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La storia dell'Italia nazionalista e colonialista A proposito di un grande libro: Italiani, brava gente? di Angelo Del Boca di Gilbert MEYNIER

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La vera storia delle brutalità dell'Italia verso popoli e culture straniere e la propria popolazione dall'Unità d'Italia ad oggi, altro che Bel Paese...

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La storia dell'Italia nazionalista e colonialista

A proposito di un grande libro: Italiani, brava gente? di Angelo Del Boca

di Gilbert MEYNIER

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Il recente libro di Angelo Del Boca si presenta come una sintesi di tutti i lavori anteriori del primo storico della colonizzazione italiana ad aver fatto opera critica- e sganciata dalle imprese del nazionalismo e/o dal fascismo. È anche la massima espressione della sua lunga lotta per la storia contro le personalità e le forze politiche che avevano interesse a contrastarlo. Ma Del Boca non si limita alla storia dell'Italia oltremare: in correlazione con l'avventura coloniale italiana, egli tratta anche di aspetti  quasi del tutto ignorati in Francia, del Risorgimento e della storia dell'unità, ma anche della prima guerra mondiale degli Italiani e del fascismo- quest'ultimo nelle sue metamorfosi coloniali, ma non soltanto, affondava le sue origini in tutto il substrato ideologico e politico anteriore del nazionalismo italiano; per affrontare in seguito la caduta del fascismo, i tenebrosi giorni della Repubblica fascista di Salò e alcuni episodi movimentati del regime repubblicano, tra cui quello degli "anni di piombo" è il più conosciuto; e approdare infine alla sintesi di molti parametri anteriori sotto il segno della berlusconiana trionfante legge del mercato.

Niente manicheismo

A dir il vero, l'itinerario di Del Boca, anche se l'essenziale della sua opera tratta della colonizzazione italiana, non si limita alla storia. Nato nel 1925 a Novara, figlio di una famiglia di albergatori della val d'Ossola, nel Nord del Piemonte, fu nella resistenza sin da adolescente e giovane partigiano, soprattutto nella regione di Piacenza, prima di diventare giornalista. Fu soprattutto giornalista alla Gazzetta del Popolo e grande reporter in Algeria, poi in Africa ed in Medio Oriente. Intervistò Mitterand durante il suo viaggio in Algeria all'indomani del 1° novembre 1954. Inviato speciale, fu il primo giornalista a percorrere il massiccio montuoso dell'Aurès da parte a parte alla fine dell'anno. La sua testimonianza, superbamente tradotta da Georges Arnaud, apparve con il titolo "Un inviato speciale nell'Aurès" in Les Temps Modernes un anno dopo. Fu uno dei primi ad aver pubblicato sulla "sporca guerra" del 1954-1962.

Non fu che in seguito che, sulla via tracciata dal suo mestiere di giornalista- fu redattore in capo di Il Giorno dal 1968 al 1981,- divenne storico a tempo pieno e professore alla facoltà di Scienze politiche di Torino. Fu per due decenni presidente dell'Istituto storico della Resistenza e dell'epoca contemporanea di Piacenza e direttore della rivista Studi Piacentini, prima di fondare nel 2005 I Sentieri della ricerca, rivista di storia contemporanea, in cui lavora un gruppo di storici italiani e stranieri.

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Dobbiamo a Del Boca decine di volumi, da cui emergono soprattutto Gli Italiani in Africa orientale (4 vol., 1976-1984), Gli Italiani in Libia (2 vol., 1986-1988), Le Guerre coloniali del fascismo (1991), più di recente un libro di ricordi Un testimonio scomodo (2000), ma senza dimenticare il più piccolo, ma famoso I Gas di Mussolini (1996),nel quale egli provò, appoggiandosi su documenti incontestabili, che la guerra di conquista dell'Etiopia del fascismo era stata condotta barbaramente, soprattutto con il ricorso ai bombardamenti aerei sistematici con i gas asfissianti. Questo libro provocò contro di lui la levata di scudi di tutti i benpensanti che insistono a vedere negli Italiani nient'altro che brava gente, sensibili, pacifici, umani, civilizzati e irrimediabilmente vaccinati contro il razzismo. Come vedremo, la realtà fu molto diversa.

