LL’’IITTAALLIIAA ÈÈ CCOOMMEE LL’’OORROO47% degli immigrati, arrivata nel 2015 a contare...

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1 L L I I T T A A L L I I A A È È C C O O M M E E L L O O R R O O Alla ricerca di una vita migliore: testimonianze di migranti del CPIA Liceo “A. Monti” Asti Indirizzo Scienze Umane GRUPPO Azza Chaabani, Sara Sofia Vilardi (5 a UC) Michela Lise, Alessia Melina, Inti Sartoretto (2 a UC)

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TITOLO

““LL’’IITTAALLIIAA ÈÈ CCOOMMEE LL’’OORROO””

AAllllaa rriicceerrccaa ddii uunnaa vviittaa

mmiigglliioorree:: tteessttiimmoonniiaannzzee ddii mmiiggrraannttii ddeell CCPPIIAA

Liceo “A. Monti”

Asti Indirizzo Scienze

Umane Classi 2a e 5a UC

GGRRUUPPPPOO AAzzzzaa CChhaaaabbaannii,, SSaarraa

SSooffiiaa VViillaarrddii ((55aa UUCC))

MMiicchheellaa LLiissee,, AAlleessssiiaa MMeelliinnaa,, IInnttii SSaarrttoorreettttoo

((22aa UUCC))

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IINNDDIICCEE IIMMMMIIGGRRAAZZIIOONNII:: EEVVOOLLUUZZIIOONNEE DDEELL FFEENNOOMMEENNOO IINN PPIIEEMMOONNTTEE EE AADD AASSTTII .............. 3

IILL NNOOSSTTRROO CCAAMMPPIIOONNEE DDII RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO EE IILL CCPPIIAA DDII AASSTTII ...................................... 6

PPEERR LLAAVVOORROO,, PPEERR AAMMOORREE,, PPEERR PPAAUURRAA…… LLEE CCAAUUSSEE DDEELLLLEE MMIIGGRRAAZZIIOONNII ............. 10

LLEE AASSPPEETTTTAATTIIVVEE DDEEII MMIIGGRRAANNTTII,, IILL PPRRIIMMOO IIMMPPAATTTTOO EE LLAA RREEAALLTTAA’’ ....................... 16

LLEE MMIIGGRRAANNTTII ................................................................................................................. 18

II LLEEGGAAMMII CCOONN LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA ........................................................................................ 21

AACCCCOOGGLLIIEENNZZAA EE IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNEE ................................................................................ 24

II PPRROOGGEETTTTII PPEERR IILL FFUUTTUURROO......................................................................................... 26

……EE GGLLII IITTAALLIIAANNII?? ......................................................................................................... 29

DDOOMMAANNDDEE SSEENNZZAA RRIISSPPOOSSTTAA ...................................................................................... 35

UUNN’’IIPPOOTTEECCAA SSUULL FFUUTTUURROO ........................................................................................... 41

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QUI*

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IIMMMMIIGGRRAAZZIIOONNII:: EEVVOOLLUUZZIIOONNEE DDEELL FFEENNOOMMEENNOO IINN PPIIEEMMOONNTTEE EE AADD AASSTTII

“I fenomeni migratori ricoprono un ruolo centrale nell'analisi delle tendenze

economiche e sociali che caratterizzano un Paese come l'Italia, che si è

trasformata negli ultimi venticinque anni da paese di emigrazione in paese di

immigrazione. Per oltre un secolo l'emigrazione ha rappresentato per l'Italia un

valido strumento di riequilibrio del mercato del lavoro, poiché quote consistenti di

manodopera italiana sono state assorbite dalle economie di una molteplicità di

Paesi rendendo meno pesante il livello della disoccupazione..”1

Ora, invece, da quando si è invertita la tendenza e la nostra penisola da punto di

partenza si è trasformata in meta o passaggio di flussi migratori, occorre ragionare

sull’impatto che hanno avuto e hanno in ambito nazionale e locale.

Il Piemonte è una delle mete principali delle nuove migrazioni, nonostante non

abbia mai raggiunto i livelli della Lombardia o del Lazio. All'inizio degli anni

Novanta la scena piemontese era dominata da migranti provenienti dal Nord Africa

e dall'Europa centro-orientale; agli inizi del Duemila, invece, i flussi provenivano

soprattutto dall'Europa dell'Est e dall'America Latina. 2

La concentrazione di molte famiglie immigrate in questo territorio influenza e

modifica l'economia andando a creare un’opinione pubblica con atteggiamenti che

oscillano tra la neutralità e l’ostilità nei confronti di tale fenomeno.

Secondo studi effettuati intorno agli anni Novanta si sono arrivati a contare circa

35118 permessi di soggiorno.

In seguito, intorno al 2003-2004, sono stati presentati nuovi progetti al fine di

recuperare gli equilibri di genere, in relazione all'accrescimento dei nuclei familiari,

1 Paolo Goglia, Studio pilota sulle realtà socioculturali dei figli degli immigrati (seconda generazione) in un quartiere periferico di Roma( http://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo.jsp?id=3179)

2AA. VV ( a cura di F. Olivero) Migranti in Piemonte, Torino, PAS, 2005

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sia per ricongiungimento sia per la formazione di nuove coppie. Tra la popolazione

nativa e i nuovi arrivati, infatti, c’è una forte differenza dal punto di vista

demografico, per quanto riguarda la piramide delle età e il tasso di fecondità. A

seguito dei risultati dell'indagine ISTAT risalente al 2005 sono state fatte

comparazioni tra i cittadini italiani e gli stranieri: gli immigrati presentano una base

giovanile e forte, al contrario gli italiani presentano una quota consistente di

persone anziane. La distribuzione, inoltre, per titolo di studio smentisce l'ipotesi di

una presenza straniera caratterizzata da un livello di istruzione molto più basso

rispetto a quello della popolazione locale.3

In questi flussi migratori la componente minorile è andata man mano aumentando:

nel 1996 costituiva il 15%, mentre nel 2003 il 28%. Oltretutto alta è la percentuale di

minori non accompagnati, soprattutto marocchini e albanesi. Il censimento del

2011 ha registrato una percentuale pari al 7.8% di stranieri su tutta la popolazione. Il

fenomeno migratorio ha contrastato in parte -e continua tutt'ora- la tendenza a

una rapida trasformazione demografica che vede crescere la popolazione anziana,

poiché gli immigrati hanno incrementato la natalità nella regione.

La nostra attenzione si focalizzerà ora sulle immigrazioni che hanno reso

protagonista il territorio astigiano nel lungo lasso di tempo dagli anni Ottanta ai

giorni nostri. Il territorio ha ospitato flussi migratori molto intensi, che si sono poi

incrementatiti con il susseguirsi degli anni.

Inizialmente riguardanti le comunità africane, in particolare i marocchini e i tunisini,

e poi quelle asiatiche. Il rapporto che si venne a creare era di un immigrato ogni

dodici residenti, per un totale di 75.910 immigrati distribuiti in varie zone territoriali.

Vennero quindi edificate nuove abitazioni per accogliere intere famiglie (a volte 3La presenza degli stranieri in Piemonte: evoluzione socio demografica (www.integrazionemigranti.gov.it/archiviodocumenti/Pagine/default.aspx)

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più nuclei familiari in una sola casa) emigrate dal paese di origine alla ricerca di

lavori stabili subito dopo l'ottenimento del permesso di soggiorno.

Con l'avvento degli anni '90 le migrazioni crebbero notevolmente, coinvolgendo

popolazioni provenienti, principalmente, dal Nord Africa e dall'Asia Orientale. Il

34.4% era di origine romena, l'11.5% albanese, Il 3.3% peruviana e il 2.5% moldava.

Secondo statistiche risalenti al 2004, vi erano 3.943 stranieri e rappresentavano il

5.4% della popolazione residente. Intorno al 2004 la comunità straniera più

numerosa era quella albanese, come già verso la metà degli anni '90, pari al circa

47% degli immigrati, arrivata nel 2015 a contare 3.484 residenti su un numero totale

di 9.695 stranieri (35,94% degli stranieri), seguita da quella rumena (16,95%),

marocchina (con il 16,14%)4. La maggior parte dei migranti aveva un’et{ compresa

tra i 30-39 anni, mentre la fascia meno rappresentata era quella dai 54 anni in su.

Le percentuali dei nuovi arrivi hanno avuto oscillazioni nel corso degli anni, con

punte più alte nel 2011, 2014 e 2015. La tendenza generale è comunque la crescita

della presenza di immigrati.

