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TITOLO
““LL’’IITTAALLIIAA ÈÈ CCOOMMEE LL’’OORROO””
AAllllaa rriicceerrccaa ddii uunnaa vviittaa
mmiigglliioorree:: tteessttiimmoonniiaannzzee ddii mmiiggrraannttii ddeell CCPPIIAA
Liceo “A. Monti”
Asti Indirizzo Scienze
Umane Classi 2a e 5a UC
GGRRUUPPPPOO AAzzzzaa CChhaaaabbaannii,, SSaarraa
SSooffiiaa VViillaarrddii ((55aa UUCC))
MMiicchheellaa LLiissee,, AAlleessssiiaa MMeelliinnaa,, IInnttii SSaarrttoorreettttoo
((22aa UUCC))
2
IINNDDIICCEE IIMMMMIIGGRRAAZZIIOONNII:: EEVVOOLLUUZZIIOONNEE DDEELL FFEENNOOMMEENNOO IINN PPIIEEMMOONNTTEE EE AADD AASSTTII .............. 3
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PPEERR LLAAVVOORROO,, PPEERR AAMMOORREE,, PPEERR PPAAUURRAA…… LLEE CCAAUUSSEE DDEELLLLEE MMIIGGRRAAZZIIOONNII ............. 10
LLEE AASSPPEETTTTAATTIIVVEE DDEEII MMIIGGRRAANNTTII,, IILL PPRRIIMMOO IIMMPPAATTTTOO EE LLAA RREEAALLTTAA’’ ....................... 16
LLEE MMIIGGRRAANNTTII ................................................................................................................. 18
II LLEEGGAAMMII CCOONN LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA ........................................................................................ 21
AACCCCOOGGLLIIEENNZZAA EE IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNEE ................................................................................ 24
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DDOOMMAANNDDEE SSEENNZZAA RRIISSPPOOSSTTAA ...................................................................................... 35
UUNN’’IIPPOOTTEECCAA SSUULL FFUUTTUURROO ........................................................................................... 41
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IIMMMMIIGGRRAAZZIIOONNII:: EEVVOOLLUUZZIIOONNEE DDEELL FFEENNOOMMEENNOO IINN PPIIEEMMOONNTTEE EE AADD AASSTTII
“I fenomeni migratori ricoprono un ruolo centrale nell'analisi delle tendenze
economiche e sociali che caratterizzano un Paese come l'Italia, che si è
trasformata negli ultimi venticinque anni da paese di emigrazione in paese di
immigrazione. Per oltre un secolo l'emigrazione ha rappresentato per l'Italia un
valido strumento di riequilibrio del mercato del lavoro, poiché quote consistenti di
manodopera italiana sono state assorbite dalle economie di una molteplicità di
Paesi rendendo meno pesante il livello della disoccupazione..”1
Ora, invece, da quando si è invertita la tendenza e la nostra penisola da punto di
partenza si è trasformata in meta o passaggio di flussi migratori, occorre ragionare
sull’impatto che hanno avuto e hanno in ambito nazionale e locale.
Il Piemonte è una delle mete principali delle nuove migrazioni, nonostante non
abbia mai raggiunto i livelli della Lombardia o del Lazio. All'inizio degli anni
Novanta la scena piemontese era dominata da migranti provenienti dal Nord Africa
e dall'Europa centro-orientale; agli inizi del Duemila, invece, i flussi provenivano
soprattutto dall'Europa dell'Est e dall'America Latina. 2
La concentrazione di molte famiglie immigrate in questo territorio influenza e
modifica l'economia andando a creare un’opinione pubblica con atteggiamenti che
oscillano tra la neutralità e l’ostilità nei confronti di tale fenomeno.
Secondo studi effettuati intorno agli anni Novanta si sono arrivati a contare circa
35118 permessi di soggiorno.
In seguito, intorno al 2003-2004, sono stati presentati nuovi progetti al fine di
recuperare gli equilibri di genere, in relazione all'accrescimento dei nuclei familiari,
1 Paolo Goglia, Studio pilota sulle realtà socioculturali dei figli degli immigrati (seconda generazione) in un quartiere periferico di Roma( http://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo.jsp?id=3179)
2AA. VV ( a cura di F. Olivero) Migranti in Piemonte, Torino, PAS, 2005
4
sia per ricongiungimento sia per la formazione di nuove coppie. Tra la popolazione
nativa e i nuovi arrivati, infatti, c’è una forte differenza dal punto di vista
demografico, per quanto riguarda la piramide delle età e il tasso di fecondità. A
seguito dei risultati dell'indagine ISTAT risalente al 2005 sono state fatte
comparazioni tra i cittadini italiani e gli stranieri: gli immigrati presentano una base
giovanile e forte, al contrario gli italiani presentano una quota consistente di
persone anziane. La distribuzione, inoltre, per titolo di studio smentisce l'ipotesi di
una presenza straniera caratterizzata da un livello di istruzione molto più basso
rispetto a quello della popolazione locale.3
In questi flussi migratori la componente minorile è andata man mano aumentando:
nel 1996 costituiva il 15%, mentre nel 2003 il 28%. Oltretutto alta è la percentuale di
minori non accompagnati, soprattutto marocchini e albanesi. Il censimento del
2011 ha registrato una percentuale pari al 7.8% di stranieri su tutta la popolazione. Il
fenomeno migratorio ha contrastato in parte -e continua tutt'ora- la tendenza a
una rapida trasformazione demografica che vede crescere la popolazione anziana,
poiché gli immigrati hanno incrementato la natalità nella regione.
La nostra attenzione si focalizzerà ora sulle immigrazioni che hanno reso
protagonista il territorio astigiano nel lungo lasso di tempo dagli anni Ottanta ai
giorni nostri. Il territorio ha ospitato flussi migratori molto intensi, che si sono poi
incrementatiti con il susseguirsi degli anni.
Inizialmente riguardanti le comunità africane, in particolare i marocchini e i tunisini,
e poi quelle asiatiche. Il rapporto che si venne a creare era di un immigrato ogni
dodici residenti, per un totale di 75.910 immigrati distribuiti in varie zone territoriali.
Vennero quindi edificate nuove abitazioni per accogliere intere famiglie (a volte 3La presenza degli stranieri in Piemonte: evoluzione socio demografica (www.integrazionemigranti.gov.it/archiviodocumenti/Pagine/default.aspx)
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più nuclei familiari in una sola casa) emigrate dal paese di origine alla ricerca di
lavori stabili subito dopo l'ottenimento del permesso di soggiorno.
Con l'avvento degli anni '90 le migrazioni crebbero notevolmente, coinvolgendo
popolazioni provenienti, principalmente, dal Nord Africa e dall'Asia Orientale. Il
34.4% era di origine romena, l'11.5% albanese, Il 3.3% peruviana e il 2.5% moldava.
Secondo statistiche risalenti al 2004, vi erano 3.943 stranieri e rappresentavano il
5.4% della popolazione residente. Intorno al 2004 la comunità straniera più
numerosa era quella albanese, come già verso la metà degli anni '90, pari al circa
47% degli immigrati, arrivata nel 2015 a contare 3.484 residenti su un numero totale
di 9.695 stranieri (35,94% degli stranieri), seguita da quella rumena (16,95%),
marocchina (con il 16,14%)4. La maggior parte dei migranti aveva un’et{ compresa
tra i 30-39 anni, mentre la fascia meno rappresentata era quella dai 54 anni in su.
Le percentuali dei nuovi arrivi hanno avuto oscillazioni nel corso degli anni, con
punte più alte nel 2011, 2014 e 2015. La tendenza generale è comunque la crescita
della presenza di immigrati.
4
Dati ISTAT 2015 in Statistiche Demografiche Cittadini stranieri Asti ( http://www.tuttitalia.it/piemonte/83-asti/statistiche/cittadini-
stranieri-2015/)
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IILL NNOOSSTTRROO CCAAMMPPIIOONNEE DDII RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO EE IILL CCPPIIAA DDII AASSTTII55
Il campione intervistato
Per conoscere meglio la situazione in cui si trovano i migranti arrivati ad Asti, ci
siamo rivolti al CPIA. Il campione da noi esaminato comprende 52 intervistati.