Tutto questo anche se Del Boca non cade mai nel manicheismo, anche se l'Italia può infatti onorarsi, anche, di aver avuto alcuni dei suoi figli che hanno denunciato e combattuto le ignominie perpetrate in suo nome: come i militanti politici, Turati e Gramsci, per non citarne che due, ma anche tutti quegli ufficiali indignati per la sporca necessità che era loro prescritta, che combatterono il sistema di violenza in cui si muovevano e testimoniarono per eliminarlo. Il libro termina su una nota di speranza che saluta il professionismo di pace dei soldati italiani inviati in missione dall'ONU, sino a quei Balcani anche, terreno di tanti terribili avvenimenti dei loro predecessori fascisti e che rende omaggio all'abnegazione di quei corpi di volontari italiani, di cui l'impegno e le azioni umanitarie (ambulanze, aiuto ai bisognosi, ai malati ed agli andicappati, recupero scolastico, sostegno agli emigrati) formano il felice contropiede delle brutali volgarità del sistema edificato sotto l'impulso del Cavaliere.

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Una storia degna del nome della colonizzazione e del colonialismo italiani

La vera storia dell'impresa coloniale italiana alla quale si è dedicato da più di tre decenni Del Boca contrasta con quella ancora largamente prodotta nella seconda metà del XX secolo, proveniente da storici per la maggior parte nazionalisti/colonialisti, quando non erano di simpatie e provenienza fasciste. da questo punto di vista, è con una sfasatura di quasi due generazioni in rapporto alle opere pionieristiche di un Charles-André Julien in Francia, ad esempio, che si scrive ora una storia degna di questo nome della colonizzazione e del colonialismo italiani. E, nel cammino tracciato da Del Boca, c'è tutta una costellazione di storici più giovani, come Giorgio Rochat o Nicola Labanca.

Si prenda ad esempio, dopo lo sbarco nella baia di Assab nel 1870 e l'ibstallazione in Somalia, la conquista dell'Eritrea interna, impresa seguita successivamente allo sbarco di Massua nel 1885, al momento dello scramble for Africa. Vi fu condotta una guerra coloniale tipica, con le sue considerazioni normative sulle razze inferiori, con i suoi massacri di massa, la sua giustizia rapida e le sue esecuzioni sommarie che non contribuì poco ad annientare il massacro di una colonna italiana a Dogali, all'inizio del 1887. Su questo territorio di 200.000 abitanti, furono aperti non meno di sette penitenziari di tende e capanne. Il più grande, quello di Nocra, sulle isole Dahalak,contenevano sin dal 1882 un migliaio di detenuti. In questo "inferno di Nocra", i prigionieri morivano di insolazione, di sete, di fame.

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Inoltre, una convenzione italo-britannica era stata firmata per venire a capo della tratta degli schiavi. Nei fatti, nulla fu fatto contro lo schiavismo se non vi fu anche un certo aggravamento, coperto da una buona coscienza civilizzatrice. Per un testimone, l'esploratore Robecchi, era certo che gli Italiani mantenevano, almeno lo schiavismo, quando non lo sviluppavano. Eppure, si insegno a lungo nelle scuole italiane che gli Italiani si erano fatto carico del sacro dovere di estirpare lo schiavismo. E l'Eritrea servì da quadro maggiore alla costruzione nazionale del mito dell'"Italiano buono", di cui, in situ, il capitano-esploratore Vittorio Bottego fu l'antitesi e la negazione. Massacratore e devastatore senza vergogna, fu a lungo riverito in Italia come un eroe.

Un caso più puntuale è costituito dall'intervento italiano, a fianco di altri contingenti europei, in Cina, contro i Boxer (che i Cinesi chiamano "la guerra dei pugni di giustizia"). Nelle zone che furono loro attribuite, i raddrizzatori di torti italiani fecero regnare un ordine brutale. Compirono la caccia al Cinese, massacrarono senza contare, incendiarono e saccheggiarono i villaggi- l'incendio del villaggio di Tu Liu è rimasto a lungo nella memoria; ciò contro l'ideologia nazionale italiana che sosteneva il mito secondo il quale, in Cina, gli Italiani non avevano partecipato ai massacri. Per Del Boca, "la sola differenza con i soldati degli altri contingenti era che quest'ultimi non avevano il problema di dover apparire come brava gente".

