l'italiano linguistica

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Transcript of l'italiano linguistica

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Anna Salmoiraghi

CONOSCEREL'ITALIANOGuida all'educazione linguisticaper le scuole superiori

rPrima edizione: marzo 1989.

Disegni di LUIGI MERATI - Cartine di LUIGI SINIGAGLIA.

ISBN 88-00-41162-2

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Si ritengono contraffatte le copie non firmateo non munite del contrassegno della S.I.A.E.

Nell'eventualità che passi antologici, citazioni od illustrazioni di competenza al-trui siano stati riprodotti in questo volume, l'editore è a disposizione degli aventi di-ritto non potuti reperire. L'editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segna-lazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei riferimenti relativi.

C.M. 411.620

16077-1 - Stabilimenti Tipolitografici «E. Ariani» e «L'Arte della Stampa» della S.p.A. Armando Paoletti - Firenze

Presentazione

Con questa nuova grammatica italiana ci si è an-zitutto proposto di mettere a disposizione deglistudenti del biennio un manuale che sappia dareuna sistemazione in certa misura definitiva alleloro conoscenze intorno alla lingua italiana e allacomunicazione linguistica in generale, e che costi-tuisca inoltre, anche nel proseguimento degli stu-di, un'opera di consultazione attendibile ed esau-riente. Nello stesso tempo — con l'evitare lungag-gini e appesantimenti, col presentare la materia inun linguaggio piano, col proporre prospetti e«quadri di riferimento» riassuntivi — si sono pre-disposti quei mezzi che consentono al docente diportare a termine senza sforzo il programma nel-l'arco di due anni.Per passare ai contenuti, «Conoscere l'italiano» èanzitutto una grammatica: fonologia, morfologia(e analisi grammaticale), sintassi (e analisi logi-ca). Ma le categorie morfologiche e sintattiche so-no state approfondite e chiarite con l'impiego ra-gionato degli strumenti d'indagine apprestati nel-la sua evoluzione e nei suoi vari indirizzi dallalinguistica contemporanea. Non solo, ma l'operamira anche a portare per gradi lo studente ad ave-re un panorama dei principali problemi affrontatidalle scienze del linguaggio e dalla teoria dellacomunicazione: di qui l'ampio profilo introduttivoe le due parti conclusive, dedicate alla semanticae alla stilistica. Riteniamo poi che - - grazieall'articolazione esplicita e chiara di tutti gli ar-gomenti — possano venire scelti, nell'uso del ma-

nuale, anche percorsi diversi da quello che ne se-gue linearmente la struttura: si potrebbe anche i-niziare contemporaneamente, per esempio, lo stu-dio dei problemi di linguistica generale e del nu-cleo morfo-sintattico più tradizionale, oppure al-ternare la trattazione di questo allo studio dellasemantica, e così via.Oltre che con altri sussidi che sono stati predispo-sti, come le «Schede» (si richiama l'attenzione, inparticolare, su quelle destinate all'uso del vocabo-lario e su quelle dirette a stabilire nessi tra lo stu-dio dell'italiano e dette lingue straniere) e comel'Appendice sulla composizione letteraria, con-fidiamo di avere conferito a questo manuale le spe-cifiche caratteristiche di un vero, efficace strumen-to di lavoro mediante quello che potremmo chia-mare il «laboratorio linguistico»: un complesso or-ganico di esercitazioni dei tipi più diversi (strut-turate in modo da consentire spesso allo studentedi rispondere direttamente ai vari quesiti o disvolgere sulle stesse pagine del libro l'esercizioproposto) che risponde ad un progetto attentamen-te meditato e attuato senza risparmio di energie.Rimane, a chi ha compilato questo lavoro, da rin-graziare vivamente la Casa Editrice per avere con-cesso — col consenso degli Autori, tra i quali inparticolare si ricorda il prof. Beniamino Proto an-che per i preziosi consigli forniti — la libera di-sponibilità a trarre ispirazione da talune operedalla stessa pubblicate e, per certe pagine, a riela-borarle.

INTRODUZIONE

Comunicazionee linguaggio

1. IL LINGUAGGIO E LE LINGUE

Un libro di linguìstica — come questo che vi ac-cingete a leggere — tratta del linguaggio o di u-na o più lingue. Ciò è piuttosto ovvio e intuitivo,e ci appare subito chiaro anche l'oggetto della ri-cerca: il linguaggio, quel mezzo che gli uomini u-sano per esprimersi e trasmettere e ricevere mes-saggi comunicando con i propri simili, e le lin-gue, per esempio la lingua italiana, che ognunodi noi ha cominciato ad assimilare prima ancoradi essere cosciente della propria identità e poi astudiare, imparando a scrivere, all'inizio dellascuola elementare. Non ci aspetteremmo di doverandare in cerca di complicate definizioni, come ènecessario quando intraprendiamo lo studio di u-na data scienza fisica (la biologia, la geologia) oumana (la sociologia, l'etnologia). Eppure le cose

stanno diversamente: man mano che avanziamonello studio delle lingue, ci accorgiamo che nonbastano l'intuizione e il senso comune e che ledefinizioni che essi ci suggeriscono sono, se noninesatte, vaghe e incomplete.Cercheremo tra breve, mediante una serie di ten-tativi e di successive approssimazioni, di stringe-re sempre più da vicino l'oggetto della linguisti-ca. Ma prima va chiarito un altro problema cheè sorto proprio all'inizio del nostro discorso,quando si è parlato di linguaggio e di lingue.

LA FACOLTÀ DEL LINGUAGGIOE LA VARIETÀ DELLE LINGUE

II linguaggio o, se vogliamo precisare, il «lin-guaggio articolato» è una facoltà propria, tra gliesseri viventi, esclusivamente dell'uomo. A que-sta specifica facoltà l'essere umano è predispostosotto l'aspetto fisico e psichico, tanto che po-

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iremmo quasi considerare l'atto del parlare uncomportamento istintivo, allo stesso modo delnutrirsi, del muoversi, del reagire a stimoli, ecc.Però ogni nuovo nato non comincia ad esercitarela facoltà del linguaggio ubbidendo solo all'istin-to, e quindi in un modo uniforme per tutti, maassimila nei primissimi anni di vita una determi-nata concretizzazione del linguaggio: la lingua inuso presso la comunità cui appartiene. Ora lelingue singole, proprie delle varie comunità lin-guistiche (le quali possono contare da qualchemigliaio a centinaia di milioni di individui), sonomolte, non meno di tremila, e sono per lo piùmolto diverse tra loro.In quale misura e in che cosa sono diverse? Econ quali criteri possiamo stabilire un ordinenella multiforme varietà delle lingue?Anzitutto, superata la sorpresa e quasi lo scon-certo che si prova di fronte alla pluralità dellelingue umane (il racconto biblico della Torre diBabele ed altri miti paralleli arrivarono ad inter-pretarla come la punizione di una colpa, comeuna maledizione divina), constatiamo che le dif-ferenze tra le lingue si collocano in un arco dipossibilità relativamente ristretto. La comuni-cazione verbale realizzata da qualsiasi linguaconsiste:

• nell'emettere suoni articolati, cioè nettamentedistinti tra loro, che ogni lingua seleziona entrouna gamma abbastanza vasta (ma almeno tre vo-cali e una decina di consonanti ricorrono indi-stintamente in tutte le lingue);

• nel riunire sequenze di suoni, ciascuno deiq\iali di per sé è privo di significato, in parole,che sono unità provviste di significato, e cioètrovano un riferimento nella realtà al di fuoridella lingua;

• nel dare all'enunciato ( = ciò che si dice) unaforma, un'organizzazione, che determina i rappor-ti delle parole tra loro.

2. LA CLASSIFICAZIONEDELLE LINGUE

LA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA

Nella scelta dei suoni e nella formazione del-le parole, pur giungendo agli esiti più disparati,le diverse lingue seguono binari paralleli. Esse

divergono invece in modo più accentuato e so-stanziale nell'organizzazione dell'enunciato. Quitroviamo una base per una suddivisione delle lin-gue in «tipi», che rappresenta un primo mezzoper orientarci nella multiformità del linguaggioumano.La classificazione tipologica più semplice e piùnota assume come criterio discriminante il modoin cui la singola parola, e più precisamente lasua «radice», cioè l'elemento portatore del signi-ficato fondamentale, viene (o non viene) caratte-rizzata al fine di essere posta in relazione con lealtre parole dell'enunciato e determinata nellasua funzione. I tipi che si individuano su questabase sono tre: isolante, agglutinante, flessivo.

Nelle lingue isolanti (di cui è esempio tipico ilcinese) la parola si identifica con la radice, è in-variabile e di norma monosillabica; essa non ri-ceve nessuna determinazione, ma i suoi rapporticon gli altri costituenti dell'enunciato risultanoessenzialmente dalla posizione nella frase.

Nelle lingue agglutinanti (esempi: il turco,l'ungherese, il finnico) le parole, come nelle lin-gue isolanti, sono anche radici, ma, per espri-mere molti rapporti, ad esse debbono aggiun-gersi («agglutinarsi») uno o più elementi for-mativi («affissi»), ciascuno con un proprio preci-so valore.

Infine nelle lingue flessive la radice non haun'esistenza autonoma; a farne una parola servo-no gli elementi formativi, i quali possono assol-vere più funzioni insieme e si saldano organica-mente alla radice. Così nell'italiano, che è unalingua flessiva, dalla radice verbale pari- si ot-tengono, mediante desinenze e suffissi, pari-are,parlo, parl-iamo, parlavate, ecc.Le lingue flessive si distinguono poi in analiti-che (come l'italiano, il francese, l'inglese, ecc.) esintetiche (come il latino, il greco, il sanscrito,il russo). In queste ultime le caratteristiche del«tipo» si manifestano in modo più netto, perchéle funzioni espresse mediante elementi saldati al-le radici sono più numerose, mentre nelle lingueanalitiche intervengono più spesso degli elementiformativi autonomi (cioè delle parole particolaria sé stanti, come preposizioni, avverbi, verbi au-siliari). Per cogliere la distinzione tra analisi esintesi è sufficiente confrontare le espressioni «a-nalitiche» dell'italiano del padre, più forte, sei a-mato con gli equivalenti latini, costituiti inveceda parole unitarie «sintetiche»: patris, fortior, a-maris.

LA CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA

La classificazione tipologica è utile, ma pecca diun certo semplicismo e, mentre alcune linguecorrispondono esattamente a uno dei tre tipi, al-tre fondono insieme più caratteri diversi o s'inse-riscono con difficoltà nello schema; perciò questaclassificazione è stata variamente integrata o an-che sostituita con altre più complesse. Ci trovia-mo su un terreno più sicuro con un'altra classi-

ficazione, del tutto indipendente, che si fondasull'indagine storico-comparativa: la classificazio-ne genealogica.Il punto di partenza dell'indagine qui è rappre-sentato da gruppi di lingue che, già a prima vi-sta, appaiono chiaramente simili e «imparenta-te» fra loro, come l'italiano, il francese, lo spa-gnolo, il portoghese, il rumeno, tutte lingue «so-relle» che continuano, con sviluppi diversi, lamedesima lingua «madre», il latino (più esatta-

LINGUE DELL'EUROPA E DELL'AREA MEDITERRANEA

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mente il latino volgare); oppure come l'inglese, iltedesco, lo svedese, ecc. o ancora il russo, il po-lacco, il serbo, ecc., riconducibili rispettivamentea una lingua comune germanica e a una linguacomune slava (a differenza del latino, però, nonattestate da documenti). Ora, di più lingue ogruppi di lingue, anche quando le somiglianzenon sono evidenti a prima vista ed anzi emergo-no solo attraverso un'analisi minuta e approfon-dita, è possibile accertare una remota origine co-mune: esse sono geneticamente connesse e forma-no una «famiglia» linguistica.Così il latino (con le lingue neolatine o «roman-ze» che ne derivano), le lingue germaniche e sla-ve già citate, insieme con altre lingue d'Europa(le lingue celtiche, le lingue baltiche, il greco,l'albanese) e d'Asia (le lingue iraniche e il san-scrito, con le molte lingue attuali dell'India chene derivano) costituiscono la grande famigliaindoeuropea: la sua fase comune originaria, cheva fatta risalire almeno al III millennio a. C.,non ci è nota attraverso documenti, ma è tutta-via ricostruibile, almeno nelle linee generali, me-diante la comparazione.Allo stesso modo della «famiglia» indoeuropeane sono state individuate e studiate altre. Citia-mo quelle che interessano l'Europa e l'area me-diterranea: la famiglia ugro-finnica (ungherese,finnico, èstóne, ecc.); l'altaica (in cui rientra ilturco), la semitica (cui appartengono l'arabo el'ebraico), la caucasica. Altre famiglie linguisti-che sono state individuate in Asia, in Africa, inAmerica, in Oceania, fino a un totale di parec-chie decine. I grandi raggruppamenti che chia-miamo famiglie appaiono tra loro isolati, sottol'aspetto genetico; l'indagine comparativa nonriesce a risalire ad unità superiori comprendentipiù famiglie, che sono solo oggetto di ipotesi e inogni caso sarebbero da ricondurre a una preisto-ria remotissima.

3. CIÒ CHE UNISCELE DIVERSE LINGUE

Occorre avere un quadro, sia pur sommario, del-le molteplici varietà del linguaggio; ma, nellostesso tempo, non dobbiamo perdere di vistaquanto, invece, accomuna le diverse lingue del-l'unica specie umana. Ecco, in rapida sintesi, al-cuni punti essenziali da tenere presenti.

• Ogni lingua realizza pienamente le potenziali-tà del linguaggio e, in rapporto alle esigenze divita della comunità che la parla, risulta perfetta-mente funzionale. Non è lecito stabilire gerar-chle o graduatorie di merito fra le lingue, viven-ti o estinte. Un tempo era diffusa l'opinione chesi potesse scorgere nel linguaggio un progressodal semplice verso il complesso, fino a una perfe-zione cui spesso sarebbe subentrato il decadimen-to; si attribuiva inoltre il successo di alcune lin-gue, ad esempio del latino, a virtù intrinseche epeculiari, come la logicità, la precisione, la forzadi sintesi. Questi giudizi di valore non hannofondamento, così come è inammissibile, rove-sciando l'impostazione, trovare nell'analiticità enella speditezza dell'inglese le ragioni del suo at-tuale, impetuoso affermarsi. In realtà, se una lin-gua acquista prestigio e s'impone, ciò accade permotivi extra-linguistici: d'ordine politico, econo-mico, culturale.

• II piccolo dell'uomo, trasferito, quando è an-cora atto ad assimilare la prima lingua, in unacomunità linguistica diversa da quella d'origine,fa propria la lingua della nuova comunità tantofacilmente quanto chi le appartiene per nascita.Inoltre — in territori di confine, oppure quando igenitori sono di nazionalità diversa, ecc. — è fre-quente il possesso di due lingue assimilate en-trambe come lingue materne (questo fenomeno èdetto bilinguismo).

• II linguaggio è del tutto indipendente dallarazza: è impossibile stabilire correlazioni fra de-terminate lingue o tipi linguistici e singole raz-ze, etnie o nazionalità, e si danno innumerevolicasi di popolazioni diverse che parlano la stessalingua e della stessa popolazione che parla piùlingue diverse.

• La differenziazione linguistica non ha mai co-stituito una barriera invalicabile alla reciprocacomprensione tra gli uomini. Ogni lingua stra-niera può essere appresa, sia pure a prezzo di uncerto sforzo, anche dall'individuo adulto. La tra-duzione da una lingua all'altra, condotta da chile padroneggi entrambe, è in grado di restituireintegralmente i contenuti del messaggio origina-le. (L'equivalenza diviene approssimativa solo sesi tratta di testi ricchi di valori estetici, ma que-sti si possono perdere anche nell'ambito dellamedesima lingua, per esempio nel passaggio daun testo poetico alla parafrasi prosastica).

La conclusione di queste considerazioni è chetutte le lingue hanno pari dignità ed ogni linguarappresenta sempre, nella sua interezza e com-plessità, il linguaggio umano. Sebbene il confron-to tra due o più lingue sia estremamente utile,anche lo studio della sola nostra lingua materna,se ne penetriamo a fondo le strutture, arriva adarci una rappresentazione esauriente del lin-guaggio. Ma, prima di intraprendere questo stu-dio, dobbiamo cercare di cogliere nel modo piùpreciso possibile la natura e le caratteristichefondamentali di quella realtà che chiamiamo lin-gua (che cosa è? come funziona?) e impadronircidi alcuni strumenti concettuali che facilitino ilnostro compito.

te biologica, e inoltre l'espressione può alluderea sequenze di fatti tra loro diversissimi: può rife-rirsi a una lingua i cui parlanti furono fisica-mente soppressi, o rinunciarono alla propria lin-gua per adottarne un'altra, oppure a una linguache, col tempo, si trasformò al punto da dover es-sere considerata un'altra, ecc. Le eventualità so-no molte, ma ciò che conta sempre è la concretarealtà degli uomini che parlano una lingua, nonuna presunta esistenza della lingua come organi-smo autonomo.Nell'uso potremo tranquillamente servirci di ter-mini ed espressioni che personificano le lingue,ma di per sé l'equazione lingua = organismo è,molto spesso, inadeguata e fuorviante.

4. LA LINGUA COME ORGANISMO,MECCANISMO, STRUTTURA, ISTITUTO

UN ORGANISMO?

Un procedimento cui ricorriamo per afferrare u-na realtà che ci sfugge consiste nel confrontarlacon altri oggetti dell'esperienza che conosciamomeglio. Il procedimento spesso è quasi inconscioed affiora in certe abitudini espressive. Così par-liamo di lingue che «si formano», «si trasforma-no», «si fondono»; distinguiamo tra lingue «vi-ve» e «morte»; rilevando le somiglianze tra duelingue come l'italiano e lo spagnolo, le definiamo«sorelle», derivate dalla stessa lingua «madre».In tutte queste espressioni viene stabilita una a-nalogia tra la lingua e un organismo vivente. Es-sa può risultare illuminante se si vuole intendereche una lingua ha una propria complessa orga-nizzazione interna, così come l'hanno una piantao un animale, una cellula o il cervello; ma nonregge più se riflettiamo sul fatto che una linguapossiede una realtà solo sulle labbra di un certonumero di soggetti parlanti.Dire, ad esempio, che l'italiano «sorge» o «na-sce» in un certo periodo del Medioevo significariferirsi a una serie di eventi che non ha alcunrapporto con la nascita di un organismo. Quantoaccadde fu che, in una determinata area geogra-fica, delle comunità di uomini parlanti latino, do-po avere lentamente adottato molte nuove con-venzioni espressive, si trovarono ad usare comestrumento di comunicazione una lingua ormai di-stinta dal latino. Similmente la «morte di unalingua» è un evento non comparabile con la mor-

UN MECCANISMO?

E quando parliamo del «funzionamento di unalingua», del «meccanismo della formazione delplurale», di una frase «che funziona» e di un'al-tra «mal congegnata»? In queste espressioni larealtà a noi familiare, cui facciamo riferimento,è la macchina, ed evidentemente non una mac-china semplice come la leva o l'argano, ma unmeccanismo che sfrutti una molteplicità diprincìpi e di forze fisiche, mettiamo il motore ascoppio, l'automobile.Anche qui Yanalogia, in parte, coglie nel segno.Noi, apprendendo l'inglese o il latino o rifletten-do sull'italiano, impariamo a conoscerne, o a co-noscerne meglio, i meccanismi; non solo, ma que-ste lingue ci appaiono diverse l'una dall'altra,proprio come sono diversi un motore a iniezione,un motore diesel, un motore a turbina, ciascunodei quali richiede, da parte dell'utente, particola-ri accorgimenti.L'analogia tra la lingua e un meccanismo urtaperò a un certo punto contro un ostacolo insor-montabile. Della mia auto io so quanto basta perguidarla o poco di più; il personale dell'officinacui mi rivolgo per una riparazione ha una com-petenza superiore e sa intervenire su molti ele-menti del motore, ripristinandone il funziona-mento; infine nel caso di incompetenza dei mec-canici ci sarà sempre un ingegnere o un gruppodi ingegneri, presso la casa costruttrice, che diquel motore ha una conoscenza completa e per-fetta ed è in grado di spiegare qualsiasi inconve-niente e, se ne vale la pena, di ovviare a qualsia-si guasto. Alla base non solo di un'automobile,ma del più avanzato prodotto tecnologico, finoall'elaboratore elettronico e alla navicella spa-

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ziale, c'è un progetto umano; per quanto sofisti-cata, la macchina non ha misteri. Ma la lingua- ed è appunto qui che l'efficacia dell'analogia

ha fine — è un congegno incomparabilmente piùcomplesso e imprevedibile di ogni meraviglia tec-nica, e non c'è ingegnere che conosca, nelle lororadici più profonde, tutti i segreti del suo funzio-namento.

LA LINGUA COME STRUTTURA

Le analogie tra la lingua e un organismo o unmeccanismo, al di là delle storture che si produ-

cono se le prendiamo troppo alla lettera, ci tra-smettono una nozione esatta: la lingua, al pari diun essere vivente, ha un'organizzazione internae, come una macchina, ha un complesso di ele-menti coordinati tra loro e funzionali. Questa,che è una caratteristica essenziale di ogni lin-gua, viene posta in evidenza in modo più perti-nente e meno ambiguo se diciamo che essa è unsistema, o meglio (usando un termine che hagiustamente avuto fortuna in linguistica come inaltre discipline) che ha una struttura, che è unastruttura.Che cosa vogliamo intendere esattamente? Una

struttura è ciò che, composto di molte parti o ele-menti, risulta nel suo insieme qualcosa di piùdella somma di quegli elementi; è ciò in cui le di-verse parti sono solidali tra loro e si integrano,si giustificano e si spiegano l'una con l'altra; èciò che possiamo scomporre e analizzare, ma sen-za perdere mai di vista quel tutto che è il solo apossedere un pieno significato.Poiché studiare una lingua, come ogni altro fe-nomeno complesso, comporta una serie di distin-zioni e di suddivisioni, in linguistica noi corria-mo continuamente il rischio di smarrire nell'ana-lisi delle parti il senso della totalità e quindi del-

la realtà. L'attenzione permanente alla strutturaci serve da guida nel rettificare momento per mo-mento i nostri procedimenti e nell'evitare il peri-colo di una conoscenza frammentaria e inadegua-ta. Quando passeremo in rassegna i suoni, le for-me, i costrutti, il lessico della nostra lingua, ri-corderemo sempre, nel corso di tale lavoro di a-nalisi, che le diverse parti in cui suddividiamo ilnostro studio (fonologia, morfologia, sintassi, se-mantica) sono solidali tra loro e solo per comodi-tà di esposizione le trattiamo una dopo l'altra.Lo stesso vale all'interno di ogni sezione dellalinguistica, dove procediamo individuando via

IDEOGRAMMI CINESI

// codice linguistico è il sistema di segni «naturale" e «primario». Ma l'uo-mo, nei settori e per gli scopi più diversi, ne ha elaborati molti altri, che inqualche caso prendono il nome di segnali o, se richiamano direttamente unoggetto, di simboli. In queste due pagine e nelle seguenti ne vedete alcuniesempi. 1-4) Alfabeti a tipi di scrittura antichi e moderni. 5) II codice tele-grafico Morse. 6) Alcune bandierine della segnaletica navale per l'indicazio-ne di lettere e numeri.

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via dei sistemi, delle strutture, dei parallelismi edelle opposizioni strutturali.

LA LINGUA COME ISTITUTO

Se poi passiamo a considerare la lingua non piùin sé e per sé, ma nel quadro di altre manifesta-zioni della vita associata degli uomini, essa ciappare come un istituto. Impieghiamo questotermine nel senso di «istituzione», cioè di insie-

me di usi, norme, comportamenti diretti ad unfine. Una lingua è un istituto come lo sono ilcomplesso di leggi e di consuetudini che regola-no la vita associata nel campo dell'economia,della politica, del diritto, o l'insieme di credenzee di riti che costituiscono una religione, o leconsuetudini e gli usi cerimoniali che orientanoi rapporti dei singoli nell'ambito della comunità.Quando consideriamo la lingua un istituto, nemettiamo più chiaramente in evidenza un carat-tere fondamentale già rilevato: essa, anche se

PESCI20 febbraio20 marzo

7) Alcuni segni zodiacali. 8) Due antiche carte da gioco. 9) Rappresentazione allegorica della Giustizia nei tarocchi. 10) Latavola degli elementi chimici dì Da/fon (1808). 11) // linguaggio del computer. 12) Esempio di notazìone musicale (da un branodi Mozart). 13) Segnali stradali.

l'essere umano è predisposto all'acquisizione dellinguaggio, non rientra nell'eredità biologica,presente fin dalla nascita, ma viene trasmessa alsingolo dalla comunità come parte dell'ereditàculturale. D'altronde proprio il confronto con glialtri elementi dell'eredità culturale, con gli altri«istituti», ci consente di rilevare la peculiaritàdel linguaggio.Il linguaggio è infatti posseduto da ogni comuni-tà umana, in forme diverse, al medesimo livellodi compiutezza (vedi § 3), mentre molti costu-

mi, istituzioni, riti, credenze di popoli primitivi(e non solo primitivi) non possono non esseregiudicati arretrati, inferiori, in alcuni casi con-troproducenti e aberranti. Similmente, mentreper la maggior parte delle istituzioni umane — ein particolare il sapere scientifico e la tecnologia- è accertabile di età in età un'evoluzione e un

progresso, le lingue più anticamente attestatenon mostrano alcuna traccia di primitività ri-spetto alle lingue di oggi.Infine ogni singolo individuo si trova in un rap-

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porto del tutto speciale con l'«istituto» lingua. Ilbambino arriva a dominare i meccanismi dellalingua materna con una rapidità e una sicurezzache non cessano di stupirci e ben presto diviene,sotto l'aspetto linguistico, un membro a pieno di-ritto della comunità, mentre la sua integrazionein altri istituti di questa, che di per sé hannostrutture meno complicate del linguaggio, proce-

de molto più lentamente, non senza difficoltà etraumi.Insomma, il linguaggio è sì un «istituto», ma af-fatto particolare. E, soprattutto, rileveremo cheesso, comune dall'origine, con uguali potenziali-tà, a tutti gli uomini, ha preceduto e reso possi-bile il sorgere e l'evolversi di tutti gli altri isti-tuti della civiltà umana.

La scrittura

Dal pittogrammaall'ideogramma

II mezzo più elementare e qua-si istintivo per rappresentarevisivamente il linguaggio con-siste nell'accostare dei dise-gni (pittogrammi), ciascuno deiquali corrisponda a un oggettoo a un'azione. Gli abbozzi di u-na montagna, di un uomo checammina, di una tenda, diun'onda, disposti uno dopo l'al-tro, potranno significare che«dalla montagna l'uomo marciaverso la tenda presso il fiume»,

e il messaggio, dipinto su unapelle o una scorza d'albero, po-trà durare nel tempo ed esseretrasportato a distanza. Tentatividel genere, osservati presso po-polazioni «primitive», rispondo-no a fini pratici immediati manon possono essere consideratiun vero tipo di scrittura.Si ha difatti una scrittura soloquando viene elaborato un si-stema di segni atto a rappre-sentare graficamente quel si-stema «primario» di segni cheè la lingua. La lingua deve es-sere sottoposta ad analisi esuddivisa con un qualche crite-rio in segmenti convertibili in

segni grafici. I diversi tipi discrittura che si sono succedutinel tempo variano a secondadel criterio adottato nella sceltadel segmento: la parola, la sil-laba o il suono linguistico (nellatavola qui sotto sono esemplifi-cati i tipi fondamentali).Nei sistemi di scrittura più anti-chi, che furono inventati circacinquemila anni fa, indipenden-temente l'uno dall'altro, in Egit-to, in Mesopotamia e in Cina(e, molto più tardi, presso le ci-viltà dell'America precolombia-na) il segmento preso in consi-derazione è rappresentato dallasingola paro/a.

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Questo sistema si manifesta nel-la sua forma più tipica e coe-rente nella scrittura ideograficacinese (sorta tra il III e il II mil-lennio a. C. e, con modifichenon sostanziali, in uso ancoraoggi), che si vale di ideogram-mi. L'ideogramma è un disegnostilizzato, in cui spesso l'ogget-to originariamente ritratto è irri-conoscibile, e rappresenta unaparola. Con tutta una serie diingegnosi artifici si perviene arendere con ideogrammi nonsolo i termini concreti facilmen-te raffigurabili, ma ogni altro.Occorre però un numero eleva-tissimo di segni diversi tra loro,in sostanza tanti quante sono leparole (gli ideogrammi cinesi diuso comune sono circa 6000).Le due scritture create in Egittoe in Mesopotamia verso la fi-ne del IV millennio a. C., la scrit-tura geroglifica e la scritturacuneiforme, partono anch'essedagli ideogrammi, ma li inte-grano con elementi fonetici: so-no sistemi ideografico-fonetici.Molti segni si collegano a inte-re parole, ma altri rappresenta-no gruppi di suoni, o sillabe, oanche singoli suoni, facilitandola resa di termini astratti, pro-nomi, congiunzioni, nomi pro-pri. Queste scritture richiedonoperò pur sempre un numero e-levato dì segni (non più mi-gliaia come in cinese, ma co-munque molte centinaia), risul-tano complicatissime per leconvenzioni adottate e, per illoro apprendimento, è necessa-rio un lungo tirocinio (le posso-no usare, in pratica, solo deglispecialisti, gli scribi).

Tentativi di razionaiizzazionedei sistema

Nel II millennio a. C. nuove esi-genze e, in alcune regioni, nuo-ve strutture sociali suscitarono

tentativi di superamento dei si-stemi di scrittura ideografico-fo-netici. La via da seguire era u-na più precisa analisi dei suonidella parola e la sua scomposi-zione — non occasionale, masistematica — in elementi piùsemplici.Un esempio di questi tentativi èla scrittura sillabica detta «li-neare B», in uso a Creta e nel-la Grecia peninsulare tra il1400 e il 1200 a. C. Essa impie-ga ancora un ristretto numerodi ideogrammi, ma di norma lesingole parole vengono scom-poste in sillabe e ogni sillabaresa con un segno. È evidente,poiché la stessa sillaba ricorrein moltissime parole, che il nu-mero di segni occorrente èmolto inferiore a quello dei ca-ratteri geroglifici o cuneiformi,e quindi ne è più facile l'ap-prendimento e più rapido l'im-piego. La «lineare B» era tutta-via ben lontana dal rappresen-tare una soluzione adeguata alproblema di fissare per iscrittouna lingua, poiché nello scom-porre le parole in sillabe e nelfar equivalere un segno ad ognisillaba si doveva ricorrere asemplificazioni e approssima-zioni.

La conquista dell'alfabeto:Fenici e Greci

II passo decisivo, dopo altri e-sperimenti che non ebbero svi-luppi, fu compiuto verso il 1000a. C. dai Fenici. Il sistema cheidearono, la scrittura alfabetica,prescinde assolutamente da ciòche le parole significano; nelleparole, anzi nella «catena par-lata», si individuano le unità e-lementari: i suoni o «fonemi».Ad ogni fonema corrisponde unsegno, di tracciato molto sem-plice e ben distinto da tutti glialtri. Poiché il sistema fonologi-

co di una data lingua compren-de di norma tra i 20 e i 30 fone-mi, basterà non più di una tren-tina di segni, di lettere (nell'al-fabeto fenicio sono 22). Non èpiù necessario un lungo ap-prendistato per padroneggiarela scrittura e, mentre i sistemiideografici erano difficilmenteesportabili, d'ora in poi il pro-cesso dì alfabetizzazione, resomolto più semplice, sarà unodegli elementi fondamentali del-l'incivilimento.Dunque, alla conclusione diquesta evoluzione della scrittu-ra che conduce dal complessoal semplice, ogni fonema tro-va corrispondenza in un segnografico; più esattamente, perquanto riguarda l'alfabeto feni-cio, dovremo dire: ogni fonemaconsonantico. I Fenici, infatti,registrarono solo le consonan-ti. Per il fenicio, che è una lin-gua semitica, questa limitazionenon pregiudica la funzionalitàdel sistema, perché, in un con-testo dato, le consonanti basta-no a individuare una parola e aeliminare ogni ambiguità. Ma,così com'è, l'alfabeto fenicionon potrebbe servire a rendere,per esempio, l'italiano: le paro-le salato, salita, salute, saluto,solito, salto diventerebbero tut-te s-l-t.Quando, tra il IX e l'VIII secoloa. C., tra i Greci, che avevanocontatti commerciali con i Feni-ci, sorse l'idea di adottare il lo-ro alfabeto, si pose il problemadi superare questa limitazione(giacché in greco, come in ita-liano, non è possibile prescin-dere dalle vocali). Allora i Gre-ci compirono l'ultimo passo sul-la via della conquista di un si-stema di scrittura sostanzial-mente adeguato ai suoi fini. Dalfenicio presero, con alcune mo-difiche, le consonanti di cui ab-bisognavano, convertirono lesemiconsonanti y e w in vocali

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(/', u) e utilizzarono tre lettere,che rappresentavano consonan-ti estranee al greco, per le vo-cali a, e, o.Nasce così l'alfabeto, in cui aciascun fonema, consonantico

o vocalico, corrisponde, almenoin linea di principio, un propriosegno, una lettera. È il nostroalfabeto, poiché dall'alfabetogreco (o più esattamente da u-na delle sue forme) deriva

quello latino, praticamente i-dentico a quello che usiamo. Dialcune sue residue inadegua-tezze a rendere esattamentetutti i fonemi parleremo nellafonologia.

5. LA LINGUA COME CODICEE SISTEMA DI SEGNI

Fin qui abbiamo cercato di rispondere alla do-manda: che cosa è una lingua? Concentriamo oral'attenzione sul secondo quesito: come si realizzala comunicazione linguistica? Ci varremo di duetermini fondamentali: codice e segno.

LA LINGUA COME «CODICE»

L'uso del termine «codice», nel senso di un in-sieme di convenzioni volte al fine di comunicare,è nato nell'ambito della teoria della comunicazio-ne, e precisamente dall'analisi delle telecomuni-cazioni. Scegliendo l'esempio più semplice, riflet-tiamo su quanto si verifica nella trasmissione diun telegramma: un operatore, che conosce l'alfa-beto Morse (il «codice»), con verte le lettere diun certo numero di parole in una successione diimpulsi elettrici soggetta a determinate regole(le «codifica»); questo «messaggio» codificato,trasmesso a distanza, viene ricevuto da un altrooperatore, anch'egli a conoscenza del codice, chericonverte il messaggio in lettere e parole (lo«decodifica»).

La teoria della comunicazione, che parte di qui(e i cui sviluppi, come è ovvio, sono ben più com-plessi), ha fornito i propri modelli a molti campidella scienza, come l'informatica e come la biolo-gia (si pensi al codice genetico, il complesso di in-formazioni codificate interno alle cellule). Anchela linguistica ne ha tratto tutta una terminolo-gia, ormai di uso corrente, e ha adattato al lin-guaggio umano lo schema fondamentale del pro-cesso di comunicazione riportato a pie di pagina.

Nel processo della comunicazione linguistica (o-rale o scritta) il codice è rappresentato dalla lin-gua parlata dall'emittente (locutore, parlante) edal ricevente (destinatario, interlocutore). L'attodel parlare (o scrivere) viene assimilato alla co-dificazìone di quanto l'emittente intende comuni-care, l'atto dell'udire (o leggere) e comprendere auna decodificazione.

CONTESTO E RIDONDANZA

Lo schema riportato qui sotto va integrato conaltri due elementi: il contesto e la ridondanza.Il messaggio ha la sua base nel codice, comune aemittente e ricevente, ma la sua capacità di stabi-lire un'effettiva comunicazione dipende anche dalcontesto: cioè, tutti i fonemi, le parole e i co-

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strutti di un messaggio breve o del segmento diun messaggio più ampio si spiegano a vicenda eacquistano pieno valore se si tiene conto di altrisegmenti precedenti o successivi e di altri mes-saggi simili. Per «contesto» non intendiamo poisolo dei fatti di ordine linguistico, ma estendia-mo il termine fino a comprendere la situazione,quell'insieme di circostanze in cui il messaggio siinserisce (ad esempio il luogo in cui una conver-sazione si svolge, i dati della realtà sociale cuiun discorso o un testo si riferiscono, ecc.).Ricollegandoci poi ancora alle telecomunicazio-ni, osserviamo che in esse non si può prescinderedal «rumore», tutto ciò che disturba la trasmis-sione e determina una perdita d'informazione,col rischio che il messaggio giunga non integro adestinazione; al rumore si ovvia formulando ilmessaggio non in base a un principio di «econo-mia», ma rendendolo «ridondante», cioè caricodi ripetizioni e di elementi accessori. Ciò accadeanche nel messaggio linguistico, che è frequente-mente caratterizzato dalla ridondanza, sia perun atto intenzionale del parlante (per es. nellafrase «A me, tutto ciò, sai, non m'interessa mica»,le parole in tondo possono essere tolte senza chemuti il contenuto dell'enunciato), sia perché cosìprevedono le strutture stesse della lingua (nellafrase «I vostri panini sono pronti», il fatto che sitratta di una pluralità di panini viene segnalatoda tutt'e cinque le parole che costituiscono l'e-nunciato).

LA LINGUA COME SISTEMA DI SEGNI

Ora compiamo un altro passo e domandiamoci:in che cosa consiste il messaggio codificato, diquali elementi è composto il codice? Per la tra-smissione telegrafica la risposta è immediata: ilcodice consiste in segnali diversi tra loro (unaserie di combinazioni di punti e linee), organiz-zati in modo da corrispondere ad altrettantelettere, cifre, indicazioni della virgola, del trat-tino, ecc.Scartiamo il termine segnale, che potrebbe gene-rare ambiguità, e sostituiamogli segno. Diremodunque che il codice Morse è un sistema di se-gni. Ogni segno del codice trova corrispondenzain qualcos'altro, sostituisce qualcos'altro, sta alposto di qualcos'altro: è appunto questo il preci-so valore che attribuiamo a «segno».In quanto codice, anche la lingua è un sistemadi segni, che presenta, come è evidente, un ordi-ne di complessità infinitamente superiore al codi-

ce telegrafico e in cui i segni, le parole, sostitui-scono gli elementi della realtà (i «referenti») oli organizzano1.

LA SEMIOLOGIA

Di sistemi di segni non ne esistono certo due soli(quello delle telecomunicazioni e quello del lin-guaggio), ma molti. La nuova equazione che ab-biamo introdotto (lingua = codice = sistema disegni) ci immette in un vasto e multiforme uni-verso di segni, dei quali si occupa una scienzaapposita, la semiologia (semio- è dal greco se-méion, «segno»). Qui non dobbiamo seguire la se-miologia in tutta l'estensione delle sue indagini,ma il contatto stabilito con questa scienza ciconsente di scoprire, o chiarire meglio, alcunedistinzioni fondamentali relative al linguaggio.L'uomo non è l'unico essere vivente che comuni-chi mediante segni: varie specie animali impiega-no rudimentali sistemi di segni, esistono cioè dei«linguaggi animali». D'altra parte gli uomininon comunicano e non si esprimono solo con laparola, ma anche con i gesti, mediante raffigu-razioni, attraverso la musica, ecc. Preciseremoquindi che il linguaggio umano, rispetto ai lin-guaggi animali, è «articolato» e «simbolico»(cioè complesso e tale da rappresentare, interpre-tandola e ricostruendola, la realtà esterna), e di-stingueremo la comunicazione «verbale» (nelsenso che è costituita di verba, in latino «paro-le») da altre forme di comunicazione «non verba-li» ugualmente proprie dell'uomo.Inoltre quei sistemi di segni che sono le linguesi distinguono come naturali rispetto ai linguag-gi artificiali fissati convenzionalmente dall'uomoper gli scopi più diversi, dai complessi linguaggidella matematica, della logica simbolica, dell'in-formatica alla notazione musicale, alla segnaleti-ca stradale, ecc. E rileveremo ancora che le lin-gue naturali sono sistemi diretti o «di primo gra-do», mentre altri sistemi di segni sono «di secon-do grado» (composti cioè di segni di segni), comela scrittura, i cui segni rinviano al sistema dellinguaggio stesso, scomposto nei suoi elementi(parole, sillabe o suoni).

1 L'argomento cui qui si accenna rapidamente è sviluppatonel capitolo 43, § 7.

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6. LA LINGUA NELLA STORIAE NEL PRESENTE:

DIACRONÌA E SINCRONÌA

LA LINGUA NELLA STORIA

Nel nostro discorso, fin qui, gli accenni alle vi-cende storiche delle lingue non sono mancati, masono rimasti occasionali. Fermiamoci dunque orasu questo aspetto dello studio del linguaggio.La lingua si trasforma di età in età — in modolento e discontinuo nelle strutture di base, piùrapidamente e incessantemente nel lessico — etutte le lingue attuali sono il risultato di un pro-cesso storico, affondano le radici nel passato.Ogni lingua ha una propria storia e ogni territo-rio una propria storto linguistica, ricostruibili suun arco di tempo più o meno ampio a secondadella documentazione disponibile. Per un esem-pio riferiamoci alla nostra lingua e al nostropaese.

UN ESEMPIO: DALL'ITALIANO AL LATINO

Prima della conquista romana in Italia si parla-va una ventina di lingue diverse, imparentate fraloro o isolate (latino, osco, umbro, etrusco, galli-co, messapico, ecc.). Nell'arco di circa trecentoanni — tra il IV e il I secolo a. C. — a tutte sisostituì, adottata per il suo prestigio più che im-posta dalla forza, la lingua del popolo dominato-re, il latino. Con l'età di Augusto l'unificazio-ne anche linguistica dell'Italia può considerarsiconclusa, e intanto il latino andava estendendo-si, al di fuori della penisola, in tutta la parte oc-cidentale dell'Impero Romano: in Gallia, in Spa-gna, in Britannia, lungo il Reno e il Danubio,nell'Africa settentrionale.Noi possiamo seguire la storia del latino attra-verso varie fasi o stadi, dalle più antiche attesta-zioni (VI secolo a. C.) al sorgere della letteratura(III secolo a. C.) e al suo pieno rigoglio (I secoloa. C. -1 secolo d. C.). Poi, a partire dal III secolod. C. una serie di eventi drammatici modifica ilcorso della storia politica, con immediate riper-cussioni su quella linguistica. L'Impero Romanosoggiace a un'inarrestabile crisi economica e so-ciale, s'indebolisce in tutte le sue strutture, cedeagli invasori, si frantuma in Occidente in unapluralità di nuove formazioni statali.Mentre il latino «classico» sopravvive, bene o

male, come lingua scritta, soprattutto come lin-gua del cristianesimo, si accentua e si accelerail processo di trasformazione della lingua parla-ta (latino «volgare»). Questa trasformazione in-veste, oltreché il lessico, i suoni e il sistema mor-fologico e sintattico, e si attua in modo diversoda regione a regione, da città a città, quasi daluogo a luogo.È un processo secolare che culmina dopo il Mil-le, quando le energie umane si risvegliano, le cit-tà riassumono il loro ruolo propulsivo, si profi-la la formazione di alcuni stati «nazionali» einfine, espressione di questo riassestamento, e-mergono e si fissano per iscritto il francese, ilprovenzale, il catalano, lo spagnolo e nel Due-cento, sulla base dell'idioma della Toscana, l'ita-liano.Che cosa è, rispetto al latino, l'italiano! Tra l'etàdi Augusto e il Duecento, pur attraverso una vi-cenda storica tormentatissima, sotto l'aspettolinguistico in Italia non si verificò mai una frat-tura netta, perché i gruppi di invasori e di domi-natori stranieri, numericamente esigui, furonotutti assimilati (le loro lingue influirono solo sullessico, e in misura modesta). Ci fu dunque unalingua che, in una pluralità di varianti locali,passò per una serie di stadi successivi, venendotrasmessa di generazione in generazione. Ma l'i-taliano che emerge nel Duecento, così come le al-tre lingue romanze, non può essere considerato- a causa della profondità delle trasformazioni

intervenute — un altro stadio del latino: è unalingua a sé, una lingua nuova. Comincia di quila storia dell'italiano, il quale rappresenta, dalDuecento ad oggi, una realtà unitaria, anche seè incessantemente mutato nel tempo e vi si note-ranno, di secolo in secolo e magari di generazio-ne in generazione, fasi distinte tra loro.

DIACRONIA E SINCRONIA

Come è evidente, si può studiare lo svolgimentostorico della lingua non solo nel suo assieme, main ogni suo singolo aspetto: tutti i fenomeni lin-guistici — suoni, forme, strutture, parole — ver-ranno indagati nella loro origine e, quando nonsi tratta di innovazioni, si risalirà dalla linguadi oggi a stadi precedenti dell'italiano, da questial latino volgare e al latino classico e, se vorre-mo, dal latino, che è una lingua indoeuropea (ve-di § 2), alla protolingua indoeuropea, ricostruitaipoteticamente, ma in modo attendibile, col meto-do comparativo.

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Questa prospettiva storico-comparativa si oppone,o si affianca, al metodo che consiste nel racco-gliere, descrivere e interpretare unitariamentetutti i fatti linguistici di una determinata fase diuna lingua (per esempio l'italiano di oggi).La differenza tra le due prospettive viene sottoli-neata nel modo più preciso dai termini diacronìae sincronìa. La diacronia (dal greco dia, «attra-verso» e chrónos, «tempo») corrisponde all'aspet-to storico della lingua, al suo svolgimento sul-l'asse del tempo; la sincronia (da syn, «insieme»e chrónos) indica l'insieme dei fenomeni linguisti-ci in un momento dato.Il disegno sopra rappresenta la coesistenza deidue assi mediante due rette che si intersecano, u-na verticale (la diacronia) e una orizzontale (lasincronia). Per ottenere una visualizzazione piùefficace, si sono inseriti gli assi in un cilindro,suddiviso in più piani: svolgendo una ricerca dia-cronica ci spostiamo da un piano all'altro; per ot-tenere un quadro sincronico ci fermiamo su undeterminato piano.

7. GRAMMATICA E LINGUISTICA

Parlando di indagine diacronica e di indaginesincronica, siamo passati dalle considerazioni sullinguaggio e sulle lingue alla scienza che si inte-

ressa a questi problemi, la linguistica. E, sottoquesto nome, una scienza relativamente «giova-ne» e, oggi, in continuo progresso, ma la rifles-sione degli uomini sul linguaggio risale molto in-dietro nel tempo e prese, nel passato, il nome digrammatica.

L'ANTICA GRAMMATICA

La grammatica (dal greco grommata, «segni gra-fici», «lettere», con esplicito riferimento alla lin-gua scritta) nacque nel mondo ellenico nel III se-colo a. C., quando si avvertì l'esigenza di unapreparazione specifica per ben interpretare i clas-sici antichi, la cui lingua era ormai notevolmen-te lontana dalla lingua d'uso, e quando la cultu-ra greca venne a contatto in Oriente e in Occi-dente con popoli parlanti idiomi diversi e inte-ressati a conoscere il greco. La grammatica pas-sò poi a Roma, dove venne adattata al latino, eda Roma fu trasmessa al Medioevo e al Rinasci-mento, rimanendo sostanzialmente sulle basi ori-ginarie fino al Settecento.I Greci considerarono la grammatica una téchne,cioè un'arte come la retorica o la poetica, non u-na scienza rigorosa come la geometria o la logi-ca. Tuttavia essa derivò vari princìpi dalle rifles-sioni sul linguaggio di filosofi come Piatone, Ari-stotele, gli Stoici e, nel Medioevo, gli Scolastici.Inoltre — se guardiamo al metodo impiegato nel-la raccolta dei materiali, nella loro sistemazione,

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nell'individuazione di norme, ecc. — si deve rico-noscere all'antica grammatica una dignità scien-tifica, sia pure entro i limiti di una scienza appli-cata, diretta essenzialmente all'obiettivo dell'ap-prendimento di una lingua letteraria.

LA LINGUISTICA STORICO-COMPARATIVA

Fu all'inizio dell'Ottocento che si costituì comescienza, nel pieno senso del termine, la lingui-stica storico-comparativa; essa non si contrap-poneva alla grammatica tradizionale, della qua-le anzi conserva in gran parte l'impalcatura teo-rica e la terminologia, ma alle speculazioni a-stratte sul linguaggio e alle ricerche etimologi-che condotte fino allora in modo del tutto fan-tasioso.La linguistica storico-comparativa, confrontandoi suoni, le forme e il lessico di gruppi di lingueimparentate (le lingue indoeuropee, semitiche,ecc.: vedi § 2), né ricostruisce la storia, illustra iloro mutamenti nel tempo, ne recensisce e spiegale regolarità e le anomalie. Nata in età romanti-ca, la linguistica storica nel corso dell'Ottocentoperfezionò via via i propri metodi sul modellodelle scienze positive, in particolare quelle natu-rali, operò su un vasto materiale col metodo in-duttivo e cercò di scoprire ed enunciare «leggi»che avessero la stessa validità delle leggi fisiche.Questo indirizzo dominò gli studi sul linguaggiofino ai primi decenni del Novecento, anche quan-do le correnti filosofiche ispirate all'idealismo,che rivendicavano l'assoluta libertà della crea-zione linguistica, contestarono la possibilità diapplicare al linguaggio i metodi naturalistici e,nella loro condanna, coinvolsero anche la gram-matica tradizionale.

LO STRUTTURALISMO

Frattanto — con la pubblicazione postuma, nel1916, del Corso di linguistica del ginevrino Ferdi-nand de Saussure e le ricerche di fonetica, intor-no al 1930, del Circolo di Praga — si andava pre-parando quella svolta nella scienza linguisticache portò allo strutturalismo, affermatosi, conle sue varie correnti, negli ultimi cinquant'anni.Il contatto con altre scienze veniva mantenuto,ma le discipline prescelte, piuttosto che le scien-ze della natura, furono quelle umane, come lapsicologia, la sociologia, l'etnologia.Con lo strutturalismo la ricerca «diacronica»,che era stata privilegiata dal metodo storico-

comparativo, viene posta in secondo piano eprevale l'indagine «sincronica», rivolta soprat-tutto alle lingue nella loro realtà attuale di lin-gue parlate. Inoltre l'indagine non è più direttasoltanto al ristretto settore delle lingue indoeu-ropee e di poche altre, ma si estende a tutto ilmultiforme universo del linguaggio, con la conse-guenza che parte delle categorie della grammati-ca tradizionale, elaborate in funzione del greco edel latino, risultano inadeguate, mentre si im-pongono nuove distinzioni e una nuova termino-logia.

LA LINGUISTICA GENERATIVA

A partire dagli anni Sessanta allo strutturali-smo, e ad altri indirizzi paralleli che qui trascu-riamo, si contrappone una nuova concezione del-la linguistica, che ambisce a porsi, attraverso u-na «rivoluzione copernicana», come una lingui-stica rifondata: la grammatica generativa-tra-sformazionale, cui ha dato avvio il linguista a-mericano Noam Chomsky.Il nuovo indirizzo è connesso a una concezionerinnovata della ricerca scientifica in generale ederiva i propri metodi da quelli della matemati-ca: esso mira a costruire, ad un alto livello di a-strazione e valendosi di un'apposita simbologia,dei modelli teorici, con regole da cui tutte le fra-si di una lingua possono essere «generate», cioèdedotte, per mezzo di una serie di «trasformazio-ni», e ricerca, al di sotto dei fenomeni delle di-verse lingue, le «strutture profonde», proprienon di una data lingua, ma di tutte, vale a diredel linguaggio.

LA GRAMMATICA OGGI

Un libro di linguistica destinato oggi alla scuola,una «grammatica», mette a profitto le conquistedei vari indirizzi della ricerca che si sono succe-duti nell'Ottocento e nel Novecento; d'altra par-te raggiunge meglio i propri obiettivi mantenen-do alcune suddivisioni e categorie della gramma-tica tradizionale, nata appunto, come si è già vi-sto, in funzione dell'insegnamento. E, mentre lalinguistica ad un livello rigorosamente scienti-fico ricerca, illustra e spiega i vari fenomeni sen-za dare valutazioni e suggerimenti sul piano pra-tico, la «grammatica» ha anche l'obbligo di indi-care quale è la norma, cioè l'uso linguistico daconsiderare «corretto». Derivano di qui quegliinterventi «normativi» o «precettivi», che risul-

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tano tanto più accettabili ed efficaci quanto piùsono discreti e tengono conto della realtà dellalingua nelle sue continue trasformazioni e nellasua varietà di «registri» (vedi § 9).

via preliminare rispetto alla fonologia, la foneti-ca studia i suoni del linguaggio in generale, nel-le loro caratteristiche fisiche. (Tutti i terminitecnici che abbiamo qui citato hanno per base laparola greca phoné, «voce, suono»).

8. LE PARTI DELLA GRAMMATICA

DIVERSI PIANI DI DESCRIZIONE E DI ANALISI

Lo studio della grammatica viene generalmentesuddiviso in «parti» (fonologia, morfologia, sin-tassi, semantica e stilistica). Nella trattazione diun argomento complesso un'articolazione rispon-de in generale ad esigenze d'ordine e di chiarezzae poi a necessità imposte dalla materia stessa.Però in linguistica l'opportunità delle suddivisio-ni può essere contestata: non è certo per gradiscanditi da categorie grammaticali che si assimi-la la lingua materna o «prima» lingua, e noi tut-ti, quando formuliamo frasi italiane, non pensia-mo minimamente ad assegnare a settori distinti ivari atti linguistici che compiamo in una voltasola. Anche nell'insegnamento di una linguastraniera, di una «seconda» lingua, prevale ilmetodo diretto o globale, che vuole riprodurreper quanto possibile i processi con cui viene assi-milata la «prima» lingua.Peraltro, quando il nostro scopo è quello di ap-profondire le strutture di una lingua, una riparti-zione della materia si rivela indispensabile; maavvertiamo che non si tratta propriamente diparti, bensì di distinti piani o livelli di descrizio-ne e di analisi. Infatti è sempre la medesima real-tà, un insieme o corpus di atti linguistici, chenoi esaminiamo di volta in volta in prospettivediverse, scomponendo la «catena parlata» o «di-scorso» in segmenti di diversa ampiezza, da sot-toporre via via ad analisi appropriate.Diamo qui una sintetica caratterizzazione di que-sti diversi «piani» o «livelli», su cui ci tratterre-mo poi più diffusamente nel corso della trattazio-ne vera e propria.

FONOLOGIA

La fonologia, prescindendo dal senso dell'enun-ciato, individua i segmenti minimi, cioè le uni-tà non ulteriormente scomponibili, della «catenaparlata»: sono i «fonemi», cioè quei suoni chesi organizzano, nella lingua, in un sistema. In

MORFOLOGIA

La morfologia, facendo attenzione al senso deldiscorso, passa ad un secondo ordine di unità mi-nime, quelle provviste di significato: sono le pa-role, costituite di norma da più fonemi. La mor-fologia classifica le parole in «parti del discorso»(sostantivo, aggettivo, verbo, avverbio, ecc.) estudia le forme diverse nelle quali esse possonopresentarsi, con variazioni atte ad esprimere de-terminate specificazioni e funzioni delle parole,come il singolare e il plurale, il maschile e ilfemminile, i tempi e i modi verbali, ecc. (Il termi-ne morfologia ha per base la parola greca mor-phé, che vale, appunto, «forma»).

SINTASSI

La sintassi prende in considerazione sia singo-le parole, sia gruppi di parole, detti sintagmi,nel quadro di quella unità d'ordine superiore,la proposizione, che corrisponde a un modellostrutturale ed ha per centro un «predicato» (unaforma verbale). Con la sintassi (il termine derivadal greco syn, «insieme» e tàxis, «ordinamento»)chiariamo il «coordinamento», i rapporti recipro-ci delle parole nella proposizione e, di ogni paro-la o di ogni sintagma, determiniamo la funzione(cioè — detto nel modo più semplice ed essenzia-le — «ciò cui essi servono»).Una proposizione può essere del tutto autosuf-ficiente e corrispondere da sola a un periodo, mapiù spesso due o più proposizioni formano un or-ganismo più ampio, il periodo complesso. E, poi-ché andranno stabiliti anche i rapporti delle pro-posizioni e le loro funzioni, avremo, oltre unasintassi della proposizione, anche una sintassi delperiodo (inteso come periodo complesso).

NESSO TRA MORFOLOGIA E SINTASSI

I fenomeni che studiarne nella morfologia e nellasintassi sono quelli che — insieme — conferisco-no alla lingua una forma, un'organizzazione, unastruttura, e rappresentano — insieme — il com-plesso di norme interne alla lingua che portanoalla costruzione di frasi sentite dal parlante co-

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me corrette, «grammaticali». Per esempio, nellefrasi «Parteciperò anch'io» e «Fate partecipareanche me» il pronome personale di P personacompare in forme diverse perché ha diverse fun-zioni sintattiche.Esiste dunque, tra morfologia e sintassi, un nes-so molto stretto e i confini tra questi due «pia-ni» non sono sempre nettamente delimitabili,tanto che molti linguisti preferiscono considerar-li un tutto unico, la morfosintassi. Tuttavia,nel caso di una lingua flessiva come l'italiano,che possiede una varietà di «forme» piuttostoricca, risulta conveniente studiare tali «forme»,nella morfologia, separatamente, per quanto pos-sibile, dai fatti sintattici.

SEMANTICA E STILISTICA

Con la semantica (dal verbo greco semàino, «si-gnificare») risaliamo indietro al segmento paro-la, la quale viene ora considerata sotto l'aspettodel suo significato. Non è il caso di riassumerequi il discorso piuttosto ampio che sarà svolto asuo tempo per chiarire che cosa si debba esatta-mente intendere per «significato». Basti quel cheè più facilmente intuibile: la semantica, anzichéfermarsi sulla forma e la funzione delle parolenella struttura della lingua, studia il loro rap-porto con le realtà extra-linguistiche, con i «re-ferenti» cui esse corrispondono.Questo piano dello studio della lingua non si col-loca in successione ai precedenti, ma piuttostodi lato, e mentre una grammatica enuncia i prin-cìpi generali della semantica, il compito di recen-sire e definire il complesso delle parole (il «les-sico») della lingua sotto l'aspetto del significatoè proprio di un altro strumento di lavoro, ilvocabolario.Infine la stilistica — a rigore più una disciplina

limitrofa che una parte della linguistica o dellagrammatica — si interessa alle scelte operatedal parlante, per diversi motivi e con diversi in-tenti ed esiti, all'interno di una lingua già data edefinita in tutte le sue strutture essenziali. Ilcampo della stilistica risulta più o meno ampio aseconda delle prospettive adottate, ma in ognicaso si estende ad ogni livello dello studio dellalingua, perché le scelte stilistiche riguardanotutti insieme e nello stesso tempo i suoni, le for-me, i costrutti e il lessico, insomma il discorsonel suo complesso.

ALCUNE ALTRE PRECISAZIONITERMINOLOGICHE

Oltre ai termini corrispondenti a determinatisegmenti del discorso presi in esame nei vari pia-ni dello studio della lingua, termini che abbiamogià definito in modo preciso (fonema, parola, sin-tagma, proposizione, periodo), se ne usano, spessocon un valore meno esattamente definito, altriche è qui opportuno ricordare:

• frase: si usa in corrispondenza sia di proposi-zione (in genere autosufficiente), sia di periodo;

• discorso: è un periodo oppure un gruppo diperiodi legati tra loro dal senso;

• testo: può valere come equivalente di discor-so, ma per lo più il termine è riservato a un pas-so più ampio, oggetto di un esame che spazia aldi là dei fatti grammaticali;

• enunciato: ha un valore di per sé generico(«ciò che si enuncia, si dice») ed è riferibile adogni sequenza chiusa dal punto fermo (o interro-gativo o esclamativo).

I dialetti italiani

Le cause della varietà:la teoria del sostrato

II fenomeno della differenziazio-ne dialettale è presente in tuttele grandi lingue nazionali, mala grande varietà che si riscon-tra nei dialetti dell'italiano èsenza dubbio eccezionale. Per

spiegarla fu elaborata nel seco-lo scorso dal linguista Grazia-dio /sa/a Ascoli una teoria che,nonostante numerose obiezioni,sostanzialmente regge: la teo-ria del sostrato.L'attuale distribuzione dei dia-letti ricalca, a grandi linee, l'as-setto etnico e linguistico dell'I-talia pre-romana. Man manoche Roma estendeva la sua

conquista, i popoli sottomessi oaggregati — Sanniti, Etruschi,Galli, Veneti, ecc. — adottaronola lingua della potenza domi-nante, ma vi introdussero de-terminate peculiarità dei loroidiomi originari. In quanto lin-gua dell'amministrazione, dellascuola e della letteratura, il la-tino era saldamente unitario,ma sussistevano differenze lo-

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cali nella lingua parlata, e letracce del sostrato emerseroquando, disgregatosi lo statoromano, si formarono i diversi«volgari».Il confronto fra una cartina del-l'Italia pre-romana e una map-pa dei dialetti attuali offre unaverifica immediata e lampantedella teoria del sostrato. È pureistruttiva una comparazione siacon la suddivisione dell'Italia inregioni disposta da Augustosulla base di precedenti storicie di fattori etnici, sia con l'at-tuale articolazione dell'Italia inregioni, che non è artificiale,ma ha profonde radici nella sto-ria. Non mancano poi prove piùcircostanziate, fornite da quantoconosciamo delle lingue parlatein Italia prima dell'unificazioneattuata da Roma.

Per esempio, un fenomeno foneti-co che differenziava dal latinol'umbro e l'osco (che era la linguadei Sanniti, dei Campani, dei Luca-ni e di altre popolazioni dell'Italiapeninsulare) è la corrispondenzaai gruppi consonantici -nd-, -mb- diforme con la consonante occlusivaassimilata: -nn-, -mm-. Ora, una ti-pica peculiarità di molti dialettiparlati oggi nell'area che fu la pa-tria degli Umbri e degli Oschi èproprio questa: per quando, mon-do, andare troviamo quanno, mon-no, armare, e per gamba, piombotroviamo gamma, piommo.Nell'Italia settentrionale i dialetti ditre regioni — Piemonte, Lombar-dia, Emilia-Romagna — presenta-no vari fenomeni che li avvicinanoal francese. Citiamo fra tali feno-meni, non sempre uniformementeestesi a tutta l'area: 1) la cadutadelle vocali finali, tranne -a; 2) ta-luni casi di passaggio da a ad e,per cui il piemontese ha resfé,porfé per resfare, portare; 3) lapresenza delle vocali labializzateù, o, per cui il milanese ha fum,

fidi per fumo, figliolo; 4) la forzadell'accento d'intensità con la con-seguente caduta di vocali atone,per cui il bolognese ha ong, stmè-na per undici, settimana.Si tratta delle regioni che coincido-no col territorio un tempo abitatodai Galli e che hanno quindi lostesso sostrato del francese. L'a-rea «gallo-italica» comprende an-che la Liguria, il cui dialetto peròin parte diverge, perché la pene-trazione celtica in Liguria fu menomassiccia, mentre esclude il Vene-to, che i Galli non occuparono mai;d'altra parte si estende a un lembodell'Italia centrale, la provincia diPesare, antica sede dei Galli Se-noni.

Altri fattori storici.La posizione del toscano

Anche nei dettagli, dunque, lateoria del sostrato sembra tro-vare conferma. Da sola, però,non spiega tutto. L'idioma chedovrebbe più fedelmente conti-nuare il latino, senza interfe-renze di sostrato, ci aspette-remmo di trovarlo a Roma stes-sa e nel Lazio. Non è così,invece: la regione dove il latinosi è trasformato meno profon-damente che in ogni altra è laToscana, la terra degli Etruschi.Si è cercata la ragione di ciòproprio nel fatto che, fra tutte lelingue cui il latino si sovrappo-se, l'etrusco era la più netta-mente diversa nei suoni e nel-le forme. Mentre Oschi, Umbri,Veneti avevano parlate geneti-camente connesse al latino e,Dell'assimilare la lingua dei do-minatori, furono istintivamenteportati a fonderla almeno inparte con la loro, gli Etruschi,passando da una struttura lin-guistica ad un'altra affatto di-versa, dovettero disfarsi com-pletamente della parlata nativaed appresero il latino in tutta la

sua integrità e purezza.A questo punto però, al di làdella teoria del sostrato, occor-re far intervenire altri fattoristorici. Per tutto l'Alto Medioe-vo la Toscana rimase in condi-zioni di pronunciato isolamento,tagliata fuori dalle principali viedi traffico terrestri e marittime,e offrì quindi condizioni propi-zie ad una conservazione piùfedele di forme e suoni del lati-no. Quanto all'anomalia di unaRoma linguisticamente più «im-barbarita», essa trova spiega-zione nel collasso e nello spo-polamento di una città che ave-va perduto il rango di capitaledell'Impero; passati i secoli piùoscuri, Roma si ripopolò grazieall'afflusso di nuovi abitanti dal-le vicine regioni del Centro edel Mezzogiorno e divenne, sot-to l'aspetto linguistico, una cit-tà meridionale, per ricevere poiun sensibile influsso fiorentinodurante il Rinascimento.

A fattori storici parimenti ricondu-cibili al Medioevo si ricorre perchiarire le differenze che oppongo-no i dialetti della Sicilia, di partedella Calabria e del Salente aglialtri dialetti meridionali: quell'arearimase politicamente staccata dalresto del Mezzogiorno per moltisecoli (soggetta come fu ai Bizan-tini, e la Sicilia inoltre, per quasiduecento anni, agli Arabi).Anche per il netto confine tra dia-letti settentrionali da una parte ecentro-meridionali dall'altra va pre-sa in considerazione la circostanzastorica — che si delinea già quan-do l'Impero è ancora intatto, tra ilII e il IV secolo — delle intense re-lazioni dell'Italia settentrionale coni territori d'Oltralpe, in particolarecon le Gallie, attraverso il prevale-re di correnti di traffico est-ovest,mentre l'Italia peninsulare andavaperdendo la sua centralità politicaed economica. Per alcuni studiosi

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tali fattori basterebbero a spiega-re, senza far intervenire il sostra-to, molte connessioni tra i dialetti«gallo-italici» e le lingue neolatinedella Gallia.

Qualunque spiegazione si pre-ferisca — ma è evidente che ifattori in gioco furono molti ediversi, e non sempre facilmen-te distinguibili —, il panoramadei dialetti italiani lascia scor-gere una millenaria stratifica-zione storica ed è una testimo-nianza vivente del tormentatoprocesso formativo della nostranazionalità.

Panoramadei dialetti italiani

Osserviamo la cartina sotto escorriamo a grandi linee questopanorama, procedendo da nordverso sud.

• La maggior parte dell'Italiasettentrionale è costituita dall'a-rea dei dialetti gallo-italici: 1) ilpiemontese, quello che presen-ta il maggior numero di analo-gie col francese (un esempio:la 1a pers. plur. del presente,cantuma, va insieme col france-se cantons. opponendosi sia a

cantemo, del resto dell'Italiasettentrionale, sia a cantiamo,centro-meridionale); 2) il lom-bardo, con varietà notevoli, ri-spetto al milanese, nel brianzo-lo, nel ticinese, nel bergama-sco, nel bresciano, nel manto-vano; 3) l'emiliano-romagnolo,distinto in emiliano occidentale,bolognese, ferrarese e roma-gnolo, che si spinge nelle Mar-che fino al fiume Esino; 4) il li-gure, differenziato per varie ca-ratteristiche dagli altri dialettigallo-italici.

• II veneto ha vari tratti in co-

L'ITALIANO E I SUOI DIALETTI

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mune con i restanti dialetti set-tentrionali, ma ne ha anche altrioriginali, attestanti un'evoluzio-ne autonoma dal latino e talida avvicinarlo sotto certi aspet-ti, benché manchi la continuitàgeografica, al toscano, per es.la persistenza di molte vocalifinali e determinati esiti di vo-cali toniche; si confrontino: (ve-neto) duro, late, neve: (bologne-se) dur, lat, nàiv; (toscano, e i-taliano) duro, latte, neve. L'au-torità e il prestigio di Venezianei secoli hanno conquistatolinguisticamente la regione, an-nullando o riducendo le diffe-renze (un tempo il padovano, o«pavano», era nettamente di-verso dal veneziano) e hannoimposto il modello veneto an-che a Trento e, al di là delFriuli, a Trieste.

• Nel Settentrione abbiamo in-fine il friulano: pur influenzato,come si è detto, per motivi sto-rici, dal dialetto di Venezia,possiede, oltre a una proprialetteratura, precisi caratteri di-stintivi, che hanno la loro basein un particolare sostrato carni-co-celtico e lo avvicinano al la-dino.

• Quando passiamo all'Italiapeninsulare, ci si presenta an-zitutto il toscano: esso si identi-fica, in particolare nel modellofiorentino, con la lingua italianae quindi, a rigore, è improprioincluderlo fra i dialetti; dal fio-rentino, cui è molto prossimo ilsenese, si scostano in misurapiù o meno rilevante, parteci-pando di alcuni fenomeni deidialetti finitimi, a ovest il luc-chese, il pisano e il livornese,a est l'aretino, a sud il grosse-tano

• A sud dell'emiliano-roma-gnolo sul versante adriatico e asud del toscano sul versantetirrenico si distribuiscono i dia-letti denominati italici, in quan-to sorti in prevalenza sul so-strato dei popoli italici (Umbri,Sanniti, Sabelli, ecc.). I confinitra le molte, diverse parlate lo-cali sono difficilmente definibi-li, i passaggi dall'una all'altragraduali: si va dai dialetti cen-trali — l'umbro, il marchigiano diAncona e Macerata, il dialettodi Roma («romanesco») e delLazio settentrionale, tutti conqualche più o meno accentuataaffinità col toscano — ai dialettimeridionali: il marchigiano diAscoli, poi i dialetti abruzzesi emolisani (Abruzzo e Molise, og-gi considerati regioni centrali,fecero parte fino al 1860 delRegno di Napoli), quindi il cam-pano («napoletano»), il puglie-se (delle province di Foggia edi Bari e di parte delle provin-ce di Brindisi e di Tarante), illucano, e infine il calabresesettentrionale.

• Ben distinti dai dialetti meri-dionali «italici» sono il sicilia-no, il calabrese (della Calabriacentro-meridionale) e il salenti-nò (provincia di Lecce e partedelle province di Brindisi e diTarante): questi dialetti divergo-no da quelli parlati più a nordper il timbro delle vocali toni-che, per l'assenza di vocali fi-nali indistinte e per altri tratti,che li rendono per vari aspettipiù vicini al toscano degli altridialetti meridionali.

4/fre linguenel territorio italiano

Per le loro particolari caratteri-stiche fonetiche e morfologiche

sono invece da considerare nondialetti, ma lingue neolatine in-dipendenti - - pur nell'ambitodell'area linguistica italiana -l'idioma della Sardegna, il sar-do, e il ladino, o reto-romancio,parlato in alcune vallate dolo-mitiche, oltre che nel cantonesvizzero dei Grigioni; anche ilfriulano, piuttosto che un dialet-to italiano, da vari autori è con-siderato una propaggine delreto-romancio.

Il panorama linguistico dell'Ita-lia va infine integrato con altrelingue parlate in alcune regionidi confine: il francese dallamaggioranza della popolazionedella Valle d'Aosta; il fedescodalla maggioranza della popo-lazione dell'Alto Adige (provin-cia di Bolzano); lo sloveno da-gli abitanti di alcuni comuni delFriuli.I diritti linguistici di queste co-munità sono rigorosamente tu-telati dalla Repubblica; diversoè il discorso per piccole areealloglotte (= di lingua diversa)greche, albanesi, slave, risul-tato di migrazioni medioevali,esistenti negli Abruzzi, in Puglia,in Calabria, in Sicilia, che diffi-cilmente si sottraggono all'as-sorbimento da parte della lin-gua nazionaleAl di fuori del territorio dellaRepubblica — senza tener con-to delle comunità di emigrati i-taliani in paesi europei ed ex-traeuropei — l'italiano è la lin-gua del Canton Ticino in Sviz-zera, di San Marino e di alcunidistretti dell'lstria, in lugoslavia;sono italiani anche i dialettidella Corsica e di una parte delNizzardo, sebbene, come linguadi cultura, si sia imposto ilfrancese.

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oI—Itsi

9. STUDIARE L'ITALIANO: QUALE?

In queste pagine introduttive abbiamo sollevatomolti dubbi e abbiamo posto, cercando di risol-verli, molti problemi, mentre rimaneva fermo unpunto: il nostro obiettivo è di studiare l'italiano.L'italiano: è la lingua che in questo momentostate leggendo, è la lingua che parlate, è la lin-gua della «comunità linguistica» di cui facciamoparte. Certo è così, ma, per delimitare senza al-cun equivoco l'oggetto del nostro studio, dobbia-mo risolvere anche qui qualche dubbio e conside-rare dei fattori che ci obbligano a stabilire alcu-ne importanti distinzioni:

- nella dimensione del tempo, cioè sull'asse«diacronico»;

- nella dimensione dello spazio geografico;

- in una terza dimensione, connessa alle diffe-renze determinate dalla società e al diverso usoche si può fare del linguaggio.

Consideriamo questi fattori uno dopo l'altro, an-che se in effetti essi interagiscono in vari moditra loro.

DIFFERENZE NEL TEMPO

All'origine e alla storia dell'italiano abbiamo giàaccennato (vedi § 6): la nostra lingua conti-nua direttamente il latino, più precisamente illatino parlato nella fase di dissoluzione dell'or-ganismo statale romano. Il processo di formazio-ne dell'italiano si protrasse per secoli, ma il pe-riodo in cui ne possiamo collocare la nascita è ilDuecento, quando alcuni testi, anziché nella lin-gua letteraria imperante, il latino, furono stesiin quella che era una parlata d'uso quotidiano, oin una forma ad essa vicina.La storia della nostra lingua conta dunque quasiotto secoli, un periodo che deve essere considera-to molto lungo. Mentre un inglese, un francese eun tedesco oggi non sono in grado, senza unapreparazione specifica, di leggere un testo dellaloro lingua risalente al XIII secolo, un italiano,anche di cultura non elevata, comprende a primavista queste parole:

Altissimu, onnipotente, bon Signore,laude, la gloria e l'honore...;

tue so' le

... A li miei occhi apparve prima la gloriosa don-na de la mia mente, la quale fu chiamata da moltiBeatrice...,

che sono rispettivamente l'inizio del francescanoCantico di frate Sole (1224) e una frase della Vitanuova di Dante (1292).

Certo la lingua documentata dai testi non solodel Duecento o del Trecento o del Cinquecento,ma anche dell'Ottocento o del primo Novecentopresenta — ad ogni livello di analisi — un certonumero di differenze dalla lingua parlata e scrit-ta contemporanea, ma si tratta pur sempre di fa-si o stadi (vedi § 6) della medesima lingua.Lo studio dell'italiano, oggi, è lo studio dell'ita-liano di oggi. Tuttavia non si possono ignorarele testimonianze d'arte, di pensiero e di storiache rappresentano la nostra eredità culturale, eil nostro studio non dovrà trascurare quelle in-formazioni che facilitino una lettura spedita deitesti italiani di altri secoli.

DIFFERENZE NELLO SPAZIO GEOGRAFICO

Un altro argomento cui si è già accennato è ilsorgere dell'italiano sulla base di quella che erauna fra le tante parlate in cui si era frammenta-ta la lingua latina nel Medioevo: il toscano (e,più specificamente, il fiorentino). Perché proprioil toscano? E con quali conseguenze?Una lingua nazionale ha sempre origine da undato idioma locale. Nel caso dell'inglese e delfrancese è subito chiaro per quale motivo si trat-tò, rispettivamente, delle parlate di Londra e diParigi: questi erano i centri del potere politico,le capitali di monarchie che avevano unificato osi avviavano a unificare l'Inghilterra e la Fran-cia. Ma Firenze non era nel Duecento se non u-no tra i molti Comuni italiani, sia pure uno deipiù prosperi e vivaci. Bisogna cercare la spiega-zione anche in altre cause.All'affermazione del toscano concorsero: il fattoche aveva modificato il latino, in particolare allivello della fonologia, meno radicalmente che lealtre parlate d'Italia (e ciò tra l'altro favorival'innesto nel lessico di parole «dotte», desuntedirettamente dai testi latini, e quindi l'arricchi-mento della lingua letteraria); il fatto di trovarsiin una posizione centrale e intermedia, non soloin senso geografico, ma anche proprio sotto l'a-spetto linguistico, tra il nord e il centro-sud delpaese: e infine il prestigio che ricevette dai gran-

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di scrittori toscani del Due-Trecento (Dante, ilPetrarca, il Boccaccio).Come si è ripetuto più volte, l'italiano nasce sul-la base del toscano, non è il toscano, per il sem-plice motivo che quella che sorse nel Duecentoin Toscana, e poi si diffuse piuttosto rapidamen-te ai circoli colti delle altre regioni, assurgendoa lingua nazionale, si presenta essenzialmentecome una lingua scritta, anzi letteraria (destinataad opere poetiche e poi anche prosastiche, senzaestendersi subito all'amministrazione, al diritto,alla scuola, che rimasero fedeli per due, tre,quattro secoli al latino). A questa lingua era vi-cina — anzi molto vicina, al livello della fonolo-gia e della morfologia — la lingua parlata in To-scana; altrove la stragrande maggioranza dellapopolazione seguitò a parlare il proprio dialetto,cioè — dal Piemonte alla Sicilia — una grandevarietà di dialetti, anche fortemente differenziatifra loro.

LINGUA E DIALETTI

Che cosa è un dialetto? Sul piano strettamentelinguistico è, né più né meno, una lingua: un si-stema in sé completo e uno strumento atto ad as-sicurare perfettamente la comunicazione verbale.Lo distinguiamo tuttavia dalla lingua perché ècompreso nell'area di una lingua nazionale (ri-spetto alla quale si trova in una condizione diinferiorità sul piano socio-culturale), perché nonsi è affermato come strumento di comunicazionenei vari istituti propri della vita associata e per-ché non è il veicolo di una vera e propria, auto-noma tradizione letteraria (sebbene in alcuni dia-letti siano state composte singole opere di altovalore estetico). È poi importante rilevare che idialetti d'Italia non risultano in alcun modo dauna differenziazione della lingua italiana, non nesono una specie di «sottoprodotto», ma continua-no ciascuno, indipendentemente, il latino.La frammentazione politica del nostro paese, pro-trattasi fino al Risorgimento, e un assetto socialeche escludeva dall'istruzione la stragrande mag-gioranza della popolazione determinarono il per-durare dell'uso esclusivo o prevalente del dialet-to nella comunicazione orale. Il bilinguismo (lapadronanza contemporanea dell'italiano e di undialetto) rimase a lungo prerogativa di cerehieristrette e venne estendendosi, molto lentamente,solo nel Settecento e nel primo Ottocento, poicon moto un po' più rapido dopo l'Unità e l'in-troduzione dell'insegnamento obbligatorio. Ma

soltanto nel Novecento e soprattutto negli ultimiquaranta anni — per l'azione dei mezzi di comu-nicazione di massa e l'intensificarsi della vita e-conomica e democratica — si è raggiunta una si-tuazione in cui l'uso del solo dialetto rappresen-ta l'eccezione, il bilinguismo è ampiamente diffu-so e l'uso esclusivo della lingua nazionale tendeforse a prevalere.Nonostante ciò, la realtà dei dialetti è tuttora u-na presenza ben avvertibile in Italia, ed è marca-ta la loro influenza sulla lingua d'uso, mentred'altra parte l'italiano esercita un'azione livella-trice sui dialetti stessi. Inoltre, all'originaria,quasi infinita varietà dei dialetti locali si sovrap-pongono, accanto alla lingua, dialetti regionalinon del tutto privi di un loro «statuto» sociale:essi agiscono sull'italiano delle varie regioni inmisura modesta per quanto riguarda la morfo-sintassi e il lessico, ma ne caratterizzano forte-mente la pronuncia.

A questo proposito sarà consentito un rilievo intono «precettivo». Chi ha assimilato, nella suavivace genuinità, un dialetto locale, deve consi-derarlo come un patrimonio prezioso, da difende-re contro ogni azione livellatrice, e come una«seconda» lingua (il dialetto è una lingua), da u-sare non commisto all'italiano, ma nella sua in-tegrità. D'altronde la nostra lingua, l'italiano,deve a sua volta rimanere immune, per quantopossibile, da interferenze esterne: chi non è to-scano eviterà dunque, perlomeno, di compiacersidi una data pronuncia «regionale» e si sforzeràdi parlare l'italiano non «alla toscana», ma se-condo quello standard della lingua nazionale co-mune che dal toscano ha derivato il proprio si-stema fonologico.

ALTRE DIFFERENZIAZIONI

Le altre molteplici differenziazioni della linguasono riconducibili a diverse «funzioni», «regi-stri» espressivi, linguaggi «speciali» o «settoria-li», «gerghi», ecc., e ce ne occuperemo nella sti-listica (vedi capitolo 42). Qui basterà accennaread alcuni termini che ricorrono anche nelle partidedicate alla fonologia, alla morfologia e allasintassi.La barriera tra la lingua scritta e la lingua par-lata si è progressivamente ridotta nel tempo, manon annullata, e la distinzione rimane fondamen-tale, anche se c'è una lingua scritta che riprodu-ce intenzionalmente con fedeltà il parlato e d'ai-

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tra parte questo, quando si allontana dal registrofamiliare o colloquiate, tende a modellarsi sullalingua scritta. Dalla lingua scritta volta a scopipratici distingueremo poi la lingua letteraria nel-le sue molte varietà, fino alla lingua poetica, laquale, sia che si ancori alla tradizione, sia chesperimenti vie nuove, corrisponde a quella fun-zione del linguaggio in cui si manifesta più forte-mente la personalità individuale.

Una lingua è, dunque, differenziata al suo inter-no e lo studio di una lingua non può trascurarenessuna delle varietà che, a diversi livelli e perdiverse cause, vi si sono determinate e vi si de-terminano continuamente, ma nel medesimo tem-po deve comporle tutte in un quadro che restitui-sca la lingua stessa nella sua realtà di fenomenocomplesso e tuttavia fondamentalmente e salda-mente unitario.

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FONOLOGIA

1. I suonidel linguaggio

1. CATENA PARLATA,.. SUONI LINGUISTICI, FONEMI

LA CATENA PARLATA E I SUONI LINGUISTICI

Ogni lingua si presenta a chi ascolta come unasuccessione di particolari suoni, interrotta qua elà da pause: come una «catena parlata».Se la esaminiamo con attenzione, possiamo indi-viduare in questa «catena parlata» un certo nu-mero di elementi, diversi tra loro e non ulterior-mente scomponibili: i suoni linguistici. Sono«unità minime», di per sé prive di significato,che, combinandosi tra loro, formano le unità do-tate di significato, le parole.

LA FONETICA

Riguardo ai suoni linguistici un primo ordine didomande che ci poniamo è: come si producono?Quale è la varietà dei suoni che la voce umanapuò articolare?La disciplina che studia i suoni linguistici sottoil loro aspetto fisico e riferendosi al linguaggioin generale è la fonetica.

I FONEMI: UN SISTEMA — LA FONOLOGIA

Rivolgiamo poi la nostra attenzione a una soladata lingua, per esempio la nostra, e consideria-mo il sistema costituito da quei suoni che effet-

tivamente l'italiano utilizza, e che chiamiamo fo-nemi. Il tipo di domande che ora ci poniamo è:quanti e quali sono i fonemi dell'italiano, comesi distinguono tra loro, come funzionano? La di-sciplina che vuole rispondere a queste domande èla fonologia.

NOTA

• Abbiamo detto che i singoli suoni linguistici sonodi per sé privi di significato e che soltanto combinan-dosi insieme formano le parole. Però una vocale, cheè pronunciabile anche isolatamente, può corrisponde-re da sola a una parola: in italiano, per esempio, a (u-na preposizione), e (una congiunzione), è (voce delverbo essere), ecc.

2. LA SCRITTURAE L'ALFABETO ITALIANO

LA SCRITTURA

In questo capitolo ci occuperemo, brevemente,dei suoni del linguaggio in generale (cioè di fone-tica) e passeremo poi nei capitoli successivi allafonologia dell'italiano. Prima, però, dobbiamo af-frontare un altro argomento preliminare: lascrittura.Come sappiamo dall'Introduzione, una lingua èun sistema naturale di segni e l'umanità, a uncerto punto della sua evoluzione culturale, allo

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scopo di fissare per iscritto la lingua ha inventa-to dei sistemi derivati di segni grafici. Sono i di-versi tipi di scrittura, e quella che noi usiamo èuna scrittura alfabetica, elaborata per conver-tire i singoli fonemi in segni grafici, detti lettereo, con termine più tecnico, grafemi.

L'ALFABETO ITALIANO

L'alfabeto italiano (in caratteri detti latini) sicompone di 21 lettere, maiuscole e minuscole:

A B C D E F Ga b e d e f g(a bì ci di e effe gì

H I L M N O Ph i 1 m n o p

acca i elle emme enne o pi

Q R S T U V Zq r s t u v zcu erre esse ti u vu zeta)

Tuttavia in nomi propri, in parole straniere e inalcune grafie antiquate compaiono altre 5 lette-re: J, K, W, X, Y (i lunga, cappa, doppio vu, ics,ìpsilon). Si può quindi considerare di uso corren-te un alfabeto di 26 lettere:

A B C D E F G H I J K L Ma b c d e f g h i j k l m

N O P Q R S T U V W X Y Zn o p q r s t u v w x y z

una lettera può non rappresentare alcun suo-no, ma essere un semplice relitto storico; per e-sempio in hanno la h non è pronunciata e questaforma verbale suona esattamente come il sostan-tivo anno.

Abbiamo insomma in italiano (e ancor più in al-tre lingue, come il francese e l'inglese) una seriedi divergenze tra il sistema dei suoni e il sistemadei segni che li riproducono.

ATTENZIONE A DISTINGUERETRA FONEMI E LETTERE

Quando si apprendono le prime nozioni elementa-ri indispensabili per la corretta scrittura (orto-grafia), si ricorre a regolette pratiche. In unostudio più approfondito dobbiamo chiederci per-ché, scrivendo, si rende un certo suono in uncerto modo, e cioè accertare i motivi di determi-nate convenzioni grafiche.Per fare ciò, occorre tenere sempre presente ladistinzione, ben netta, fra suono (o fonema) e let-tera (o grafema). Inoltre assumeremo di normacome punto di partenza i suoni e i fonemi, cioèla «catena parlata», che rappresenta la vivarealtà della lingua; dai fonemi passeremo poi allelettere che servono a riprodurli, alla «catenascritta».Ritornando agli esempi già fatti, diremo che nel-le parole cara e cera si trovano, all'inizio, due di-versi fonemi, sebbene la lettera usata (la e) sia lamedesima; diremo che le parole scena e hanno so-no composte ciascuna da 4 fonemi, anche se lelettere impiegate per scriverle sono 5; e così via.

DIVERGENZE TRA SUONI E SEGNI

L'alfabeto mirerebbe a riprodurre graficamentecon esattezza i suoni della lingua, facendo corri-spondere a ogni fonema un segno diverso, ed unosolo. In realtà le cose non stanno sempre così:

• una stessa lettera può talora registrare fonemidiversi; per esempio la lettera e serve per notarei fonemi iniziali di cara e di cera, che sono diffe-renti;• un unico fonema può essere reso non da una,ma da due (e talvolta tre) lettere; per esempionella parola scena il fonema rappresentato da seè unico;• uno stesso fonema può essere reso da letterediverse; per esempio in cuore e in quando il pri-mo fonema è identico, ma viene rappresentato u-na volta con e, l'altra con q;

3. I SUONI DEL LINGUAGGIO

COME SI FORMA LA VOCE UMANA

La voce umana è costituita dai suoni prodottidall'aria che, emessa dai polmoni, passa attraver-so una successione di cavità: la laringe, la farin-ge, la bocca e, in certi casi, le cavità nasali. Di-versi organi cooperano alla formazione della va-rietà pressoché infinita dei suoni che l'uomo rie-sce a produrre con la voce o, come si dice, ad ar-ticolare. Questi organi «fonatòri» — oltre i pol-moni e, come è ovvio, i centri nervosi — sono: lecorde vocali, la laringe, il velo del palato (o «pa-lato molle»), la lingua, i denti e gli alveoli, lelabbra, le cavità nasali.

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Nel disegno, la successione delle cavità che formano il «canale vocale»: laringe, faringe, bocca e cavità nasali. Inoltre vi distinguiamo i vari«organi foratóri»: lingua, labbra, denti, alveoli (o gengive), palato, velo del palato (o palato molle), corde vocali.Le frecce indicano il passaggio dell'aria espirata. L'ugola ha la funzione di occludere, sollevandosi, il passaggio dell'aria verso le fosse nasali,il che avviene sempre tranne che nell'articolazione delle consonanti e vocali nasali, quando anche il naso coopera a emettere i suoni.

UNA PRIMA SUDDIVISIONE FONDAMENTALE:VOCALI E CONSONANTI

Tra i suoni linguistici distinguiamo anzituttodue categorie fondamentali:

• le vocali: sono la base della «voce». Vengonoarticolate senza che l'aria espirata incontri al-cun ostacolo, «a bocca aperta»; possono esserepronunciate da sole e continuate finché non sia-mo costretti a «tirare il fiato»;• le consonanti: «suonano» (cioè si articolano)«insieme con» una vocale. Se vogliamo pronun-ciarle isolatamente, ci riusciamo con difficoltà, edi norma nella catena parlata si appoggiano a u-na vocale nella sillaba.

4. LE VOCALI

CARATTERISTICHE COMUNI E DIVERSI«TIMBRI» DELLE VOCALI

Le vocali, come abbiamo detto, sono la base del-la «voce». Chiariamo questo concetto su cui tor-neremo ancora (vedi capitolo 3, § 4-5): esse sonoalla base dell'unità superiore al singolo fonema,la sillaba (a-vo-rc), e, nella parola, ricevono l'ac-

cento (avara). Si ha poi sempre, nell'articolazio-ne delle vocali, una vibrazione delle corde voca-li, e si dice perciò che hanno una sonorità, chesono sonore.Le vocali si differenziano tra loro nel timbro,che varia in base alla diversa forma assunta dal-la cavità orale nell'articolarle.

GRADO DI APERTURA DELLA BOCCA

Se consideriamo le cinque vocali fondamentali, o«cardinali» — a, e, i, o, u —, notiamo che labocca si apre molto quando articoliamo la a, me-no nell'articolazione di e, o, meno ancora nell'ar-ticolazione di i, u.

VOCALI PALATALI E VELARI(O ANTERIORI E POSTERIORI)

D'altra parte, nell'articolazione delle vocali e, ila punta della lingua si volge, senza toccarlo,verso il palato: sono dette palatali, oppure ante-riori, perché si formano nella parte anteriore del-la bocca. Invece nell'articolazione di o, u è ildorso della lingua a volgersi verso il palato mol-le o «velo»: le chiamiamo quindi velavi o poste-riori. Nell'articolazione della a la posizione dellalingua, che rimane sostanzialmente piatta, è in-termedia.

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DIAGRAMMA TRIANGOLARE DELLE VOCALI

Tenuto conto dei due fattori che abbiamo consi-derato — grado di apertura della bocca e posizio-

ne della lingua — è facile costruire un semplicediagramma triangolare, in cui si dispongono,secondo le loro caratteristiche, le vocali «cardi-nali»:

aperturadella bocca

minima

intermedia

massima

(in base alla posizione della lingua)

anteriori medie posteriorio palatali o centrali o velari

_i

e ^ X .

a

^•u

s^^o

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

Varietà delle vocali

Esistono 5 vocali «cardinali»,ma i suoni vocalici sono moltidi più (distribuibili in punti di-versi del diagramma triangola-re) e in genere, nel propriosistema fonologico, una datalingua utilizza più di 5 fonemivocalici. Come vedremo, in ita-liano, ad esempio, di e ne esi-stono due: la e di dieci è piùaperta, la e di tre è più chiu-sa. Se poi pronunciamo corretta-mente le parole inglesi bad,man, marry («cattivo», «uomo»,«sposare»), la vocale che arti-coliamo è ancora più apertadella e aperta italiana e si col-loca tra questa e e la a (in tra-scrizione fonetica = a).Chi studia l'inglese sa beneche questa è solo una delletante difficoltà che si devonosuperare per apprendere lapronuncia esatta dei fonemi diquesta lingua. Per esempio, ilprincipiante tende ad articolarele vocali di cup, hut, son («taz-za», «capanna», «figlio») comeuna a o magari come una u (o

una o). Poi l'insegnante, conmolti esempi ed esercizi, fa co-gliere il timbro di questa voca-le, che non corrisponde a nes-suna vocale italiana (in trascri-zione fonetica = A).Un'altra vocale dell'inglese dicui dobbiamo apprendere lapronuncia senza avere un pun-to di appoggio nell'italiano è lavocale «indistinta», qualcosa disimile a una e evanescente,che troviamo per es. nell'artico-lo thè o all'inizio di about («in-torno»). Foneticamente essaviene rappresentata con una ecapovolta: 9. La ritroviamo an-che in francese (per es. pre-mier, «primo» = premié) e intedesco (bitte, «prego» = bi-le). Non solo. La sentiamo an-che alla fine di molte parole nelnapoletano e in altri dialetticentro-meridionali: so/a, rossa,Urtimene («sole», «rosso»,«femmina»).Studiando il tedesco e il france-se, incontriamo due o tre vocaliche mancano sia all'italiano siaall'inglese e si chiamano «la-bializzate», perché nella loro

articolazione entrano in gioco,protendendosi, anche le labbra.Il tedesco le contraddistinguecon una dieresi e si trovano,per es., nelle parole Kummel(un liquore) e Mòbel («mobi-le»). In francese è labializzataogni u: but, cru, cure («scopo»,«crudo», «cura»); altre vocalilabializzate sono rese dall'orto-grafia francese in vario modo:bleu, noeud, peuple («blu», «no-do», «popolo») ecc. Si rappre-sentano foneticamente con [ù],[o], e sono frequenti anche neidialetti della Lombardia e di al-tre aree dell'Italia settentriona-le: milanese fùm («fumo»), ro-da («ruota»).Se, nell'articolare le vocali,parte dell'aria espirata vieneemessa dal naso, si hanno levocali nasali, caratteristichedel francese e rappresentate intrascrizione fonetica con [a],[è], ecc. Per esempio: temps,«tempo» [= là]; vin, «vino»[= ve]; bon, «buono» [= bó].Non è finita con la varietà deisuoni vocalici che possiamotrovare in questa o in quella

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lingua. Mentre in italiano unadata vocale, per es. a, può ave-re una durata maggiore o mino-re (diciamo, in termini di deci-mi di secondo, da 1 a 2 o 3),

senza che ciò influisca sul si-gnificato della parola di cui faparte, in altre lingue una a bre-ve o una a lunga rappresentanodue fonemi distinti, e così i bre-

ve e i lunga, ecc. Un esempiodall'inglese: live (= liv, coni breve), «vivere», e leave(= lìv, con i lunga, in trascri-zione fonetica lilv), «lasciare».

5. LE CONSONANTI

A produrre la varietà delle consonanti concorro-no tre fattori: il modo dell'articolazione, il luogo(o punto) dell'articolazione e la presenza o assen-za di sonorità.

MODO DELL'ARTICOLAZIONE

In rapporto al modo dell'articolazione osservia-mo che, in alcune consonanti, l'aria emessa tro-va un ostacolo, perché in un dato punto il «ca-nale vocale» per un momento si chiude, «si oc-clude»: sono le consonanti occlusive, per esem-pio p, b, t, d, la e di cara.In altre invece non si verifica un'occlusione com-pleta, ma solo un restringimento e l'effetto acusti-co è simile a un fruscio. Si hanno così delle con-sonanti continue, designate con termini che col-

gono alcune loro più precise caratteristiche: spi-ranti (esempi: f, v); sibilanti (esempio: s); liqui-de (esempi: 1, r); nasali (esempi: m, n). In que-ste ultime si verifica un'occlusione nella bocca,ma l'aria continua a passare attraverso il naso.Infine nelle consonanti semiocclusive (o «affri-cate») si ha prima un'occlusione, cui segue im-mediatamente un fruscio: ne è un esempio la e dicera.

LUOGO DELL'ARTICOLAZIONE

Un secondo, e fondamentale, fattore della diver-sità delle consonanti è il luogo dell'articolazio-ne, cioè il punto del canale vocale in cui si pro-duce l'occlusione oppure il restringimento: lelabbra, i denti, il palato, il «velo» del palato. Di-stinguiamo quindi le consonanti, sotto questo a-spetto, in:

• labiali (esempi: le occlusive p, b; le spirantif, v);

Denominazione delle consonanti secondo il «luogo dell'articolazione'-

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• dentali (esempi: le occlusive t, d e vari tipi dicontinue);• palatali (esempio: la semiocclusiva e di cera);• velari, o, con termine comune, ma meno esat-to, gutturali (esempio: l'occlusiva e di cara).

PRESENZA O ASSENZA DI SONORITÀ

Veniamo ora al terzo fattore di differenziazione.L'articolazione delle consonanti può essere ac-compagnata dalla vibrazione delle corde vocalioppure no. Se c'è vibrazione le consonanti si di-cono sonore, in caso contrario si dicono sorde.

Sono sempre sonore (come le vocali) le liquide ele nasali, mentre nelle altre categorie possonopresentarsi entrambi i casi. Ad esempio p e b so-no entrambe occlusive e labiali, ma p è sorda, b èsonora.

I «TRATTI DISTINTIVI»

I tre fattori che abbiamo considerato — mododell'articolazione, luogo dell'articolazione e pre-senza o assenza di sonorità -- determinano i«tratti distintivi» di ogni consonante, necessarie sufficienti a distinguerla da tutte le altre.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

Varietà delle consonanti

Nel testo, descrivendo i suoniconsonantici, abbiamo dato gliesempi con l'italiano e si èsempre tenuta presente la no-stra lingua, in modo da stabilirela base per l'analisi di tutti isuoi fonemi nel prossimo capi-tolo. Ma la varietà delle conso-

nanti è molto maggiore.Basta che chi studia l'inglesepensi ai suoni rappresentaticon th in thank, method: mouth(«grazie», «metodo», «bocca»)e in that, then, brother («que-sto», «allora», «fratello»): sitratta di due spiranti dentali,che impariamo a pronunciarecon difficoltà perché nella no-

stra lingua non esistono. Maanche la semplice t inglese nonè esattamente la t italiana. Mo-striamo a pagina seguente co-me gli studiosi di fonetica rap-presentano la posizione dellalingua quando si pronunciaquesta consonante occlusiva ri-spettivamente in italiano e ininglese.

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t in inglese

Come risulta chiaro dai dueschemi, nell'articolazione dellat in italiano la punta della lin-gua tocca i denti: è una tipica t«dentale». Invece in inglese lalingua tocca piuttosto le gengi-ve, e il suono che percepiamoè sensibilmente diverso. Se poila lingua si arrovescia un po'indietro, ne risulta un suono —già alquanto lontano dalla t ita-liana e un po' meno dalla t in-glese — che è caratteristico dicerte parole del dialetto sicilia-

no, come mairi, pafri, tronu(«madre», «padre», «tuono»).Eccone qui sotto la rappresen-tazione grafica.

L'italiano non ha suoni aspirati:alla lettera h, come vedremo,non corrisponde nessun fone-ma. Essa rappresenta invece li-na consonante aspirata in in-glese e in tedesco, e il tedescopossiede altri due fonemi aspi-rati, quelli che sentiamo in ich(«io») e in Badi.Se l'aspirazione è ignota all'ita-liano, lo stesso non si può diredel toscano, dove, in determi-nate posizioni, troviamo h alposto di e: la hasa, i havalli, fo-ho («la casa», «i cavalli», «fuo-co»). Questo fenomeno, la co-siddetta «gorgia», non si è tut-tavia esteso all'italiano stan-dard, rimanendo una caratteri-stica propria del «vernacolo»toscano.

6. LA TRASCRIZIONE FONETICA

Come si è già detto, l'alfabeto che noi usiamo risultaspesso inadeguato a riprodurre con esattezza i fonemidell'italiano (e di altre lingue). E, per fare comprende-re a quale fonema si allude, in vari casi si è costrettiper esempio a dire: «la e di coro», «la e di cera», «ilfonema reso da se- in SCOTO», ecc.Per ovviare a questi inconvenienti sono stati elabora-ti vari sistemi di trascrizione fonetica. Essi hanno loscopo di far sì che a ogni distinto suono del linguag-gio corrisponda senza possibilità di equivoci un segnoparticolare (e si ricorre, oltre che alle lettere dell'al-fabeto usuale, a loro modificazioni, ad altre lettere,ecc.). Gli alfabeti fonetici non servono per le formenormali dì comunicazione: si usano esclusivamenteper i fini per cui sono stati creati, in libri di linguisti-

ca, anche a livello scolastico, come nei vocabolari perindicare l'esatta pronuncia delle parole. È quindi op-portuno conoscerli.Il prospetto a pagina seguente presenta nella colonnaI un tipo di trascrizione fonetica diffuso, con qualchevariante, in molte opere italiane di linguistica (e a-dottato, quando occorre, in questo libro) e nella co-lonna II quello predisposto dall'Associazione FoneticaInternazionale (usato anche in alcuni vocabolari ita-liani, bilingui inglese-italiano, ecc.). Il prospetto regi-stra solo i fonemi cui corrispondono segni particolari,e quindi non a, i, u, p, b, t, d, f, v, 1, r, m, n, per iquali le lettere dell'alfabeto usuale rimangono inva-riate nella trascrizione fonetica.Nella parte a sinistra si trovano i segni (grafemi) checompletano il repertorio bastante a trascrivere l'ita-liano; a destra se ne aggiungono altri che si usanonella trascrizione del francese, dell'inglese, del tede-sco e, talora, di dialetti italiani.

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o&CO

trascrizionefonetica

I

èèoo

iu

kg

C

gzz

sss

*n

II

.

e0

0

jw

kg

tjd3tsdz

szJX

J1

esempi(nell'alfabeto

usuale)

belloselvaboscocome

ieri}• (semi-conson.)uomoj

cara, chiesagara, ghetto

cera, ciaogesso, giaraziozona

salasdegnoscena, scialofigli, fog/ia

gnomo

Quando si riportano trascrizioni fonetiche, in generevengono poste tra le parentesi quadre [ ] o le barret-te trasversali / /. Trascurando la distinzione fra l'usodei due tipi di simboli (nell'ambito rispettivamentedella fonetica e della fonologia), qui useremo semprele parentesi quadre.

trascrizionefonetica

I

a

A

a

o

ù

a, o,ecc.

3e3ii

II

33

A

9

03

y

a, 5,ecc.

3e5

0

esempi(nell'alfabeto

usuale)

ingl. bad

ingl. cupingl. about, frane, premier,napoletano solefrane, pez/ple, ted. Mó'bel,lombardo rodafrane, era, ted. Kummel,lombardo fumfrane, an; bon

frane, ./ambeingl. i/iankingl. th&tingl. sìng, ted. sircgen

Es.: nella trascr. nella trascr.fonet. I fonet. II

cara = [kara] [kara]cera = [céra] [tjera]scena = [sèna] [Jena]

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L

2. I fonemidell'italiano

1. IL SISTEMAFONOLOGICO DELL'ITALIANO

CHE COSA È IL SISTEMA FONOLOGICO

I suoni studiati dalla fonetica, i suoni linguisticiche un essere umano è in grado di emettere, so-no innumerevoli. Tra questa molteplicità di suo-ni, ogni lingua ne sceglie tuttavia solo un nume-ro relativamente ristretto (da una ventina a unmassimo di 40-50). Sono questi i suoni, detti fo-nemi, che si distinguono, si oppongono tra loroe funzionano all'interno di una data lingua o dia-letto, formando il suo sistema fonologico.

QUANTI SONO I FONEMI DELL'ITALIANO

Le lettere dell'alfabeto italiano, come sappiamo,sono 21 (5 vocali e 16 consonanti). Ma qui noi ciinteressiamo in primo luogo ai fonemi del siste-ma fonologico e — lo si è già detto — non c'ècorrispondenza esatta fra lettere e fonemi. Que-sti, se ci atteniamo alla pronuncia colta «stan-dard», modellata essenzialmente sul toscano, so-no in tutto 30 (7 vocali, 21 consonanti e 2 «semi-consonanti»), anche se buona parte degli italia-ni, in effetti, ne impiega un numero minore, nonpiù di 24. Descriveremo tutti questi fonemi neiparagrafi che seguono.

COME SI INDIVIDUANO I FONEMI

La fonologia, nell'individuare i fonemi, prescinde dacerte varietà dei suoni emessi da chi parla, cioè da va-

rianti che dipendono da pronunce regionali, dall'in-flusso dei dialetti, da peculiarità individuali. La veri-fica, l'«esperimento cruciale» per stabilire se due fo-nemi sono distinti consiste nel confrontare delle«coppie minime», cioè due parole che abbiano fone-mi tutti uguali, e nella stessa successione, tranne uno,il quale, da solo, garantisce la differenza di significatodelle due parole, ha un «valore distintivo».Diamo alcuni esempi, e lo facciamo con due vocali -e chiusa e i — tra loro «vicine» (perché entrambe an-teriori e tendenti alla chiusura) e tra due consonanti— b e v — pure tra loro vicine (perché entrambe la-

biali e sonore):

erafettaertodescoperaserena

ira l

fittairtodiscopirasirena

baroberebilebaresebastoabbiamo

varoverevileVaresevastoamiamo

2. LE VOCALI

SETTE FONEMI VOCALICI

Alle 5 lettere dell'alfabeto che rappresentano vo-cali corrispondono, almeno nella pronuncia cheprende a modello il toscano, 7 fonemi vocalici:

a e e i o o uaperta chiusa aperta chiusa

1 In linguistica il simbolo ~ viene impiegato col valore di«opposto a», «da confrontare con».

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'•^chiusa ^>L

aperta

a

^X*U

.S^ oJ* chiusa

" 0

aperta

Nell'illustrazione sopra, le 7 vocali dell'italiano sono distribuite entro il diagramma triangolare che abbiamo già visto nel capitolo 1, § 4. Sullasinistra si collocano le vocali «anteriori», sulla destra le «posteriori»; dal basso verso l'alto diminuisce /'«apertura».

LE VOCALI E, O APERTE E CHIUSE

Come si vede, tra la vocale a, la più aperta, e levocali i e u, le più chiuse, le due vocali e ed o sisdoppiano:

è (aperta): per es. in bèllo, bène, caffè, cèdere,cèntro, cioè, erède, petto, prèndere, prèsto,sètte, tènero',

è (chiusa): per es. in bére, débole, fedéle, mét-tere, néve, poiché, potè, sécco, sélva, tenére,tétto, véro;

perta e chiusa ed o aperta e chiusa si oppongonotra loro in un certo numero di coppie di paroleche si differenziano solo nella pronuncia, mentre(se non segniamo l'accento) si scrivono nellostesso modo (con termine tecnico, sono «omògra-fe»). Ecco le più comuni:

è (aperta) è (chiusa)

o (aperta): per es. in bòsco, còsa, gròsso, lògi-ca, nòstro, oblò, òtto, pòpolo, portò, tòrcere,sòldo, vòglia;

o (chiusa): per es. in bóllo, cóme, córsa, erró-re, fónte, gómito, ónda, óra, pórre, rótto, só-le, vóce.

o (aperta)

egli accèttail collègaésca!egli lèggeegli méntela mèssela pèsca (frutto)i vènti

Ci serviamo quindi dell'accento grave per con-trassegnare le vocali aperte (è, o) e dell'accentoacuto per le vocali chiuse (è, o). Ma di normal'accento grafico si usa soltanto, a parte le paro-le tronche, nei vocabolari e, quando occorre, neilibri di linguistica. Va poi rilevato che la distin-zione tra aperte e chiuse riguarda le sole e, osotto accento, «tòniche» (vedi capitolo 3, § 5).Quando la vocale non è accentata, la differenzasi neutralizza e si ha un timbro intermedio, piut-tosto tendente alla chiusura. Per esempio, in cè-dere solo la prima e risulta nettamente caratte-rizzata (come aperta) e in tenére soltanto la se-conda (come chiusa).

OPPOSIZIONE E ~ E, O ~ O

Nella pronuncia toscana, in ogni parola, e ed otoniche si presentano aperte o chiuse in modonetto e di solito senza oscillazioni. Inoltre e a-

le bòtte (= percosse)còlto (= raccolto)il fòro (= piazza)le fòsseindòtto (= ignorante)la pòstala ròcca (= fortezza)la ròsavólto (participio)

l'accéttaegli collégal'escala léggela méntele mésse (plur. di méssa)egli pésca, la péscavénti (numero)

o (chiusa)

la bóttecólto (= istruito)il fóro (= buco)che egli fòsseindótto (participio)pósto (participio)la rócca (per filare)rósa (participio)il vólto

I, U POSSONO ESSERE «SEMICONSONANTI»

Consideriamo ora le parole:

dito, diretto, veri; cura, curare, computo.

I fonemi rappresentati da i, u sono, come è evi-dente, delle vocali: infatti ricevono l'accento (in

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dito, cura), oppure, in sillaba non accentata, so-no l'elemento su cui si basa la voce (di-retto, ve-ri, cu-rare, com-pu-ìo).Se invece esaminiamo le parole:

ieri, pieno, pienezza; uomo, suono, suonare,

scopriamo subito un'importante differenza: la i ela u non sono accentate (in ieri e pieno l'accentoè sulla e, in uomo e suono è sulla o), oppure, insillaba non accentata (pie-nezza, suo-nare), nonrappresentano la base della sillaba.In casi come questi, la i e la u non assolvono piùla funzione di vocali e le chiamiamo allora se-miconsonanti (o semivocali). Di i e u come se-miconsonanti ci occuperemo ancora nel capitolo3 a proposito dei dittonghi e di altri fenomeni fo-netici.

3. LE CONSONANTI:QUADRO COMPLESSIVO

FONEMI CONSONANTICI

Le consonanti (nel senso di fonemi consonantici)dell'italiano sono 21, così distribuite all'internodelle categorie illustrate nel precedente capitolo:

labiali: sorda p; sonora b;dentali: sorda t; sonora d;velari (o gutturali): sorda e (di

cera); sonora g (di gara);

salatali: sorda e (di cera); sono-semiocclusive ra g (di gelo);

ientali: z sorda; z sonora;

// prospetto consente di individuare più esattamente i «tratti distintivi» di cìascun fonema consonantico e riporta inoltre tutti i modi in cui deter-minati fonemi vengono resi dal nostro alfabeto (come spiegato nei § 4 e 5).

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spiranti labiali: sorda f; sonora v;

sibilanti s sorda; s sonora; s palatale o«schiacciata» (se di scena);

liquide 1; 1 palatale (gì di figli); r;

nasali m; n; n palatale (gn di gnomo).

PROBLEMI NELLA RESA DI ALCUNI FONEMIUSO DI DIGRAMMI E TRIGRAMMI

Come si può vedere dal prospetto, 10 fonemi con-sonantici trovano a disposizione una propria let-tera, e non sorgono problemi né di pronuncia nédi scrittura. Sono: p, b, t, d, f, v, 1, r, m, n.Invece per gli altri 11 fonemi, quelli posti in evi-denza nel prospetto, l'alfabeto italiano non offreun numero sufficiente di grafemi. In due casi(per s sorda e sonora, per z sorda e sonora) ladifferenza di suono non viene registrata; negli al-tri si ricorre, oltreché a singole lettere, a:

• digrammi, cioè sequenze di due lettere rappre-sentanti un fonema unico: eh, gh, ci, gi, se, gì,gn;• trigrammi, sequenze di tre lettere rappresen-tanti un fonema unico: sci, gli.

Considereremo per gruppi o singolarmente questi11 fonemi.

4. LE CONSONANTIVELARI E PALATALI

LE LETTERE C, G E I DIGRAMMI CH, GH, CI, Gì

• La consonante velare (gutturale) sorda, cioèla e di cara, è resa:

- dalla lettera e davanti alle vocali a, o, u: ca-ra, coro, cubo;- dal digramma eh davanti alle vocali e, i: che,

chiesa.

• La consonante velare (gutturale) sonora, cioèla g di gara, è resa:

- dalla lettera g davanti alle vocali a, o, u: ga-ra, gora, gusto;- dal digramma gh davanti alle vocali e, i:

ghetta, ghiro.

• La consonante palatale sorda, cioè la e di ce-ra, è resa:

- dalla lettera e davanti alle vocali e, i: cera,cibo;- dal digramma ci davanti alle vocali a, o, u:

ciarla, ciò, ciuf/o.

• La consonante palatale sonora, cioè la g digelo, è resa:

- dalla lettera g davanti alle vocali e, i: gelo,giro;

- dal digramma gi davanti alle vocali a, o, u:giara, gioco, giuro.

• Inoltre e e g hanno di norma valore velare(gutturale) davanti a consonante e in fine di pa-rola:

credere, clero, acme, clic, basic; grano, gloria, seg-mento, gag, gong.

ECCEZIONI

Quella che abbiamo esposto è la regola generale.Però, soprattutto a causa di «grafie etimologi-che» (cioè determinate dalla tradizione latina),esistono alcune eccezioni. Vediamole.

• Davanti a e, come si è visto, la e vale di persé come palatale (cera, e così celare, maceria,ecc.). Tuttavia, in un certo numero di parole, ildigramma ci compare davanti a e, sebbene isia superflua (e non si pronunci):

cieco, cielo; deficiente, efficiente, sufficiente, de-ficienza, efficienza, sufficienza; prospiciente, socie-tà, socievole, specie, superficie;

e inoltre nei sostantivi in cui e è seguita dai suf-fissi -iere, -ma, come:

arciere, artificiere, paciere; panciera.

• Analogamente, troviamo il digramma gi, con isuperflua, in due parole: effigie, igiene.

USO DELLA LETTERA Q

Davanti alla vocale u, la consonante velare sor-da è resa da e (cubo, e così cura, acume, ecc.).Però, quando u in funzione di «semiconsonante»è a sua volta seguita da vocale, di norma trovia-mo la lettera q:

qua, quadro, quale, quaranta, quattro, quello, que-sto, qui, quiete, quieto, quinto, conquista, quota,quoziente, equo, iniquo, ecc.

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Peraltro nelle seguenti parole si ha la sequenzae + u + vocale:

cuocere, cuoco, cuoio, cuore, percuotere, scuotere,scuola] acuire, arcuare, circuire, circùito, cospicuo,evacuare, innocuo, proficuo, promiscuo, vacuo; cui.

Notiamo infine che il raddoppiamento di -q- èrappresentato da -cq-: acqua, acquistare, nacque,tacqui, ecc. Con una eccezione: soqquadro.

5. ALTRE PARTICOLARITÀDELLE CONSONANTI

LA SIBILANTE PALATALE (SC)

La consonante sibilante palatale, o «s schiaccia-ta», quella che sentiamo all'inizio della parolascena, viene resa:

- col digramma se davanti alle vocali e, i: sce-na, scendere, pesce; sci, scisma, uscire;- col trigramma sci davanti alle vocali a, o, u:

sciabola, ascia, fasciare; sciopero, lascio, conscio;sciupare, pasciuto.

Troviamo (per grafia etimologica) il trigrammasci davanti a -e nella parola scienza e derivati,come coscienza, scienziato, scientifico.

LA LIQUIDA PALATALE (GL)

La consonante liquida palatale, che sentiamonell'articolo gli, viene resa:

- col digramma gì davanti alla vocale i: gli,egli, figli;- col trigramma gli davanti alle vocali a, e, o,

u: paglia, tagliare; cogliere, moglie; figlio, luglio;pagliuzza.

In alcune parole, tutte di origine dotta, il gruppogli non serve per rendere il suono palatale, ma sipronuncia g (velare) + 1 + i. Sono:

glicerina, glicine, glittica, anglicano, ganglio(plur. gangli), geroglifico, negligente, negligenza epoche altre.

LA NASALE PALATALE (GN)

La consonante nasale palatale, che sentiamo, adesempio, nella parola sogno, viene resa, davantia qualsiasi vocale, col digramma gn:

gnocco, gnomo, Bologna, agnello, Agnese, ogni, re-gno, ognuno; ecc.

S SORDA E SONORA

Una sola lettera, s, rappresenta sia la sibilantesorda, sia la sibilante sonora. La differenza èsottile, ma si coglie subito pronunciando una do-po l'altra, per esempio, le parole sparo (con s sor-da) e sbirro (con s sonora).La s sorda è più comune (si ha sempre all'iniziodi parola davanti a vocale, all'interno dopo con-sonante, davanti a consonante sorda, nella dop-pia, in fine di parola). La s sonora si ha sempredavanti a consonante sonora (b, d, g, v, I, r, m,n). Invece all'interno di parola tra due vocali sitrova ora la sorda, ora la sonora. Per esempio:

- con s sorda [s]: casa, cosa, disegno, geloso,mese, milanese, peso, posi, raso, riso, presentire,stasera;- con s sonora [s]: bisogno, causa, chiesa, corte-

se, esatto, esilio, presagire, misero, osare, isola,sposa.

ZSORDA E SONORA

Analogamente, abbiamo una sola lettera, z, perla semiocclusiva dentale sorda e sonora. En-trambe ricorrono in diverse posizioni nella paro-la, senza che sia possibile dare norme esatte.Esempi:

z sorda

zampa, zanna, zingaro,zio, zitto, zolfo, zoppo,zucca, zuppaalzare, marzo, avanzo,senzaazione, pazienza, pre-zioso, viziotazza, bellezza, prezzo,gozzo

z sonora

zafferano, zavorra, ze-bra, zelo, zero, zona,zoo, zoticoelzeviro, orzo, gonzo,romanzoazienda, azoto, bazàr

azzardo, dozzina, mez-zo, razzo

ALTRE PARTICOLARITÀ

Concludiamo l'analisi del sistema fonologico del-l'italiano con alcune osservazioni su singole let-tere dell'alfabeto.

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• h e muta, cioè non le corrisponde alcun fone-ma; si usa nei digrammi eh e gh per segnalare ilfonema velare e inoltre nelle forme verbali ho,hai, hanno con una «grafia etimologica» che ledistingue da o (congiunzione), ai (preposizionearticolata) e anno (sostantivo). Si trova anche ininteriezioni (ah, eh, ecc.) e — talora col valore diconsonante aspirata — in parole straniere.

• q, come si è visto, si usa (non sempre) davantia u + vocale per rappresentare la velare sorda;è una lettera «in più», giacché non ha un valoredistinto dalla e di cara.

• j si usava un tempo, non sistematicamente,per i semiconsonante (gajo = gaio), nei pluralidi nomi in -io (vizj = vizii, vizi), ecc. Sussiste inqualche nome proprio (Baj, Jòvine, Ajaccio) e -con valori vari — in parole straniere.

• k si trova solo in parole straniere o derivateda parole straniere, sempre col valore di velaresorda (= e di cara): kibbntz, kiwi, marketing,kantiano.

• w si trova solo in parole straniere, con valoridiversi: u in western, dall'inglese; v in wurstel,dal tedesco.

• x corrisponde a due fonemi distinti: k + s;compare in qualche nome proprio italiano (Bixio,Craxi, Arbatax) e, per il resto, solo in parolestraniere.

• y si trova solo in parole straniere, in generecol valore di i semiconsonante.

NOTA

• II ricorso alla trascrizione fonetica (vedi capitolo 1,§ 6), in cui ad ogni fonema corrisponde un propriografema, consente di rendersi conto con immediatezzadi tutti i problemi posti dalla resa di determinati fo-nemi mediante l'alfabeto italiano. Vediamo, in trascri-zione fonetica, alcuni degli esempi dati nelle pagineprecedenti:

cara, chiesa, clicgara, ghetta, ghirocera, ciarla, daffogelo, giara, giococieco, specie, arcierequale, questo, quicuore, scuola, cuiscena, sci, asciagli, figli, mogliegloria, glicine, gangliognomo, sogno, ogni

[kara, kjèsa, klik][gara, getta, giro][céra, caria, cuffo][gèlo, gara, gòko][cèko, spèce, arcère][kuale, kuésto, kuì][kuòre, skuòla, kùi][sèna, si, asa][li, fili, mòle][glòria, glicine, gànglio][nomo, sono, óni]

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

I fonemi dell'italiano

è, è, o, o nelle pronunceregionali

La distribuzione di e, o apertee chiuse descritta nel testo èquella della Toscana e, con po-che varianti, di parte delle re-gioni centrali limitrofe, nel La-zio fino a Roma compresa. Neidialetti a nord e a sud di que-sta fascia, e nelle pronunce re-gionali che ne dipendono, nonmanca, in genere, la distinzionetra e ed o toniche aperte echiuse, ma essa coincide soloin parte, e talora assai poco,con la pronuncia «standard». Èimpossibile delineare un qua-

dro, perché le varietà sono tan-te quante le basi diverse fornitedai dialetti e le scelte indivi-duali; si può dire — per daredue esempi chiari - - che inPiemonte prevale la pronunciaaperta, in Sardegna la chiusa.La scuola dell'Italia unita, nelgrande processo di alfabetizza-zione degli abitanti del nostropaese, si è necessariamente li-mitata ad insegnare l'ortografia,trascurando la «retta» pronun-cia. Ne consegue che le pro-nunce regionali si sono perpe-tuate, mentre scarso è risultatol'effetto della radio e della tele-visione. Una uniformazione del-la pronuncia è ormai da consi-derare un traguardo irraggiun-gibile.

Allora, mancando la netta e u-niforme distinzione tra è e è, oe o, le coppie pésca ~ péscae bòtte ~ bótte diventano perla maggioranza degli Italianicoppie di omònimi, cioè di pa-role non solo omògrafe (scrittein modo uguale), ma anche o-mòfone (pronunciate in modo u-guale): a orientare ed assicura-re la comprensione serve soloil contesto.

La -i- dei digrammie trigrammi non si pronuncia

La pronuncia toscana non fasentire la -/'- tutte le volte chenon è vocale, ma solo «segnografico»; quindi in ciarla, ciò,

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gioco, giuro, audacia, cielo, suf-ficiente, società, specie, ascia,lascio, scienza, paglia, moglie,figlio, ecc.Ma la lingua scritta ha un suoprestigio e un suo fascino etende a dettare legge. Si trovascritta quella -/'- e la si pronun-cia (in particolare nel Sud, do-ve possono influire abitudini ar-ticolatone native): quindi sisentirà spesso g-i-oco, c-i-eio,spec-i-e, sc-i-enza, figl-i-o... Er-rore? Quando la -/'- è esclusi-vamente segno grafico, sì (peres. ciarla, ciò, gioco, figlio,ecc.). Tuttavia in altri casi, an-che se sconsigliabile, l'uso tro-va una giustificazione nell'etimo-logia latina: audacia, specie,scienza, ecc. derivano da paro-le latine con la -/'-; e in cieco,cielo, in una data fase della sto-ria della lingua, si è avuto il dit-tongo -/e-.

Le consonanti s, z, senelle pronunce regionali

Per la distinzione tra s e z sor-de e sonore va ripetuto quantosi è detto a proposito di e, oaperte e chiuse. Il modello to-scano si allarga oltre i confiniregionali, nell'Italia centrale,

ma altrove si tende a trascura-re la differenza tra la sorda ela sonora, che diventano «va-rianti libere» di un unico fone-ma s e di un unico fonema z.La tendenza nel Nord è versouna pronuncia sempre sonoradella s tra vocali. Cioè si dicecosa, casa, mese, milanese(anziché cosa, casa, mese, mi-lanese). All'opposto nel Sud sigeneralizza -s- sorda: causa,cortese, isola (anziché causa,cortese, isola).Le pronunce settentrionali pro-vano avversione per z sorda egiungono a sostituire la z conla sibilante sonora [s]. Nelleparlate emiliane zampa e ziodiventano pressappoco sampa,s/'o. La confusione si estendealla sibilante palatale (se- discena), che viene realizzataquasi come una s sonora. Cosìfase/o, lasciare diventano qual-cosa come fas/'o, lasiare. Ten-denze simili sono avvertibili inaltre pronunce del Nord.Nella pronuncia napoletana, ein genere meridionale, la sibi-lante palatale è nettamente pro-nunciata. Però, tutto all'oppostoche nel Nord, allarga il suo do-minio e sostituisce la s davantia un'altra consonante (cioè la s«impura»). Così sta, spara, sfi-

zio vengono pronunciati seta,separa, scfizio, vale a dire, intrascrizione fonetica: [età, àpa-ra, sfizio].

Quanti sono, in conclusione,i fonemi dell'italiano?

A voler stare proprio nel sicu-ro, si dovrebbe rispondere: oc-corre stabilirlo volta per voltaper ognuno degli Italiani, o al-meno per ciascuna pronunciaregionale. Tuttavia, nella pro-nuncia «modello» che viene de-scritta qui, sono sicuramente30. Però va considerato che:

— la confusione tra e, o apertee chiuse è molta (fuori di To-scana);— la differenza tra i, u vocali ei, u semiconsonanti (per es. tra-/'- in dito e /'- in ieri) è di fun-zione, ma, nella pronuncia, ri-sulta a stento avvertibile;— la distinzione fra s e z sor-de e sonore presenta, come siè detto, alcuni problemi.

E allora senza dubbio, sullabocca della maggior parte dicoloro che parlano italiano, i fo-nemi nettamente distinti si ridu-cono di 6 unità, diventano cioèsolo 24.

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COME USARE IL VOCABOLARIO

Nel dubbio...consultare!

Nel vocabolario cerchiamo i si-gnificati delle parole, ma essoci fornisce un aiuto prezioso inmolti altri settori dello studiodella lingua e, in primo luogo,nell'ortografia. Anche dopo a-ver approfondito la teoria gram-maticale, qualche dubbio sul-l'ortografia di certe parole puòsempre sorgere e il manuale digrammatica i dubbi non li risol-ve tutti, anche per motivi dispazio.

Per esempio, non abbiamo esi-tazioni su come scrivere fase/a,e/eco, igiene. Ma i loro deriva-ti? Il diminutivo di fase/a, il so-stantivo astratto e l'avverbioderivati da cieco, il sostantivoderivato da /g/'ene?Il vocabolario ci da subito ilsuo responso.

Sul vocabolario cerchiamo poi,naturalmente, l'esatta grafia diparole di uso raro, magari letteo sentite una volta sola: si scri-ve epitaffio o per caso ep/faf/o?E promiscuità si scrive così,con la -e- o per caso con la-q-? Ma anche riguardo a parole

di uso comune il dubbio puòessere legittimo, in particolarequando una parola compare indue o più varianti e desideria-mo accertare qual è la formapreferibile: eclissi o eclisse,salsiccia o salciccia, famigliareo familiare^

Dunque il vocabolario registra perprimo epitaffio, ma indica comecorretto anche ep/faf/o; quanto apitaffio, preceduto dalla abbrevia-zione are. (= arcaico), è una for-ma che potremo trovare in testiantichi, ma che, ovviamente, nonuseremo.

Anche qui trovate indicata prima laforma preferibi le (ec//ss/) , poiun'altra ammessa e infine due for-me contrassegnate come are. opop., cioè «arcaiche o popolari».

Sul vocabolario trovate, sotto lem-mi (voci) distinti, sia salciccia, siasalsiccia, ma — viene esplicita-mente chiarito — la prima è unavariante popolare, da evitare; laforma corretta è salsiccia (e in ef-fetti la parola deriva da salso, «sa-lato», e, sul piano linguistico, laciccia non c'entra!).

In questo caso trovate sul vocabo-lario, registrate separatamente,entrambe le forme, ed entrambesono corrette, ma hanno diversesfumature di significato.

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3. Gruppi consonantici,dittonghi, sillabe,accenti

1. COME SI COMBINANOI FONEMI NELLA PAROLA

COME SI COMBINANO I FONEMI

Ogni lingua ha non solo un repertorio di fonemi(il suo sistema fonologico), ma anche delle regoleper combinarli insieme nelle parole. Certe combi-nazioni ovviamente sono impossibili in qualsiasilingua: una successione di sole consonanti non èpronunciabile. In italiano troviamo però delle re-strizioni particolari. Per esempio, le parole delfondo originario della lingua, a parte poche par-ticelle, finiscono sempre in vocale, non accentatao accentata. Le parole terminanti in consonantedi norma sono straniere o sigle: tram, alt, record,Fiat, Cisl, Inps.

GRUPPI DI CONSONANTI E DI VOCALI

Se rappresentiamo col simbolo C le consonanti ecol simbolo V le vocali, le combinazioni più co-muni risultano CV, CVCV, CVCVCV, ... e VCV,VCVCV, VCVCVCV, ..., cioè la semplice alter-nanza di consonanti e di vocali:

re, lato, parete, ..., ala, onore, onorato, ...

Ma sono pure frequenti CCV, CCVCV, CVCCV,..., CVV, VVCV, CVVCV, ..., come:

tra, prato, verde, ..., mai, auto, piano, ...,

cioè dei modelli in cui entrano in combinazione

gruppi, o nessi, di due (o più) consonanti o didue (o più) vocali.Consideriamo questi gruppi di consonanti e divocali più da vicino.

2. GRUPPI CONSONANTICI

ALL'INIZIO DI PAROLA

I gruppi di 2 consonanti ammessi in italianoall'inizio di parola sono:

• le occlusive p, b, t, d, e (di cara), g (di gara)e f + liquide, cioè r o 1:

primo, bravo, tra, drago, credo, grosso, freno, pla-tino, blando, clero, gloria, flusso;

• s + quasi tutte le altre consonanti:

(con s sorda) sparo, sto, scala, sforzo; (con s sono-ra) sbadato, sdoganare, sgarbo, svago, sgelare,smalto, snello, slitta; sradicare.

I soli gruppi iniziali di 3 consonanti sono datida s + occlusiva (o /) + liquida:

sprone, sbrigare, strano, scritto, sfratto, splendido,ecc.

NOTA

• La s davanti a consonante è detta «s impura». Siricordi però che nelle sequenze sce, sci (per es. in sce-

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OO

oEH

oe»

03O

/io, sci) se- non è un gruppo consonantico, ma un «di-gramma» e rappresenta un unico fonema. Così purenon sono gruppi consonantici, ma digrammi eh-, gì-,gn- di che, gli, gnomo (vedi capitolo 2, § 4-5).

ALL'INTERNO DI PAROLA

All'interno della parola le combinazioni di con-sonanti sono più numerose. Infatti:

• si possono avere tutti i gruppi iniziali:

aprire, capra, agro, riflusso, aspetto, costa, aspro,ecc.;

• quasi tutte le consonanti, parecchi nessi bi-consonantici e qualche nesso triconsonanticopossono essere preceduti da 1-, r- e n- (o m-):

colpo, alto, palco, felce, salvo, calmo, altro, solsti-zio, ecc.corpo, orto, porgere, corso, orzo, corno, perspicace,superstite, superstrato, ecc.canto, banco, pancia, pensare, contro, transfuga,sanscrito, ecc.; campo, bambino.

Si noti che la consonante labiale m- comparesempre e soltanto dinanzi a p e 6, anch'esse la-biali. Solo in benpensante, benportante, parolecomposte, il primo elemento ben conserva la suaforma nella scrittura.

GRUPPI MENO FREQUENTI

Sia all'inizio, sia all'interno di parola parecchialtri nessi compaiono più raramente, e soltanto

in termini di origine dotta o straniera. Per esem-pio in:

psicologo, pneumatico, mnemonico, ctonio, tmesi,ecc.optare, opzione, capsula, ipnosi, abnorme, abside,subdolo, subcosciente, etnìa, cadmio, fucsia, acme,tecnico, eczema, dogma, nafta, azteco, ecc.

LE CONSONANTI DOPPIE

Un tipo speciale, e molto comune, di nesso con-sonantico è costituito dalla ripetizione della stes-sa consonante. Si hanno così consonanti doppie(o «geminate», o «rafforzate»). Tutte le conso-nanti (tranne s sonora) possono raddoppiarsiall'interno di parola:

coppa, ebbe, latte, ridda, pacco, agguato, caccia,raggi, stoffa, bevve, asso, collo, arrivo, mamma,panno, pozzo, mezzo.

NOTE

• I fonemi consonantici rappresentati da se, gì, gnall'interno di parola (per es. in pesce, figli, ogni), seb-bene la scrittura non registri il fenomeno, nella pro-nuncia «standard» risultano sempre rafforzati.• Quando la consonante doppia è un'occlusiva o /,seguita da r o I da nessi triconsonantici: approvare,obbrobrio, attrito, affranto, obbligo, ecc.• La consonante doppia, opponendosi alla semplice,ha valore distintivo, cioè è sufficiente a distingueredue parole costituite per il resto dai medesimi fonemi:

rupe ~ ruppe cade ~ cadde poro ~ porrobeve ~ bevve cacio ~ caccio fumo ~ fummo

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

Le consonanti doppienelle altre linguee nelle pronunceregionali

Le consonanti doppie sono ve-ramente una peculiarità dell'ita-liano, ereditata dal latino. Ma initaliano le doppie sono di più,perché vari nessi consonantici

latini sono passati a doppie. Sicalcola che approssimativamen-te — le statistiche di questo ge-nere non possono raggiungereuna precisione matematica —le parole che contengono una opiù doppie siano il 15-20% deltotale.La maggior parte delle lingueeuropee ignora i fonemi conso-nantici rafforzati. Nello spagno-

lo, che pure, sotto tanti aspetti,è la lingua più simile all'italia-no, si raddoppia difatti una solaconsonante, la r (corrida, am-ba, burro, porro); in quanto alnesso -//- non è una doppia, marappresenta il fonema reso in i-taliano da gì, gli: e dunque ca-ballero = [cabatero], pae//a =[paeta].Ma, se scorriamo un testo fran-

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cese, inglese, tedesco, di con-sonanti doppie ne vediamo pa-recchie. Sì, ma poi, studiandoqueste lingue, apprendiamoche, salvo rare eccezioni, o sitratta di grafie etimologiche (ela doppia non si pronuncia), ola doppia sta a indicare altro,per es. la quantità della vocalevicina. In tedesco trovo scrittobitte, Mine, Wolle («prego»,«mezzo», «lana») e ne deducoche queste parole vanno pro-nunciate con -/'- od -o- breve (esenza doppia!).Dicendo l'«italiano» si intende,al solito, la pronuncia toscana;

ma, per quanto riguarda il rad-doppiamento delle consonanti,alla Toscana si aggiunge il re-sto del Centro e tutto il Sud,dove le doppie sono ben senti-te. Invece gli Italiani del Setten-trione, e in modo particolare iVeneti, nei loro dialetti o nonhanno affatto consonanti doppieo ne hanno poche e distribuitediversamente. Tuttavia secoli dicultura letteraria, in una ristret-ta élite, e poi, con l'unità nazio-nale, la scuola primaria e gene-razioni di maestri hanno inse-gnato anche ai settentrionali ascrivere le doppie e, magari

con qualche errore qua e là, apronunciarle.Nel Sud i difetti di pronunciasono semmai opposti a quellidel Nord: di doppie si tende apronunciarne troppe, cioè an-che là dove la lingua «stan-dard» non le prevede, special-mente con certi fonemi e incerte posizioni. E quindi si sen-tirà spesso: raggiane, abbile,disponibbile, ecc. Così anche aRoma, dove peraltro — ma sitratta di una peculiarità netta-mente dialettale più che regio-nale — si pronuncia -r- al postodi -rr- (bira, guera).

3. I GRUPPI VOCALICI:DITTONGHI E VOCALI IN IATO

DUE TIPI DI GRUPPI VOCALICI

Passiamo ai gruppi vocalici. Le successioni didue vocali nella parola si suddividono in due tipinettamente distinti: i dittonghi e le vocali in iato.I dittonghi sono costituiti da i o da u in funzio-ne di semiconsonanti (e quindi non accentati nébase della voce) e da una vocale vera e propria.Nei dittonghi i due fonemi sono strettamente u-niti e pronunciati in rapida successione.Nei gruppi risultanti da due vocali, queste si di-cono in iato, perché sono separate l'una dall'al-tra (iato significa «apertura, interruzione, separa-zione»),

DITTONGHI ASCENDENTI E DISCENDENTI

I dittonghi formano due serie. Quando primaviene la semiconsonante i o u, e poi la vocale(che può essere accentata o no), abbiamo i dit-tonghi detti ascendenti; quando viene prima lavocale, i dittonghi vengono invece chiamati di-scendenti.

uè (questo, quercia,questura)

uo (uomo, nuovo, quo-tato)

ui (qui, quindi, guida-re)

au (causa, cauto, au-tunno)

eu (euro, pleura, Euro-pa)

Dittonghi ascendenti:

ia (piano, lodiamo, iat-tanza)

uà (quak, sguardo,quadrato)

ie (ieri, piede, fienile)

io (iogurt, fiore, odio)

iu (iugero, più, piuma-to)

Dittonghi discendenti:

ai (mai, falda, caima-no)

ei (nei, sei, seimila)

oi (noi, poi, poiché)ui (cui, lui, suicida)

TRITTONGHI

La combinazione di due semiconsonanti e di unavocale da i trittonghi, tre fonemi pronunciati u-nitariamente. Sono pochi e poco frequenti; li tro-viamo per esempio in:

tuoi, buoi, puoi; guai, lasciai; acquai; miei; guie-to; aiuola.

VOCALI IN IATO

Ogni altro incontro di due vocali — anche quan-do una di esse è i od u accentata, e quindi vo-cale, non semiconsonante — da luogo allo iato:le due vocali rimangono autonome. Le combina-zioni possibili sono numerose (a + e, a + i,

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o

5H^

a + o, e + a, ecc.), ma parecchie si realizzanosolo in derivazioni dotte dal latino e dal greco oin prestiti da lingue straniere. Qualche esempio:

paese, aorta, caos; idea, beato, aree, estraneo; oasi,poeta, zoo; via, finii, mio, addio; tuo, bue, paura.

NOTA

• Ricordate che nei digrammi e trigrammi ci, gì, sci,gli, che servono a rappresentare determinati fonemiconsonantici, -i- è un puro segno grafico. Perciò in pa-role come ciò, òocio, giorno, lascio, foglia la sillabasottolineata non contiene né un dittongo né vocali iniato, ma è composta semplicemente da fonema conso-nantico + vocale.

4. LA SILLABA

DEFINIZIONE E PARTICOLARITÀ

Quando, in determinate situazioni (per esempioal telefono, con la linea disturbata o una perso-na un po' dura d'orecchio all'altra estremità delfilo), vogliamo farci intendere bene, non solostacchiamo nettamente le parole una dall'altra,ma le «sillabiamo», cioè le scomponiamo in seg-menti che riusciamo ad articolare isolatamente:«Ti di-co che sta-se-ra ar-ri-ve-rò tar-di».La sillaba è, dunque, una sequenza di fonemi, diper sé priva di significato, che può essere pro-nunciata da sola e quindi contiene, necessaria-mente, una vocale (e può anche essere costituitasoltanto da una vocale).Le parole di 1, 2, 3, 4 sillabe sono dette monosil-labiche, bisillabiche, trisillabiche, quadrisillabi-che (oppure monosillabi, bisillabi, trisillabi, qua-drisillabi). Ma ce ne sono ancora di 5, 6, 7 silla-be, fino al limite di 11. Con i termini plurisillabi-co, plurisillabo («di più sillabe») si indica generi-camente qualsiasi parola che non sia un monosil-labo.

LA DIVISIONE IN SILLABE

La divisione della parola in sillabe risulta deltutto naturale. Dopo che, nei par. 2 e 3, abbiamovisto i possibili gruppi di consonanti e di vocali,basterà ricordare poche norme pratiche, che ciservono — in particolare — per andare a capo infine di rigo, scrivendo a mano o a macchina; in-fatti si può «spezzare» una parola, ma si devemantenere integra ciascuna sillaba. Vediamo.

• All'inizio di parola, la prima sillaba può es-sere costituita da una consonante o da un grup-po consonantico e dalla vocale cui essi si appog-giano, oppure soltanto da una vocale:la-Io, pra-to, pla-ga, spa-ro, stra-no, psi-che; a-la,i-re.

• All'interno di parola, si appoggiano alla vo-cale seguente, formando sillaba, le singole conso-nanti e i soli gruppi consonantici che si possonotrovare abitualmente all'inizio di parola (e cioè,vedi § 2, pr-, pi-, òr-, ecc. e sp-, st-, str-, ecc.):la-io, pa-re-te, pa-no-ra-ma, ca-pra, a-pri-re, a-spi-ra-re, a-stro.

• All'interno di parola tutti gli altri gruppiconsonantici, comprese le consonanti doppie, siscompongono e la prima consonante va con lasillaba precedente, la seconda (o il gruppo che ri-mane) con la seguente:col-po, al-tro, por-ge-re, per-spi-ca-ce, con-tro, cam-po;op-ta-re, ip-no-si, sub-do-lo, tec-ni-co, dog-ma-ti-co;eb-be, pac-co, rag-gi, as-sas-si-no, ap-pro-vo, ob-bli-go.

• I dittonghi (e i trittonghi) non si scompongo-no mai e, sia all'inizio di parola, sia in altre po-sizioni possono formare, da soli, una sillaba:pia-nò, po-dio, cau-to, quin-di, pian-to, squa-dra,mo-strai, sguar-do, ac-quai;ie-ri, uo-mo, a-iu-to, pa-io-lo, a-iuo-la, au-to, Eu-ro-pa;(monosillabi) più, qui, ai, mai, sei, lui, buoi, tuoi.

• Le vocali in iato sono separate tra loro e ap-partengono a sillabe distinte (e possono costitui-re da sole una sillaba):pa-e-se, a-or-ta, i-de-a, a-re-e, o-a-si, po-e-ta, pa-u-ra, mi-o, ad-di-o, tu-o, bu-e.

Riguardo a quest'ultimo punto, però, si evita inogni caso di andare a capo con una vocale equindi per es., anche se poeta va sillabato po-e-ta,si va a capo solo dopo poe-.

NOTA

• Le sillabe dei vari tipi che abbiamo visto vengonodistinte in: aperte, quelle che terminano in vocale(come tutte le sillabe delle parole la-to, pa-re-te, pia-no, pa-e-se); chiuse, quelle che terminano in conso-nante (come le prime sillabe delle parole co/-po, con-tro, pac-co).

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5. L'ACCENTO

SILLABA E ACCENTO

Nelle parole le unità fonemi, riunite in quelle unità superiori al fonema che sono le sillabe, si succe-dono come in un flusso che possiamo rappresentare così:

Ogni sillaba ha un suo vertice, o àpice, nella vo-cale, in corrispondenza della quale la voce si in-nalza. Nei grafici inoltre vediamo che ciascunaparola ha un apice più elevato: esso indica la vo-cale (e la sillaba) che riceve una maggiore evi-denza, che è pronunciata con più forza delle al-tre, che cioè porta l'accento.Tranne alcune eccezioni (vedi capitolo 4, § 1), o-gni parola è pronunciata con un proprio accento.Lo chiamiamo tònico per distìnguerlo dall'accen-to grafico, che è il segno dell'accento, impiegatosolo in determinati casi. La vocale (e la sillaba)che riceve l'accento si dice tònica, le altre àto-ne («senza tono, senza accento»).A seconda della posizione dell'accento tonico leparole si suddividono in:

• piane: l'accento posa sulla penultimasillaba: caro, buòno, amóre;

• sdrucciole: l'accento posa sulla terzultimasillaba: lìmpido, atòmico;

• tronche: l'accento posa sull'ultima sillaba:pietà, finì, operò.