Presso l’ente gli immigrati vengono suddivisi a seconda del grado di conoscenza
della lingua italiana. Noi abbiamo scelto di intervistare i frequentati con livello di
alfabetizzazione “zero” (coloro che sono appena arrivati nel nostro Paese) e
“uno” con una discreta conoscenza della lingua. Preziosa è stata la collaborazione
del’ingegnere Giada Francia per la traduzione in inglese del questionario destinato
a coloro che avessero difficolt{ con la lettura dell’italiano. L’ing. Francia ha
studiato nel Canada anglofono e ci ha supportato nelle interviste, dato che gli
insegnanti di lingua erano impegnati nelle lezioni ordinarie. Per quanto riguarda la
lingua francese, ci ha supportato la docente del CPIA Paola Epoque, laureata in
lingue. Il livello di alfabetizzazione “zero” comprende migranti provenienti dal
Sudan, Nigeria, Chad, Afghanistan, Somalia, Senegal, Gambia, Mali, Siria. La classe
di alfabetizzazione “uno” comprende invece uomini e donne provenienti dal Mali,
Gambia, Senegal, Nigeria, Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, Begala, Eritrea,
Ucraina, Albania, Romania, Marocco. Gli immigrati liberamente e gentilmente
hanno collaborato con noi per la realizzazione delle interviste.
Che cos’è il CPIA
Il CPIA è un'istituzione scolastica pubblica del Ministero dell'Istruzione,
istituito per il life-long learning delle persone in età adulta che non hanno
assolto l'obbligo d’istruzione o che non sono in possesso del titolo di studio
conclusivo del primo ciclo di istruzione. Inoltre si rivolge a tutti coloro che
5 Le informazioni sul CPIA sono tratte dal POF dell’ente, gentilmente messo a nostra disposizione
7
intendono continuare la loro formazione scolastica, professionale e personale
attraverso la frequenza a corsi di formazione di varie tipologie. In relazione alla
specificità dell'utenza, i percorsi di istruzione degli adulti sono stati organizzati in
corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana, corsi di primo livello
e alfabetizzazione funzionale.
La storia del CPIA
Il C.P.I.A. di Asti, attraverso denominazioni diverse, vanta una storia che dura da
circa vent’anni. Inizialmente si chiamava CTP “Centro Territoriale Permanente per
l’Istruzione e la Formazione in et{ adulta”, con sede nella S.M.S. “Goltieri” di Asti,
fu istituito il 20 luglio 1998 con decreto del Provveditore agli Studi di Asti. Il
“Centro Territoriale Permanente” nel 1998 operava su tutta la provincia. Per
esigenze territoriali, dall’anno scolastico 2000-2001, viene istituito il CTP di Canelli
che opera nella zona sud della Provincia di Asti. Dal primo settembre 2014 il CTP di
Asti e il CTP di Canelli confluiscono in una nuova realtà scolastica: il CPIA 1 di Asti.
La sede amministrativa del CPIA si trova ad Asti, in Piazza Leonardo da Vinci 22.
Mission del CPIA
Realizzare percorsi di istruzione di qualità, per far acquisire agli adulti e ai giovani-
adulti saperi e competenze necessarie per esercitare la cittadinanza attiva,
affrontare i cambiamenti del mercato del lavoro e integrarsi nella comunità
territoriale.
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Utenza
Possono iscriversi al CPIA:
Adulti italiani e stranieri, che non hanno assolto l’obbligo d’istruzione e che
intendono conseguire il titolo di studio conclusivo del primo ciclo d’istruzione.
Adulti italiani e stranieri, che sono in possesso del titolo di studio conclusivo
del primo ciclo d’istruzione e che debbono acquisire delle competenze di base
connesse all’obbligo di istruzione.
Adulti stranieri che intendono iscriversi ai percorsi di alfabetizzazione e ap-
prendimento della lingua italiana.
I giovani che hanno compiuto i 16 anni di età e che necessitano del titolo di
studio conclusivo del primo ciclo d’istruzione.
I detenuti presso la Casa di Reclusione di Quarto d’Asti.
Adulti italiani e stranieri che intendono continuare la loro formazione
attraverso corsi modulari brevi.
Progetti dell’anno 2015/2016
“Anche le mamma a scuola” a Mombaruzzo: Il progetto è destinato alle
donne e alle madri immigrate che frequentano il CPIA.
“Prevenzione dei fenomeni di emarginazione, devianza sociale e
dispersione scolastica”.
Progetto “Petrarca’’.
Il progetto, istituito in accordo tra Regione Piemonte e Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, è indirizzato agli adulti extracomunitari. Obiettivo del
progetto Petrarca è offrire un potenziamento linguistico, una maggiore
integrazione e accoglienza attraverso un lavoro.
Progetto “Parlando si impara’’: alfabetizzazione (quartiere Praia, Asti).
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Da quattro anni il CPIA collabora al progetto “Parlando si Impara” fornendo una
propria insegnante di italiano. Tale progetto è volto a favorire l’integrazione delle
donne maghrebine soprattutto con figli piccoli, che vivono nel quartiere Praia.
Molti altri progetti verranno integrati nel corso dell’anno scolastico e entreranno
nella stesura definitiva del PTOF.
… Altre attività offerte
Corsi di lingua straniera e di informatica
Seminari culturali
Laboratorio teatrale
Canto
Attività sportiva
I migranti
Settimanalmente arrivano, in maggior parte presso il capoluogo, numerosi
stranieri a richiedere lo studio della lingua italiana; molti sono indirizzati dalle
associazioni che li accolgono e grazie al passaparola. Le associazioni che si
occupano dell’accoglienza e i migranti accolti in Provincia sono:
Croce Rossa di Asti,
consorzio COALA/PIAM, CARITAS,
Ecomuseo Basso Monferrato, cooperativa Albero della Vita, Parrocchia
di Piea, cooperativa Leone Rosso,
Comune di Grana in appartamenti privati, cooperativa Senape,
Comunità Crescere Insieme.
530
18 Soggetti coinvolti nell’accoglienza Numero indicativo di migranti ad agosto 2015
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PPEERR LLAAVVOORROO,, PPEERR AAMMOORREE,, PPEERR PPAAUURRAA…… LLEE CCAAUUSSEE DDEELLLLEE MMIIGGRRAAZZIIOONNII
Per qualificare le persone come emigranti il trasferimento deve avvenire di norma
da un paese all’altro o da una regione all’altra sufficientemente distante e diversa,
per un tempo che abbia una durata tale da rendere implicito il “vivere” nell’altro
paese e lo svolgervi le attività della vita quotidiana (Grinberg, L. e R., 1990)6. Le
ultime tendenze confermano comunque l’inarrestabile processo, che, ben lungi dal
tendere a una stabilizzazione sul breve o sul medio periodo, è in continua, se pur
irregolare, espansione e di questo l’Italia è attualmente un testimone
“privilegiato”. 7 Secondo una classificazione generica data da Mellina (1987), la
spinta alla dislocazione può derivare da motivi di studio, da spirito di avventura, da
sfollamenti di guerra, da ragioni politiche o religiose, da inospitalità del territorio,
da miraggi di ricchezza, da tendenze erratiche, da persecuzioni etniche. Un primo
argomento di studio, nell’analisi dei movimenti migratori, riguarda la questione
delle cause che li producono e li orientano verso determinati paesi. Esistono in
proposito due prospettive sociologiche: quella macrosociologica e quella
microsociologica.
Quella macrosociologica, detta anche strutturalistica, assegna il primato alle
forze esterne (economiche, politiche, culturali…), che condizionano l’agire
degli individui.
Quella microsociologica, che parte invece dall’individuo, e lo considera un
attore razionale che assume decisioni orientate a migliorare il proprio
benessere.
I migranti si muovono per effetto dei fattori espulsivi, chiamati comunemente
6 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2011 7 (a cura della) Fondazione "Silvano Andolfi", La qualità della vita delle famiglie immigrate in Italia, 2001. Si tratta di una ricerca finanziata dal Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli Stranieri.
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fattori di spinta, operanti nei paesi d’origine, anche senza avere effettivamente
opportunità di accoglienza e di occupazione nelle aree di destinazione. Le
migrazioni sarebbero soprattutto delle emigrazioni.
Cosa ti ha portato ad emigrare?
Ma da che cosa realmente si fugge o che cosa si cerca?
Alla luce delle teorie relative alle recenti migrazioni, abbiamo cercato di
interpretare i dati rilevati dalla somministrazione di questionari presso il Centro
Provinciale Istruzione Adulti – CPIA.
