A(x)) si puo gius-tificare infatti formalmente nel seguente modo. Si considera la formula

B(x) ↔ ∀y <xA(y)

e si dimostra ∀xB(x) (da cui segue ovviamente ∀xA(x)) per induzione su x,utilizzando anche ∀x(∀y < xA(y) → A(x)) nel corso della dimostrazione:

Base: B(0) e immediato perche y < 0 e falso.

Passo induttivo: Ammesso B(x), cioe ∀y <xA(y), da questa segue A(x), equindi ∀y < x′A(y) che e B(x′). 2

Viceversa l’induzione normale si giustifica in base a quella forte in questomodo. Supponiamo A(0) ∧ ∀x(A(x) → A(x′)); per ottenere ∀xA(x), in baseall’induzione forte e sufficiente dimostrare ∀x(∀y < xA(y) → A(x)).

Distinguiamo due casi; un numero o e 0, e allora abbiamo A(0) e quindi∀y < 0A(y) → A(0), oppure se e diverso da 0 e un successore e possiamoindicarlo x′, e dobbiamo dimostrare ∀y < x′A(y) → A(x′).

Ma ∀y <x′A(y) implica A(x), e con ∀x(A(x) → A(x + 1)) anche A(x′).226

Il principio del minimo e anche equivalente all’affermazione che non es-istono catene discendenti infinite; se una successione {an} fosse tale che

26La dimostrazione formale dell’equivalenza tra induzione e induzione forte si trasportaalla dimostrazione dell’equivalenza tra il fatto che N sia bene ordinato e il fatto che N siail piu piccolo insieme che contiene 0 ed e chiuso rispetto al successore.

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. . . < an+1 < an < . . . < a0, l’insieme {an | n ∈ N } non avrebbe min-imo. Viceversa, dato un insieme non vuoto X, preso un suo elemento a0,se non e il minimo di X si puo trovare un altro suo elemento a1 < a0, e seneanche a1 e il minimo si continua, ma siccome la successione cosı generatanon puo essere infinita, si trova un ak che e il minimo di X. 2

Al principio del minimo si da ancora un’altra formulazione nota comeprincipio della discesa finita. Esso afferma che se una proprieta P vale perun k > 0, e quando vale per un n > 0 qualunque allora vale anche per unnumero minore di n, allora P vale per 0.

Infatti in queste ipotesi, in cui l’insieme degli n che soddisfa P non evuoto, il minimo deve essere 0, perche un n > 0, non sarebbe il minimo, inquanto anche qualche numero minore soddisferebbe P .

Viceversa, ammesso il principio della discesa finita, e dato un insieme Xnon vuoto, consideriamo la proprieta P di appartenere a X. O la proprietaP vale per 0, e 0 e allora ovviamente il minimo di X, oppure 0 non ha laproprieta P . In questo caso, non e vero per P che per ogni n che ha laproprieta P anche uno minore ha la proprieta P . Quindi esiste un n chesoddisfa P ma tale che nessun suo predecessore soddisfa P , ed n e il minimodi X. 2

Un’ovvia variante e che se una proprieta P vale per un h > k e quandovale per un n qualunque > k allora vale anche per un numero < n e ≥ k,allora P vale per k.

Il principio della discesa finita e alla base delle dimostrazioni di termi-nazione degli algoritmi, quando ad un algoritmo si associa una proprieta P !!!che decresce ad ogni esecuzione di un passo dell’algoritmo. Un esempio e ladimostrazione di terminazione per l’algoritmo di costruzione degli alberi direfutazione proposizionali, nel Lemma 8.2.1.

Il principio del minimo fornisce un comodo e utile metodo di definizionedi funzioni: a ogni x (o a piu elementi se si tratta di funzione a piu argomenti)si associa il minimo y tale che A(x, y), ammesso di sapere che esistono degliy tali che A(x, y), dove A(x, y) e una formula.

La definizione di minimo comune multiplo di due numeri e un esempioovvio del ricorso a tale possibilita, che e molto frequente in aritmetica, e si puocombinare con la ricorsione per definire funzioni effettivamente calcolabili.

Ad esempio si definisce per ricorsione la successione dei numeri primi{pn | n ∈ N } ponendo innanzi tutto p0 = 2, quindi osservando che se e noto

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pn allora esiste (teorema di Euclide) un numero primo maggiore di pn, e unoche dalla dimostrazione dell’infinita dei primi si sa che e minore o uguale a2 · 3 · 4 · . . . · pn + 1.

Si definisce allora pn+1 come il minimo numero primo maggiore di pn.La definizione e corretta in base solo al principio del minimo, ma l’esistenzadi un confine superiore la rende anche effettivamente calcolabile in modoelementare (eseguendo una ricerca limitata a priori).

A ricorsione primitiva e operatore di minimo corrispondono nei linguaggidi programmazione strutturata i costrutti repeat (for i = 0 to n) e while. . . do.

15.8 Varianti dell’induzione

Tra l’induzione normale e quella forte esistono varianti intermedie, in cui perogni x la validita di A(x) e dimostrata a partire da quella di A per alcunispecificati predecessori. Ad esempio

A(0) BaseA(1) Base∀x(A(x) ∧ A(x′) → A(x′′)) Passo induttivo

∀xA(x).

Questa forma di induzione si giustifica, come quella forte, con l’induzionenormale, considerando la formula

B(x) ↔ A(x) ∧ A(x′)

e dimostrando ∀xB(x) (da cui ovviamente ∀xA(x)) per induzione, utilizzandole assunzioni relative ad A:

Base: B(0) segue da A(0) e A(1).

Passo induttivo: Ammesso B(x), quindi A(x) ∧ A(x′), dal passo induttivoper A si deduce A(x′′), quindi A(x′) ∧ A(x′′), cioe B(x′). 2

Varianti di questo genere corrispondono ad analoghe varianti della ricor-sione primitiva, e permettono di dimostrare le proprieta della funzioni cosıdefinite. Ad esempio la forma di induzione di sopra e quella adatta a di-mostrare proprieta della successione di Fibonacci27

27Nella precedente definizione si era posto a0 = a1 = 1; con questa, altrettanto usata,si premette uno 0 e gli altri valori sono solo slittati di un posto.

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0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, . . .

Esempio Mostriamo un legame inaspettato dei numeri di Fibonacci connumeri irrazionali, in particolare con la sezione aurea.

Indicate con

α = 12(1 +

√5) e β = 1

2(1−√5)

le radici dell’equazione x2 − x− 1 = 0, o

x2 = x + 1,

dove α e la cosiddetta sezione aurea, si ha

an = 1√5(αn − βn).

Dimostrazione

Base: Per n = 0 la formula si riduce a a0 = 0 e per n = 1 a a1 = 1.

Passo induttivo: Poiche

an = an−1 + an−2

per ipotesi induttiva si ha

an = 1√5(αn−1 − βn−1 + αn−2 − βn−2)

quindi

an = 1√5(αn−2(α + 1)− βn−2(β + 1)).

Ma α + 1 = α2 e β + 1 = β2, per cui

an = 1√5(αn − βn). 2

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L’induzione doppia e un’altra variante dell’induzione.Quando la formula da dimostrare e del tipo ∀x∀yB(x, y), se si esegue

un’induzione su x la formula di induzione e ∀yB(x, y) e nel passo induttivo,quando si deve derivare

∀yB(x, y) Ipotesi induttiva...∀yB(x′, y)

puo darsi che ∀yB(x′, y) richieda di essere derivata a sua volta per induzione(anche con l’utilizzo di ∀yB(x, y) che e l’ipotesi induttiva dell’induzione sux).

Si parla allora di induzione doppia, anche se si tratta di due appli-cazioni di un’induzione normale, solo che una e all’interno del passo induttivodell’altra; bisogna fare attenzione a indicare con pulizia le varie tappe delladimostrazione, perche nel passo induttivo dell’induzione su y si avra a dis-posizione l’ipotesi induttiva relativa all’induzione su y e l’ipotesi induttivarelativa all’induzione piu esterna su x.

Non e facile trovare esempi elementari in cui il ricorso all’induzione doppiae proprio necessario28. Diamo un esempio per mostrare come si organizzanoi passi della dimostrazione, scegliendo la commutativita dell’addizione, an-che se per questa proprieta l’induzione doppia si potrebbe evitare (e dopomostreremo come).

Dimostriamo quindi

∀x∀y(x + y = y + x),

e iniziamo con un’induzione su x.

Basex: Dobbiamo dimostrare

∀y(0 + y = y + 0).

ovvero

∀y(0 + y = y).

28Nel primo teorema del paragrafo 15.7 abbiamo visto un esempio in cui la formulad’induzione era universale ma non ha richiesto l’induzione doppia.

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e lo dimostriamo per induzione su y:

Basey : 0 + 0 = 0.

Passo induttivoy: Ammesso 0 + y = y, si ha

0 + y′ = (0 + y)′

= y′.

Passo induttivox: Assumiamo, come ipotesi induttivax, che ∀y(x+y = y+x)e dimostriamo

∀y(x′ + y = y + x′)

per induzione su y.

Basey: Da dimostrare e

x′ + 0 = 0 + x′.

Ma

0 + x′ = (0 + x)′

= (x + 0)′

(il precedente passaggio per l’ipotesi induttivax particolarizzando∀y a 0)

= x′

= x′ + 0 .

Passo induttivoy: Assumiamo l’ipotesi induttivay che x′ + y = y + x′

e dimostriamo x′ + y′ = y′ + x′.

x′ + y′ = (x′ + y)′

= (y + x′)′

= (y + x)′′

dove si e usata l’ipotesi induttivay.

D’altra parte

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y′ + x′ = (y′ + x)′

= (x + y′)′

= (x + y)′′

= (y + x)′′

dove si e usata prima l’ipotesi induttivax particolarizzando ∀y ay′, e infine di nuovo l’ipotesi induttivax particolarizzando ∀y a y.

Naturalmente si sono anche usate le equazioni della definizionericorsiva dell’addizione, in particolare la seconda.

Quindi il passo induttivoy e dimostrato 2

e con la sua conclusione ∀y(x′ + y = y + x′) anche il passo induttivox.2

Vediamo ora come si dimostra piu facilmente ∀x∀y(x + y = y + x). Oc-corrono piu applicazioni dell’induzione, ma nessuna induzione doppia.

Abbiamo gia dimostrato per induzione la proprieta associativa della somma,e che ∀x(x + 0 = 0 + x), nel corso della precedente dimostrazione.

Dimostriamo ora per induzione su x che ∀x(x+1 = 1+x). Si ricordi chein base alla definizione di addizione x′ = x + 1.

Base: 0 + 1 = (0 + 0′) = (0 + 0)′ = 0′ = 1 = 1 + 0.

Passo induttivo: Ammesso x + 1 = 1 + x,

1 + x′ = (1 + x)′

= (x + 1)′

= (x + 1) + 1= x′ + 1.2

Ora infine, usando questi risultati, dimostriamo per un x generico che

∀y(x + y = y + x)

per induzione su y:

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Base: x + 0 = 0 + x.

Passo induttivo: Ammesso x + y = y + x, abbiamo

x + y′ = (x + y)′ = (y + x)′

= (y + x) + 1= y + (x + 1)= y + (1 + x)= (y + 1) + x= y′ + x.2

15.9 Errori e paradossi

Alcuni errori delle dimostrazioni, come il dimenticare la base, sono stati giasegnalati. Altri possono essere piu difficili da scoprire, e alcuni portano adivertenti paradossi.

Si consideri il seguente

Teorema 15.9.1 Tutte le mele hanno lo stesso colore.

Dimostrazione Basta dimostrare che, comunque si prendano n mele, questehanno tutte lo stesso colore. Se prendiamo una mela, tutte le mele nell’insiemehanno lo stesso colore. Sia dato un insieme di n + 1 mele. Se togliamo unamela a, otteniamo un insieme di n mele che per ipotesi induttiva hanno lostesso colore. Ma se rimettiamo a nel mucchio e ne togliamo un’altra b, ab-biamo un altro insieme di n mele che devono avere tutte lo stesso colore;quindi b ha il colore di mele che hanno lo stesso colore di a, quindi a ha lostesso colore delle altre. 2

Mentre nella precedente dimostrazione e presente un vero errore, diverso eil caso di ragionamenti come i seguenti, che lo studente e invitato a discutere.Sul primo non sarebbero d’accordo i sollevatori di pesi.

Teorema 15.9.2 Chiunque e in grado di sollevare un mucchio di sabbia pe-sante quanto si vuole.

Dimostrazione Dato un granello di sabbia, chiunque e in grado di soll-evarlo. Se una persona e in grado si sollevare un mucchio di sabbia, e almucchio si aggiunge un granello, la stessa persona e in grado di sollevare il

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nuovo mucchio. Qualunque mucchio di sabbia, di qualsiasi peso, si ottieneaccumulando un numero sufficiente di granelli di sabbia. 2

Sul prossimo sarebbero d’accordo i matematici, e non si puo dire che siaun errore, ne un paradosso, sembra solo paradossale.

Teorema 15.9.3 Ogni numero e interessante.

Dimostrazione Iniziamo con un’induzione empirica. 0 e interessante, al puntoche si continuano a scrivere libri su di esso, rappresenta il vuoto, il nulla . . .1 e molto interessante, genera tutti gli altri. 2 e il primo numero pari, erappresenta tutte le dicotomie che danno origine alla vita, la divisione nellacoppia, maschio e femmina, il bene e il male . . . , 3 e la trinita, il primo primodispari, somma dei suoi predecessori . . . , 4 e il primo numero composto, cisono i quattro cavalieri dell’Apocalisse . . . , 5 in effetti non sembra averenessuna caratteristica unica; beh, questo e interessante di 5, che e il primonumero non interessante . . .

Si vede ora come svolgere la dimostrazione, nella forma del principio delminimo: l’insieme dei numeri non interessanti e vuoto, perche se no avrebbeun primo elemento, e questo sarebbe interessante, come primo numero noninteressante. 2

Non sembra invece accettabile

Teorema 15.9.4 Ogni numero e piccolo.

Dimostrazione 0 e piccolo, e se n e piccolo anche n + 1 e piccolo. 2

Una dimostrazione per induzione forte che contiene evidentemente unerrore e la seguente, secondo cui le derivate di una qualunque potenza xn

sarebbero tutte nulle, cosı come Dx0 = 0, la derivata di una costante:

Per la regola del prodotto, e usando l’ipotesi induttiva che la derivata dixi sia identicamente 0 per ogni i < n + 1,

Dxn+1 = (Dx1) · xn + x · (Dxn) = 0 · xn + x · 0 = 0.

15.10 Definizioni induttive

Le definizioni induttive sono quelle che si appoggiano ai numeri naturali,ma si riferiscono ad altri enti; definiscono funzioni con dominio N ma valori

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diversi dai numeri, in generale insiemi, relazioni. La formulazione piu gen-erale quindi si da in termini insiemistici; una tipica definizione induttiva sipresenta nella forma seguente.

Dato un insieme B e una funzione F che manda insiemi in insiemi, sipone

{I0 = BIn+1 = F (In),

oppure, nella forma cumulativa, che garantisce che In ⊆ In+1 per ogni n,

{I0 = BIn+1 = In ∪ F (In).

Quindi si pone

I =⋃{In | n ∈ N}

e si dice che I e definito induttivamente, o per induzione, mediante F , conbase B.

I risulta un insieme qualunque, dipende da B e F , puo anche essere uninsieme di coppie, o un insieme di altre strutture.

F anche e una funzione qualunque, ma in generale si prende crescente,rispetto all’inclusione, nel senso che se X ⊆ Y allora F (X) ⊆ F (Y ), econtinua, rispetto all’unione, nel senso che “F della unione uguale unionedegli F”:

F (⋃{Xj | j ∈ J }) =

⋃{F (Xj) | j ∈ J }.Si puo sempre fare in modo di utilizzare una funzione crescente ponendoF ′(X) = X ∪F (X). Se F e continua, la definizione cumulativa si puo ancheesprimere con

In = F (⋃

i<n Ii)

avendo posto

⋃i<n Xi =

⋃n−1i=0 Xi se n > 0

∅ se n = 0

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e ovviamente F (∅) = B.

EsempiL’insieme dei polinomi in x a coefficienti reali si puo definire con

{P0 = RPn+1 = {x · p + c | p ∈ Pn, c ∈ R}

e

P =⋃{Pn | n ∈ N }.

(Esercizio: Esaminare quali siano gli elementi di P1 e P2.)

Come si vede dall’esempio, la base B non e necessariamente un insiemefinito. La funzione F in questo caso e

F (X) = {x · p + c | p ∈ X, c ∈ R},che si vede facilmente essere crescente e continua, come sara anche negliesempi successivi.

L’insieme dei termini T costruiti con 0, 1, x, + e · si puo definire con

{T0 = {0, 1, x}Tn+1 = Tn ∪ {t1 + t2 | t1, t2 ∈ Tn} ∪ {t1 · t2 | t1, t2 ∈ Tn}

e

T =⋃{Tn | n ∈ N }.

L’insieme I definito induttivamente mediante F , con base B, e caratter-izzato dalla seguente proprieta:

I e il piu piccolo insieme che contiene B ed e chiuso rispetto a F ,

dove si dice che un insieme X e chiuso rispetto a F se per ogni Y se Y ⊆ Xallora F (Y ) ⊆ X; con “piu piccolo” s’intende che se J e un insieme checontiene B ed e chiuso rispetto a F allora I ⊆ J .

I due tipi di definizione si dicono anche definizione dal basso (quella in-duttiva con l’unione) e dall’alto, per intersezione.

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Un modo di esprimere in simboli il fatto che un insieme X e il piu pic-colo insieme che ha una certa proprieta P e infatti quello di dire che X el’intersezione (generalizzata) di tutti gli Y tali che P (Y ), quando l’intersezioneha ancora la proprieta P . !!!

Questo succede ad esempio se la proprieta P consiste, come nel casoattuale, nel contenere un dato insieme o nell’essere chiusi rispetto a unafunzione. Non e sempre cosı, ad esempio nel campo reale l’intersezione di tuttigli intervalli che contengono propriamente l’intervallo (−1, 1) e l’intervallochiuso [−1, 1] (estremi inclusi), che ha ancora la stessa proprieta; invecel’intersezione di tutti gli intervalli aperti (−x, x) e l’insieme {0}, che non eun intervallo aperto29.

Facciamo vedere che le due definizioni di I sono equivalenti, se si usal’induzione cumulativa ed F e crescente e continua, e a questo scopo chiami-amo J l’insieme definito dall’alto:

J =⋂{X | B ⊆ X ∧ ∀Y (Y ⊆ X → F (Y ) ⊆ X)}.

Dobbiamo dimostrare che I = J .Per I ⊆ J basta far vedere che per ogni n In ⊆ J , cioe che se X e tale che

B ⊆ X ∧ ∀Y (Y ⊆ X → F (Y ) ⊆ X) allora In ⊆ X. Lo si verifica facilmenteper induzione (esercizio). Ne segue che I ⊆ J per la proprieta di minimalitadell’unione.

Per J ⊆ I basta far vedere che I e uno degli insiemi di cui J e l’intersezione,quindi che B ⊆ I e I e chiuso rispetto a F . B ⊆ I e ovvio.

E sufficiente controllare la proprieta di chiusura per sottoinsiemi finitidi I. Infatti ogni Y ⊆ I, ogni Y in verita, e l’unione dei suoi sottoinsiemifiniti, Y =

⋃{Z ⊆ Y | Z finito}, e se F e continua F (Y ) =⋃{F (Z) | Z ⊆

Y e Z finito}.Ora se Z ⊆ I e Z e finito, allora Z ⊆ In per qualche n30, e F (Z) ⊆

F (In) ⊆ In+1, quindi F (Z) ⊆ I. 2

Questo e il motivo per cui si sceglie la forma cumulativa dell’induzioneanche quando non sarebbe necessario; in tal modo si garantiscono le proprietarichieste dalla dimostrazione, e le supporremo sempre verificate anche se lapresentazione della definizione induttiva non lo mostra esplicitamente.

29Con intervallo aperto (−x, x) s’intende {y | −x < y < x}.30Perche Ir ⊆ Ir+1: allora ogni elemento di Z e in qualche Ir, e tutti sono quindi nel

massimo di questi.

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Di solito infatti la funzione F e precisata da una serie di operazioni dacompiere sugli elementi dell’insieme In per ottenere In+1 e allora per ognioperazione si ha una clausola induttiva.

La definizione del precedente insieme di termini T si presenta nel seguentenel seguente modo:

Base: 0, 1, x sono terminiClausola induttiva 1: Se t1 e t2 sono termini, anche t1 + t2 e un termine.Clausola induttiva 2: Se t1 e t2 sono termini, anche t1 · t2 e un termine.

Qualche volta si aggiunge, ma piu spesso si trascura, una

Clausola di chiusura: Null’altro e un termine.

Per dare una definizione induttiva di un insieme I in sostanza, prima sidice esplicitamente che certi elementi appartengono a I; quindi si afferma chese certi elementi, di una determinata forma, appartengono a I, anche altri,di altra forma collegata, appartengono a I.

La clausola di chiusura e da intendersi nel senso che non solo I contiene glielementi della base ed e chiuso rispetto alle operazioni indicate dalle clausoleinduttive, ma e il piu piccolo insieme del genere. Quindi e uguale all’insieme⋃{In | n ∈ N } e qualcosa e in I se e soltanto se e in un In, cioe lo e inbase all’applicazione iterata un numero finito di volte delle clausole di basee induttive.

EsempiLa definizione delle proposizioni P aveva la forma induttiva

Base: Una proposizione atomica e una proposizione.

Clausola induttiva 1: Se A e una proposizione, anche (¬A) lo e.

Clausola induttiva 2: Se • e un connettivo binario, e se A e B sono propo-sizioni, anche (A •B) lo e.

Si tratta di una definizione per induzione cumulativa: quando (A • B) einserito in In+1, A e B non sono necessariamente entrambe in In, ma in unoqualsiasi dei livelli precedenti.

Definiamo l’insieme A degli alberi binari finiti (qui brevemente “alberi”),intesi come insiemi finiti con un ordine parziale:

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Base: Un singoletto {•} e un albero, che e radice, in quanto non ha prede-cessori immediati, ed e foglia in quanto non ha successori immediati (ofigli).

Clausola induttiva: Dato un albero, se ad alcune sue foglie si aggiungonouno o due successori immediati si ha un albero.

Vediamo come sono formati alcuni primi livelli di A. La base A0 contienesolo l’albero

•mentre A1 contiene

• • •↓ ↙↘• • •

e A2 oltre a quelli di A1

• • •↓ ↓ ↙↘• • • •↓ ↙↘ ↓• • • •

• • •↙↘ ↙↘ ↙↘• • • • • •

↓ ↙↘ ↓ ↙↘• • • • • •

• • •↙↘ ↙↘ ↙↘• • • • • •

↙↘ ↙↘ ↓ ↙↘ ↙↘• • • • • • • • •

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Infine mostriamo come si definisce una relazione, come insieme di coppie,anche se spesso per le relazioni si adottano equivalenze di tipo ricorsivo, comeabbiamo visto per <. Proprio la relazione < si puo definire con

{I0 = {〈x, x′〉 | x ∈ N }In+1 = In ∪ {〈x, y′〉 | 〈x, y〉 ∈ In },

e I = <, che mostra come < sia l’iterazione della relazione “successore” (chee la base I0).

La definizione ricorsiva che abbiamo visto in precedenza, da cui segue

x < y ↔ ∃z 6= 0(x + z = y),

mostra anch’essa come < sia l’iterazione del successore, dal momento chel’addizione e l’iterazione del successore; quest’ultima equivalenza peraltro epiuttosto la definizione di una formula, che a sua volta definisce la relazione,che non la definizione della relazione come insieme.

Un altro modo di presentare la relazione < e quello di definirla come lachiusura transitiva della relazione successore S = {〈x, x′〉 | x ∈ N }.

La chiusura transitiva di una relazione S e la piu piccola relazione cheestende S ed e transitiva; se scriviamo

Trans(R) per ∀x, y, z(〈x, y〉 ∈ R ∧ 〈y, z〉 ∈ R → 〈x, z〉 ∈ R),

e TC(S) per “chiusura transitiva di S” allora

TC(S) =⋂{R | S ⊆ R e Trans(R) }.

L’intersezione non e fatta sull’insieme vuoto, perche esiste sempre almenouna R soddisfacente le condizioni richieste, ad esempio la relazione totale.

Anche la chiusura transitiva di S ammette in generale una definizioneinduttiva dal basso (come quella vista sopra per <), data da

{I0 = SIn+1 = In ∪ {〈x, y〉 | ∃z(〈x, z〉 ∈ In ∧ 〈z, y〉 ∈ S)},

e TC(S) =⋃∞

i=0{In}.

Esempi

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La relazione d’ordine parziale negli alberi e la chiusura transitiva dellarelazione di successore immediato che e inclusa nella definizione ricorsivadegli alberi.

La relazione “B e una sottoproposizione di A” e la chiusura transitivadella relazione “B e una sottoproposizione immediata di A” della definizionedel paragrafo 3.2.1.

Quando un insieme I e definito induttivamente, per dimostrare che ognielemento di I ha una proprieta P si puo usare l’induzione.

Ad ogni elemento x ∈ I e associato un numero, il piu piccolo n tale chex ∈ In. Chiamiamo altezza di x questo numero31.

Esempio L’altezza di un polinomio rispetto alla definizione induttiva diP e il grado del polinomio.

Un’induzione sull’altezza di x e un’induzione su n, che tuttavia prende inesame non solo tutti i numeri naturali, ma tutti gli elementi di tutti i livelli In

della gerarchia in cui e strutturato I. Essa si presenta nella seguente forma:

Base: Ogni elemento di altezza 0, cioe ogni elemento di I0, ha la proprietaP .

Passo induttivo: Ammesso che ogni elemento di altezza n abbia la proprietaP , si dimostra che ogni elemento di altezza n + 1 ha la proprieta P .

Gli elementi di altezza n sono gli elementi di In \⋃n−1

i=0 Ii. Se si vuole chel’ipotesi induttiva riguardi tutto In occorre utilizzare l’induzione forte:

Passo induttivo: Ammesso che ogni elemento di altezza minore di n abbia laproprieta P , si dimostra che ogni elemento di altezza n ha la proprietaP .

Esempio Dimostriamo che :

31Nella definizione delle proposizioni del paragrafo 3.2.1 le proposizioni atomiche avevanoaltezza 1, mentre nella terminologia attuale hanno altezza 0; lo stesso per gli alberi, secondola definizione del paragrafo 3.2.2 l’albero • aveva altezza 1, mentre ora ha altezza 0; nonci sarebbe alcuna difficolta ad adattare la notazione delle definizioni induttive in mododa ristabilire l’accordo, usando N \ {0} o N \ Nk invece di N.Tuttavia nella trattazionegenerale delle definizioni induttive, non c’e motivo per non usare tutti i numeri, incluso 0.La precedente definizione di altezza di un albero si giustificava intuitivamente in base allanozione di lunghezza dei rami.

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Ogni proposizione ha un numero pari di parentesi.

Dimostrazione Per induzione forte. Supponiamo che tutte le proposizioni dialtezza minore di n abbiano un numero pari di parentesi. Indichiamo con ]Ail numero di parentesi di A.

Sia A una proposizione di altezza n. Se n = 0, la proposizione e atomica,della forma (p), e ha due parentesi.

Se n > 0, A e una proposizione composta, e il fatto cruciale e che le suecomponenti hanno altezza minore di quella di A. Si danno due casi.

Se A e (¬B), per ipotesi induttiva ]B e un numero pari e ]A = ]B + 2 eanch’esso pari.

Se A e (B •C) composta con un connettivo binario, per ipotesi induttiva]B e ]C sono pari e ]A = ]B + ]C + 2 e anch’esso pari. 2

Insieme alle dimostrazioni induttive, anche le definizioni ricorsive si esten-dono agli insiemi definiti induttivamente. L’estensione di un’interpretazionei a una valutazione i∗ del linguaggio proposizionale (paragrafo 3.3) e una !!!definizione ricorsiva sull’altezza delle proposizioni.

Altre volte si usano misure di complessita diverse dall’altezza. Per poterfare dimostrazioni induttive per tutti gli elementi di un insieme X, quello cheimporta e che X si possa rappresentare come

⋃∞i=k Xi, indipendentemente da

come e stato originariamente definito.

Esempio L’algoritmo di trasformazione di una proposizione in forma nor-male congiuntiva (o disgiuntiva) del paragrafo 6.3 presentava una ricorsionesulla lunghezza delle proposizioni. L’esecuzione delle operazioni sintatticheda compiere su una proposizione era riportata, attraverso l’applicazione delleleggi distributive, a proposizioni di lunghezza minore: da A∨B ≡ (C∧D)∨Bvia (C ∨B)∧ (D∨B) a C ∨B e D∨B. Data una forma normale congiuntivaper queste ultime, si ha una forma normale congiuntiva anche per A ∨B.

Si noti che C ∨ B e D ∨ B potrebbero avere invece la stessa altezza diA ∨B, se prevale l’altezza di B.

La misura di complessita associata in modo naturale alla definizione delleproposizioni e l’altezza dell’albero di parsing , ma vale anche

P =⋃∞

i=3 Li

dove Li e l’insieme delle proposizioni che hanno (come liste) lunghezza i(alcuni Li sono vuoti, vedi esercizi), o la gerarchia cumulativa

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Page 235: Logica Matematica Corso A - Altervista...quello della logica matematica (= logica formale moderna). In vista della precisione richiesta, che non ammette licenze n´e eccezioni, `e

P =⋃∞

i=3 L≤i

dove L≤i e l’insieme delle proposizioni che hanno lunghezza ≤ i.

15.10.1 Esercizi

Dimostrare per induzione

1. Ogni proposizione contiene almeno una parentesi.

2. Ogni proposizione inizia con una parentesi sinistra e termina con unaparentesi destra.

3. In ogni proposizione il numero di parentesi sinistre e uguale al numerodi parentesi destre.

4. Se si considera una sottosequenza iniziale propria di una proposizione,in essa il numero di parentesi sinistre e maggiore di quello delle parentesidestre.

Questo risultato e quello che giustifica il fatto che il contatore di par-entesi torna a zero solo alla fine di una formula.

5. Ogni proposizione ha lunghezza (comme lista) maggiore o uguale a 3.

6. In nessuna proposizione occorrono due connettivi consecutivi.

7. In ogni proposizione non atomica occorre almeno un connettivo.

8. In nessuna proposizione occorre la sottosequenza “()”, ne “)p”.

9. Se Li e l’insieme delle proposizioni di lunghezza i, trovare quali sonogli i che sono lunghezze di proposizioni (per cui cioe Li 6= ∅).

10. In ogni proposizione la sua lunghezza e maggiore della sua altezza.

11. Dimostrare per induzione sul numero di lettere che il numero delleinterpretazioni delle proposizioni A[p1, . . . , pn] e 2n.

12. Determinare e dimostrare quanti sono gli alberi di altezza n.

13. Determinare e dimostrare quante sono, al massimo, le foglie e i rami diun albero di altezza n.

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