Sono rare le parole (solo forme verbali) accenta-te sulla quartultima e sulla quintultima, come:seminano, concèdimelo, ordinaglielo.

ACCENTO CON VALORE DISTINTIVO

L'accento può assumere valore distintivo, cioèdifferenziare due, o anche tre, parole compostedei medesimi fonemi e scritte nella stessa manie-ra («omografe»), ma con significati diversi a se-

conda che siano piane, sdrucciole o tronche:

cóntopòrtoabituatileggèreàmbito

contòportòabituatilèggereambito

ancoramòrinocciòloprincìpitendine

acoramorìnòccioloprìncipitèndine

maledico malèdico turbina turbina

agito agito agitòcapito capito capitòcapitano capitano capitanò

L'ACCENTO GRAFICO

Nei vocabolari e, quando occorre, nelle gramma-tiche si accentano anche le parole piane e sdruc-ciole, ma nell'uso normale della lingua l'accentografico è previsto e obbligatorio solo nelle paroleplurisillabiche tronche: pietà, caffè, perché, finì,operò, tabù, baobàb, ecc.Per il resto si ricorre all'accento solo occasional-mente: per esempio nelle parole del tipo citatosopra, in cui l'accento ha valore distintivo, e siteme che il contesto da solo non assicuri la com-prensione; oppure nell'introdurre parole poco no-te, in particolare termini dotti di derivazionegreca (càtodo, monàlito, monocròmo, omògrafo) enomi propri (Eurìpide, Ippòcrate, Iperìde, Gòrgó-ne, Andalusìa, Scandinavi, ecc.).È pure diffusa, ma non deve valere come regola,l'abitudine di mettere l'accento nei sostantivicon i suffissi -io, -ìa: armeggìo, fruscio, scalpiccio,allergìa, alopecìa, bugìa, ecc.

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DUBBI LINGUISTICI

Quale accento grafico?

Gli accenti grafici sono due:grave (') e acuto ('). Veramen-te, scrivendo a mano, usiamoun segno solo, indifferenziato.Ma, scrivendo a macchina, tro-viamo sulla tastiera due segniper e accentata: è, è; il segno èinvece uno solo per le altre vo-cali: a, i, o, ù. Peraltro il tipo-grafo, e anche chi possiedemacchine da scrivere più sofi-sticate, ha a disposizione unrepertorio completo.Come regolarsi? La norma, al-meno in astratto, è semplicissi-ma. Per le vocali e, o si usal'accento richiesto dal timbroche, in ogni parola data, hannoqueste vocali quando sono ac-

centate: è (aperta), è (chiusa),o (aperta), o (chiusa).Quindi, per quanto riguarda e,occorre stare attenti a distin-guere è, cioè, ahimè, caffè, té,ecc. da né, sé, che, perché (eogni altro composto con che),temè (e ogni altro passato re-moto in -è), ecc. Così pure inparole piane o sdrucciole nelcaso si voglia impiegare l'ac-cento grafico: accèffa ~ accéf-ta; dècade, rassegnati.Con o, si è detto, la macchinada scrivere fornisce solo o, e ineffetti la o finale accentata èsempre aperta: quindi ciò, per-ciò, lodò, ecc. All'interno di pa-rola invece o può essere apertao chiusa, e la distinzione (inquei casi in cui, per diversi mo-

tivi, vogliamo indicare l'accen-to) andrebbe realizzata e la tro-vate nei testi a stampa: còlto~ có/to; ricordati, compito.Le vocali a, i, u hanno un tim-bro solo e l'accento non ha piùfunzione distintiva. Basta dun-que una serie unica: a, i, ù. Pe-raltro c'è chi preferisce semprea, i, ù.Un terzo tipo di accento, il cir-conflesso ("), che è d'obbligoin determinati casi in francesee in greco, non serve in italia-no. Ma potete trovarlo in grafìeantiche, oggi non più in uso,per indicare, a seconda dei ca-si, un'assimilazione, una contra-zione, un troncamento: vizi =vizii, vizi; tórre — togliere;guatar = guatarono.

MONOSILLABI NON ACCENTATI

Nei monosillabi, come è ovvio, l'accento toniconon può trovarsi se non sull'unica sillaba; quindidi norma non ricevono l'accento grafico, sia cheterminino in consonante (con, per, est, tram), siache terminino in vocale:

re, blu, tre; do, fa, fu, so, sta, sto, va; me, te, mi,ti, gli, lo, vi, ci; o, ma, no, ecc.

MONOSILLABI ACCENTATI

Variamente motivate, esistono però alcune ecce-zioni.

• Si scrivono con l'accento i monosillabi: più,può, chiù, ciò, già, giù, scià. Si notino invece,senza accento grafico: qua, qui.

• In varie coppie di monosillabi scritti in mo-do identico («omògrafi») l'accento grafico assumefunzione distintiva (e si noti che quelli che ri-mangono senza accento in genere sono particelleatone):

che (= perche)

da (forma verbale)dì ( = giorno; forma

verbale)è (forma verbale)là (avverbio di luo-

go)lì (avverbio di luo-

go)né (congiunzione)

sé (pronome tonico)

sì (= così; avverbioaffermativo)

té (la bevanda)

NOTE

• Alcuni distinguono anche su (avverbio) da su (con-giunzione).• Quando sé pronome è seguito da stesso, viene menola necessità della funzione distintiva dell'accento, chequindi in genere non viene segnato: se stesso, se stes-sa, ecc.

che (congiunzione;pronome)

da (preposizione)di (preposizione)

e (congiunzione)la (articolo; pronome;

nota musicale)li (pronome)

ne (particella prono-minale)

se (pronome atono;congiunzione)

si (pronome)

te (pronome)

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COME USARE IL VOCABOLARIO

Quale accento tonico?

Per accertare l'accento tonicogiusto il vocabolario ci fornisceun aiuto non solo prezioso, matalora indispensabile, perché -nel caso di parole poco comu-ni, di parole scientifiche, di pa-role direttamente derivate dallatino o dal greco — non di ra-do siamo nel dubbio: in partico-lare, quando sono formate dapiù di due sillabe, esitiamo tral'accento sulla penultima sillaba(parole piane) o sulla terzultima(parole sdrucciole).Si dice càfodo o catòdo, edile oedile, rubrìca o rubrica, uten-sìle o utènsile, scleròsi o se/è-ros/'? E così via.Inoltre, quando si trovano sottoaccento le vocali e, o, il voca-bolario ci segnala se la pronun-cia corretta prevede la vocaleaperta oppure chiusa. Ciò valenon solo per le parole di tre opiù sillabe, ma anche per i bi-sillabi e per i monosillabi ac-centati. E ricordate che per levocali aperte si usa l'accentograve ("), per le vocali chiusel'accento acuto (').Il vocabolario segnala infine leparole che provocano il «rad-doppiamento sintattico», delquale ci occuperemo nel pros-simo capitolo (vedi § 3).

Prima di considerare alcuni lemmiesemplificativi, teniamo presenteche molti vocabolari (tra cui quellousato qui, che è il Devoto-Oli) nonindicano di norma l'accento sulleparole piane, che rappresentano lamaggioranza nella lingua italiana;in altri termini: quando l'accentomanca, si deve intendere che laparola è accentata sulla penultimasillaba.

Parola sdrucciola, senz'ombra didubbio.

Il vocabolario non indica l'accento,quindi si tratta di una parola pia-na: ed/'/e. Per non lasciare dubbi,il vocabolario avverte che la pro-nuncia edile, piuttosto comune, èdecisamente errate.

Parola piana, che però non è scor-retto pronunciare come sdrucciola,sebbene questo uso sia meno co-mune.

Parola senz'altro piana; la pronun-cia rubrica — avverte il vocabola-rio — è «meno corretta».

Qui il vocabolario da un avvertimento diverso, sia pure in forma sintetica:la parola è piana (nella pronuncia italiana, che continua quella latina; econfronta altre parole col suffisso -osi, come ipnòsi, necròsi, tubercolòsi),ma ci si può anche basare sull'originaria pronuncia greca (giacché sclerosideriva dal greco sklérosis) e allora la parola risulta sdrucciola. Insomma,c'è da scegliere.

con o chiusa

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4. Elisione,troncamento,forme «eufoniche»

1. PROCLITICHE E ENCLITICHE

LA PRONUNCIA «LEGATA»

La pronuncia dell'italiano normalmente nel di-scorso lega tra loro due, tre, quattro parole con-nesse dalla funzione e dal senso: un attributo eun sostantivo, un predicato e l'oggetto, un verboausiliare e il participio, ecc. Per esempio:

vero dramma, leggo tutto, sono stato male,

vengono pronunciati effettivamente

vero-dramma, leggo-tutto, sono-stato-male.

Si tratta di una tendenza generale, che coinvolgeparole appartenenti a tutte le categorie gramma-ticali. Ci sono poi alcuni gruppi di parole, in pre-valenza monosillabi, che si appoggiano sempre ecompletamente alla parola die nella frase segueo precede. Sono parole prive di accento (alone),che formano una unità fonologica con la parolaa cui si appoggiano. Esse si suddividono in duecategorie: proclitiche e enclìtiche.

PROCLITICHE

Si dicono proclitiche le parole che si appoggia-no alla parola seguente. Sono gli articoli, le pre-posizioni articolate, le forme àtone dei pronomipersonali e le particelle pronominali (mi, ti, ne,ecc.), di norma le preposizioni (di, a, da, ecc.) evarie congiunzioni e avverbi (e, o, ma, che, ecc.).

ENCLITICHE

Si dicono enclitiche le parole àtone che si ap-poggiano alla parola precedente. Mentre per leproclitiche la scrittura non registra il fenomeno(scriviamo lo stato, me lo dirai, anche se effetti-vamente pronunciamo Io-stato, me-lo-dirai), le en-clitiche vengono scritte unite alla parola cheporta l'accento:

prèndilo (= prendi + lo);darmi (= dare + mi);dammelo (con due enclitiche una di seguito al-

l'altra: da + mi + lo).

Possono fungere da enclitiche i pronomi atoni ele particelle mi, ti, ci, vi, si, lo, la, li, le, ne.Vedremo altri particolari su questo argomentonella morfologia.

La pronuncia legata dell'italiano è all'origine an-che di altri fenomeni fonetici, che esamineremonei prossimi paragrafi: l'elisione, il troncamento,il raddoppiamento sintattico e altri fenomeni di«eufonìa».

2. ELISIONE E TRONCAMENTO

Sia l'elisione, sia il troncamento consistono nella«caduta» di un segmento terminale della parola.Il fenomeno è unico, ma i due meccanismi differi-scono un po'.

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oEH

ootóEH

Oh- HC/2H-HH-3

L'ELISIONE E L'APOSTROFO

(to albero)(una arancia)

l'alberoun'arancia

Davanti a una parola che comincia per vocale,cade — si «elide» — la vocale finale (di lo, una),e questa elisione è indicata da un segno apposi-to, l'apostrofo.

L'elisione è obbligatoria con determinate formedegli articoli, delle preposizioni articolate (l'albe-ro, l'erba, un'idea, dell'uva, ecc.) e degli aggettivibello, quello, santo, alcuno, nessuno (bell'albero,quell'albero, sant'Antonio, sant'Anna, ecc.). Per iparticolari, vedremo meglio nella morfologia.

È facoltativa, ma abbastanza comune, con lapreposizione di e i pronomi atoni mi, ti, ci, vi, si,lo, la:

filo d'erba; professore d'italiano, uomo d'ingegno;m'aspettano, m'interessa; t'ascolto; c'insegnano;l'ho visto; l'ho vista.

In determinate locuzioni l'elisione è frequentissima,talora obbligatoria: con la particella ci in c'è, c'era,c'entra e simili; con altre parole per es. in: anch'io,grand'uomo, se n'andarono, poveruomo, quand'ecco, aquattrocchi, quest'obbligo, senz'altro.

IL TRONCAMENTO

(uno orto, uno cane)(santo Vincenzo)

un orto, un canesan Vincenzo

II troncamento si verifica sia davanti a vocale,sia davanti a consonante e non è segnalato dal-l'apostrofo. Inoltre il troncamento può consisterenella caduta non di una sola vocale, ma di un'in-tera sillaba (san-to -> san). È abbastanza fre-quente, ma con una precisa restrizione: la conso-nante che risulta finale nella parola troncatapuò essere solo 1, r, n (e, raramente, m).

Il troncamento è obbligatorio con:

• l'articolo un e le forme di pronomi e aggettiviquel, bel, buon, san, alcun, nessun; per i partico-lari anche qui si rinvia alla morfologia;

• signore (davanti a prenomi, cognomi, nomi diprofessioni), dottore, professore, ingegnere, ecc.(davanti a prenomi e cognomi), frate, suora (da-vanti a prenomi):

signor Paolo, signor Elmi, signor procuratore, dot-tor Antonio, professar Russo, fra Cristo/oro, suorOttavia.

È facoltativo con:

• l'aggettivo grande e i pronomi e aggettiviquale e tale:

un gran pasticcio, una gran dama, di gran corsa(in questa locuzione è d'obbligo); qual è, qual e-ra, la qual cosa, un tal esempio, di tal genere (maanche: quale è, quale era, ecc.);

• varie forme verbali, in particolare l'infinito:

aver fame, dir male, saper ridere, voler partire;han fatto bene, fan tutti così, son pronto; facciampresto;

• in molte locuzioni particolari (dove spessola forma tronca è prevalente o addirittura l'uni-ca ammessa):

amor proprio, ancor oggi, ben fatto, fil di ferro, infin dei conti, a fior di pelle, mal disposto, Mar Li-gure, in particolar modo, a spron battuto, ecc.

NOTE

• Per eccezione, il troncamento di poco ha l'apostro-fo: po' (un po' di pane). Nota inoltre mo' ( = modo,nella locuzione o mo' di) e ca' (= casa, per es. in Ca'Foscari).

• Appartengono alla lingua antica i troncamenti die( = diede), fé ( = fede), pie ( = piede, ancora oggi in apie di pagina).

• Anziché fra ( = frate), per distinguerlo da fra pre-posizione, si scrive anche fra', oppure fra.

e Gli imperativi dei verbi dare, dire, fare, stare, an-dare sono da, dì (con l'accento per distinguerli da da,di preposizioni), fa, sta, va. Ma alcuni (presupponendoun troncamento: da dai, ecc.) mettono l'apostrofo: da',di', fa', sta', va'.

• Una regoletta pratica per distinguere tra elisionee troncamento. Se la parola che risulta privata dellavocale finale davanti a vocale non potrebbe trovarsi,così, davanti a consonante, c'è elisione: poveruomo(perché non si può dire: *pover bambino). Nel casocontrario, c'è troncamento: un tal ingegno (perché sipuò dire: un tal genio). Notate però che la distinzioneelisione/troncamento è sottile, forse troppo. E trovere-te autori (e anche linguisti, sulla base di determinateargomentazioni) che scrivono: pover uomo, tal'ingegno.

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3. IL «RADDOPPIAMENTOSINTATTICO».

FORME «EUFONICHE»

IL RADDOPPIAMENTO SINTATTICO

Con il legame che unisce le parole nella catenaparlata è connesso un fenomeno fonetico che -fino a un certo punto — non lascia traccia nellascrittura, ma si realizza sempre nella pronunciatoscana e, con maggiore o minore coerenza, inquella di tutto il Centro-Sud: il raddoppiamen-to sintattico1.Quando, per esempio, i monosillabi è, da, se sonoseguiti da parola con una consonante iniziale (oanche col gruppo del tipo pr-, tr-, ecc.), la conso-nante, nella pronuncia corretta, si raddoppia:

è vero = [è-vvéro]da Napoli = [da-nnàpoli]se provi = [se-ppròvi]

Provocano il raddoppiamento sintattico tutti imonosillabi e polisillabi in vocale accentata (ciò,è, là, più, ecc.; città, caffè, portò, finì, così, ecc.) eparecchi monosillabi privi di accento grafico: a,che, chi, da, e, fa, fra, fu, ha, ho, ma,_o, qua, qui,sa, se, so, su, tu, va e qualche altro. È opportunoavvertire che, tra molti altri monosillabi àtoni,non provocano il raddoppiamento gli articoli e lapreposizione di.

EFFETTI SULLE PAROLE COMPOSTE

Abbiamo detto che la scrittura non registra que-sto fenomeno. Però, quando una delle parole e-lencate serve, come prefisso o come primo ele-

mento di un composto, a formare una nuova pa-rola, questa parola, nel punto di giuntura, ha ladoppia. Ciò ci spiega la presenza di molte conso-nanti doppie e ci aiuta nella retta grafia e nellaretta pronuncia.Esempi:

a-: addio, addosso,atterrare

chi-: chicchessia, chis-sà

da-: dapprima, davve-ro, dappertutto

e-: ebbene, eppure,eccome

fa-: fabbisogno, fan-nullone

fra-: frattanto, fram-misto, frapporre

là: laggiù, lassù

né: nemmeno, neppu-re

o-: oppure, ossia, ov-via!

più: piuttosto

se-: sebbene, seppure,semmai

sì, così-: sicché, siffat-to, cosiddetto

su-: succitato, suvvia,supporre

Anche con i prefissi bisillabici sopra-, sovra-, con-tra-:

soprannome, sopralluogo, sopraffare, soprattutto',sovrapporre, sovrappiù; contraccolpo, contravvele-no, contraddire.

Non mancano delle oscillazioni nell'uso, in particola-re con i prefissi sopra- e sovra-, né qualche eccezione,come caffelatte e senonché (meno corretti di caffellattee sennonché). Intravedere è la forma corretta e regola-re, perché il prefisso intra- di norma non provoca ilraddoppiamento (ma nota: intrattenere).

1 Raddoppiamento (o rafforzamento) sintattico in quanto siproduce nell'ambito di un sintagma, cioè tra due parolestrette da un rapporto sintattico.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

II raddoppiamentosintatticonelle pronunceregionali

II raddoppiamento sintattico tro-va la sua origine già nel pas-saggio dal latino alla parlata to-scana, che lo ha sviluppato in

un sistema coerente, imponen-dolo poi — nelle parole compo-ste, attraverso la scrittura —alla lingua nazionale.Il fenomeno, non certo incoe-rentemente, ma con leggi unpo' diverse, si è manifestatoanche negli altri dialetti centralie nei dialetti meridionali e insu-lari. Quindi nelle regioni del

Centro e del Mezzogiorno ilraddoppiamento si sente, manon sempre coincide con l'usotoscano. Qualche volta manca,più spesso viene generalizza-to: a Roma si dice guardali!(= guarda lì), a Napoli dippiù( = di più), in Puglia ogniggior-no ( = ogni giorno).Il panorama cambia totalmente

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nell'Italia settentrionale. Comesi è già avuto modo di rilevare(vedi Scheda 7), i settentrionalihanno imparato a scuola a scri-vere le doppie e, bene o male,a pronunciarle dove le trovanoscritte. Scrivono dunque, e pro-

nunciano: dappoco, dappertutto,addio] ma, se trovano scritto dapoco, da per tutto, a Dio, pro-nunciano, né più né meno: dapoco, da per tutto, a Dio.Il discorso sul raddoppiamentosintattico non è stato introdotto

perché chi non ha questa abitu-dine articolatoria cerchi di ac-quisirla, ma perché ci si rendaconto di un rilevante fenomenofonetico dell'italiano, che, comesi è dimostrato, ha il suo pesonell'ortografia di molte parole.

L'EUFONIA

Mediante molti dei fenomeni considerati in que-sto capitolo la lingua raggiunge il fine di evitarele combinazioni di fonemi sentite come sgradevo-li (il «cattivo suono», detto con parola greca ca-cofonìa) e di ottenere un «buon suono», l'eufo-nìa. Vediamo altri due casi di eufonia, che consi-stono non nell'eliminare o modificare un fonema,ma nell'inserirlo.

• Quando la congiunzione e è seguita da vocale,è possibile aggiungere una -d, usando la varianteeufonica ed:

venne ed agì; vigore ed energia; bravo ed onesto.

Lo stesso, ma meno frequentemente, avviene conla preposizione a e, piuttosto raramente, con lacongiunzione o:

vive ad Ancona; ad esempio; ad opera di;tu od altri.

• È caduta quasi del tutto in disuso la i eufoni-ca (o protetica) che si premette a s impura (cioèseguita da altra consonante) dopo in, per (e an-che con, non) al fine di evitare gruppi consonan-tici mal pronunciabili: in istrada, in Ispagna, perischerzo.Rimangono vive solo le locuzioni per iscritto, inispecie.

DUBBI LINGUISTICI

I monosillabi:repertorio pratico

La grafia di parecchi monosilla-bi in vocale (con o senza ac-

cento, seguiti o meno dall'apo-strofo, ecc.) pone qualche pro-blema. Nel repertorio troveretei monosillabi citati in questo ca-pitolo e nel precedente, insie-

me con alcuni altri. Quanto aimonosillabi che terminano inconsonante (con, dal, tram,club, ecc.) tenete presente chenon hanno mai l'accento.

monosillabi

aadahbluca'ce

fcheIché

chichiùciòcui

definizioni

preposizionepreposizioneinteriezioneaggettivotroncam. di casapron. e partic. pron.congiunzione; pronomecongiunzione = perchépron. interr. e relat.sostantivopron. dimostrativopron. relativo

esempi o chiarimenti

Vado a Roma; Motore a scoppioforma eufonica di a, non frequente: Fino ad oggiAh, come sono infelice!Un giaccone blusolo in qualche locuzione, come: Ca' FoscariCe ne andiamo; Ce ne sono molti; e' in c'è, c'entra, ecc.Vedo che lavori con passione; È una cosa che non soMeriti un premio, che lavori con passioneChi è sfato? Chi lo sa, lo dicaII chiù è un volatile simile al gufoQuesto è proprio ciò che mi proponevoEcco il problema cui alludevo prima

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monosillabi definizioni esempi o chiarimenti

preposizione3a sing. pres. di dare2" sìng. imperai, di darepreposizione2" sing. imperat. di diretroncarti, di diede1" sing. pres. di daresostantivocongiunzione3" sing. pres. di esserecongiunzioneinteriezione3" sing. pres. di farein funz. equival. a prepos.2" sing. imper. di faresostantivotroncam. di fedepreposizionetroncam. di frate3" sing. pass. rem. di essereavverbio di tempoavverbio di luogoarticolo; pronomesostantivo3" sing. pres. di avere1" sing. pres. di averearticolo; pronomesostantivoavverbio di luogoarticolo; pronomepronomeavverbio di luogoarticolo; pronomecongiunzionepronomepronomesostantivotroncam. di modoavverbio di negazioneparticella pronom.congiunzionecongiunzionevariante eufonica di ointeriezionetroncam. di piedeavverbiotroncam. di pocosostantivosostantivo3" sing. pres. di saperesostantivocongiunzionepron. rifless. àtonopron. riflessivopron. rifless.; part. pronom.sostantivoavverbio di affermazione

Viene da Roma; Roba da pocoEgli ci da del filo da torcereOra da qui la cima (anche: da')È sorella di un mio amico; Anello d'oroAdesso dì la verità (anche: di')antiquato: Die di piglio al bastone10 non do ascolto ai bugiardi11 do è la prima nota della scala musicaleVissero felici e contentiQuesto è verovariante eufonica di e: Questo ed a/froEh, come la fai lunga!Mi fa ma/e un ginocchioMolti anni faInsomma, fa presto (anche: fa')// fa è una nofa musicaleantiquato: in fé di DioÈ tutto finito fra noiFra Cr/stoforo (anche: fra', fra)Que//a fu una vittoria meritatalo l'avevo già dettoButtarono giù la portaNon mi piacciono gli scherzi; Non gli credoEcco in cielo un volo di gruLui ha sempre torto (rarissima la grafia a)10 ho sempre ragione (rarissima la grafia o)Vedi la riva? Verso l'a/ba; Non la vedoSenti la nota la? Dare // laGuarda là!Scegli le compagnie; Non le darai ascolto?I Rossi? Non li vedo da un pezzo.Non abitano più lìLo struzzo; Vairone; Lo voglio vedereE presto, ma partiamo ugualmenteCercano me? Non me lo avevano dettoMi piace il rock11 mi bemolleantiquato; in uso nella locuz. a mo' di (= come)«Verrai con noi?» «No/»Non ne so nullaNon è né carne né pesceTi trattieni qui o parti subito?poco frequente: Loro od altriOh, chi si vede!antiquato; in uso nella locuz. a pie di paginaÈ più diligente di te; Non c'è più tempoDammi un po' di paneTeodorico, re dei Goti (ma nei comp., ovviarti.: w'ceré)Concerto in re maggioreEgli non ne sa nullaScià era // titolo dei sovrani della PersiaVi lasciamo il posto, se volete; Non so se è giustoAlla fine se ne sono andar/Pensano solo a sé (ma, comunem.: se stessi)Si /odano da soli; Si vede che sono presuntuosiII si è l'ultima delle sette note«Hai capito bene?» «Si, no capito»

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monosillabi definizioni esempi o chiarimenti

sostastastosusutetitratreunun'vavavi

1* sing. pres. di sapere3" sing. pres. di sfare2" sing. imperat. di sfare1" sing. pres. di sfarepreposizioneavverbio di luogopronomepronomepreposizionenumeraletroncam. di unoelisione di una3" sing. pres. di andare2" sing. imperat. di andarepronome; partic. pronom.

lo so di avere sbagliatoGigi non sta più nella pelleSta fermo, insomma! (anche: sfa')lo sto valutando la situazioneÈ un dipinto su fé/aTVra su quella leva (anche: su)Chiamano te; Non te ne eri accorto?Ti aspeffavamo da un'ora; Ti credi autorizzato?Scelgo tra molti esempi; Arriverà tra pocoTre pagine (ma nei composti, ovviam.: ventitré, ecc.]un bosco; un albero; un insegnanteun'allieva; un'insegnante; un'altra voltaA lei va fuffo beneVa a prendere quei libri (anche: va')Vi avevo avvisati] Non vi trovo nulla di strano

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L

5. Maiuscole,punteggiatura,intonazione

1. MINUSCOLE E MAIUSCOLE

DUE SERIE DI LETTERE

II nostro alfabeto offre due serie complete di let-tere: le minuscole, che rappresentano la norma,e le maiuscole, «marcate». In verità niente im-porrebbe di usare due serie di lettere (e gli alfa-beti greco e latino originari e, ancor oggi, l'alfa-beto russo ne presentano fondamentalmente unasola). Tuttavia con l'avvicendarsi nella pagina dimaiuscole e minuscole e con la diversità di di-mensioni e tracciato delle lettere, si crea un ef-fetto di gradevole varietà e la lettura risulta age-volata.L'uso più o meno frequente delle maiuscole variasecondo le epoche, le mode e i gusti personali. Invari casi, però, la convenzione appare costante epiuttosto rigida, come vedremo adesso.

LA MAIUSCOLA DOPO IL PUNTO

Si usa sempre la maiuscola all'inizio di un e-nunciato, dopo il punto fermo, il punto inter-rogativo e il punto esclamativo, e all'iniziodel discorso diretto (vedi § 2).

NOTA

• Quando una breve interrogazione concerne un soloelemento della proposizione, oppure l'esclamazione ècostituita da un'interiezione, dopo — rispettivamente

- il punto interrogativo e esclamativo si può averela minuscola:

Vuoi una birra? o per caso un gelato? (in alternativaa: Vuoi una birra? O per caso un gelato? e anche a:Vuoi una birra, o per caso un gelato?)

Eh, sei troppo gentile! (in alternativa a: Eh! Sei troppogentile!)

LA MAIUSCOLA NEI NOMI PROPRI

Si usa sempre la maiuscola con i nomi propri:di persone, animali, luoghi geografici, divinità,ecc. Gli esempi sarebbero superflui. Si noti solo:Via Mazzini, Piazza Cavour, Palazzo Strozzi, ilMonte Bianco, il Mare Tirreno, ecc. (meno usua-le: via ^Mazzini, piazza Cavour, palazzo Strozzi,ecc.). È assimilabile a un nome proprio Dio,quando indica la divinità unica delle religionimonoteistiche.Con i nomi etnici (cioè i sostantivi che indicanogli abitanti di uno stato, di una regione, di unacittà, ecc.) è preferibile la maiuscola quando siindica l'intera collettività o una sua consistenterappresentanza:

gli Europei, gli Italiani, i Lombardi, i Milanesi.

Si usa invece sempre la minuscola quando sonoriferiti a un singolo individuo o a un gruppo diindividui e quando sono aggettivi:

ho conosciuto una milanese', ho viaggiato con trefrancesi; gli interessi europei.

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QUALCHE NORMA PER I NOMI COMUNI

Con i nomi comuni l'impiego della maiuscoladovrebbe essere eccezionale. In realtà non pochinomi comuni la ricevono, ma l'uso diviene oscil-lante e dipende largamente dalle circostanze, dal-le intenzioni e magari dalle opinioni. Indichiamodi seguito qualche norma, conforme all'uso pre-valente o suggerita dal buon senso.

• La cortesia consiglia, soprattutto nella corrispon-denza: gentile Signora, egregio Dottore, signor Presi-dente (ma, quando non ci si rivolge alla persona: la si-gnora Rossi, il dottar Bianchi, ecc.). Notate inoltre:Come Lei m'informa nella Sua del 4 aprile...; qui lamaiuscola ha anche un valore distintivo, cioè serve aindicare che Lei è un «pronome allocutivo di corte-sia» (vedi capitolo 12, § 8).

• Una funzione distintiva è pure ottenuta con lamaiuscola, almeno in determinati contesti, in parolecome Stato, Chiesa, Costituzione, perché così si carat-terizzano, in quanto istituzioni, di fronte a stato ( =condizione), chiesa (= luogo di culto), ecc. Analoga-mente ricevono la maiuscola i nomi di secoli, di perio-di e di eventi storici: YOttocento, l'Impero, la Riforma,il Risorgimento, la Guerra mondiale (anche: la GuerraMondiale).

• In parole come Giustizia, Libertà, Idea, Patria, Re-pubblica la maiuscola si giustifica quando assurgonoa vere e proprie personificazioni: Morirono per l'Idea;Difendiamo la Repubblica!

• La maiuscola è obbligatoria quando si citano i ti-toli di libri, le testate di quotidiani o riviste, le opered'arte:

Abbiamo letto i Canti del Leopardi; In quel palazzo hasede la Stampa; Hai comprato Panorama?; Abbiamoammirato la Pietà di Michelangelo.

Se un titolo è composto di più parole, di norma lamaiuscola va solo nella prima: «I promessi sposi» diA. Manzoni; II corriere della sera (ma, per giornali eriviste, sono frequenti anche altre soluzioni: il Corrie-re della sera, il Corriere della Sera, ecc.).

• L'uso della maiuscola si allarga poi a macchia d'o-lio, anche per esigenze pratiche, con i nomi di uffici,istituti, associazioni, ditte, ecc., quasi assimilati a no-mi propri di luogo: il Municipio, il Catasto, la Standa,il Liceo Volta, l'Ufficio del registro, il Ministero degliesteri, la Corte dei conti, ecc. Anche qui, con gruppi diparole, sarebbe preferibile la maiuscola solo nella pri-ma, ma troviamo frequentemente anche: il Ministerodegli Esteri, l'Ufficio del Registro, ecc.

2. LA PUNTEGGIATURA

PARLATO E SCRITTO:I SEGNI DI INTERPUNZIONE

II discorso parlato è interrotto da pause più omeno lunghe ed è colorito da intonazioni. Nellapagina scritta la punteggiatura fornisce lo stru-mento con cui registriamo, per quanto possibile,queste pause e intonazioni, così da far risaltarel'articolazione del discorso e da agevolare la let-tura e la comprensione del testo.La punteggiatura dispone di un repertorio abba-stanza nutrito di segni particolari, i segni d'in-terpunzione. Il modo di servirsene è in certamisura soggettivo. Le norme che riuniamo qui ri-calcano l'uso contemporaneo più comune, quellodi una punteggiatura che vuole rendersi utilepassando quasi inosservata.

I PRINCIPI DELLA PUNTEGGIATURA

Seguendo l'esposizione, tenete presenti i dueprincìpi cui la punteggiatura ubbidisce. Essa:

• è in funzione di quel che si vuoi dire e delmodo in cui lo si vuoi dire, cioè riflette la strut-tura logico-sintattica dell'enunciato (e, sottoquesto aspetto, si apprende essenzialmente insie-me con la sintassi, cosicché qui le indicazioninon possono essere che sommarie);

• ha un valore anche espressivo, in quantopuò rappresentare l'equivalente di pause o into-nazioni enfatiche che vogliamo dare al discorso eche possono essere indipendenti dalla strutturasintattica.

I VARI SEGNI: IL PUNTO FERMO

II punto fermo, o semplicemente punto, è il se-gno d'interpunzione più forte: indica la fine diun enunciato affermativo o negativo. L'enuncia-to potrà essere più o meno ampio e corrisponderea un periodo semplice (una sola proposizione), aun periodo complesso (più proposizioni) o anchea più periodi legati dal senso.

LA VIRGOLA

La virgola è il segno meno forte e al tempo stes-so più frequente. All'interno della proposizione si

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oh— 4CS1

M

pone tra due o più dei suoi termini, sostituendo0 rafforzando (a seconda dei casi) la congiunzio-ne coordinante (e, o, ma, ecc.):

Hanno un programma giusto, audace, vantaggio-so; Raggiunsero la vetta in sei ore, con molta fati-ca; L'impresa è difficile, ma non impossibile.

Analogamente, nel periodo, la virgola si pone traproposizioni coordinate (per es. due o più princi-pali: Venne, vide, vinse), o — non sempre! — trala principale e la secondaria (Vinse, sebbene fos-se numericamente inferiore). Talora svolge unafunzione distintiva, per es. con le proposizioni re-lative:

1 compagni che erano stanchi non lo seguirono(valore restrittivo: non lo seguirono solo i compa-gni che erano stanchi).I compagni, che erano stanchi, non lo seguirono(tutti: non lo seguì nessuno).

Due virgole, infine, possono delimitare un inciso:sia un complemento nell'ambito della proposizio-ne, sia una breve proposizione nell'ambito del pe-riodo:

Ti do, provvisoriamente, questa spiegazione; Tidarò poi, sta tranquillo, tutti i chiarimenti neces-sari.

IL PUNTO E VIRGOLA

II punto e virgola è un segno intermedio: menoforte del punto fermo, più forte della virgola. Inalternativa al punto, chiude un periodo breve, le-gato dal senso al periodo successivo. Più di rado,in alternativa alla virgola, chiude un sintagma(un gruppo di parole) nell'ambito della proposi-zione.

i DUE PUNTI

Anche i due punti sono un segno intermedio frail punto fermo e la virgola, ma hanno funzionipiù specifiche:

• preannunciano uno sviluppo del discorso chefornisce una spiegazione, un chiarimento, un'e-lencazione e che può essere costituito da una opiù parole, gruppi di parole, proposizioni:

Ci aspettano due difficoltà: la ripidità della paretee la scarsezza degli appigli.Si aggiungono questi problemi: il tempo è incertoe voi non siete tutti ben allenati;

• introducono il discorso diretto; per gli esempivedi oltre, a proposito delle virgolette.

I PUNTI INTERROGATIVO E ESCLAMATIVO

II punto interrogativo chiude una domanda (e-nunciato interrogativo), il punto esclamativochiude un'asserzione enfatica (enunciato esclama-tivo) e inoltre, molto spesso, un comando (enun-ciato imperativo o iussivo). Questi segni indicanoquindi delle particolari intonazioni del discorso,sulle quali ritorneremo nel paragrafo seguente.

IL TRATTINO E LA LINEETTA1

II trattino si pone tra due aggettivi o due so-stantivi strettamente uniti dal senso:

la guerra franco-prussiana; l'alleanza anglo-fran-cese; un'indagine socio-economica; il capo-cordata;l'idea-forza.

Va usato quando è indispensabile, come nei dueprimi esempi. Nel terzo potremmo anche scrive-re: un'indagine sociale ed economica. Nel quartoè preferibile capocordata, senza trattino in quan-to nome composto; e nell'ultimo l'idea forza, conforza in funzione chiaramente appositiva anchesenza l'intervento del trattino.La lineetta delimita un inciso, in genere più am-pio di quello che si include tra due virgole. Inol-tre si inserisce nel discorso diretto o talora lo in-troduce: si veda qui di seguito, a proposito dellevirgolette.

LE VIRGOLETTE

Le virgolette basse sono il mezzo più comuneper aprire e chiudere il discorso diretto:

La guida disse: «Possiamo avviarci».

Invece, col soggetto e il predicato (o solo il pre-dicato) posposto o inserito, avremo:

Noi aspettavamo. «Possiamo avviarci», disse laguida.Noi aspettavamo. «Se siete pronti, — disse la gui-da — possiamo avviarci».

1 La terminologia è oscillante. Usiamo i due termini conquesti valori: - è il trattino; — è la lineetta.

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Questa è la consuetudine più diffusa, ma si ado-perano anche le virgolette alte, oppure si apre ildiscorso con la lineetta, ecc.

Le virgolette alte (e anche, indifferentemente,le basse) pongono in rilievo una parola o espres-sione su cui s'intende richiamare l'attenzioneperché nuova, poco comune, straniera o per qual-siasi altro motivo:

Vi spiegherò che cosa si intende per "indagine dimercato"; La specie umana viene chiamata "homosapiens"; II "leasing" è una forma particolare dicontratto d'affitto. E anche: ... «indagine di mer-cato», ecc.

Un altro mezzo per raggiungere lo stesso scopoconsiste nello scrivere la parola o l'espressionein corsiro (in un testo in caratteri tondi; vicever-sa, in tondo nell'ambito di un testo in corsivo); èl'uso più comune quando si tratta di parole stra-niere:

II leasing è una forma particolare di contrattod'affitto; ovvero: // leasing è una forma particola-re di contratto d'affitto.

LE PARENTESI TONDE

Le parentesi tonde, con una funzione analogaalle virgole o alle lineette, ma con più forte evi-denza, delimitano un inciso, che può essere an-che un'intera proposizione o un periodo compo-sto di più proposizioni.

I PUNTINI DI SOSPENSIONE

I puntini di sospensione (tenete presente chene bastano tre) si mettono alla fine di un'espres-sione che rimane incompiuta:

Io ti...Io ti darei...Io ti darei quelle centomila lire, ma...

Nella citazione di passi di cui si omette una par-te, in mezzo o alla fine, si pongono tra parentesiquadre i puntini, che non hanno più valore so-spensivo:

Mazzini affermò: «II diritto di non essere oppres-so [...] è un diritto sacro, imprescrittibile» (dallafrase originaria di Mazzini è stato tolto, dopo laparola oppresso, uno sviluppo: stremato, torturatodalla tirannide, ecc.).

3. L'INTONAZIONE

CHE COS'È L'INTONAZIONE

Confrontate queste due frasi:

Domani andiamo alla partita.Domani andiamo alla partita?

Nella prima frase abbiamo un'asserzione, che in-dica un'idea precisa del parlante su qualcosa cheper lui è un fatto: «io affermo che domani andre-mo alla partita». Nella seconda abbiamo un'in-terrogazione, che attende una risposta: «io chie-do se domani andremo alla partita».La differenza tra i due messaggi è dunque rile-vantissima. Eppure le parole, i fonemi e le silla-be che compongono le parole, l'ordine delle paro-le nella frase e anche i loro accenti sono del tut-to identici.Allora che cosa ci consente di cogliere la diffe-renza? Siamo d'accordo: il punto fermo nella pri-ma e l'interrogativo nella seconda. Ma si trattasoltanto di simboli che, nella pagina scritta, o-rientano la lettura. E che cosa accade, concreta-mente, nel linguaggio parlato?La differenza è stabilita da un elemento linguisti-co che non è proprio di nessuno dei singoli seg-menti in cui è scomponibile l'enunciato (fonema,sillaba, parola, sintagma), ma coinvolge l'enun-ciato nel suo insieme, mediante una diversa e di-versamente modulata altezza della voce, median-te un «disegno prosodico» (ritmico) della fraseche chiamiamo intonazione.

DIVERSI TIPI DI INTONAZIONE

Esistono due tipi fondamentali di intonazione,nettamente opposti l'uno all'altro:

• assertiva (nelle affermazioni e nelle negazio-ni), con andamento prosodico in calando, discen-dente;

• interrogativa, con andamento in crescendo,ascendente.

La frase imperativa (contrassegnata per iscrittodal punto esclamativo) ha un'intonazione simileall'assertiva, con una caduta più brusca alla fine.L'intonazione sospensiva (in frasi come: Se an-diamo, ...; Quando vorrete decidere, ...) è interme-dia tra l'assertiva e l'interrogativa.

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Domani andiamo alla partita. Domani andiamo alla partita?

Le due linee riproducono l'andamento dell'altezza della voce (ile interrogativa fa destra).

VARIETÀ DI INTONAZIONI

L'intonazione non manca in nessuna lingua odialetto, e alcuni tratti fondamentali (andamentodiscendente e ascendente) sono comuni a tutti gliidiomi. Ma le varietà nei particolari sono infini-te, spesso difficili da cogliere e da descrivere.

^disegno prosodico») nei due principali tipi di intonazione: assertiva fa sinistra)

Anche nell'ambito dell'italiano il gioco delle into-nazioni varia in modo sensibilissimo nei diversidialetti e nelle diverse pronunce regionali. An-zi, esso costituisce l'elemento più importante perdistinguere quelli che chiamiamo gli «accenti»(piemontese, genovese, veneto, toscano, napoleta-no, siciliano, ecc.).

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MORFOLOGIA

6. Le parti del discorso,la flessione e l'analisigrammaticale

1. LE PARTI DEL DISCORSO

NOVE PARTI DEL DISCORSO

Come si è detto nell'Introduzione, la morfologiastudia un secondo ordine di unità linguistiche(dopo il primo, i fonemi, oggetto della fonologia),quelle provviste di significato: le parole sottol'aspetto delle forme in cui si presentano. E, pre-liminarmente, suddivide tutte le parole in dossio categorie grammaticali: le parti del discorso.In italiano ne distinguiamo nove:

sostantivo uomo, donna, casa, amore, Mario,Roma

aggettivo forte, buono, italiano, qualche, tut-to, tre

articolo il, unpronome io, costui, ciò, chi, nienteverbo mangiare, lodare, correre, essere,

stareavverbio bene, sùbito, fortemente, qui, orapreposizione o, con, per, verso, durantecongiunzione e, o, ma, se, poiché, quandointeriezione ah, oh, beh, ohimè

NOTA

• II termine nome si usa come sinonimo di sostanti-vo e, talvolta, per indicare insieme il sostantivo e ^ag-gettivo.

Questa classificazione è necessaria, e ha un valo-re scientifico?In ogni campo del sapere la suddivisione in e/as-si delle cose che percepiamo con i sensi o che cirappresentiamo con la mente risponde a esigenzedi vario ordine. Ciò accade anche nella vita pra-tica. Per esempio le automobili, con fini diversi,vengono classificate dal fisco in base alla poten-za, dalle società autostradali in relazione alla di-stanza tra gli assi delle ruote; dai costruttori edagli utenti secondo il tipo di motore, l'uso cuisono destinate, il costo, il colore, ecc. Senza que-sti quadri di riferimento noi non sapremmo comeprocedere all'acquisto, alla guida, alla manuten-zione, ai versamenti per il bollo e l'assicurazio-ne, al pagamento dei pedaggi.Le classificazioni non solo mirano a scopi diver-si, ma sono più o meno complesse e fondate sucriteri più o meno rigorosi. Nella vita di tutti igiorni potrà risultare sufficiente ripartire gli ani-mali in mammiferi, uccelli, rettili e insetti e gliorganismi vegetali in alberi, arbusti e piante.Ciò ovviamente non basterà allo zoologo e al bo-tanico, i quali elaborano le loro complicate clas-sificazioni sul fondamento di molte e precise ca-ratteristiche degli esseri viventi e sulla loro sto-ria evolutiva.

SCOPI DELLA CLASSIFICAZIONEGRAMMATICALE

Nello studio delle lingue la suddivisione delle pa-role in «parti del discorso» ubbidisce anzitutto a

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fini pratici, quelli di:

• analizzare sistematicamente gli enunciati;• formularli correttamente;• comprenderli perfettamente;• passare con facilità da un codice linguisticoall'altro (dal dialetto alla lingua, dal parlato allalingua letteraria, dall'italiano a una lingua stra-niera e viceversa, ecc.).

D'altra parte la classificazione in «parti del di-scorso» coglie anche certe caratteristiche in-trinseche del linguaggio e non manca quindi divalore scientifico. Tuttavia, sotto questo aspetto,si avanzano alcune obiezioni, e certo si dovràammettere che tale classificazione non si fondasu un criterio unitario. Infatti, per definire nellamorfologia le varie parti del discorso, spesso dob-biamo riferirci, oltreché alla forma delle parole,al loro significato (ed entriamo così nel campodella semantica) e dobbiamo fare poi intervenirefrequentemente il concetto di «funzione», che èd'ordine sintattico e ci obbliga a prendere in con-siderazione non più una singola parola, maun'intera frase.

Invariabili

2. PAROLE VARIABILIE INVARIABILI,

«PIENE» E «VUOTE»

PAROLE VARIABILI E INVARIABILI

Per approfondire il significato e lo scopo dellanostra classificazione, prendiamo anzitutto in e-same la forma in cui le singole parole sì presen-tano. Essa ci porta subito a stabilire una nettabipartizione: tra _ le parti del discorso variabili,cioè quelle che si presentano in due o più formediverse, e le parti del discorso invariabili, chehanno una forma sola:

La morfologia, in quanto studia le diverse formeche può assumere una parola, si interessa premi-nentemente alle parti del discorso variabili. Perquanto riguarda le parti invariabili (in particola-re la preposizione e la congiunzione), si limita adefinirle, a registrarle e a dividerle in sottoclas-si; lo studio delle loro funzioni viene poi svilup-pato nella sintassi.

PAROLE «PIENE» E «VUOTE»

Otteniamo un tipo diverso di bipartizione delleparti del discorso se facciamo riferimento non al-la forma, ma al significato delle parole e — usan-do due metafore di cui chiariremo immediatamen-te il valore - - l e distinguiamo in «piene» e«vuote»;

parole piene

sostantivo:

caso, amore

aggettivo:

forte, buono

verbo:

mangiare, lodare

avverbio:

bene, fortemente

pronome:

parole vuote

articolo:

il, un

preposizione:

o, con

congiunzione:

e, se

interiezione:

ah, ohio, costui, che

Le espressioni «parole piene» e «parole vuote»non vanno prese alla lettera: si tratta di analo-gie. Nessuna parola è propriamente vuota o pri-va di significato: non sarebbe una parola. Ma leparole della colonna di sinistra hanno ciascunaun proprio significato preciso, al quale corrispon-

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oco«OocoHHOhJwQI—HEH

de un «referente» nella realtà esterna alla lin-gua (come vedremo meglio studiando la semanti-ca). Esse sono necessarie e, fino a un certo punto,sufficienti a garantire la comprensione del conte-nuto del messaggio linguistico. Non così le paro-le della colonna a destra.«Pregati inviare subito milione urgente necessitàriparazioni auto roulotte» è un testo telegraficoche include soltanto parole tratte dalle categoriedel sostantivo, dell'aggettivo, del pronome, delverbo e dell'avverbio (tutte parole «piene»), eche provoca, o può provocare, l'invio di un milio-ne. Il testo manca però di «struttura», a parteun certo ordine delle parole. Per farne un mes-saggio propriamente italiano, per dare al messag-gio la fisionomia di un enunciato «grammati-cale», cioè corretto e accettabile (al di fuori del-le convenzioni che si usano nei telegrammi perrisparmiare tempo e denaro), occorrono paroledella colonna a destra: « Ti prego di inviarmi su-bito un milione per l'urgente necessità di ripara-zioni all'auto e alla roulotte».Le parole che abbiamo chiamato «vuote» hannocertamente un loro significato, o piuttosto un lo-ro «valore», ma non aggiungono contenuti almessaggio. Esse sono «strumenti grammatica-li» o «elementi formativi autonomi» (autonomiin quanto ciascuno è una parola a sé; sono anchechiamate, con espressioni equivalenti, parole fun-zionali, indicatori strutturali, connettivi): servonoa dare una forma, una struttura all'enunciato, aspecificare in vari modi la funzione delle parole«piene» e a definire i rapporti tra le parole, o lesequenze di parole, nella frase.

3. SOSTANTIVO E VERBO

COME CARATTERIZZARE LE DIVERSE PARTIDEL DISCORSO

Se teniamo conto delle due bipartizioni (parti va-rìabililinvariabili e pienejvuote), e le combiniamoinsieme, possiamo isolare da un lato l'articolo,che è l'unica parte variabile e vuota, e dall'altrol'avverbio, parte invariabile e piena. Ciò peraltronon basta per cogliere tutte le caratteristiche diqueste categorie, e inoltre rimangono non diffe-renziati fra loro sostantivo, aggettivo e verbo(parti variabili e piene) e preposizione, congiun-zione e interiezione (invariabili e vuote). Perchiarire le caratteristiche di ogni parte del di-scorso dobbiamo quindi continuare la nostra a-nalisi. Lo faremo, per tutte, nei vari capitoli del-la morfologia. Fin d'ora però ci soffermeremo sulsostantivo e sul verbo, che si caratterizzano pie-namente solo se li consideriamo insieme e li op-poniamo l'uno all'altro.

SOSTANTIVO E VERBO:UNA PRIMA DISTINZIONE SOMMARIA

Sostantivo e verbo sono entrambi gli elementifondamentali, gli «assi portanti» di qualsiasi e-nunciato. D'altra parte in italiano, come in mol-te altre lingue, essi sono nettamente distinti, e ladistinzione è ben presente alla coscienza del par-lante.

Nel diagramma la linea orizzontale separa le parti del discorso variabili dalle invariabili, mentre la linea trasversale, che interseca quella oriz-zontale, separa le parole piene dalle vuote. Risulta così chiara l'appartenenza di ogni parte del discorso a due categorie: il verbo, per es., èvariabile ed è una parola «piena»; l'articolo è variabile e una parola «vuota»; la preposizione è invariabile e «vuota», ecc.Così come nella tabella precedente, il pronome è collocato in una posizione particolare fa metà fra le parole «piene» e «vuote») perché alcunipronomi fio, tu, tutto, niente, ecc.) hanno un signiticato «pieno», mentre altri (come ohe, il qualej serrano da «strumenti grammaticali». Lo stes-so, sotto certi aspetti, va detto per l'avverbio. Tutto ciò diverrà più chiaro quando studieremo nei particolari queste parti del discorso e le lorosuddivisioni.

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Per definire sostantivo e verbo ci si può quasi af-fidare all'intuizione, la quale si traduce più o me-no in queste sommarie equazioni: sostantivo= cosa; verbo = azione. La grammatica elemen-tare preciserà: il sostantivo indica un essere ani-mato o una cosa, concreta o astratta', il verbo indi-ca un'azione fatta o subita, o uno stato o una con-dizione.Queste definizione sommarie, però, non ci posso-no soddisfare completamente. Basterebbe osser-vare che le stesse parole «azione» o «stato» e al-tre come «corsa», «partenza», «permanenza»,ecc. indicano un'azione o uno stato o una condi-zione, eppure sono sostantivi, non verbi.

APPROFONDIAMO LA DISTINZIONE

Dobbiamo stringere il problema più da vicino.Leggiamo le tre seguenti coppie di frasi:

la) Ecco il tramonto del sole!Ib) Ecco, il sole tramonta!

2a) // corso del fiume è lento.2b) // fiume scorre lentamente.

3a) Per me l'attesa della notizia fu angosciosa.3b) Attesi la notizia nell'angoscia.

Tre esperienze sono espresse ciascuna in due mo-di diversi, senza che i contenuti dei messaggimutino. La differenza sta nel fatto che:

- nelle frasi la, 2a, 3a l'enunciato ha il suo cen-tro, il suo perno in un sostantivo (tramonto, cor-so, attesa);- nelle frasi Ib, 2b, 3b il centro o perno dell'e-

nunciato è invece un verbo (tramonta, scorre, at-tesi).

/

La lingua può dunque descrivere molti aspettidell'esperienza esterna o dell'esperienza intcrioresia mediante un sostantivo, sia mediante un ver-bo. Che cosa determina questi due diversi tipi diparole? La risposta può essere trovata, almeno inparte, in due intuizioni fondamentali che inqua-drano la nostra esperienza: le dimensioni dellospazio e del tempo. Impiegando un sostantivo,noi collochiamo l'oggetto dell'esperienza nella di-mensione spaziale e gli attribuiamo, anche quan-do si tratta di qualcosa di astratto, un'estensio-ne, una consistenza, una «sostanza» (come dicelo stesso termine «sostantivo»): tramonto, cor-so, attesa. Se impieghiamo un verbo, noi privile-giamo invece la dimensione temporale, cogliendo

e descrivendo l'esperienza come un «processo»(cioè qualcosa che procede, si sviluppa, si realiz-za): tramonta, scorre, attesi.Un'altra caratteristica del verbo, in opposizioneal sostantivo, è data dal fatto che il processoverbale si riferisce a una data persona o cosa: IIsole tramonta; II fiume scorre; Io attesi. Questacaratteristica emerge tuttavia solo nelle forme«finite» del verbo, mentre quelle «infinitive» (in-finito, gerundio, participio) si collocano, comevedremo, a metà fra il verbo e il sostantivo.

4. LA FLESSIONEE IL SUO MECCANISMO

FLESSIONE: DECLINAZIONE E CONIUGAZIONE

Le parti del discorso variabili di norma si pre-sentano in due o più forme diverse. Chiamiamoflessione il meccanismo mediante il quale si pro-ducono queste forme diverse e, poiché il meccani-smo varia a seconda che si tratti di sostantivi (eaggettivi, articoli e pronomi) oppure di verbi, di-stinguiamo tra:

• flessione nominale o declinazione: si declina-no i sostantivi, gli aggettivi, gli articoli e i pro-nomi;• flessione verbale o coniugazione: si coniuga-no i verbi.

RADICE, TEMA, SUFFISSO, DESINENZANELLA DECLINAZIONE

Per comprendere bene il meccanismo della fles-sione dobbiamo procedere a una divisione dellaparola in determinati segmenti.Cominciamo dalla declinazione del sostantivo:

cas-a cas-emens-a mens-edonn-a donn-e

port-a port-eporticin-a porticin-eantiport-a antiport-e

Nella formazione del plurale esemplificata conquesti sei sostantivi femminili ciò che cambia èil segmento terminale: singolare -a/plurale -e.Chiamiamo questo segmento desinenza («ciò incui termina» la parola, dal latino desinere, «ter-minare»). Il segmento del sostantivo che rimaneinvariato, e che è il portatore del significato, è iltema: ccs-, mens-, donn-, port-, porticin-, antiport-.

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oco

OcoI—IQ

Se poi confrontiamo i sostantivi porto e portici-na, ci accorgiamo che hanno in comune il seg-mento in cui s'esprime il significato basilare,pori-, e che in porticina c'è in più ed è isolabileun segmento -icin-. Questo segmento, che serve acaratterizzare porticina come diminutivo, è unsuffisso, cioè un «elemento formativo non auto-nomo» (non esiste come parola a sé), che si«mette dopo». Invece in antiporta l'elementoanti- è «messo prima»: è un prefisso.Il segmento pori- che è comune sia a port-a, sia aport-icin-a, sia a anti-port-a, e che non è ulterior-mente scomponibile, è detto radice. La radicerappresenta l'elemento significativo di base, chepuò essere comune a più parole (non solo sostan-tivi, ma anche aggettivi, avverbi, verbi).In porticin- facciamo dunque distinzione tra port-,radice, e porticin-, tema (e così pure in antiportatra port- e antiport-). Invece nel sostantivo porto,che non ha alcun suffisso o prefisso, il tema vie-ne a coincidere con la radice. Peraltro, al livellodella morfologia, è preferibile trascurare il termi-ne «radice» e designare comunque il segmentoche rimane invariato (nel nostro caso port-) come«tema».Infine è importante osservare che, per quanto ri-guarda la flessione nominale, vi intervengonosolo le desinenze, mentre i suffissi e i prefissi ser-vono solo per la formazione delle parole: e cene occuperemo, così come delle radici, nellasemantica.

RADICE, TEMA, SUFFISSO, TERMINAZIONENELLA CONIUGAZIONE

Passiamo, ora, al verbo e alla coniugazione:

lod-o lod-eròlod-i lod-eraisent-o sent-irò

lod-arelod-andosent-ire

Queste sono soltanto alcune tra le moltissimeforme che si potrebbero citare come esempi: laflessione verbale è molto più rigogliosa di quellanominale.Come per il sostantivo, distìnguiamo nel verboun tema invariabile (lod-, seni-) e dei segmentivariabili. Questi, in lod-o, lod-i, sent-o, che esem-plificano forme dell'indicativo presente, sono del-le desinenze personali (-o, -i). Nelle altre forme,invece, il segmento variabile è più complesso.Per esempio in lod-erò, lod-erai un'ulteriore ana-lisi distingue: lod-er-ò, lod-er-ai. Cioè si riescead isolare un elemento -er- che caratterizza, nella

la coniugazione, il futuro e che è un suffissoflessionale. Inoltre, se confrontiamo gli infinitilod-a-re e sent-i-re, essi hanno identica la desinen-za -re, caratteristica di tutti gli infiniti presen-ti, mentre sono diverse le vocali -a-, -i-, vocalitematiche rispettivamente della la e della 3a

coniugazione.Per comodità di discorso, nei verbi, si designacome terminazione tutto il segmento che vienedopo il tema, prescindendo dal fatto che sia co-stituito dalla sola desinenza (è il caso di lod-o,lod-i, sent-o), oppure da un suffisso e dalla desi-nenza (lod-er-ò, lod-er-ai, sent-ir-ò), ecc.In lod-o, sent-o, cant-o il tema è anche la radice;invece, per es., in canticchi-o il tema è canticchi-,la radice è cani-. Ma, come si è visto per il nome,il termine che usiamo sempre nella morfologia è«tema».

NOTA

• Talora si usa terminazione anche in rapporto alsostantivo, come equivalente di desinenza, oppure an-che per indicare la parte finale del tema e la desinen-za insieme (per es.: «la terminazione di amico è in-co»).

5. L'ANALISI GRAMMATICALE

IN CHE COSA CONSISTE?

L'analisi grammaticale, o analisi morfologica,consiste semplicemente:

1) nell'assegnare ogni parola dell'enunciato auna delle nove parti del discorso;

2) (quando si vuole spingere l'analisi più a fon-do) nell'indicare per ogni parola, individuata co-me una data parte del discorso, tutte le sue ca-ratteristiche morfologiche (genere e numeroper il sostantivo, l'aggettivo, ecc.; tempo, modo,ecc. per il verbo; appartenenza a determinate sot-toclassi; e così via).

ALCUNE AVVERTENZE

Occorrerà tuttavia avere presenti alcune avvertenze.

• Consideriamo come una parola sola qualsiasi for-ma verbale, anche composta di due o tre parole: holodato, sono stato lodato. In ho lodato, forma (o voce)

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del verbo lodare, ho non esprime quel significato «pie-no» che gli inerisce per es. nella frase Ho un gatto(= possiedo), ma, in quanto verbo «ausiliare», serve aformare il passato prossimo di lodare e ha una funzio-ne analoga a quella dell'elemento formativo -ai nelpassato remoto lodai. Lo stesso si dica per sono e perstato in sono stato lodato.

• Analogamente consideriamo una parola sola ilcomparativo di un aggettivo o di un avverbio forma-to con più (di per sé un avverbio): più forte, più forte-mente.

• Al contrario, separiamo dal verbo cui sono unitele particelle enclitiche (i pronomi atoni mi, lo, ecc. ele particelle ci, ni, ne): Prendilo = prendi (verbo) +lo (pronome).

• Quanto alle preposizioni articolate, cioè a allo,alla, agli, dello, ecc., risultanti dall'amalgama di alcu-ne preposizioni (a, di, ecc.) con l'articolo determinati-vo, le componenti sono certamente due e distinte; tut-tavia, per convenzione, le classifichiamo appunto così,

come «preposizioni articolate» (senza che si crei conciò una decima parte del discorso).

• Un'ultima considerazione. A rigore — dato chenell'analisi morfologica non ci interessiamo alla strut-tura dell'enunciato e alle relazioni delle parole tra lo-ro — si potrebbe procedere prescìndendo dalla divisio-ne dell'enunciato in periodi e proposizioni. In praticasarà tuttavia buona norma, quando non si analizzaun'unica proposizione, suddividere prima l'enunciatoin periodi e i periodi in proposizioni (un predicato perogni proposizione, ma si considerino un predicato uni-co le sequenze del tipo devo partire, sto per partire, stopartendo, ecc.; vedi capitolo 23, § 4).

UN ESEMPIO

Proponiamo nel riquadro sotto un esempio, ser-vendoci della seguente massima di Ugo Foscolo;Ogni uomo deve far l'uso maggiore e più liberodelle sue facoltà.

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7. Il sostantivo:il

1. NOZIONI PRELIMINARI SULSOSTANTIVO IN GENERALE

IL SOSTANTIVO NELLA MORFOLOGIA

II sostantivo è una delle due «parti del discor-so» fondamentali. Lo abbiamo già definito, oppo-nendolo al verbo (vedi capitolo 6, § 3), come laparola che designa un essere animato, o un og-getto della nostra esperienza esterna, o una rap-presentazione della nostra mente, in ogni casoqualcosa che noi collochiamo, attribuendogli una«sostanza», in uno spazio fisico o mentale.Sotto l'aspetto morfologico il sostantivo è unaparte variabile del discorso, e varia in relazionea due «categorie»:

• il genere grammaticale; ogni sostantivo è omaschile o femminile: il padre, la madre;• il numero; ogni sostantivo, di norma, si pre-senta in due forme, il singolare e il plurale: ilpadre, i padri; la madre, le madri.

IL SOSTANTIVO SOTTO L'ASPETTO SINTATTICO

Occupandoci del sostantivo (come del resto di o-gni parte del discorso) sotto l'aspetto morfologi-co, talora non possiamo evitare di considerarneanche la funzione, e passiamo così al livello del-la sintassi. Le nozioni che chi legge già possiedesaranno sufficienti per seguire il filo del discor-so. Ricordiamo soltanto che le funzioni che unsostantivo può assolvere nella frase sono: di sog-getto (L'amico mi saluta); di elemento del predi-

cato (Giorgio è un amico); di predicativo (Giorgioè diventato un amico); di complemento diretto ooggetto (Vedo l'amico); di complemento indiretto(Passeggio con l'amico).

IL SOSTANTIVO SOTTO L'ASPETTO SEMANTICO

Ci accadrà inoltre, non di rado, di riferirci al si-gnificato dei sostantivi. E qui è opportuno fissarefin d'ora, molto sinteticamente, il valore di alcu-ni termini che si usano in semantica1.

Nomi comuni e propri

• Chiamiamo comuni, o appellativi, i sostanti-vi che indicano in senso generico una persona oaltro essere animato (uomo, cane), o un oggettodella realtà (sasso), o una rappresentazione men-tale (giustizia, gnomo). Con una distinzione unpo' approssimativa, ma utile ai fini pratici, chia-miamo astratti (in opposizione a concreti) queisostantivi che indicano una rappresentazione ot-tenuta astraendo da determinati aspetti del mon-do reale: giustizia, bontà, unità, molteplicità, ecc.

• Chiamiamo propri i nomi che indicano: unasingola persona o altro essere animato nella suaindividualità (Pietro, Pietro Bianchi, Garibaldi, ilcane Fido); una comunità di persone (nomi «etni-ci»: gli Italiani, i Piemontesi); ogni essere o a-strazione cui si attribuiscano i caratteri di perso-

1 Per una trattazione più estesa e approfondita si vedano icapitoli 38-41.

72

na (Giove, la Giustizia); un particolare luogo, fe-nomeno geografico, edificio o simile singolarmen-te individuato (Roma, Italia, Tevere, Tirreno, Pa-lazzo Pitti).

Valore proprio e traslato

Un sostantivo può avere un unico significato, mad'ordinario ne assume più d'uno e spesso molti.Una prima, fondamentale suddivisione distinguetra:

• valore proprio (per es. di braccio in: Alza ilbraccio!);

• valore figurato, o traslato, metaforico (peres. di braccio in: Vedi quel braccio di mare?).

Omonimi, sinonimi, varianti

Confrontando tra loro due o più sostantivi (e,più in generale, due o più parole), avremo occa-sione di impiegare i seguenti termini:

• omonimi: parole identiche per forma, e cioècostituite dai medesimi fonemi (omòfone) e resedai medesimi grafemi (omògrafe), ma distinte perorigine e significato: per es. riso (il ridere) e riso(pianta);

• sinonimi: parole diverse per forma ma di si-gnificato uguale o simile: per es. rumore, fracas-so, chiasso, baccano, strepito;

• varianti: parole con tema e significato identi-ci, che si presentano in forme differenziate: scu-diero I scudiere; eclissi/eclisse.

Origine e derivazione

La maggior parte delle parole italiane deriva dallatino, ma in due modi diversi:

• sono dette ereditate, o di tradizione popolareo ininterrotta, le parole che continuano parole la-tine senza mai essere uscite dall'uso: sole, luna,uomo, donna, casa, cosa, ecc.;

• sono definite dotte, o di provenienza dotta, leparole attinte al latino e reintrodotte nell'uso aun certo punto della storia della lingua: astro, u-manità, giustizia, edificio, poeta, ecc.

Vi sono poi anche altri meccanismi di derivazio-ne:

• prestiti sono dette le parole desunte in età di-verse da lingue straniere, ma adattate alla strut-

tura dell'italiano: guerra, banco, arsenale, man-giare, puntiglio, caffè, ecc.;

• chiamiamo forestierismi o, più semplicemente,parole straniere quelle, tratte da altre lingue,che conservano la forma originaria: tram, bar,tour, sport, computer, brioche, taxi, ecc. Anchedal latino e dal greco (latinismi e grecismi): refe-rendum, habitat, pathos, ecc.;

• usiamo il termine neologismi per le paroleconsiderate «nuove», introdotte di recente e ta-lora non ancora accolte stabilmente nel patrimo-nio lessicale della lingua.

2. IL GENERE GRAMMATICALE

MASCHILE E FEMMINILE

Ogni sostantivo, in italiano, appartiene all'unao all'altra di due classi, di due «generi gramma-ticali»: al genere maschile o al genere femmi-nile:

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GENERE GRAMMATICALEE FORMA DEL SOSTANTIVO

Nell'enunciato il genere di un sostantivo, in li-nea di massima, si deduce da altri elementi delcontesto, in primo luogo dall'articolo (il ~ la,un ~ una). Molti sostantivi si caratterizzano pe-rò come maschili o femminili da soli, mediante ladesinenza o terminazione. Dando una scorsa alleterminazioni e nello stesso tempo al genere deisostantivi, avremo un panorama della loro strut-tura, che ci servirà anche nello studio della for-mazione del plurale (vedi capitolo 8) e in altreoccasioni. Va premesso che la maggior parte deisostantivi è costituita da parole piane o sdruc-ciole di due o più sillabe, uscenti nelle vocali -a,-o, -e. I sostantivi di struttura diversa sono mol-to meno numerosi.

Sostantivi in -a

• Sono in larga prevalenza femminili: lamamma, la rosa, la barca, ecc.

• I maschili, per lo più, sono termini diorigine dotta (dal latino o dal greco): l'au-riga, lo scriba, il poeta, l'eremita, il monar-ca, il diploma, il dramma, il problema, ecc.Inoltre: il boia, il caccia, il capoccia, il ci-nema, il pilota, ecc.

• Quelli in -ista e in -cida (come l'artista,l'omicida) generalmente possono essere siamaschili sia femminili (vedi § 4).

NOTA

Alcuni femminili in -a designano anche (o pre-valentemente) persone del sesso opposto: la bir-ba, la canaglia, la guardia, la guida, la recluta,la sentinella, la spia e pochi altri.

Sostantivi in -o

• Sono tutti maschili, tranne la mano,l'eco, la virago e un certo numero di neolo-gismi (per lo più forme abbreviate di com-posti): la moto, l'auto, la foto, la radio, ecc.

NOTA

Tre maschili in -o indicano sempre e soltantouna donna: il soprano, il mezzosoprano, il con-tralto. Sono l'abbreviazione dell'espressione: (lacantante con) il (tono) soprano, ecc.

Sostantivi in -e

• Sono maschili e femminili

il padrela madre

il collela valle

il piedela laringe

il fiumela foce

il fielela bile

il valorela salute

Eccetto la prima coppia, dove interviene ilcriterio del genere naturale, tutte le altrevalgono a dimostrare l'imprevedibilità delgenere grammaticale nei sostantivi in -e.Sono peraltro tutti dello stesso genere i so-stantivi formati con certi suffissi: maschiliquelli in -ale, -ame, -iere, -ile, -sore, -tare;femminili quelli in -aggine, -sione, -zione.

Sostantivi monosillabici in vocale

• Sono i seguenti:

il dì, la gru, il re, lo sci, il té; il do, il re, ilmi, il la, il si.

Sostantivi accentati sulla vocale finale

• II gruppo più consistente è dato dai no-mi in -tà, -tu, quasi tutti astratti femminili:la bontà, la libertà, la virtù, la città; ma-schile: il podestà.

• Gli altri, quasi sempre maschili, sono inprevalenza voci infantili, onomatopee, oprestiti da lingue straniere: il papa, il be-bé, il cucù, ecc.; il sofà, il caffè, il colibrì, ilfalò, il tabù, ecc.; inoltre il lunedì e gli al-tri composti con -dì.

Sostantivi in -i

• In larga maggioranza sono parole dottedal greco (molte in -osi, -est, -isi, -osi), fem-minili: la stasi, la crisi, l'ipnosi, la metropo-li, ecc.

• Maschili: l'alibi, il bisturi, il brindisi, iltaxi.

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Sostantivi in consonante

• A parte poche onomatopee e alcuni latini-smi e grecismi, sono tutte parole straniere,più spesso maschili:

il clic, il cric, il patatràc, il tic, ecc.

l'humus (masch.), il pus, il curriculum; il caos,il pathos, la polis; ecc.

il nord, il sud, l'est, l'ovest, il gas; il tour, lacloche [ = clòs]; il box, il computer, il leader,la leadership, lo sport, il test; il bunker, il la-ger [= lager], il wurstel; il soviet; ecc.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

II genere grammaticale

La ripartizione dei sostantivi indue generi grammaticali, ma-schile e femminile, è propria,oltreché dell'italiano, di tutte lealtre lingue romanze (francese,spagnolo, portoghese, ecc.), co-me pure dei dialetti. Però lalingua da cui le lingue romanzetraggono origine, il latino, ave-va un sistema più complesso:possedeva un terzo genere, ilneutro (letteralmente «né l'unoné l'altro», cioè il genere com-prendente sostantivi né maschi-li né femminili). Rispetto al lati-no, in italiano, francese, ecc. siè dunque verificato un processodi semplificazione.Tre generi grammaticali (ma-schile, femminile, neutro) sonocaratteristici anche del greco e,

tra le lingue moderne, del tede-sco e del russo, ed esistevanonella lingua «madre» preistori-ca, l'indoeuropeo. Invece l'in-glese, una lingua germanicacome il tedesco, ha spinto ilprocesso di semplificazione al-le estreme conseguenze e, perquanto riguarda sostantivi e ag-gettivi, ignora la categoria delgenere (saprete certamente cheha un unico articolo determina-tivo: (he).Nelle lingue che dispongono ditre generi grammaticali, il neu-tro sì oppone al maschile e alfemminile come l'inanimatoall'animato. Però in queste lin-gue (il latino, il tedesco, ecc.) ilneutro è ben lontano dal rag-gruppare tutti i sostantivi deno-tanti cose o astrazioni, moltedelle quali, senza una motiva-

zione apparente, sono espres-se da maschili o da femminili.D'altra parte talora appartengo-no al genere neutro sostanti-vi che indicano esseri animati:in tedesco, per esempio, Kind,«bambino», e Weib, «donna».Se poi ci domandiamo perchéin molte lingue, compresa lanostra, esiste il genere, arrivia-mo alla conclusione che — adifferenza della categoria delnumero (singolare e plurale), lacui funzione e utilità è intuitiva— la categoria del genere nontrae origine da una necessitàlogica. Tuttavia essa risponde aun'esigenza profonda dell'attivi-tà linguistica: quella di dare unordine all'universo delle cosepercepite e pensate. E uno deimezzi per dare ordine consistenel classificare.

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4. SOSTANTIVIDI GENERE COMUNE EDI GENERE PROMISCUO

IL GENERE «COMUNE»

Alcuni sostantivi presentano una forma unica,che può essere usata sia come maschile, sia comefemminile: li indichiamo come nomi di generecomune. Sono parecchi sostantivi in -e (ancheparticipi presenti sostantivati):

il nipoteil parenteil custode

un insegnanteil cantanteil convivente

la nipotela parentela custode

un'insegnantela cantantela convivente

Appartengono inoltre a questo gruppo la mag-gior parte dei sostantivi in -ista e in -cida (vedi §2) e alcuni altri in -a:

il pianistaun artistaun omicidail suicida

il collegaun atletaun ipocritail pediatra

la pianistaun'artistaun'omicidala suicida

la collegaun'atletaun'ipocritala pediatra

IL GENERE «PROMISCUO»

Abbiamo visto che per gli animali l'opposizionetra maschio e femmina può avvenire con unacoppia di sostantivi di radice diversa (il toro ~la vacca), o con variazione della desinenza (ilgatto ~ la gatta), o mediante un suffisso (il leone~ la leonessa). Ma, più spesso, gli animali ven-gono designati con un sostantivo o maschile ofemminile impiegato indifferentemente, «promi-scuamente», senza riferimento al sesso. Sono inomi di genere promiscuo:

Dunque, con il leopardo, la scimmia, ecc. s'inten-de tanto il maschio quanto la femmina; quandosi voglia specificare il sesso, si ricorre a locuzio-ni come: la scimmia maschio, il maschio dellascimmia, la scimmia femmina, ecc.Alcuni nomi di animali si trovano usati sia comemaschili, sia come femminili (il lepre, la lepre; ilserpe, la serpe; il tigre, la tigre), ma anche in talcaso promiscuamente.

5. ALTRE OPPOSIZIONIMASCHILE ~ FEMMINILE

Tra nomi con lo stesso tema e la stessa origi-ne può verificarsi un'opposizione di maschile (in•o, -e) a femminile (in -o) senza alcun rapportocol genere naturale: il pesco, la pesca; il buco, labuca.L'opposizione di questo tipo più caratteristica eregolare si trova fra i nomi di alberi fruttiferi,maschili, e i nomi dei frutti corrispondenti, fem-minili:

l'arancio, l'arancia l'olivo, l'olivail castagno, la castagna il pesco, la pescail melo, la mela il noce, la noce

Con altre coppie di sostantivi più che di opposi-zione si dovrà parlare di differenziazione o spe-cializzazione semantica, cioè di significato:

la balenail delfinoil leopardola panterala scimmia

l'aquilail corvola gruil merluzzola sogliola

l'aragostail granchiola moscail ragnolo scorpione

il buco, la bucail gambo, la gambail pezzo, la pezza10 spillo, la spilla11 banco, la bancail fiasco, la fiascail fosso, la fossa

l'orecchio, l'orecchiail pozzo, la pozzail capitale, la capitaleil fine, la fineil fonte, la fonteil fronte, la fronte

NOTA• Le opposizioni di cui sopra non vanno confuse concoppie come:

barolbaracaso/casatoppo/toppa palatolpalata

Queste, infatti, sono «coppie minime» in senso pu-ramente fonologico, distinte dal diverso fonema voca-lico finale, ma tra i due sostantivi, che hanno diversaorigine ed etimologia, non esiste rapporto semantico.

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DUBBI LINGUISTICI

II generegrammaticaledei nomi geografici,delle parole straniere,delle sigle

Nomi propri geografici

Sono femminili i nomi di città,indipendentemente dalla desi-nenza: Roma, Milano, Firenze,Parigi, Boston sono belle. Ra-rissime le eccezioni, come //Cairo. Per i nomi di Stati, re-gioni, isole detta legge la termi-nazione, se è -a oppure -o: laSpagna, la Lombardia, la Sici-lia, il Marocco, il Lazio, il Bor-neo; ma: /'/ Venezuela, lo Zam-bia, ecc. Per il resto prevale ilmaschile: // Giappone, il Pie-monte, il Canada (o Canada), ilPerù, il Pakistan.Nei nomi di fiumi, laghi, mari,monti la norma è il maschile,conformemente al genere del-l'appellativo: /'/ Tevere, il Gar-cfa, // Tirreno, il Cervino. Manon mancano le eccezioni o leoscillazioni, soprattutto con ifiumi: la Bòrmida, la Senna, laLoira, la Vistola; noi diciamo //Volga, ma per i Russi è la Vol-

le parole straniere

II genere assunto in italianodalle parole straniere è di nor-ma que//o de//a lingua d'origi-ne, quando anche in questa esi-ste la categoria del genere (e,se c'è, il neutro passa al ma-schile):

(dal latino)l'humus (maschi.), /'/ pus, la pìe-tas(dal greco)/'/ pathos, la polis, la koinè

(dal francese)/'/ tour, il décolleté, la tournée

(dallo spagnolo)/'/ golpe, la corrida, la paella

(dal tedesco)/'/ blitz, il bunker, la weltan-schauung

(dal russo)/o zar, // sow'ef, la vodka

Diverso è il caso dell'inglese,privo di genere grammaticale.L'esito normale in italiano è ilmaschile: /'/ box, lo stand, illeader, lo sponsor. Talora peròprevale il genere della parola i-taliana vicina per significato.Così abbiamo: la leadership,femminile in quanto sostantivoastratto traducibile con «la gui-da, la direzione»; la suspense,per l'influsso degli equivalenti«attesa» o «sorpresa»; la star,«la stella» (del cinema).

Nelle citazioni

Ciò che si è detto per le parolestraniere radicatesi più o menoprofondamente nell'uso in ita-liano, vale a maggior ragioneper le parole straniere che sen-tiamo a tutti gli effetti come talie che, scrivendo, mettiamo incorsivo o tra virgolette. Va ri-spettato il loro genere gramma-ticale originario.Anche se nel 90% dei casi i so-stantivi spagnoli e francesi conun corrispondente in italianosono del medesimo genere diquesto, va presa qualche pre-cauzione. Diremo: L'aguardien-te che ci offrirono era tortissi-mo (perché in spagnolo aguar-diente, «acquavite», è maschi-le); // Goldoni scrisse in france-se i suoi Mémoires (perché infrancese mémoire, «memoria,

ricordo», è maschile). Ci preoc-cupa meno l'inglese, dato checomunemente assumiamo comemaschile qualsiasi suo sostanti-vo. Ma attenzione al tedesco:La Frankfurter Zeitung è unquotidiano molto autorevole(Zeitung, «giornale», è femmi-nile).

Le sigle

Le sigle possono essere «lessi-calizzate», cioè pronunciate co-me una parola: per es. N.A.T.O.= nato; C.I.S.L. = cisl; oppu-re vengono compitate: C.G.I.L.= cigielle; W.W.F. = vuvueffe;DNA = dienneà. In ogni casoesse hanno il genere grammati-cale del sostantivo reggente ilsintagma che da luogo alla si-gla stessa.Quindi: la C.I.S.L. (= Confede-razione Italiana Sindacati Lavo-ratori); la C.G.I.L. (= Confede-razione Generale Italiana delLavoro); /'/ M.E.C. (= MercatoEuropeo Comune); /'/ C./.P. ( =Comitato Interministeriale Prez-zi); /'/ DNA (= acido desossiri-bonucleico); la N.A.T.O. (NorthAtlantic Treaty Organization; ilfemminile è determinato dall'e-quivalente italiano di Organiza-tion), // W.W.F. (World WildlifeFund).

1 Per l'uso dell'artìcolo vedi capitolo9, § 4 .

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8. Il sostantivo:il numero (singolare e plurale)

1. QUADRO COMPLESSIVO

Abbiamo detto che il sostantivo è variabile in rapporto, oltreché al genere, al numero: può essere,cioè, singolare o plurale.Per la maggioranza dei sostantivi il plurale si forma mediante la modificazione della desinenza; re-sta invece invariato (rispetto al singolare) in un numero limitato di casi. Possiamo distinguere cin-que classi (o gruppi, o declinazioni):

Andranno poi considerati a parte: i sostantivi maschili in -o con plurale femminile (il migliolle mi-glia) o con due plurali (il braccioli bràcci, le braccia); i «difettivi», privi del plurale o del singolare (ilmiele; le ferie); i sostantivi composti (come arcobaleno, cassaforte, ecc.).

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2. PLURALE DEI FEMMINILI IN -A

Singolare -a, plurale -e

la rosa le rosela pianista le pianiatela lotta le lotte

la cagna le cagne l'area le areela tela le tele la via le viela teglia la teglia la baia le baie

Particolarità

Qualche difficoltà sorge nella grafia (non nella pronuncia!) quando le desinenze sono precedute da fo-nemi velari (gutturali) o palatali, resi dal nostro alfabeto non solo dalle lettere e, g, ma anche da di-grammi e trigrammi (eh, ci, sci, ecc.). Ecco un quadro riassuntivo di queste particolarità:

terminazione

-ca

-ga

vocale + eia

vocale + già

consonante + eia

consonante + già

plurale

-che

-ghe

preferibilmente -eie

preferibilmente -gè

di norma -ce

sempre -gè

esempi

foca, foche; banca, banche;tasca, tasche; pecca, pecche

ruga, rughe; stanga, stanghe

audacia, audacie; acacia, acaciecamicia, camicie; soda, sode

ciliegia, dliege; valigia, valige

lancia, lance; farcia, farcefaccia, facce; fascia, fasce

frangia, frange; foggia, fogge

NOTE• In qualche caso abbiamo dato le indicazioni «pre-feribilmente» o «di norma» perché si possono trovare,ed essere considerate ammissibili, altre soluzioni (peres. ciliegie per dliege).

• Per alcuni nomi in consonante + eia troviamo co-munemente i plurali sia in -ce, sia in -eie. Sono pro-vincia, denuncia, pronuncia, rinuncia, che fanno pro-vince e provinde, denunce e denuncie, ecc.

• I nomi in -eia, -già con -i- accentata non rappre-sentano un problema, in quanto la terminazione non èpreceduta dal fonema palatale, ma dalla vocale -i-.Quindi, come via fa vie, così farmacìa farà farmacìe,bugìa farà bugìe (ma l'accento grafico è superfluo).

Formazioni anomale

Sono due: l'ala, plur. le ali; l'arma, plur. le armi.

3. PLURALEDEI MASCHILI IN -A E IN -O

Maschili in -a: plurale -i

il poeta i poeti il pianista i pianetiil pilota i piloti l'omicida gli omicidi

Quelli che terminano in -ca, -ga conservano alplurale il fonema velare, reso con i digrammi -eh-,•gh-: il patriarca, i patriarchi; lo stratega, glistrateghi. Per i maschili in -o invariabili, vedi§5.

Maschili in -o: plurale -i

il capo i capi il mezzo i mezziil bollo i botti il cammeo i cammeiil caso i casi il triduo i tridui

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Particolar ita: nomi in -io

terminazione

-io

plurale

-i

esempi

1) il granaio i granaiil podio i podiil dominio i domìniil mugghio i mugghil'ozio gli oziil cambio i cambil'olio gli olil'occhio gli occhi

2) il bacio i baciil raggio i raggiil fascio i fasciil figlio i figli

NOTE

• II fenomeno fonetico è diverso nel primo e nel se-condo gruppo di esempi. Nel primo — per es. cambio,plur. cambi — la -i- del tema si fonde con la desinen-za. Nei singolari bacio, raggio, fascio, figlio la -i- è in-vece segno grafico, che serve a rappresentare il fone-ma palatale davanti a -o; nel plurale, davanti a -i, taleesigenza scompare, e rimane solo la -i della desinenza.

• II plurale dei nomi in -io, con -i- accentata, è re-golare: il rinvìo, i rinvìi (ma l'accento grafico è su-perfluo).

• L'ortografia del plurale dei nomi in -io variò inpassato e si scrisse anche -ii, -i, -j. Ancora oggi sussi-ste l'opportunità di una distinzione quando il pluraledi un nome in -io potrebbe confondersi con quello diuno in -o, -e, -a; allora, soprattutto se il contesto nonbasta ad eliminare ogni equivoco, si può ricorrere al-la terminazione -ii:

l'assassinio, gli assassinal'omicidio, gli omicidiiil principio, i principiiil tempio, i tempii (ma,

meglio, con grafia eti-mologica, i templi)

l'assassino, gli assassinil'omicida, gli omicidiil prìncipe, i prìncipiil tempo, i tempi

Per nomi come principio, presidio, arbitrio la demarca-zione può avvenire (ed è preferibile) mediante l'accen-to grafico: princìpi ~ prìncipi; presìdi ~ prèsidi; ar-bitri ~ àrbitri.

Particolarità: nomi in -co, -go

Queste terminazioni meritano una particolare at-tenzione, perché nel plurale ora il fonema velare

si conserva (-chi, -ghi), ora diventa palatale (-ci,-gi), ora sono ammesse entrambe le soluzioni.

terminazione

-co

-go

plurale

-chi

-ci

-chi e -ci

-ghi

-gì

-ghi e -gi

esempi

È il caso più frequente:baco, banco, carico, men-dico, pizzico, sacco, valico,ecc.plurale: bachi, banchi,ecc.

Si ha sempre con:amico, monaco, medico,nemico, porco, portico, sin-dacoplurale: amici, monaci,ecc.

Sono ammessi entrambi itipi di plurale con:farmaco (farmachi e -ci),manico (manici e anche-chi), parroco (parroci, ra-ro -chi), stomaco (stomachie anche -ci)

È il caso più frequente:albergo, drago, fango, gor-go, obbligo, prologo, rigo,ecc.plurale: alberghi, draghi,ecc.

Si ha sempre con:asparago, teologo, antropo-fagoplurale: asparagi, ecc.

Sono ammessi entrambi itipi di plurale con:filologo, biologo, antropo-logo, ecc. (filologi, e, me-no bene, filoioghi, ecc.);chirurgo (chirurghi, raro-gi), sarcofago (sarcofagi e•ghi), astrologo (astrologi e•ghi)

NOTE

• Si aggiungano, col plurale in -ci, gli aggettivisdruccioli sostantivati (i fanatici, gli Austriaci, ecc.) ei Greci.• Mago fa maghi, ma: i re Magi.

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Formazioni anomale

l'uomo, gli uomini; il dio, gli dei;il semidio, i semidei.

Femminili in -o

Tra i pochi femminili in -o, la mano fa le mani;l'eco fa gli echi; gli altri rimangono invariati (ve-di § 5).

4. PLURALEDEI MASCHILI E FEMMINILI IN -E

Singolare -e: plurale -i

il cane i caniil cuore i cuoriil monte i montila rupe le rupi

la mente le mentila pace le pacila legge le leggiil pesce i pesci

Formazione anomala: il bue: i buoi

Sostantivi in -ie

Sono pochi, tutti femminili:

la moglie: le moglil'effigie, la superficie: le effigi, le superfici (menocomuni i plurali invariati effigie, superficie).

Gli altri rimangono invariati: vedi il paragrafoseguente.

NOTA

• Per la strofe, la stele i plurali preferibili sono lestrofe, le stele, propriamente plurali delle varianti lastrofa, la stela.

5. IL PLURALE INVARIATO

GRUPPI DI SOSTANTIVI COL PLURALEINVARIATO

Rimangono invariati nel plurale i sostantivi (ma-schili e femminili):

• monosillabici in vo- il re, i re; la gru, lecale gru;

• accentati sulla vo- la verità, le verità; ilcale finale caffè, i caffè; il falò, i

falò; il tabù, i tabù;• terminanti in -i la crisi, le crisi; l'alibi,

gli alibi;

• monosillabici e più- il gas, i gas; il compu-risillabici in consonan- ter, i computer; lote (e stranieri in gene- show, gli show; il ral-re) ly, i rally; la star, le

star.

E inoltre, tra i sostantivi in -a, -o, -e, per eccezio-ne:

• i seguenti maschili in -a:

boia, capoccia, cinema, cobra, gorilla, lama, mes-sia, paria, pigiama, procaccia, sosia, vaglia. Alplurale: i boia, i capoccia, ecc. (pigiama, però haanche il plurale pigiami).

• i neologismi femminili in -o (vedi capitolo 7,§2):

la moto, le moto; l'auto, le auto; la biro, le biro.

• la maggior parte dei (pochi) femminili in -ie(vedi anche sopra, § 4):

barbarie, serie, specie, canizie. Al plurale: le bar-barie, le serie, le specie, le canizie.

COME RISULTA LA PLURALITÀ

Quando il sostantivo è invariabile, l'indicazionedella pluralità rimane affidata ad altri costituen-ti dell'enunciato (articolo, aggettivo, verbo), op-pure al contesto nel suo insieme:

/ re furono spodestati. «Ci porti tre caffè.» Instrada si respirano gas nocivi. Vende biro e altriarticoli di cancelleria.

IL PLURALE DELLE PAROLE STRANIERE

I sostantivi stranieri rimangono senz'altro invariatinel plurale quando sono stati ormai definitivamenteaccolti nel lessico italiano e per così dire «naturaliz-zati»:

i bar, gli sport, i boss, i goal, gli hamburger, i compu-ter, i killer; i cliché, gli abat-jour, le gaffe; i lager, ilied; gli zar, i samovar; ecc.

Quando sono ancora sentiti come parole straniere, ein particolare quando sono pronunciati come tali, l'u-so oscilla tra il plurale invariato e il plurale della lin-gua d'origine. Si può sentire per l'inglese stand, pro-

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nunciato stand, sia gli stand, sia gli stands, e per iltedesco lied sia i lied, sia i lieder. Però occorre cono-scerli bene, questi plurali, senza generalizzare alcunenozioni elementari (ad es. la -s come segno del pluralein inglese e in francese). Sì, il plurale di stand èstands, m&.hippy fa hippies e cameraman fa camera-men, gaffe fa gaffes, ma trumeau fa trumeaux.Anche i pretti latinismi e grecismi, cioè le parolelatine e greche non adattate all'italiano, ma conserva-te nella loro forma originaria, rimangono invariati alplurale:

i curriculum, i memorandum, gli iter; i pathos, le polis,le koinè.

Però, a meno che non si tratti di sostantivi declinatio forme verbali (statu-quo, deficit, video), che in nes-sun caso ammetterebbero una forma di plurale, nullavieta di impiegare i plurali delle lingue originarie.Quindi potremo trovare, per esempio: i curricula, lepoleis.

6. PARTICOLARITÀ

CAMBIAMENTO DI GENERE NEL PLURALE

Alcuni sostantivi maschili in -o diventano fem-minili nel plurale, che si forma con la desinenza-a. I più comuni sono:

il miglio, il centinaio, il migliaio, il paio, il riso( = il ridere), l'uovo. Al plurale: le miglia, le cen-tinaia, le migliaia, le paia, le risa, le uova.

All'inverso, come si è già visto, il femminile l'eco (laeco) passa al maschile nel plurale: gli echi.

SOSTANTIVI CON DUE PLURALI

Una trentina di maschili in -o (per es. il brac-cio), oltre al plurale regolare in -i (i bràcci), neforma un altro in -a, che passa al genere femmi-nile (le braccia). Spesso i due plurali sono diffe-renziati nel significato (e la differenza va stabili-ta caso per caso):

il braccio

il ciglio

il como

il filo

il fondamento

il labbro

il muro

l'osso

Altri con differenziazione semantica tra i pluraliin -i e in -a: budelk, dito, gesto, grido, membro,staio, urlo. I seguenti hanno entrambi i plurali,ma usati indifferentemente: ginocchio, lenzuolo,sopracciglio, strido, vestigio.Nei seguenti il plurale in -i è quello di uso gene-rale, mentre il plurale in -a è riservato ad e-spressioni particolari: calcagno, cervello, cuoio,fuso. Per esempio: sempre cuoi, fusi, ma: Ha tira-to le cuoia; II gatto fa le fusa.

NOTE

• In passato si usarono plurali in -a anche di altrinomi: anello, carro, castello, filamento, vestimento, ecc.

• II frutto ha i plurali i frutti e le frutta, ma, al po-sto di le frutta, e più comune il singolare collettivola frutta. Così pure: il legno, i legni, la legna. Oltre agridi e grida: le gride (dalla variante la grida); oltre afili e fila: le file (da la fila).

• Come si spiegano i plurali con desinenza -a?Miglia, paia, braccia, corna, ecc. (plurali di miglio,paio, ecc.) continuano direttamente dei plurali neutrilatini in -a; in qualche altro caso si tratta di forma-zioni analogiche. Quanto al cambiamento di genere(le miglia, le braccia), l'articolo le appare come unaspecie di compromesso tra la concordanza al femmini-le con miglia, braccia, sentiti a causa della desinenza-a come femminili, e il numero plurale richiesto.

NOMI DIFETTIVI

Parecchi sostantivi, per il loro significato, si usa-no prevalentemente al singolare. Sono quelliche indicano cose uniche in natura (universo, a-ria, cielo, sole), o materie, prodotti, elementi (gra-no, petrolio, alluminio), o astrazioni (bellezza, cu-pidigia), o concetti collettivi (plebe, fogliame),ecc. Tuttavia in determinati contesti o con valoriparticolari (ad es. un astratto concretizzato) si

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possono trovare al plurale:Non potrebbero esserci molti universi? La qualitàdei petroli libici e algerini è eccellente. Il mag-giordomo lucidava gli argenti. Quali bellezze!

I sostantivi del tutto privi (difettivi) del pluralesi riducono a pochi, come: brio, fame, fiele, latte,miele, pepe, sete. Altri sostantivi — indicanti co-se formate di due parti uguali o analoghe, gruppidi oggetti, alcune cerimonie, ecc. — si usano pre-valentemente o esclusivamente al plurale (sono«difettivi» del singolare):gli annali, le calende, i calzoni, le dimissioni, leesequie, le ferie, le forbici, le interiora, le masseri-zie, le mutande, le nari, le nozze, gli occhiali, ipantaloni, i posteri, le redini, le spezie, le stovi-glie, le tenebre, le tórme, ecc.

L'uso al singolare, con determinati valori, è talo-ra possibile: A quella tavola calda ho mangiatoun calzone eccellente; Fa il salto a forbice.

7. IL PLURALEDEI SOSTANTIVI COMPOSTI

La formazione del plurale dei sostantivi compo-sti1 presenta qualche difficoltà, oltre a parec-chie oscillazioni nell'uso. Per ottenere un quadrocompleto, occorre partire dai due elementi che en-trano in composizione.Come risulta chiaro dal prospetto che segue, inmolti casi si modifica solo la desinenza del secon-do elemento (come se si trattasse di una parolanon composta), in altri si modifica anche la ter-minazione del primo elemento, oppure il pluraleè invariato, ecc.

1 La «composizione» — uno dei procedimenti della «forma-zione delle parole» — è trattata nella semantica, alla qualesi rinvia (vedi capitoli 38-41).

tipo di composizione

Sostantivo +sostantivo

Sostantivo +aggettivo

Aggettivo +sostantivo

norma nella

arcobalenomaremotoferroviabanconotamadreperlacavolfiore

cassafortecaposaldoterracotta

bassorilievofrancobollomalumoregrancassa

formazione del plurale

arcobalenimaremotiferroviebanconotemadrcperlecavolfiori

casse/orticapisalditerrecotte

bassorilievifrancobollimalumorigrancasse

NOTE

• Da cassapanca, oltre a cassapanche, anchecassepanche; da pomodoro, oltre a pomodori(preferibile), pomidoro e pomidori.• Rimangono invariati nel plurale il carovita,il crocevia, il fondovalk (maschili col secondoelemento femminile); anche il cruciverba.• Tra i composti capo + sostantivo, non mol-ti seguono la norma (per es. capogiro, capolavo-ro, capoluogo, capoverso: plur. capogiri, ecc.).La maggior parte (e tutti quelli il cui secondoelemento è un sostantivo femminile) modifica-no l'elemento capo: capocorso, capotreno, capo-famiglia, capoparte, ecc.: plur. capicorso, ecc.Per alcuni c'è alternativa tra due soluzioni: ca-pocuoco, capocomico, ecc. fanno capocomici ocapocomici, ecc. I composti di genere femminilerestano invariati: la caposala, le caposala.

• Camposanto e palcoscenico fanno camposanti(raro campisanti) e palcoscenici; da pellerossasia i pellirosse, sia, invariato, i pellerossa.

9 Altopiano e bassopiano fanno sia altopiani,bassopiani, sia altipiani, bassipiani. Da altofor-no: altiforni; da maklingua, mezzanotte, mezzo-busto: malelingue, mezzenotti, mezzibusti. Sonoinvariabili purosangue (i purosangue, raro ipurosangue) e mezzosangue.

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tipo di composizione norma nella formazione del plurale NOTE

Tema verbale +sostantivo

1) se l'elemento sostantivo è singolaremaschile:battibeccograttacapograttacieloparafulmine

battibecchigrattacapigrattacieliparafulmini

• Notate però, con plurale invariato: paraso-le, perdigiorno, spartitraffico, tritaghiaccio.

2) se l'elemento sostantivo è singolarefemminile o plurale (maschile o femmi-nile), plurale invariato:il cavalcavia i cavalcaviail parabrezza i parabrezzail battipanni i battipanniil paracadute i paracadute

• Notate però: gli asciugamani, i battimani, icorrimani', e i baciamani, i cacciaviti, i salva-genti (accanto a i baciamano, ecc.).

Tema verbale +tema verbale

plurale sempre invariato:il dormiveglia i dormivegliail toccasana i toccasana

Avverbio opreposizione +sostantivo

1) se il composto è dello stesso generedell'elemento sostantivo:il benpensante i benpensantiil sottopassaggio i sottopassaggila retroguardia le retroguardie

2) se il composto è maschile e l'ele-mento sostantivo è femminile, pluraleinvariato:il retroterra i retroterrail sottocoda i sottocoda

• Notate però: il senzatetto, i senzatetto; il (la)fuoricorso, i (le) fuoricorso', ecc.

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COME USARE IL VOCABOLARIO

Indicazionisulla morfologia

In due precedenti schede ab-biamo consultato il vocabolarioper risolvere dubbi di ortogra-fìa. Esso fornisce anche, in for-ma sintetica, informazioni di ca-rattere morfologico. Imparate avalervi del suo aiuto anche sot-to questo aspetto.

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9. L'articolo

1. QUADRO COMPLESSIVO

DEFINIZIONE

La frase

// postino ha consegnato una raccomandata

è una frase della lingua italiana. Ma se togliamole due parole (il, una} che precedono i sostantivi,otteniamo:

Postino ha consegnato raccomandata

II senso è ancora chiaro, ma non si tratta più diuna frase «corretta», «grammaticale». Chiamia-mo articolo la parte del discorso che — nella ge-

neralità dei casi — è premessa al sostantivo e lo«attualizza», cioè ne rende attuale ed effettivol'impiego nel discorso.

L'italiano dispone di due articoli: il determina-tivo (il) e l'indeterminativo (un); ad essi si ag-giunge il partitivo, costituito da una preposizio-ne articolata (del).Occorre poi tenere conto dei casi, relativamentenumerosi, in cui il sostantivo viene usato senzaarticolo o, se preferiamo questa formulazione,con articolo «zero».

Abbiamo quindi il seguente quadro:

articolo determinativo

articolo indeterminativo

partitivo

articolo «zero»

singolare

La guerra è evitabile1?

Fu una guerra breve

Prevedo della guerra contro il mioprogetto

Ha dichiarato guerra

plurale

Le guerre sono funeste

Ci sono delle guerre purtroppoinevitabili

Non ci saranno più guerre

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ooHH

FIcs

2. FORME DEGLI ARTICOLI DETERMINATIVO E INDETERMINATIVO

VARIANTI

Gli articoli concordano col sostantivo e sonoquindi variabili nel genere (maschile, femminile)e, il determinativo, nel numero (singolare, plura-le), mentre l'indeterminativo non ha plurale.Inoltre gli articoli presentano varianti a secondadel fonema iniziale della parola seguente, cioèdel sostantivo (o anche di un aggettivo che pre-ceda il sostantivo).

maschilefemminile

determinativo

singolare plurale

il lo rla 1'

i glile

indeterminativo

singolare

un unouna un'

COME SI IMPIEGANO LE DIVERSE VARIANTI

Vediamo ora, nei particolari, l'impiego delle diverse varianti.

maschile

1) davanti a con-sonante, tranne icasi al punto 2

2) davanti a s +cons., z, gn, ps,x, i semiconsonan-te

3) davanti a voca-le

femminile

1) davanti a con-sonante (e i semi-consonante)

2) davanti a voca-le

determinativo singolareesempi

il il cane, il brano,il ramo, il senso,il suono

lo lo sparo, lo sci;lo zio; lo gnomo;lo psicologo;lo xilofono; lo iato

1' l'arco, l'erede,l'istinto, l'orto,l'uomo

la la casa, la grazia,la sera, la strada,la zia, la psiche;la iena

1' l'arte, l'età, l'idea,l'oca, l'urna

determinativo pluraleesempi

i i cani, i brani,i rami, i sensi,i suoni

gli gli spari, gli sci;gli zii; gli gnomi;gli psicologi;gli xilofoni; gli iati

gli gli archi, gli eredi,gli istinti, gli orti,gli uomini

le le case, le grazie,le sere, le strade,le zie, le psichi;le iene

le le arti, le età, le idee,le oche, le urne

indeterminativo (singolare)esempi

un un cane, un brano,un ramo, un senso,un suono

uno uno sparo, uno sci;uno zio; uno gnomo;uno psicologo;uno xilofono; uno iato

un un arco, un erede,un istinto, un orto,un uomo

una una casa, una grazia,una sera, una strada,una zia, una psiche;una iena

Jun' un'arte, un'età, ,

un'idea, un'oca,un'urna

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NOTE

• Davanti al gruppo pn sono usuali il, i, un: il pneu-matico, ecc.; ma c'è chi preferisce lo, gli, uno. D'altraparte, oltre a lo psicologo, si sente il psicologo; sem-pre, poi, il PSI, il PSDI. La tendenza in atto genera-lizza il anche davanti a gruppi consonantici che pro-vocano sequenze anomale di fonemi.• Per eccezione, si usa l'articolo gli con dei (pluraledi dio): gli dei.• Un è la forma tronca di uno, e quindi non si apo-

strofa, mentre vuole sempre l'apostrofo il femminileun', che risulta dall'elisione di una. Pertanto:

un erede, un insegnante (maschili); un'erede, un'inse-gnante (femminili).

• Davanti a vocale, la e una sono ammissibili quan-do si vuoi dare rilievo a un nome o a un gruppo nomi-nale (Una assurdità; Una autentica novità), o marcareil genere (È la assistente del professore; con l'assisten-te il genere rimane indeterminato).

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

Nascita dell'articolo

La presenza dell'articolo cisembra un fatto perfettamentenaturale: «attualizza» — abbia-mo detto — il sostantivo. Ma inrealtà l'articolo non'è una par-te del discorso indispensabile.Nella fase più antica le linguedella famiglia indoeuropea i-gnoravano l'articolo. Poi -- intempi e modi diversi — si svi-luppò, in genere da un prono-me dimostrativo, questo parti-colare strumento grammaticale.Ciò accadde per tempo in gre-co, dove l'articolo è ancora ra-ro nei poemi omerici (Vili seco-lo a. C.), ma è già generalizzatonell'età classica (V-IV secoloa. C.). Il latino, invece, conservòil tratto arcaico dell'assenzadell'articolo, che venne acquisi-to solo dalle lingue romanzesorte dall'evoluzione e dal fra-zionamento del latino parlato.Anche le lingue germanichehanno «conquistato» l'articolo,il quale naturalmente ha unaforma sola nell'inglese, linguapriva del genere: determinativo(he, indeterminativo a (con lavariante an). Al contrario le lin-gue slave (ad es. il russo) sitrovano nella medesima con-dizione del latino: nessun ar-ticolo.

Quando si traduce

Nel tradurre in italiano da lin-gue prive dell'articolo — comeil latino e il russo — c'è questadifficoltà in più: si devono inte-grare gli articoli e si deve sce-gliere di volta in volta tra il de-terminativo e l'indeterminativo(ricordando, peraltro, che anchein italiano, non di rado, c'è l'ar-ticolo «zero»). Ma anche per latraduzione da lingue che, al pa-ri dell'italiano, hanno l'articolodeterminativo e indeterminativo- l'inglese, il tedesco, il fran-

cese, lo spagnolo -- teniamopresente che c'è corrisponden-za esatta nell'80 o 90% dei ca-si, non sempre.Un solo esempio con l'inglese.In italiano un libro che trattidelle vicende dei Greci si intito-lerà: Stona della Grecia o Lastoria della Grecia; invece ininglese troveremo: A history ofGreece (alla lettera: Una storiadella Grecia). In francese l'usodel partitivo è molto più estesoche in italiano: a J'ai achefé dela viande corrisponde esatta-mente lo ho comprato dellacarne. Ma considerate le frasi:// n'a pas de courage; Je neboìs que du vin; II n'écrit ja-mais sans fa/re des faufes. Letraduzioni letterali (Egli non ha

del coraggio] lo non bevo chedel vino; Egli non ha mai scrittosenza fare degli errori) sonofrancamente abominevoli, e initaliano diremo: Non ha corag-gio; Non bevo se non vino; Nonha mai scritto senza fare errori.

Usi regionali e dialettali

L'articolo il trae origine dalpronome dimostrativo latino ille(nel caso accusativo illum, alfemminile lila). Presenta uncerto numero di varianti perchéforma una unità fonologica conla parola che segue. La varian-te lo, per esempio, consente dievitare una successione di fo-nemi consonantici come -Istr-,inammissibile sia all'inizio siaall'interno di parola, quale si a-vrebbe in */7-sfruffo. Perciò: lostrutto.Nei dialetti, con l'eccezione chevedremo, l'articolo ha la stessabase che nella lingua, ma conesiti e varianti proprie di cia-scuno. È tipico del romanescoer: er me/o (= il migliore); delnapoletano o: o so/e (= il so-le). In buona parte dell'Italiacentrale (al di fuori della To-scana) e meridionale la formadel singolare maschile è inve-ce, davanti a qualsiasi conso-

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nante (non solo z e s impura),lo, o lu: lu cane, lu paese.E nell'italiano antico troviamo:lo lume, lo buon maestro (inDante).A parte le forme propriamentedialettali, certe pronunce regio-nali portano ad errori piuttostofrequenti e radicati. Nel Setten-trione la z- iniziale è spesso ar-ticolata non come una semioc-

clusiva dentale, ma come unasibilante: zio = [sio]. Di qui *//zio al posto di lo zio. D'altraparte in suocero la -u-, che è u-na semiconsonante, tende adessere articolata come unaconsonante: su- diventa quasisv- e, come si trattasse di s im-pura, si dice: */o suocero anzi-ché /'/ suocero.Con una netta opposizione ri-

spetto non solo all'italiano e aisuoi dialetti, ma a tutte le lin-gue romanze, nel sardo l'arti-colo determinativo non risaleal pronome ///e, ma a un diver-so pronome latino: ipse (acc.ipsum, femm. ipsa), «stesso».L'articolo è quindi: su, sa: plu-rale sos, sas. Qui il sardo rive-la indubbiamente il suo caratte-re di lingua autonoma.

3. VALORE E USODEI VARI ARTICOLI

L'ARTICOLO DETERMINATIVO

L'articolo determinativo il deriva da un prono-me dimostrativo latino (ilk) e ha il valore fonda-mentale di un dimostrativo attenuato; esso preci-sa che il sostantivo indica qualcosa di ben deter-minato per chi parla e per chi ascolta (perché u-nico nel suo genere, o considerato come un tipo,o in quasiasi modo specificato, oppure perché giànoto o nominato in precedenza):

Sorge il sole. Il petrolio è salito di prezzo. La mo-destia è rara. Scelgo il maglione rosso. Leggi illibro che ti ho consigliato. C'è il postino. Va' aprendere il martello (l'interlocutore sa di qualemartello si tratta).

L'ARTICOLO INDETERMINATIVO

L'articolo indeterminativo un è, nella sua origi-ne, il numerale e pronome uno, impiegato comestrumento grammaticale per segnalare l'indeter-minatezza o indefinitezza, cioè per indicare unapersona o cosa presa fra molte, oppure non anco-ra nota all'interlocutore:

Una stella ha attirato la mia attenzione. È arri-vata una lettera. Prendi una carta. C'è un fat-torino.

OPPOSIZIONE TRA DETERMINATIVOE INDETERMINATIVO

Non esistono categorie di sostantivi che sianopreceduti sempre dall'articolo determinativo osempre dall'indeterminativo. La scelta dipende

dalla situazione, dal contesto, dal mòdo in cuiconsideriamo la persona o la cosa. Se Buttiamotali fattori, è facile formare frasi in cui i sostan-tivi degli esempi dati sopra ricevono l'un artico-lo al posto dell'altro:

C'è un pallido sole. Carlo è di una modestia ra-ra. Va' a prendere un martello. Ho osservato lastella Sirio. È arrivata la lettera (quella che a-spettavo), ecc.

La netta opposizione tra un, impiegato per ciòche non è ancora noto o non è stato ancora no-minato, e il, per il già noto o nominato, risultaevidente in un enunciato come questo:

Ho dato l'incarico a un ragazzo e a una ragazza:il ragazzo andrà a prendere i manifestini, la ra-gazza li distribuirà.

NOTE

• Sebbene gli articoli determinativo e indeterminati-vo si oppongano nettamente, i loro valori vengono adequivalere quando sono usati, al singolare, per indica-re un'intera categorìa, un tipo:

Lo sportivo deve essere leale ( = ogni sportivo, tutti glisportivi)Uno sportivo deve essere leale (= qualsiasi sportivo,tutti gli sportivi)

• Talora, specie nell'uso colloquiale, un acquista unvalore tutt'altro che indeterminato, anzi fortemente e-spressivo, avvicinandosi al significato di «tale»:

C'è un fumo che non si respira. Ho fatto una fatica!

• L'articolo attualizza di norma il nome, ma può an-che sostantivare altre parti del discorso, cioè asse-gnare loro funzione di sostantivo:

(aggettivo) il bello; U sociale; non passare col rosso(pronome) l'io; dammi del tu; il mio e il tuo

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(verbo) il vìvere; un bel tacere; il pagherò(avverbio) il domani; il poi; il sì(congiunzione) il perché; il come e il quando(interiezione) un oh di meraviglia(anche un'intera L'aver fatto questo ti nobilita.proposizione)

L'ARTICOLO PARTITIVO

Riguardo al partitivo osserviamo anzitutto che èuna preposizione articolata, formata con la pre-posizione di (vedi § 5) e che presenta le stesse va-rianti dell'articolo il: del pane, dello strutto, del-l'argento, dei nemici, degli amici, della frutta, del-l'uro, delle albicocche.Nel partitivo la preposizione di (che di per sé hamolte altre funzioni: specificazione, materia, ecc.)non serve a introdurre un complemento, ma sta aindicare che si prende una parte di un tutto o diun insieme:

Ho,comprato del pane (una certa quantità di pa-ne; del pane è oggetto)Verranno degli amici (alcuni fra i miei amici; de-gli amici è soggetto)

È evidente l'affinità del partitivo con i pronomiindefiniti (uno, un certo, alcuni) e quindi con l'ar-ticolo indeterminativo. E il partitivo fornisce ilplurale a un, che ne è privo: un uomo, degli uo-mini; una festa, delle feste.

Circa l'uso del partitivo si consideri che:

• è frequente col no-me in funzione di og-getto

• è meno frequentecome soggetto (e ingenere si tratta di unsoggetto posposto averbo intransitivo)• è raro con comple-menti indiretti

Ho acquistato del panee dei salumiHo compiuto delle ri-cerche di storiaLuigi ha superato delleardue proveSi sono verificati deitafferugliC'è della birra nel fri-go?

È arrivato con dei pa-renti

Spesso lo si sostituisce vantaggiosamente con unaggettivo indefinito, oppure si lascia il sostantivoda solo:

Ho compiuto alcune ricerche di storia; È arrivatocon eerti parenti; Luigi ha superato ardue prove.

L'ARTICOLO «ZERO»

L'ultimo esempio (Luigi ha superato ardue prove)ci introduce al quarto modo per attualizzare ilsostantivo: impiegandolo da solo, senza articolo,o — se preferiamo esprimerci così — con artico-lo «zero»;

Ho avuto paura. La questione non presenta pro-blemi. Non c'è fretta.

L'assenza di articolo è un fenomeno più estesonella lingua scritta e letteraria che nel parlato,più nella poesia (tradizionale e contemporanea)che nella prosa, più nell'italiano dei secoli passa-ti che nell'italiano di oggi. L'omissione dell'arti-colo risponde spesso a scelte stilistiche, mentresarebbe difficile elencare la totalità dei casi incui l'articolo «zero» è obbligatorio o preferibile.Basti ricordare i seguenti costrutti:

• vocativo e esclama-zioni:• apposizione:

• enumerazioni e an-titesi:

• molti proverbi, checonservano un'impron-ta antica:

• espressioni in cui ilnome, in funzione dioggetto, fa blocco colverbo:

• moltissimi sintagmipreposizionali (cioècomplementi o locuzio-ni preposizione + so-stantivo)

Ragazzi, tacete! - Oh,rabbia!L'on. X, presidente delconsiglio, dichiara...Ho comprato libri, gior-nali, riviste • Giorno enotte - Marito e moglieCosa fatta capo ha -Gatta ci cova • A cavaidonato non si guardain boccaaver fame, dare modo,fare piacere, prenderenota, prendere parte,rendersi conto, sentirefreddo, ecc.a piedi, a casa, mal ditesta, borsa da viaggio,in casa, in città, in ci-ma, in camicia, congioia, senz'ordine, ecc.

4. L'USO DELL'ARTICOLOCON I NOMI PROPRI

LA NORMA E LE ECCEZIONI

Dato che indicano ciò che è individuale e de-terminato (una persona, un luogo, ecc.), i nomipropri dovrebbero fare sempre a meno dell'arti-

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colo determinativo, in quanto superfluo, e rifiutare del tutto l'indeterminativo, in quanto contraddit-torio. Invece, di fatto, l'articolo non di rado c'è. Occorre distinguere molti casi particolari; vediamoli.

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NOTE don Abbonalo, fra Gaudenzio, messer Pietro, papa Gio-• L'impiego dell'articolo con i nomi personali è più mnn^ Santo Stefano.esteso nell'italiano colloquiale di alcune regioni chenell'italiano standard. Nell'Italia settentrionale e in • Anche i nomi propri che, da soli, rifiutano l'artico-Toscana si dice comunemente: Ho visto la Rosa. Meno lo, di norma lo richiedono quando sono accompagnatidiffuso, ma tenace in alcune zone del Nord anche: il da un aggettivo, da un'apposizione premessa o da unaLuigi. Anche col cognome, soprattutto in Lombardia, determinazione:è frequente: il Bianchi. Invece, al plurale, i Bianchi è y signor Mgi Bimchi. regregio Bimchi. u^U'Anto-dell'uso proprio e costante della lingua. nio. h brumosa Londra; l'antica Roma (con aggettivo

• Si omette l'articolo quando un nome personale è posposto, anche: Roma antica); la Firenze di Dante.preceduto dagli appellativi don, donna, mastro, frate(o fra), papa, re (preferibilmente), Sorato (San), e dagli • All'inverso, si omette l'articolo con molti nomiantichi messere e madonna: geografici che lo richiederebbero, nelle enumerazioni

e quando compaiono come complementi (in particela- sempre maschile) quando si designa una squadra dire con la preposizione in):

Le divergenze tra Italia, Francia e Germania sono sta-te composte. Vive in America. Vado in Spagna. L'am-basciatore di Gran Bretagna.

• I nomi di città sono preceduti dall'articolo (quasi

calcio: il Bologna, il Cagliari, il Lecce; la Roma.

• Quando un nome proprio assume il valore di unnome appellativo, è introdotto dall'articolo: Si rivelòun Èrcole (= molto forte); Non è certo un Einstein(= un genio).

DUBBI LINGUISTICI

II Carducci o Carducci?

Abbiamo enunciato questa nor-ma: niente articolo con i cogno-mi dei «contemporanei», l'arti-colo per i «personaggi del pas-sato». Ma fin dove arrivano inostri contemporanei? Diciamofino ai primi del Novecento. Pe-raltro l'uso è oscillante e dipen-de da scelte personali. La ten-denza in atto, nel complesso,porta a limitare questo uso del-l'articolo. È strano, ma questo /'/«nobilitante» sembra non favo-rire gli stranieri: si dice e scri-ve più spesso Snakespeare,Goethe, Newton, Voltaire che loShakespeare, il Goethe, il New-ton, il Vo/fa/re. Così pure in ge-nere senza artìcolo alcuni per-sonaggi notissimi (politici, mu-sicisti e altri): Cavour, Garibal-di, Mazzini, Rossini, Verdi, Co-lombo, Luterò.Del tutto diverso è il caso dei

sovrani o di quegli scrittori epittori che vengono comune-mente designati col prenome, ilquale, come si è visto, rifiutal'artìcolo. Quindi: Federico II diSvevia, Napoleone, Dante, Leo-nardo, Michelangelo, Raffaello,Galileo (ma, col cognome: l'Ali-ghieri, il Buonarroti, il Galilei).Lo stesso vale per tutti i perso-naggi dell'antichità classica (0-mero, Pericle, Cesare, Cicero-ne) e per le divinità (Giove,Giunone, Krishna).

Prima il nomeo il cognome?

Lasciato il problema dell'artico-lo, passiamo al dubbio che con-cerne il gruppo formato dal no-me e dal cognome, cioè la«formula onomastica»: in cheordine vanno? Il dubbio non do-vrebbe avere ragion d'essere.

La formula onomastica italiana,francese, inglese, ecc., sortanel Medioevo, ha storicamentecome primo elemento il nomeindividuale, o «prenome» (Giu-seppe, Pietro, Anna, Bruna), cuipoi si aggiunse il nome familia-re o «cognome». Quindi sem-pre e senza esitazione, parlan-do, scrivendo, presentandoci:Giuseppe Bianchi, Anna Rossi.L'uso amministrativo, commer-ciale, scolastico, in una parolaburocratico, per le sue esigen-ze privilegia l'ordine cognome+ nome: Bianchi Giuseppe.Ma anche negli elenchi alfabeti-ci, anche una volta che ci sia-mo dovuti sottomettere all'ordi-ne antistorico, sarebbe buonanorma almeno piazzarci unavirgola: Bianchi, Giuseppe.Consultate qualche buona enci-clopedia o dizionario letterario,storico, biografico, e vedreteche la virgola c'è.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

L'articolo con i nomistranieri

Le norme sull'uso dell'artico-lo valgono naturalmente ancheper i nomi propri, quando que-sti richiedono l'articolo. Quindi:// S/am, lo Sfromboli, lo Ionio,lo Zanella, ecc.

Lo stesso si dica per i nomistranieri, comuni e propri. Invari casi però occorre fare at-tenzione ai fonemi rappresen-tati, in ciascuna lingua, da de-terminate lettere o nessi dilettere.

In francese il nesso eh rende

se di scena [§]; quindi diremo:lo charme, lo Chateaubriand.Invece in inglese eh è la e dicena [e]; quindi: // check-up, ilChaucer.

Come in italiano, h è muta infrancese, in spagnolo e (alme-no secondo la nostra pronun-

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eia) in latino. Avremo pertanto:l'hotel; l'hidalgo; l'habitat.La h rappresenta invece un fo-nema aspirato in inglese (si di-rà cioè: lo hardware, lo hotdog) e in tedesco (lo Hegel).Peraltro, se non si fanno senti-re queste aspirazioni, si saràportati a dire: l'hardware, ecc.

La lettera j rappresenta in fran-cese, inglese e spagnolo suonidel tutto diversi:• in francese rende la sibilan-te palatale sonora [}]; questofonema c'è nel vernacolo tosca-

no (lo si sente per es. in ag//e),ma non in italiano; in ogni ca-so, assimilandolo a una «s im-pura», diremo: lo Jaurès; il giu-ramento cfe//o Jeu afe Pai/me.• in inglese si identifica con lag di gesso [§]; quindi: /'/ jet, iljolly.• in spagnolo rende un'aspira-ta: lo Jimenez.

Il nesso sh corrisponde in in-glese a se di scena [§]: loshock, lo Shelley.Il medesimo fonema [è] è resoin tedesco da sch: uno Schnau-

zer, gli Schlegel, Schubert.

In inglese w è una semicon-sonante simile a u- di uomo;pertanto: l'whisky, l'western,l'Wells. Ma sono ammissibilianche // whisky, il western, ilWells, nella misura in cui sitenda a pronunciare w- comev-, ciò che in parte è legittima-to dall'articolazione della semi-consonante inglese. Sempre,poi, // watt, // wafer (perchévengono pronunciati vai, valer).Invece in tedesco w equivale av; quindi: // wurstel, il Weber.

5. LE PREPOSIZIONI ARTICOLATE

Tra le nove preposizioni proprie fondamentali (vedi capitolo 25, § 1), cinque — di, a, da, in, su — einoltre, ma meno costantemente, con, si uniscono, si «amalgamano» con l'articolo determinativo il(col maschile e col femminile, al singolare e al plurale), dando luogo alle preposizioni articolate.Si ricordi che la preposizione è una parte invariabile del discorso; quello che muta è l'articolo, anchese la fusione comporta in qualche caso modifiche formali della preposizione (per di la base della for-mazione è de-, per in è ne-).Ecco le forme delle diverse combinazioni:

di (= de-)adain (= ne-)consu

+ il, lo, 1'

del, dello, dell'al, allo, ali'dal, dallo, do//'nel, nello, nell'col (collo, coli')sul, sullo, sull'

+ i, gli

dei, degliai, aglidai, daglinei, negli(coi, cogli)sui, sugli

+ la, 1'

della, dell'alla, ali'dalla, dall'nella, nell'(colla, coli')sulla, sull'

+ le

dellealledallenelle(colle)sulle

NOTE

• Per quanto riguarda la preposizione con, solo lapreposizione articolata col è di uso comune (in alter-nativa a con il), le altre vengono evitate a motivo del-la possibile confusione con cotto, colla, colle sostantivie cogli voce verbale. Sono esclusivamente letterarie

e rare le formazioni (dalla preposizione per) pel, pei(= per il, per i).• La lingua antica non sempre registrò la fusionetra preposizione e articolo e si scrisse de la, a le, da i,su la. L'uso sopravvisse non di rado nella poesia del-l'Ottocento e anche del Novecento.

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10. L'aggettivo

1. L'AGGETTIVO.AGGETTIVI QUALIFICATIVI

E DETERMINATIVI

CHE COS'È L'AGGETTIVO

Possiamo indicare le qualità di una persona (o diun animale o di una cosa) per mezzo di sostanti-vi. Ad esempio: Nel mio amico c'è onestà e lealtà.Ma il medesimo messaggio può essere comunica-to in modo diverso: È un amico onesto e leale;Franco è onesto e leale. In queste due ultime fra-si, anziché citare delle qualità, usiamo parole (o-nesto, leale) che, aggiunte o riferite al nome, in-dicano la presenza delle qualità stesse: usiamodegli aggettivi e, più precisamente, degli agget-tivi qualificativi.

QUALIFICATIVI E DETERMINATIVI

Gli aggettivi qualificativi onesto e leale hanno li-na molteplicità di alternative possibili: il mio a-mico sarà anche cordiale, simpatico, generoso,ecc. o magari, secondo l'opinione di altri, disone-sto, sleale, antipatico, scorbutico, ecc., mentre sot-to l'aspetto fisico sarà alto o basso, bruno o bion-do, e così via. Consideriamo ora un'altra frase:Io stimo questo mio amico. Anche questo e mio so-no aggettivi che indicano qualcosa dell'amico,ma il numero di alternative a questo e limitatis-simo (codesto, quello) e lo stesso si dica per mio(sono: tuo, suo, nostro, vostro, loro). Essi appar-tengono, con altri, a una seconda categoria diaggettivi, ben individuabili nella funzione e limi-tati nel numero, detti determinativi, perché in-dicano una specifica caratteristica dell'essere a-nimato o della cosa.

DEFINIZIONE

Con una definizione che abbraccia sia i qualifica-tivi sia i determinativi, diremo dunque che l'ag-gettivo è la parte del discorso che, riferita a unsostantivo, gli attribuisce una qualità, una pro-prietà o una determinata caratteristica.

FUNZIONE SINTATTICA

Come risulta dagli esempi già dati, sotto l'aspet-to sintattico l'aggettivo può esercitare due fun-zioni fondamentali diverse: di attributo (È un a-mico onesto e leale) e di elemento del predicatonominale o, con formula più rapida, di predicato(Franco è onesto e leale). Di ciò ci occuperemonella sintassi, ma prendiamone nota fin d'ora.

In questo capitolo studiarne gli aggettivi quali-ficativi. La trattazione degli aggettivi determina-tivi si svolgerà invece insieme con quella dei pro-nomi, ai quali i determinativi sono strettamenteassociati (vedi capitolo 12, § 1); a parte conside-reremo poi una categoria del tutto particolare diaggettivi determinativi, i numerali (vedi capito-lo 15).

2. LA FLESSIONEDELL'AGGETTIVO

DUE «CLASSI» DI AGGETTIVI

L'aggettivo — in funzione sia di attributo, sia dipredicato — riceve dal sostantivo cui si riferisceil genere e il numero. Sarà quindi maschile ofemminile, singolare o plurale.

La flessione, parallela a quella del sostantivo, comprende due «classi», in cui si distribuiscono tuttigli aggettivi (tranne i pochi invariabili); vediamole.

PARTICOLARITÀ DETERMINATE DALLA TERMINAZIONE

Anche nelle particolarità della formazione del plurale, connesse a certe terminazioni, c'è parallelismotra aggettivi e sostantivi.

* Gli aggettivi in -a (propriamente sostantivi usati• Al femminile, con -eia, -già preceduti da vocale si come aggettivi) si flettono come i sostantivi: partitotrova anche il plur. -ie (sudicie, ligie). Al maschile, marxista, partiti marxisti; idea marxista, idee marxi-con -io, si trova anche il plur. -ii (varii, ecc.). ste.

99

o>

oo

FENOMENI DI TRONCAMENTO ED ELISIONE

L'aggettivo bello e inoltre il determinativo (di-mostrativo) quello presentano varianti analoghea quelle dell'articolo il:

• bel tipo, bell'ingegno, bello spiritobei tipi, begli ingegni, begli spiritibella vita, bell'idea (anche bella idea)belle vite, belle idee

• quel giorno, quell'invito, quello studioquei giorni, quegli inviti, quegli studiquella sera, quell'ariaquelle sere, quelle arie

Fenomeni di troncamento e di elisione si hannopure con buono e santo, al singolare:

• buon giorno, buon anno, buono stipendiobuona sera, buon'idea (anche buona idea)

• san Giovanni, sant'Anselmo, santo Stefanosanta Rita, sant'Anna

II troncamento e l'elisione di grande sono facol-tativi: un gran compositore, un gran imbarazzo,grand'uomo, ecc., oppure grande compositore, ecc.La forma tronca diventa obbligatoria in qualcheespressione fissa, come di gran carriera, di granlunga, un gran bel viaggio, ecc.

AGGETTIVI INVARIABILI

Sono invariabili pochi aggettivi:

• quelli che non escono in -o, -a, -e (compresitutti gli stranieri):pari (e composti: dìspari, ìmpari), crèmisi, blupop, folk, sexy, kitsch, blasé, osé, ecc.

• quelli formati da preposizione 4- avverbio overbo:dabbene, dappoco, perbene, avvenire

• quelli, indicanti colori, costituiti da un so-stantivo impiegato come aggettivo: rosa, viola,marrone, nocciola, ecc.:vestito rosa, cravatta rosa, vestiti rosa, cravatte ro-sa (in alternativa a: vestito cokr rosa, ecc.)

Anche gli altri (e veri e propri) aggettivi di colo-ri — rosso, giallo, verde, ecc. —, se precisati, nel-

la loro sfumatura, da un sostantivo o da un ag-gettivo, diventano invariabili:

due rose rosse; ma: due rose rosso fiamma, due ro-se rosso vivo.

AGGETTIVI COMPOSTI

Negli aggettivi composti da due aggettivi, unitiin una parola unica o congiunti dal trattino, ledesinenze mutano solo alla fine del secondo ele-mento:

variopinto variopintaagrodolceeconomico-socialesocio-economicosocio-economica

variopinti variopinteagrodolcieconomico-socialisocio-economicisodo-economiche

3. CONCORDANZADELL'AGGETTIVO COL SOSTANTIVO

Come si è visto, l'aggettivo ha il genere e il nu-mero del sostantivo a cui si riferisce: «concorda»con esso. È un aspetto di quella che chiamiamoconcordanza grammaticale:

un amico sicuro quell'amico è sicurola sicura speranza le speranze erano sicuregli amici sicuri quegli amici sono sicuri, ecc.

CON PIÙ SOSTANTIVI

Quando i sostantivi sono più di uno, anche tuttisingolari, l'aggettivo va al plurale: Mario e dan-ni sono simpatici; Anna e Bruna sono simpatiche.Se poi l'aggettivo è riferito a due o più sostanti-vi di genere diverso (ed è un aggettivo in -o, -o,plurale -i, -e), prevale sempre il maschile quandol'aggettivo è in funzione di predicato:

Anna e Mario sono simpaticiII coraggio e la prudenza sono necessari in unleader.

Anche quando l'aggettivo è in funzione di attri-buto prevale questa norma:

Cavour possedeva il coraggio e la prudenza neces-sariQuella pasticceria ha dolci e paste ottimi.

Tuttavia è preferibile disporre i sostantivi in mo-

100

do che il maschile risulti l'ultimo e quindi vicinoall'aggettivo concordato al maschile: Cavour pos-sedeva la prudenza e il coraggio necessari; Quellapasticceria ha paste e dolci ottimi.

CONCORDANZA COL SOSTANTIVO PIÙ VICINO

Un'alternativa è rappresentata dalla concordan-za dell'aggettivo, al singolare, con l'ultimo so-stantivo (maschile o femminile):

Cavour possedeva la prudenza e il coraggio neces-sario;oppure:Cavour possedeva il coraggio e la prudenza neces-saria.

La concordanza col sostantivo vicino diventa ob-bligatoria se l'aggettivo (al plurale) è premes-so ai sostantivi: Quella pasticceria ha ottime pastee dolci (e naturalmente anche: ... ottimi dolci epaste}.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

La concordanzadell'aggettivo

Anche per quanto riguarda que-sto argomento, le caratteristi-che della nostra lingua emergo-no con più chiara evidenza dalconfronto con altre.Come abbiamo visto, in italianol'aggettivo concorda col sostan-tivo:

rosa rossa, rose rosse; nastrorosso, nastri rossi; Le roserosse sono state recise.

Sono messaggi molto «ridon-danti». Nell'ultimo esempio ilsostantivo femm, plur. rose de-termina la forma di altri 4 ele-menti della frase: /-e, ross-e,stat-e, rec/s-e.

Le cose stanno così anche nel-le altre lingue neolatine, sebbe-ne in francese, in vari casi, laconcordanza risulti nella paginascritta, ma non venga rilevatadalla pronuncia.

Se passiamo invece alle linguegermaniche il panorama cam-bia.In tedesco l'aggettivo concordacol sostantivo se è in funzionedi attributo, è invariabile se èpredicato.

e/ne rote ftose, e/n rotes Band(una rosa rossa, un nastro ros-so)die Rose ist rot, das Band istrof(la rosa è rossa, il nastro èrosso)

L'inglese fa un passo oltre:l'aggettivo, infatti, non concordamai.Che ciò avvenga riguardo algenere è logico, perché l'ingle-se ignora il genere grammati-cale dei sostantivi; ma l'invaria-bilità dell'aggettivo si estendeal numero:

a red rose, two red roses(una rosa rossa, due rose ros-se)

a red r/bbon, two red ribbons(un nastro rosso, due nastrirossi)thè roses are red(le rose sono rosse)

La collocazionedell'aggettivo

La collocazione dell'aggettivoattributivo rispetto al nome in i-taliano è libera: può precederloo seguirlo, sia in base a deter-minate norme, sia secondo lescelte individuali del parlante.Anche le altre lingue romanze,il latino e il greco si comporta-no così, pur con norme ed usipropri. Invece per l'inglese e iltedesco (e inoltre per il russo)la posizione dell'attributo è fis-sa: tranne casi eccezionali l'ag-gettivo attributivo si preponesempre al sostantivo. Solo ilcontesto deciderà se a red r/b-bon, e/n rotes Band devono es-sere tradotti con «un nastrorosso» o «un rosso nastro».

101

o

oo

4. L'AGGETTIVO SOSTANTIVATO

PASSAGGIO DA UNA CATEGORIAGRAMMATICALE ALL'ALTRA

Le parti del discorso non sono compartimentistagni: può verificarsi il passaggio di una parolada una determinata categoria a un'altra. La cate-gorìa dell'aggettivo, per esempio, è arricchita daipartidpi, che possono divenire a tutti gli effettidegli aggettivi:

(participi presenti) amante, ardente, brillante, po-tente, scostante, ecc.

(participi passati) amato, corrotto, ferito, scelto,sciolto, ecc.

Su ciò ritorneremo parlando del verbo. Ora con-sideriamo il passaggio dalla categoria dell'agget-tivo alla categoria del sostantivo.

DA AGGETTIVO A SOSTANTIVO

La base di partenza del passaggio è costituita dalgruppo formato dall'aggettivo e da un nome dipersona (maschile o femminile, singolare o plura-

le) o di cosa (concreto o astratto), ecc.:

l'uomo ricco, gli uo-mini ricchiil cittadino, i citta-dini italianila scienza fisicala pettinatura per-manenteil tempo passatociò che è bello

il ricco, i ricchi

l'italiano, gli Italiani

la fisicala permanente

il passatoil bello

Quando il passaggio da aggettivo a sostantivo siconsolida nell'uso, l'aggettivo sostantivato di-viene un sostantivo indipendente. Una parte con-sistente dei nomi del lessico italiano è costituitada aggettivi sostantivati e se ne formano conti-nuamente dei nuovi:

il sociale (= l'ambito sociale dei fenomenieconomici, culturali, ecc.)

l'effimero (= il complesso di iniziative ri-creative occasionali)

l'informatica (= la scienza e la tecnica dell'in-formazione)

il deterrente (= l'armamento in grado di dis-suadere un aggressore)

il fatturato (= la somma di quanto un'impre-sa ha venduto, fatturandolo)

COME USARE IL VOCABOLARIO

Gli aggettivisostantivati

I vocabolari registrano gli ag-gettivi sostantivati in lemmi asé, oppure sotto il lemma del-l'aggettivo, anche a secondadella maggiore o minore impor-tanza della parola (e, come èovvio, con valutazioni un po'soggettive, che possono variareda un vocabolario all'altro). Inogni caso, però, la funzione e ilvalore dell'aggettivo divenutosostantivo vengono sempremessi chiaramente in evidenza.

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5. LA COLLOCAZIONEDELL'AGGETTIVO

La collocazione dell'aggettivo qualificativo infunzione di attributo è fondamentalmente libera:cioè l'attributo può precedere o seguire il nome;non è però quasi mai indifferente, e si possonoanche indicare alcune norme.

VALORE RESTRITTIVO E VALORE DESCRITTIVO

Confrontiamo le seguenti coppie di frasi:

1) Mi dia dieci cartelle verdi2) Le verdi colline digradano verso il fiume3) Aldo ha una villa sontuosa4) Entrammo nella sontuosa villa di Aldo5) Là c'è una curva pericolosa6) Questo è un pericoloso precedente

Nelle frasi 1), 3), 5) l'aggettivo indica, distingue,definisce, specifica: ha un valore limitativo, re-strittivo. Con questo valore l'aggettivo di normaviene posto dopo il nome.Nelle frasi 2), 4), 6) l'aggettivo aggiunge certoqualcosa, una qualità, ma si tratta di una quali-ficazione accessoria, talora del tutto esornativa: ilvalore è descrittivo, e la posizione normale pri-ma del nome. Basta però che io voglia marcarecon una certa enfasi la qualità perché diventiammissibile anche la collocazione dopo il nome:

Entrammo nella villa sontuosa di Aldo] Questo èun precedente pericoloso.

AGGETTIVI COLLOCATI SEMPREDOPO IL NOME

Negli esempi visti fin qui il medesimo aggettivo,a seconda del valore, precede o segue il nome. Ci

sono però alcuni aggettivi che, per il loro signi-ficato, si collocano sempre o quasi sempre dopoil nome. Si tratta, per esempio, di quelli che:

• specificano una forma o una materia: figuratriangolare, rottami ferrosi, terreno calcareo;• esprimono l'appartenenza a una categoria:un amico bolognese, il governo inglese;

• stanno al posto di un complemento di speci-ficazione: orario ferroviario, seduta consiliare;

• sono aggettivi alterati (diminutivi, ecc.): unabimba carina.

La collocazione dopo il nome è poi costante, oquasi, in alcuni tipi di costrutti: quando gli ag-gettivi sono due e, soprattutto, più di due (Un la-voro difficile, faticoso e vano) e quando l'aggetti-vo è determinato da un avverbio qualificativo oda un complemento (Usò un tono decisamente an-tipatico; Arrivarono gli zii carichi di pacchi).

COLLOCAZIONE E CAMBIAMENTODI SIGNIFICATO

Alcuni aggettivi, preposti a determinati sostanti-vi, assumono un significato particolare, distin-to da quello che hanno quando sono collocati do-po il nome. Il gruppo attributo + sostantivo vie-ne a costituire una locuzione fissa. Per esempio,in un uomo povero l'aggettivo povero ha il suovalore proprio; la locuzione pover'uomo indica in-vece una persona da compatire. Altri esempi (e sinoti che spesso il significato dell'aggettivo prepo-sto al nome è piuttosto lontano dal significato o-riginario e che talora l'aggettivo preposto si sal-da al nome):

brav'uomobuona donnabello spettacolo!galantuomogentildonna

uomo bravodonna buonaspettacolo bellouomo galantedonna gentile

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11. Gradi di comparazionedell'aggettivo

1. I GRADIDI COMPARAZIONE.

IL COMPARATIVO

CONCETTO DI «GRADI DI COMPARAZIONE»

L'aggettivo qualificativo, se esprime semplice-mente l'esistenza di una qualità, è detto positivo.Ma una qualità può avere gradi diversi, e sichiamano «gradi di comparazione» le formemediante le quali si esprimono questi gradi di-versi della qualità. Essi sono:

• il comparativo, quando stabiliamo un con-

fronte (o «comparazione») tra un 1° termine e un2° termine.Per es.: Franco è più alto di Giovanni.

• il superlativo, quando il grado della qualitàè eminente, «superiore».Per es.: Franco è il più alto di tutti; Franco è al-tissimo.

IL COMPARATIVO E LE SUE VARIETÀ

Se pensate ai rapporti fra due grandezze espressiin matematica dai simboli >, < e =, vi risultasubito chiaro che i comparativi sono di tre tipi,come mostra la tabella sotto:

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oI—t

tsi

&oKH

Qi—iQ

NOTE

• II comparativo di uguaglianza si esprime con lecorrelazioni così... come o tanto... quanto, oppu-re soltanto premettendo al 2° termine come o quan-to.

• Nei comparativi di maggioranza e di minoranza il2° termine è introdotto dalla preposizione di, o taloradalla congiunzione che (Franco è più alto che Giovan-ni), obbligatoria quando il confronto viene stabilitofra due qualità (e quindi fra due aggettivi):

Questo compito è più noioso che difficile.

• II 2° termine di paragone può essere implicito, sot-tinteso:

Oggi il professore è più severo (intendi: di ieri, del so-lito, ecc.).

• II comparativo può essere determinato da un av-verbio di quantità (molto, poco, ecc.):

Franco è molto più alto di Giovanni.

L'espressione molto più alto non va confusa con moltoalto (che è un superlativo assoluto: vedi § 3).

2. IL SUPERLATIVO RELATIVO

DEFINIZIONE E VARIETÀ

I superlativi sono di due specie: relativo (ce neoccupiamo ora) e assoluto (vedi § 3).Quando stabiliamo un confronto con un secondotermine rappresentato da tutti gli esseri o cose diuna certa categoria, con un insieme, si ha il su-perlativo relativo: superlativo perché il gradodella qualità è eminente, superiore (massimo ominimo); relativo perché ciò risulta in rapporto aun termine di confronto, non in assoluto.

II superlativo relativo che indica il grado massi-mo è detto di maggioranza:

Franco è il più alto di tutti i ragazzi della squa-dra.

Il superlativo relativo che indica il grado minimoè detto di minoranza:

Gigì è il meno alto di tutti i ragazzi della squa-dra.

FORMAZIONE

II superlativo relativo si esprime premettendol'articolo determinativo al comparativo di mag-gioranza o di minoranza: il più alto, il meno alto.Il secondo termine è introdotto dalla preposizio-ne di, o, se plurale, anche da fra (o tra): ... fratutti i ragazzi...

NOTE

• Non sempre l'articolo precede immediatamentel'avverbio più (o meno); può anche precedere il nomee risultare distanziato dall'aggettivo:

// mio amico più caro di tutti è Alberto.

• La totalità rappresentata dal secondo termine diparagone non è necessariamente espressa da tutto,tutti:

Franco è il più alto dei ragazzi delia squadra ( = ditutti i ragazzi della squadra)L'Everest è il monte più alto della Terra (= di tutti imonti della Terra)Questo è il film più bello che io abbia visto ( = ditutti i film che ho visto).

• Come per il comparativo, il secondo termine puòmancare, perché sottinteso e deducibile dal contesto:

Nel salto in alto Piero è il più forte (intendi: di tuttinoi, di tutti i partecipanti alla gara, ecc.)Mi dia il più economico (intendi: di tutti gli articoli diquella specie).

• Si ha, formalmente, il superlativo assoluto anchequando l'insieme è costituito da due soli elementi: Deimiei due figlioli Marco è il più affezionato.

3. IL SUPERLATIVO ASSOLUTO

DEFINIZIONE E FORMAZIONE

II grado di una qualità può essere colto in sé eper sé, in termini assoluti, e il grado massimodella qualità in assoluto è rappresentato dal su-perlativo assoluto, che si può esprimere in duemodi:

1) premettendo all'aggettivo l'avverbio molto (oessai):

molto alto, assai alto

106

2) mediante una forma «organica» (cioè costitui-ta da una sola parola), aggiungendo al tema del-l'aggettivo il suffisso -ìssimo:

alt-issimo, fort-issimo, piacevolissimo,resistent-issimo

CASI PARTICOLARI

• Per formare il superlativo assoluto degli ag-gettivi in -io, -io, -co, -go ci si basa sul modellodella formazione del plurale (vedi capitolo 10,§2):

da contrario: contrarissimo (come contrar-i)da pio: pi-issimo (come pi-i)da antico: antichissimo (come antich-i)da pratico: praticassimo (come pratic-i)da lungo: lungh-issimo (come lungh-i)

• Per alcuni aggettivi si hanno le seguenti formazio-ni anomale, che derivano direttamente dai superlativilatini:

acre: acerrimocelebre: celeberrimointegro: integerrimomisero: miserrimo (raro miserissimo)salubre: saluberrimo (raro salubrissimo)ampio: amplissimo (raro ampissimo)

I superlativi di benefico, benevolo, malevolo, munificosono beneficentissimo, benevolentissimo, malevolentissi-mo, munificentissimo, ma vengono usati raramente(meglio dire: molfo benefico, ecc.).