Alla domanda “che cosa ti ha portato ad emigrare’’, circa il 33% si è rifiutato di
rispondere, un buon 19% ha sottolineato motivazioni lavorative, un 15%
ricongiungimenti famigliari, 13% motivi di guerra, ancora un 14% desiderio di godere
di maggiore sicurezza e un 6% problemi politici.
La domanda somministrata porta alla luce interessanti considerazioni, al di là delle
mere cifre percentuali. Il nostro quesito è molto delicato, poiché va a risvegliare
quelle motivazioni che, forse, qualcuno di loro preferirebbe dimenticare.
In effetti l’opportunit{ di rivolgere la domanda suddetta è stata oggetto di
discussione, in particolare ci era stato segnalato che era probabile incontrare un
“muro” da parte degli intervistati.
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Una sfida in cui abbiamo voluto cimentarci: un silenzio può valere più di mille
parole. Per cui siamo comunque soddisfatti dei dati raccolti. Come previsto circa
un terzo degli intervistati, non conoscendo noi -intervistatrici esterne, che per
svolgere una ricerca avevano il diritto di avere accesso alle loro storie personali- si
sono ermeticamente chiusi.
La loro fragilità è comprensibile: alcuni sono arrivati in Italia da pochi mesi, per cui
il rifiuto ad aprirsi e confidarsi è certamente naturale. Con le insegnanti, con le
quali trascorrono diverse ore nell’arco della settimana, hanno atteggiamenti di
maggiore fiducia. Hanno imparato reciprocamente a conoscersi, per cui il muro
iniziale è stato abbattuto. Ma la nostra intrusione nei loro ricordi li ha spiazzati, per
cui l’esito della domanda è quello che abbiamo illustrato.
Nonostante il silenzio da parte di alcuni, altri, forse più coraggiosi o semplicemente
da più tempo in Italia, hanno risposto permettendoci di comprendere qualcosa dei
loro vissuti.
Ricongiungimenti famigliari
Il 15%, che ha risposto di essere arrivato in Italia per potersi riunire con il marito e/o
con la famiglia, è costituito da donne le quali, dopo che i rispettivi mariti e/o un
altro membro del nucleo famigliare (in genere un familiare maschio) è arrivato nel
nostro paese, l’hanno raggiunto, sole o con i figli. Il ricongiungimento familiare
come dato è quindi anche indice di un progetto migratorio di vita condiviso
all’interno della coppia, per il conseguimento del benessere del gruppo famiglia.
Questo potrebbe farci pensare ad un maggiore attaccamento della donna ai valori
famigliari e culturali del proprio Paese. In numerose interviste del genere, l’uomo
per lo più risponde di emigrare per lavoro e la donna per il marito, il che è coerente
con l’assetto relazionale della famiglia tradizionale. Semmai la moglie modifica la
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sua percezione, per quanto riguarda il conseguimento di una vita migliore, in
funzione dei figli. Le donne rispetto agli uomini assegnano un diverso significato
alla scelta di migrare, probabilmente in virtù del loro ruolo e del valore che
rivestono nel dare continuità alla famiglia, ma il loro contributo è fondamentale nel
rafforzare la concordanza con il marito per il progetto, che li vede affrontare
insieme le difficoltà della migrazione. Molte donne, inoltre, iniziano a lavorare sul
territorio italiano, ma spesso già sono portatrici di un idea che le motiva ad
emigrare per aiutare membri della famiglia allargata rimasti in patria. Le relazioni
sociali che scavalcano le distanze istituiscono rapporti che a loro volta
rappresentano la base per la continuazione delle migrazioni attraverso il tempo,
ed eventualmente per il cambiamento nella loro composizione. L’approccio è
definito “transnazionalismo’’, qui l’accento cade sui processi mediante i quali gli
immigrati costruiscono relazioni sociali composite, che connettono le loro società
di origine e di insediamento [Basch et al. 1994; Vertovec 1999]8. Glick Schiller,
Basch e Blanc-Szanton [1992]9 sottolineano in proposito le identità culturali fluide
e molteplici che i trasmigranti tendono ad assumere, in relazione ai diversi contesti
con cui si confrontano.
Ricerca di opportunità lavorative
Il 20% parla di opportunit{ lavorative: hanno raggiunto l’Italia nella speranza di
vedersi aperte delle porte e di poter realizzare i loro sogni in campo lavorativo.
Molti di loro, nonostante fossero in possesso di titoli di studio superiori, per
esempio lauree, si sono visti negare la validità di questi attestati dalla normativa
italiana, ritrovandosi a svolgere occupazioni più modeste rispetto alle loro
8 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2011
9 Ibidem
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aspettative e alla loro qualifica. Inoltre, il drenaggio dei soggetti più istruiti e attivi
accresce il divario tra luoghi di origine e luoghi di destinazione, impoverendo i
primi delle risorse umane più valide per alimentare lo sviluppo dei secondi.
Problemi relativi al Paese di origine
La spinta migratoria dovuta a cause di guerra o per ragioni di sicurezza (13% e 14%),
evidenzia due fattori strettamente collegati. Alcuni dei soggetti che abbiamo
avuto modo di intervistare fuggono da situazioni di guerre civili, regimi oppressivi
e anche persecuzioni delle minoranze (politiche, religiose...); nel nostro caso,
abbiamo rilevato un 6% di allontanamento per motivi politici, che inducono un
numero crescente di individui a cercare con ogni mezzo di raggiungere le terre
dell’Occidente benestante e libero. Inoltre, la globalizzazione delle comunicazioni
e degli scambi incrementa i legami tra diverse aree del pianeta e favorisce le
migrazioni.
Perché hai scelto l’Italia?
Da molte risposte è emerso che diversi intervistati hanno voglia di fare esperienza
al fine di arricchire le proprie conoscenze, tanto che hanno espressamente riferito:
15
“Voglio lavorare qui perché amo la cultura dell’Italia”: c’è dunque una
considerazione positiva del nostro Paese.
Diversi hanno anche vissuto in un altro paese straniero prima di raggiungere l’Italia.
Altri hanno scritto: “perché c’è la pace”; “perché gli italiani sono gentili”; “perché
l’Italia offre forme di integrazione per noi migranti”, “perché siamo vicini!”
Non dobbiamo dimenticarci di avere a che fare con delle persone sensibili, molte
delle quali soffrono per la propria condizione, per le situazioni che li hanno
costretti a lasciare la città natale, i ricordi, i sorrisi, il profumo della loro terra. Sono
venuti nel nostro paese per difendersi, paradossalmente, dalla loro stessa patria.
Quel “siamo vicini”, è una speranza velata, la fiducia che la situazione possa
migliorare e la vicinanza, li rincuora, alleviando le loro sofferenze.
Tutti, sognano una vita migliore.
Non avrai altro Dio, all’infuori di me.
Spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male. […]10
10 Fabrizio De André, Il testamento di Tito
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LLEE AASSPPEETTTTAATTIIVVEE DDEEII MMIIGGRRAANNTTII,, IILL PPRRIIMMOO IIMMPPAATTTTOO EE LLAA RREEAALLTTAA’’
QQuuaall èè ssttaattaa llaa ttuuaa pprriimmaa iimmpprreessssiioonnee aappppeennaa aarrrriivvaattoo//aa iinn IIttaalliiaa??
Quali sono le prime impressioni dei migranti appena giunti nel nostro Paese?
Abbiamo direttamente posto loro la domanda: “Qual è stata la tua prima
impressione appena arrivato/a in Italia?”
Purtroppo il 44% del totale non risponde, forse per timore di esprimere i propri
sentimenti. Sappiamo che i migranti vivono una situazione particolare, spesso di
solitudine affettiva e sociale, angoscia, tristezza, per citarne alcune. Paura. Una
condizione difficile da comprendere, anche per la persona più empatica del mondo.
Così tacciono. Ricordiamo che sulle risposte influisce la cultura di appartenenza, e
in diverse culture il dolore e la sofferenza sono espressione del mondo personale e
intimo, non accessibile dall’esterno. Un silenzio culturale.
“L’Italia è come l’oro”
Un buon 37% risponde di aver provato un senso di contentezza, di felicità.
Sicuramente perché ha riposto nel suo soggiorno in Italia la speranza di una vita
migliore, del lavoro dei proprio sogni e di una famiglia felice e soprattutto riunita.