4

Dati ISTAT 2015 in Statistiche Demografiche Cittadini stranieri Asti ( http://www.tuttitalia.it/piemonte/83-asti/statistiche/cittadini-

stranieri-2015/)

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IILL NNOOSSTTRROO CCAAMMPPIIOONNEE DDII RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO EE IILL CCPPIIAA DDII AASSTTII55

Il campione intervistato

Per conoscere meglio la situazione in cui si trovano i migranti arrivati ad Asti, ci

siamo rivolti al CPIA. Il campione da noi esaminato comprende 52 intervistati.

Presso l’ente gli immigrati vengono suddivisi a seconda del grado di conoscenza

della lingua italiana. Noi abbiamo scelto di intervistare i frequentati con livello di

alfabetizzazione “zero” (coloro che sono appena arrivati nel nostro Paese) e

“uno” con una discreta conoscenza della lingua. Preziosa è stata la collaborazione

del’ingegnere Giada Francia per la traduzione in inglese del questionario destinato

a coloro che avessero difficolt{ con la lettura dell’italiano. L’ing. Francia ha

studiato nel Canada anglofono e ci ha supportato nelle interviste, dato che gli

insegnanti di lingua erano impegnati nelle lezioni ordinarie. Per quanto riguarda la

lingua francese, ci ha supportato la docente del CPIA Paola Epoque, laureata in

lingue. Il livello di alfabetizzazione “zero” comprende migranti provenienti dal

Sudan, Nigeria, Chad, Afghanistan, Somalia, Senegal, Gambia, Mali, Siria. La classe

di alfabetizzazione “uno” comprende invece uomini e donne provenienti dal Mali,

Gambia, Senegal, Nigeria, Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, Begala, Eritrea,

Ucraina, Albania, Romania, Marocco. Gli immigrati liberamente e gentilmente

hanno collaborato con noi per la realizzazione delle interviste.

Che cos’è il CPIA

Il CPIA è un'istituzione scolastica pubblica del Ministero dell'Istruzione,

istituito per il life-long learning delle persone in età adulta che non hanno

assolto l'obbligo d’istruzione o che non sono in possesso del titolo di studio

conclusivo del primo ciclo di istruzione. Inoltre si rivolge a tutti coloro che

5 Le informazioni sul CPIA sono tratte dal POF dell’ente, gentilmente messo a nostra disposizione

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intendono continuare la loro formazione scolastica, professionale e personale

attraverso la frequenza a corsi di formazione di varie tipologie. In relazione alla

specificità dell'utenza, i percorsi di istruzione degli adulti sono stati organizzati in

corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana, corsi di primo livello

e alfabetizzazione funzionale.

La storia del CPIA

Il C.P.I.A. di Asti, attraverso denominazioni diverse, vanta una storia che dura da

circa vent’anni. Inizialmente si chiamava CTP “Centro Territoriale Permanente per

l’Istruzione e la Formazione in et{ adulta”, con sede nella S.M.S. “Goltieri” di Asti,

fu istituito il 20 luglio 1998 con decreto del Provveditore agli Studi di Asti. Il

“Centro Territoriale Permanente” nel 1998 operava su tutta la provincia. Per

esigenze territoriali, dall’anno scolastico 2000-2001, viene istituito il CTP di Canelli

che opera nella zona sud della Provincia di Asti. Dal primo settembre 2014 il CTP di

Asti e il CTP di Canelli confluiscono in una nuova realtà scolastica: il CPIA 1 di Asti.

La sede amministrativa del CPIA si trova ad Asti, in Piazza Leonardo da Vinci 22.

Mission del CPIA

Realizzare percorsi di istruzione di qualità, per far acquisire agli adulti e ai giovani-

adulti saperi e competenze necessarie per esercitare la cittadinanza attiva,

affrontare i cambiamenti del mercato del lavoro e integrarsi nella comunità

territoriale.

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Utenza

Possono iscriversi al CPIA:

Adulti italiani e stranieri, che non hanno assolto l’obbligo d’istruzione e che

intendono conseguire il titolo di studio conclusivo del primo ciclo d’istruzione.

Adulti italiani e stranieri, che sono in possesso del titolo di studio conclusivo

del primo ciclo d’istruzione e che debbono acquisire delle competenze di base

connesse all’obbligo di istruzione.

Adulti stranieri che intendono iscriversi ai percorsi di alfabetizzazione e ap-

prendimento della lingua italiana.

I giovani che hanno compiuto i 16 anni di età e che necessitano del titolo di

studio conclusivo del primo ciclo d’istruzione.

I detenuti presso la Casa di Reclusione di Quarto d’Asti.

Adulti italiani e stranieri che intendono continuare la loro formazione

attraverso corsi modulari brevi.

Progetti dell’anno 2015/2016

“Anche le mamma a scuola” a Mombaruzzo: Il progetto è destinato alle

donne e alle madri immigrate che frequentano il CPIA.

“Prevenzione dei fenomeni di emarginazione, devianza sociale e

dispersione scolastica”.

Progetto “Petrarca’’.

Il progetto, istituito in accordo tra Regione Piemonte e Ministero del Lavoro e

delle Politiche Sociali, è indirizzato agli adulti extracomunitari. Obiettivo del

progetto Petrarca è offrire un potenziamento linguistico, una maggiore

integrazione e accoglienza attraverso un lavoro.

Progetto “Parlando si impara’’: alfabetizzazione (quartiere Praia, Asti).

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Da quattro anni il CPIA collabora al progetto “Parlando si Impara” fornendo una

propria insegnante di italiano. Tale progetto è volto a favorire l’integrazione delle

donne maghrebine soprattutto con figli piccoli, che vivono nel quartiere Praia.

Molti altri progetti verranno integrati nel corso dell’anno scolastico e entreranno

nella stesura definitiva del PTOF.

… Altre attività offerte

Corsi di lingua straniera e di informatica

Seminari culturali

Laboratorio teatrale

Canto

Attività sportiva

I migranti

Settimanalmente arrivano, in maggior parte presso il capoluogo, numerosi

stranieri a richiedere lo studio della lingua italiana; molti sono indirizzati dalle

associazioni che li accolgono e grazie al passaparola. Le associazioni che si

occupano dell’accoglienza e i migranti accolti in Provincia sono:

Croce Rossa di Asti,

consorzio COALA/PIAM, CARITAS,

Ecomuseo Basso Monferrato, cooperativa Albero della Vita, Parrocchia

di Piea, cooperativa Leone Rosso,

Comune di Grana in appartamenti privati, cooperativa Senape,

Comunità Crescere Insieme.

530

18 Soggetti coinvolti nell’accoglienza Numero indicativo di migranti ad agosto 2015

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PPEERR LLAAVVOORROO,, PPEERR AAMMOORREE,, PPEERR PPAAUURRAA…… LLEE CCAAUUSSEE DDEELLLLEE MMIIGGRRAAZZIIOONNII

Per qualificare le persone come emigranti il trasferimento deve avvenire di norma

da un paese all’altro o da una regione all’altra sufficientemente distante e diversa,

per un tempo che abbia una durata tale da rendere implicito il “vivere” nell’altro

paese e lo svolgervi le attività della vita quotidiana (Grinberg, L. e R., 1990)6. Le

ultime tendenze confermano comunque l’inarrestabile processo, che, ben lungi dal

tendere a una stabilizzazione sul breve o sul medio periodo, è in continua, se pur

irregolare, espansione e di questo l’Italia è attualmente un testimone

“privilegiato”. 7 Secondo una classificazione generica data da Mellina (1987), la

spinta alla dislocazione può derivare da motivi di studio, da spirito di avventura, da

sfollamenti di guerra, da ragioni politiche o religiose, da inospitalità del territorio,

da miraggi di ricchezza, da tendenze erratiche, da persecuzioni etniche. Un primo

argomento di studio, nell’analisi dei movimenti migratori, riguarda la questione

delle cause che li producono e li orientano verso determinati paesi. Esistono in

proposito due prospettive sociologiche: quella macrosociologica e quella

microsociologica.

Quella macrosociologica, detta anche strutturalistica, assegna il primato alle

forze esterne (economiche, politiche, culturali…), che condizionano l’agire

degli individui.

Quella microsociologica, che parte invece dall’individuo, e lo considera un

attore razionale che assume decisioni orientate a migliorare il proprio

benessere.

I migranti si muovono per effetto dei fattori espulsivi, chiamati comunemente

6 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2011 7 (a cura della) Fondazione "Silvano Andolfi", La qualità della vita delle famiglie immigrate in Italia, 2001. Si tratta di una ricerca finanziata dal Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli Stranieri.

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fattori di spinta, operanti nei paesi d’origine, anche senza avere effettivamente

opportunità di accoglienza e di occupazione nelle aree di destinazione. Le

migrazioni sarebbero soprattutto delle emigrazioni.

Cosa ti ha portato ad emigrare?

Ma da che cosa realmente si fugge o che cosa si cerca?

Alla luce delle teorie relative alle recenti migrazioni, abbiamo cercato di

interpretare i dati rilevati dalla somministrazione di questionari presso il Centro

Provinciale Istruzione Adulti – CPIA.

Alla domanda “che cosa ti ha portato ad emigrare’’, circa il 33% si è rifiutato di

rispondere, un buon 19% ha sottolineato motivazioni lavorative, un 15%

ricongiungimenti famigliari, 13% motivi di guerra, ancora un 14% desiderio di godere

di maggiore sicurezza e un 6% problemi politici.

La domanda somministrata porta alla luce interessanti considerazioni, al di là delle

mere cifre percentuali. Il nostro quesito è molto delicato, poiché va a risvegliare

quelle motivazioni che, forse, qualcuno di loro preferirebbe dimenticare.

In effetti l’opportunit{ di rivolgere la domanda suddetta è stata oggetto di

discussione, in particolare ci era stato segnalato che era probabile incontrare un

“muro” da parte degli intervistati.

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Una sfida in cui abbiamo voluto cimentarci: un silenzio può valere più di mille

parole. Per cui siamo comunque soddisfatti dei dati raccolti. Come previsto circa

un terzo degli intervistati, non conoscendo noi -intervistatrici esterne, che per

svolgere una ricerca avevano il diritto di avere accesso alle loro storie personali- si

sono ermeticamente chiusi.

La loro fragilità è comprensibile: alcuni sono arrivati in Italia da pochi mesi, per cui

il rifiuto ad aprirsi e confidarsi è certamente naturale. Con le insegnanti, con le

quali trascorrono diverse ore nell’arco della settimana, hanno atteggiamenti di

maggiore fiducia. Hanno imparato reciprocamente a conoscersi, per cui il muro

iniziale è stato abbattuto. Ma la nostra intrusione nei loro ricordi li ha spiazzati, per

cui l’esito della domanda è quello che abbiamo illustrato.

Nonostante il silenzio da parte di alcuni, altri, forse più coraggiosi o semplicemente

da più tempo in Italia, hanno risposto permettendoci di comprendere qualcosa dei

loro vissuti.

Ricongiungimenti famigliari

Il 15%, che ha risposto di essere arrivato in Italia per potersi riunire con il marito e/o

con la famiglia, è costituito da donne le quali, dopo che i rispettivi mariti e/o un

altro membro del nucleo famigliare (in genere un familiare maschio) è arrivato nel

nostro paese, l’hanno raggiunto, sole o con i figli. Il ricongiungimento familiare

come dato è quindi anche indice di un progetto migratorio di vita condiviso

all’interno della coppia, per il conseguimento del benessere del gruppo famiglia.

Questo potrebbe farci pensare ad un maggiore attaccamento della donna ai valori

famigliari e culturali del proprio Paese. In numerose interviste del genere, l’uomo

per lo più risponde di emigrare per lavoro e la donna per il marito, il che è coerente

con l’assetto relazionale della famiglia tradizionale. Semmai la moglie modifica la

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sua percezione, per quanto riguarda il conseguimento di una vita migliore, in

funzione dei figli. Le donne rispetto agli uomini assegnano un diverso significato

alla scelta di migrare, probabilmente in virtù del loro ruolo e del valore che

rivestono nel dare continuità alla famiglia, ma il loro contributo è fondamentale nel

rafforzare la concordanza con il marito per il progetto, che li vede affrontare

insieme le difficoltà della migrazione. Molte donne, inoltre, iniziano a lavorare sul

territorio italiano, ma spesso già sono portatrici di un idea che le motiva ad

emigrare per aiutare membri della famiglia allargata rimasti in patria. Le relazioni

sociali che scavalcano le distanze istituiscono rapporti che a loro volta

rappresentano la base per la continuazione delle migrazioni attraverso il tempo,

ed eventualmente per il cambiamento nella loro composizione. L’approccio è

definito “transnazionalismo’’, qui l’accento cade sui processi mediante i quali gli

immigrati costruiscono relazioni sociali composite, che connettono le loro società

di origine e di insediamento [Basch et al. 1994; Vertovec 1999]8. Glick Schiller,

Basch e Blanc-Szanton [1992]9 sottolineano in proposito le identità culturali fluide

e molteplici che i trasmigranti tendono ad assumere, in relazione ai diversi contesti

con cui si confrontano.

Ricerca di opportunità lavorative

Il 20% parla di opportunit{ lavorative: hanno raggiunto l’Italia nella speranza di

vedersi aperte delle porte e di poter realizzare i loro sogni in campo lavorativo.

Molti di loro, nonostante fossero in possesso di titoli di studio superiori, per

esempio lauree, si sono visti negare la validità di questi attestati dalla normativa

italiana, ritrovandosi a svolgere occupazioni più modeste rispetto alle loro

8 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2011

9 Ibidem

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aspettative e alla loro qualifica. Inoltre, il drenaggio dei soggetti più istruiti e attivi

accresce il divario tra luoghi di origine e luoghi di destinazione, impoverendo i

primi delle risorse umane più valide per alimentare lo sviluppo dei secondi.

Problemi relativi al Paese di origine

La spinta migratoria dovuta a cause di guerra o per ragioni di sicurezza (13% e 14%),

evidenzia due fattori strettamente collegati. Alcuni dei soggetti che abbiamo

avuto modo di intervistare fuggono da situazioni di guerre civili, regimi oppressivi

e anche persecuzioni delle minoranze (politiche, religiose...); nel nostro caso,

abbiamo rilevato un 6% di allontanamento per motivi politici, che inducono un

numero crescente di individui a cercare con ogni mezzo di raggiungere le terre

dell’Occidente benestante e libero. Inoltre, la globalizzazione delle comunicazioni

e degli scambi incrementa i legami tra diverse aree del pianeta e favorisce le

migrazioni.

Perché hai scelto l’Italia?

Da molte risposte è emerso che diversi intervistati hanno voglia di fare esperienza

al fine di arricchire le proprie conoscenze, tanto che hanno espressamente riferito:

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“Voglio lavorare qui perché amo la cultura dell’Italia”: c’è dunque una

considerazione positiva del nostro Paese.

Diversi hanno anche vissuto in un altro paese straniero prima di raggiungere l’Italia.

Altri hanno scritto: “perché c’è la pace”; “perché gli italiani sono gentili”; “perché

l’Italia offre forme di integrazione per noi migranti”, “perché siamo vicini!”

Non dobbiamo dimenticarci di avere a che fare con delle persone sensibili, molte

delle quali soffrono per la propria condizione, per le situazioni che li hanno

costretti a lasciare la città natale, i ricordi, i sorrisi, il profumo della loro terra. Sono

venuti nel nostro paese per difendersi, paradossalmente, dalla loro stessa patria.

Quel “siamo vicini”, è una speranza velata, la fiducia che la situazione possa

migliorare e la vicinanza, li rincuora, alleviando le loro sofferenze.

Tutti, sognano una vita migliore.

Non avrai altro Dio, all’infuori di me.

Spesso mi ha fatto pensare:

genti diverse, venute dall’est

dicevan che in fondo era uguale.

Credevano a un altro diverso da te,

e non mi hanno fatto del male.

Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male. […]10

10 Fabrizio De André, Il testamento di Tito

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LLEE AASSPPEETTTTAATTIIVVEE DDEEII MMIIGGRRAANNTTII,, IILL PPRRIIMMOO IIMMPPAATTTTOO EE LLAA RREEAALLTTAA’’

QQuuaall èè ssttaattaa llaa ttuuaa pprriimmaa iimmpprreessssiioonnee aappppeennaa aarrrriivvaattoo//aa iinn IIttaalliiaa??

Quali sono le prime impressioni dei migranti appena giunti nel nostro Paese?

Abbiamo direttamente posto loro la domanda: “Qual è stata la tua prima

impressione appena arrivato/a in Italia?”

Purtroppo il 44% del totale non risponde, forse per timore di esprimere i propri

sentimenti. Sappiamo che i migranti vivono una situazione particolare, spesso di

solitudine affettiva e sociale, angoscia, tristezza, per citarne alcune. Paura. Una

condizione difficile da comprendere, anche per la persona più empatica del mondo.