La mitologia espansionistica della Quarta riva

Sappiamo che la politica di espansione in Africa conobbe un colpo d'arresto dopo la disfatta di Adua nel 1896, contro l'esercito etiope, e che pose fine al lungo ministero del siciliano, nazionalista di sinistra ed imperialista, Francesco Crispi. Ma i pruriti di conquista non fecero che intensificarsi presso i nazionalisti. Tutta una mitologia espansionista si mise a celebrare la Quarta sponda, (quella della Sirte, dopo le tre dell'Adriatico, dell'Ionio e del Tirreno), da Enrico Corradini a Giuseppe Bevione, e l'ora di Tripoli che stava a designare un a nuova eldorado libica. D'Annunzio compose le Canzoni delle gesta d'oltremare. Tutta una corrente spinse ad innalzarsi al livello dei grandi Europei che avevano ingiustamente disprezzato l'Italia: fu La Grande Proletaria si è mossa, di Giovanni Pascoli. Delle frazioni del movimento operaio si

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convertirono ad un imperialismo coloniale che permetteva di collocare dei proletari italiani su territori vergini.

Tuttavia, il presidente del consiglio del 1911, il piemontese Giovanni Giolitti, era a priori uno dei meno disposti a lanciarsi in avventure coloniali. Fece, tuttavia delle esortazioni, con accenti degni di un Corradini. Il fatto è che, per Giolitti, la conquista della Tripolitania costituiva un diversivo per dei problemi molto interni e per delle ambizioni europee frustrate- quella dell'irredentismo e quella dei Balcani. E, da Tripoli, il console Carlo Galli non assicurava che, per liberarsi dell'oppressione turca, i Libici avrebbero accolto con gioia gli Italiani?

Libici deportati

Infatti, sin dall'arrivo dei conquistatori, la rivolta divampò. Nell'oasi di Charat Chat, il 23 ottobre 1911, fece 500 morti italiani. Per rappresaglia, secondo le fonti, da 1000 a 4000 Libici furono uccisi. Si instaurò allora dappertutto sin da allora la legge delle esecuzioni sommarie e dei massacri, la regola delle deportazioni, e a Tripoli, lo spettacolo del patibolo della piazza del Pane. Prima della fine del 1911, si ebbero 4000 deportazioni, tra le quali alle isole Tremiti, nel mar Adriatico. Quasi il 20% dei deportati morirono nei tre mesi seguenti il loro internamento nei campi di concentrazione. Su circa 600 deportati alle isole

Tremiti, 198- cioè un terzo- morì nel giro di otto mesi, tra cui numerose donne e bambini. Dappertutto risuonarono tra le persone nazionaliste italiane degli elogi dall'intonazione pre-fascista. Mentre si spegneva contro il grande Sanûsiyy la conquista della Cirenaica, Filippo Turati, in un discorso celebre, denunciò alla camera l'orrore delle esecuzioni sommarie: "Mi domando se

siamo in Italia e se il Governo sa che un certo Cesare Beccaria sia nato in Italia".

La conquista non era per ora destinata a progredire: il 28 novembre 1914, fu il colpo di mano degli insorti che distrusse la guarnigione di Gara Sebha. Fu l'inizio di ciò che la storia coloniale classica ha chiamato "la grande rivolta araba". Malgrado combattimenti sanguinosi, in cui le perdite italiane furono, tra i morti ed i prigionieri, quasi di 5000 uomini, malgrado una repressione sanguinosa che fece senza dubbio ancor più vittime, in alcuni mesi, gli Italiani finirono con il perdere Tripoli e qualche posto. Per giungere all'occupazione integrale della Quarta Sponda, "ci vorranno, in 17 anni, l'annientamento nel combattimento e nei campi di concentrazione di un ottavo della popolazione libica". Di fatto, la resistenza libica durò sino al 1932. Ma, sin dal 1915, il tenente colonello Gherardo Pàntano scriveva: "Ci vendichiamo

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sugli Arabi per i nostri errori, le nostre ritirate, le sconfitte subite qua e là [...], ci consoliamo per le umiliazioni subite umiliando i deboli, i disarmati". Già, Pàntano aveva afferrato uno degli esiti più determinanti della violenza coloniale: la proiezione su terzi innocenti delle proprie violenze e dei propri traumi.