Alcuni migranti hanno apprezzato i nostri panorami, le montagne (“Era sul piano
geografico e io vedevo che qui è pieno di montagne”) e le colline. Gli amanti della
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cultura la bellezza delle opere d’arte, le opere architettoniche e urbanistiche:
qualcuno, per esempio, ha citato Milano. Altri hanno gradito il cibo nostrano,
prediligendo in modo particolare la pizza. L’11% sottolinea la propria fiducia (“la
prima impressione è che avremo avuto tutti lo stesso modo di vivere”) e speranza
riposta in un futuro più fortunato, ricollegandoci con quanto detto sopra, i
migranti che accogliamo hanno un grande desiderio: quello di avere un buon posto
di lavoro e una famiglia. Ecco cosa suscita in loro l’Italia: speranza.
‘‘l’Italia è bella per gli italiani’’
Il 6% sostiene di aver provato un forte senso di smarrimento. E’ indubbio che le
difficoltà aumentano quanto più ci si sente lontani e sradicati dal proprio Paese e si
vive con grande intensità quello che viene descritto come “lutto migratorio”, un
sentimento di forte nostalgia per ciò che si è lasciato alle spalle: si vive una
condizione di solitudine nel Paese di accoglienza. È emerso da parte di alcuni il
timore nei confronti della lingua che dovranno imparare, ma che al momento
conoscono molto poco. La lingua, veicolo delle necessità, dei bisogni, dei
sentimenti, di espressione della propria intimità, è una risorsa di cui si sentono
privati e questo li spaventa.
Un immigrato ha scritto sinceramente: ‘‘l’Italia è bella per gli italiani’’.
L’integrazione non è certo un processo facile e spesso le aspettative vengono
deluse. Ovviamente in questo processo è di fondamentale importanza l’intervento
delle istituzioni, che, in funzione dei loro ruoli, potranno offrire servizi per favorire
la piena inclusione dei nuovi italiani. Con la medesima sincerità, un altro migrante
ha espresso il suo disappunto: ‘‘Ma l’Italia è piena di stranieri arabi!’’. Certamente
l’Italia ospita una pluralit{ di culture e etnie, ma suona strana un’affermazione del
genere, proprio sulla bocca di persone che condividono la medesima situazione.
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LLEE MMIIGGRRAANNTTII
Dalle rilevazioni del questionario sottoposto ai frequentanti il CPIA, si può notare
che gli uomini (63%) sono in maggioranza e che, nonostante ciò, le donne (37%)
siano già una percentuale alta rispetto a studi di ben altra ampiezza.
Insomma si conferma almeno in parte una costante. La storia delle migrazioni,
infatti, ha avuto spesso come protagonisti uomini alla ricerca di un futuro migliore
lontano dal paese di origine. Alla domanda perché abbiano scelto l’Italia, alcune
donne hanno risposto “perché mio marito è in Italia”, “è stata una scelta di mio
marito”, “ha scelto mio marito perché lui abita qui”.
“È stata una scelta di mio marito”
L’immigrazione delle donne, dunque, può essere motivata dal ricongiungimento
come mogli al seguito di mariti primo-migranti. I mariti partecipano alla società,
mediante il lavoro e la conoscenza della lingua, mentre le mogli rimarrebbero
chiuse fra le mura domestiche, penalizzate dalla scarsa conoscenza della lingua,
dalla presenza di figli piccoli e da forme culturali di auto-segregazione. Dal punto di
vista delle politiche migratorie, i ricongiungimenti famigliari sono un costo. Le
politiche degli stati riceventi hanno sempre oscillato tra atteggiamenti più liberali,
sensibili e impostazioni restrittive. Secondo l’analisi sociologica delle fasi
dell’insediamento di popolazioni immigrate risulta che normalmente emigrano per
primi i giovani adulti soli, che si presentano come lavoranti, poi prolungano il
19
soggiorno, si formano le reti migratorie e cominciano ad arrivare i congiunti.
Questo è un processo che va di pari passo con l’integrazione sociale sempre
maggiore nella società ricevente.
Studi e cenni storici sulla migrazione femminile
I primi studi statunitensi sulla migrazione femminile risalgono al ventesimo secolo
e hanno fornito l’immagine di una donna arretrata, dipendente dalla tradizione.
In Europa fino al 1970 non si era preso in considerazione il fenomeno della
migrazione femminile. Solo dagli anni Settanta si iniziano a pubblicare studi sulle
donne immigrate, da cui emerge l’esclusione e la marginalizzazione che le donne
migranti vivono in quanto tali, ma anche la loro capacità di risparmio, di invio delle
rimesse e la loro forte presenza nel lavoro domestico. Secondo il rapporto UNFPA
inviano alla famiglia rimasta in patria gran parte delle rimesse, più degli uomini.
La scelta di partire per lavoro ha incominciato a interessare anche quelle donne
che sono arrivate in Italia dagli anni ‘70 mediante le domande e le offerte di lavoro
presso le famiglie come collaboratrici domestiche, poiché è una mansione che non
necessita di specifici titoli di studio11. Lasciano alle loro spalle la terra d’origine, le
famiglie e decidono di partire con coraggio per affrontare il proprio destino.
Tuttavia non si distaccano del tutto dalle proprie terre d’origine in quanto man
mano che aumenta la permanenza aumenta anche la nostalgia e ci ritornano non
appena ne hanno la possibilità. La donna migrante si ritrova a vivere una situazione
rischiosa rispetto agli uomini in quanto può essere soggetta a violenze.
Colf e badanti
Molto spesso le immigrate diventano collaboratrici domestiche o assistono le
persone anziane. In passato erano le ragazze della campagna italiana a lavorare al 11 N. Bonora, Donne migranti, protagoniste attive nei processi di trasformazione, in Ricerche di Pedagogia e Didattica. Pedagogia di Genere, 6,1 2011
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servizio delle famiglie italiane. Gli italiani scelgono di offrire questo lavoro poiché
sono avvenuti dei cambiamenti all’interno delle famiglie, quali la disgregazione e la
perdita della rete parentale, ma soprattutto l’emancipazione della donna che ne
ha cambiato il ruolo all’interno della società. Un altro fattore che ha inciso molto è
il processo di invecchiamento che aumenta il numero di famiglie con almeno una
persona anziana. Le donne straniere, dunque, si inseriscono in un settore
lavorativo per cui le donne italiane sono sempre meno disponibili. Questo tipo di
lavoro, però, è privo di garanzie e dei diritti fondamentali dei lavoratori come il
rispetto degli orari di lavoro e del giorno di riposo. A peggiorare la situazione è il
lavoro nero, molto diffuso nella fase iniziale, in quanto la regolarizzazione della
colf avviene solo quando entrambe le parti entrano in confidenza e sono giunte ad
un accordo sulle forme del contratto. Sovente questo non avviene e quindi
prevalgono la precarietà e lo sfruttamento che si aggiungono alla difficile
situazione di straniere. Queste donne, indispensabili alle famiglie italiane, devono
comunque accontentarsi di un lavoro che spesso non equivale al proprio grado
d’istruzione12.
Altro tema fondamentale per le donne migranti è il legame con la terra d’origine,
mantenuto sia attraverso attività per far conoscere la loro cultura sia nei loro paesi
con attività di sostegno. Queste attività avvengono grazie a delle associazioni, che,
dunque, diventano il luogo della socializzazione e della solidarietà.
L’associazionismo interculturale è l’occasione per le donne di mantenere legami
con il paese d’origine, di uscire dall’isolamento, e di abbandonare ruoli rigidi che
stanno loro stretti.
12 Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, La famiglia nell’ immigrazione: condizioni di vita e culture a confronto. Documenti n.31, Roma, 2004
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II LLEEGGAAMMII CCOONN LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA
Considerazioni generali e studi nazionali
Giovanni Giolitti, commentava così il fenomeno dell’emigrazione: “… la vita in
alcune zone d’Italia è diventata così dura da indurre gli abitanti ad affrontare
qualsiasi rischio piuttosto che rimanere nella condizione in cui si trovano”.
A distanza di tanto tempo il fenomeno migratorio è sempre di attualità, ma sono
cambiati i soggetti protagonisti. Attualmente potremmo usare questa frase per i
nuovi flussi di migranti che lasciano la terra nativa per raggiungere l’Italia,
rischiando la loro vita e quella dei loro figli, nell’attraversare il mare.
“Quando parliamo di famiglia immigrata, definiamo dei campi spazio-temporali
significativi: da un lato quello dell’immigrazione che è per definizione quello delle
fratture e dell’allontanamento, dall’altro quello della famiglia, per definizione quello
delle continuità e dei legami”. (Bensalah; 1984). Insomma, la famiglia che emigra è
sottomessa alle esigenze di due societ{: quella d’origine e quella d’accoglienza.
Quando si parla di immigrazione, uno degli aspetti importanti e da prendere in
considerazione è costituito dai legami con la famiglia di origine e se questi
vengono mantenuti anche quando si è distanti. Tra i molteplici stereotipi che si
attribuiscono agli immigrati, uno è quello di considerarli come soggetti privi di
legami con la famiglia, indipendenti e che seguono da soli il loro percorso.
Una questione molto importante da considerare è infatti l’opinione di tutti i
membri della famiglia sull’ipotesi di andar via. Chi decide di partire è spesso
sostenuto da parenti e amici. Nello studio del CNEL, un marito etiope, a proposito
della spinta e dell’aiuto dei familiari per quanto riguarda la decisione di partire, dice:
“non lo sento come peso, ma un senso di appartenenza alla mia famiglia, una parte
della mia persona”.
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Un marito marocchino ricordando i legami genitoriali si esprime così: “Io penso che
i genitori sono la base e senza la base come fa un albero? Non può vivere.”
L’emigrante si trova a confrontare due modelli familiari (quello d’origine e quello
del paese accogliente) “C’è meno rispetto per la famiglia, per gli anziani, e questo è
ciò che si nota di più: l’anziano da noi è il saggio, qui è solo un anziano. Qui si vede
subito. La famiglia unita sembra qualcosa di speciale, qui la famiglia non ha più valori
e noi vorremmo dare qualcosa di più ai nostri figli” (marito algerino)13
Hai contatti con i tuoi parenti?
Passando al campione di indagine del CPIA e analizzando il grafico prodotto dal
questionario d’indagine si può dedurre che la maggior parte delle persone (31%) è
in contatto con la propria famiglia settimanalmente, mente un 2% ha contatti con i
parenti annualmente e un altro 2% vive con la famiglia d’origine.
Un dato molto significativo (23%) rappresenta le persone che non si mettono mai
in contatto con i propri cari. Questa risposta potrebbe dar luogo almeno a due
13 Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, La famiglia nell’ immigrazione: condizioni di vita e culture a confronto. Documenti n.31, Roma, 2004
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interpretazioni: le condizioni politiche, la guerra, rendono difficilissime le
comunicazioni, altre volte gli stranieri fuggono dalla loro terra nativa, perché in
alcuni casi sono proprio i parenti che rappresentano un freno alle loro aspirazioni.
Si tratta quasi sempre di persone giovani con una visione più ampia e
all’avanguardia in contrasto con gli ideali conservatori e talvolta considerati
arretrati del loro Paese.
Attraverso quali mezzi?
Nei rapporti tra persone lontane i mezzi di comunicazione sono fondamentali. Da
un altro grafico è emerso che il telefono è il più usato, seguito poi da internet.
Per chi lascia la propria terra, spinto dai vari bisogni di sopravvivenza o di
miglioramento economico, è fondamentale mantenere contatti con la propria
famiglia, telefonando spesso e compiendo, se possibile, viaggi.
Infatti tra le risposte qualcuno afferma “Io li chiamo tutti i momenti” o “Tutti i
giorni”, invece chi può preferisce incontrare fisicamente i propri familiari per
mantenere i legami: “Vado in Albania una volta all'anno”.
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AACCCCOOGGLLIIEENNZZAA EE IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNEE
Abbiamo poi chiesto ai frequentanti il CPIA quali sono state le difficoltà che hanno
incontrato al loro arrivo in Italia e se fossero soddisfatti dell'accoglienza.
La maggior parte degli intervistati è felice di essere in Italia: 28 rispondono di
essere molto felici e c’è manifesta soddisfazione per l’accoglienza (38)
Al dato numerico bisogna accompagnare un’osservazione: c’è differenza nelle
risposte tra gli individui che sono da meno tempo in Italia, e che tendono a dare
una risposta sempre positiva, rispetto agli altri che iniziano a vedere con maggior
chiarezza le difficoltà dopo l’impatto iniziale. Inoltre dopo un soggiorno più lungo
la maggior parte dei soggetti risponde in modo sicuro e idee chiare. Più del 50%,
25
forse proprio a seguito dell’accoglienza ricevuta, pensa di fermarsi in Italia,
nonostante il nostro sia spesso considerato un Paese di solo transito.
Le motivazioni che spingono i soggetti intervistati a rimanere in Italia sono il lavoro
(soprattutto gli uomini), la presenza della famiglia, indicata prevalentemente dalle
donne, la speranza di una vita migliore.
Anche l’uso del tempo libero è un indicatore del livello di integrazione. I dati
raccolti ci fanno riflettere sulla qualità della vita delle persone che abbiamo
incontrato. La maggior parte degli intervistati dichiara che da quando è in Italia ha
avuto troppo tempo libero che passa per lo più in casa davanti al televisore o a
studiare la lingua italiana. Raramente escono per incontrare amici, all'inizio solo
connazionali, con il tempo anche italiani. Un elemento che ci pare significativo
sottolineare: quando trovano lavoro c’è una certa difficoltà ad adeguarsi ad un
ritmo da molti definito veloce, assolutamente nuovo per chi arriva da realtà dove i
ritmi seguono maggiormente i cicli circadiani, tanto da essere uno dei motivi di
cambiamento di vita da quando sono qui. Infine le relazioni sociali ed il rapporto
con la città risentono delle paure che si possono avere nel contesto in cui si vive.
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II PPRROOGGEETTTTII PPEERR IILL FFUUTTUURROO
Fermarsi o ripartire?
“Il mio futuro lo immagino in un paese o in un mondo felice” (donna intervistata
presso il CPIA). Stare in Italia o cercare altrove? Spingersi ancora oltre o non
rischiare?
Nella maggior parte dei casi la speranza in un futuro migliore è la causa principale
che spinge molte persone ad emigrare, affrontando viaggi lunghi e spesso
pericolosi per raggiungere un paese sconosciuto con la speranza di migliorare la
propria vita e quella della propria famiglia. In alcuni stati immaginare il proprio
avvenire diventa difficile, perché la maggior parte della popolazione vive nella
povertà, nella paura e senza opportunit{ di lavorare e ricevere un’istruzione
adeguata. Quando si arriva in un Paese straniero e si pensa al futuro sorgono
molte incertezze e paure; e se si domanda ad un immigrato: “Dove immagini il tuo
futuro?” o “Pensi di fermarti in Italia?” le risposte possono essere molto diverse.
La maggioranza vorrebbe restare con la famiglia in Italia (63%), altri invece sono
solo di passaggio (6% risposte no), infine il 17% è incerto, magari intende valutare le
prospettive lavorative e altri fattori personali. Lo straniero, infatti, quando inizia
27
una nuova vita lontano da casa deve affrontare innumerevoli problemi, che non
comprendono solo le difficoltà di comunicazione, di orientamento o di
progettazione del futuro, ma anche quelle di relazionarsi con persone nuove e
sentirsi parte di una nuova società.
A prima vista non si direbbe che in Italia l’integrazione sia particolarmente
difficoltoso, dal momento che gli immigrati hanno tassi di occupazione più alti
rispetto agli italiani, inoltre sono diventati una componente strutturale della forza
lavoro in alcuni settori specifici, in particolare costituiscono la manodopera per
lavori poco qualificati. Per esempio il settore dei servizi domestici (colf e badanti)
coinvolge la maggior parte delle donne. Al contrario gli immigrati altamente
qualificati (diplomati e laureati) hanno difficoltà a trovare occupazioni adeguate e
sono gli unici con tassi di occupazione più bassi dei nativi.
La recente crisi economica ha messo in difficoltà stranieri e italiani, il livello di
disoccupazione aumenta e colpisce maggiormente i meno qualificati. I principali
impieghi per gli uomini immigrati (industria, edilizia, commercio) hanno avuto cali
notevoli. Le donne, però, sono state “protette” continuando ad occuparsi dei
servizi domestici. In Italia, poi, è molto diffuso il lavoro autonomo: si tratta di
piccole o medio imprese, che anche gli immigrati costituiscono.