Così tacciono. Ricordiamo che sulle risposte influisce la cultura di appartenenza, e

in diverse culture il dolore e la sofferenza sono espressione del mondo personale e

intimo, non accessibile dall’esterno. Un silenzio culturale.

“L’Italia è come l’oro”

Un buon 37% risponde di aver provato un senso di contentezza, di felicità.

Sicuramente perché ha riposto nel suo soggiorno in Italia la speranza di una vita

migliore, del lavoro dei proprio sogni e di una famiglia felice e soprattutto riunita.

Alcuni migranti hanno apprezzato i nostri panorami, le montagne (“Era sul piano

geografico e io vedevo che qui è pieno di montagne”) e le colline. Gli amanti della

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cultura la bellezza delle opere d’arte, le opere architettoniche e urbanistiche:

qualcuno, per esempio, ha citato Milano. Altri hanno gradito il cibo nostrano,

prediligendo in modo particolare la pizza. L’11% sottolinea la propria fiducia (“la

prima impressione è che avremo avuto tutti lo stesso modo di vivere”) e speranza

riposta in un futuro più fortunato, ricollegandoci con quanto detto sopra, i

migranti che accogliamo hanno un grande desiderio: quello di avere un buon posto

di lavoro e una famiglia. Ecco cosa suscita in loro l’Italia: speranza.

‘‘l’Italia è bella per gli italiani’’

Il 6% sostiene di aver provato un forte senso di smarrimento. E’ indubbio che le

difficoltà aumentano quanto più ci si sente lontani e sradicati dal proprio Paese e si

vive con grande intensità quello che viene descritto come “lutto migratorio”, un

sentimento di forte nostalgia per ciò che si è lasciato alle spalle: si vive una

condizione di solitudine nel Paese di accoglienza. È emerso da parte di alcuni il

timore nei confronti della lingua che dovranno imparare, ma che al momento

conoscono molto poco. La lingua, veicolo delle necessità, dei bisogni, dei

sentimenti, di espressione della propria intimità, è una risorsa di cui si sentono

privati e questo li spaventa.

Un immigrato ha scritto sinceramente: ‘‘l’Italia è bella per gli italiani’’.

L’integrazione non è certo un processo facile e spesso le aspettative vengono

deluse. Ovviamente in questo processo è di fondamentale importanza l’intervento

delle istituzioni, che, in funzione dei loro ruoli, potranno offrire servizi per favorire

la piena inclusione dei nuovi italiani. Con la medesima sincerità, un altro migrante

ha espresso il suo disappunto: ‘‘Ma l’Italia è piena di stranieri arabi!’’. Certamente

l’Italia ospita una pluralit{ di culture e etnie, ma suona strana un’affermazione del

genere, proprio sulla bocca di persone che condividono la medesima situazione.

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LLEE MMIIGGRRAANNTTII

Dalle rilevazioni del questionario sottoposto ai frequentanti il CPIA, si può notare

che gli uomini (63%) sono in maggioranza e che, nonostante ciò, le donne (37%)

siano già una percentuale alta rispetto a studi di ben altra ampiezza.

Insomma si conferma almeno in parte una costante. La storia delle migrazioni,

infatti, ha avuto spesso come protagonisti uomini alla ricerca di un futuro migliore

lontano dal paese di origine. Alla domanda perché abbiano scelto l’Italia, alcune

donne hanno risposto “perché mio marito è in Italia”, “è stata una scelta di mio

marito”, “ha scelto mio marito perché lui abita qui”.

“È stata una scelta di mio marito”

L’immigrazione delle donne, dunque, può essere motivata dal ricongiungimento

come mogli al seguito di mariti primo-migranti. I mariti partecipano alla società,

mediante il lavoro e la conoscenza della lingua, mentre le mogli rimarrebbero

chiuse fra le mura domestiche, penalizzate dalla scarsa conoscenza della lingua,

dalla presenza di figli piccoli e da forme culturali di auto-segregazione. Dal punto di

vista delle politiche migratorie, i ricongiungimenti famigliari sono un costo. Le

politiche degli stati riceventi hanno sempre oscillato tra atteggiamenti più liberali,

sensibili e impostazioni restrittive. Secondo l’analisi sociologica delle fasi

dell’insediamento di popolazioni immigrate risulta che normalmente emigrano per

primi i giovani adulti soli, che si presentano come lavoranti, poi prolungano il

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soggiorno, si formano le reti migratorie e cominciano ad arrivare i congiunti.

Questo è un processo che va di pari passo con l’integrazione sociale sempre

maggiore nella società ricevente.

Studi e cenni storici sulla migrazione femminile

I primi studi statunitensi sulla migrazione femminile risalgono al ventesimo secolo

e hanno fornito l’immagine di una donna arretrata, dipendente dalla tradizione.

In Europa fino al 1970 non si era preso in considerazione il fenomeno della

migrazione femminile. Solo dagli anni Settanta si iniziano a pubblicare studi sulle

donne immigrate, da cui emerge l’esclusione e la marginalizzazione che le donne

migranti vivono in quanto tali, ma anche la loro capacità di risparmio, di invio delle

rimesse e la loro forte presenza nel lavoro domestico. Secondo il rapporto UNFPA

inviano alla famiglia rimasta in patria gran parte delle rimesse, più degli uomini.

La scelta di partire per lavoro ha incominciato a interessare anche quelle donne

che sono arrivate in Italia dagli anni ‘70 mediante le domande e le offerte di lavoro

presso le famiglie come collaboratrici domestiche, poiché è una mansione che non

necessita di specifici titoli di studio11. Lasciano alle loro spalle la terra d’origine, le

famiglie e decidono di partire con coraggio per affrontare il proprio destino.

Tuttavia non si distaccano del tutto dalle proprie terre d’origine in quanto man

mano che aumenta la permanenza aumenta anche la nostalgia e ci ritornano non

appena ne hanno la possibilità. La donna migrante si ritrova a vivere una situazione

rischiosa rispetto agli uomini in quanto può essere soggetta a violenze.

Colf e badanti

Molto spesso le immigrate diventano collaboratrici domestiche o assistono le

persone anziane. In passato erano le ragazze della campagna italiana a lavorare al 11 N. Bonora, Donne migranti, protagoniste attive nei processi di trasformazione, in Ricerche di Pedagogia e Didattica. Pedagogia di Genere, 6,1 2011

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servizio delle famiglie italiane. Gli italiani scelgono di offrire questo lavoro poiché

sono avvenuti dei cambiamenti all’interno delle famiglie, quali la disgregazione e la

perdita della rete parentale, ma soprattutto l’emancipazione della donna che ne

ha cambiato il ruolo all’interno della società. Un altro fattore che ha inciso molto è

il processo di invecchiamento che aumenta il numero di famiglie con almeno una

persona anziana. Le donne straniere, dunque, si inseriscono in un settore

lavorativo per cui le donne italiane sono sempre meno disponibili. Questo tipo di

lavoro, però, è privo di garanzie e dei diritti fondamentali dei lavoratori come il

rispetto degli orari di lavoro e del giorno di riposo. A peggiorare la situazione è il

lavoro nero, molto diffuso nella fase iniziale, in quanto la regolarizzazione della

colf avviene solo quando entrambe le parti entrano in confidenza e sono giunte ad

un accordo sulle forme del contratto. Sovente questo non avviene e quindi

prevalgono la precarietà e lo sfruttamento che si aggiungono alla difficile

situazione di straniere. Queste donne, indispensabili alle famiglie italiane, devono

comunque accontentarsi di un lavoro che spesso non equivale al proprio grado

d’istruzione12.

Altro tema fondamentale per le donne migranti è il legame con la terra d’origine,

mantenuto sia attraverso attività per far conoscere la loro cultura sia nei loro paesi

con attività di sostegno. Queste attività avvengono grazie a delle associazioni, che,

dunque, diventano il luogo della socializzazione e della solidarietà.

L’associazionismo interculturale è l’occasione per le donne di mantenere legami

con il paese d’origine, di uscire dall’isolamento, e di abbandonare ruoli rigidi che

stanno loro stretti.

12 Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, La famiglia nell’ immigrazione: condizioni di vita e culture a confronto. Documenti n.31, Roma, 2004

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II LLEEGGAAMMII CCOONN LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA

Considerazioni generali e studi nazionali

Giovanni Giolitti, commentava così il fenomeno dell’emigrazione: “… la vita in

alcune zone d’Italia è diventata così dura da indurre gli abitanti ad affrontare

qualsiasi rischio piuttosto che rimanere nella condizione in cui si trovano”.

A distanza di tanto tempo il fenomeno migratorio è sempre di attualità, ma sono

cambiati i soggetti protagonisti. Attualmente potremmo usare questa frase per i

nuovi flussi di migranti che lasciano la terra nativa per raggiungere l’Italia,

rischiando la loro vita e quella dei loro figli, nell’attraversare il mare.

“Quando parliamo di famiglia immigrata, definiamo dei campi spazio-temporali

significativi: da un lato quello dell’immigrazione che è per definizione quello delle

fratture e dell’allontanamento, dall’altro quello della famiglia, per definizione quello

delle continuità e dei legami”. (Bensalah; 1984). Insomma, la famiglia che emigra è

sottomessa alle esigenze di due societ{: quella d’origine e quella d’accoglienza.

Quando si parla di immigrazione, uno degli aspetti importanti e da prendere in

considerazione è costituito dai legami con la famiglia di origine e se questi

vengono mantenuti anche quando si è distanti. Tra i molteplici stereotipi che si

attribuiscono agli immigrati, uno è quello di considerarli come soggetti privi di

legami con la famiglia, indipendenti e che seguono da soli il loro percorso.

Una questione molto importante da considerare è infatti l’opinione di tutti i

membri della famiglia sull’ipotesi di andar via. Chi decide di partire è spesso

sostenuto da parenti e amici. Nello studio del CNEL, un marito etiope, a proposito

della spinta e dell’aiuto dei familiari per quanto riguarda la decisione di partire, dice:

“non lo sento come peso, ma un senso di appartenenza alla mia famiglia, una parte

della mia persona”.

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Un marito marocchino ricordando i legami genitoriali si esprime così: “Io penso che

i genitori sono la base e senza la base come fa un albero? Non può vivere.”

L’emigrante si trova a confrontare due modelli familiari (quello d’origine e quello

del paese accogliente) “C’è meno rispetto per la famiglia, per gli anziani, e questo è

ciò che si nota di più: l’anziano da noi è il saggio, qui è solo un anziano. Qui si vede

subito. La famiglia unita sembra qualcosa di speciale, qui la famiglia non ha più valori

e noi vorremmo dare qualcosa di più ai nostri figli” (marito algerino)13

Hai contatti con i tuoi parenti?

Passando al campione di indagine del CPIA e analizzando il grafico prodotto dal

questionario d’indagine si può dedurre che la maggior parte delle persone (31%) è

in contatto con la propria famiglia settimanalmente, mente un 2% ha contatti con i

parenti annualmente e un altro 2% vive con la famiglia d’origine.

Un dato molto significativo (23%) rappresenta le persone che non si mettono mai

in contatto con i propri cari. Questa risposta potrebbe dar luogo almeno a due

13 Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, La famiglia nell’ immigrazione: condizioni di vita e culture a confronto. Documenti n.31, Roma, 2004

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interpretazioni: le condizioni politiche, la guerra, rendono difficilissime le

comunicazioni, altre volte gli stranieri fuggono dalla loro terra nativa, perché in

alcuni casi sono proprio i parenti che rappresentano un freno alle loro aspirazioni.

Si tratta quasi sempre di persone giovani con una visione più ampia e

all’avanguardia in contrasto con gli ideali conservatori e talvolta considerati

arretrati del loro Paese.

Attraverso quali mezzi?

Nei rapporti tra persone lontane i mezzi di comunicazione sono fondamentali. Da

un altro grafico è emerso che il telefono è il più usato, seguito poi da internet.

Per chi lascia la propria terra, spinto dai vari bisogni di sopravvivenza o di

miglioramento economico, è fondamentale mantenere contatti con la propria

famiglia, telefonando spesso e compiendo, se possibile, viaggi.

Infatti tra le risposte qualcuno afferma “Io li chiamo tutti i momenti” o “Tutti i

giorni”, invece chi può preferisce incontrare fisicamente i propri familiari per

mantenere i legami: “Vado in Albania una volta all'anno”.

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AACCCCOOGGLLIIEENNZZAA EE IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNEE

Abbiamo poi chiesto ai frequentanti il CPIA quali sono state le difficoltà che hanno

incontrato al loro arrivo in Italia e se fossero soddisfatti dell'accoglienza.

La maggior parte degli intervistati è felice di essere in Italia: 28 rispondono di

essere molto felici e c’è manifesta soddisfazione per l’accoglienza (38)

Al dato numerico bisogna accompagnare un’osservazione: c’è differenza nelle

risposte tra gli individui che sono da meno tempo in Italia, e che tendono a dare

una risposta sempre positiva, rispetto agli altri che iniziano a vedere con maggior

chiarezza le difficoltà dopo l’impatto iniziale. Inoltre dopo un soggiorno più lungo

la maggior parte dei soggetti risponde in modo sicuro e idee chiare. Più del 50%,

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forse proprio a seguito dell’accoglienza ricevuta, pensa di fermarsi in Italia,

nonostante il nostro sia spesso considerato un Paese di solo transito.

Le motivazioni che spingono i soggetti intervistati a rimanere in Italia sono il lavoro

(soprattutto gli uomini), la presenza della famiglia, indicata prevalentemente dalle

donne, la speranza di una vita migliore.

Anche l’uso del tempo libero è un indicatore del livello di integrazione. I dati

raccolti ci fanno riflettere sulla qualità della vita delle persone che abbiamo

incontrato. La maggior parte degli intervistati dichiara che da quando è in Italia ha

avuto troppo tempo libero che passa per lo più in casa davanti al televisore o a

studiare la lingua italiana. Raramente escono per incontrare amici, all'inizio solo

connazionali, con il tempo anche italiani. Un elemento che ci pare significativo

sottolineare: quando trovano lavoro c’è una certa difficoltà ad adeguarsi ad un

ritmo da molti definito veloce, assolutamente nuovo per chi arriva da realtà dove i

ritmi seguono maggiormente i cicli circadiani, tanto da essere uno dei motivi di

cambiamento di vita da quando sono qui. Infine le relazioni sociali ed il rapporto

con la città risentono delle paure che si possono avere nel contesto in cui si vive.

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II PPRROOGGEETTTTII PPEERR IILL FFUUTTUURROO

Fermarsi o ripartire?

“Il mio futuro lo immagino in un paese o in un mondo felice” (donna intervistata

presso il CPIA). Stare in Italia o cercare altrove? Spingersi ancora oltre o non

rischiare?

Nella maggior parte dei casi la speranza in un futuro migliore è la causa principale

che spinge molte persone ad emigrare, affrontando viaggi lunghi e spesso

pericolosi per raggiungere un paese sconosciuto con la speranza di migliorare la

propria vita e quella della propria famiglia. In alcuni stati immaginare il proprio

avvenire diventa difficile, perché la maggior parte della popolazione vive nella

povertà, nella paura e senza opportunit{ di lavorare e ricevere un’istruzione

adeguata. Quando si arriva in un Paese straniero e si pensa al futuro sorgono

molte incertezze e paure; e se si domanda ad un immigrato: “Dove immagini il tuo

futuro?” o “Pensi di fermarti in Italia?” le risposte possono essere molto diverse.

La maggioranza vorrebbe restare con la famiglia in Italia (63%), altri invece sono

solo di passaggio (6% risposte no), infine il 17% è incerto, magari intende valutare le

prospettive lavorative e altri fattori personali. Lo straniero, infatti, quando inizia

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una nuova vita lontano da casa deve affrontare innumerevoli problemi, che non

comprendono solo le difficoltà di comunicazione, di orientamento o di

progettazione del futuro, ma anche quelle di relazionarsi con persone nuove e

sentirsi parte di una nuova società.

A prima vista non si direbbe che in Italia l’integrazione sia particolarmente

difficoltoso, dal momento che gli immigrati hanno tassi di occupazione più alti

rispetto agli italiani, inoltre sono diventati una componente strutturale della forza

lavoro in alcuni settori specifici, in particolare costituiscono la manodopera per

lavori poco qualificati. Per esempio il settore dei servizi domestici (colf e badanti)

coinvolge la maggior parte delle donne. Al contrario gli immigrati altamente

qualificati (diplomati e laureati) hanno difficoltà a trovare occupazioni adeguate e

sono gli unici con tassi di occupazione più bassi dei nativi.

La recente crisi economica ha messo in difficoltà stranieri e italiani, il livello di

disoccupazione aumenta e colpisce maggiormente i meno qualificati. I principali

impieghi per gli uomini immigrati (industria, edilizia, commercio) hanno avuto cali

notevoli. Le donne, però, sono state “protette” continuando ad occuparsi dei

servizi domestici. In Italia, poi, è molto diffuso il lavoro autonomo: si tratta di

piccole o medio imprese, che anche gli immigrati costituiscono.

Generalmente gli italiani hanno più opportunità di successo, mentre gli stranieri

hanno un’imprenditoria costituita da piccole imprese, che talvolta servono a

compensare il lavoro dipendente. In generale l’opinione pubblica è spesso ostile

agli immigrati che sono stati licenziati, si parla di licenziamenti selettivi, in quanto il

mercato del lavoro è influenzato da più pregiudizi in assoluto.

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Da ospiti a cittadini

Qualora gli immigrati decidano di fermarsi nel Paese ospitante, oltre ai problemi

lavorativi vanno incontro a quelli relativi all’acquisizione della cittadinanza, rispetto

alla quale ci sono tre diversi canoni di attribuzione.

Secondo il filosofo americano Walzer [1987] tre sono le concezioni della

cittadinanza.

La prima concepisce la comunità come famiglie, diventando membri solo per

nascita o matrimonio. È la più antica e restrittiva.

La seconda li elabora come circoli o club. Si entra a far parte solo con

l’approvazione di chi è gi{ membro.

La terza si può paragonare ad un quartiere, in cui ci si può trasferire a

piacimento.

Anche se non considerati italiani, gli immigrati che risiedono da molto tempo

presentano più diritti e benefici rispetto ai nuovi arrivati, perché hanno permessi di

soggiorno più stabili. La “carta di soggiorno” si ottiene dopo cinque anni.

In Svezia dopo alcuni anni possono votare anche nelle elezioni per

l’amministrazione locale.

Secondo Walzer possiamo paragonare gli immigrati ai meteci dell’antica Atene,

ovvero di stranieri accettati perché sono lavoratori e ricoprono gli incarichi anche

più faticosi ma esclusi nelle decisioni della polis. Walzer la definisce una tirannia

dove alcuni decidono per altri. Si può anche dire che gli stranieri quando lavorano

regolarmente sul territorio possono usufruire di molti benefici; i loro figli se

nascono o vengono ammessi possono accedere all’istruzione al pari degli italiani.

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……EE GGLLII IITTAALLIIAANNII??

“Ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati, mortificati”

(Caparezza, Vieni a ballare in Puglia)

Immigrati: problema o risorsa?

L’immigrazione rimane al centro del dibattito sociale. Non mancano gli italiani

disposti all’accoglienza, ma secondo le interviste che abbiamo fatto ad alcune

persone al Centro Sportivo Astigiano, gli immigrati rappresentano sia una risorsa

che un problema. Queste le domande che abbiamo rivolto ai frequentatori del

centro:

1. Le faccio un elenco di personaggi noti. Per ognuno mi dica se può essere definito: italiano, comunitario o

extraeuropeo: Michelle Hunziker, Mario Balotelli, Belen Rodriguez, Papa Bergoglio, Paul Pogba, Malika Ayane,

Heather Parisi.

2. Secondo Lei, c’è un’emergenza profughi/rifugiati in Italia?

3. C’è secondo Lei, una concorrenza tra italiani e immigrati nel lavoro e nell’accesso ai servizi socio-assistenziali e

sanitari?

4. Considera gli immigrati una risorsa o un problema per il nostro paese? Perché?

5. Conosce il Centro Provinciale d’Istruzione degli Adulti e i servizi che offre?

Premesso che il campione era molto esiguo, a puro titolo esemplificativo degli

atteggiamenti ambivalenti, abbiamo comunque provato a elaborare qualche dato.

Come si può vedere nel grafico sottostante ci sono state opinioni differenti che

hanno poi portato ad un risultato ripartito in modo abbastanza omogeneo.

31,25%

31,25%

37,5%

Immigrati… problema o risorsa?

Risorsa

Problema

Sia una risorsa che un problema

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Nella maggior parte dei casi gli immigrati vengono considerati una risorsa in

quanto indispensabili per svolgere attività che gli italiani spesso rifiutano.

Ritenuti invece un problema perché si teme che vengano in Italia per compiere

azioni illegali quali spaccio, rapine e stupri.

Prendendo in esame un campione ampio e significativo, la fondazione “Leone

Moressa” ha dedotto dai dati che gli italiani sono d’accordo nell’affermare che gli

stranieri occupano posizioni lavorative ormai da quest’ultimi rifiutate e che

rappresentano una forza lavoro valida. La questione che gli stranieri tolgono

lavoro agli italiani o che sono la causa principale dei problemi di sicurezza e di

ordine pubblico è infatti smentita dalla metà degli intervistati, dimostrando come

le solite affermazioni sulla presenza straniera in Italia sono per lo più dei luoghi

comuni.14

Pregiudizio, discriminazione, razzismo

La percezione dello straniero varia: infatti non tutti gli stranieri vengono

considerati allo stesso modo. Si può notare come:

Non chiamiamo immigrati gli stranieri provenienti dai paesi ricchi,

neppure i benestanti o le persone famose, provenienti da paesi poveri.

Il termine si applica solo agli stranieri residenti classificati come poveri.

Di fatto dividiamo il mondo in tre fasce: noi, i nostri amici e gli altri.15

Ad un certo punto è sicuramente più coerente il tifoso che lancia la banana al

calciatore che ha la pelle scura che non il tifoso che fin quando è al bar dice: “gli

immigrati dovrebbero tornare a casa loro”, poi quando è allo stadio e segna il gol il

14 (a cura della) Fondazione Leone Moressa , Il giudizio sugli immigrati: dagli Italiani aperture, ma con riserva (http://www.integrazionemigranti.gov.it/archiviodocumenti/integrazione/Documents/Scheda_Giudizio%20degli%20italiani%20su%20immigrazione_Moressa_2011_IT.pdf) 15 M. Ambrosini, L’immigrazione e le sue regole. Come disciplinare l’immigrazione senza diventare incivili http://www.caritasitaliana.it/materiali/convegni/34_convnaz/interventi/ambrosini.pdf)

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giocatore svizzero e/o congolese esulta lodandolo per tutta la settimana. Per

questo abbiamo deciso di fare nelle interviste una specie di ‘gioco’, in cui si

sottoponeva all’intervistato il nome di un personaggio famoso e quest’ultimo

doveva rispondere se fosse comunitario, extracomunitario o extraeuropeo. Siamo

riusciti a notare come molti ritenevano comunitarie persone che comunitarie non

erano e extracomunitarie quelle che invece erano comunitarie. Forse è questo il

problema dell’Italia e degli italiani: finché l’immigrato fa comodo lo teniamo,

quando invece turba la nostra routine quotidiana, al semaforo o fuori dal

supermercato, dovrebbe tornare da dove è venuto.

Insomma è l’intolleranza militante, invisibile, ma violenta nelle parole e a volte

anche nei fatti a prendere il largo in Italia. In poco più di un anno, nove fra centri

profughi e future strutture di accoglienza sono stati danneggiati o distrutti da

attentati incendiari: dalla baita bruciata sulle montagne del Trentino all’auto in

fiamme lanciata contro l’ex caserma Gasparro nel rione Bisconte a Messina. In

mezzo ai due estremi, una massa di

italiani, cittadini, elettori, ha cambiato

idea e si riconosce oggi nell’identikit:

“Non sono razzista, ma...”16.

“Le parole del razzismo” più usate in Italia. Interessante carta

tematica sui processi di etichettatura17

16 F. Gatti, Non sono razzista ma.., in L’Espresso, 10/09/2015 ( http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/09/10/news/io-non-sono-razzista-ma-1.228911) 17 Così in Rete si scatena il razzismo , in L’Espresso, 28/01/2015 (http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/01/28/news/cosi-in-rete-si-scatena-il-razzismo-1.196701)

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Il razzismo tende a intensificarsi quando in una società ci sono dei cambiamenti,

spesso a livello economico, innescando in alcuni casi la paura di essere discriminati

e in altri il desiderio di distinguersi dagli altri sentendosi superiori. Ma perché

nascono sentimenti negativi di razzismo e xenofobia? Secondo gli studiosi ci sono

vari fattori da prendere in considerazione:

Si verifica (come in Italia) un conflitto tra gli stranieri e le persone del luogo

per il lavoro che scarseggia.

Si verifica quando gli stranieri si trovano in difficoltà ad ambientarsi perché

la loro cultura è troppo diversa o in alcuni casi arretrata rispetto al paese che

li accoglie.

Si verifica quando le promesse politiche non possono essere mantenute e la

parte della società che accoglie tende al razzismo per essere più unita.

Il razzismo, poi, varia in base al periodo storico e ai fatti che accadono nel mondo.

Per esempio basta pensare all’arresto dei Marò, in quel periodo c’era un

propagarsi di razzismo nei confronti del popolo indiano; ancor più recentemente

gli attacchi terroristici di Parigi hanno innescato un odio profondo che si è

sviluppato in islamofobia, la paura degli islamici, in quanto ritenuti tutti terroristi.

L’esclusione culturale degli stranieri alla nostra educazione rischia di aumentare

pregiudizi ed emarginazioni. La tolleranza, sarà un piccolo passo verso un futuro di

convivenza multi etica imparando così a riconoscere ed accettare un altro come un

proprio simile. Alcuni immigrati hanno dimostrato di voler cambiare la propria

cultura per integrarsi in una società diversa dalla loro. Non dobbiamo dimenticarci

delle responsabilità morali e politiche del paese che accoglie gli stranieri.

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Brevissima storia del razzismo in Italia dagli anni ’70 ad oggi

Ancora qualche considerazione sul razzismo in Italia e la sua evoluzione storica.

Secondo una ricerca di Transatlantic Trends, il 44% degli italiani ritiene che gli

immigrati siano troppi. Ma se la domanda viene fatta dopo aver svelato le cifre

reali dell’immigrazione, la stessa risposta crolla al 22%. In Svezia e in Germania, i

Paesi europei con più immigrati, la forbice fra apocalittici disinformati e scontenti

consapevoli rimane compresa fra il 17 e il 21%. Dopo i greci, gli italiani sono i più

preoccupati dalla presenza di stranieri (76%). I tedeschi si fermano al 51%, gli

svedesi al 27% .

Del resto va detto che non sempre in Italia c’è stata questa preoccupazione e

ostilità nei confronti degli stranieri, ostilità che in taluni casi sfocia in espressioni e

atti a stampo razzista fino a degenerare, nei casi più gravi, in episodi di violenza,

soprattutto nei confronti di persone facilmente individuali, per i tratti somatici,

come non italiani.

Quale considerazione degli stranieri?

In effetti si può notare come nel nostro Paese vi sia stata una evoluzione in

negativo rispetto all’approccio con gli alloctoni. Gi{ del secolo scorso in Italia sono

state condotte le prime indagini sugli atteggiamenti nei confronti

dell’immigrazione straniera: esse risalgono alla seconda met{ degli anni ’80.

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Neutralità, riguarda gli anni ’70. Lo straniero, suscita curiosit{, ma non desta

particolare attenzione tra la popolazione, in quanto non sembra volersi

fermare a lungo.

Inconsapevolezza, prima met{ degli anni ’80. L’immigrazione non è più un

fenomeno secondario. La visione dello straniero subisce pesanti variazioni,

diventa quasi un pericolo. La conoscenza dell’importanza del fenomeno è

però ancora molto lontana.

Emergenza, inizia nel 1986 con l’approvazione della legge 943 e si conclude

all’approvazione della seconda legge di sanatoria del 1990. Le istituzioni

politiche e sociali iniziano a mobilitarsi e considerano il fenomeno migratorio

come un problema sociale. Lo straniero è percepito come un individuo che

comprometterebbe gli equilibri sociali ed economici causando invece inutili

costi economici e sociali.

Etichettamento, caratteristica degli anni ’90. La visione dello straniero si

evolve nuovamente e si trasforma da problema sociale in problema di ordine

pubblico. Diventa un essere non solo indesiderato, ma anche pericoloso;

aumenta così la distanza sociale tra italiani e stranieri immigrati.18

18 G. G. Valtolina, Le dimensioni dell’integrazione in Italia. Gli atteggiamenti degli italiani (http://www.integrazionemigranti.gov.it/ricerche/Documents/ISMU/A%20Tematica%204%20Integrazione%20Ismu.pdf)

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DDOOMMAANNDDEE SSEENNZZAA RRIISSPPOOSSTTAA

‘’Wyższą umiejętnością od rozumienia się wpół słowa jest rozumienie się wpół milczenia’’. Più grande della capacità di capirsi con mezza parola è quella di capirsi con mezzo silenzio.

Antico proverbio polacco

Abbiamo ritenuto fosse interessante fare un’analisi generale del questionario

sottoposto ai migranti che frequentano la scuola presso il CPIA e riportare alla luce

le domande che statisticamente si sono maggiormente scontrate con un “muro”

di silenzio, quelle cui i migranti hanno preferito non rispondere. Dove sono

comparsi molti spazi bianchi abbiamo cercato con le nostre interpretazioni di

capire il perché.

CCoommee ee ddoovvee iimmmmaaggiinnii iill ffuuttuurroo ddeeii ttuuooii ff iiggllii??

Mentre la maggior parte di loro risponde senza esitazione alle richieste inerenti i

dati anagrafici: sesso, stato civile, presenza di figli e quanti […], alla nostra

domanda “Dove immagini il futuro dei tuoi figli?” ecco calare il silenzio.

Il 65% preferisce non rispondere. Sappiamo che per i genitori i figli sono il bene più

prezioso da difendere. Per i migranti, in virtù della condizione precaria in cui

vivono, è difficile fare progetti realistici e guardare con relativa sicurezza al futuro.

Inoltre, una volta arrivati in Italia, ci potrebbe anche essere una visione più

realistica delle opportunità lavorative. Per cui, si dedurrebbe che molti di loro

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esitino a rispondere per incertezza, indecisione e perplessità. Il 2% sogna invece un

ritorno nella propria terra madre, la patria d’origine, spera che l{ dove ci sono le

loro radici, i figli tornino a dare continuità alle tradizioni, che non dimentichino,

insomma, la propria identità nazionale.

Il 19% guarda all’Italia, evidentemente nutre grandi aspettative nel nostro paese. Se

i migranti si sono sentiti accolti e non solo tollerati, come conferma il 73%, si

potrebbe pensare che immaginino l’Italia come un luogo possibile per la

realizzazione dei propri figli. Il 12% si augura che i rispettivi figli cerchino la serenità

laddove preferiscano, dove “si sentano felici” 19

Solo il 2% sostiene di non saperlo, per cui potremmo ricollegarci a quando già

esposto nel primo dato, per molti migranti il futuro diventa una presenza

inconoscibile e impenetrabile, elemento di fragilità che li rende indubbiamente

vulnerabili. Nel futuro ripongono le loro speranze, ma chi lo conosce davvero

questo futuro?

““CChhee ccoossaa ttii hhaa ppoorrttaattoo aadd eemmiiggrraarree?? ’’’’

Un’altra domanda “tabù” è stata la seguente: ‘‘ Che cosa ti ha portato ad

emigrare? ’’ Su questo quesito ci siamo già concentrati precedentemente per cui

non ci soffermeremo ma volevamo comunque, ancora una volta, sottolineare

l’importanza del mutismo emerso dalle risposte. Per quanto i Paesi ospitanti

19 I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane. Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo. Kahlil Gibran

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possano offrire aiuto e prendersi cura degli immigrati adibendo luoghi specifici e

figure professionali qualificate, dando il necessario supporto per salvaguardarne la

salute psico-fisica, le esperienze precedenti dei singoli individui possono essere

segnate da eventi traumatizzanti e perciò dolorosi da riportare alla memoria.

L'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha comunicato che dall'inizio

dell'anno circa 54mila profughi sono sbarcati sulle coste italiane, provenienti da

Paesi che vivono in situazioni di emergenza da decenni, tra fame, guerre, violenze,

dittature. Ecco perché gli abitanti di queste nazioni lasciano le proprie terre,

spesso affrontando viaggi della speranza dall'esito incerto.

Se, a titolo esemplificativo, prendiamo in esame tre Stati da cui proviene una parte

dei soggetti da noi intervistati, possiamo constatare quali gravi situazioni hanno

lasciato emigrando.

In Eritrea la violazione flagrante dei diritti umani, la tortura e la schiavitù sono la

norma. "Il governo dell’Eritrea è responsabile di violazioni […] dei diritti umani che

hanno creato un clima di paura nel quale il dissenso è soffocato, una gran parte della

popolazione è sottoposta a lavori forzati e al carcere e centinaia di migliaia di

profughi sono fuggiti dal Paese": questa la descrizione che un rapporto dell'Onu

fornisce. C'è poi la questione militare. Nessuno sotto i 60 anni può avere un

passaporto, perché fino a quella soglia tutti devono assolvere il servizio militare.

Gli eritrei vengono chiamati alle armi anche prima dei 18 anni e, spesso, ci

rimangono per anni, a tempo indeterminato. Non va meglio per la libertà di

stampa. Secondo i dati di Reporters sans frontières, l'Eritrea in questa speciale

classifica si trova in una posizione peggiore persino alla Corea del Nord.

Gravi problemi anche in Somalia, da oltre due decenni ai primi posti tra le zone più

pericolose del Mondo. Più di vent'anni di guerre interne hanno portato il Paese ad

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essere considerato uno dei peggiori dove mettere al mondo un figlio, secondo

Save the Children. Nel 1991 cade il regime di Siyaad Barre e si scatena una lotta per

il dominio della nazione; a farne le spese è la popolazione, che da allora vive una

carestia profonda. A peggiorare la situazione ci pensano gli Shebab, estremisti

islamisti legati ad Al Qaeda che dal 2006 fronteggiano gli uomini del governo. Ora il

Paese è smembrato in varie zone.

Infine il Sudan. Dal 1821 si vive con la costante presenza della guerra nei propri

confini. Basta questo per farsi un'idea del perché i sudanesi fuggano. Tra lotte

religiose, conquiste britanniche, la crisi del Darfur e la divisione dal Sud Sudan, il

Paese è dilaniato. Decenni di guerra civile hanno avuto forti conseguenze sulla

popolazione, con oltre 6 milioni di profughi. Più dell'80% dei sudanesi è sotto la

soglia di povertà e la capitale Khartoum è sovrappopolata (vi risiede il 20% della

popolazione totale dello Stato). 20

DDaallll’’aaffffiinniittàà ccuullttuurraallee uunn ttaacciittoo aaccccoorrddoo ddii ff iidduucciiaa..

Nella suddivisione dei compiti era stato stabilito che Sofia e Azza si occupassero

della somministrazione dei questionari agli studenti e studentesse del CPIA,

mentre Alessia, Michela e Inti delle interviste ad italiani a proposito della presenza

dei immigrati nel nostro Paese.

Va precisato che Azza è di origine tunisina e parla l’italiano, l’arabo e il francese.

Queste sue caratteristiche si sono rivelate una risorsa per entrare in contatto con

persone che in gran parte provengono da varie zone dell’Africa. Nel presentarsi

alle varie classi, parlando del progetto, si richiedeva ai presenti la disponibilità a

20

Fame, torture, sparizioni. Ecco da cosa scappano i profughi del Corno d'Africa, TGCOM24, 14/06/2015 (http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/fame-torture-sparizioni-ecco-da-cosa-scappano-i-profughi-del-corno-d-africa_2116553-201502a.shtml)

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collaborare, subito si è notato che gran parte dei migranti mostrava un evidente

interesse nei confronti di Azza. Nel corso degli incontri successivi, Azza veniva

accolta con un certo entusiasmo, gli allievi le rivolgevano domande direttamente

in arabo o in francese ed erano interessati alla sua storia personale. Non che

diffidassero di Sofia o le fossero ostili, tutt’altro, però preferivano rivolgersi a chi

ritenevano più vicino alle proprie esperienze di vita. Evidentemente per molti di

loro la possibilità di potersi esprimere (ed essere capiti) nella propria lingua

rappresentava un elemento rassicurante, rafforzato dalla percezione di una

maggiore affinit{ culturale e anche da caratteristiche personali dell’intervistatrice,

quali l’indole posata e riflessiva e l’aria affidabile e discreta. Tutto ciò ha fatto sì

che i migranti preferibilmente cercassero di comunicare con lei.

Questa è un’altra interessante riflessione che scaturisce della nostra esperienza

con i migranti del CPIA, esperienza che ci ha indotto a riflettere. Pensiamo infatti

che i risultati della nostra ricerca possano ritenersi abbastanza attendibili proprio

in virtù della presenza di Azza e della fiducia e del rispetto che i migranti nutrivano

nei suoi confronti, nonostante la conoscessero poco. È del resto comprensibile che

l’affinit{ culturale costituisca un “ponte” e che sovente sia di fondamentale

importanza trovare qualcuno che abbia la funzione di mediatore tra la tua cultura

e quella di arrivo, meglio ancora se quest’ultimo/a ti somiglia.

IIll ssiilleennzziioo ddeeggllii iittaalliiaannii

“No. Grazie, non mi interessa”. Alzare le mani in alto e allontanarsi, quasi si avesse

paura. Se un passante, uno sconosciuto ci rivolge una qualunque domanda, che

sia la richiesta di un'indicazione o semplicemente l'ora, sembriamo aver timore e,

in un modo o nell'altro, ci divincoliamo fingendo fretta o, appunto, disinteresse.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Qualche tempo fa non era così. Con il

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passare degli anni e l’avanzata prepotente delle tecnologie, invece di divenire più

aperti, da un punto di vista mentale, sembriamo invece essere regrediti. La nostra

società basata su un forte individualismo ci sta rendendo sempre più ottusi e

“schiavi” di noi stessi.

“Non mi interessa”: questa dunque è stata la risposta più frequente tra gli

intervistati che hanno deciso di NON condividere con noi il proprio pensiero

riguardo l'immigrazione, ma perchè tacere? Questa tematica riguarda tutti -chi più

e chi meno- sta influenzando il nostro presente e sarà determinante per il nostro

futuro.

Perché allora si sono trattenuti dal parlare? Per paura di risultare razzisti agli occhi

di un possibile spettatore o per timore di poter essere considerati ignoranti

riguardo un argomento talora considerato tabù, in quanto a rischio di risultare

poco politicamente corretti?

Circa il 20% di un campione di almeno una quindicina di persone ha deciso di non

metterci la faccia, liquidandoci con sorriso o non prestandoci attenzione. Dopo

aver ringraziato ci siamo domandati le cause di queste limitate, ma comunque

presenti reazioni: appena sentivano vaghi accenni all'immigrazione, molti

sbuffavano o alzavano gli occhi al cielo. Siamo quindi giunti alla conclusione di

pensare che fossero “stanchi” di affrontare lo stesso argomento di cui ormai tanto

si parla.

D'altro canto, invece, ci siamo trovati davanti persone che inizialmente

accettavano di sottoporsi a queste breve interviste ma che giunti alla domanda

“secondo lei gli immigrati sono una risorsa o un problema per il nostro paese?” si

bloccavano, sorridevano, molti hanno persino detto “devo rispondere?” come se

avessero timore di esporsi troppo e poter dire qualcosa di inadeguato, allora

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rimanevano nel vago, senza sbilanciarsi.

Si parla tanto, quasi quotidianamente di immigrazione e ci si lamenta

probabilmente troppo, ma nell'esatto momento in cui si concede la possibilità di

esprimere le proprie considerazioni, per poi ragionarci su e non gettare parole al

vento, si tace. Paura dei commenti altrui oppure consapevolezza di avere

un'opinione basata su idee senza solide strutture e, magari, con radici fondate su

stereotipi frutto dell'opinione comune e banali pregiudizi ripetuti senza riflettere?

UUNN’’IIPPOOTTEECCAA SSUULL FFUUTTUURROO

Concludendo, è importante sottolineare che i fenomeni analizzati nella nostra

ricerca sono da intendersi come un campione piccolo, rappresentativo di una

realtà molto più ampia e articolata. Volendo prescindere da preoccupazioni di

natura etica, un trattamento ingiusto nei confronti degli immigrati e dei loro figli

ha presto o tardi ricadute gravide di conseguenze sulla qualità della convivenza

nelle società riceventi: dà vita alle minoranze etniche. La temuta estraneità

culturale degli immigrati verso la nostra civiltà rischia allora di essere un prodotto

del pregiudizio e dell’esclusione nei confronti di chi arriva dall’esterno. Neppure

sembrano bastare valori deboli come la tolleranza. L’apertura all’Altro, la capacit{

di riconoscerlo come simile e di includerlo su un piano di parità sarà un territorio

decisivo per la costruzione del futuro di società avviate ineluttabilmente verso un

futuro di multietnicità. Vorremo però terminare con una nota di speranza. La storia

non è già scritta una volta per sempre. Tra difficoltà, delusioni e sofferenze, molti

immigrati hanno dimostrato nel passato e nel presente grande tenacia e assidua

volontà di migliorare le proprie condizioni. Non pochi ci sono riusciti21

21

M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit.