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“l’Italia è stata finora avviluppata come di una sfera brillante, la sfera della libertà e della razionalità, e ne è nata una filosofia e una letteratura, la quale ha la sua leva fuori di lei, ancorchè intorno a lei. Ora si dee guardare in seno, dee cercare se stessa: la sfera dee svilupparsi e concretarsi come sua vita interiore. La ipocrisia religiosa, la prevalenza delle necessità politiche, le abitudini accademiche, i lunghi ozi, le reminiscenze di una servitù e abbiezione di parecchi secoli, gl’impulsi estranei soprapposti al suo libero sviluppo, hanno creata una coscienza artificiale e vacillante, le tolgono ogni raccoglimento, ogn’intimità. La sua vita è ancora esteriore e superficiale.

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Dee cercare se stessa, con vista chiara, sgombra da ogni velo e da ogni involucro, guardando alla cosa effettuale, con lo spirito di Galileo, di Machiavelli. In questa ricerca degli elementi reali della sua esistenza, lo spirito italiano rifarà la sua coltura, ristaurerà il suo mondo morale, rinfrescherà le sue impressioni, troverà nella sua intimità nuove fonti d’ispirazione, la donna, la famiglia, la natura, l’amore, la libertà, la patria, la scienza, la virtù, non come idee brillanti, ma come oggetti concreti e familiari, divenuti il suo contenuto.

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(…) Il grande lavoro del secolo decimonono è al suo termine. Assistiamo ad una nuova fermentazione di idee, nunzia di una nuova formazione. Già vediamo in questo secolo disegnarsi il nuovo secolo. E questa volta non dobbiamo trovarci alla coda, non a’ secondi posti”

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“Dal 1796 al 1870 vi è stato un tempo della nostra storia nel quale molti italiani non hanno avuto paura della libertà, l’hanno cercata ed hanno dato la vita per realizzare il sogno della nazione divenuta patria. E’ stato il tempo del Risorgimento quando la libertà significava verità. Anzitutto sentirsi partecipi di una Italia comune, non dell’Italia dei sette Stati, ostili tra loro e strettamente sorvegliati da potenze straniere. La conquista della libertà “italiana” è stata la rivendicazione dell’unità culturale, storica, ideale di un popolo per secoli separato, l’affermazione della sua indipendenza politica”.

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Il seguito del presente lavoro nasce dall’idea che negli italiani la coscienza dell’identità nazionale fosse un dato già acquisito molto prima che venisse realizzata l’unificazione territoriale.

I passi della nostra storia letteraria che offriamo alla Vostra riflessione ne sono la dimostrazione.

Dante, Petrarca, Machiavelli, Guicciardini, Tassoni, Foscolo, Leopardi, Manzoni sono solo i più famosi tra i numerosi autori che con le loro parole hanno testimoniato l’adesione ad un ideale condiviso.

Ne lasciamo a Voi la lettura affinchè possiate riflettervi individualmente.

Seguirà l’esecuzione della canzone “Addio mia bella, addio” nella versione di Antonello Venditti.

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Di quella umile Italia fia salute

per cui morì la vergine Camilla,

Eurialo e Turno e Niso di ferute.

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Ahi serva Italia, di dolore ostello,nave sanza nocchiere in gran

tempesta,non donna di provincie, ma bordello!

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Ché le città d’Italia tutte pieneson di tiranni, e un Marcel

diventaogne villan che parteggiando

viene.

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E ‘n quel gran seggio a che tu li occhi tieni

per la corona che già v’è sù posta,prima che tu a queste nozze ceni,sederà l’alma, che fia giù agosta,de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italiaverrà in prima ch’ella sia disposta.

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Italia, che suoi guai non par che senta:

vecchia, otïosa et lenta,dormirà sempre, et non fia chi la

svegli?

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Italia mia, benchè ‘l parlar sia indarnoa le piaghe mortaliche nel bel corpo tuo sì spesso veggiopiacemi almen che ‘ miei sospir’ sian qualispera ‘l Tevero et l’Arno,e ‘l Po, dove doglioso et grave or seggio.

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Latin sangue gentile,sgombra da te queste dannose some;non far idolo un nomevano senza soggetto(…)Non è questa la patria in ch’io mi fido

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Non si debba, adunque, lasciar passare questa occasione, acciò che l’Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo redentore.

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Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia.

(…) Dalla cognizione de’ quali casi, tanto vari e tanto gravi, potrà ciascuno, e per sé proprio e per bene publico, prendere molti salutiferi documenti.

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O, del mio regio cuore idolo altero,ricca d’amanti e priva di consorte,povera Italia mia, toccata in sorteor al franco, or al goto, or all’ibero,io solo in te fissai santo il pensiero.

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I tuoi confini, o Italia, son questi! Ma sono tutto dì sormontati d’ogne parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove son dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce? Ov’è l’antico terrore della tua gloria?

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A egregie cose il forte animo accendonoL’urne de’ forti, o Pindemonte; e bellaE santa fanno al peregrin la terraChe le ricetta.Ma più beata ché in un tempio accolteSerbi l’Itale glorie, uniche forseDa che le mal vietate Alpi e l’alternaOnnipotenza delle umane sortiArmi e sostanze t’invadeano ed areE patria e, tranne la memoria, tutto.

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O Italia, a cor ti stiaFar ai passati onor; che d’altrettaliOggi vedove son le tue contrade,Né v’è chi d’onorar ti si convegna.Volgiti indietro, e guarda, o patria mia,Quella schiera infinita d’immortali,E piangi e di te stessa ti disdegna.

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O patria mia, vedo le mura e gli archiE le colonne e i simulacri e l’ermeTorri degli avi nostri,Ma la gloria non vedo

Piangi, che ben hai donde, Italia mia,Le genti a vincer nataE nella fausta sorte e nella ria.

Che fosti donna, or sei povera ancella.

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Soffermati sull’arida spondaVòlti i guardi al varcato Ticino,Tutti assorti nel novo destino,Certi in cor dell’antica virtù,Han giurato: non fia che quest’ondaScorra più tra due rive straniere;Non fia loco ove sorgan barriereTra l’Italia e l’Italia, mai più!

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Cara Italia! Dovunque dolenteGrido uscì del tuo lungo servaggio;Dove ancor dell’umano lignaggioOgni speme deserta non è:Dove già libertade è fiorita,Dove ancor nel segreto matura,Dove ha lacrime un’alta sventura,Non c’è cor che non batta per te.

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Stretti intorno ai tuoi santi colori,Forti, armati dei propri dolori,I tuoi figli son pronti a pugnar.

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Da gli atrii muscosi, dai fori cadentiDai boschi, dall’arse fucine stridentiDal solchi bagnati di servo sudor,Un volgo disperso repente si desta;Intende l’orecchio, solleva la testa,Percosso da novo crescente romor.

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Addio, mia bella, addio:l'armata se ne va;se non partissi anch'iosarebbe una viltà!

Non pianger, mio tesoro:forse ritornerò;ma se in battaglia io moroin ciel ti rivedrò.

La spada, le pistole,lo schioppo li ho con me:all'apparir del solemi partirò da te!

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