AGGETTIVI SENZA GRADI DI COMPARAZIONE

Sono esclusi dalla formazione del superlativo as-soluto (sia in -issìmo, sia con molto o assai), co-me pure degli altri gradi di comparazione:

• gli aggettivi che hanno già di per sé un signi-ficato superlativo: enorme, immenso, eterno, ecc.

• gli aggettivi alterati (diminutivi, ecc.): bellino,belloccio, furbone, ecc.

• gli aggettivi che non descrivono, ma specifica-no, e indicano qualità che non possono avere u-na differenza d'intensità o grado: triangolare, fer-roso, inglese, ferroviario, unico, uguale, illeso,ecc.

Inoltre il superlativo assoluto in -issimo è esclu-so, in genere per motivi di eufonia, anche per ag-gettivi il cui significato lo ammetterebbe: per es.restio, buio, cospicuo, farsesco, cupo, ecc. In que-sti casi rimangono però possibili le formazionicon gli avverbi: molto restio, più restio, il più re-stio, ecc.

Al posto del superlativoassoluto

II superlativo assoluto organicorappresenta una peculiarità del-l'italiano ed appartiene sia alparlato, sia alla lingua lettera-ria. Tuttavia un discorso oppureuna pagina troppo fitti di formein -issimo non sarà da racco-mandare. Non trascuriamo, per-ciò, altre risorse che la linguaoffre per esprimere il concettosuperlativo. Vediamole attraver-so alcuni esempi:

• determinazione dell'aggetti-vo per mezzo di avverbi (più

DUBBI LINGUISTICI

specifici e coloriti di molto o diassai):

eccezionalmente vigoroso, in-credibilmente astuto, particolar-mente giusto, letteralmente e-sausto

• l'intensificazione della qua-lità mediante tutto premesso oun aggettivo sinonimo aggiunto:

tutto bagnato, tutto contento,pieno zeppo, ubriaco fradicio

• la duplicazione espressivadell'aggettivo:

una notte scura scura; la nevecadeva fitta fitta

• le formazioni mediante pre-fissi e prefissoidi (stra-, arci-,super-, uitra-, /per-):

straricco, stracotto; are/conten-to, arcistufo; superdotato; ultra-rapido; ipersensibile

• brevissimi paragoni, come:

forte come un leone, bianco co-me la neve, chiaro come il so-le, stipati come sardine

• l'uso del comparativo con unsecondo termine di paragone ti-pico:

più scaltro d'una volpe, piùsvelto d'una lepre.

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4. COMPARATIVIE SUPERLATIVI «SPECIALI»

Gli aggettivi grande, piccolo, buono, cattivo,oltre i gradi di comparazione regolari (più gran-de, il più grande, grandissimo), hanno delle for-me «speciali» per il comparativo (di maggioran-za) e il superlativo (assoluto). Esse presentano leseguenti caratteristiche:

• sono organiche, cioè costituite da una parolasola;• sono tratte da radici diverse da quelle degliaggettivi di grado positivo.

grado positivo

grandepiccolobuonocattivo

comparativo

maggioreminoremigliorepeggiore

superlativoassoluto

massimominimoottimopessimo

NOTE

• Massimo e minimo si usano anche per il superlati-vo relativo: il massimo, il minimo (in alternativa con:il più grande, il maggiore; ecc,). Ottimo e pessimo e-sprimono, invece, solo superlativi assoluti (sup. rei.: ilmigliore, il più buono; ecc.).

• Le quattro coppie di comparativi e superlativi«speciali» ricalcano forme latine. Sono di provenienzalatina anche alcune altre coppie, il cui valore origina-rio, comparativo o superlativo, è però quasi intera-mente svanito (e si tratta quindi, in pratica, di agget-tivi di grado positivo):

(alto) superiore supremo, sommo(basso) inferiore infimo

(interno) intcriore intimo(esterno) esteriore estremo

Lo stesso si dica degli originar! comparativi anteriore,posteriore, ulteriore, citeriore, viciniore, seniore e deisuperlativi prossimo, postremo.

• II fenomeno dei gradi di comparazione concerne e-sclusivamente l'aggettivo (e inoltre l'avverbio: vedicapitolo 24, § 4). Tuttavia, nell'ambito del linguaggiofamiliare, pubblicitario, sportivo, troviamo sostantivimodificati col suffisso -issimo: padronissimo, salutissi-mi, campionissimo, partitissima, poltronissima, occasio-nissima, canzonissima, ecc.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

I gradidi comparazione

Nel formare i gradi di compara-zione l'italiano usa in prevalen-za espressioni «analitiche»,nelle quali l'aggettivo rimaneintatto e l'indicazione del com-parativo o del superlativo è for-nita da altri elementi autonomi(un avverbio, l'articolo e un av-verbio, ecc.: più forte, il più for-te). L'italiano però presenta quianche una forma «organica» o«sintetica», il superlativo asso-luto in -issimo, e inoltre per ec-cezione, come si è visto, alcunicomparativi (maggiore, ecc.).

In latino prevalevano largamen-te le forme «sintetiche». Non vitroviamo infatti solo il superlati-vo in -issimus (con funzione an-che di superlativo relativo: for-tissimus = sia «fortissimo»,sia «il più forte»), ma anche,regolarmente, il comparativo for-mato con suffisso: fortior, «piùforte», col suffisso -/or aggiun-to al tema di fort-is, «forte».

Nella formazione dei gradi dicomparazione, tra le lingue ro-manze, lo spagnolo non divergedall'italiano. Invece il francese(tranne i corrispondenti dei no-stri maggiore e minore, cioèmajeur e mineur, peraltro riser-

vati ad usi particolari) ha esclu-sivamente forme analitiche,perché i superlativi in -issimusnon vi hanno lasciato traccia.Quindi:

riche plus richericco più ricco

très (o bien, o fort) richemolto ricco, ricchissimo

II tedesco e l'inglese, linguegermaniche, presentano ancheforme sintetiche, ereditate da u-na fase antica di questo sotto-gruppo linguistico e, se risalia-mo più indietro, dall'indoeuro-peo, proprio come è accadutoper il latino. Per l'inglese ciò

rappresenta una singolarità,perché si tratta di una linguaper eccellenza analitica.In inglese gli aggettivi monosil-labici e alcuni bisillabici forma-no il comparativo e il superlati-vo rispettivamente con i suffissi

•er e -est:

ofear cfearer thè dearestcaro più caro il più caro

II superlativo «organico» (dea-rest) non è però un superlativo

assoluto (come il superlativo i-taliano in -/ss/mo), ma, prece-duto dall'articolo determinativo,forma il superlativo relativo(thè dearest), mentre il superla-tivo assoluto è analitico (verydear).

12. Il pronome.Pronomi personalie riflessivi

1. IL PRONOME

CHE COSA È IL PRONOME

Tu passeggi con un amico e questo saluta un ra-gazzo, che tu non conosci, dall'altra parte dellastrada.Supponiamo che, per informarti, tu chieda all'a-mico:«È un fratello, un parente, un conoscente, un com-pagno di classe, è forse Giorgio o danni o Gigi oGiuseppe (e qui tutti i nomi di persone di cui l'a-mico ti ha parlato) il ragazzo dall'altra parte del-la strada?».Sarebbe un modo ben strano per formulare la do-manda. In effetti ti verrà spontanea un'altra fra-se, molto più breve e più semplice: «Chi è quel-lo?». Ti servirai cioè, anziché di tutta una seriedi sostantivi o di un sostantivo variamente deter-minato, di due termini, chi e quello, tratti da unavasta categoria di parole che la lingua mette a

disposizione del parlante e che, nella maggiorparte dei casi, «stanno al posto del nome»: ipronomi.

PRONOMI E AGGETTIVI DETERMINATIVI

Osservate ora che, invece che «Chi è quello?», sipotrebbe chiedere: «Chi è quel ragazzo?». Qui lamedesima parola quello (di cui quel è una sempli-ce variante) non sta al posto di un nome, ma siaggiunge a un nome: è un aggettivo e appartienea quella categoria di aggettivi che abbiamochiamato determinativi (per distinguerli daiqualificativi: vedi capitolo 10, § 1).Molti pronomi, oltre la funzione di sostantivi(sono «pronomi sostantivi»), possono dunque as-solvere la funzione di aggettivi determinativi (esono anche detti «pronomi aggettivi» o «aggetti-vi pronominali»). Non però tutti: per es. chi, ciò,i pronomi personali, ecc. sono soltanto pronomi;e d'altra parte ci sono aggettivi determinativi u-sati solo come tali (ogni, qualche, ecc.).

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IL PRONOME CHE NON STAAL POSTO DI UN NOME

In molti casi il pronome corrisponde esattamentealla semplice definizione «parte del discorso chefa le veci del nome». Per esempio, nella frase «Èun amico: non lo vedevo da tempo», il pronomepersonale lo sta al posto del sostantivo amico.Ma consideriamo altre frasi, come: «È simpati-co?» «Lo è» e «Rinnoverai questa amicizia?» «Lospero». Qui lo non sta al posto di un nome, ma u-na volta sostituisce un aggettivo (Lo è = È sim-patico) e una volta sostituisce un'intera proposi-zione (Lo spero = Spero di rinnovare questa ami-cizia).

DEFINIZIONE

Perciò, al termine pronome, alcuni preferiscono itermini sostituente o sostituto. Possiamo mantene-re il termine pronome, ma vediamo di precisarnela definizione: il pronome è la parte del discorso

che si sostituisce o si riferisce ad un'altra parola(più comunemente a un sostantivo) o a un'interafrase.

VARIE SOTTOCLASSI DI PRONOMI

I pronomi costituiscono una categoria vasta evaria. In base al significato e alla funzione, i pro-nomi e, quando ci sono, gli aggettivi determinati-vi corrispondenti, si suddividono in:

esempi• pronomi personali e io, tu, sériflessivi• aggettivi e pronomi mio, tuo, il miopossessivi• aggettivi e pronomi questo, quellodimostrativi• aggettivi e pronomi che, il quale, chi?relativi e interrogativi• aggettivi e pronomi qualche, qualcuno, «es-indefiniti suno

2. PRONOMI PERSONALI: QUADRO COMPLESSIVO

I pronomi personali (tutti e soltanto «sostantivi») sono le parole con cui il protagonista della comu-nicazione linguistica si riferisce:

Ili

CARATTERISTICHE DEI PRONOMI PERSONALI j\fon mi ascoltano mi è la forma, o più esatta-.. , mente una delle forme usate

I pronomi personal! hanno le seguenti caratte- per u complemnt0; e <<pro.nome complemento».

• Soli fra tutte le parole dell'italiano, presenta-no ciascuno più forme, distinte in rapporto alla • i pronomi complementi si presentano infunzione sintattica; sussiste cioè in essi, pur se due tipi di forme:ridotta ai minimi termini, la categoria del «ca-so» (che in latino, con molto maggiore ricchezza, ~ tòniche (cioè fornite di accento tonico) o /or-concerne tutti i sostantivi, aggettivi e pronomi): 'I: me> ^e> 'UI> ecc-

Io parlo io è il pronome che si usa - àtone (cioè non accentate) o deboli, che si ap-per il soggetto, è «pronome poggiano alla parola che segue o alla parola chesoggetto»; precede (vedi capitolo 4, § 1): mi, ti, lo, ecc.

• La collocazione dei pronomi personali nellafrase è soggetta, in varie occasioni, a regole vin-colanti: per es. nell'enunciato Mi dai la penna?la posizione del pronome mi è fissa (ogni altracombinazione darebbe frasi «non grammaticali»).

NOTE

• I pronomi di 1" e 2a persona hanno inoltre le parti-colarità di essere invariabili nel genere (Io sono pron-to; Io sono pronta; invece nella 3a persona: Egli è

pronto I Essa è pronta) e di formare il plurale con ra-dice diversa: iolnoi, tujvoi (e invece: esso, essi).• Dicendo che me, te sono forme toniche, cioè ac-centate, alludiamo all'accento tonico proprio di ogniparola che sia anche fonologicamente autonoma, nonall'accento grafico. L'accento grafico non si mette sume, te, ecc., in quanto sono monosillabi (così comenon lo ricevono re, tre, sa, ecc.); mettiamo l'accentosu sé al solo fine di distinguerlo da se congiunzione(vedi capitolo 3, § 5).

QUADRO COMPLESSIVO

Ecco il prospetto di tutte le forme dei pronomi personali:

pronomisoggetti

pronomicomplementi

formatonica

formaatona

1" pers.sing.

io

me

mi

2" pers.sing.

tu

te

ti

la pers.plur.

noi

noi

ci

2a pers.plur.

voi

voi

VI

3a pers.sing.

masch.

egliesso

lui

logli

3" pers.sing.

femm.

ellaessa

lei

laìe

3" pers.plur.

masch.

essi

3a pers.plur.femm.

esse

loro

li le(/oro)

3. PRONOMI PERSONALI IN FUNZIONE DI SOGGETTO

VARIETÀ E USO DELLE FORME

Mentre i pronomi di la e 2a persona sono unici — io, tu, noi, voi — e c'è solo da osservare che spes-so, soprattutto nel parlato, noi e voi sono rafforzati da altri (noi altri, voi altri, o noialtri, voialtri),per la 3a persona esistono due coppie al singolare e una al plurale:

egli riferito a personaella riferito a persona, di uso letterarioesso riferito generalmente a animale o cosaessa riferito a persona, animale, cosa

essiesse

In effetti, però, sono di uso più comune, riferiti a essere animato, lui, lei e al plurale loro, come ve-dremo tra poco.

112

L'impiego dei pronomi personali soggetti è limi-tato, perché normalmente la forma verbale, me-diante la sua desinenza, fornisce da sola l'indica-zione del soggetto (cant-o = io canto, cant-i =tu canti, ecc.).Il pronome viene sentito come necessario sola-mente in particolari tipi di enunciati:

• nellezioni

contrapposi- Io piango, tu ridi

• quando è coordina-to ad altro soggetto• nelle frasi enfatiche

• quandosottinteso

il verbo è

• quando, nel con-giuntivo, più formeverbali sono identiche

// babbo e io restammoa casaIo lo dicevo! (anche: Lodicevo io!)«Chi è stato?» «Io no».

È necessario che io par-ta; È necessario che tuparta

• quando il pronomeè predicato

• nelle esclamazioniellittiche

• nel costrutto delparticipio e dell'agget-tivo assoluto

Se tu fossi me (però,con la la e 2" pers. esoggetto identico: Nonson più io); Non è piùlei

Povero me! Beati loro!

Partito lui, è cambiataogni cosa; Contento te,contenti tutti

PRONOMI COMPLEMENTI COME SOGGETTI

In vari casi i pronomi complementi tonici me,te, lui, lei, loro sostituiscono, assumendo funzio-ne di soggetto, io, tu, egli, essa, essi, esse:

Inoltre lei, lui, loro si adoperano normalmentein tutte te frasi enfatiche ed esclamative (L'hadetto lui; È stato lui!), nelle contrapposizioni (Iorimasi, lei se ne andò) e dopo anche, neanche,pure, neppure, nemmeno:

Ho parlato anche lui; Non verrà neppure lei;Nemmeno loro sono riusciti.

Ma l'uso di lei, lui, loro in funzione di soggetto èmolto più ampio; in pratica, non solo nel parlato,ma anche nella lingua scritta, prevalgono netta-mente, in qualsiasi condizione:

todopo come e quan- Nessuno è leale quanto Lui tacque sempre; Lei è stanca; Loro sono andati

me; Non sono come lui via.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

II pronome personalecome soggetto

In altre lingue europee, comel'inglese e il francese, in cuitutte le persone o molte perso-ne di uno stesso tempo verbalesono identiche (sia nella scrittu-ra che nella pronuncia, o solonella pronuncia), l'impiego delpronome personale soggetto di-viene necessario e, tranne'chein determinate espressioni col-loquiali, è sempre strettamenteobbligatorio.

In inglese una frase come *Sawthè mistake è «non grammati-cale» e sostanzialmente privadi senso. Si dirà, a seconda delcaso: / saw thè mistake, Yousaw thè mistake, He saw thèmistake ecc.; mentre in italia-no, anche senza pronome, Vi-di l'errore, Vedesti l'errore, Vi-de l'errore funzionano perfetta-mente.Se passiamo al tedesco, le per-sone nelle forme verbali si con-traddistinguono, approssimati-vamente come in italiano, me-diante le desinenze: *singe,

singst, singt (= canto, canti,canta). Tuttavia anche in tede-sco il pronome personale èd'obbligo e le espressioni cheabbiamo elencato non sono«grammaticali». Si dice: ichsinge, du singst, er (o s/e)singt.È _dunque ovvio che, traducen-do un testo italiano in inglese,francese o tedesco, dobbiamospesso reintegrare i pronomipersonali soggetti e, viceversa,traducendo da queste linguenella nostra, eliminare i prono-mi per noi superflui.

113

oi

4. PRONOMI PERSONALI IN FUNZIONE DI COMPLEMENTO

USO DELLE DIVERSE FORME

In funzione di complemento si usano gli appositi pronomi complementi tonici e àtoni, e precisa-mente:

me, te, noi, voi; lui, lei, loro

mi, ti, ci, vi; lo, la, li, le

ancora mi, ti, ci, vi per le le e 2e

pers. e le forme gli, le, loro perle 3e

in funzione di

complemento oggetto

complemento indiretto, in-trodotto da qualsiasi preposi-zione,

compreso il complemento ditermine, introdotto dallaprep. a

complemento oggetto

complemento di termine,senza la prep. a (e quindi mi= a me, ti = a te, ci = anoi, vi = a voi, gli = a lui,le = a lei, loro = a loro)

esempi

Accusano me; Amo te; Ammiro lui; Vedoproprio loro

È stanco di me; Sta con lui; Si sacrificaper loro

Do il libro a te; Do il libro a lui; Do il li-bro a loro

Mi accusano; Ti amo; Lo ammiro; Li vedo

Ti do il libro; Gli do il libro;Do loro il libro

COLLOCAZIONE

La collocazione dei pronomi tonici nella frasenon è diversa da quella di qualsiasi altra parolausata come complemento: Do il libro a te (comeDo il libro allo studente), o anche, con enfasi: Ate do il libro. Invece la collocazione dei pronomiàtoni ubbidisce a regole precise:

mi, ti, ci, vi; lo, la, le, li; gli, le (= a lei)si premettono alleforme verbali finite(indicativo, congiunti-vo, condizionale):

Mi chiamano; La invi-teranno?; Se lo promuo-vessero! Non ti credo;Gli cedono il posto; Levuoi bene?

si pospongono e si u-niscono come encliti-che alle forme verbaliinfmitive (infinito, ge-rundio, participio) eall'imperativo:Non posso perdonarti;Soffro, vedendola triste;Ditemi la verità; Affi-dagli tutto.

NOTE

• Come complemento introdotto da preposizione si li-sa, riferito a cosa, anche esso (-a; -pi, -e): Ha una pic-cola pensione e vive di essa.• Loro = a loro si pospone al verbo, ma non è encli-tico (Cedo loro il posto). Spesso, specie nel parlato, èsostituito da gli (Li hai visti e gli hai dato i libri?).• L'infinito davanti al pronome àtono enclitico perdela -e finale: perdonare + ti -» perdonarti. Con gli im-perativi monosillabici si produce il «raddoppiamentosintattico»: di + mi -> dimmi. Con l'imperativo ne-gativo (non + infinito) si può avere sia, per es., Nondarmi fastidio, sia Non mi dare fastidio.

SCELTA TRA FORMA TONICA E ÀTONA

Come risulta dal prospetto, spesso è ammessal'alternativa tra forma tonica (me, te, lui...) eforma àtona (mi, ti, lo, gli...). Il pronome tonicoè «marcato» rispetto al pronome atono, il quale

114

è perciò di uso più generale. Si sceglie il prono-me tonico in enunciati enfatici, nelle antitesi,nelle frasi ellittiche, quando è coordinato a unsostantivo:

A me piace (anche: Piace a me!); A me riescefacile, ma a te riesce difficile] E a lui?; Hannoconvocato il mio compagno e me.

IL PRONOME LO CON VALORE «NEUTRO»

II pronome àtono lo di norma si riferisce a una3a persona maschile: Gigi? Non lo vedo da secoli!Ma talora si riferisce a una qualità (e sta quindial posto di un aggettivo), oppure a un'azione (esta quindi al posto di una proposizione). Vienedesignato, in tal caso, come pronome «neutro».Esempi:

«È bello?» «Lo è»; «È bella?» «Lo è»; «Sonobelle?» «Lo sono»; Hai vinto: lo prevedevo; Miha reso infelice senza volerlo.

NOTE

• Quando ha valore neutro e sta al posto di una pro-posizione, lo può venire sostituito con un pronome di-mostrativo (ciò, questo) o altre espressioni (questacosa, quell'azione, ecc.): Mi ha reso infelice senza vo-lere ciò.• In alcune locuzioni assume valore neutro anche ilpronome femminile la: La vedo brutta; La fa da pa-drone.

5. PRONOMI RIFLESSIVI

L'AZIONE RIFLESSIVA

Confrontiamo le frasi:

Tu mi vedi <~> Io mi vedo nello specchioIo ti lodo <-> Tu ti lodi da solo

Un'azione transitiva, di norma, può esercitarsisul soggetto, «riflettersi» su di esso: è «riflessi-va» (ed esistono verbi esclusivamente riflessivi:vedi capitolo 20).

IL RIFLESSIVO SÉ, SI

Come riflessivi, con la la e 2a persona singolare eplurale, si usano i medesimi pronomi impiegati

quando l'oggetto dell'azione è esterno (mi, ti, ci,vi), oppure la forma tonica rinforzata da stesso(Tu lodi te stesso). Invece, per la 3a persona, esi-ste un apposito pronome riflessivo: sé (tonico)e si (atono), che vale per il maschile e il femmi-nile, il singolare e il plurale:

Gianni si guarda nello specchio; Anna si guardanello specchio; Quei ragazzi si lodano da soli;Quelle ragazze si lodano da sole.

Una forma più enfatica si ha con se stesso (nota-te se preferibilmente senza accento): Gianni lodase stesso; Anna loda se stessa.

USO DI SÉ E SI

In tutte le funzioni sintattiche sé e si (che sonopronomi complementi, mai soggetti!) si comporta-no esattamente come me, te, ecc. e mi, ti, ecc.:

se

Loo!a sempre sé, maigli altriAttribuisce a sé tutto ilmerito; Tiene con sé ungatto

Gianni si lodaSi attribuisce tutto ilmerito

È bravo nel farsi pub-blicità

- come oggetto

- come comple-mento indiretto,introdotto da pre-posizione

- come oggetto- come comple-

mento di termine(= a sé)

- enclitico dopouna forma infiniti-va (con un impe-rativo è logica-mente impossibi-

-le)

NOTA

• Per il valore di reciprocità che possono assumerei pronomi atoni ci, vi e si vedi capitolo 20, § 2.

6. LE PARTICELLE PRONOMINALISI, CI, VI, NE

SI PARTICELLA PRONOMINALE

Negli usi visti nel § 5 si ha valore di pronome(riflessivo). Esistono però altri valori di si, che sipreferisce allora designare come «particella pro-

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nominale». Oltre a si, sono particelle pronomina-li: ci, vi, ne.Di si particella pronominale — con valore «inde-terminato» (come nella frase Qui si spende trop-po) e con valore «passivante» (come nelle frasiSi affitta un villino; Si affittano villini) — ci oc-cuperemo a proposito del verbo (vedi capitolo 20,§ 2); qui ci soffermiamo sulle altre «particellepronominali».

LE PARTICELLE CI E VI

Uguali nella forma ai pronomi atoni ci e vi ( = anoi, a voi), le particelle ci e vi sono propriamen-te degli avverbi di luogo, col significato fonda-mentale di: «in questo, in quel luogo»;

«Abiti qui da molto?» «Ci abito da due anni.»«Vai mai a teatro?» «Ci vado di rado.»

Il valore poi si è esteso, facendosi più generico,cosicché ci e vi equivalgono anche a:

• per di qui (là) Bella, Pisa! Non ci passavo damolto tempo

• in ciò A te piace pescare: cosa ci tro-vi?

• a ciò, su ciò Non pensarci più; Contaci!

NOTA

• Tra vi e ci non esiste differenza di significato, maci è più frequente, soprattutto nel parlato, e inoltre sitrova in molte, comunissime locuzioni verbali: esserci( = essere presente, trovarsi, esistere), entrarci (per es.non c'entra niente), badarci, pensarci su, ecc.

LA PARTICELLA NE

Anche la particella ne in origine ha un valorelocale («di qui», «di là»):

Era in difficoltà, ma ne è venuto fuori.

Nell'uso ha poi assunto tutta una serie di signi-ficati pronominali, venendo ad equivalere a: dilui, di lei, di loro, di ciò, da lui, da lei, ecc.Per esempio:

Gigiì Ne sono stanca. Marta? Ne sono sempreinnamorato.I professori? Non posso più vederne uno.Sei sincero? Ne dubito.Li hanno interrogati, ma ne hanno ricavato moltopoco.

NOTA

Anche ne entra a far parte di numerose locuzioni:valerne la pena, sentirne delle belle, non farne nulla,saperne poco, ecc.

7. NESSI DI PRONOMIE PARTICELLE

I pronomi atoni mi, ti, ci, vi, lo, la, li, le (femm.plur.), gli, le ( = a lei), si, come pure le particel-le si, ci, vi, ne si associano in gruppi o nessi didue quando svolgono funzioni sintattiche diver-se, e questi nessi si pongono prima del verbo odopo il verbo (in tal caso uniti tra loro e al ver-bo): Me lo porti? Pòrtamelo!Davanti a -/ e -n (cioè a lo, la, li, ne), alcunipronomi assumono forme particolari, e precisa-mente:

Si è scritto glie-, con la lineetta, perché non esiste co-me parola autonoma, ma si unisce sempre al pronomesuccessivo: glielo ho detto (e, naturalmente: diglielo,dirglielo, ecc.). Notate inoltre che me, te che sostitui-scono mi, ti sono distinti, in quanto àtoni, da me, tepronomi complementi tonici.

TIPI DI COMBINAZIONI

I tipi di combinazioni possibili sono parecchi, e ipiù frequenti vengono registrati qui sotto; per o-gni tipo l'ordine dei componenti è fisso:

• compi, di termine Te lo dirò; Dimmelo+ oggetto:• compi, di termine Me ne ha parlato; Lui+ ne: parlarmene?• compi, di term. + Mi si è affidato; Ti sisi riflessivo o imperso- addicenaie:

compi, oggetto + Ve ne pregone:

riflessivo + ne:

ce + ne:

Te ne vai, se ne va;VàtteneCe ne sono molti.

116

NOTE

• I riflessivi e ne danno luogo a numerose frasi idio-matìche: andarsene, venirsene, starsene, aversene a ma-le, ecc.• Nella combinazione si indeterminato + si riflessi-vo al si indeterminato si sostituisce ci: ci si sveglia.

8. PRONOMIALLOCUTIVI DI CORTESIA

Tu e voi sono anche detti allocutivi, in quantoservono a «rivolgere la parola» (in latino àllo-quor = «rivolgo la parola a»). Non sempre peròci troviamo con l'interlocutore in un rapporto diconfidenza tale da potergli «dare del tu». Ci sonopersone cui ci rivolgiamo con il ki e talora, conun interlocutore solo, si usa il voi. In tale funzio-ne lei e voi si chiamano allocutivi, o pronomi, dicortesia.

IL LEI DI CORTESIA

II lei di cortesia mantiene, il suo valore gramma-ticale di pronome di 3a persona, ma perde lo spe-cifico carattere di femminile. È rivolto sia a uo-mini che a donne e, se a uomini, determina dinorma concordanze al maschile: Lei, signor Bian-chi, non ne è convinto. E lei, signora Carla, ne èconvinta?

NOTE

• Naturalmente il lei di cortesia, quando si trova infunzione di soggetto, può essere sottinteso: Arriva a-desso, Bianchi? Al lei soggetto corrispondono, in fun-zione di complementi, lei tonico e la, le atoni: Cercavolei; Verrò con lei; La saluto; Le sono grato. Nelle lette-re è consigliabile l'uso della maiuscola, anche per di-stinguere il Lei di cortesia da lei pronome femm. di 3a

persona.

• Invece di ki si può trovare la forma più letterariae solenne Ella (con concordanza sempre al femminile).• II plurale di tei allocutivo è loro: Loro, signori, miconsentiranno di fare una breve premessa. Tuttavia l'u-so di loro appare piuttosto formale e in genere, anchese ci rivolgiamo a più persone cui singolarmente dia-mo del lei, usiamo il plurale noi: Voi, signori, mi con-sentirete... Peraltro, quando il pronome soggetto è sot-tinteso, frasi come Sentano; Si accomodino; Aspettanoqualcuno*, sono perfettamente naturali (e preferibili aSentite, ecc.).

IL VOI DI CORTESIA

II voi di cortesia, ampiamente diffuso in passato,oggi è limitato a consuetudini regionali. Comeallocutivo singolare, voi vuole il verbo al plura-le, mentre le altre concordanze sono al singolare(maschile o femminile a seconda del sesso): Voivenite, zio1? Voi state comodo, zio?; Voi state co-moda, zia?Il voi è poi frequente nel linguaggio commercia-le, quando ci si rivolge impersonalmente a unaditta o a un ufficio; in questo caso concorda almaschile plurale: Voi avete ritardato le consegnee Vi preghiamo di essere più puntuali.

NOI PLURALE «DI MAESTÀ» E «DI MODESTIA»

Un altro caso in cui un pronome personale viene im-piegato al di fuori del suo puro valore grammaticale èil noi «di maestà», al posto dì io.Frasi come Noi decretiamo...; Noi vi concediamo...;Spetta a noi decidere sono però plausibili solo sullelabbra di pontefici, sovrani, alti dignitari in narrazio-ni storiche. È invece abbastanza comune un altro tipodi noi al posto di io. Lo troviamo nella corrisponden-za commerciale e amministrativa e inoltre nelle e-spressioni di un conferenziere o dell'autore di un li-bro: Noi desideriamo illustrarvi...; In questo libro noicerchiamo... Qui si tratta di un noi «di modestia», permezzo del quale chi parla o scrive cerca di renderemeno aggressivo il proprio io.

117

DUBBI LINGUISTICI

Pronomi personalisoggetti

La sostituzione, che si è larga-mente affermata, dei pronomidi 3a persona «complementi»(lui, lei, loro) ai pronomi «sog-getti» (egli, ella, essa, essi, es-se) rappresenta una vittoriadella lingua d'uso sulla lingualetteraria. Ciò tuttavia non com-porta che egli, essa, ecc. deb-bano essere posti inesorabil-mente al bando!Per quanto riguarda i pronomidi 1a e 2a persona, l'opposizio-ne /o/me, tu/te rimane più sal-da, ma, come si è visto, nonmancano i costrutti con me, tesoggetti (come me, beato te,ecc.). Un uso del parlato che siè imposto è: lo e te, che preva-le sul più corretto Tu e io. Inaltri impieghi, che appartengo-no alla lingua prettamente fami-liare, me e fé sono da evitarecome errori: *Vieni anche te;*Vai te, e simili.

«Lo ho visto»0 «L'ho visto»?

1 pronomi di 3" persona lo e lasono identici a lo e la articoli,anzi derivano dalla stessa pa-rola latina. Tuttavia, a differen-za di quanto avviene per l'arti-colo, davanti a vocale, con lo ela pronomi, l'elisione è facolta-tiva:

L'attendo o Lo attendo, ovveroLa attendo

L'ho visto, o Lo ho visto, ovveroLa ho vista.

L'elisione naturalmente non sifarà se l'enfasi è sul genere: loamo, la amo.

«Devo darlo»o «Lo devo dare»?

Quando, anziché un verbo in u-na forma finita oppure in unaforma infinitiva, c'è un'espres-sione composta da forma finita+ infinito (devo dare, possovedere, sto per fare), ci trovia-mo di fronte a due regole di di-stribuzione opposte: il pronomeatono va preposto alla forma fi-nita o posposto e unito all'infi-nito?La norma è rappresentata daDevo darlo, perché lo è com-plemento di dare; ma è pureammissibile Lo devo dare.

Gli = a loro

«Ho w'sto / redattori e gli hodato l'articolo» oppure «...hodato /oro l'articolo»! Quale u-so è preferibile? Senza dubbioil letterario loro spesso risultapoco naturale. D'altra parte congli al posto di loro si perde ladistinzione tra singolare e plu-rale. La scelta dipende sia dalregistro espressivo adottato, siadal contesto (e non si dimenti-chi che c'è anche a loro).Comune, nell'uso, è inoltre gliper il femminile le: «Al telefonoha risposto Lucia: gli ho dettotutto». Questo gli femminile nonè privo di difensori, che si ba-

sano sia sull'etimologia latina,sia su esempi nella tradizioneletteraria. Tuttavia questa ten-denza va nella direzione del-l'impoverimento espressivo, econsigliamo di non seguirla.

La particella ci

Nell'uso la particella ci tendead allargare la sua sfera d'in-fluenza. Il senso originario, si èvisto, è «in quel luogo», «inciò». Va bene anche: Non pen-sare/' più (— a ciò). Un passooltre e abbiamo: Ti piace Clau-dio? Cosa ci trovi? (= in lui).È dell'italiano colloquiale, maammissibile. Sono invece sen-z'altro impropri gli usi che fan-no corrispondere ci a «a lui»,«a lei», «a loro»: *Li ho visti eci ho parlato.

Pronomi pleonastici

I pronomi personali, il riflessivoe le particene pronominali, nel-la misura in cui sono atte a co-lorire il messaggio del locutore,danno luogo a frasi ricche diaffettività: agli elementi obiettivie alle indicazioni indispensabilisi aggiungono, attraverso i pro-nomi e le particene, connota-zioni «pleonastiche», cioè su-perflue sul piano logico (vedigli esempi nel riquadro sotto).

Accetta questo assegno?

Ecco la lettera, impostala.

Prima devi affrancarla.

Mi accetta questo assegno? Melo accetta questo assegno?

Eccola la lettera, impostamela.

Prima metticelo il francobollosulla lettera!

Insegnerò l'educazione a quel Gliela insegnerò io l'educazio-furfante. ne a quel furfante!

118

Le frasi della colonna a sinistrasono strettamente «economi-che». Le altre contengono unoo più elementi pleonastici, che,in vari modi e con diverse com-binazioni, enfatizzano l'interes-

se, l'intenzione, i sentimenti dichi parla. Sono ridondanti, maperfettamente naturali.Infine, mentre negli esempi vi-sti i pleonasmi trovano giusti-ficazione, la pura e semplice

ripetizione porta a veri spropo-siti: *A me il freddo mi piace(corretto: A me il freddo piace)]*C 'erano dei bei dischi, deiquali ne ho comprati tre (cor-retto: ...e ne no comprati tre).

N,

13. Aggettivie pronomi possessivie dimostrativi

1. POSSESSIVI: FORME E SIGNIFICATO

DEFINIZIONE

I possessivi indicano il possesso (in senso molto lato) da parte del parlante, o dell'interlocutore, o diun'altra persona (al singolare o al plurale); a ciascuno di essi si collega quindi — per il senso — unpronome personale. In sostanza, mio, tuo, ecc. significano di me, di te, ecc.; infatti possono venirecoordinati a un complemento di specificazione: Questa bicicletta è mia e di Giorgio.Vediamone il quadro complessivo.

singolare

maschile

mio

tuo

suo

nostro

vostro

femminile

ma,

tua

sua

nostra

vostra

plurale

maschile

miei

tuoi

suoi

nostri

vostri

femminile

mie

tee

sue

nostre

vostre

loro (invariabile)

pronomi personali a cui si collegano per il senso

I4 pers. sing. (io)

2" pers, sing. (tu)

3a pers. sing. (egli, essa)

la pers. plur. (noi)

2" pers. plur. (voi)

3a pers. plur. (essi, esse)

120

E inoltre:

proprio proprio propri proprie

altrui (invariabile)

AGGETTIVI E PRONOMI

I possessivi sono di uso comunissimo in funzionedi aggettivi (Io difendo la mia famiglia); sonoinvece di uso molto meno frequente in funzionedi pronomi (Io difendo i miei).

2. USO DEGLI AGGETTIVIPOSSESSIVI

COME ATTRIBUTI E COME PREDICATI

Al pari di ogni aggettivo, il possessivo può esse-re impiegato come attributo (Prendo la mia au-to) o come predicato (Questa auto è mia). Quan-do è attributo, accompagna un sostantivo intro-dotto dall'articolo oppure da un aggettivo dimo-strativo o indefinito:

il mio amico; la tua ragazza; la sua astuzia; unaloro protesta; mio dovere è... (qui l'articolo è «ze-ro»); questo nostro compagno; nessuna loro do-manda.

QUANDO SI OMETTE L'ARTICOLO

Con mio, tuo, suo, nostro, vostro si omette l'arti-colo quando il sostantivo è un nome di parentelaal singolare (sempre con padre, madre, figlio,figlia, quasi sempre con gli altri):

nostro padre; suo figlio; mio fratello; vostro zio(talora anche: il vostro zio).

Notate, invece, loro sempre con l'articolo: il loropadre, il loro nonno; sempre l'articolo quando ilsostantivo è al plurale: i tuoi figli. E ancora: unmio cugino ( = uno dei miei cugini); il figlio tuo(col possessivo posposto); il suo povero babbo(quando c'è anche un aggettivo qualificativo).

COLLOCAZIONE

II possessivo di norma viene preposto al sostanti-

vo e ai gruppi sostantivo + aggettivo o aggetti-vo + sostantivo:

il tuo coraggio; il tuo coraggio indomabile; il tuoindomabile coraggio.

La collocazione dopo il sostantivo risulta forte-mente marcata (Io curo anzitutto gli interessimiei); si ha quindi sempre nel vocativo e nelle e-sclamazioni, necessariamente enfatici (Anche tu,figlio mio?; Dio mio!; Caro mio!). Senza valore en-fatico in alcune locuzioni: a casa mia, a modomio, ecc.

PROPRIO

Proprio (che è anche un aggettivo qualificativo,col significato di «appropriato») può rafforzaremio, tuo, ecc. (per es.: nel mio proprio interesse) eassume il valore di possessivo quando:

• sostituisce, facoltativamente, i possessivi di 3"persona:

Egli ha un proprio ( = suo) idealeEssi amano i propri (= loro) cari

• serve da possessivo generico quando il sogget-to è rappresentato da un pronome indefinito e,obbligatoriamente, in frasi impersonali, quandoil soggetto è indeterminato:

Ognuno ha un proprio ideale (preferibile a: unsuo ideale)Non sempre si conoscono i propri difetti (qui«suoi» sarebbe errato).

ALTRUI

Altrui è un aggettivo possessivo di valore inde-finito; indica l'appartenenza ad altri, equivalendoa «di altri», «degli altri»:

Egli pretende la roba altruiIo non penso ai successi altrui.

3. IL POSSESSIVOCOME PRONOME

Preceduto dall'articolo determinativo e senza so-stantivo, il possessivo assume la funzione dipronome.

121

O!a

>I—I05

05OOH

M esempio:

Difenderò il mio ( = ciò che mi appartiene, il pa-trimonio) con tutti i mezzi; Io non distinguo tra ilmio e il tuo ( = ciò che appartiene a me e a te); Imiei ( = i miei genitori) sono all'estero; Catilinafu sconfitto con tutti i suoi ( = i suoi sostenitori).

Troviamo il possessivo come pronome anchein vari modi di dire e in espressioni particolari:

. Ne hai fatta una delle tue; Sta sulle sue; Gigi èdalla nostra (= dalla nostra parte).Ho ricevuto la Sua (= la sua lettera, nello stileepistolare; e così: la mia, la tua, ecc.).lì Nostro compose poi le «Operette morali» (anzi-

ché: il nostro autore, lo scrittore di cui parliamo,Leopardi).

Negli esempi dati finora il possessivo è esatta-mente un pronome che sostituisce un sostantivo.La funzione è ancora pronominale in enunciaticome questi:

Sono rimasto senza motorino: mi presti il tuo?Ci sono molte opinioni, ma noi teniamo alla no-stra.

Qui però il possessivo (tuo, nostra) trova precisoriferimento in un sostantivo (motorino, opinioni),che si trova nel contesto e che risulta semplice-mente sottinteso.

i. DIMOSTRATIVI: LE FORME

AGGETTIVI E PRONOMI

I dimostrativi questo, codesto, quello si impiegano tanto come aggettivi (Prendo questo panino),quanto come pronomi (Prendo questo); gli altri — questi, costui, ciò, quegli, colui — solo come pro-nomi (Costui è pazzo). I prospetti qui sotto mettono in evidenza col neretto i dimostrativi di uso co-mune; i rimanenti sono di uso più ristretto oppure antiquati.

in funzione di aggettivi e di pronomi

singolare

maschile

questo

codesto

quello

femminile

questa

codesto

quella

plurale

maschile

questi

codesti

quelli

femminile

queste

codeste

quelle

riferimentoal

pronomepersonale

di:

la persona

2a persona

3" persona

in funzione di pronomi

singolare

maschile

questicostui

femminile

costei

.ciò («neutro»)

queglicolui

colei

plurale

costoro

coloro

riferimentoal

pronomepersonale

di

la persona

3" persona

NOTE

• Di codesto c'è anche la variante cotesto. capitolo 10, § 2). Quando è pronome si usano invece• Quello aggettivo presenta varianti sul modello del- solo quello, quella, quelli; nota peraltro, con valorel'articolo determinativo (quel, quell', quel, ecc.: vedi «neutro», sia quello che, sia quel che.

122

5. I DIMOSTRATIVIQUESTO, CODESTO, QUELLO.

VALORE ED USO

QUESTO, CODESTO, QUELLO

I dimostrativi indicano fondamentalmente unrapporto locale: questo è detto di ciò che è vicinoal parlante (la persona); codesto di ciò che è vici-no all'interlocutore (2a persona); quello di ciò cheè lontano da entrambi (3a persona):

Questo libro mi interessa (il libro che ho in ma-no). Leggi da molto codesto giornale? (il giornaledell'interlocutore). Guarda quel manifesto (unmanifesto lontano da chi parla e da chi ascolta).

In realtà però solo in Toscana il dimostrativo co-desto è vivo. Altrove è scomparso dall'uso, anchenella lingua letteraria, sostituito in genere daquesto, mentre sussiste in certi usi burocratici eamministrativi (Si invita codesta Ditta a...).

Oltre che a uno spazio fisico, i dimostrativi pos-sono riferirsi a una vicinanza o distanza nel tem-po, oppure in uno spazio mentale:

Questa mattina il tempo era incerto; Questa serausciamo; Ti ricordi di quella sera?; Tutti sonod'accordo, e questa intesa ci soddisfa; Si sono op-posti all'accordo, e quel comportamento ci delude.

VALORE «ANAFORICO»

Anziché avere un valore indicativo, quando desi-gnano qualcosa che, materialmente o mentalmen-te, è qui o là, i dimostrativi possono stabilire li-na relazione con un altro elemento della frase (evengono allora detti, con termine tecnico, «ana-forici»). In particolare si trovano in relazione, ocorrelazione, con un pronome relativo:

Questi ragazzi che vedi sono i miei figlioli.Quegli amici di cui ti avevo tanto parlato sonofinalmente arrivati.

QUESTO E QUELLO COME PRONOMI

Abbiamo visto finora esempi con questo e quel-lo in funzione di aggettivi. Ma possono essereimpiegati anche come pronomi:

Mario e Siila? Di questi-vi parlerò nella prossimalezione

Sono finalmente arrivati. Sono quelli di cui ti ave-vo tanto parlato.

CON VALORE «NEUTRO»

I pronomi dimostrativi, al singolare maschile,possono non indicare una persona o una cosa,ma riferirsi a un'azione, una situazione, un'inte-ra frase. In tal caso li chiamiamo «neutri» (si ègià considerato con tale valore il pronome perso-nale lo; vedi capitolo 12, § 4):

Hai sbagliato: io rilevo questo, ti rimprovero perquesto; Vuole vincere: pensa solo a quello; Haperso: è quel che avevo previsto.

In alcune locuzioni acquista un valore neutro ancheil femminile: Sentite questa; Questa è buona.

NOTE

• Si può insistere sul valore locale dei dimostrativirafforzandoli mediante avverbi di luogo: questo qui,quello là, questa stoffa qui.

• Come l'articolo, il dimostrativo si colloca all'iniziodel gruppo nominale; per es.: Questo tuo stesso stranoprogetto.

• Nelle antitesi, questo e quello si riferiscono rispetti-vamente a ciò che è stato nominato per ultimo e perprimo: Classici e romantici si diedero battaglia: questi[= i romantici] aspiravano alla novità, quelli [= iclassici] difendevano la tradizione.

6. ALTRI PRONOMIDIMOSTRATIVI

I seguenti dimostrativi sono soltanto pronomi e(tranne ciò) non sono di uso frequente.

• Questi. Equivale a questo, ma si usa solo alsingolare maschile, riferito a persona e in funzio-ne dì soggetto:

Nel 1152 divenne re di Germania Federico I. Que-sti decise subito di intervenire in Italia.

• Costui. Equivale a questo (o a codesto), ma siriferisce solo a persona; è di uso prevalentemen-

123

COOS

cocococo

2

te letterario ed ha spesso valore spregiativo:

£ un bruto, costui! Non vorrai parlarmi di costei?X e Y sono personaggi ambigui: non fidarti di co-storo.

• Quegli. Equivale a quello; solo maschile sin-golare, riferito a persona e in funzione di sogget-to. Letterario e raro.

• Colui. Equivale a quello, ma si riferisce soloa persona; prevalentemente letterario, non di ra-do con valore spregiativo. È di uso più frequentecome «correlativo» del pronome relativo:

È giunto colui che aspettavamo', Benedite coloroche vi maledicono.

• Ciò. Ha sempre valore neutro e si usa spessoal posto di questo, questa cosa, queste cose:

Mi hai capito, e ciò mi basta; Di ciò parleremo inseguito; A tutto ciò non c'è rimedio.

Ciò è pure comune, al posto di quello, come «cor-relativo»:

// vostro bene è proprio ciò che mi sta a cuore.

7. I «DETERMINATIVI DI IDENTITÀ»STESSO E MEDESIMO

VALORI E COLLOCAZIONE

Sono affini ai dimostrativi i due aggettivi stessoe medesimo, che indicano l'uguaglianza, l'iden-tità, e che chiamiamo «determinativi di identità».L'identità si può concepire in due modi:

1) come non-diversità (stesso, medesimo = nondiverso). Con tale valore il determinativo di nor-ma precede il sostantivo:

Hai lo stesso aspetto di prima (cioè non diversoda quello di prima); Ripetono sempre le stesse pa-role; Raccontano sempre le medesime cose; Abbia-mo lo stesso professore che ci seguì l'anno scorso

2) come il non essere un altro (stesso, medesimo— non qualcun altro). Con tale valore il deter-minativo di solito (ma non necessariamente) se-gue il sostantivo:

L'aspetto stesso rivela la tua buona salute (cioènon qualche altra cosa, per es. un certificato me-dico, ma l'aspetto di per sé, da solo, proprio l'a-spetto); // presidente stesso ha inaugurato la mo-stra ( = lui in persona, proprio lui); // professorestesso esitò ( = perfino lui); Non ci riuscirebbe lostesso professore ( = nemmeno lui). In tutte que-ste frasi potremmo però anche avere: Lo stesso a-spetto rivela la tua buona salute; Lo stesso presi-dente...; ecc.

Si noti che medesimo, propriamente, non differi-sce per valore da stesso, ma è meno comune, inparticolare nel significato 2), ed è caratteristicopiù della lingua letteraria che del parlato.

NOTA

• Stesso e, meno frequentemente, medesimo servo-no a rafforzare i pronomi personali e riflessivi (io stes-so, me stesso, se stesso), come pure i dimostrativi e ipossessivi (questo stesso, quello stesso, mio stesso,ecc.).

COME PRONOMI E CON VALORE «NEUTRO»

Preceduti dall'articolo determinativo e senza so-stantivo, stesso e medesimo assolvono la fun-zione di pronomi:

Paolo ed Ernesto hanno vinto il torneo interno ditennis; gli stessi parteciperanno alla selezione pro-vinciak.La signorina Z ha presentato domanda per un po-sto di segretaria; peraltro la medesima non risultanella Usta di collocamento.

Si osservi, infine, il valore «neutro» in una frasecome Ho raccomandato a tutti la prudenza e lostesso raccomando a te e in locuzioni come: È lostesso; Fa lo stesso.

124

L

DUBBI LINGUISTICI

Due distinti valoridi suo e l'usodi proprio

Se riflettiamo, il possessivo suo(e analogamente loro) possiededue valori logici distinti. Quan-do io o il mio interlocutore di-ciamo, parlando di Paolo: How'sto suo padre, con suo ci rife-riamo a una terza persona ri-spetto a noi, e intendiamo (epossiamo anche dire) di lui, diPaolo. Invece nella frase Paoloama suo padre il possessivosuo si riferisce a Paolo, cioè alsoggetto stesso della proposi-zione (e suo non sarebbe sosti-tuibile con di lui).Questa distinzione è fondamen-tale in latino, ma anche in ita-liano la distinzione, in qualchecaso, la facciamo. Per esempio,con Paolo ha incontrato Franconella sua villa intendiamo nor-malmente «nella villa di Pao-lo»; ma, se la situazione o ilcontesto indirizzano in tal sen-so, anche «nella villa di Fran-co». E se la villa è quella diFranco e vogliamo esprimercisenza alcuna possibilità di e-quivoci, diremo: Paolo ha in-contrato Franco nella villa di

lui, oppure di questo. Inveceper sottolineare che si trattadella villa di Paolo (il soggettodella frase) II mezzo con cui ot-teniamo la massima precisioneè un altro: Paolo ha incontratoFranco nella propria villa.

Soffermiamoci ancora un istan-te sul possessivo proprio: puòsostituire suo solo quando il ri-ferimento è al soggetto. Nonpotrebbe certo essere messo alposto di suo nella frase Ho vi-sto suo padre.

L'uso di codesto

Nel parlato il dimostrativo co-desfo è circoscritto alla Tosca-na. Tuttavia, in passato, l'usotoscano si era imposto alla lin-gua letteraria, dalla quale èscomparso, e non del tutto, so-lo nel nostro secolo. Ecco un e-sempio in due battute da undramma di Luigi Pirandello:

Lori Posso rìtrarmi da qualun-que sentimento! Da que-sto, no, no!

Salvo È incredibile, è incredibi-le! — Va bene, persistiin codesta fissazione.

Come ogni altro fenomeno didepauperamento della lingua ildeclino di codesto non va certofavorito, ma è un dato di fatto.D'altra parte codesto sopravvi-ve nella prosa burocratica eanche commerciale. Ciò non èdovuto a inclinazioni puristiche,né all'inerzia di questi tipi dilinguaggi settoriali, bensì ad u-na esigenza effettiva.Nella corrispondenza tra ufficiraramente c'è un io che si ri-volge a un tu o a un lei: «Mimandi quel documento» lo sipotrà dire per telefono, ma,quando si scrive una lettera, sicomincerà più o meno così: «V;sollecitiamo a trasmettere ladocumentazione relativa a...».È però un tipo di comunicazio-ne ancora un po' personalizza-ta; un altro passo verso laspersonalizzazione porta allaseguente formulazione: «Que-sta Amministrazione si permet-te di sollecitare codesto Ufficioa trasmettere...».Vale a dire — fermiamo l'atten-zione sui due dimostrativi, peressere sicuri di comprenderebene il messaggio! — con que-sta ci si riferisce al mittente (anoi, a me), con codesto a ciòche concerne il destinatario.

125

14. Pronomi e aggettiviinterrogativi, relativie indefiniti

1. PRONOMI E AGGETTIVI INTERROGATIVI

DEFINIZIONE

I pronomi e aggettivi interrogativi servono a introdurre quel tipo di domanda con cui il parlante, ri-ferendosi a un essere animato o a una cosa, manifesta il desiderio di conoscerne:

l'identità (Cfti è? Che libro leggi?);la qualità (Quale preferisci?);la quantità (Quanto pago?).

Alcuni interrogativi sono solo pronomi, altri solo aggettivi, altri sia pronomi sia aggettivi, e alcunisono variabili, altri invariabili: come risulta dal seguente prospetto.

pronomi

aggettivo

pronomi e aggettivi

(rif. a persona) chi? (invar.)(rif. a cosa) che? che cosa? cosa? (invar.)

che? (invar.)

quale? (pi. quali?)quanto? (femm. quanta?; pi. quanti?, quante?)

127

Otó

OSSERVAZIONI E PARTICOLARITÀ

• Chi è invariabile; vale per il maschile e ilfemminile, per il singolare e (solo come predica-to) per il plurale:

Chi è arrivato? Chi è stata di voi, ragazze? Chicredete di essere?

Anche che aggettivo è invariabile (masch. efemm., sing. e plur.):

Che individuo è? Che rivista leggi? Che scarpemetti?

• Tra i pronomi che?, che cosa?, cosa? il pri-mo è un po' letterario (Che leggi?) e sono di usopiù corrente gli altri due (Che cosa leggi? Cosaleggi?). In che cosa e in cosa il sostantivo cosa di-venta uno «strumento grammaticale», cioè, seb-bene cosa sia femminile, la loro concordanza è almaschile: Che cosa è accaduto?

• Quale e quanto sono declinabili e hanno lestesse forme per il pronome e l'aggettivo:

Ecco due dischi: quale preferisci? (pron.); Qualedisco preferisci? (agg.); Quanto pago? (pron.);Quanto denaro hai con te? (agg.).

NOTE

• Nell'uso che e quale aggettivi vengono spesso acoincidere. Tra Che strada prendi? e Quale stradaprendi? avvertiamo infatti appena una sfumatura.

• Oltre che nelle interrogazioni, tutti gli interrogati-vi si usano anche nelle frasi esclamative. A distin-guere la diversa funzione non c'è che l'intonazione di-versa dell'enunciato e, nella pagina scritta, l'appositosegno d'interpunzione: Chi parla! Che chiasso! Qualesollievo! Quanto denaro occorre!

• Sotto l'aspetto sintattico gli interrogativi si im-piegano in funzione sia di soggetto (Chi parla?), siadi oggetto (Chi guardi?), sia di complemento indi-retto (A chi ti rivolgi? Con chi parli?).

• Fin qui si è parlato di interrogazioni dirette (quel-le in cui il pronome o l'aggettivo interrogativo apreuna proposizione indipendente). Ma gli interrogativipossono introdurre anche proposizioni dipendenti,cioè «interrogative indirette» (vedi capitolo 34, § 5),le quali non sono più contraddistinte né dall'intona-zione né dal punto interrogativo: Ti chiedo chi verràstasera; Non so quanti invitati verranno; ecc.

2. I PRONOMI RELATIVI:FUNZIONE

E QUADRO COMPLESSIVO

DEFINIZIONE E CARATTERI GENERALI

Tra i pronomi relativi ritroviamo alcune parolegià incontrate come pronomi o aggettivi interro-gativi (per esempio che), ma la funzione che as-solvono nella frase è del tutto diversa:

Che libro leggi?

Unica proposizione; che èaggettivo interrogativo,attributo di libro.

Leggo il libro chemi hai regalato

Un periodo con due pro-posizioni: 1) la reggenteLeggo il libro; 2) la «rela-tiva» che mi hai regalato,dove il pronome che rap-presenta il libro.

Dunque il pronome relativo si trova sempre inuna proposizione dipendente (proposizione «rela-tiva») e serve a porla in relazione con un sostan-tivo della reggente. Nello stesso tempo sostitui-sce un nome e stabilisce un collegamento.

Pur assolvendo la medesima funzione, i relativipresentano una notevole varietà:

il quale(la quale, i quali,

le quali)

che (invar.)cui (invar.)chi (invar.)

Inoltre: quale, quanto (vedi § 3).

3. I SINGOLI RELATIVI

USO DEI PRONOMI IL QUALE, CHE, CUI

Per i pronomi relativi il quale, che, cui inter-vengono distinzioni (che abbiamo già rilevato aproposito dei pronomi personali) connesse con lafunzione sintattica: di soggetto, oggetto, comple-mento indiretto. Presentiamo a pagina seguenteun prospetto del loro uso.

128

il quale, la quale, i quali,le quali(in quanto variabile, è ilpiù preciso)

è usato

- come complemento indiretto,introdotto dalle preposizioni di,a, da, ecc.

- non frequentemente come sog-getto

- mai come oggetto

esempi

Questo è il ragazzo del quale ti parlavo; Le ma-terie alle quali mi applico di più sono l'inglese el'italiano.

Grandi sono le scoperte di Galileo, le quali i-naugurano la fisica moderna.

che(invar., di uso molto fre-quente anche per la suabrevità e flessibilità)

- frequentemente come soggetto

— è il solo impiegabile come og-getto

- mai come complemento indi-retto

Grandi sono le scoperte di Galileo, che inaugu-rano la fisica moderna.

È arrivata l'occasione che aspettavamo.

cui(invar.)

- solo come complemento indi-retto:

1) introdotto dalle prep. di, a, da,ecc. = del quale, al quale, ecc.

2) inserito tra l'articolo determi-nativo e un sostantivo = di cui

3) = a cui

Questo è il ragazzo di cui ti parlavo; Sono po-che le persone a cui ci affidiamo completamente.

Ti cito una ditta la cui serietà è indiscussa (inalternativa a: ... una ditta di cui è indiscussa laserietà, oppure: ... una ditta della quale è indi-scussa la serietà).

L'argomento cui mi riferisco è interessante (inalternativa a: L'argomento a cui..., oppure:L'argomento al quale...).

NOTA• II pronome che può venire riferito non a un so-stantivo, ma a un'intera proposizione, assumendo va-lore «neutro»: Purtroppo esiti, che è un errore imper-donabile. Anche se è preceduto da preposizione: Pur-troppo esiti, del che ti pentirai.Che neutro ha come alternative il che, la qual cosa,cosa che (Purtroppo esiti, il che...); ma, più spesso, siusa un costrutto «coordinato», col pronome dimostra-tivo: Purtroppo esiti, e questo è un errore imperdonabi-le; Purtroppo esiti, e di ciò ti pentirai (oppure: e te nepentirai).

CHI COME PRONOME RELATIVO

II pronome relativo chi (da tenere distinto dachi? interrogativo) è usato per il maschile e fem-minile singolari e riferito solo ad essere animato.

Include in sé — quanto al senso — un dimostra-tivo (ed è perciò anche detto «misto» o «dop-pio») e viene ad equivalere a: colui (o quello) che,colei (o quella) che. Esempi:

- Chi tace acconsente(= Colui che tace ac-consente)- Scegli chi preferisci

come amica (= Sceglicolei che preferisci co-me amica)- Non disprezzare chi

ha idee diverse ( =Non disprezzare coluiche ha idee diverse)

sotto l'aspetto sintatticonotate'.

- chi è soggetto sia ditace, sia di acconsente

- chi è oggetto sia discegli, sia di preferisci

- chi è oggetto di di-sprezzare e soggetto diha

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^i - Gioca con chi prefe- - chi è compi, indir, di*£ risei ( = Gioca con co- gioca e oggetto di preferi-

lui - o colei • che prefe- scirisei)

Come si è rilevato nelle note a destra del prospettodegli esempi, chi può assolvere nella proposizione re-lativa e nella reggente la stessa funzione sintattica(soggetto-soggetto, oggetto-oggetto), oppure anche fun-zioni diverse (soggetto-oggetto, ecc.). Ma con una li-mitazione: non può assolvere la funzione di due com-plementi indiretti richiedenti preposizioni diverse. Sipuò dire: Diffido di chi tutti diffidano (di chi = di co-lui del quale), ma non è ammesso: *Mi affido a chitutti diffidano; si dirà necessariamente: Mi affido a co-lui del quale (o di cui) tutti diffidano.

QUALE E QUANTO COME RELATIVI

Quale e quanto si usano come pronomi e agget-tivi relativi in correlazione il primo con tale, ilsecondo con tanto: Ha rivelato un coraggio talequale nessuno si aspettava; Dammi tanto denaroquanto occorre. Anche col correlativo non espres-so: Ha rivelato un coraggio quale nessuno si a-spettava.Inoltre quanto può assolvere una funzione dipronome «misto» analoga a quella di chi ed equi-valere a tutto quello che:

Dammi quanto (= tutto quello che) occorre; Pos-sono intervenire quanti (= tutti coloro che) lodesiderano.

4. PRONOMI E AGGETTIVIINDEFINITI:

QUADRO COMPLESSIVO

DEFINIZIONE

Quella degli indefiniti è la sottoclasse più riccadei pronomi e degli aggettivi determinativi. Lichiamiamo «indefiniti» perché nel loro assieme- rispetto ad altri pronomi e aggettivi, per e-

sempio ai dimostrativi — forniscono un'indicazio-ne meno precisa. Quando dico Leggi queste pagi-ne, usando un dimostrativo, intendo delle pagineben determinate; invece nelle frasi Leggi qualchepagina, Leggi poche pagine, dove compaiono de-gli indefiniti, l'indicazione rimane, fino a un cer-to punto, indeterminata.

Molti indefiniti si impiegano sia come pronomisia come aggettivi, altri solo come pronomi, al-tri solo come aggettivi: ciò risulta chiaramentedal prospetto che segue. Nel prospetto — e nelleprecisazioni fornite nel § 5 — essi sono raggnip-pati in base ai significati fondamentali.

1) unoqualcunoqualche cosa, qualcosaqualchealcunoalcunchétalunotaleun talecertunocerto

2) pocoparecchiotantoaltrettantomoltotroppotutto

3) altroun altro

4) ogniognunociascunochiunquechicchessiaqualunquequalsiasi

5) nessunonientenulla

pronomepronomepronomeaggettivopron., agg.pronomepron., agg.aggettivopronomepron., agg.aggettivo

pron., agg.pron., agg.pron., agg.pron., agg.pron., agg.pron., agg.pron., agg.

aggettivopronome

aggettivopronomepron., agg.pronomepronomeaggettivoaggettivo

pron., agg.pronomepronome

5. VALORE E USODEGLI INDEFINITI

1) UNO, QUALCUNO, ALCUNO, ecc.

• Uno (femm. una) è anche il primo dei numera-li cardinali e l'articolo indeterminativo. Esempi

[130

dell'uso come pronome: È venuto uno; È uno deimiei amici; Non gliene va bene una!; Si amanol'un l'altro (uso «reciproco»). Al plurale si trovasolo nella correlazione gli uni... gli altri, le une...le altre.

• Qualcuno (-a) è solo pronome, solo singolaree in genere riferito a persona; con valore «neu-tro» abbiamo qualche cosa e qualcosa (concor-dato al maschile). L'aggettivo corrispondente èqualche, anch'esso solo singolare. Esempi:

Ti cerca qualcuno; Mi servono delle puntine: tro-vane qualcuna; Qualcosa è andato storto; Si trove-rà qualche rimedio; Vi detto qualche frase.

• Alcuno (-a; -i, -e) al singolare si impiega soloin frasi negative (vedi alla fine del paragrafo), ecosì pure alcunché (= alcuna cosa). Al pluralealcuni (-e) è di uso generale come sostantivo eaggettivo:

Alcuni sono subito accorsi; Tra le candidate alcu-ne non si sono presentate; Ho raccolto alcuni e-sempi.

• Taluno (-a; -i, -e) e certuno (-a; -i, -e) si usa-no soprattutto al plurale, con valore simile a al-cuni. L'aggettivo corrispondente a certuno è cer-to (Ha un certo fascino; Sono venute certe perso-ne); peraltro, posposto al sostantivo, certo è unaggettivo qualificativo (= sicuro).

• Un tale (una tale) è pronome con valore af-fine a qualcuno (È venuto un tale). Invece taleaggettivo indica la qualità e modalità (Ho avutouna tale paura!) ed è soprattutto usato per anti-cipare una proposizione consecutiva: Avevo unatale paura che non riuscivo a connettere. Può an-che avere un valore dimostrativo (= questo).

NOTA

• Qualcuno, alcuno, taluno, certuno (e inoltre ognu-no, ciascuno, nessuno), tutti composti con uno, presen-tano gli stessi fenomeni di elisione e troncamento diuno articolo (vedi capitolo 9, § 2): qualcun altro, qual-cun'altra, ecc.

2) POCO, PARECCHIO, 6CC.

• Poco, parecchio, tanto, altrettanto, molto,troppo indicano la quantità indeterminata e sidispongono come in una scala ascendente e cul-minante in tutto, che esprime la totalità o la

completezza. Si declinano regolarmente (-a; -i, -e)e si impiegano sia come aggettivi, sia come pro-nomi.

NOTA

• Tutto aggettivo presenta la peculiarità di venirecollocato all'inizio del gruppo nominale, precedendoanche l'articolo e il dimostrativo:

Tutto il giorno; Tutti gli amici; Tutti quegli amici;Tutti quegli altri nuovi amici.

3) ALTRO

• Altro (o-; -i, -e) è aggettivo. Preceduto dall'ar-ticolo, diventa pronome: un altro, l'altro, delle al-tre, ecc.; con valore «neutro» anche altro, senzaarticolo: Io aspiro ad altro (= a un'altra cosa).

4) OGNI, OGNUNO, 6CC.

• Ogni è invariabile e soltanto singolare, maindica una totalità (ogni giorno = tutti i giorni).Si impiega come aggettivo e gli corrisponde ilpronome ognuno (-0). Analogo il significato diciascuno (-a), anch'esso solo singolare, ma siaaggettivo, sia pronome. Ognuno e ciascuno hannopure valore distributivo, e allora possono compa-rire al singolare col verbo al plurale e riferiti aun sostantivo plurale:

Ciascuno di voi ha un diverso incaricovete ciascuno un diverso incarico.

Voi a-

• Chiunque e (di uso non frequente) chicches-sia indicano una totalità con una sfumatura ipo-tetica (chiunque = ognuno, se c'è) e si usano co-me pronomi; gli aggettivi corrispondenti sonoqualunque e qualsiasi. Esempi:

Chiunque (opp. chicchessia) è pronto a farlo; Qua-lunque aggiunta è superflua; Qualsiasi sforzo oraè inutile.

Chiunque e qualunque possono anche introdur-re (e anzi è proprio questa la loro funzione origi-naria) una proposizione relativa, assumendo unvalore indefinito-relativo (da confrontare conquello di chi relativo, vedi § 3):

Chiunque sia, si è comportato bene; Qualunquedomanda abbia posto, gli va data una risposta.

131

E-HI—I

5P«H

Q

5) INDEFINITI NEGATIVI - LA FRASE NEGATIVA « qualcheduno: non frequente per qualcuno;

• Nessuno (femm. -a; solo sing.) è il pronome eaggettivo negativo; lo affiancano con valore«neutro» (= nessuna cosa) niente e, più lettera-rio, nulla (invariabili, con concordanza al ma-schile).La frase negativa ha inizio di norma con la paro-la che esprime la negatività e questa, in ogni ca-so, precede il verbo. Tale parola può essere, ap-punto, nessuno, niente, nulla:

Nessuno potrà ostacolarmi; Nessun ostacolo mispaventa; Niente mi fermerà; Nulla è perduto.

Ma l'elemento negativo che apre la frase spessoè l'avverbio non. Pronome o aggettivo negativoallora seguono il verbo, senza che il senso dell'e-nunciato cambi (le due negazioni si rafforzano avicenda):

Non potrà ostacolarmi nessuno; Non mi spaventanessun ostacolo; Non mi fermerà niente; Non o-bietta nulla.

Con non o un altro elemento negativo all'iniziodella frase sono pure possibili (e il senso rimaneinvariato) alcuno, uno, alcunché:

Non vedo alcun ostacolo; Non obiettò alcunché;Nessuno mi ha mai mosso alcuna obiezione.

6. INDEFINITIDI USO MENO COMUNE

Oltre agli indefiniti che abbiamo visto ne esistono al-tri, in tutto o in parte caduti in disuso o, in ogni ca-so, adoperati poco frequentemente:

• alquanto (-a; -i, -e): al sing. è solo aggettivo; indi-ca un certo numero o quantità; al plur. = alcuni;

• non so chi, non so che: sono brevi frasi e posso-no funzionare come tali (Non so chi sia venuto), mapossono anche assumere la funzione di pronomi o ag-gettivi indefiniti, col valore all'inarca di qualcuno, untale, ecc.: L'ha già detto non so chi; Ha addotto non soche scuse;

• altri: sing. masch. invariabile = un altro. Esem-pio: Altri potrà muovere obiezioni, ma io mantengo lamia idea;

• ciascheduno (-a, solo sing.): antiquato per cia-scuno;

• cadauno (-o, solo sing.): antiquato, ma ancor oggidel linguaggio commerciale, per ciascuno;

• checché, checchessia (invariabili con valore neu-tro) = qualunque cosa;

• qualsisia, qualsivoglia (invariabili): non frequentiper qualsiasi;

• niuno (-a, solo sing.): antiquato per nessuno;

• veruno (-o, sing., agg. e pron.): antiquato per alcu-no (in frase negativa).

Tra i pronomi e gli aggettivi determinativi, la sotto-classe degli indefiniti non solo è la più numerosa, masi rinnova continuamente ed è accaduto che aggettiviqualificativi (come certo) o brevi frasi (quale si sia -»•quale sia-si -» qualsiasi) assumessero funzione prono-minale o determinativa.È questo, nella lingua di oggi, il caso di diverso, va-rio, numeroso: sono aggettivi qualificativi, ma tendo-no ad essere usati anche come indefiniti: Quel librocontiene diversi ( = parecchi) errori; Al fatto assistet-tero numerosi (= molti) testimoni. Avvertiamo, peral-tro, che la generalizzazione di questo uso non è racco-mandabile.

132

15. I numerali

1. I NUMERALI.I NUMERALI CARDINALI

CHE COSA SONO I NUMERALI

I «numerali» non costituiscono una parte del di-scorso a sé: si tratta di particolari aggettivi, cherappresentano la categoria più rigida e nellostesso tempo più ampia della lingua; i numeri na-turali, infatti, non possono essere che solo e sem-pre quelli, e sono infiniti. Chiamiamo cardinali(cioè fondamentali) uno, due, tre, quattro, ;.. echiamiamo ordinali (perché indicano l'ordine oposto di qualcuno o qualcosa in una serie) primo,secondo, terzo, quarto, ...

CARATTERISTICHE DEI NUMERALI CARDINALI

I numerali cardinali si rappresentano ordinaria-mente per mezzo di un apposito sistema di segni,le cifre dette arabe; si trascrivono in lettere nelcorpo di un testo non specialistico (purché nontroppo lunghi; ma vanno sempre in cifre i giornie gli anni delle date) e inoltre, a conferma del-l'indicazione in cifre, in atti amministrativi efinanziari (versamenti, vaglia, assegni, ecc.). Ve-diamone alcune peculiari caratteristiche.

• Hanno nomi individuali i primi dieci, base ditutta la numerazione, e inoltre il 20, il 100, il1000, il milione e il miliardo; sono composti inmodi vari e particolari i numeri da 11 a 19 e inumeri delle decine (da 50 a 90). Gli altri si ot-tengono per semplice giustapposizione (ventitré= venti + tre).

• Sono invariabili, tranne:• uno, che ha le stesse forme dell'articolo inde-

terminativo;

- mille, che in composizione diventa -mila (due-mila, tremila, ecc.);- milione e miliardo, che hanno il plurale; da

soli, sono collegati al sostantivo dalla preposizio-ne di: un milione di lire, due milioni di lire. Ma:un milione e duecentomila lire.

• Si collocano davanti al sostantivo (ire fratel-li, diecimila lire). Per alcuni casi in cui si po-spongono al sostantivo vedi § 3.

• Come tutti gli aggettivi, possono sostanti-varsi:

Ho preso otto; Siamo rimasti in tre; il due di cop-pe; il ventisette del mese; i Mille; la Uno.

Sono da intendere sempre come sostantivi nelle ope-razioni aritmetiche e, più in generale, in matematica,insieme con tutte le altre specie di numeri che i mate-matici hanno creato (negativi, irrazionali, ecc.).

NOTE

• Zero è un sostantivo (Io zero, uno zero), impiegatoanche come aggettivo invariabile (il punto zero, cas-sintegrati a zero ore).• Alcuni numerali cardinali si usano con valore in-determinato o iperbolico in varie espressioni: Te lodico in due parole; Sono quattro gatti ( = pochissimi);Ci aiuta in cento modi.• Le cifre elevatissime e astronomiche: in tutte leindicazioni di natura finanziaria basta miliardo (peres. Il deficit di bilancio è stato di 110.000 miliardi). Diuso raro bilione (= miliardo, un tempo anche =1000 miliardi), trilione (= 1000 miliardi), quadrilione(= 1000 trilioni). Per numeri elevatissimi le scienzeesatte preferiscono usare le potenze di 10: IO9 ( = unmiliardo), IO12, IO15, ecc. Per trascrivere queste e-spressioni si impiega, dopo 1, un numero di zeri pariall'esponente.

134

2. I NUMERALI ORDINALI

FORMAZIONE DEGLI ORDINALI

I primi dieci numerali ordinali hanno nomi indi-viduali (indipendenti dai corrispondenti ordinaliprimo e secondo, con radice comune ad essi terzo,quarto, ecc.). Gli altri si formano di norma colsuffisso -esimo (undicesimo, dodicesimo, ...).Si scrivono in lettere, oppure si rappresentanocon le cifre romane o con le cifre arabe seguiteda o, a in esponente:

quarto = IV = 4°; quarta = IV = 4"

CARATTERISTICHE DEGLI ORDINALI

• Si declinano allo stesso modo degli aggettiviqualificativi: quarto, quarta; quarti, quarte.

• Si collocano davanti al sostantivo (il primoincontro, la quarta corsa), tranne che con nomi disovrani, papi, principi (Federico II, Luigi XIV,Giovanni XXIII) e in varie indicazioni del tipo:capitolo primo, parte seconda, classe prima, attoterzo.

• Come tutti gli aggettivi, possono sostanti-varsi: un secondo (= minuto secondo); viaggia-mo in prima; ti aspetto al quarto; innesta la terza;la Nona di Beethoven.

• Acquistano valore partitivo in alcuni usi,quando non si riferiscono all'ordine in una serie,ma alla parte di una certa quantità. Ad es. ses-santesima nella frase // minuto è la sessantesimaparte dell'ora. A tale valore va riportato l'impie-go dell'ordinale sostantivato per indicare il deno-minatore nelle frazioni (1/4 = un quarto; 3/4 =tre quarti) e in varie espressioni derivate (un ter-zo dell'anno, un quarto di vino, un decimo di se-condo, ecc.).

PROSPETTO DEI NUMERALI ORDINALI E CARDINALI

cifra araba

123456789

10111213141516171819202122232628304050

nome del numero cardinale

uno (un, una)duetrequattrocinqueseisetteottonovedieciundicidodicitrediciquattordiciquindicisedicidiciassettediciottodiciannoveventiventunoventidueventitréventiseiventottotrentaquarantacinquanta

cifra romana

IIIIIIIVVVIVIIViliIXXXIXIIXIIIXIVXVXVIXVIIXVIIIXIXXXXXIXXIIXXIIIXXVIXXVIIIXXXXLL

nome del numero ordinale

primosecondoterzoquartoquintosestosettimoottavononodecimoundicesimododicesimotredicesimoquattordicesimoquindicesimosedicesimodiciassettesimodiciottesimodiciannovesimoventesimoventunesimoventiduesimoventitreesimoventiseiesimoventottesimotrentesimoquarantesimocinquantesimo

135

cifra araba

60708090

100101102108110111180200

100010011002100811002000

10.000100.000

1.000.0001.000.0011.100.0002.000.000

1.000.000,0001.000.200.0002.000.000.000

nome del numero cardinale

sessantasettantaottantanovantacentocentounocentoduecentoottocentodiecicentoundicicentottantaduecentomillemilleunomilleduemilleottomilkcentoduemiladiecimilacentomilaun milioneun milione e unoun milione e centomiladue milioniun miliardoun miliardo e duecentomiladue miliardi

cifra romana

LXLXXLXXXXCCCIGIICVIIIexCXICLXXXCCMMIMIIMVIIIMCMMXC|X||X|I]X|Cixxi

nome del numero ordinale

sessantesimosettantesimoottantesimonovantesimocentesimocentounesimocentoduesimocentoottesimocentodecimocentoundicesimocentottantesimoduecentesimomillesimomilleunesimomilleduesimomilleottesimomillecentesimoduemillesimodiecimillesimocentomillesimomilionesimomilionesimo primomilionesimo centomillesimoduemilionesimomiliardesimomiliardesimo duecentomillesimoduemiliardesimo

NOTE

• II prospetto fornisce i modelli anche per i numera-li composti che possono suscitare qualche dubbio(ventuno, ventotto, centootto, ecc.). Talora però sonoammissibili anche soluzioni un po' diverse (in partico-lare negli ordinali composti, e nota per es. centotto,con elisione, in alternativa a centootto).• Sono antiquate le forme cento e uno, cento e due,ecc. al posto di centouno, centodue, ecc. La congiun-zione è invece obbligatoria dopo milione e miliardo(un milione e centomila).• Uno nei composti subisce facoltativamente il tron-camento: ventuno problemi o ventun problemi. Da soloè variabile, ma diventa invariabile nei composti: cen-touno caratteri, centouno lettere. Un tempo si preferivaconcordare uno, mettendo il sostantivo al singolare(cento e una lettera); sussiste (perché è un titolo, or-mai codificato così) Le mille e una notte.• Per gli ordinali da 11° a 19° esistono anche formelatineggianti: decimoprimo (e undecimo), decimosecon-do (e duodecimo), decimoterzo, ... decimonono. Anche,

più rare, per le decine, e poi nei composti: vigesimo,trigesimo, quadragesimo, ecc.; vigesimo (o ventesimo)primo, ecc. Si tratta di forme alquanto paludate, avolte preferite con nomi di papi o sovrani e per i se-coli. Possiamo dunque leggere Giovanni XXIII comeventitreesimo, ventesimo terzo o vigesimo terzo, oppureLuigi XVI come Luigi sedicesimo o decimosesto, ma èdi gran lunga preferibile la prima soluzione. Tra seco-lo tredicesimo e decimoterzo, diciassettesimo e decimo-settimo, ecc. la scelta è invece affidata al gusto perso-nale.

3. ALCUNE PARTICOLARITÀDEI CARDINALI E DEGLI ORDINALI

IL CARDINALE AL POSTO DELL'ORDINALE

Nell'indicare l'anno, il giorno del mese e l'orapropriamente ci riferiamo al posto occupato in u-

136

na serie e potremmo aspettarci il numerale ordi-nale; invece si usa il cardinale, posposto al so-stantivo:

l'anno 1990 (o il 1990); il giorno 12 giugno (o il 12giugno); sono le ore sette (o sono le sette).

Così pure si impiega il cardinale con pagina (peres. a pagina 40) e, facoltativamente, con capitolo,paragrafo, riga (per es. capitolo 15 in alternativaa capìtolo quindicesimo). L'uso è in via di espan-sione, favorito dalla sua scioltezza (la camera 22,la vettura 4, la formula uno, ecc.), e diventa ne-cessario con i numeri, spesso elevati, che con-trassegnano treni, voli, ecc. (l'espresso 927; il vo-lo 148 per Roma).

ESPRESSIONE DEI SECOLI

I secoli si indicano con l'ordinale:

il secolo I a. C.1; il secolo II d. C.; il secolo XIII;il secolo XX; anche: il I secolo a. C., il secolo ven-tesimo o il ventesimo secolo; ecc.

A partire dal secolo XIII si presenta l'alternativacol numerale cardinale abbreviato:

il Duecento (= secolo XIII); il Trecento (= seco-lo XIV); ... l'Ottocento (= secolo XIX); il Nove-cento (= secolo XX); anche: il '200, il '300, ecc.

4. DERIVATI DAI NUMERALI

I numerali forniscono la base a molti derivati;non si tratta di altre categorie di numerali, masemplicemente di gruppi di aggettivi qualificativie di sostantivi, ai quali è utile dare una rapidascorsa.

AGGETTIVI

• Aggettivi moltiplicativi: doppio, triplo, quadruplo,quintuplo, sestuplo, decuplo.

1 L'indicazione «avanti Cristo» si da per qualsiasi data an-teriore all'mizio della nostra èra. Il «dopo Cristo» è riserva-to al periodo iniziale dell'era e ad ogni caso in cui possanocrearsi equivoci; per il resto una data senz'altra indicazioneè sempre da intendere come d. C.

• Aggettivi quasi-moltiplicativi in -plice: duplice,triplice, quadruplice, quintuplice: formato di 2, 3, ecc.parti.

• Aggettivi collettivi: entrambi (femm. -e), ambedue(invariabile), ambo (invariabile, antiquato con questovalore), alternanti con tutt'e due; per numeri superiorisi usano tutt'e tre, tutt'e quattro, ecc.

• Aggettivi (anche sostantivati) in -ario: primario,secondario, terziario, quaternario, quinario, senario,settenario, ottonario, novenario: quasi sinonimi di pri-mo, secondo, ecc., i primi 4 si usano con significati di-versi (in geologia, in economia, ecc.); da quaternarioin avanti indicano versi di 4, 5, ecc. sillabe.

SOSTANTIVI

• Sostantivi in -ina: terzina, quartina, cinquina, se-stina, decina, dozzina (= circa o esattamente 12),ventina, trentina, quarantina, ... novantina. Apparten-gono ad aree semantiche diverse: con terzina, quarti-na, sestina la metrica indica strofe di 3, 4, 6 versi; cin-quina è la combinazione più fortunata del gioco dellotto (che si vale anche di ambo, terno, quaterna); pergli altri bastano gli esempi: una decina di esercizi, u-na dozzina di uova, un signore sulla cinquantina.

• Sostantivi in -etto: duetto (anche duo), terzetto,quartetto, quintetto, sestetto: specializzati soprattuttoper composizioni e complessi musicali.

• Sostantivi collettivi (e approssimativi) in -aio:centinaio, migliaio (plur. centinaia, migliaia)

AGGETTIVI E SOSTANTIVIPER IL TEMPO E L'ETÀ

• Biennio, triennio, quadriennio, quinquennio, decen-nio, ventennio, ... centennio, millennio: periodo di 2, 3,4, ecc. anni (hi- deriva dal latino bis, «due volte»).

• Biennale, triennale, ... decennale: che dura (o ricor-re ogni) 2, 3, ecc. anni.

• Centenario, bicentenario, millenario, bimillenario.

• Decenne, undicenne, ... ventenne, ... novantenne: cheha 10, 11, ecc. anni di età; dai 70 in su anche: settua-genario, ottuagenario, nonagenario.

• Bimestre, trimestre, quadrimestre, semestre: periododi 2, 3, ecc. mesi; bimestrale, trimestrale, ecc.: che du-ra (o ricorre ogni) 2 mesi, ecc.; bimensile: che ricorre(per es. si pubblica) due volte al mese.

• Bisettimanale, trisettimanale: che ricorre, si pubbli-ca 2, 3 volte alla settimana.

137

S

VALORE DISTRIBUTIVO

Non esistono in italiano aggettivi specifici con valoredistributivo, né avverbi distributivi. I concetti distri-butivi si esprimono con:

• due alla volta, tre alla volta, ...; oppure: due pervolta, a due a due, ecc.;

• due volte, tre volte, ecc. Si ricorre agli avverbi lati-ni bis e ter (= «due volte», «tre volte») assegnando

loro valori vari: treno bis; foglio 120 ter. È formazionemoderna tris, usata nel poker e al ristorante: iris d'os-si, tris di minestre.

FRAZIONI

L'unico aggettivo specifico esprimente una frazione èmezzo: 112. Per le altre si ricorre al numerale cardi-nale per il numeratore, all'ordinale per il denomina-tore: un quarto, due terzi, ecc.

DUBBI LINGUISTICI

Sistema numericoe sistema di cifre.Le cifre romane

Non si deve confondere il siste-ma numerico con i sistemi disimboli inventati per registrarei numeri. Il nostro sistema nu-merico è il medesimo della lin-gua latina: il «decimale». Di-versi sono i sistemi grafici. Ilnostro — ideato in India intornoal 500 d. C. e trasmesso all'Eu-ropa dagli Arabi dopo il Mille— si vale delle cifre che rap-presentano le prime nove unitàe dello zero, e assegna ad ognicifra un valore distinto a secon-da della posizione.Invece le cifre romane, che noiseguitiamo ad usare per gli or-dinali, corrispondono a un si-stema che ignora lo zero e at-tribuisce a determinati simboliun valore fisso:

I = 1 V = 5 X = 101 = 50 C = 100 D = 500M = 1000.

Per notare i vari numeri, li siscompone in addendi, e i simbo-li vengono ripetuti e giustappo-sti quante volte è necessario:

3 (= 1 + 1 + 1) è III6 (=5 + )) è VI

18 (=10 + 5 + 1 + 1 + 1)è XVIII

251 (=100 + 100 + 50 + 1)è CCLI

1627 (= 1000 + 500 + 700 ++ 10 + 10 + 5 + 1 + 1)è MDCXXVII.

Inoltre le cifre /, X, C di normasi prepongono a una cifra piùalta con valore sottrattivo:

4 (=5-1) è IV90 (=100- 10) è XC

7900 (= 7000 + 1000-100) èMCM.

Molte altre combinazioni sonoesemplificate nel prospetto deinumerali.

Le ore

Per l'indicazione dell'ora pren-dete norma da questi esempi:

è mezzogiorno (oppure sono ledodici), è mezzanotte (oppuresono le dodici); è l'una; sono ledue, sono le due e mezza (op-pure e mezzo); le due e unquarto, le due e tre quarti (op-pure le tre meno un quarto); ledue e venti, le due e quaranta(oppure le tre meno venti); lamezza, il quarto; le sei antime-

ridiane (abbreviato a.m.1), lesei pomeridiane (p.m.2).

Il linguaggio burocratico-ammi-nistrativo si rifa all'intero ciclodelle 24 ore e privilegia i minu-ti: le due e quindici, le quattor-dici e quarantacinque, le venti-quattro, le zero e trenta.

Le date

L'uso delle date si ritrova neipiù diversi contesti ed è regola-to da norme diverse.Per apporre la data su una let-tera, un documento ecc., maanche per ricordare quella di li-no specìfico avvenimento, o, in-fine, per riferirsi ad un periodostorico, si hanno a disposizionei seguenti modi:

- 12 giugno 1987, o 72.6.7987,o 12.W.7987, o tutte queste for-mule con '87 invece di 7987;

— nel '15, dal '45, il '68 valgo-no: nel 1915, dal 1945, il 1968.Solo in un contesto che nonammetta equivoci // '48 potràindicare una data di altro seco-lo, per es. // 7848;

1 Dal latino ante meridiem.2 Dal latino post meridiem.

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— gli anni Trenta, gli anni Ses-santa (anche: gli anni '30, glianni '60), ecc. sono formule sin-tetìche di origine anglosassonecon cui si intende il decennio1930-1939, il decennio 7960-1969, ecc. (eventualmente, in undato contesto, anche di un se-colo precedente).

I secoli

1915, 1945, 1968, 1989 sono da-te del nostro secolo, del secoloventesimo. Perché «20°» sequeste cifre cominciano con un79-? E così pure, perché appar-tengono, per es., al secolo IV il

315, il 350, il 380 e al secoloXIX il 1812, il 1860, il 1895? E i-noltre perché, se vogliamo es-sere esatti, un dato secolo, peres. il XIX, va dall'anno 1801all'anno 1900 compreso?Per spiegare queste apparentiincongruenze basta rifarsi all'i-nizio della nostra èra, e inoltrechiarire che non è esistito un«anno zero». Il primo anno del-l'era cristiana è l'anno 1, che a-pre il secolo I. Al secolo I ap-parterranno dunque ancora glianni 2, 3, 4 10 20... Equindi un anno 720 apparterràal secolo II, un anno 250 al III,e così via. Inoltre, se per fareun secolo occorrono cento anni,

è evidente che il secolo I dovràincludere anche l'anno 700. Eallora il secolo II comincerà col707 e includerà il 200, il secoloIII andrà dal 207 al 300, ... il se-colo XIX dal 7807 al 7900.Questo inoppugnabile ragiona-mento non ha mai impedito agliuomini di pensare, per es.,all'anno 7900 come a un annodel secolo XX e si festeggiòl'avvento del «nuovo secolo» lanotte fra il 31 dicembre del1899 e il 1° gennaio del 1900.Noi, a Dio piacendo, saluteremoil Terzo Millennio a mezzanottee un minuto secondo del 1°gennaio del 2000. Con un annodi anticipo.

16. Il verbo:caratteristichegenerali

1. DEFINIZIONE E TRATTI FONDAMENTALI

DEFINIZIONE

Abbiamo già definito il verbo, confrontandolo col sostantivo (vedi capitolo 6, § 3), come la parte deldiscorso che esprime un'azione fatta o subita, uno stato o modo di essere, in una parola un «proces-so» collocato nella dimensione temporale. Il termine deriva dal latino verbum, «parola»: la parolaper eccellenza; ma il sostantivo è un costituente altrettanto essenziale dell'enunciato.

RICCHEZZA DELLA CONIUGAZIONE

La flessione del verbo, detta coniugazione, è molto più ricca di quella delle altre parti variabili deldiscorso. Questa ricchezza di forme dipende dalla quantità di informazioni che ciascuna forma (o vo-ce) verbale trasmette, «opponendosi» alle altre.Per esempio,

la voceverbale

am-o ci diee che

la persona è la primala persona è singolare

il modo è l'indicativoil tempo è il presentela diàtesi e attiva

in opposizione aam-i, am-a

am-iamo

am-i, am-erei, ecc.

am-ai, am-avo, ecc.

sono ornato

140

FORME VERBALI «SEMPLICI» E «COMPOSTE»

La varietà delle forme è ottenuta per mezzo didue diversi procedimenti:

1) l'aggiunta al tema verbale (per es. a am-, daamare) di desinenze personali (am-o, am-i) oppu-re di suffissi flessionali e desinenze (am-av-o,am-av-i): abbiamo già studiato questo meccanismonel capitolo 6, § 4 e abbiamo visto come sia con-veniente chiamare in ogni caso terminazione

tutto il segmento che viene aggiunto al tema (-o,-i, -OTO, -avi, ecc.). Queste voci verbali costituitedi una parola sola si dicono semplici (oppure sin-tetiche o organiche).2) La composizione mediante il participio passato(da amare: amato) e le forme di uno dei due verbiausiliari, essere o avere: ho amato, sono amato.Queste voci verbali, che coprono la metà dellaconiugazione attiva e tutta la passiva, si diconocomposte (o analitiche).

LINGUA VIVA

II verbo nella frase

«Verbo», come si è visto, deri-va dal latino verbum, che signi-fica «parola»; è la parola pereccellenza, il cardine (in gene-re, peraltro, insieme col sostan-tivo) della frase. In realtà pos-siamo però osservare che nel-la lingua contemporanea il ver-bo tende a perdere il suo ruo-lo privilegiato. Dice per esem-pio un oratore, o scrive un arti-colista:

Legittimo auspicio pressochédella totalità dei cittadini è unaperequazione per legge dei ca-richi tributari in proporzioneall'effettivo reddito individuale.

In questa frase compare unasola forma verbale, la «copula»è. Per il resto il messaggio èaffidato esclusivamente a so-stantivi, aggettivi, avverbi. L'o-ratore voleva dire (e certo ilconcetto gli si è formato in te-sta così):

Quasi tutti i cittadini chiedonoleggi che facciano pagare letasse in base a quanto unoguadagna davvero.

Ora i verbi sono quattro e l'i-dea balza evidente. Certo èun'idea semplice, ma non perquesto meno giusta. Forse l'o-ratore, o l'articolista, ha datoal suo pensiero quella forma

artificiosa per mascherarne labanalità, ma soprattutto hacercato di contraffare la prosascientifica.Questa, sì, è pienamente legitti-mata a trascurare la varietà deiverbi, sempre un po' carichi diaffettività, e a privilegiare i so-stantivi, cioè dei termini esatta-mente definiti, tra i quali, ognivolta che è possibile, si stabili-rà il rapporto espresso dal se-gno = (vale a dire dalla «co-pula» è). Ma il discorso quoti-diano, no. La nostra vita è qual-cosa di dinamico, è intessuta diazioni e di sentimenti, che tro-vano in primo luogo proprio neiverbi lo strumento appropriatodi espressione.

2. LE PERSONE DEL VERBO

Come abbiamo visto analizzando il contenuto in-formativo di una singola voce verbale (am-o) inopposizione a tutte le altre nel quadro del «siste-ma verbale», il verbo è variabile in rapporto alleseguenti categorie grammaticali: la persona, ilmodo, il tempo, la diàtesi. Le considereremobrevemente una per una in questo paragrafo enei seguenti.

Le persone del verbo, come i pronomi personali,

sono in relazione con chi parla, o con chi ascol-ta, o con una terza persona (o cosa): e sono quin-di tre nel singolare (la pers., io; 2a pers., tu; 3a

pers., egli, essa) e tre nel plurale (noi; uoi; essi,esse). Come si è già rilevato (vedi capitolo 12,§ 3), la forma verbale è di per sé sufficiente a in-dividuare senza possibilità di equivoco la perso-na, perché la terminazione la caratterizza incon-fondibilmente:

(io) amo, (tu) ami, (egli, essa) ama, (noi) amiamo,ecc.(io) amai, (tu) amasti, (egli, essa) amò, (noi) a-mommo, ecc.

141

O0503

In tal modo l'uso del pronome diventa facoltativoe viene limitato agli enunciati in cui la personadeve ricevere un particolare rilievo.Solo nei tempi del congiuntivo tre oppure duevoci verbali coincidono formalmente:

che io ami, che tu ami, che egli ami; che io (tu, e-gli) abbia amato;che io amassi, che tu amassi; che io (tu) avessi a-mato.

L'espressione della persona è propria delle formeverbali più numerose e più tipiche, quelle «fini-te», come vedremo subito.

3. I MODI E I TEMPI VERBALI

MODI «FINITI» E «INFINITIVI»

I modi verbali esprimono una modalità generaledel processo verbale. Sono sette e si distribuisco-no in due gruppi nettamente distinti:

• modi finiti: indicativo, congiuntivo, condizio-nale, imperativo;

• modi infinitivi: infinito, participio, gerundio.

Nell'espressione «modi finiti» l'attributo finitideve essere inteso nel senso di «definiti» in rap-porto alla persona: (io) amo, (tu) ami, (egli, essa)ama... Analogamente, l'espressione infittitivi si-gnifica «non definiti» in rapporto alla persona,privi dell'indicazione della persona: amare, ama-to, amando, ecc.La differenza balza evidente se confrontiamo lefrasi:

Farò tardi;Non possofare tardi;

Farai tardi;Non puoifare tardi;

Farà tardi.Non puòfare tardi.

Nella prima serie di frasi il verbo fare, impiegatoin un modo finito, muta secondo la persona; nel-la seconda serie lo stesso verbo, in un modo in-finitivo, resta invariato.L'infinito, il participio e il gerundio si dicono an-che nomi verbali o forme nominali del verbo. In-fatti i modi infinitivi funzionano nella frase an-che come «nomi», cioè come sostantivi o comeaggettivi (vedi capitolo 23).

CARATTERIZZAZIONE DEI MODI FINITI

Approfondiremo il valore di tutti i singoli modipiù avanti. Per ora ci limitiamo a questa succin-ta definizione dei modi finiti:

• indicativo

modo della realtà obiettiva:Voi mi amate

• congiuntivo

modo della soggettività:Spero che mi amiate

• condizionale

modo dell'azione subordinata a una condizione:Mi amereste, se mi conosceste

• imperativo

modo del comando:Amatemi!

I TEMPI VERBALI

Col tempo si individua anzitutto, «in assoluto»,il punto dell'asse temporale in cui si attua il pro-cesso espresso dal verbo. E l'asse temporale è tri-partito: c'è il momento attuale, il presente (io a-mo); ciò che precede, il passato (io amai); ciòche verrà, il futuro (io amerò). Inoltre la linguapuò esprimere per mezzo del tempo verbale ancheun rapporto tra due diversi momenti, e cioè untempo «relativo» (curò amato è distinto da ame-rò), come pure l'«aspetto» dell'azione (amavo èdistinto da amai).

QUADRO COMPLESSIVO DEI MODI E DEI TEMPI

Di queste distinzioni ci occuperemo più avanti(vedi capitolo 22). Quanto si è detto qui basti aspiegare perché l'indicativo si articola in più ditre tempi e così pure il congiuntivo (sebbene siaprivo del futuro). D'altra parte il comando diret-to non può attuarsi che nel presente, cosicchél'imperativo ha un tempo solo. E così via. Insom-ma, ciascun modo ha un determinato numero ditempi, e modi e tempi verbali si intrecciano nelsistema qui di seguito schematizzato.

142

Dagli esempi dati nel quadro risulta anche quali, nel-l'attivo, sono le voci verbali «semplici» e quali le«composte».

o «forma» verbale, o «coniugazione», ma convie-ne valersi di un termine più specifico: diàtesi (dauna parola greca che vale «disposizione»).

VERBI TRANSITIVI E INTRANSITIVI

L'esistenza o meno in un verbo di due diàtesi -attiva e passino — dipende da un fatto d'ordinesintattico che approfondiremo in seguito (vedicapitolo 28, § 2), ma va sinteticamente chiaritogià ora. Un verbo può essere transitivo o in-transitivo:

• transitivo: quando l'azione «transita», cioèpassa, si esercita su un complemento diretto (og-getto), non introdotto da preposizione:

Io amo la vita; II cacciatore insegue la preda;

• intransitivo: quando il processo verbale è insé compiuto, oppure viene determinato da uncomplemento indiretto, di norma introdotto da u-na preposizione:

10 corro; Io corro nello stadio; Io diffido di tutti.

La frase costituita dal soggetto, dal verbo transi-tivo e dal complemento oggetto può essere tra-sformata capovolgendo il rapporto tra i suoi ele-menti sintattici fondamentali, e cioè facendo del-l'oggetto il soggetto (un soggetto che non com-pie, ma subisce l'azione) e del soggetto un com-plemento (di agente o causa efficiente), mentre ilverbo assume la diàtesi passiva:

11 cacciatore insegue la preda

La preda è inseguita dal cacciatore

Da tutto ciò emerge chiaramente che possonoconiugarsi al passivo soltanto i verbi transi-tivi, in quanto sono i soli a poter avere un og-getto, che, capovolta la frase, diviene il soggetto.

4. LA DIÀTESI(L'ATTIVO E IL PASSIVO).

VERBI TRANSITIVI E INTRANSITIVI

ATTIVO E PASSIVO

L'attivo (io orno) e il passivo (io sono amato)vengono designati anche con i termini «genere» § 1).

LA DIÀTESI RIFLESSIVA

Sotto l'aspetto della forma, le diàtesi (di un ver-bo transitivo) sono due: attiva e passiuo. Ma leforme dell'attivo possono venire impiegate, inunione con le partìcelle mi, ti, ci, vi, si in quel-la che, sotto l'aspetto della funzione e del signi-ficato, rappresenta una terza diàtesi, il rifles-sivo: mi lavo, mi bagno, mi lagno (vedi capitolo 20,

143

OMOS 5. LE TRE CONIUGAZIONI.

VERBI REGOLARIE IRREGOLARI

TRE CONIUGAZIONI

La coniugazione (vale a dire il complesso dellevoci verbali che variano in rapporto alla perso-na, al modo, al tempo e alla diàtesi) non si svi-luppa in base a un modello unico, ma a tre. L'i-taliano presenta cioè tre distinte coniugazioni.L'appartenenza di un verbo a una determinataconiugazione si ricava dalla terminazione dell'in-finito:

-are: I coniugazioneo coniugazione m -a-:

-ere: II coniugazioneo coniugazione m -e-:

-ire: III coniugazioneo coniugazione in -i-:

esempiI

ara-arelod-areand-are

lem-èrecèd-ereved-ére

sent-irefin-ireven-ire

PERCHÉ TRE CONIUGAZIONI -LA VOCALE TEMATICA

La differenza fra le tre coniugazioni risulta evi-dente quando osserviamo che, mentre le termina-zioni degli infiniti hanno tutte in comune la desi-nenza -re, cambia la vocale precedente, detta«vocale tematica»: -a-, -e-, -i-.La vocale tematica distintiva compare in molte(non in tutte!) le forme di ciascuna coniugazionee determina una buona parte delle differenze trauna coniugazione e l'altra. Per esempio:

I coniugazione (in -a-):am-a-te am-a-vo am-a-i am-a-ssiII coniugazione (in -e-):tem-e-te tem-e-vo tem-e-i tem-e-ssiIII coniugazione (in -i-):sent-i-te sent-i-vo sent-i-i sent-i-ssi

VERBI REGOLARI E IRREGOLARI

Nelle grammatiche, per ciascuna delle tre coniu-gazioni, si propone un verbo modello, scelto traquelli più comuni e formalmente più chiari (inquesto volume amare per la I, temere per la II,sentire e finire per la III).Al paradigma, o «modello di coniugazione», of-ferto da questi verbi si conformano tutti gli altridella I coniugazione tranne 4, tutti meno unaventina della III e soltanto un gruppo nettamen-te minoritario di verbi della II. Accanto ai rego-lari, esiste dunque un numero considerevole diverbi irregolari, che cioè presentano poche omolte divergenze rispetto ai paradigmi base. Es-si costituiscono un fenomeno linguistico di cosìampia portata, che lo tratteremo a parte (vedicapitolo 21).

144

17. I verbi ausiliari

1. ESSERE E AVERE

FUNZIONE DEGLI AUSILIARI

Essere e avere sono i due verbi ausiliari chehanno la funzione di cooperare (in latino auxi-lior = «io aiuto») con i participi passati allaformazione delle voci composte, attive e passive,di tutti i verbi.

SIGNIFICATO AUTONOMO

Gli ausiliari possiedono anche ciascuno un pro-prio significato autonomo, e precisamente:

• essere, intransitivo, è il verbo che indica l'e-sistenza, l'esserci, il trovarsi:

Dio è; C'è una novità; II babbo era in casa.

Inoltre assolve la funzione di «copula», cioè dielemento verbale di unione nel predicato nomina-le: II sole è un astro (vedi capitolo 26, § 4);

* avere, transitivo, significa «possedere», «te-nere»:

Ho un gatto; Ho in pugno la situazione.

ESSERE E AVERE COME AUSILIARI

Come ausiliari, associati al participio passato,essere e avere perdono il loro valore intrinseco ediventano «strumenti grammaticali». Per esem-pio, in io ho amato, passato prossimo di amare,la voce ho di avere ha un valore analogo a quel-lo della terminazione -ai nel passato remoto ioamai.

Ci occupiamo, prima che degli altri verbi, degliausiliari e della loro coniugazione proprio perchéessi entrano nella formazione di una larga partedei tempi di tutti gli altri verbi.

2. CONIUGAZIONEDEGLI AUSILIARI

II verbo essere ha una flessione sua propria, nonricollegabile a nessuna delle tre coniugazioni.Avere è propriamente un verbo della II coniuga-zione; tuttavia presenta moltissime anomalie ri-spetto al paradigma dì questa e inoltre, unico fratutti i verbi transitivi, è privo del passivo.

147

INDICATIVO Presente

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Imperfetto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Passato remoto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Futuro (semplice)

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

CONGIUNTIVO Presente

che ioche tuche egli, essache (noi)che (voi)che (essi, esse)

essere

sonoseièsiamosietesono

eroerieraeravamoeravateèrano

fuifostifufummofostefurono

saròsaraisaràsaremosaretesaranno

siasiasiasiamosiatesiano

avere

hohaihaabbiamoavetehanno

avevoaveviavevaavevamoavevateavevano

ebbiavestiebbeavemmoaveste .ebbero

avròavraiavràavremoavreteavranno

abbiaabbiaabbiaabbiamoabbiateabbiano

148

Passato prossimo

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato prossimo

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato remoto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Futuro anteriore

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Passato

che ioche tuche egli, essache (noi)che (voi)che (essi, esse)

essere

sonoseièsiamosietesono

eroerieraeravamoeravateerano

fuifostifufummofostefurono

saròsaraisaràsaremosaretesaranno

siasiasiasiamosiatesiano

stato (-a)stato (-a)stato (-a)stati (-e)stati (-e)stati (-e)

stato (-a)stato (-a)stato (-a)stati (-e)stati (-e)stati (-e)

stato (-a)stato (-a)stato (-a)stati (-e)stati (-e)stati (-e)

stato (-a)stato (-a)stato (-a)stati (-e)stati (-e)stati (-e)

stato (-a)stato (-a)stato (-a)stati (-e)stati (-e)stati (-e)

avere

hohaihaabbiamoavetehanno

avevoaveviavevaavevamoavevateavevano

ebbiavestiebbeavemmoavesteebbero

avròavraiavràavremoavreteavranno

abbiaabbiaabbiaabbiamoabbiateabbiano

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

149

CONGIUNTIVO Imperfetto(segue)

che ioche tuche (egli, essa)che (noi)che (voi)che (essi, esse)

CONDIZIONALE Presente

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

IMPERATIVO (2a p. sing.)(3a p. sing.)(la p. plur.)(2° p. plur.)(3a p. plur.)

P \RTICIPIO Presente

Passato

Nel consultare i «paradigmi» delle coniugazioni tene-te presente che:

• i pronomi personali sono posti tra parentesi perchédi norma non sono necessari per individuare una voceverbale; li trovate però fuori parentesi in alcune for-me del congiuntivo, uguali tra loro;

• nel congiuntivo, al pronome e alla forma verbale,è premessa la congiunzione che: essa serve a caratte-

essere

fossifossifossefossimofostefossero

sareisarestisarebbesaremmosarestesarebbero

siisiasiamosiatesiano

(ente, essente)

stato

avere

avessiavessiavesseavessimoavesteavessero

avreiavrestiavrebbeavremmoavresteavrebbero

abbiabbiaabbiamoabbiateabbiano

avente

avuto

rizzare meglio le voci di questo modo verbale, ma unavoce del congiuntivo non è necessariamente precedutada che;

• dopo il participio — per es. in sono stato, ecc. -potete trovare tra parentesi la forma abbreviata delfemminile: (-a) = siate; (-e) = state;

• il participio presente di essere è riportato tra pa-rentesi perché è di uso raro.

150

essere avere

Trapassato

chechechechecheche

iotu(egli,(noi)(voi)(essi,

essa)

esse)

fossifossifossefossimofostefossero

statostatostatostatistatistati

(-a)(•a)(-a)(-e)(-e)(-e)

avessiavessiavesseavessimoavesteavessero

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

Passato

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

sareisarestisarebbesaremmosarestesarebbero

statostatostatostatistatistati

(-a)(-a)(-a)(-e)(-e)(-e)

avreiavrestiavrebbeavremmoavresteavrebbero

avutoavutoavutoavutoavutoavuto

GERUNDIO Presente

essendo

Passato

avendo

essendo stato avendo avuto

INFINITOPresente

essere avere

Passato

essere stato avere avuto

3. USO DEGLI AUSILIARI

QUADRO DEGLI USI FONDAMENTALI

Le funzioni svolte dai due verbi ausiliari nella formazione dei tempi composti degli altri verbi, inunione col participio passato di essi, sono schematizzate nella tabella a pagina seguente.

151

(Per i verbi di forma riflessiva — che voglionosempre essere — vedi capitolo 20).

L'AUSILIARE CON GLI INTRANSITIVI

La situazione è netta e chiara per i verbi transi-tivi: avere serve a formare i tempi composti del-l'attivo, essere il passivo. Invece tra i verbi in-

transitivi (privi del passivo) alcuni formano itempi composti dell'attivo con avere, altri conessere, altri ora con l'uno, ora con l'altro.Non esistono regole semplici e sicure per stabili-re la scelta dell'ausiliare con i verbi transitivi enon di rado è necessario accertare l'uso sul voca-bolario.Quelle che seguono sono alcune indicazioni pra-tiche di massima:

152

COME USARE IL VOCABOLARIO

Per sceglierel'ausiliare

L'impiego dell'ausiliare (essereo avere) con i verbi intransitivinon è sempre facile. Quando a-vete dei dubbi nella scelta, nondimenticate il vocabolario, che,per tutti i verbi intransitivi, vifornisce la sua opinione.

153

4. LA CONCORDANZA DEL PARTICIPIONELLE FORME COMPOSTE

PO I paradigmi di essere e di avere ci offrono il modello del diverso comportamento del participio passatonelle forme composte di tutti i verbi a seconda dell'ausiliare impiegato.

CONCORDANZA COL SOGGETTO: CON AVERE E CON ESSERE

Quando l'ausiliare è avere (e quindi nelle forme composte dell'attivo di tutti i verbi transitivi e diparte degli intransitivi), il participio resta invariato, cioè non concorda nel genere e nel numero colsoggetto:

(col verbo avere)

Luigi ha avuto freddo

Maria ha avuto freddo

Tutti hanno avuto freddo

Tutte hanno avuto freddo

(con un verbo transitivo)

... ha portato un dono

...ha portato un dono

... hanno portato un dono

... hanno portato un dono

(con un verbo intransitivo)

... ha sofferto

...ha sofferto

... hanno sofferto

... hanno sofferto

Quando l'ausiliare è essere (e quindi nelle forme composte dell'attivo di una parte dei verbi intran-sitivi e nel passivo dei transitivi), il participio varia, concordando nel genere e nel numero col sog-getto:

(con un verbotransitivo al passivo)

... è lodato

... è lodata

... sono lodati

.. sono lodate

(con un verbointransitivo all'attivo)

... è arrivato

... è arrivata

... sono arrivati

... sono arrivate

(col verbo essere)

Luigi è stato male

Maria è stata male

Tutti sono stati male

Tutte sono state male

CONCORDANZA CON L'OGGETTO

Quando l'ausiliare è avere e il verbo è transitivo, si può verificare la concordanza con l'oggetto.Cioè, anziché Luigi ha portato una torta, ha portato dei dolci, ha portato delle paste, troviamo ha por-tata una torta, ha portati dei dolci, ha portate delle paste.Questa scelta, in linea generale, non è frequente, ma diventa sostanzialmente obbligatoria quandol'oggetto, premesso, è rappresentato da un pronome personale àtono (mi, ti, lo, ecc.) ed è facoltativa,ma frequente, quando l'oggetto è il relativo che:

Luigi lo ha portato (il dono)

Luigi la ha portata (la torta)

Luigi li ha portati (i doni)

Luigi le ha portate (le paste)

II dono che Luigi ha portato

La torta che Luigi ha portato oppure: portata

I doni che Luigi ha portato oppure: portati

Le paste che Luigi ha portato oppure: portate

154

5. L'AUSILIARECON I VERBI «SERVILI»

I tre verbi dovere, potere e volere sono detti ser-vili o «modali», perché in genere servono a de-finire una particolare modalità del processo e-spresso da un altro verbo all'infinito. Possono ve-nire usati anche da soli, come transitivi (Ti deb-bo una cena; Non posso tutto; Voglio il tuo bene),ma il loro impiego più frequente si ha con un in-finito in funzione di oggetto:

Devo dargli una spiegazione; Devo partire subitoNon posso fare di più; Non posso rimanereVoglio aiutarti; Voglio venire con te.

Ora, con i verbi servili, di regola, l'ausiliare nonè quello dei verbi transitivi (avere), ma quello ri-chiesto dal verbo all'infinito (a seconda dei casi,avere o essere):

Ho dovuto dargli una spiegazione; Son dovutopartire subito

Non ho potuto fare di più; Non sono potuto rima-nereHo voluto aiutarti; Sono voluto venire da te.

L'uso dell'ausiliare avere, con un verbo all'infini-to che richiederebbe essere, è ammesso quandol'enfasi cade sul verbo servile stesso:

Son dovuto correre in farmacia a comprare unamedicina;ma anche: Ho dovuto correre, perché altrimentinon sarei arrivato in tempo.

NOTE

• L'ausiliare è avere quando l'infinito è essere o èpassivo: Ho voluto essere presente; Ha dovuto essere o-perato.• Con i verbi «fraseologici» (sapere, preferire, ecc.:vedi capitolo 34, § 1), che sono anch'essi seguiti dal-l'infinito, l'ausiliare è sempre- avere: Ha saputo curarti;Ha saputo intervenire in tempo.

Per venire e andare in funzione di ausiliari vedi capi-tolo 19, § 4.

155

18. La coniugazioneattiva

1. LE TRE CONIUGAZIONI:PREMESSA AI PROSPETTI

DELLE FORME

FORME SEMPLICI E FORME COMPOSTE

Le tre coniugazioni regolari, di cui ora vedremole forme all'attivo, sono diverse tra loro solo neitempi semplici:

amo ... amate; temo ... temete; sento ... sentite ...

Nei tempi composti la flessione in effetti è uni-ca, perché le forme che mutano sono soltantoquelle del verbo ausiliare, in modo uguale per letre coniugazioni, mentre il singolo verbo fornisceil proprio participio passato:

ho amato ... avete amato;ho temuto ... avete temuto;ho sentito ... avete sentito ...

Tuttavia, nelle forme composte, esiste una diffe-renziazione, dipendente non dall'appartenenzadel verbo all'una o all'altra coniugazione, ma daldiverso ausiliare impiegato, avere o essere (vedicapitolo 17, § 3).

Perciò, nel prospetto dei paradigmi, vedete alter-narsi tre colonne (I coniugazione: amare; II co-niugazione: temere; III coniugazione: sentire) peri tempi semplici, e due colonne per i tempi com-posti: la prima per i verbi modello che usanol'ausiliare avere (gli stessi ornare, temere, sentire)e la seconda per quelli che usano essere (con imodelli entrare, cadere, partire).La diversità non sta solo nell'uso dell'uno o del-l'altro ausiliare, ma anche nelle differenze checiò comporta sulla concordanza o meno del parti-cipio.

CONFRONTI TRA LE CONIUGAZIONIE ANALISI DELLE FORME

La disposizione delle forme nei prospetti agevolail confronto fra le tre coniugazioni e consentedi rilevare divergenze e parallelismi.A questo scopo è diretta anche la separazione diogni forma in due segmenti: tema + termina-zione. Per es.: am o; am avo; am ero.All'interno delle terminazioni più complesse saràpoi facile procedere a distinguere: tema + suf-fisso fissionale + desinenza personale. Peres.: am avo = am av o; am ero = am er o; ecc.

157

2. CONIUGAZIONE ATTIVA DEI VERBI REGOLARI

INDICATIVO Presente

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Imperfetto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Passato remoto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Futuro (semplice)

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

I

am oam iam aam iamoam ateàm ano

am avoam aviam avaam avamoam avateam àvano

am aiam astiam oam aminoam asteam àrono

am eroam eraiam eraam eremoam ereteam eranno

II

tem otem item etem iamotem etetem ono

tem evotem evitem èvatem evamotem evatetem évano

tem éi -èttitem estitem è -èttetem emmotem estetem érono -èttero

tem erotem eraitem eratem eremotem eretetem eranno

.sent o fin iscosent i fin iscisent e fin iscesent iamo fin iamosent ite fin itesent ono fin ìscono

sent ivosent ivisent ivasent ivamosent ivatesent ivano

sent 11sent istisent isent immosent istesent irono

sent iròsent iraisent iràsent iremosent iretesent iranno

158

Verbi transitivi

I II HI

Passato prossimo

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

hohaihaabbiamoavetehanno

prossimo

avevoaveviavevaavevamoavevateavevano

remoto

ebbiavestiebbeavemmoavesteebbero

amatoamatoamatoamatoamatoamato

amatoamatoamatoamatoamatoamato

amatoamatoamatoamatoamatoamato

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

Futuro anteriore

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

avròavraiavràavremoavreteavranno

amatoamatoamatoamatoamatoamato

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

sonoseièsiamosietesono

eroerieraeravamoeravateèrano

fuifostifufummofostefurono

saròsaraisaràsaremosaretesaranno

Verbi

I

entratoentratoentratoentratientratientrati

entratoentratoentratoentratientratientrati

entratoentratoentratoentratientratientrati

entratoentratoentratoentratientratientrati

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a•a-e-e-e

intransitivi

II

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

III

partito -apartito -apartito -apartiti -epartiti -epartiti -e

partito -apartito -apartito -apartiti -epartiti -epartiti -e

partito -apartito -apartito -apartiti -epartiti -epartiti -e

partito -apartito -apartito -apartiti -epartiti -epartiti -e

159

0 o i a z H O

i" i

"

jf

c

5'

g (0

che egli, essache (noi)che (voi)che (essi, esse)

Imperfetto

che ioche tu

' che (egli, essa)che (noi)che (voi)che (essi, esse)

CONDIZIONALE Presente

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

IMPERATIVO (2a p. sing.)(3a p. sing.)(1° p. plur.)(2a p. plur.)(3a p. plur.)

PARTICIPIO Presente

Passato

I

am iam iam iam iamoam iateàm ino

am assiam assiam asseam àssimoam asteam àssero

am ereiam erestiam erebbeam eremmoam eresteam erèbbero

am aam iam iamoam ateàm ino

am ante

am ato

II

tem atem atem atem iamotem iatetem ano

tem essitem essitem essetem éssimotem estetem ossero

tem ereitem erestitem erebbetem eremmotem erestetem erèbbero

tem item atem iamotem etetem ano

tem ente

tem uto

III

sent a fin iscasent a fin iscasent a fin iscasent iamo fin iamosent iate fin iatesent ano fin ìscano

sent issisent issisent issesent ìssimosent istesent isserò

sent ireisent irestisent irebbesent iremmosent irestesent irebbero

sent i fin iscisent a fin iscasent iamo fin iamosent ite fin itesent ano fin ìscano

sent ente

sent ito

160

Verbi transitivi Ve

Passato

che ioche tuche egli, essache (noi)che (voi)che (essi, esse)

Trapassato

che ioche tuche (egli, essa)che (noi)che (voi)che (essi, esse)

Passato

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

GERUNDIO

abbiaabbiaabbiaabbiamoabbiateabbiano

avessiavessiavesseavessimoavesteavessero

avreiavrestiavrebbeavremmoavresteavrebbero

Presente

am

Passato

I

amatoamatoamatoamatoamatoamato

amatoamatoamatoamatoamatoamato.

amatoamatoamatoamatoamatoamato

ando

avendo amato

INFINITO Presente

Passato

avere

am re

amato

II

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

temutotemutotemutotemutotemutotemuto

tem endo

temuto

tem ere

temuto

III

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

sentitosentitosentitosentitosentitosentito

sent endo

sentito

sent ire

sentito

siasiasiasiamosiatesiano

fossifossifossefossimofostefossero

sareisarestisarebbesaremmosarestesarebbero

essendo

I

entratoentratoentratoentratientratientrati

entratoentratoentratoentratientratientrati

entratoentratoentratoentratientratientrati

entrato

-i,

essere entrato

-i,

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-e

-a-e

rbi intransitivi

II

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

cadutocadutocadutocaduticaduticaduti

ceduto

-i,

ceduto-i,

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-e

-a-e

III

partitopartitopartitopartitipartitipartiti

partitopartitopartitopartitipartitipartiti

partitopartitopartitopartitipartitipartiti

partito

-i,

partito

-i,

•a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-a-a-e-e-e

-a-e

-a-e

161

3. OSSERVAZIONI COMUNIALLE TRE CONIUGAZIONI

• Come si è già rilevato (vedi capitolo 16, § 2),nel congiuntivo presente e passato hanno for-ma unica la la, 2a e 3a persona singolare e nelcongiuntivo imperfetto e trapassato la la e la2a persona singolare:

che io, tu, egli ami, tema, senta', che io, tu, egliabbia amato, temuto, sentito; che io, tu amassi, te-messi, sentissi; che io, tu avessi amato, temuto,sentito.

• L'imperativo (il quale logicamente non ha u-na la persona singolare) possiede forme propria-mente autonome solo per la 2a persona, singolaree plurale:

ama, amate; temi, temete; senti, sentite.

Le altre persone si identificano con le corrispon-denti persone del congiuntivo presente.

• II participio passato (amato, temuto, sentito)dei verbi transitivi è, nel suo significato origina-rio, una forma passiva (amato = che è amato),ma lo formano anche i verbi intransitivi (entrato,caduto, partito), che pure non ammettono il passi-vo, ed inoltre esso serve, con qualsiasi verbo, performare anche tempi dell'attivo. Viene quindi ri-portato nei paradigmi dell'attivo.

• Le forme a cui si deve prestare maggioreattenzione, nel confronto tra una coniugazionee l'altra sono: la 3" persona plurale dell'indica-tivo presente; la la, 2a, 3a singolare e 3a plurale delcongiuntivo presente; la 2" singolare dell'impera-tivo; e, all'interno della stessa coniugazione, tut-te le persone dell'indicativo e del congiuntivopresenti.

Passiamo ora alle particolarità delle singole co-niugazioni regolari, dipendenti sia dalla termina-zione del tema, sia da altri fenomeni.

4. PARTICOLARITÀ DELLAI CONIUGAZIONE REGOLARE

162

IL DITTONGO MOBILE

Alcuni verbi, nella la pers. dell'indicativo presente, hanno nella sillaba tonica il dittongo -uo-: iosuono. Secondo la regola, questo dittongo (detto «mobile») passa a -o- quando nella coniugazionel'accento si sposta. Quindi: suòno, suòni, suona, suonano; ma: soniamo, sonate; sonavo, ecc.; sonerò,ecc.In realtà oggi, però, l'uso corrente tende a distinguere tra verbo e verbo e a uniformare la coniuga-zione (cioè o usiamo sempre il dittongo o non lo usiamo mai):

Rilevate che con nuotare e vuotare si ottiene la distinzione da notare ( = osservare) e votare ( — esprimereil voto).

5. PARTICOLARITÀ DELLA IICONIUGAZIONE REGOLARE

INFINITI PIANI E SDRUCCIOLI

temere, cadére, dovére, godere, sapere, tacére, vedé-re, ecc.;crédere, frèmere, nàscere, pùngere, rìdere, strìnge-re, véndere, ecc.

La vocale tematica -e- dell'infinito può essere ac- DUE TIPI DI FORME NEL PASSATO REMOTOcentata o non accentata, e i verbi della II coniu-gazione si dividono perciò in piani e sdruccioli: Per tre persone del passato remoto c'è scelta

163

fra due tipi di forme:

la pers. sing. temei temetti3a pers. sing. temè temette3a pers. plur. temerono temettero

La prima serie di forme è letteraria e meno usa-ta. Diventa però obbligatoria quando il tema delverbo finisce in -t; quindi:

da batt-ere: battei, battè, batteronoda poi-ere: potei, potè, poterono.

Peraltro si tenga presente che moltissimi verbi dellaII coniugazione formano il passato remoto diversa-mente (vedi capitolo 21, § 1-4-5) e, più in generale, chei verbi coniugati in tutto e per tutto regolarmente sulmodello di temere sono una minoranza:

battere, cedere, fendere, fremere, gemere, mescere, mie-tere, pascere, premere, ricevere, ripetere, stridere, tesse-re, vendere, e pochi altri.

VERBI IN -CERE, -GERE, -SCERE

La coniugazione dei verbi in -cere, -gere, -scere è rego-lare, ma riteniamo opportuno riportare il presente in-dicativo e congiuntivo di tre verbi modello:

6. PARTICOLARITÀ DELLAIII CONIUGAZIONE REGOLARE

DUE SERIE DI FORME IN ALCUNI TEMPI

Nell'indicativo e congiuntivo presente (la, 2a, 3a

pers. sing. e 3a plur.) e nell'imperativo (2a e 3a

pers. sing. e 3" plur.) il paradigma della III co-niugazione ha due serie di forme, una regolareed una con -iso- inserito fra il tema e la desinen-za:

sent-o fin-isc-osent-i fin-isc-isent-e fin-isc-esènt-ono fin-ìsc-ono

[per gli altri tempi vedi ilquadro del paradigma]

si coniugano come sento, senti non molti verbi,ma parecchi di uso comune:

aprire, avvertire, bollire, coprire, divertire, dormi-re, fuggire, offrire, partire, pentirsi, seguire, senti-re, servire, soffrire, vestire.

si coniuga come finisco, finisci la maggioranzadei verbi della III con., per es.:

agire, capire, costruire, favorire, ferire, finire, for-nire, guarire, impedire, istruire, patire, perire,preferire, proibire, pulire, punire, rapire, sparire,subire, tradire, ubbidire, unire (inoltre tutti quel-li derivati da sostantivi e aggettivi, come fioriree chiarire).

usano o alternano entrambe le forme alcuni ver-bi, come:

aborrire, applaudire, assorbire, convenire, cucire,inghiottire, languire, mentire, muggire, nutrire.

NOTA

• Le forme con l'«infisso» -isc- sono dette incoativeperché traggono origine da verbi latini incoativi ( =indicanti l'azione incipiente); in italiano però non esi-ste alcuna differenza di significato tra forme del tiposento e del tipo finisco.

164

torcere torco torcatorci torcatorce torcatorciamo torciamotorcete torciatetorcono torcano

piangere piango piangapiangi piangapiange oiangapiangiamo piangiamopiangete piangiatepiangono piangano

méscere mesco mescamesci mescamesce mescamesciamo mesciamomescete mesciatemescono mescano

Si noti anche il participio mesciuto (e altri in -iuta neiverbi irregolari).

COME USARE IL VOCABOLARIO

Verbi, accenti,pronuncia

L'infinito di un verbo della I eIII coniugazione, e anche di unverbo piano della II, non ci ri-vela, quando la vocale della ra-dice è -e- oppure -o-, quale siail suo timbro, aperto o chiuso.Per es. in cercare, pregare, ve-dere, offrire la vocale della pri-ma sillaba, non essendo accen-tata, non ha un timbro caratte-rizzato1 (vedi capitolo 2, § 2).Se ci interessa pronunciarecorrettamente cerco, prego, ve-do, offro e ogni altra forma ac-centata sulla radice, ci viene inaiuto in caso di dubbio — anco-ra una volta — il vocabolario.

Dato poi un verbo che all'infini-to sia formato di più di tre silla-be (per es. applicare, arrecare),dove va l'accento nella 1* pers.del presente e in tutte le altrevoci accentate sulla radice? Peri due verbi citati non abbiamoincertezze: io applico, sdruccio-lo; io arreco, piano. Ma in qual-che caso (ad es. per macinaree adulare) possiamo trovarcinel dubbio, e il dizionario forni-sce quasi sempre questa indi-cazione.

165

PARTICIPIO PRESENTE .jsc- (ag-isco, ag-isci, ecc.) e quindi non si verificancT , . incontri e, g + a, o.La terminazione del participio presente e-ente: aderente, bollente, fuggente, partente, se-guente, ecc. Però il participio presente di molti Notate soltanto:verbi della III con. di fatto non è mai usato,mentre alcuni lo formano con la terminazione da cuc'm'~ cucw' cucl> cuce' cuciamo' cucite> cuciono

-iente: dormiente, nutriente, ubbidiente, ecc. cucia> cuclam' cuciate> cùciano &mV™ col fonemapalatale);

VERBI IN -CIRÉ, -GIRE da fuS8'ire: fuggo, fuggì, fugge, fuggiamo, fuggite, fug-gono; fugga, fuggiamo, fuggiate, fuggano (con alter-

Quasi tutti i verbi in -ciré, -gire hanno le forme con nanza fonema palatale/velare).

19. La coniugazionepassiva

1. PREMESSAAI PROSPETTI DELLE FORME

Come si è detto, i verbi transitivi sono coniuga-ti nel passivo mediante forme composte dall'au-siliare essere e dal participio passato, variabilenel genere e nel numero in concordanza col sog-getto.La coniugazione è naturalmente unica per tutti iverbi.

Le forme risultano composte da tre elementi quandoil tempo dell'ausiliare è già di per sé composto:

isono stato amato, sarò stato amato, sarei stato amato,essere stato amato, ecc.

Ad ogni tempo dell'attivo ne corrisponde uno alpassivo.Si osservi soltanto che:

• l'imperativo passivo (di uso limitato, perchéil comando in genere riguarda un'azione da fare,non da subire) ha una sola voce autonoma, la 2a

singolare: sii amato, sii benedetto; le altre non so-no che voci del congiuntivo presente;

• non esiste un participio presente passivo(«essente amato» è una forma puramente teori-ca), mentre il participio passato (amato) nel suovalore originario è sì passivo (ed è l'unica formapassiva non composta), ma, per il suo valore par-ticolare e l'uso esteso anche a parte della coniu-gazione attiva, viene registrato nei paradigmidell'attivo (vedi capitolo 18, § 3).

167

DELLA2. LE FORME

CONIUGAZIONE PASSIVA

INDICATIVO Presente

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Imperfetto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Passato remoto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Futuro (semplice)

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

sonoseièsiamosietesono

eroerieraeravamoeravateerano

fuifostifufummofostefurono

saròsaraisaràsaremosaretesaranno

I

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

II

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

IIIi

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

'

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

168

Passato prossimo

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato prossimo

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato remoto

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Futuro anteriore

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

sonoseièsiamosietesono

eroerieraeravamoeravateerano

fuifostifufummofostefurono

saròsaraisaràsaremosaretesaranno

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

I

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

II

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

III

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

169

CONGIUNTIVO Presente

che ioche tuche egli, essache (noi)che (voi)che (essi, esse)

Imperfetto

che ioche tuche (egli, essa)che (noi)che (voi)che (essi, esse)

CONDIZIONALE Presente

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

IMPERATIVO (2a p. sing.)(3a p. sing.)(la p. plur.)(2a p. plur.)(3a p. plur.)

PARTICIPIOPresente

Passato

siasiasiasiamosiatesiano

fossifossifossefossimofostefossero

sareisarestisarebbesaremmosarestesarebbero

siisiasiamosiatesiano

manca

registrato sotto

I

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

II

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

m

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

la voce corrispondente dell'attivo

170

Passato

che ioche tuche egli, essache (noi)che (voi)che (essi, esse)

Trapassato

che ioche tuche (egli, essa)che (noi)che (voi)che (essi, esse)

Passato

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

GERUNDIO

INFINITO

siasiasiasiamosiatesiano

fossifossifossefossimofostefossero

sareisarestisarebbesaremmosarestesarebbero

Presente

essendo

Passato

essendo

Presente

essere

Passato

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

stato -astato -astato -astati -estati -estati -e

stato -a, -i, -e

essere stato -a, -i, -e

I

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -aamato -aamato -aamati -eamati -eamati -e

amato -a, -i, -e

amato -a, -i, -e

amato -a, -i, -e

amato -a, -i, -e

II

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -atemuto -atemuto -atemuti -etemuti -etemuti -e

temuto -a, -i, -e

temuto -a, -i, -e

temuto -a, -i, -e

temuto -a, -i, -e

III

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -asentito -asentito -asentiti -esentiti -esentiti -e

sentito -a, -i, -e

sentito -a, -i, -e

sentito -a, -i, -e

sentito -a, -i, -e

171

3. PASSIVOE INDICAZIONE DELLO «STATO»

Dalle voci passive del verbo (ausiliare essere + participio passato) vanno tenute distinte le espressio-ni in cui una voce del verbo essere, in funzione di «copula» del predicato nominale, è seguita dal par-ticipio passato impiegato come aggettivo.Si vedano gli esempi offerti dal seguente schema:

LINGUA VIVA

Usare molto o pocoil passivo?

A ogni forma attiva di un verbotransitivo corrisponde una for-ma passiva. Qual è l'estensio-ne di impiego della diàtesi pas-siva?A parte il caso del participiopassato, che (in quanto aggetti-vo verbale per eccellenza) rap-presenta un caso a sé ed è on-nipresente, con i suoi diversivalori sintattici (vedi capitolo 23e 37), la lingua d'uso non ricor-

re con frequenza al passivo.Quando parliamo, l'azione haquasi sempre il suo ben indivi-duato soggetto agente: io, tu,Giorgio, loro. Una comitiva pro-cede verso la mèta; dice la gui-da: «Entro un'ora raggiungere-mo la vetta, se seguirete le mieistruzioni.» Ve lo immaginatedire: «Entro un'ora la vetta sa-rà raggiunta, se le mie istruzio-ni saranno seguite da voi.»'? Ecosì quando scriviamo una let-tera, degli appunti personali, undiario. Ti amo, ti desidero, ti a-

spetto, ti bacio: quanti miliardidi volte saranno state pronun-ciate o scritte queste espressio-ni! Certo determinati contestipotranno richiedere anche incasi del genere il passivo, ma,senza dubbio, poco frequente-mente. E nel linguaggio dellapoesia (a parte, s'intende, ilparticipio passato) il passivo èraro: effettuate la verifica su te-sti di poeti classici o di poetidel Novecento.Passiamo ora a un diverso re-gistro espressivo e sfogliamo la

172

Nella seconda frase è chiusa significa si trova tà di equivoci — il contesto:chiusa: si indica cioè uno «stato» che è l'effetto , . \ 0 ,. , , r..di un'azione precedente (la porta fu chiusa in un <Passivo) "Sf 9

che £acf f' D,\ cosa Sl *ara

determinato momento). trattato?» «È stata chiusa una fine-

La stessa differenza si potrà avere in altri tempi: stra alPl«m dl s°Pm> con m certo

fu chiusa, è stata chiusa, sarà chiusa, ecc.

Formalmente le due frasi sono identiche. A deci- (stato) «Come difficile da aprire questa fine-Aere del valore sarà — in genere senza possibili- stra!» «Sì, è stata chiusa per mesi.»

nostra Costituzione. Là dovevengono proclamati i princìpifondamentali della vita demo-cratica, sentiamo squillare levoci attive: La Repubblica rico-nosce e garantisce i diritti in-violabili dell'uomo... Tutti i cit-tadini hanno pari dignità socia-le... L'Italia ripudia la guerracome strumento di offesa allalibertà degli altri popoli... Ma,negli articoli più specificamentegiuridici e precettivi, ecco spun-tare e moltipllcarsi le formepassive: ... non è richiestopreavviso... gli accertamenti so-no regolati da leggi speciali... è

prescritto un esame di stato...la legge provvede a che sianoassolti i loro compiti... Ma ilpeggio vi aspetta quando, dallaprosa, a tratti ancora nobile,della Costituzione, cadete nelleimmense paludi delle leggi, deiregolamenti, dei decreti. Qui ipassivi la fanno da padroni.Dunque la prosa legislativa,amministrativa, giudiziaria, bu-rocratica in genere privilegia ilpassivo. Perché? Perché il pas-sivo potenzia e garantisce l'im-personalità della comunicazio-ne, sembra offrire maggiori ga-ranzie di precisione e di rigore,

e suona inoltre più autorevole epiù perentorio. E così, dunque,dalla lingua scritta, esso avan-za e guadagna terreno nel par-lato, nella vita quotidiana. «//treno 666 è atteso con 30 minutidi ritardo»; «/ signori viaggiato-ri sono invitati a portarsi sulmarciapiede 5»; «/ signori viag-giatori sono informati che il vo-lo per Roma è stato soppres-so»; «È severamente vietata labalneazione». Siete abituati amessaggi del genere, e non vo-gliamo che vi scandalizziate.Solo, per parte vostra — neldubbio — scegliete l'att/Vo!

4. I VERBI VENIRE E ANDAREIN FUNZIONE DI AUSILIARI

VENIRE

In sostituzione di essere, per formare il passivo,può fungere da ausiliare il verbo venire:

vengo amato, venivo amato, venni amato, verrò ci-matoche io venga amato, che io venissi amato; verrei ci-matovenire amato, venendo amato.

La sostituzione di venire ad essere è ammessa so-lo nei tempi che all'attivo sono semplici (quindinon nel passato prossimo, nel futuro anteriore,ecc.).L'uso è abbastanza esteso per ragioni di varietà

(al fine di evitare ripetizioni di forme di essere) edi precisione: infatti la forma con venire indicainconfondibilmente il passivo (La porta vienechiusa) di fronte al potenzialmente ambiguo Laporta è chiusa (che, come si è visto, può indicareanche lo «stato»: la porta si trova chiusa).

ANDARE

Molto più ristretto è l'impiego come ausiliare delverbo andare. Si trova solo in espressioni come:

va perduto; è andato smarrito ( = è perduto; è sta-to smarrito).

Nella generalità dei casi andare + participio hasì un valore passivo, ma con aggiunta la notazio-ne della necessità (= dover essere):

Questa pagina va riscritta = Questa pagina deveessere riscritta.

173

20. Il riflessivoe l'impersonale

1. LA FORMARIFLESSIVA

FORMAZIONE DEL RIFLESSIVO

Con un verbo transitivo l'azione, anziché eserci-tarsi su un oggetto esterno, può «riflettersi» sulsoggetto: si ha cioè identità fra soggetto e ogget-to e per l'oggetto si usano nelle le e 2e persone ipronomi personali àtoni (mi, ti, ci, vi) con valoreriflessivo e, nelle 3e persone, lo speciale prono-me riflessivo si. Si confrontino le frasi:

Io lavo l'auto; Tu la-vi l'auto; Egli (essa) la-va l'auto; Noi laviamol'auto; Voi lavate l'au-to; Essi (esse) lavanol'auto.

Io mi lavo; Tu ti lavi;Egli (essa) si lava; Noici laviamo; Voi vi lava-te; Essi (esse) si lava-no.

Chiamiamo forma riflessiva del verbo quellache impiega il pronome àtono personale o rifles-sivo, premesso alla voce verbale, o posposto neimodi infinitivi e nell'imperativo (lavarsi, lavatosi,lavati: vedi capitolo 12, § 4-5).Il riflessivo non è propriamente una terza diàte-si (in aggiunta all'attivo e al passivo), perchéquelle che usiamo sono le voci dell'attivo. Essopresenta tuttavia certe caratteristiche proprie, inprimo luogo l'uso costante, come ausiliare, diessere. Si confrontino ad esempio:

Io ho lavato l'autoTu hai guardato il pa-norama

Io mi sono lavatoTu ti sei guardato nel-lo specchio

Ha sacrificato tempo edenaro

Si è sacrificato per lapropria famiglia

RIFLESSIVI DIRETTI E INDIRETTI

Quelli visti fin qui sono i riflessivi tipici, o di-retti, che corrispondono esattamente alla defini-zione: l'azione si riflette sul soggetto. Ma l'usodella forma riflessiva presenta un'estensione mol-to maggiore.Il verbo riflessivo può avere un proprio oggettoesterno, e allora i pronomi mi, ti, ci, vi, si non si-gnificano più «me stesso», «te stesso», ecc., mabensì «a me stesso», «a te stesso», ecc. Per esem-pio:

Io mi lavo le mani; Tu ti compri un maglione; E-gli si è procurato un motorino.

In questi casi il riflessivo viene chiamato indi-retto (o «apparente»).

Talora il riflessivo indiretto assume un valore inten-sificante. Nella frase Io mi mangio un pollo interonon potremmo sostituire mi con «a me stesso»; po-tremmo, se mai, togliere il pronome, ottenendo unafrase di tono meno enfatico. Il valore intensificante sitrova anche con verbi intransitivi in locuzioni con laparticella ne (Me ne sono andato via subito).

RIFLESSIVI PRONOMINALI

Abbiamo infine un buon numero di verbi, come

accontentarsi, addolorarsi, addormentarsi, an-noiarsi, ingannarsi, rallegrarsi, rattristarsi, smar-rirsi, spaventarsi, ecc.

175

o03M

coco

che hanno come base un transitivo (accontentare,addolorare, ecc.), ma non corrispondono più alladefinizione del riflessivo diretto: io mi accontentonon è: io (soggetto) accontento me stesso (ogget-to); ma: io sono, mi trovo, rimango, divento con-tento. Chiamiamo questi verbi — sempre di formariflessiva, ma con valore intransitivo — riflessivipronominali, perché, a caratterizzarli, è essen-zialmente la presenza del pronome (si usano an-che i termini «assoluti», «medi», «mediali»).A parecchi riflessivi pronominali non corrispon-de più alcun verbo transitivo (o questo è di usorarissimo); essi sono infatti impiegati esclusiva-mente nella forma riflessiva. Per esempio:

accorgersi, adirarsi, ammalarsi, arrampicarsi, ar-rendersi, astenersi, impadronirsi, ingegnarsi, la-gnarsi, meravigliarsi, pentirsi, vergognarsi, ecc.

NOTA

• Ad alcuni transitivi attivi corrisponde un riflessivopronominale di significato pressoché uguale: dimenti-care e dimenticarsi, decidere e decidersi, rifiutare erifiutarsi, sposare e sposarsi, ecc. C'è anche qualchecoppia intransitivo/riflessivo: sedere e sedersi, crcparee crcparsi, ecc.

2. PARTICOLARITÀDELLA FORMA RIFLESSIVA

ESPRESSIONE DELLA RECIPROCITÀ

Con i pronomi àtoni plurali (ci, vi, si) la formariflessiva del verbo può esprimere, anziché l'azio-ne riflessa, l'azione reciproca. Si confrontino lefrasi:

Si amano troppo: sono Si amano molto: nulladegli egoisti(= «amano se stessi»:azione riflessa)

li dividerà(= «l'uno ama l'al-tro», oppure «gli uniamano gli altri»: azio-ne reciproca).

Il valore reciproco si deduce dal contesto, maspesso è anche sottolineato da un avverbio (Si a-mano vicendevolmente), o da altri pronomi (Si a-mano l'un l'altro), o mediante la preposizione fra:Ci lodiamo fra noi; Vi lodate fra voi; Si lodanofra loro (non fra sé!).

IL SI «PASSIVANTE»

II pronome riflessivo si — con valore e con con-cordanza sia singolare, sia plurale — serve an-che, con verbi transitivi, ad esprimere l'azionepassiva. La forma riflessiva viene ad equivalere aun passivo, e non di rado è preferita nell'uso alpassivo stesso:

Si prese una grave de- = Fu presa una grave de-cisione cisioneSi vendono libri a metà = Sono venduti libri aprezzo metà prezzo.

In questa funzione il pronome riflessivo si vienedetto «passivante» (= che rende passivo il va-lore del verbo attivo).

IL SI IMPERSONALE (O INDETERMINATO)

Infine, con qualsiasi verbo (transitivo o intransi-tivo) e nella sola 3a persona singolare (si + sin-golare), il riflessivo assume valore impersonale:

(con verbi transitivi) Così si racconta; Si vede be-ne, di là; Qui si spende troppo(con verbi intransitivi) Non si scherza con me!Qui si vive allegramente; Si parte alle sette.

In tutte queste frasi potremmo sostituire allaparticella si un pronome indefinito, o un prono-me personale, oppure anche un sostantivo di si-gnificato generico: Così alcuni raccontano; Unovede bene, di là; Qui la gente spende troppo; Noipartiamo alle sette; ecc. Il si ha quindi la funzio-ne di un soggetto indeterminato.

3. CONIUGAZIONEDEL RIFLESSIVO

Come si è già detto, nel riflessivo le forme ver-bali sono quelle dell'attivo, e quindi i riflessividella I coniugazione seguono il paradigma di ci-mare, quelli della II di temere, quelli della III disentire.Tuttavia conviene esaminare, in sintesi, tutta laconiugazione di un riflessivo, soprattutto per ri-levare la posizione del pronome, l'uso dell'ausi-liare (sempre essere) e la forma assunta dall'im-perativo e dalle voci dei modi infinitivi.

176

INDICATIVO

CONGIUNTIVO

CONDIZIONALE

IMPERATIVO

PARTICIPIO

Presente

(io) mi(tu) ti(egli, essa) si(noi) ci(voi) vi(essi, esse) si

Imperfetto

(io) mi

Passato remoto

(io) mi

Futuro (semplice)

(io) mi

Presente

che io mi

Imperfetto

che io mi

Presente

(io) mi

(2a p. sing.)(3a p. sing.)(la p. plur.)(2a p. plur.)(3° p. plur.)

Presente

rallegrorallegrirallegrarallegriamorallegraterallegrano

rallegravo, ecc.

rallegrai, ecc.

rallegrerò, ecc.

rallegri, ecc.

rallegrassi, ecc.

rallegrerei, ecc.

rallegratisi rallegrirallegriamocirallegratevisi rallegrino

rallegratesi

Passato

rallegratosi rallegratisi-mi, -ti -ci, -vi

Passato prossimo

(io)(tu)(egli, essa)(noi)(voi)(essi, esse)

Trapassato

(io)

Trapassato

(io)

mi sono rallegrato -ati sei rallegrato -asi è rallegrato -aci siamo rallegrati -evi siete rallegrati -esi sono rallegrati -e

prossimo

mi ero rallegrato

remoto

mi fui rallegrato

-a, ecc.

-a, ecc.

Futuro anteriore

(io)

Passato

che io

Trapassato

che io

Passato

(io)

GERUNDIO

INFINITO

mi sarò rallegrato

mi sia rallegrato

mi fossi rallegrato

mi sarei rallegrato

Presente

rallegrandosi, -mi,

Passato

essendosi-mi, -ti, -ci, -vi

Presente

-a, ecc.

-a, ecc.

-a, ecc.

-a, ecc.

-ti, -ci, -vi

rallegrato-a, -i, -e

rallegrarsi, -mi, -ti, -ci, -vi

Passato

essersi-mi, -ti, -ci, -vi

rallegrato-a, -i, -e

177

NOTA

• Con i verbi servili (dovere, potere, vokre) l'ausiliare è essere se il pronome atono è premesso al verbo servilestesso, mentre è avere se si aggiunge all'infinito;

Egli si è voluto sacrificare. Egli ha voluto sacrificarsi.

COME USARE IL VOCABOLARIO

4. I VERBI IMPERSONALI

Caratteristica fondamentale delle forme verbali finite è il riferimento a una persona, che funge dasoggetto.Però certe idee verbali non sono riferibili a una persona determinata: si hanno così i verbi imperso-nali (tutti intransitivi), impiegati soltanto, o prevalentemente, nella 3a persona singolare, oltreché neimodi infinitivi.

178

VERBI «METEOROLOGICI»

Gli impersonali più tipici sono quelli relativi afenomeni meteorologici:

albeggiare, annottare, diluviare, grandmare, lam-peggiare, nevicare, piovere, piovigginare, tuonare,ecc.

La coniugazione è ridotta a: piove, pioveva, piov-ve, che piova, ecc.; nei modi infinitivi: piovere, al-beggiante, piovuto, piovendo. L'ausiliare è piùspesso essere (quindi è piovuto, che sia piovuto,ecc.), ma si trova anche avere (vedi capitolo 17,§3).

Talora, soprattutto in senso figurato, alcuni di questiverbi ricevono un soggetto e quindi si coniugano an-che nella 3a persona plurale (eccezionalmente nellealtre):

L'oratore tuonò contro gli sperperi; I cannoni tuonava-no; Narra il cronista che piovvero sassi; Ci sei piovutoaddosso senza preavviso.

ALTRI IMPERSONALI

Altri gruppi di verbi intransitivi (riuniti intornoa pochi significati fondamentali) sono usati siapersonalmente, sia impersonalmente:

• verbi di «accadimento»: accadere, avvenire, ca-pitare, succedere;• verbi di «necessità»: bisognare, occorrere, ùr-gere;• verbi indicanti un «giudizio»: convenire, im-

portare; piacere, spiacere, rincrescere; sembrare,parere.

L'uso impersonale si verifica quando questi verbiintroducono un infinito o una proposizione colche dichiarativo (i quali in effetti vengono a rap-presentare il soggetto del verbo stesso: vedi capi-tolo 34, § 1):

Bisogna decidere subito; Mi piace moltosciareBisogna che decidiate subito; Mi spiace chenon veniate.

L'ausiliare, per tutti questi impersonali, è sem-pre essere; è accaduto, è importato, è piaciuto, ecc.

Esempi dell'uso personale di tali verbi (limitato, conalcuni, alle 3e persone): Questo accade una volta tanto;Accadono cose strane; Mi è capitato un guaio; Mi sonocapitati dei guai; Sono capitato in un bel guaio.

LOCUZIONI IMPERSONALI

Hanno pure valore impersonale varie locuzioni,come è o fa + aggettivo, indicanti condizionimeteorologiche e simili, è + aggettivo o so-stantivo, di significato equivalente agli imperso-nali del secondo gruppo, ecc.:

è caldo, è freddo, è nuvoloso, è buio; fa caldo, fafreddo;è necessario, è opportuno; è bello, è brutto, è noto,è facile;è tempo, è uso, è ora, è bene, è male, ecc.;è stato detto (che...), fu richiesto (che), ecc.

DUBBI LINGUISTICI

Cercasi, affittasi

Nell'italiano antico il pronomeàtono, nei riflessivi, veniva nondi rado posposto anche a vocifinite dell'indicativo o del con-giuntivo (dicesi = sì dice, al-zassi = si alzò, ecc.). L'usosussiste ancor oggi nelle comu-nicazioni telegrafiche e negli

annunci economici (e così sirisparmia sul loro prezzo): af-fittasi, cercasi, comprasi, ven-desi.Naturalmente, se affittasi villinoè ammissibile, è scorretto *af-fittasi villini, perché qui si è«passivante» e quindi occorreconcordare: se mai, affittansivillini.

Riflessivi senzala particellapronominale

A verbi riflessivi pronominalicome accorgersi, lagnarsi, ver-gognarsi, ecc. non corrispon-dono verbi di forma attiva. Sulvocabolario non trovate il lem-ma accorgerà, ma accorgersi.

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Quando però il riflessivo, all'in-finito, è introdotto da un verbomodale, abbiamo: Si è dovutovergognare, in alternativa con:Ha dovuto vergognarsi. Ma, an-che nella prima formulazione, ilpronome riflessivo c'è, premes-so alla voce del verbo dovere.Il pronome si viene invece ef-fettivamente a mancare, conqualsiasi verbo riflessivo, quan-do esso è introdotto, all'infinito,da fare o da lasciare. Per e-sempio: Non farli accorgeredell'inganno; Li fecero arrende-re senza condizioni.

«Il corteo, dice,passerà di qui»

// corteo, dice, passerà di qui eil traffico diventerà caotico. Chilo dice? Nessuno di preciso: inun enunciato come questo nonpotremmo inserire davanti a di-ce il pronome egli, perché ilparlante non si riferisce a unapersona precisa (un amico, unagente della stradale, il 4212dell'ACI), ma fa un riferimentogenerico. Qui la 3" pers. sing.dell'attivo equivale all'imperso-nale col si: si dice. Ma, nellalingua corrente, il semplice di-

ce torna più naturale di si dice.L'uso è limitato nel singolare alverbo dire, mentre diventa piùesteso con la 3" pers. plur.: Lamanifestazione, dicono, non siterrà. Il motivo, insinuano, è unpossibile attentato.

«Tu» al posto di «si»

Un altro modo per sostituire ilsi impersonale consiste nell'u-sare la 2a pers. sing.:

«Se ora apri il Decamerone,letta appena la prima novella,è come cascar dalle nuvole.»

«Lo stile ha aria più di discorsoche di dialogo; senti meno ilpoeta che il critico.»

Invece di: Se ora si apre...; ...si sente meno... F. De Sanctis,da cui sono desunti gli esempi,si vale spesso di questo tipo diespressione, come se avessedavanti, attento e partecipe, ilsuo lettore. La 2" pers. sing. alposto dell'impersonale non èestranea nemmeno al parlato,ma, scrivendo, la useremo concautela, sia per evitare equivo-ci, sia per non cadere nell'affet-tazione.

«Noi si va via»

II si impersonale indica un sog-getto indeterminato, la cui iden-tificazione può risultare even-tualmente dal contesto o dallasituazione.Parla uno di tre o quattro amiciseduti al tavolo di un bar: Ri-maniamo ancora; qui si sta be-ne. Cioè: noi stiamo bene.Piomba all'improvviso il capuffi-cio: Si lavora o ci si diverte?Cioè: voi lavorate o vi divertite?Fino a questo punto tutto èchiaro.Ma ecco altre frasi:

Noi si va viaNoi ci si ferma quiNoi si credeva che si fossed'accordo.

Al si impersonale si aggiunge,eliminando ogni indeterminatez-za, il pronome personale noi. InToscana questo uso dell'imper-sonale accompagnato dal pro-nome di 1" pers. plur. sostitui-sce quasi sempre le forme atti-ve del verbo, sentite come trop-po ampie e pesanti, in -/amo,-avamo, ecc. Ma il resto degliItaliani, e così la lingua lettera-ria, in genere rifiutano questascelta stilistica.

180

21. Verbi irregolarie difettivi

1. CHE COSA SONOI VERBI IRREGOLARI

GLI IRREGOLARI: PERCHÉ E COME

Mentre i paradigmi regolari offrono gli schemi acui si conforma la coniugazione della maggioran-za dei verbi, alcuni altri — in uno o due o piùtempi e talora in quasi tutti — non si adattanoal sistema, ma presentano quelle forme che chia-miamo irregolari o «anòmale».Il fenomeno dei verbi «irregolari» in italianonon è marginale, ma coinvolge anche verbi di u-so comunissimo (i servili dovere, potere, volere, epoi andare e venire, fare e stare, sapere e vedere,dare e dire, prendere e mettere, ecc.). Proprio l'u-so costante e ininterrotto ha fatto sì che questiverbi si siano sottratti ai processi di normalizza-zione e mantengano molte forme peculiari.Le anomalie rispetto ai paradigmi regolari posso-no continuare anomalie già proprie dei verbi la-tini da cui derivano, oppure rappresentare inno-vazioni dell'italiano; in alcuni casi esse sono do-vute a un principio di eufonia (hanno un «suonomigliore»), in altri casi danno luogo a forme piùsnelle o più nettamente caratterizzate.Richiederebbe moltissimo spazio una spiegazioneper ogni anomalia di ciascun verbo, e del restoun repertorio di verbi irregolari si consulta, piùche studiarlo.Tuttavia sarebbe bene dargli almeno una scorsa,e allora vi forniamo alcuni orientamenti percomprendere che cosa accade.

I PASSATI REMOTI «FORTI»

Anzitutto va osservato che un'irregolarità (spesso lasola) di molti verbi della II coniugazione riguarda laformazione del passato remoto. Chiamiamo fortiquei passati remoti che non sono contraddistinti solodalle terminazioni (come invece accade per il regolaretem-ei, o lem-etti, da tem-ere), ma anche, ed essenzial-mente, da una modificazione del tema. Per esempio,il passato remoto di chied-ere (tema chied-) è chies-i,in cui -s- sostituisce -d-. In altri verbi è coinvoltanel cambiamento anche la vocale del tema, e/o altrielementi: fond-ere: fus-i; conosc-ere: conobbi; rompere:ruppi.L'anomalia riguarda però non tutte le persone delpassato remoto, ma solo tre, quelle accentate sul te-ma, mentre le altre tre, accentate sulla terminazione,sono regolari, come risulta dal seguente prospetto:

1" p. sing.2a p. sing.3a p. sing.la p. plur.2a p. plur.3a p.plur.

forme fortidal tema

chies-

chies-i

chies-e

chiès-ero

forme deboli regolaridal tema

chied-

chied-esti (come tempesti)

chied-emmo (come tem-emmo)chied-este (come tem-este)

Oltre che in molti irregolari della II coniugazione, ilpassato remoto forte si trova in tre della I e in parec-

182

chi della III. Al passato remoto forte si associa quasisempre un participio passato pure formato irregolar-mente (per es. da chiedere: chiesto).

ALTRE ANOMALIE TIPICHE

• Formazione di alcuni tempi da un tema ampliato,che è quello del verbo latino originario. Per es. fac-per fare (imperf. fac-evo, cong. passato fac-essi, ecc.).

• Sincope (= caduta) di una vocale nelle termina-zioni del futuro e del condizionale presente: da cadere:cad-rò, cad-rei (anziché *cad-e-rò, *cad-e-rei).

• Modificazione del tema nella la persona sing. enella 3a plur. dell'indicativo pres. di verbi in -gliere,-kre, ecc.; per es. da cogliere: colgo, còlgono.

• Fenomeno del dittongo mobile (vedi capitolo 18,§ 4), cioè -uo- alternante con -o-, e anche -ie- con e, peres. in dolere, sedere, morire, ecc.

al paradigma regolare. Talora, quando le anomalie in-vestono la quasi totalità dei tempi, vengono citati an-che i pochi tempi regolari.

• L'indicazione ecc. implica che la coniugazione con-tinua sulla base dell'unica forma o delle due (irregola-ri o regolari) riportate. Per es. da andrò andrai ecc. sidedurranno: and-rà, and-remo, and-rete, and-ranno.

• Nel congiuntivo presente le forme riportate sono 4,perché la prima è comune alla la, 2a e 3a personasing.: vada = che io vada, che tu vada, che egli vada.

• Dell'imperativo si riportano soltanto le 2e persone(per es.: va, andate), perché la 3a sing. e la la e 3a

plur. sono uguali alle corrispondenti persone del con-giuntivo presente.

• Le forme poste tra parentesi (irregolari in corsivo,regolari in tondo) sono quelle usate meno comune-mente.

2. AVVERTENZEPER LA CONSULTAZIONE

DEL REPERTORIODEI VERBI IRREGOLARI

• I verbi irregolari sono suddivisi per coniugazione(I, II, III). Gli irregolari della II, a loro'volta, vengonodistinti in due gruppi: 1) quelli che hanno irregolaritàsolo nel passato remoto (forte) e nel participio passa-to; 2) quelli che hanno queste e altre irregolarità op-pure altre irregolarità.

• Per ogni verbo sono riportati di norma solo i tem-pi in tutto o in parte irregolari (in neretto); s'intendeche tutti gli altri tempi si coniugano conformemente

• Una lettera tra parentesi, per es. in c(u)ociamo, se-gnala che si dice tanto cucciamo, quanto cociamo.

• Quando trovate l'indicazione di un tempo o modoverbale seguito da lineetta, per es. imper. —, ciò si-gnifica che quel tempo non è usato.

• II repertorio comprende i verbi semplici (primitivi,radicali); nel colonnino a destra si citano i verbi deri-vati, composti con prefisso, che si coniugano, salvoindicazione diversa, come il verbo base (i composti so-no riportati per esteso o con la sola indicazione delprefisso: con-, de-, per-, ecc.). Di alcuni verbi compostinon è in uso il verbo base; il lemma è costituito in talcaso dal primo di essi in ordine alfabetico o talora dalpiù comune: per esempio accludere per concludere, e-scindere, includere, precludere (tutti formati sulla base-eludere).

3. IRREGOLARI DELLA I CONIUGAZIONE

183

dare ind. pres. do, dai, da, diamo, date, danno / impf. davo, davi, ecc./ pass. diedi (detti), desti, diede (dette), demmo, deste, diedero(dettero) / fut. darò, darai, ecc. / cong. pres. dia, diamo, diate,diano / impf. dessi, dessimo, deste, dessero / cond. darei,daresti, ecc. / imper. da (da', dai), date / pari, dante; dato / ger.dando.

fare ind. pres. faccio (fo), fai, fa, facciamo, fate, fanno / impf.facevo, facevi, ecc. / pass. feci, facesti, fece, facemmo,faceste, fecero / fut. farò, farai, ecc. / cong. pres. faccia,facciamo, facciate, facciano / impf. facessi, facessi, facesse,facessimo, faceste, facessero / cond. farei, faresti, ecc. /imper. fa (fa', fai), fate / part. facente; fatto / ger. facendo.

stare ind. pres. sto, stai, sta, stiamo, state, stanno / impf. stavo,stavi, ecc. / pass. stetti, stesti, stette, stemmo, steste,stettero / fut. starò, starai, ecc. / cong. pres. stia, stiamo,stiate, stiano / impf. stessi, stessi, stesse, stessimo, steste,stessero / cond. starei, staresti, ecc. / imper. sta (sta', stai),state / part. stante; stato / ger. stando.

COMPOSTIE OSSERVAZIONIri-dare (rido, ridai, rida,ecc.).

assue-fare (assuefaccio,assuefai ecc.), contraf-,rare-, ri-, sopraf-, stra-,lume-; disfare (mo ancheregol. disfo, disfa,dìsfano); soddisfare (maanche regol. ind. pres.,fut. e cong. pres). Quasitutte le forme irreg. daltema fac- (latino fàcere) emolte secondo iparadigmi della IIconiug.

ri-stare (risto, ristai,rista, ecc.), sopra-, sotto-;sono invece regol.constare (consto, consti,ecc.), contrastare,costare, prestare, restare,sovrastare, sostare. Neitempi composti (sonostato, ero stato, ecc.) laconiug. di stare coincidecon quella di essere.

accòrgersi

af-flìggere

al-lùdere

an-nèttere

ap-pèndere

àrdere

a-spèrgere

assidersi

as-sòlvere

as-sùmere

assùrgere

attìngere

chièdere

chiùdere

cìngere

com-prìmere

con-cèdere

conóscere

con-tùndere

con-vèrgere

PASSATO REMOTO

mi accorsi ti accorgesti

afflissi affliggesti

allusi alludesti

annettéi annettesti

appesi appendesti

arsi ardesti

aspersi aspergesti

mi assisi ti assidesti

assolsi assolvesti

assunsi assumesti

assursi assurgesti

attinsi attingesti

chiesi chiedesti

chiusi chiudesti

cinsi cingesti

compressi comprimesti

concessi / concedeiconcedetti / concedesti

conobbi conoscesti

contusi contundesti

conversi convergesti

i

PARTICIPIO PASSATO

accorto(si)

afflitto

alluso

annesso

appeso

arso

asperso

assiso(si)

assolto

assunto

assurto

attinto

chiesto

chiuso

cinto

compresso

concesso

conosciuto

contuso

converso

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

in-fliggere

de-ludere, e-ludere,disil-ludere, il-ludere

con-nettere, ricon-, scon-,rian-

di-pendere, pro-pendere(anche: propendéi,propenso), sos-pendere,s-pendere, vili-pendere.Invece pèndere è regolare.

ri-ardere

cospergere

dis-solvere, ri-solvere

de-sumere, pre-sumere,rias-sumere

Senza rapporto contìngere

ri-chiedere

dis-chiudere, rac-, ri-, rin-,soc-

ac-cingersi, re-cingere

de-primere, es-primere,im-primere, op-primere,re-primere, sop-primere.Invece prèmere èregolare.

suc-cedere (pari, anchesucceduto). Sono inveceregol. cèdere, ac-cedere,de-, ec-, in-, pre-, prò-,re-.

dis-conoscere,ri-conoscere

ot-tundere

Di di-vergere non siusano il pass. rem. e ilpari. pass.

185

córrere

créscere

de-cìdere

de-vòlvere

di-fèndere

dipìngere

di-rìgere

dis-cùtere

dis-tìnguere

divìdere

eccèllere

elìdere

e-mèrgere

èrgere

es-ìgere

e-sìstere

es-pèllere

es-plòdere

e-vàdere

fìggere

fìngere

flèttere

PASSATO REMOTO

corsi corresti

crebbi crescesti

decisi decidesti

devolvei / devolvettidevolvesti

difesi difendesti

dipinsi dipingesti

diressi dirigesti

discussi discutesti

distinsi distinguesti

divisi dividesti

eccelsi eccellesti

elisi elidesti

emersi emergesti

ersi ergesti

esigei / esigetti esigesti

esistei / esistetti esistesti

espulsi espellesti

esplosi esplodesti

evasi evadesti

fissi figgesti

finsi fingesti

flettéi / flessi nettasti

PARTICIPIO PASSATO

corso

cresciuto

deciso

devoluto

difeso

dipinto

diretto

discusso

distinto

diviso

eccelso

eliso

emerso

erto

esatto

esistito

espulso

esploso

evaso

fisso

finto

flesso

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

ae-correre, con-, de-, dis-,in-, oc-, per-, pre-, ri-,rin-, s-, soc-, tras-

ac-crescere, de-, in-, ri-,rin-

coin-cidere, in-cidere,re-cidere, uc-cidere

e-volvere

of-fendere. Senzarapporto con fèndere,regolare.

ri-dipingere

e-rigere

es-cutere; in-cutere:incutei ecc., incusso

es-tinguere

con-dividere, sud-

col-lidere

im-mergere, rie-mergere,som-mergere

trans-igere

as-sistere, con-sistere,de-sistere, in-sistere,per-sistere, re-sistere,sus-sistere

re-pellere

im-plodere

in-vadere, per-vadere

af-figgere, croci-, in-,pre-; con pari fitto:con-figgere, scon-, tra-.

in-fingersi

de-flettere, genu-flettersi;per riflettere vedi questavoce.

186

fóndere

fràngere

frìggere

fùngere

giùngere

indùlgere

intrìdere

intrudere

lèdere

lèggere

méttere

mòrdere

mùngere

muòvere

nàscere

nascóndere

pèrdere

per-suadére

piàngere

piòvere

pòrgere

predilìgere

prèndere

PASSATO REMOTO

fusi fondesti

fransi frangesti

frissi friggesti

funsi fungesti

giunsi giungesti

indulsi indulgesti

intrisi intridesti

intrusi intrudesti

lesi ledesti

lessi leggesti

misi mettesti

morsi mordesti

munsi mungesti

mossi movesti

nacqui nascesti

nascosi nascondesti

persi / perdei / perdetti perdesti

persuasi persuadesti

piansi piangesti

piovvi piovesti

porsi porgesti

predilessi prediligesti

presi prendesti

PARTICIPIO PASSATO

fuso

franto

fritto

funto

giunto

indulto

intriso

intruso

leso

letto

messo

morso

munto

mosso

nato

nascosto

perso / perduto

persuaso

pianto

piovuto

porto

prediletto

preso

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

con-fondere, dif-, ef-, in-,prò-, ri-, sof-, tras-

in-frangere; ri-frangere(pari, anche rifratto)

ri-friggere, sof-friggere

de-fungere

ag-giungere, con-, in-,rag-, sog-

e-leggere, ri-, rie-

am-mettere, com-, di-, e-,fram-, im-, mano-, o-, per-,prò-, ri-, riam-, s-, scora-,tras-

de-mordere, ri-mordere

e-mungere

com-muovere, prò-, ri-, s-,som-. Se atono, mo- èpreferibile: movevo(muovevo), moverò(muoverò), ecc.

ri-nascere

ascondere (mo pari:ascoso)

dis-perdere (ma pari, solodisperso), ri-, s-

dis-suadere

com-piangere, rim-

s-piovere. Comunem.impers.: piovve.

s-porgere, ri-

ap-prendere, com-, ri-,sor-

187

protèggere

pùngere

ràdere

redìgere

redìmere

règgere

rèndere

rìdere

riflèttere

rifùlgere

rispóndere

ródere

rompere

scéndere

scindere

scòrgere

scrìvere

s-cuòtere

sórgere

spàndere

spàrgere

spìngere

strìngere

strùggere

PASSATO REMOTO

protessi proteggesti

punsi pungesti

rasi radesti

redassi redigesti

redensi redimesti

ressi reggesti

resi rendesti

risi ridesti

riflettéi riflettesti

rifulsi rifulgesti

risposi rispondesti

rosi rodesti

ruppi rompesti

scesi scendesti

scissi scindesti

scorsi scorgesti

scrissi scrivesti

scossi scotesti

sorsi sorgesti

spandéi / spanderti / spansispandesti

sparsi spargesti

spinsi spingesti

strinsi stringesti

strussi struggesti

PARTICIPIO PASSATO

protetto

punto

raso

redatto

redento

retto

reso

riso

riflesso / riflettuto

rifulso

risposto

roso

rotto

sceso

scisso

scorto

scritto

scosso

sorto

. spanto

sparso

spinto

stretto

strutto

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

es-pungere, ri-, tra-

cor-reggere, sor-reggere

ar-rendersi

ar-ridere, de-, ir-, sor-

cor-rispondere

cor-rodere, e-rodere

cor-rompere, e-, inter-, ir-,pro-

accondi-, a-scendere,condì-, di-, tra-

re-scindere; è regol. pre-scindere (ma senza pari.pass.).

a-scrivere, co-, de-, pre-,prò-, ri-, sotto-, tra-

per-cuotere, ris-cuotere.Se atono, sco- èpreferibile: scotevo(scuotevo), scolerò(scuoterò), ecc.

in-sorgere, ri-

e-spandere (ma pari.:espanso)

co-spargere

re-spingere, so-

co-stringere; re-stringere{pari.: ristretto)ri-stringere

di-struggere

188

tèndere

tèrgere

tìngere

tòrcere

transìgere

ùngere

vìncere

vòlgere

PASSATO REMOTO

tesi tendesti

tersi tergesti

tinsi tingesti

torsi torcesti

transigei / transigetti transigesti

unsi ungesti

vinsi vincesti

volsi volgesti

PARTICIPIO PASSATO

teso

terso

tinto

torto

transatto

unto

vinto

volto

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

at-tendere, con-, dis-, es-,in-, pre-, prò-, s-, sottin-

as-tergere, de-tergere

at-tingere, in-, ri-, s-

at-torcere, con-, dis-, es-,ri-, s-

av-vincere, con-

av-volgere, capo-, coin-,in-, rav-, ri-, s-, scon-,stra-, tra-

2) Verbi con formazione irregolare di più voci

bere

cadére

cògliere

compiere

con-durre

cuocere

ind. pres. bevo, bevi, beve, beviamo, bevete, bévono / impf.bevevo, ecc. / pass. bevvi, bevesti, bevve, ecc. / fui berrò,berrai, ecc. / cong. pres. beva, beviamo, beviate, bévano /cond. berrei, berresti, ecc. / imper. bevi, bevete / pari.bevente; bevuto / ger. bevendo.

ind. pass. caddi, cadesti, cadde, ecc. / fut. cadrò, cadrai, ecc. /cond. cadrei, cadresti, ecc.

ind. pres. colgo, cogli, coglie, cogliamo, cogliete, còlgono /pass. colsi, cogliesti, colse, ecc. / cong. pres. colga, cogliamo,cogliate, còlgano / imper. cogli, cogliete / pari, cogliente; còlto.

vedi compire (III coniugazione)

ind. pres. conduco, conduci, conduce, conduciamo,conducete, condùcono / impf. conducevo, conducevi, ecc. /pass. condussi, conducesti, condusse, ecc. / fut. condurrò,condurrai, ecc. / cong. pres. conduca, conduciamo,conduciate, condùcano / cond. condurrei, condurresti, ecc. /imper. conduci, conducete / pari, conducente; condotto / ger.conducendo.

ind. pres. cuocio, cuoci, cuoce, c(u)ociamo, c(u)ocete, cuòciono/ impf. c(u)ocevo, ecc. / pass. cossi, c(u)ocesti, cosse, ecc. / fut.c(u)ocerò, ecc. / cong. pres. cuccia, c(u)ociamo, c(u)ociate,cuòciano / impf. c(u)ocessi, ecc. / cond. c(u)ocerei, ecc. / pari,cocente; cotto (cociuto) / ger. c(u)ocendo.

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

Molte forme dal temabev-. È regolareimbévere.

ac-cadere, de-, ri-, s-

ac-cogliere, in-, rac-

ad-durre, de-, in-, intro-,prò-, ri-, se-, tra-. Molteforme dal tema -due-(latino dùcere).

ri-cuocere, stra-

189

05

5oow0505

05

dolere

dovére

giacere

godere

nuòcere

parere

piacere

porre

potére

rimanere

ind. pres. dolgo, duoli, duole, doliamo (dogliamo), dolete,dolgono / impf. dolevo, ecc. / pass. dolsi, dolesti, dolse, ecc. /fui. dorrò, dorrai, ecc. / cong. pres. dolga, doliamo (dogliamo),doliate (doglìate), dolgano / impf. dolessi, ecc. / cond. dorrei,dorresti, ecc. / imper. duoli, dolete / pari, dolente; doluto / ger.dolendo.

ind. pres. devo (debbo), devi, deve, dobbiamo, dovete, devono(debbono) / impf. dovevo, ecc. / pass. dovei e dovetti, ecc. / fut.dovrò, dovrai, ecc. / cong. pres. deva (debba), dobbiamo,dobbiate, dovano (debbano) / impf. dovessi, ecc. / cond. dovrei,dovresti, ecc. / imper. — / pari. — ; dovuto / ger. dovendo.

ind. pres. giaccio, giaci, giace, giac(c)iamo, giacete, giacciono /pass. giacqui, giacesti, giacque, ecc. / cong. pres. giaccia,giac(c)iamo, giac(c)iate, giacciano / pari. pass. giaciuto.

ind. fut. godrò, godrai, ecc. / cond. godrei, godresti, ecc.

ind. pres. n(u)occio, nuoci, nuoce, n(u)ociamo, n(u)ocete,n(u)òcciono / impf. n(u)ocevo, ecc. / pass. nacqui, n(u)ocesti,nacque, ecc. / fut. n(u)ocerò, ecc. / cong. pres. n(u)occia,n(u)ociamo, n(u)ociate, n(u)òcciano / impf. n(u)ocessi, ecc. /cond. n(u)ocerei, ecc. / imper. nuoci, n(u)ocete / pari. n(u)ocente;n(u)ociuto / ger. n(u)ocendo.

ind. pres. paio, pari, pare, paiamo, parete, paiono / impf.parevo, ecc. / pass. parvi, paresti, parve, ecc. / fut. parrò,parrai, ecc. / cong. pres. paia, paiamo, paiate, paiano / impf.paressi, ecc. / cond. parrei, parresti, ecc. / imper. — / pari.parvente; parso / ger. parendo.

ind. pres. piaccio, piaci, piace, piac(c)iamo, piacete, piacciono /pass. piacqui, piacesti, piacque, ecc. / cong. pres. piaccia,piac(c)iamo, piac(c)iate, piacciano.

ind. pres. pongo, poni, pone, poniamo, ponete, póngono /impf. ponevo, ecc. / pass. posi, ponesti, pose, ecc. / fut. porrò,porrai, ecc. / cong. pres. ponga, poniamo, poniate, póngano /impf. ponessi, ecc. / cond. porrei, porresti, ecc. / imper. poni,ponete / part. ponente; posto / ger. ponendo.

ind. pres. posso, puoi, può, possiamo, potete, possono / impf.potevo, ecc. / pass. potei, potesti, ecc. / fut. potrò, potrai, ecc. /cong. pres. possa, possiamo, possiate, possano / impf. potessi,ecc. / cond. potrei, potresti, ecc. / imper. — / part. potente;potuto / ger. potendo.

ind. pres. rimango, rimani, rimane, rimaniamo, rimanete,rimangono / impf. rimanevo, ecc. / pass. rimasi, rimanesti,rimase, ecc. / fut. rimarrò, rimarrai, ecc. / cong. pres.rimanga, rimaniamo, rimaniate, rimàngano / impf. rimanessi,ecc. / cond. rimarrei, rimarresti, ecc. / imper. rimani, rimanete/ part. rimanente; rimasto / ger. rimanendo.

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

Nelle 1' e 2' pers. soloriflessivo (dolersi).

sog-giacere

com-piacere, dis-, s-

ante-porre, de-, dis-, op-,pos-, pre-, prò-, sup-.Molte forme dal temapon- (lai. pònere).

per-manere

190

sapere

scégliere

sciògliere

sedére

spegnere(spèngere)

svèllere

tacére

tenére

tògliere

ind. pres. so, sai, sa, sappiamo, sapete, sanno / impf. sapevo,ecc. / pass. seppi, sapesti, seppe, ecc. / fut. saprò, saprai, ecc. /cong. pres. sappia, sappiamo, sappiate, sappiano / impf.sapessi, ecc. / cond. saprei, sapresti, ecc. / imper. sappi,sappiate / pari, sapiente; saputo / ger. sapendo.

ind. pres. scelgo, scegli, sceglie, scegliamo, scegliete, scélgono/ impf. sceglievo, ecc. / pass. scelsi, scegliesti, scelse, ecc. / fut.sceglierò, ecc. / cong. pres. scelga, scegliamo, scegliate,scélgano / impf. scegliessi, ecc. / cond. sceglierei, ecc. / imper.scegli, scegliete / part. scegliendo; scelto / ger. scegliendo.

ind. pres. sciolgo, sciogli, scioglie, sciogliamo, sciogliete,sciòlgono / impf. scioglievo, ecc. / pass. sciolsi, sciogliesti,sciolse, ecc. / fut. scioglierò, ecc. / cong. pres. sciolga,sciogliamo, sciogliate, sciòlgano / impf. sciogliessi, ecc. / cond.scioglierei, ecc. / imper. sciogli, sciogliete / part. sciogliendo;sciolto / ger. sciogliendo.

ind. pres. siedo (seggo), siedi, siede, sediamo, sedete, siedono(seggono) I impf. sedevo, ecc. / pass. sedei o sedetti, ecc. / fut.s(i)ederò, ecc. / cong. pres. sieda (segga), sediamo, sediate,siedano (seggano) / impf. sedessi, ecc. / cond. s(i)ederei, ecc. /imper. siedi, sedete / part. sedente; seduto / ger. sedendo.

ind. pres. spengo, spegni (spengi), spegne (spenge), spegniamo(spengiamo), spegnete (spengete), spèngono / impf. spegnevo(spengevo), ecc. / pass. spensi, spegnesti (spengesti), spense,ecc. / fut. spegnerò (spengerò), ecc. / cong. pres. spenga,spegniamo (spengiamo), spegniate (spengiate), spèngano / impf.spegnessi (spengessi), ecc. / cond. spegnerei (spengerei), ecc. /imper. spegni (spengi), spegnete (spengete) / pari. —; spento /ger. spegnendo (spengendo).

ind. pres. svello (svelgo), avelli..., svèllono (svelgono) / pass.svelsi, svellesti, svelse, ecc. / part. —; svelto.

ind. pres. taccio, taci, tace, taciamo, tacete, tacciono / pass.tacqui, tacesti, tacque, ecc. / cong. pres. taccia, taciamo,taciate, tacciano.

ind. pres. tengo, tieni, tiene, teniamo, tenete, tengono / impf.tenevo, ecc. / pass. tenni, tenesti, tenne, ecc. / fut. terrò,terrai, ecc. / cong. pres. tenga, teniamo, leniate, tengano /impf. tenessi, ecc. / cond. terrei, terresti, ecc. / imper. tieni,tenete / part. tenente; tenuto / ger. tenendo.

ind. pres. tolgo, togli, toglie, togliamo, togliete, tòlgono / impf.toglievo, ecc. / pass. tolsi, togliesti, tolse, ecc. / fut. toglierò(terrò), ecc. / cong. pres. tolga, togliamo, tegliate, tòlgano /impf. togliessi, ecc. / cond. toglierei (terrei), ecc. / imper. togli,togliete / part. togliente; tolto / ger. togliendo.

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

ri-sapere

pre-scegliere, ri-, tra-

di-sciogliere, pro-

pos-sedere; inoltresoprassedere (ma senza leforme in -eggo e simili)',sono regolari presiedere erisiedere.

spèngere, spengi, spenge,ecc. quasi soltanto inToscana.

di-veliere

sot-tacere

appar-tenere, as-tenersi,con-, de-, intrat-, man-,ot-, ri-, sos-, trat-

dis-togliere, ri-togliere.

191

trarre ind. pres. traggo, trai, trae, traiamo, traete, traggono / impf.traevo, ecc. / pass. trassi, traesti, trasse, ecc. / fui. trarrò,trarrai, ecc. / cong. pres. tragga, traiamo, traiate, traggano /impf. traessi, ecc. / cond. trarrei, trarresti, ecc. / imper. trai,traete / pari, traente; tratto / ger. traendo.

valére ind. pres. valgo, vali, vale, valiamo, valete, valgono / impf.valevo, ecc. / pass. valsi, valesti, valse, ecc. / fut. varrò,varrai, ecc. / cong. pres. valga, valiamo, valiate, valgano /impf. valessi, ecc. / cond. varrei, varresti, ecc. / imper. vali,valete / pari, valente; valso / ger. valendo.

vedére ind. pres. vedo (veggo), vedi..., vedono (veggono) / pass. vidi,vedesti, vide, ecc. / fut. vedrò, vedrai, ecc. / cong. pres. veda(vegga\ vediamo, vediate, vedano (veggano) / conii, vedrei,vedresti, ecc. / pari, vedente; visto.

vìvere ind. pass. vissi, vivesti, visse, ecc. / fut. vivrò, vivrai, ecc. /cond. vivrei, vivresti, ecc. / pari, vivendo; vissuto.

volére ind. pres. voglio, vuoi, vuole, vogliamo, volete, vogliono /impf. volevo, ecc. / pass. volli, volesti, volle, ecc. / fut. vorrò,vorrai, ecc. / cong. pres. voglia, vogliamo, vogliate, vogliano/ impf. volessi, ecc. / cond. vorrei, vorresti, ecc. / imper. vogli,vogliate / part. volente; voluto / ger. volendo.

COMPOSTIE OSSERVAZIONIas-trarre, at-, con-, de-,dis-, prò-. Le formeregolari dal tema tra-.

equi-valere, pre-, ri-valersi

intra-, stra-, tra-; anchepre-vedere (ma fut. econd.: prevedere,prevederci; ecc.),prov-vedere, rav-vedersi

con-vivere, ri-, soprav-

ri-volere

5. IRREGOLARI DELLA III CONIUGAZIONE

ap-parire ind. pres. appaio (apparisco), appari (apparisci), appare(apparisce), appariamo, apparite, appaiono (appariscono) / pass.apparvi, apparisti, apparve, ecc. e regol. apparii ecc. / cong.pres. appaia, appariamo, appariate, appaiano / pari, apparente;apparso.

aprire ind. pass. regol. aprii, ecc. e apersi, apristi, aperse, ecc. / pari,pass. aperto.

compire ind. pres. compio, compi, compie, compiamo, compite,compiono / impf. compivo, ecc. / pass. compii, ecc. / fut.compirò, ecc. / cong. pres. compia, compiamo, compiate,compiano / impf. compissi, ecc. / cond. compirei, ecc. / imper.compi, compite / pari, compiente; compiuto / ger. compiendo.

COMPOSTIE OSSERVAZIONIcom-panre, riap-panre,scom-parire; inveces-parire e tras-parirepreferiscono le formeregolari (sparisco, spariiecc.). Vedi parere dellali coniug.

ri-aprire

Paradigma comune acompire e a compiere(// coniug.), con forme oradella II, ora della III(e varianti qui omesse);base anche peradempire/adémpiere,empire/empiere,riempire/riempiere (mapart. pass.: empito,riempito).

192

coprire

costruire

dire

in-ferire

morire

offrire

salire

seppellire

soffrire

udire

uscire

venire

ind. pass. regol. coprii, ecc. e copersi, copristi, coperse, ecc. /pari. pass. coperto.

ind. pass. regol. costruii, ecc. e antiq. costrussi, costruisti,costrusse, ecc. / pari. pass. costruito (costrutto).

ind. pres. dico, dici, dice, diciamo, dite, dicono / impf. dicevo,ecc. / pass. dissi, dicesti, disse, ecc. / fut. dirò, dirai, ecc. /cong. pres. dica, diciamo, diciate, dicano / impf. dicessi, ecc. /cond. direi, diresti ecc. / imper. dì (di'), dite / part. dicente;detto / ger. dicendo.

ind. pass. infersi, inferisti, inferse, ecc. e regol. inferii, ecc.part. pass. inferto e inferito.

ind. pres. muoio, muori, muore, moriamo, morite, muoiono /fut. morirò, morirai, ecc. e morrò, morrai, ecc. / cong. pres.muoia, moriamo, moriate, muoiano / cond. morirei, moriresti,ecc. e morrei, morresti, ecc. / imper. muori, morite / part.morente; morto.

ind. pass. offersi, offristi, offerse, ecc. e regol. offrii, ecc. / part.pass. offerto.

ind. pres. salgo, sali, sale, saliamo, salite, salgono / cong. pres.salga, saliamo, saliate, salgano.

part. pass. sepolto (seppellito)

ind. pass. soffersi, soffristi, sofferse, ecc. e regol. soffrii, ecc. /part. pass. sofferto.

ind. pres. odo, odi, ode, udiamo, udite, odono / impf. udivo,ecc. / pass. udii, udisti, ecc. / fut. udirò, udirai, ecc. e udrò,udrai, ecc. / cong. pres. oda, udiamo, udiate, odano / impf.udissi, ecc. / cond. udirei, udiresti, ecc. e udrei, udresti, ecc. /part. udente (udiente); udito / ger. udendo.

ind. pres. esco, esci, esce, usciamo, uscite, escono / cong. pres.esca, usciamo, usciate, escano / imper. esci, uscite.

ind. pres. vengo, vieni, viene, veniamo, venite, vengono / impf.venivo, ecc. / pass. venni, venisti, venne, ecc. / fut. verrò,verrai, ecc. / cong. pres. venga, veniamo, veniate, vengano /impf. venissi, ecc. / cond. verrei, verresti, ecc. / imper. vieni,venite / part. veniente; venuto / ger. venendo.

COMPOSTIE OSSERVAZIONI

ri-coprire, s-copnre.

ri-costruire

bene-dire, contrad-, dis-,in-, male-, pre-, ri-. Leforme in prevaknza daltema die- (latino dkere).

pro-ferire; invece sonoregol. conferire, deferire,preferire (tutti senzarapporto con ferire); leforme irreg. di inferirenel significato di«infliggere», le regol. di«dedurre».

pre-morire

as-salire (ma anche regol.assalisco ecc.), ri-salire;tra-salire (più frequenteregol. trasalisco ecc.)

ri-udire

av-venire, con-, di-, per-,pre-, prò-, rin-venire (maanche: rinvenirò,rinvenirci), sov-; s-venire(mo generalm.: svenirò,svenirci)

193

NOTA

• Per ritrovare, nei prospetti degli irregolari, i verbi composti la cui base non è un verbo autonomo in uso(per es. concludere da -elùdere: vedi § 2), valetevi del seguente repertorio, che include anche alcuni compostisulla base di verbi semplici in uso, ma tali da poter provocare qualche incertezza.

accingersiaccondiscendereaddurreappartenereascondereassistereassuefareastenersiastrarrebenedirecoinciderecolliderecomparireconcluderecondiscendereconnettereconsisterecontraddirecontraffarecospergerededurredeluderedeprimeredesisteredesumeredipenderedisfaredisilluderedissolveredissuaderedistruggeredivelleredivergereeludereerigereescludereescutereesprimereestinguereevolveregenuflettersiilludereimmergereimplodereimprimereincidereincludereincutereindurreinfliggereinsistere

vedi cingerescenderecondurretenerenascondereesisterefareteneretrarrediredecidereelidereapparireaccluderescendereannettereesisteredirefareaspergerecondurrealluderecomprimereesistereassumereappenderefarealludereassolverepersuaderestruggeresvellereconvergerealluderedirigereaccluderediscuterecomprimeredistingueredevolverefletterealludereemergereesploderecomprimeredecidereaccluderediscuterecondurreaffliggereesistere

intrattenereintrodurreinvaderemaledireoffendereopprimereottunderepercuoterepermanerepersisterepervaderepossedereprecluderepresumereprodurreproferirepropendereprovvedereravvedersirecidererepellerereprimereresisterericonnettereridurrerinvenireriscuotererisolverescompariresconfiggeresconnetteresedurresoddisfaresommergeresopprimeresopraffaresoprassederesospenderesosteneresparirespenderesuccederesupporresussisteresveniretradurretransigeretraspariretumefareucciderevilipendere

vedi tenerecondurreevaderediredifenderecomprimerecontunderescuotererimanereesistereevaderesedereaccludereassumerecondurreinferireappenderevederevederedecidereespellerecomprimereesistereannetterecondurrevenirescuotereassolvereapparirefiggereannetterecondurrefareemergerecomprimerefaresedereappenderetenereapparireappendereconcedereporreesisterevenirecondurreesigereapparirefaredecidereappendere

194

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

La coniugazionedei verbi irregolari

Tutte le altre lingue romanze(francese, spagnolo, ecc.) han-no verbi irregolari in modo a-nalogo all'italiano, ma ciascunasecondo le proprie leggi. Lostesso si dica, all'interno dell'i-taliano, per i dialetti, i quali de-rivano sìa le coniugazioni rego-lari, sia le forme irregolari dal-la stessa base latina, ma con e-voluzioni, modificazioni e inno-vazioni tra loro indipendenti.Osserviamo, per esempio, la ta-bella sotto, che mostra il para-digma dell'indicativo presentedi andare in italiano, in alcunidialetti e nel sardo.Ogni dialetto, dunque, rappre-senta un sistema ed ha unapropria flessione verbale, con

determinate anomalie, che pos-sono non coincidere con quelleregistrate dalla lingua. È natu-rale che l'abitudine ad espri-mersi in dialetto ingeneri abba-stanza spesso l'«errore», chepropriamente consiste nel me-scolare un sistema (quello deldialetto stesso) con un altro(quello dell'italiano standard).Ad esempio, sono frequenti, an-che in Toscana, al posto di des-si e stessi le forme dassi estassi. Sono forme modellate,analogicamente, sul paradigmaregolare della 1a coniugazione(amassi): in sostanza, se per«regolare» intendiamo «confor-me a un modello», sono pro-prio loro le forme «regolari».Perché le consideriamo errate?Perché la lingua, per i verbi da-re e sfare, ha rifiutato i proce-dimenti analogici e ha continua-

to direttamente le forme latine.Più precisamente: il cong. im-perf. italiano deriva dal piuc-cheperfetto latino (amaw'ssem-» amassem -> amassi)] ora ilpiuccheperfetto dei latini dare esfare è dedissem e stetissem,da cui dessi e stessi.Un caso simile si da con i pas-sati remoti della 2" coniugazio-ne. L'italiano conserva per lopiù i perfetti latini, i passati«forti», mentre le formazionimediante i suffissi -e/ o -etti(temei, temetti) sono poche. In-vece nei dialetti centrali e meri-dionali la terminazione «debo-le» -etti si è estesa: e quinditroviamo rendetti, ridetti, pia-cetti, nascetti, tacetti, vedetti, einoltre detti (accolto però anchenella lingua) e facetti al postodi resi, risi, piacqui, nacqui,tacqui, vidi, diedi, feci.

195

EHEH

PQeà

6. VERBI DIFETTIVI

Alcuni verbi si usano soltanto in poche forme, mentresono difettivi (cioè «difettano», mancano) delle altre(la tabella in basso elenca i più comuni in uso).Altri sono di uso raro o si trovano solo nell'italianoantico e in poesia: aggrada ( = è gradito, piace); cale( = importa); varie voci di fallare ( = sbagliare); lice(= è lecito); rece (= vomita); varie forme di rièdere(= ritornare); alcune forme di tàngere (= toccare).

Alcuni verbi della II coniugazione mancano poi delparticipio passato e di tutti i tempi composti: compète-re, delìnquere, dirìmere, discèrnere, incombere, secèrne-re, soccómbere, splèndere.

NOTA

• I verbi equivalenti indicati nella seconda colonnadel prospetto servono anche a suggerire la sostituzio-ne delle forme mancanti. Per es. al posto di so/ere perl'ind. passato remoto si userà: fui solito, fosti solito,ecc. Oppure si ricorre a un verbo modale. Per es., per ilpass. pross. di competere diremo: ho potuto competere.

infinito significato sole forme usate

(addirsi)

(consùmere)

fervere

(làcere)

ostare

prùdere

solere

ùrgere

vèrtere

(vìgere)

essere conveniente

consumare

essere ardente,essere intenso,essere in piena attività

brillare

opporsi

dare prurito

essere solito

essere urgente

riferirsi

essere in vigore

si addice, si addicono; si addiceva, si addicevano; si addica, siaddicano; si addicesse, si addicessero

consunsi, consunse, consumerò; consunto

ferve, fervono; ferveva, fervevano; fervente; fervendo

luce, lùcono; luceva, lucévano. Si usano in tutte le forme sem-plici ri-lùcere e tra-lùcere (passato: rilussi, rilucesti, ecc.)

osto, ostano

tutte le 3e p. sing. e plur. dei tempi semplici tranne il passato:prude, prùdono; ecc.

soglio, suoli, suole, sogliamo, solete, sogliono; solevo, ecc.; so-glia, sogliamo, sogliate, sògliano; solessi, ecc.; solendo

tutte le 3e p. sing. e plur. dei tempi semplici tranne il passato:urge, ùrgono; ecc.; urgente; urgendo

tutte le 3e p. sing. e plur. dei tempi semplici: verte, vèrtano;ecc.; vertente; vertendo

tutte le 3e p. sing. e plur. dei tempi tranne il passato: vige,vìgono; ecc.; vigente; vigendo

196

22. Valore e usodei modi e dei tempi:modi finiti

1. IL MODO INDICATIVO.L'INDICATIVO PRESENTE

MODI E TEMPI

Abbiamo già distinto, in precedenza, i modi ver-bali in finiti (indicativo, congiuntivo, condiziona-le, imperativo) e infinitivi (infinito, participio, ge-rundio) e abbiamo dato una concisa definizionedei modi finiti. Così pure abbiamo accennato alfatto che i tempi possono indicare un determina-to punto dell'asse temporale (valore «assoluto»),oppure stabilire una relazione con un altro tem-po («valore relativo»), ecc. (vedi capitolo 16, § 3).Ora studieremo più dettagliatamente il valore diciascun modo e tempo1.

IL MODO INDICATIVO

L'indicativo è il modo della realtà, della certez-za, dell'obiettività, in proposizioni sia indipen-denti, sia dipendenti. Rispetto agli altri modifiniti è il modo usuale, normale, «non marcato».

1 II discorso sui tempi «relativi», che riguardano in preva-lenza le proposizioni dipendenti, sarà però completato nel-l'ambito della sintassi del periodo.

L'INDICATIVO PRESENTE

L'indicativo presente esprime, anzitutto, ogniprocesso che si svolge nel presente, nel momentoin cui si parla o scrive:

Oggi sono soddisfatto; Ti vedo con piacere; Final-mente, dopo tanto tempo, ti scrivo.

Inoltre il processo espresso dal presente può con-figurarsi come durativo ed avere avuto inizioanche nel passato (Abito a Roma da due anni),oppure come ripetuto o, con termine più tecnico,iterativo (La mattina mi alzo presto), oppure cor-rispondere a una realtà invariabile (II ferro èun metallo) o a una verità sempre valida, comenei proverbi e nelle sentenze (Si vive una voltasola).

USI PARTICOLARI

• II presente storico o narrativo è spesso usa-to da storici, narratori e giornalisti per riferirecon maggiore vivacità un fatto avvenuto in unpassato lontano o recente:

I Mille erano raccolti a Quarto: Garibaldi rompegli indugi e ordina la partenza; La Juve battel'Inter o 7 due grandi si incontrano (titoli sulgiornale di oggi, ma i fatti sono di ieri).

• II presente si usa, in alternativa a un tempo

198

passato, nelle citazioni di passi o detti di auto-ri:

Leonardo dice che la sapienza è figliola dell'espe-rienza', «La noia — scrive il Leopardi — è il piùsublime dei sentimenti umani».

• II presente al posto del futuro è comune nelparlato, con riferimento a un futuro molto vicinooppure per affermare meglio la volontà di agire:

Parto stasera; Vado e torno; Un giorno o l'altro ioli denuncio.

• In valore relativo il presente esprime un processocontemporaneo a un altro processo pure presente.

2. I TEMPI DEL PASSATO

PASSATO PROSSIMO E PASSATO REMOTO

Per esprimere, in valore assoluto, un processonel passato l'italiano dispone di due tempi: pas-sato prossimo e passato remoto. Questi terminialludono certamente a un passato più vicino opiù lontano, ma la differenza tra i due tempi vaapprofondita.Il passato prossimo indica non soltanto un'a-zione avvenuta un momento o poco fa, ma anchequalsiasi azione, pur lontana nel tempo, i cui ef-fetti durano tuttora o che è sentita in relazionecol presente.Il passato remoto indica invece un'azione pas-sata, non necessariamente molto lontana neltempo, ma che viene considerata come conclusa,senza più un rapporto diretto col presente.In alcuni casi è possibile usare solo il passatoprossimo (Ho appena sentito bussare; Questa mat-tina mi sono alzato tardi), ma in altri, con riferi-mento a fasi del passato uguali o simili, ora sisceglie il passato prossimo, ora il passato remo-to. Si vedano gli esempi qui sotto.

L'IMPERFETTO

L'imperfetto indica un processo nel passato co-me il passato prossimo e il passato remoto, ma sidifferenzia da questi perché esprime l'«aspetto»della durata e della ripetizione. Si trova sia, piùspesso, con valore relativo (indica l'azione con-temporanea ad altra azione passata), sia con va-lore assoluto (in proposizioni indipendenti):

Mentre tutti ascoltavano in silenzio, Gino prorup-pe in una risata, e anche: Tutti ascoltavano in si-lenzio, e Gino proruppe in una risata; Quantomaggiori erano le difficoltà, tanto più si mostravarisoluto.Ai miei tempi non usava comportarsi così; Era l'i-nizio dell'autunno e cadevano le prime foglie.

USI PARTICOLARI

• L'imperfetto «storico» o «cronistico» può so-stituire il passato remoto, con un effetto simile,ma non identico, al presente «storico»:

La politica di Lorenzo il Magnifico garantì a lun-go l'equilibrio degli stati italiani: ma, nel 1492, ilMagnifico moriva.Due auto si sono scontrate alle 16 in Viale Dante.Interveniva prontamente la polizia e gli infortuna-ti venivano subito ricoverati al Policlinico.

• Soprattutto nel parlato l'imperfetto sostitui-sce talora il condizionale o l'indicativo pre-senti:

Volevo un chilo di pesche (= Vorrei; Desidero).

Per l'impiego nel periodo ipotetico vedi capitolo 36,§ o

3.

TRAPASSATO PROSSIMO

II trapassato prossimo e il remoto sono tempi e-sclusivamente «relativi». Il trapassato prossi-mo indica un processo anteriore a un altro prò-

In tutto questo mese non l'ho mai visto.La rivoluzione industriale in due secoli si èestesa a tutto il globo.Manzoni ha scrìtto il romanzo più ammirevoledella nostra letteratura.XY (uno scrittore tuttora vivente) è nato nel1950.

Il mese scorso lo vidi una volta sola.La rivoluzione industriale ebbe inizio in In-ghilterra nel secolo XVIII.Manzoni scrisse la prima stesura dei PromessiSposi tra il 1821 e il 1823.Eugenio Montale nacque nel 1896 e morì nel1981.

199

OO

cesso passato (espresso col passato prossimo o re-moto o con l'imperfetto), e si usa tanto in propo-sizione dipendente quanto indipendente:

Dato che avevo ricevuto l'invito, intervenni alla ce-rimonia; Avevo ricevuto l'invito e sono intervenutoatta cerimonia.

TRAPASSATO REMOTO

II trapassato remoto indica un processo ante-riore a un altro processo, espresso col passato re-moto; è usato solo in valore relativo (non spesso,perché tende a essere sostituito dal passato re-moto):

Non appena ebbe finito il compito, lasciò l'aula(anche: Non appena finì il compito, lasciò l'aula).

3. I TEMPI DEL FUTURO

FUTURO SEMPLICE

II futuro semplice indica ogni azione che ci sipropone di fare (o non fare), ogni processo che cisi aspetta che accada (o non accada):

Domani partiremo per le vacanze; Non cederò maialla violenza; La pace non sarà sempre assicuratasolo dall'equilibrio del terrore.

USI PARTICOLARI

• II futuro può sostituire l'imperativo (vedi § 6).

• Perdendo il riferimento a un tempo futuro, ta-

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

«L'ho visto a Romatanto tempo fa.»«Dormisti benestanotte?»

La ricchezza dell'italiano (con-divisa da altre lingue romanze)nei tempi dell'indicativo che e-sprimono l'azione nel passato ,èdavvero eccezionale. Disponia-mo infatti di cinque forme, attea differenziare l'azione passatadurativa, passata conclusa, pas-sata in rapporto al presente,«relativa» ad altre azioni pas-sate: amavo, amai, ho amato,avevo amato, ebbi amato.Il latino ha un sistema menoarticolato, perché il perfetto co-pre l'area sia del nostro passa-to remoto, sia del passato pros-simo (e quindi amavi = sia«ho amato», sia «amai»), e c'èun solo trapassato, detto piuc-cheperfetto. D'altra parte l'in-

glese e il tedesco dispongonodi un solo tempo per l'imperfet-to e il passato remoto: noi tra-duciamo volta per volta l'ingle-se / loved e il tedesco ich lieb-te, a seconda del contesto, conamavo o con amai.Quanto abbiamo detto sulla ric-chezza dell'italiano riguarda lalingua letteraria. Nei dialetti, enegli italiani regionali che li ri-flettono, la situazione è diversa,soprattutto nei riguardi della di-stinzione fra passato remoto epassato prossimo. È diversa edanche molto singolare.L'Italia settentrionale — segna-tamente il Piemonte, la Lom-bardia e il Veneto (ma la ten-denza è pure avvertibile nellealtre regioni e, in parte, anchenel Centro) — ignora o trascurail passato remoto e generalizzal'uso del passato prossimo. Tut-to all'opposto, il Mezzogiorno— e in modo sistematico la Si-cilia e parte della Calabria —

trascura il passato prossimo eprivilegia il passato remoto.Dunque sentiremo nel Nord:

L'ho visto a Roma tanto tempofa; lo ho visitato la Spagna nel1984.

E nel Sud:

Dormisti bene stanotte? Man-giasti di tuo gusto? Questa mat-tina piovve a dirotto; Lo incon-trai un momento fa; Ieri seravedesti lo sceneggiato?

Ogni dialetto possiede una pro-pria struttura e gode di unapiena legittimità, come qualsia-si lingua.Ma ciò vale quando si parla ildialetto. Nel passare alla lin-gua, soprattutto quando questapresenta mezzi espressivi piùriccamente articolati, l'uso loca-le deve essere abbandonato eil parlante deve approfittaredelle risorse che la lingua glimette a disposizione.

200

lora esprime la supposizione, l'approssimazio-ne, il dubbio:

Peserò un quintale (= Secondarne pesa un quin-tale); Sarà mezzogiorno (= È all'inarca mez-zogiorno); Sbaglierò, eppure perderà la partita(= Forse sbaglio, eppure...).

• Col futuro detto «retrospettivo» o «storico»si esprime un'azione passata rispetto alla situa-zione di chi parla, ma futura rispetto a un datomomento del passato. È di uso prevalentementeletterario, ma non raro; possiamo trovarlo, per e-sempio, in una biografia:

Montale pubblicò le sue più importanti raccolte dipoesie nel 1928 e nel 1939: riceverà però il premioNobel solo nel 1975.

• In valore relativo il futuro semplice si può trova-re in correlazione con un altro futuro semplice.

FUTURO ANTERIORE

II futuro anteriore, usato prevalentemente co-me tempo relativo, indica un'azione futura chesarà compiuta al momento del verificarsi diun'altra azione pure futura:

Potrete affrontare questo compito solo quando a-vrete accumulato una larga esperienza.

Non è di impiego molto frequente, perché, so-prattutto quando l'intervallo fra le due azioni èbreve, spesso gli si preferisce il futuro semplice:Quando arriverete, troverete tutto pronto.Talora, in valore assoluto e perdendo il riferi-mento a un momento futuro, esprime la supposi-zione, l'approssimazione, il dubbio nel passato:

Saranno state le dieci (= Erano circa le dieci);Non si è presentato: avrà avuto un contrattempo(= forse ha avuto un contrattempo).

4. IL MODO CONGIUNTIVOE I SUOI TEMPI

VALORE FONDAMENTALE DEL CONGIUNTIVO

II congiuntivo, rispetto all'indicativo, è un mo-do «marcato», è il modo della soggettività. Conesso il processo verbale viene caratterizzato inmaniera che risultino espressi una volontà,

un'intenzione, un desiderio, il dubbio, l'incertez-za, la possibilità.

IN PROPOSIZIONI DIPENDENTI

II congiuntivo è perciò il modo di molte proposi-zioni dipendenti, le quali indicano appuntoun'azione o uno stato considerati non obiettiva-mente in se stessi, ma subordinatamente a un al-tro processo, quello della proposizione reggente.Per esempio troviamo il congiuntivo in:

• una parte delle di-chiarative

• alcune interrogativeindirette

• tutte le finali

• alcune temporali

• tutte le concessive

• due dei tre tipi dicondizionale

Speriamo che il tempo mi-glioriNon so cosa abbiano det-toSi batteva affinchè trion-fasse la libertàCi fermeremo prima chescoppi un temporaleSebbene sia tardi, mitrattengo ancoraSe il tempo migliorasse,partiremmo

VALORE RELATIVO DEI SINGOLI TEMPI

Considereremo tutti questi usi studiando la sin-tassi del periodo. Ora prendiamo solo nota rapi-damente del valore relativo dei vari tempi:

• il presente indica, rispetto ad altra azione presen-te, la contemporaneità e anche la successione (per ilsuo valore, è un «presente-futuro»): Spero che tu misenta (ora); Spero che egli guarisca (in un momentosuccessivo);

• l'imperfetto indica la contemporaneità-successio-ne rispetto al passato e anche l'anteriorità rispetto alpresente: Speravo che tu mi sentissi; Speravo che egliguarisse; Credo che essi mentissero;

• il passato indica l'anteriorità rispetto al presente:Spero che egli abbia vinto;

• il trapassato indica l'anteriorità rispetto al passa-to: Speravo che egli avesse vìnto.

IN PROPOSIZIONI INDIPENDENTI

Nelle proposizioni indipendenti — con un usopiuttosto limitato, e in genere in enunciati escla-mativi o interrogativi — i vari tempi del con-giuntivo hanno i seguenti valori:

• il presente (da solo o introdotto da che) e-

201

sprime il desiderio, l'augurio, l'esortazione nelpresente-futuro:

Che tu possa essere felice! Campino cent'anni!

• il presente e il passato (introdotti da che) e-sprimono il dubbio e l'ipotesi rispettivamente nelpresente e nel passato:

Che manchi la benzina?vuto un incidente?

Non arriva: che abbia a-

• l'imperfetto esprime il desiderio di qualcosache si teme non possa realizzarsi o che è impossi-bile si realizzi, e il trapassato il rammarico perqualcosa che non si è realizzato (da soli o intro-dotti da se o da magari):

Se vincessi! Arrivasse primo! Magari azzeccas-simo un tredici! Avessi vent'anni di meno! Fos-se ancora qui mio padre! Se mi aveste dato a-scolto! Fossi stato presente!

LINGUA VIVA

II congiuntivo:usarlo molto o poco,o magari non usarlo?

Modo congiuntivo: riflettiamosul termine «modo», che ha unsuo valore preciso. Col «modo»il verbo segnala una determina-ta modalità con cui l'azione o10 stato vengono concepiti dalparlante, e il modo congiuntivo«marca» l'azione in modo nettorispetto all'indicativo.Chi ha preparato la cena dallacucina avverte: «È pronto!»Noi, che aspettavamo con unbuon appetito, ci eravamo do-mandati: «Che sia pronto?»Non era stato necessario che e-sprimessimo la nostra incertez-za e la nostra impazienza di-cendo per esempio: «Non ab-biamo una sicura certezza cir-ca l'arrivo della minestra entrocinque minuti», ma ci era ba-stato l'uso del congiuntivo siaper manifestare con chiarezza11 nostro stato d'animo. II con-giuntivo dunque serve, e parec-chio. Però l'uso tende, nella lin-gua contemporanea, a farnespesso a meno.II regresso dell'uso del con-giuntivo si manifesta più accen-tuato proprio là dove dovrebbe

ricorrere più spesso, nelle pro-posizioni dichiarative. Di questotipo di proposizioni ci occupe-remo specificamente nella sin-tassi, ma la norma fondamenta-le è molto semplice: quando di-pende da un verbo di certezza,la dichiarativa ha l'indicativo(Affermo che è vero); quandodipende da un verbo di dubbio0 supposizione, va al congiunti-vo (Credo che sia vero). Senon-ché, anche in questo secondocaso, nel parlato tende a im-porsi l'indicativo. E non soltantonel parlato. Un noto linguista ri-leva, deplorando, un Credo chefu la prima volta di Vittorini, unPer/so che erano stati... di Fe-noglio, un Pare che la concor-d/a ha regnato di Sciascia, ecc.Questi scrittori non ignoranocerto la grammatica, ma hannovoluto adeguarsi al parlato.1 motivi di questa tendenza? Aparte alcuni verbi irregolari, do-ve il congiuntivo si differenziain modo netto dall'indicativo (è,ha, deve, sale I sia, abbia, deb-ba, salga), nelle coniugazioniregolari c'è, a marcare la di-stinzione, solo una vocale didesinenza (amo / che io ami), ela 1" pers. plur. è identica (a-miamo / che amiamo), ecc. Ma

la spiegazione certo non basta:è caratteristica del linguaggio i-stituire opposizioni valide epermanenti con i mezzi più e-conomici: anche ad opporresingolare e plurale basta l'al-ternanza o/i (amico I amici).La causa determinante è unaconsuetudine regionale. Neidialetti del Sud e di parte delCentro (compresa Roma), ilcongiuntivo presente è scom-parso. I loro sistemi verbali nefanno a meno. Nulla da eccepi-re (abbiamo visto, per es., cheinglese e tedesco ignorano ladistinzione tra imperfetto e pas-sato remoto). II dialetto, cioèquella struttura in sé perfettache è ciascun dialetto, può ar-ricchire la lingua. Ma, quandocospira a impoverirla, va com-battuto. Diciamolo con paroledel Leopardi: «Credo che il te-soro della lingua si debba piut-tosto accrescere, potendo, chescemare». Ripetiamolo con pa-role nostre: il congiuntivo è unamarcia in più, nella macchinadella coniugazione. Provate achiedere a un automobilista se,a parità di prezzo, preferisce u-na vettura a quattro o a cinquemarce. E il congiuntivo, poi,non costa nulla.

202

5. IL MODO CONDIZIONALE 6. IL MODO IMPERATIVO

VALORE E USO FONDAMENTALI

II condizionale è, come il congiuntivo, un modo«marcato» rispetto all'indicativo: esprime la pos-sibilità condizionata, l'irrealtà, l'incertezza.A differenza del congiuntivo, non è tipico di cer-te categorie di proposizioni dipendenti, ma si tro-va in proposizioni indipendenti (Sarebbe bel-lo!), o in dipendenti già di per sé al condizionale(Penso che sarebbe bello).I valori più usuali del condizionale presente epassato — possibilità condizionata e irrealtà -compaiono nella reggente del periodo ipotetico(vedi capitolo 36, § 3); per esempio:

Se facesse bel tempo, partiremmo; Se avesse fattobel tempo, saremmo partiti;

ma anche al di fuori del periodo ipotetico:

Vorrei essere con voi, ma gli affari mi trattengonoqui; Sarei intervenuto volentieri: purtroppo nonho potuto.

ALTRI VALORI

II condizionale presente può inoltre indicareun desiderio o un'intenzione espressi con cautelao riguardo, oppure una circostanza descritta co-me supposta, non sicura:

Preferirei un altro incarico (= Preferisco, se èpossibile, un altro incarico)Non ci sarebbero danni alle persone (= Non cisono, a quanto risulta finora e si spera, danni allepersone).

Il condizionale passato può esprimere questistessi valori nel passato:

Gli dissi che avrei preferito un altro incarico.Non ci sarebbero stati danni alle persone.

Per il condizionale passato in valore relativo vedicapitolo 33, § 6,

VALORE E USO

L'imperativo è il modo del comando diretto (eanche dell'invito, dell'esortazione, della preghie-ra) e quindi si trova soltanto in proposizioni in-dipendenti. Come si è già visto, possiede formeautonome solo per le 2e persone, mentre per la 3a

sing. e la la e 3a plur. sono impiegate le formedel congiuntivo presente:

Guarda qui! Sii serio; Guardate qui!Si accomodi; Siamo seri; Vogliano scusarci.

FORME SOSTITUTIVE DELL'IMPERATIVO

Sostituiscono talora l'imperativo:

• l'infinito, in un comando o un'esortazione ri-volti indeterminatamente:

Circolare! Scattare! Tenere la destra; Mantenerela distanza di sicurezza; Premere il pulsante.

• il futuro semplice, che esprime un comandoattenuato:

Imparerete a memoria i primi dieci versi dellapoesia; Volterete a destra e poi prenderete la pri-ma strada a sinistra.

• una grande varietà di frasi ellittiche (vedicapitolo 27, § 7):

Attenti! Tutti qui! Un momento! Un espresso, pre-go! ecc.

L'ESPRESSIONE DEL DIVIETO

II comando negativo, o divieto, si esprime nel-la 2a pers. sing. con non + infinito e nelle altrecon non seguito dalle forme dell'imperativo:

Non entrare! Non eccedere mai; Non volermene.Non entri! Non entriamo! Non entrate! Non entri-no!

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23. Valore e uso dei modie dei tempi: formenominali del verbo.Costrutti perifrastici

1. L'INFINITO

I MODI INFINITIVI

Come sappiamo, i modi infinitivi sono tre (in-finito, participio e gerundio) e hanno, come ca-ratteristiche comuni, l'assenza dell'indicazionedella persona e la somiglianzà al «nome» (so-stantivo o aggettivo), tanto che li chiamiamo an-che, e preferibilmente, «nomi verbali» o «formenominali del verbo».Vediamo ora più da vicino il valore e l'uso diciascuno di essi.

VALORE DELL'INFINITO

L'infinito è un sostantivo verbale, che esprime ilprocesso (l'azione o lo stato) nella sua generalitàe, fino a un certo punto, nella sua indetermina-tezza.In quanto sostantivo, può essere attualizzato dal-l'articolo e introdotto dalla preposizione o dallapreposizione articolata:

il potere, il sapere, il vedere, l'esistere; il desideriodi sapere, l'attitudine ad apprendere, esperto nelmentire, ecc.

Però solo in un numero limitatissimo di verbi l'infini-to può divenire in tutto e per tutto un sostantivo(l'essere, il potere, il dovere, il volere) e quindi formareil plurale (gli esseri, i poteri, ecc.) e venire accompa-gnato da un aggettivo (i pieni poteri, i miei doveri).Gli infiniti, pur in funzione di sostantivi, conservanola caratteristica di forme verbali (una «valenza ver-bale») e pertanto possono avere un oggetto: per es. ilpromuovere le attività economiche (mentre, col corri-spondente sostantivo astratto promozione, avremo: lapromozione delle attività economiche).

L'INFINITO NELLE PROPOSIZIONIDIPENDENTI IMPLICITE

Nell'uso più comune ed esteso l'infinito è impie-gato senza articolo, direttamente o introdotto dapreposizioni o congiunzioni (di, a, per, senza, pri-ma di, se, ecc.) e assolve nel periodo varie fun-zioni connesse alla sua qualità di «sostantivo»,dando luogo a una molteplicità di costrutti (pro-posizioni implicite infinitive):

Vivere onestamente è il mio scopo; Desidero vivereonestamente; Questo non è vivere; Mi propongo divivere diversamente; Lavoro per vivere; ecc.

Studieremo questi costrutti nella sintassi (vedicapitolo 34, § 1-2).

206

I TEMPI

Dato che, a parte poche eccezioni che vedremosubito, l'infinito è il verbo di una proposizione(implicita) dipendente, i valori dei suoi due tem-pi (presente e passato) sono relativi al tempo delverbo della proposizione reggente. E precisamen-te l'infinito presente indica la contemporaneità(o anche la successione) rispetto al tempo dellareggente, e l'infinito passato l'anteriorità:

Desidero studiare; Allora non volevo studiare; Sa-prò studiare; Mi propongo di studiare sempre infuturo.Posso aver sbagliato; Credevamo di aver fatto be-ne; Si pentirà di averci ingannati; Sarà punitoper averci ingannati.

L'INFINITO IN PROPOSIZIONI INDIPENDENTI

Gli usi dell'infinito in proposizione indipen-dente sono pochi e poco frequenti. Lo abbiamovisto (capitolo 22, § 6) nell'espressione del divietoe talora del comando. Inoltre si trova:

• in frasi interrogative ed esclamative, per e-sprimere un dubbio, un desiderio, una riflessione,la sorpresa, lo sgomento, ecc.:

Cosa dire? Come fare? Dove andare? Sbagliare io?Poter azzeccare il risultato! Aver avuto un po' piùdi fortuna!

• in una narrazione per sostituire un modofinito (in genere il passato remoto), presentandoun'azione come qualcosa di ^improvviso e imme-diato (infinito «narrativo»). E introdotto dall'av-verbio ecco o dalla preposizione a:

Avanzavamo con cautela; all'improvviso ecco co-prirsi una voragine.Lo rimproverammo aspramente: e lui a difendersie a negare le sue colpe.

2. IL PARTICIPIO

IL PARTICIPIO COME AGGETTIVO

II participio è l'aggettivo verbale. In quanto ag-gettivo, esso: concorda col sostantivo o il prono-me cui si riferisce; forma il plurale (amante, ama-ti; amato, amata) e, al passato (che termina in

-o), il femminile (amata, amate); riceve i gradi dicomparazione (più amante, più amato, amantissi-mo, ecc.); può essere sostantivato (l'amante, l'a-mato, ecc.).Per quanto riguarda la conservazione della va-lenza verbale, occorre distinguere tra participiopresente e participio passato.

IL PARTICIPIO PRESENTE

II participio presente è sì una forma verbale,ma, nella quasi totalità dei suoi usi, si comportaesattamente come un qualsiasi aggettivo, fun-gendo da attributo o da elemento del predicatonominale: Detesto una persona insistente; Gino èinsistente. Per trovare una conferma al suo valo-re di aggettivo, possiamo confrontare l'uso di unparticipio e di un aggettivo di significato equiva-lente: si dice amante di ogni lusso come avido (odesideroso, bramoso) di ogni lusso (e non: amanteogni lusso).

Gli usi in cui il participio presente conserva caratte-ristiche verbali, ed esprime un'azione concomitante aquella della proposizione reggente, sono rari e preva-lentemente letterari. Per esempio:

Molti problemi, interessanti l'intera collettività, sonostati trascurati; Tiberio, vivente ancora Augusto, rice-vette alcune prerogative imperiali.

Di norma, in frasi come queste, il participio presenteviene sostituito da una proposizione relativa, oppuredal gerundio o da una proposizione circostanziale:

Molti problemi, che interessano l'intera collettività, ....;Tiberio, vivendo ancora Augusto (oppure: quando vive-va ancora Augusto), ...

IL PARTICIPIO PASSATO

II participio passato (che, per quanto riguardail tempo, indica non solo l'azione anteriore, maanche lo stato concomitante) può fungere, comeil participio presente, da aggettivo:

Sono alunni ben preparati; Ho esaminato degli a-lunni ben preparati; Quegli alunni sono ben pre-parati.

Inoltre il participio passato, sviluppando piena-mente la propria valenza verbale, può dar luogoa proposizioni dipendenti implicite. Le studie-remo nella sintassi, ma già qui dobbiamo fissareil rapporto del participio con la proposizione reg-

207

oMfa

so

gente nei due- diversi costrutti del participio«congiunto» e del participio «assoluto».

PARTICIPIO PASSATO «CONGIUNTO»

Nel participio «congiunto» il soggetto implici-to nel participio si identifica con un elemento (ingenere il soggetto) della proposizione reggente,al quale, appunto, è «congiunto» e con il qualeconcorda grammaticalmente:

Visto dall'alto del colle, il panorama è stupendoIndotti dal tempo magnìfico, tutti parteciparonoalla gitaArrivate in cima al colle, le ragazze ammiraronoil panorama.

PARTICIPIO PASSATO «ASSOLUTO»

La proposizione implicita può «sciogliersi» dalrapporto grammaticale con la reggente, e allorail participio — come participio assoluto, cioè«sciolto» — concorda con un elemento della pro-posizione stessa:

Scritta la lettera, il babbo la spedì subitoFiniti i compiti, io ora faccio una passeggiataMorto Augusto, gli succedette Tiberio.

In questi esempi sussistono dei nessi grammati-cali o logici tra la reggente e il costrutto partici-piale. Ma tali nessi possono anche mancare, e lostacco risultare più netto:

Considerate le condizioni del tempo, non convienepartireUna volta avviate le trattative, molti problemi sirisolverannoMorto Nerone, l'impero precipitò nel caos.

3. IL GERUNDIO

IL «SISTEMA» DEL GERUNDIO

II gerundio possiede un sistema completo di for-me: presente (per la contemporaneità e anche lasuccessione: amando, andando) e passato (perl'anteriorità: avendo amato, essendo andato)all'attivo e, nei verbi transitivi, al passivo (essen-do amato, essendo stato amato). Come i participi,può essere assimilato a un aggettivo, ma con ca-

ratteristiche del tutto particolari; infatti è inva-riabile (solo nelle forme composte può mutarel'elemento costituito dal participio passato) enon funge mai da attributo o da predicato.Il gerundio ha sempre valenza verbale, dandoluogo a proposizioni dipendenti implicite, incui, analogamente a quanto accade col participiopassato, si distinguono due tipi di costrutti.

GERUNDIO «CONGIUNTO»

II gerundio può riferirsi, essere «congiunto» alsoggetto della proposizione reggente:

Lo studente, entrando in classe, salutò il profes-soreLo studente, pur essendo arrivato in ritardo, nondiede spiegazioniLo studente, essendo stato interpellato, rispose.

GERUNDIO «ASSOLUTO»

II gerundio è invece «assoluto», sciolto dal rap-porto grammaticale con la reggente, quando sicollega a un elemento della stessa proposizioneimplicita:

Lo studente, essendo l'aula vuota, si allontanòLo studente, essendo occupati da altri tutti i po-sti, rimase in piedi.

NOTE

• I costrutti col gerundio «congiunto», specie all'at-tivo (... entrando in classe, ... pur essendo arrivato...),sono molto comuni. Invece la lingua contemporaneatende a evitare il gerundio «assoluto» e a sostituirlocon proposizioni esplicite: Lo studente, essendo l'aulavuota, ... -> Lo studente, poiché l'aula era vuota, ...Più in generale, il gerundio può essere sostituito daun costrutto col participio: Lo studente, essendo statointerpellato, ... -» Lo studente, interpellato, ...; ecc.

• A parte i costrutti col gerundio «assoluto», la con-nessione del gerundio col soggetto della reggente èobbligatoria: cioè deve esserci un soggetto della reg-gente cui il gerundio si riferisce. Le poche eccezionisi riscontrano quando c'è un verbo o una locuzioneimpersonale (con un soggetto «logico» cui il gerundiosia riferibile):

Sbagliando si impara; La messa in moto sì ottiene ( =noi otteniamo...) premendo questo pulsante; Leggendoquella notizia, mi è venuta in mente (= io ho ricorda-to) la mia infanzia; L'appetito vien mangiando.

DUBBI LINGUISTICI

Usare molto o pocoil gerundio?Come usarlo?

L'impiego del gerundio, fre-quente e piuttosto libero nell'i-taliano antico, nella lingua con-temporanea subisce varie re-strizioni e spesso da luogo adincertezze. Ciò peraltro deveindurci ad usarlo con cautela,non certo a rinunciare a questaforma nominale del verbo.La sostituzione con altri co-strutti è sempre possibile: peresempio col participio passato«congiunto», col participio pas-sato «assoluto», con vari tipi diproposizioni dipendenti esplici-te. Ma si consideri, d'altra par-te, che il gerundio presente cifornisce il mezzo più sempliceed agile per esprimere l'azioneconcomitante: Vedendola, ho a-vuto un sussulto] Correndo so-no inciampato.

Ciò premesso, l'errore da evita-re, al di fuori del costrutto delgerundio «assoluto» e di qual-che eccezione vista nel testo, èil riferimento a un elementoche non sia il soggetto dellaproposizione reggente.Lo abbiamo visto attraversandola strada può significare soltan-to: Noi, mentre attraversavamola strada, lo abbiamo visto. Di-venterebbe uno sproposito sevolessimo intendere che chi at-traversava la strada era lui. Inquesto caso era difficile sba-gliare, ma altre volte la trappo-la è più insidiosa. Per esempio:Essendo molto bisognoso, ab-biamo aiutato Giovanni. Non èammissibile, perché il gerundioviene riferito a Giovanni, com-plemento oggetto della proposi-zione reggente. Si dirà: Abbia-mo aiutato Giovanni, che è mol-to bisognoso; oppure: ... datoche è molto bisognoso. Quanto

a Essendo Giovanni molto biso-gnoso, lo abbiamo aiutato, nonè scorretto, ma goffo e pesante(e ciò basta per preferire altricostrutti).Anche in certi casi in cui l'usodel gerundio sarebbe a rigoredifendibile, ma crea complica-zioni o ambiguità, si ricorre acostrutti diversi. Per esempio,in lo ho visto costui nasconderequalcosa sotto la giacca uscen-do dal Museo, il gerundio u-scendo è riferito a costui, che èoggetto di ho w'sto, ma anchesoggetto logico dell'infinito na-scondere. Quindi è grammati-calmente a posto, ma solo l'as-senza di una virgola davanti auscendo ci impedisce di riferir-lo al soggetto della reggente(io), col che tutta la situazionecambierebbe. Diremo dunque:lo ho visto costui, mentre usci-va dal Museo, nascondere qual-cosa sotto la giacca.

4. I COSTRUTTI PERIFRASTICI

Alcune modalità e alcuni «aspetti» (cioè modali-tà relative alla durata o allo svolgimento dell'a-zione) del verbo si esprimono perifrasticamente,cioè con l'intervento di un altro verbo in funzio-ne simile a quella di un ausiliare. Si hanno cosìdei costrutti perifrastici, che formano un tuttounico (qualcosa di analogo accade con i verbi«servili»: vedi capitolo 17, § 5).I costrutti perifrastici denotano:

• l'inizio, la previsione dell'azione (aspetto «in-gressivo»), con stare + per + infinito:

Sto per uscire; Sta per arrivare; Sta per piovere

• la durata dell'azione (aspetto «durativo»), constare + gerundio:

Cosa stai facendo? Stavo giocando; Sta piovendo

• lo svolgimento progressivo o il compimentograduale dell'azione (aspetto «progressivo»), conandare oppure venire + gerundio:

La sua salute va migliorando; La luce viene affie-volendosi

• l'indicazione della necessità, al passivo, conandare + participio passato:

Le istruzioni vanno seguite alla lettera; Una cosava fatta bene o non va fatta per nulla.

Uno stretto nesso è infine quello del costruttoformato dai verbi «causativi» fare e lasciare +infinito:

Ho fatto venire l'idraulico; Ho fatto revisionaretutto l'impianto; Ho lasciato entrare aria nellastanza.

Di questo costrutto ci occuperemo nella sintassi (vedicapitolo 34, § 2).

209

J

24. L'avverbio

1. QUADRO COMPLESSIVO

DEFINIZIONE E VALORE

Chiamiamo avverbio la parte invariabile del di-scorso che modifica, qualificandolo o determinan-dolo, un verbo, un aggettivo o un altro avverbio:

La amo veramente; È veramente bella; La amo ve-ramente troppo.

Il primo di questi tre impieghi, col verbo, è digran lunga il più comune (e notiamo che il ter-mine deriva dal latino adverbium, «che è accantoal verbo»). Si può dire che l'avverbio stia al ver-bo come l'aggettivo sta al sostantivo.Confrontate:

La sua risposta fu Rispose prontamentepronta

La sua pronta rispostaci rassicurò

Rispondendo pronta-mente ci rassicurò

L'avverbio ha il significato e il valore di un com-plemento «circostanziale» di modo, di luogo, ditempo, ecc. ed è quasi sempre possibile sostituirel'avverbio con un complemento:

prontamentequigradualmenteallora

con prontezzain questo luogoper gradia quell'epoca; ecc.

to della frase stessa, ma, semmai, un implicito «iodico che».

• Alcuni avverbi (non quelli in -mente) possono esse-re usati come sostantivi o come aggettivi (e, come ag-gettivi, rimangono invariati):

il bene, il mak, l'oggi, il domani, il poi, il quando, ilsì, il no, ecc.la casa accanto, le case accanto, abbastanza denaro,abbastanza soldi, il giorno dopo, ecc.

CLASSIFICAZIONE DEGLI AVVERBI

In base al significato e al valore suddividiamo gliavverbi in:

NOTE

• L'avverbio può modificare anche un complemen-to (per es. Moderate la velocità soprattutto nelle cur-ve) e talora un'intera proposizione: per es. nella fraseFrancamente questa moto mi sembra troppo cara l'av-verbio francamente non modifica alcun singolo elemen-

qualifìcativi

• determinativi

di mododi luogodi tempodi quantitàinterrogativi e relatividi affermazione, negazione,

dubbio

veramente, fortemente,davvero

cosi, comunquequi, là, davantiora, ancora, primapoco, tanto, troppocome, quando, perchésì, no, non, forse

2. GLI AVVERBIQUALIFICATIVI

DEFINIZIONE

Gli avverbi qualificativi, parallelamente agliaggettivi qualificativi, esprimono una qualità omodalità. In genere equivalgono a un comple-

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mento di modo e rispondono alla domanda: «co-me?», «in che modo?».

TIPI DI FORMAZIONE

Vediamo come si formano.

• Da quasi tutti gli aggettivi qualificativi si ot-tiene un avverbio mediante il suffisso -mente(aggiunto, negli aggettivi della la classe, al fem-minile). Per esempio:

da Ubero: lìbera + mente: liberamenteda felice: felice + mente: felicemente

Anche da participi aggettivati: apparentemente,prevalentemente, ecc.

NOTE

• Se l'aggettivo termina in vocale + -le o + -re, la•e cade. Per es. da naturale, abile, notevole, particolare,celere si ottengono: naturalmente, abilmente, notevol-mente, particolarmente, celermente. Si notino inoltre:benevolmente, leggermente, violentemente; parimenti, al-trimenti.• II suffisso -mente continua una parola latina, mente(caso ablativo di mens), che significa «con la mente»;la base della formazione è data da espressioni co-me sancta mente = «con mente (intenzione, volontà)santa».

• Sono formati col suffisso -oni alcuni avverbiindicanti una posizione o movimento del corpo:bocconi, carponi, penzoloni, (a) tentoni, ecc.

• Continuano direttamente avverbi latini, o ri-sultano da composizione, o sono formati in altromodo:

bene, male (avverbi di buono, cattivo); invano, a-dagio, volentieri; davvero, purtroppo, sottovoce, vi-ceversa, soltanto; insieme, assieme; anzitutto, ol-tretutto, dopotutto, soprattutto; ecc.

AGGETTIVI IN FUNZIONE DI AVVERBI

Alcuni aggettivi di uso molto comune assumonofunzione avverbiale al maschile singolare:

Va piano/ Le prove parlano chiaro; Stringimi for-te; Hai visto giusto.

Così ancora: alto, basso, certo, proprio, sodo, solo,ecc.

NOTA

• Per distinguere un aggettivo in funzione di avver-bio da un aggettivo vero e proprio — anche quando,usato come predicativo (vedi capitolo 27, § 4), può tro-varsi lontano dal sostantivo e dopo il verbo — bastaoperare una sostituzione dal maschile al femminile odal singolare al plurale. L'avverbio resta invariato,l'aggettivo concorda col sostantivo (o il pronome):

avverbio

Lui parla chiaroLei parla chiaro

Essi parlano chiaroEsse parlano chiaro

aggettivo

// liquido sgorga chiaro I liquidi sgorgano chiariL'acqua sgorga chiara Le acque sgorgano chiare

LE LOCUZIONI AVVERBIALI

Parecchi avverbi, di cui abbiamo già visto degliesempi, sono composti da preposizione + agget-tivo (come invano) o da preposizione + sostanti-vo (come sottovoce).Spesso i due elementi non si saldano in una pa-rola sola, ma rimangono tuttavia uniti in un'e-spressione fissa, che chiamiamo locuzione av-verbiale.Ce ne sono moltissime e di vari tipi (anche com-poste da più di due parole):

• preposizione + aggettivo: di continuo, di na-scosto, di nuovo, di sicuro, a lungo, in breve, sulserio, ecc.;

• preposizione + un sostantivo usato esclusiva-mente in quella tal locuzione: a bizzeffe, a casac-cio, a garganella, a gogò, a iosa, a stecchetto, distraforo, alla carlona, alla chetichella, ecc.;

• preposizione + un sostantivo d'uso generale:di volata, a parte, a caso, da capo, in genere, infondo, sulla parola, per forza, per esempio, ecc.(in questo caso la locuzione avverbiale può esse-re anche interpretata come un vero e propriocomplemento);

• avverbi, aggettivi o sostantivi ripetuti: sottosotto, pian piano, passo passo, a poco a poco, amano a mano, ecc.;

• altre formazioni: per l'appunto, sui due piedi,alla bell'e meglio, ecc.

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COME USARE IL VOCABOLARIO

Funzione e usodell'avverbio

La suddivisione interna degliavverbi ha uno scopo eminente-mente pratico. Tra i determina-tivi, poi, ogni avverbio o ognipiccolo gruppo di avverbi ha u-na sua storia e un suo valoreparticolare. Quel che importa èaccertare la funzione fonda-mentale (perché parecchie pa-role che trovate classificate neltesto come avverbi ricompari-ranno come preposizioni o co-me congiunzioni), il significatoe l'uso.Ma per tutto ciò la grammaticanon basta: ricorrete dunque,ancora una volta, al vocabola-rio e agli esempi che esso for-nisce.Il vocabolario registra, inoltre,le locuzioni avverbiali.

Scegliere o sostituirel'avverbio

Spesso la lingua offre la sceltatra due o tre possibilità: avver-bio in -menfe, aggettivo corri-spondente usato come avver-bio, locuzione avverbiale (oracon significato identico, ora se-manticamente più o meno diffe-renziati), come mostrano gli e-sempi nel riquadro a destra.Di questa molteplicità di mezziespressivi noi dobbiamo appro-fittare per ridurre la frequenza,spesso fastidiosa e «cacofoni-ca», degli avverbi in -menfe(pensate alla goffaggine di frasicome È uno studente eccezio-

LINGUA VIVA

propriamentenuovamentesolitamentecasualmenteeffettivamentealtamentecertamenteimmediatamenteannualmenteaffermativamente

proprio————altocerto———

di nuovodi solitoa caso, perin effettiin altodi certo, perall'istanteogni anno(rispondere)

caso

certo

di sì

nalmente diligente; Quegli eser-centi cercano continuamente o-gni espediente... e simili!).Oltre alle scelte che abbiamoindicato sopra, esiste poi sem-

pre la possibilità di sostituirel'avverbio con un complementodi modo (in modo..., in manie-ra..., in forma...) o con altricomplementi.

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3. GLI AVVERBIDETERMINATIVI

FORMAZIONE

Gli avverbi determinativi, a parte pochissimi in-mente (grandemente, talmente), sono:

• aggettivi (in qualche caso sostantivi) usati av-verbialmente: vicino, presso, presto, poco, molto,tanto, ecc.; via, ora;

• composti: dappertutto, ancora, stamani, alme-no, inoltre, affatto, ecc.;

• di forma varia (in genere derivati dal latino):lì, sopra, tardi, sempre, ieri, come, quando, sì,mai, ecc.;

• locuzioni avverbiali (spesso del tipo preposi-zione + avverbio): di qui, da dove, in alto, difronte, di fuori, di più, or ora, ecc.

Vediamoli ora distinti secondo il significato e lafunzione.

DETERMINATIVI DI MODO

In risposta (come i qualificativi) alla domanda«come?»: così (= in questo modo); in ogni mo-do, in tutti i modi, in ogni caso. Questi ultimisono spesso sostituiti da comunque (Sarò pre-sente comunque; Comunque non dargli peso) il cuivalore originario è di congiunzione (Comunquevadano le cose, sarò presente).

Con un aggettivo o un altro avverbio in frasi come Ècosi-bello, il valore è di quantità (= tanto, molto).

DETERMINATIVI DI LUOGO

In risposta alla domanda «dove?» (stato in luogoe moto a luogo: vedi capitolo 31, § 1): qui, qua;costì, costà; lì, là, ivi, quivi.

Questi tre gruppi di avverbi sì trovano in corrispon-denza rispettivamente con i pronomi personali e dimo-strativi io, questo / tu, codesto / egli, quello. Propriocome codesto, sono di uso limitato costì e costò.

Per il moto da luogo e per luogo si usano le lo-cuzioni: di qui, di qua, di lì, di là; per di qui, perdi qua, per di lì, per di là.Harino valori più specifici: su, giù, quassù, lassù,

ecc.; sopra, sotto; dentro, fuori; davanti, die-tro; intorno, attorno, contro; presso, vicino,lontano; altrove; via; dappertutto, dovunque;ecc.

Molti di questi avverbi si impiegano anche come pre-posizioni o in locuzioni preposizionali (vedi capitolo25, § 2).

Dappertutto e dovunque hanno il medesimo significato(= in ogni luogo: Lo trovi dappertutto, Lo trovi do-vunque), ma il valore originario di dovunque è di con-giunzione (Dovunque tu vada, lo trovi).

Sono avverbi di luogo, nel loro significato fondamen-tale, anche le particelle pronominali ci, vi, ne (vedicapitolo 12, § 6).

DETERMINATIVI DI TEMPO

Rispondono alla domanda «quando?» e ad altredomande in rapporto ai complementi di tempo(vedi capitolo 31, § 4-5): ora, adesso, ormai, an-cora, finora, già, allora; or ora, per ora, da allo-ra, ecc.Con significati più specifici: prima, dopo, poi;presto, subito, tardi; frattanto, intanto; sem-pre, spesso, talora; oggi, ieri, domani, stamani,dopodomani, ecc.

Sono d'uso letterario testé, dianzi, cui si preferiscepoco fa, in cui fa (come in due anni fa, ecc.) è origi-nariamente voce del verbo fare.

DETERMINATIVI DI QUANTITÀ

In risposta alla domanda «quanto?», sono in pri-mo luogo degli aggettivi e pronomi indefiniti (ve-di capitolo 14, § 5) usati avverbialmente: poco,un poco, un po', meno, alquanto, parecchio,tanto, altrettanto, molto, più, troppo, niente,per niente, nulla, ecc.Di diversa formazione: assai, grandemente, ab-bastanza, piuttosto, talmente, almeno, inol-tre, appena (che è anche di tempo), affatto (nelsuo significato proprio: «del tutto»).

DETERMINATIVI «AGGIUNTIVI»

Sono anche, pure, fino (sino), perfino (persine),che esprimono l'aggiunta e l'intensificazione ehanno la peculiarità di poter modificare anche ilsostantivo e il pronome: Lo pensa anche mio pa-dre; Verranno perfino loro.

215

ot—H

PQAVVERBI INTERROGATIVI

di modo: come?di luogo: dove?, da dove?, ecc.di tempo: quando?, da quando?, ecc.di quantità: quanto?causale e finale: perché?

Sono immediatamente riconoscibili nella lorofunzione di avverbi interrogativi in quanto apro-no una proposizione interrogativa diretta (cioèindipendente e chiusa dal punto interrogativo) oesclamativa. Se invece, in un periodo complesso,servono a collegare una proposizione dipendentealla reggente, sono relativi o passano alla funzio-ne di congiunzioni subordinanti (modali, tempo-rali, ecc.):

in funzione di

avv. interrogativo

relativo

congiunzione

Come stai?

Ti chiedo come stai

Come ti ho detto, sto bene

Come serve anche a introdurre una comparazione (unsecondo termine di paragone: Sono forte come te) oun'immagine (Sorse come una nube).

LE PARTICELLE ASSERTIVE Si, NO

Sì e no di norma non determinano un'altra paro-la, ma sono «particelle assertive» (l'una afferma-tiva, l'altra negativa), che forniscono nel modopiù sintetico una risposta. Costituiscono da soleun enunciato autosufficiente o un elemento indi-pendente di una frase.Ad esempio:

Parliinglese?

Sì. Sì, ma sono fuori esercizio.No. No, purtroppo non lo parlo.

Sì o no possono essere rafforzati, integrati e anche(spesso in modo goffo) sostituiti in vari modi: sì sì, sìcerto, sissignore, certo, esatto, precisamente, sicuro, per-fetto, appunto, okay; no no, no davvero, no certo, nossi-gnore, affatto, punto.

Sì talora sta al posto di così (uso letterario) e dibensì, in correlazione con ma (È un problema difficilesì, ma non insolubile).

No si usa nella seconda parte, ellittica, di un'alterna-tiva: Non so se verranno o no ( = non verranno). Nellinguaggio burocratico e commerciale è frequente omeno al posto di o no.

DETERMINATIVI DELLA NEGAZIONE

La frase negativa è caratterizzata dalla presenzadi un pronome o aggettivo negativo (nessuno,niente, nulla) o dell'avverbio negativo (o ancheda entrambi, perché due elementi negativi, nellastessa proposizione, si rafforzano a vicenda, co-me abbiamo già visto: capitolo 14, § 5). L'avver-bio negativo fondamentale è non, che precedesempre il verbo e, se c'è, ogni altro elemento ne-gativo:

Io non verrò; Non lo credo; Non ne ho voglia; Nonho visto nulla.

Non viene spesso rafforzato da una parola pospo-sta al verbo:

Io non verrò mica; Non lo credo affatto; Non neho punto voglia.

Di per sé mica, affatto, punto sono avverbi o comple-menti di quantità (= «una briciola», «del tutto»,«un solo punto»), privi di valore negativo; ma acqui-stano tale valore a causa del loro frequente impiegoin frasi negative, e ciò porta, soprattutto nel parlato,a frasi come: Mica verrò!; «Lo credi?» «Affatto»(= no); «Ne hai voglia?» «Punto» (= no).

I tre avverbi nemmeno, neppure, neanche(composti con la congiunzione né) per significatosono esattamente l'opposto di anche, pure e, co-me questi, possono determinare anche il sostanti-vo o il pronome:

Nemmeno il professore è convinto; Neppure luiverrà (e, naturalmente, anche: Non è convintonemmeno il professore; Non verrà neppure lui).

La negazione con riferimento al tempo è data danon, preposto al verbo, e mai (o dal letterariogiammai), posposto:

Io non cederò mai; Non cedere mai al male!

Mai ha finito per assumere valore di avverbionegativo e, come tale, viene anche usato da soloe prima del verbo:

Mai cederò; Mai cedere al male! «Cederai?»«Mai!».

216

DETERMINATIVI DEL DUBBIO

II determinativo del dubbio e dell'incertezza èforse, e il determinativo dell'approssimazione èquasi.

Con valore simile a forse e sfumature diverse si usanoinoltre probabilmente, eventualmente, magari, e perquasi: circa, all'incirca, pressappoco, ecc.

CIOÈ, ECCETERA, ECCO

Ricordiamo infine tre parole che, almeno per comodi-tà, si possono includere nella categoria dell'avverbio:

cioè, che rappresenta un'intera brevissima proposizio-ne ( = ciò è) e fornisce un'equivalenza ( = vale a dire)o una precisazione ( = precisamente, e precisamente);

eccetera (abbreviabile in ecc., etc.), che deriva dal la-tino et cetera = «e le altre cose» ed ha appunto talesignificato;

ecco, che si premette al sostantivo, al verbo, ad alcu-ni avverbi e congiunzioni e al pronome personale àto-no (al quale si unisce) per richiamare l'attenzione, in-dicare l'imminenza di qualcosa, ecc., in prevalenza infrasi ellittiche ed esclamative: Ecco le mie proposte;Ecco fatto! Ecco qua! Eccomi! Eccolo! Ecco che prote-stano!

4. GRADI DI COMPARAZIONEDELL'AVVERBIO

FORMAZIONI REGOLARI

Gli avverbi qualificativi in -mente formano ilcomparativo e il superlativo assoluto in paral-lelo con i gradi degli aggettivi corrispondenti ein dipendenza da essi (vedi tabella sotto).

Gli avverbi rappresentati da un aggettivo (piano,chiaro, forte, ecc,) presentano le forme: compara-tivo più chiaro; superlativo assoluto chiarissimo.Per esempio: Parla più chiaro! Ha parlato chia-rissimo. Hanno inoltre forme di questo tipo ada-gio e i pochi avverbi determinativi provvisti digradi di comparazione (vicino, lontano, presto,tardi, spesso). Avremo dunque: più adagio, ada-gissimo; più vicino, vicinissimo; ecc.

Il secondo termine di paragone si esprime co-me con gli aggettivi: più (meno) velocemente di...Si osservi che il superlativo relativo per gli av-verbi esiste solo nel costrutto del tipo il più velo-cemente possibile; altrimenti si esprime col com-parativo seguito da una determinazione: più velo-cemente di tutti, più velocemente che poteva, ecc.

GRADI DI COMPARAZIONE SPECIALI

Gli avverbi bene, male, grandemente, molto, pocohanno gradi di comparazione «speciali» (siconfrontino i corrispondenti aggettivi buono, cat-tivo, grande, piccolo nel capitolo 11, § 4):

positivo

bene

male

grandementemoltopoco

comparativo

meglio

peggio

maggiormentepiùmeno

superlativo assoluto

ottimamente, benissi-mo, molto benepessimamente, malissi-mo, molto malemassimamentemoltissimominimamente, pochis-simo, molto poco

NOTA

• Più e meno fungono anche da aggettivi invariabili:Ho più fortuna di te; Ho meno soldi di prima.

217

25. La preposizione,la congiunzione,l'interiezione

1. LA PREPOSIZIONE:QUADRO COMPLESSIVO.

LE PREPOSIZIONI PROPRIE

DEFINIZIONE

La preposizione è la parte invariabile del di-scorso che «è preposta» a un elemento della fra-se (sostantivo, pronome, verbo all'infinito, ecc.) eassolve il compito di stabilirne un determinatorapporto con altri elementi:

// padre di Giovanni; Penso al futuro; Confido inte; Mangio per vivere; Mi batto contro tutti.

Le preposizioni sono dunque tipici «strumentigrammaticali» o «elementi funzionali» (vedi ca-pitolo 6, § 2), e le loro specifiche funzioni vengo-no illustrate nell'ambito della sintassi, partico-larmente in relazione ai complementi. Qui dob-biamo soltanto vedere quante e quali siano.

QUADRO COMPLESSIVO

Le preposizioni sono numerose, in corrisponden-za alla molteplicità e varietà dei rapporti che in-tercorrono tra gli elementi della proposizione, e

sono assegnabili a tipi diversi, cosicché le distin-guiamo in:

• preposizioni proprie:

fondamentali: di, a, da, ecc.specifiche: durante, eccetto, entro, ecc.

• preposizioni improprie:

contro, dentro, presso, ecc.

• locuzioni preposizionali:

fuori di, accanto a, a causa di, ecc.

LE PREPOSIZIONI PROPRIE FONDAMENTALI

Tra le preposizioni proprie ne consideriamo co-me fondamentali nove, che si citano tradizio-nalmente in questo ordine:

di a da in con su per fra tra

II valore di fra e tra è identico. Sono varianti dellastessa preposizione e la scelta avviene per motivi dieufonia: primo fra tutti; tra fratelli. Se non c'è da evi-tare una successione disarmonica di suoni, la scelta èlibera.

219

Queste nove preposizioni sono caratterizzate dal fatto di essere tutte monosillabiche e di appoggiarsi,come proclitiche, alla parola che segue (vedi capitolo 4, § 1), e sono impiegate tutte, tranne su, esclu-sivamente come preposizioni. Inoltre, come si è già visto (capitolo 9, § 5), di, a, da, in, con, su forma-no, in unione con l'articolo determinativo, le preposizioni articolate.Le funzioni di quasi tutte le preposizioni proprie fondamentali sono molteplici: scorrete — per averneun'idea — il capitolo 32, § 8. Tuttavia ciascuna di esse ha uno o due valori base originari, che è benefissare fin d'ora:

LE PREPOSIZIONI PROPRIE SPECIFICHE

Altre preposizioni sono usate anch'esse solo come preposizionil, ma, a differenza di quelle fondamen-tali, con un unico valore specifico (o talora due o tre). Eccone l'elenco, con raggruppamenti connes-si alle diverse funzioni (illustrate nei capitoli 30, 31 e 32):

attraverso, mediante, mercé; verso; entro, lungo; durante; eccetto, fuorché, meno, salvo, tran-ne; malgrado, nonostante; secondo.

2. LE PREPOSIZIONI IMPROPRIEE LE LOCUZIONI PREPOSIZIONALI

LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE

II termine «improprie» non significa che le preposizioni così definite siano «non propriamente prepo-sizioni»: la loro funzione è identica a quella delle altre, ma esse possono assolvere anche un'altrafunzione, per lo più di avverbi. Ne diamo l'elenco (e troverete poi l'indicazione dei loro valori — ingenere piuttosto specifici — nella sintassi, capitoli 31 e 32):

contro, dentro, dietro, presso, rasente, sopra, sotto; oltre; avanti, dopo; senza; circa.

1 In quanto «strumenti grammaticali»; ma s'intende che alcune, data la loro origine, hanno anche valori affatto diversi(per es. lungo, salvo, come aggettivi).

220

DISTINGUERE TRA PREPOSIZIONE E AVVERBIO

È importante saper distinguere quando le preposizioni «improprie», e inoltre anche la preposizionepropria su, assolvono, come accade più frequentemente, la funzione di preposizioni e quando inveceassolvono la funzione di avverbi. Confrontate le seguenti coppie di esempi:

LE LOCUZIONI PREPOSIZIONALI

I rapporti fra gli elementi della proposizione, oltreché dalle preposizioni (proprie e improprie) esami-nate fin qui, sono stabiliti anche dalle locuzioni preposizionali (o «prepositive»), costituite da unavverbio o da una locuzione avverbiale seguiti da una delle preposizioni fondamentali di, a, da, con.Le locuzioni preposizionali sono molte e indicheremo le loro funzioni specifiche nei capitoli della sin-tassi; qui ne forniamo solo qualche esempio:

• (avverbio + preposizione): fuori di, invece di, prima di; accanto a, davanti a, fino a, intorno a, vici-no a; giù da, lontano da, fino da; insieme con, ecc.;

• (locuzione avverbiale + preposizione): al di qua di, al di là di, al di fuori di, a causa di, per mez-zo di, in mezzo a, di fronte a, ecc.

NOTA

• Anche con le preposizioni proprie su, fra e tra, davanti a un pronome personale, si può trovare, anziché lasemplice preposizione, una locuzione preposizionale (su di me, tra di voi), e ciò è normale con le preposizioniimproprie (contro di te, dopo di lei). Inoltre, per esempio, dentro la casa alterna con dentro alla casa, dietro ilbanco con dietro al banco, ecc. In questi casi però l'uso delle locuzioni preposizionali (su di, tra di, contro di,dentro a, ecc.) è facoltativo o circoscritto.

DISTINGUERE TRA LOCUZIONE PREPOSIZIONALE E AVVERBIO

II riconoscimento della funzione sintattica delle locuzioni preposizionali non presenta difficoltà: lapreposizione (di, a, da, con) con cui la locuzione preposizionale si conclude la caratterizza come talee la differenzia dall'avverbio (o dalla locuzione avverbiale):

221

op— IIS1

3. LA CONGIUNZIONE:QUADRO COMPLESSIVO

oI— Itsa&H^

O^oo

DEFINIZIONE

La congiunzione si definisce come la parte inva-riabile del discorso che «congiunge» due partidell'enunciato (due elementi della stessa proposi-zione o due proposizioni). È una definizione gene-rica e, per essere più precisi, occorre distingueretra congiunzioni «coordinanti» e «subordinanti».

CONGIUNZIONI COORDINANTIE SUBORDINANTI

Le congiunzioni che chiamiamo coordinanti (e,o, ma, ecc.) congiungono, nella proposizione, pa-role che hanno la medesima funzione sintattica- due soggetti, due attributi, due complementi,

ecc. — ponendole sullo stesso piano:

Amo la lettura e la musica; Mi dia spaghetti alsugo o al ragù; È onesto ma sfortunato.

Inoltre le congiunzioni coordinanti possono con-giungere due proposizioni anch'esse omogeneetra loro (per es. due proposizioni indipendenti):

Ti ho ascoltato e ti approvo; Parlo o devo tacere?Penso, dunque sono.

Le congiunzioni subordinanti (perché, quando,se, ecc.) esercitano la loro funzione solo nell'am-bito del periodo (occorrono due proposizioni) estabiliscono un rapporto gerarchico, un rapportodi «subordinazione», tra una proposizione (reg-gente) e un'altra (dipendente, subordinata):

Parlo liberamente perché sono un uomo libero; Sepenso, esisto.

Risulta chiaro da quanto detto che con la con-giunzione (come con la preposizione) ci inoltria-mo nel dominio della sintassi, e l'argomento nonpuò venire approfondito se non in quella sede.Qui ci limiteremo a un elenco ordinato delle con-giunzioni più comuni, suddivise fondamentalmen-te secondo la funzione — lo si è già visto — incoordinanti e subordinanti.

FORMA DELLE CONGIUNZIONI

Quanto alla forma, le congiunzioni possono es-sere:

• semplici (formate di una sola parola): e, o,ma, però, come, se, né, ecc.;

• composte (formate di due o più parole uniteinsieme): oppure, infatti, allorché, finché, siccome,ecc.;

• locuzioni congiuntive (formate da due o piùparole distinte): atteso che, nonostante che, cosìche, dato che, ecc.

4. LE CONGIUNZIONI COORDINANTI

VARI TIPI DI CONGIUNZIONI COORDINANTI

Le congiunzioni coordinanti si distinguono in:

• copulative (congiungono due elementi): e; né(= e non):

È abile e furbo; Non è abile né furbo; Partì, né fe-ce avere sue notizie

• disgiuntive (distaccano due elementi o pon-gono un'alternativa): o (può essere rinforzato daun avverbio: o piuttosto, o anche); oppure, ovve-ro, ossia:

Dammi un giornale o una rivista; È vero o falso?Andiamo in treno oppure prendiamo la macchina?

• avversative (esprimono un'opposizione, unaantitesi): ma; però, eppure, tuttavia, anzi,senonché, nondimeno; pure, piuttosto, altresì, pe-raltro (queste ultime prevalentemente congiungo-no due proposizioni, e si usano anche come av-verbi):

Poveri ma belli (o Poveri, ma belli, cioè con osenza virgola); Lo farò, ma devi aspettare; Haimille ragioni, però non le fai valere; Piove, tutta-via usciamo; Ti amo, anzi ti adoro; È bello, anzisplendido.

• dichiarative (senza stabilire una subordina-zione, esprimono una causa; congiungono di nor-ma solo proposizioni): infatti, difatti, invero;

• conclusive (senza stabilire una subordinazio-ne, esprimono una conseguenza; congiungono dinorma solo proposizioni): dunque, quindi, per-ciò, pertanto, ebbene.

222

NOTE

• Nelle espressioni tutti e due, tutti e tre, ecc. e bell'efatto, bell'e andato, ecc. e ha un particolare valore raf-forzativo, che lo avvicina per funzione a un avverbio.

• Soprattutto nel parlato, alcune congiunzioni (e,ma, dunque) talora aprono l'enunciato; lo collegano aqualcosa di pensato o di implicito, o hanno un valorepuramente affettivo: E tu cosa dici? Ma non lo sapevi?Dunque, eccoci qui.

• Gli avverbi di tempo oro e allora possono assumereil valore di congiunzioni conclusive: Volete i motivi;ora (= dunque, ebbene) sono parecchi...; Allora comela mettiamo?

• Le congiunzioni e e ma spesso precedono altre con-giunzioni coordinanti: e anzi, e infatti, e dunque; matuttavia, ma nondimeno, ma però (le ultime tre sonolocuzioni francamente pleonastiche, cioè si dovrebbefare a meno dell'una o dell'altra congiunzione).

POLISINDETO, ASINDETO, CORRELAZIONE

Finora abbiamo visto esempi di una congiunzio-ne che coordina due termini. Ma le congiunzio-ni copulative e disgiuntive possono collegare an-che più di due termini e possono venire ripetutenel costrutto detto polisindeto (= con moltilegami):

Sembra bravo e serio e affidabile (o Sembra e bra-vo e serio e affidabile, costrutti «marcati» rispet-to a Sembra bravo, serio e affidabile)', Scegli ilmare o la montagna o le tórme?

Nella coordinazione copulativa, all'opposto delpolisindeto, si può avere l'asindeto (costrutto«senza legami»):

Sembra bravo, serio, affidabile; Quel libro trattaargomenti sociali, economici', Venne, vide, vinse.

Le congiunzioni che si ripetono vengono dette incorrelazione tra loro (O al mare, o in montagna,o alle tórme, spenderò troppo). La correlazione di-viene il costrutto usuale con le congiunzioni née sia:

Non è né carne né pesce; Né lo ammetto ora, né loammetterò mai; Sia Fabio, sia Anna sono partiti;Viene pagato sia che lavori, sia che non lavori.

Sia può trovarsi in correlazione anche con o (Sia bel-lo o brutto, lo amo). La correlazione sia... che è di usocomune, ma rompe la simmetria e vi si perde il valoreoriginario di sia (voce del verbo essere).

Il termine «correlazione» si usa anche in un sen-so più ampio, per indicare il regolare corrispon-dersi all'inizio di due parti della frase delle stes-se parole (congiunzioni, pronomi, ecc.) o di paro-le diverse in rapporto reciproco: ora... ora...; chi...chi...; non solo... ma anche...; tanto... quanto...;così... come; ecc.

5. LE CONGIUNZIONISUBORDINANTI

Riportiamo qui di seguito una scelta esemplifica-tiva di congiunzioni (e locuzioni congiuntive) su-bordinanti secondo l'ordine col quale vengonotrattate nelle loro specifiche funzioni dalla sin-tassi del periodo, ai cui relativi capitoli si rin-via:

dichiarativa: checausali: perché, poiché, visto che, dato che, ecc.finali: affinchè, perché, onde, in modo che, ecc.consecutive: che, cosicché, così che, così da, ecc.temporali: quando, allorché, mentre, prima che,dopo che, finché, ecc.locali: dove, dovunquecomparative e modali: come, che, di come, piut-tosto che, ecc.concessive: benché, sebbene, quantunque, nono-stante che, ecc.condizionali: se, purché, qualora, posto che, ecc.avversative: mentre, laddove, anzichéesclusive, eccettuative, giudicative: senza che,tranne che, a quanto, ecc.

6. L'INTERIEZIONE

CARATTERISTICHE DELL'INTERIEZIONE

Mentre tutte le parti del discorso considerate finqui si ripresenteranno nella sintassi, in quantocostituenti indispensabili della frase, dell'inte-riezione ci occupiamo, brevemente, solo qui. In-fatti è una parte del discorso che non ha un rap-porto organico con la frase che precede o in cui

223

.

55O

EH55

si inserisce, tanto che di norma viene separatada una virgola o da un punto esclamativo.

INTERIEZIONI PROPRIE

In particolare, le interiezioni che chiamiamoproprie (cioè «vere e proprie») sono a stentoconsiderabili come parole articolate e si avvici-nano piuttosto al grido istintivo. Tutte le vocali,da sole, possono rappresentare un'interiezionepropria, che viene contraddistinta con una h (let-tera, espediente grafico, non fonema: l'unico fo-nema è quello vocalico):

ah, eh, ih, oh, uh

Segnali immediati di una sensazione, di un'emo-zione, di una volizione, le interiezioni «proprie»esprimono volta per volta la gioia o il dolore, lasorpresa o la delusione, un richiamo o un'esorta-zione. Assegnare con precisione questo o quel va-lore alle singole interiezioni sarebbe azzardato:ciascuna può averli quasi tutti. Un po' più spe-cializzate sono altre interiezioni, pure monosilla-biche, ma costituite di due o tre fonemi, ancheconsonantici (dove comunque h è sempre solo se-gno grafico):

ahi, ehi, ohi, ohe, ahó, ehm, bah, beh, puh', con

valore ancor più specifico: dai, mah, uf, aùf, ohi-bò, ehilà; ahimè, ohimè (queste ultime formatecol pronome me).

Altre interiezioni traggono origine dal linguag-gio dei fumetti, dello sport, dello spettacolo ehanno vita più o meno breve nella lingua: gulp,splash, yuk, ole, uào, ecc.Alcune delle interiezioni citate si avvicinano alleonomatopee, con le quali si vogliono riprodurregridi di animali e suoni, naturali o artificiali:

bau, bè, miao; bum, bang, patatràc, pluf, tic-tac,din-don, brr, pss, st, ecc.

INTERIEZIONI «IMPROPRIE»

Per interiezioni improprie intendiamo quelleche originariamente furono parole (sostantivi,forme verbali, avverbi, ecc.), o risultano da dueparole o dalla deformazione a scopo eufemisticodi parole.Si impiegano come le interiezioni proprie, o dasole (per salutare, esortare, esprimere meravi-glia, ecc.) o, senza rapporto logico col resto del-l'enunciato, come intercalari:

addio, ciao, salve; evvia, suvvia, orsù, ecco; viva;guai; accipicchia, càspita, perbacco, perdinci, ecc.

224

SINTASSI

26. La proposizionee i suoi elementi.Soggetto e predicato

1. LA SINTASSIDELLA PROPOSIZIONE

CHE COSA INTENDIAMO PER PROPOSIZIONE

Nella morfologia abbiamo studiato le singole pa-role sotto l'aspetto della loro forma e, in quanto«parti del discorso», le abbiamo considerate co-me isolate (per quanto possibile) le une dalle al-tre. Ora, con lo studio della sintassi, vogliamoscoprire i meccanismi mediante i quali le paro-le o, più spesso, determinati gruppi di parole, as-solvendo distinte funzioni, si organizzano instrutture di diversa ampiezza, le proposizioni e iperiodi.La proposizione è il tipo di struttura che analiz-ziamo per primo (in quella che è detta, appunto,«sintassi della proposizione»). La proposizione sidefinisce come la sequenza di parole, del tutto oparzialmente autonoma, che:

• rappresenta una unità logica, possiede cioè unsenso complessivo compiuto, e

• ha come elemento individuante una, ed una so-la, voce verbale (il «predicato»).

Gli altri elementi (in primo luogo il «soggetto»)

che si aggregano al predicato per costituire laproposizione possono essere più o meno nume-rosi:

L'aereo parte.Oggi l'aereo delle otto per Eoma, il più comodoper molte categorie di utenti, parte in ritardo acausa di un nuovo sciopero dei controllori di volo.

Il secondo esempio, pur presentando ben ventottoparole contro le tre del primo, corrisponde an-ch'esso a una sola proposizione, perché la voceverbale è unica.

COME INDIVIDUARE E DELIMITARELA PROPOSIZIONE

Una singola proposizione, come nei due esempivisti, può corrispondere a un enunciato autosuf-ficiente: è, da sola, un periodo (un «periodo sem-plice»). Peraltro, molto frequentemente, due opiù proposizioni si connettono insieme in un «pe-riodo complesso». Del periodo complesso, che,per brevità, chiamiamo senz'altro periodo, ci oc-cuperemo in seguito (in quella che viene detta,appunto, «sintassi del periodo»). Fin da adesso,però -- dato un periodo -- dobbiamo saperloscomporre in tanti segmenti quante sono le pro-posizioni.

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Il procedimento non presenta difficoltà e consiste essenzialmente nel contare le forme verbali («unverbo, una proposizione»!) e nel raggruppare con ciascuna di esse gli altri elementi legati dal senso.Senza ancora addentrarci nella sintassi del periodo, considereremo un certo numero di possibilità,che sono connesse ai diversi tipi di rapporto fra le proposizioni «esplicite» (quelle col verbo finito)stabiliti dalle congiunzioni (vedi capitolo 25, § 1-3) e alla presenza di subordinate «implicite» (vedicapitolo 23, § 1-3). Negli esempi di periodi che seguono, le barrette servono a indicare il limite frauna proposizione e l'altra:

ECCEZIONI ALLA NORMA «UN VERBO,UNA PROPOSIZIONE»

II criterio semplice e pratico «un verbo, una pro-posizione» è sempre pienamente valido, ma lo ap-plicheremo tenendo conto di alcune particolarità,che del resto già conosciamo:

• nell'infinito sostantivato e nel participio ag-gettivato o sostantivato prevalgono le caratteri-stiche del sostantivo o dell'aggettivo ed essi e-splicano, nella proposizione, tali funzioni. Quin-di, per esempio, gli enunciati

II suo esitare ci sorprende; Dimenticate le pre-cedenti esperienze; Gli invitati arrivarono pun-tuali

rappresentano altrettante singole proposizioni,

individuate rispettivamente dai predicati sorpren-de, dimenticate, arrivarono',

• consideriamo la voce di un verbo «servile» o«fraseologico» (potere, dovere, volere, sapere,ecc.) seguita da un infinito come una voce verba-le unitaria, base di un'unica proposizione:

Io devo partire; Tu non sai prendere una deci-sione;

• così pure i costrutti verbali «perifrastici» (ve-di capitolo 23, § 4) formano una unità, e rappre-sentano quindi una proposizione unica enunciaticome i seguenti:

Egli sta per gettare la spugna; Che cosa va di-cendo il tuo amico?Ho fatto vedere il compito al professore.

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2. SINTAGMI,FUNZIONI SINTATTICHE,

ELEMENTI DELLA PROPOSIZIONE

quindi possono rappresentare un sintagma nominale,ma ciò accade di rado, per lo più in frasi rientrantinell'ambito di un discorso sulla lingua: Con è unapreposizione; Qui non usare sebbene, ecc.

Abbiamo parlato, nel paragrafo precedente, di«parole o determinati gruppi di parole» che si or-ganizzano nella proposizione, di distinte «funzio-ni)) che questi assolvono e di distìnti «elementi»della proposizione. Dobbiamo precisare e appro-fondire questi concetti.Gli elementi che distingueremo nella proposizio-ne (predicato, soggetto, ecc.) talora si identifica-no con singole parole, ma più spesso sono costi-tuiti da due o più parole, riunite in un grupposintattico, o unità sintattica, o, con un terminepiù agile, sintagma.I tipi di sintagmi su cui operiamo sono fonda-mentalmente tre: il sintagma nominale, il sintag-ma preposizionale, il sintagma verbale.

SINTAGMA NOMINALE

II sintagma nominale è un sostantivo da soloo, più spesso, ha il suo nucleo in un sostantivo,cui si aggiungono l'articolo, uno o più aggettivi(qualificativi e determinativi), un altro sostanti-vo che precisa il primo, ecc. Al posto del sostan-tivo possiamo trovare ogni altra parte del discor-so in grado di sostituirlo, in particolare un pro-nome, oppure un aggettivo, un avverbio, un in-finito, un participio sostantivati.Ecco alcuni esempi di sintagmi nominali, di di-versa composizione e complessità:

Paolo; amico; l'amico; un amico; un caro amico;un amico veramente caro; un vecchio e caro amico;questo mio caro amico; Paolo, un amico; il mio ca-ro amico Paolo;egli; egli stesso; costoro; nessun altro; un esperto;un esperto molto competente; il bene; il nostro be-ne; il sapere; il sapere storico; una cantante; lacantante più celebre.

NOTA

• La funzione del sostantivo può anche essere assol-ta da un'intera proposizione infinitiva o da alcuni tipidi proposizioni subordinate esplicite; ma, con ciò, ol-trepassiamo i limiti della sintassi della proposizione, equindi ne parleremo in seguito, nella sintassi del pe-rìodo.Quanto all'articolo, alla preposizione, alla congiunzio-ne e all'interiezione, sono anch'essi sostantivabili e

SINTAGMA PREPOSIZIONALE

II sintagma preposizionale è dato da una pre-posizione (propria o impropria, o da una locuzio-ne preposizionale) seguita da un sintagma nomi-nale:

di Paolo; di un amico; per il mio caro amicoPaoloper te; contro nessun altro; intorno al saperestorico

NOTA

• La preposizione articolata del (della, ecc.) impiega-ta come articolo partitivo non introduce un sintagmapreposizionale. In frasi come Sono venuti degli amici,Compra del pane i gruppi degli amici, del pane sonosintagmi nominali.

SINTAGMA VERBALE

II nucleo del sintagma verbale può essere rap-presentato da un'unica voce verbale (semplice ocomposta), oppure da una voce del verbo esserein funzione di «copula», cui si aggiunge un so-stantivo o un aggettivo (secondo la distinzione,che vedremo fra breve, tra predicato verbale enominale):

arriva; è arrivato; sono stati invitatiè un ragazzo; sono bravi ragazzi; sarà felice; sa-ranno felici

IL CONCETTO DI FUNZIONE

La sintassi studia come funziona la proposizione,vale a dire quali funzioni svolgono le parole (o,come abbiamo visto ora, determinati gruppi diparole) che la costituiscono.Avere o svolgere una funzione significa assolvereun compito, servire a qualcosa. Quando però di-ciamo, per esempio, che «questa parola ha nellaproposizione la funzione di soggetto», diciamoqualcosa di più che: «serve da soggetto». Il ter-mine funzione allude a una capacità che si rea-lizza e, individuandole nelle loro funzioni sin-tattiche, noi non abbiamo più di fronte delle pa-role isolate e statiche, ma' cogliamo la dinami-

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ca del discorso. Inoltre, parole o sintagmi non as-solvono la loro funzione ciascuno per conto pro-prio, ma in rapporto gli uni con gli altri. Si stabi-lisce una fitta rete di relazioni, cosicché la funzio-ne di un elemento va connessa con la funzionedi un altro all'interno di quel sistema che è l'e-nunciato.

GLI ELEMENTI DELLA PROPOSIZIONE

Individuare e classificare gli elementi che costi-tuiscono la proposizione significa stabilire qualifunzioni essi esercitano nella proposizione stessa.In base alla loro funzione possiamo distingueresei elementi, due essenziali e quattro accessori:

// limpido fiume scorreII fiume Serchio scorreII Serchio scorre limpidoII Serchio scorre in Toscana

COME ORIENTARE LA NOSTRA RICERCA

Per ciascuno degli elementi della proposizio-ne, nelle pagine che seguono, ricercheremo anzi-tutto:

• la sua specifica funzione sintattica;

• da quale parte del discorso, o più ampio sin-tagma, è costituito.

3. SOGGETTO E PREDICATO

COME SONO COSTITUITI

Cominciamo con lo stabilire da che cosa i due e-lementi essenziali della proposizione sono costi-tuiti:

• il soggetto è un sintagma nominale, cioè, co-me si è visto, un sostantivo (o ogni parola attaa sostituire il sostantivo: pronome, aggettivosostantivato, ecc.), da solo o variamente deter-minato:

Paolo parte; sorge il sole; Paolo, il nostro ami-co, partirà;(con soggetti coordinati) Paolo e Giovanna par-tirannoegli partirà; egli stesso ci ha informati

• il predicato è un sintagma verbale, cioè o u-na voce verbale o una voce di essere, col valoredi «copula», unita a un sostantivo o a un agget-tivo (vedi § 4):

Paolo parte; Paolo è leale; Paolo è un amico.

DEFINIZIONE DELLE FUNZIONI

Soggetto e predicato, nel quadro della proposizio-ne, si trovano in funzione l'uno dell'altro e quin-di le funzioni sintattiche che assolvono si de-finiscono reciprocamente:

• il soggetto è ciò (essere animato o cosa) dicui, per mezzo del predicato, viene predicatoqualcosa;

• il predicato è ciò che viene predicato del sog-getto.

QUALCHE PRECISAZIONE

Queste definizioni sono semplicissime, ma, a pri-ma vista, alquanto astruse. Per comprenderle afondo occorre una breve riflessione. Anzitutto do-vete prescindere da significati di «predicare» chequi non devono interferire (come «fare la predi-ca»); considerate «predicare» come un sinonimodi «dire», o meglio come un verbo che possiedatutti insieme i significati di «affermare, negare,chiedere, ordinare, esclamare». Allora provate asostituire, nelle definizioni, «viene predicato»con «viene affermato, o negato, o chiesto, o ordi-nato, o esclamato enfaticamente».In tal modo si ottengono definizioni più traspa-renti, ma anche inutilmente prolisse, piene di no-zioni superflue. Infatti la logica distingue tra e-nunciati affermativi, negativi, interrogativi, lussi-vi (= con cui si da un ordine), esclamativi; ma,in tutti questi tipi di enunciati, tanto il soggettoquanto il predicato esplicano sempre le medesime

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funzioni: «ciò di cui si predica qualcosa», «ciòche viene predicato»:

L'aereo decolla; L'aereo non decolla ancora; Decol-la l'aereo? Decolla una buona volta, aereo mio!Come decolla rapidamente questo aereo!

Consideriamo poi il predicato nei suoi possibilisignificati: è un verbo, quella parte del discorsoche, come sappiamo, esprime un «processo», cioèun'azione fatta o subita, o uno stato, una condi-zione, un modo di essere. Mettendo in rapportocon i vari tipi di «processi» il soggetto, potremoprecisare che il soggetto è l'essere animato o lacosa che compie l'azione, oppure la subisce(quando il verbo è passivo, ma anche con certiverbi attivi), oppure si trova in un dato stato,condizione, modo di essere:

Piero gioca; Piero viene espulso dall'arbitro; Pieroriceve un'ammonizione; Piero è litigioso; Pieronon cambierà mai; Piero diventa triste

Ecco dunque Piero, il soggetto, che di volta involta fa o subisce un'azione o si trova o non sitrova in una data condizione. Tutte queste di-stinzioni interessano certamente, nella realtà deifatti, chi parla e chi ascolta, oltre allo stessoPiero. Ma, in quanto elemento della proposizionee precisamente in quanto soggetto, la parola Pie-ro esercita sempre la medesima funzione sintatti-ca: è ciò di cui «viene predicato» qualcosa. Sia-mo così riapprodati alla nostra prima definizione,che presenta il vantaggio di essere nello stessotempo del tutto esauriente e molto più rigorosa.

4. PREDICATO VERBALEE PREDICATO NOMINALE

DUE TIPI DI DEDICATO

II soggetto è una categoria sintattica unitaria;quanto al predicato dobbiamo invece distingueretra predicato verbale e predicato nominale.Già negli esempi di predicati riportati in prece-denza si sarà notato che se ne affiancavano didue tipi diversi:

Aggiungiamo:

Egli speravaNoi saremo aiutati davoi

Egli era fiduciosoVoi sarete i nostri al-leati

II fiume scorrePaolo parte

Piero viene espulso

II fiume è limpidoPaolo è leale; Paolo èun amicoPiero è litigioso

È facile constatare che nelle frasi della prima co-lonna sono i verbi (scorre, parte, ecc.) ad esprime-re da soli ciò che si predica del soggetto (un'a-zione fatta o subita, ecc.), mentre nelle frasi del-l'altra colonna la voce verbale appartiene sempreal verbo essere e ciò che si predica è indicato daun aggettivo, da un sostantivo o da un sintagmanominale (limpido, leale, ecc.; un amico; i nostrialleati).Chiamiamo predicato verbale il predicato rap-presentato da qualsiasi verbo tranne essere infunzione di «copula».Chiamiamo invece predicato nominale il predi-cato costituito da una voce del verbo essere infunzione di «copula» e da un sostantivo (o sin-tagma nominale) o da un aggettivo.

LA «COPULA»

Nel predicato nominale l'elemento verbale è ri-dotto al minimo: è il verbo essere non nel suo si-gnificato «pieno» (di «esistere»), ma divenutosemplice strumento grammaticale, un «legamen-to» (è questo il significato di «copula») tra ilsoggetto e il sostantivo o l'aggettivo che vienepredicato del soggetto. Stabilisce un semplicenesso, quasi come il simbolo matematico = .Peraltro la copula, pur non avendo un significatoproprio, fornisce tutte le informazioni proprie diqualsiasi voce verbale (di verbo intransitivo), ecioè:

• la persona e il numero: (Io) sono pronto; (Tu)sei pronto; (Voi) siete pronti• il modo: La cena è pronta; Che la cena siapronta per le sette!• il tempo: La cena è pronta; Quando sarà pron-ta la cena?

L'ELEMENTO NOMINALE

Nel predicato nominale, dunque, un sostantivo oun aggettivo rappresentano la parte essenzialedel predicato stesso, sono il predicato. Tuttavia,per evitare equivoci, si preferisce indicarli piùprecisamente come la parte o l'elemento nomi-nale del predicato.

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NOTA

• Al posto del sostantivo, come elemento nominaledel predicato, possiamo avere, naturalmente, un piùampio sintagma nominale e ogni parola atta a sosti-tuire il sostantivo (vedi § 2).

che nella concordanza grammaticale del predi-cato col soggetto:

(nella persona) Io partirò; Tu partirai; II babbopartirà;(nel numero) // babbo partirà; I miei genitori par-tiranno; (con due o più soggetti coordinati) IIbabbo e la mamma partiranno.

Per la concordanza dell'aggettivo in funzione di ele-mento del predicato vedi capitolo 10, § 3.

PARTICOLARITÀ

• Quando due o più soggetti sono costituiti dapersone verbali diverse:

la la persona prevale sulla 2a e la 3a: Noi e voipurtroppo non andiamo d'accordo; Io e i Fabbri ciincontreremo a Rimini;la 2a persona prevale sulla 3a: Tu, Marco e Annaformate un bel terzetto.

IL VERBO ESSERE COME PREDICATO VERBALE

Oltre che nella funzione di «copula» del predica-to nominale, il verbo essere può comparire col si-gnificato «pieno» di esistere, di rado da solo,spesso nella locuzione esserci. In questi casi esse-re è un predicato verbale:

Dio è (nel senso di: «esiste»); C'è un tale; Ci so-no nuovi arrivi

Consideriamo essere un predicato verbale anchequando è accompagnato, anziché da un elementonominale, da un sintagma preposizionale o da unavverbio (cioè da complementi: vedi capitolo 27,§ 5). Per esempio:

Mia sorella è in giardino; Questo anello è d'oro;I libri sono qui

In tutti questi casi il verbo essere potrebbe esse-re sostituito da altri verbi o espressioni, cometrovarsi, essere fatto, ecc.

• Quando due o più soggetti singolari sonocoordinati dalla congiunzione né, la concordanzanel numero è sostanzialmente libera:

Non ci saranno né il professore né il supplente (eanche: Non ci sarà né il professare né il supplen-te).

Quando la congiunzione è o, soprattutto se vie-ne posta una netta alternativa, prevale il singo-lare:

Gli toccherà sicuramente l'argento o il bronzo (maanche: Gli toccheranno sicuramente l'argento o ilbronzo).

• Con due o più soggetti singolari consideraticome un tutto unico possiamo trovare la concor-danza al singolare:

La folla e la confusione ci dissuase dall'entrare(ma più comunemente: La folla e la confusione cidissuasero dall'entrare).

5. CONCORDANZASOGGETTO-PREDICATO

Soggetto e predicato, nella frase, sono interdi-pendenti e questa interdipendenza si esprime an-

• Quando un soggetto rappresentato da un so-stantivo generico al singolare è determinato dauna specificazione al plurale, possiamo trovare laconcordanza al plurale (detta «a senso»):

La maggior parte degli intervenuti aspettavano insilenzio (ma più comunemente: La maggior partedegli intervenuti aspettava in silenzio).

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27. Elementi accessoridella proposizione.L'analisi logica

1. GLI ELEMENTI ACCESSORI

QUALI SONO

Abbiamo già detto quali sono gli elementi «ac-cessori» della proposizione: attributo, apposizio-ne, predicativo, complemento. Come si è fatto pergli elementi «essenziali» (soggetto e predicato),di ciascuno definiremo la specifica funzione sin-tattica e indicheremo da quale parte del discorsoo da quale sintagma è costituito. Ma ci interesse-remo anche a un altro problema.

COME ORIENTARE LA NOSTRA RICERCA

Soggetto e predicato sono gli elementi che dannovita alla proposizione e la «fondano», fornendo ilsenso basilare, e inoltre si trovano in rapportol'uno con l'altro. Invece gli elementi accessori siaggiungano al «modello» già predisposto e necompletano il senso; però non si aggiungono allaproposizione nel suo assieme, ma a un altro de-terminato elemento di essa. Per ciascun elementoaccessorio dobbiamo dunque accertare anche aquale o a quali elementi esso può aggiungersi,tenendo presente che si potrà trattare di uno dei

due elementi essenziali, cioè del soggetto o delpredicato, oppure di un altro elemento pur essoaccessorio.Pertanto, nello studiare l'attributo, l'apposizione,il predicativo e il complemento, non stabiliremosolo qual è la loro funzione e da quale parola osintagma sono rappresentati, ma anche quale al-tro elemento della proposizione essi determina-no: è questo, «determinare», il termine che ingenere usiamo per designare tale rapporto. Pos-siamo anche dire che l'elemento accessorio am-plia un dato sintagma, cioè ne costituisce un am-pliamento o espansione.

2. L'ATTRIBUTO

DEFINIZIONE E DISTINZIONI

L'attributo è l'aggettivo che accompagna diret-tamente un sostantivo (o altra parte del discorsoche sostituisca il sostantivo), qualificandolo o de-terminandolo. Cioè, secondo una distinzione dicui ci siamo già occupati nella morfologia (vedicapitolo 10, § 1), l'aggettivo in funzione attributi-

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va può essere:

• qualificativo: alto, buono, simpatico; anche,naturalmente, un participio aggettivato: allettan-te, dimenticato;

• determinativo: (possessivo) mio; (dimostrati-vo) questo; (indefinito) molto; ecc.

QUALI ALTRI ELEMENTI DETERMINA

L'attributo, mentre la sua funzione rimane lastessa, determina sostantivi che hanno funzionisintattiche diverse (soggetto, elemento del predi-cato nominale, apposizione, predicativo, comple-mento diretto o indiretto) e amplia sintagmi di-stinti. Per esempio:

L'antica torre sorgesul colle

Quell'edificio è un'an-tica torre

Guarda la Garisenda,un'antica torre di Bo-lognaVediamo i merli del-l'antica torre

determina il soggetto;amplia un sintagmanominale

determina l'elementonominale del predica-to; amplia il sintagmaverbale

determina l'apposizio-ne; amplia un sintag-ma nominale

determina un comple-mento indiretto; am-plia un sintagma pre-posizionale

PIÙ ATTRIBUTI INSIEME

Gli attributi che accompagnano un sostantivopossono essere più di uno, coordinati tra loro osemplicemente allineati, in una grande varietà dicombinazioni:

la torre alta e slanciata; la famosa torre medioeva-le; quell'antica torre; tutte queste torri; tutte que-ste vostre torri antiche e famose

L'AVVERBIO COME ATTRIBUTO

Piuttosto di rado, può fungere da attributo uncerto numero di avverbi determinativi:

la porta accanto; il giorno prima; più, meno, abba-stanza coraggio; il negozio qui sotto; la ruota da-vanti (ma sarà preferibile: la ruota anteriore); an-che, in qualche espressione, l'avverbio negativonon: il non intervento, il punto di non ritorno.

Sono proprie solo della lingua colloquiale espres-sioni come: un tipo così; la gente bene; una gior-nata no.

3. L'APPOSIZIONE

DEFINIZIONE E DETERMINAZIONI

L'apposizione è un sostantivo o un sintagma no-minale «apposto», vale a dire aggiunto immedia-tamente, a un altro sostantivo (o a un pronome,aggettivo sostantivato, ecc.).La sua funzione risulta analoga a quella dell'ag-gettivo attributivo; e, come l'attributo, l'apposi-zione determinerà sostantivi che hanno funzionidiverse:

• di soggetto:L'imperatore Nerone era crudele

• di elemento del predicato:II primo persecutore dei Cristiani fu l'imperato-re Nerone

• di complemento:Una congiura eliminò l'imperatore NeroneTacito parla dell'imperatore Nerone.

Può fungere da apposizione semplice un nume-ro limitato di sostantivi: re, imperatore, conte,presidente, ecc.; signore, dottore, ingegnere, ecc.;

235

§coOOHO

§cocoHOo

mamma, cugino, ecc.; /mme, regione, ecc.; termi-ne, parola, ecc.Qualche altro esempio:

re Edoardo; l'ingegner Rossi; mamma Lucia; ilfiume Arno; la parola paura.

Nell'apposizione complessa il sostantivo chefunge da apposizione è determinato da altri ele-menti: uno o più attributi, un complemento, ecc.Altri esempi:

Nerone, un imperatore tirannico e crudele; ./Vero-ne, l'ultimo imperatore della dinastia Claudia;Nerone, imperatore tristemente famoso per la suacrudeltà; anche preposto: L'imperatore romanoNerone.

PARTICOLARITÀ

• L'apposizione, posposta e spesso introdotta dai duepunti, può assumere un valore esplicativo-dichiara-tivo:

Illustrerò le cause del dissesto ecologico, l'inquinamen-to e gli abusi edilizi (Anche: Illustrerò le cause del dis-sesto ecologico: l'inquinamento e gli abusi edilizi).

• L'apposizione, se-il senso lo vuole, concorda nelnumero con il sostantivo o i sostantivi che essa de-termina e, se è un sostantivo mobile, nel genere:

Alberto e Sergio, i nostri campioni (ma anche: Albertoe Sergio, vanto della nostra squadra, perché essi rap-presentano insieme un vanto); Carla, la nostra campio-nessa.

• Dal sintagma in cui l'apposizione sempliceprecede il sostantivo determinato (del tipo l'im-peratore Nerone) va tenuto distinto un diverso ti-po di sintagma, in cui il nucleo è costituito dalprimo sostantivo, mentre l'elemento che lo deter-mina — un altro sostantivo in libera funzioneappositiva — è il secondo:

il carro merci, il pesce spada, la sala macchine, lascuola guida, il corso pilota, il fanciullo prodigio,l'idea forza, la parola chiave, il caso limite, larazza padrona, l'auto bomba, ecc.

Si tratta di locuzioni molto rapide e snelle (madelle quali sarà bene non abusare!); in esse il se-condo sostantivo sta al posto di un sintagma pre-posizionale (il carro per le merci), o di un aggetti-vo (il fanciullo prodigioso), o di una intera propo-sizione esplicita o implicita (l'idea che è ancheforza; l'auto convertita in bomba).

4. IL PREDICATIVO

DEFINIZIONE. USO CON I VERBI COPULATIVI

II predicativo, o «complemento predicativo», èun aggettivo o un sostantivo (o sintagma nomi-nale) che ha la peculiarità di determinare nellostesso tempo il predicato e il soggetto. La suafunzione è simile a quella dell'elemento nominaledel predicato nominale (è buono, è un amico),con la differenza che si aggiunge non alla «copu-la», ma a un particolare predicato verbale (di-venta buono, diventa un amico).I verbi che possono venire determinati dal predi-cativo, detti verbi «copulativi» (in quanto si usa-no in modo simile alla «copula»), sono:

• verbi intransitivi o riflessivi che indicano unparticolare modo di essere: stare, restare, rimane-re, divenire, diventare, sembrare, parere, apparire,farsi, rivelarsi, ecc.;

• al passivo chiamare, nominare, dire, ecc. (ver-bi «appellativi»); eleggere, proclamare, creare,ecc. («elettivi»); considerare, credere, ritenere,giudicare, stimare, ecc. («estimativi»); rendere,fare, prendere, ecc. («effettivi»).Esempio:

E ancora:

// problema sembra complicato; Francesco vieneconsiderato da tutti un bravo ragazzo; Nel 1978Pertini fu eletto presidente della Repubblica.

ALTRI USI DEL PREDICATIVO

A parte l'impiego con i verbi «copulativi», anchecon qualsiasi altro verbo intransitivo, riflessivo opassivo l'aggettivo può assumere una funzionepredicativa, rilevata dalla posizione (in evidenza,dopo il verbo, oppure anche prima del soggetto):

Le auto sfrecciavano rapide davanti a noi (anche:Rapide, le auto sfrecciavano davanti a noi); II pic-co si stagliava alto nel cielo; In Giappone moltipesci sono mangiati crudi.

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Quasi sempre questo tipo di predicativo può esse-re sostituito da un avverbio, da una locuzioneavverbiale o da un complemento: Le auto sfrec-ciavano rapidamente (o con rapidità)...

NOTE

• II predicativo è talora introdotto da o, da, per, co-me: Garibaldi allora apparve come il salvatore (in al-ternativa a: Garibaldi allora apparve il salvatore). Inqualche caso la preposizione è obbligatoria, semprecon un verbo non copulativo e un sostantivo comepredicativo: Egli agì da gentiluomo; L'on. X è interve-nuto al dibattito come presidente della Commissione.

• Quello che abbiamo illustrato qui è il predicativodel soggetto; trattando il complemento oggetto, trove-remo anche un predicativo dell'oggetto.

Io apro le finestredella stanza

5. IL COMPLEMENTO

DEFINIZIONE

Parlandone in generale, possiamo dire soltantoche il complemento è ogni elemento «accesso-rio» della proposizione che non sia uno di quelligià esaminati (attributo, apposizione, predicati-vo). Esso ha la funzione di «completare», nei mo-di più vari, lo schema di base della proposizio-ne, e tale funzione complessiva si frantuma inuna molteplicità di funzioni specifiche (assoltedai complementi oggetto, di specificazione, di ter-mine, di causa, di luogo, ecc.), da definire voltaper volta.

QUALI ELEMENTI DETERMINA

II complemento, sempre considerato nella sua ge-neralità, può determinare qualsiasi elemento del-la proposizione (compreso un altro complemento)e ampliare qualsiasi tipo di sintagma. Qualche e-sempio:

Io apro le finestre il complemento [oggetto]determina il predicato

Le finestre della il complemento [di speci-stanza sono aperte ficazione] determina il

soggetto (e pertanto faparte del sintagma nomi-nale in funzione di sog-getto)

Io apro le finestrevicine alla libreria

il complemento [di speci-ficazione] della stanza de-termina un altro comple-mento [oggetto], le fine-stre, che a sua volta de-termina il predicatoil complemento [di termi-ne] alla libreria determi-na vicine, attributo delcomplemento [oggetto] lefinestre (e pertanto fa par-te, mediatamente, del sin-tagma nominale in funzio-ne di oggetto).

COMPLEMENTI DIRETTI E INDIRETTI

Dei diversi tipi di complementi ci occuperemo inseguito. Ora fissiamo una distinzione che riguar-da la loro forma, cioè il modo in cui sono costi-tuiti. Sotto tale aspetto si dividono in:

• complementi diretti: sono costituiti da unsostantivo (o da un aggettivo sostantivato, unpronome, ecc.) introdotto direttamente nella pro-posizione. C'è un complemento diretto per eccel-lenza, l'oggetto (II bambino mangia la mela); maè formalmente diretto anche qualche altro com-plemento (per es. il complemento di tempo rap-presentato da la sera nella frase // nonno la seraguarda sempre la tivù);

• complementi indiretti: molto più numerosi,sono costituiti da un sostantivo (o da un aggetti-vo sostantivato, un pronome, ecc.) introdotto dauna preposizione (propria o impropria, o da unalocuzione prepositiva); corrispondono cioè a unsintagma preposizionale (vedi capitolo 26, § 2).

L'AVVERBIO COME COMPLEMENTO

La parte del discorso avverbio costituisce da so-la, così com'è, un elemento della proposizione, e-quivalente di norma a un complemento indiretto,a un sintagma preposizionale {fortemente — conforza; gradualmente = per gradi; qui = in que-sto luogo; ecc.).Nell'ambito della sintassi potremmo chiamarel'avverbio «complemento avverbiale», ma sareb-be una complicazione inutile, e fonte di qualcheconfusione. Seguiteremo perciò a indicarlo colsuo nome, rimanendo inteso che la sua funzioneè quella di un complemento (di modo, di qualità,di luogo, di tempo, ecc.).

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LINGUA VIVA

Quanti complementiin una proposizione?

Nel testo si è spiegato che lafunzione del complemento sifrantuma in una molteplicità difunzioni specifiche. Alla doman-da: «quanti sono i complemen-ti?» si risponderà: molti. Tuttiquelli che troverete illustrati neicapitoli che seguono. Ma seformuliamo la domanda così:«quanti complementi possiamotrovare in una data proposizio-ne?», la risposta è ben diversa.In primo luogo, anche nessuno:abbiamo già visto esempi diproposizioni con i soli costi-tuenti essenziali, soggetto epredicato. C'è poi un forte diva-rio tra le frasi che formiamoparlando, più brevi, e quelleche elaboriamo a tavolino. Maanche la lingua letteraria deveguardarsi dalla «saturazione»della frase: i complementi nondevono essere troppi, se si per-segue la chiarezza, l'efficaciae, magari, l'eleganza.In chimica una soluzione è sa-tura quando un componente,aggiunto al di là di un dato li-mite, non viene più assorbito. Eil limite, per ogni sostanza esoluzione, è esattamente quan-

tificabile. Nella lingua, al con-trario, non è possibile indicareparametri. Il punto di saturazio-ne va individuato col gusto. Bi-sogna saper valutare quando u-na proposizione sta diventandopletorica e l'enunciato richiedeuna diversa articolazione (cioèun maggior numero di verbi!).Ecco due esempi del pericoloda scongiurare, il primo «fab-bricato», il secondo, invece,tratto da una rivista:

/ delegati delle nazioni dell'Eu-ropa occidentale alla conferen-za di Ginevra del gennaio scor-so, con sano realismo e un'ine-sauribile ricchezza di concreteproposte di ampio respiro, ri-scontrabile segnatamente negliinterventi della rappresentanzadel nostro paese, con a capol'onorevole X, hanno affrontatol'annosa questione dell'utilizza-zione per scopi pacifici dell'e-nergia nucleare nel più vastoquadro della problematica rela-tiva sia ai rapporti tra i paesi aeconomia di mercato e i paesidel socialismo reale e tra lenazioni industrialmente avanza-te e le aree in via di sviluppo,sia ad un auspicabile adegua-mento dell'azione dei vari go-

verni ad un sempre più puntua-le e funzionale sfruttamento, inbase a un'accurata programma-zione, di tutte le risorse ener-getiche disponibili in una pro-spettiva planetaria.

Una delle esperienze negativematurate vivendo la vita politicadi oggi con la crisi coinvolgenteIstituzioni e partiti, uomini e i-dee, è la constatazione del rifu-giarsi di ogni parte politica, apreferenza di un rinnovamentoe di un cambiamento, in unaspecie di evasione dalle pro-prie responsabilità private, nel-la ricerca o invenzione di errorie cambiamenti al di fuori di sé,nel coinvolgimento di altre re-sponsabilità e nell'indicazionedi fughe in avanti senza consi-stenza e senza convinzione.

In entrambi gli esempi c'è un'u-n/'ca proposizione, la quale a ri-gore non presenta, nella conca-tenazione di complementi, deglierrori di sintassi: insomma ècorretta. Tuttavia si tratta di e-nunciati in cui è stato larga-mente superato il livello di sa-turazione e che sono franca-mente inammissibili: esempi,quindi, da non seguirei

6. L'ANALISI LOGICA

CHE COSA È L'ANALISI LOGICA

L'indagine che è stata condotta finora sulla pro-posizione e che continuerà, per quanto riguarda isingoli complementi, nei prossimi capitoli, siconfigura come una analisi, che viene detta sin-

tattica o, più comunemente, logica, in quantoconcerne la struttura del «discorso» (in greco,lògos).L'analisi logica si può eseguire mentalmente ooralmente, ma, per meglio verificare se abbia-mo correttamente ed esaurientemente interpre-tato un testo sotto l'aspetto sintattico, possiamoeffettuarla per iscritto, registrando in formachiara e succinta il succo delle nostre osserva-zioni.

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COME PROCEDERE

Nell'ambito della sintassi della proposizione, una volta delimitate (se ci troviamo di fronte a un pe-riodo complesso) le singole proposizioni, procediamo per ognuna di esse in questo modo:

• isoliamo le singole parole o quei gruppi di parole che vanno considerati unitariamente;• indichiamo quali sono le loro funzioni sintattiche, cioè a quali elementi della proposizione corri-spondono;• segnaliamo i rapporti che intercorrono tra i diversi elementi.

Il modo di operare più semplice consiste nel trascrivere uno sotto l'altro gli elementi della proposi-zione e nel registrare accanto a ognuno le indicazioni necessarie: così si è fatto nell'esempio qui sot-to, nella colonna centrale. Otteniamo una formulazione più snella se, anziché esprimerli con parole,evidenziarne i rapporti tra i diversi elementi con graffe e frecce, come nella colonna a destra.

Facciamo a titolo d'esempio l'analisi logica della seguente proposizione: Un esempio chiaro sostituiscemolte pagine di regole.

un esempio soggettochiaro attributo del soggettosostituisce predicato verbalemolte attributo del complemento oggettopagine complemento oggetto (determina il predicato)di regole complemento di specificazione (determina l'oggetto)

soggetto 1attributo ]predicato verbale-*attributocomplemento oggetto 1compi, di specificazione I

Altri metodi per effettuare l'analisi sintattica consistono nell'impiegare «moduli» di dimensionicrescenti, oppure nel costruire un «albero» ramificato. Si pongono così in più chiara evidenza irapporti fra gli elementi della proposizione, ma, quando gli elementi sono molti, le costruzioniche si ottengono risultano alquanto macchinose, e inoltre l'effetto complessivo raggiunto nellapagina a stampa è difficilmente riproducibile quando si scrive a mano.

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7. GLI ENUNCIATI ELLITTICI

Nell'analizzare una proposizione ci aspetteremmodi trovarvi in ogni caso i due elementi essenziali,soggetto e predicato. Ma ciò non accade sempre:esistono enunciati privi del soggetto o del predi-cato o, talora, di entrambi. Li chiamiamo ellitti-ci (dal greco élkipsis, che significa «omissione»)e diciamo che un dato elemento essenziale è sot-tinteso o implicito. Teniamo presente, peraltro,che la proposizione fondata su soggetto e predi-cato rappresenta solo un «modello», uno «sche-ma» di riferimento; noi integriamo mentalmentel'elemento sottinteso, ma dobbiamo riconoscereanche all'enunciato ellittico una piena funziona-lità e legittimità.Inoltre è opportuno distinguere varie configura-zioni tra loro distinte.

MANCA IL SOGGETTO

• Anzitutto rappresenta quasi la norma che ipronomi personali come soggetti non venganoespressi (vedi capitolo 16, § 2), perché la formaverbale contiene già in sé l'indicazione della per-sona, e quindi del soggetto: in Arrivo subito;Quando arriverai?; Arriverà tardi propriamente ilsoggetto non manca, ma è espresso mediante lediverse terminazioni verbali. Questa è inoltre lanorma negli enunciati lussivi (con l'imperativo oil congiuntivo esortativo): Vieni! Non andate! Siaccomodino.

• In un periodo formato da due o più propo-sizioni, coordinate tra loro o legate da un rap-porto di subordinazione, aventi lo stesso sogget-to, questo di norma viene espresso una voltasola:

I barbari invasero l'Italia e saccheggiarono Roma.

In e saccheggiarono Roma il soggetto propria-mente non si può considerare sottinteso: è il me-desimo, i barbari, della proposizione precedente.

• II soggetto manca, per definizione, col verboimpersonale, cioè privo, per il suo significato,di riferimento a un soggetto agente: piove, tuona.Quanto alle frasi col si impersonale (Si arrivòtardi; Così si racconta) la particella si non po-

trebbe essere considerata come soggetto, perchéfa parte della voce verbale riflessiva, ma ha lafunzione di segnalare che il soggetto è «indeter-minato» (= qualcuno, noi, voi, la gente).

MANCA IL PREDICATO

• II predicato verbale, centro della proposizio-ne, può rimanere inespresso solo quando — comeaccade spesso, in particolare, nella conversazione- è immediatamente ricavabile dal contesto o

dalla situazione:

«Tu prendi la bicicletta o la moto?» «Io, la moto»

Nella frase «Io, la moto» il verbo (prendo) è ve-ramente sottinteso. Senza questa integrazione,che compiamo mentalmente, l'enunciato sarebbeprivo di senso.

• Nel predicato nominale la copula, come si èvisto, costituisce un semplice legame e il conte-nuto del messaggio è affidato a un sostantivo o aun aggettivo. Talora, quindi, la voce del verboessere può mancare, in quella che viene detta«frase nominale pura»:

«Come va la tua nuova auto?» «Motore brillante,freni un po' scarsi», cioè: (il) motore (è) brillante,(ma i) freni (sono) un po' scarsi.

• Un solo sostantivo o sintagma nominale (ilsolo soggetto, se proprio vogliamo inserirlo nelnostro «modello») è quello che troviamo comeinsegna di un negozio, come indicazione stradale,come titolo di un libro, di un capitolo, di un arti-colo di giornale.

MANCANO SIA IL SOGGETTO,SIA IL PREDICATO

Accade che manchino sia il soggetto, sia il pre-dicato in battute della conversazione, per esem-pio, in risposta a «Prendi la bicicletta o la mo-to?», «La moto» (= io prendo la moto); e inoltrequando — nel rispondere, nel salutare, ecc. -impieghiamo una parola che «rappresenta da so-la una frase» (con termine tecnico, una parola«olofrastica»): in primo luogo gli avverbi asserti-vi sì^e no e poi grazie, prego, buongiorno, ciao,ecc. E questo pure il caso delle interiezioni e del-le esclamazioni.

240

28. I complementioggetto, di agentee di termine

1. IL COMPLEMENTO OGGETTO

DEFINIZIONE E TERMINOLOGIA

II complemento oggetto, il più importante efrequente dei complementi, rappresenta ciò incui si compie direttamente l'azione del verbotransitivo:

II tiratore colpisce il bersaglio; Ho incontrato unamico; Scavo una buca.

La domanda sintattica «chi? che cosa?» — per-ché serva a individuare l'oggetto — va precisatacosì: «in chi, in che cosa si compie direttamentel'azione?» (formulata con «chi, che cosa subiscel'azione», anche con la precisazione «con un ver-bo all'attivo», non sempre funziona: vedi § 3).Ma la verifica della funzione di oggetto di unelemento della frase si effettua, nel modo più si-curo, rovesciando la frase, rendendo passivo ilverbo: // bersaglio è colpito dal tiratore. L'oggettoè divenuto il soggetto del predicato al passivo (cisiamo già occupati di questo «rovesciamento»della frase: vedi capitolo 16, § 3).

Anziché complemento oggetto, o semplicemente og-

getto, diciamo anche complemento diretto, in quan-to non è introdotto da alcuna preposizione, oppureprecisiamo oggetto diretto (esiste infatti qualche, siapur raro, complemento senza preposizione che non èoggetto).

LA COLLOCAZIONECOME SEGNALE SINTATTICO

Formalmente, nulla differenzia l'oggetto dal sog-getto, tranne quando è rappresentato da un pro-nome personale (me, te, ecc.; mi, ti, ecc.). Per ilresto è la collocazione nella frase a costituireil segnale della funzione sintattica. A parte i pro-nomi personali àtoni (sempre premessi) e il pro-nome relativo (che necessariamente apre la pro-posizione) il complemento oggetto di norma è ob-bligatoriamente posposto al predicato verbale;vedremo le eccezioni nel § 3, occupandoci delleparticolarità.

Prima di passare alle particolarità del comple-mento oggetto, dobbiamo però approfondire -più di quanto si è fatto nella morfologia (vedi ca-pitolo 16, § 4) — il concetto di verbo transitivo,cui la funzione dell'oggetto è strettamente con-nessa.

242

2. VERBI TRANSITIVIE INTRANSITIVI

UNA FUNZIONE, PIÙ CHE UNA PROPRIETÀ

I verbi si dividono, come sappiamo, in transitivi,in cui l'azione «transita», cioè passa direttamen-te su un oggetto, e intransitivi, che esprimonouno stato o condizione o un'azione che si esau-risce nel verbo stesso (ad es. vivere, correre, usci-re), oppure un'azione che trova il suo compimen-to in un complemento indiretto (ad es. giovare,abbondare, insistere).Però la transitività o l'intransitività in generenon è una proprietà intrinseca e permanente diun dato verbo. Si tratta, più che di una proprie-tà, di una funzione: diremo quindi che in una da-ta frase quel dato vero ha una funzione transiti-va (cioè ha un oggetto diretto), oppure una fun-zione intransitiva.

VERBI TRANSITIVI USATI ASSOLUTAMENTE

Quasi tutti i verbi anche più caratteristicamentetransitivi (che cioè d'ordinario hanno un loro og-getto, come mangiare: Io mangio la mela) posso-no venire usati in funzione intransitiva o, comesi dice, assolutamente:

Io mangio sempre di gusto; II nostro gatto è am-malato e non mangia.

Parecchi verbi assumono valori diversi se sonousati transitivamente oppure come intransiti-vi assoluti (= non determinati da un comple-mento):

funzione transitiva

Mi cuocio una frittata

Cambio macchinaL'autista fuma una siga-rettaII contatto dell'aria scuri-sce l'argento

funzione intransitiva

La frittata cuoce sul for-nelloII tempo cambiaII radiatore fuma

Al contatto dell'aria l'ar-gento scurisce

VERBI ORA TRANSITIVI, ORA INTRANSITIVI(CON UN DATO COMPLEMENTO)

Ancor più spesso il significato del verbo si spe-cializza a seconda che venga usato transitiva-mente ovvero, in funzione intransitiva, sia de-

terminato da un sintagma preposizionale:

funzione transitiva funzione intransitiva

Assisto un malatoNon aspiro il fumo dellasigarettaGli partecipai le miepreoccupazioniSpero di rimediare un pa-ninoDispongo i libri sul tavo-loSo bene la lezioneConto i miei errori

Assisto a uno spettacoloNon aspiro alla gloria

Partecipai al banchetto

Rimedierò a tutti i danni

Io disporrò del vostro fu-turoQuesto arrosto sa di fumoConto su di te

INTRANSITIVI CON UN OGGETTO

Infine alcuni verbi tra i più tipicamente intran-sitivi possono avere, limitatamente a-certe paro-le, un oggetto diretto: Io vivo la mia vita. Ritor-neremo sull'argomento tra poco (vedi § 3).

STRUTTURA DELLA FRASE CON VERBITRANSITIVI E INTRANSITIVI

Per approfondire, da un altro punto di vista, lafunzione transitiva e intransitiva e le caratteri-stiche del complemento oggetto, osserviamo chela frase col verbo transitivo rappresenta unastruttura aperta: il predicato richiede il comple-tamento con un complemento diretto (Io man-gio... -> la mela, la torta, la foglia, ecc.). Anchecon certi verbi intransitivi, però, la struttura èaltrettanto aperta, senonché il completamento èdato da un complemento indiretto. Si confrontinole seguenti coppie di frasi:

verbo transitivo

Hai tradito la mia fiducia

Condividiamo la vostra o-pinioneAbbandonate il vostroprogettoIncontrai una pattugliaIntrattiene gli studentiRibadisco questa idea

verbo intransitivo

Hai abusato della miafiduciaAderiamo alla vostra opi-nioneDesistete dal vostro pro-gettoIncappai in una pattugliaConversa con gli studentiInsisto su questa idea

I complementi indiretti della colonna di destracompletano la frase allo stesso modo -dei comple-

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menti oggetti della colonna di sinistra: essi sonodei «quasi-oggetti». La sintassi non li tratta se-paratamente, perché ciascuno rientra nello sche-ma di un dato complemento (di specificazione, ditermine, ecc.), ma, analizzando un testo, rilevere-mo il costrutto che essi formano col verbo e literremo distinti dai complementi più propriamen-te accessori, o «circostanziali».

IL «COSTRUTTO»

Abbiamo parlato di «costrutto», cioè di «costrut-to verbale». Quello più semplice e al tempo stes-so più comune è dato da verbo transitivo + og-getto, mentre per i verbi intransitivi e riflessividobbiamo stabilire volta per volta come (cioè conquale preposizione) si costruiscono.

Diremo, indifferentemente, che:

una data preposizio-ne (e quindi un datocomplemento indiretto)

Per esempio:

aderire

COME USARE IL VOCABOLARIO

Verbi in funzionediversa

Circa le possibilità di impiegodei singoli verbi (funzione tran-sitiva e/o intransitiva, uso «as-soluto», ecc.) ricorrete — in ca-so d'incertezza — al vocabola-rio, che fornisce sull'argomentoindicazioni esaurienti.

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la preposizione a(complemento ditermine)

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

Verbi transitivie intransitivi:uso nella linguae usi regionali

Nella lingua contemporanea l'u-so di un verbo in funzione tran-sitiva o intransitiva, oppure oratransitiva ora intransitiva, è ingenerale ben consolidato. Peròsia nell'italiano antico, sia neidialetti le divergenze da talenorma sono abbastanza fre-quenti (e talora, dai dialetti, l'u-so divergente tende a penetra-re nella lingua). Vediamo qual-che caso caratteristico.

Morire è sempre intransitivo.Ma nell'italiano dei primi secoli(e anche in vernacoli toscanidi oggi) talora viene impiegatotransitivamente, col valore di«uccidere»: A torto m'hannomorto lo mio figliuolo (NOVELLI-NO).

Crescere è intransitivo (// granocresce bene; L'inflazione noncrescerà più) e l'uso transitivosi trova limitato a poche locu-zioni (/ negozianti crescono iprezzi; A mensa hanno cresciu-to le razioni). La funzione tran-sitiva risulta più estesa nei dia-letti e nelle parlate regionalidel Mezzogiorno, e di qui si al-larga sempre più nella lingua:Ha cresciuto con molto amorequella creatura (per: ha alleva-to). Di questo uso non mancanodel resto esempi nella lingualetteraria.

Rimanere è sempre intransitivo.*Ho rimasto una rata da pagare(anziché: Mi è rimasta...) è net-tamente dialettale (settentrio-nale).

Salire è intransitivo, e l'usotransitivo è circoscritto a frasi

come sa//re le scale, salire unachina. Dialettale (meridionale)*Sa// quella valigia (per: Portasu; Fa sa//re).

La lingua è in perenne trasfor-mazione e anche lo «status»sintattico di un verbo può muta-re nel tempo. I vocabolari finoa cinquant'anni fa registravanoil verbo iniziare solo cometransitivo (Essi iniziarono le ri-cerche), e i grammatici ne ri-provavano l'uso come intransiti-vo. I vocabolari oggi danno an-cora la precedenza alla funzio-ne transitiva, ma riportano an-che l'uso intransitivo (Le ricer-che iniziarono all'alba) alter-nante col riflessivo (Le ricerchesi iniziarono) o la locuzione a-vere inizio (Le ricerche ebberoinizio).In realtà nell'uso corrente con-temporaneo iniziare è frequen-tissimo tanto come transitivoquanto come intransitivo e vasoppiantando cominciare e in-cominciare (che possiedono giàoriginariamente entrambe lefunzioni: Domani comincerò unnuovo lavoro; II nuovo lavorocomincerà domani).La fortuna del verbo iniziaresembra dovuta al fatto che ilparlante lo sente come più ele-gante; inoltre esso viene a in-quadrarsi in un sistema com-pleto con il sostantivo inizio e ilcontrario fine:

Un ultimo esempio: assolvere ètransitivo, nel senso sia di «di-chiarare innocente» (Hanno as-solto l'imputato), sia di «com-

piere, eseguire» (Ho assolto imiei doveri). Ma, nel secondosignificato, si va estendendol'uso, erroneo, di asso/vere in-transitivo, col complemento ditermine: *asso/vere all'incarico,all'impegno, al compito assun-to, ecc. L'origine del costruttonon va cercata nel dialetto, manell'analogia col costrutto, re-golare, di verbi vicini per sen-so: dedicarsi a, attendere a.

Verbi transitivie intransitivinelle lingue straniere

Passiamo a un confronto conaltre lingue. Comunemente averbi transitivi italiani corri-spondono verbi transitivi in lati-no, francese, inglese, ecc. e, aintransitivi, corrispondono in-transitivi.Ma le eccezioni non mancano,perché non esistono una «tran-sitività» e una «intransitività»in astratto, universalmente vali-de per determinate azioni ver-bali. Ecco pochissimi esempitra gli innumerevoli a disposi-zione.

In latino invidère («invidiare»)è intransitivo: Marius ìnvidetomnibus, letteralmente «Marioinvidia a tutti». Così si compor-tano parecchi altri verbi latini,transitivi in italiano.

In francese sortir è intransitivocome il corrispondente italiano«uscire»: A/ous sommes sort/sde l'hiver = Siamo usciti dal-l'inverno. Ma può essere anchetransitivo, laddove use/re non loè mai: // a sorti un couteau =Egli ha estratto un coltello.

245

In tedesco La ringrazio si dice:Ich danke Ihnen, letteralmente«io ringrazio a Lei», perché ilverbo danken, «ringraziare», èintransitivo e si costruisce colcomplemento di termine.

Un ultimo esempio con l'ingle-se: Mi piace il caffè si traduce:/ like coffee. Cioè, all'intransiti-vo (e impersonale) piacere del-l'italiano corrisponde il verbotransitivo fo like.

L'oggetto introdottodalla preposizione a

Ritorniamo ai dialetti italiani. Intutti quelli meridionali, quandol'oggetto è costituito da perso-na, non costituisce un comple-mento «diretto», ma viene in-trodotto dalla preposizione a,coincidendo in tal modo (solonella forma!) col complementodi termine. Ogni dialetto possie-de non soltanto un proprio si-stema fonologico e una propria

morfologia, ma anche una pro-pria sintassi e, nell'ambito deidialetti del Mezzogiorno, valequesta norma per quanto ri-guarda l'oggetto, una normache esiste anche in due lingueneolatine, lo spagnolo e il por-toghese.Il costrutto diventa, come èovvio, assolutamente erroneoquando dal dialetto passa nellalingua: ^Cercavo proprio a voi;*Ha fatto entrare al postino;ecc.

3. PARTICOLARITÀDEL COMPLEMENTO OGGETTO

OGGETTO «ESTERNO» E SUE VARIETÀ

Quella del complemento oggetto è una funzioneprecisa, chiara e sostanzialmente unitaria. Se pe-rò si riflette sul significato di ciascun verbo, siscopriranno innumerevoli differenze. Con moltiverbi, di significato concreto, c'è veramente unsoggetto che agisce e un oggetto che subisce Fa-zione (Mangio la mela; Brucio la legna; II motoreconsuma benzina). Invece, con verbi indicantiun'attività non materiale, una percezione o unmovimento, l'oggetto viene a rappresentare ilcompimento o punto d'arrivo dell'azione (Amomia madre; Guardo il mare; Incontro un amico) econ altri verbi l'oggetto corrisponde al risultatodell'azione (Scavo una buca; Dipingo un quadro).Infine notiamo che ci sono verbi con cui — «lo-gicamente» — è il soggetto, anziché l'oggetto, asubire l'azione; per es.: Io subisco un'offesa; Egliha preso uno schiaffo; Tu hai ricevuto un premio.

L'OGGETTO «INTERNO»

Tutti gli oggetti di cui abbiamo dato esempi finqui hanno in comune la caratteristica di essere«esterni» rispetto al processo indicato dal predi-cato verbale. Con certi verbi, per il resto preva-lentemente o sempre intransitivi, si può trovareinvece, in un numero limitato di espressioni, unoggetto che rappresenta il contenuto stesso del-l'azione, e che chiamiamo oggetto «interno».

Per esempio:

Ha corso i cento metri (Invece in: Ha corsocon un buon tempo con impegno; È corso

via il verbo è intransi-tivo)

Ha cantato vittoria (Invece in: Virgiliotroppo presto cantò Enea l'oggetto è

esterno; in: // gallocantò all'alba il verboè intransitivo)

Ancora: combattere una buona battaglia, sputareveleno, sudar sangue, dormire il sonno del giusto,vivere una vita onesta, ecc.

NOTA

• Questo particolare tipo di oggetto spesso può esse-re sostituito con un altro, diverso complemento, oppu-re con un avverbio: Ha corso i cento metri -» Ha cor-so nei cento metri; Vivere una vita onesta -» Vivere o-nestamente.

PREDICATIVO DELL'OGGETTO

II gruppo di verbi che, al passivo, introducono ilpredicativo del soggetto (chiamare, eleggere, con-siderare, rendere, ecc.: vedi capitolo 27, § 4),quando sono usati all'attivo possono avere, oltreall'oggetto, un predicativo dell'oggetto (un al-tro sostantivo oppure un aggettivo). Il predicati-vo si riferisce nello stesso tempo al verbo e al so-stantivo rappresentante l'oggetto:

Molti considerano Francesco [oggetto] un bravoragazzo [pred. dell'oggetto]

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Hanno eletto deputato [pred. dell'oggetto] PietroFabbri [oggetto]Hanno reso felici [pred. dell'oggetto] i loro genito-ri [oggetto].

NOTA

• Non diversamente dal predicativo del soggetto, an-che il predicativo dell'oggetto talora è introdotto dauna preposizione (come, a, da, per, ecc.): Scelsero comeguida un uomo esperto.

L'OGGETTO PREMESSO:LA «COSTRUZIONE INVERSA»

Come si è visto (§ 1), l'oggetto di norma ha unaposizione fissa nella frase: dopo il verbo (a partei pronomi personali atoni e il relativo). Però nel-la lingua letteraria talora — quando non sonopossibili equivoci (grazie alla forma verbale o alfatto che il soggetto è animato e l'oggetto inani-mato) — il complemento oggetto viene premes-so, in quella che viene detta «costruzione in-versa».Due esempi, dal Foscolo e da Montale:

A egrege cose il forte animo [oggetto] accendono /l'urne de' forti;Spesso il male di vivere [oggetto] ho incontrato.

Anche la lingua d'uso può sentire l'esigenza di porrein risalto, all'inizio dell'enunciato, l'oggetto. Si hannoallora enunciati come:

La valigia la prendo io; II giornale vado a comprarlosubito,

Come si vede, l'oggetto premesso viene ripreso dalpronome àtono (la, -lo), il quale in effetti, dal punto divista sintattico, diviene il vero e proprio oggetto nel-la frase, mentre il sostantivo premesso, cui potremmofar seguire una virgola, rappresenta una breve fraseellittica o una specie di complemento di argomen-to: La valigia, la prendo io = Quanto alla valigia,la prendo io.

IL COMPLEMENTO DIRETTO DI RELAZIONE

L'oggetto determina esclusivamente il predicato.Troviamo però un costrutto in cui un comple-mento, indicante in genere una caratteristicafisica, determina direttamente un aggettivo. A ta-le proposito, è celebre il passo Aell'Adelchi man-zoniano:

Sparsa le trecce morbide j sull'affannoso petto / ...giace la pia [Ermengarda],

dove il complemento diretto le trecce morbide,insieme con l'aggettivo sparsa, equivale a uncomplemento di qualità: con le trecce morbidesparse.Si tratta di un costrutto — ricalcato sul latino,che l'aveva desunto dal greco («accusativo allagreca») — tipicamente poetico. Ma è abbastanzafrequente anche nella prosa e, fino a un certopunto, nel parlato contemporaneo un costruttosimile, con un complemento diretto «di rela-zione» liberamente aggiunto a un sostantivo:

Maria, i capelli al vento, ci è passata davanti inscooter ( = con i capelli al vento); L'investigatore,l'eterna sigaretta fra le labbra, scrutò il malcapi-tato ( = con l'eterna sigaretta...).

4. IL COMPLEMENTO DI AGENTE

DEFINIZIONE E DISTINZIONI

Si è già ricordata più volte la possibilità di tra-sformare la frase con verbo transitivo e un com-plemento oggetto mutando il verbo da attivo inpassivo. Nella proposizione che ne risulta quelloche era l'oggetto diviene il soggetto e quello cheera il soggetto diviene complemento di agente,il complemento che esprime da chi o che cosa ècompiuta l'azione del verbo al passivo. È intro-dotto dalla preposizione da:

-lo

Quando l'agente è inanimato (// cambio è aziona-to da una leva), si preferisce designarlo comecomplemento di causa efficiente, ma la strut-tura della frase non muta.

COME SI RICONOSCE

II riconoscimento del complemento di agente (ecausa efficiente) è semplice e non da luogo a

247

OEH

OHsoo

dubbi. Risponde alla domanda «da chi? da checosa?», ma, soprattutto, constatiamo che la fraseè passiva e se, seguendo la direzione opposta aquella indicata prima, trasformiamo la frase inattiva, verifichìamo che quello che era l'agentediviene il soggetto.

NOTA

• La preposizione da non ammette quasi alternative.Sono proprie del linguaggio burocratico-amministrati-vo locuzioni preposizionali come da parte di, ad operadì, per opera di. Per es.: Da parte del pubblico ministe-ro furono avanzate alcune obiezióni', I lavori sono statiintrapresi ad opera del Ministero dei Beni culturali.

5. IL COMPLEMENTODI TERMINE

CHE COS'È IL COMPLEMENTO DI TERMINE

Se prendiamo un verbo tipicamente transitivo,come dare («tipicamente transitivo» nel sensoche di rado è usato assolutamente o intransitiva-mente) e ci proponiamo di formare frasi col solooggetto, certo ne otteniamo senza difficoltà: Dateil buon esempio; Daranno una festa; Questo stru-mento da un buon suono; Non dare noia!; ecc.Tuttavia quelle che ci vengono in mente più nu-merose sono frasi in cui al sintagma dare + og-getto si aggiunge un terzo elemento:

Do un calcio alla palla; Ho dato un bacio a Mar-ta; Egli darà lavoro a molti operai; Dammi il sa-le, per favore; ecc.

Ogni verbo transitivo può avere un oggetto, mada un certo numero di verbi transitivi, oltre a unoggetto diretto, dipende frequentemente un «og-getto indiretto». L'azione si esercita sull'oggettodiretto, ma trova l'ultima conclusione e il suotermine in un altro essere o cosa, i quali rappre-sentano quello che chiamiamo complemento ditermine.Il complemento di termine è introdotto sempre esoltanto dalla preposizione a. La preposizionenon compare però davanti ai pronomi personaliatoni mi, ti, ci, vi, gli, k, si (e talora al relativocui), aventi di per se stessi valore anche di com-plementi di termine (vedi capitolo 12, § 4 e capi-tolo 14, § 3).

CON VERBI TRANSITIVI

I verbi transitivi che, come dare, si costruisco-no nella stessa frase con l'oggetto e col terminesono molti. L'elenco che segue fornisce semplice-mente un'indicazione sulle diverse aree semanti-che cui essi appartengono:

• donare, assegnare, prestare, concedere, procurare,preparare, rendere, restituire• portare, mandare, offrire, rivolgere, cedere (ad es.Cede il posto a un anziano)• togliere, sottrarre, proibire, vietare, rapire• dire, chiedere, narrare, leggere, ripetere, confidare,promettere, ordinare; mostrare, insegnare, indicare,spiegare; negare, tacere, nascondere (ad es. Mi nascon-di la verità)• dedicare, consacrare, preferire (una cosa a un'altra),mescolare (ad es. acqua al vino), dovere (ad es. Gli de-vo riconoscenza), ecc.

CON VERBI INTRANSITIVI

Si costruiscono poi col complemento di termine(e, ovviamente, senza oggetto) parecchi verbi in-transitivi, o transitivi usati intransitivamente, oriflessivi:

• aderire, appartenere, annuire, attentare, badare,concorrere (ad es. alle spese, a un posto), giovare(ad es. // moto giova alla salute), mancare, nuocere,piacere, rinunciare, sorridere (ad es. // bimbo sorridealla mamma), soprassedere, succedere (ad es. Tibe-rio succedette ad Augusto; Cosa mi succede!), ubbidire,ecc.• assistere (ad es. a una manifestazione), cedere (ades. al male), credere, partecipare, pensare (ad es. aipropri guai), tirare (ad es. ai tordi), ecc.• arrendersi, attenersi, rassegnarsi, sacrificarsi, ecc.

CON AGGETTIVI, SOSTANTIVI, AVVERBI

II complemento di termine può inoltre determina-re molti aggettivi, sostantivi e avverbi:

• devoto, favorevole, fedele, grato; avverso, contrario;atto, idoneo, pronto, propenso; inadatto, inetto; utile,giovevole; dannoso, nocivo, ostile; uguale, simile, affine;ecc.• la fedeltà alle istituzioni, la sfida al potere, l'assi-stente alla regia, ecc.; conformemente alle istruzioni,slmilmente agli altri, ecc.

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«DATIVO ETICO»

Nel riflessivo «apparente» del tipo Io mi lavo le maniil pronome personale atono rappresenta un vero eproprio complemento di termine.Invece in frasi come Ti mangi un pollo interni o Mitengo tutto (vedi capitolo 20, § 1) i pronomi mi, ti, ecc.non corrispondono esattamente a a me, a te, ecc. Il lo-

ro valore è intensificante, carico di affettività (in gre-co, éthos) e si avvicina al complemento di vantag-gio, corrispondendo a quello che in latino è detto da-tivo etico. Il dativo etico si trova, sempre con prono-mi personali atoni, anche al di fuori dell'uso deiriflessivi.Per esempio: Come mi risolvi questo problema? Te lorisolvo in quattro e quattr'otto.

29. Gli altricomplementi (1)

1. IL COMPLEMENTODI SPECIFICAZIONE

Il complemento di specificazione, introdottosempre dalla preposizione di, determina in primoluogo il sostantivo (e inoltre il verbo e l'aggetti-vo), di cui specifica — cioè qualifica, determina,precisa — il valore.

CON SOSTANTIVI: DIVERSI VALORI

II rapporto di specificazione è quello più sempli-ce e frequente tra sostantivi; è estremamente va-rio, ma basterà segnalare solo alcune particolari-tà più notevoli.

• Con molte specificazioni qualificative o deter-minative il complemento equivale a un attribu-to, col quale spesso possiamo anche sostituirlo:

legge di natura = legge naturaleimpiegati dello stato = impiegati statali

omaggio di fiorirete delle stradevini di Franciagiornale di Roma

= omaggio floreale= rete stradale= vini francesi= giornale romano

• Una delle specificazioni più frequenti è quelladi appartenenza:

il quaderno di Marta; la casa del padre; gliocchiali del nonno

La sostituzione con un attributo è possibile soloin determinati casi (la casa del padre = la casapaterna), ma diventa normale se il possessore èrappresentato da un pronome personale: la casadi lui = la sua casa.

• Quando il sostantivo determinato indica unsentimento o un comportamento (per es. amore,odio, desiderio, paura, attesa), il complementoche lo specifica può acquistare due valori: sog-gettivo (è quello più comune) o oggettivo. Cioè,il sintagma il timore degli avversati, a secondadel contesto, può significare: «i/ timore che gliavversati hanno», oppure: «il timore che noi, o al-tri, abbiamo degli avversati»;

II timore degli avversati è evidente, e ne approfit-tiamo (specificazione soggettiva: gli avversati te-mono)

250

Il timore degli avversati, così agguerriti, ci trat-tiene (specificazione oggettiva: noi temiamo gliavversati).

• II complemento di specificazione assume unvalore partitivo (da distinguere dal «comple-mento partitivo» vero e proprio: vedi § 2),quando indica il tutto o l'insieme di cui si pren-de una parte o una o più unità:

una grande quantità dirisorseuna dozzina di rosedue etti di burro

una parte dei cittadini

una serie di sventureun mazzo di rose

NOTE

• Alla specificazione partitiva risale come origine(ma non ne ha più la funzione) l'articolo partitivo(vedi capitolo 9, § 3),• Un caso particolare di specificazione è costituitodal secondo termine di paragone del comparativo:Sono più forte di te; Sono meno forte di te (vedi capito-lo 11, § 1).• È di specificazione il valore più frequente dellaparticella pronominale ne (= di lui, di lei, di loro,ecc., vedi capitolo 12, § 6).

CON VERBI E CON AGGETTIVI

Un gran numero di verbi e di aggettivi si co-struisce con la preposizione di. In molti casi ladeterminazione ha un valore particolare (argo-mento, abbondanza, causa, ecc.: vedi oltre). Pos-siamo invece considerarla semplicemente «di spe-cificazione» con verbi e aggettivi come:

• (verbi intransitivi e riflessivi) abusare, accontentar-si, accorgersi, beffarsi, dimenticarsi, disperare, dispia-cersi, disporre, innamorarsi, meravigliarsi, occuparsi,pentirsi, rallegrarsi, ricordarsi, ridere, sapere (per es.:di fumo), stupirsi, valersi, vergognarsi, ecc.

• (verbi transitivi) avvertire (uno di una cosa), con-vincere, incaricare, persuadere;

• (aggettivi) avido, capace, composto, contento, costi-tuito, degno, desideroso, felice, formato, geloso, goloso,invidioso, lieto, pauroso, ecc. (Si noti che composto, co-stituito, formato, se sentiti come participi passati, pos-sono costruirsi anche con da).

La preposizione di, caratteristica anzitutto delcomplemento di specificazione, esprime molte al-tre funzioni: alcune prossime alla specificazionestessa, e le vedremo subito (complemento partiti-

vo, di denominazione, di argomento, ecc.), ed al-tre del tutto diverse (causa, tempo, ecc.), su cuitorneremo più avanti.

2. IL COMPLEMENTO PARTITIVO

Quando l'insieme di cui si prende una parte o u-na o più unità dipende da: pronomi indefiniti (ti-no, qualcuno, pochi, molti, ciascuno, nessuno,ecc.), interrogativi e relativi (chi, quale, quanti),dimostrativi (questo, quello) e da numerali so-stantivati, lo distinguiamo come complementopartitivo dalla semplice «specificazione partiti-va». Il complemento partitivo è introdotto dallapreposizione di e anche (se al plurale) dalla pre-posizione fra (tra);

Uno dei presenti è responsabile; Degli iscritti so-lo pochi furono ammessi alle prove; Chi di noipotrebbe affermarlo? Quanti dei problemi propo-sti hanno trovato soluzione? Tre delle domandeerano troppo difficilioppure: Uno fra i presenti è responsabile; Tragli iscritti...', ecc.

NOTA

• Rientra nel complemento partitivo il secondo ter-mine di paragone con il superlativo relativo: Luigiè il più forte di (oppure: fra) tutti noi (vedi capitolo11, § 2).

3. IL COMPLEMENTODI DENOMINAZIONE

251

oo

Introdotto dalla preposizione di, indica, in dipen-denza da un sostantivo di significato generico, li-na denominazione specifica:

• con molti nomi «appellativi geografici»: la cit-tà di Roma, il comune di Ariccia, il regno di Sve-zia, la repubblica d'Irlanda, l'isola d'Elba, il ca-nale di Suez, ecc.

• con alcuni altri: il mese di marzo, i giorni dilunedì e sabato, la virtù della prudenza, il titolodi cavaliere, il soprannome di Africano, il nomedi Aldo, ecc.

ALTERNARSI DI DUE SINTAGMI DISTINTI

Rilevate l'alternanza fra questi due sintagmi:

• nome generico + di + nome specìfico(compi, di denominazione)• nome generico (= apposizione semplice) +nome specifico

Talora sono ammessi entrambi (il nome di Gio-vanni oppure il nome Giovanni; il cognome diEossi oppure il cognome Rossi), ma più spesso sipuò usare solo l'uno o l'altro. Per esempio, il sin-tagma con l'apposizione è obbligatorio con alcu-ni nomi geografici: il fiume Tevere, il torrente El-sa, il monte Falterona, piazza Cavour (vedi capi-tolo 27, § 3).

NOTE

- 'Si devono inoltre distinguere:

- Lago Maggiore, Lago Trasimeno, Mare Tirreno,Oceano Atlantico e invece: Logo di Como, Maredel Nord, Golfo di Tarante (propriamente compi, dispecificazione, perché prendono nome da una città,ecc.);

- la provincia (romana) di Sicilia, dell'Illirico, ecc.( = compi, di denominazione); la provincia di Aosta,di Palermo, ecc. (= propriamente compi, di specifica-zione);

- la regione della Catalogna, dell'Alvernia, ecc.( = compi, di denominazione); invece per le attuali re-gioni italiane si usa l'apposizione: la regione Sicilia,la regione Lazio, ecc.

• È un complemento di denominazione anche quelloche troviamo in espressioni idiomatiche come: Quellabuona lana di tuo fratello; Quel traditore di lago; Dia-volo d'uomo!

4. IL COMPLEMENTODI ARGOMENTO

Specifica l'argomento che viene trattato o dicui ci si occupa, in dipendenza da verbi comeparlare, discutere, ragionare, trattare, scrivere,dubitare, ecc. e da sostantivi di significato cor-rispondente. È introdotto dalle preposizioni dio su:

Discutevamo di politica; Parlammo bene di te;Questo libro tratta di botanicaScrivimi sui tuoi programmi; Che cosa sai sul suoconto? Terrà una conferenza sul disarmo.

Rientrano nel complemento di argomento anche isintagmi, propri in particolare del linguaggio bu-rocratico-amministrativo, introdotti dalla prepo-sizione circa e dalle locuzioni intorno a, riguar-do a, quanto a e simili:

Si emaneranno disposizioni circa la compilazionedei moduli. Quanto alle modalità di pagamento,l'ufficio competente non si è ancora pronunciato.

NOTA

• In espressioni come Leggo un libro d'arte, Ho ac-quistato una rivista di archeologia, ecc. il complemen-to va considerato semplicemente di specificazione. Inopera di divulgazione si tratta invece di un compi, diqualità (vedi § 6).

5. IL COMPLEMENTODI MATERIA

Determina un sostantivo e ìndica la materia (ilmateriale, la sostanza) di cui una cosa è fatta. È

252

introdotto dalla preposizione di, o anche da in:

anello d'oro, statua di legno, coperta di lana, vasodi plastica;in senso figurato: faccia di bronzo, anni di piom-bo, tigre di carta, coda di paglia.

La preposizione in (/cuori in avorio, legatura inpelle) pone l'accento sull'atto della lavorazione enon sempre è sostituibile a di (mai, per esempio,negli usi figurati).

NOTA

• Si tenga ben presente il preciso concetto di «mate-ria che costituisce interamente una data cosa»: soloin tal caso abbiamo un complemento di materia. Inmazzo di carte, miniera d'oro, e anche in lega di ra-me e stagno i complementi sono semplicemente di spe-cificazione.

6. IL COMPLEMENTO DI QUALITÀ

Determina un sostantivo e ne indica una qualitào caratteristica, fisica o, se si tratta di persona,anche morale. Nella sua conformazione più tipi-ca, è introdotto dalla preposizione di; meno spes-so, dalle preposizioni a, da, con:

di: un uomo di alta statura, di nobili sentimen-ti, di buon carattere, di carattere; un profes-sore di manica larga, di polso;una statua di pregevole fattura; un oggettodi pregio; una moto di grossa cilindrata;fragori di forte intensità

a: un abito a strìsce, una cravatta a pallini

da: un uomo dal carattere impossibile; un cervodalle lunghe corna; un picco dal profilo in-confondibile; bomba da dieci megatoni; pez-zo da novanta

con: una ragazza con gli occhi azzurri; un ber-retto col fiocco (introdotto da con, vienequasi a coincidere con i complementi di u-nione e di modo).

NOTE

• Attenzione a non confondere il complemento diqualità (uomo di alta statura) col complemento di li-mitazione (uomo alto di statura): vedi § 8, «note».

• In espressioni come bambino di due anni, apparta-mento di cento metri quadrati, e simili, abbiamo, piut-tosto che un complemento di qualità, una semplicespecificazione (quantitativa).

7. IL COMPLEMENTODI ABBONDANZA E PRIVAZIONE

Si registrano come complementi di abbondan-za o privazione quelli introdotti dalla preposi-zione di in dipendenza da verbi (transitivi e in-transitivi) e da aggettivi raccolti intorno ai si-gnificati fondamentali di «abbondare» e del suocontrario «privare». Nei costrutti che ne risulta-no il complemento indica ciò di cui c'è abbon-danza, privazione, ecc.:

abbondare, armare, arricchire, caricare, circonda-re, colmare, coprire, dotare, fornire, nutrire, orna-re, riempire, rivestire, ecc.abbisognare, aver bisogno, difettare, disfarsi,mancare, privare, spogliare, ecc.(aggettivi) abbondante, ricco, carico, colmo, dota-to, fornito, pieno, provvisto, ecc.; privo, bisognoso,spoglio, vuoto, mancante, ecc.

Qualche esempio:

Questa regione abbonda di cereali; Lo caricò diimproperi; È ricco solo di debiti; Mancavamo ditutto; Non ci priveranno mai della libertà; La cit-tà era deserta di abitanti.

NOTA

• I complementi che dipendono dai sostantivi corri-spondenti per significato ai verbi e agli aggettivi cita-ti (ad es.: abbondanza, ricchezza, carico, bisogno, man-canza, ecc.) vanno considerati semplicemente comecomplementi di specificazione.

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8. IL COMPLEMENTODI LIMITAZIONE

Precisa, limita, delimita, circoscrive la validitàdi quanto è espresso dal predicato, da un aggetti-vo, più raramente da un sostantivo. È introdotto,nella sua configurazione più tipica, dalla preposi-zione dì, e inoltre anche dalle preposizioni a, in,per. Vediamo, prima, esempi in dipendenza daaggettivi e sostantivi:

di: alto di statura, bruno di carnagione, lesto dimano, pronto di parola, vivace di ingegno

a: bravo a parole, coraggioso a chiacchierein: esperto in enigmistica, dottore in lettere,

commerciante in legname

per: diversi per indole, superiore a tutti per inge-gno.

Verbi che si costruiscono con un di chiaramentelimitativo sono per esempio: aumentare (ad es.: dipeso), cambiare, sbagliare (anche con in). Con in(e talora con per) limitativo: eccellere, essere su-periore, superare, distinguersi.

NOTE

• Occorre fare attenzione a distinguere il di che in-troduce il complemento di limitazione dal di del com-plemento di abbondanza (vedi § 7: ricco di mezzi, privodi denaro) e dal di modale (arrirò di corso) e causale(muoio di fame), per i quali vedi capitolo 30.

• La distinzione tra il complemento di limitazione eil complemento di qualità è ben netta, perché risultadalla struttura stessa dei sintagmi:

limitazione: agg. + di + sost:Giorgio è buono di carattere

qualità: sost. + di + sost. (+ agg.):Giorgio è di buon carattere.

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30. Gli altricomplementi (2)

I tre complementi che illustriamo qui di seguito -di compagnia, di modo, di mezzo - hanno in co-mune la preposizione con, pressoché unica ad in-trodurre il complemento di compagnia, in concor-renza con altre preposizioni e locuzioni agli altridue.

1. IL COMPLEMENTODI COMPAGNIA

E UNIONE (O SOCIATIVO)

Indica l'essere animato o la cosa a cui si accom-pagna o si associa un'azione o una circostanza.Quando si tratta di persona, abbiamo il vero eproprio complemento di compagnia; quando ilcomplemento è invece rappresentato da cosa sipreferisce chiamarlo di unione, e il rapporto, ol-tre che come unione, può configurarsi come con-comitanza o relazione più indeterminata.

È di norma introdotto dalla preposizione con:

Passeggiavo con un amico; Rimani con noi?È sceso dal treno con le valigie; L'Italia firmò lapace con gli Alleati nel 1943; Io dormo con la fine-stra aperta.

Il vero e proprio complemento di compagnia puòessere anche introdotto dalle locuzioni insiemecon (meno comuni o meno corrette: insieme a,assieme con, assieme a) e in compagnia di: Hopreso il caffè insieme con Paolo e Anna.

Per mezzo del con sociativo si costruiscono pa-recchi verbi (e i sostantivi e gli aggettivi corri-spondenti):

accordarsi, allearsi (anche: a), amoreggiare, con-cordare, congratularsi (con uno di una cosa), im-pegnarsi, ecc.;confinare, combaciare, cambiare, scambiare (unacosa con un'altra); parlare (con uno di una cosa),discutere, ecc.;(con significato ostile, talora in concorrenza concontro) adirarsi, arrabbiarsi, avercela, combattere,litigare, stizzirsi, ecc.

NOTA

• Sintagmi come Un berretto col fiocco, È uscito colvestito in disordine si collocano al limite tra i comple-menti di unione, di modo (vedi § 2) e di qualità (vedicapitolo 29, § 6).

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2. IL COMPLEMENTODI MODO O MANIERA

Indica il modo, la modalità, la maniera in cui sisvolge il processo espresso dal predicato. La pre-posizione fondamentale è con, ma troviamo conpari frequenza anche di, a, in, per. Spesso puòessere sostituito da un avverbio qualificativo.Esempi:

con: Studio con diligenza ( = diligentemente); Tirivedo con piacere; Ci accolse con grande en-tusiasmo

di: Arrivarono di corsa; Fa tutto di testa sua;Lavoravano di buona voglia

a: Avanzava a passi lenti; Lui impara tutto amemoria; Lo dico a ragion veduta; con so-stantivi: pasta al sugo, pollo allo spiedo; inlocuzioni avverbiali: a malincuore, a mio a-gio, alla buona, all'italiana, ecc.

È facile confondere a modale con a strumenta-le: motore a scoppio (vedi § 3).

in: Assistemmo in silenzio; Lavora molto in fretta;Agì in buona fede.

per: Lo dico per scherzo; È per natura ( — natural-mente) indolente.

Qui la funzione modale si avvicina, a secondadei casi, alla funzione finale, o causale, o di li-mitazione.

NOTE

• Alla domanda sintattica «come?» rispondono anchei sintagmi contenuti nelle frasi È vestito come un pez-zente, È alto come me, Vive come un pascià e simili, eil loro valore è in effetti vicino a quello di un comple-mento di modo. Ma, più esattamente, si tratta del se-condo termine di paragone col comparativo di ugua-glianza (vedi capitolo 11, § 1). Invece in frasi come Èstato assunto come apprendista, Lo hanno assunto co-me apprendista il sintagma come apprendista è un pre-dicativo del soggetto (vedi capitolo 27, § 4) o dell'og-getto (capitolo 28, § 3).

• Hanno un valore modale anche i sintagmi intro-dotti dalla preposizione da in Agisce da galantuomo,

Vive da eremita, Lo trattano da cane, ma si tratta an-che qui di predicativi. È facile rilevare, infatti, il loroduplice riferimento al soggetto (o all'oggetto) e al ver-bo, e quindi la loro trasformazione nel plurale: Egli a-gisce da galantuomo / Essi agiscono da galantuomini.

3. IL COMPLEMENTODI MEZZO O STRUMENTO

(O STRUMENTALE)

Indica lo strumento, il mezzo materiale o moralee anche la persona mediante i quali si producel'azione espressa dal predicato.Oltre la preposizione con, lo introducono di, a,in, per, le preposizioni specifiche mediante eattraverso e varie locuzioni preposizionali, tracui per mezzo di, preferita quando il mezzo èrappresentato da una persona.Esempi:

con: Estraggo un chiodo con le tenaglie; Firmicon la biro; Ragiona col cervello!; Ha rag-giunto quella posizione col lavoro indefesso

di: Vive di espedienti; Lavora di gomiti!

a: La porta è chiusa a chiave; Dipinge a olio;Ci intendemmo a gesti; Giocare a carte, alpallone, al bigliardo; ecc.Determina anche sostantivi: motore a scop-pio, illuminazione al neon, barca a vela,mulino a vento

in: Ti pagherò in contanti, in dollari; Te lo rife-risco in due parole; Viaggiare, partire, arri-vare in auto, in treno, in aereo

I sintagmi dell'ultimo gruppo di esempi si pos-sono interpretare anche come complementi distato in luogo.

per: Ti avvertirò per telefono; Mando il pacchettoper via aerea

mediante, attraverso: Potrete pagare mediantecomode rate mensili; Eaggiunsero lo scopoattraverso dure lotte

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per mezzo di: Siamo riusciti finalmente ad avvi-cinare il ministro per mezzo di un amico.

Altre locuzioni (alcune proprie del linguaggio buro-cratico-commerciale): a mezzo di, a mezzo, per operadi, ad opera di, grazie a, a forza di.

I complementi che seguono — di causa e di fine (evantaggio) -- hanno in comune (usata però inconcorrenza con altre) la preposizione per.

5. IL COMPLEMENTODI FINE E DI VANTAGGIO

4. IL COMPLEMENTO DI CAUSA

Indica la causa, la ragione, il motivo del proces-so espresso dal predicato, e può inoltre determi-nare sostantivi e aggettivi.Lo introducono anzitutto per e poi di, a, da, cone le locuzioni a causa di, a motivo di, o cagionedi, per via dì.Esempi:

per: È stato premiato per il suo impegno; Agiro-no così per necessità', Ha avuto una promo-zione per meriti speciali; Ecco Luca, ben no-to per i suoi trionfi sportivi

di: Sono quasi morto di spavento; Soffriamo del-le tue traversie

a: A quelle parole mi venne da ridere

da: Era pallido dall'emozione

con: Con questo caldo non riesco a lavorare

a causa di: A causa dei lavori di restauro, il Mu-seo è chiuso

a motivo di: A motivo delle agitazioni in corsonon possiamo assumere impegni.

Altri verbi costruiti con di causale: bruciare (peres.: di febbre), congratularsi, felicitarsi, godere,scoppiare, vendicarsi, ecc.; ringraziare (uno di u-na cosa), compensare, scusare, ecc.

DI FINE

II complemento di fine indica il fine, lo scopo,l'obiettivo in vista del quale si svolge il processoespresso dal predicato; determina anche sostanti-vi e aggettivi.Lo introducono le preposizioni per o da, e inol-tre, con mìnor frequenza, di, a, in.Esempi:

per: Si battono per la realizzazione dei loro idea-li; La lotta per i diritti civili sarà continua-ta; È un attrezzo indicato per molti usi

da: Determina sostantivi in moltissime espres-sioni: materiali da costruzione, cane daguardia, barca da diporto, carta da lettere,camera da letto, occhiali da vista, macchinada scrivere, ecc.

di: Le tue parole mi saranno di spronea: Quella legge opera a difesa dei più deboli;

Dico questo a tuo meritoin: Diedero una festa in nostro onore; Cosa mi

prometti in cambio?

DI VANTAGGIO

Quando il fine si configura più precisamente co-me un vantaggio che si vuole procurare, oppurecome uno svantaggio, un danno (a seconda delsignificato del predicato), abbiamo il comple-mento di vantaggio (e svantaggio), che è unasottospecie del complemento di fine.La preposizione è per (talora a):

Ti sei sacrificato per noi; Hanno dato la vita perla libertà; Hai operato a tuo danno.

Al posto di per si usano anche locuzioni preposiziona-li più specifiche: a favore di, a vantaggio di, a dannodi, ecc.

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LINGUA VIVA

Complementie «locuzioni»

Quando studiano i complemen-ti di modo, mezzo, causa, fine,ci stupisce che, mentre è facileindividuare e distinguere questefunzioni logiche e ci aspette-remmo dunque, «logicamente»,che ad ogni funzione corrispon-da un determinato strumentogrammaticale, ci vediamo inve-ce turbinare sempre intornole preposizioni di, a, da, in,con, per, tutte a introdurre viavia complementi diversi. In ef-fetti, anche se ogni preposizio-ne ha un proprio valore fonda-mentale, nei costrutti con verbi,sostantivi e aggettivi ciascunasi piega ad esigenze diverse ei ruoli si incrociano e si scam-biano.La lingua non procede acco-stando una data preposizione,con una sua funzione, alla mol-titudine delle «parole piene»,ma in molte occasioni ci forni-sce e ci impone dei blocchi,delle espressioni già pronte,delle «locuzioni» fisse. In la ca-mera da letto e la stanza disoggiorno l'informazione fornitadal complemento è analoga, manei due sintagmi le preposizionida e di non sono affatto inter-cambiabili; ancora: si «dipinge

a olio», mentre «si scrive conla biro»; e così via.In apparenza, dunque, dominail capriccio. In realtà come ogniparola ha la sua storia, che l'haresa quale è e quel che signifi-ca, così ha una storia ogni lo-cuzione: la forma che essa haassunto si è cioè determinatanel corso dello svolgimento del-la lingua. Questo comporta an-che che l'uso delle preposizionie la forma dei sintagmi mutinospesso nel tempo. Possono di-ventare la spia di un'epoca. Bi-glietto di visita, per esempio, èdell'Ottocento, può sopravviverequa e là nei primi decenni delNovecento, ma poi non compa-re più, soppiantato da bigliettoda visita.I grammatici puristi, in passato,si battevano per salvare le lo-cuzioni considerate più appro-priate e corrette. Anche la piùnota fabbrica italiana di mac-chine dattilografiche insistetteper decenni a propagandaremacchine per scrivere (per èdifatti la preposizione più speci-ficamente deputata ad esprime-re il fine, e senza dubbio, sitratta di apparecchiature cheservono per scrivere): eppure,nonostante tutto, ha trionfato lamacchina da scrivere.Mentre alcuni tipi di sintagmi

scompaiono o diventano rari,altri guadagnano terreno, per e-sempio quello formato con lapreposizione «a» per indicare— nel quadro del complementodi modo — le preparazioni ga-stronomiche:

pasfa al sugo, al ragù, al pesto,alle vongole, alla matriciana,alla Carbonara] maccheroni allachitarra; tortellini alla panna; ri-sotto allo zafferano; carne aiferri, alla griglia; pollo alla dia-vola, alla cacciatora; braciole ascottadito; ecc.

Va tutto bene, sul piano lingui-stico? Sì, per esempio, per spa-ghetti alla matriciana, o meglioall'amatriciana, cioè alla manie-ra, secondo le tradizioni dellacittadina di Amatrice: si trattadi un complemento di modo ela preposizione a è impiegatacome nelle espressioni atl'ita-liana, alla greca, all'inglese.Ma al sugo, al ragù, al pesto,ecc. indicano ciò con cui si ècondita la pasta, il mezzo perinsaporirla, ovvero — se vo-gliamo intenderla così — ciòche la accompagna; in entrambii casi sarebbe corretto: col su-go, col ragù, col pesto. Eppurel'uso ha vinto, imponendo lapreposizione a in tutti questicostrutti.

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DUBBI LINGUISTICI

Usare lapreposizionegenerica o specifica?

Come potete riscontrare in qua-si tutti i paragrafi dedicati aivari complementi, una preposi-zione «generica» (vale a direuna delle preposizioni propriefondamentali di, a, da, in, con,per, che hanno ciascuna moltivalori) ammette come alternati-va delle preposizioni o locuzio-ni preposizionali «specifiche».Si può sostituire da di agentecon da parte di, di di argomen-to con intorno a, con di compa-gnia con insieme con, con dimezzo con per mezzo dì, ecc.Ci si deve valere di rado ospesso di questi mezzi sostituti-vi? Dipende dai gusti. Osservia-mo soltanto che molte locuzionispecifiche sono proprie dellalingua giuridica, amministrativa,burocratica, e sono legittimatedal fatto che si mira alla preci-sione e si vogliono evitarefraintendimenti, ma sovente lasemplice preposizione da uncostrutto assai più agile e stili-sticamente preferibile.

La preposizioneper causale e finale

Come abbiamo visto, la prepo-sizione per assolve una plurali-tà di funzioni sintattiche, ma inmodo particolarmente netto sioppongono due valori che essapuò esprimere: da una parte lacausa, dall'altra il fine (e il van-taggio).Naturalmente il diverso valoresi chiarisce soltanto col conte-sto, attraverso il senso com-plessivo della frase.La causa è quanto costituisce ilmotivo, la base, il punto di par-tenza di un evento o di una cir-costanza: precede, è «a mon-te». Il complemento di causapuò essere introdotto anchedalla locuzione a causa di, op-pure sostituito o amplificato dauna proposizione causale (conle congiunzioni poiché, datoche, perché + indicativo):

Li ammiriamo per / loro ideali= a causa dei loro ideali; per-ché ebbero alti ideali; perchéebbero ideali che apprezziamoe condividiamo.

Il fine è invece quanto ci si pro-pone, ciò che si vuoi ottenere,la cosa o persona, in vista del-la quale si opera. Al posto delcomplemento di fine (e delcomplemento, strettamente si-mile, di vantaggio) potremomettere una proposizione finale(introdotta da affinchè, perché+ congiuntivo, oppure per +infinito):

Si batterono per / loro ideali =per realizzare i loro ideali; per-ché i loro ideali trionfassero.

La distinzione che abbiamo ap-profondito non è puramenteteorica: accertare la funzione ciserve infatti per cogliere esatta-mente il senso. E questo nonsolo per ben interpretare la fra-se italiana, ma anche per indi-viduare l'espressione esatta-mente corrispondente in unalingua diversa. In altre lingue ilper causale e il per di fine o divantaggio si rendono difatti inmodo diverso. In francese, peresempio, si oppongono par(causale) e pour (finale), e ininglese, spesso, through e for.

260

31. Gli altricomplementi (3)

1. I COMPLEMENTI DI LUOGOFONDAMENTALI E LE LORO PARTICOLARITÀ

I complementi di luogo collocano nello spazio un'azione, un essere animato, una cosa. Essi presen-tano una grande varietà, poiché i punti di riferimento nello spazio possono essere molteplici.Cominciamo dai quattro complementi di luogo fondamentali, connessi alla semplice opposizione sta-to ~ moto e all'individuazione, nel moto di traslazione, dei punti di partenza, di arrivo e di passag-gio:

stato in luogo

moto a luogo

moto da luogo

moto per luogo

domanda sintattica

dove? ( =

dove? ( =

da dove?

per dove?

in, dentro a quale luogo?)

in direzione di, fino a quale luogo?)

(= attraverso quale luogo?)

preposizionifondamentali

- in, a •<

da

per

esempi

Vivo in Italia;Vivo a Roma

Vado in Italia;_ Vado a Roma

Vengo da Roma

Passo per Roma

262

STATO IN LUOGO E MOTO A LUOGO

Le preposizioni fondamentali — in, a — sono lemedesime per introdurre ambedue i complementi.Di conseguenza, la distinzione della funzione di-pende esclusivamente dal significato del verbo,del sostantivo o foli'aggettivo determinati dalcomplemento:

stato: Sto in campagna; Risiedo in un palazzonuovo; Fa le vacanze a Capri; Passeggiain giardino (moto circoscritto, assimilabi-le a uno stato); Una sosta in montagna;Domiciliato a Tivoli

moto: Entro nel parco; Arrivo al capolinea; L'ar-rivo a Venezia; Diretto a Venezia

NOTE

• La preposizione in è di uso più generale rispettoad o, che rimane riservata a determinate locuzioni(per esempio: a caso, a teatro, a scuola, a letto, allafinestra, ecc.), ai nomi di città (per esempio: a Roma,a Barcellona, a Parigi, ecc.) e a quelli di alcune isole(per esempio: a Copri, a Sumatra, a Cuba, ecc., più omeno le stesse che si usano senza articolo: vedi capi-tolo 9, § 4).

• In unione con nomi di persona, la preposizione u-sata per introdurre il complemento — sia di stato in

luogo, sia di moto a luogo — è generalmente da, conun valore prossimo a quello di «presso»; ad esempio:Soggiornerò dai miei parenti; Vado dal dottore; Ci tro-viamo da te,

• Quando il moto a luogo indica non il punto di ar-rivo, ma la mèta o la direzione, è introdotto da per oda verso; ad esempio: Porto per Roma; II volo per Ca-gliari; Mi dirigo verso la costa; Vogliamo incamminar-ci verso casa?

MOTO DA LUOGO

La preposizione da non ha quasi alternative:

Parto dalla stazione alle 6; Scendi subito da quel-l'albero!

Solo in qualche espressione troviamo anche, osoltanto, la preposizione di: uscire di casa, di pri-gione; di lontano; ecc.

MOTO PER LUOGO

Oltre per, lo introducono le preposizioni attra-verso e talora da:

Viaggerò attraverso la Francia; Per andare a Ro-ma è passato da Orte.

L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

Stato in luogoe moto a luogo

Come si è visto, i complementidi stato in luogo e di moto aluogo, sebbene assolvano fun-zioni «logicamente» distinte,sono formalmente uguali, ve-nendo introdotti dalle medesi-me preposizioni (in, a). Ciò valeanche per gli avverbi dove (Do-ve stai? Dove vai?), qui, qua,lì, là.La distinzione anche formaletra i due complementi è inveceoperata da altre lingue, come il

latino, e anche da lingue stra-niere moderne.In inglese troviamo: in, at perlo stato; fo, into per il moto.Per esempio:

/ ivas af thè stationEro alla stazione

I am going fo thè stationVado alla stazione

Invece l'avverbio where valecome l'italiano dove tanto perlo stato quanto per il moto:

Where are you?Dove sei?

Where are you going?Dove vai?

Il tedesco, che possiede un si-stema, sia pur ridotto, di casinominali, impiega la preposizio-ne in tanto per lo stato quantoper il moto, ma con casi diver-si, mentre nach esprime solo ilmoto, la direzione:

S/e leben in der StadtVivono in città

S/e fahren nach der StadtVanno in città

Inoltre la distinzione è estesa

263

all'avverbio: dove «stato» è ivo,dove «moto» è invece wohin[= vohìn].La situazione illustrata per l'ita-liano è invece comune alle al-tre lingue neolatine. In francese

a, en, dans (= in) valgono in-differentemente per lo stato e ilmoto:

Je suis a la gareSono alla stazione

Je vais a la gareVado alla stazione

Così pure gli avverbi où, lei,ecc. hanno i medesimi doppivalori di dove, qui, ecc.

2. IL LUOGO «FIGURATO».I COMPLEMENTI

DI ALLONTANAMENTOE DI ORIGINE

LUOGO FIGURATO

In tutti i complementi di luogo che abbiamo vi-sto il luogo può anche essere non materiale econcreto, bensì mentale, astratto, «figurato».Più che di un luogo, si tratterà allora di una «si-tuazione».Per esempio:

(stato): Vivo nell'ansia; È all'oscuro di tutto; Sonoa riposo

(moto a): Sei incorso in un errore; Non nutrire odioverso i nemici

(moto da): Esco da un incubo; Sei forse uscito di sen-no?

(moto per): Cosa ti gira per la testa? È passato attra-verso molte avventure.

Inoltre con la preposizione in (da interpretare o-ra in funzione di siato, ora di moto) si costruisco-no parecchi verbi: consistere, dividersi, imbatter-si, persistere, sperare, ecc.

Strettamente connessi al complemento di motoda luogo, e introdotti anch'essi dalla preposizio-ne da, sono poi i complementi di allontanamentoe di orìgine e provenienza.

ALLONTANAMENTO

II complemento di allontanamento si presentain dipendenza da verbi come allontanare, divide-

re, separare, liberare, ecc. e da sostantivi e agget-tivi di significato affine:

Allontana da te questo sospetto; Sono Ubero dapregiudizi; Occorre assicurare la libertà dal biso-gno.

ORIGINE

II complemento di origine e provenienza di-pende da verbi come derivare, provenire, discen-dere, nascere, sorgere, apprendere, dedurre, ecc. eda sostantivi e aggettivi affini:

Da quale lingua deriva l'italiano? Discende da il-lustri antenati; Da cosa nasce cosa; Leonardo daVinci.

Talora la preposizione è di:

È originario dell'America Latina; È di buona fa-miglia.

3. I COMPLEMENTIDI LUOGO SPECIFICI

Una ricca varietà di altre preposizioni e di locu-zioni preposizionali indica tutta una serie di lo-calizzazioni nello spazio più specifiche, con rife-rimento alla posizione verso l'alto o il basso, overso l'interno o l'esterno, o alla vicinanza o lon-tananza, ecc.Ciascun complemento specifico si riconduce fon-damentalmente alle nozioni di stato in luogo,moto a luogo (spesso, come si rileverà dagli e-sempi, la stessa preposizione serve per entrambi),moto da luogo, moto per luogo.In vari casi il luogo può anche essere «figu-rato».

264

su

sopra,al di sopra di

sotto,al di sotto di

// libro è sul tavolo; Va' sul marciapiede

Su è di uso estesissimo e spesso, specie in valore figurato, senza che si avverta la nozionedi «in posizione più elevata», equivale a in, a, verso, presso; per es.: L'albergo è sul lungo-mare; Marciarono su Parigi; Montò su tutte le furie; I sospetti caddero su di lui.

Si costruiscono con su parecchi verbi: insistere, poggiare, basarsi, fondarsi, contare, ecc.

Locuzioni: su di (con i pronomi pers.); su per (per es. su per il sentiero).

Il libro è sopra il tavolo; Egli è al di sopra di ogni sospetto

II gatto è sotto il tavolo; Va' sotto la tettoia; È sotto interrogatorio

Locuzioni: sotto di; sotto a; ai piedi di; giù da; giù per.

dentro

fuori di,fuori da,al di fuori di

Abitano dentro le mura; Giungemmo dentro il cortile; È dentro l'imbroglio

Locuzioni: dentro di, dentro a, al didentro di, da dentro. Con lo stesso valore di dentro,ma più letterario, entro.

Fermati fuori dal garage; Esci fuori di lì; Mi sono tirato fuori dai guaiII semplice fuori solo in determinate espressioni: fuori porta, fuori sede, fuori tiro, fuorigioco, ecc.

davanti a

dietro

II chiosco sorge davanti alla chiesa; Cammina davanti a me; Non trema davanti anulla

Prendi il vicolo dietro la chiesa; Procedevo dietro la guida; Cosa c'è dietro la suareticenza?

Locuzioni: dietro di; dietro a (frequente nel valore figurato).

fra (tra) Cesena si trova tra Forlì e Rimini; Vive sempre fra quattro mura; E fra la vita e lamorte; con valore reciproco: Discutono sempre fra loro.

E ancora:

• in mezzo a, nel mezzo di• di là da, al di là di, oltre, dopo; di qua da, aldi qua di

• fino (sino) a, fino in; fino da• presso, nei pressi di, a fianco di, vicino a, ac-canto a, addosso a; lungo, raserete; intorno a, at-torno a; lontano da.• contro, che non è frequente in senso stretta-mente locale (La catasta è contro il muro) e piùspesso indica opposizione (Si batterono contro ladittatura; Assicurazione contro il furto).

4. I COMPLEMENTIDI TEMPO FONDAMENTALI

Spesso nei complementi di tempo riscontriamo a-nalogie — nelle suddivisioni e nell'uso delle pre-posizioni — con i complementi di luogo, perchéla mente tende ad organizzare la dimensione tem-porale sul modello di quella spaziale.Tra le determinazioni di tempo due sono fonda-mentali: i complementi di tempo determinato edi tempo continuato, rappresentati in genereda sostantivi che indicano il tempo stesso o una

265

sua parte (ore, giorno, anno, ecc.). COMPLEMENTO DI TEMPO CONTINUATO

COMPLEMENTO DI TEMPO DETERMINATO

II complemento di tempo determinato collocaun'azione o una circostanza in un punto o in untratto preciso dell'asse temporale (è analogo alcomplemento di stato in luogo). Viene introdottodalle preposizioni in, a, di, oppure si presentasenza preposizione, come complemento diretto«circostanziale»:

in: Le primule fioriscono in marzo', La penicillinafu sintetizzata nel 1946; Nell'estate del prossi-mo anno andrò in America

a: Mi alzai all'alba; Chiamami alle sei; Sonorincasati a notte fonda

di: D'estate qui fa molto caldo; La civetta di gior-no sta nel suo covo

senza preposizione: La domenica vado semprealla partita; Riceve il martedì e il giovedì; E-gli prega tutti i giorni.

Il complemento di tempo continuato indica ladurata, l'estensione, la continuità del processoverbale (è analogo al complemento di moto perluogo). Viene introdotto dalla preposizione per,oppure si presenta senza preposizione:

Ti abbiamo aspettato per due ore; Rimarrà in ca-rica per sette anniTi abbiamo aspettato due ore; Rimarrà in caricasette anni

Con la preposizione durante si insiste maggior-mente sulla contemporaneità e sulla concomitan-za: Durante la cena non ha fatto che piangere( — per tutta la durata della cena).La preposizione oltre equivale a più di, per piùdi: Ho aspettato oltre due ore.

IL TEMPO «APPROSSIMATO»

Quando il tempo determinato (e talora il conti-nuato) viene indicato in modo approssimativo,si usano le preposizioni su, intorno a, verso,sotto:

Vieni a trovarmi sulle sei; Cesare nacque intornoal 100 a. C.; Verso l'alba ho avuto un sogno ango-scioso; Non ci dia compiti sotto le feste (= «inprossimità delle feste» e anche «durante»).

Naturalmente l'approssimazione può essere resa an-che mediante un avverbio: Vieni a trovarmi alle seicirca.

NOTE

• In alcuni casi c'è scelta fra tutt'e quattro i sintag-mi (La prìmula fiorisce in primavera, a primavera, diprimavera, la primavera), oppure ne sono possibili tre,due, uno solo. Per es. la data completa si esprimesempre senza preposizione: La prima esplosione atomi-ca avvenne il 14 luglio 1945.

• In non poche espressioni (Scrìsse il suo capolavoroin vecchiaia; Morirono tutti in guerra; Vive già nel fu-turo; Gli parlerò al suo ritorno) il complemento è al li-mite tra il tempo determinato e lo stato in luogo figu-rato.

5. I COMPLEMENTIDI TEMPO SPECIFICI

Oltre ai due fondamentali esistono parecchi altricomplementi di tempo più specifici, indicanticioè circostanze di tempo particolari, in rapportoalle nozioni di anteriorità, posteriorità, limite,ecc.Vediamoli partendo dalle diverse domande cui ri-spondono.

266

Dopo quale momento, do-po che cosa, dopo chi?

Prima di quale momento,di che cosa, di chi?

Dopo la mezzanotte il portone è chiuso; Dopo il temporale il cielo sischiarì; La fisica dopo Galileo fu una scienza nuova

Ritornerò prima di sera; Svegliami prima delle sei.

Notate la prep. avanti nell'espressione avanti Cristo (a. C.) e in altre.

Quanto tempo prima?

Quanto tempo dopo?

Arrivammo due minuti prima; Arrivammo due minuti prima della chiu-sura

Arrivammo due minuti dopa, Arrivammo due minuti dopo la chiusura

Propriamente, in due minuti prima, due minuti è un compi, di quantità e primaun avverbio, e in due minuti prima della chiusura il compi, di tempo è solo pri-ma della chiusura. Lo stesso vale per dopo.

Quanto tempo fa? È accaduto un mese fa; Duemila anni or sono qui vivevano gli Etruschi

Questo complemento si esprime, eccezionalmente, non mediante una preposizio-ne, ma posponendo al sostantivo la voce verbale grammaticalizzata fa (da fare):un giorno fa = fa (è trascorso) un giorno da che... Oppure si pospone la locu-zione or sono, il cui carattere verbale è ancor più trasparente.

Fra quanto tempo? // babbo ritornerà fra tre mesi; Tra poco tutto sarà pronto

Diverso il valore in fra il 1970 e il 1980 (= da... fino al).

Per quando?

Entro quanto tempo?

Da quando? Fino a quan-do?

// lavoro sarà pronto per Pasqua.

Devi rincasare entro le dieci; Finirò il lavoro nel termine fissato.

Da Natale non penso ad altro; Le tecniche sono progredite fino dal Me-dioevo; Lavorerò fino a giugno

ESPRESSIONE DELL'ETÀ

L'espressione dell'età è riconducibile al comple-mento di tempo determinato, espresso con la pre-posizione a:

Si sposò a ventiquattro anni; A vent'anni la vita èbella.

Lo stesso complemento, con connotazione approssima-tiva, si esprime mediante la preposizione su: È un si-gnore sulla sessantina. Nelle espressioni Ragazza didiciotto anni, Vecchio di ottant'anni vedremo piuttostoun complemento di specificazione.

6. I COMPLEMENTI DI ESTENSIONEE DI QUANTITÀ (DISTANZA,

MISURA, STIMA, PREZZO)

Presenta una certa affinità con le determinazionidi luogo (e anche di tempo) il complemento diestensione, che indica l'estendersi di qualchecosa nelle diverse dimensióni (lunghezza, lar-ghezza, profondità). Ad esso possiamo poi asso-ciare i complementi che esprimono la distanza,la misura o il peso, la valutazione (stima oprezzo) o, con una parola sola, la quantità.

267

Caratteristica comune a questo gruppo di com-plementi è che essi vengono tutti espressi, preva-lentemente, senza preposizione, con sintagmidiretti «circostanziali».

COMPLEMENTO DI ESTENSIONE

II complemento di estensione, in dipendenzadagli aggettivi lungo, largo, alto, profondo, è e-spresso senza preposizione:

Quell'autostrada è larga 30 metri; II pozzo eraprofondo cento braccia; Sono alto un metro e set-tanta.

In dipendenza da verbi (estendersi, innalzarsi,ecc.) è normale il costrutto con la preposizioneper: II deserto si estendeva per cento chilometri.

COMPLEMENTO DI QUANTITÀ

Si tratta, come abbiamo detto, di un complemen-to che ne raccoglie diversi, e cioè:

• distanza, in dipendenza da distare e dagli ag-gettivi distante e lontano, senza preposizione:

Roma dista da Milano 600 km; II rifugio è ancoradistante due ore di marcia; Tu sei lontano le millemiglia dalla verità!

Per il resto si esprime con la preposizione a: Sia-mo a due ore dal rifugio; Ci fermammo a pochimetri dalla vetta;

• misura o peso, in dipendenza rispettivamentedai verbi misurare e pesare (usati intransitiva-mente), senza preposizione:

La pezza misurava 10 metri; Queste arance pesanoin tutto due chili.

NOTA

• Naturalmente nella frase Pesa due chili di belle a-rance al signore, dove pesare è impiegato transitiva-mente, due chili è complemento oggetto.

Con altri verbi la misura o il peso sono espressicon la preposizione di:

L'orologio ritarda di 5 minuti; Supera di 10 chiliil peso forma;

• valutazione (stima e prezzo), in dipenden-za dai verbi (alcuni transitivi, altri intransitivi)stimare, valutare, valere, costare, pagare, senzapreposizione:

Stimano quel fabbricato (= oggetto) un miliardo(= compi, di valutazione); Questo quadro nonvale un soldo; Mi costa un patrimonio; L'ho paga-to diecimila lire.

Con altri verbi, tutti transitivi (vendere, affittare,comprare, acquistare) il complemento è invece in-trodotto dalle preposizioni a o per: Vendono le a-rance a mille lire; Ho comprato questo quadro peruna sciocchezza.

NOTE

• Con i verbi di stima (in particolare quando si trat-ta di stima morale) e di prezzo la determinazione piùcomune è costituita dagli avverbi di quantità: stimare(valere, pagare, ecc.) molto, poco, tanto, ecc.; vendere(comprare, ecc.) a molto, per molto, ecc.

• La valutazione approssimativa viene resa con lapreposizione su: Vale sulle mille lire.

7. IL COMPLEMENTO DISTRIBUTIVO

Indica vari tipi di rapporti di distribuzione e diproporzione, in espressioni caratterizzate in ge-nere dalla presenza di un pronome o aggettivoindefinito, di un numerale, di un'indicazione diquantità. Lo introducono le preposizioni a o per,e talora è anche espresso senza preposizione:

Marciare per tre; Entrarono uno per uno; Si pre-sentarono a due a due; C'è una figura per ognipagina; Presero due libri per ciascuno.

Con questo complemento si esprimono:

• moltiplicazione, divisione, indicazione dipercentuale, prezzo unitario, ecc.:

due per tre; sei diviso per due (o più comunemen-te sei diviso due); il dieci per cento; Costa mille li-re ( = compi, di quantità) al metro (o il metro =compi, distributivo); Guadagna centomila lire a(o per) ogni viaggio; Vola a 1000 km ( = compi,di misura) all'ora (o l'ora = compi, distributivo);

• determinazioni temporali (in risposta alle do-mande: ogni quanto tempo? quante volte inun dato tempo?):

La medicina va presa ogni due ore; La medicinava presa due volte al giorno.

268

32. Gli altri complementi (4).Quadro riepilogativo dellasintassi della proposizione

Sono riuniti in questo capitolo complementi il cuiriconoscimento è facile, perché quattro (di esclu-sione, di sostituzione, concessivo, giudicativo) so-no introdotti ciascuno da preposizioni particolarie altri due (della colpa e della pena) sono caratte-rizzati da pochi, specifici predicati. Ci occuperemoinoltre di due costituenti dell'enunciato che — adessere esatti — non sono complementi: il vocativoe l'esclamazione.

1. IL COMPLEMENTODI ESCLUSIONE

Indica l'essere animato o la cosa che si escludeoppure si eccettua dal processo del predicato odalla condizione espressa da un sostantivo o daun aggettivo.Lo introducono le preposizioni o locuzioni, riser-vate a questa funzione: senza; eccetto, tranne,meno, salvo, fuorché, all'infuori di:

È impossibile riuscire senza la perseveranza; È af-fettuoso senza smancerie; Bellezza senza difetti.Ripassate tutto il capitolo, eccetto gli ultimi dueparagrafi; Tutto è perduto fuorché l'onore; Parteci-parono le squadre al completo, tranne pochissimi;

Hanno dato il premio a tutti fuorché a me (notatela preposizione o, richiesta a causa del preceden-te complemento di termine).

2. IL COMPLEMENTODI SOSTITUZIONE

Indica l'essere animato o la cosa che vengono so-stituiti o scambiati con altri. È introdotto dallelocuzioni invece di, in luogo di, al posto di, incambio di:

Ho preso l'impermeabile di Giorgio invece del mio;Al posto del nostro professore abbiamo trovato unsupplente; Mi ha dato un disco in cambio di queilibri.

NOTE

• Anche la preposizione semplice per assume questafunzione in frasi come: Lo scambiarono per un ispetto-re; Lo presero per un altro. Però in frasi simili, ma indiverso contesto, per introduce un predicativo: Lo pre-sero per ( = come) loro difensore.

• Con riferimento a persona troviamo il possessivo:in vece mia, tua, ecc.; al posto mio, tuo, eec.

270

3. IL COMPLEMENTO CONCESSIVOCol verbo processare la preposizione è per: pro-cessare uno per furto.

Indica l'essere o cosa nonostante i quali si svol-ge il processo indicato dal predicato. In altre pa-role designa l'opposto di una causa, ovvero una«causa non impediente». Lo introducono le pre-posizioni o locuzioni nonostante, malgrado, amalgrado di, ad onta di, a dispetto di:

Nonostante molti ostacoli ha ottenuto il suo scopo;Malgrado la pioggia non rinunciamo alla gita.

Può avere questo valore anche la preposizionesemplice con:

Con ( = nonostante) tutti questi bei propositi nonhai combinato nulla.

4. IL COMPLEMENTO GIUDICATIVO

Indica il punto di riferimento (persona o cosa) diun giudizio, di una valutazione, di un'opinione.Possiamo considerarlo una variante del comple-mento di modo. Lo introduce, con precisione, lapreposizione secondo, ma anche le preposizionia e per e le locuzioni in base a, a giudizio di,ecc.:

Secondo il mio orologio sono le tre esatte; Secondoil mio parere il calcolo è sbagliato; Secondo me a-vete ragionePer me avete ragione; A suo avviso dovremmo ave-re sbagliato

In base alle statistiche la popolazione mondiale èin rapido aumento.

5. I COMPLEMENTIDELLA COLPA E DELLA PENA

COMPLEMENTO DELLA COLPA

II complemento della colpa indica la colpa, ildelitto, il vizio che si attribuisce a una persona.È introdotto dalla preposizione di in dipendenzadai verbi accusare, incolpare, imputare, tacciare:

È accusato di malversazione; Incolpano me di tut-to; Lo tacciano di estrema avarizia.

NOTA

• Riguardo ai sostantivi e agli aggettivi connessi persignificato ai verbi citati (cioè accusa, imputazione,reo, colpevole), il complemento che ne dipende (per es.in accusa di furto, reo di peculato) va considerato sem-plicemente come un complemento di specificazione.

COMPLEMENTO DELLA PENA

II complemento della pena indica la pena, ilcastigo, la multa che si infligge, in dipendenzadai verbi: condannare, punire, castigare, multare.Ciascuno presenta un proprio costrutto:

condannare a morte, all'ergastolo, a due anni digalerapunire con vent'anni di galera, col fuoco; castiga-re con l'interdizionemultare di o per; ma in genere si ricorre all'e-spressione: infliggere una multa di...

6. IL VOCATIVO

II vocativo va chiamato semplicemente così,piuttosto che «complemento di vocazione»: infat-ti non «completa» una frase, perché non è corre-lato ad altri elementi, ma costituisce, da solo, unbrevissimo enunciato, che è del tutto autonomo oviene preposto, posposto o inserito in un altro.Il vocativo è la persona (o la divinità, un'astra-zione, una cosa personificata) che si chiama, siinvoca, cui ci si rivolge, cui si da un ordine. Èrappresentato da un nome proprio, da un nomeappellativo di norma senza articolo, da un agget-tivo, da un pronome allocutivo, anche da un piùampio sintagma nominale. Se è isolato, è caratte-rizzato dal punto esclamativo; altrimenti, lo iso-lano dal contesto la virgola o due virgole, unaprima e una dopo. Esempi:

Patrizia! Tesoro! Dio mio! Caro! Tu!Patrizia, torna subito qui! Tesoro, sei stato davve-ro gentile; Dio, aiutami! Patria mia, ti rivedo! Ca-ro ingegnere, La saluto cordialmente; Tu, vieni unpo' qui; Senta, lei, vuole scherzare? Specchio dellemie brame, sono la più bella del reame? Cittadini,amici ed amiche, mi rivolgo a voi...; Signore e si-gnori, buona sera-

ooo

ot— ItS3I— IcooCLHo«OH

coco<H&,i— iCO

Solo nella lingua letteraria di tono elevato il vo-cativo talora è introdotto dalla particella o, cheva identificata con l'interiezione oh, scritta — inquesta funzione — senza -h:

Oh chi vedo! O padre Cristo/oro. (A. MANZONI)O Italiani, io vi esorto alle istorie. (U. FOSCOLO)

7. L'ESCLAMAZIONE

Anche l'esclamazione non è un complemento,ma un breve enunciato ellittico (vedi capitolo 27,§ 7). I primi esempi di vocativi del paragrafo pre-cedente (Patrizia! Tesoro! ecc.) sono al tempostesso delle esclamazioni. Però il concetto di e-sclamazione è più ampio: oltre che a chiamare,risponde all'esigenza espressiva di isolare unadata parola (qualsiasi «parte del discorso») cari-candola di affettività (gioia, ammirazione, sorpre-sa, sdegno, ecc.).L'intonazione particolare che l'enunciato assumeè resa graficamente dal punto esclamativo:

Vittoria! Balle! Stupendo! Circolare! Bene!

Troviamo anche due o tre parole, nelle frequentiformule pronome personale + aggettivo, aggetti-vo relativo-interrogativo + sostantivo e simili:

Me infelice! Che gioia! Che betta notìzia! Quantaabbondanza! Quale successo! Bel successo!

NOTE

• In enunciati più ampi, quando è presente, o è im-mediatamente sottintendibile, una forma verbale, ab-biamo non più un'esclamazione, ma una proposizioneesclamativa, per nulla diversa — se non nell'intona-zione — da una normale proposizione assertiva, e sin-tatticamente analizzarle (soggetto, predicato, ecc.):

Quanta strada ho fatto! «Hai trovato delle occasioni?»«Molte!»

• Sono esclamazioni anche tutte le interiezioni (vedicapitolo 25, § 6). Tuttavia distinguiamo dall'esclama-zione l'interiezione, perché questa è una «parte del di-scorso» impiegata esclusivamente in tale funzione (e,almeno l'interiezione «propria», con un significato ge-nericissimo, quasi inafferrabile).

8. RIEPILOGO: LE FUNZIONI DELLE PREPOSIZIONIPROPRIE FONDAMENTALI

Dopo aver studiato i vari complementi secondo l'ordine delle funzioni che esplicano nella frase, riper-corriamo la mappa della, sintassi della proposizione partendo dalle singole preposizioni proprie fonda-mentali, che hanno la proprietà di esprimere una molteplicità di funzioni diverse.

specificazionecomparativo (2° terni, di paragone)partitivosuperlativo (2° terni, di paragone)denominazioneargomentomateriaqualitàabbondanza e privazionelimitazionemodo o manieramezzo o strumentocausafineluogo: moto da

Legge di natura', Mi beffo di tuttiLuigi è più (meno) alto di teUno dei presenti è responsabileLuigi è il più alto di tutti noiLa città di RomaDiscutevamo di politicaUn anello d'oroUn uomo di nobili sentimentiQuesta regione abbonda (è povera) di cerealiUn giovane vivace d'ingegnoArrivarono di corsaVive di espedientiSono quasi morto di spaventoLe tue parole mi saranno di sproneQuando sei uscito di casa?

272

originetempo determinatoquantità: misuracolpa

È di buona famigliaD'estate qui fa molto caldoL'orologio ritarda di cinque minutiÈ accusato di malversazione

predicativoterminequalitàlimitazionemodo o manieramezzo o strumentocausafineluogo: stato

moto atempo determinatoetàquantità: distanza

prezzodistributivogiudicativopena

Lo elessero a loro rappresentanteDo un bacio a Marta; II moto giova alla saluteUn abito a strìsceBravo a paroleAvanzava a passi lenti; Pasta al sugoLa porta è chiusa a chiave; Motore a scoppioA quelle parole mi venne da ridereVotarono una legge a difesa dei più deboliVivo a Roma; Sono a riposoVado a Roma; Furono mossi a pietàMi alzai all'albaSi sposò a diciotto anniSiamo a due ore dal rifugioVendono le arance a mille lireEntrarono a due a dueA mio avviso siete mattiL'hanno condannato a due anni

predicativoagente (e causa efficiente)qualitàcausafineluogo: stato

moto amoto damoto per

allontanamentooriginetempo specifico

Fungeva da segretarioL'errore è stato commesso da teUn uomo dal carattere impossibileEra pallido dall'emozioneCane da guardia; occhiali da soleSoggiornò dai suoi parentiVado dal dottoreVengo da RomaPasso da RomaAllontana da te questo sospettoDiscende da illustri antenatiDal Natale scorso non penso ad altro

materialimitazionemodo o manieramezzo o strumentofine

Labori in avorioDottore in lettere; Lo supero in abilitàAssistemmo in silenzioTe lo riferisco in due paroleDiedero una festa in nostro onore

273

luogo: stato Vivo In Italia; Vivo nell'ansiamoto a Vado in Italia; Sei incorso in un errore

tempo determinato Le primule fioriscono in marzotempo specifico Finirò il lavoro nel termine fissato

qualità Una ragazza con gli occhi azzurricompagnia (e unione) Passeggiavo con un amicomodo o maniera Studio con diligenzamezzo o strumento Estraggo un chiodo con le tenagliecausa Con questo caldo non riesco a lavorareconcessivo Con tutti questi bei propositi non combini nullapena Lo punirono con l'ergastolo

argomento Scrivimi sui tuoi programmiluogo specifico II libro è sul tavolo; Va' sul marciapiedetempo approssimato Telefona sulle seiquantità approssimata Vale sulle mille lire

predicativo Lo hanno preso per difensorelimitazione Supera tutti per ingegnomodo o maniera Lo dico per scherzomezzo o strumento Ti avviserò per telefonocausa Agirono così per necessitàfine Si battono per la libertàvantaggio Ti sei sacrificato per noiluogo: moto a Parto per Roma

moto per Passerò per Firenzetempo continuato Ti abbiamo aspettato per due oretempo specifico Sarò pronto per Pasquaestensione II deserto si estende per un ampio spazioquantità: prezzo Ho comprato il quadro per una sciocchezzadistributivo C'è una figura per ogni paginasostituzione Lo scambiarono per un ispettoregiudicativo Per me questa è una folliacolpa L'hanno processato per furto

partitivo Uno fra i presenti è responsabilesuperlativo (2° term. di par.) Luigi è il più forte fra tutti noiluogo specifico Viiie sempre fra quattro muratempo specifico II babbo ritornerà fra due mesi

9. QUADRO SINOTTICODELLE FUNZIONI SINTATTICHE

II quadro sinottico riunisce i complementi e gli altri elementi della proposizione e riporta, oltre isintagmi preposizionali con le preposizioni proprie fondamentali, quelli con altre preposizioni o locu-zioni e quelli diretti. Il segno tra parentesi indica uso secondario o circoscritto. L'elenco, nell'ultimacolonna, delle «altre preposizioni, ecc.» è limitato in vari casi a quelle più comuni.

funzione sintattica

soggetto

elemento delpredicato nominale

attributo

apposizione

predicativo

complemento:

oggetto

di relazione

d'agente

di termine

di specificazione

2° termine di paragonecol comparativo

partitivo

2° termine di paragonecol superlativo relativo

di denominazione

d'argomento

di materia

di qualità

di abbondanza e privazione

prepo-sizione«zero»

preposizioni proprie fondamentali

di

••

a

(•)

da

(•)

(•)

in

con

su

per

(•)

fra

tra

altre preposizioni proprie,preposizioni improprie,locuzioni preposizionali

(•) come, in qualità di

.(•) come

(•) da parte di

• circa, intorno a

275

funzione sintattica

di limitazione

di compagnia

di modo o maniera

di mezzo o strumento

di causa

di fine

di vantaggio e svantaggio

di luogo: stato

moto a

moto da

moto per

specifico

di allontanamento

di origine

di tempo: determinato

continuato

approssimato

specifico

d'età

di estensione

di quantità (distanza, misura,stima, prezzo)

distributivo

di esclusione

di sostituzione

concessivo

giudicativo

prepo-sizione«zero»

••

preposizioni proprie fondamentali

di

(•)

(•)

a

••

da

••

(•)

(•)

(•)

in

con

(•)

su

(•)

C)

per

••

C)

fra

tra

altre preposizioni proprie,preposizioni improprie,locuzioni preposizionali

• quanto a

• insieme con

• mediante, per mezzo di, attra-verso

• a causa di

• a favore di, a danno di

(•) verso

• attraverso

• sopra, sotto, dentro, fuori di,davanti a, dietro, contro, ecc.

• durante

• verso, sotto

• dopo, prima di, entro, fino da,fino a, ecc.

• senza, eccetto, tranne, fuor-ché, ecc.

• invece di, al posto di, ecc.

9 nonostante, malgrado, ecc.

• secondo, in base a

276

funzione sintattica

della colpa

della pena

vocativo

esclamazione

prepo-sizione«zero»

preposizioni proprie fondamentali

di

(•)

a

da in con

su per

(•)

fra

tra

altre preposizioni proprie,preposizioni improprie,locuzioni preposizionali

(•) o

33. Sintassi del periodo:il periodo e la suastruttura

1. COORDINAZIONEE SUBORDINAZIONE

Già all'inizio della sintassi della proposizione, alfine di isolare la proposizione stessa, ci si è oc-cupati brevemente dell'unità sintattica d'ordinesuperiore rappresentata dal periodo (vedi capi-tolo 26, § 1).Possiamo difatti esprimere un pensiero completomediante un'unica proposizione, che costituisceun organismo autonomo e corrisponde da sola aun «periodo semplice»; ma, più spesso, il discor-so riunisce insieme due o più proposizioni, inquello che chiamiamo «periodo complesso» osenz'altro, semplicemente, «periodo».

FRASI «GIUSTAPPOSTE»

II periodo è una struttura organizzata. Peraltronel suo livello più elementare — non infrequentenel parlato e anche nella lingua letteraria, quan-do chi scrive vuole riprodurre il discorso quoti-diano — l'enunciato consiste nel semplice acco-stamento, o «giustapposizione», di singole propo-sizioni e i rapporti tra una proposizione e l'altra

scaturiscono solo dal senso complessivo: «Vienicon noi? Rimani qui?»; «Te lo prometto: ti aiute-rò»; «Forse pioverà. Metto l'impermeabile. Mi ri-parerà».

COORDINAZIONE E SUBORDINAZIONE

Rispetto alla «giustapposizione», è tuttavia mol-to più usuale un'organizzazione dell'enunciato incui i rapporti fra una proposizione e l'altra rice-vono evidenza grazie a quegli strumenti gramma-ticali che servono appunto a «legare insieme», lecongiunzioni, oltreché con altri mezzi.Questa organizzazione dell'enunciato nel perio-do procede per due vie diverse: la coordinazionee la subordinazione.

La coordinazione, realizzata mediante le con-giunzioni coordinanti, «ordina insieme» nel pe-riodo, cioè collega ponendole sullo stesso piano,due o più proposizioni. Le proposizioni coordina-te sono dunque collegate tra loro, ma non dipen-dono l'una dall'altra.

La subordinazione collega due o più proposizio-ni stabilendo una gerarchla sintattica, in quantoil periodo trova il suo centro in una proposizione«principale», e «sotto» (in latino sub) questa so-

278

no «ordinate» le altre proposizioni, le «dipenden-ti» (dette anche, indifferentemente, «subordina-te» o «secondarie»). Come vedremo meglio trabreve, la subordinazione viene realizzata median-te le congiunzioni subordinanti, o determinatipronomi o avverbi, e il predicato della proposizio-ne dipendente è una forma verbale finita (subor-dinazione esplicita); oppure per mezzo delle for-me nominali del verbo — infinito, gerundio, parti-cipio — (subordinazione implicita).

NOTA

• Con termini equivalenti derivati dal greco, la coor-

dinazione è anche detta paratesi e la subordinazioneè anche detta ipotassi.

Vediamo, nella tabella in basso, alcuni esempi dienunciati in cui lo stesso pensiero viene espres-so:

1) con frasi semplicemente «giustapposte»;

2) mediante la coordinazione;

3) mediante la subordinazione (noterete che inqualche caso sono possibili sia la coordinazione,sia la subordinazione, in altri solo una delledue).

frasi giustapposte

Entrò nel bar. Guardò in giro.Salutò gli amici.

È nebbioso. Partiamo lo stesso.

Vieni con noi? Rimani qui?

Non mangio più. Sono già sazio.

È tardi. Rincasiamo.

Te lo assicuro: siamo pronti.

Te lo prometto: ti aiuterò.

Quanti hanno aderito? Non so.

Prima arrivi, meglio ti sistemi.

Franco è il più veloce. È statoscelto come centrocampista.

coordinazione

Entrò nel bar, guardò in giro e sa-lutò gli amici.(coord. copulativa)

È nebbioso; tuttavia partiamo.(coord. avversativa)

Vieni con noi o rimani qui?(coord. disgiuntiva)

Non mangio più: infatti sono giàsazio.(coord. dichiarativa)

È tardi, quindi rincasiamo.(coord. conclusiva)

Franco è il più veloce, e (oppurequindi} è stato scelto come centro-campista.(coord. copulativa o conclusiva)

subordinazione

Sebbene sia nebbioso, partiamo.(prop. concessiva)

Non mangio più perché sono già sazio.(prop. causale)

È tanto tardi che rincasiamo.(prop. consecutiva)

Ti assicuro che siamo pronti.(prop. dichiarativa)

Ti prometto di aiutarti.(prop. infinitiva)

Non so quanti abbiano aderito.(prop. interrogativa indiretta)

Se arrivi prima, ti sistemi meglio.(periodo ipotetico)

Franco, che è il più veloce, è statoto come centrocampista.(prop. relativa)

279

2. LA COORDINAZIONE

La coordinazione fra due o più proposizioni avviene, come si è già detto, per mezzo delle congiunzio-ni coordinanti (e le si veda elencate nel capitolo 25, § 4).Per i vari tipi di coordinazione, diamo alcuni esempi in cui essa ha luogo tra proposizioni indipenden-ti e i modi verbali sono quelli ad esse propri (e cioè fondamentalmente l'indicativo e, in determinaticasi, il condizionale, il congiuntivo, l'imperativo):

coordinazione

copulativa

disgiuntiva

avversativadichiarativa

conclusiva

Non stai mai attento e non mi ascolti; Sta' attento e ascoltami!; Vorrei e forse potrei; Stessiattento una volta e mi ascoltassi!

Rimango a casa, vado al cinema, o faccio una passeggiata?

Ho visto quello sceneggiato, ma non mi sono formato un giudizio.

I teoremi della geometria sono inoppugnabili: infatti discendono necessariamente da postu-lati.

Queste due rette non si toccano, quindi sono parallele.

Oltreché fra proposizioni indipendenti, la coordinazione, con molte congiunzioni, può stabilirsi fraproposizioni dipendenti, appartenenti a uno qualsiasi dei tipi che vedremo nei prossimi paragrafi. Peresempio:

Coricati, perché è tardi e domani devi alzarti alle sei (sono coordinate tra loro da e due proposizioni causali; lacongiunzione subordinante perché potrebbe anche venire ripetuta all'inizio della seconda: ... e perché...).Rispettando la lettera, ma tradendo lo spirito, hai ignorato i miei precetti (sono coordinate da ma due proposizio-ni dipendenti implicite espresse mediante il gerundio).

Considerata nel suo insieme, la coordinazione perviene a rendere un numero relativamente limitatodi rapporti tra le proposizioni nell'ambito del periodo. Come vedremo subito, la subordinazione è mol-to più ricca e articolata, e rappresenta l'ossatura fondamentale della sintassi del periodo.

3. LA SUBORDINAZIONE:DIPENDENTI DI DIVERSO GRADO. LA «REGGENTE»

DIPENDENTI DI DIVERSO GRADO

Con la subordinazione il centro del periodo è costituito da una proposizione principale indipendente.Dalla principale dipendono una o più proposizioni «dipendenti» (o «subordinate»):

perché mi piaceprop. dipendente

Leggo questo libroprop. indipendente, principale

Sebbene non mi piaccia, leggo questo libroprop. dipendente prop. indipendente, principale

perché è utile

prop. dipendente

280

Una proposizione dipendente può tuttavia non dipendere direttamente dalla principale, ma da un'al-tra proposizione dipendente:

Leggo questo libro

prop. indipendente, principale

perché mi da nozioni

prop. dipendente(direttamente dalla principale)

che mi saranno utili

prop. dipendente(dalla dipendente B)

Chiamiamo la proposizione B, che dipende direttamente dalla principale, dipendente di 1° grado;chiamiamo la proposizione C, che dipende dalla dipendente B e solo mediatamente dalla principale,dipendente di 2° grado.In un periodo dalla complessa architettura si potranno avere anche dipendenti di 3° grado (dipenden-ti da una dipendente di 2° grado), di 4° grado, ecc.

CONCETTO DI «PROPOSIZIONE REGGENTE»

La proposizione B (perché mi da nozioni), che è una dipendente, ma da cui a sua volta dipende un'al-tra proposizione, rispetto a questa viene detta reggente: è la reggente della proposizione C (che misaranno utili). Definiamo come «reggente» qualsiasi proposizione — indipendente o dipendente — dacui ne dipenda un'altra.Per cogliere la struttura complessiva del periodo, dovremo ovviamente stabilire quale è la proposizio-ne indipendente-principale, il centro del periodo stesso; ma, per individuare la funzione di una dataproposizione dipendente, quel che ci interessa è definire il suo rapporto di subordinazione da un'altraproposizione, appunto la reggente (principale o dipendente che sia):

Leggo questo libro

prop. indipendente, principalereggente direttamente rispettoa B, mediatamente rispetto a C

perché mi da nozioni

• prop. dipendente, dalla reggen-te A, che è anche principale:quindi è una dipendente di 1°grado

• reggente, rispetto a C

che mi saranno utili

• prop. dipendente, direttamen-te dalla reggente B; dipendentedi 2° grado rispetto alla princi-pale A

4. CARATTERISTICHE FONDAMENTALIDELLE PROPOSIZIONI DIPENDENTI

DIPENDENTI ESPLICITE E IMPLICITE

Sotto l'aspetto della forma le proposizioni dipen-denti — come si è già accennato — si dividonoin due categorie:

- esplicite: verbo in un modo finito (indicativo,

congiuntivo, condizionale; non l'imperativo, per-ché esprime un comando diretto e quindi può tro-varsi solo in una proposizione indipendente):

Non ti lascio perché ti amo; Farò di tutto perchétu mi ami; Non deludermi perché non ti amereipiù.

281

- implicite: verbo in un modo infinitivo (infini-to, participio, gerundio):

Soffro per averti amata troppo; Amato da te, sa-rei finalmente felice; Amandoti troppo, non vedo ituoi difetti.

STRUMENTI DELLA SUBORDINAZIONE

Gli strumenti grammaticali che servono a colle-gare la dipendente esplicita alla reggente e adefinire il rapporto di subordinazione sono:

• un pronome o aggettivo o un avverbio interro-gativo o relativo (che, chi, quale, il quale, dove,quando, ecc.);

• una congiunzione subordinante (che, perché,affinchè, quando, se, ecc.).

Inoltre molte proposizioni dipendenti sono carat-terizzate anche da un modo «marcato» rispettoall'indicativo (in genere, dal congiuntivo).

Le proposizioni dipendenti implicite, invece, so-no spesso collegate alla reggente senza alcunparticolare segnale, perché il fatto stesso che laforma verbale sia infinitiva (infinito, participio,gerundio) indica la loro funzione:

Desidero procurarmi una bicicletta nuova; Com-prando la bicicletta, baderò alla marca; Compratala bicicletta, la proverò subito.

La funzione specifica della dipendente implici-ta può peraltro venire indicata o precisata dacongiunzioni e, nel caso dell'infinito, da prepo-sizioni:

Ho deciso di procurarmi una bicicletta nuova; Purcomprando una semplice bicicletta, spenderò pa-recchio; Appena comprata la bicicletta, la proverò.

DIFFERENZA FONDAMENTALE TRADIPENDENTI ESPLICITE E IMPLICITE

Per esprimere molte funzioni sintattiche di su-bordinazione esiste l'alternativa tra proposizio-ni dipendenti esplicite e implicite di valore u-guale o simile; un esempio con la proposizionefinale:

(esplicita) Ho lavorato molto perché aveste tut-to il necessario

(implicita) Ho lavorato molto per procurarvitutto il necessario

Esiste però una fondamentale limitazione all'im-piego della dipendente implicita. Mentre l'esplici-ta può avere qualsiasi soggetto, perché la formaverbale è finita ed esprime la persona, nelle di-pendenti implicite manca l'indicazione del sog-getto (questo è — appunto — «implicito», sottin-teso) e dunque esso deve coincidere di norma colsoggetto della reggente:

(causale esplicita) // pilota, poiché gli diederovia libera, atterrò

(causale implicita) II pilota, vedendo libera lapista, atterrò

A questa norma non mancano le eccezioni: levedremo via via, trattando delle diverse propo-sizioni.

5. I VARI TIPIDI PROPOSIZIONI DIPENDENTI

CRITERI PER CLASSIFICARE LE «DIPENDENTI»

La varietà delle proposizioni dipendenti (espli-cite e implicite) è comparabile con quella degli e-lementi della singola proposizione. Non solo, maesiste un'evidente analogia tra le funzioni dei di-versi elementi della proposizione (soggetto, og-getto, complementi indiretti, ecc.) e le funzionidelle proposizioni nel periodo, e questa analogiaci serve da guida, come vedremo subito, nel clas-sificare le proposizioni dipendenti. Possiamo fon-damentalmente suddividerle in:

• completive:

(esplicita) Credo che pioverà(implicita) Credo di essermi sbagliato

• circostanziali:

(esplicita) Te lo dirò quando ci vedremo(implicita) Ne parleremo vedendoci

• relative:

(solo esplicita): II pranzo, che è stato preparatoda mia madre, sarà squisito

COMPLETIVE

Le dipendenti completive (dette anche «sostan-tive») corrispondono in generale, per la loro fun-

282

zione, a un soggetto o a un oggetto e sono quindinecessarie a «completare» il senso della proposi-zione reggente.Per esempio, nel periodo Desidero che tu sia feli-ce potremmo sostituire che tu sia felice (proposi-zione completiva) con la tua felicità (un comple-mento oggetto). Il predicato della reggente, desi-dero, richiede infatti un completamento, che puòessere fornito tanto da un oggetto quanto da unparticolare tipo di proposizione: appunto la di-pendente completiva.

CIRCOSTANZIALI

Le proposizioni circostanziali (o anche «avver-biali») aggiungono alla reggente una circostanzaparticolare, corrispondente a un complemento in-diretto (di tempo, di fine, ecc.).Spesso tale complemento potrebbe sostituire laproposizione: si confronti ad es. il periodo Lotta-rono per essere Uberi (reggente + proposizionecircostanziale finale) con la frase Lottarono perla libertà (unica proposizione con un complemen-to di fine).

RELATIVE

Le proposizioni relative, nella loro formulazio-ne più tipica, determinano un sostantivo dellareggente, assolvendo una funzione analoga aquella dell''aggettivo o dell'apposizione, come sivede confrontando Hanno ottenuto la libertà, cheè il bene più prezioso (reggente + proposizionerelativa) con Hanno ottenuto la libertà, il be-ne più prezioso (unica proposizione con un'apposi-zione).

NOTE

• Naturalmente la sostituzione di una proposizionedipendente con un complemento in modo da ottenereun enunciato equivalente, è possibile solo quando sitratta di una proposizione breve, priva o povera di de-terminazioni. La proposizione dipendente, imperniatasu un suo predicato, può arricchirsi di molte determi-nazioni e possedere quindi un contenuto che non po-trebbe essere concentrato in un unico sintagma nomi-nale.

• Nell'illustrare le varie specie di dipendenti comple-tive e circostanziali tratteremo insieme — quando, co-me spesso accade, coesistono — quelle di forma espli-cita e quelle di forma implicita caratterizzate dallamedesima funzione sintattica.

6. MODI E TEMPIDELLE PROPOSIZIONI DIPENDENTI

I MODI

Tra le proposizioni dipendenti, alcune, quellecioè che indicano fatti certi e reali, hanno, al pa-ri delle indipendenti, l'indicativo, o talora, peresprimere la possibilità condizionata, il condi-zionale. Per esempio, alle proposizioni indipen-denti Sei gentile, Non potresti essere più gentilecorrispondono le dipendenti (dichiarative) So chesei gentile, So che non potresti essere più gentile.Altre invece, e precisamente quelle che esprimo-no una volontà, un desiderio, l'incertezza, ecc.,hanno il congiuntivo. Di tutto ciò ci occupere-mo studiando i vari tipi di dipendenti.

I TEMPI E LA «CONCORDANZA DEI TEMPI»

II tempo di una proposizione dipendente — in li-nea di principio — non ha un valore «proprio» o«assoluto», ma è ((relativo» (cioè contemporaneo,successivo o anteriore) al momento dell'azionedella reggente (vedi capitolo 16, § 3 e capitolo22). Tale rapporto è regolato da quella che chia-miamo «concordanza dei tempi».La norma fondamentale (ma tutt'altro che rigida)della concordanza dei tempi è che:

- a un presente (e così pure a un futuro o a unimperativo) nella proposizione reggente corri-spondono determinati tempi nella dipendente (siaall'indicativo, sia al congiuntivo);

- a un passato remoto (e così pure a un imperfet-to o a un trapassato) nella proposizione reggentecorrispondono altri determinati tempi nella di-pendente (all'indicativo o al congiuntivo).

Lo schema a pagina seguente precisa meglio que-sta «regola»: si osservi, in particolare, l'uso delcondizionale passato per esprimere la successio-ne rispetto a un tempo passato: seppi che sarebbepartito (anche, raramente, partirebbe, e, collo-quialmente, partiva).

NOTE

- II passato prossimo — che fonde insieme le ca-ratteristiche di un tempo presente e passato — puòvalere, per quanto riguarda la concordanza della di-pendente, sia come un presente, sia come un passato:Ho saputo che parte oppure partiva; Ho creduto cheparta oppure partisse; ecc.

283

• II condizionale, anche presente, vale, agli effettidella concordanza al congiuntivo, come un tempo pas-sato: Vorrei che tu partissi, ecc.• Alcuni dei rapporti indicati nel prospetto rimango-no sempre ben saldi: al posto di Spero che parta eSperavo che partisse non saranno mai ammissibili*Spero che partisse e *Speravo che parta. Ma in varicasi il tempo della dipendente è considerato in un va-lore non più relativo, ma «proprio», oppure esprimela durata, oppure è determinato dalla funzione sintat-tica di un certo tipo di dipendente.Avremo allora, per esempio:

- non solo So che è partito, ma anche: che partì, chepartiva, che era partito',

- non solo Credo che sia partito, ma anche: che par-tisse, che fosse partito;

— Sapevo che la salute è preziosa, Non ignoravo quan-to la salute sia preziosa (perché la dipendente esprimeun concetto sempre valido, in passato come ora);

- È più robusto che se fosse di ferro (in una prop.comparativa);

— Non so se verrebbe, se lo invitassimo (in un periodoipotetico); ecc.

7. LE PROPOSIZIONI INCIDENTALI

VARI TIPI DI «INCISO»

Chiamiamo «inciso» ogni sequenza di parole, in-serita in una proposizione o in un periodo, che i-soliamo dal resto dell'enunciato mediante duebrevi pause (e nella pagina scritta con le virgole,le lineette, le parentesi). Sotto l'aspetto sintatti-co occorre però distinguere. Per esempio nellefrasi:

Ti offro, amico mio, una buona opportunità; Gio-ititi, presidente del consiglio, migliorò le leggi e-lettorali; Io, almeno, la penso così; Tu, per pru-denza, non ti pronunci

l'inciso è, rispettivamente, un vocativo, un'appo-sizione, un avverbio, un complemento di causa,cioè (negli ultimi tre casi) un elemento di unadata proposizione. Nel periodo

La situazione, come ho già detto, è soddisfacente

ciò che si inserisce come inciso all'interno di u-

284

na proposizione principale è una proposizione di-pendente modale, collegata alla principale dallacongiunzione come.

PROPOSIZIONI INCIDENTALIVERE E PROPRIE

Se, invece, l'enunciato che abbiamo visto sopraviene formulato così:

La situazione — l'ho già detto — è soddisfacente,

manca un legame sintattico fra l'inciso e l'altraproposizione: abbiamo cioè quella.che chiamiamoproposizione incidentale o «parentetica». Sus-siste solo un nesso logico col resto dell'enuncia-to, e l'incidentale rappresenta un breve periodo asé stante.

8. L'ANALISI LOGICADEL PERIODO

Mentre nell'analisi logica della proposizione (ve-di capitolo 27, § 6) analizziamo i singoli elementidella proposizione stessa, nell'analisi logica delperiodo isoliamo e analizziamo intere proposizio-ni, per individuare:

1) la proposizione principale;

2) le proposizioni dipendenti, indicando di cia-scuna:

• la funzione (non genericamente - - per es.«completiva» o «circostanziale» —, ma specifica-mente: «infinitiva soggettiva», «infinitiva aggetti-va», «dichiarativa aggettiva», «interrogativa indi-retta», «causale», «finale», ecc.);

• il grado di dipendenza, cioè se dipende diret-tamente dalla principale o da un'altra proposizio-ne dipendente (in altre parole, qual è la sua reg-gente).

Ricordiamo, inoltre, che — nel periodo — posso-no avvicendarsi e intrecciarsi la subordinazionee la coordinazione: le proposizioni principali e ledipendenti di qualsiasi specie possono infatti es-sere due o più tra loro coordinate.

Proponiamo in basso, a titolo di esempio, l'ana-lisi logica del seguente periodo:

Quando ci accorgemmo che il traffico si facevatroppo intenso — era domenica — e non saremmoarrivati in tempo, per fare più presto prendemmouna strada alternativa, che però era non meno in-tasata.

Nell'esemplificazione proposta l'analisi è moltominuziosa; naturalmente si può mettere per i-scritto solo l'essenziale, tralasciando quanto è fa-cilmente intuibile e ricorrendo, per indicare irapporti di dipendenza, a frecce.

A) Quando ci accorgemmo

B) che il traffico si faceva troppo intenso

C) — era domenica -

D) e non saremmo arrivati in tempo,

E) per fare più presto

F) prendemmo una strada alternativa

G) che però era non meno intasata.

proposizione temporale; dipendente di 1° grado: dallaprincipale F; a sua volta è reggente di B e D

prop. dichiarativa (oggettiva); dipendente di 2° grado(direttamente dalla temporale A, che è la sua «reg-gente»)

prop. incidentale

prop. dichiarativa (oggettiva); coordinata a B e dipen-dente da A

prop. finale (implicita); dipendente di 1° grado: dallaprincipale F

prop. principale, reggente direttamente A, E, G

prop. relativa; dipendente di 1° grado (determina l'og-getto strada della principale F)

285

34. Le proposizionidipendenti completive:infiniti ve, dichiarative,interrogative indirette

Le proposizioni dipendenti «completive» sisuddividono in tre gruppi:

• costrutti infìnitiviConviene studiare; Desidero vincere

• proposizioni dichiarativeConviene che tu studi; So che vincerai

• interrogative indiretteÈ incerto chi vincerà; Non so chi vincerà

La funzione comune a tutte queste proposizioni èquella che abbiamo già vista (capitolo 33, § 5):«completano» la reggente, la quale ne richiede lapresenza in quanto fungono da soggetto o da og-getto. Pertanto, per ogni gruppo, faremo distinzio-ne tra quelle che sono in funzione di soggetto(«soggettive») e quelle, più numerose, che sonoin funzione di oggetto («aggettive»). Però, for-malmente, una soggettiva non è diversa da un'og-gettiva, così come nella proposizione nulla diffe-renzia il soggetto dall'oggetto (a parte, ma nonsempre, la collocazione).

1. COSTRUTTI INFÌNITIVI(SOGGETTIVI E OGGETTIVI)

IN FUNZIONE DI SOGGETTO

Un infinito, da solo o variamente determinato(da un complemento oggetto, da un altro comple-mento, da un avverbio), può fungere da soggetto:

Lavorare stanca; Lavorare bene da piacere; Lavo-rare con impegno è un obbligo per tutti.

L'infinito «soggettivo» si ha, in particolare, conmolti verbi e locuzioni impersonali (vedi capitolo20, § 4):

Bisogna distinguere l'utile dal superfluo; Non mioccorre spendere altro tempo; È bello osare; Èproibito sporgersi; È mio uso non fare credito.

Con altri verbi e locuzioni impersonali è intro-dotto dalla preposizione di:

Gli capitò di fare speculazioni sbagliate; Non mi

287

OO

importa di avere perso; Ci sembra di avere vistogiusto; È tempo di pensare al futuro.

NOTA

• Con alcuni impersonali si trovano sia l'infinito di-retto sia l'infinito introdotto da di: Gli piace contem-plare la natura oppure Gli piace di...; Mi preme mol-to accontentarvi oppure Mi preme molto di...

IN FUNZIONE DI OGGETTO: INFINITO DIRETTO

I verbi che si costruiscono con l'infinito in fun-zione di oggetto sono molti. Sono però seguiti di-rettamente dall'infinito solo:

• i tre verbi «servili» dovere, potere e volere (iquali formano con l'infinito un nesso così saldoda essere considerato un predicato unitario (vedicapitolo 17, § 5 e capitolo 26, § 1):

Io devo uscire; Io sono dovuto uscire; Tu devi stu-diare; Tu hai dovuto studiare

• i verbi detti «fraseologici» (appunto perchéformano una sola «frase» con l'infinito che li ac-compagna, senza tuttavia stabilire un nesso al-trettanto saldo quanto i servili):

solere, essere solito; sapere (nel senso di pote-re, essere capace di); desiderare, preferire, amare,odiare, gradire, favorire; osare, ardire e pochialtri.

Per esempio:

Non sono solito ripetermi; Non tutti sanno resiste-re alle tentazioni; Desidero darvi l'esempio (an-che: desidero di...); Favorisca accomodarsi

DI + INFINITO

Sono molto più numerosi i verbi che si costrui-scono con l'infinito, sempre in funzione di ogget-to, introdotto dalla preposizione di. Quanto al si-gnificato, sono verbi che indicano un'asserzione,un pensiero, un impegno, una volontà, un'aspet-tativa, una cessazione, ecc.:

dire, affermare, dichiarare, narrare, raccontare,rispondere, negare

pensare, capire, credere, meditare, riconoscere, ri-tenere, sapere ( = conoscere)

giurare, promettere, ammettere

decidere, pretendere, progettare, proporsi, stabili-re, accettare, cercare, tentare

aspettare, sperare, temere, sognare, immaginare,fingere

cessare, finire, smettere, tralasciare, terminare;ecc.

A questi verbi, tutti transitivi, se ne aggiungonodegli intransitivi e dei riflessivi (costruiti con dianche nell'ambito della proposizione):

contentarsi, dimenticarsi, disperare, dubitare, meravi-gliarsi, pentirsi, preoccuparsi, rallegrarsi, ricordarsi,soffrire, stupirsi, vantarsi, vergognarsi, ecc.

A + INFINITO

Con altri verbi intransitivi (molti determinati,nella proposizione, dal complemento di termine)e con qualche transitivo l'infinito viene introdot-to dalla preposizione a, che è più caratterizzantedella preposizione di:

abituarsi, acconsentire, affrettarsi, aspirare, azzardar-si, divertirsi, limitarsi, ostinarsi, propendere, provvede-re, rassegnarsi, rinunciare, sbrigarsi

cominciare, iniziare, continuare, esitare, imparare, met-tersi, prepararsi, seguitare

andare, venire, correre, riuscire, tornare; ecc.

Per esempio:

Non rinunceremo a difendere i nostri diritti; Hoimparato a contare solo su me stesso; Alberto èandato a impostare la lettera.

Con qualche verbo si possono trovare sia a + infini-to, sia di + infinito, ora con lo stesso significato, oracon qualche differenza:

Bada a non spendere Bada di prendere con tetroppo il necessario

Pensa a procurarti il bi- Penso a non partire oggighetto

Provò a [= tentò di] ri- Provò [= dimostrò] disolvere il problema essere innocente

DA + INFINITO, IN + INFINITO

Alcuni verbi che, nell'ambito della proposizio-ne, sono determinati dalle preposizioni da o in(complementi di allontanamento e di stato inluogo figurato) mantengono tale costrutto conl'infinito.

288

Per esempio:

Mi astenni dall'interferire; Guardati dall'afferma-re il falso; Insistette nel (anche: a) pretendere uncompenso; ecc.

NOTA

• In altri costrutti con le preposizioni a, da, in +infinito e in tutti quelli in cui l'infinito è introdottoda altre preposizioni (con, su, per, senza, ecc.), l'infini-tiva non ha più una funzione «completiva», ma indicauna determinata circostanza rispetto al processo dellareggente. Pertanto troveremo questi costrutti nei ca-pitoli dedicati alle proposizioni dipendenti «circostan-ziali» (temporali, finali, ecc.).

2. PARTICOLARITÀDEI COSTRUTTI INFINITIVI

COSTRUTTI INFINITIVI CON SOGGETTODIVERSO DALLA REGGENTE

Come si è già rilevato (capitolo 33, § 4), nellaproposizione implicita di norma il soggetto sot-tinteso è lo stesso della reggente. Però un certonumero di verbi si costruisce con un infinito (di-retto o introdotto da preposizione) il cui soggettocorrisponde a un complemento (oggetto o di ter-mine) della reggente:

• verbi di percezione + infinito: vedere, guar-dare, sentire, udire, ascoltare e pochi altri:

Vedo sorgere il sole; Ti ho sentito tossire; Lo hoascoltato sostenere con vigore le sue ragioni

• verbi causativi (fare, lasciare) + infinito(e il nesso, in effetti, rappresenta un predicato u-nico):

La mamma ha fatto venire l'idraulico; II guardia-no ha lasciato evadere il detenuto.

Quando il verbo dipendente è transitivo, può essere e-spresso il solo oggetto e rimanere indeterminato ilsoggetto logico:

La mamma ha fatto riparare il termosifone; II guardia-no ha lasciato segare le sbarre.

Se poi è presente, oltre l'oggetto, anche il soggetto lo-gico dell'infinitiva, questo si esprime col complemen-to di termine:

La mamma ha fatto riparare il termosifone all'idrau-lico; II guardiano ha lasciato segare le sbarre al dete-nuto.

• verbi di comando, preghiera, divieto, ecc.+ di + infinito:

comandare, ordinare, imporre; pregare, chiedere, pro-porre, consigliare, suggerire, raccomandare, supplicare;impedire, proibire, vietare; concedere, permettere, augu-rare, ringraziare, accusare, incaricare; ecc.

La persona cui si da un ordine, si rivolge una pre-ghiera, ecc. (cioè l'oggetto o il complemento di termi-ne della reggente) è il soggetto implicito dell'infinito:

Ho pregato i miei conoscenti di non farmi visite; II co-mandante ordinò ai suoi di ritirarsi.

In vari casi esistono entrambe le possibilità (identitàe diversità di soggetto):

Chiedo di entrare (il soggetto della reggente è anchesoggetto dell'infinito); Ti chiedo di aspettare (il sog-getto dell'infinito è il complemento di termine dellareggente)

• con alcuni verbi lo stesso tipo di costrutto siha con a + infinito o da + infinito:

condannare, convincere, costringere, incitare, indurre,insegnare, invitare, obbligare, persuadere, sfidare, ecc.;diffidare, dissuadere, esimere, ecc.

Per esempio:

Ti invito a restituirmi quel libro; Gino mi ha inse-gnato a usare il paracadute ascensionale; Lo dis-suasi dal tentare quell'impresa pericolosa.

L'INFINITO COME PREDICATOE COME APPOSIZIONE

In tutti i costrutti che abbiamo considerato l'in-finito (diretto o introdotto da preposizione) ha lafunzione di soggetto o, più spesso, di oggetto. Laproposizione infinitiva peraltro può anche funge-re — senza che cambi la sua forma — da ele-mento del predicato nominale oppure da ap-posizione:

Partire è un po' morire (qui il 2° infinito è l'ele-mento del predicato nominale)

Proprio questo, esservi utile, è il mio scopo (quil'infinito è apposizione del soggetto)

Desidero solo questo, di esservi utile (qui l'infini-to è apposizione dell'oggetto).

289

QS5WOHk—iQ

L'INFINITO IN DIPENDENZA DA SOSTANTIVIE AGGETTIVI

L'infinito, introdotto dalla preposizione di, puòdeterminare, oltreché un verbo, anche un so-stantivo o un aggettivo, e precisamente quelliche, nell'ambito della proposizione, reggono uncomplemento di specificazione:

Mi è venuto il desiderio di acquistare un compu-ter, Tu non sei capace di conservare un segreto.

Con altre preposizioni (e in parallelo con altricomplementi):

Ottenemmo l'assenso ad affiggere il manifesto;L'astensione dal mangiare carne era un precettopitagorico.

OGGETTIVA ALLA LATINA

In un costrutto che ricalca l'accusammo con l'in-finito latino, il soggetto dell'infinito non corri-sponde a un elemento della proposizione reggen-te, ma risulta del tutto autonomo. Tale costruttonon è raro nell'italiano antico e talora compareanche oggi nella prosa letteraria o nel linguag-gio burocratico:

La Commissione accertò essere ormai acquisita lafattibilità dell'opera e potersi quindi procedere al-la fase esecutiva (= accertò che è ormai acquisi-ta... e che si può...).

3. LE PROPOSIZIONI DICHIARATIVE

FUNZIONE DELLE DICHIARATIVE

Parallelamente alla maggior parte dei costruttiinfinitivi visti nei paragrafi precedenti esistono- con funzione analoga — delle proposizioni e-

splicite, introdotte dalla congiunzione che. Lechiamiamo proposizioni «dichiarative».Ribadiamo un concetto già enunciato più volte:nelle proposizioni implicite all'infinito il sogget-to non è espresso, ma viene dedotto (è di normail soggetto stesso della reggente; rimane indeter-minato se il predicato della reggente è imperso-nale; in determinati casi corrisponde all'oggettoo a un complemento della reggente). Invece nelleproposizioni dichiarative, che hanno il verbo fini-to e quindi coniugato in una data persona, il sog-getto può essere:

• il medesimoreggente:

• un altro:

della Ho stabilito che partiròdomani (= Ho stabili-to di partire domani)Ho stabilito che voipartirete domani

Quindi, se il soggetto della reggente e quello del-la dipendente si identificano, spesso esiste l'alter-nativa tra i due costrutti (e la scelta della di-chiarativa implica in genere una certa sottoli-neatura del fatto enunciato). Se il soggetto è di-verso, di norma la proposizione dichiarativa èl'unico costrutto possibile.

USO DEI MODI

Per quanto riguarda i modi verbali, la normavuole che si usi:

• l'indicativo in di-pendenza dai verbi dicertezza (per l'indica-zione della possibilitàcondizionata, il condi-zionale)

• sia l'indicativo, sia(preferibilmente) ilcongiuntivo quandola reggente è negativa

• obbligatoriamente ilcongiuntivo in dipen-denza da verbi espri-menti la supposizione,il dubbio, l'esortazione

Affermo che è vero (Af-fermo che potrebbe ve-nire)

Non affermo che è veroNon affermo che sia ve-ro

Credo che sia vero;Suppongo che sia vero;Dubito che sia vero.

VARIETÀ DELLE DICHIARATIVE

Per considerare le diverse funzioni (di soggetto,oggetto, ecc.) e i diversi tipi di dichiarative, ba-sta che ripetiamo il percorso fatto per i costruttiinfinitivi. In tal modo rileveremo anche quei casiin cui non esiste l'alternativa tra proposizione in-finitiva e dichiarativa.

DICHIARATIVE IN FUNZIONE SOGGETTIVA

Si confrontino:

290

È bello che abbiate osa- È bello osaretoÈ certo che verranno Sono certi di venireMi sembra che sbaglia- Mi sembra di sbagliarete (ma non: *Mi sem-bra che io sbagli)È tempo che pensiamo È tempo di pensare alal futuro futuro

DICHIARATIVE IN FUNZIONE OGGETTIVA

Tra i verbi «servili» e «fraseologici» solo vole-re, desiderare, preferire, gradire ammettono la di-chiarativa (e solo con soggetto diverso):

Voglio che mi ascoltiate; Desidero che il tempocambi.

In corrispondenza del costrutto di + infinito, ladichiarativa è possibile in dipendenza da moltidei verbi elencati nel § 2 (ma non, per es., delgruppo cessare, finire, ecc., e in vari casi solocon soggetto diverso); si confrontino ad es.:

Dichiarò che era pronto Dichiarò di esserepronto

Dichiarò che tutto eraprontoPrometto che vi appog- Prometto di appoggiar-gerò vi

Prometto che avrete ilmio appoggioSperava che lo soccor- Sperava di essere soc-ressero córsoII comandante ordinò II comandante ordinòche i suoi si ritirassero ai suoi di ritirarsi

Invece solo pochi dei verbi che si costruiscono cona, da, in + infinito ammettono anche la dichiarati-va. Per es.: Ho imparato che posso contare solo su mestesso.

Con i verbi di percezione non solo è ammessa anchela dichiarativa, ma esiste una terza possibilità, offertadalla proposizione relativa:

Vedo sorgere il sole = Vedo che sorge il sole = Vedoil sole che (pron. relat.) sorge.

Il causativo fare ammette solo l'infinito, mentre la-sciare si costruisce anche col che: II guardiano ha la-sciato che il detenuto evadesse.

NOTE

• La dichiarativa può trovarsi anche in funzione dipredicato (Lo verità è che non 'avete studiato abba-stanza) e di apposizione (La verità è questa, che nonavete studiato abbastanza).

• Analogamente all'infinitiva, anche la dichiarativapuò dipendere da un sostantivo o da un aggettivo:

La notizia che un terremoto aveva colpito la regione fudata dal telegiornaleSiamo certi che i soccorsi saranno immediati.

In particolare la dichiarativa determina frequente-mente il sostantivo fatto (il quale potrà essere in fun-zione di soggetto, oggetto, ecc.): Mi sconvolge il fattoche accadano tali sciagure; Deploro il fatto che moltirimangano insensibili.

• È di uso prevalentemente letterario la dichiarati-va paratattica, in cui la dichiarativa si lega alla reg-gente senza la congiunzione che. Occorre però che ilverbo della dichiarativa sia al congiuntivo, poiché, inassenza della congiunzione, ciò rappresenta l'unica«spia» del rapporto di dipendenza fra le due proposi-zioni:

Penso sia meglio così; Mi sembrò non avessero capitonulla.

• Talora come, piuttosto che un valore interrogativo-modale ( = in qual modo), assume un valore semplice-mente dichiarativo (= che): Ci spiegò come, dopotante sventure, l'Italia venne (opp. venisse) invasa daaltri barbari.

4. L'INTERROGAZIONE DIRETTA

Per esaminare le proposizioni interrogative «in-dirette», il terzo gruppo delle proposizioni di-pendenti completive, dobbiamo avere idee chiaresulla forma che assumono le proposizioni inter-rogative indipendenti, o «dirette». Queste so-no sempre caratterizzate, anzitutto, da una par-ticolare intonazione ascendente, resa per iscrittodal punto interrogativo, e inoltre si distinguo-no in:

• semplici introdotte da un pronome o agget-tivo interrogativo (chi? che? che cosa? cosa? qua-le? quanto?) o da un avverbio interrogativo (co-me? dove? quando? quanto? perché? ecc.). L'inter-rogazione verte su un «nucleo» determinato del-

291

OHSO

g

la proposizione. Per es., chiedendo Chi ha bussa-to alla porta? io so già che hanno bussato e miinformo sulla persona che è stata a farlo;

• semplici in cui la richiesta di informazioneinveste l'intera frase: Hanno bussato alla porta?Non so esattamente se hanno bussato e mi infor-mo sul fatto. Nelle interrogative di questo tipo(dette «di frase») l'unico segnale dell'interroga-zione è l'intonazione (e corrispondentemente ilpunto interrogativo); per il resto non si differen-ziano da un enunciato assertivo. Soltanto vi ècomune — ma non obbligatoria — la posizionedel soggetto dopo il predicato: Carla verrà connoi? oppure Verrà con noi Carla?

• disgiuntive: chiamiamo «doppia» o, meglio,«disgiuntiva» l'interrogativa che pone un'alter-nativa e il cui secondo termine viene introdottodalla congiunzione o (ovvero, oppure):

Hanno bussato alla porta o è stato un altro rumo-re?Hanno bussato alla porta o quale altro rumore èstato?

La seconda parte dell'alternativa può essere ellit-tica (senza predicato), o ridursi all'avverbio ne-gativo no: Scegli la scaloppa o il filetto? Ti decidio no?

• retoriche: infine la domanda può essere rivol-ta non per ottenere un'informazione, ma per e-sprimere un convincimento. Più frequente nellalingua letteraria e tipica soprattutto dell'orato-ria forense e politica, questa particolare interro-gativa è perciò detta «retorica». Molto spes-so, quando è «di frase», viene caratterizzata, conopposto valore, da forse oppure da forse non,non:

Io ho forse torto? (= enunciato negativo: Io nonho torto)Io non ho forse ragione? Non ho ragione? (= e-nunciato affermativo: Io ho ragione).

Altri esempi (con interrogative introdotte da pro-nomi e avverbi): Chi lo nega? (= Nessuno lo ne-ga); Dove mai potrei rifugiarmi? (= Non potreirifugiarmi in nessun luogo).

I MODI VERBALI

I modi verbali delle interrogative dirette sono,ovviamente con l'eccezione dell'imperativo, tutti

quelli propri delle proposizioni indipendenti: dinorma, l'indicativo; il condizionale per indicarela possibilità eventuale: Chi lo crederebbe?. Chil'avrebbe creduto! Non potresti rispondere?Troviamo inoltre usati, con accentuazione deldubbio e in un numero limitato di espressioni,l'infinito e il congiuntivo: Che fare? Dove anda-re? Come potergli credere? Credergli? Che sia ve-ro? Che abbia detto la verità?

5. LE PROPOSIZIONIINTERROGATIVE INDIRETTE

CARATTERISTICHE DI TUTTELE INTERROGATIVE INDIRETTE

Quando, anziché venire posta direttamente, l'in-terrogazione è messa alla dipendenza di un'altraproposizione, costituisce una interrogativa in-diretta. I verbi da cui le interrogative indirettedipendono sono tutti quelli che esprimono il desi-derio di sapere e ricercare, l'incertezza, il dub-bio:

domandare, chiedere, interrogare, informarsi', cercare,tentare, provare, pensare, vedere, supporre, indovinare;ignorare, sapere, non sapere, dubitare; talora anche iverbi di asserzione: dire, dichiarare, narrare, ecc.

Inoltre sostantivi e aggettivi connessi per significatoa questi verbi: domanda, richiesta, tentativo, dubbio,problema; incerto, indecìso, ecc.

Nelle proposizioni interrogative indirette nonsussiste l'intonazione interrogativa (e quindiscompare il punto interrogativo): la loro caratte-rizzazione e la connessione con la reggente sirealizzano nei modi che seguono.

INTRODOTTE DA PRONOMI,AGGETTIVI, AVVERBI

Le interrogative introdotte da pronomi, agget-tivi e avverbi interrogativi, passando dalla for-ma diretta all'indiretta, di norma rimangono in-variate:

Chi ha bussato allaporta?

Dove troveremo unaiuto?

Ti chiedo chi ha bus-sato alla porta

Ci domandiamo dovetroveremo un aiuto

292

Anche col verbo al condizionale o all'infinito:Non so chi gli crederebbe; Siamo incerti dove an-dare.

Peraltro, al posto dell'indicativo, viene usatofrequentemente, e talora è preferibile, il con-giuntivo, il quale accentua l'espressione dell'in-certezza o del dubbio: Si ignora quando e da dovegli Etruschi siano giunti in Italia (ma anche: ...sono giunti...).

INDIRETTE «DI FRASE»

Le interrogative in cui la domanda verte sull'in-tera frase, prive nella forma diretta di qualsiasiindicatore (tranne l'intonazione), nella forma in-diretta (dove l'intonazione viene meno) sono in-trodotte dalla congiunzione se:

Hanno bussato allaporta?

Carla verrà con noi?

La domanda è: il de-naro basterà?

Ti chiedo se hanno bus-sato alla porta

Indovina se Carla ver-rà con noi

La domanda è se il de-naro basterà

Sussistono i modi verbali dell'interrogativa diret-ta, e cioè di norma l'indicativo. Anche il condi-zionale o l'infinito: Non so se si potrebbe dir me-glio; Penso se fidarmi di lui.Al posto dell'indicativo è possibile il congiunti-vo: Cerchiamo di scoprire se gli Etruschi sianogiunti in Italia dall'Oriente.

NOTA

• La congiunzione se che introduce l'interrogativaindiretta è la stessa tipica delle proposizioni condizio-nali (Prendilo, se ti piace), ma con un valore del tuttodiverso (vedi capitolo 36, § 3).

INDIRETTE «DISGIUNTIVE»

L'interrogativa indiretta disgiuntiva è introdot-ta anch'essa da se, premesso al primo termine; ilsecondo termine è introdotto, come nella formadiretta, da o, oppure da o se:

Ti chiedo se hanno bussato alla porta o è stato unaltro rumoreTi chiedo se hanno bussato alla porta o se è statoun altro rumore.

Il congiuntivo è possibile al posto dell'indica-tivo.

INDIRETTE «RETORICHE»

Le interrogative retoriche, in quanto voglionoesprimere, spontaneo o artificioso che sia, un mo-to concitato dell'animo, in genere hanno formadiretta.Nulla esclude tuttavia che possano presentarsiin forma indiretta (all'indicativo o anche alcongiuntivo):

Vi domando se ho forse torto, se non ho forse ra-gione, se io non abbia torto, se io non abbia ragio-ne, ecc.

293

COME USARE IL VOCABOLARIO

I costrutti verbali

II vocabolario, che tante volteabbiamo indicato come lo stru-

mento fondamentale per risol-vere dubbi grammaticali e rice-vere un suggerimento, potràaiutarci anche nella scelta dei

costrutti verbali. In genere pe-rò, in questo caso, più che indi-cazioni esplicite, troveremo e-sempi su cui basarci.

294

35. Le proposizionidipendenticircostanziali (1)

1. QUADRO COMPLESSIVO

MOLTI TIPI DI CIRCOSTANZIALI

Le proposizioni circostanziali, come si è già det-to, aggiungono alla reggente una determinatacircostanza. Come accade nella proposizione peri complementi indiretti, si distingue, nel periodo,una molteplicità di funzioni specifiche, propriedei vari tipi di circostanziali (esplicite ed impli-cite).

L'ordine che adottiamo in questo e nel seguentecapitolo è:

- causali- finali

- consecutive

- temporali

— locali

- comparative e modali

- concessive

- condizionali (e comparativo-ipotetiche e con-cessivo-ipotetiche)

- avversative

- esclusive

- giudicative

COME ORIENTARE LA NOSTRA RICERCA

Per ciascun tipo di dipendente circostanziale ledomande che ci poniamo sono:

• quale funzione assolve in rapporto alla reg-gente;

• quali congiunzioni (per es. perché) e locuzio-ni congiuntive (per es. dato che) la introduconoquando si presenta in forma esplicita;

• quali modi verbali vi sono impiegati (indica-tivo, condizionale, congiuntivo);

• se essa, come spesso accade, si presenta anchein forma implicita, e in quale modo verbale (in-finito, participio, gerundio), introdotto o meno dacongiunzioni o preposizioni.

2. PROPOSIZIONI CAUSALI

Spiegano la causa, il motivo, la ragione diquanto è enunciato nella reggente. Confrontate,nella proposizione, il complemento di causa:

per la sua digeribilità[compi, di causa]

perche e facilmentedigeribile[prop. causale]

296

CAUSALI ESPLICITE

La congiunzione fondamentale delle causali e-splicite è perché. Comuni anche poiché, giac-ché, siccome; letterarie che, come; antiquatedacché, attesoché, ecc. Locuzioni equivalenti: datoche, visto che, per il fatto che, dal momento che,in quanto, ecc.

MODI VERBALI

II modo verbale normale è l'indicativo, sia chela causa venga addotta come obiettivamente rea-le, sia che risulti dal contesto come soggettiva:

Lasciarono l'albergo perché il trattamento era pes-simoLasciarono l'albergo perché il trattamento, secon-do loro, era pessimo.

La soggettività o opinabilità della causa addottapuò venire espressa anche mediante il modo con-dizionale:

Lasciarono l'albergo perché il trattamento sarebbestato pessimo.

Si usa preferibilmente il congiuntivo quando li-na causa viene negata (e, in genere, le viene con-trapposta — all'indicativo — la causa reale):

Lasciarono l'albergo non perché il trattamento fos-se pessimo, ma perché avevano finito i soldi.

NOTE

• È facile distinguere perché causale, di normaall'indicativo, da perché finale, sempre al congiuntivo(vedi § 3). Il perché che introduce l'interrogativa indi-retta è caratterizzato da un determinato verbo nellaproposizione reggente (vedi capitolo 34, § 5).

• Non di rado, specie nel parlato, alla causale corri-spondono nella reggente gli elementi correlativi così,allora, proprio per questo, ecc.: flato che non c'eranonovità, così ieri non ti ho telefonato.

• Anche il semplice che (da non confondere con che)può assumere un valore causale: Su, coraggio, che cel'hai fatta.

CAUSALI IMPLICITE

Possono prendere due forme:

• per + infinito (in genere passato):

È stato assolto per non aver commesso il fatto

• gerundio (presente o passato) o participiopassato (il cui valore causale può essere sottoli-neato da in quanto):

Avendo acquisito prove sicure, il giudice arrestògli indiziatiGli indiziati, schiacciati dall'evidenza delle prove,confessaronoAltri, in quanto ritenuti estranei al delitto, furonorilasciati.

NOTA

• Ha lo stesso valore del gerundio (causale o stru-mentale) col + infinito: Tu col tergiversare perdimolte occasioni.

3. PROPOSIZIONIFINALI

Indicano la circostanza costituente il fine, loscopo, l'obiettivo in vista del quale si svolge ilprocesso della reggente. Alla finale corrisponde,nella proposizione, il complemento di fine e divantaggio:

per la realizzazionedei loro ideali[complemento di fine]

FINALI ESPLICITE

affinchè si realizzasseroi loro ideali[proposizione finale]

Sono introdotte dalla congiunzione perché e -di uso prevalentemente letterario -- affinchè,acciocché, onde; e inoltre dalle locuzioni o che,in modo che, allo scopo che, ecc.; talora dal sem-plice che.

Il modo è sempre il congiuntivo (presente e im-perfetto):

Lavoro sodo perché tutto sia pronto per la datastabilitaLavorai sodo perché tutto fosse pronto entro la da-ta stabilitaChe cosa devo fare perché tu capisca quanto mimanchi?

297

•-H FINALI IMPLICITE

• per + infinito (di norma presente)È la forma più comunemente assunta dalla finalequando il soggetto è il medesimo della reggenteo è indeterminato:co

OO

Io lavoro sodo per preparare tutto entro la datastabilita; Quegli uomini coraggiosi si batteronoper garantirci la libertà; Bisogna lavorare sodoper raggiungere uno scopo.

• Inoltre anche: a, al fine di, allo scopo di, inmodo da, onde + infinito:

A difendere i confini rimasero solo poche truppe.

• pur di + infinito, con un valore particolarefinale-concessivo (= allo scopo, perseguito aqualsiasi costo, di):

Pur di vincere, non esita a barare.

NOTE

• Da + infinito determina verbi, sostantivi e agget-tivi per indicare il fine, il dovere, la necessità, la pos-sibilità: Ho da chiederti una cosa; Vi preparo da man-giare; Non sono domande da fare (o da farsi); È un ap-parecchio facile da usare. Lo stesso valore, col riflessi-vo, si ha con a + infinito: È facile a dirsi.

• Un senso fondamentalmente finale è presente an-che in costrutti come:

• ordinare, pregare, concedere, consigliare, ecc. +che + congiuntivo• ordinare, pregare, concedere, consigliare, ecc. +

di + infinito• aspirare, azzardarsi, costringere, indurre, ecc. +

o + infinito

Tuttavia è preferibile considerare le proposizioni di-pendenti che troviamo in tali costrutti come «comple-tive» (vedi capitolo 34), in quanto assolvono la funzio-ne di un sostantivo in funzione di oggetto: Ordinò cheessi avanzassero (o: Ordinò a loro di avanzare) = Or-dinò la loro avanzata.

4. PROPOSIZIONI CONSECUTIVE

lemento correlativo nella reggente è facoltativo,esso costituisce la norma con la consecutiva edè rappresentato dagli avverbi e locuzioni così,tanto, talmente, a tal punto, ecc. o dagli aggettivitale, tanto, siffatto.

CONSECUTIVE ESPLICITE

Vengono introdotte dalla congiunzione che. Ilperiodo assume questa struttura:

È così tardi, che non posso più aspettareÈ stato tanto generoso, che gli serberò eterna ri-conoscenzaLa situazione è tale che non sono ammessi ulte-riori indugi.

Quando nella reggente manca l'elemento correla-tivo, la consecutiva è introdotta da cosicché,così che, sicché, talché, tanto che, di modo che:

La situazione è grave, cosicché non sono ammessiulteriori indugiMario è ammalato, tanto che non può venire ascuola.

Il modo, come si vede dagli esempi, è l'indicati-vo. Il condizionale esprime una conseguenzapossibile o supposta: La notte è tanto buia chenon si distinguerebbe un gatto bianco da un gattonero.

CONSECUTIVE IMPLICITE

• da + infinito (col correlativo nella reggen-te);così da, sì da, in modo da + infinito (senzacorrelativo nella reggente):

La situazione è tale da non ammettere ulteriori in-dugiQuello scienziato ha compiuto scoperte fondamen-tali, sì da meritare il premio Nobel.

• a + infinito, in dipendenza dagli aggettivisolo, unico, primo, ultimo e simili:

È il solo a ignorare tutto (nel senso di: il solo intali condizioni che ignora tutto). In alternativa,con una prop. relativa: È il solo che ignora tutto(oppure: ...che ignori...).

• per + infinito, in dipendenza dall'avverbiotroppo:Esprimono una conseguenza, un effetto, una

conclusione di quanto enunciato nella proposi-zione reggente, alla quale si trovano sempre pò- È un ragazzo troppo onesto per essere sospettatosposte. Mentre, per altri tipi di dipendenti, un e- di ciò.

298

5. PROPOSIZIONI TEMPORALI

Esprimono una circostanza posta in relazione temporale col processo della reggente. Vi riscontria-mo una varietà analoga a quella dei complementi di tempo, perché il rapporto di tempo può specificar-si in molti modi (contemporaneità, anteriorità, posteriorità, ecc.).

e s p l i c i t e i m p l i c i t e

contemporaneità

tra azione della reggen-te e della temporale

quando:

Quando suona il campanello, tutti siprecipitano fuori (confronta il compi,di tempo determinato: Al suono delcampanello tutti si precipitano fuori)

anche con: come, allorché, allor-quando, nel momento che (o in cui),al tempo che (o in cui), nell'istante incui, ecc.

Il modo è l'indicativo; raramente, consfumatura di eventualità, il congiuntivo:Quando tutti siano disposti, potremo co-minciare.

Assume un valore particolare, di cen-tro dell'enunciato (al posto della prin-cipale), la temporale introdotta daquand'ecco: Tutto sembrava perduto,quand'ecco egli intervenne (= Proprioquando tutto sembrava perduto, egliintervenne)

mentre (per la contemporaneità nel-la durata):

Gianni, mentre il professore spiega,legge i fumetti (confronta il comple-mento di tempo continuato: Gianni,durante la spiegazione, legge i fumet-ti).

nel + infinito presente;gerundio presente:

Nel leggere i classici, prestate at-tenzione al loro stileLeggendo i classici, prestate atten-zione al loro stile

a + infinito presente, con unvalore misto temporale-causale:

A sentirlo parlare notammo il suoaccento straniero.

anteriorità

dell'azione della reggen-te rispetto alla tempo-rale

prima che + congiuntivo:

Ravvediti, prima che sia troppo tardi;Partirono per la spedizione prima chefossero stati fatti preparativi adeguati

prima di + infinito:

Prima di rispondere, pensaci', Do-vrò partire prima di aver saputol'esito

299

e s p l i c i t e i m p l i c i t e

dopo (dopo di) + inf. passato;part. passato (solo o con unavolta); gerundio passato:

Dopo aver ottenuto (o: avendo otte-nuto; ottenuta; una volta ottenuta)la qualificazione, non si allenaro-no più

(non) appena + part. passato:

Appena (o non appena) arrivato,sarà informato

fino a + infinito:

Mangiarono fino a non poternepiù

finché, fin quando, fino a quando +indicativo (talora congiuntivo); que-ste congiunzioni, a seconda del con-testo, assumono due valori distinti:

- per tutto il tempo che: Rimania-mo al mare finché durerà il beltempo

- fino al momento che: Rimaniamoal mare finché il babbo verrà aprenderci

Nel secondo significato finché vienespesso rafforzato da non pleonastico:Rimarremo al mare finché il babbonon verrà (o venga) a prenderci

ogni volta che, tutte le volte che +indicativo:II naso di Pinocchio si allungava o-gni volta che mentiva

azione ripetuta

azione graduale

punto di arrivonel tempo

punto di partenzanel tempo

da quando, dacché + indicativo:

Da quando siamo al mare il tempostato bello

appena, oppure non appena (connon pleonastico, cioè superfluo, noninfluente sul senso dell'enunciato)+ indicativo:

Gli comunicherò la notizia appena ar-riverà, oppure: Gli comunicherò lanotizia non appena arriverà

dopo che, dopoché, una volta che +indicativo (con riferimento al futuroanche congiuntivo):

Dopo che ebbero ottenuto la qualifica-zione, non si allenarono più; Una vol-ta che avete ottenuto (oppure: che ab-biate ottenuto) la qualificazione, dove-te seguitare ad allenarvi.

posteriorità

dell'azione della reggen-te rispetto alla tempo-rale

6. PROPOSIZIONI LOCALI

Le determinazioni locali, in tutta la loro varietà,trovano espressione fondamentalmente per mezzodi complementi (vedi capitolo 31). Alla moltepli-cità dei complementi di luogo corrisponde un nu-mero esiguo di proposizioni locali, tutte espli-cite:

• introdotte dalla congiunzione relativa dove (eda dove, donde, di dove, per dove) + indicativo(talora congiuntivo):

Dove c'è concardia, le istituzioni sono salde.

Non si confonda dove relativo con dove interrogativo.Nell'esempio dato qui sopra, dove è sostituibile con:nel luogo nel quale (con il quale pronome relativo):Nel luogo nel quale c'è concardia. Invece nella fraseNon so dove mi trovo, la proposizione dove mi trovo èuna interrogativa indiretta (vedi capitolo 34, § 5) ea dove si può sostituire in quale luogo, ad es.: Non soin quale luogo mi trovo (con quale aggettivo interro-gativo);

• introdotte dalla congiunzione generalizzantedovunque + congiuntivo o indicativo:

Dovunque tu vada, sarai ben accetto', Dovunquesei stato, hai avuto successo.

36. Le proposizionidipendenticircostanziali (2)

1. PROPOSIZIONICOMPARATIVE E MODALI

La comparazione, oltre che fra due termini dellastessa proposizione (Paolo è più veloce dì Marco),può essere stabilita fra due intere proposizioni(Marco è più veloce di quanto pensavamo). Leproposizioni comparative, quasi tutte esplicite,rappresentano appunto un «secondo termine» diparagone e possono essere di maggioranza, mino-ranza e uguaglianza.

COMPARATIVA DI UGUAGLIANZA

La comparativa di uguaglianza è introdottadalla congiunzione come o dai pronomi (o agget-tivi, o avverbi) relativi quanto, quale, in corri-spondenza ad elementi correlativi nella reggente:

È proprio così bravo come dicevano', Non è tan-to docile come sembra; Ti ho dato tanto quantoti spettava; La ricompensa non è tale quale mi a-spettavo (oppure: ... quale me la aspettavo).

Il modo, come si vede, è l'indicativo; la possibi-lità trova espressione nel condizionale: La ricom-pensa non è tale quale mi sarei aspettato.

PROPOSIZIONE MODALE

Spesso l'elemento correlativo manca:

È proprio bravo come dicevano; Ti ho dato quan-to ti spettava; La ricompensa non è quale mi aspet-tavo.

Quando la congiunzione è come e quando lacomparazione è del tutto implicita, parleremonon più di una comparativa, ma di una proposi-zione modale, esprimente, cioè, la modalità o lacorrispondenza dell'azione:

L'angolo è retto, come volevasi dimostrare; Cometi avevo detto, il problema non era difficile.

NOTE

• Si tenga distinto come comparativo e modale da co-me avverbio nelle interrogative dirette (Come stai?) eindirette (Ti chiedo come stai), per le quali si veda ilcapitolo 34.

303

tsi

e»OO

• Nei costrutti aggettivo + come + verbo essere ealtri simili la congiunzione come assume un valoremodale-causale:

Indulgente com'è (= dato che è così indulgente), ilprofessore ci scuserà.

COMPARATIVE DI MAGGIORANZAE MINORANZA

Con le comparative di maggioranza e mino-ranza la proposizione reggente contiene un ele-mento comparativo: per la maggioranza più (me-glio, maggiormente), per la minoranza meno (peg-gio). Queste comparative sono introdotte dallacongiunzione che o dalle locuzioni di come, diquanto, di quello che. Il modo, con sfumatureun po' diverse, è l'indicativo o il congiuntivo(talora il condizionale):

Lavora più di quel che il contratto prevede (oppu-re: preveda)Questo fuoribordo è meno veloce di quanto garan-tiva (oppure: garantisse) il costruttore.

Non di rado nella comparativa di maggioranza eminoranza si inserisce un «non» pleonastico: La-vora più di quel che il contratto non preveda.

ALTRE COMPARATIVE E MODALI

• La diversità del modo dell'azione è espressaper mezzo degli avverbi diversamente, altrimentinella reggente e delle locuzioni da come, daquello che, da quanto nella dipendente:

Si è comportato molto diversamente da come la-sciava prevedere il suo carattere.

• La preferenza per un'azione, che viene ante-posta a un'altra o la esclude, si esprime conpiuttosto che, piuttosto di, più che + infinito:

Sopporterà qualsiasi conseguenza piuttosto chetradire i suoi; Più che mangiare, spilluzzica.

Quando la reggente è una dipendente al congiun-tivo, anche il modo verbale della comparativapuò essere il congiuntivo:

Preferisco che si stabilisca da noi piuttosto chevada in albergo.

Per il valore modale (e strumentale) del gerundio ve-di capitolo 37, § 8.

2. PROPOSIZIONI CONCESSIVE

Esprimono la circostanza nonostante la quale sisvolge il processo indicato dalla proposizionereggente. Si chiamano concessive in quanto si«concede», cioè si ammette, l'esistenza di un o-stacolo, il quale però non basta a impedire quan-to viene espresso dalla reggente. Alla concessivacorrisponde nella proposizione il complementoconcessivo:

nonostante moltiostacoli[compi, concessivo]

benché ci sianomolti ostacoli[prop. concessiva]

CONCESSIVE ESPLICITE

Le concessive di forma esplicita sono introdottedalle congiunzioni e locuzioni:

benché, ancorché, sebbene, seppure, quantun-que, nonostante, malgrado

per quanto, nonostante che, malgrado che, am-messo che, concesso che, per ( + aggettivo) che. Ilmodo è sempre il congiuntivo:

Sebbene la situazione fosse grave, conservava lacalma; Nonostante che molti dissentano, io man-tengo la mia opinione; Per gravi che siano le dif-ficoltà, le supereremo.

Hanno inoltre valore concessivo le proposizioniintrodotte dai pronomi, aggettivi e avverbi relati-vi generalizzanti chiunque, qualunque, chec-ché, comunque, dovunque. Sempre al congiun-tivo:

Chiunque avanzi un'ipotesi troppo ardita, all'ini-zio urta contro la diffidenzaComunque ci venga prospettata un'ipotesi di solu-zione, dobbiamo vagliarla crìticamente.

NOTA

• Spesso alla dipendente concessiva corrisponde nel-la proposizione reggente un elemento correlativo (unacongiunzione coordinante o un avverbio): tuttavia, pu-re, nondimeno, ugualmente, lo stesso. Per es.: Sebbenel'ora sia avanzata, tenteremo ugualmente la scalata.

304

CONCESSIVE IMPLICITE SECONDO TIPO: DELLA POSSIBILITÀ

Le concessive di forma implicita assumono le se-guenti forme:

pur, anche + gerundiopur, anche, benché, ancorché, quantunque, perquanto + participio passato (o anche, con co-strutto ellittico + aggettivo o complemento):

Pur conoscendo le difficoltà, affrontò l'impresa;Benché circondati da forze soverchianti, continua-rono a battersi; Pur in condizioni di inferiorità,continuarono a battersi.

3. PROPOSIZIONI CONDIZIONALI:IL PERIODO IPOTETICO

Le proposizioni condizionali (o «suppositive»,o «ipotetiche») esprimono una condizione da cuidipende l'effettuarsi di quanto è enunciato dallareggente.La condizionale fondamentale, introdotta dallacongiunzione se, forma con la proposizione reg-gente una unità logica e sintattica, che chiamia-mo periodo ipotetico.Nel periodo ipotetico si distinguono la pròtasi(la premessa, l'ipotesi, espressa dalla proposizio-ne condizionale) e l'apòdosi (la conseguenza, e-spressa dalla reggente):

protasi apodosi

Se mi aiuti, te ne sarò grato

II periodo ipotetico si scinde in tre tipi: dellarealtà, della possibilità, dell'irrealtà.

PRIMO TIPO: DELLA REALTÀ

Nel periodo ipotetico della realtà (o obiettività),l'ipotesi è presentata come un dato di fatto; e siusano pertanto — sia nella protasi, sia nell'apo-dosi — tutti i tempi dell'indicativo (nell'apodosianche l'imperativo):

Se Alberto viene, forse chiederà quel libro; Se haiagito così, ti approvoSe proprio lo ritieni opportuno, porta con te lachitarra.

Nel periodo ipotetico di secondo tipo, l'ipotesi èavanzata come un'eventualità possibile. I modiimpiegati sono il congiuntivo imperfetto nellaprotasi e il condizionale presente nell'apodosi:

Se Alberto venisse, potrebbe chiedere quel libro;Se spiovesse, usciremmo subito.

TERZO TIPO: DELL'IRREALTÀ

Nel periodo ipotetico di terzo tipo, l'ipotesi èprospettata come qualcosa assolutamente al difuori della realtà, qualcosa che non potrebbe mairealizzarsi o essersi realizzato. Quando l'azione èriferita al presente-futuro, i modi e tempi impie-gati sono gli stessi del secondo tipo, e cioè ilcongiuntivo imperfetto e il condizionale pre-sente:Se tuo padre fosse ancora vivo, certamente non ap-proverebbe la tua condotta.

Soltanto il contesto e la situazione consentonodunque di distinguere, con riferimento al presen-te, il terzo tipo dal secondo. Invece, quando l'ipo-tesi irreale è riferita al passato (e quindi siamocerti che non si è realizzata), si può avere solo ilterzo tipo. I modi usati sono il congiuntivo tra-passato nella protasi e il condizionale presen-te o passato nell'apodosi:

Se avessimo vinto quella partita, ora tutto sarebbepiù facileSe avessimo vinto quella partita, avremmo ottenu-to la qualificazione

NOTE

• II tipo della realtà e della possibilità possono in-crociarsi, producendo dei «tipi misti»:

Se Alberto venisse, gli consegnerai quel libro

Se Alberto viene, gli consegneresti per favore quel li-bro?

• Nella protasi del tipo dell'irrealtà l'indicativo im-perfetto può sostituire il congiuntivo trapassato dellaprotasi:

Se Cesare sopravviveva (= fosse sopravvissuto) allacongiura, il corso della storia sarebbe cambiatoSe mi avvisavano ( — avessero avvisato), sarei interve-nuto alla riunione.

• Soprattutto nel parlato, si trova usato l'indicativoimperfetto anche nell'apodosi:

Se mi avvisavano, intervenivo alla riunione.

305

• Talora la condizionale è implicita: se + participiopassato:

Se ben cotti, certi funghi velenosi diventano commesti-bili.

• Non di rado nel periodo ipotetico di primo tipo ilvalore condizionale di se si attenua e ne risulta una

correlazione i cui due termini sono la protasi e l'apo-dosi:

Se le tue ragioni sono valide, anche gli argomenti deltuo antagonista non possono essere trascurati (= Dauna parte le tue ragioni sono valide, ma d'altra partegli argomenti...).

Se ipotetico ese interrogativo

La congiunzione se assumedue valori distinti nell'introdur-re la protasi di un periodo ipo-tetico e una proposizione inter-rogativa indiretta. Come distin-guere le due funzioni?

Mezzi di verifica

Anzitutto, la condizionale (lapròtasi) è separata dalla reg-gente mediante la virgola, l'in-terrogativa no, perché, in quan-to «completiva», è in funzionedi oggetto o di soggetto e, co-me sappiamo, non si separanomai l'oggetto o il soggetto dalpredicato.Tutto ciò vale per la pagina chetroviamo scritta, ma noi non cioccupiamo solo della linguascritta, e poi a dover metterequalcosa per iscritto — e conle virgole giuste! — potremmoessere proprio noi.Ricorriamo allora ad altri mezzidi verifica:

1) La proposizione interrogativadipende da gruppi ben indivi-duabili di verbi (vedi capitolo34, § 2), come domandare, in-formarsi, cercare, dubitare,ecc.: Mi informerò se ci hannoconvocati. La verifica tuttavia,di per sé, non è decisiva, per-

DUBBI LINGUISTICI

che questi verbi possono ancherappresentare l'apodosi di unperiodo ipotetico: Mi informerò,se ti sembra necessario.

2) II periodo reggente + inter-rogativa indiretta può esseresostituito dal costrutto reggen-te: interrogativa diretta:

Ti domando se sei contento -»Ti domando: «Sei contento?»

A rigore però anche l'ipotesipotrebbe essere trasformata inuna domanda.

3) II sistema più sicuro di verifi-ca è perciò di approfondire lastruttura del periodo, chiarendoquale è esattamente la funzionedella dipendente: a) di sostanti-vo (oggetto o soggetto) nell'in-terrogativa, che — ripetiamoloancora — è una proposizione«completiva»; b) di circostanzacondizionale nella protasi delperiodo ipotetico; e cioè, per e-sempio:

a) Dimmi se questo libro ti pia-ce (interrogativa: se questo li-bro ti piace è l'oggetto di dim-mi; equivale a: ia tua opinionesu questo iibro);

b) Dimmelo, se questo libro tipiace (condizionale: dimmi hagià un suo oggetto, -io, e, aparte ciò, la proposizione sequesto iibro ti piace indica ilverificarsi di una data circo-

stanza; equivale a: nei caso diuna tua valutazione positiva diquesto libro).

Nelle altre lingue

La distinzione tra i due valori dise non ha un fine solo teorico,ma è necessaria nel passaredall'italiano a molte lingue stra-niere. Le altre lingue romanzeprocedono come l'italiano (e,per esempio, in francese lacongiunzione si vale tanto perla condizionale quanto per l'in-terrogativa indiretta), ma in in-glese e in tedesco, come purein latino, la distinzione esiste.In inglese si oppongono wheth-er (= se dubitativo) e if (= secondizionale, anche se in par-te l'uso di if si estende all'a-rea dell'interrogazione e deldubbio). Quindi: Non so se i/er-ra = i don't know whether hei/vi// come; Se viene, glielo dirò= If he comes, I will teli him.Allo stesso modo abbiamo intedesco ob (= se dubitativo) ewenn (= se condizionale). Pe-raltro, oltre che Wenn erkommt, werde ich es ihm sagen= Se viene, glielo dirò, si diceanche: Kommf er, so werde iches ihm sagen, cioè la condizio-nale (la pròtasi) viene espressasenza congiunzione e prende laforma di una proposizione in-terrogativa diretta.

306

4. ALTRE PROPOSIZIONICONDIZIONALI

PROPOSIZIONI « CONDIZIONALI-LIMITATIVE »

Hanno un valore condizionale-limitativo leproposizioni dipendenti introdotte dalle congiun-zioni e locuzioni:

purché, qualora, posto che, a patto che, a condi-zione che, nel caso che, sempre che, sempreché.

Il modo è sempre il congiuntivo:

Purché si moderi la velocità, questa strada non èpericolosaQualora si verificassero (oppure: verifichino) ritar-di, informatemi.

In forma implicita:

purché + participioa patto di, a condizione di + infinito:

Purché omologato, qualsiasi motore è ammesso al-la garaA patto di non eccedere, un po' di vino a pasto fabene.

PROPOSIZIONI « CONDIZIONALI-DISGIUNTIVE »

La correlazione disgiuntiva sia che... sia che...(anche: o che... o che...; che... o...; oppure, col se-condo termine ellittico: che... o no) prospetta unaduplice eventualità. Il modo è sempre il con-giuntivo:

Sia che tu approvi, sia che tu dissenta, farò quelloche ho detto; Che tu approvi o dissenta, farò quel-lo che ho detto; Che fosse colpevole o no, venne in-criminato.

PROPOSIZIONI « COMPARATIVO-IPOTETICHE »

Quando una ipotesi e una comparazione si fondo-no insieme, ne risulta una proposizione compa-rativo-ipotetica, introdotta da:

come se, come, quasi, quasi che; che se.

Il modo è sempre il congiuntivo (di norma im-perfetto o trapassato):

Si comportano come se fossero loro i padroni dicasa

Si vuole imporre, quasi avesse (oppure: abbia) deidiritti su di noiOggi fa più caldo che se fossimo ai tropici.

PROPOSIZIONI « CONCESSIVO-IPOTETICHE »

Le proposizioni concessivo-ipotetiche risulta-no dalla fusione della funzione concessiva con lacondizionale.La congiunzione è anche se; il modo può esseresia l'indicativo, sia il congiuntivo, secondo lenorme del periodo ipotetico:

Anche se è simpatico, non gli posso permetterequestoAnche se me lo chiedesse in ginocchio, non glielopermettereiL'Impero Romano sarebbe crollato anche se i bar-bari non lo avessero invaso.

5. PROPOSIZIONI AVVERSATIVE,ESCLUSIVE E GIUDICATIVE

PROPOSIZIONI SUBORDINATEAVVERSATIVE '

Indicano una circostanza contrapposta all'enun-ciato della reggente. Sono introdotte da una con-giunzione che normalmente ha valore temporale,mentre, e da un'altra con originario valore loca-le, laddove (di uso letterario). Il modo è l'indi-cativo:

Tu prendi la cosa alla leggera, mentre le difficoltà •sono notevoliAvete giudicato troppo severamente quest'opera,laddove i pregi non mancano.

Hanno pure un valore avversativo le proposizio-ni implicite all'infinito (corrispondenti al com-plemento di sostituzione) introdotte da invece di,anziché:

Invece di lamentarti e sospirare, sopporta da uo-mo le avversità

1 La precisazione «subordinate» è necessaria perché esisto-no anche delle proposizioni coordinate avversative: vedi ca-pitolo 33, § 2.

307

Anziché aspettare ancora, organizziamoci e pren-diamo noi l'iniziativa.

PROPOSIZIONI ESCLUSIVEE ECCETTUATIVE

Corrispondono al complemento di esclusione (ve-di capitolo 32, § 1). Esprimono dunque ciò che siesclude o per cui si fa eccezione rispetto al pro-cesso della reggente.

Esplicite

senza che + congiuntivotranne che, salvo che + indicativo o congiun-tivoa meno che (non) + congiuntivo:

Ha compiuto il lavoro senza che nessuno lo aiu-tasseAbbiamo eseguito il compito, tranne che l'ultimoproblema, era troppo astrusoVerrò domani a meno che non sia trattenuto daimpegni.

Implicite

senza + infinitotranne che, fuorché- + infinito:

Ha compiuto il lavoro senza chiedere l'aiuto dinessunoFarò tutto, tranne che tradire la tua fiducia.

PROPOSIZIONI GIUDICATIVE

Corrispondono al complemento giudicativo (vedicapitolo 32, § 4) e indicano la base di valutazione,il punto di riferimento, anche una limitazione ri-spetto all'enunciato della reggente. Sono intro-dotte dalle locuzioni:

a quel che, a quanto, per quanto (da non con-fondere con per quanto concessivo, col congiunti-vo), nella misura in cui, ecc. Il modo è l'indi-cativo:

A quel che sembra, non ne azzecca mai unaPer quanto risulta dagli accertamenti, tutto è inregola.

308

37. Proposizioni relative.Discorso indiretto.Riepilogo della sintassidel periodo

1. LE PROPOSIZIONI RELATIVE:QUADRO GENERALE

RELATIVE «PROPRIE» E «CIRCOSTANZIALI»

Le relative rappresentano il terzo gruppo delleproposizioni dipendenti, dopo le completive e lecircostanziali.La forma delle proposizioni relative — ci riferia-mo in primo luogo a quelle introdotte dai prono-mi il quale, che, cui, chi — è già stata ampiamen-te illustrata nella morfologia (vedi capitolo 14, §1-3). Qui dobbiamo invece approfondire le lorofunzioni nel periodo, funzioni che possono esserediverse. Distinguiamo infatti:

1) la relativa «propria», con una funzione com-parabile a quella assolta nella proposizione dal-l'attributo o dall'apposizione:

Apprezzo quel deputato, che è indubbiamente one-sto e capace(= Apprezzo quel deputato, indubbiamente one-sto e capace)

2) la relativa in funzione di una data proposizio-ne circostanziale:

Cerco un deputato che mi appoggi in quella pra-tica( = Cerco un deputato perché mi appoggi in quel-la pratica: valore finale).

PRONOMI E AVVERBI RELATIVI SPECIFICI

Oltre a il quale, che, cui, chi esistono altri pronomirelativi, ma presentano valori particolari, cosicché leproposizioni che essi introducono sono già state regi-strate sotto altri tipi di proposizioni dipendenti. Eprecisamente:

qualequanto

proposizioni comparative(vedi capitolo 36, § 1)

qualunque, chiunque proposizioni concessive(vedi capitolo 36, § 2)

Lo stesso si dica per gli avverbi relativi:

comequanto

proposizioni comparative(vedi capitolo 36, § 1)

310

dovedovunque

quando

comunque

proposizioni locali(vedi capitolo 35, § 6)

proposizioni temporali(vedi capitolo 35, § 5)

proposizioni concessive(vedi capitolo 36, § 2)

2. LE RELATIVE PROPRIE

La funzione della relativa propria (detta anche«aggettiva» o «attributiva») è, come abbiamodetto, analoga alla funzione dell'attributo o del-l'apposizione. Ma naturalmente, facendo pernosu un proprio predicato, la relativa può arric-chirsi di determinazioni in misura ben maggioredi un semplice aggettivo, sostantivo o sintagmanominale. Confrontate ad es.:

Carlo Alberto, il tentennante re di Sardegna ( =apposizione), abdicò nel 1848Carlo Alberto, che come re di Sardegna aveva ten-tennato per quasi vent'anni tra reazione e riforme(= prop. relativa), abdicò nel 1848.

RELATIVE ACCESSORIE E RELATIVELIMITATIVE

Esattamente come gli elementi attributivi, leproposizioni relative proprie possono indicareuna qualificazione accessoria oppure una deter-minazione necessaria. Si confrontino i due perio-di seguenti:

1) Raccogliemmo le rose, che erano fiorite2) Raccogliemmo le rose che erano fiorite.

Nel periodo 1) la relativa descrive semplicementeuna caratteristica delle rose che raccogliemmo(erano fiorite): è dunque accessoria.Nel periodo 2) si afferma invece che l'azione delraccogliere rose si limitò a quelle che erano fiori-te, mentre, per esempio non saranno state coltele rose in boccio. La relativa del periodo 2) ha,cioè, un valore limitativo, restrittivo, ed è par-te integrante e necessaria del periodo stesso.A precisare il valore accessorio o necessariodella relativa intervengono spesso altri elementi;per esempio:

3) Raccogliemmo quelle rose, che erano tutte fio-rite

4) Raccogliemmo solo le rose che erano già fiorite.

Ma anche nelle formulazioni 1) e 2), in cui ledue relative formalmente sono del tutto identi-che, la differenza sussiste: e viene espressa me-diante una breve pausa (resa dalla virgola) nelcaso della relativa accessoria, mentre la relati-va limitativa vien fatta seguire senza pausa (equindi senza virgola) alla reggente.

La relativa introdotta dal pronome chi ( = coluiil quale: vedi capitolo 14, § 3) assolve sempre unafunzione necessaria, ha sempre un valore limitati-vo. Infatti questa relativa non corrisponde a unattributo, ma a un sostantivo (in funzione disoggetto, oggetto, ecc.): Chi più ha, più desidera(= La persona che più ha, ...).

MODI VERBALI

II modo della relativa propria è di norma, comenegli esempi visti, l'indicativo; per indicare lapossibilità il condizionale:

Vi consiglio dei libri la cui lettura dovrebbe gio-varvi molto.

Non di rado, inoltre, la relativa limitativa ha ilcongiuntivo:

Gli studenti che siano interessati all'iniziativapossono rivolgersi alla segreteria (oltre che: ...chesono interessati...).

3. LE RELATIVE CIRCOSTANZIALI

La proposizione relativa può anche assolvere unafunzione non più genericamente attributiva, maspecifica, venendo ad equivalere a determinateproposizioni circostanziali.

AL CONGIUNTIVO

Ciò risulta particolarmente evidente nelle rela-tive al congiuntivo, in cui rileviamo valori di-versi:

• valore di proposizione finale:

Dobbiamo trovare una chiave che apra questosportello(= ... per aprire questo sportello)

311

• valore di proposizione consecutiva:

Non espose nessun argomento che ci convincesse(= ... argomento tale da convincerci).

Spesso, peraltro, non è possibile distinguere trauna funzione specificamente finale o consecutivae basterà dire che si tratta di una relativa convalore consecutivo-finale;

• valore di proposizione condizionale (protasidel periodo ipotetico):

/ volonterosi, che siano disposti a qualche sacri-ficio, saranno di grande aiuto (= ..., se sono di-sposti ...).Chi presti la propria opera avrà la soddisfazionedi aver fatto il suo dovere (= Se uno presta lasua opera...).

ALL'INDICATIVO

Anche in alcune relative all'indicativo possia-mo rilevare un determinato valore specifico, siadeducibile dal contesto, sia posto in evidenza daaltri elementi (nella reggente o nella relativastessa):

• valore di proposizione causale:

/ fuggiaschi, che erano allo stremo, dovettero con-segnarsi agli inseguitori(= ..., poiché erano allo stremo, ...)

• valore di proposizione concessiva:

Luciano, che pure è intelligente, non sa farsi vale-re; ovvero:Luciano, che è intelligente, tuttavia non sa farsivalere( = Luciano, sebbene sia intelligente, non sa farsivalere).

DISCORSO DIRETTO E INDIRETTO

Usiamo un discorso diretto quando ci rivolgia-mo a un interlocutore o quando, nel monologo onella riflessione, ci rivolgiamo a noi stessi. E levarie frasi che formiamo parlando o scrivendosaranno delle asserzioni (affermazioni o negazio-ni), o delle domande, o dei comandi, o delle e-sclamazioni. E, questa, la forma usuale della con-versazione, del dialogo di un'opera teatrale, dellasceneggiatura di un film, delle parti dialogiche diun'opera narrativa. Ma il discorso mio, dell'in-terlocutore o di altri può anche essere riportato,reso «indiretto», col subordinarlo a verbi di «di-re», «domandare», ecc.

discorso diretto discorso indiretto

«Sono felice» Mi disse di essere felice(o: che era felice)

«Dove vai?» Mi domandò dove andavo«Raggiungimi!» Mi raccomandò di raggiungerlo

(o: che lo raggiungessi)

Dai verbi di «dire» o «esortare» dipenderà, a se-conda dei casi, una proposizione infinitiva o di-chiarativa, dal verbo di «domandare» un'inter-rogativa indiretta. Modi e tempi sono regolatidalle norme che conosciamo; la diversa prospetti-va adottata (il mutamento del soggetto) compor-ta poi, come è ovvio, cambiamenti nelle personeverbali, nella scelta di pronomi e avverbi, ecc.Dopo i tre esempi dati sopra, in cui il discorsoindiretto è costituito da una sola, brevissimaproposizione, vediamone uno più ampio:

4. IL DISCORSO INDIRETTO

discorso diretto discorso indiretto

« Sono felice perché ho ri- Mi disse che era felicesolto i miei problemi ed o- perché aveva risolto i suoira farò un viaggio che ho problemi ed ora avrebbeprogettato da tempo e che fatto un viaggio che avevami porterà fino in Spa- progettato da tempo e chegna. Verrai anche tu? Ac- lo avrebbe portato fino incompagnami!» Spagna. Mi chiese se sa-

rei andato (o: andavo) an-ch'io e mi esortò ad ac-compagnarlo (o: mi disseche lo accompagnassi)

II discorso indiretto non rappresenta una cate-goria sintattica a sé (come, per es., la proposizio-ne dichiarativa, causale, relativa, ecc.). Vi ritro-viamo cioè proposizioni dipendenti e fenomenisintattici già studiati; tuttavia esso richiede al-cune brevi considerazioni.

VARIETÀ DI SOLUZIONIPER IL DISCORSO INDIRETTO

Come ci si accorge subito, non appena il discorsoindiretto si amplia, risulta appesantito dai moltitempi verbali composti, dai condizionali per l'in-dicazione del futuro, dai congiuntivi che corri-spondono all'imperativo. Perciò spesso si preferi-sce adottare altre soluzioni, e cioè:

• si riporta il discorso diretto così com'è:

Mi disse: «Sono felice perché...»

• si ricorre allo «stile indiretto libero», chefonde insieme caratteristiche del discorso indiret-to e del diretto ed appare molto più agile, soprat-tutto nella resa delle proposizioni interrogative(che rimangono dirette) e dell'imperativo. Il ver-

bo di «dire» viene inserito parenteticamente, op-pure rimane sottinteso. Per esempio:

Era felice — disse — perché aveva risolto i suoiproblemi ed ora avrebbe fatto un viaggio che ave-va progettato da tempo e che lo avrebbe portatofino in Spagna. Sarei andato anch'io? Lo accom-pagnassi (o: Avrei dovuto accompagnarlo; Dovevoaccompagnarlo).

Quello riportato qui sopra è un possibile modellodi stile indiretto libero, ma non mancano altrevarianti, anche più sciolte e più svelte, per es.col presente narrativo:

È felice — mi confida — perché ha risolto i suoiproblemi e ora farà un viaggio in Spagna che haprogettato da tempo; mi chiede se vado anch'io emi invita ad accompagnarlo.

5. RICAPITOLAZIONE DELLA SINTASSIDEL PERIODO: PROPOSIZIONI ESPLICITE

I vari tipi di proposizioni dipendenti sono stati considerati fin qui secondo l'ordine delle loro funzio-ni, e i «quadri di riferimento» dei relativi capitoli offrono, per gruppi di proposizioni, delle chiaresintesi. Inoltre, per quanto riguarda le proposizioni esplicite (cioè col verbo finito), trovate qui di se-guito un repertorio in cui sono registrati in ordine alfabetico gli elementi che le introducono: in pre-valenza congiunzioni (come perché) e locuzioni congiuntive (come per il fatto che) e poi pronomi e ag-gettivi (come quale; solo per questi è indicata tralocuzione, va cercata sotto la prima parola che lasotto fatto.

parentesi la categoria grammaticale). Quanto allacompone, ad esempio per il fatto che sotto per, non

La seconda colonna del repertorio indica la funzione o le funzioni sintattiche e la terza colonna rin-via al capitolo e al paragrafo del testo in cui tali funzioni sono trattate e, spesso, vengono datiesempi.

acciocché finale 35 § 3

a che finale 35 § 3

a condizione che condizionale 36 § 4

affinchè finale 35 § 3

allorché temporale 35 § 5

allorquando temporale 35 § 5

al tempo che temporale 35 § 5

a mano a mano che temporale 35 § 5

a meno che eccettuativa 36 § 5

ammesso che concessiva 36 § 2

anche se concessivo- 36 § 4ipotetica

ancorché concessiva 36 § 2

a patto che condizionale 36 § 4

appena temporale 35 § 5

a quanto giudicativa 36 § 5

a quel che giudicativa 36 § 5

benché concessiva 36 § 2

che (pron. agg.) interrogativa 34 § 5(dir. e) indir.

(pron. agg.) relativa 37 § 1-3

(cong.) dichiarativa 34 § 3soggettiva

(cong.) dichiarativa 34 § 3oggettiva

313

(cong.)

(cong.)

(cong.)

(cong.)

che

checché

che cosa (pron.)

che se

chi (pron.)

chiunque (pron.)

come

come se

comunque'•

concesso che

cosicché

così che

cui (pron.)

dacché

da come

da dove

dal momento che

da quando

da quanto

causale

finale

consecutiva

comparativadi magg. o min.

causale

concessiva

interrogativa(dir. e) indir.

comparativo-ipotetica

interrogativa(dir. e) indir.

relativa

concessiva

interrogativa(dir. e) indir.

causale

temporale

comparativae modale

comparativo-ipotetica

comparativo-ipotetica

concessiva

concessiva

consecutiva

consecutiva

relativa

causale

temporale

comparativa

interrogativa(dir. e) indir.

locale

causale

temporale

comparativa

35 § 2

35 § 3

35 §4

36 §1

35 §1

36 § 2

34 §5

36 §4

34 §5

37 § 1-3

36 §2

34 §5

35 § 2

35 § 5

36 §1

36 §4

36 §4

36 § 2

36 § 2

35 §4

36 §4

37 § 1-3

35 § 2 _

35 § 5

36 §1

34 §5

35 §6

35 §2

35 § 5

36 §1

di quello che

dato che

di come

di dove

di modo che

di quanto

di quello che

donde

dovunque

dopo che

dopoché

dove

finché

fino a quando

fin quando

giacché

il quale (pron.)

in modo che

in quanto

laddove

malgrado (che)

man mano che

mentre

nel caso che

nella misura in cui

nel momento che

non appena

nonostante (che)

o che... o che

ogni volta che

onde

comparativa

causale

comparativa

interrogativa(dir. e) indir,

locale

consecutiva

comparativa

comparativa

interrogativa(dir. e) indir.

locale

locale

temporale

temporale

interrogativa(dir. e) indir.locale

temporale

temporale

temporale

causale

relativa

finale

causale

avversativa

concessiva

temporale

temporale

avversativa

condizionale

giudicativa

temporale

temporale

concessiva

condizionale

temporale

finale

36 §1

35 §2

36 §1

34 §5

35 §6

35 §4

36 §1

36 §1

34 §5

35 5 6w 5 v

35 §6

35 §5

35 §5

34 §5

35 §6

35 §5

35 § 5

35 § 5

35 § 2

37 § 1-3

35 § 3

35 § 2

36 §5

36 § 2

35 § 5

35 §5

36 §5

36 §4

36 §5

35 §5

35 §5

36 § 2

36 §4

35 §6

35 § 3

314

per... che

perché

per dove

per il fatto che

per quanto

piuttosto che

poiché

posto che

prima che

purché

concessiva

causalefinale

interrogativa(dir. e) indir.locale

causale

concessivagiudicativa

comparativa

causale

condizionale

temporale

condizionale

quale (pron. agg.) interrogativa(dir. e) indir.comparativa

qualunque (pron. agg.) concessiva

quando

quanto(pron. agg. avv.)

temporale

interrogativa(dir. e) indir.comparativa

36 § 2

35 §235 §3

34 §5

35 §6

35 §2

36 § 236 §5

36 §1

35 §2

36 § 4

35 §5

36 §4

34 §5

36 §1

36 § 2

35 § 5

34 §5

36 §1

quantunque

quasi

quasi che

salvo che

se

sebbene

sempreché

senza che

seppure

sia che... sia che

sicché

siccome

talché

tanto che

tranne che

tutte le volte che

una volta che

visto che

concessiva

comparativo-ipotetica

comparativo-ipotetica

esclusiva

interrogativaindirettacondizionale

concessiva

condizionale

esclusiva

concessiva

condizionale

consecutiva

causale

consecutiva

consecutiva

eccettuativa

temporale

temporale

causale

36

36

36

36

34

36

36

36

36

36

36

35

35

35

35

36

35

35

35

§ 2

§ 4

§ 4

§ 5

§ 5

§ 3

§ 2

§ 4

§ 5

§ 2

§ 4

§ 4

§ 2

§ 4

§ 4

§ 5

§ 5

§ 5

§ 2

6. RICAPITOLAZIONE:COSTRUTTI CON L'INFINITO

Diamo ora un quadro delle proposizioni dipendenti implicite all'infinito, procedendo anchecaso secondo gli elementi che le introducono. Dato che questi, rispetto allemeno numerosifabetico e, per

Infinito diretto

• completiva in• completiva in• completiva in

e in prevalenza si tratta

in questodipendenti esplicite, sono

delle preposizioni fondamentali, non ricorriamo all'ordine al-ogni tipo di proposizione, forniamo un esempio.

(cioè non introdotto da preposizione)

funzione di soggettofunzione di oggettofunzione di predicato

Mi conviene aspettarePreferisco aspettare; VedoVivere è pensare

sorgere il sole34 §34§34 §

11-22

315

Infinito introdotto da preposizioni fondamentali

di • completiva in funzione di soggetto Non gli importa di aspettare 34 § 1• completiva in funzione di oggetto Ti prometto di aiutarti; Ti ordino di partire 34 § 1-2• completiva in dipend. da sost. o agg. // desiderio di sapere; Avido di sapere 34 § 2

a • completiva in funzione di oggetto Ho imparato a nuotare; Ti insegnerò a nuo- 34 § 1-2tare

• finale Rimaniamo noi qui a proteggervi 35 § 3• consecutiva È il solo a ignorare tutto 35 § 4• temporale-causale A sentirlo, rimasi stupito 35 § 5

da • completiva Mi astenni dall'interferire 34 § 1• finale, ecc. Vi preparo da mangiare 35 § 3• consecutiva È così sciocco da non accettare 35 § 4

in • completiva Insistette nel pretendere un compenso 34 § 2• temporale (contemporaneità) Nel salire le scale inciampai 35 § 5

con • causale o strumentale Col tergiversare perdi molte occasioni 35 § 2

per • (inf. passato) causale Ha fallito per aver troppo osato 35 § 2• (inf. presente) finale Si batterono per conquistare la libertà 35 § 3• (inf. pres. e pass.) consecutiva È troppo astuto per cascarci 35 § 4

Infinito introdotto da altre preposizioni, da congiunzioni, pronomi, avverbi

• pronomi e avverbi interrogativi: interrogativa Non so chi chiamare; Non so dove andare 34 § 5indiretta

• se: interrogativa indiretta di frase e disgiuntiva Mi chiedo se rimanere; Non so se rimanere 34 § 5o andarmene

• al fine di, in modo da, ecc.: finale 77 comune ha preso provvedimenti al fine di 35 § 3migliorare il traffico

• pur di: finale-concessivo Pur di vincere, non esita a barare 36 § 2• prima di: temporale "Prima di rispondere pensaci 35 § 5• dopo: temporale Dopo averci pensato, rispondi 35 § 5• fino a: temporale Mangiarono fino a scoppiare 35 § 5• piuttosto di, che: comparativa Morirà piuttosto di tradire i suoi 36 § 1• a patto di: condizionale A patto di non rimetterci, parteciperò all'af- 36 § 4

fare• invece di, anziché: avversativa Invece di lamentarti, sii uomo! 36 § 5• senza: eccettuativa Ascoltò senza fiatare 36 § 5• fuorché, tranne che: eccettuativa Forò tutto fuorché tradire 36 § 5

7. RICAPITOLAZIONE:DIPENDENTI IMPLICITE

COL PARTICIPIO

Della forma che assumono le proposizioni implicitecol participio abbiamo già parlato nella morfologia(vedi capitolo 23), dove si è pure rilevato che il parti-cipio presente viene quasi sempre usato come aggetti-vo. Quanto al participio passato, riepiloghiamoneora le specifiche funzioni sintattiche.

FUNZIONE ATTRIBUTIVA

Riferito a qualsiasi elemento della proposizione reg-gente (soggetto, oggetto, complemento indiretto, ecc.),il participio passato può avere una funzione sempli-cemente attributiva, equivalendo in tal modo a unaproposizione relativa:

Sono questi i libri lasciati qui da Maria ( = che sonostati lasciati..:, il riferimento è al soggetto); Guarda ilibri lasciati qui da Maria (il riferimento è all'ogget-to); ecc.

FUNZIONE CIRCOSTANZIALE

Più spesso il participio — sia «congiunto» a un ele-mento della reggente, in genere il soggetto, sia usato«assolutamente» — assume una funzione circostan-ziale, e cioè la proposizione implicita col participio e-quivale a una data proposizione circostanziale esplici-ta. Il participio può essere inserito direttamente nelperiodo o, meno frequentemente, essere introdotto dauna congiunzione. Ricordiamo i valori specifici, già ri-levati nei capitoli precedenti:

• Causale (vedi capitolo 35, § 2)

Io sono venuto qui invitato da te (= perché sono statoinvitato da te)Occupati da altri tutti i posti, dovemmo arrangiarci( = dato che tutti i posti erano stati occupati da altri)

Introdotto dalla locuzione in quanto: Queste apparec-chiature inquinanti vanno distrutte, in quanto vietatedalla legge.

• Temporale (vedi capitolo 35, § 5)

Giunti al largo, fermammo il motore ( = Quando giun-gemmo al largo)Raggiunto l'alto mare, fermammo il motore (= Dopo

che fu raggiunto l'alto mare; oppure: Dopo che rag-giungemmo l'alto mare).

Il valore temporale può essere rilevato e ulteriormen-te specificato dalle congiunzioni o locuzioni una vol-ta, appena, non appena: Una volta preso il potere,non lo mollano più; (Non) appena conquistato il potere,abolirono la libertà.

NOTA

Spesso — quando manchino congiunzioni a precisareil senso — il valore causale e temporale si fondono.

• Condizionale (vedi capitolo 36, § 3)

Bevuto con moderazione, il vino fa bene (= Se vienebevuto con moderazione)

II valore condizionale può essere posto in evidenzadalle congiunzioni se o purché: Se bevuto con mode-razione...; Purché bevuto con moderazione,...

• Concessivo (vedi capitolo 36, § 2)

II valore specificamente concessivo deve essere rileva-to da una congiunzione (benché, sebbene, anche,pur), o anche da un apposito avverbio nella reggente:

Benché provato dalle avversità, il saggio non si scorag-giaProvato dalle avversità, il saggio tuttavia non si sco-raggia.

8. RICAPITOLAZIONE:DIPENDENTI IMPLICITE

COL GERUNDIO

II gerundio, presente e passato, ha sempre funzionecircostanziale, impiegato sia come gerundio «congiun-to», riferito al soggetto della reggente, sia come ge-rundio «assoluto» (per questa distinzione vedi capito-lo 23, § 3). Le funzioni specifiche sono già state ricor-date nei precedenti capitoli; le passiamo di nuovo inrassegna nello schema a pagina seguente.

NOTA

A parte il valore concessivo, rilevato dalla congiun-zione, gli altri valori si deducono esclusivamente dalsignificato del verbo e dal contesto, e i confini tra l'u-no e l'altro non risultano sempre netti: il valore potràdunque essere, per esempio, temporale-causale, modale-strumentale, ecc.

317

gerundio presente gerundio passato

• causale 35 § 2(risponde alla Arrivando in ritardo, sconvolgi i no- Essendo arrivato in ritardo, sconvolgidomanda: «per- siri piani (= Poiché arrivi in ritar- i nostri piani (= Poiché sei arrivatoche?») do, ...) in ritardo,...)

• temporale 35 § 5(risponde alla Passando per il centro, ho incontrato Avendo raggiunto la mèta, ora soste-d o m a n d a : Gino (= Mentre passavo per il cen- remo (= Dopo che abbiamo raggiun-«quando?») tra, ...) to la mèta, ...)

• modale 36 § 1(risponde alla I soldati marciavano cantandodomanda: «inquale modo?»)

• strumentale 36 § 1(risponde alla Risolveremo questo problema appli-domanda: «con cando il teorema di Pitagoraquale mezzo?»)

• concessivo È introdotto da pur o anche, che ne precisano il valore 36 § 2(risponde alla Pur comprendendo le tue ragioni, non Pur avendo accumulato molto denaro,domanda: «no- posso accontentarti (= Sebbene io l'avaro non è soddisfatto (= Sebbenenostante che comprenda le tue ragioni,...) abbia accumulato molto denaro,...)cosa?»)

• condizionale 36 § 3(risponde alla Potendo, ti accontenterò (= Se potrò,d o m a n d a : «a ...); Presentandosi l'occasione, verrò aquale condizio- trovarvi (= Se si presenterà Tocca-ne?») sione, ...)

ISEMANTICA

38. Il lessicoe il significato

1. CARATTERISTICHEDELLO STUDIO DEL LESSICO

L'OGGETTO DELLA SEMANTICA

Occupandoci di fonologia, di morfologia e di sin-tassi, ci siamo mossi entro campi di ricerca esat-tamente definiti e abbiamo considerato volta pervolta un numero relativamente ristretto di feno-meni, esaurendo, in certa misura, ciascun argo-mento. Infatti i fonemi dell'italiano non sono piùdi una trentina e, per riconoscerli, è sufficientel'individuazione di pochi «tratti distintivi», e lamorfologia e la sintassi descrivono una serie ric-ca e varia, ma non inesauribile, di strutture, sul-le quali si modella qualsiasi comunicazione lin-guistica.Invece l'oggetto che la semantica si propone distudiare, il lessico di una lingua, e cioè l'insiemedelle parole che la costituiscono considerate sottol'aspetto del loro significato, è un universo ster-minato e mutevole, in cui risulta anche moltopiù difficile scoprire delle costanti e delle strut-ture.

FUNZIONE E LIMITI DEL VOCABOLARIO

Del resto il libro che consultiamo per risolvere inostri dubbi sul significato delle parole che ci ac-cade di usare, di udire o di leggere non è la«grammatica», ma il vocabolario, compilatoproprio al fine di raccogliere l'intero lessico di u-na lingua e di fornire, mediante definizioni ed e-sempi, il significato e il valore di tutte le parole.Il vocabolario è dunque un indispensabile stru-mento di consultazione e di lavoro. Esso però,anche se cerca di stabilire una rete di rapportifra le diverse parole, le considera essenzialmenteuna per una, e inoltre si affida necessariamente,per le esigenze della consultazione, a un ordina-mento del tutto estrinseco, quello alfabetico.

IL COMPITO DELLA SEMANTICA

Per uno studio scientifico del lessico sono quindinecessari gli strumenti approntati dalla seman-tica, la quale:• ci fornisce la chiave per capire che cosa preci-samente dobbiamo intendere per «significato»;

• ci da un indirizzo per scoprire un ordine, un si-stema, delle strutture entro l'universo del lessico.

319

2. IL CONCETTO DI «LESSEMA»

Prima di entrare nel vivo dell'argomento, dobbia-mo introdurre alcuni termini specifici e delimita-re più esattamente l'ambito della semantica.

DISTINZIONE TRA «PAROLA» E «LESSEMA»

Considerate l'enunciato costituito da queste duebattute di dialogo:

«Riesci a vedere? Vedi la strada?» «Non vedostrade né sentieri.»

Le parole che vi si distinguono sono 11 e nessu-na viene ripetuta nella medesima forma, ma no-tiamo subito che vedere, vedi, vedo sono tre vocidello stesso verbo e strada, strade rispettivamen-te il singolare e il plurale dello stesso sostantivo.Le parole diverse, se guardiamo al solo significa-to, sono dunque non 11, ma 8. Tutto ciò ci è benchiaro dalla morfologia e dalla nozione di partivariabili del discorso.Al fine di evitare equivoci derivanti dall'ambigui-tà del termine «parola», per designare l'unito au-tonoma contraddistinta da un proprio significato,si usa — almeno quando la chiarezza dell'esposi-zione lo esige — il termine specifico lessema.Nel dialogo qui sopra le parole distinte sono 11,i lessemi 8.La semantica si occupa di lessemi, perché le for-me diverse che un lessema può assumere di nor-ma non coinvolgono il significato in quanto tale.E il vocabolario registra dei lessemi, quelli postiin evidenza dal neretto o in altro modo all'iniziodi ciascuna delle sue «voci», o, con termine piùtecnico, lemmi.Nel vocabolario, per l'individuazione dei lessemi,le parole invariabili, che hanno una forma sola,ovviamente non pongono problemi; quanto alleparole variabili, si assume per convenzione, comelemma, per il sostantivo la forma del singolare,per l'articolo, l'aggettivo e il pronome il maschilesingolare, e per il verbo l'infinito presente.

DI QUALI LESSEMI SI OCCUPA LA SEMANTICA

Abbiamo detto che il lessico di una lingua è ununiverso multiforme e che esso è presentato dalvocabolario senza un ordinamento intrinseco. Unprimo mezzo per introdurre un ordine reale con-

siste nello sfruttare un criterio che conosciamogià dalla morfologia: la classificazione delle paro-le in parti del discorso. Ed è infatti questa la pri-ma indicazione che anche il vocabolario da perogni lessema, in genere con un'abbreviazione:sost. o s. (= sostantivo), agg. (= aggettivo),prep. (= preposizione), ecc.Ora, il vocabolario si propone di abbracciare illessico della lingua nella sua totalità. Registraquindi lessemi appartenenti a tutte le parti deldiscorso. Invece oggetto della semantica sono es-senzialmente i lessemi cui corrisponde un signi-ficato vero e proprio, le «parole piene» (vedi ca-pitolo 6, § 2): e cioè i sostantivi, i verbi e gli ag-gettivi ed avverbi qualificativi. Le altre parti deldiscorso (articoli, preposizioni, congiunzioni eaggettivi e avverbi determinativi) sono, comesappiamo, parole che servono a dare forma all'e-nunciato: il loro significato si risolve in un nato-re, nell'espressione di una funzione, nell'indica-zione dei rapporti tra le «parole piene». La se-mantica, in linea di massima, ne prescinde, per-ché quanto concerne il loro valore e la loro fun-zione viene svolto ed esaurito dalla morfologia edalla sintassi.

3. CHE COSA SIGNIFICA«SIGNIFICATO»?

Di ogni lessema il vocabolario ci offre il signi-ficato (o spesso, come vedremo, più significati).Che cosa intendiamo esattamente con ciò? Valea dire, qual è il significato di «significato»?

UN ESPERIMENTO

Supponiamo che uno straniero abbia una cono-scenza approssimativa dell'italiano - - precisa-mente una discreta informazione grammaticale,ma una scarsa esperienza del lessico — e si trovia leggere questo enunciato:

Un ferie vonto ha scusso per lotta la natte i romidel piro.

Gli sembra, né più né meno, un enunciato dellalingua italiana. Infatti vi riconosce alcuni tipici«strumenti grammaticali» (un, ha, per, ecc.), al-tre parole che rispondono alle norme della fono-logia italiana e infine una struttura complessivache lascia ipotizzare la presenza di un soggetto,

320

di un predicato, ecc. Lo straniero addebiterà allapropria ignoranza il fatto di non capirci nulla ecercherà diligentemente su un vocabolario un ag-gettivo ferie, un sostantivo vonto, ecc. Solo repli-cate delusioni gli faranno concludere che si trat-ta di uno scherzo, perché le sequenze di suonif+e + r + t + e, v + o + n + t + o, ecc. non hannoin italiano alcun significato, non sono parole del-la lingua italiana. Cosicché l'intero enunciato,pur essendo formulato all'apparenza in modoconforme alle strutture della lingua, è privo disenso e non ha nessun rapporto con la realtà.Anche per noi, parlanti italiano, quell'enunciatoè privo di senso, con la differenza che arriviamoa tale conclusione all'istante, intuendo anche su-bito che il gioco verbale è consistito semplice-mente nel mutare le vocali toniche di alcune pa-role della frase: Un forte vento ha scosso per tuttala notte i rami del pero. Qui ciascuna parola è u-na parola dell'italiano ed è presente col suo si-gnificato nella mente di quanti appartengono al-la nostra comunità linguistica. E l'organizzazio-

ne di quelle parole in una frase da un senso pie-namente soddisfacente, comunica un'informazio-ne precisa.

IL RAPPORTO TRA LA LINGUA E LA REALTÀ

Un enunciato — questo lo sappiamo già — consi-ste in una catena di fonemi raggruppati in seg-menti (le parole) ed è costruito su modelli chefissano la forma delle parole e le relazioni reci-proche tra le parole. Ora, esso raggiunge il finedella comunicazione in quanto ad ogni parola èinerente un significato.Nella fonologia, nella morfologia e nella sintassinoi vediamo funzionare la lingua in conformità aleggi sue proprie, la analizziamo all'interno diun mondo per così dire chiuso e autonomo. Conla semantica si aprono le finestre: scopriamo ilrapporto che il sistema della lingua stabiliscecon ciò che è al di fuori della lingua stessa, conla sfera dell'esperienza umana, con la realtà.

COME USARE IL VOCABOLARIO

Ciascun /essema conle sue caratteristiche

II vocabolario registra tutti ilessemi della lingua: sia le«parole piene» (sostantivi, ver-bi, aggettivi e avverbi qualifica-tivi), le stesse di cui si occupala semantica, sia gli «strumentigrammaticali» (articoli, prono-mi, avverbi determinativi, pre-posizioni, congiunzioni, interie-zioni). Nel primo caso il voca-bolario provvede a precisare il«significato» (o più significati)per mezzo di una definizione(nel caso di oggetti concreti an-che di una dettagliata descrizio-ne) oppure, più brevemente, diun'equivalenza; nel secondo silimita a determinare la funzionee il valore, dando un condensa-to di argomenti più organica-mente e diffusamente svolti dal-la morfologia e dalla sintassi.

321

4. SIGNIFICANTE,SIGNIFICATO, REFERENTE

IN PRIMA APPROSSIMAZIONE

Abbiamo detto: il rapporto fra la lingua e ciòche è al di fuori della lingua, la realtà extralin-guistica. Qual è precisamente questo rapporto?Certo nella vita pratica non abbiamo dubbi, oabbiamo solo i dubbi provocati dai limiti dellenostre esperienze e conoscenze. Sappiamo di nor-ma quel che una data parola italiana, usata danoi o da altri, significa, designa, indica, e a unaprima riflessione ci sembra naturale stabilire unrapporto semplice e diretto.Se non comprendo una parola, chiedo: «Che cosovuoi dire? Che cosa significa?». Cercando poi direndere valida la corrispondenza per tutti i so-stantivi, i verbi, gli aggettivi e avverbi qualifica-tivi, preciserò che assegno a «cosa» il valore piùampio e generale, in modo da comprendere unoggetto concreto, animato o inanimato, o un'a-strazione, oppure un'azione o uno stato, oppureuna qualità o modalità.Ogni cosa, così intesa, avrebbe insomma una pro-pria «etichetta». Per esprimermi, non dovrei farealtro che allineare, modificandole e collegandolesecondo le norme della morfologia e della sintas-si, una serie di «etichette», di «contrassegni», di«gettoni».

APPROFONDIAMO IL PROBLEMA

Eppure la situazione che ci proponiamo di descri-vere e di spiegare non è affatto così semplice.In realtà la concezione della parola come etichet-ta o contrassegno può giustificarsi solo per unacategoria particolare di parole, i nomi propri.Napoleone, Aldo Rossi (quel solo Aldo Rossi che

io e i miei interlocutori conosciamo o abbiamopresente ora), Napoli, la Campania, il Tevere de-signano inequivocabilmente un singolo personag-gio storico, persona vivente, città, regione, fiu-me: Aldo Rossi, se partecipa a un convegno, por-terà al bavero un cartellino col suo nome; lungola strada la segnaletica mi indica con cartelliche sto raggiungendo Napoli, che entro in Cam-pania, che varco il Tevere.Ma, non appena passiamo a considerare i nominon propri, cioè tutti i nomi «comuni» o «appel-lativi», come l'albero dell'illustrazione preceden-te, a quale oggetto o a quali oggetti verrà appli-cata l'«etichetta»? Per quanto mi suggerisce ildisegno, si tratta di una latifoglia. Potrò servir-mi di quell'etichetta per tutte le latifoglie, e an-che per un abete o un pino, e anche per unapianta dal tronco basso e flessibile o ramificatoalla base?Ora, l'albero è pur sempre un oggetto concreto;le difficoltà aumenterebbero, e anzi cadremmonell'assurdo, se tentassimo di procedere così coni lessemi bellezza, idea, vivere, pensare, buono,dolce, drastico, ecc.

Vediamo di uscire da queste difficoltà.Anzitutto, per evitare sia l'indeterminatezza del-la parola «cosa», sia la macchinosità di una lun-ga definizione che abbracci tutte le possibili «co-se» (come abbiamo fatto prima), la semantica siavvale di una terminologia specifica più perti-nente:

In particolare, da questa serie di corrispondenze,ricaviamo che il segno linguistico o significante(la parola in quanto compie l'azione di significa-re) viene a opporsi a «significato», da intenderenel suo valore originario di participio: «quel cheviene significato», designato, indicato (senza chedobbiamo più specificare: un oggetto concreto oastratto, un'azione, ecc.). Viene pure a opporsi areferente, cioè a tutto ciò cui, nella sfera dellarealtà extralinguistica, posso riferirmi medianteil lessema.

322

IL «TRIANGOLO SEMANTICO»

Ora disponiamo di una terminologia più adegua-ta e calzante, ma resta ancora nel vago il rappor-to fra il significante e il significato, fra la linguae la realtà extralinguistica. Per definire tale rap-porto la semantica propone un diagrammatriangolare, come quello rappresentato nellafigura a pie di pagina.

Che cosa ci insegna questo «triangolo semanti-co»?

1) II rapporto fra il lessema o significante e larealtà non è diretto, ma passa per una stazioneintermedia. Al significante corrisponde diretta-mente, e gli è connesso con un legame inscindibi-le, il significato, che è una rappresentazione men-tale, un concetto presente nella mente del par-lante. È questo significato a trovarsi in relazio-ne, a sua volta, con uno o più dati o frammentidella realtà, i quali possono anche fornire sempli-cemente lo spunto a rappresentazioni del tuttoimmaginarie.

2) Viene a cadere — o conserva solo un valorepratico — la distinzione fra «astratto» e «con-creto». Anche quei sostantivi, verbi e aggettiviche chiamiamo concreti in quanto riguardano ciòche colpisce i nostri sensi, non si riferiscono aentità individuali, ma a rappresentazioni che a-straggono determinati caratteri comuni da molteentità individuali.

3) A molti dati della realtà corrispondono pertutti gli uomini le stesse rappresentazioni e glistessi significati, con un rapporto biunivoco uni-forme tra significato e referente (cambiano solo,da lingua a lingua, i significanti, le parole). Mamolti altri aspetti della realtà vengono interpre-tati ed organizzati in modo diverso in dipendenza

dai diversi tipi di società, di mentalità, di tradi-zione storica e culturale, e queste diversità siriflettono chiaramente nelle lingue naturali.

5. LA «ARBITRARIETÀ»DEL SEGNO LINGUISTICO

II rapporto fra lessema e referente rimarrà allabase di ogni nostra considerazione nell'ambitodella semantica. Ma, prima di tutto, va posto inrilievo un carattere peculiare e primario di talerapporto: si tratta — fondamentalmente — di unrapporto arbitrario.La sequenza dei 6 fonemi a + l + b + e + r + odesigna in italiano quell'organismo vegetale chetutti conosciamo, ma non corrisponde ad essoper nessun motivo o per nessuna necessità.Dunque, noi italiani conveniamo che l'albero sichiami proprio così e analogamente che un certoanimale si chiami cane e un altro gatto, ma que-ste, nella loro essenza, sono scelte arbitrarie e,se tutti nello stesso momento lo concordassimo,nulla ci vieterebbe di chiamare cane Yalbero e al-bero il cane, o cane il gatto e gatto il cane, e cosìvia. Il segno linguistico, dunque, non è motivatoo necessario, ma arbitrario e convenzionale.La prova immediata di ciò scaturisce dal confron-to di una lingua con tutte le altre: per designarelo stesso referente si impiegano — questa è lanorma — sequenze diverse di fonemi. Nei casi incui esiste uguaglianza o somiglianzà nelle paroledi due o più lingue, essa può dipendere solo da u-na causa storica, cioè dal fatto che queste linguehanno un'origine comune, oppure che una parolaè passata, come «prestito», da una lingua aun'altra. Altrimenti si tratterà di una coinciden-za casuale.

323

Nell'illustrazione qui sopra il confronto vieneproposto mediante un referente (l'albero) cui cor-rispondono in un certo numero di lingue signi-ficanti (parole) di forma diversissima, e ciò anchenell'ambito di lingue geneticamente connesse traloro: infatti quelle sottolineate in colore sonotutte lingue della «famiglia» indoeuropea (soloper l'italiano, lo spagnolo e il francese è ricono-scibile la comune base fornita dal latino arbor).

6. CASI IN CUI IL SEGNOLINGUISTICO È «MOTIVATO»

cù, chicchirichì, bum, eccì, tic, ecc.), spesso usateesse stesse anche in funzione di sostantivi, oppu-re alla base di sostantivi e verbi (cuculo, muggi-to, muggire, belare, miagolare, ecc.).Come è evidente, queste parole sono «motivate»dal referente, anche se il rapporto non è sempredi stretta necessità: infatti gridi e rumori offronosì uno spunto, ma i suoni linguistici sono in gra-do di riprodurli solo approssimativamente e conesiti spesso alquanto diversi da lingua a lingua.Per esempio l'italiano chicchirichì ritorna quasiuguale nel tedesco kikeriki, e nello spagnolo qui-queriqui [= kikeriki], ma in francese gli corri-sponde coquerico [ = kokericò] e in inglese cock-a-doodle-doo [= kokedudldù].

LE ONOMATOPEE

Una ristretta area del lessico fa eccezione allanorma della «arbitrarietà» del segno linguistico:si tratta delle onomatopee, cioè di quelle parolecon cui si vuole riprodurre il grido di un anima-le oppure un suono o rumore naturale o artificia-le. Sono interiezioni (come miao, bau, mu, be, cu-

LE VOCI ONOMATOPEICHE

Chiamiamo non onomatopee, ma, più generica-mente, voci onomatopeiche (cioè simili alle o-nomatopee) quelle parole che, in vario modo e di-versa misura, hanno un rapporto con impressioniacustiche e sfruttano certi fonemi o gruppi di fo-nemi a scopo imitativo. In italiano, come in ogni

324

lingua, le voci onomatopeiche sono abbastanzanumerose:

darla, ciarlare, chiacchierare', balbettìo, balbetta-re, bisbigliare, sussurrare; starnuto, starnutire,sbuffare, gargarismo; trillo, trillare, tintinnare,squillare, schioccare; ecc.

Qui i suoni articolati forniscono appena un suggeri-mento, senza portare ad un esito necessario e univer-salmente accettato. Tanto è vero che uno stesso refe-rente può essere reso in più lingue sempre con voci o-nomatopeiche, ma queste assumono in ciascuna unafisionomia diversa. Per esempio, all'italiano bisbiglia-re corrisponde in francese chuchoter [= susoté] e ininglese (to) whisper [= uispafr)]. Si tratta senza dub-bio di parole tutt'e tre fortemente espressive, ma con-tengono pur sempre una buona dose di arbitrarietà edi imprevedibilità. Un italiano, senza venirne infor-mato, non indovinerebbe che cosa significa to whisper,né un inglese che cosa significa bisbigliare.

VOCI INFANTILI

Presentano una certa affinità con le onomatopeele voci infantili:

mamma, papa, babbo, bebé, dada, nanna, pappa,pipì, ecc.

Qui non riscontriamo propriamente un rapporto suo-no-significato, ma le voci sono ricavate dalle sillabe

più facili a pronunciarsi, che il bambino articola d'i-stinto nei primi mesi di vita, esercitando ancora in-consciamente gli organi della fonazione. Esse vengonoassunte dalla comunità dei parlanti come parole e sifissano in determinati valori. Una loro estensione uni-versale e quindi un carattere di «necessità» sono peròpropri soltanto di mamma e papa, che, sia pure convarianti, compaiono con lo stesso significato in mol-tissime lingue.

PAROLE DERIVATE E COMPOSTE

In un numero molto maggiore di parole una moti-vazione esiste, ma è parziale e relativa, non asso-luta. Alludiamo alla vastissima categoria delleparole derivate e composte. Come vedremo nelcapitolo 40, una larga parte del lessico di unalingua è costituito di parole formate con variprocedimenti sulla base di altre parole: alber-atu-ra sulla base di albero, can-ile di cane, in-consciodi conscio, portalettere di portare e lettera, ecc.La parola derivata o composta trova evidente-mente una motivazione nella parola (o nelle pa-role) sulla cui base è formata. Alberatura, canile,ecc. sono, per così dire, «trasparenti», perché licolleghiamo a albero, cane, ecc. Ma si tratta diuna motivazione relativa ad un'altra parola, nonal referente. Basta risalire ai lessemi di base pertrovarsi di fronte a lessemi non più trasparenti,ma «opachi», non motivati, in rapporto arbitra-rio con i loro referenti.

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39. Omònimi, sinònimi,centrar i. La polisemìa

Come si è detto (capitolo 38, § 4), pensare alle pa-role come «etichette» dette cose è fuorviante; lacorrispondenza può valere solo per i nomi propri,e inoltre per categorie particolari e circoscritte diparole, per esempio nei linguaggi scientifici, i cuitermini vengono una volta per tutte esattamentedefiniti. Ma, di norma, la corrispondenza tra unlessema e un unico referente manca, ed anzi, leparole presentano un alone più o meno ampio di«ambiguità». Solo nella frase, entro un conte-sto dato, l'alone si riduce e si annulla.Questa «ambiguità» non dipende da una nostraintenzione (tranne quando usiamo il linguaggionon per esprimere il nostro pensiero, ma per ma-scherarlo), né da una nostra incapacità. L'ambi-guità lessicale è una caratteristica intrinseca delsegno linguistico, che, di per sé non ostacola mini-mamente la funzione del comunicare. Essa può es-sere ricondotta ad alcuni fenomeni linguistici fa-cilmente individuabili, che studieremo in questocapitolo:

• l'omonimìa: due o più parole distinte per si-gnificato hanno la stessa forma (dal greco homós,«uguale», e ónoma, «nome»);

• la sinonimìa: due o più parole sono uguali osimili per significato, o più esattamente, convergo-no verso il medesimo referente (da syn, «insie-me», e ónoma);

• la polisemìa: una stessa parola può significaredue o più cose, avere due o più referenti (da po-lys, «molto», e sèma, «segno»).

1. GLI OMÒNIMI (E OMÒGRAFI,OMÒFONI, PARÒNIMI)

OMÒNIMI

Chiamiamo omònimi due parole identiche nellaforma, ma di significato diverso. Si pronuncianoe si scrivono allo stesso modo, cioè presentano lamedesima serie di fonemi (con termine tecnico:sono omòfone) e si scrivono con la medesima se-quenza di lettere (sono omògrafe):

(l')amo(10) amoamareamare(11) porto(10) porto(11) sale(egli) sale

(/') attoattoil boala boa

[sostantivo][voce verbale][voce verbale][aggettivo femm. plur.][sostantivo][voce verbale][sostantivo][voce verbale][sostantivo][aggett. = adatto][sost, un serpente][sost. = galleggiante]

In tutti questi esempi l'omonimìa si verifica tra paroleappartenenti a categorie grammaticali distinte (peres. sostantivo/verbo), oppure tra. sostantivi di generediverso (è il caso di boa). In qualsiasi frase la distinta

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funzione sintattica o il diverso genere elimina imme-diatamente ogni equivoco:

Mi ha preso all'amoII porto è lontano

L'amo appassionatamenteTi ci porto io in macchina

Ma possono essere omonimi — anzi sono questigli omonimi più caratteristici — anche due so-stantivi dello stesso genere, o due verbi, o dueaggettivi. Essi costituiscono coppie di lessemiformalmente identici:

il cantoil canto

la bugiala bugia

la paratala parata

decollaredecollare

mattomatto

[il cantare][= angolo]

[= menzogna][ = candeliere]

[nel calcio][militare]

[= decapitare][con l'aeroplano]

[pazzo][scacco matto]

Con omonimi di questo tipo talora un enunciato brevepotrà risultare ambiguo: per es. Quella parata mi èpiaciuta molto.Solo un contesto più ampio chiarirà se chi parla haassistito a una partita di calcio o a una sfilata ditruppe.

Di per sé, dunque, l'omonimia potrebbe esserefonte di ambiguità. Ma il numero delle coppiedi veri omonimi in italiano è relativamente scar-so; inoltre due omonimi appartengono sempre acampi semantici lontani e in genere uno dei dueè di uso poco frequente. Non esistono due utensi-li d'uso comune, due animali domestici, due pian-te utili, due azioni abituali designati nella nostralingua da omonimi. La lingua, se nel corso dellasua storia ne sono sorte, ha provveduto ad elimi-nare quelle omonimie che avrebbero potuto costi-tuire effettivamente un inciampo.

OMÒGRAFI E OMÒFONI

Gli omònimi si pronunciano e si scrivono allostesso modo; invece le parole che si scrivono allostesso modo, ma si pronunciano diversamente so-no dette omògrafi. Rientrano in questa catego-ria le parole differenziate unicamente dall'accen-to tonico o dal diverso timbro (aperto o chiuso)

delle vocali e, o:

l'ancoraancóra [avverbio]

il mentoio mento

i principii princìpi

la ròsarósa [partic.]

Naturalmente l'omografia scompare se per chiarezza,come negli esempi dati sopra, indichiamo l'accento;d'altra parte le coppie del tipo ròsa/rósa diventano ve-ri omònimi per chi non avverte la distinzione tra vo-cale aperta e chiusa.

Due parole scritte in modo diverso, ma pronun-ciate in modo uguale sono omòfone. Gli omòfoniin italiano sono rari; si possono citare le coppiecieco/ceco (= della Cecoslovacchia), de/o/celo(= nascondo), haijai, /m/a, hannojanno.

PARÒNIMI

Quando due parole, diverse per significato e ori-gine, sono costituite quasi dagli stessi fonemi, lechiamiamo parònimi (par- dal greco para, chevale «presso», «quasi»).A rigore appartengono ai paronimi tutte le «cop-pie minime» che abbiamo preso in considerazionenella fonologia: caro ~ co/o, mira ~ mora, pa-rafa ~ patata. Si tratta però, in casi come que-sti, di parole d'uso comune e la differenziazionerealizzata da un unico fonema rientra nella nor-ma, cosicché il parlante non è portato a soffer-marsi su questa «somiglianzà».La paronimìa richiama invece la nostra attenzio-ne quando incontriamo parole simili di uso piùraro, ad esempio:

accezioneecologoesoterico

collisioneparàfrasicausale

eccezioneetologoessoterico

collusioneperìfrasicasuale

Qui la somiglianzà può imbarazzarci e si rischia — èproprio il caso di usare questa espressione — di pren-dere fischi per fiaschi. In caso di dubbio sarà il voca-bolario a fornirci non solo il significato dei due termi-ni, ma anche a chiarire se si tratta di due lessemi au-tonomi (e pertanto di due paronimi), e non di due di-verse grafie della stessa parola (vedi la Scheda 47).

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2. I SINONIMI.DENOTAZIONE E CONNOTAZIONE

LA SINONIMIA E LE SUE CAUSE

Abbiamo definito i sinonimi come lessemi che«convergono verso il medesimo referente». Preci-sare di più, dicendo che hanno lo stesso signi-ficato, generalmente risulterebbe inadeguato: i si-nonimi veri e propri, nel senso di parole con si-gnificati esattamente sovrapponigli sono l'eccezio-ne. Una differenza, tra due o più sinonimi, esistequasi sempre, e dobbiamo sapere coglierla.Che la lingua sia prodiga, che alimenti un'esube-rante vegetazione lessicale e che non segua uncriterio di «economicità» (un referente: un lesse-ma), è ben chiaro senza bisogno di dimostrazioni.Ci accade continuamente di ascoltare o di legge-re una parola cui ne sostituiamo mentalmenteun'altra che ci è più familiare e che consideria-mo equivalente, oppure di esitare nello sceglierefra una parola e un'altra, entrambe adeguate al-lo scopo, e magari di usarle entrambe per ribadi-re un dato concetto. Qualche esempio tra gli in-numerevoli a disposizione:

i sostantivi beffa, burla, scherzo, baia, celia, can-zonatura;

gli aggettivi diverso, differente, disuguale, dissi-mile, distinto;

i verbi uccidere, ammazzare, assassinare, accoppa-re, abbattere, scannare, sopprìmere, trucidare,massacrare;

gli avverbi ora, adesso, attualmente, presentemen-te.

Quali fattori determinano questa (provvidenziale)antieconomicità dello strumento linguistico?Molti. Potremmo anche rispondere che opera inquesta direzione l'intrinseca natura del linguag-gio. Tuttavia alcuni fattori specifici sono facil-mente individuabili, e su di essi ci soffermeremo:

• la «connotazione» affettiva;

• il ricorso all'«eufemismo»;

• l'impiego di distinti «registri» linguistici(questo fattore si combina spesso con la connota-zione);

• la stratificazione diacronica delle parole;

• gli usi locali e regionali.

DENOTAZIONE E CONNOTAZIONE

I verbi denotare e connotare equivalgono entram-bi, approssimativamente, a indicare, designare,significare. Ma in linguistica li impieghiamo perdue modi nettamente distinti di designare un re-ferente:

- si denota usando un lessema che vuoi essereobiettivo, puramente descrittivo, emotivamenteneutro:

gatto, pranzo, coraggioso, uccidere;

- si connota scegliendo un lessema ricco di af-fettività, tale da rispecchiare e da suscitare un'e-mozione:

micio, mangiata, intrepido, massacrare.

L'affettività — cioè i sentimenti, le propensioni,le intenzioni del parlante — penetra per moltevie nell'organismo della lingua (per esempio de-terminando particolari costrutti «marcati»), masoprattutto si manifesta per mezzo di lessemiconnotativi, i quali possono trovarsi isolati nel-l'universo del lessico, ma più spesso si affianca-no, come sinonimi, alle parole puramente denota-tive.

I colori della connotazione sono i più diversi, perchéinfinitamente vari sono gli affetti e i sentimenti cheammano il parlante. Riprendiamo un momento in esa-me le coppie di esempi citati.Nessun dubbio che i lessemi gatto e micio abbiano incomune il referente. Ma il significato muta: gatto è laparola d'uso normale, che denota questo animale do-mestico e può venire impiegata in qualsiasi occasionee contesto: // gatto è un felino; A me piacciono i gatti;Date da mangiare al gatto; Caccia via quel gatto! Inve-ce micio è connotativo, è la parola che usiamo espri-mendo un sentimento di affezione, di simpatia, di fa-vorevole propensione, anche coinvolgendo in tale sen-timento l'interlocutore: Un grosso micio faceva le fu-sa sulle sue ginocchia. Rivolgendoci a un bimbo: Vediil micio? Rivolgendoci al gatto stesso: Vieni qui, belmicio.

329

sI—I

oh—IC»

II confronto tra i termini delle altre coppie citate ciporterebbe a scoprire nel lessema connotativo note af-fettive volta per volta diverse. La mangiata è un pran-zo copioso anche se non raffinato, cui si pensa in so-stanza con soddisfazione (con la strippata e l'abbuffa-ta invece andremmo oltre, verso l'eccesso unito allavolgarità). Rispetto a coraggioso il connotativo intre-pido vale più o meno quanto un superlativo (coraggio-sissimo), ma è più ricercato e un po' letterario. Mas-sacrare connota, sottoponendola a un giudizio di inor-ridita condanna, l'uccisione di molte persone, o di u-na sola, se compiuta con barbara ferocia; è uno deimolti sinonimi di uccidere, già citati, tutti contraddi-stinti da una propria connotazione particolare rispet-to al verbo denotativo.

3. ALTRI FATTORIDELLA SINONIMÌA

L'EUFEMISMO

La mentalità primitiva (e non essa sola!) stabili-sce una relazione magica tra certe azioni e com-portamenti umani e il mondo esterno. Alcuni at-ti o gestì sono tabù, cioè sono vietati, oppure de-vono venire opportunamente ritualizzati, per-ché siano stornate conseguenze letali o influssinegativi.La superstizione si estende al linguaggio e inter-dice l'uso di parole che si riferiscono ad eventifunesti, o rischiosi, o comunque tali da coinvol-gerci emotivamente nel profondo. L'identificazio-ne fra la parola e la cosa rende il significantenon meno temibile del referente, e alla parola ri-tenuta tabù si affiancano o si sostituiscono altreparole (o delle perifrasi) di buon augurio, «eufe-mistiche» (dal verbo greco euphemèin, «dire pa-role benauguranti»).Molti tabù linguistici sono legati a tipi arcaicidi società e sono un ricordo del passato, ma alcu-ni sussistono, alimentando, intorno a certi con-cetti, il pullulare dei sinonimi.È ad esempio un'interdizione senza età quellache circonda la morte e la malattia. Non semprediremo che qualcuno è morto; a seconda della si-tuazione, del contesto, del registro espressivosceglieremo tra è deceduto, è scomparso, è spirato,è mancato, ci ha lasciati, è passato a miglior vita,ecc. Analogamente la lingua dispone di terminimeno crudi per cadavere e funerale, ed esistono

anche sinonimi eufemistici per cancro, tubercolo-si, ecc.Un'altra sfera del lessico in cui l'interdizione èstata quasi sempre imperante ruota intorno alsesso e a quanto, anche indirettamente, può ve-nirgli collegato. Non si pensi a un'evoluzione li-neare nel senso della liberazione — a livello lin-guistico — dai tabù sessuali. C'è un'altalena dirigore e di permissivismo dai Greci e dai Romanifino all'Ottocento, in cui l'interdizione linguisti-ca collegata al sesso raggiunge il suo apice, coin-volgendo parole che a noi appaiono del tutto in-nocenti.La tendenza si è invertita intorno a venti-tren-t'anni fa, con la caduta di molte interdizioni e,per chi non abbia il senso del limite e del buongusto, di tutte. Rimane peraltro in ogni caso nel-l'uso una folla di sinonimi, sorti per buona partecon fini eufemistici. Un esempio: si conta almenouna ventina di sinonimi di prostituta, dal classi-cheggiante e burocratico meretrice agli scherzosilucciola, ragazza-squillo, bella di notte, ecc.Se in certi campì l'interdizione linguistica oggiappare in ritirata, ne guadagna dei nuovi. Con-frontate ad es. i termini delle seguenti coppie disinonimi:

1) cieco ~ non vedente2) sordo ~ audioleso3) minorato ~ portatore di handicap4) drogato ~ tossicodipendente5) selvaggio (o primitivo) ~ etnologico•6) (paese) arretrato (o sottosviluppato) ~ in viadi sviluppo7) spazzino ~ operatore ecologico8) infermiere ~ paramedico

In questi casi il sorgere di sinonimi trova spiegazionivarie: nel sentimento di riguardo e solidarietà perquanti soffrono di difetti fisici (esempi 1-3), nell'inten-to di evitare giudizi schematici e riduttivi su realtàdiverse dalla nostra (5-6), nel rifiuto di designazioniprofessionali tradizionali, considerate degradanti o co-munque non appaganti (7-8), e così via.

I DIVERSI «REGISTRI» LINGUISTICI

Uno stesso referente è sovente designato da les-semi diversi a seconda del «registro» espressi-vo adottato e del linguaggio speciale in cui ildiscorso può inquadrarsi (vedi capitolo 43, § 2).

330

Un esempio. Ugo e Bianca sono sposati; parlan-do di Bianca, Ugo dirà o scriverà: mia moglie (iltermine usuale, non marcato), la mia signora (al-quanto pretenzioso, ma comune), la mia sposa(registro elevato; questo sinonimo sarà ammissi-bile solo in determinati contesti), la mia metà(scherzoso), la mia consorte (anch'esso scherzoso,almeno nella lingua d'oggi), la mia compagna(tra lo scanzonato e l'impegnato; il parlante vuoifar intendere che non ammette discriminazionifra unioni legittimate da un'autorità e unioni li-bere). Non dirà certo mai il mio (o lo mia) coniu-gè, ma l'uso burocratico lo costringerà a rispon-

dere su un formulario al quesito «nome del co-niuge».Coppie o gruppi di sinonimi sono normali nelpassaggio dalla lingua colloquiale a uno qualsia-si dei linguaggi speciali di cui si valgono lescienze. Il mal di testa o emicrania, il mal di go-la, il raffreddore, la sbucciatura diventano per ilmedico una cefalea, una laringite, una rinite,un'abrasione o escoriazione. Quel che io chiamostelo, gambo o fusto di una pianta per il botanicoè il caule; quella che mi sembra una radice inqualche caso sarà invece un rizoma, uno stolone,un bulbo; ecc.

DUBBI LINGUISTICI

Quando si trattadi sinonimi e quandono. «Varianti» etermini «specifici»

Prima di accomunare due o piùparole, classificandole come si-nonimi, occorre documentarsisul loro esatto significato e o-perare le dovute distinzioni. Siconsiderino le seguenti coppiedi parole:

1) abbrivioabbrivo

3) soprintendentesovrintendente

5) immagineimagine

7) cambiamentocangiamento

9) sudiciosue/do

11) colturacultura

2) alcoola/co/

4) stamanìstamane

6) lacrimalagrima

8) paludepadule

10) tenaciatenacità

12) sopranosovrano

Nelle coppie da 1) a 8) non sitratta propriamente di sinonimi,ma di varianti (o allòtropi) dello

stesso lessema. La differenza èsemplicemente di grafìa ed èdovuta a particolari fenomenifonetici, con perfetta equivalen-za di significato in alcuni casi,mentre in altri una delle dueparole è antiquata, poetica oletteraria (5, 6, 7: imagine, la-grima, cangiamento) o regiona-le (8: padule). Anche nelle cop-pie da 9) a 12) la differenza di-pende solo da fenomeni foneticio dall'alternarsi dì suffissi equi-valenti (10: tenacia/tenacità); inquesti casi però si è determina-ta una qualche specializzazionenel significato, lieve nelle cop-pie 9) e 10), in cui possiamovedere senz'altro delle coppiedi sinonimi, più forte in 11) e12), dove abbiamo dei lessemisemanticamente del tutto auto-nomi.

Passiamo a un altro gruppo e-semplificativo di parole:

gatto, gattopardo, ghepardo,giaguaro, leone, leopardo, lin-ee, onza, ozelòt, pantera, par-do, puma, servalo, tigre.

Oltre all'amico gatto, ognuno dinoi sa bene cos'è un leone, u-

na tigre, un leopardo e — allozoo, al cinema, alla tivù o inpellicceria — ha imparato a ri-conoscere altri fra questi felini,mentre forse altri referenti ri-mangono nel vago.Consultate il vocabolario oun'opera di zoologia, e verifi-cherete che nella maggioranzadei casi i referenti corrispondo-no a specie animali diverse, equindi i lessemi relativi non so-no tra loro sinonimi, ma terminispecifici. Con qualche eccezio-ne: pardo è un altro nome perleopardo, onza per giaguaro, o-zelòt e servalo per gattopardo:ecco qui, dunque, dei sinonimi.Quanto alla panfera non è, sot-to l'aspetto zoologico, se nonun leopardo asiatico e inoltre illeopardo e la panfera sono affi-ni al giaguaro. Così la zoologia.Ma, in quanto lessemi, la se-mantica li tiene ben distinti. Ba-sta che pensiate agli usi figu-rati: c'è ad esempio una pan-fera rosa, ma non un «leopar-do rosa», e ha senso dire, iro-nicamente, che uno è amico delgiaguaro, ma non che è «ami-co della pantera» o «del leo-pardo».

331

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O

STRATIFICAZIONE DIACRONICA:LE PAROLE ANTIQUATE

La durata nel tempo dei singoli lessemi è più omeno lunga; nello svolgimento storico di una lin-gua accade che un termine scompaia dall'uso, deltutto o in un dato significato, e, per designare undato referente, sia sostituito da un altro:

4. I CONTRARI

farsettopanciottogilèfellonetraditore

donzellafanciullaragazzaarrapegno

costumaresolereesser solito

Queste coppie o gruppi di lessemi si possonochiamare sinonimi solo se consideriamo l'italia-no sull'asse diacronico (vedi Introduzione, § 6),dalle origini ad oggi. Ma in realtà i termini noncoesistono in un medesimo «stadio» della lingua.Parole come farsetto, donzella, fellone, costumarenon potrebbero essere usate oggi se non con unaconnotazione umoristica o per colorire una rie-vocazione storica. Sono quei lessemi che il voca-bolario registra facendoli precedere dalla siglaant. (= antiquato) o are. (= arcaico), oppure dalsimbolo molto trasparente f-

REGIONALISMI

La presenza di un certo numero di sinonimi è do-vuta al persistere di tradizioni linguistiche lo-cali, proprie di una città, di una regione, di ungruppo di regioni. Soprattutto i termini localidella «cultura materiale» hanno resistito al pro-cesso di uniformazione in atto nell'Italia unita.Anzi proprio l'intensificarsi di traffici e contattie l'azione dei mezzi d'informazione di massa han-no tratto certi regionalismi dall'isolamento, as-sicurando loro una più ampia circolazione. Così iparlanti si trovano a disporre di coppie o gruppidi sinonimi per lo stesso referente:

acquaiolavandinolavellolavatoio

sediaseggiola

moscone (sull'Adriatico)pattino (sul Tirreno)

agnelloabbacchio (centrale)

zuppa di pescebrodetto (sull'Adriatico)cacciucco (toscano)

idraulicofontanierelattonierestagnino

spigolabranzino (settentr.)ragno (toscano)

Considerando il fenomeno della sinonimìa ab-biamo visto un lessema associato a un altro oad altri a motivo dell'identità o della somiglian-zà di significato. All'estremo opposto si collo-ca la «contrarietà» o «polarità», e troviamo,corrispondentemente, dei lessemi tra loro con-trari.Il cervello umano non è certo un calcolatore e-lettronico, che proceda solo secondo il sistemabinario e una successione di sì e di no. Tuttaviaè vasto il ruolo giocato nel linguaggio dalle op-posizioni e i contrari ne offrono un esempio per-fetto.

AGGETTIVI

I contrari si possono osservare nel modo piùchiaro nella categoria grammaticale degli agget-tivi.

Esistono caratteristiche antitetiche, tali da e-scludersi a vicenda e da potersi definire solo re-ciprocamente:

destro ~ sinistro presente ~ assentepari ~ dispari uguale ~ diversopositivo ~ negativo generale ~ particolare

Con non minore nettezza si oppongono caratteri-stiche concernenti la posizione nello spazio o va-lutazioni quantitative:

altosuperiore ~interno ~

basso vicino ~ lontanoinferiore largo ~ strettoesterno pesante ~ leggero

Anche in dipendenza da giudizi in parte o in tut-to soggettivi si verificano opposizioni «polari»fondamentali:

caldo ~ freddo buono ~ cattivoumido ~ secco bello ~ bruttodolce ~ amaro ricco ~ poverochiaro ~ scuro sano ~ malato

Esistono poi opposizioni meno nette e meno i-stintive, e a un aggettivo possono opporsene dueo più, anche in relazione a diversi significati par-ticolari, oppure, più che di due poli, troviamo in

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opposizione delle costellazioni di sinonimi:

In tutte le opposizioni viste fin qui due (o più)termini sono lessemi autonomi, con radici diver-se. Ma la lingua, per la creazione di contrari, uti-lizza largamente, mediante appositi prefissi, ilmeccanismo della derivazione (vedi capitolo 40,§6):

in-: giusto ~ ingiusto; puro ~ impurodis-: continuo ~ discontinuo; simile ~ dissimiles-: contento ~ scontento; leale ~ slealea-: normale ~ anormale; morale ~ amorale

[avverbi]

sopra ~ soMo òene ~ mafe

davanti ~ dieiro fortemente ~ debolmenteprima ~ dopo giustamente ~ ingiustamentesempre ~ mai normalmente ~ anormalmente

• presto ~ tardi ugualmente ~ diversamente

5. LA POLISEMÌA:UNA PAROLA E PIÙ SIGNIFICATI

L'ESTENSIONE DEL SIGNIFICATO

Con la sinonimìa abbiamo visto affollarsi intornoa uno stesso referente due o più lessemi. La poli-semìa è il fenomeno opposto: uno stesso lessemaassume due o più significati ed ha quindi diversireferenti nella realtà extralinguistica.Non si tratta di eccezioni. Anzi, a parte parole disignificato molto specifico e i termini che le va-rie scienze si sforzano di definire rigorosamentee di impiegare con un valore costante, proprio leparole di uso comune, nella loro generalità, pos-siedono più di un significato, e spesso molti. Ciòaccade in primo luogo per l'impiego della parolain contesti diversi e per la sua estensione dauna sfera dell'esperienza all'altra, da un «camposemantico» all'altro (vedi capitolo 40, § 2).

Per esempio, il sostantivo pezzo denota, nel suo signi-ficato «proprio» (cioè individuato come fondamentalee originario) «una parte di materia solida staccata daun tutto» (pezzo di pane, pezzo di carta, pezzo di stra-da); ma nel linguaggio giornalistico un pezzo è un ar-ticolo, negli scacchi è uno degli elementi con cui sigioca, in artiglieria è un cannone, in musica è un bra-no che si suona, nell'espressione un pezzo grosso con-nota una persona, nell'espressione ti aspettavo da unpezzo indica un periodo di tempo (con lo spostamentodalla dimensione spaziale alla temporale), ecc.

METAFORA E METONÌMÌA

Come si vede, i passaggi semantici che portanoun lessema verso nuovi referenti avvengono inmolte direzioni e con trasformazioni più o menoradicali del significato originario. Il concetto di«estensione» che abbiamo usato rimane però al-quanto nel vago. Preciseremo allora che molti

333

<H—I

sco

mutamenti semantici si verificano a motivo di as-sociazioni mentali analogiche, che possono esserericondotte a due fenomeni basilari (di cui ci oc-cuperemo anche nel capitolo 42, § 2-3):

• la metafora, con la quale si stabilisce unrapporto di somiglianzà tra due aspetti dellarealtà, tra due referenti;

• la metonìmìa, con la quale il rapporto chestabiliamo è di vicinanza o contiguità.

Un esempio per la metafora: come una pianta fiorisceed è rigogliosa e più bella in primavera o nella stagio-ne che le è propria, così diciamo che fiorisce un'arte,una città, una civiltà, un'iniziativa: ecco che il verbofiorire (connesso nel suo significato proprio ai fiorì diuna pianta) assume il significato metaforico di «pro-sperare», «essere in rigoglio», «raggiungere la pienez-za».Può servirci da esempio per la metonimia un sostan-tivo ripetuto tante volte in questo volume: lingua; ilsignificato che ha in la lingua italiana, le lingue stra-niere, ecc. è sorto semplicemente dall'oggetto materia-le che la mente umana le ha associato come «conti-guo», l'organo che ci serve ad articolare le parole.

SIGNIFICATO PROPRIO E FIGURATO.LE «ACCEZIONI»

A confronto col significato proprio, i significatidi un lessema che nascono da tali procedimentisono detti metaforici o traslati (sono termini e-quivalenti, derivati il primo dal greco, il secondodal latino, e alludono al «trasferimento» da unsignificato ad un altro), oppure, con un terminepiù trasparente, figurati.I vocabolari, nel lemma dedicato ad ogni lesse-ma fornito di più significati, registrano la seriedi quelle che con termine tecnico si dicono acce-zioni, cioè anzitutto il significato proprio e poigli altri. Individuare e delimitare i vari significa-ti non sempre è semplice e vi intervengono ne-

cessariamente valutazioni soggettive, che spessoportano, in vocabolari diversi, a risultati e siste-mazioni differenti, almeno nei particolari. Cosìpure possono differire i criteri con cui le diverseaccezioni vengono introdotte: semplicemente conun numero d'ordine oppure con appropriate spie-gazioni o con le indicazioni: (significato) per e-stensione, figurato, traslato, ecc.

NOTE

• Distinguere tra polisemìa e omonimìa. Taloranon è facile stabilire la linea di demarcazione tra duesignificati molto diversi dello stesso lessema (per ef-fetto della polisemia) e la presenza di due lessemi au-tonomi formalmente identici (due omonimi). Il parlan-te, riflettendoci su, può prendere un abbaglio, e solola ricerca etimologica da un responso sicuro.Per esempio, è intuibile un rapporto tra borico nel suosignificato proprio e banco (o banca) come istituto dicredito: all'origine di questo c'è il banco, il tavolo delcambiavalute. Dalla banca spostiamoci in borsa, la«borsa valori»: non è una specie di contenitore di de-naro, titoli, azioni, come una grossa borsa della spe-sa? Ecco una metafora e un plausibile passaggio se-mantico. No, la borsa come istituto finanziario trae o-rigine dal cognome di una famiglia fiamminga delCinquecento presso la cui casa si riunivano i mercan-ti: si tratta dunque di lessemi distinti, senza alcunrapporto se non casuale; e il vocabolario, naturalmen-te, li registrerà sotto due lemmi (borsa1, borsa2).• Significati antiquati. Come, nel tempo, molte pa-role scompaiono dall'uso e le incontriamo solo leggen-do autori dei secoli passati (sono «antiquate»), cosìaccade per determinati significati di lessemi per il re-sto ancora in uso, i quali d'altra parte possono acqui-sirne via vìa dei nuovi. Un solo esempio: terra signi-ficò in passato (con qualche esempio fino all'Ottocen-to) anche «città», «borgo», in un'accezione che ogginon ha più, mentre il valore che acquista in espressio-ni come preso di terra, collegare a terra, cioè di «suoloo corpo conduttore a potenziale prossimo allo zero», èovviamente recente, successivo alla scoperta e all'uti-lizzazione dell'elettricità.

334

40. Il lessico comesistema e la formazionedelle parole

1. «FAMIGLIE» DI PAROLE

UNA FITTA RETE DI RELAZIONI

Considerata sotto l'aspetto del lessico, la lingua- lo si è già detto — non appare caratterizzata

da quel sistema saldamente organizzato con cuici si presenta nello studio della fonologia, dellamorfologia e della sintassi. Nonostante ciò, illessico non è costituito affatto da elementi isola-ti. Anzi, tra le parole di una lingua esiste unafittissima rete di relazioni.Di questa rete abbiamo già scoperto molti fili,vedendo come due, più, molti lessemi (omonimi,sinonimi, contrari) si associano oppure si oppon-gono tra loro. Ora studiarne altri due tipi di rap-porti, che ci consentiranno di effettuare raggrup-pamenti di parole in base a:

- il significato e la forma insieme (nelle «fa-miglie» di parole);

- il solo significato (nei «campi semantici»).

«FAMIGLIE» DI PAROLE COLLEGATEDALLA DERIVAZIONE

Certe parole, formalmente, appaiono isolate:

ànanas, basalto, bàratro, esegèsi, gómena, lurco,narghilè, nartece, narvalo, otarda, spinterogeno,zizzania.

Si tratta per lo più di lessemi molto specifici, ditermini scientifici, spesso di prestiti da altre lin-gue. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati.Tuttavia questa condizione di «isolamento» rap-presenta pur sempre l'eccezione. Un lessema, nel-la generalità dei casi, è connesso ad altri perchéè la base da cui altri derivano, o è derivato daun altro, o per entrambi i motivi.Per esempio:

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I gruppi di parole che abbiamo visto, e innumere-voli altri, formano altrettante «famiglie» di pa-role, strettamente collegate tra loro nella forma,mediante la derivazione, e dal significato. Quan-to ai modi in cui si attua la derivazione, ce neoccuperemo, insieme con la composizione, nellaseconda parte di questo capitolo.

ALTRE «FAMIGLIE» DI PAROLE

Se ora, anziché dal verbo valere, prendiamo lemosse dal verbo vedere, ci troviamo di fronte a u-

Solo veduta e vedibile sono derivati da vedere.Per le altre parole non abbiamo difficoltà a stabi-lire un rapporto di significato e anche a intuireun qualche nesso formale, ma è chiaro che nonsi tratta di parole derivate direttamente. I lesse-mi visione, visibile, vista, ecc. ci sono giunti cosìdal latino, o sono formati su base latina, e soloal livello del latino (attraverso la ricerca etimo-logica) si può stabilire un nesso preciso con vede-re (in latino vidère).

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Ciò accade per molti altri gruppi di parole:

Anche questi raggruppamenti rappresentano del-le «famiglie» di parole, con la differenza che u-na parte di esse (o talora tutte) non sono collega-te tra loro dalla derivazione diretta.

Il parlante, quando si tratta di parole derivate diret-tamente, ha coscienza del rapporto che stringe insie-me i lessemi della stessa famiglia: essi appaiono «mo-tivati», «trasparenti» (vedi capitolo 38, § 6). Tale con-sapevolezza si estende a parte dei lessemi collegati davincoli più remoti (come visione a vedere, vittoria avincere, umano a uomo, ecc.), mentre viene meno inaltri casi (per es. per usare e utile, osare e audacia),Comunque, i rapporti scoperti o chiariti dalla ricercaetimologica e i vasti raggruppamenti di parole cui es-sa conduce sono utilissimi per ricostruire il significa-to originario dei vari lessemi e per penetrare nel se-greto laboratorio dell'universo lessicale della lingua.

2. IL «CAMPO SEMANTICO»

LE ASSOCIAZIONI MENTALI EL'INDIVIDUAZIONE DI «CAMPI»

Le parole di una stessa «famiglia» sono accomu-nate da una base lessicale e, naturalmente, an-

che dal senso (a parte i casi in cui, attraversodeterminati passaggi semantici, un singolo lesse-ma non abbia preso una propria strada che l'haportato lontano). Ma non è questo il solo proce-dimento con cui noi associamo più parole traloro.Nel § 1 abbiamo citato dei lessemi «formalmenteisolati» (ànanas, basalto, bàratro...). Fissiamol'attenzione sul primo: immediatamente lo classi-fichiamo come un frutto, e precisamente un fruttoesotico (insieme col mango, il kiwi, la papaia,ecc.) e pensiamo al suo sapore e al suo profumo,che definiremo con gli aggettivi dolce, acidulo,fragrante, ecc., e poi alle azioni che compiamoper procurarcelo, sbucciarlo, presentarlo, e cosìvia.Insomma, tutte le parole — anche quelle isolatee in posizione marginale nella galassia del lessi-co, e quindi a maggior ragione le altre — susci-tano nella nostra mente, col loro significato, unamolteplicità di associazioni, che peraltro varianoda individuo a individuo in relazione agli inte-ressi, alle esperienze, alla professione, alla situa-zione, ecc. Ma, se molte associazioni sono sogget-tive, altre concernono l'universalità dei parlanti.La semantica, al fine di trovare dei punti di rife-rimento in questa intricata e mutevole rete di re-lazioni, ha introdotto il concetto di «campo».Il campo semanticol riunisce gruppi di paroleche si trovano, appunto, nello stesso «campo»,che sono contigue e che si delimitano vicendevol-mente, come gli appezzamenti, le aiuole, le singo-le piante di un campo coltivato, di un orto, di ungiardino.

VARIETÀ DELLE RICERCHE

I criteri per individuare e per analizzare i campisemantici, o in altre parole per stabilire dellesuddivisioni nella sterminata mappa della realtàextralinguistica variano naturalmente da ricerca-tore a ricercatore. Sono altrettanti «campi» -ma di estensione molto ridotta — i gruppi di si-nonimi e di contrari e le famiglie di parole (nontutte però). All'estremo opposto formano «cam-pi» vastissimi le terminologie proprie delle variescienze, ma in questo caso il «campo» viene a i-dentificarsi con un intero lessico speciale.Sono, piuttosto, terreno privilegiato della ricercacampi semantici di estensione intermedia, com-

1 Sono pure usate le espressioni compo linguistico e compoassociativi) (e inoltre, in alternativa, area o sfera semanticao concettuale).

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patti e in cui effettivamente i diversi lessemi sidelimitano e si definiscono a vicenda: per esem-pio quelli delle relazioni di parentela, delle gerar-chle (i gradi militari, gli organigrammi), delleprofessioni, di determinati gruppi di merci, dei co-lori, degli strumenti di lavoro, delle attrezzature(industriali, navali), ecc.Quando poi dai termini della cultura materiale sipassa alla vita morale, all'organizzazione dellavita sociale e politica, ai concetti religiosi e filo-sofici, l'indagine sui campi semantici e sull'evo-luzione, la diffusione, l'interazione dei lessemiche li compongono diviene un affascinante capi-tolo della storia della civiltà.

LE «NOMENCLATURE» NEI VOCABOLARI

Con fini meno ambiziosi, rivolti a finalità emi-nentemente pratiche, lo studio dei campi seman-tici è alla base delle «nomenclature» che — va-riamente inserite nel testo o raccolte in appendi-ce — troviamo in alcuni vocabolari (ed esistonoanche specifici dizionari di nomenclatura): vi so-no riuniti e opportunamente suddivisi tutti i ter-mini relativi ad alcuni dei temi già citati e ad al-tri quali gli organi dei sensi, l'abitazione, i mezzidi trasporto, le industrie, i giochi, ecc.Come, per arricchire e migliorare il proprio lessi-co individuale, sarebbe un progetto insano quellodi leggere un vocabolario dall'A alla Z, così an-che lo studio diretto e sistematico delle «nomen-clature» di per sé non è certo raccomandabile.Esse però ci forniscono un modello e una guidaperché ci abituiamo — pensando o leggendo — anon lasciare sempre sciolte le briglie alle nostreassociazioni mentali, ma ad organizzarle e a diri-gerle secondo un ordine e verso un sistema.

3. LA «FORMAZIONE»DELLE PAROLE

PAROLE «PRIMITIVE» E «DERIVATE»

A molti referenti corrisponde un significante cheè una unità lessicale «primitiva» (o «primaria»),nel senso che non è, o al parlante non risulta,derivata da altri lessemi: uomo, donna, casa, sole,luna, mondo, guerra, buono, forte, avere, correre,sùbito, ecc. La lingua imporrebbe al parlante uneccessivo ed inutile sforzo mnemonico, se, per

tutti i possibili referenti, creasse lessemi autono-mi. Invece molte parole primitive, e anche nonprimitive, divengono come il centro da cui si ir-radiano altre parole, «formate» sulla loro base.

Consideriamo, per esempio, i sostantivi che denotanochi svolge un lavoro, una professione, un'attività. Al-cuni — come maestro, medico, sarto, pastore — sonoparole primitive; ma la maggior parte ha come base laparola indicante l'attività esercitata (o il suo oggetto,o un suo aspetto) ed è formata mediante apposite ter-minazioni: fior-aio, oper-aio, bare-aiolo, inferm-iere,dent-ista, aut-ista, tess-itore, ecc. Ancora: si è visto chetra le coppie di aggettivi «contrari» alcune sono co-stituite di lessemi tra loro indipendenti (caldojfreddo,secco/umido, bellolbrutto), mentre in altre l'assenzadella qualità viene denotata da un elemento prepostoall'aggettivo (deciso/indeciso, proprio/improprio, mora-lelamorale).

La «formazione» delle parole è dunque un po-tente strumento che la lingua impiega per arric-chire il lessico e renderlo atto a soddisfare le piùsvariate esigenze espressive. E una buona mag-gioranza delle parole della lingua è rappresenta-ta da parole «derivate».

NOTA

• Potremmo designare molte parole «primitive» an-che come radicali, in quanto costituite unicamente dauna radice, non ulteriormente scomponibile, e dalladesinenza: uom-o, cas-a, sol-e, av-ere. In altri casi, pe-rò, l'elemento che non è scomponibile in italiano lo èinvece nella lingua d'origine, il latino, e quindi non èuna radice. Pertanto, nello studiare la «formazione»delle parole, ci serviamo dell'espressione «parola pri-mitiva», e più generalmente — poiché alla base di ul-teriori formazioni può esserci qualsiasi parola, anchenon primitiva — parleremo di «base».

DERIVAZIONE E COMPOSIZIONE

La formazione delle parole si realizza con due di-versi procedimenti: la derivazione e la composi-zione.Nella derivazione alla parola base viene appli-cato un elemento formativo, o affisso. Questo puòessere posposto alla parola, o più esattamente alsuo tema, e allora lo chiamiamo suffisso1: -aio

1 Si potrà precisare: suffisso formativo (perché, come sap-piamo, esistono anche suffissi flessionali: vedi capitolo 6,§4).

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in fior-aiOj da fiore. Oppure precede la parola, elo chiamiamo dunque prefisso: s- in s-fiorìre.Nella composizione si saldano invece insiemedue parole, due lessemi, ciascuno dei quali, dasolo, ha un proprio significato: portafiori da por-ta(re) e fiore.

NOTE

• Le parole base possono essere sostantivi, aggettivi,verbi, raramente avverbi; le parole derivate possonoessere a loro volta sostantivi, aggettivi, verbi, avver-bi. Si danno quindi diverse possibilità: sostantivo ot-tenuto da un sostantivo («denominale»), da un agget-tivo («deaggettivale»), da un verbo («deverbale»), ag-gettivo ottenuto da un sostantivo, e così via.La formazione degli avverbi, che presenta una moltominore varietà, è già stata trattata nel capitolo 24.

• Due procedimenti formativi possono coesistere: peres. af-fior-amento è formato con un prefisso e un suf-fisso; centro-camp-ista è formato da un sostantivo com-posto e da un suffisso.

• Citando i suffissi, vi includiamo la desinenza dellaparola: per es. -aio (in fior-aio), anche se a rigore -o èla desinenza e l'elemento propriamente suffissale è so-lo -oi-.

4. LA DERIVAZIONEMEDIANTE SUFFISSI

La derivazione mediante suffissi è il procedi-mento formativo più importante e i suffissi im-piegati nella formazione di sostantivi sono parec-

chie decine, mentre sono meno numerosi i suf-fissi che formano verbi. Ciascun suffisso ha unvalore più o meno specifico e assegna la paroladerivata a una determinata categoria:

• sostantivi generici di agente (designano chicompie un'azione): cacci-a-tore, difen-sore

• sostantivi di agente specifici (designano chiesercita una professione, chi segue un dato cre-do, ecc.): oper-aio, giardin-iere, anim-ista, marx-ista

• sostantivi di azione e astratti: oper-azione,abbond-anza, bell-ezza

• sostantivi collettivi (indicano un gruppo dipiù persone, animali, cose): besti-ame, legn-ame,borghes-ia

• aggettivi indicanti genericamente una quali-tà: accìdent-ak, guerr-esco

• aggettivi indicanti appartenenza o prove-nienza: mont-ano, manzon-iano, pubblicit-ario

• aggettivi etnici (cioè relativi agli abitanti diuno stato, regione, città, ecc.): franc-ese, german-ico, bergam-asco.

• verbi indicanti genericamente un'azione op-pure un'azione intensiva o continuativa: amor-eggiare, armon-izzare, nev-icare

• verbi causativi: sant-ificare, rett-ificare.

NOTE

• Ad una stessa base possono aggiungersi più suf-fissi. Più esattamente, il meccanismo consiste nell'ap-plicare un suffisso a una parola già derivata, e cosìvia: da socio, soci-ale; da sociale, soci-al-izzare', da so-cializzare, soci-al-izz-azione.

• Produttività. Alcuni suffissi sono molto produtti-vi e servono a formare decine o centinaia di parole(-ezza, -ismo, -ista, -tare, -zione, -istico, -oso). Per produt-tività di un suffisso intendiamo però, in modo piùpertinente, la sua capacità di generare tuttora nuoveparole. Per es., i suffissi indicanti una professione so-no parecchi (-aio, -ere, -iere, -ino, -ista, -tore), ma l'uni-co vitale è -ista (barista, tassista, trattorista, turnista,ecc.). Analogamente, per i verbi, esiste un solo suf-fisso attualmente molto produttivo, -izzare.

• Motivazione. Un'altra importante distinzione, cuisi è già accennato (vedi § 1), riguarda la consapevolez-za che il parlante ha della connessione tra parola de-rivata e parola base. Se, per es., consideriamo gli ag-

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gettivi audace, capace, efficace, kquace, procace, vera-ce, vivace, vorace, è evidente che sono accomunati dal-la terminazione -ace e che indicano tutti una certaqualità posseduta in misura rilevante. Ma che ci tro-viamo davanti a un suffisso e di quale qualità si trattirisulta immediatamente solo per ver-ace e viv-ace, chenoi colleghiamo a vero e vivo. In questi due aggettivila formazione è «motivata», mentre audace, capace,ecc. sono parole formate sì con un suffisso, ma, in ita-liano, autonome quasi come parole «primitive». Soloin latino troveranno una motivazione: per es. audaxderiva dal tema del verbo audeo, «osare».

• Un tipo particolare di derivati è costituito dai so-stantivi deverbali a «suffisso zero». Serve da baseil tema di un verbo, quasi sempre della la coniugazio-ne, cui viene semplicemente aggiunta la desinenza -o,oppure -o:

arresto, fischio, guadagno, invio, traffico (da arrestare,

fischiare, guadagnare, inviare, trafficare); accusa, cac-cia, domanda, mostra, stringa (da accusare, cacciare,domandare, mostrare, stringere).

Il valore è quello di un nome d'azione, con passaggiotalora a significati concreti (per es. in impiego, riparo,dimora). Il procedimento è tuttora vitale (per es. gra-tifica, verifica sono formazioni recenti, che hanno sop-piantato gratificazione, verificazione).

• Riguardo ai verbi si tenga presente che possonoessere ottenuti da sostantivi o aggettivi anche senzasuffisso, mediante la semplice desinenza: bagno -» ba-gn-are; fiore -» fior-ire; chiaro -» chiar-ire.

Segue una rassegna dei suffissi più frequenti,suddivisi secondo le parti del discorso cui si ag-giungono.

SUFFISSI NOMINALI

suffisso valore esempi

-aggine-aggio-aglia-aio-ale, -are-ame-amento:-anza-ata-ato-azione-enza-crìa-età-ezza-ìa-iere-imento: --io-ismo-ista-ita-itore:-mento-oio

-mento

-mento

-tore

astratti spregiatividi azionecollettivi; spregiatividi professioni; luoghi; ecc.concreticollettivi; spregiativi

astratti (spec. da verbi I con.)astratti, ecc.di cariche, ecc.astratti (da verbi)astratti (da verbi II, III con.)astratti; collettivi; ecc.astratti (da agg. in -io)astratti (da aggettivi)astratti; collettividi professioni; ecc.

di azione prolungataastratti; ecc.di agente, professione, ecc.astratti (da aggettivi)

astratti; ecc.di luoghi, di oggetti

asinaggine, balordaggine, sfacciatagginemessaggio, attcrraggio, lavaggio, pilotaggioboscaglia, vettovaglia; brodaglia, plebagliamugnaio, operaio; formicaio, granaio; calamaiobracciale, ditale, giornale; altare, collarebestiame, legname, pollame; ossame

abbondanza, mescolanza, speranza; cittadinanzarisata, telefonata; annata; testata; aranciataconsolato, magistrato; ducato; celibatoattuazione, informazione, razionalizzazioneaccoglienza, conoscenza, convenienza, partenzafurberia, vigliaccheria; biancherìa; latterìaovvietà, precarietà, sazietàbellezza, certezza, debolezza, ricchezzaallegria, cortesia; borghesia, compagniacassiere, corriere, giardiniere; candeliere

armeggio, brontolio, lavorìo, mormorioanimismo, marxismo, femminismo; meccanismoanimista, marxista, femminista; barista; velocistabrevità, comodità, felicità, possibilità

cambi-a-mento, ricev-i-mento; appartamentoabbeveratoio, lavatoio; scrittoio

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suffisso valore esempi

Per i seguenti, meno produttivi, basterà un esempio:

carn-agione, ris-aia, bare-aiolo, funzion-ario, campan-aro, fon-ema, cristian-esimo, insid-ia, guerr-iero,alter-igia, fangh-iglia, nav-iglio, can-ile, becch-ime, madr-ina, contad-ino, rimed-io, opin-ione, sai-ita,serv-itù, rett-itudine, amic-izia, mangiat-oia, dormit-orio, difen-sore, liber-tà, gioven-tù, rimas-uglio, ner-ume, fredd-ura, cad-uta.

-àbile-ace-aceo-ale-ano-ardo-are-ario-asco-àtico-esco

-ese-évole

-iale-iano-ìbile-iccio-ico-igno-ile-ino-ìstico-ivo-oso-uale-uoso-uto

Un esempio per i meno produttivi:

bisl-acco, estr-aneo, dent-ato, parm-ense, cas-ereccio, enn-esimo, napoletano, austr-iaco, pall-ido,ast-igiano, guard-ingo, cagliar-itano, edilizio, spagn-olo, sanguin-olento, corp-ulento.

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possibilità dell'azione amabile, confrontabile, affidabilequalità audace, loquace, verace, vivacerassomiglianza; materia perlaceo, violaceo; cartaceo, tufaceoqualità, appartenenza accidentale, attitudinale, fatale, sentimentaleapparten., provenienza; etnico montano, repubblicano; africano, romanoqualità (spregiativo) bugiardo, codardo, testardo, infingardoqualità, appartenenza familiare, popolare, salutare, secolareappartenenza, partecipazione agrario, giudiziario, pubblicitario, rivoluzionarioetnico bergamasco, comasco, monegascoappartenenza acquatico, selvatico, assiomatico, prismaticoqualità; etnico; ecc. guerresco; furbesco; romanesco; dantesco, trecente-

scoetnico; appartenenza milanese, francese; borghese, cortesepossibilità dell'azione durevole ( = che può durare), lodevole ( = do lo-

dare)qualità, appartenenza patrimoniale, filiak, settorialeapparten., provenienza; etnico cristiano, manzoniano, kantiano; sicilianopossibilità dell'azione credibile, invisibile, invendibilequalità attenuata arsiccio, malaticcio, rossiccioappartenenza; etnico civico, giuridico, atomico; germanicosomiglianzà benigno, ferrigno, asprignoqualità civile, servile; àgile, dòcile, fìssile, ùtileappartenenza; etnico pecorino, settembrino; fiorentino, triestinoqualità artistico, turistico, consumistico, missilisticopossibilità, capacità; ecc. distintivo, conoscitivo, sbalorditivo; estivoqualità (in abbondanza) amoroso, animoso, coraggioso, piovosoqualità, appartenenza casuale, cultuale, portuale, spiritualequalità (in abbondanza) affettuoso, fruttuoso; montuoso, mostruosoqualità (in abbondanza) baffuto, nasuto, panciuto, unghiuto

suffisso valore esempi

-eggiare-ezzare-izzare

-iare

-icare

-ificare

la semplice azioneoppure un'azione intensivao continuativa

la semplice azione

azione intensiva

causativointensivovalori vari

amoreggiare, guerreggiare, indietreggiareolezzare, battezzarearmonizzare, profetizzare, umanizzare, centraliz-zare, computerizzare

abbreviare, alleviare, potenziare

nevicare, zoppicare

santificare, rettificarefruttificare, ramificarsicodificare, gratificare, quantificare

5. I NOMI «ALTERATI»

Una categoria particolare di sostantivi e aggetti-vi derivati mediante suffissi è costituita dai co-siddetti nomi alterati. Contraddistinti da unaforte affettività, essi sono usati per esprimere deigiudizi di valore che si possono fondamentalmen-te ricondurre a quattro, distribuiti in due opposi-zioni:

II lessema base viene dunque connotato mediante suf-fissi, anziché essere determinato da aggettivi quali-ficativi: cas-ina, cas-ona, cas-uccia, cas-accia = casapiccola, grande, graziosa, brutta.

I nomi alterati hanno poi la particolarità di ri-manere sempre nella categoria della parola base:da un sostantivo deriva un sostantivo (casa ->•casino), da un aggettivo un aggettivo (bello -»bellino).

VARIETÀ DEI SUFFISSI ALTERATIVI

Se i tipi dei nomi alterati sono essenzialmentequattro, i suffissi alterativi sono molti di più,una trentina (vedi prospetto a pagina seguente),e, mentre alcuni coincidono esattamente conquei quattro punti di riferimento, altri oscillanotra due (diminutivi-vezzeggiativi, diminutivi-spre-giativi, accrescitivi-peggiorativi, ecc.).

NOTE

• Con i suffissi -ino, -elio, -one si hanno anche altera-ti maschili da basi femminili: villino, dannino, stradel-lo, faccione.

• Nelle basi terminanti in -one, -ona s'inserisce una-e- (-ci-) eufonica tra il tema e il suffisso -ino (e talora

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•one, -elio): cannon-c-ìno, person-c-ina. Si notino anche:camion-c-ino, palto-nc-ino, giovin-c-ello.• In pochi casi il tema del sostantivo si modifica: co-ne —> cagnetta, uomo -» ornane, città -» cittadina,pullman -» pulmino,• Ai suffissi alterativi nominali sono connessialcuni suffissi verbali. I verbi derivati hanno unvalore diminutivo (o più esattamente attenuativo),o peggiorativo, o talora frequentativo. Citiamo que-sti suffissi mediante un esempio: rub-acchiare, sbev-azzare, cant-erellare, fischi-ettare, cant-icchiare,trem-olare, gir-onzolare, parl-ottare, mangi-ucchiare, piagn-ucolare, tagli-uzzare.

NOMI ALTERATI «LESSICALIZZATI»

Di norma il nome alterato non costituisce un les-sema a sé, ma rimane nell'ambito della parolabase (e perciò il vocabolario registra casi/io, co-sona, ecc. sotto casa). Talora però un nome alte-rato esce dall'orbita del nome da cui deriva, perassumere un proprio significato: si «lessicalizza»,diventa un lessema autonomo (e il vocabolario loregistra come tale).

Per esempio cas-ella e cas-ello non sono usati nel sen-so di «piccola casa», ma con altri valori che poco onulla hanno a che fare con casa. Così pure, mentrecavoli-ino, cavalluccio, cavallaccio sono il diminutivo,il vezzeggiativo e il peggiorativo di cavallo, le parolecavallone, cavalietto, cavalletta hanno (o hanno an-che) valori autonomi. Altri esempi: borsello, belletto,forchetta, mirino, bracciolo, pinolo, forcone, buffone,cannuccia, ecc.

6. LA DERIVAZIONEMEDIANTE PREFISSI

I prefìssi, meno numerosi dei suffissi, possono es-sere considerati cumulativamente, perché glistessi prefissi in genere servono a formare sia so-stantivi, sia aggettivi, sia verbi.Alcuni prefissi esistono anche come parole a sé:le preposizioni a, con, di, fra, in, per, tra e gli av-verbi contro, oltre, sotto. Altri sono esclusivamen-te elementi formativi, quasi sempre derivati dal

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latino, come ante-, bi-, in- negativo, pre-, prò-,ecc.; derivano dal greco a- privativo, archi-, arci-;è un'innovazione dell'italiano il prefisso s-.

NOTE

• Davanti a determinati fonemi iniziali del verbo ba-se, alcuni prefissi si modificano per effetto del «rad-doppiamento sintattico», per fenomeni di assimilazio-ne, ecc.: cantra + dire -» contra-d-dire; in + porre-» im-porre; con + rodere -> cor-rodere; a + atto -*a-d-atto; ecc.• Si faccia attenzione a non confondere a- (dal lati-no ad: avvicinamento) con a- privativo (dal greco);

con quest'ultimo, davanti a vocale, s'inserisce -n- eu-fonica (a-n-alfabeta, a-n-archia), e allora è facile laconfusione con un altro prefisso greco, ana-, an- ( =«su», «di nuovo», ecc.), che troviamo per es. in ana-grafe, ana-gramma, ana-tomia, an-agogico.• In- di moto e in- negativo derivano entrambi dallatino, ma hanno origine e significato del tutto diver-si (sono cioè «omonimi»). In- negativo è in concorren-za con altri prefissi negativi (a-, dis-, s-, anti-) e da ciòtalora risultano coppie con differenziazione semanticapiù o meno pronunciata: immorale («che offende lamorale») ~ amorale («che ignora la morale»); inutile(«non utile») ~ disutile («dannoso»).

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7. LE PAROLE COMPOSTE

La composizione è un procedimento meno co-mune della derivazione e solo pochi tipi di com-posti sono largamente produttivi. Tra le parolecomposte troviamo in prevalenza sostantivi; me-no numerosi gli aggettivi e i verbi. Per cogliereil meccanismo della composizione si tenga pre-sente che:

• a differenza di quanto accade nella derivazio-ne (in cui suffissi e prefissi sono «elementi for-mativi», non parole), entrambi i componenti sonolessemi, ciascuno con un suo significato;

• la parola che risulta dalla composizione è unnuovo lessema, con un proprio significato, il qua-le può essere molto lontano dalla semplice som-ma dei componenti.

I vari tipi di parole composte si distinguono inbase ai diversi componenti e alle diverse combi-nazioni.

SOSTANTIVI

I sostantivi composti risultano da:

• sostantivo + sostantiva, e precisamente:

- col primo che funge da complemento del se-condo: terremoto (= «moto della terra»), acque-dotto, capogiro, capricorno, lunedì, ecc.

- col primo determinato dal secondo, che fungeda complemento: nerofumo (= «il nero del fu-mo»), acquavite, ferragosto, giocoforza, verderame,capostazione, capobanda, ecc.

- col secondo rappresentante un'apposizione delprimo: arcobaleno, cassapanca, cavolfiore, gatto-pardo, grillotalpa, madrepatria, ecc.

Da notare anche: sostantivo + preposizione +sostantivo: saltimbanco, messinscena, saltimbocca.

- sostantivo + aggettivo: acquaforte, campo-santo, cassaforte, caposaldo, palcoscenico, terrò/er-ma, ecc.;

- aggettivo + sostantivo, alto/orno, bassori-lievo, biancospino, francobollo, galantuomo, gran-cassa, malaria, mezzanotte, ecc.;

• tema verbale + sostantivo. Il tema verbalecorrisponde all'imperativo e il sostantivo può es-sere singolare o plurale; è il tipo più produttivoe popolare: affittacamere, attaccabriga, cavatappi,grattacielo, lavapiatti, parapetto, passaporto, per-digiorno, piantagrane, portafoglio, rompicapo,ecc.;

• tema verbale + tema verbale: andirivieni(andi- è forma antica per va'), bagnasciuga, dor-miveglia, giravolta, tiremmolla, ecc.;

• avverbio + sostantivo, benpensante, contro-potere, contrinformazione, fuoribordo, fuoruscito,malcontento, ecc.

AGGETTIVI

Gli aggettivi composti risultano da:

• aggettivo + aggettivo: agrodolce, grigiover-de, chiaroscuro, mezzofine, rossocrociato, ecc.;

• avverbio + aggettivo: benvenuto, cosiffatto,controindicato, malsicuro, sempreverde, ecc.

VERBI

I verbi composti, che sono pochi (in gran partederivati dal latino o formazioni antiche), risulta-no da:

• sostantivo + verbo: manomettere, manovra-re, barcamenarsi, capovolgere, ecc.;

• avverbio + verbo: benedire, maledire, cir-condare, ecc.

PAROLE COMPOSTE SCIENTIFICHE

I linguaggi scientifici e tecnici, e più in gene-rale la lingua letteraria, attingono largamentealle lingue classiche, soprattutto al greco, performare parole composte, che presentano carat-teristiche in parte diverse dalle parole composteviste fin qui.Tra i modi per ottenere composti scientifici pre-vale la combinazione di due basi (costituite datemi di sostantivi, aggettivi, verbi, avverbi), laprima delle quali determina la seconda (vedischema a pagina seguente).

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Più di rado è la prima parola ad essere determinata dalla seconda, che funge da complemento. Per e-sempio: filosofia, dal tema di philéo, «amare» e da sophìa, «sapienza» (= amore della sapienza).

NOTA

• Oltre a composti omogenei, con basi entrambe greche, se ne hanno con una base greca e l'altra latina (comeendovenoso), oppure con una greca e l'altra italiana (o da altra lingua moderna), per es. termosifone, biodegra-dabile, burocrazia.

BASI LESSICALI PIÙ COMUNI NEI COMPOSTI SCIENTIFICI DAL GRECO

base valore esempi

-algìa dolore cefalalgia, nevralgia, nostalgiaallo- altro, diverso allòfono, alloglotto, allopatia, allòtropoana- sopra; indietro anàbasi, anagrafe; anafilattico, anagramma-antropo- uomo filantropo, pitecantropo, antropologia, antropomorfo-arca, -archìa che comanda; comando monarca, patriarca; gerarchla, monarchiaauto- da sé, di sé autonomo, autopsia, autobiografia, automobile (vedi

§8)biblio- libro bibliofilia, bibliografia, bibliòmane, biblioteca-bio- vita; che vive biografia, biologia, biofisico; aerobiocata- giù catalessi, catàlisi, catatonico, catarifrangente-cefalo- testa cefalòpodi, cefalalgia, idrocefalo, microcefak-crazìa governo aristocrazia, democrazia, gerontocrazia, burocrazia-cromìa, -cromo- colore monocromia, policromia, cromosòma, cromolitografiacrono- tempo cronologia, cronometro, cronometrista, cronistoriademo- popolo democrazia, democratico, demografia, demoscapicoeco- casa, ambiente ecologia, economia, ecologo, ecosistemaendo- dentro endocranico, endòcrino, endogamia, endògenoeso- 1) dentro; 2) fuori 1) esofago, esoterico; 2) esogamia, esògenoeu- bene, buono eufemismo, eufonia, euforico, eutanasia-fagìa, -fago mangiare; che mangia aerofagia, antropofagia; antropòfago-filìa, -filo- amore, interesse; che ama, bibliofilia, francofilia, emofilia; filosofia, filologia; filo-

ecc. so/o, filologo, idròfilo (vedi § 8)filo- stirpe filogenesi, filogeneticofisio- natura fisiologia, fisionomia, fisiocrazia, fisioterapista

base valore esempi

-fobìa, -fobo

-fonìa, -fono-foto-freno-, -frenìa-genesi-geno-geo-gero--grafìa, -grafo--iatrìa, -latraidro--lisi-lito--logìa, -logo

macro--manìa-, -manemeta--metrìa, -metromicro-miso-mono-

-morfo-neo--nomìa, -nomo

omeo-omo-orto-pan-, panto-para--patìa, -patico, pato-

ped-, pedi-pedo-piro--polipoli-proto-psico-sin-tele-termo--tomìa, -tòmico-zoo-

odio; che odia

suonolucementenascitache generaterra1) sacro; 2) vecchioscrittura; che scrivecura; che curaacquascomposizionepietradiscorso, interesse; che di-ce, interessagrande, lungofollia; folleoltre, ecc.misura; che misurapiccoloodiounico, solo

formanuovolegge; che segue unaleggesimileugualerettotuttopresso, ecc.malattia, sentimento; ma-lato di, ecc.fanciullosuolofuococittàmoltoprimoanimainsieme conlontanocaloretaglio; che tagliaanimale

agorafobia, claustrofobla, idrofobia; idrofobo, xeno/b-eocacofonia, telefonia, megafono, fonologia (vedi § 8)fotogenesi, fotografia, fotosintesi, fotosfera (vedi § 8)frenologia, frenastenico, oligofrenia, schizofreniafilogenesi, fotogenesi, ontogenesiendògeno, esògeno, idrògeno, patògenogeologia, geografia, geometria, geocentrico; ipogèo1) gerocrazia, geroglifico; 2) geriatra, gerocamiocalligrafia, ortografia; grafologia, autografo, poligrafopediatria, psichiatria; pediatra, psichiatraidrofobìa, idrofugo, idrogeno, idroponica, idrocarburoanàlisi, diàlisi, elettrolisi, paràlisilitografia, litologia, litosfera; monàlitoastrologia, archeologia, analogia; filologo, zoologo,papirologo; logografo, logomachia (vedi § 8)macrocosmo, macromelia, macrodonte (vedi § 8)cleptomania, grafomania; cleptomane, melomanemetafisica, metalinguaggio, metapsichica, metatarsogeometria, trigonometria; termòmetro, amperòmetromicrobiologia, microcefalo, microscopio (vedi § 8)misoginia, misògino, misoneismo, misoneistamonòlogo, monòtono, monògamo, monocròmo, monotei-smo (vedi § 8)morfologia; allomorfo, antropomorfo, teriomorfoneolitico, neologismo, neòfita, neoantropo (vedi § 8)autonomia, economia; autònomo, ecònomo, eterònomo

omeomorfo, omeopatia, omeotermoomofono, omogeneo, omòlogo, omònimoortografia, ortoepia, ortopedia, ortopedico, ortodossopanorama, panteismo; pantografo, pantomimaparabola, paradigma, paradosso, paranoico (vedi § 8)cardiopatia, osteopatia; antipatia, simpatia; cardiopa-tico, antipatico; patologia, patògeno, patologicopedagogo, pedagogia, pedagogista, pediatrapedologìa, pedogenesipiròscafo, piròmane, piroclastico, pirotecnicoacròpoli, megalòpoli, metròpoli, necròpoli, tendòpolipolìgono, polifonia, polìgamo, poliglotta, polivalenteprotòtipo, protoplasma, protozòo, protostoriapsicodramma, psicofarmaco, psicologia, psicopaticosimpatia, sinclinale, sincronismo, sincronociclotronetelecinesi, telefono, telepatia, televisione (vedi § 8)termologia, termometro, termonucleare, termosifoneanatomia, laparotomia, tonsill-ec-tomia; flebòtomozoologia, zoomorfo, zootecnico; protozòo

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NOTE

• Nel prospetto le basi sono precedute o seguite, o anche precedute e seguite, dal trattino a seconda che sianoimpiegate come primo o come secondo elemento dei composti, o in entrambe le posizioni.

• A causa della resa imperfetta, in italiano, di alcuni fonemi o gruppi di fonemi greci (y = i, ei = i, ai = e,oi = e, ecc.) si producono alcuni casi di «omonimìa». Per esempio, la base -poli di metropoli è da pòlis («cit-tà»), la base poli- di poligono da polys («molto»); quella che formalmente in italiano si presenta come un'unicabase, ceno-, in cenotafio è da kenós («vuoto»), in cenobita da koinós («comune»), in cenozoico da kainós («nuo-vo»). Invece in altre lingue europee l'ortografia greca originaria in complesso viene rispettata più scrupolosa-mente. Ecco, per esempio, la resa dei termini citati in inglese: poligono = polygon / metropoli = metropolis', ce-notafio = cenotaph / cenobita = coenobite / cenozoico = cainozoic.

8. PREFISSOIDI E SUFFISSOIDI

Un meccanismo di formazione delle parole che sta a metà fra la derivazione e la composizione si haper mezzo di quelli che vengono chiamati prefissole!! e suffissoidi, cioè elementi simili a un prefisso(per es. aero-, auto-, ciclo-) o a un suffisso (per es. -bus, -cida, -dromo).Prefissoidi e suffissoidi sono tratti dal greco (in qualche caso li abbiamo già visti come basi di parolecomposte scientifiche1), o dal latino, o sono formazioni nuove. Hanno un valore più preciso deiprefissi e dei suffissi e d'altra parte si usano più liberamente ed estesamente delle basi delle parolescientifiche. E le parole così ottenute, il cui numero cresce costantemente, sono proprie anche o pre-valentemente della lingua d'uso comune.

PREFISSOIDI

prefissoide valore esempi

aero-auto-

ciclo-cinema-, cine-deca-deci-emi-equi-euro-filo-filo-fono-

aria; aeroplanol)da sé (vedi § 7);2) dell'automobile,a motorecerchio, ecc.cinematografodiecidecima partemezzo, metàugualeEuropache ama (vedi § 7)filosuono (vedi § 7)

aeroplano, aerodinamico] aeromodello, aeroporto, aerostazioneautomobile, autocombustione, autodifesa, autocontrollo;autobotte, autonoleggio, autorimessa, autotrazione, autopattu-glia, autoportociclomotore, ciclostile, cicloturismo, ciclocrosscinemascope; cinecassetta, cinepresa, cinerama, cineromanzodecàlogo, decaedro, decagrammo, decàmetrodecigrammo, decilitro, decimetro, decibèlemiciclo, emicrania, emiplegia, emisfericoequiangolo, equidistante, equipollente, equivalenteeuromereato, eurodeputato, eurodollaro, eurovisionefilarmonica, filodrammatico, filocinese, filonazistafilobus, filodiffusione, filovia, filoviariofonoassorbente, fonogramma, fonorivelatore, fonovaligia

1 Per esempio auto-, base che nei composti scientifici, ha il significato «da sé», «di sé» (in autonomo, autobiografia, ecc.),mentre come prefissoide ha sia questo stesso valore (in autodifesa, autocontrollo, ecc.), sia quello di «proprio dell'automobi-le», «a motore» (in autobotte, autonoleggio, ecc.).

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prefìssotele valore esempi

foto- fotografia (vedi § 7) fotocronaca, fotocopia, fotolibro, fotomodella, fotomontaggioiper- eccessivo; supremo iperacidità, ipernutrizione, ipertiroideo, iperteso; ipermercatoipo- sotto, inferiore ipoalimentazione, ipodermico, ipoglicemia, ipotensionemacro- grande (vedi § 7) macroevoluzione, macrostruttura, macroscopico, macrobioticamaxi- grandissimo maxigonna, maxicappotto, maxiprocesso, maxitestimonemega-, megalo- grande megaciclo, megafono; megalopoli, megalomanemicro- piccolo microcircuito, microfilm, microonda, microvolt, microchirurgiamini- piccolissimo minigonna, minibar, minigolf, minibusmono- solo (vedi § 7) monocolore, monocoltura, monofase, monotype, monopezzomoto- a motore motocicletta, motocompressore, motofurgone, motocrossmulti- composto di molti multicolore, multilaterale, multimiliardario, multinazionaleneo- nuovo (vedi § 7) neocapitalismo, neocolonialismo, neodeputato, neopositivismoonni- ogni, tutto onnisciente, onnipresente, onnicomprensivo, onnivoropara- presso (vedi § 7) parastatale, paramilitare, paramedico, paratifopenta- cinque pentagono, pentametro, pentapartito, pentavalentepluri- più di uno pluriaggravato, pluriclasse, pluridecorato, plurivalentepseudo- falso pseudonimo, pseudoconcetto, pseudoletterato, pseudovaloresemi- mezzo, metà semiasse, semicerchio, semidio, semifinale, semiprofessionistasuper- superiore supercolosso, superconduttore, superperito, superstradatele- telefono, televisione telecomunicazioni, telefoto, telecopia, telecomando, telecamera,

(vedi § 7) telecronaca, telemessaggio, teleutente

SUFFISSOIDI

suffìssoide valore esempi

-bus mezzo pubblico òmnibus, àutobus, aerobus, minibus, scuolabus-cida uccisore omicida, suicida, infanticida, insetticida-cidio uccisione omicidio, suicidio, regicidio, genocidio-colo relat. alla coltivazione agricolo, cerealicolo, vinicolo, viticolo-dromo luogo di gare autòdromo, ippòdromo, velòdromo, aeròdromo-fero che porta calorifero, fiammifero, frigorifero, fruttifero-ficio luogo di lavorazione opificio, colorificio, cravattificio, pastificio, salumificio-forme che ha forma di uniforme, multiforme, filiforme, imbutiforme-fugo che mette in fuga; che febbrìfugo, callìfugo, vermìfugo; centrifugo

fugge-logìa, -logo discorso, ecc. (vedi § 7) politologo, cremlinologo, vaticanologo-òide simile a androide, paranoide, schizoide, prefissoide, suffissoide-teca deposito, ecc. biblioteca, cineteca, discoteca, paninoteca-via via ferrovia, filovia, funivia, sciovia-voro che mangia carnìvoro, erbìvoro, insettìvoro, onnivoro

NOTA

• I confini tra prefissoteli e suffissoidi da una parte e lessemi-basi di parole composte scientifiche dall'altra nonsono sempre esattamente precisabili: molto dipende dal valore e dall'uso dei composti ottenuti. Perciò trovereteregistrati alcuni elementi formativi (segnalati dal rinvio) sia qui, sia nel prospetto delle basi greche.

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41. La formazionestorica del lessicoitaliano e l'etimologia

1. L'ORIGINE LATINA:PAROLE «EREDITATE»

Come nelle strutture morfo-sintattiche, così nellessico l'italiano continua il latino. Sebbene al li-vello del lessico le lingue siano aperte a un piùrapido rinnovamento e pronte ad accogliere ele-menti estranei, una larghissima maggioranza deilessemi della nostra lingua presenta, per la suaderivazione dal latino, una rilevante omogeneità.Questa discendenza segue peraltro due linee di-verse: ci sono parole di tradizione popolare eininterrotta e parole di origine dotta.

DAL LATINO ALL'ITALIANO

Nell'Alto Medioevo, nei secoli VI-XI che videroil passaggio dal latino, o più precisamente dal la-tino parlato o «volgare», all'italiano, gli orizzon-ti della vita associata si erano ristretti. Perciò leparole adoperate da quanti parlavano quel «vol-

gare» che diventerà l'italiano erano le parole le-gate alle necessità dell'esistenza e del lavoroquotidiano, alle relazioni familiari, ad affetti ecredenze semplici.In tal modo si continuò solo il nucleo fondamen-tale del lessico latino, mentre il linguaggio dellelettere, della filosofìa, della scienza non risponde-va più ad alcuna esigenza vitale. Noi chiamiamo«di tradizione ininterrotta o popolare», o, piùbrevemente, «ereditate» le parole che non sicessò mai di impiegare. Sarebbe superfluo fornir-ne un'esemplificazione: costituiscono la maggio-ranza di quelle che ancor oggi abbiamo più spes-so sulle labbra.

TRASFORMAZIONI PER EFFETTODI FENOMENI FONETICI

Le parole «ereditate» furono soggette ai feno-meni fonetici che caratterizzarono il passaggiodal latino classico al latino volgare e, da questo,alle lingue neolatine in via di formazione, e diconseguenza subirono alcune modificazioni. Ci li-mitiamo, nella tabella che segue, a pochi esempi.

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italiano latino fenomeno fonetico

pietra, lieve, tienepelo, pesce, seccocuore, nuovo, duolecoda, toro, odebocca, croce, forcafava, avere, scriverefrutto, petto, ottopiano, pieno, piacemezzo, raggio, oggimese, sposa, presodonna, verde, bere

petra, levis, tenetpilus, piscis, siccuscor, novus, doletcauda, taurus, auditbucca, crux, furcafaba, habére, scrìberefructus, pectus, octoplanus, plenus, placetmedius, radius, hodiemensis, sponsa, prehensusdomina, vìridis, bibere

è tonica > iei tonica > eo tonica > uoau > où tonica > o-b- > -v--ct- > -tt-pl- > pi--di- > -zz- opp. -ggi-•ns- > -s-sincope di vocale o sillaba atona

Ma non tutti i fonemi o i gruppi di fonemi del la-tino subirono alterazioni, e quindi molte paroleitaliane riproducono fedelmente (a parte, in de-terminati casi, la desinenza) la struttura delleparole latine: amare, amico, amore, bene, cantare,cento, erba, fumo, gallo, luna, perdere, prato, stel-la, sole, tela, vita, vivo, ecc. (in latino: amare, a-micus, amor, bene, cantare, centum, herba, fumus,gallus, luna, perdere, pratum, stella, sol, tela, vi-ta, vivus).

2. L'ORIGINE LATINA:PAROLE DI PROVENIENZA DOTTA

IL LATINO SOPRAVVIVECOME LINGUA SCRITTA

Che cosa avviene del rimanente, ricco lessico dellatino, ormai inutile in una società economica-mente e culturalmente impoverita? Esso non«muore», come non muore la stessa lingua lati-na. Nei secoli dell'Alto Medioevo il latino, siapur maneggiato rozzamente per quanto riguardala morfologia e la sintassi, sopravvive — non so-lo in Italia, ma in tutta l'Europa occidentale -

1 Sostantivi e aggettivi italiani continuano di norma la for-ma obliqua latina (ricavabile dall'accusativo). Qui si da ilnominativo, cioè la forma registrata dai vocabolari latini,per presentare il materiale di confronto nel modo menocomplicato. Nella colonna del «fenomeno fonetico» il simbo-lo > significa «diviene, si trasforma in»; è, i, ecc. = e bre-ve, i breve, ecc.

come unica lingua scritta e in una certa misu-ra, in determinate sedi e occasioni, anche comelingua parlata.Il latino è ora patrimonio di una ristretta cer-chia di ecclesiastici, di giudici, di notai, di gram-matici. Tutti costoro, ben inteso, si valgono nel-la vita quotidiana del «volgare» della regionein cui risiedono. Sono dunque «bilingui» e natu-ralmente portati ad usare anche nel parlatoquesto e quello tra i termini latini che cono-scono.Il fenomeno s'intensifica dopo il risveglio dellacultura promosso da Carlomagno e ancora piùquando, nel Duecento, si aprono le prime univer-sità e si ha la rinascita della vita cittadina, e in-fine col risorgere della cultura antica nell'umane-simo.

IMMISSIONE DI PAROLE LATINENEL LESSICO ITALIANO

Le parole latine che entrano per questa via nellessico italiano si chiamano parole di provenien-za (o origine) dotta, o più semplicemente paroledotte.Sul termine «dotte» non si deve equivocare:spesso sono parole oggi di uso comunissimo, maè dotta la loro origine, in quanto non rimaseroin uso ininterrottamente, ma le ricavarono dai li-bri e le misero di nuovo in circolazione i «dotti»,coloro che le leggevano nei testi latini.Prese dai libri, le parole dotte si sono sottratteai mutamenti fonetici subiti dalle parole di tradi-zione popolare e riproducono intatta, o con lievimodifiche, la forma originaria. Bastano, a dimo-strarlo, i pochi confronti che seguono.

353

354

In molti casi coesistono in italiano coppie di parole («doppioni») derivate entrambe dalla medesimaparola latina, ma una di tradizione popolare (e con mutamenti fonetici), l'altra di origine dotta (e,nella forma, intatta o quasi rispetto al latino):

Raramente le due parole delle coppie hanno un valore identico o molto vicino (come nel caso di cer-chio e circolo o di moggio e modio). Più spesso si ha una netta differenza di significato, come tra aia earea o tra pesare (che continua nel suo senso proprio il latino pensare) e pensare (che sviluppa unsenso traslato del lessema, «pesare con la mente»).Talora poi a una parola «ereditata» si collega un'altra parola — ad un sostantivo, per es., un agget-tivo o un verbo —, la quale però è una formazione «dotta»;

L'APPORTO DEL GÉECO

II latino contribuì anche a formare i lessici spe-ciali delle scienze. In questo campo, però, è statopiù determinante l'apporto del greco. Ci siamogià occupati dei composti scientifici per i quali siimpiegano basi greche (vedi capitolo 40, § 7); mamoltissime altre parole presenti oggi nelle termi-nologie delle varie scienze non sono creazioninuove, ma preesistevano in greco.Basti qualche esempio, tra i tanti che potrebberoessere proposti:

(matematica) aritmetica, sfera, teorema(astronomia) eclissi, galassia, parallasse(fisica) atomo, energia, plasma(medicina) anatomia, faringe, flebite(filosofia) dogma, psiche, sillogismo(linguistica) fonetica, sintassi, tema(antropologia cultur.) etnico, poligamia, simbiosi.

Gli innumerevoli termini scientifici di originegreca non sono propriamente «prestiti» del grecoall'italiano. Essi sono stati via via introdotti dairicercatori ora in Italia, ora in Francia, GranBretagna, Germania, Olanda, ecc. e si sono poidiffusi in tutti i paesi.La terminologia scientifica, per buona parte subase greca (e latina), è internazionale, con unvantaggio che è superfluo sottolineare per gliscambi d'informazioni tra studiosi e per il pro-gresso stesso del sapere.

NOTA

• La presenza dell'elemento greco è cospicua nel no-stro lessico anche a prescindere dalla terminologiascientifica. Molte parole greche erano state infatti as-similate dal latino e sono giunte a noi attraverso diesso:

anfora, cattedra, delfino, filosofo, poeta, scuola, teoria,ecc.

Queste sono parole di origine dotta, ma molte altre ditradizione ininterrotta dimostrano quanto i grecismisi fossero radicati nella lingua parlata:

ciliegio, mandorlo, olivo, sedano; balena, cefalo, tonno;braccio, gamba, nervo, stomaco; canestro, calce, carta,colla; aria, colpo, orfano, camera, bottega; chiesa, batte-simo, monaco, prete, vescovo; ecc.

Altre parole penetrarono poi in italiano, nel Medioe-vo, dal greco bizantino:

duca, papa, zio, androne, àrgano, basilico, bambagia,falò, gondola, molo, ecc.

3. I «PRESTITI»

La copiosa sorgente che ha formato e poi ha con-tinuamente alimentato il lessico italiano è, dun-que, il latino. Ma altri rivoli, attraverso le com-plesse vicende storiche che hanno interessato ilnostro paese, sono confluiti nella corrente princi-pale. Chiamiamo prestiti le parole, derivate daaltre lingue, che hanno contribuito a formare illessico che noi usiamo.

L'ELEMENTO GERMANICO

Crollate le difese dell'Impero Romano, l'Italiasubì varie incursioni e invasioni di Germani,finché i Longobardi stabilirono il loro dominioper due secoli (dalla seconda metà del VI secoloalla seconda metà dell'VIII) su quasi due terzidel paese.I Germani in Italia rappresentano quello che ilinguisti chiamano un «superstrato»; una mino-ranza di conquistatori che assorbe la cultura delpaese soggetto e poco alla volta ne adotta la lin-gua, non senza tuttavia lasciare, nella linguacosì come nelle istituzioni e nei costumi, unatraccia più o meno profonda. Tale traccia, nell'i-taliano, è praticamente nulla per quanto riguar-da le strutture morfo-sintattiche, mentre è benavvertibile nel lessico.Le parole germaniche (in prevalenza longobarde)che entrarono nel lessico in via di formazionedell'italiano in parte sostituirono termini di usocomune (come guerra, che soppianta il latino bel-lum), in parte si affiancarono a termini preesi-stenti (come bosco, che conviverà con selva e fo-resta, di base latina), in parte ancora si afferma-rono perché designavano oggetti o strumentinuovi o esprimevano nuove nozioni (è il caso difiasco, staffa, guidrigildo). Vediamo qualche altrotra i principali «germanismi», che assommano adalcune centinaia, suddivisi per campi semantici ocategorie grammaticali:

(vita militare) banda, bega, elmo, guardia, strale, tre-gua(istituzioni e cariche) castaido, faida, maresciallo, ma-niscalco(casa, arredi, strumenti) balcone, palla, panca, sala,spola, spranga, stamberga, stanga, trappola(parti del corpo) anca, nocca, schiena, stinco, strozza(aggettivi) bianco, bruno, gramo, grigio, lesto, ricco,schietto, sghembo, snello

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Vico

wo<1oI— H

OSOEHCO

WZOH- 1IS]

(verbi) buttare, chiazzare, guardare, russare, scherzare,spaccare, strofinare, tuffare.

In secoli più vicini a noi penetrarono poi in ita-liano altri «germanismi»: dal tedesco, per es., o-hbarda, brindisi, cobalto, saga, tallero; da altrelingue germaniche droga, duna, fiordo, torba, sci.

L'INFLUSSO ARABO

L'Italia nell'Alto Medioevo fu esposta anche alleinvasioni dal mare: gli Arabi compirono molteincursioni e scorrerie e si insediarono come do-minatori in Sicilia per due secoli (tra il IX el'XI). Tuttavia, la maggior parte dei numerosi«.arabismi» è dovuta, piuttosto, ai contatti dellerepubbliche marinare con l'Oriente e al prestigiodella cultura araba, che nel Medioevo perpetuòla tradizione scientifica greca (nell'astronomia,nella medicina, nella chimica). Così gli arabismisi possono assegnare quasi tutti a due campi se-mantici nettamente individuati:

(marineria e commercio) arsenale, ammiraglio, cassero,gómena, scirocco; dogana, fondaco, magazzino, tara, ta-riffa; cotone, zafferano, zucchero; albicocco, arancio,carciofo, limone, melanzana, ecc.(scienze) algebra, cifra, zero; zenit, nadir; alambicco, a-malgama, borace, soda, azzurro, cremisi, scarlatto, ecc.

PRESTITI DAL FRANCESE

L'ultima ripercussione di quel movimento di po-poli che va sotto il nome di «invasioni barbari-che» fu, verso la fine del secolo Vili, la calata inItalia dei Franchi, che, battuti i Longobardi, die-dero un nuovo assetto al Paese. I guerrieri diCarlomagno erano già quasi completamente ro-manizzati: più che dei Franchi, dei Francesi. L'in-flusso che possiamo chiamare francese anticosi protrae nei secoli seguenti, anche per effet-to del costituirsi in Francia di due lingue lettera-rie — francese e provenzale — in anticipo sull'ita-liano.I termini francesi antichi e provenzali penetra-ti in Italia in numero abbastanza considerevole,soprattutto tra il Mille e l'inizio della nostra ci-viltà letteraria, riguardano alcuni campi privile-giati:

(vita politica e cavalieresca) reame, demanio, assise;lignaggio, cavaliere, scudiere, giullare, avventura, mes-sere, dama

(vita militare) bandiera, marciare, ostaggio, schiera,desinerò, corsiero(arredi, vesti) cuscino, corsetto, fermaglio, gioiello(termini di carattere più generale) cominciare, giardi-no, mangiare, mestiere, passaggio, pensiero, preghiera,viaggio, ecc.

Il flusso dei prestiti dal francese continuò anchein seguito, soprattutto nel periodo — tra il Sette-cento e gli inizi del Novecento — in cui la lin-gua francese esercitò un netto predominio cultu-rale in tutta l'Europa. Dei numerosi altri «fran-cesismi» ci limitiamo a riportare un elenco alfa-betico esemplificativo:

abbordare, ambulanza, appello, ascensore, banale,bicicletta, blocco, blu, brillantina, comitato, con-trollare, convoglio, cotoletta, cretino, equipaggio,furgone, ingaggiare, lingotto, macabro, manovra,marrone, pacchetto, pattinare, regìa, risorsa, pro-gettare, sciarada, tappa, tartina, timbro, turbina.

PRESTITI DALLO SPAGNOLO

Gli «spagnolismi» penetrarono nell'italiano so-prattutto fra il Cinquecento e il Seicento, quan-do la Spagna esercitava il suo dominio diretto oindiretto su varie parti del Paese, e appartengo-no a svariati campi semantici:

(vita militare e marineria) casco, guerriglia, parata,recluta, baia, flotta, risacca, rotta, tolda(commercio) azienda, dispaccio, quintale(vita di società) baciamano, complimento, disinvoltura,etichetta, impegno, puntiglio, sfarzo, sussiego(termini più generali) accudire, bisogno, brio, grandio-so, ecc.

PRESTITI DA ALTRE LINGUE

A parte l'inglese, di cui ci occuperemo nel prossi-mo paragrafo, altre lingue hanno dato un contri-buto modesto al lessico italiano. Ricordiamo peres., da lingue slave, pistola, steppa, vampiro, doli-na e poi un certo numero di «esotismi» da lingueextra-europee, penetrati in genere in italianonon direttamente, ma per il tramite dello spagno-lo, del portoghese, del francese o dell'inglese.

Provengono da lingue delle popolazioni autoctone del-l'America caimano, vigogna, cacao, cioccolata, mais,patata, tabacco, canoa, piroga, amaca, cannibale, ura-gano, ecc.; da lingue dell'Africa e del Vicino Oriente

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banana, orango, scimpanzè, caffè, sorbetto, turbante,tulipano, ecc.; l'India e il Giappone sono infine rappre-sentati da giungla, pagoda, ragià, veranda, nirvana,samurai, bonzo, ecc.

4. LE PAROLE STRANIERE

«PRESTITI» E «CALCHI»: LA LOROASSIMILAZIONE E L'ARRICCHIMENTODEL LESSICO

Tutti i prestiti che abbiamo citato fin qui hannoin comune una caratteristica: si sono adattati al-le norme della fonologia italiana, si sono percosì dire «naturalizzati», integrandosi nella com-pagine del lessico. Solo il linguista accerterà laprovenienza straniera di questi lessemi, mentre ilparlante non ne avverte affatto l'originaria e-straneità.Ciò vale a maggior ragione per i calchi lingui-stici, cioè le parole formate, con materiale lessi-

cale italiano, sul modello di parole straniere (peres. ferrovia, intervista, grattacielo «ricalcano» ri-spettivamente Eisenbahn, tedesco, interview eskyscraper, inglesi), oppure per i nuovi valori as-sunti da determinati lessemi sull'esempio di unuso straniero (per es. vertice come «incontro adalto livello» sulla base dell'inglese summit).Non tutti i prestiti o i calchi sono necessari e in-dovinati, ma, considerato nel suo assieme, il fe-nomeno non solo è comune a tutte le lingue, marappresenta il mezzo principale per assicurarel'arricchimento del lessico e il suo adeguamentoa sempre nuove esigenze. La capacità di assimila-re elementi eterogenei è inoltre indice di vitalitàin una lingua. Il latino non attinse solo larghis-simamente al greco, ma integrò nel suo lessicovoci etrusche, osche, galliche, iberiche, ecc. Trale lingue moderne il più vorace assimilatore èstato l'inglese: lingua germanica nelle sue strut-ture morfo-sintattiche, si trova per quanto ri-guarda il lessico a metà strada fra una linguagermanica e una lingua neolatina (giacché i pre-stiti gli giunsero in prevalenza dal latino e dalfrancese, oltreché dall'italiano e dallo spagnolo).

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DAL «PRESTITO» ALLA «PAROLA STRANIERA» L'ALLUVIONE DELL'INGLESE

Quanto si è detto vale finché i prestiti vengonoassimilati e integrati nel sistema del lessico origi-nario. È quanto è accaduto per l'italiano fino aun certo punto della sua evoluzione.Prima dell'Ottocento i prestiti che presentano u-na fisionomia anomala sono rarissimi: i nomi deipunti cardinali (nord, sud, est, ovest), qualchetermine arabo (àzimut, zenit, nadir) e pochi altri(come caos e gas). Il processo di «naturalizzazio-ne» dei prestiti s'indebolisce nell'Ottocento e nelNovecento, e quindi molte parole straniere ven-gono ricevute e utilizzate nella loro forma origi-naria, senza adattamenti.

Ciò si verifica in prestiti delle più diverse provenien-ze. Così il tedesco ci da edelweiss, alpcnstock, Weltan-schauung, blitz, bunker, panzer, lager; lo spagnolo ca-marilla, golpe, toreador, machete, mantilla, paella; ilrusso zar, samovar, kulak, gulag, intellighentsia, pere-stroika; il giapponese mikado, harakiri, kamikaze, ike-bana, judo, karaté; l'arabo teli, wadi, muezzin, fellah,fedayìn; ecc. Anche il greco e il latino forniscono pa-role che non vengono adattate all'italiano in quantoparole «dotte» o «scientifiche», ma rimangono intat-te: per es. le parole greche logos, pathos, polis, koinè,oinochòe e le latine (ma spesso si tratta di latino me-dioevale o di forme flesse): memorandum, referendum,continuum, agenda, statu quo, habitat, deficit, iter,summa, virus, ecc.

L'ONDATA DEL FRANCESE

In tutti questi casi si tratta di immissioni quanti-tativamente modeste e di termini di uso circo-scritto. Ben più consistente è stato l'apporto delfrancese. Ai prestiti adattati e ai calchi, purenumerosi, si affiancano, in vari campi semantici,molti termini lasciati intatti:

(moda) haute couture, chiffon, décolleté, pedicure(gastronomia) menu, brioche, paillard, marron glacé(trasporti) hangar, garage, roulotte, taxi(teatro) matinée, foyer, soubrette, claque(altri) chic, élite, gaffe, routine, chance, ecc.

La corrente scorre sovrabbondante fino ai primidecenni del Novecento, poi l'onda di piena passa,tanto che parecchi francesismi già ampiamentediffusi hanno ceduto il posto a parole diverse o aforme adattate: per es. réclame, grippe, restau-rant, chauffeur, cicche, mannequin (oggi: pubblici-tà, influenza, ristorante, autista, leva del cambio,indossatrice).

II fenomeno oggi dominante è invece l'afflussodegli anglicismi. Fin dall'inizio, nell'Ottocento,i prestiti dall'inglese, tranne rare eccezioni, con-servano intatta la loro forma:

leader, meeting, trust, stock; sport, tennis, set, golf,cricket, derby, goal, record; bridge, poker, full; tram,trolley, tunnel, ferry-boat, yacht; gin, rum, whisky;plaid, tight, smoking; film, humour, comfort, spleen,flirt, snob, ecc.

Fino a qualche decennio fa gli anglicismi non su-peravano per numero i francesismi e, come si ve-de dagli esempi, riguardavano in prevalenza set-tori definiti, come la politica e l'economia, glisport e i giochi, i mezzi di trasporto, l'abbiglia-mento.Il flusso diventa alluvione dopo la II GuerraMondiale. Oggi le parole inglesi d'uso più o me-no comune si avvicinano probabilmente alle duemigliaia e non sono facilmente inquadrabili indeterminati campi semantici, ma investono tuttoil lessico. Qui se ne da un'esemplificazione soloindicativa e pertanto limitatissima, con gruppi,sommariamente individuati, che ciascuno sapràallargare a piacere:

(alimentazione) self-service, fasi food, hamburger,toast, ketchup(abbigliamento) bikini, body, clergyman, slip, shorts(oggetti d'uso) boiler, freezer, shaker, walkie-talkie,pick-up(trasporti) jumbo, terminal, container, camper, hover-craft(organizzazione aziendale) manager, executive, team,marketing(commercio e finanza) supermarket, stand, leasing,fixing(scienze) transistor, laser, radar, quark, quasar(informatica) computer, basic, input, software, bit(editoria e giornalismo) offset, best-seller, tabloid,columnist, scoop(cinema e tivù) star, show, cameraman, monitor, net-work(arti) blues, design, cartoon, poster, gag(sport e giochi) bowling, footing, mister, master, dop-ing(professioni) baby sitter, hostess, steward, designer,press agent, tour operator.

E ancora: big, black-out, check-up, boom, gap, handi-cap, mass media, partner, privacy, sexy, shock, sit-in,slogan, smog, sponsor, stress, suspense, teen-ager, test,ticket, trend, week-end, ecc.

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CAUSE, CONSEGUENZE, PROSPETTIVE

Quali sono le cause e le prevedibili conseguen-ze del fenomeno, e quale l'atteggiamento da assu-mere?La causa è fondamentalmente una sola: l'ingleseè la lingua di massimo prestigio nel mondo. Con-ta, dopo il cinese, il più alto numero di parlanti,ma, a differenza del cinese, è diffusa, come lin-gua materna o come «seconda lingua», in tutti icontinenti; è la lingua che domina incontrastatanelle relazioni internazionali, nella vita economi-ca e finanziaria, nel traffico aereo; è la linguadelle pubblicazioni scientifiche più accreditate edei settori di punta della produzione e della ri-cerca (come la fisica atomica e l'informatica).Tutto ciò, più ancora che il rango di superpoten-za degli Stati Uniti, conferisce all'inglese e alsuo lessico una forza di penetrazione irresisti-bile.L'affermarsi degli «anglicismi» è un fenomeno didimensioni planetarie, non meno massiccio, peresempio, nel francese o nel giapponese che nell'i-taliano. E, qua e là, si manifestano forme di resi-stenza, anche a livello ufficiale. Da noi l'opposi-zione al fenomeno è frenata dall'increscioso ri-cordo delle ingenuità del «purismo» ottocente-sco, che condannava indiscriminatamente qual-siasi neologismo, e dalle storture del nazionali-smo nella prima metà del Novecento. Dovremoperò almeno fare distinzione tra le parole inglesiche sono entrate nell'uso come «prestiti di neces-sità», per designare apparecchiature, invenzionio idee nuove, e molte altre che rappresentano un«lusso superfluo» e sono il prodotto della moda,dell'esibizione, del conformismo.Secondo alcuni ci troveremmo oggi in una fasedi incipiente bilinguismo, preludente, nei tempilunghi, all'adozione dell'inglese. Ma pensare ciòsignifica porsi al di fuori della realtà. Come unorganismo, come il mare o un grande fiume, unalingua di cultura e di antica tradizione, quale èl'italiano, ha in se stessa potenti mezzi di autore-golamentazione; cioè, coloro che la parlano e chesono consapevoli dei valori di civiltà che essa e-sprime intervengono a un certo punto, senza lanecessità di imposizioni dall'alto, a difenderne ilpatrimonio. Gli anglicismi tenderanno a ridursidi numero e a rientrare in settori circoscrittiman mano che il loro abuso non verrà più senti-to dai parlanti come una forma di promozione so-ciale.

5. L'ETIMOLOGIA

LA RICERCA ETIMOLOGICA

Lungo tutta la trattazione della semantica abbia-mo fatto riferimento più volte alla «ricerca eti-mologica», la quale in effetti raccoglie tutti i filidello studio del lessico. Il termine etimologia de-riva dall'aggettivo greco étymos, che significa«vero»; l'etimologia — o, più esattamente, l'èti-mo — di una parola ci farebbe scoprire il suo«vero» significato, nel senso di un nesso origina-rio tra la parola e la cosa. Questa pretesa riflettel'antica concezione di un rapporto di necessitàtra significanti e referenti, il quale invece, comesappiamo, è arbitrario (vedi capitolo 38, § 5). Laricerca etimologica fu posta su basi scientifichesolo nell'Ottocento, grazie al metodo storicocomparativo, e non vuole affatto pervenire a una«verità», ma semplicemente ricostruire l'originee la storia delle parole che compongono il lessicodi una lingua.La ricerca si conclude rapidamente per molte pa-role, cioè per la maggioranza delle parole deriva-te o composte: qui di norma si tratta soltanto dicollegare, per es., calzolaio a calza, stanare a ta-na, tagliaborse a tagliare e a borsa, e poi di stabi-lire a quale momento della storia della lingua ri-sale la formazione, quale esatto valore vi assolveil prefisso, come si è determinato il significatospecifico. La ricerca etimologica vera e propriariguarda quindi essenzialmente le parole primiti-ve (vedi capitolo 40, § 3).

L'ORIGINE DAL LATINO

Poiché il nucleo fondamentale del nostro lessicocontinua quello del latino, l'etimologia di granparte delle parole italiane ci porta alla lingualatina. Però, come abbiamo visto anche attraver-so molti esempi (nei § 1-2 di questo capitolo), nonbasta stabilire un rapporto di «derivazione» (pia-no da planus, placido da placidus), ma occorre di-stinguere tra le parole di tradizione ininterrotta(come piano) e quelle di origine dotta (come pla-cido).

NOTA

• Basi latine «ricostruite». Non sempre il rappor-to fra una parola italiana e la sua base latina è sem-plice da fissare. Come sappiamo, il lessico di tradizio-ne ininterrotta continua non il latino classico, ma il

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oo

latino parlato (o «volgare»), che modificò o formò va-riamente molte parole. Consideriamo tre verbi di usocomune: alzare, cacciare, cominciare. Hanno una basesolo indiretta nei lessemi latini altus, captare, initiare,e derivano dalle formazioni, proprie del latino volga-re, *altiare, *captiare, *cuminitiare, che facciamo pre-cedere da quell'asterisco con cui si contrassegnano leparole non attestate da documenti, ma presupposte e«ricostruite» dai linguisti (in genere sulla base di piùlingue romanze comparate tra loro).

DA ALTRE LINGUE

Al di fuori della derivazione dal latino, i prece-denti paragrafi di questo capitolo ci indicano lastrada che segue la ricerca etimologica, indivi-duando e studiando i prestiti — risalenti ad anti-che stratificazioni, oppure successivi ed anche re-centi o recentissimi — da altre lingue: il greco,il germanico dell'età delle invasioni, il francese,lo spagnolo, il tedesco, l'inglese, il russo, ecc.Da altre due fonti, meno copiose ma da non tra-scurare, provengono: alcune parole di base me-diterranea — come cala, calanco, pala («forma-zione rocciosa») —, che rappresentano il riaffio-rare nell'italiano di un arcaico sostrato pre-lati-no e pre-indoeuropeo; e un discreto numero didialettismi, cioè di parole immesse nella linguadai vari dialetti, come abbacchio, birichino, buz-zurro, cafone, cocciuto, mozzarella, ramazza, scu-gnizzo, ecc.

UN SECONDO STADIO DELLA RICERCA

Quello illustrato finora è solo un primo gradodell'indagine: dall'italiano si è risaliti al latino(e cioè in sostanza a una fase anteriore della me-desima realtà linguistica), oppure a lingue diver-se, vicine o lontane. Ora è evidente che la ricer-ca etimologica si estenderà anche ai lessici dellelingue d'origine. In primo luogo al latino. Spin-gendoci oltre il latino non troviamo più una do-cumentazione scritta, ma è solo la comparazionecon le altre lingue indoeuropee (greco, sanscrito,lingue germaniche e slave, ecc.) a consentirci di«ricostruire» delle forme più antiche, che asse-gniamo all'indoeuropeo (da concepire peraltro piùcome un complesso di dialetti affini che come li-na lingua unitaria e da collocare cronologica-mente verso il III millennio a. C.). Così se l'ita-liano padre continua il latino pater, questo a suavolta è l'erede dell'indoeuropeo *pater e si con-fronta col greco patèr, il sanscrito pila, l'inglese

father, ecc. E ancora:

ruota lat. rota

luce lat. lux

notte lat. nox

soave lat. suavis

*reth- (vedi sanscr. rathas, ted.Rad)*leuk- (vedi gr. leukós, «bian-co»; ingl. tight)*nokwt- (vedi ted. Nacht, russonoe')*swad- (vedi gr. hedys, «dolce»;ingl. sweet)

Di comparazioni come quelle presentate ora (informa sintetica e semplificata) se ne istituisconomolte centinaia; d'altra parte il lessico latino in-clude anche dei prestiti (se n'è già parlato), men-tre di un certo numero di lessemi l'origine rima-ne ignota. L'etimologista procede poi allo stessomodo per le altre lingue cui l'italiano ha attinto;e, quando si tratta di lingue romanze, spesso l'e-timologia porta ancora una volta al latino e,quando si tratta di lingue indoeuropee di altrigruppi, a una base indoeuropea. Oltre l'indoeuro-peo la ricerca non può procedere, perché ci av-ventureremmo in una preistoria troppo remota,in un passato in parte ricostruibile sui dati ar-cheologici, ma precluso alla linguistica per l'as-senza di qualsiasi documentazione anche indiret-ta. La nostra curiosità, a un certo punto, nonpuò più essere soddisfatta.

L'ETIMOLOGIA È UNA SCIENZA STORICA

In effetti la prima molla che ci spinge ad interes-sarci all'ètimo di una parola è una forma di cu-riosità. Ma l'etimologia si propone molto di più.Anzi, il lavoro descritto fin qui non rappresentache la preparazione allo studio del lessico nelsuo continuarsi, rinnovarsi e trasformarsi di ge-nerazione in generazione e di età in età. Le stes-se forze che sono attive nell'estendere e mutareil significato delle parole nell'ambito di una lin-gua (le abbiamo considerate a proposito della po-lisemia, vedi capitolo 39, § 5), operano a maggiorragione nel passaggio da una fase linguisticaall'altra: dall'indoeuropeo al latino, dal latinoclassico al latino volgare, da questo all'italiano.Il lessema, con determinati cambiamenti nellaforma, può rimanere il medesimo, ma l'evoluzionesemantica adatta il significato, di norma, allesempre nuove circostanze ambientali, sociali, cul-turali. E attraverso lo studio di queste trasfor-mazioni l'etimologia raggiunge il suo obiettivo discienza eminentemente storica, in grado di for-nire un impareggiabile contributo alla ricostru-zione delle vicende umane.

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L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, I DIALETTI

I lessici delle lingueeuropee ravvicinatidall'apporto del latino

II fenomeno dell'arricchimentodel lessico ereditario mediantel'apporto diretto del latino fucomune a tutte le lingue roman-ze. Esso ha avuto l'effetto im-portantissimo dì ravvicinarle.Consideriamo la seguente seriedi parole italiane e francesi:

Le varie coppie derivano pervia popolare dalle medesimeparole latine, tuttavia la divari-cazione tra le due lingue è taleda rendere appena intuibile lacomune origine.Invece nelle coppie seguenti,tratte dalle medesime basi, maper via dotta, la differenza èminima e riguarda esclusiva-mente le terminazioni:

causacause

increduloincredule

nodositànodosità

nuditànudità

paternopaterne/

VISIVO

visif

II confronto può essere estesoa lingue europee non neolatine,come l'inglese. Ecco una seriedì coppie di parole che nonhanno in comune se non il si-gnificato (solo per fratei \olbrot-her l'analisi comparativa po-trebbe indicare l'uguale origineindoeuropea):

e una serie parallela in cui in-vece il rapporto non è solo disignificato, ma anche di formagrazie alla comune origine dot-ta dal latino:

altitudineaìtitude

lezionelesson

profonditàprofundity(oltre a dopiti)

Iraternizzareto fraternize

lunareìunar

attestareto testiiy

I «falsi amici»

L'accoglimento di molte parolelatine nelle lingue europee (ol-treché naturalmente, per quantoriguarda le lingue romanze, lacomune base latina originaria)ha dunque avuto l'effetto di rav-vicinare sul piano lessicale i di-versi idiomi del continente ed èindubbio che da ciò risulti faci-litato, per chi ne parla nativa-mente l'uno, l'apprendimentodegli altri.Tuttavia, nelle diverse lingue,molti lessemi hanno vissutociascuno una propria storia e illoro significato si è specializza-to in direzioni diverse. Occorredunque guardarsi dai tranellitesi dai vocaboli detti scherzo-samente «falsi amici»: essihanno — in due o più lingue -una forma simile, e un etimocomune, ma manca un'esattacorrispondenza di significato.Scorriamo una breve scelta ditipici «falsi amici» inglesi; l'e-lenco include anche qualcheparola di origine non latina, mapur sempre di diffusione gene-rale nei paesi europei:

inglese italiano inglese italiano

fo affront offendere (raram. affrontare)agony angoscia (più spesso di agonia)apparent evidentebarracks casermacafeteria tavola caldadigit cifraeditar direttore (di giornali o rivista)energetic energicoevidence prova (più spesso di evidenza)factory fabbricafaggot fascina

inconsistent contraddittorio (più spesso di inconsistente)indignity oltraggiolavatory gabinettolurid fosco, spaventosoluxurious lussuoso, sontuosopalette tavolozzaparagon modellophysician medicoto polish lucidareto prevent ostacolarerecord documento, disco, ecc.

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COME USARE IL VOCABOLARIO

L'etimologianei vocabolari

I vocabolari generali dedicanoall'etimologia (all'inizio o allafine del lemma) un cenno sinte-tico, ma sufficiente; i dizionarietimologici forniscono natural-mente più esatti particolari.Confrontiamo ad esempio le in-formazioni fornite in tre casiparticolari dai due diversi stru-menti bibliografici (Devoto-Oli,Dizionario della lingua italiana,Le Monnier e Cortelazzo-Zolli,Dizionario etimologico, Zani-chelli).

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STILISTICA

42. Stilisticae retorica

1. LO «STILE»

All'inizio del nostro studio (vedi Introduzione,§ 1) abbiamo visto che il linguaggio è una facoltàumana che si concretizza nelle singole lingue.Ma anche le singole lingue non sono realtà facil-mente afferrabili. Certo una buona grammatica eun ricco vocabolario descrivono esaurientementedi una data lingua — mettiamo l'italiano — isuoni, le strutture morfologiche e sintattiche, illessico. Eppure uno straniero, che disponga di u-na grammatica e di un vocabolario e li studi afondo, senza però avere contatti diretti con quan-ti parlano l'italiano, difficilmente riuscirà ad ar-ticolare una frase che sia accettata come genui-no e corretto italiano.Ai fonemi, alle forme, alle strutture, ai lessemiche costituiscono una lingua, affinchè questa lin-gua viva e diventi un effettivo strumento di e-spressione e comunicazione, deve aggiungersiqualcos'altro. C'è un salto fra la lingua, astratta-mente concepita, e l'atto linguistico che si realiz-za, attraverso una serie di scelte, quando unoparla.Perciò la linguistica distingue nettamente due

momenti contrapposti:

lingua <->• parole1

competenza <-> esecuzione

La prima delle due opposizioni è propria di Saus-sure e, in generale, dello strutturalismo, e la se-conda della grammatica generativa. Qui perònon ci interessa inquadrarle in determinate teo-rie, ma rilevare che la lingua come complesso difonemi, forme, sintagmi, lessemi, è in sostanzaanch'essa — sia pure in senso diverso dal lin-guaggio — un'astrazione, e che noi la vediamoconcretamente realizzata solo negli atti linguisti-ci che compiono parlando e scrivendo tutti colo-ro che appartengono a una data comunità.Possiamo comprendere sotto il nome di stile ilcomplesso di scelte che il parlante opera sia co-me individuo, sia come membro di un gruppo fa-miliare, come abitante di una data regione, come

1 Leggi: parai. Il termine francese parole («parola») vienegeneralmente impiegato nella sua forma originale, perché sioppone chiaramente a langue («lingua»). Nel termine fran-cese parole non esiste l'ambiguità che troviamo in paroladell'italiano, che vale anche «singola parola», «singolo les-sema», ciò che invece — in francese — è mot.

365

tóo

C/3HH

HH

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appartenente a un dato ceto, come esercitante u-na data professione, ecc., e designare come stili-stica il livello dello studio della lingua che sioccupa di tutto ciò.Avvertiamo però subito che non si potrà dedica-re a questo àmbito della linguistica lo spazio as-segnato alla fonologia, alla morfologia, alla sin-tassi e alla semantica, anche perché il concettodi «stile» si collega immediatamente a ciò checaratterizza formalmente l'opera di uno scrittore,e quindi la stilistica diviene un aspetto della crì-tica letteraria e della linguistica testuale, le qualitengono conto di molti altri fattori e possono es-sere condotte secondo le prospettive e con i me-todi più diversi (e non rientrano specificamentetra gli obiettivi fissati da questo libro). Il nostrodiscorso si limiterà a definire alcuni concetti fon-damentali e a fornire quegli schiarimenti cheaiuteranno chi legge queste pagine ad orientarsinella lettura e nello studio dell'antologia italia-ni, dei classici, dei commenti ai classici, dellestorie della letteratura e delle opere di criticaletteraria.

2. LA RETORICA

Un buon punto di partenza per avvicinare i pro-blemi dello stile è rappresentato da quella «artedel dire», o retorica, che fu elaborata dai Greci.Caduta in discredito nell'Ottocento, nell'età ro-mantica, e poi (fino alla metà del Novecento, al-meno in Italia) combattuta dalle correnti di pen-siero che, nel giudicare l'opera d'arte, assolutiz-zano la creatività individuale, la retorica negliultimi decenni ha visto riprese in considerazione,rivalutate e aggiornate molte delle sue costruzio-ni e delle sue categorie.Non è un caso se i teorici greci e poi i romanicondussero con metodo e con successo questostudio: essi infatti operavano in funzione di unsistema educativo rivolto essenzialmente alla for-mazione dell'oratore e dovevano dunque indivi-duare i mezzi che consentissero a chi parlava da-vanti a una giuria o a un'assemblea di persuade-re con la parola l'uditorio.

LE CLASSIFICAZIONI DELLA RETORICA ANTICA

Sull'impostazione complessiva della teoria retori-ca, dominata da criteri prettamente didattici, ba-

sterà dare un cenno. Essa si divide in cinqueparti:

• l'invenzione, cioè il reperimento degli argo-menti con cui convincere l'uditorio;

• la disposizione cioè l'organizzazione degli ar-gomenti nel discorso (secondo un ordine preciso:esordio o introduzione, narrazione, argomentazio-ne vera e propria, conclusione)',• l'elocuzione (su cui torneremo fra breve);• l'azione, il modo di pronunciare conveniente-mente il discorso;• la memoria, la tecnica per memorizzare il di-scorso preparato.

LE «FIGURE RETORICHE»

Nell'ambito della terza parte della retorica, l'e-locuzione, vengono indicate le caratteristicheformali considerate necessarie per rendere piena-mente efficace il discorso: la proprietà, la chiarez-za, l'armonia, la convenienza, l'ornato. È la teo-ria dell'ornato il settore della retorica più riccodi spunti fecondi e di classificazioni accolte e rie-laborate dalla stilistica contemporanea. Il discor-so «ornato» presenta, rispetto al linguaggio d'u-so quotidiano, uno scarto, di cui si analizzano lemodalità, riconducendole a quelle che chiamiamo«figure retoriche».Ciò che importa sottolineare subito è che le«figure retoriche» non riguardano solo il discor-so oratorio, ma ogni forma di espressione lettera-ria, in primo luogo la poesia, e che d'altra parteesse, o almeno le più importanti, non sono affat-to costruzioni artificiose ed anzi appaiono conti-nuamente operanti all'interno della realtà stessadella lingua, soprattutto nell'evoluzione dei si-gnificati delle parole e quindi nella formazione enella trasformazione del lessico.Nei teorici antichi la classificazione delle figureretoriche è minuziosa e non di rado pedantesca,e inoltre esse vengono raggruppate in vari modi.

In particolare si distingue tra:

1) le «figure di parola» (dette anche traslati otropi), concernenti il significato della singola pa-rola (ed oggi, di conseguenza, si preferisce de-finirle come «figure semantiche»);

2) le «figure di pensiero», che coinvolgonoun'intera frase o un intero enunciato (vengonoanche dette «figure logiche» o «sintattiche»).

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In realtà una medesima figura spesso si presentaalternativamente come «di parola» o «di pensie-ro», e la suddivisione ha solo un valore orienta-tivo.Qui noi ci soffermeremo, sia pur brevemente, sutre «figure» fondamentali, la similitudine, la me-tàfora e la metonimia; per altre ci si limiterà a u-na sintetica caratterizzazione in un repertorio al-fabetico (vedi § 5), che include sia le altre figurepiù importanti della retorica antica, sia alcunitermini introdotti dalla stilistica contempora-nea)1.

fiorente le nutre al tempo di primavera;così le stirpi degli uomini: nasce una, l'altra

[dilegua2.

Riconduciamo queste due similitudini allo sche-ma della proporzione: Diomede : nemici = leone :gregge; e: uomini : vita = foglie : selva. I due ter-mini, ciò che si confronta e ciò con cui si istitui-sce il confronto, hanno in comune un terzo termi-ne implicito, cioè una o più caratteristiche chefanno germogliare l'analogia; nella prima dellesimilitudini citate tale caratteristica è la forza,l'irruenza, la potenza distruttiva; nell'altra è labrevità della vita delle generazioni e degli indivi-dui, nel mondo umano e nel mondo vegetale.

3. IL PROCESSO ANALOGICO:LA SIMILITUDINE

IL PROCESSO ANALOGICO

II processo mentale che conduce alla similitudinee alla metafora nasce dall'individuazione di unasomiglianzà tra ciò che stiamo considerando e unaltro e diverso oggetto della nostra esperienza.Un'idea ne richiama un'altra, due rappresenta-zioni si associano. Più esattamente, il processo sifonda sulla analogia, che, trasferita a una di-mensione matematica, altro non è se non la«proporzione»: A :B = C:D.

LA SIMILITUDINE

II rapporto analogico trova la sua espressionepiù esplicita e meglio riconoscibile nella simili-tudine (o comparazione, o paragone: i tre ter-mini, praticamente, si equivalgono). Alla radicedella tradizione letteraria dell'Occidente, i poemiomerici contengono centinaia di mirabili simi-litudini.Ne citiamo una delle tante in cui il termine diconfronto è il leone e un'altra più elaborata esuggestiva sul tema della vita umana:

Come un leone piomba fra greggi incustodite,di pecore o capre, e salta fra quelle, feroce,così si lanciava sui Traci Diomede.

Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini;le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la

[selva

ASPETTI FORMALI DELLA SIMILITUDINE

Formalmente i due termini della similitudine so-no introdotti da elementi correlativi (come... così,quale... tale, ecc.), oppure sono sufficienti i sem-plici come o quale davanti al primo termine. Ilrapporto può però essere stabilito anche più libe-ramente, mediante un verbo come sembrare o pa-rere, o con altri mezzi, come nei due esempi cheseguono:

/ pioppi nudi e senza movimentoparevan candelabri alti d'argento. (G. D'ANNUNZIO

La tua irrequietudine mi fa pensareagli uccelli di passo che urtano i farinelle sere tempestose. (E. MONTALE»

4. IL PROCESSO ANALOGICO:METAFORA E METONÌMÌA

LA METAFORA

Senza una differenza di fondo rispetto alla simili-tudine, l'analogia per somiglianzà costituisce lamolla anche della metafora, che si può definirecome una «similitudine abbreviata».

1 La terminologia retorica è in prevalenza di origine greca;segnaleremo gli ètimi solo quando aiutano effettivamente afissare il valore del termine.2 Iliade, X, 485-487 e VI, 146-149 (trad. di R. Calzecchi One-sti).

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Il confronto tra l'eroe Diomede e il leone, ad es.,è sintetizzabile così: Diomede era come un leone.Impieghiamo, ridotta ai minimi termini, ancorauna similitudine. Ma se, invece, dico: Diomede e-ra un vero leone, oppure: // leone dei guerrierigreci faceva strage dei nemici, cioè se identifico ilguerriero alla belva o se sostituisco a «Diomede»o a «guerriero» la parola «leone», uso una meta-fora. Sussiste il processo analogico, ma vengonosaltati i passaggi intermedi.

Lasciamo da parte eroi greci e leoni, alquantoremoti da noi nel tempo e nello spazio, e analiz-ziamo il processo analogico su una frase del tut-to prosastica, attinente a un argomento economi-co di attualità:

esposizione • / provvedimenti adottati dal-obiettiva, l'industria siderurgica produrran-non «marcata» no effetti negativi, tali da minac-

ciarne la sopravvivenza.

similitudine • I provvedimenti adottati sonoper l'industria siderurgica come ilsuicidio per un essere umano.

metafora • I provvedimenti adottati sono ilsuicidio dell'industria siderurgica;oppure: Denunciamo il suicidiodella siderurgia, attuato attraver-so questi provvedimenti.

LA PRESENZA DELLA METAFORANELLA LINGUA QUOTIDIANA

Mentre non poche delle «figure» registrate nel§ 5 sono ormai desuete e difficilmente le troveremoin testi contemporanei, le metafore sorgono daassociazioni di idee così istintive e frequenti, chedominano incontrastate, oggi come ieri, nellapoesia e nelle varie forme di prosa letteraria epoi ancora nel linguaggio giornalistico, sportivo,pubblicitario e nella stessa lingua d'uso quotidia-na. Esse interessano in ugual misura le categoriegrammaticali del sostantivo, dell'aggettivo, delverbo, possono estendersi a più parole dello stes-so enunciato e sono attinte ai più diversi campisemanticil. Non solo, ma, come si è già visto(capitolo 39, § 5), le metafore hanno contribuito eseguitano a contribuire all'estensione e alla tra-sformazione dei significati e al rinnovamento del

1 Troverete una larga varietà di esempi di metafore, comepure di similitudini, negli esercizi di questo capitolo.

lessico, e noi facciamo continuamente uso diquelle 'che, al momento del loro sorgere, furonometafore ed oggi non sono più sentite come tali(sono, con termine tecnico, delle catàcrèsi: ilbraccio di mare, il collo della bottiglia, i denti delpettine, la radice quadrata, ecc.).A metà strada fra le metafore create volta pervolta con novità di associazioni e felicità di scel-ta e le metafore non più avvertite come tali, sicollocano poi (le ricordiamo anche per mettere inguardia contro il loro abuso) le metafore «spen-te», gli stereotipi che vengono continuamente estancamente ripetuti, tanto da aver perso ognivivacità e da banalizzare il discorso, anziché illu-minarlo: conto atta rovescia, il braccio di ferro, lapunta dell'iceberg, il polmone verde, il volano del-l'economia, sparare a zero, brancolare nel buio,abbassare la guardia, ecc.

LA METONIMIA

Nella similitudine e nella metafora l'associazionedi idee è fondata sulla somiglianzà. Il rapportodi vicinanza o contiguità genera invece la figuradella metonimia (in greco: «trasferimento di si-gnificato»). Il concetto di «vicinanza» è ampio ela metonimia si presenta in molti aspetti diversi.Si possono ad es. assumere:

- la parte per il tutto: E da lontano le gonfiatevele [= la nave]/uide fuggir del suo signor crude-le (L. ARIOSTO);

- il tutto per la parte: ha gli occhi [propriam. leiridi] azzurri;

- la specie per il genere o il singolare per ilplurale: Procacciar col lavoro pane [= cibo] persé e per gli altri (A. MANZONI); Sostennero l'urtodel nemico [= dei nemici];

- il genere per la specie: parcheggiare la mac-china [= l'automobile].

Le metonimie di questo gruppo, in cui la parolache viene sostituita ad un'altra la include o vice-versa è inclusa in essa, prendono anche il nomespecifico di sinèddochi. In altri tipi di metonimietroviamo:

- l'astratto per il concreto: Saranno accolte lerichieste dell'utenza [= degli utenti];

- il concreto per l'astratto: Ha avuto un travasodi bile [ = di rabbia];

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- la causa per l'effetto: le sudate carte [= lostudio indefesso] (G. LEOPARDI);

- il contenente per il contenuto: bere un bicchie-re [= del vino];

- l'autore per l'opera: Leggi Dante! [ = le operedi Dante, la Divina Commedia].

Al pari della metafora — come si è detto (vedicapitolo 39, § 5) e come risulta da alcuni degli e-sempi dati sopra — la metonimia non è solo unprocedimento letterario, ma opera frequentemen-te sul lessico della lingua.

5. ALTRE «FIGURE RETORICHE»

Allegorìa: una serie di metafore collegate tra loro,così da conferire a un passo, a una poesia, a un'operaintera un senso che è diverso da quello letterale e cheil lettore può intendere solo disponendo di una «chia-ve interpretativa». Sono allegorie le favole di animali(II lupo e l'agnello = il sopraffattore e l'innocenteperseguitato) e le parabole evangeliche; l'allegoria èfrequente in opere medioevali e nei poeti «simbolisti»dell'Ottocento e del Novecento.

Allitterazione: soprattutto in poesia (come elementoaggiuntivo rispetto al ritmo e alla rima: vedi capitolo44), ripetizione dello stesso fonema all'inizio e ancheall'interno di due o più parole, talora con effetto imi-tativo: Di me medesmo meco mi vergogno (F. PETRAR.CA); Al soffiar delle raffiche sonanti, / l'aulente fienosul torcon m'arreco. (G. PASCOLI)

Anacoluto: violazione intenzionale della norma sin-tattica, diretta in genere a riprodurre la lingua collo-quiale: // primo che tocca Netti gli do uno scapaccioneche gli faccio far tre giravolte! (E. DE AMICIS) al postodi «Al primo che tocca Nelli do...»

Anàfora: ripetizione di una o più parole all'inizio diversi o frasi successive: Per me si va ne la città dolen-te, I per me si va ne l'etterno dolore, / per me si va trala perduta gente. (DANTE)

Anàstrofe: vedi iperbato.

Antìtesi: accostamento di due parole, immagini, con-cetti di significato o valore opposto: Si ha a notareche li uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere; per-ché si vendicano dette leggiere [= lievi] o//ese, dellegravi non possono. (N. MACHIAVELLI)

Antonomàsia: sostituzione del nome proprio di unapersona o luogo celebre a un nome comune: un Creso(per «un riccone»), un Tartufo (personaggio di unacommedia di Molière, per «un ipocrita»), vale un perù(= moltissimo). Anche l'inverso: l'Urbinate (= Raf-faello); Sul prezzo detta benzina ha preso posizionel'Avvocato (= Giovanni Agnelli).

Apax (abbreviato dal greco hdpax legómenon, «dettouna volta sola»): parola o espressione che ricorre unasola volta in una data opera, autore o tradizione let-teraria.

Apòstrofe: discorso rivolto in tono commosso a per-sona assente, a un personaggio del passato, a cose oluoghi personificati: O patria mia, vedo le mura e gliarchi... (G. LEOPARDI); [Lucia] pianse segretamente. Ad-dio, monti sorgenti dall'acque... (A. MANZONI)

Assonanza: in poesia, si dicono in assonanza, o asso-narli, due versi che hanno il segmento terminale (dal-l'ultimo accento in avanti) non uguale, come nella ri-ma (vedi capitolo 44, § 5), ma solo simile. Le parole a-more e cuore sono in rima (-ore/ore); le parole amore esole sono assonanti (-orej-ole).

Chiasme: al contrario che nel parallelismo (vedi) dueelementi dell'enunciato si succedono con ordine inver-tito (per es. soggetto + predicato / predicato + sog-getto): Odi greggi belar, muggire armenti (G. LEOPAR-DI); Ovidio è il terzo e l'ultimo è Lucano (DANTE); Amali estremi, estremi rimedi. Il termine deriva dal no-me della lettera greca X (chi, il nostro ics), che offreun'immagine della disposizione incrociata.

Circonlocuzione: vedi perìfrasi.

Citazione: se chi scrive, contando che il pubblico nonse n'accorga, imita un altro, commette un plagio. Seinvece riprende, nella sua integrità o modificata, un'e-spressione, frase, verso di un dato autore, volendo chesia colta la sua intenzione di ricollegarsi a lui, alloraparliamo di allusione, eco, reminiscenza o, più esatta-mente, di «citazione». Ad es. U. Saba comincia così u-na sua poesia: Perch'io non spero di tornar giammai jfra gli amici a Trieste..., che è l'inizio di una celebreballata del poeta duecentesco Guido Cavalcanti (Per-ch'io no spero di tornar giammai, / ballatetta, in To-scana...). Della «citazione» abusano i titolisti dei gior-nali e i pubblicitari (vedi capitolo 43, § 5).

Climax (in greco = scala; si usano anche i terminigradazione, amplificazione): è il succedersi, in un e-nunciato, di elementi gradualmente più forti e vibrati,in crescendo: È un reato imprigionare un cittadino ro-

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mano, è un delitto frustarlo, è quasi un parricidio ucci-derlo (CICERONE). All'opposto Vanticlimax è in calando:Certo, certissimo, anzi probabile. (E. FLAIANO)

Endìadi (in greco hèn dia dyòin = una cosa per mez-zo di due): sostituzione a un sintagma unitario (peres. sostantivo + aggettivo, sostantivo + specificazio-ne) di due elementi coordinati: Beviamo nelle coppe enell'oro [ = in coppe d'oro] (VIRGILIO). Quando gli ele-menti coordinati sono sinonimi, si parla piuttosto didittologia ( = ripetizione) sinonimica: a passi tardi elenti (P. PETRARCA).

Enfasi: termine generico per indicare la forma deglienunciati che, con vari mezzi espressivi (ripetizioni,inversioni, allusioni, metafore, ecc.) vengono sottoli-neati, «marcati», caricati di emotività da chi parla oscrive.

Enjambement (= àzàbamà; questo termine francese,letteralmente «scavalcamelo», è preferito agli equi-valenti italiani spezzatura o marcatura): quando, inpoesia, il senso oltrepassa il limite di un verso e siprolunga nel successivo, cosicché la fine del verso se-para, per es., un attributo dal sostantivo, o una prepo-sizione dal sostantivo, o un oggetto dal predicato, ecc.Ad esempio: O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra /gl'immortali beato, a cui tu schiuda / il sorrìso d'amorifelice appresso / chi per te sparga con la vita il sangue!(G. LEOPARDI)

Enumerazione (anche: accumulazione): una lunga se-rie di elementi (o sostantivi, o verbi, o sintagmi, o si-militudini, ecc.) coordinati, in genere per asindeto:(L'onda) palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma,propende. (G. D'ANNUNZIO)

Eufemismo: ne abbiamo trattato nel capitolo 39, § 3.

Gioco di parole: vedi paronomàsia.

Interrogazione retorica: ne abbiamo trattato nel ca-pitolo 34, § 4.

Ipàllage: scambio del normale rapporto tra due paro-le; nel caso più comune, il riferimento a un sostantivodi un attributo che logicamente si riferisce a un altrosostantivo della frase: le mura dell'alta Roma [= lealte mura di Roma] (VIRGILIO); il divino del pian si-lenzio verde [= il divino silenzio del verde piano](G. CARDUCCI).

Ipèrbato (anche: anàstrofe, disgiunzione): inversione,fortemente rilevata, dell'ordine normale delle parole odelle proposizioni, in poesia: O belle agli occhi mieitende latine! (T. TASSO); Tutti portiamo della vita il pe-so, I in ogni luogo, in ogni tempo nati. (U. SABA)

Ipèrbole: è l'esagerazione, in sostanza una metaforache punta in direzione dell'eccesso: Non potremo maimisurare l'abisso [= il profondo sconforto] della ne-cessità e della povertà. (C. ALVARO); Poi cominciò contono afflitto e lasso / a lamentarsi si soavemente / cheavrebbe di pietà spezzato un sasso (L. ARIOSTO). Comu-nissima nella lìngua d'uso: gigantesco, colossale, smi-surato, mastodontico, ciclopico, ecc. [= molto grande];è un secolo che ti aspetto [= da molto tempo].

Ipotipòsi: termine generico per indicare una rappre-sentazione al vivo di persone o avvenimenti.

Ironia (in greco eironèia = finzione): consiste nell'as-segnare a una parola, un'espressione o un intero di-scorso un significato opposto a quello letterale, conun'intenzione maliziosa che l'interlocutore o il lettorecoglieranno facilmente: [La città di Lecco] aveva l'o-nore di alloggiare un comandante, e il vantaggio dipossedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli,che insegnavano la modestia alle fanciulle. (A. MAN.ZONI)

Litòte: esprime un giudizio (che risulta attenuato, matalora invece sottolineato) negando il suo contrario:Don Abbondio [...] non era nato con un cuor di leone[= era un vile] (A. MANZONI). Comune nella linguad'uso: Non è bello agire così; Non è una novità; non èuna spesa indifferente.

Onomatopèa: ne abbiamo trattato nel capitolo 38,§6.

Ossìmoro (in greco oxymoron = acutamente folle):un'antitesi (vedi) molto stridente; i due elementi anti-tetici sono generalmente un sostantivo e un aggetti-vo: tacito tumulto (G. PASCOLI), concardia discorde,ghiaccio bollente, silenzio eloquente.

Paradosso: un pensiero originale espresso in formainconsueta e tale da contraddire, a prima vista, la lo-gica e il buon senso: La libertà al singolare esiste sol-tanto nelle libertà al plurale. (B. CROCE)

Parallelismo: il simmetrico succedersi, in un enun-ciato, di due o più «membri» (sintagmi o proposizioni)aventi un ordine uniforme, per es. soggetto + speci-ficazione: Siepi di melograno, / fratte di tamerice, / ilpalpito lontano / d'una trebbiatrice. (G. PASCOLI)

Paronomàsia (anche: bisticcio, gioco di parole): acco-stamento di parole foneticamente simili (cioè dì parò-nimi) o anche uguali (cioè di omònimi) per ottenereeffetti diversi (sorpresa, comicità, rilievo di un'antite-si, ecc.): /' fui per ritornar più volte volto (DANTE); sel-va selvaggia; amore amaro; un vortice di vertici.

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Perìfrasi (anche: circonlocuzione): sostituzione a unaparola di una breve descrizione: Quei che volentierperdona [ = Dio] (DANTE); // bel paese / che Appenninparte e il mar circonda e l'Alpe [= l'Italia] (F. PE.TRARCA); il capoluogo siciliano [= Palermo]; la squa-dra partenopea [= il Napoli].

Personificazione: forma di metafora con cui si fa agi-re una cosa inanimata: Virtù contro furore prenderàl'armi (F. PETRARCA). Comunissima nella lingua d'uso:// lago ha restituito il relitto; II telegramma lo rag-giunse nel pomeriggio; Quella parete ha resistito ad o-gni tentativo degli scalatori.

Pleonasmo: ogni elemento che in un enunciato siasuperfluo sotto l'aspetto grammaticale, sintattico olessicale: A me non me ne importa che si maritino (G.VERGA); Un luogo dove ci si sta bene; la verde erba.

Preterizione: consiste nell'ostentare di voler omette-re (in lat. praeterire) un argomento, al quale però, ineffetti, si allude chiaramente: Cesare taccio, che per o-gni piaggia / fece l'erbe sanguigne. (F. PETRARCA). Fre-quente anche nella lingua d'uso: Ha grosse difficoltàin ditta, per non parlare dei suoi debiti. Da non con-fondere con la reticenza.

Prosopopea (in greco = il rendere persona): unapersonificazione d'ampio respiro, in cui lo scrittore faagire e da la parola a un'astrazione, oppure a un per-sonaggio del passato: ad es. le Leggi nel Critone diPiatone, il Bisogno in un'ode del Parini, il poeta gre-co Simonide nel canto All'Italia del Leopardi.

Reticenza: si verifica quando — per commozione, ti-more, riguardo, ecc. — si lascia in sospeso un discor-so; nella pagina scritta viene segnalata dai puntini disospensione: «Lei sa bene, che ogni volta che m'ha det-to qualche cosa sinceramente, in confidenza, io non homai...» «Brava! come quando...». (A. MANZONI)

Ripetizione (anche: iterazione, duplicazione): si daquando uno scrittore — non per distrazione o sciatte-ria, ma intenzionalmente, per insistere su un concet-

to, un'immagine, ecc. — ripete due o più volte la stes-sa parola o parole della stessa radice. Le possibilitàsono molte, per es.: Non vedrete mai che Dio faccia unmiracolo, quando senza miracolo può ottenere ciò checol miracolo si vorrebbe. (P. SEGNERI); O speranze, spe-ranze, ameni inganni / della mia prima età (G. LEOPAR-DI); Sugli spiazzi le caldaie fumano al fuoco, le grandicaldaie nere sulla bianca neve, le grandi caldaie dovesi coagula il latte. [..] Tutti intorno coi neri cappelli,con vesti di lana nera... (C. ALVARO)

Sarcasmo: una forma esasperata d'ironia (vedi), mos-sa dall'ira, dallo sdegno o dal disprezzo.

Sinèddoche: una forma di metonimia (vedi ilquesto capitolo).

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Sinestesìa (in greco = percezione contemporanea):una forma di metafora in cui si verifica lo scambio trauna percezione sensoriale e un'altra (ad es. visiva eauditiva): Io venni in loco d'ogni luce muto (DANTE);tinte dolci (L. CAPUANA); fredde luci parlano (E. MON-TALE).

Stilema: un procedimento stilistico (un dato sintag-ma, anche una figura retorica) che ricorre frequente-mente in uno scrittore o in una scuola o tradizioneletteraria.

Topos, plur. topoi (in greco = luogo; anche: luogo co-mune, stereotipo): ogni motivo (argomentazione, de-scrizione, paragone, tema poetico) che ritorna con fre-quenza e con certi caratteri fissi in un autore, in unascuola poetica, in un'epoca, ecc. Sono topoi ad es. l'e-numerazione di cose impossibili, la descrizione delpaese di Cuccagna, il tema dei rovesci di fortuna, ladescrizione di un paesaggio notturno, ecc.

Zèugma: consiste nella sua forma più caratteristicanel riferire un verbo non solo a un termine cui si ad-dice, ma anche ad un altro che ne richiederebbe unodiverso: Parlare e lacrimar vedrai insieme [= udraiparlare e vedrai lacrimare] (DANTE); Ho mangiato unpanino e una birra.

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43. Generi letterali,linguaggi «speciali»,«funzioni» del linguaggio

1. I GENERI LETTERARI

Un'altra teoria in cui l'insegnamento della reto-rica è oggi almeno in parte rivalutato riguardala suddivisione delle opere letterarie in «generi».I generi letterali sono «istituti» sorti storica-mente, che si evolvono e si rinnovano nel tempoe rimangono subordinati alla creatività del sin-golo artista, ma rappresentarono e rappresentanodei precisi modelli di riferimento.

PROSA E POESIA

Un primo spartiacque divide quella che chiamia-mo prosa, più prossima alla lingua d'uso quoti-diano, dalla poesia, fortemente «marcata» ri-spetto sia all'uso comune sia alla prosa lettera-ria, soprattutto mediante l'elemento del ritmo(vedi capitolo 44).In molte tradizioni letterarie la poesia precede laprosa e addirittura preesiste, in forma orale, allacomparsa della scrittura. Essa si suddivide, tradi-zionalmente, in tre generi fondamentali: lirico, e-pico, drammatico.

POESIA LIRICA

«La lirica — scrisse il Leopardi — si può chia-mare la cima, il colmo, la sommità della poesia,la quale è la sommità del discorso umano». Essacorrisponde alla manifestazione immediata del-l'intuizione poetica ed è la forma d'arte menosoggetta a determinazioni storiche, rimanendofondamentalmente la stessa dalle manifestazionipreletterarie fino al presente. Le varietà formalisono innumerevoli (ne vedremo alcune occupan-doci di metrica, nel capitolo 44), mentre si riferi-sce ai contenuti la classificazione in: lirica d'amo-re, civile, patriottica, religiosa, giocosa, ecc.

POESIA EPICA

Nella sua forma originaria, attestata già nellatradizione orale di molti popoli, l'epica è rappre-sentata dal poema eroico, che narra le gesta dieroi appartenenti al mito o a un passato storicoidealizzato (nel III millennio a. C. il mesopotami-co Poema di Gilgames, alle origini della lettera-tura greca l'Iliade e l'Odissea attribuite ad Ome-ro, nel Medioevo la francese Chanson de Roland,.il Cantare del Cid spagnolo, l'Edda scandinava,

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5

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ecc.). In fasi di più matura civiltà l'epica detta«riflessa» da opere come l'Eneide di Virgilio o ilpoema mitologico di Ovidio, le Metamorfosi, men-tre in Italia, tra il Quattrocento e il Seicento, sisviluppa il poema cavalieresco (il Morgante delPulci, l'Orlando innamorato del Boiardo, l'Orlan-do furioso dell'Ariosto), nasce il poema epico-reli-gioso del Tasso (la Gerusalemme liberata), ritornail poema mitologico con l'Adone del Marino. L'e-pica, come genere vitale, si esaurisce nel Sette-cento.

POESIA DRAMMATICA

Nella poesia drammatica (che, storicamente, sifissa in Grecia, nelle due forme della tragedia edella commedia, nel corso del V secolo a. C.) l'a-zione rappresentata attraverso il dialogo dei per-sonaggi si sostituisce alla narrazione. La trage-dia fu un genere eminentemente poetico presso iGreci e i Romani (Eschilo, Sofocle, Euripide, Se-neca), nel Rinascimento e ancora, in Italia, allafine del Settecento e all'inizio dell'Ottocento (Al-fieri, Foscolo, Manzoni), ma fu radicalmente ri-formata nel Seicento (Shakespeare, Lope de Ve-ga, ecc.) per svilupparsi in seguito, fino ad oggi,prevalentemente in prosa (e allora preferiamoparlare di dramma). Anche la commedia è all'o-rigine un genere poetico (Aristofane), ma già conun altro scrittore greco, Menandro, e con i roma-ni Plauto e Terenzio si vale di un linguaggioprossimo al parlato e nell'età moderna adotta laprosa (pensiamo, per l'Italia, a Machiavelli e poia Goldoni). Manifestazioni attuali del generedrammatico sono, oltre al dramma e alla comme-dia in prosa, le sceneggiature cinematografiche,radiofoniche, televisive.

ALTRI GENERI POETICI

Altri generi poetici possono essere ricondotti auno dei tre fondamentali ora illustrati: per esem-pio, all'epica il poema eroicomico (la Batracomio-machia omerica, la Secchia rapita del Tassoni) ealla poesia drammatica la sacra rappresentazione,il melodramma, la farsa. Oppure si iscrivono nelgenere didascalico (cioè «diretto a insegnare»,ma il termine e la stessa categoria sono piutto-sto vaghi): il poema didascalico, il poema allegori-co (la Divina Commedia di Dante, se proprio vo-gliamo assegnarla a un «genere», è un poema di-dascalico-allegorico), la satira (Grazio, Ariosto),il poema satirico (il Giorno del Parini), la favola

di animali (Esopo, Fedro, Trilussa) e — a metàfra poesia didascalica e lirica — l'epigramma e ilsonetto.

LA PROSA

Nell'ambito dell'espressione prosastica ebbero o-rigine già nell'antichità la prosa oratoria, la pro-sa storica e la prosa filosofico-scientifica.Dell'importanza dell'oratoria nella vita pubblicae nell'insegnamento presso i Greci e i Romani siè già detto (vedi capitolo 42, § 2). Si distinguevatra orazioni giudiziarie (le arringhe pronunciatein tribunale), orazioni politiche (i discorsi davan-ti alle assemblee) e orazioni epidittiche, cioè «di-mostrative». Queste ultime erano orazioni fitti-zie, destinate a un pubblico non di ascoltatori,ma di lettori: ne sono gli attuali eredi il pam-phlet, la lettera aperta, il saggio, l'articolo.

PROSA STORICA, FILOSOFICA, SCIENTIFICA

E intuitivo che cosa s'intende per prosa storica,fllosofica, scientifica. Si avvertirà peraltro cheopere di questo genere assumono valore d'artesolo quando l'autore, oltre a perseguire fini di ri-cerca, vi imprime un sigillo personale. Avremoallora le opere di un Erodoto, di un Tucidide, diun Tacito, di un Piatone, di un Galileo. Una for-ma caratteristica conferita da Piatone alla prosafilosofica, tale da drammatizzarla riproducendo alvivo il gioco dialettico, è il dialogo; riapparirà dirado con pari altezza di risultati (in Galileo, nelLeopardi), mentre usualmente le opere di filo-sofia e di scienza assumono la forma del trattato.

IL ROMANZO

Nell'antichità il romanzo occupò una posizionemarginale (non ebbe neppure una designazionespecifica e il termine è di origine medioevale). Acominciare dal Seicento-Settecento esso divieneinvece la forma di prosa dominante: se l'epica èil genere narrativo poetico, il romanzo è il gene-re narrativo prosastico per eccellenza o, se vo-gliamo, l'epopea quale viene sentita e realizzatanell'età moderna e contemporanea. In una produ-zione vastissima e multiforme si distingueranno:romanzi di avventure, picareschi, erotici, di for-mazione, autobiografici, epistolari, storici, e poiromanzi «fiume», polizieschi, gialli, rosa, giallo-rosa, fantascientifici, ecc.Il romanzo, se vuoi rispondere ai requisiti di un

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modello che si è venuto via via configurando, de-ve possedere una notevole estensione, un ampiorespiro. Altrimenti si passa al romanzo breve, alracconto e — quando la narrazione coglie sol-tanto un episodio, un momento, un aspetto dellarealtà — alla novella. Anche per la novella gliesempi antichi sono di scarso rilievo e la primagrande raccolta di novelle è il Decameron delBoccaccio, che per tanti riguardi precorre del re-sto lo stesso romanzo moderno.

2. STILI, REGISTRI,LINGUAGGI, SOTTOCODICI

I TRE STILI

Si collega alla teoria dei generi letterari la pre-cettistica dei «tre stili», che, pur attraverso a-dattamenti e reinterpretazioni, rimase salda nel-l'antichità, nel Medioevo e fino al Settecento.Si distinsero:

• uno stile basso, o tenue, o umile;• uno stile medio, o temperato;• uno stile alto, o grave, o sublime.

Ad ogni genere, o all'argomento e ai personaggidella singola opera nel quadro di un dato genere,si considerava adeguato uno dei tre stili: per e-sempio alla commedia e alla satira lo stile umilee all'epopea e alla tragedia, col massimo scartorispetto alla lingua d'uso, lo stile sublime.Utile per comprendere molte peculiarità di opereantiche, medioevali e rinascimentali, compostequando gli autori l'avevano ben presente, la teo-ria dei tre stili, col suo evidente schematismo, ri-sulta di scarsa efficacia per approfondire le diffe-renze tra le forme della comunicazione verbale,soprattutto quando non ci si voglia limitare alleespressioni specificamente letterarie. Perciò lalinguistica contemporanea introduce altre cate-gorie più comprensive e più duttili e parla di re-gistri espressivi, di linguaggi, di sottocodici.

REGISTRI ESPRESSIVI

II termine registro richiama la varia estensionedella voce umana nel canto (registro di tenore,baritono, ecc.) o i diversi timbri di strumenti mu-sicali. Così il medesimo parlante, per comunicareil medesimo messaggio, adotta registri espressi-

vi differenti a seconda della situazione in cui sitrova. Anzitutto ci esprimiamo diversamentequando parliamo e quando scriviamo, perché lalingua scritta, pur in assenza di ogni intentod'arte, impone sempre una stilizzazione; ma an-che nell'ambito del parlato le scelte mutano nelregistro familiare, in un registro genericamentecolloquiale e in quel registro più sorvegliato e vi-cino alla lingua scritta che è rappresentato dallalingua d'uso propria di determinati momenti del-la vita di relazione (la conversazione impegnata,la vita pubblica, la vita scolastica, ecc.). Inoltread alcune di quelle che abbiamo visto come«figure retoriche» corrispondono — sempre nelquadro della lingua d'uso comune — registri spe-cifici come lo scherzoso, l'ironico, il sarcastico,l'iperbolico.

LINGUAGGI «SPECIALI» O «SETTORIALI»

Quando si passa ad analizzare le forme della co-municazione, parlata e scritta, degli appartenentia una comunità linguistica considerati nella lorocollocazione entro la società, entro una profes-sione, entro una qualsiasi attività specifica, ci siriferisce ai linguaggi detti «speciali» (dove spe-ciali si oppone alla lingua comune in quanto ge-nere, unità superiore), o «settoriali» (cioè ri-guardanti un dato settore della comunità lingui-stica). I linguaggi speciali individuabili sono nu-merosi; nei prossimi paragrafi accenneremo adalcuni dei più nettamente caratterizzati.

SOTTOCODICI

Quanto, infine, al termine sottocodice, si connettealla concezione della lingua come codice (vedi In-troduzione, § 5); è il termine più comprensivo epuò adattarsi indifferentemente ai registri e-spressivi, ai linguaggi speciali, agli stili e ai ge-neri della retorica. Parlando di sottocodici in-tendiamo sottolineare che, per formulare e perinterpretare perfettamente determinati messaggilinguistici, non basta conoscere il «codice lin-gua», ma occorre anche possedere delle informa-zioni aggiuntive, avere una «chiave interpretati-va» in più.

SPESSO LINGUAGGIOSPECIALE = LESSICO SPECIALE

Prima di soffermarci su alcuni linguaggi specia-li, osserveremo che le peculiarità di tali linguag-

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gi (come pure dei registri, ecc.) riguardano, in li-nea di principio, tutti i livelli della lingua, e in-vero — a proposito di fatti fonologici, morfologi-ci, sintattici — ne abbiamo spesso indicati certu-ni come propri del registro colloquiale, o del lin-guaggio burocratico, ecc. (Un esempio fra tanti:la lingua parlata privilegia, nell'organizzare l'e-nunciato, la coordinazione, mentre molti costrut-ti subordinativi appartengono esclusivamente al-la lingua letteraria). Tuttavia ciò che più comu-nemente e decisamente differenzia tra loro i di-versi sottocodici è un insieme di scelte d'ordinelessicale, tanto che non di rado sarebbe più ap-propriato parlare di lessici speciali anziché dilinguaggi speciali.

3. I GERGHI

Tra i linguaggi speciali i modelli più fortementemarcati sono offerti da quelli che, con termineapposito, chiamiamo gerghi. Nel gergo le diver-genze rispetto al lessico della lingua sono innu-merevoli e concernono anche le parole più comu-ni, cosicché un testo gergale può risultare deltutto incomprensibile al profano. Non si trattapiù di «decodificare» un messaggio sulla base delcodice lingua (vedi Introduzione, § 5), ma occorresaperlo «decrittare», perché il messaggio è statoreso intenzionalmente oscuro («crittico» o «crip-tico», dal greco kryptikós, «oscuro»).

IL GERGO DELLA MALAVITA

Diamo un esempio dal gergo della malavita,che è il gergo più tipico e nasce dal preciso in-tento di occultare agli estranei il senso delle co-municazioni linguistiche (oltreché dalla volontà,più o meno consapevole, di una differenziazioneanche sul piano linguistico dalla società civile,sentita come un mondo diverso ed ostile): «In ca-sanza d'un bel mecca / che in buiosa ha già stan-ziato j stanzia un treppo / scarpinato da le zampede' pulimme» (Questa filastrocca richiede, ovvia-mente, una traduzione: «Nella casa di un bel ti-po che in prigione ha soggiornato sta un gruppoche è scappato dalle grinfie dei poliziotti»).Il lessico gergale della malavita è costituito diparole della lingua deformate o usate metaforica-mente, di voci dialettali, di neoformazioni. Qual-che termine è penetrato nella lingua o comun-

que, grazie ai romanzi e ai film polizieschi, è lar-gamente noto; tutti sappiamo che la madama èla polizia, il balordo un delinquente allo sbara-glio, l'infamità la delazione o il tradimento, ladritta l'informazione passata dall'infame ai tutoridell'ordine. Ma il lessico speciale della malavitaè ricchissimo, con tutto un pullulare di sinonimiintorno a particolari referenti, come ad es. ladroga, che è di volta in volta l'erba, la farina, laghiaia, la naftalina, la neve, la pasticca, il citrato,la macuba, la nufia, la streppa, ecc.

ALTRI GERGHI

Anche quando manca l'intenzione di creare unostrumento di comunicazione «criptico», ma esisteuna solidarietà di gruppo, che si compiace dell'u-so esclusivo di certi termini ed espressioni, sirealizza un gergo: il gergo di certe categorie arti-gianali, il gergo militare, burocratico, giuridico,politico. Si tratta però, in effetti, di linguaggisettoriali, tendenti, in determinati casi, a degene-rare in gergo (vedi § 5).

GERGO GIOVANILE E STUDENTESCO

Ad alcune caratteristiche del tipico gergo si av-vicina, piuttosto, il linguaggio giovanile e, inparticolare, il linguaggio studentesco. Indubbia-mente la sostituzione, senza motivo apparente, diparole anche di uso comune, l'impiego di partico-lari metafore, il ricorso ad intercalari tipici ge-nerano enunciati almeno in parte «criptici» e ri-spondono all'esigenza, molto sentita dai giovani,di stabilire un confine con la società «adulta», dirifiutare, insieme con altri modelli di comporta-mento, anche il modello linguistico e di afferma-re una propria, provvisoria identità attraversoun mezzo espressivo fortemente marcato rispettoalla lingua d'uso.Probabilmente è superfluo dare esempi di gergostudentesco, e sarebbe anche difficile. All'internodel mondo giovanile esso cambia da regione a re-gione, da città a città e magari, in una stessacittà, da scuola a scuola; cambia a seconda delleclassi di età; cambia soprattutto, con estrema ra-pidità, nel tempo. Occorrerebbe verificare, per e-sempio, se termini come catafalco, chiamino, bollorispettivamente per «cattedra», «campanello»,«pagella», e filone, geometra, ìtalo, storione perindicare i professori di filosofia, matematica, ita-liano, storia, e vertenza, salasso, estremunzionetutt'e tre per «interrogazione», registrati negli

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anni Settanta, oggi hanno ancora corso e se unafrase come «Domani bigio di prepo perché il profci vuole smollare uno stogo di compitino in clas-se», che è degli inizi degli anni Ottanta, è anco-ra comprensibile.Il gergo giovanile è una realtà, ma una realtàmutevole, fuggevole, quasi inafferrabile. Del re-sto, nell'esistenza di una persona, occupa unabreve stagione, per divenire presto un ricordoche svanisce senza residui.

4. I LINGUAGGI SCIENTIFICI

MOTIVI DELLA DIFFICOLTÀ

II profano, di fronte a un enunciato scientifico,può provare la stessa impressione che gli da unmessaggio «criptico»: ci capisce poco o nulla.Ma il punto di partenza nella formazione del lin-guaggio delle scienze è completamente diverso.La scienza mira alla chiarezza e conta sulla co-municabilità del sapere. Nell'organizzare gli e-nunciati predilige le strutture semplici e tra leparti del discorso privilegia il sostantivo, atto aconvertirsi in simbolo nelle formule matemati-che, in modo che sia favorita la costruzione diun «linguaggio formalizzato»; i termini impiegatisono esclusivamente denotativi (vedi capitolo 39,§ 2) e di ciascuno si da una definizione univoca,universalmente accettata e immutabile (almenofinché non si giunga a una svolta nella ricerca eil modello di riferimento non venga corretto osostituito).Contrariamente a quanto spesso si pensa, buonaparte del lessico di base delle scienze esatte ètratto dalla lingua comune. Basti pensare (limi-tiamo l'esemplificazione alla fisica classica, anzialla sola meccanica) ai termini corpo, massa, pe-so, moto, inerzia, velocità, energia, forza, pressio-ne, attrito, ecc., di fronte a una minoranza di ter-mini specificamente tecnici, come vettore, bari-centro, centrìpeto, centrifugo, cinetico, volvente,ecc.Le difficoltà che incontriamo nella comprensionedel linguaggio scientifico dipendono dunque nontanto dall'astrusità del lessico, quanto dalla ne-cessità di conoscere l'esatto significato assegnatoad ogni termine, dalla compattezza del messag-gio, privo di ogni ridondanza, e dalla rigida con-catenazione logica del discorso.

CONTINUO ARRICCHIMENTO E VARIETÀDEI LESSICI SCIENTIFICI

Quanto sopra vale in linea di principio. Natural-mente il progresso scientifico conduce continua-mente ad acquisizioni nuove e gli oggetti e i fe-nomeni via via scoperti ricevono apposite deno-minazioni. Così la chimica creò tra la fine delSettecento e i nostri giorni la terminologia deglielementi, dall'idrogeno e dall'ossigeno all'uranio,al plutonio, al californio, al fermio, ecc.; così lafisica atomica (mentre atomo è parola già greca)ha coniato per le particelle subatomiche i neolo-gismi neutrino, neutrone, fotone, mesone, positro-ne, ecc. Quanto alle scienze eminentemente de-scrittive, come la zoologia, la botanica, la geolo-gia, o applicate, come la medicina e molte tec-nologie, la quantità dei referenti può diveniresterminata e, corrispondentemente, le neoforma-zioni si moltipllcano; abbiamo già visto alcunidei procedimenti impiegati (capitolo 40, § 7).Se dalle scienze della natura ci spostiamo allescienze umane, anche a quelle che, poste alconfine tra i due settori, come l'economia e lalinguistica, tentano di formalizzare i loro enun-ciati, e poi alla sociologia, all'etnologia, alla psi-cologia, alla scienza delle religioni, ecc., troviamoche ciascuna di esse possiede un proprio lessicospeciale, ma che i tratti distintivi del linguaggioscientifico già rilevati (il rigore, l'univocità deisignificati, l'economicità della terminologia) siattenuano. La coesistenza di scuole di pensierodiverse, l'intervento della personalità dei singoliautori, l'oggetto stesso della ricerca orientanonecessariamente questi linguaggi in direzione delversante letterario. Ciò varrà, a maggior ragio-ne, per la filosofia, per la storiografia e per lacritica letteraria, artistica, musicale, ecc.

5. IL LINGUAGGIO COMMERCIALE,PUBBLICITARIO, AMMINISTRATIVO

Con i linguaggi speciali visti fin qui il singoloparlante ha un rapporto saltuario e superficiale,a parte quel linguaggio o quei linguaggi che ri-guardano la sua condizione o la sua attività pro-fessionale. Ma ci sono altri linguaggi speciali,più o meno nettamente caratterizzati, con cuitutti dobbiamo fare i conti ogni giorno: i lin-guaggi del commercio, della pubblicità, dell'ani-

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ministrazione, della politica, della stampa quoti-diana e periodica. Senza alcuna sistematicità(che richiederebbe un discorso molto ampio), ve-diamone i tratti distintivi salienti.

IL LINGUAGGIO COMMERCIALE

II linguaggio commerciale (cui si potranno as-sociare quelli della banca, della finanza e di varisettori delle attività produttive) ha interesse aporsi, sia pure con fini diversi, i medesimi obiet-tivi del linguaggio scientifico: chiarezza, precisio-ne, brevità. L'effettivo contenuto dei messaggiper lo più risponde a tali esigenze, ma la consue-tudine impone, in particolare nella corrisponden-za, tutta una serie di formule fisse, che, con mol-te varianti, inquadrano e in certo modo formaliz-zano la comunicazione: formule di apertura (inrisposta a,.., a riscontro di..., facendo riferimentoa...), di chiusura (Nell'attesa di una sollecita ri-sposta..., ... distintamente Vi salutiamo), di pas-saggio (in relazione poi alla Vostra richiesta...,per quanto inoltre attiene a...), di cortesia, di atte-nuazione, circonlocutorie (ci pregiamo..., siamolieti di informarvi..., ci fareste cosa grata se...,non possiamo esimerci dal rilevare che...).

IL LINGUAGGIO DELLA PUBBLICITÀ

Lo scenario cambia radicalmente quando il mon-do della produzione e della distribuzione si rivol-ge al pubblico. Diventano allora protagonisti o-peratori specializzati, i pubblicitari, che hannoelaborato quello che fra tutti i linguaggi specialiè il più vario e pittoresco, con il compito di con-vincere il maggior numero possibile di persone adacquistare prodotti spesso utili e originali, maaltrettanto spesso superflui o identici ad altri giàin commercio. Ogni volta che è possibile la pub-blicità si vale del mezzo visivo, ma normalmentel'immagine è accompagnata da un messaggio ver-bale, che diviene esclusivo o prevalente quandoil mezzo di comunicazione è la radio o il quoti-diano. Convincere, dunque, con la 'parola.Abbiamo già sentito parlare di questa funzionedel linguaggio: le tecniche per raggiungere il finefurono studiate e approntate dall'antica retorica,e il linguaggio della pubblicità ha saputo adatta-re a nuove esigenze le norme dell'« argomentazio-ne» e della «elocuzione». Con una differenza: l'o-ratore disponeva di un'ora o due o di un centi-naio di pagine, mentre il messaggio della pubbli-

cità dev'essere rapido, fulminante, non solo per-ché ogni secondo di trasmissione o ogni rigo distampa ha un costo elevato, ma perché l'attenzio-ne del destinatario non può essere trattenuta alungo e l'ideale è rappresentato da uno slogan didue o tre parole che gli s'imprima nella memoria.Si tratterà allora, più che di convincere paziente-mente col ragionamento, di sorprendere, colpen-do nello spazio di un attimo l'immaginazione. Dìqui appropriate e caratteristiche scelte di lessemie di sintagmi: il sostantivo in funzione attributi-va (esame finestra, modello famiglia, prova puli-zia); l'aggettivo in funzione avverbiale (corre gio-vane, comprate sicuro); le formazioni medianteprefissoidi (superconcentrato, biolavante); i neolo-gismi, i forestierismi, i tecnicismi in genere, talo-ra gli arcaismi; e infine un tipo particolarissimodi composto, prerogativa del linguaggio pubblici-tario, la «parola macedonia» o «parola valigia»(ottenuta amalgamando due lessemi: ultimoda,digestimola). Alle più svariate invenzioni verbalisi aggiungono poi, sagacemente rivisitate, lefigure retoriche di effetto più sicuro (non tantol'iperbole, perché l'esagerazione deve piuttostoessere mascherata, quanto la metafora, l'antitesi,l'anafora, il climax, la citazione allusiva, ecc.),ed anche i procedimenti della poesìa (rima, asso-nanza, allitterazione).

IL LINGUAGGIO AMMINISTRATIVO

II largo impiego di formule fisse, gli enunciati ri-sultanti dal succedersi di blocchi di parole e sin-tagmi prefabbricati (stereòtipi), già considerati aproposito del linguaggio commerciale, sono ca-ratteristici anche di quello che chiamiamo lin-guaggio amministrativo o burocratico.Agli stereotipi si aggiungono però qui altri trat-ti, che si possono ricondurre a un denominatorecomune: l'intento di una differenziazione non ne-cessaria dalla lingua d'uso, che trova la sua radi-ce in un'affermazione -- consapevole o incon-scia, benevola o burbanzosa — di autorità. I mez-zi sono rappresentati, oltreché dall'abuso di unlessico speciale sovrabbondante di latinismi bi-slacchi e di sinonimi pretenziosi, da determinatescelte anche d'ordine morfo-sintattico: le locuzio-ni prepositive e congiuntive ampie e goffamentesolenni (a motivo di, in forza di, per quanto ri-guarda, nella misura in cui, ecc.) al posto di sem-plici preposizioni e congiunzioni; i costrutti no-minali preferiti ai verbi; la predilezione per i so-stantivi astratti (l'utenza, la concorrenza, la rap-

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presentanza, ecc.) rispetto ai sostantivi concreti;le circonlocuzioni ampollose; ecc.Non di rado gli esiti cui perviene per queste vieil linguaggio amministrative-burocratico sono ri-sibili e tali da meritargli l'appellativo non onori-fico di «burocratese».

6. IL LINGUAGGIO GIORNALISTICOE IL «POLITICHESE»

Già circa un secolo fa, in Gran Bretagna, fucreato il neologismo journalese (— genalìs,«giornalese»), per designare il linguaggio sciat-to, approssimativo e zeppo di frasi fatte conside-rato caratteristico della stampa quotidiana. Leformazioni col suffisso -ese, impiegato per ottene-re una connotazione spregiativa, hanno avutosuccesso — in inglese come in italiano — in an-ni recenti ed oggi impieghiamo comunemente itermini «burocratese», «politichese», «sindacale-se», ecc. per sottolineare la degenerazione in ger-go di alcuni linguaggi settoriali.

IL LINGUAGGIO GIORNALISTICO

Va però subito osservato che proprio il linguag-gio giornalistico è quello che è meno lecito sva-lutare come gergo e che, anzi, è difficile circo-scrivere come linguaggio speciale. In realtà neiquotidiani compaiono (soprattutto nella «terzapagina») le firme dei nostri scrittori più autore-voli e anche ad alcuni tra i giornalisti di profes-sione spetta la qualifica di scrittori: è ovvio chela loro prosa va giudicata col metro della criticaletteraria. Ma anche gli articoli redazionali rag-giungono in genere un buon livello ed eventual-mente, a seconda dell'argomento trattato (e lastampa d'informazione li affronta un po' tutti),sono inquadrabili volta per volta entro altri lin-guaggi speciali. Semmai, l'urtante sciatteria el'affliggente abuso di stereotipi si riscontrano,per motivi intuibili, nei comunicati di agenzia,nelle «veline», nei notiziari radio-televisivi.

Peraltro, nella prosa che leggiamo sui quotidianie i settimanali, occupa un posto a sé il linguag-gio giornalistico sportivo. I cronisti e i commen-tatori sportivi impiegano il lessico — nettamentecaratterizzato — proprio di ciascuno sport e poi

si trovano ad affrontare il problema di riferireavvenimenti (la partita di calcio, la corsa auto-mobilistica, il match di boxe, ecc.) che ripetonoinvariabilmente sempre gli stessi schemi. Al finedi mantenere vivo l'interesse dei lettori, hannodovuto escogitare soluzioni variamente ingegno-se e, per variare i loro resoconti, li colorisco-no con metafore, neologismi, dialettismi, inven-zioni verbali di ogni genere, dando vita a unaprosa composita e immaginosa che è senza dub-bio un linguaggio speciale, immediatamente rico-noscibile.

Anche i titolisti, cioè i collaboratori di quotidia-ni e riviste incaricati di redigere e collocare nel-la pagina i titoli dei diversi articoli, hanno unloro proprio linguaggio, affine a quello dei pub-blicitari (si tratta infatti di colpire e di attrarreil pubblico, per incrementare le vendite) e si val-gono ampiamente di vari espedienti retorici, conuna spiccata predilezione per la «citazione» (cioèil titolo dell'articolo riecheggia, in genere spiri-tosamente, un verso celebre, un modo di dire, iltitolo d'un libro o di un film, ecc.).

IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA

Se dalla lingua dei giornali ci spostiamo a quelladella politica (che in parte è veicolata dallastampa stessa, ma ci raggiunge anche attraversomolti altri canali), il rischio dell'involuzione ver-so un linguaggio innaturalmente specialistico sifa subito manifesto: ecco, in agguato, il «politi-chese», il «sindacalese», il «sinistrese»1.Perché un linguaggio gergale, in politica, va con-siderato innaturale? I fisici, i biologi, i medici,gli economisti, che si avvalgono di lessici tuttiintessuti di tecnicismi e, comunicando tra loro,formulano enunciati obiettivamente oscuri,«criptici» per il profano, usano così il linguaggioper un'esigenza intrinseca alle discipline di cuisi occupano e non intendono celare alcun segre-to (quanto al profano, pur che ne abbia il tempoe la capacità, potrà sempre individuare i referen-

1 Sarebbe facilmente individuabile anche un «destrese», emagari un «centrese» o un «centrosinistrese», ecc. La fortu-na del termine sinistrese è dovuta semplicemente alla moltomaggior diffusione e influenza della pubblicistica di sini-stra, soprattutto negli anni Settanta, quando il termine sor-se.

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ti dei termini tecnici e ricostruire la trama deldiscorso). Ma la politica, e più in generale tuttociò che riguarda la vita della comunità, è, in de-mocrazia, cosa di tutti. Deve essere trasparentenei fatti e nelle parole. Qui non dovrebbero esi-stere «profani»; non può essere richiesto al citta-dino uno sforzo interpretativo per comprenderequello che l'esponente o il commentatore politicodicono o scrivono.Accade invece — non sempre né ad opera di tut-ti, ben inteso — che il linguaggio della politicaelabori un lessico suo proprio, partecipi delle a-bitudini del linguaggio burocratico, cerchi di ag-ghindarsi, purtroppo senza il concorso professio-nale dei pubblicitari, con goffe figure retoriche.Anziché coltivare la virtù della trasparenza, que-sto linguaggio si fa dunque volta per volta elusi-vo o allusivo, reticente o ammiccante, lezioso otedioso: un gergo rivolto ai soli «addetti ai lavo-ri». Ma non è il caso di disperare. Il «politiche-se» è uno degli inconvenienti della democrazia, iquali hanno la caratteristica di essere non solomeno numerosi e meno gravi dei vizi degli altriregimi, ma di poter essere denunciati, corretti, e-liminati.

7. LE «FUNZIONI»DEL LINGUAGGIO

Nei paragrafi precedenti abbiamo consideratomolte modalità diverse dell'uso del linguaggio,mantenendoci prevalentemente su un piano de-scrittivo. Per 1!'interpretaziune dei fatti e per unapprofondimento teorico è utile conoscere, nellelinee generali, una teoria che, anche se non ri-solve ogni problema, presenta il vantaggio difondarsi su un principio unitario: la teoria, ela-borata dal linguista di origine russa Roman Ja-kobson, che individua un certo numero di «fun-zioni» del linguaggio, cioè di distinti fini asse-gnati dal parlante agli enunciati.Questa teoria è ancorata alla concezione del lin-guaggio come codice e, per comprenderla, doveterifarvi allo schema che avete già visto nell'Intro-duzione (§ 5) e che qui ripetiamo nella sua formapiù semplice:

Le «funzioni» individuate, in numero di sei, sidistribuiscono così in relazione allo schema:

2) espressiva 1)referenziale4) fatica5) metalinguistica6) poetica

3) conativa

1) La funzione di gran lunga preminente è quel-la referenziale: con il termine si allude al fattoche l'emittente e il ricevente si riportano ai refe-renti della realtà extralinguistica (vedi capitolo38, § 4), e la comunicazione si realizza sulla basedel codice (vedi Introduzione, § 5) e grazie al con-testo. Questa funzione viene anche detta «cogni-tiva»: i messaggi così prodotti contengono infor-mazioni, portano a una conoscenza. Di norma lalingua d'uso è «referenziale»: «Per svitare questobullone occorre una chiave n. 12»; «II pranzo saràpronto per le otto». E d'altra parte ottengono o sisforzano di ottenere enunciati strettamente refe-renziali i linguaggi scientifici e il linguaggio le-gislativo, giuridico, amministrativo.

2) Nella funzione referenziale emittente e rice-vente sono coinvolti in eguai misura e sullo stes-so piano. La situazione è del tutto diversa nelledue funzioni che abbiamo collocato sulla sinistrae sulla destra dello schema.Nella funzione espressiva il messaggio è cen-trato sull'emittente. Il fine del comunicare è su-bordinato a un altro fine che si pone il parlante:di esprìmersi, di esternare i propri sentimenti ele proprie emozioni (la funzione è anche detta«emotiva»): qui sulla denotazione prevale netta-mente la connotazione (vedi capitolo 39, § 2). Nel-la forma più tipica la funzione espressiva si ma-nifesta nel monologo, nel monologo intcriore, nel«flusso di coscienza».

3) All'estremo opposto, nella funzione conativa,il messaggio punta decisamente sul destinatario.Il termine deriva dal verbo latino conor, «sfor-zarsi», e questa funzione è anche detta «impera-tiva». Il messaggio vuole ottenere un dato com-portamento: «Svita quel bullone!» «Che il pranzosia pronto per le otto!». L'imperativo e il con-giuntivo esortativo sono i modi verbali caratteri-stici della funzione conativa, ma rientrano inlarga misura in essa il discorso oratorio e il lin-guaggio della pubblicità, che mirano appunto aconvincere, a costringere, a condizionare il desti-natario.

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4) Con le altre tre funzioni ritorniamo al centrodello schema, dove sono del pari coinvolti emit-tente e ricevente, come nella funzione referenzia-le; ma mutano il rapporto col codice e la naturadel messaggio.La funzione fatica: il termine deriva dal verbolatino fari, «parlare»; qui registriamo un parlareper parlare, apparentemente fine a se stesso. Ineffetti il linguaggio, nella funzione fatica, noncomunica nulla, eppure le espressioni che nasco-no da questa funzione hanno un fine preciso: distabilire, ristabilire, rafforzare il contatto fra e-mittente e ricevente, in modo che sia garantito ilmiglior funzionamento della comunicazione verae propria. Si tratta di brevi enunciati o di incisi,frequentissimi nella conversazione quotidiana:«Lei mi capisce», «Senti un po'», «Senta!»,«Dunque...», (al telefono, anche ripetuto nel cor-so della comunicazione) «Pronto?»; (interrompen-do l'interlocutore, e non per confermare quantodice, ma per rassicurarlo che lo stiamo seguendo)«Sì...»; e poi in genere le interiezioni, molte for-mule di saluto, ecc.

5) Nella funzione metalinguistica l'oggetto del-la comunicazione è il linguaggio: tra emittente ericevente il contatto viene stabilito non a propo-sito di referenti esterni, ma dello stesso codice.Sono quindi di carattere «metalinguistico» le ar-gomentazioni di qualsiasi libro di linguistica e ilemmi dei vocabolari. Ma la funzione viene eser-citata frequentemente anche nell'ambito dellalingua d'uso, per far sì che la comunicazione nelsuo insieme avvenga senza equivoci o incertezze:

quindi tutte le volte che determiniamo l'esattosignificato di una parola che usiamo, o chiedia-mo precisazioni su quanto dice l'interlocutore, omagari lo correggiamo. Per esempio: «Hai detto"eccezione" o "accezione"? E che cosa vuoi dire"accezione"?» Oppure queste battute di dialogoin un negozio: «lo cercavo delle scarpe marronescuro, ma queste per me sono nere». «No, guardiche si tratta del colore testa di moro».

6) Infine nella funzione poetica — da intenderenon limitata alla «poesia» governata dal ritmo,ma estesa all'opera letteraria in generale, quan-do raggiunga valori d'arte — la comunicazione ècentrata sul messaggio in quanto tale. Cioè,all'emittente, in questo caso l'artista, non preme,o almeno non preme in modo esclusivo, di farepervenire ai riceventi una determinata comunica-zione, oppure di convincerli, e nemmeno soltantodi esprimersi emotivamente, ma egli intende ope-rare in modo personale sul codice.

Anche mediante qualche esempio, abbiamo vistoche a questa o a quella funzione del linguaggiocorrispondono determinate espressioni e, in varicasi, determinati linguaggi speciali o sottocodici.Va però osservato, conclusivamente, che di nor-ma in ogni manifestazione linguistica — lettera-ria e non letteraria — sono presenti insieme, siavvicendano e cooperano tra loro più funzioni,nel quadro di quella complessiva funzione del co-municare che è propria del linguaggio nel suo as-sieme.

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I

44. Il linguaggiodella poesia.Elementi di metrica

1. POESIA, VERSIFICAZIONE, METRICA

Al linguaggio della poesia finora abbiamo appena accennato, rilevando, tutt'al più, che è «fortementedifferenziato» rispetto sia alla lingua comune, sia alla prosa letteraria. Possiamo considerarlo unodei tanti linguaggi speciali'! Stando alla lettera, sì, ma ci accorgiamo subito che la formula, riferita aciò che ci hanno lasciato per esempio Dante, Leopardi, Montale, è a dir poco riduttiva. Parlare diuna «funzione poetica» (anche se non risolve ogni problema e se qui il termine «poetico» è impiegatoestensivamente, fino a includere ogni produzione letteraria artisticamente valida) è certo piùpertinente: fin dalle origini, quando non esisteva ancora la scrittura e una lingua al suo interno erascarsamente differenziata, i gruppi umani sentirono l'esigenza che il linguaggio, in particolarioccasioni, fosse usato per un fine diverso e in una forma diversa, più intensa, elevata e personale. Auna lingua d'uso, indifferenziata, si oppose un linguaggio poetico, e ancora oggi, fra tutte lemanifestazioni in cui può presentarsi il linguaggio, si innalza la poesia, la parola umana al massimodella sua espressività.

ELEMENTI ESTERNI DEL LINGUAGGIO POETICO

Approfondire ulteriormente l'argomento significherebbe inoltrarsi nel territorio dell'estetica, al di làdei nostri scopi. Sarà invece utile fermarci sui caratteri esterni del linguaggio poetico, quelli che lodistinguono formalmente dagli altri linguaggi e dalle altre forme di espressione letteraria, e che sonoessenzialmente due:

• un elemento ritmico;

• determinate scelte stilistiche, in particolare lessicali.

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L'elemento ritmico si realizza in modi diversi a seconda delle lingue e delle epoche. Ciò che rimanecostante è un organizzarsi del discorso in sequenze di parole (versi) in cui si ripetono o siavvicendano determinati schemi. Nella poesia greca e latina la base di tali schemi è data dalsuccedersi di sillabe misurate secondo la durata o quantità (è una poesia quantitativa); nella poesiaitaliana dal numero delle sillabe e dal ricorrere, in certe posizioni, di accenti ritmici (è una poesiasillabico-accentuativa).

VERSIFICAZIONE E METRICA

La disciplina che studia la versificazione, cioè la forma esterna del linguaggio poetico, è la metrica(da métron, in greco «misura»), che include la prosodia (la parte della metrica più specificamenteinteressata alla divisione del verso in sillabe, agli accenti e ai fenomeni connessi). Le pagine cheseguono sono dedicate a una sintetica illustrazione della metrica italiana tradizionale o «regolare»,costituita da un complesso di norme in vigore dalle origini della nostra letteratura, nel Duecento,fino agli inizi del Novecento. Invece la poesia contemporanea, pur rifacendosi non di rado almenoad alcuni dei modelli della tradizione, nella sua generalità vuole essere libera da ogni norma fissa.Ciò non implica affatto che nel verso libero si prescinda dall'elemento del ritmo, ma lo si attuavolta per volta con procedimenti che vanno analizzati direttamente sui testi dei singoli autori,mentre una teorizzazione di carattere generale risulterebbe, oltreché complessa, di scarsa utilità.

2. GLI ELEMENTI DEL VERSO. LA SILLABA

ELEMENTI ESSENZIALI DEL VERSO

L'unità metrica del verso italiano è la sillaba, e i versi prendono nome dal numero delle sillabe che licompongono: il quinario è un verso di 5 sìllabe, l'ottonario di 8, l'endecasillabo di 11, ecc. (vedi § 3).Notiamo però (prendendo come esempio l'endecasillabo) che non è un endecasillabo una qualsiasisequenza di 11 sillabe, come, mettiamo: La notte che ci nasconde le cose. È invece un endecasillabo:

La notte che le còse ci nascónde (DANTE).1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

Per ottenere un verso è dunque necessario un secondo requisito: la presenza di determinati accentiritmici1, uno dei quali cade sempre sulla penultima sillaba (nei versi piani). Un terzo elemento,accessorio, è rappresentato dalla rima.Occupiamoci anzitutto di due elementi essenziali: il numero delle sillabe e l'accento ritmico.

COMPUTO DELLE SILLABE: VERSI PIANI, SDRUCCIOLI, TRONCHI

Un endecasillabo è un verso composto di 11 sillabe quando termina con una parola piana, cioèaccentata sulla penultima sillaba, come il verso di Dante citato sopra. Questo è il caso più frequente;ma l'ultima parola potrà essere anche sdrucciola, oppure tronca. Nel primo caso le sillabe sarannouna di più (12), nell'altro una di meno (10), ma il verso rimane pur sempre endecasillabo:

L'uom che se stesso loda, si vitupera (L. ARIOSTO)1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1 1 2

1 Negli esempi che diamo tali accenti ritmici vengono sempre indicati col segno dell'accento 'acuto ( ' ), anche se per casocadono sulle vocali e, o aperte.

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1 Termini tratti dal greco: sinèresi e dièresi da verbi che significano rispettivamente «riunire» e «dividere»; sinalèfe edialèfe da verbi che significano «fondere insieme» e «separare».

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E come tigre ferita raggi (G. CARDUCCI).1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0

Analogamente i tre versi seguenti, tratti dal Cinque maggio del Manzoni, sono tutti dei settenari, maha in effetti 7 sillabe solo il primo (piano), mentre il secondo (sdrucciolo) ne ha 8 e il terzo (tronco) 6:

...orma di pie mortale1 2 3 4 5 6 7

la sua cruènta pólvere1 2 3 4 5 6 7 8

a calpestar verrà...1 2 3 4 5 6

PARTICOLARITÀ DELLA DIVISIONE IN SILLABE

Per la divisione in sillabe ci si rifa alle norme che abbiamo enunciato nella fonologia (vedi capitolo3, § 4). Non sempre però c'è esatta corrispondenza tra questo tipo di divisione e quello adottato inpoesia per le sillabe considerate come elementi del verso («sillabe ritmiche»). Occorre tenere conto diquattro fenomeni o «figure»: la sinèresi, la dièresi, la sinalèfe o elisione (il fenomeno più importante,sul quale dovete concentrare l'attenzione) e la dialèfe1.

Per effetto della sinèresi due vocali in iato, appartenenti a due sillabe distinte (per es. in mi-o, vi-a,fi-ni-i, tu-o, cre-a) possono contrarsi in una sillaba sola, come se si trattasse di un dittongo (quindimio, via, fi-nii, tuo, crea). Ad esempio:

Della mente di Dio candida figlia (V. MONTI).1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1

(Se si trattasse di prosa, conteremmo 12 sillabe).

La dieresi è l'inverso della sinèresi: talora in poesia un dittongo viene computato come due sillabe.Il fenomeno è indicato (non costantemente) dall'apposito segno della dieresi (due puntini sulla primadelle due vocali):

Così la diva visìon gli disse (V. MONTI).1 2 3 4 5 6 78 9 10 11

(Se si trattasse di prosa, conteremmo 10 sillabe).

La sinalèfe o elisione è il fenomeno più importante, perché ricorre continuamente. Quando unaparola termina in vocale ed è seguita da una parola che comincia anch'essa per vocale, la sillabafinale dell'una e la sillaba iniziale dell'altra si considerano come una sola sillaba metrica:

Talor m'assido in solitària parte (G. LEOPARDI).1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1

(Se si trattasse di prosa, conteremmo 12 sillabe).

Il termine elisione è quello più comunemente usato, ma si deve considerare più appropriato il termine specificosinalèfe. perché l'elisione è un fenomeno fonetico che si verifica anche in prosa ed è contrassegnato

dall'apostrofo (vedi capitolo 4, § 2: lo -» I', de/lo -» dell', di -> d', ecc.). Si osservi inoltre che, quando in unverso c'è la sinalefe, la vocale finale viene non solo scritta, ma anche pronunciata, cioè nel verso citato delLeopardi si legge: ... assido in..., non ...*assid'in.

Talora, eccezionalmente, la sinalefe non ha luogo; il fenomeno, l'inverso della sinalefe, è dettodialèfe:

O anima cortese mantovana (DANTE).1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1

NOTA

• Inoltre nella versificazione i fenomeni fonetici dell'elisione e del troncamento ricorrono più frequentementeche non in prosa. Per esempio a questi due endecasillabi del Leopardi:

Sempre caro mi fu quest'ermo colle1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1

Viene il vento recando il suon dell'ora1 - 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1

corrisponderebbero testi non versificati senza l'elisione di questo in quest' e il troncamento di suono in suon.Altri mezzi per adattare l'enunciato allo schema del verso, cioè altre «licenze» (= libertà, deviazioni dallanorma) poetiche, sono la sincope (ad es. spirto al posto di spirito, medesmo al posto di medesimo) e l'epèntesi(ad es. agevolemente al posto di agevolmente).

3. L'ACCENTO RITMICO E I VARI TIPI DI VERSI

L'ACCENTO RITMICO

L'accento tònico di alcune parole del verso imprime al verso stesso il suo particolare ritmo, fungendoda accento ritmico.Per esempio, nel verso dantesco Nel mezzo del cammìn di nostra vita, su 7 parole, 3 sono atone (nel,del, di) e 4 hanno ciascuna un proprio accento tonico (mèzzo, cammìn, nòstra, vita). Ora, gli accentidi due di esse (cammìn, vita) sono anche gli accenti ritmici del verso e le sillabe che recano taliaccenti — la 6a e la 10a — configurano uno degli schemi dell'endecasillabo.In ogni verso (a parte il trisillabo) gli accenti ritmici sono almeno due, e talora agli accenticonsiderati «principali» se ne aggiungono dei «secondari».

I VARI TIPI DI VERSI

Passeremo ora rapidamente in rassegna tutti i tipi di versi, i quali possono avere da 3 a 11 sillabe esi distinguono in parisillabi (quelli composti di 4, 6, 8, 10 sillabe), che presentano schemi ritmici piùrigidi, e imparisillabi (di 3, 5, 7, 9, 11 sillabe), in genere di forme più varie.

• Trisillabo - - -2

Accento ritmico sulla 2a sillaba. Normalmente compare in combinazione con versi maggiori;eccezionalmente da solo:

... il male I che hai / il cuòre j mi prème... (A. PALAZZESCHI).

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Accenti sulla la (talora come accento secondario) e sulla 3a. Quasi soltanto in combinazione con altriversi, in particolare con l'ottonario:

Su voghiamo, / navighiamo, / navighiamo infino a Brìndisi (F. REDI).

Accenti sulla la e 4a, oppure 2a e 4a:

Sótto quel tiglio — Cosi vuoi Dio (G. PRATI).

Senario

Accenti sulla 2a e 5a:

L'Italia s'è désta (G. MAMELI).

Settenario

È, dopo l'endecasillabo, il verso più largamente usato e più vario. Un accento posa sulla 6a, un altrosu una delle prime quattro sillabe. La varietà del settenario è accresciuta da possibili accentisecondari.Esempi:

Ligure ardita pròle — Beatissimi vói

O miseri o codardi — Te salutava allóra (G. LEOPARDI).

• Ottonario

Ha due accenti principali, sulla 3a e la 7a e inoltre, in genere, due secondari, sulla la e 5a:

Bèlle róse porporine (G. CHIABRERA).

Novenario

Ha tre accenti, sulla 2a, 5a e 8a (oltre a varianti poco comuni):

Ma quanta dolcézza mi giùnge (G. PASCOLI).

Decasillabo

Ha tre accenti, sulla 3a, 6a e 9a:

S'ode a dèstra uno squillo di trómba (A. MANZONI).

388

Endecasillabo

Presenta tre schemi fondamentali: con due accenti principali, sulla 6a e 10", oppure con tre, sulla 4a,8a e 10a o sulla 4a, T, 10a:

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi (P. PETRARCA)

Mi ritrovai per una sélva oscura (DANTE)

Per me si va ne l'ettérno dolóre (DANTE).

Gli schemi fondamentali non danno però ancora un'idea completa delle molteplici possibilità di varia-zione dell''endecasillabo, che è il verso più importante e, al tempo stesso, più duttile e flessibile della poesiaitaliana.Occorre tenere conto anche di accenti secondari (per es., con lo schema 6a-10a, sulla la, 2a, 3" o 4a) e del fattoche la cesura (una breve pausa alla fine della parola che reca il primo accento ritmico) divide l'endecasillabo indue emistichi (= mezzi versi), con molte possibili combinazioni.

NOTE

Esistono anche versi con più di 11 sillabe, ma sono versi «doppi», cioè composti di due versi più breviseparati da una «cesura». Sono: il dodecasillabo (= senario + senario), il verso martelliano (prende nomeda un poeta del Settecento; = settenario + settenario); il doppio quinario (distinto dal decasillabo).

Sono versi doppi, variamente composti, anche molti versi della cosiddetta «poesia barbara», elaborati -soprattutto ad opera del Carducci — per riprodurre la cadenza dei versi latini. Per esempio l'esametro latinoviene reso con le combinazioni settenario '+ novenario o settenario + ottonario (e altre), e il pentametro consettenario + settenario, quinario + settenario, ecc.

4. LA STROFA

Nella maggior parte delle manifestazioni della poesia tradizionale due o più versi si raggruppano inun «periodo ritmico», la strofa (o strofe, al plurale in ogni caso strofe). Talora una strofacorrisponde, da sola, a un componimento poetico, ma d'ordinario più strofe (metricamente uguali,oppure diverse) formano la ballata, la canzone, l'ode, il sonetto, il poema, ecc.A seconda del numero dei versi le strofe vengono denominate:

- distico (2 versi)

- terzina (3 versi)

- quartina (4 versi)

- sestina (6 versi)

- ottava (8 versi)

Vedremo nel § 6 alcuni esempi di queste strofe, come pure di altre più ampie, quando considereremo iprincipali tipi di componimenti poetici.

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o 5. LA RIMA

Se consideriamo i versi riuniti nella strofa, notiamo che in genere ai due elementi del ritmo che giàconosciamo — numero delle sillabe e accenti ritmici — se ne aggiunge un terzo, la rima, che legainsieme due o più versi, contigui o no.Sono in rima i versi che hanno identico il segmento finale, a partire dall'ultimo accento ritmico (dinorma coincidente con l'accento tonico dell'ultima parola).Saranno dunque in rima, per esempio, versi terminanti con le parole:

piane

... amóre

... cuòre

...furóre

sdrucciole

... tènere

...cénere

... degènere

tronche

...saltò

... imprecò

...falò

Nell'ambito della strofa le rime possono corrispondersi in vario modo. Distinguiamo1:

• la rima baciata (AABB...):

A O cavallina, cavallina storna,A che portavi colui che non ritorna;

B tu capivi il suo cenno ed il suo detto!B Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

(endecasillabi — G. PASCOLI)

• la rima alternata (ABAB):

A Ogni oggetto ch'altrui2 piaceB per me lieto più non è:

A ho perduta la mia pace,B son io stesso in odio a me. (ottonari — P. ROLLI)

• la rima incrociata (ABBA):

A È Repubblica il suolo, ove divineB leggi son base a umane leggi, e scudo;

B ove null'uomo impunemente crudo3

A all'uom può farsi, e ognuno ha il suo confine.(endecasillabi — V. ALFIERI)

Della rima incatenata diremo a proposito della terzina dantesca, ed esamineremo alcuni esempi dicombinazioni più complesse occupandoci della ballata, della canzone, dell'ode (vedi § 6).

1 Gli schemi delle strofe si rappresentano con le lettere maiuscole (ABCD...) e si indicano con la stessa lettera i versi inrima (AABB...). Se in una strofa si combinano versi di misura differente, quelli minori si indicano con le minuscole (abcd...;quindi, per es.: ABaC...). Di quali versi si tratti vien detto esplicitamente (per es.: endecasillabi e settenarì), oppuremediante numeri in basso (per es.: AuButyCu).2 ch'altrui: che ad altri.3 null'uomo: nessun uomo; crudo: crudele, spietato.

390

6. I PRINCIPALI METRI

Negli otto secoli della storia letteraria italiana sono stati elaborati moltissimi «metri»: cioè, i variversi sono stati riuniti in strofe e le strofe in componimenti poetici nei modi più diversi. Qui nonpossiamo esaminare se non quelli che hanno avuto la più ampia e la più durevole fortuna.

LA BALLATA

La ballata è un componimento di antica origine popolare, che si accompagnava al canto e alladanza. E introdotta da una «ripresa» (o ritornello), cui seguono una o più strofe, dette «stanze»,ciascuna composta di 2 «piedi» e di una «volta»1.

Eccone un esempio molto semplice di uno scrittore del Trecento, Franco Sacchetti:

Si noti: la volta deve avere tanti versi quanti la ripresa, e il suo ultimo verso deve rimare con l'ultimo dellaripresa stessa. A parte queste caratteristiche fisse, la ballata si presenta in una molteplicità di varianti: laripresa può avere da 1 a 4 versi (con rime variamente combinate) ed è pure variabile il numero dei versi deipiedi. Nell'esempio che abbiamo visto tutti i versi sono endecasillabi, ma agli endecasillabi possono alternarsialtri versi, per lo più i settenari.

Fiorita tra il Duecento e il Quattrocento, la ballata fu rinnovata nel secondo Ottocento e all'inizio delNovecento dal Carducci, dal Pascoli, da D'Annunzio. Nella prima metà dell'Ottocento fu invece in voga(Berchet, Manzoni, Prati, ecc.) la ballata romantica, o «romanza», senza rapporto con la ballata antica, maderivata da modelli inglesi e tedeschi, peraltro anch'essi di origine popolare. La strofa è di 6-8 versi dal ritmomolto pronunciato (decasillabo, ottonario, dodecasillabo), con rime variamente distribuite.Un esempio dal Conte di Carmagnola del Manzoni (decasillabi):

A Tutti fatti a sembianza d'un Solo,B figli tutti d'un solo Riscatto,A in qual ora, in qual parte del suoloC trascorriamo quest'aura vital,B siam fratelli, siam stretti ad un patto:D maledetto colui che l'infrange,D che s'innalza sul fiacco che piange,C che contrista uno spirto immortai!3

1 Così detta perché, con la «volta», la ballata «si volge», torna alla «ripresa»; vale a dire, viene ripetuto il «ritornello».2 (v. 1) pastorelle: pastorelle; (v. 3) séte: siete; (v. 4) adduce: produce; (v. 5) no': voi; (v. 6) luce: risplende; (v. 8) angiolelle:angiolette.3 (v. 3) in qual... suolo: in qualunque momento, in qualunque terra; (v. 7) fiacco: debole, vinto; (v. 8) spirto: spirito.

391

oLA CANZONE

La canzone presenta delle affinità con la ballata, ma — staccata dal ballo e in parte dal canto -divenne la forma più elaborata ed illustre della poesia lirica con i poeti del Duecento e poi conDante, Petrarca e i petrarchisti. Consiste di una serie di strofe, dette «stanze», metricamente uguali(ma con rime indipendenti), miste di endecasillabi e di settenari. La struttura della stanza è fissataper ogni canzone dall'autore, ma presenta in genere questa fisionomia: una «fronte» di 2 piedimetricamente uguali e una «coda» o «sìrima» 1 unitaria (o talora divisa in due «volte»); la coda ècollegata alla fronte dalla «chiave» o «concatenazione», cioè da un verso che rima con l'ultimo dellafronte, e si conclude con un distico a rima baciata. Ecco un esempio dal Petrarca:

Da' be' rami scendea(dolce ne la memoria)una pioggia di fior sovra 'I suo grembo;et ella si sedeaumile in tanta gloria,coverta già de l'amoroso nembo;

qual fior cadea sul lembo,qual su le trecce bionde,ch'oro forbito e perleeran quel dì a vederle;qual si posava in terra, e qual su l'onde;qual con un vago erroregirando parea dir: «Qui regna Amore»2.

Di solito la canzone si chiude con una strofa più breve delle stanze e di struttura metrica diversa,detta «commiato» o «congedo». Nella canzone Chiare, fresche e dolci acque del Petrarca, da cui ètratta la stanza riportata sopra, il commiato è:

Se tu avessi ornamenti quant'hai voglia,potresti arditamenteuscir del bosco, e gir in fra la gente3.

A partire dal Cinquecento la canzone assunse forme meno rigide. Nell'Ottocento le canzoni del Leopardi nonhanno più in comune con quelle delle origini se non la misura dei versi (endecasillabi e settenari), che -rimati o no — si avvicendano ormai liberamente nella strofa e anche le strofe non sempre ripetono uno schemauniforme.Come componimento lirico, nel Seicento e nel Settecento prevalsero l'ode e poi la canzonetta, che si rifanno amodelli latini e greci (Catullo, Grazio, Pindaro, Anacreonte) o francesi. Le strofe sono più brevi e i versipreferiti, oltre l'endecasillabo, sono il settenario, l'ottonario, ecc., spesso sdruccioli o tronchi. Come esempiovediamo una strofa di una delle Odi del Parini, // messaggio, composta di 5 settenari, alternativamentesdruccioli liberi e piani rimati, e di un endecasillabo (schema: ababaC)4:

a Quando novelle a chiedereb manda l'inclita Nicea del pie che me costrìngereb suole al letto infelice,a sento repente l'intimoC petto agitarsi del bel nome al suon.s

1 Sìrima o sirma è parola derivata dal greco che vale «strascico»; è quindi un sinonimo di «coda», nel senso di «partedella stanza che viene dopo».2 (v. 1) Da' be': dai bei; (v. 6) coverta... de I': coperta dall'; (v. 7) qual..., qual...: un..., un altro...; lembo: della veste; (v. 11)errore: movimento errabondo; (v. 12) parea: pareva.3 (v. 1) tu: la canzone stessa; (v. 3) gir in fra: andare fra.4 Negli schemi metrici si indicano con lettere uguali anche i versi sdruccioli in corrispondenza, ancorché non in rima.s (v. 3) pie: il piede infermo; (v. 5) repente: improvvisamente.

392

IL SONETTO

Sorto probabilmente come «stanza» isolata di canzone, il sonetto è, nella sua brevità, ilcomponimento poetico che ebbe maggior fortuna nella nostra storia letteraria, dalle origini alNovecento.Si compone di due quartine e di due terzine di endecasillabi: in tutto 14 versi, con varie possibilicombinazioni di rime sia nelle quartine (ABBA, ABBA; ABAB, ABAB, ecc.), sia nelle terzine (CDC,CDC; CDE, CDE; ecc.). Un esempio del Foscolo:

A Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,B crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto;A labbri tumidi, arguti, al riso lenti,B capo chino, bel collo, irsuto petto;A membra esatte; vestir semplice eletto;B ratti i passi, il pensier, gli atti, gli accenti;A prodigo, sobrio; umano, ispido, schietto;B avverso al mondo, avversi a me gli eventi.C Mesto i più giorni e solo; ognor pensoso;D alle speranze incredulo e al timore,E il pudor mi fa vile; e prode l'ira:D cauta in me parla la ragion; ma il core,E ricco di vizj e di virtù, delira. -C Morte, tu mi darai fama e riposo.l

LA TERZINA

La terzina (o «terza rima») è il metro della Divina Commedia dantesca, dei Trionfi del Petrarca,delle Satire dell'Ariosto, di vari poemi di Vincenzo Monti, dei Poemetti del Pascoli e in genere dellapoesia didascalica e allegorica.Il componimento in «terza rima» è costituito da una serie di terzine di endecasillabi a rimaincatenata: cioè nella prima terzina il 1° verso rima col 3°, mentre il 2° fornisce la rima al 1° e al 3°della seconda terzina, e così via: ABA, BCB, CDC,...:

A Per me si va ne la città dolente,B per me si va ne l'etterno dolore,A per me si va tra la perduta gente.B Giustizia mosse il mio alto fattore;C fecemi la divina podestate,B la somma sapienza e 'I primo amore.

C Dinanzi a me non fuor cose create2

(DANTE)

II componimento (nella Divina Commedia il «canto») si chiude con un verso che rima col 2°dell'ultima terzina:

Y La terra lagrimosa diede vento,Z che balenò una luce vermigliaY la qual mi vinse ciascun sentimento;Z e caddi come l'uom che 'I sonno piglia.

1 (v. 1) intenti: fissi; (v. 5) esatte: proporzionate.2 (v. 4) fattore: creatore, Dio; (v. 7) fuor: furono.

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L'OTTAVA

L'ottava (o «ottava rima») è il metro per eccellenza della poesia narrativa, in particolare dei poemiepico-cavaliereschi (del Pulci, del Boiardo, dell'Ariosto, del Tasso); è una strofa di 8 endecasillabi, iprimi 6 a rima alternata, gli ultimi 2 a rima baciata:

A Farmi non sol gran mal, ma che l'uom facciaB cantra natura, e sia di Dio ribello,A che s'induce a percuotere la facciaB di bella donna, o romperle un capello;A ma chi le da veneno, o chi le cacciaB l'alma del corpo con laccio o coltello,C ch'uomo sia quel non crederò in eterno,C ma in vista umana un spirto de l'inferno.1 (L. ARIOSTO)

IL VERSO SCIOLTO

Nel Cinquecento si cominciò a usare il verso, in prevalenza l'endecasillabo, libero — «sciolto» — dalvincolo della rima e del periodo strofico. L'endecasillabo sciolto è stato largamente impiegato per letraduzioni dei poemi classici (à&ll'Eneide nella versione del Caro all'Iliade del Monti e all'Odisseadel Pindemonte), per opere sceniche (tragedie e commedie) e per poemi, poemetti, carmi (esempi piùillustri: il Giorno del Parini e i Sepolcri e le Grazie del Foscolo).

7. IL LESSICO POETICO

Oltre che per il ritmo inerente ai versi, la poesia si contraddistingue per una serie di sceltestilistiche che in parte non sono estranee alla prosa, ma nei testi poetici ricorrono con maggiorefrequenza e si presentano in modo più tipico. In particolare vi ritroviamo, impiegati intenzionalmenteo nati spontaneamente dalla fantasia dell'artista, quei mezzi espressivi che abbiamo studiato come«figure retoriche»: dalla metafora e dalla metonimia all'anafora, all'antitesi, al parallelismo,all'iperbato, ecc. (e buona parte degli esempi dati nel capitolo 42, § 4 e 5 sono tratti, appunto, daopere di poesia).Nella tradizione poetica italiana, già dalle prime origini nel Duecento e poi, nel Trecento,soprattutto ad opera del Petrarca, si è inoltre costituito un repertorio piuttosto vasto di parole(sostantivi, aggettivi, verbi, avverbi, ed anche qualche pronome, preposizione, ecc.), che sonopatrimonio esclusivo del linguaggio della poesia. Vediamone alcuni esempi, suddivisi in distintecategorie.

• Varianti di parole (presenti anche nella lingua d'uso), risultanti da «sincope», da «apòcope» o daaltri fenomeni fonetici:

1 (v. 1) faccia: agisca; (v. 2) di Dio ribello: ribelle a Dio;spirito.

v. 5) veneno: veleno; (v. 6) l'alma del: l'anima via dal; (v. 8) spirto:

394

• Varianti arcaiche (talora latineggianti) conservate solo nel lessico poetico:

acciaro = acciaio, spada

aitare = aiutare

alma = anima

beltade = beltà, bellezza

cangiare = cambiare

core = cuore

duolo = dolore

feruta = ferita

fiso = fisso, intento

inimico = nemico

lagrima = lacrima

lito = lido, spiaggia

loco = luogo

pvra = opera

palagio = palazzo

periglio = pericolo

picciolo = piccolo

rege = re

veglio = vecchio

virtude = virtù

• Latinismi, cioè parole «dotte», ricalcanti esattamente la forma latina, non entrati nella linguad'uso o scomparsi da essa:

angue = serpente

almo = che da vita, nobile

atro = scuro, nero

aura = aria, brezza

cerebro = cervelk

delubro = tempio

diro = crudele

egro = infermo

gaudio = gioia

imo = profondo, basso

ire = andare

lasso = stonco

negletto = trascurato

nullo = nessuno

òmero = spalla

procella = tempesta

sùbito (agg.) = improvviso

teda = fiaccola

• Altri arcaismi:

avello = tomba

brando = speda

desìo = desiderio

ermo = solitario

fiata = volta

gire = andare

guatare = guardare

guiderdone = compenso

magione = dimora, casa

mercé = grazia, pietà

obliare = dimenticare

origliere = cuscino

possa = forza

scolta = sentinella

sembiante = aspetto

speme, spene = speranza

tapino = meschino

tòsco = veleno

uopo (è d'— ) = occorre

vanni = ali

• Parole presenti anche nel lessico prosastico, ma usate in poesia anche in una accezione arcaica,uscita dall'uso:

albergo (nel senso di) sede

commettere (nel senso di) affidare

orbo (nel senso di) prròo

oste (nel senso di) esercito

395

IM

ETR

ICA crine (nel

crudo (nel

eleggere (nel

fornire (nel

garzone (nel

mirare (nel

molle (nel

senso di) capelli

senso di) crudele

senso di) scegliere

senso di) compiere

senso di) giovinetto

senso di) guardare

senso di) bagnato

padiglione (nel senso di) tenda

pedone (nel senso di) fante

polo (nel senso di) cielo

reo, rio (agg.) (nel senso di) malvagio

scemo (nel senso di) privo

sermone (nel senso di) lingua, linguaggio

stupido (nel senso di) stupito

• Preposizioni, congiunzioni, pronomi, avverbi determinativi:

anco =

appo =

anche

presso

cui (nel senso di) che (pron.)

desso =

giuso =

lungi =

manco =

meco =

esso, proprio lui

giù

lontano

meno

con me

ne = ci, a noi

ornai = ormai

però (nel senso di) perciò

pria = prima

seco = con sé

suso = su

teco = con te

ver = verso

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Questo vero e proprio lessico «speciale», utilizzato a seconda degli autori con maggiore o minorefrequenza, rimase in uso fino a tutto l'Ottocento (non lo rifiutarono nemmeno i poeti romantici) e aiprimi del Novecento, mentre con esso ha rotto, nel modo più completo, la poesia contemporanea (ilcui lessico peraltro, come ogni lessico poetico, si distingue dalla lingua comune e dalla prosa, ma peraltre vie).

APPENDICE

Avviamentoalla composizione

1. SCRIVERE:UN PROBLEMA PER TUTTI.

LA PREPARAZIONE INDIRETTA

Lo studio della stilistica ci aiuta a comprendere me-glio, analizzare e valutare tutte le comunicazioni ver-bali che ci pervengono: orali e scritte, e in modo piùparticolare quelle scritte con un intento letterario.Poi viene il momento in cui ognuno di noi — per suogusto, per dovere professionale, per un obbligo scola-stico — si mette a scrivere. Lo scrivere non è un attonaturale e quasi istintivo come il parlare. Quindi nonstupitevi e non preoccupatevi se qualche volta, o ma-gari spesso, la pagina bianca, lì sul vostro tavolo, vida una sensazione di sgomento. Non accade solo a ungiovane studente, accade anche a chi ha scritto e ma-gari pubblicato migliaia di pagine, è accaduto — lohanno candidamente confessato - - a molti grandiscrittori.Esistono mezzi per superare quello sgomento, per farsì che l'attività dello scrivere (nel vostro caso, in pre-valenza, «fare il tema») non rappresenti un dovere pe-noso, ma diventi un esercizio naturale, divertente, ap-pagante? Prima di tutto dobbiamo acquisire la consa-pevolezza che, nell'atto di esprimerci per iscritto, simette in moto un meccanismo tale da impegnare lanostra intera personalità e che quindi deve interveni-re ed essere messa a profitto una preparazione indi-retta e remota, una nostra riserva di attitudini e diconoscenze. E si tratterà, dunque, di sviluppare quelleattitudini e di allargare quelle conoscenze, anche pro-prio in vista dell'attività della scrittura. Distinguiamo

ora i diversi elementi ed aspetti di questa preparazio-ne remota.

• Lo studio teorico della nostra lingua, condottoad ogni livello di analisi. Anche le regole apparente-mente più aride, gli elenchi di costrutti, certi tediosiesercizi di applicazione non solo garantiscono quelprimo requisito essenziale che dovrà possedere tuttociò che scriviamo — la correttezza —, ma ci consen-tono di disporre senza sforzo, al momento opportuno,di una molteplicità di strumenti espressivi su cui ope-rare le nostre scelte, raggiungendo l'obiettivo di unaprosa che abbia anche i pregi della precisione e dellavarietà. Ancor più intuitivo è l'apporto dello studiodel lessico, tanto più se guidato, orientato, «mirato»mediante le fondamentali nozioni dì semantica.

• La conoscenza della teoria della comunicazio-ne linguistica, che approfondirete rileggendo alcuneparti dell'Introduzione (come i § 5 e 7) e della Stilisti-ca (capitoli 42 e 43). Riflettete, in particolare, sul rap-porto che, quando scrivete, si instaura tra voi, Re-mittente», e il «ricevente», cioè colui o coloro a cuilo scritto è destinato, quel determinato «pubblico»con cui stabilite (o simulate di stabilire) la comunica-zione. E riflettete inoltre sul fatto che, anche redigen-do un semplice «componimento» scolastico, svolgeteun'attività che necessariamente si inquadra in una de-terminata forma letteraria, con le proprie norme, unproprio linguaggio, varie possibilità di «registri».

• L'osservazione della realtà esterna. In quantoesseri animati — al pari di un gatto, di un pesce, diun mollusco — noi registriamo continuamente quanto

398

del mondo fuori di noi ci riguarda, senza di che nonpotremmo reagire agli stimoli dell'ambiente e soprav-vivere. In più l'uomo è mosso da tutta una serie di in-teressi e di curiosità, ed è in grado di rappresentaremediante il linguaggio le sue esperienze visive (e di o-gni altro tipo). Si tratta di controllare, guidare, af-finare l'osservazione di oggetti, luoghi, animali, perso-ne e la traduzione in parole dei risultati dell'osserva-zione: s'intende, non ininterrottamente, né molto fre-quentemente (lo farà più spesso solo lo scrittore o ilcronista di professione), e tuttavia in modo da stabili-re poco alla volta un'abitudine e da immagazzinarenella memoria un materiale schedato e catalogato,che ci sarà utilissimo per descrivere e per narrare conprecisione, vivacità e vigore rappresentativo. Su ciò,con esempi concreti, torneremo più avanti.

• L'osservazione del nostro mondo interiore, e cioèl'introspezione: riflettere su sensazioni, sentimenti,stati d'animo, speranze, timori; cercarne l'origine, lecause, gli sviluppi, le conseguenze. Sempre? Evidente-mente no, anzi, diremmo, solo in determinate occasio-ni; e poi bisogna anche lasciar correre l'immagina-zione: anche fantasticare è una preparazione a scrive-re. Ma, quando meditiamo su noi stessi, facciamolointensamente e soprattutto cerchiamo di trovare —prima mentalmente, poi anche per iscritto — le parolepiù appropriate per descrivere i vari aspetti della no-stra vita affettiva. Un libro di psicologia, di psicanali-si, di caratterologia potrà aiutarvi? Indubbiamente vifornirà distinzioni, classificazioni, termini scientifici;però voi non dovete redigere un trattato, ma solo e-sprimere voi stessi (e, sul fondamento di questa espe-rienza, i sentimenti degli altri), e la sincerità, la spon-taneità, l'immediatezza sono essenziali, né devono ve-nire troppo rigidamente imbrigliate.

• La lettura. Nell'osservazione e nell'introspezionestabiliamo un rapporto diretto e immediato con larealtà fuori e dentro di noi. Ma l'uomo vive, è semprevissuto, in mezzo ad altri uomini, in una società, e og-gi, più che mai, la società fa pervenire al singolo unflusso continuo e multiforme di informazioni, già ela-borate e codificate, attraverso i mezzi più diversi, conun largo predominio della comunicazione visiva. Tut-te queste forme di comunicazione contribuiscono aformare il nostro bagaglio culturale e quindi, indiret-tamente, ci preparano anche a scrivere: il film, la rap-presentazione scenica, lo spettacolo televisivo, i qua-dri, le fotografie, le illustrazioni, i fumetti... Ma — enon occorre darne dimostrazione —- è il messaggioscritto a costituire lo strumento privilegiato che cifornisce modelli e suggerimenti circostanziati per ilmomento in cui ci metteremo a scrivere noi. Quindi,soprattutto, leggere. Che cosa e come? Cominciamodal come.C'è un modo rapido, «esplorativo», di leggere (sonoanche state predisposte delle tecniche apposite perquesto tipo di lettura, ma ognuno arriva ad elaborare

per proprio conto un suo metodo senza difficoltà): losguardo scorre velocemente la pagina o la colonna astampa, cogliendo qua e là parole o brevi frasi, che lamente nello spazio di decimi di secondo collega tra lo-ro, escludendo quasi d'istinto tutto ciò che nel mes-saggio è «ridondante»; otteniamo alla fine un'informa-zione sommaria, essenziale, quanto ci basta per l'esi-genza del momento oppure per stabilire se quel testomerita di essere approfondito. Procediamo così, utili-taristicamente, per risparmiare tempo e fatica e ciproponiamo che la nostra memoria non sia costretta atrattenere nulla, se non ne vale la pena.Questo tipo di lettura non riguarda direttamente ilnostro intento di prepararci a scrivere. A ciò serviràla lettura lenta, meditata e attenta, oltre che ai con-tenuti, alle tecniche che lo scrittore ha impiegato, allaforma che ha conferito al suo pensiero. E si pone allo-ra subito il problema del «cosa leggere», della sceltadelle letture cui dedicare questo sforzo di attenzionee di assimilazione.Le condizioni ideali sarebbero rappresentate da unaricca biblioteca e da uno o più esperti a disposizione,pronti a indicarci il libro giusto, il capitolo più inte-ressante, la pagina esemplare. Sarà un po' difficileche queste condizioni si realizzino. Ma, come nellostudio delle strutture della lingua la vostra fonte diinformazioni è la grammatica e, nell'approfondire laconoscenza del patrimonio lessicale, subentra il voca-bolario, così, per prepararvi a scrivere, avete un terzoe fondamentale strumento di lavoro, l'antologia, cheè stata compilata da competenti con criteri di sceltaappropriati e che vi sarà utile soprattutto quando èun'opera che vi insegna a distinguere funzioni lettera-rie, «generi», stili e vi guida lungo diversi «percorsi»di lettura. Partendo dall'antologia, dagli autori e daibrani che vi hanno più fortemente impressionati, pas-serete poi, a seconda dei vostri gusti e interessi, ad o-pere intere.Sui passi e sui libri che diano garanzia di arricchirvila lettura procederà in modo tale che sia assicuratal'assimilazione effettiva di quanto è utile: nella memo-ria devono stamparsi non proprio periodi o frasi, matracce profonde dei diversi modi in cui si realizza l'e-spressione letteraria. La lettura espressiva ad altavoce, il riassunto (più sintetico, a libro chiuso, o piùanalitico, anche con rinnovata consultazione del te-sto), la parafrasi (di testi poetici o della prosa degliautori più antichi), il commento di passi particolar-mente significativi, l'apprendimento a memoria sonoaltrettanti procedimenti di indubbia utilità.

Quello che avete seguito fin qui è più che altro unpromemoria, che riunisce ordinatamente consigli checertamente avevate già ricevuto e anche seguito. Oravediamo di stringere più da vicino l'argomento e pas-siamo a suggerimenti più precisi e più tecnici, riguar-danti singoli momenti dell'attività del comporre: ladescrizione di cose, persone, luoghi, sentimenti, lanarrazione, il dialogo, Vargomentazione.

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2. LA DESCRIZIONE:DESCRIVERE UN OGGETTO

Descrivere un dato della realtà, un oggetto che vedia-mo e magari possiamo toccare, misurare, pesare è, ri-spetto ad altre, un'operazione semplice, anche se poici si accorge subito che non è facile competere conl'obiettivo della macchina fotografica e inoltre che oc-corre distinguere tra diversi tipi di descrizioni.

Cominciamo con due esempi.

La parte essenziale dell'organo dell'udito si situa nella spes-sezza della base del cranio entro la rupe dell'osso tempora-le. In questa è scavato un sistema di ricettacoli, il labirintoosseo. Questo risulta di una piccola cavità centrale chiama-ta vestibolo, larga appena pochi millimetri e di forma sferoi-dale, sulla cui parete esterna trovasi un foro reniforme, det-to finestra ovale, che guarda nella cosiddetta cavità del tim-pano ed è chiuso dalla base della staffa. !n alto, sboccanonel vestibolo le due estremità di tre canalini di forma semi-circolare, i canali semicircolari, uno orizzontale e due verti-cali...

(da un trattato di anatomia)

II vulcano è una frattura o fessura molto profonda del suoloattraverso la quale fuoriesce il magma sotto forma di lavafluida accompagnata da emanazioni gasose. Per estensioneviene detto vulcano l'apparato montuoso esterno, general-mente a forma di cono, che si forma in seguito alla solidi-ficazione della lava. Gli apparati vulcanici possono esseresottomarini o subaerei, a seconda che si formino sui fondalioceanici o sulle piattaforme continentali; il più delle voltesi presentano come una successione di coni disposti lungouna frattura e sono dislocati in corrispondenza di zone oro-genetiche. Schematicamente, un vulcano è costituito dal ba-cino o serbatoio magmatico posto a profondità variabile nel-la crosta terrestre, dal condotto o camino vulcanico, che col-lega il serbatoio con l'apertura in superficie (cratere).

(da un'enciclopedia scientifica)

In queste due descrizioni — dell'organo dell'udito edel vulcano — il linguaggio ci si presenta, nel modopiù tipico, nella sua funzione «referenziale» (vedi ca-pitolo 43, § 7): chi scrive ci informa con ordine, preci-sione e chiarezza su uno o più «referenti» osservaticon assoluta obiettività, opera una serie di distinzionie introduce, definendoli, vari termini scientifici.Sarebbe assurdo assumere come modelli, tranne cheper le caratteristiche formali, le due descrizioni pro-poste e — senza essere un anatomista o un medico,ovvero un geologo o un geografo, oppure senza averecompiuto prima un'apposita, accurata ricerca — cer-care di descrivere l'organo della vista, i muscoli delbraccio, il fenomeno delle maree, la conformazione delterreno carsico, ecc. Ciò vale per tutti gli oggetti lacui effettiva conoscenza richiede una preparazionespecifica e quindi la padronanza, oltreché della mate-

ria, di una terminologia, di uno di quei «linguaggispeciali» che ogni scienza ha elaborato per i proprifini.L'esercizio di descrizione di «cose» va condotto su og-getti d'uso comune e su elementi della realtà quoti-diana che ci circonda e potrà estendersi, semmai, aquelle sfere in cui — per l'attività che svolge, unosport che pratica, un hobby che coltiva — ciascunoha acquistato una propria particolare competenza.

ESERCITAZIONI

• Ecco alcune proposte di possibili descrizioni:

1) [Per tutti]- oggetti sulla mia scrivania: la matita, la stilogra-

fica, la biro, il portamatite, il temperalapis, il lume datavolo, ecc.;- guardandomi attorno in una stanza: la libreria, la

poltrona del nonno, il caminetto, il lampadario, uncandelabro, il soprammobile più prezioso, ecc.;- in cucina: la caffettiera, la pentola a pressione, il

frigorifero (senza avventurarvi in dettagli tecnici!),ecc.;- in garage o nello sgabuzzino degli attrezzi: il mar-

tello, la lima, il trapano, la vanga, ecc.;- in strada: il portone, il cancello, un segnale strada-

le, il semaforo, ecc.;- in auto: il cruscotto, lo specchietto retrovisore, il pa-

raurti, il casello autostradale, ecc.;- a scuola: la lavagna, la carta murale, un manifesto

studentesco (prescindendo dal contenuto), il busto delpersonaggio illustre, ecc.

2) [Per l'appassionato di alpinismo, di vela, di foto-grafia, ecc,; per il collezionista di francobolli, di mine-rali, ecc. (qui ognuno integrerà l'elenco secondo i suoigusti)]- la piccozza, il rampone, il moschettone, ecc.;- la sartia, il boma, lo spinnaker, la chiglia, ecc.;- l'esposimetro, il filtro, il flash, il cavalietto, ecc.;- l'album, la lente, il pezzo più raro della collezione,

ecc.;- l'alabastro, il basalto, la quarzite, la rosa del deser-

to, ecc.

3) Anziché una cosa che avete sempre sotto gli occhio vedete di frequente, la descrizione potrà anche ri-guardare un oggetto visto una volta sola in una dataoccasione: uno strumento di pietra o un vaso di terra-cotta in un museo archeologico, un'arma o uno sten-dardo in un museo medioevale, un timone di carro inun museo della civiltà contadina, un mobile in unamostra d'antiquariato, ecc. Perché la descrizione rie-sca, occorre che l'abbiate programmata e vi siate im-pressi nella mente tutte le caratteristiche dell'oggetto(ma scartate, anche se ne disponete, l'aiuto di ripro-duzioni fotografiche, che falserebbero i risultati di unesperimento diretto a mettere alla prova e controllarela vostra memoria visiva).

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CONSIGLI E TRACCE• Oltreché precisi, dovete essere, entro certi limiti,esaurienti. Immaginate di dover fornire — senza l'au-silio di foto o disegni — l'esatta rappresentazione diun oggetto a chi non l'ha mai visto (è un presuppostoteorico quando si tratta di una matita, di un martelloo di una lavagna, ma diventa reale se voi, pratici digiardinaggio, vorrete far intendere, a chi non lo sia,che una vanga si distingue da una zappa e da una pa-la; oppure se possedete un samovàr, un bonsài, un oro-logio digitale e il destinatario della descrizione è unamico che, questi oggetti, li ha solo sentiti nominare).

• Essere esaurienti -significa dire tutto (o quasi tut-to) quel che c'è da dire, e ciò, se vogliamo raggiunge-re la chiarezza, implica una successione ragionata ecoerente dei vari particolari, un ordine. Per esempio:

le dimensioni dell'oggetto — la forma esterna — leparti che lo compongono — il materiale (o i materia-li) di cui è fatto — (eventualmente il modo in cui èstato fatto, la provenienza, ecc.) — la funzione — ilfunzionamento (se è un meccanismo) — i colori — ipregi estetici.

Non temete di cadere nella banalità in determinatiparticolari: questo tipo di esercitazione esige che e-sponiate con le parole più appropriate anche ciò che èintuitivo e scontato (e non di rado, proprio per que-sto, meno facile da esprimere).

• D'altra parte, dopo avere elaborato un certo nume-ro di descrizioni molto analitiche, potrete operaredelle scelte, riducendo o eliminando alcuni particola-ri e dando più forte rilievo ad altri.E, anche se il fine deve rimanere una descrizione o-biettiva, preminentemente «referenziale», potrete in-

trodurre degli elementi di varietà:- con un ordine espositivo diverso; per esempio co-

minciando dal particolare che, in un dato oggetto,colpisce per primo l'osservatore;- con una caratterizzazione personale; qui facciamo

un passo oltre e, pur mantenendoci nell'ambito delladescrizione, colleghiamo all'oggetto descritto un no-

. stro ricordo (quando lo abbiamo acquistato, chi cel'ha donato, un evento lieto o triste che associamo adesso), oppure inseriamo un'osservazione (sulla suaprovenienza, sul lavoro che è costato, sul profitto cheha procurato al venditore), o infine concludiamo conuna riflessione sulla sua utilità (o inutilità), ecc. Intal modo la nostra descrizione — se sappiamo trovarela nota giusta — si avvierà sulla strada dell'impres-sione, del bozzetto, dell'arroto di costume.

• Un altro uso che possiamo fare di descrizioni giàelaborate consiste in un procedimento di transcodi-ficazione, che è un termine un po' astruso per indica-re un'operazione abbastanza semplice. Nelle nostredescrizioni abbiamo impiegato, cercando di renderlaprecisa e aderente alla realtà descritta, la lingua d'u-so e talora, quando lo conoscevamo, qualche terminetecnico, evitando metafore e altri artifici retorici (per-ché volevamo essere al massimo obiettivi). Ora suppo-niamo che vi incarichino di elaborare testi pubblicita-ri per il lancio di una penna, di una biro, di un trapa-no, di un esposimetro, ecc. proprio del tipo che avetedescritto. Preparate questi testi, con relativi slogan:ecco che, assumendo come base le descrizioni obietti-ve già redatte (un buon pubblicitario conosce a fondogli oggetti di cui si occupa), dovete «transcodificare»il messaggio, passare ad un particolare «sottocodice»della lingua, che vi porterà a impiegare i mezzi e-spressivi caratteristici del linguaggio della pubblicità.

Nelle descrizioni — di oggetti, di persone, ecc. — un rischio da evitare è la monotona ripetizione di due verbigenerici che ci si offrono in innumerevoli casi come la soluzione più facile, ma non certo più pertinente ed elegante:essere (e esserci) e avere. I due prospetti che seguono vi forniscono alcuni esempi di sostituzioni.

essere

È in questa città da molti anniL'auto è di mio zioIn quanto tempo saremo sulla vetta?Giorgio non è delle nostre ideeII suo pranzo era una zuppa di cavoliCon noi è stato sempre corteseDante era per i BianchiLa sua partenza per noi è una sciaguraQuelle località sono nell'internoEssi sono da tempo in gravi ristrettezzeIn fondo al corso c'è una piazzaC'era una folla strabocchevoleNella piazza c'è un monumentoSe ci saranno le condizioni adatte...

Abita......appartiene a......arriveremo...... condivide le......consisteva in......si è dimostrato......Carteggiava......rappresenta......si trovano...... vivono......si apre...Si era radunata......sorge......si verzicheranno.

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SO

avere

una sensazione curosaQuesta soluzione ha parecchi svantaggiEbbe questi terreni per pochissimoHa avuto il successo che meritavaHa specifiche attitudini per...Avrete molte facilitazioniHa sempre lo stesso vestitoOrmai non si hanno più speranzeHa una spiccata personalitàHo avuto questa notizia proprio oraQuesto argomento ha grande importanzaAveva freddo anche in piena estatePurtroppo ho i reumatismiHa avuto una bella batosta!La statua ha in mano un ramo di palma

Avvertivo...... comporta (o presenta...)Comprò...Ha conseguito (o ha ottenuto...)Dimostra...Godrete di...Indossa...... nutrono...Possiede...Ho ricevuto......riveste...Sentiva......soffro di...Ha subito...... tiene...

Ma non si deve esagerare: dal difetto della genericità non cadiamo nel vizio del «precisionismo» e nell'insidia deglistereotipi pretenziosi e ingombranti, come, per citarne uno, registrare. Insomma, non sostituite Era freddo con Èstato registrato un tempo polare, C'erano dieci sotto zero con La colonnina di mercurio ha registrato —10, Glialberghi erano pieni zeppi con Gli alberghi hanno registrato il tutto esaurito, Per fortuna non ci sono statiincidenti con Non si sono registrati incidenti.

3. DESCRIVERE UNA PERSONA:IL RITRATTO FISICO

La descrizione di cose vale soprattutto come eserciziopreparatorio; altri tipi di descrizione — di una perso-na nei suoi tratti esteriori (il «ritratto fisico»), di unapersona nelle sue caratteristiche interiori (il «ritrattomorale»), di un aspetto della realtà circostante (unpaesaggio, una città, un edificio, un interno, ecc.) —possono o assumere un posto di rilievo in un datocontesto o rappresentare anche il centro stesso di unvostro «componimento».

Per il «ritratto fisico» partiamo da due esempi, le pre-sentazioni di Nedda, la fanciulla che da il titolo a u-na novella del Verga, e del Principe di Salina, il pro-tagonista del Gattopardo di Giuseppe Tornasi di Lam-pedusa.

Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell'at-titudine timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamen-to. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche nonne avessero alterato profondamente non solo le sembianzegentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoicapelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con del-lo spago; aveva denti bianchi come avorio, e una certa gros-solana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo

sorriso. Gli occhi avea neri, grandi, nuotanti in un fluidoazzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella po-vera figliuola raggomitolata sull'ultimo gradino della scalaumana, se non fossero stati offuscati dall'ombrosa timidezzadella miseria, o non fossero sembrati stupidi per una tristee continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pe-si enormi, o sviluppate violentemente da sforzi penosi eranodiventate grossolane, senza esser robuste. [...] I cenci so-vrapposti in forma di vesti rendevano grottesca quella cheavrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre.

(G. VERGA, Nedda)

Lui, il Principe, intanto si alzava: l'urto del suo peso da gi-gante faceva tremare l'impiantito, e nei suoi occhi chiarissi-mi si riflesse, un attimo, l'orgoglio di questa effimera con-ferma del proprio signoreggiare su uomini e fabbricati. [...]Non che fosse grasso: era soltanto immenso e fortissimo; lasua testa sfiorava (nelle case abitate dai comuni mortali) ilrosone inferiore dei lampadari; le sue dita sapevano accar-tocciare come carta velina le monete da un ducato; e fravilla Salina e la bottega di un orefice era un frequente andi-rivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la suacontenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio.[...] I raggi del sole calante ma ancora alto di quel pomerig-gio di maggio accendevano il colorito roseo, il pelame colordi miele del principe; denunziavano essi l'origine tedesca disua madre, di quella principessa Carolina la cui alterigia a-veva congelato, trenta anni prima, la Corte sciattona delleDue Sicilie.

(G. TOMASI DI LAMPEDUSA, // Gattopardo)

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ESERCITAZIONE• Naturalmente, come base di discussione, due esem-pi soli, ancorché insigni, costituiscono un campionetroppo ristretto. Quindi, anzitutto, dovreste racco-glierne altri, scorrendo la vostra antologia e i romanzie le raccolte di novelle di cui disponete. In questa ri-cerca (nel corso della quale sceglierete materiali an-che per il «ritratto morale») tenete presente che ledescrizioni dettagliate di personaggi sono frequentinelle opere dell'Ottocento, mentre la narrativa con-temporanea più di rado «mette in scena» un perso-naggio e in genere preferisce presentarlo immediata-mente in azione: solo poco alla volta — attraverso isuoi atti e le sue parole, e le reazioni e i rilievi di al-tri personaggi — il lettore se ne formerà un'immaginecompiuta. Perciò spesso nella vostra ricerca dovretecogliere accenni e spunti sparsi qua e là, per poi com-porli insieme, per iscritto, in un quadro per quantopossibile esauriente. Procederete un po', in questo la-voro, come un regista e uno sceneggiatore, che, se vo-gliono tradurre fedelmente in immagini un'opera nar-rativa, devono avere prima idee chiare su come sce-gliere gli attori, dirigerne il trucco, istruirli su atteg-giamenti e movenze, ecc.

CONSIGLI E TRACCE^

• Come impostare la descrizione dei tratti fisici di u-na persona? Non si può certo perseguire l'esaustività,né fissare un ordine preciso come nel caso della de-scrizione di oggetti. Invero, in astratto, un criterio diordinamento ci si offrirebbe subito: una valutazionecomplessiva sull'aspetto, la statura, la corporatura;poi tutta la persona, dalla punta dei capelli alla pun-ta dei piedi, passando attraverso la fronte, gli occhi,le orecchie, ecc.; e infine le vesti, l'andatura, i gesti a-bituali. Come puro e semplice esercizio, una descrizio-ne di questo genere potreste anche tentarla, ma, an-che condotta con perizia e in buon italiano, sembreràil verbale di dichiarazioni rese alla polizia per rico-struire l'identikit di un ricercato.La via da seguire è un'altra; anzi, le vie sono moltealtre.Vediamo di fissare alcune indicazioni che emergonodai due passi proposti.

• II profilo della Nedda verghiana è piuttosto anali-tico e l'ordine dei tratti rilevati corrisponde approssi-mativamente allo schema (teorico e astratto) che ab-biamo citato prima: dopo un cenno al colorito, allaveste e all'aspetto si esaminano particolari del volto(capelli, denti, occhi, sorriso), si passa al corpo nelsuo assieme, si conclude con l'abbigliamento (i «cen-ci»); ma, nonostante l'abbondanza dei particolari, è e-vidente, senza bisogno di dimostrazione, che l'autoreha operato una scelta, meditata e precisamente orien-tata. Il lavoro di selezione è stato più drastico nel ri-tratto del Principe di Salina di Tornasi, e l'ordine del-le osservazioni appare molto più libero.

• I molteplici elementi della descrizione di Nedda so-no tutti unificati e vivificati da un tema dominante, lostato di miseria e di abbandono della fanciulla, che neha stravolto i lineamenti, la figura, gli atteggiamenti,privandola di quella femminilità che, in altre condi-zioni, sarebbe felicemente sbocciata.

• Per quanto impostata obiettivamente e intessuta didati e di fatti, nella descrizione di una persona nonpuò non intervenire, con i suoi giudizi e i suoi senti-menti, l'autore, e il ritratto fisico — attraverso insi-stite notazioni (come il Verga) o rapidi accenni (comein Tornasi) — diventa anche un ritratto morale.

• La descrizione del Principe di Salina ci insegnapoi alcune raffinatezze tecniche nella presentazionedei tratti fisici di un personaggio. Recensendo accura-tamente le informazioni che ci vengono, più che date,suggerite, alla fine ci accorgiamo di sapere parecchiosu di lui: è altissimo, anzi un gigante; è robustissimo,con una forza prodigiosa nelle mani; ha occhi chiaris-simi, il colorito roseo, i capelli (più esattamente il pe-lame: vediamo anche la peluria della nuca, dei polsi,delle mani) co/or di miele. Ma questo elenco ce lo co-struiamo noi, a posteriori, mentre l'autore ha presen-tato le caratteristiche del Principe per così dire in a-zione (...faceva tremare l'impiantito...), o le ha ritrattedi scorcio (7 raggi del sole calante...), o le ha precisateattraverso un aneddoto (l'intervento dell'orefice), o leha collegate a un particolare biografico (l'origine te-desca della madre).

ESERCITAZIONI

• Queste osservazioni, e le molte altre che voi stessipotrete fare sul materiale che avrete raccolto, vi ser-viranno come altrettante tracce e linee-guida per i ri-tratti che, variando l'impostazione e le tecniche, trac-cerete per esercizio. Ritratti di chi? La risposta è in-tuitiva:

- anzitutto di persone che avete ogni giorno o moltospesso sotto gli occhi, e quindi della vostra cerchiafamiliare, o scelte fra i vostri amici, o dell'ambientescolastico, o di associazioni che frequentate;

- ma poi anche di chi abbiate incontrato poche vol-te o una volta sola al bar, in un negozio, alla partita,per la strada e, per qualsiasi motivo, vi abbia colpito,tanto da lasciare un'impressione duratura nella vo-stra mente (saranno abbozzi più sintetici, in cui le e-scursioni sul carattere della persona mancheranno, senon volete affidarvi troppo all'intuizione);

- e infine — perché no? — di personaggi pubblici,visti e osservati in più occasioni alla tivù: di un pre-sentatore, di una presentatrice, di un uomo politico(preferibilmente non di un attore o di un'attrice, chevedete volta per volta calati in personaggi diversi).

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4. DESCRIVERE UNA PERSONA:IL RITRATTO MORALE

Qui riportiamo un esempio solo, il profilo (che pre-scinde da qualsiasi caratterizzazione fisica) di un per-sonaggio minore dei Promessi sposi, Don Ferrante. Enon a caso si tratta di un personaggio minore, perchéin un romanzo il mondo spirituale dei protagonistiviene presentato a più riprese e soprattutto si delincaattraverso i loro atti e le loro parole.

Uomo di studio, non gli piaceva né di comandare né d'ubbi-dire. Che, in tutte le cose di casa, la signora moglie fosse lapadrona, alla buon'ora; ma lui servo, no. E se, pregato, leprestava a un'Decorrenza l'ufizio della penna, era perché ciaveva il suo genio; del rimanente, anche in questo sapevadir di no, quando non fosse persuaso di ciò che lei volevafargli scrivere. [...]Don Ferrante passava di grand'ore nel suo studio, dove ave-va una raccolta di libri considerabile, poco meno di trecen-to volumi: tutta roba scelta, tutte opere delle più riputate,in varie materie; in ognuna delle quali era più o meno ver-sato. Nell'astrologia era tenuto, e con ragione, per più cheun dilettante; perché non ne possedeva soltanto quelle no-zioni generiche, e quel vocabolario comune, d'influssi, d'a-spetti, di congiunzioni; ma sapeva parlare a proposito, e co-me dalla cattedra, delle dodici case del cielo, de' circolimassimi, de' gradi lucidi e tenebrosi, e d'esaltazione e dideiezione, di transiti e di rivoluzioni, de' principi insommapiù certi e più reconditi della scienza. [...]Della filosofia antica aveva imparato quanto poteva bastare,e n'andava di continuo imparando di più, dalla lettura diDiogene Laerzio. Siccome però que' sistemi, per quanto sianbelli, non si può adottarli tutti; e, a voler esser filosofo, bi-sogna scegliere un autore, così don Ferrante aveva sceltoAristotele, il quale, come diceva lui, non è né antico né mo-derno: è il filosofo.

(A. MANZONI, / promessi sposi, cap. XXVII)

CONSIGLI E TRACCE

• Come rappresentare il carattere e la fisionomiaspirituale e morale di una persona? Noi parliamo diun «mondo spirituale», e cioè proprio di un universodi cognizioni, pensieri, pregiudizi, interessi, volizioni,desideri, passioni, sogni, illusioni, sulla base di unadata situazione umana, di una determinata formazio-ne, di una determinata attività, e sotto i condiziona-menti dell'epoca, della società, della famiglia.Questa nuda elencazione in parte potrà valere cometraccia, ma seguirla punto per punto significherebbescrivere un trattato di psicologia o un romanzo fiume.Inevitabilmente, nel tracciare il profilo di una perso-na, dovete enucleare alcuni elementi essenziali, darerilievo a quegli aspetti che vi hanno colpito e che po-tranno interessare anche altri, cercare di cogliere ilcentro vitale di una personalità, insomma concentrarel'attenzione su pochi aspetti significativi fondamenta-li. Non basta. Darete unità al vostro discorso (più an-

cora che nel ritratto fisico) mediante una o più idee-base, fornendo in tal modo a chi vi leggerà una chia-ve interpretativa.Un semplice elenco di qualità, per quanto esauriente,ordinato, coerente («X è buono, simpatico, aperto, ta-lora un po' bislacco...», «Y è malvagio, sospettoso, in-fido, con qualche soprassalto di generosità...») potràcostituire una miniera di informazioni sul conto di Xe di Y, ma non porta a un ritratto che si lasci legge-re. Occorre proporre qualche esempio sintomatico delloro comportamento, introdurre un breve episodio, ri-portare, confermandole o confutandole, opinioni di al-tri, mettere in azione una o più volte i personaggistessi, magari facendo pronunciare loro qualche bat-tuta. (A proposito di tutto ciò il passo del Manzonifornisce già da solo parecchie indicazioni utili).

ESERCITAZIONE

• Quanto ai soggetti su cui condurrete le esercitazio-ni, in parte possono essere le stesse persone di cui a-vete tracciato il ritratto fisico. Già in esso avevate in-serito alcune osservazioni o valutazioni sul carattere;sviluppatele, approfonditele, organizzatele, chiarendoanche il vostro rapporto con la persona, i motivi percui vi interessa, l'occasione che vi ha indotto a fissareper iscritto le vostre considerazioni.

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ESERCITAZIONE

• Nel riquadro precedente vi è stata semplicementeindicata una linea di ricerca: seguitela, pensando agliinnumerevoli sostantivi e aggettivi di cui la lingua di-spone per indicare specifiche qualità positive e negati-ve, virtù e vizi, inclinazioni e particolarità. Prendetele mosse da concetti generici (bontà e buono, malvagi-tà e malvagio, indifferenza e indifferente, ecc.), racco-gliete altri termini prossimi ma più precisi e per cia-scuno cercate o elaborate frasi esemplificative.

5. DESCRIVERE UN PAESAGGIO

Riportiamo tre esempi, non tanto perché disponiate dipunti di riferimento nel vostro lavoro (i tipi di descri-zioni possibili sono innumerevoli), quanto per esortar-vi a individuare, isolare, ritagliare altri esempi nelcorso delle vostre letture.

Campagna veneta

La villa era costruita a metà di un pendio che scendeva ver-so la pianura aperta, coltivato di viti, fichi, ciliegi, peschi ealtri alberi da frutto, nei campi già appartenenti a Dorigo 'e ora d'altro padrone. Il giardino tagliava il pendio netta-mente, con una ringhiera ornata di statue di pietra tenera,opera di un grazioso scalpello del settecento; ad esse si con-fondevano le fronde di alcuni fichi abbarbicati tra le pietre

del muro che sosteneva il terrapieno. La vista della pianuraera fin troppo seducente. L'aria portava sempre un'impres-sione di colore, che accentuava i tramonti, accentuava ilverde intenso e marino che si diffonde spesso nei cieli vene-ti fra il tramonto e la notte. La mente si inquietava di queicolori evasivi e li lasciava stanca come dopo un lungo pen-siero.

(G. PIOVENE, Lo gazzetta nera)

Città straniera di notte

La città non è lontana: nell'aria della notte inaspettatamen-te mite, dopo brevi sobborghi nascosti nel buio e viali ordi-nati, e statue auliche biancheggianti tra le aiuole dei giar-dinetti, passato il ponte sull'Isar, vedo sfilare, simmetricheai due lati, le facciate del principio del secolo, accuratamen-te ricostruite, della Maximilianstrasse, dove soltanto qua elà, dietro il monumento al re Massimiliano II, qualchesquarcio nero, o qualche finestra vuota mostra ancora i se-gni della distruzione2. Poche automobili silenziose passanoper la via; la gente calma sui marciapiedi, le fanciulle ac-compagnate dalla madre, i ragazzi biondi, gli uomini ben in-tabarrati e avvolti nelle sciarpe hanno i gesti prosperosi esicuri che fanno intravedere la tranquillità delle abitudini,supporre un mondo dove la meticolosità limitata degli oriz-zonti familiari e cittadini può avere la certezza e il pesodelle piramidi. A quest'ora della sera, mentre tutti si avvia-no, senza fretta, verso la cena, il primo rapido passaggiomostra l'aspetto di una pacifica città di provincia, linda, pu-lita, ricca, borghese, chiusa in amabili consuetudini di pa-rentela e di professioni, e nella noiosa mediocrità del benes-sere.

(C. LEVI, Lo doppia notte dei tigli)

Periferia industriale

Era estate, col caldo sole ancora forte, e i rumori della cittàimbestialiti. L'aria correva elettrica per i suoni delle radioa pieno volume, uomini in canottiera e donne in sottovesteapparivano e sparivano di continuo dai riquadri delle fine-stre. Più in alto, contro il cielo di calce, erano le gru deicantieri che a grandi unghiate portavano avanti la cittàsbattendo ovunque nuovi stabilimenti, enormi rettangoli dicase, muri di cinta attorno a prati che fino a primavera ave-vano raccolto greggi e pastori avviati ai pascoli alpini.La strada correva sotto di noi tra cumuli di tetti, antenne,terrazze, bucati, fuggendo polverosa da una parte verso lecolline oltre il Po, cotte dal sole, dall'altra contro le ragna-tele azzurre nebbiose che velavano le montagne.

(G. ARPINO, Una nuvola d'ira)

La descrizione dei più diversi tipi di paesaggio (nelsenso più ampio del termine, assunto in sostanza co-me sinonimo di «luogo») è quella più allettante, piùfrequente, forse più facile. Siamo tentati di dirvi sol-tanto: guardatevi attorno e scrivete. Tuttavia qualchesuggerimento, per orientare le vostre scelte quando vieserciterete, può tornare utile.

1 Giovanni Dorigo, il protagonista del romanzo.2 La città visitata dall'autore è Monaco di Baviera, a unaquindicina d'anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

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CONSIGLI E TRACCE

• Descrivete luoghi a voi familiari, che avete abi-tualmente davanti a voi e cui vi lega un determinatosentimento. Ognuno di questi luoghi vi è noto in tuttii dettagli, ma ovviamente non ne farete un elenco;cercherete di ricreare un'atmosfera (se è il caso anchefissando la stagione, l'ora del giorno, le condizionimeteorologiche) prima con una visione d'assieme, poisoffermandovi su pochi particolari accuratamente pre-scelti. Il lettore dovrà formarsi un quadro preciso enello stesso tempo dovrà essere posto in grado di par-tecipare del vostro stato d'animo, anche se non l'ave-te mai espresso esplicitamente, ma solo lasciato intra-vedere. (Tenete presente il passo di Piovene).

• Descrivete — saranno ricordi di viaggi, gite, escur-sioni — luoghi che avete visto anche una volta sola(città, villaggi, marine, montagne, ecc.), ma che vihanno lasciato nella memoria un'immagine ben deter-minata. Più che di una descrizione particolareggiata,si tratterà di una serie di impressioni, cui però cer-cherete di dare un centro, un'anima.

• Sia nel primo, sia nel secondo caso potranno esse-re solo i luoghi stessi, in sé e per sé, l'oggetto delladescrizione; ma quei luoghi voi potete popolarli difigure umane: figure familiari, individuate in alcuneloro precise caratteristiche (nel primo caso); immaginirapidamente apparse per un attimo, figure quasi eva-nescenti, cui pure l'intuizione o la fantasia assegnanoun ruolo, un significato (nel secondo caso; e riflettetesul passo di Carlo Levi).

• Descrivete un paesaggio in movimento, cioè quelloche osservate passeggiando, o dall'auto, dal treno,dall'aereo; la visione si allarga, sono molti luoghi di-versi che sfilano davanti a voi e quel susseguirsi diimmagini dovete non solo tradurlo in parole, ma in-terpretarlo. Anche il vostro discorso potrà ampliarsidal particolare paesistico alla storia passata di unquartiere, di una città, di un territorio, alla sua com-plessa realtà presente, alle sue prospettive, collegan-dosi a fenomeni e problemi economici, sociali, ecologi-ci, ecc. (Tenete presente il passo di Arpino).

6. DESCRIVERE I SENTIMENTI.IL DIARIO

Descrizione di impressioni, stati d'animo, sentimenti,passioni, propri e di altri: veramente al termine «de-scrizione» sarebbe opportuno sostituire «trascrizio-ne». C'è una voce interiore, spesso vaga, incerta, con-fusa, che poco alla volta interpretiamo, traduciamo inparole, organizziamo in un discorso. Qui è più difficile

che mai, diremmo impossibile, indicare tracce attendi-bili, percorsi fissi. Il sentimento, se genuino, è vostro(o è quello che attribuite ad altri, ma sempre sulla ba-se di vostre esperienze interiori) e deve trovare da so-lo la via per manifestarsi.Potete certamente riflettere sugli innumerevoli esempidella resa del mondo interiore che trovate in romanzi,racconti, drammi, memorie, epistolari, per confrontarela vostra esperienza con quella di altri, ma poi mette-te da parte esempi e modelli e lasciate che la pennaregistri ciò che dal di dentro di voi stessi le viene det-tato.Esiste però un mezzo per esercitarsi, nel modo più na-turale, a questo genere di scrittura: tenere un diario.E, tra quanti scorrono queste pagine, è improbabileche non ci sia qualcuno o qualcuna che non abbia unsuo diario, più o meno segreto. Ancora una volta, da-re suggerimenti è difficile, e poi trattiene dal farloquasi il timore di violare la libertà interiore del pros-simo; ci limitiamo perciò a un paio di consigli di ca-rattere tecnico, che possono essere utili.

CONSIGLI E TRACCE

• Non ogni giorno accade — fuori o dentro di noi —qualcosa di memorabile. Non costringetevi a scriverequando non avete nulla da dire (non siete a scuola).Se il diario è tenuto su un'agenda, che, accanto a fo-gli scritti fittamente, altri rimangano pure bianchi.

• II diario registra spesso semplici fatti; annotateanche le vostre reazioni a quei fatti.

• Le notazioni potranno essere telegrafiche, più dataccuino che da diario («Piovuto sempre. Troppi com-piti. Però allegra. Motivo? Allegra e basta»). Ma nul-la vi vieta di tornare più tardi su quegli appunti perprecisarli, elaborarli, svilupparli.

• Nel diario autore e destinatario («emittente» e«ricevente») si identificano: scrivete per voi stessi.Eppure, senza che la spontaneità venga sacrificata, ilpensare che forse un altro leggerà quelle righe po-trebbe stimolarvi ad esercitare un controllo più atten-to sullo stile.

In forma di diario o cronaca sono state redatte molteopere narrative, e poi ci sono diari e memorie auto-biografiche accuratamente predisposti per la pubblica-zione dai loro autori. Vi sarà facile trovare esempinell'Antologia e in biblioteca. Qui sotto riportiamodue esempi, molto diversi tra loro ma entrambi piùstrettamente pertinenti perché tratti da diari veri epropri che, non destinati dagli autori alla pubblicazio-ne, furono dati alle stampe dopo la loro scomparsa.

21 settembre [1938] — Non dobbiamo lagnarci se una perso-na a noi carissima ci presenta a volte atteggiamenti odiosi

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che ci tirano i nervi o, comunque, ci fanno soffrire. Nondobbiamo lagnarci, ma tesorizzare avidamente queste nostreire e amarezze: ci serviranno per lenire il dolore il giornoche quella persona ci verrà in qualche modo a mancare.

4 marzo [1947] — Un amico per te non è più un modo di sta-re insieme sintetico, di vivere, ma un passatempo, la varian-te del cinema. Cos'è? Non credo più al lavoro in comune.Lavoro da solo e poi mi distraggo. Al tempo che credevo a-gli amici, non lavoravo.

5 marzo — È notte, al solito. Provi la gioia che adesso an-drai a letto, sparirai e in un attimo sarà domani, sarà mat-tino e ricomincerà l'inaudita scoperta, l'apertura alle cose.È bello andare a dormire, perché ci si sveglierà. È il mezzopiù rapido di fare il mattino.

(C. PAVESE, // mestiere di vivere)

3 gennaio [1961] — Piove di nuovo, stanchezza nervosa.

4 gennaio — Tensione. Passeggio per Lucca con Rina. Unimprovviso temporale mi scioglie.

5 gennaio — Mattina greve. Giro del podere, ristrettezze e-conomiche non sorprendenti. Nel pomeriggio passeggiatafino a Palmata. Fatico la prima ora poi il vento pulisce ilcielo ed io mi sento forte. Dalla chiesa di Palmata una di-stesa di colli, pianura, monti e nebbia che si dileguano ros-sastri.

2 settembre [1962] — Desinare da mamma che alla frutta di-ce: «T'ha ricordato nulla l'arrosto?». Resto incerto poi ri-spondo: «Ah! sì». Ma lei capisce che il suo tentativo dicommuovermi con un cibo cucinato come usava lei quand'e-ravamo piccoli, è fallito.

(A. BENEDETTI, Diario di campagna)

7. LA NARRAZIONE

Narrare — narrare fatti realmente accaduti o immagi-nati, vicini o lontani nel tempo, che hanno coinvoltovoi soli, o voi ed altri, o solo altri — è un'operazionepiù complessa che descrivere. Il vostro lavoro di «nar-ratori» — sia che lo svolgiate per vostro gusto, siache si tratti di un obbligo scolastico (e molti dei temiche vi vengono assegnati sono narrativi) — comportauna serie di scelte e un'organizzazione del testo chevanno meditate molto più a fondo che nelle descrizio-ni, e che ammettono un numero molto più alto di va-riabili. Quanto alle esercitazioni che avrete fatto finqui per imparare a descrivere, non erano fini a sestesse: vedrete che le descrizioni di cose e di luoghi, iritratti fisici e morali di persone possono essere inse-riti con profitto in un testo narrativo (come pure ildialogo, di cui parleremo in seguito).Poiché qui premettere dei testi narrativi di autori non

è possibile (occuperebbero troppo spazio) e in fondoneppure utile (ne trovate quanti volete nella vostraantologia), terremo come punto di riferimento, nelleconsiderazioni che seguono, il titolo di un possibile, efacile, tema: «Un'assemblea studentesca molto movi-mentata».Cominciamo da alcune scelte preliminari rispetto alvero e proprio piano di lavoro.

IL TEMPO DELLA NARRAZIONE

II tempo (per ora usiamo il termine nel senso specificodi «tempo verbale») nella narrazione è usualmente ilpassato remoto, ed è questa la scelta consigliabile.(Naturalmente al passato remoto si avvicenderannoaltri tre tempi passati, cioè l'imperfetto e i trapassati,secondo le norme che conoscete dallo studio dellamorfologia e della sintassi). Una narrazione ampia im-postata sul passato prossimo, di per sé giustificatodalla vicinanza nel tempo dei fatti narrati, risultamolto più monotona e impacciata e preclude variepossibilità di variazioni stilistiche.Certo, se l'assemblea di cui parlate è avvenuta questamattina, o ieri o poco tempo fa, ed è ancora attualeper le sue conseguenze, per le impressioni che vi halasciato, ecc., vi sembrerà innaturale scrivere: «Marioprese la parola... Tutti allora decisero... Fu un erro-re...». Pensate però che non state redigendo un artico-lo di cronaca col dovere della rigorosa fedeltà ai fatti,ma elaborate un testo almeno tendenzialmente lettera-rio, in cui un elemento di finzione non solo è ammes-so, ma spesso è necessario. Quindi allontanate neltempo l'avvenimento, con un'operazione mentale, che,se volete, potete anchejendere esplicita, aprendo peresempio il tema così: «È passato qualche mese e di as-semblee in seguito se ne sono tenute altre, forse piùinteressanti e produttive, ma non dimenticherò facil-mente quella dei primi di novembre»; e poi avanti coltempo narrativo. Potete anche — sia che ciò rispondaalla realtà dei fatti, sia che derivi da un vostro arti-ficio — creare una distanza maggiore tra il presente el'evento narrato. I fatti risulteranno più suggestiva-mente filtrati dalla memoria, e il procedimento vi con-sentirà di rendere più credibile il distacco con cui va-lutate i fatti stessi nei giudizi e nei commenti che in-serirete nel narrato.Quest'ultimo punto ci introduce a un'altra importanteconsiderazione (e a un'altra scelta), riguardante il«tempo» non più nel senso (o solo nel senso) di tempoverbale, ma di «tempo della narrazione».Senza dubbio voi potete narrare una vicenda passataattenendovi strettamente a quell'unica dimensionetemporale, ma una ben più ampia possibilità di svilup-pi viene offerta dalla compresenza di due piani tempo-rali:

• il tempo del fatto narrato (il giorno in cui l'assem-blea si svolse o in cui voi l'avete collocata);

• il tempo (il presente) in cui voi la narrate.

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Naturalmente ogni vostro intervento attuale nellanarrazione — un commento più o meno fitto e insi-stente — va nel tempo verbale presente (o nel passatoprossimo che gli si raccorda), e così pure le osserva-zioni, per es. su un personaggio in azione, che non siriferiscono solo al momento della narrazione, ma han-no un valore permanente:

«Poi parlò, risoluta, irruente, con la sua aria di sfida,Annamaria. È qualcosa di grande una ragazza che sibatte per le sue idee. Lei è sempre stata così, è meravi-gliosa».

Tempi diversi dal passato remoto si possono inoltre a-vere:

• con la sostituzione al passato remoto del presente«narrativo», da impiegare per sottolineare la vivacitàe rapidità dell'azione, per un momento cruciale:

«Queste parole furono la goccia che fa traboccare ilvaso. Tutti si misero a urlare. Allora il preside cercadi arrivare al microfono, non ci riesce, si mette a urla-re anche lui».

• con il ricorso, per un'informazione che viene anti-cipata, al «futuro storico» o «retrospettivo» (vedi ca-pitolo 22, § 3):

«II più violento fu Gianni, lo stesso che, eletto nostrorappresentante, due giorni dopo farà il bravo bambinoe cederà su tutta la linea».

I PIANI NARRATIVI

Passiamo a un altro ordine di scelte, che in parte in-terferiscono con quelle sul tempo narrativo, ma sonoancora più decisive per orientare tutta la strutturadel racconto e darle un'impronta. Riguardano il rap-porto fra il narratore e l'evento narrato, e possiamosommariamente individuare tre diverse possibilità (di-ciamo «sommariamente» perché in effetti esistono poimolte varianti, combinazioni, incroci).

1) II narratore interviene, anche nell'azione, in primapersona, e l'«io narrante», sorregge tutta la strutturadel racconto, che acquista un sapore autobiografico.Posto il tema « Una passeggiata solitària lungo la rivadel mare, all'alba», è chiaro che sarà questa la sceltapiù logica (peraltro non obbligatoria, perché non cisono mai scelte obbligate quando si scrive: potretesempre svolgere quel tema facendo passeggiare sullariva un'altra persona). Ma anche col nostro tema sul-l'assemblea, che coinvolge più personaggi, la soluzio-ne della «prima persona» è probabilmente quella chevi consente di sviluppare la narrazione nel modo piùnaturale. Voi all'assemblea avete partecipato (o lopresupponete). Con quale ruolo? Risulterà dal raccon-to stesso: di protagonista, e vi assegnerete questa par-

te («Io allora fui molto deciso...», «Se non fosse statoper me se ne sarebbero viste delle belle, perché...»); odi comprimario, e lo rileverete; o, in un angolo dellasala (una circostanza da sottolineare subito), comesemplice spettatore (interessato, attivo, passivo, com-piaciuto, contrariato, sgomento: altrettanti toni dastabilire). In ogni caso, anche se la vostra parte è sta-ta modesta, la narrazione si svolge dal vostro puntodi vista: agiscono altri (in «terza persona»), ma sietevoi ad osservarli, a farli entrare in azione, a riferire iloro gesti e le loro parole. Tutto passa esplicitamenteal vaglio dell'onnipotente narratore, che inserirà nelmodo più semplice e diretto, e quasi senza stacco trapiano della narrazione e piano soggettivo, le proprieconsiderazioni.

2) II narratore non interviene mai direttamente nell'a-zione, la osserva dall'esterno; chi leggerà il tema nonsaprà se eravate o no presenti a quell'assemblea. Perònel presentare fatti, discorsi, episodi siete ancora voia guidare la macchina del racconto e non vi preoccu-pate se a nessuno sfugge che c'è un regista. Inoltreinserite i vostri commenti; notate però che essi rap-presentano l'unica parte del testo dove il vostro inter-vento è esplicito e scoperto, e quindi, perché essi nonstridano col resto dell'esposizione formalmente obiet-tiva, devono essere meno frequenti e più discreti; perelaborarli occorre più maestria che quando si adottala prima soluzione, in cui piano narrativo e piano au-tobiografico tendono a fondersi insieme.

3) II narratore si astiene in modo assoluto dall'inter-venire direttamente e fa solo agire e parlare i suoipersonaggi: obiettività, verità, realtà. Ma, a meno chenon intendiate stendere una nuda cronaca, non poteterinunciare a comunicare la vostra interpretazione deifatti, le vostre idee, i vostri sentimenti. Allora vi sipone il problema di far scaturire le conclusioni solodai fatti stessi, dalle dichiarazioni di questo e di quelpersonaggio, dal loro urto dialettico. La scelta di que-sto piano narrativo è la più ardua, richiede un lungotirocinio, rappresenta un traguardo. Per ora è forseopportuno che vi limitiate a cercarne esempi da ana-lizzare negli autori.

LO SCHEMA DELLA NARRAZIONE

Avete operato le vostre scelte circa i tempi e i pianinarrativi. (Ma si avverta: non sarà necessariamenteun atto unitario preliminare; a queste scelte potretearrivare nel corso della stesura della «minuta», ap-portando poi le necessarie correzioni a quanto giàscritto). Ora dovete sviluppare la narrazione, parten-do da uno schema, da una traccia, da una «scaletta».È il momento che gli antichi retori chiamavano inven-tio, cioè il «ritrovamento», naturalmente non del te-ma, che è quello dato, ma degli argomenti da svolge-re, delle cose da dire.

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Poiché il nostro tema ha per oggetto un fatto concre-to, accaduto o facilmente immaginabile, il pericolonella fase della inventio non è che le idee vi manchi-no, ma che se ne affaccino troppe alla vostra mente.Il primo sarà dunque un processo di selezione.Di quella famosa assemblea esiste senza dubbio per-fino una documentazione scritta: fu indetta con undettagliato ordine del giorno ciclostilato; ebbe un pre-sidente, un segretario, un rappresentante dei docenti,un dato numero di partecipanti; ci fu una serie di in-terventi, magari sommariamente verbalizzati; vi sipresentarono proposte anche scritte; si concluse conuna mozione accuratamente predisposta da un gruppoe poi modificata nel corso dei lavori; forse esiste unarelazione ufficiale in presidenza (e, se proprio fuun'assemblea speciale, al provveditorato, al ministe-ro...). Ebbene, pensiamo vi sia chiaro che tutto ciò po-trà riguardare un futuro storico delle assemblee stu-dentesche, ma non interessa i lettori del vostro tema.Sono tutti elementi da trascurare. O quasi tutti: per-ché, per esempio, il dato sul numero dei presenti po-trebbe essere pertinente, anzi diremmo che è un'infor-mazione che va data. (E qui, di sfuggita, un consiglio,fra i tanti possibili: non dite, pedestremente, «I pre-senti erano circa quattrocento»; introducete il dato inun momento dello svolgimento dell'azione, ad es. così:«Giorgio era furibondo perché tanti che gli avevanoassicurato di intervenire non si vedevano; gli manca-va la sua claque, su cui conta quando prende la paro-la. "Siamo quattro gatti", dice. In realtà saremo statialmeno quattrocento, stipati in quella specie di criptache è la sede abituale delle nostre assemblee»).Nel corso di un'assemblea gli studenti che intervengo-no nel dibattito in genere sono numerosi; ma anchequi dovete sfrondare, e scegliere tre, quattro «atto-ri», diversi per i loro caratteri e per le idee che espri-mono. Al resto dei presenti assegnerete la parte del«coro», senza dimenticarvene, perché ai momenti incui l'attenzione si concentra sui protagonisti avvicen-derete delle «scene di massa». Così pure, gli argomen-ti affrontati da un'assemblea spesso sono molti e an-cor più spesso sono trattati in modo confuso: saretevoi, il narratore, a portare chiarezza, dando rilievo aun argomento solo, quello che ha fatto sì che l'assem-blea fosse «molto movimentata» (ricordate il titolodel tema!). Naturalmente spetta a voi l'individuazio-ne di questo argomento (una questione interna allavostra scuola, un problema scolastico di carattere ge-nerale, un argomento schiettamente politico), così co-me del fattore che ha acceso le passioni: e lo faretescaturire dal dibattito stesso, oppure introdurrete unacausa scatenante esterna (un divieto dell'autorità sco-lastica, l'arrivo della battagliera delegazione di un'al-tra scuola, ecc.).Attraverso fasi ed episodi più o meno numerosi (lapreparazione, l'avvio del dibattito, gli interventi cen-trali, il climax del tumulto) si arriva alla conclusio-ne, che per fortuna, dato il tema proposto, non saràtragica, ma tutt'al più tragicomica. Il vostro tema po-

trà chiudersi con un fatto che contenga in se stesso u-na «morale» della storia; oppure l'interpretazione dadare la sottolineerete voi con considerazioni conclusi-ve, coerenti con altre osservazioni e giudizi sparsi nelcorpo del tema e anche col tono complessivo che avre-te dato alla narrazione.

ELEMENTI NON NARRATIVI

Di assemblee studentesche «movimentate» se ne sonotenute e se ne tengono tante, tutte più o meno simili.Dobbiamo ammettere che il fatto in sé (come molti al-tri fatti che potranno essere oggetto di vostri temi) haun interesse modesto. Voi invece vi proponete di scri-vere due o tre pagine che interessino, avvincano l'at-tenzione, piacciano. Sarà la vivacità dello stile, il pe-pe che ci metterete, ad assicurare questo risultato, eanche una varietà che otterrete inserendo nella tramanarrativa altri e diversi elementi:

• Descrizione di cose e di luoghi. Lo scenario del-la vostra narrazione — un'aula magna, una palestra,un cortile — sembrerebbe non offrire molti spunti, mabasta cercare e troverete ciò che può aggiungere unanota di colore o offrire l'occasione per rilevare uncontrasto, per creare un diversivo: il severo bustobronzeo di un padre della patria, sul cui sfondo si agi-ta chi di voi le diceva più grosse; un attrezzo ginnicosul quale compiono evoluzioni, penzolando pericolosa-mente, alcuni studenti mediocremente interessati aldibattito; ecc. La sede dell'assemblea è un luogo chiu-so, quasi separato dal resto dell'universo: una soluzio-ne sarebbe accentuare questo aspetto; oppure si stabi-lirà un nesso col mondo esterno (all'inizio, gli studen-ti che affluiscono verso la scuola sotto un cielo plum-beo; un temporale che scoppia e la pioggia che battecontro le vetrate proprio al culmine del dibattito; o,tutto all'opposto, la splendida giornata di sole chetrionfa fuori, mentre voi discutete accanitamente i vo-stri problemi).

• Ritratti fisici e morali. Sono quasi indispensabili,per caratterizzare i protagonisti e, rapidissimamente,qualche figura tra la folla. Sfruttate profili di amici,compagni, professori già elaborati in precedenza, e-straendo da essi pochi tratti peculiari, quelli che me-glio si adattano alla situazione.

• II discorso diretto. Mentre alcune tesi emerse nelcorso del dibattito saranno state riassunte da voi(«Giorgio sostenne che...», «Secondo Annamaria sidoveva...»), in una o due occasioni date direttamentela parola a un oratore, s'intende senza riferire tutto ildiscorso, ma citandone poche frasi significative. E po-trà anche intrecciarsi, tra due antagonisti, un breve,serrato scambio di battute (su ciò confrontate ancheil § 8).

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Proprio tutto questo materiale in un solo tema narra-tivo? Assolutamente no. Per interessare bisogna, oltreal resto, non essere prolissi. Vi abbiamo semplicemen-te elencato varie possibilità, e ne sfrutterete alcune.Inoltre gli inserti descrittivi o dialogati non dovrebbe-ro venire aggiunti alla fine, «appiccicati» come orna-menti posticci, ma nascere da una necessità interna,durante la stesura della «minuta»; in quella fase po-tete anche sovrabbondare, e poi lasciate solamentequanto non intralcia la narrazione, ma l'arricchisce ela ravviva.

ESERCITAZIONI E TRACCE

• II tema «Un'assemblea studentesca molto movimen-tata», cui ci si è riferiti tante volte, potreste anchesvolgerlo, e possibilmente in due o tre modi diversi,raccogliendo volta per volta un gruppo distinto disuggerimenti e fissando un motivo centrale diverso.

• Andamenti abbastanza simili possono avere temicome: «Finalmente ho partecipato a un comizio eletto-rale: è stata un'esperienza interessante e non è mancatoun momento di suspense» oppure «Una seduta del no-stro Consiglio comunale un po' fuori dell'ordinario».(Per farvi un'idea dello scenario e dei personaggi, an-date ad assistere a una seduta, che probabilmente sa-rà d'ordinaria amministrazione; per creare i motivid'interesse, seguite per qualche giorno la cronaca cit-tadina raccogliendo spunti e rielaborandoli poi libera-mente).

• Ognuno dei titoli che seguono comporta invece de-terminati sviluppi differenti.

- « Tre ore di fila per il biglietto, poi la ressa all'en-trata e, dentro, una gran confusione. Ne valeva la penaper un concerto rock?». Ancora, in prevalenza, scenedi massa, ma abbiate cura di caratterizzare anche sin-goli gruppi di persone e singole persone. Narrate ordi-natamente i tre momenti indicati dal titolo; di qualeconcerto sì tratti, quale interesse susciti potrà risulta-re da dialoghi tra i giovani che fanno la fila. Poi ilmomento magico in cui il famoso complesso cominciaa suonare. Ne valeva la pena? Se avete fatto tre ore difila, la vostra risposta probabilmente è «sì»; motivatequesto sì nella parte conclusiva.

- «Quella sera il telegiornale riferì: "II traffico caoti-co ha messo in difficoltà milioni di famiglie che rien-travano dal week-end". Tra quei milioni di famigliec'era anche la mia». Anzitutto, non una cronistoria ditutto il vostro week-end, l'itinerario preciso, ecc. Con-centrate l'attenzione su due o tre episodi, altrettantescenette con personaggi diversi: il signore che da in e-scandescenze, ecc.; il battibecco fra gli equipaggi didue auto ferme nell'ingorgo (riferito attraverso undialogo), ecc. È anche un'occasione per darci i ritrattidei vostri familiari, non statici, ma posti in relazione

con la situazione. Ricordatevi qualche volta del pae-saggio, che, nonostante tutto, si lascia ancora guarda-re. La conclusione quasi d'obbligo è una serie diriflessioni sul traffico automobilistico o sul week-ende i «ponti»; uscite dal generico e dal banale collegan-do le riflessioni ai fatti specifici che avete narrato.

— «Il giorno in cui entrò in casa nostra il computer».Da eseguire solo se il fatto è accaduto (o se un amicocui è accaduto vi da informazioni esaurienti; inoltreconcentrerete in un sol giorno episodi succedutisi ma-gari in più giorni). Come si è arrivati alla decisionedell'acquisto, chi l'ha consigliato, i vantaggi che ci siripromettevano, gli esperimenti fatti quando l'aggeg-gio è arrivato. Le diverse reazioni: il nonno assoluta-mente deciso a non premere mai un tasto; il babbo ta-lora perplesso ma agguerritissimo perché ha studiatovari manuali; il fratello minore entusiasta... Introdu-cete qualche dialogo. Conclusioni: quelle che avete ef-fettivamente tratto, e che possono essere diversissime.

- «Un bisticcio tra vicini (oppure: fra condòmini)».Notate: bisticcio, non litigio, vertenza, dramma', non siarrivò né alla carta legale né alle coltellate. Quindiin chiave più o meno accentuatamente comica, conl'esposizione di uno o due motivi piuttosto futili (unesempio tra mille: il regolamento condominiale vietadi tenere in casa animali, ma voi avete un cane e lavecchia signora del pianterreno cinque gatti, mentreil commendatore dell'attico è intransigente su questoproblema). Non esponete subito il motivo del conten-dere, ma aprite con un dialogo, cioè un'accesa discus-sione, che dapprima lo lasci solo intravedere. Oltre abrevi, vivaci dialoghi, un'insistita caratterizzazionedei personaggi in azione: dovrebbero essere questi ipunti essenziali dello svolgimento; inutile concluderemoraleggiando. Possibilmente un finale ad effetto.

- «Fate parte del gruppo che si è costituito nella no-stra scuola per promuovere un rapporto attivo con glianziani del quartiere (o un'altra categoria esposta airischi dell'emarginazione); riferite le vostre esperien-ze». Il tema non è: «Come vedete il problema dellaterza età» (o un altro problema di emarginazione),che è un tema di riflessione (che tutti potrebbero svol-gere); per il nostro tema dovete avere realmente del-le esperienze in proposito, e sono queste (incontri, vi-site, colloqui, ecc.) che dovete riferire, naturalmenteinserendo riflessioni e conclusioni anche sul proble-ma in sé.

- « Un errore che non si ripeterà, in futuro». Il termi-ne errore è abbastanza generico per lasciarvi ampia li-bertà di scelta: un errore di valutazione in una sceltaimportante per la vostra vita; un errore nel giudicareuna persona, nel fidarvi troppo o nel diffidare senzamotivo; o anche una colpa vera e propria da voi com-messa. Dopo l'individuazione dell'unico argomento da

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trattare, narrate con precisione il fatto, tratteggiatele persone, riferite sulle vostre reazioni, dite in chemodo vi siete resi conto che si trattava di un errore,e perché, con quali mezzi, con quali prospettive lo evi-terete in futuro.

- «L'anno sta per chiudersi. Fate il vostro bilanciopersonale: attivo e passivo». Tema di introspezione,che richiede anzitutto un lavoro di selezione: non par-

lerete delle cose che accadono necessariamente annodopo anno (la promozione, siete aumentati di statura,avete comprato questo e quello), ma di alcuni fatticentrali, determinanti. Chi tiene un diario si troveràavvantaggiato; ma, facendo un bilancio della nostravita di carattere per così dire pubblico, potremo esse-re così sinceri come nel diario? Se non ve la sentite,prima eseguite il tema a vostro uso, poi ricavatene u-na versione riveduta e corretta!

Quella ricerca continua del termine appropriato, dell'aggettivo calzante, del verbo più adatto a trasmettereun'immagine concreta, di cui si è parlato a proposito della descrizione, va condotta ovviamente anche quando siracconta. Limitiamo l'esemplificazione, molto succinta (e dovreste ampliarla), ad alcuni verbi generici,vantaggiosamente sostituibili con verbi specifici.

fare

Fece un piano diabolico

Facemmo un errore madornale

Non ha fatto mai azioni scorrette

Ha fatto molti debiti

II lavoro è stato fatto con diligenza

Fa un mestiere pericoloso

Fecero tante pressioni che...

Faremo due ipotesi

Facemmo ancora pochi passi

Un'altra volta fate più attenzione

Le sue parole fecero un forte effetto

Fece un discorso chilometrico

Quando farete l'esame?

Architettò...

Commettemmo......ha compiuto (o commesso)....Ha contratto......è stato eseguito...Esercita ...Esercitarono...

Formuleremo...Percorremmo......prestate......produssero...Pronunciò (o tenne)......sosterrete...

E ancora altri sostituti specifici di fare: comporre una canzone, dipingere un quadro, disputare una partita,fissare il prezzo, giocare uno scherzo, imbarcare acqua, infondere coraggio, patir la fame, porgere gli auguri,presentare un ricorso, radere la barba, scattare una foto, scrivere un romanzo, stipulare un contratto, ecc.

dare

Mi hanno dato un incarico interessante

E così gli diedero quel soprannome

Mi danno colpe che non ho

Ci diedero la notizia a bruciapelo

Non danno più l'autorizzazione

Questo libro me l'ha dato lo zioDatemi le prove?

Vuole dare lezioni a tutti

Mi hanno dato molti fastidi

Ti hanno dato un ferrovecchio

Hanno dato tutto per quel figlio

...hanno affidato...

... affibbiarono (o appiopparono)..

...attribuiscono...

...comunicarono...

...concedono...

...ha donato...Fornitemi......impartire......hanno procurato......hanno venduto (o rifilato)...Hanno sacrificato...

E ancora augurare la buona notte, emettere un responso, infliggere un castigo, fissare un appuntamento, imporreun nome, propinare un veleno, rilasciare la ricevuta, somministrare una medkina, ecc.

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prendere

Prendi una sigaretta?Devo prendere un cappotto nuovoPresi subito la cimaPrenderanno campioni del terrenoPrese con decisione il comandoPrese un atteggiamento antipaticoHanno preso tutti l'influenzaNon prende niente da due giorniNon l'ho più, me l'hanno presoPresero la posizione dopo lunghi sforziHanno preso l'evaso

Accetti......acquistare...Afferrai...Preleveranno...Assunse...Assunse...Hanno contratto......ingerisce...... hanno rubato (o sottratto)Conquistarono (o occuparono)..Hanno catturato...

E ancora cogliere l'occasione, impugnare l'arma, inforcare la bicicletta, intascare il premio, ottenere un diploma;ricevere uno stipendio, trarre origine, ecc.

andare, venire

Andò via promettendoci di tornare prestoAndarono in fretta verso ..Finalmente andarono verso...Gli è venuto un infartoAndò deciso verso...In seguito andò in BrasileQuesto apparecchio non vaAndavano qua e là senza metaSiete venuti a una conclusione?Venne all'improvviso, allarmandociDove va questo viottolo?Va avanti quel tuo lavoro?Questi difetti vengono da...Viene bene quel tuo lavoro?Poi vennero anche loroÈ venuto qui da poco tempo

Si accomiatò (o si congedò)..Si affrettarono...... si avviarono...È stato colpito da...Si diresse...... emigrò (o si stabilì)......funziona...Gironzolavano...Siete pervenuti...Ci piombò addosso......porta (o conduce)...Procede......provengono (o dipendono)..Riesce...... sopraggiunsero...Si è trasferito...

Valgono peraltro le stesse avvertenze date a proposito di essere e di avere: la sostituzione dei verbi generici nondeve rappresentare un'ossessione, né essere applicata meccanicamente. Ci sono registri espressivi in cui la scelta delverbo generico è più coerente: in molti contesti Hai fatto i compiti? o Devo fare il tema andranno benissimo. Poivanno evitate le sostituzioni goffe e pesanti: va già bene // procuratore andò subito sul luogo dell'incidente', anche sirecò, accorse, ma rifiutate il burocratico si portò. Infine i verbi generici danno luogo a molte locuzioni fisse, chenon possiamo alterare: il gatto fa le fusa (non le esegue, effettua, emette o produce!)

ESERCITAZIONI

• Per tutti i verbi citati formate altre frasi sul modello di quelle proposte.

• Formate frasi complete sulla base degli usi segnalati qui più brevemente in sostituzione di fare, dare, pren-dere, anche con oggetti diversi da quelli indicati.

Per tutti i verbi generici individuate altre possibili sostituzioni, fornendo gli esempi relativi.

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8. IL DIALOGO

• Un'opera scenica (tragedia, commedia, dramma,farsa, sceneggiatura, ecc.) è tutta dialogo: nella reci-ta ogni personaggio pronuncia la propria «battuta» e,nel testo scritto, l'attribuzione delle battute è indica-ta nel modo più chiaro dai nomi dei personaggi, men-tre le «didascalie», variamente inserite, potranno pre-cisare l'intonazione della voce, gesti e atteggiamenti,movimenti sulla scena, ecc. Per esempio:

LISA (dando passo sulla soglia a Ferrante). Ecco, entri qua.Chi debbo annunciare?FERRANTE. Ah, sì... Pedretti, l'ingegner Pedretti. Sono tutti incasa?LISA. Dice anche la signora?FERRANTE (con foga). La signora, già!

Contenendosi:Anche... anche la signora.

LISA. Sissignore. Credo che sia in casa. Ma lei, scusi, con chivuoi parlare propriamente?FERRANTE (in fretta). Con l'avvocato, con l'avvocato.LISA. Va bene. S'accomodi. Vado ad annunziarla. — Ha det-to, mi pare...?FERRANTE. Che cosa? — Niente.LISA. No. Il nome, scusi. L'ingegnere, come ha detto?FERRANTE (senz'imbarazzo, cercando di ricordare). Ah, Pe...Pedretti mi pare d'aver detto.LISA (lo guarda stupita, come se domandasse: «Ma come! Nonne è sicuro?»).FERRANTE (notando lo stupore, con stizza). Non si confonda,per carità! Sono un po' distratto.

(L. PIRANDELLO, La Signora Morii, una e due)

II dialogo inserito in un'opera narrativa (romanzo,racconto, novella, relazione di viaggio, ecc.) richiedeuna serie di accorgimenti per mettere in grado chilegge di distinguere tra i diversi interlocutori e perintrodurre opportunamente, e senza monotonia, le bat-tute, mentre d'altra parte sono offerte molto più am-pie possibilità alla concomitante caratterizzazione deipersonaggi, giacché il narratore può inserirsi quandovuole — con precisazioni, osservazioni, commenti -all'interno della trama dialogica.Vediamo due esempi da romanzieri del Novecento.

Guardava ardentemente uomo e donna.«Non possiamo desiderare questo per un uomo che ci è ca-ro? Un uomo è felice quando ha una compagna. Non possia-mo desiderare che un uomo sia felice? Io desidero che tu siafelice.»«Grazie,» disse Enne 2. «Grazie, Selva. Ma...»«Ma, un corno,» la vecchia Selva disse. «Non possiamo de-

1 Ce ne interessiamo qui solo in rapporto alla sua inserzio-ne nel piano narrativo; di per sé il dialogo richiederebbe undiscorso molto più ampio (caratterizzazione dei personaggiattraverso il loro modo di esprimersi, resa del «parlato», u-so del monologo, ecc.).

siderare che un uomo sia felice? Noi lavoriamo perché gliuomini siano felici. Non è per questo che lavoriamo?»«È per questo,» disse Enne 2.«Non è per questo?» Selva disse.E sempre guardava uomo e donna.«Perdio!» disse. «Bisogna che gli uomini siano felici. Chesenso avrebbe il nostro lavoro se gli uomini non potesseroessere felici? Parla tu, ragazza. Avrebbe un senso il nostrolavoro?»«Non so,» rispose Berta.Ed era come se non avesse risposto, era seria; e alzò un mo-mento la faccia, ma era come se non l'avesse alzata.«Avrebbe un senso tutto il nostro lavoro?»«No, Selva. Non lo credo.»«Niente al mondo avrebbe un senso. Vero, ragazza?»«Non so,» rispose di nuovo Berta.«O qualcosa avrebbe lo stesso senso?»«No,» rispose Enne 2. «Non lo credo».

(E. VITTORINI, Uomini e no)

Mauro era seduto sullo scalino della casa di fronte.- Ehi! Non ci sei andato a lavorare? — lo apostrofò Mara.

Mauro non rispose. Si alzò pigramente e attraversò il piaz-zale. I calzoni gli scivolavano lungo i fianchi magri, e ognipoco era costretto a tirarseli su.- Vieni fuori, — le disse.- Non posso. Devo guardare a Vinicio.- Vengo io dentro.- Nemmeno.- E perché?- Mamma non vuole che tu venga quando sono sola. — A-

veva risposto così senza pensarci, e un momento dopo ne e-ra già pentita. La faccia di Mauro si era infatti aperta inun sorriso malizioso.- Lo so dov'è andata tua madre. A spigolare.- No. — mentì Mara. — È andata qui vicino e ora torna.

Mauro ridacchiò.- È andata a spigolare, — ripetè. — Sicché prima di buio

non torna. Vedi che puoi farmi entrare.- Non voglio io.- E io entro lo stesso.- Non puoi. Ho messo il paletto.

Se Mauro si fosse dato la pena di provare, si sarebbe avvi-sto che la porta era solo accostata. Ma non lo fece; e Mara,fu molto soddisfatta della sua furberia.- Lasciami entrare, — la supplicò.- Ti piacerebbe, eh? — lo stuzzicò lei.

(C. CASSOLA, La ragazza di Bube)

Fermiamo l'attenzione su un aspetto dei passi di Vit-torini e di Cassola: le modalità dell'introduzione dellevarie battute. Vittorini da una parte — anche se ipersonaggi sono tre — lascia intuire spesso (5 volte) achi appartenga la battuta, senza bisogno di un verboche la introduca, e per il resto si vale intenzionalmen-te di due soli verbi, i più comuni: dire (5 volte) e ri-spondere (3 volte). Nel passo di Cassola i personaggisono due, e il rischio di confusione più remoto, e lebattute senza verbo «di dire» sono più della metà;nelle altre il narratore impiega una volta dire e unarispondere e poi ricorre ad altri cinque verbi (apostro-fò, mentì, ripetè, supplicò, lo stuzzicò).

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Per evitare la ripetizione di «dire» e «rispondere» — a meno che essa non ubbidisca ad una precisa scelta stilistica— la lingua mette a disposizione un vasto repertorio di «verbi di dire»; ne offriamo qui sotto un'esemplificazione(ma l'elenco potrebbe essere ancora allungato):

affermare - aggiungere - ammettere - asserire - cominciare - concludere - dedurre - enunciare - esplodere - gridare- infuriarsi - interloquire - intervenire - inserirsi - obiettare - notare - opporre - osservare - precisare - replicare- ripetere - sbottare - soggiungere - sospirare - sostenere - suggerire - sussurrare - urlare

ESERCITAZIONI

• Nel passo di Pirandello rilevate in che misura ledidascalie precisano e arricchiscono il dialogo. Ricer-cate altri passi di drammi o commedie e verificate lafrequenza, la distribuzione e la funzione delle didasca-lie sceniche.

• Analogamente, nei passi di Vittorini e di Cassola,studiate l'alternarsi del dialogo e delle notazioni nar-rative o illustrative e ripetete questa analisi su passi,opportunamente scelti, di romanzi o racconti.

• Scrivete qualche breve dialogo tra due (o tre) per-sonaggi, inserendo, dove vi sembra opportuno, delledidascalie. Potete prendere spunto da questi suggeri-menti:

- due ragazzi parlano del carattere di una ragazza;- due ragazze parlano del carattere di un ragazzo;- discussione a tre sul campionato di calcio in gene-

rale (o su una partita);- discussione a tre, di opinioni diverse, su un recen-

te avvenimento di politica interna o internazionale;- professore e studente (o due studenti) discutono

sull'utilità dello studio della storia (o di un'altra ma-teria).

• Riformulate i dialoghi che avete scritto inserendo-li in un contesto narrativo (quindi con una rapidapresentazione della situazione e dei personaggi); fatesoprattutto attenzione al modo in cui, introducete -con o senza un «verbo di dire» — le diverse battute.Individuate anche i punti in cui è opportuno introdur-re un commento o un qualsiasi elemento narrativo.

• Nella scelta dei verbi «di dire» (nell'esercitazioneprecedente), vi sarete valsi probabilmente del reperto-rio; fatevi venire qualche altra idea e sostituitenequalcuno; oppure precisate il verbo usato determinan-dolo con un avverbio, un complemento, ecc. Questo e-sercizio può essere condotto, anche al di fuori di undialogo dato, sul repertorio stesso; per es.: affermò pe-rentoriamente, deciso, con sicurezza, ecc.; osservò disfuggita, guardandolo negli occhi, dandogli un'occhia-ta d'intesa, ecc.

9. L'ARGOMENTAZIONE

Lo svolgimento di un certo numero di temi assegnatiagli studenti che usano questo libro si esaurisce nelladescrizione e nella narrazione; però spesso — e sem-pre più spesso col proseguire degli studi — il temaproposto invita a riflettere su problemi di attualità, arievocare figure o eventi del passato, a presentare per-sonaggi o episodi di opere letterarie, a commentarepassi poetici, ecc.: chiamiamo questi temi «di riflessio-ne», oppure «raziocinanti» o «argomentativi», perchéin essi il filo conduttore è costituito dalla dimostra-zione razionalmente argomentata di una data tesi.Nell'organizzazione del tema «argomentativo» siaggiungono indubbiamente delle difficoltà. Occorretuttavia sgombrare il campo da un equivoco, che por-ta a considerare «difficile» e a rendere inviso questotipo di esercitazione scolastica.Quando narrate o descrivete, voi vi battete quasi adarmi pari con chiunque altro. Certo, un romanziere oun giornalista ha alle spalle tanto mestiere e chi ha ildoppio o il triplo della vostra età ha tanta esperienzadi vita in più. Ma anche voi possedete sensi vigili percogliere la realtà all'intorno, una memoria che regi-stra i fatti, la capacità di scrutare dentro voi stessi; e,se vi siete impegnati a fondo, se avete coltivato le vo-stre attitudini, se vi siete esercitati con determinazio-ne, il vostro tema a carattere descrittivo o narrativopuò raggiungere anche in termini assoluti un buon li-vello, e darvi quel senso di soddisfazione e appaga-mento che è ricompensa dello sforzo sostenuto e sti-molo a lavorare ancora con entusiasmo.Con il tema «argomentativo» le cose si prospettanoin modo diverso: partite svantaggiati, perché le vostreconoscenze sul soggetto da svolgere sono necessaria-mente limitate. E quello che vi sembra si pretenda davoi è volta per volta un saggio di politica, di econo-mia, di sociologia, di filosofia, di psicologia, di criticastorica, di critica letteraria...«Nucleare sì e nucleare no». A chi faremo svolgerequesto tema con la ragionevole aspettativa di leggereconclusioni e proposte, in un senso o nell'altro, rigo-rosamente argomentate? Come è ovvio, a uno scien-ziato, a un esperto del CNEN, a un ecologo, a un po-litologo, che hanno esaminato statistiche e progetti,hanno un panorama dello sfruttamento dell'energia

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nucleare su scala planetaria, hanno studiato in testi eriviste specializzate le possibilità delle fonti energeti-che alternative, ecc. E «II personaggio di Lucia»? Sene occupi il professore d'italiano, che ha letto e com-mentato più volte i Promessi sposi, conosce vari saggicritici sul Manzoni, è informato sul romanzo del Set-tecento e sul romanzo storico, ecc. E così faremo en-trare in scena via via e metteremo al lavoro l'econo-mista, il sociologo, lo storico, il critico d'arte...E invece argomenti che richiederebbero l'interventodi una molteplicità di specialisti vengono tutti propo-sti a voi. Non è assurdo? Lo sarebbe se quanto si pre-tende fosse una trattazione esauriente, impeccabilenell'informazione, con conclusioni del tutto originali.Ma non è così. L'argomento, il contenuto, è poco me-no di un pretesto. Si ammette a priori che la vostrainformazione è limitata. Allora, ciò che dovete, e po-tete, proporvi è, utilizzando quella documentazione equell'esperienza che vi trovate a possedere, un'esposi-zione condotta in buon italiano, chiara, ordinata, rav-vivata da immagini, specchio della vostra personalità.Contenuti e idee avranno il loro peso, ma ciò chescriverete sarà valutato preminentemente sulla basedelle capacità logiche dimostrate, nonché dello stile,che è quanto dire la mente e il cuore che trovano laparola giusta. Valgono dunque, anche per il tema «ra-ziocinante» o «argomentativo», i consigli dati nellepagine precedenti a proposito della descrizione e dellanarrazione e vale la preparazione che avrete raggiun-to esercitandovi a descrivere e a narrare: solo, conqualche raccomandazione in più.

CONSIGLI

• Riflettete più a lungo sulla formulazione del temaproposto, in modo che l'argomento risulti nettamenteindividuato e delimitato e si colgano tutti gli spuntiche il titolo offre.

• Evitate dì «andare fuori tema», senza che questo,peraltro, divenga un assillo. Ogni argomento è passi-bile di innumerevoli sviluppi e la vostra scelta può es-sere molto personale; quel che non si accetta è chevogliate barare, sostituendo con qualche camuffamen-to l'argomento proposto, e poco noto, con un altro.

• Fate precedere alla stesura della stessa «minuta»una raccolta, in sintetici appunti, di dati e materialisull'argomento, da ordinare e selezionare in un secon-do momento. (In altre parole, lo scrivere di getto, cheper temi descrittivi o narrativi in qualche caso puòessere addirittura consigliabile, qui difficilmente por-terebbe a risultati positivi).

• Stabilite con precisione fin dall'inizio, nel momen-to stesso in cui riflettete sul titolo e raccogliete i pri-mi appunti, la tesi che intendete dimostrare, l'ideache darà un centro a tutte le vostre considerazioni.

Poiché nella categoria dei temi «raziocinanti» faccia-mo rientrare gli argomenti più svariati, questi consi-gli hanno, inevitabilmente, un carattere molto genera-le. Potrete trarre qualche altra indicazione più speci-fica dalla sommaria esemplificazione che seguel.

TRACCE

Cominciamo da temi «di attualità», per vari aspettipiù prossimi a quelli di carattere descrittivo e narra-tivo.

• «Si discute molto sul problema della caccia: se la-sciarla libera, regolamentarla rigidamente, o abolirladel tutto. Hai una tua opinione?».Un'opinione, probabilmente, l'avete (ma potreste an-che essere perplessi): un modo per cominciare il temaconsiste nell'esporre subito la vostra posizione e di-mostrarne poi con una serie di argomentazioni la vali-dità. Considerate però che il titolo prospetta tre pos-sibili soluzioni, e che dovete perlomeno accennare an-che alle scelte diverse dalla vostra: quindi potrestefar precedere l'esposizione, condotta su un piano di o-biettività, delle diverse tesi e solo alla fine far emer-gere la vostra opinione. Se, tra parenti o amici, c'è unappassionato cacciatore o un fervente abolizionista,presentatelo, anche delineandone il carattere e ripor-tando certe sue energiche affermazioni (senza temeredi «andare fuori tema»: si parla della caccia in gene-rale, ma la caccia la praticano, o la avversano, degliuomini in carne ed ossa). Vi sembra, dopo tutto, dinon avere molto da dire e che il componimento vivenga su mingherlino ed esangue? (Questo spesso èun altro incubo, nel «fare il tema»). L'argomento pro-posto ammette vari sviluppi: volgete lo sguardo alpassato o ad altre civiltà, collegando la caccia quale èpraticata da noi oggi ad una problematica d'ordine so-cio-economico (in alcune società essa fu o è tuttora u-na fonte indispensabile di sostentamento); oppure in-quadrate il problema della caccia nel più ampio temadell'ecologia; ecc.

• «Quali ritenete siano i mezzi più efficaci a disposi-zione della collettività e dei singoli per combattere ilflagello della droga?».A differenza dell'esempio precedente, qui il nostro at-teggiamento può essere uno solo: le tossicodipendenzerappresentano una malattia sociale che va debellata(ma, anche se si tratta di un dato acquisito, voi potre-te aprire il tema esponendo con vigore questa vostraconvinzione). Il problema, dunque, verte sui mezzi d#impiegare, e ruota intorno a una serie di alternative:

1 Ma non aspettatevi (e francamente vorremmo aggiungere:non cercate altrove) «temi svolti» o tracce dettagliatissime:vi guidano, o meglio si sostituiscono a voi, nello svolgerequel dato, singolo tema, ma non vi giovano per affrontarealtri argomenti e per addestrarvi realmente a scrivere.

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prevenire o reprimere; assistere o rieducare; centraliz-zare o meno le iniziative; colpire il traffico degli stu-pefacenti all'origine o nelle sue diramazioni; e, nel ri-salire alle cause, cercarle prevalentemente nella so-cietà e nell'ambiente o nelle singole individualità;ecc. Nell'affrontare parecchi di questi argomenti av-vertirete l'inadeguatezza della vostra informazione espesso vi vedrete costretti a rimanere nel generico.Ma avete aperte alcune vie per suscitare l'interesse:riportate episodi significativi (tratti dalla cronaca odalla diretta conoscenza di casi personali); occupando-vi delle cause della diffusione della droga, un vostroapporto originale sarà una riflessione sulle crisi cheattraversano i giovani, così da trovarsi esposti all'in-sidia dei «paradisi artificiali»; infine il titolo stesso vioffre uno spunto per concludere il tema nel modo for-se più conveniente: se l'iniziativa della collettività,per debellare il fenomeno, è indispensabile, esistonopossibilità di intervento anche per i singoli. E allora:pensate di poter svolgere una vostra parte? Come in-tendete operare voi stessi?

• « Tra i problemi di politica interna (oppure: interna-zionale) che si dibattono in questi giorni ce n'è uno cheti ha vivamente interessato e su cui ti sei formato unconvincimento preciso».Anzitutto, senza troppe esitazioni, determinate il pro-blema. Esponetelo, perché risulti subito chiaro di checosa vi occuperete (l'argomento qui non è definito daltitolo come nei due esempi precedenti). Poi i motividel vostro interesse, che avranno le origini più diver-se (parlate dunque di voi, del vostro ambiente, dellevostre idee in generale). Infine, man mano che espone-te e spiegate il vostro «convincimento» — che in so-stanza sarà una proposta di soluzione del problema —,riferitevi anche alle vostre fonti d'informazione:giornali, riviste, notiziari, incontri, conversazioni.Questa diventerà la parte più vivace del componimen-to, se saprete esporre tesi opposte, sostenute da perso-naggi pubblici o privati, che tratteggerete rapidamen-te. Una postilla: il titolo del tema da per scontato unvostro interesse per problemi politici; e se le cosestanno altrimenti? Una polemica non pretestuosa conla formulazione del tema è del tutto lecita: se la poli-tica sostanzialmente non vi attrae, orientate tutto losvolgimento del tema e la sua conclusione in questadirezione (ma senza omettere un dato problema, cuidovete fare riferimento) e descrivete sinceramente u-na vostra condizione di «indifferenza» (relativa etransitoria, è auspicabile).

I due esempi che seguono hanno pur sempre attinenzacon Fattualità, ma lo svolgimento del tema è anco-rato a un testo determinato, e richiede un maggiorsforzo di approfondimento.

• «"La libertà al singolare esiste soltanto nelle libertàal plurale" (Benedetto Croce). "Essere partigiani dellalibertà in astratto non conta nulla, è semplicemente u-na posizione da uomo di tavolino che studia i fatti del

passato, ma non da uomo attuale partecipe delle lottedel suo tempo" (Antonio Granisci). Prendete spunto dauna di queste frasi (o da entrambe) per definire l'imma-gine che vi siete fatta di uno dei valori supremi dellavita associata: la libertà».Riflettete sul titolo: come spesso quando il tema pro-posto consiste nella massima di uno scrittore, non visi chiede di commentarla puntualmente, né tanto me-no di inquadrarla nel pensiero di quello scrittore. Lamassima offre semplicemente uno spunto, serve a deli-mitare e orientare le vostre considerazioni personalisu un dato argomento. Che, nel nostro caso, è il temaimmenso della libertà, in particolare in quanto libertàcivile e politica concepita non astrattamente, ma nel-le sue realizzazioni concrete. Parlate della vostra e-sperienza (toccando anche il tema della libertà perso-nale, della libertà morale); attingete ad esempi storici;soprattutto rivolgete l'attenzione ai vari settori dellavita associata in cui la libertà è condizione essenzialeper la crescita di ogni individuo e per il progressodell'intera comunità.

• «Commentate questi due capoversi degli articoli 21e 33 della nostra Costituzione: " Tutti hanno diritto dimanifestare liberamente il proprio pensiero con la paro-la, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione"; "L'artee la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento"».L'argomento è affine a quello dell'esempio precedente,ma differisce l'impostazione: qui dovete procedere aun «commento» e inoltre non si tratta della massimadi uno scrittore di cui siete autorizzati a sapere pocoo nulla, ma di princìpi enunciati dalla Costituzionedella Repubblica, della quale conoscete l'origine, ifini, l'importanza come base di tutti i nostri ordina-menti democratici. Aprite dunque il tema con conside-razioni sulla Costituzione in generale, alle quali colle-gherete poi l'esame dei testi proposti, che vanno ana-lizzati, spiegati, interpretati (ogni parola, in essi, hail suo peso). Ma, impostato semplicemente così, il vo-stro lavoro risulterebbe arido e monotono; dategli vi-ta sviluppando più ampiamente uno o due argomentiche suscitano in particolare il vostro interesse (un e-sempio: la libertà di espressione attraverso il mezzotelevisivo), stabilendo confronti con altre epoche o al-tre società in cui la libertà di espressione era (o è)conculcata, soffermandovi su casi concreti in cui visembra che il dettato costituzionale non trovi ancoraadeguata applicazione, ecc.

Dall'attualità alla storia (ma non esiste un vero stac-co, perché la storia ha un significato nella misura incui la riviviamo noi, uomini del presente).

• « Un personaggio (oppure: Un episodio) della storiagreca (oppure: romana, medioevale, ecc.) che ti ha par-ticolarmente colpito e che ti consente di stabilire inte-ressanti paralleli con l'attualità». (Naturalmente le va-rianti «greca», «romana», ecc. sono in relazione al pe-riodo storico studiato nel momento in cui il tema vie-ne assegnato).

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Prima di tutto, rapidamente, la scelta del personaggioo dell'episodio e, insieme, la ferma decisione di nonripetere, riassumere o diluire due o tre pagine del ma-nuale di storia. Probabilmente questo manuale, intor-no all'argomento prescelto, vi ha offerto anche letturee documenti, che ora vanno utilizzati; poi ci sarà sta-ta una spiegazione e una discussione in classe; infine(il caso più fortunato) avete condotto sull'argomentouna vostra ricerca, leggendo o consultando altri libri.Raccogliete tutto ciò che la memoria ha ritenuto inbrevi appunti, ordinati cronologicamente (nella «buo-na» le date potranno anche mancare del tutto, ma voidovete partire con idee chiare); non sfrutterete neces-sariamente tutti i dati raccolti: vi forniranno la baseper la selezione che opererete e, alla fine, per un con-trollo.Passate alla stesura. Nell'ipotesi che il personaggiosia Giulio Cesare, non cominciate informando il letto-re che «egli nacque da un'antica famiglia patrizia nel100 a. C.», perché non state redigendo la voce diun'enciclopedia; l'apertura più appropriata è un qua-dro sintetico e vivace dell'epoca in cui il personaggiovisse o in cui si colloca l'episodio. Diventerà natura-le, in questo modo, la transizione alla parte narrativa.Naturalmente voi soprattutto dovete fornire dellespiegazioni, dare un'interpretazione di eventi e feno-meni, parlare di cause e di conseguenze: tuttavia nonomettete e non riducete troppo il racconto, perché lastoria è anche racconto.La seconda parte del titolo («... ti consente di stabilireinteressanti paralleli con l'attualità») rappresenta unacomplicazione, rende il tema «più difficile»? Al con-trario; e, anche se quella precisazione mancasse, do-vreste procedere come se ci fosse. Voi avete sceltoquel personaggio o quell'episodio perché vi interessa-va e questo interesse è sorto da una connessione cheavete stabilito, forse inconsciamente, con un problemadel presente. Non avete che da rendere esplicito que-sto processo associativo, senza forzature, stabilendodelle analogie, non delle uguaglianze, ben sapendoche la storia non si ripete mai identica.

I temi letterari presentano una grande varietà e mol-ti di essi presuppongono almeno l'inizio dello studiodella storia della letteratura e un avvio alla criticaletteraria e all'analisi testuale, che rimangono al difuori degli obiettivi perseguiti da questo libro e dalprogramma di studi degli studenti cui esso è destina-to. Perciò ci soffermeremo soltanto su alcuni dei tipidi componimento che si possono considerare di argo-mento letterario.

• II tema letterario più semplice, e tale da lasciare achi scrive una maggiore libertà, consiste nella relazio-ne, a scelta dello studente, di un racconto, un roman-zo, un saggio (il titolo potrà poi restringere la sceltaa determinate categorie di opere: libri di viaggi, saggistorici, biografie, ecc.). L'obiettivo che dovete porvinon e un saggio critico (fra l'altro, se per es. parlate

del romanzo di un dato autore, dovreste conosceretutta la sua produzione); il vostro tema si avvicineràpiuttosto alla recensione informativa. Quindi, pensan-do di rivolgervi a un pubblico che non conosce queldato libro, esponetene la trama nelle sue linee essen-ziali, presentate i personaggi principali, cercate di pe-netrare le strutture narrative, azzardate un giudiziosullo stile. Ma non è tutto, anzi manca l'essenziale:ciò che dovrà risaltare è il vostro incontro con quel-l'autore, quella vicenda, quell'esperienza. Quindi par-late dei motivi che vi hanno portato a prendere inmano il libro e poi a continuarne la lettura (ancheconsiderazioni di carattere generale: perché, per esem-pio, vi interessano in modo particolare le biografie, oi libri di viaggi, ecc.), delle reazioni d'ordine più di-verso che la lettura ha provocato in voi, di dibattititra voi ed amici su quell'opera, di diverse opinionisentite su di essa, e così via.(Analoghi sono i problemi che si pongono nelle rela-zioni su un film, uno sceneggiato, una mostra di qua-dri, un'opera teatrale, un'audizione musicale).

• Diversa è l'impostazione da dare allo svolgimentodi un tema che verta su un'opera letta, spiegata, com-mentata — per intero o in gran parte — a scuola. Na-turalmente il titolo non sarà «Parlate dei Promessisposi», «Esponete la trama dei Malavoglia del Verga»,ma vi verrà proposto il profilo di un personaggio, l'a-nalisi di un capitolo o di un episodio, il confronto fradue o più personaggi o episodi, le impressioni sulleparti descrittive, ecc. La vostra libertà di scelta vienedunque ristretta, ma fino a un certo punto. Ancora u-na volta interverrà, in modo risolutivo, un vostro sti-le personale nel ripresentare personaggi e avvenimen-ti, attraverso parole vostre e una tecnica che metta inluce la partecipazione con cui avete letto e approfon-dito un testo. Questo stile e questa tecnica li avreteelaborati lentamente (nel caso, per es., del profilo dipersonaggi letterari, esercitandovi nei «ritratti» fisicie morali di persone che conoscete). E pensate che èsempre la vostra personalità (idee, sentimenti, passio-ni) a improntare anche ciò che scrivete a propositodelle creazioni artistiche di altri.

• Quando, infine, il titolo di un tema riporta un te-sto poetico (o fa riferimento ad esso, dandolo per co-nosciuto), vi trovate di fronte a due ipotesi di svolgi-mento distinte (la formulazione del titolo potrà ancheindicarvi una via obbligata, oppure lasciarvi la scel-ta). Un testo poetico, soprattutto se breve, può rap-presentare semplicemente un pretesto perché, sullabase di uno o due spunti, si sbrigli la vostra fantasiae il componimento divenga in sostanza un tema di in-trospezione. Oppure quel che si richiede è l'analisi deivalori d'arte presenti nel testo, e qui il discorso do-vrebbe necessariamente ancorarsi a questo o a queltesto, a questo o a quel poeta. Qui, più che mai, il vo-stro tirocinio, soprattutto nella fase iniziale, devesvolgersi sotto la guida del docente, nel vivo dell'atti-vità scolastica.

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Esercizi

Indice analitico

abbondanza e privazione (compi),235

accadimento (verbi di —), 179accento tonico, 47-48; — ritmico, 387accessori (elementi — della propos.),

230, 234-237accessorie (propos. relative —), 311accezione, 334accrescitivi, 343-344acuto, accento, 35, 48affermativi, enunciati, 230affricate (conson.), 29agente (compi), 247-248; nomi di —,

340aggettive, propos. (= relative), 310-

312aggettivo, 64, 65, 98-103, 234-235; -

in funzione avverbiale, 213agglutinanti, lingue, 2alberi (nomi di —), 77alfabetica, scrittura, 11alfabeto, 11-12, 26alfabeto fonetico, 32allegoria, 369allitterazione, 369allocutivi di cortesia (pron.), 117allontanamento (compi), 264allòtropi -» variantialterati, nomi, 343-344«ambiguità» del segno linguistico,

327amministrativo, linguaggio, 378-379anacoluto, 369anàfora, 369anaforici (agg. e pron.), 123analisi (~ sintesi), 2, 108analisi grammaticale (o morfologica),

68-69

analisi logica: della propos., 238-239;del periodo, 285

analogia, processo analogico, 367-369anàstrofe, 369anche, 215andare, in funz. di ausiliare, 173; -

+ gerundio o participio, 209andare a capo (come —), 46anglicismi ->• ingleseanimali, linguaggi, 13anteriori, vocali, 27anteriorità (nei tempi verb.), 283-284;

(nelle prop. temp.), 299antiquate, parole, 332, 334, 395antìtesi, 369antonomàsia, 369apax, 369aperte (vocali è, o), 35, 39; — (silla-

be), 46apertura (grado di — delle vocali),

27apice della sillaba, 47apòdosi, 305apostrofe, 369apostrofo, 52appartenenza (specificazione di —),

250appellativi, nomi (= comuni), 72appositiva (libera funzione —), 236apposizione, 235-236, 252approssimato (compi di tempo —),

266arabo, arabismi, 356«arbitrarietà» del segno linguistico,

323-324arcaismi -> antiquate, paroleargomentazione, 414-415argomento (compi), 252articolate, preposizioni, 69, 96, 220articolato, linguaggio, 13articolazione -> modo, luogo dell'-

articolo, 64, 65, 89-96artificiali, linguaggi, 13ascendenti, dittonghi, 45Ascoli, G.I, 18asindeto, 223aspetto verbale, 142, 199assertiva, intonazione, 61assertive, particelle, 216assertivi, enunciati, 230assoluto: uso — dei verbi transitivi,

243; valore — dei tempi verbali,142

assonanza, 369astratti, sostantivi, 72, 323, 340àtone (vocali, sillabe, parole), 47, 51àtoni (pron. pers.), Ili, 113-115attivo (diàtesi attiva), 143, 157-165attributo, 98, 100, 121, 234-235, 250ausiliari, verbi, 141', 147-155, 175, 179avere, 147-152; -» anche ausiliariavverbio, 64, 65, 212-217; 221 (~ pre-

posizione); 235 (in funz. di attribu-to); 237 (come compi)

avversativa, coordinazione, 280avversative, congiunzioni, 222; -

propos. subord., 307azione (nomi di —), 340«azione» (in retorica), 366

B

ballata, 391base (nella formaz. delle parole), 339bello (flessione), 100bilinguismo, 4, 23bisdrucciole, parole, 47bizantino (greco), 355buono (flessione), 100burocratico, linguaggio, 378

671

-co, -eia (sostantivi in —), 81calco linguistico, 357campo semantico, 338-339canzone, 392canzonetta, 392cardinali, numerali, 134-137cardinali, vocali, 27, 28•care, -gare (verbi in —), 162caso (categoria morfol. del —), 111catena parlata, 17, 25causa (compi.), 258causa efficiente (compi), 247causali (propos.), 296-297causativi, verbi, 209, 289, 291, 340cesura, 389che (congiunz.), 223; (pron.), 127-129chi (pron.), 127-130chiasme, 369chiuse (vocali è, o), 35, 39; —- (silla-

be), 46Chomsky, N., 16ci (partic.), 115-117, 118-eia, -già (sostantivi in —), 81cifre -> numeralicioè, 217circonflesso, accento, 48circonlocuzione, 369circostanziali, complementi, 244circostanziali, propos., 282-283, 296-

308citazione (figura rei), 369classi di sostantivi, 80; di agg., 98classificazioni grammaticali, 64-65; —

delle lingue, 2-4climax, 369-co (sost. in —), 82; agg., 99codesto (uso di —), 123, 125codice (lingua come —), 12, 380codificazione, 12cognomi, 90, 95collettivi, nomi, 84, 137, 340collocazione: degli agg. qualificativi,

103; dei pron. personali, 112-114;degli agg. possessivi, dimostrativi,ecc., 121, 123, 124, 131; dei nume-rali, 134, 135; — come segnale sin-tattico, 242

colloquiale, registro, 375colori (agg. indicanti —), 100colpa (compi.), 271come, 216, 303

commedia, 374commerciale, linguaggio, 377-378compagnia (compi), 256comparative, propos., 303-304comparativo: dell'aggettivo, 105-106;

dell'avverbio, 217comparativo-ipotetiche, propos., 307comparativo, metodo, 14-15comparazione (= similitudine), 367«competenza» linguistica, 365complemento, 72, 114, 230, 237 (per i

vari complementi -> alle singolevoci)

completive, propos., 282-283, 287-293composizione, parole composte: in ge-

nerale, 325, 340, 346-347; aggettivi,100, 346; sostantivi, 85-86, 346-349;verbi, 183, 346

composte (forme verbali), 141, 154,157

comune (sost. di genere comune), 77comuni (sost. ~ propri), 59, 72comunicazione linguistica, 1, 12-13,

380-381comunicazione, teoria della —, 12-13comunità linguistica, 2, 9comunque, 215conativa, funzione, 380concessive, propos., 304-305concessivo (compi), 271concessivo-ipotetiche, propos., 307conclusiva, coordinazione, 280conclusive, congiunzioni, 222concordanza dei tempi, 283concordanza grammaticale: aggetti-

vo-sostantivo, 100-101; dell'apposi-zione, 236; del participio nelle for-me verbali, 154; soggetto-predica-to, 232

concreti, sostantivi, 72, 323condizionale (modo verbale), 142, 203,

284condizionali, propos., 305-307; — di-

sgiuntive, propos., 307; — limitati-ve, propos., 307

congiuntivo (modo verbale), 142, 201-202

congiunzione, 64, 65, 222-223coniugazione, coniugazioni, 67-68,

140, 144; -» attivo, passivo«connettivi», 66connotazione, 329-330consecutive, propos., 298consonanti, 29-30, 34, 36-38

consonantici (gruppi), 43-44contemporaneità (dell'azione), 283-

984 9<WiUT:, LitJìJ

contesto (nella comunicazione ling.),12-13

continuato (compi, di tempo —), 266continue (conson.), 29contrari, 332-333convenzionalità del segno linguisti-

co, 323convenzioni grafiche, 26coordinanti, congiunzioni, 222-223coordinazione, 278-280coppie minime (in fono!.), 34, 77copula (nel predic. nomin.), 231, 240copulativa, coordinazione, 280copulative, congiunzioni, 222copulativi, verbi, 236correlazione, 223corsivo (uso del —), 61costrutto, 244cui, 129

D

-d eufonica, 54date (indicazione delle —), 138«dativo etico», 249declinazione, -i, 67-68, 80decodificazione, 12denominazione (compi), 251-252denotazione, 329-330dentali (conson.), 30, 36derivati, verbi, 183derivazione delle parole, 325, 336-338descrittivi, aggettivi, 103descrizione, 400-407desinenza, 67-68, 74, 80, 157determinativi, aggettivi, 98, 103; ->

sotto le singole voci (possessivi,ecc.); avverbi, 215-217; — di identi-tà (agg. e pron.), 124

determinativo, articolo, 89-92determinato (compi di tempo —), 266deverbali, sostantivi, 341diacronia, 14-15, 22, 332dialefe, 387dialetto, dialetti, dialettismi, 18-21,

23, 28-29, 31, 39-40, 44-45, 62, 91-92,195, 200, 246; -» anche regionali-smi

672

dialogo, 413-414diario, 406-407diàtesi verbali, 143dichiarativa, coordinazione, 280dichiarative, congiunzioni, 222; —,

proposizioni, 290-291didascalico, genere, 374dièresi (in metrica), 386difettivi (nomi -- del sing. o del

plur.), 84-85; —, verbi, 196digrammi, 37, 39diminutivi, 343-344•dimostrativi, aggettivi e pronomi,

122-124dipendenti, proposizioni, 280-284diretti, complementi, 237, 267; -» an-

che oggetto (compi.)discendenti, dittonghi, 45discorso, 18discorso indiretto, 312-313disgiuntiva, coordinazione, 280disgiuntive, congiunzioni, 222; —,

propos. interrogative, 292, 293«disposizione» (in retorica), 366distanza (compi.), 268distintivo: valore — dei fonemi, 34;

dell'accento, 47; della conson. dop-pia, 44

distributivo (compi), 268; —, valore,138

dittonghi, 45-46dittongo mobile, 163, 183divieto: espressione del —, 203; verbi

di -, 289divisione in sillabe, 46; in poesia,

385-387doppie (conson.), 44-45doppie, propos. interr. -> disgiuntivedoppioni, 354«dotte», parole, 73, 353-355dovunque, 215, 301drammatica, poesia, 374dubbio, avverbi di —, 217due punti, 60durativa, azione, 209

E

eccettuative, propos., 308ecco, 217elementi formativi autonomi, 66

elemento nominale del predicatonom, 231-232

elisione, 51-52, 91; — in poesia, 386-387

ellittici, enunciati (o frasi ellittiche),203, 240

«elocuzione» (in retorica), 366emittente (nella comun. ling.), 12,

380enclitiche, 51, 69endecasillabo, 389endìadi, 370ènfasi, 370enjambement, 370enumerazione, 370enunciato, 2, 18, 66, 230epèntesi, 387epica, poesia, 373-374eredità biologica e culturale, 9ereditate, parole, 73, 352-353eroico, poema, 373esclamative (frasi), esclamazioni, 128,

207, 230, 272esclusione (compi.), 270esclusive, propos., 308«esecuzione» linguistica, 365esotismi, 356esplicita, subordinazione, 279, 281-

282, 313-315espressiva, funzione, 380essere, 147-152, 231-232estensione (compi.), 267-268estensione del significato, 333-334esterno, oggetto, 246età (espressione dell'—), 137, 267etimologia, 359-360etnici, nomi, 58, 340eufemismo, 330eufonia, forme eufoniche, 54extralinguistica, realtà, 321-323

«falsi amici», 361famiglie di parole, 336-338famiglie linguistiche, 4familiare, registro, 375fatica, funzione, 380-381femminile (gen. gramm.), 73-77figurati (compi, di luogo —), 264figurato, valore (~ proprio), 73, 334

figure retoriche, 366-371finali, propos., 297-298fine (compi.), 258finiti (modi verbali), 142-143, 198-203flessione, 67-68flessive, lingue, 2, 18fonatòri, organi, 26fonemi, 17, 26, 34, 40; combinazioni

di —, 43-46fonetica, 17, 25-32fonologia, 17, 25, 34-40fonologico, sistema ->• sistema fono-

logicoforestierismi —> straniere, parole; ->

prestitiforma, 2, 17, 65, 66formativi, elementi, 66formazione delle parole: in generale,

67-68, 339-350; da numerali, 137;degli avverbi, 213-215

francese, prestiti dal francese, 2, 20,21, 84, 356, 358; confronti con Fi-tal, 28, 45, 75, 78, 95-96, 108, 245,260, 264, 306, 361

frase, 18fraseologici, verbi, 155, 288frazioni, 138frutti (nomi di —), 77funzionali, parole, 66funzione sintattica, 17, 65, 98, 111,

113-114, 128, 229-230, 239, 275-277,285

funzioni del linguaggio, 380-381futuro: semplice, 200-201; anteriore,

202

G

-ga, -già (sostantivi in —), 81geminate (conson.) -> doppiegenealogica (classificazione — delle

lingue), 3generativa, linguistica, 16, 365genere grammaticale: dei sostantivi,

72-79; degli aggettivi, 98-99genere naturale, 73-74generi letterari, 373-375geografici (nomi propri —), 78, 94gerghi, 376-377germanico (elemento — nel lessico),

germanismi, 355-356, 358; -» an-che straniere, lingue; tedesco

673

geroglifici, 11gerundio, 142, 208-209, 317-318gioco di parole, 370giornalistico, linguaggio, 379giovanile, gergo, 376-377giudicative, propos., 308giudicativo (compi.), 271«giudizio» (verbi di —), 179giustapposizione (di frasi), 279-gnare (verbi in —), 163-go (sost. in —), 82; agg., 99gradi di comparazione: dell'agg., 105-

109; dell'aw., 217grado di dipendenaa delle propos. su-

bord., 280-281, 285grafema, 26, 31grafico, accento, 47-48grammatica, 15-17grammaticale, analisi, 68-69grande (flessione), 52, 100grave, accento, 35, 48greco, grecismi, parole scientifiche

dal greco, 75, 84, 346-348, 355; -bizantino, 355

gruppi: consonantici, 43-44; vocalici,45-46

gutturali (conson.), 30; -» velari

H, I, J, K

h, lettera, 39i- eufonica (protetica), 54•lare (verbi in —), 162iato (vocali in —), 45-46ideografica, scrittura, 10-11-ie (sostantivi in —), 83imperativi monosillabici, 52imperativo (modo verbale), 142, 162,

203imperfetto, 199impersonali, verbi, 178-180implicita, subordinazione, 279, 281-

282, 296, 315-318incidentali, propos., 284-285indefiniti, agg. e pron., 130-132indeterminativo, articolo, 89-92indicativo (modo verbale), 142, 198-

201«indicatori strutturali», 66indipendente, propos., 280-281indiretti, complementi, 237

indiretto libero, stile, 313indoeuropee, lingue, 2, 14, 16, 360infantili, voci, 325infinitivi, costrutti (soggett. e og-

gett.), 287-290, 315-316; -, modiverbali, 142-143, 206-208

infinito (modo verbale), 142, 198, 206-207, 287-290; = imperativo, 203

informazione (perdita di — nella co-mun. ling.), 13

inglese, prestiti dall'inglese, 2, 84,358-359; confronti con l'ita!., 28-29,30, 45, 75, 78, 91, 95-96, 101, 108-109, 113, 200, 246, 260, 263, 306,361

ingressivo, aspetto, 209interdizione linguistica, 330interiezione, 64, 65, 223-224, 240, 272interno, oggetto, 246interpunzione (segni di —), 59-61interrogativa, intonazione, 61interrogative, propos.: dirette, 291-

9Q9' inHirpttp 9Q9 9Q34Ì74, 111U11 CLIC, 4Ì74-4Ì7O

interrogativi, agg. e pron., 127-128;—, avverbi, 216

interrogativo, enunciato, 230interrogazione retorica, 292, 370intonazione, 61-62intransitivi, verbi, 143, 152, 243-246,

248introspezione, 399invariabili, parti del discorso, 65-66;

—, aggettivi, 100; —, sostantivi,83

«invenzione» (in retorica), 366«inversa», costruzione, 247-io (sost. in —), 82; agg., 99ipàllage, 370ipèrbato, 370ipèrbole, 370ipotassi, 279; -» subordinazioneipotetico, periodo -> periodo ipote-

ticoipotipòsi, 370ironia, 370irrealtà (periodo ipotetico dell' —),

305irregolari, verbi, 144, 182-195isolanti, lingue, 2istituto (lingua come —), 8-9iterativa, azione, 198iussivi, enunciati, 230;', lettera, 39k, lettera, 39

labiali (conson.), 29, 36, 44labializzate (vocali), 28ladino, 21latino, latinismi, 2, 3, 75, 78, 84, 108,

200, 245, 361; dal latino all'ital,14, 19, 91, 195, 337, 349, 352-354,357, 359-360

lemma, 320lessema, 320lessicalizzazione, 344lessico, 18, 319, 336-362; — poetico,

394-396; - - (arricchimento), 401,402, 404-405, 411-412

letteraria, lingua, 24, 375lettere dell'alfabeto, 11, 26, 34, 38-39lettura, 399«licenze» poetiche, 387limitative, propos. relative, 311limitazione (compi.), 254lineette, 60lingua: definizioni, 5-10, 12-13; lin-

guaggio e lingue, 1-2, 4; lingue edialetti, 23; lingue nazionali, 22-23

linguaggi animali, 13linguaggi speciali, 375-380linguaggio -> lingualinguistica (storia della — ), 16; — e

grammatica, 15-17liquida palatale (conson.), 38liquide (conson.), 29, 37lirica, 373litote, 370livelli (dello studio della lingua) -»

pianilo (come pron.), 115locali, propos., 301locuzioni, 52, 103, 121, 259; — avver-

biali, 213, 215; — congiuntive, 322;— impersonali; 179; — preposizio-nali, 219, 221

luogo (compi., fondam. e specif.), 262-265; — (avverbi di), 215

luogo dell'articolazione, 29-30, 36

M

«macedonia» (parole —), 378mai, 216maiuscole, 58-59

674

malavita (gergo della —), 376maniera (compi), 257maschile (gen. gramm.), 72, 73-77materia (compi.), 252-253materna, lingua, 17meccanismo (lingua come —), 5-6medesimo (uso di —), 124mediterraneo, sostrato, 360«memoria» (in retorica), 366metàfora, 333-334, 367-368metalinguistica, funzione, 380-381«meteorologici», verbi, 179metonimia, 333-334, 368-369metri, 391-394metrina, 384-394mezzo o strumento (compi), 257-258minoranze linguistiche, 21minuscole, 58-59misura (compi), 268mobili, sostantivi, 76modale, propos., 303modali, verbi —> servili, verbimodi verbali, 142-143, 198-203; — nel-

le propos. dichiar., 290; nelle pro-pos. dipendenti, 283-284; nelle pro-pos. interr., 292; nelle propos. re-lat, 311

modo (compi), 257; — (avverbi di),215

modo dell'articolazione, 29, 36moltiplicativi, aggettivi, 137monosillabi, 46, 48 (accento), 54-56,

74morfologia (definiz.), 17-18, 64morfo-sintassi, 18motivazione del segno linguistico,

324-325, 340-341

N

narrativi, piani, 408narrazione, 407-412nasale palatale (conson.), 38nasali (conson.), 29, 37; — (vocali),

28naturali, lingue, 13ne (partic.), 116«necessità» (verbi di —), 179negativa, -o (frase, enunciato), 132,

230negativi (agg. e pron. indef.), 132negazione (avverbi di —), 216

neolatine, lingue, 2-3,14, 21, 101, 200,353, 361

neologismi, 73, 357-358nessi di pronomi e di particelle, 116-

117neutro (genere, in latino ecc.), 75«neutro» (pron. con valore —), 115,

123, 124, 129no, 216noi di maestà e di modestia, 117noi si, 180nome -» sostantivo; = sost. e agg.,

64nomenclature, 339

nomi verbali -» nominali (forme delverbo)

nominale, predicato, 231-232nominale, sintagma, 229nominale pura (frase —), 240nominali (forme — del verbo), 142,

206non, 216norma, normatività linguistica, 16novella, 374novenario, 388numerali, 134-139numero (categ. gramm.): degli agg.,

98-99; dei sost., 72, 80-86

O

occlusive (conson.), 29, 36ode, 392oggettiva, specificazione, 250oggettive, propos.: dichiarative, 290-

291; ìnfinitive, 287-289; alla latina,290

oggetti (descrizione di —), 400-401oggetto (compi), 242-247olofrastica, parola, 240omòfoni, 39, 328omògrafi, 39, 47, 328omònimi, omonimìa, 39, 73, 327-328,

334onomastica, formula, 95onomatopee, 224, 324-325ordinali, numerali, 134-137ordine delle parole nella frase -»

collocazioneore (indicazione delle —), 138organismo (lingua come —), 5origine (compi), 264

ortografia, 26, 53osservazione, 398-399ossìmoro, 370ottava, 394ottonario, 388

paesaggio (descrizione di un —), 405-406

palatali (conson.), 30, 36-38; — (voca-li), 27

paradosso, 370parallelismo, 370paratassi -» coordinazioneparatattica, propoS. dichiarativa, 291parentesi, 61parentetica, propos., 285parlata, lingua, 23-24, 375parola, 17, 25, 43, 320; — funzionale,

66parole -» alle singole voci (antiqua-

te, «dotte», «piene», «primitive»,straniere, ecc.)

«parole» (~ langue), 365parònimi, 328paronomàsia, 370parti del discorso, 64-66particelle pronominali, 115-117participi, 142, 162, 207-208, 317; ag-

gettivati e sostantivati, 102, 207;congiunti e assoluti, 208, 317-318;concordanza dei —, 154

partitivo, articolo, 89, 93, 251partitivo (compi), 251passati remoti «forti», 182passato prossimo e remoto, 199, 283«passivante», si, 176passivo (diàtesi passiva), 143, 161-171peggiorativi, 343-344pena (compi), 271percezione (verbi di —), 289, 291perché, 216, 297perìfrasi, 371perifrastici (costrutti verbali —), 209periodo, 17, 227, 278-279periodo ipotetico, 305-306persona (descrizione di una —), 402-

404personali, pronomi, 111-114, 240persone verbali, 141-142personificazione, 371

675

piane, parole, 47piani narrativi, 408piani o livelli nello studio della lin-

gua, 17piani, versi, 385-386«piene», parole, 65-66, 320pittogrammi, 10pleonasmo, 223, 371pleonastici, pronomi, 118plurale (formazione del —), 80-86plurali anomali, 81, 83, 84; sostantivi

con due —, 84poesia, poetica (lingua), 24, 373-374,

381, 384polisemìa, 327, 333-334polisindeto, 223politica (linguaggio della —), «politi-

chese», 379-380possessivi, agg. e pron., 120-122possibilità (periodo ipotet. della —),

305posteriori (vocali), 27posteriorità (dell'azione), 299precettività (della gramm.), 16-17predicativo, 230, 236-237; — dell'og-

getto, 246predicato, 98, 100, 121, 230-232prefissi, 53, 68, 344-345prefissoidi, 349-350preposizionali, complem. e sintagmi,

99Q 937ùùO) LO I

preposizioni, 64, 65, 219-221; — arti-colate, 69, 96, 220; — improprie,220-221; - proprie, 219-220; funzio-ni delle -, 272-277

presente indicativo, 198-199; — stori-co, 198

prestiti lessicali, 73, 357-358preterizione, 371prezzo (compi.), 268«primitive», parole, 339principale, propos., 280-281, 285privazione (compi), 253processo (espress. del — nel verbo),

67, 140proclitiche, 51produttività dei suffissi, 340progressivo (aspetto verb.), 209promiscuo (sostantivi di genere —),

77pronome, 64, 65, 110-111; -* sotto le

singole categorie (personali, ecc.)pronominali, particelle, 115-117pronuncia, 51

proposizione, 17, 227-232propri, nomi (~ appellativi, comu-

ni), 58, 72-73; nomi — geografici,78, 94; uso dell'articolo con i nomi-, 93-95

proprio (valore — di una parola ~traslato), 73, 334

proprio (uso di —), 121, 125prosa, 373-375prosodia, 385prosopopea, 371pròtasi, 305provenienza (compi), 264provenzale (elem. — nel lessico), 356pubblicitario, linguaggio, 378punteggiatura, 59-61puntini di sospensione, 61punto: esclamativo, 58, 60; fermo, 58,

59; interrogativo, 58, 60, 61; — evirgola, 60

Q

q (uso della lettera), 37-38, 39quadrisillabo (verso), 388qualificativi, agg., 98, 103; —, avver-

bi, 212-213qualità (compi), 253quantità (avverbi di —), 215; -

(compi), 267-268; — delle vocali,29

«quasi-oggetti» (compi), 244quello (flessione), 100quinario, 388

R

racconto, 374raddoppiamento (o rafforzamento)

sintattico, 53-54radice (nella parola), 2, 68, 339razza e lingua, 4realtà (per. ipotetico della —), 305realtà extralinguistica, 321-323reciprocità, 176referente, 13, 18, 322-324referenziale, funzione, 380reggente, propos., 281regionalismi (nella pronuncia, morfo-

sintattici, lessicali), 39, 53-54, 62,91, 202, 245-246, 332

registri espressivi, 330-331, 375regolari, verbi, 144relative, propos., 282-283, 310-312; -

circostanziali, 311-312; — proprie,311

relativi, pronomi, 128-130, 310relativo (valore — dei tempi verbali),

142, 199, 200, 201, 207, 283-284relazione (compi, diretto di —), 247restrittivo (agg. con valore —), 103reticenza, 371retorica, 366-371, 373retoriche (propos. interr.), 292, 293ricevente (nella comun. ling.), 12, 380ridondanza, 12-13riflessivi, pronomi, 115-116riflessivi, verbi, 143, 175-178 (diretti,

175; indiretti, 175; pronominali,175-176)

rima, 390ripetizione (figura rei), 371ritmo (in poesia), 384-385ritratto fisico e morale -> persona

(descrizione)romane, cifre, 135, 138romanze, lingue -» neolatine, lingueromanzo (gen. leti), 374-375

s sorda e sonora, 38, 40; «impura»,43, 54; «schiacciata» (palatale), 38

santo (flessione), 100sarcasmo, 371sardo, 21, 39, 92, 195satura, frase, 238Saussure, F. de, 16, 365scelta stilistica, 18, 365scientifiche, parole, 346-349, 355, 377scientifico, linguaggio, 377sciolti, endecasillabi, 394scritta, lingua, 23scrittura, 10-12, 13, 25-26sdrucciole, parole, 47sdruccioli, versi, 385-386se ipotetico interrogativo, 306secoli (indicazione dei —), 137segmento, segmentazione, 17, 67segnale, 13segno, 7, 13, 323-324; -> anche siste-

ma di segnisemantica, 18, 72-73, 319-362

676

semantico, campo, 338-339semiconsonanti, 35-36semiocclusive (conson.), 29, 36semiologia, 13semivocali, 35; -» semiconsonantisemplici, forme verbali, 141senario, 388servili, verbi, 155, 178, 209, 288settenario, 388settoriali, linguaggi -> linguaggi

specialisi (part. pron.), 115, 176, 180, 240sì, 216sibilante palatale (conson.), 38sibilanti (conson.), 29, 37sigle, 43, 78significante, 322-324significato, 18, 65, 319-324, 336sillaba, 46-47; — nella versificazione,

385-387sillabica, scrittura, 11simbolico, linguaggio, 13simbolo, 7similitudine, 367sinalefe, 386sincope, 183, 387sincronia, 14-15sinèddoche, 368sinèresi, 386sinestesìa, 371singolare (numero), 80sinonimi, sinonimìa, 73, 327, 329-332,

376, 401, 402, 404-405, 411-412sintagma, 17, 229-230sintassi, 17-18, 72, 227-230; - della

proposizione, 227-277; — del perio-do, 278-318

sintesi ( ~ analisi), lingue sintetiche,2, 108

sistema di segni (la lingua come —),10, 13, 25

sistema fonologico, 34, 36, 43sociativo (compi.), 256società e linguaggio, 22-24, 330-331,

375soggetti parlanti, 5soggettiva, specificazione, 250soggettive, propos.: dichiarative, 290-

291; infinitive, 287-289soggetto, 72, 230-232sonetto, 393sonore (conson.), 30; — s e z, 38, 40sonorità (in fonetica), 27, 30sorde (conson.), 30; — s e z, 38, 40

sospensiva, intonazione, 61sostantivazione (e aggett, numer.,

inf., partic. sostantivati), 92, 102,134, 135, 206, 207

sostantivo, 64, 65, 66-68, 72-79 (gene-re), 80-86 (numero); — in liberafunz. appositiva, 236

sostituente (= pronome), 111sostituzione (compi.), 270sostrato, 18sottinteso, predicato, 240sottocodice, 375spagnolo, spagnolismi, 356; -> anche

straniere, linguespeciali, linguaggi -> linguaggi spe-

cialispecificazione (compi), 250-251specifici, termini, 331, 338-339, 401-

402, 411-412spiranti (conson.), 29, 37sportivo, linguaggio giornalistico,

379stadi o fasi di una lingua, 14, 22stare + per e inf., 209; — + gerun-

dio, 209stato (indicazione dello — o «stati-

vo»), 172stereòtipi, 368, 378stesso (uso di —), 124stilema, 371stili, 375stilistica, 18, 365-381stima (compi.), 268storia (la lingua nella —), 14; — del-

la lingua italiana, 19, 22-23, 352-355; — della linguistica, 15-17

storico-comparativa, linguistica, 14-16

straniere, lingue (in generale, presti-ti, ecc.), 2-4, 73, 324, 325, 355-359;parole: 75, 78 (genere); 83-84 (plu-rale); 95-96 (articolo); confronticon l'ital. (schede), 28-29, 30-31, 44-45, 75, 91, 95-96, 101, 108-109, 113,245-246, 260, 263-264, 306; -> an-che alle singole lingue

strofa, 389strumenti della subordinazione, 282strumenti grammaticali, 66strumento (compi.), 257struttura (lingua come —), 6-7; -

nel lessico, 336strutturalismo, 6studentesco (gergo), 376-377

«sublime», stile, 375subordinanti, congiunz., 222, 223, 296subordinazione, 278-281successione (temporale), 283-284suffissi, 68; — flessionali, 141, 157; -

formativi, 76, 339-344 (nominali,341-342; aggettivali, 342; verbali,343; alterativi, 343-344)

suffissoidi, 349-350suono (articolato, linguistico), 2, 25-

27superlativo: dell'agg., asso!., 105-108;

relativo, 106; — dell'avverbio, 217

tedesco, prestiti dal tedesco, 356, 358;confronti con l'ital., 28, 45, 78, 96,101, 108, 113, 200, 263-264, 306

tema (della parola), 67-68, 157tematica, vocale, 68, 144«temperato», stile, 375tempi verbali, 142-143, 198-203; -

nelle prop. dipendenti, 283-284tempo (avverbi di —), 215tempo (compi, fondamentali), 265-266;

- (compi, specifici), 266-267temporali, propos., 299-300terminazione (della parola), 68, 74,

141, 157termine (compi.), 248-249termine di paragone (secondo —),

106, 217, 251terminologia specifica, 338-339terzina, 393testo, 18timbro (delle vocali), 27tipologica (classificazione - - delle

lingue), 2titoli (linguaggio dei —), 379tonica (vocale, sillaba), 47tonici (pron. pers.), Ili, 113-115tonico (accento), 47topos, 371toscano, 14, 19, 31, 39-40, 53, 195tradizione popolare (parole di —), 73,

352-353traduzione, 4tragedia, 374transitivi, verbi, 143, 152 (uso degli

ausiliari), 243-246, 248trapassato pross. e rem., 199-200

677

trascrizione fonetica, 31-32, 39traslato, 73, 366tratti distintivi (dei fonemi), 3(trattino, 60triangolo delle vocali, 28, 35triangolo semantico, 323trigrammi, 37, 39trisillabo (verso), 387trittonghi, 45troncamento, 52, 91tronche, parole, 47tronchi, versi, 385-386tropo, 366tu = si impers., 180

U

«umile», stile, 375unione (compi.), 256unità sintattica, 229

valutazione (compi.), 268vantaggio (compi.), 258variabili, parti del discorso, 65-66varianti, 73, 331, 394velari (o gutturali, conson.), 30, 36-

38; — vocali, 27venire, in funz. di ausiliare, 173; -

+ gerundio, 209verbale, predicato, 231; —, sintagma,

229verbo, 64, 65, 66-68, 140-209versi, 384, 387-389versificazione, 385verso libero, 385verso sciolto, 394vezzeggiativi, 343-344vi (partic.), 116virgola, 59-60

virgolette, 60-61vocabolario, 18, 319, 320, 334, 339,

344; schede sull'uso del —, 41, 49,87,102,153,166,178, 214, 244, 294,321, 362

vocali, 27-29, 34-35vocalici, gruppi, 45-46vocativo, 271-272vocazione (compi.) -> vocativovoce umana, 26-27«vuote», parole, 65-66

W, X, Y, Z

w, x, y, lettere, 392 sorda e sonora, 38, 40«zero» (articolo —), 89, !zeugma, 371

678

INTRODUZIONE

COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO 1

1. Il linguaggio e le lingue 12. La classificazione delle lingue 23. Ciò che unisce le diverse lingue 44. La lingua come organismo, meccanismo, struttura,

istituto 5S.l: La scrittura 10

5. La lingua come codice e sistema di segni 126. La lingua nella storia e nel presente: diacronìa e sin-

cronìa 147. Grammatica e linguistica 158. Le parti della grammatica 17

S.2: / dialetti italiani 189. Studiare l'italiano: quale? 22

• ESERCIZI, 421.

FONOLOGIA

1. I SUONI DEL LINGUAGGIO 25

1. Catena parlata, suoni linguistici, fonemi 252. La scrittura e l'alfabeto italiano 253. I suoni del linguaggio 264. Le vocali 27

5.3 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: Varietà dellevocali 28

5. Le consonanti 295.4 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: Varietà delle

consonanti 306. La trascrizione fonetica 31

Quadro di riferimento 33

• ESERCIZI, 423.

2. I FONEMI DELL'ITALIANO 34

3. GRUPPI CONSONANTICI, DITTONGHI,SILLABE, ACCENTI 43

1. Come si combinano i fonemi nella parola 432. Gruppi consonantici 43

5.7 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: Le consonantidoppie nelle altre lingue e nelle pronunce regionali 44

3. I gruppi vocalici: dittonghi e vocali in iato 454. La sillaba 465. L'accento 47

5.8 / DUBBI LINGUISTICI: Quale accento grafico? 485.9 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Quak accento tonico? 49Quadro di riferimento 50

• ESERCIZI, 429

4. ELISIONE, TRONCAMENTO, FORME«EUFONICHE» 51

1. Proclitiche e enclitiche 512. Elisione e troncamento 513. Il «raddoppiamento sintattico». Forme «eufoniche» 53

5.10 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: II raddoppia-mento sintattico nelle pronunce regionali 535.11 / DUBBI LINGUISTICI: / monosillabi: repertorio pra-tico 54Quadro di riferimento 57

• ESERCIZI, 433

5. MAIUSCOLE, PUNTEGGIATURA,INTONAZIONE v 58

1. Minuscole e maiuscole 582. La punteggiatura 593. L'intonazione 61

Quadro di riferimento 63

• ESERCIZI, 435

MORFOLOGIA1. Il sistema fonologico dell'italiano 342. Le vocali 343. Le consonanti: quadro complessivo 364. Le consonanti: velari e palatali 375. Altre particolarità delle consonanti 38

5.5 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: / fonemi del-l'italiano 395.6 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Nel dubbio... consul-

tare! 41Quadro di riferimento 42

• ESERCIZI, 425.

6. LE PARTI DEL DISCORSO, LA FLESSIONEE L'ANALISI GRAMMATICALE 64

1. Le parti del discorso 642. Parole variabili e invariabili, «piene» e «vuote» 653. Sostantivo e verbo 664. La flessione e il suo meccanismo 675. L'analisi grammaticale 68

Quadro di riferimento 70

• ESERCIZI, 438

7. IL SOSTANTIVO: IL GENERE (MASCHILEE FEMMINILE) 72

1. Nozioni preliminari sul sostantivo in generale 722. Il genere grammaticale 73

5.12 / L'ITALIANO, LE ALTEE LINGUE, i DIALETTI: 11 generegrammaticale 75

3. I sostantivi mobili 764. Sostantivi di genere comune e di genere promiscuo 775. Altre opposizioni maschile ~ femminile 77

5.13 / DUBBI LINGUISTICI: II genere grammaticale dei no-mi geografici, delle parole straniere, delle sigle 78Quadro di riferimento 79

• ESERCIZI, 439

8. IL SOSTANTIVO: IL NUMERO (SINGOLAREE PLURALE) 80

1. Quadro complessivo 802. Plurale dei femminili in -o 813. Plurale dei maschili in -a e in -o 814. Plurale dei maschili e femminili in -e 835. Il plurale invariato 836. Particolarità 847. Il plurale dei sostantivi composti 85

5.14 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Indicazioni sulla mor-fologia 87Quadro di riferimento 88

• ESERCIZI, 444

9. L'ARTICOLO 89

1. Quadro complessivo 892. Forme degli articoli determinativo e indeterminativo 90

5.15 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: Nascita del-l'articolo 91

3. Valore e uso dei vari articoli 924. L'uso dell'articolo con i nomi propri 93

5.16 / DUBBI LINGUISTICI: // Carducci o Carducci? - Pri-ma il nome o il cognome? 955.17 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: L'articolocon i nomi stranieri 95

5. Le preposizioni articolate 96Quadro di riferimento 97

• ESERCIZI, 450.

10. L'AGGETTIVO 981. L'aggettivo. Aggettivi qualificativi e determinativi 982. La flessione dell'ag'gettivo 98,3. Concordanza dell'aggettivo col sostantivo 100

5.18 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: La concor-danza dell'aggettivo - La collocazione dell'aggettivo 101

4. L'aggettivo sostantivato 1025.19 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Gli aggettivi sostanti-vati 102

5. La collocazione dell'aggettivo 103Quadro di riferimento 104

• ESERCIZI, 454.

11. I GRADI DI COMPARAZIONEDELL'AGGETTIVO 105

1. I gradi di comparazione. Il comparativo 1052. Il superlativo relativo 106

680

3. Il superlativo assoluto 1065.20 / DUBBI LINGUISTICI: Al posto del superlativo asso-luto 107

4. Comparativi e superlativi «speciali» 1085.21 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: / gradi di

comparazione 108Quadro di riferimento 109

• ESERCIZI, 458

12. IL PRONOME. PRONOMI PERSONALI ERIFLESSIVI 110

1. Il pronome 1102. I pronomi personali: quadro complessivo 1113. Pronomi personali in funzione di soggetto 112

5.22 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: // pronomepersonale come soggetto 113

4. Pronomi personali in funzione di complemento 1145. Pronomi riflessivi 1156. Le particelle pronominali si, ci, vi, ne 1157. Nessi di pronomi e particelle 1168. Pronomi allocutivi di cortesia 117

5.23 / DUBBI LINGUISTICI: Pronomi personali soggetti -«Lo ho visto» o «L'ho visto»? - «Devo darlo» o «Lodevo dare»? - Gli = o loro - La particella ci - Prono-mi pleonastici 118Quadro di riferimento 119

• ESERCIZI, 462.

13. AGGETTIVI E PRONOMI POSSESSIVI EDIMOSTRATIVI 120

1. Possessivi: forme e significato 1202. Uso degli aggettivi possessivi 1213. Il possessivo come pronome 1214. Dimostrativi: le forme 1225. I dimostrativi questo, cadeste, quello: valore ed uso 1236. Altri pronomi dimostrativi 1237. I «determinativi di identità» stesso e medesimo 124

5.24 / DUBBI LINGUISTICI: Due distinti valori di suo e l'u-so di proprio - L'uso di codesto 125Quadro di riferimento 126

• ESERCIZI, 470.

14. PRONOMI E AGGETTIVI INTERROGATIVI,RELATIVI E INDEFINITI 127

1. Pronomi e aggettivi interrogativi 1272. I pronomi relativi: funzione e quadro complessivo 1283. I singoli relativi 1284. Pronomi e aggettivi indefiniti: quadro complessivo 1305. Valore e uso degli indefiniti6. Indefiniti di uso meno comune 132

Quadro di riferimento 133

• ESERCIZI, 476.

15. I NUMERALI 134

1. I numerali. I numerali cardinali 1342. I numerali ordinali 1353. Alcune particolarità dei cardinali e degli ordinali 1364. Derivati dai numerali 137

5.25 / DUBBI LINGUISTICI: Sistema numerico e sistema dicifre. Le cifre romane • Le date - I secoli 138

681

Quadro di riferimento 139

• ESERCIZI, 484.

16. IL VERBO: CARATTERISTICHE GENERALI 140

1. Definizione e tratti fondamentali 1405.26 / LINGUA VIVA: II verbo nella frase 141

2. Le persone del verbo 1413. I modi e i tempi verbali 1424. La diàtesi (l'attivo e il passivo). Verbi transitivi e in-

transitivi 1435. Le tre coniugazioni. Verbi regolari e irregolari 144

Quadro di riferimento 145

• ESERCIZI, 486.

17. I VERBI AUSILIARI 147

1. Essere e avere 1472. Coniugazione degli ausiliari 1473. Uso degli ausiliari 151

5.27 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Per scegliere l'ausi-liare 153

4. La concordanza del partìcipio nelle forme composte 1545. L'ausiliare con i verbi «servili» 155

Quadro di riferimento 156• ESERCIZI, 488.

18. LA CONIUGAZIONE ATTIVA 157

1. Le tre coniugazioni: premessa ai prospetti delleforme 157

2. Coniugazione attiva dei verbi regolari 1583. Osservazioni comuni alle altre coniugazioni 1624. Particolarità della I coniugazione regolare 1625. Particolarità della II coniugazione regolare 1636. Particolarità della III coniugazione regolare 164

5.28 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Verbi, accenti, pro-nuncia 165Quadro di riferimento 166

• ESERCIZI, 494.

19. LA CONIUGAZIONE PASSIVA 167

1. Premessa ai prospetti delle forme 1672. Le forme della coniugazione passiva 1683. Passivo e indicazione dello «stato» 172

5.29 / LINGUA VIVA: Usare molto o poco il passivo? 1724. I verbi venire e andare in funzione di ausiliari 173

Quadro di riferimento 174

• ESERCIZI, 499.

20. IL RIFLESSIVO E L'IMPERSONALE 175

1. La forma riflessiva 1752. Particolarità della forma riflessiva 1763. Coniugazione del riflessivo 176

5.30 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Quale riflessivo?4. I verbi impersonali 178

5.31 / DUBBI LINGUISTICI: Cercasi, affittasi - Riflessivisema la particella pronominale - «11 corteo, dice, pas-serà di qui» - «Tu» al posto di «si» - «Noi si va via» 179Quadro di riferimento 181

• ESERCIZI, 501

21. VERBI IRREGOLARI E DIFETTIVI 182

1. Che cosa sono i verbi irregolari 1822. Avvertenze per la consultazione del repertorio dei

verbi irregolari 1833. Irregolari della I coniugazione 1834. Irregolari della II coniugazione 1845. Irregolari della III coniugazione 192

5.32 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: La coniuga-zione dei verbi irregolari 195

6. Verbi difettivi 196Quadro di riferimento 197

• ESERCIZI, 507.

22. VALORE E USO DEI MODI E DEI TEMPI:MODI FINITI 198

1. Il modo indicativo. L'indicativo presente 1982. I tempi del passato 1993. I tempi del futuro 200

5.33 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: «L'ho visto aRoma tanto tempo fa». «Dormisti bene stanotte?» 200

4. Il modo congiuntivo e i suoi tempi 2015.34 / LINGUA VIVA: // congiuntivo: usarlo molto o poco,o magari non usarlo? 202

5. Il modo condizionale 2036. Il modo imperativo 203

Quadro di riferimento 204

• ESERCIZI, 511.

23. VALORE E USO DEI MODI E DEI TEMPI:FORME NOMINALI DEL VERBO.COSTRUTTI PERIFRASTICI 206

1. L'infinito 2062. Il participio 2073. Il gerundio 208

5.35 / DUBBI LINGUISTICI: Usare molto o poco il gerundio?Come usarlo? 209

4. I costrutti perifrastici 209Quadro di riferimento 210

• ESERCIZI, 519.

24. L'AVVERBIO 212

1. Quadro complessivo 2122. Gli avverbi qualificativi 212

5.36 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Funzione e uso del-l'avverbio 2145.37 / LINGUA VIVA: Scegliere o sostituire l'avverbio 214

3. Gli avverbi determinativi 2154. Gradi di comparazione dell'avverbio 217

Quadro di riferimento 218

• ESERCIZI, 525.

25. LA PREPOSIZIONE, LA CONGIUNZIONE,L'INTERIEZIONE 219

1. La preposizione: quadro complessivo. Le preposizioniproprie 219

2. Le preposizioni improprie e le locuzioni preposizio-nali

3. La congiunzione: quadro complessivo 2224. Le congiunzioni coordinanti 222

5. Le congiunzioni subordinanti6. L'interiezione

Quadro di riferimento

• ESERCIZI, 530.

SINTASSI

LA PROPOSIZIONE E I SUOI ELEMENTI.SOGGETTO E PREDICATO

223223225

227

2271. La sintassi della proposizione2. Sintagmi, funzioni sintattiche, elementi della proposi-

zione 2293. Soggetto e predicato 2304. Predicato verbale e predicato nominale 2315. Concordanza soggetto-predicato 232

Quadro di riferimento 233

• ESERCIZI, 536.

27. ELEMENTI ACCESSORI DELLAPROPOSIZIONE. L'ANALISI LOGICA 234

1. Gli elementi accessori 2342. L'attributo 2343. L'apposizione 2354. Il predicativo 2365. Il complemento 237

5.38 / LINGUA VIVA: Quanti complementi in una proposi-zione? 238

6. L'analisi logica 2387. Gli enunciati ellittici 240

Quadro di riferimento 241

• ESERCIZI, 543.

28. I COMPLEMENTI OGGETTO, DI AGENTEE DI TERMINE 242

1. Il complemento oggetto 2422. Verbi transitivi e intransitivi 243

5.39 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Verbi in funzione di-versa 2445.40 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: Verbi transi-tivi e intransitivi: uso nella lingua e usi regionali -Verbi transitivi e intransitivi nelle lingue straniere •L'oggetto introdotto dalla preposizione a 245

3. Particolarità del complemento oggetto 2464. Il complemento di agente 2475. Il complemento di termine 248

Quadro di riferimento 249

• ESERCIZI, 552.

29. GLI ALTRI COMPLEMENTI (1) 250

1. Il complemento di specificazione 2502. Il complemento partitivo 2513. Il complemento di denominazione 2514. Il complemento di argomento 2525. Il complemento di materia 2526. Il complemento di qualità 2537. Il complemento di abbondanza e privazione 2538. Il complemento di limitazione 254

Quadro di riferimento 255

• ESERCIZI, 560.

30. GLI ALTRI COMPLEMENTI (2) 256

1. Il complemento di compagnia e unione (o sociativo) 2562. Il complemento di modo o maniera 2573. Il complemento di mezzo o strumento (o strumentale) 2574. Il complemento di causa 2585. Il complemento di fine e di vantaggio 258

5.41 / LINGUA VIVA: Complementi e «locuzioni» 2595.42 / DUBBI LINGUISTICI: Usare la preposizione genericao specifica? - La preposizione per causale e finale 260Quadro di riferimento 261

• ESERCIZI, 563.

31. GLI ALTRI COMPLEMENTI (3) 262

1. I complementi di luogo fondamentali e le loro parti-colarità 262S.43 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: Stoto in luo-go e moto a luogo 263

2. Il luogo «figurato». I complementi di allontanamentoe di origine 264

3. I complementi di luogo specifici 2644. I complementi di tempo fondamentali 2655. I complementi di tempo specifici 2666. I complementi di estensione e di quantità (distanza,

misura, stima, prezzo) 2677. Il complemento distributivo 268

Quadro di riferimento 269

• ESERCIZI, 574.

32. GLI ALTRI COMPLEMENTI (4). QUADRORIEPILOGATIVO DELLA SINTASSI DELLAPROPOSIZIONE

1. Il complemento di esclusione2. Il complemento di sostituzione3. Il complemento concessivo4. Il complemento giudicativo5. I complementi della colpa e della pena6. Il vocativo7. L'esclamazione8. Riepilogo: le funzioni delle, preposizioni proprie fon-

damentali9. Quadro sinottico delle funzioni sintattiche

Quadro di riferimento

• ESERCIZI, 580.

270

270270271271271271272

272275277

33. SINTASSI DEL PERIODO: IL PERIODO ELA SUA STRUTTURA 278

1. Coordinazione e subordinazione 2782. La coordinazione 2803. La subordinazione: dipendenti di diverso grado. La

«reggente» 2804. Caratteristiche fondamentali delle proposizioni dipen-

denti 2815. I vari tipi di proposizioni dipendenti 2826. Modi e tempi delle proposizioni dipendenti 2837. Le proposizioni incidentali 2848. L'analisi logica del periodo 285

Quadro di riferimento 286

• ESERCIZI, 585.

682

34. LE PROPOSIZIONI DIPENDENTICOMPLETIVE: INFINITIVE,DICHIARATIVE, INTERROGATIVEINDIRETTE

1. Costrutti infinitivi (soggettivi e oggettivi)2. Particolarità dei costrutti infinitivi3. Le proposizioni dichiarative4. L'interrogazione diretta5. Le proposizioni interrogative indirette

287

287289290291292

S.44 / COME USARE IL VOCABOLARIO: I costrutti verbali 294Quadro di riferimento

• ESERCIZI, 594.

35. LE PROPOSIZIONI DIPENDENTICIRCOSTANZIALI (1)

1. Quadro complessivo2. Proposizioni causali3. Proposizioni finali4. Proposizioni consecutive5. Proposizioni temporali6. Proposizioni locali

Quadro di riferimento

• ESERCIZI, 605.

36. LE PROPOSIZIONI DIPENDENTICIRCOSTANZIALI (2)

295

296

296296297298299301301

303

1. Proposizioni comparative e modali 3032. Proposizioni concessive 3043. Proposizioni condizionali: il periodo ipotetico 305

S 45 / DUBBI LINGUISTICI: Se ipotetico e se interrogativo 3064. Altre proposizioni condizionali5. Proposizioni avversative, esclusive e giudicative

Quadro di riferimento

• ESERCIZI, 613.

307307309

37. LE PROPOSIZIONI RELATIVE. DISCORSOINDIRETTO. RIEPILOGO DELLA SINTASSIDEL PERIODO 310

1. Le proposizioni relative: quadro generale 3102. Le relative proprie 3113. Le relative circostanziali 3114. Il discorso indiretto 3125. Ricapitolazione della sintassi del periodo: proposizio-

ni esplicite 3136. Ricapitolazione: costrutti con l'infinito 3157. Ricapitolazione: dipendenti implicite col participio 3178. Ricapitolazione: dipendenti implicite col gerundio 317

• ESERCIZI, 622.

4. Significante, significato, referente 3225. La «arbitrarietà» del segno linguistico 3236. Casi in cui il segno linguistico è «motivato» 324

Quadro di riferimento 326

• ESERCIZI, 630.

39. OMÒNIMI, SINÒNIMI, CONTRARI. LAPOLISEMÌA 327

1. Gli omònimi (e omògrafi, omòfoni, parònimi) 3272. I sinonimi. Denotazione e connotazione 3293. Altri fattori della sinonimìa 330

5.47 / DUBBI LINGUISTICI: Quando si tratta di sinonimi equando no. «Varianti» e termini «specifici» 331

4. I contrari 3325. La polisemìa: una parola e più significati 333

Quadro di riferimento 335

• ESERCIZI, 631.

40. IL LESSICO COME SISTEMA E LAFORMAZIONE DELLE PAROLE 336

1. «Famiglie» di parole 3362. Il «campo semantico» 3383. La «formazione» delle parole 3394. La derivazione mediante suffissi 3405. I nomi «alterati» 3436. La derivazione mediante prefissi 3447. Le parole composte 3468. Prefissoidi e suffissoidi 349

Quadro di riferimento 351

• ESERCIZI, 641.

41. LA FORMAZIONE STORICA DEL LESSICOITALIANO E L'ETIMOLOGIA 352

1. L'origine latina: parole «ereditate» 3522. L'origine latina: parole di provenienza dotta 3533. I «prestiti» 3554. Le parole straniere 3575. L'etimologia 359

5.48 / L'ITALIANO, LE ALTRE LINGUE, i DIALETTI: / /essici dellelingue europee ravvicinati dall'apporto del latino • I«falsi amici» 3615.49 / COME USARE IL VOCABOLARIO: L'etimologia nei voca-boli 362Quadro di riferimento 363

• ESERCIZI, 651.

STILISTICA

SEMANTICA

38. IL LESSICO E IL SIGNIFICATO 319

1. Caratteristiche dello studio del lessico 3192. Il concetto di «lessema» 3203. Che cosa significa «significato»? 320

S.46 / COME USARE IL VOCABOLARIO: Ciascun lessema conle sue caratteristiche 321

42. STILISTICA E RETORICA 365

1. Lo «stile» 3652. La retorica 3663. Il processo analogico: la similitudine 3674. Il processo analogico: metafora e metonimia 3675. Altre «figure retoriche» 369

Quadro di riferimento 372

• ESERCIZI, 658.

683

43. GENERI LETTERARI, LINGUAGGI«SPECIALI», «FUNZIONI» DELLINGUAGGIO 373

1. I generi letterari 3732. Stili, registri, linguaggi, sottocodici 3753. I gerghi 3764. I linguaggi scientifici 3775. Il linguaggio commerciale, pubblicitario, amministra-

tivo 3776. Il linguaggio giornalistico e il «politichese» 3797. Le «funzioni» del linguaggio 380

Quadro di riferimento 382• ESERCIZI, 662.

44. IL LINGUAGGIO DELLA POESIA.ELEMENTI DI METRICA

1. Poesia, versificazione, metrica2. Gli elementi del verso. La sillaba3. L'accento ritmico e i vari tipi di versi4. La strofa5. La rima

384

384385387389390

6. I principali metri 3917. Il lessico poetico 394

Quadro di riferimento 397

• ESERCIZI, 666.

APPENDICE

AVVIAMENTO ALLA COMPOSIZIONE 398

1. Scrivere: un problema per tutti. La preparazione indi-retta

2. La descrizione: descrivere un oggetto3. Descrivere una persona: il ritratto fisico 4024. Descrivere una persona: il ritratto morale 4045. Descrivere un paesaggio6. Descrivere i sentimenti. Il diario 4067. La narrazione 4078. Il dialogo 4139. L'argomentazione 414

INDICE ANALITICO 671

STAMPATO A FIRENZE NEGLI STABILIMENTI TIPOLITOGRAFICI «E. ARIANI» E «L'ARTE DELLA STAMPA»

DELLA S. P. A. ARMANDO PAOLETTI - MARZO 1989

VX ISBN 88-00-41162-2

9 "788800 M 41 1622 '

Prezzo di venditaal pubblico

L. 26.300