Su di un piano personale, quello del potere contrariato, non è qui l'origine della violenza che scatenò il governatore De Vecchi contro i focolai ribelli del nord della Somalia? Mussolini, allora portaparola dei vecchi combattenti ed ispiratore degli arditi, aveva come intimo nel serraglio fascista originario, Cesare Maria de Vecchi, uno dei quadrumviri della Marcia su Roma. Disgraziato, relegato come un piccolo proconsole in Somalia, si vendicò sui Somali con brutalità sanguinaria. Per rispondere, nel 1926, alla rivolta condotta dal capo Mohammed Nour, procedette alla mobilitazione repressiva dei coloni italiani come truppa d'urto fascista, di cui una delle realizzazioni fu l'esecuzione di una vera carneficina nella moschea di El Haji, uno dei capolavori della ferocità coloniale. Con, per il futuro delle popolazioni, i campi ed il lavoro forzato (lo schiavismo bianco) e lo scatenamento di carestia provocate ad arte. Dopo la sua partenza dalla Somalia nel 1928, rimase celebre con il nome di "carnefice dei Somali". Nel 1932, in un paese che contava appena 60.000 supplementari perirono vittime di una carestia deliberatamente organizzata.

La Somalia ebbe De Vecchi, la Libia ebbe Volpi, Badoglio e soprattutto Graziani. Del Boca ha intitolato il capitolo che tratta della riconquista fascista della Libia: "Solouch comme Auschwitz", anche se quello che scrive somiglia a Buchenwald o Mautauhausen. Rodolfo Graziani, vero ufficiale fascista, che fu governatore generale di Cirenaica, aveva cominciato la sua carriera libica come braccio destro militare del conte Volpi, governatore di Tripolitania. Detentore di una pseudo immensa cultura di cui si prevaleva, colui che si autoproclamava il "moderno Scipione l'Africano" procedette negli anni venti alla riconquista della Tripolitania, del Jabal Nefusa, di Tarhuna, passando per il Garian, benché egli fu, a Tagrift, all'inizio del 1928, molto vicino dall'essere accerchiato e sconfitto dagli insorti. La rivolta della Tripolitania essendo divampata

sin dal 1929, egli fu incaricato di venirne a capo. Ci riuscì nel giro di un anno, con mezzi relativamente importanti, a colpi di bombardamenti massicci, di massacri spietati, seguiti da esodi di popolazioni. La riconquista del Fezzan fu

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intrapresa. La sua capitale, Murzuk, cadde nel 1931 prima che la regione venisse schiacciata sotto un diluvio di bombe.

Il vecchio capo di stato maggiore Pietro Badoglio era stato nominato governatore di Libia nel 1928- vi rimase sino al 1933. Fu sotto i suoi ordini che Graziani, governatore di Cirenaica, fu incaricato della sua conquista. Vi trovò come avversario l'alta figura di Omar al-Mukhtar che, malgrado la sua età avanzata, fu l'anima della resistenza- il che non impedì Graziani, nelle sue memorie di svalorizzare questo grande resistente come un vecchio fanatico. Sotto le sue direttive, furono organizzati dei raggruppamenti di popolazione- un anticipazione della guerra di riconquista coloniale francese in Algeria cinque lustri più tardi- e di deportazioni di massa.

Di nuovo delle deportazioni

Badoglio aveva dato ordine di deportare 100.000 persone- e di fatto, quasi 100.000 furono deportati, ossia la metà della popolazione della Cirenaica: una statistica ci informa che, nel 1931, vi erano 78313 detenuti in sette campi di concentramento e 12448 in alcuni campi minori, in tutto 90716. Vi fu in quattro anni diminuzione del 30% della popolazione della Cirenaica, ciò a colpi di bombardamenti e di fucilazioni di massa della popolazione civile- gli ordini erano di non fare prigionieri-, di deportazione in enormi campi in cui la mortalità fu in totale del 40%. Altre realizzazioni lasciano presagire i metodi francesi in Algeria a partire dal 1957, tranne l'elettricità: l'edificazione di uno sbarramento elettrificato di 270 km lungo la frontiera orientale della Libia.

Omar al-Mukhtar fu infine catturato nel settembre del 1931. Dopo un interrogatorio condotto da Graziani in persona, il 16 settembre, fu impiccato pubblicamente davanti ad una folla ammassata di 20.000 persone. Il film Il leone del deserto, che descrive l'azione del resistente libico, del cineasta siro-americano Mustafa Akkad, uscì sugli schermi nel 1979. Fu vietato in Italia- così come La battaglia di Algeri di Pontecorvo lo era stato in precedenza in Francia. Ancora oggi, la proiezione di Il leone del deserto non è tollerata, se non clandestinamente in qualche cine club.

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500 000 soldati italiani in Etiopia

Rimaneva, ossessivamente, per il fascismo, una rivincita da prendere: in Etiopia, quella di Adua. Mussolini compì di fatto la vendetta non lesinando sui mezzi umani (vi furono sino a 500.000 soldati italiani in Etiopia, sotto il

comando di Badoglio) e materiali, soprattutto procedendo a bombardamenti aerei sistematici con gas asfissianti che facevano cadere "una pioggia di iprite".

Alla conquista Mussolini rinunciò provvisoriamente negli anni venti, il tempo di riconquistare la Libia e ricorrendo a degli espedienti ingannevoli come il trattato di amicizia del 1928 con il Negus. Sappiamo che fu l'incidente di frontiera, prefabbricato dai servizi

italiani, di Oual Oual, alla fine del 1934, che servì da pretesto all'invasione dell'Etiopia nell'ottobre del 1935. Al risentimento prolungato contro una spartizione della torta coloniale che aveva escluso l'Italia, si aggiungeva il culto della forza armata così pesante nei fascisti: ci voleva una nuova guerra, capace di provare "l'Italiano nuovo"- tema ricorrente dell'immaginario fascista.

Tra i quattro testimoni che hanno lasciato delle memorie della loro esperienza etiopica citati da Del Boca, vi fu un figlio di Mussolini, Vittorio (suo fratello Bruno era anche lui soldato, così come il genero Ciano Galeazzo, "il conte Ciano"), Alessandro Pavolini, il gerarca toscano fascista ossessionato dalla "caccia all'Abissino", Giuseppe Bottai, di un'altra del tutto diversa ampiezza di vedute di quest'ultimo, infine il futuro principe del giornalismo italiano della seconda metà del XX secolo, Indro Montanelli, che fu redattore al Corriere della Sera e fu il fondatore di Il Giornale. Tutti hanno in comune, nei loro rispettivi testi, di esaltare la geurra e di disprezzare l'avversario così come tre quarti di secolo prima facevano nei confronti dei Napoletani e dei Meridionali in generale, gli ufficiali piemontesi partiti alla conquista del regno di Napoli. Tutti tacevano le distruzioni massicce, gli esodi di popolazioni, i massacri e gli stermini per mezzo di bombe a gas C 500 T, concepite per esplodere a 250 metri dal suolo allo scopo di far precipitare l'iprite.

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I gas di Mussolini

Inoltre, nell'esercito italiano, erano presenti dei Libici, musulmani che proiettarono la loro vendetta su delle vittime che gli Italiani avevano loro presentato come dei cristiani responsabili delle sventure del loro popolo. Nel maggio del 1936, a Badoglio succedette Graziani, nominato viceré d'Etiopia. L'ampiezza dei massacri commessi dai Libici era tale che, per frenarli un po', Graziani offrì un premio di 1000 lire per ogni patriota etiope fatto prigioniero.

L'Etiopia era un affare che il duce aveva personalmente preso in mano ed è lui in persona che aveva dato l'ordine crudele dei bombardamenti chimici. Negli scritti dei quattro testimoni fascisti citati sopra, come si è già detto, silenzio sui gas. Nella seconda metà del XX

secolo, coronato dalla sua aura di grande giornalista, Indro Montanelli diresse il coro dei negazionisti italiani, sollevatisi, in un'aspra polemica, contro le asserzioni del suo confratello giornalista ed avversario Angelo Del Boca. Non è che nel 1996- anno dell'apparizione di I gas di Mussolini- che, incalzato dalla valanga di prove fornite, Montanelli dovette infine riconoscere pubblicamente, 60 anni dopo i fatti: "I documenti mi danno torto".

Incalzato nel farla finita, Mussolini ordinò a Graziani: "Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi"; e, "per farla finita con i ribelli, come nel caso di Ancober, utilizzare il gas". Migliaia di villaggi etiopi furono distrutti con il fuoco, i resistenti sterminati, i capi etiopi sistematicamente fucilati, con l'ordine speciale di fucilare specialmente l'elite dei giovani, in particolare quei diplomati usciti da scuole ed università francesi. A questo prezzo, nel marzo 1937, l'impero Etiope era interamente occupato. Ma la resistenza etiope non non disarmò. Il 19 febbraio, ad Addis Abeba, un attentato fu organizzato contro Graziani, fece sette morti e 50 feriti, ma il "viceré" scampò. Fu soprattutto accusato Semeon Adefres, che apparteneva a quell'elite etiope presa particolarmente di mira. Arrestato, fu torturato a morte. Il suo corpo riposa oggi nella chiesa San Pietro e Paolo di Addis Abeba. Dal 19 al 21 febbraio, in tre giorni, Addis Abeba fu preda di una selvaggia repressione, a colpi di massacri alla cieca, di esecuzioni sommarie e di incendi di quartieri interi inondati di

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benzina. La chiesa San Giorgio fu incendiata. Il bilancio secondo le fonti: da un minimo di 1400 morti ad un massimo di 30 mila.

Le deportazioni e le esecuzioni sommarie furono vastissime. Dal 19 febbraio al 3 agosto, Graziani stesso contabilizzò in Etiopia 1918 esecuzioni sommarie, ossia più di dieci al giorno. Ma, da febbraio a maggio soltanto, secondo la testimonianza del colonnello dei carabinieri Azolino Hazon, ve ne sarebbero state 2509, cioè 25 al giorno, di persone generalmente arrestate senza alcuna prova, a seguito di retate. Un bersaglio particolarmente preso di mira fu il clero cristiano-copto. La grande città conventuale di Debra Libanos fu sospettata di essere legata con gli insorti. Fu dato ordine di sterminarne gli occupanti. Ufficialmente, vi furono 320 monaci e 442 fedeli fucilati, ma il totale si elevò più verosimilmente da 1400 a 2000 vittime. Nell'agosto del 1937, una grande rivolta si scatenò nel Lasta, organizzata da un vecchio governatore del Negus, Hailu Kebedde. Fu repressa spietatamente. Hailu Kebedde fu decapitato e la sua testa esposta sulla piazza dei mercati di Socota, poi di Quoram.

Graziani fu allora sostituito da Amedeo di Savoia, duca d'Aosta, che era, è vero, un personaggio di un altro spessore; Graziani di cui lo storico può fare senza esitazione, con De Vecchi e Badoglio, il degno equivalente desi Bugeaud, Saint Arnaud e Pélissier della conquista dell'Algeria. Il che non impedisce, ancora oggi, che egli sia venerato al pari di un santo nel suo villaggio natio di Filettino, nel Lazio.

Copertina di quaderno di scuola nell'Italia degli anni Trenta

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[Traduzione, ricerca iconografica e linkografia a cura di Massimo Cardellini]

LINK al post originale:

L’histoire de l’Italie entre national et colonial

LINK a video sulla conquista della Libia:

La guerra in Libia (dal TG 1)

Colonialismo in Libia

LINK pertinenti all'argomento:

I Crimini dell'imperialismo italiano in Etiopia (1935/1937)

Italian War Crimes

Guerra chimica in Etiopia

Crimini di guerra italiani in Grecia, 1943

Esaltazione del colonialismo buono che risolve la miseria

Italiani brava gente?