Generalmente gli italiani hanno più opportunità di successo, mentre gli stranieri
hanno un’imprenditoria costituita da piccole imprese, che talvolta servono a
compensare il lavoro dipendente. In generale l’opinione pubblica è spesso ostile
agli immigrati che sono stati licenziati, si parla di licenziamenti selettivi, in quanto il
mercato del lavoro è influenzato da più pregiudizi in assoluto.
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Da ospiti a cittadini
Qualora gli immigrati decidano di fermarsi nel Paese ospitante, oltre ai problemi
lavorativi vanno incontro a quelli relativi all’acquisizione della cittadinanza, rispetto
alla quale ci sono tre diversi canoni di attribuzione.
Secondo il filosofo americano Walzer [1987] tre sono le concezioni della
cittadinanza.
La prima concepisce la comunità come famiglie, diventando membri solo per
nascita o matrimonio. È la più antica e restrittiva.
La seconda li elabora come circoli o club. Si entra a far parte solo con
l’approvazione di chi è gi{ membro.
La terza si può paragonare ad un quartiere, in cui ci si può trasferire a
piacimento.
Anche se non considerati italiani, gli immigrati che risiedono da molto tempo
presentano più diritti e benefici rispetto ai nuovi arrivati, perché hanno permessi di
soggiorno più stabili. La “carta di soggiorno” si ottiene dopo cinque anni.
In Svezia dopo alcuni anni possono votare anche nelle elezioni per
l’amministrazione locale.
Secondo Walzer possiamo paragonare gli immigrati ai meteci dell’antica Atene,
ovvero di stranieri accettati perché sono lavoratori e ricoprono gli incarichi anche
più faticosi ma esclusi nelle decisioni della polis. Walzer la definisce una tirannia
dove alcuni decidono per altri. Si può anche dire che gli stranieri quando lavorano
regolarmente sul territorio possono usufruire di molti benefici; i loro figli se
nascono o vengono ammessi possono accedere all’istruzione al pari degli italiani.
29
……EE GGLLII IITTAALLIIAANNII??
“Ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati, mortificati”
(Caparezza, Vieni a ballare in Puglia)
Immigrati: problema o risorsa?
L’immigrazione rimane al centro del dibattito sociale. Non mancano gli italiani
disposti all’accoglienza, ma secondo le interviste che abbiamo fatto ad alcune
persone al Centro Sportivo Astigiano, gli immigrati rappresentano sia una risorsa
che un problema. Queste le domande che abbiamo rivolto ai frequentatori del
centro:
1. Le faccio un elenco di personaggi noti. Per ognuno mi dica se può essere definito: italiano, comunitario o
extraeuropeo: Michelle Hunziker, Mario Balotelli, Belen Rodriguez, Papa Bergoglio, Paul Pogba, Malika Ayane,
Heather Parisi.
2. Secondo Lei, c’è un’emergenza profughi/rifugiati in Italia?
3. C’è secondo Lei, una concorrenza tra italiani e immigrati nel lavoro e nell’accesso ai servizi socio-assistenziali e
sanitari?
4. Considera gli immigrati una risorsa o un problema per il nostro paese? Perché?
5. Conosce il Centro Provinciale d’Istruzione degli Adulti e i servizi che offre?
Premesso che il campione era molto esiguo, a puro titolo esemplificativo degli
atteggiamenti ambivalenti, abbiamo comunque provato a elaborare qualche dato.
Come si può vedere nel grafico sottostante ci sono state opinioni differenti che
hanno poi portato ad un risultato ripartito in modo abbastanza omogeneo.
31,25%
31,25%
37,5%
Immigrati… problema o risorsa?
Risorsa
Problema
Sia una risorsa che un problema
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Nella maggior parte dei casi gli immigrati vengono considerati una risorsa in
quanto indispensabili per svolgere attività che gli italiani spesso rifiutano.
Ritenuti invece un problema perché si teme che vengano in Italia per compiere
azioni illegali quali spaccio, rapine e stupri.
Prendendo in esame un campione ampio e significativo, la fondazione “Leone
Moressa” ha dedotto dai dati che gli italiani sono d’accordo nell’affermare che gli
stranieri occupano posizioni lavorative ormai da quest’ultimi rifiutate e che
rappresentano una forza lavoro valida. La questione che gli stranieri tolgono
lavoro agli italiani o che sono la causa principale dei problemi di sicurezza e di
ordine pubblico è infatti smentita dalla metà degli intervistati, dimostrando come
le solite affermazioni sulla presenza straniera in Italia sono per lo più dei luoghi
comuni.14
Pregiudizio, discriminazione, razzismo
La percezione dello straniero varia: infatti non tutti gli stranieri vengono
considerati allo stesso modo. Si può notare come:
Non chiamiamo immigrati gli stranieri provenienti dai paesi ricchi,
neppure i benestanti o le persone famose, provenienti da paesi poveri.
Il termine si applica solo agli stranieri residenti classificati come poveri.
Di fatto dividiamo il mondo in tre fasce: noi, i nostri amici e gli altri.15
Ad un certo punto è sicuramente più coerente il tifoso che lancia la banana al
calciatore che ha la pelle scura che non il tifoso che fin quando è al bar dice: “gli
immigrati dovrebbero tornare a casa loro”, poi quando è allo stadio e segna il gol il
14 (a cura della) Fondazione Leone Moressa , Il giudizio sugli immigrati: dagli Italiani aperture, ma con riserva (http://www.integrazionemigranti.gov.it/archiviodocumenti/integrazione/Documents/Scheda_Giudizio%20degli%20italiani%20su%20immigrazione_Moressa_2011_IT.pdf) 15 M. Ambrosini, L’immigrazione e le sue regole. Come disciplinare l’immigrazione senza diventare incivili http://www.caritasitaliana.it/materiali/convegni/34_convnaz/interventi/ambrosini.pdf)
31
giocatore svizzero e/o congolese esulta lodandolo per tutta la settimana. Per
questo abbiamo deciso di fare nelle interviste una specie di ‘gioco’, in cui si
sottoponeva all’intervistato il nome di un personaggio famoso e quest’ultimo
doveva rispondere se fosse comunitario, extracomunitario o extraeuropeo. Siamo
riusciti a notare come molti ritenevano comunitarie persone che comunitarie non
erano e extracomunitarie quelle che invece erano comunitarie. Forse è questo il
problema dell’Italia e degli italiani: finché l’immigrato fa comodo lo teniamo,
quando invece turba la nostra routine quotidiana, al semaforo o fuori dal
supermercato, dovrebbe tornare da dove è venuto.
Insomma è l’intolleranza militante, invisibile, ma violenta nelle parole e a volte
anche nei fatti a prendere il largo in Italia. In poco più di un anno, nove fra centri
profughi e future strutture di accoglienza sono stati danneggiati o distrutti da
attentati incendiari: dalla baita bruciata sulle montagne del Trentino all’auto in
fiamme lanciata contro l’ex caserma Gasparro nel rione Bisconte a Messina. In
mezzo ai due estremi, una massa di
italiani, cittadini, elettori, ha cambiato
idea e si riconosce oggi nell’identikit:
“Non sono razzista, ma...”16.
“Le parole del razzismo” più usate in Italia. Interessante carta
tematica sui processi di etichettatura17
16 F. Gatti, Non sono razzista ma.., in L’Espresso, 10/09/2015 ( http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/09/10/news/io-non-sono-razzista-ma-1.228911) 17 Così in Rete si scatena il razzismo , in L’Espresso, 28/01/2015 (http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/01/28/news/cosi-in-rete-si-scatena-il-razzismo-1.196701)
32
Il razzismo tende a intensificarsi quando in una società ci sono dei cambiamenti,
spesso a livello economico, innescando in alcuni casi la paura di essere discriminati
e in altri il desiderio di distinguersi dagli altri sentendosi superiori. Ma perché
nascono sentimenti negativi di razzismo e xenofobia? Secondo gli studiosi ci sono
vari fattori da prendere in considerazione:
Si verifica (come in Italia) un conflitto tra gli stranieri e le persone del luogo
per il lavoro che scarseggia.
Si verifica quando gli stranieri si trovano in difficoltà ad ambientarsi perché
la loro cultura è troppo diversa o in alcuni casi arretrata rispetto al paese che
li accoglie.
Si verifica quando le promesse politiche non possono essere mantenute e la
parte della società che accoglie tende al razzismo per essere più unita.
Il razzismo, poi, varia in base al periodo storico e ai fatti che accadono nel mondo.
Per esempio basta pensare all’arresto dei Marò, in quel periodo c’era un
propagarsi di razzismo nei confronti del popolo indiano; ancor più recentemente
gli attacchi terroristici di Parigi hanno innescato un odio profondo che si è
sviluppato in islamofobia, la paura degli islamici, in quanto ritenuti tutti terroristi.
L’esclusione culturale degli stranieri alla nostra educazione rischia di aumentare
pregiudizi ed emarginazioni. La tolleranza, sarà un piccolo passo verso un futuro di
convivenza multi etica imparando così a riconoscere ed accettare un altro come un
proprio simile. Alcuni immigrati hanno dimostrato di voler cambiare la propria
cultura per integrarsi in una società diversa dalla loro. Non dobbiamo dimenticarci
delle responsabilità morali e politiche del paese che accoglie gli stranieri.
33
Brevissima storia del razzismo in Italia dagli anni ’70 ad oggi
Ancora qualche considerazione sul razzismo in Italia e la sua evoluzione storica.
Secondo una ricerca di Transatlantic Trends, il 44% degli italiani ritiene che gli
immigrati siano troppi. Ma se la domanda viene fatta dopo aver svelato le cifre
reali dell’immigrazione, la stessa risposta crolla al 22%. In Svezia e in Germania, i
Paesi europei con più immigrati, la forbice fra apocalittici disinformati e scontenti
consapevoli rimane compresa fra il 17 e il 21%. Dopo i greci, gli italiani sono i più
preoccupati dalla presenza di stranieri (76%). I tedeschi si fermano al 51%, gli
svedesi al 27% .
Del resto va detto che non sempre in Italia c’è stata questa preoccupazione e
ostilità nei confronti degli stranieri, ostilità che in taluni casi sfocia in espressioni e
atti a stampo razzista fino a degenerare, nei casi più gravi, in episodi di violenza,
soprattutto nei confronti di persone facilmente individuali, per i tratti somatici,
come non italiani.
Quale considerazione degli stranieri?
In effetti si può notare come nel nostro Paese vi sia stata una evoluzione in
negativo rispetto all’approccio con gli alloctoni. Gi{ del secolo scorso in Italia sono
state condotte le prime indagini sugli atteggiamenti nei confronti
dell’immigrazione straniera: esse risalgono alla seconda met{ degli anni ’80.
34
Neutralità, riguarda gli anni ’70. Lo straniero, suscita curiosit{, ma non desta
particolare attenzione tra la popolazione, in quanto non sembra volersi
fermare a lungo.
Inconsapevolezza, prima met{ degli anni ’80. L’immigrazione non è più un
fenomeno secondario. La visione dello straniero subisce pesanti variazioni,
diventa quasi un pericolo. La conoscenza dell’importanza del fenomeno è
però ancora molto lontana.
Emergenza, inizia nel 1986 con l’approvazione della legge 943 e si conclude
all’approvazione della seconda legge di sanatoria del 1990. Le istituzioni
politiche e sociali iniziano a mobilitarsi e considerano il fenomeno migratorio
come un problema sociale. Lo straniero è percepito come un individuo che
comprometterebbe gli equilibri sociali ed economici causando invece inutili
costi economici e sociali.
Etichettamento, caratteristica degli anni ’90. La visione dello straniero si
evolve nuovamente e si trasforma da problema sociale in problema di ordine
pubblico. Diventa un essere non solo indesiderato, ma anche pericoloso;
aumenta così la distanza sociale tra italiani e stranieri immigrati.18
18 G. G. Valtolina, Le dimensioni dell’integrazione in Italia. Gli atteggiamenti degli italiani (http://www.integrazionemigranti.gov.it/ricerche/Documents/ISMU/A%20Tematica%204%20Integrazione%20Ismu.pdf)
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DDOOMMAANNDDEE SSEENNZZAA RRIISSPPOOSSTTAA
‘’Wyższą umiejętnością od rozumienia się wpół słowa jest rozumienie się wpół milczenia’’. Più grande della capacità di capirsi con mezza parola è quella di capirsi con mezzo silenzio.
Antico proverbio polacco
Abbiamo ritenuto fosse interessante fare un’analisi generale del questionario
sottoposto ai migranti che frequentano la scuola presso il CPIA e riportare alla luce
le domande che statisticamente si sono maggiormente scontrate con un “muro”
di silenzio, quelle cui i migranti hanno preferito non rispondere. Dove sono
comparsi molti spazi bianchi abbiamo cercato con le nostre interpretazioni di
capire il perché.
CCoommee ee ddoovvee iimmmmaaggiinnii iill ffuuttuurroo ddeeii ttuuooii ff iiggllii??
Mentre la maggior parte di loro risponde senza esitazione alle richieste inerenti i
dati anagrafici: sesso, stato civile, presenza di figli e quanti […], alla nostra
domanda “Dove immagini il futuro dei tuoi figli?” ecco calare il silenzio.
Il 65% preferisce non rispondere. Sappiamo che per i genitori i figli sono il bene più
prezioso da difendere. Per i migranti, in virtù della condizione precaria in cui
vivono, è difficile fare progetti realistici e guardare con relativa sicurezza al futuro.
Inoltre, una volta arrivati in Italia, ci potrebbe anche essere una visione più
realistica delle opportunità lavorative. Per cui, si dedurrebbe che molti di loro
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esitino a rispondere per incertezza, indecisione e perplessità. Il 2% sogna invece un
ritorno nella propria terra madre, la patria d’origine, spera che l{ dove ci sono le
loro radici, i figli tornino a dare continuità alle tradizioni, che non dimentichino,
insomma, la propria identità nazionale.
Il 19% guarda all’Italia, evidentemente nutre grandi aspettative nel nostro paese. Se
i migranti si sono sentiti accolti e non solo tollerati, come conferma il 73%, si
potrebbe pensare che immaginino l’Italia come un luogo possibile per la
realizzazione dei propri figli. Il 12% si augura che i rispettivi figli cerchino la serenità
laddove preferiscano, dove “si sentano felici” 19
Solo il 2% sostiene di non saperlo, per cui potremmo ricollegarci a quando già
esposto nel primo dato, per molti migranti il futuro diventa una presenza
inconoscibile e impenetrabile, elemento di fragilità che li rende indubbiamente
vulnerabili. Nel futuro ripongono le loro speranze, ma chi lo conosce davvero
questo futuro?
““CChhee ccoossaa ttii hhaa ppoorrttaattoo aadd eemmiiggrraarree?? ’’’’
Un’altra domanda “tabù” è stata la seguente: ‘‘ Che cosa ti ha portato ad
emigrare? ’’ Su questo quesito ci siamo già concentrati precedentemente per cui
non ci soffermeremo ma volevamo comunque, ancora una volta, sottolineare
l’importanza del mutismo emerso dalle risposte. Per quanto i Paesi ospitanti
19 I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane. Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo. Kahlil Gibran
37
possano offrire aiuto e prendersi cura degli immigrati adibendo luoghi specifici e
figure professionali qualificate, dando il necessario supporto per salvaguardarne la
salute psico-fisica, le esperienze precedenti dei singoli individui possono essere
segnate da eventi traumatizzanti e perciò dolorosi da riportare alla memoria.
L'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha comunicato che dall'inizio
dell'anno circa 54mila profughi sono sbarcati sulle coste italiane, provenienti da
Paesi che vivono in situazioni di emergenza da decenni, tra fame, guerre, violenze,
dittature. Ecco perché gli abitanti di queste nazioni lasciano le proprie terre,
spesso affrontando viaggi della speranza dall'esito incerto.
Se, a titolo esemplificativo, prendiamo in esame tre Stati da cui proviene una parte
dei soggetti da noi intervistati, possiamo constatare quali gravi situazioni hanno
lasciato emigrando.
In Eritrea la violazione flagrante dei diritti umani, la tortura e la schiavitù sono la
norma. "Il governo dell’Eritrea è responsabile di violazioni […] dei diritti umani che
hanno creato un clima di paura nel quale il dissenso è soffocato, una gran parte della
popolazione è sottoposta a lavori forzati e al carcere e centinaia di migliaia di
profughi sono fuggiti dal Paese": questa la descrizione che un rapporto dell'Onu
fornisce. C'è poi la questione militare. Nessuno sotto i 60 anni può avere un
passaporto, perché fino a quella soglia tutti devono assolvere il servizio militare.
Gli eritrei vengono chiamati alle armi anche prima dei 18 anni e, spesso, ci
rimangono per anni, a tempo indeterminato. Non va meglio per la libertà di
stampa. Secondo i dati di Reporters sans frontières, l'Eritrea in questa speciale
classifica si trova in una posizione peggiore persino alla Corea del Nord.
Gravi problemi anche in Somalia, da oltre due decenni ai primi posti tra le zone più
pericolose del Mondo. Più di vent'anni di guerre interne hanno portato il Paese ad
38
essere considerato uno dei peggiori dove mettere al mondo un figlio, secondo
Save the Children. Nel 1991 cade il regime di Siyaad Barre e si scatena una lotta per
il dominio della nazione; a farne le spese è la popolazione, che da allora vive una
carestia profonda. A peggiorare la situazione ci pensano gli Shebab, estremisti
islamisti legati ad Al Qaeda che dal 2006 fronteggiano gli uomini del governo. Ora il
Paese è smembrato in varie zone.
Infine il Sudan. Dal 1821 si vive con la costante presenza della guerra nei propri
confini. Basta questo per farsi un'idea del perché i sudanesi fuggano. Tra lotte
religiose, conquiste britanniche, la crisi del Darfur e la divisione dal Sud Sudan, il
Paese è dilaniato. Decenni di guerra civile hanno avuto forti conseguenze sulla
popolazione, con oltre 6 milioni di profughi. Più dell'80% dei sudanesi è sotto la
soglia di povertà e la capitale Khartoum è sovrappopolata (vi risiede il 20% della
popolazione totale dello Stato). 20
DDaallll’’aaffffiinniittàà ccuullttuurraallee uunn ttaacciittoo aaccccoorrddoo ddii ff iidduucciiaa..
Nella suddivisione dei compiti era stato stabilito che Sofia e Azza si occupassero
della somministrazione dei questionari agli studenti e studentesse del CPIA,
mentre Alessia, Michela e Inti delle interviste ad italiani a proposito della presenza
dei immigrati nel nostro Paese.
Va precisato che Azza è di origine tunisina e parla l’italiano, l’arabo e il francese.
Queste sue caratteristiche si sono rivelate una risorsa per entrare in contatto con
persone che in gran parte provengono da varie zone dell’Africa. Nel presentarsi
alle varie classi, parlando del progetto, si richiedeva ai presenti la disponibilità a
20
Fame, torture, sparizioni. Ecco da cosa scappano i profughi del Corno d'Africa, TGCOM24, 14/06/2015 (http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/fame-torture-sparizioni-ecco-da-cosa-scappano-i-profughi-del-corno-d-africa_2116553-201502a.shtml)
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collaborare, subito si è notato che gran parte dei migranti mostrava un evidente
interesse nei confronti di Azza. Nel corso degli incontri successivi, Azza veniva
accolta con un certo entusiasmo, gli allievi le rivolgevano domande direttamente
in arabo o in francese ed erano interessati alla sua storia personale. Non che
diffidassero di Sofia o le fossero ostili, tutt’altro, però preferivano rivolgersi a chi
ritenevano più vicino alle proprie esperienze di vita. Evidentemente per molti di
loro la possibilità di potersi esprimere (ed essere capiti) nella propria lingua
rappresentava un elemento rassicurante, rafforzato dalla percezione di una
maggiore affinit{ culturale e anche da caratteristiche personali dell’intervistatrice,
quali l’indole posata e riflessiva e l’aria affidabile e discreta. Tutto ciò ha fatto sì
che i migranti preferibilmente cercassero di comunicare con lei.
Questa è un’altra interessante riflessione che scaturisce della nostra esperienza
con i migranti del CPIA, esperienza che ci ha indotto a riflettere. Pensiamo infatti
che i risultati della nostra ricerca possano ritenersi abbastanza attendibili proprio
in virtù della presenza di Azza e della fiducia e del rispetto che i migranti nutrivano
nei suoi confronti, nonostante la conoscessero poco. È del resto comprensibile che
l’affinit{ culturale costituisca un “ponte” e che sovente sia di fondamentale
importanza trovare qualcuno che abbia la funzione di mediatore tra la tua cultura
e quella di arrivo, meglio ancora se quest’ultimo/a ti somiglia.
IIll ssiilleennzziioo ddeeggllii iittaalliiaannii
“No. Grazie, non mi interessa”. Alzare le mani in alto e allontanarsi, quasi si avesse
paura. Se un passante, uno sconosciuto ci rivolge una qualunque domanda, che
sia la richiesta di un'indicazione o semplicemente l'ora, sembriamo aver timore e,
in un modo o nell'altro, ci divincoliamo fingendo fretta o, appunto, disinteresse.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Qualche tempo fa non era così. Con il
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passare degli anni e l’avanzata prepotente delle tecnologie, invece di divenire più
aperti, da un punto di vista mentale, sembriamo invece essere regrediti. La nostra
società basata su un forte individualismo ci sta rendendo sempre più ottusi e
“schiavi” di noi stessi.
“Non mi interessa”: questa dunque è stata la risposta più frequente tra gli
intervistati che hanno deciso di NON condividere con noi il proprio pensiero
riguardo l'immigrazione, ma perchè tacere? Questa tematica riguarda tutti -chi più
e chi meno- sta influenzando il nostro presente e sarà determinante per il nostro
futuro.
Perché allora si sono trattenuti dal parlare? Per paura di risultare razzisti agli occhi
di un possibile spettatore o per timore di poter essere considerati ignoranti
riguardo un argomento talora considerato tabù, in quanto a rischio di risultare
poco politicamente corretti?
Circa il 20% di un campione di almeno una quindicina di persone ha deciso di non
metterci la faccia, liquidandoci con sorriso o non prestandoci attenzione. Dopo
aver ringraziato ci siamo domandati le cause di queste limitate, ma comunque
presenti reazioni: appena sentivano vaghi accenni all'immigrazione, molti
sbuffavano o alzavano gli occhi al cielo. Siamo quindi giunti alla conclusione di
pensare che fossero “stanchi” di affrontare lo stesso argomento di cui ormai tanto
si parla.
D'altro canto, invece, ci siamo trovati davanti persone che inizialmente
accettavano di sottoporsi a queste breve interviste ma che giunti alla domanda
“secondo lei gli immigrati sono una risorsa o un problema per il nostro paese?” si
bloccavano, sorridevano, molti hanno persino detto “devo rispondere?” come se
avessero timore di esporsi troppo e poter dire qualcosa di inadeguato, allora
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rimanevano nel vago, senza sbilanciarsi.
Si parla tanto, quasi quotidianamente di immigrazione e ci si lamenta
probabilmente troppo, ma nell'esatto momento in cui si concede la possibilità di
esprimere le proprie considerazioni, per poi ragionarci su e non gettare parole al
vento, si tace. Paura dei commenti altrui oppure consapevolezza di avere
un'opinione basata su idee senza solide strutture e, magari, con radici fondate su
stereotipi frutto dell'opinione comune e banali pregiudizi ripetuti senza riflettere?
UUNN’’IIPPOOTTEECCAA SSUULL FFUUTTUURROO
Concludendo, è importante sottolineare che i fenomeni analizzati nella nostra
ricerca sono da intendersi come un campione piccolo, rappresentativo di una
realtà molto più ampia e articolata. Volendo prescindere da preoccupazioni di
natura etica, un trattamento ingiusto nei confronti degli immigrati e dei loro figli
ha presto o tardi ricadute gravide di conseguenze sulla qualità della convivenza
nelle società riceventi: dà vita alle minoranze etniche. La temuta estraneità
culturale degli immigrati verso la nostra civiltà rischia allora di essere un prodotto
del pregiudizio e dell’esclusione nei confronti di chi arriva dall’esterno. Neppure
sembrano bastare valori deboli come la tolleranza. L’apertura all’Altro, la capacit{
di riconoscerlo come simile e di includerlo su un piano di parità sarà un territorio
decisivo per la costruzione del futuro di società avviate ineluttabilmente verso un
futuro di multietnicità. Vorremo però terminare con una nota di speranza. La storia
non è già scritta una volta per sempre. Tra difficoltà, delusioni e sofferenze, molti
immigrati hanno dimostrato nel passato e nel presente grande tenacia e assidua
volontà di migliorare le proprie condizioni. Non pochi ci sono riusciti21
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M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit.