LINEAMENTI DI CULTURA E CIVILTÀ DELL’UMANESIMO E … · della letteratura italiana, diretta da...

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Prof. ANGELA CARACCIOLO LINEAMENTI DI CULTURA E CIVILTÀ DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO parte 2. Realizzazione tecnica dr. Roberto Pesce L’UMANESIMO VENEZIANO A Venezia essere umanista significava prima di tutto essere un esponente del patriziato veneziano, ossia membro di una di quelle duemila famiglie che attivamente partecipavano alla vita della Repubblica (immagine 56 ). Come ben ha messo in evidenza Vittore Branca, [1] a Venezia il concetto di “polis” si identifica con la stessa Repubblica di Venezia, più che l’ individuo vale la societas, come corpo unitario cui è indirizzata ogni energia della classe dirigente la quale è insieme protagonista – economicamente indipendente - della vita politica e della vita culturale. Si manifesta una cultura di gruppo, espressione di un ceto dirigente che è assieme attore nel campo politico, religioso, culturale, economicamente indipendente. A Venezia non si può parlare di vero mecenatismo letterario perché gli stessi patrizi sono gli intellettuali di riferimento, non letterati di professione, eccezion fatta per i docenti delle due scuole di Rialto e di S. Marco, di cui diremo più avanti. Dunque, la societas trionfa nella cultura veneziana, l’ esaltazione dell’ individuo, dato tipico dell’ Umanesimo, a Venezia si colora diversamente, si pone come fatto corale, dimensione sociale. Lo si percepisce chiaramente nelle rappresentazioni pittoriche, nei grandi teleri di Gentile Bellini (immagini 39 , 57 ) e di Carpaccio, dal "Miracolo dell’ ossesso" al Ciclo di Sant’ Orsola (immagini 35 , 37 , 38 , 58 , 59 , 60 , 61 , 62 ), mero spunto per una esaltazione del fervore e dello splendore della realtà urbanistica e civile della città (immagini 63 , 64 ), offerta nei dati tangibili di ricchezza e forma, indagata fino nella raffinata, opulenta struttura dell’interno delle sue dimore (immagini 65 , 66 , 67 ). Assieme si pone l’ attenzione per la realtà naturalistica (immagine 68 , 68.1 , 68.2 , 68.3 ). Gli studi sulla Fisica di Aristotele, su Dioscordie e Pomponio Mela condotti da Ermolao Barbaro[2], e le stesse sue Castigationes Plinianae sono emblematici di un’ attenzione al reale che si registra a tutto campo [3], dal restauro filologico dei testi alle rappresentazioni pittoriche. [1] Si veda il fondamentale lavoro di v. branca, La sapienza civile. Studi sull' Umanesimo a Venezia, Firenze, Leo S. Olschki 1998, ed il ricco aggiornamento bibliografico di C. Griffante a cui rinvio per ogni approfondimeto; preceduto da Id. L’ umanesimo, in Storia di Venezia, IV, a cura di A. Tenenti e U. Tucci, Roma, Istituto della Ednciclopedia Italiana 1996, pp.723-755. Per le figure emergenti dell’Umanesimo veneziano e veneto ho tenuto presente M. Pastore stocchi, Scuola e cultura umanistica fra due secoli, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a c. di . G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza editore 1980,, voll. 3: 3/I, pp.93-122; V. ROSSI, Il Quattrocento, Padova-Milano, Piccin-Vallardi ed. 1992, reprint dell' edizione 1933 riveduta e corretta. Nuova edizione a cura di A. Balduino. Aggiornamento a cura di Rosssella Bessi. Introduzione di Mario Martelli; le voci dei singoli autori nel Dizionario critico della letteratura italiana, a

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Prof. ANGELA CARACCIOLO LINEAMENTI DI CULTURA E CIVILTÀ DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO parte 2. Realizzazione tecnica dr. Roberto Pesce L’UMANESIMO VENEZIANO A Venezia essere umanista significava prima di tutto essere un esponente del patriziato veneziano, ossia membro di una di quelle duemila famiglie che attivamente partecipavano alla vita della Repubblica (immagine 56). Come ben ha messo in evidenza Vittore Branca, [1] a Venezia il concetto di “polis” si identifica con la stessa Repubblica di Venezia, più che l’ individuo vale la societas, come corpo unitario cui è indirizzata ogni energia della classe dirigente la quale è insieme protagonista – economicamente indipendente - della vita politica e della vita culturale. Si manifesta una cultura di gruppo, espressione di un ceto dirigente che è assieme attore nel campo politico, religioso, culturale, economicamente indipendente. A Venezia non si può parlare di vero mecenatismo letterario perché gli stessi patrizi sono gli intellettuali di riferimento, non letterati di professione, eccezion fatta per i docenti delle due scuole di Rialto e di S. Marco, di cui diremo più avanti. Dunque, la societas trionfa nella cultura veneziana, l’ esaltazione dell’ individuo, dato tipico dell’ Umanesimo, a Venezia si colora diversamente, si pone come fatto corale, dimensione sociale. Lo si percepisce chiaramente nelle rappresentazioni pittoriche, nei grandi teleri di Gentile Bellini (immagini 39, 57) e di Carpaccio, dal "Miracolo dell’ ossesso" al Ciclo di Sant’ Orsola (immagini 35, 37, 38, 58, 59, 60, 61, 62), mero spunto per una esaltazione del fervore e dello splendore della realtà urbanistica e civile della città (immagini 63, 64), offerta nei dati tangibili di ricchezza e forma, indagata fino nella raffinata, opulenta struttura dell’interno delle sue dimore (immagini 65, 66, 67). Assieme si pone l’ attenzione per la realtà naturalistica (immagine 68, 68.1, 68.2, 68.3). Gli studi sulla Fisica di Aristotele, su Dioscordie e Pomponio Mela condotti da Ermolao Barbaro[2], e le stesse sue Castigationes Plinianae sono emblematici di un’ attenzione al reale che si registra a tutto campo[3], dal restauro filologico dei testi alle rappresentazioni pittoriche.

[1] Si veda il fondamentale lavoro di v. branca, La sapienza civile. Studi sull' Umanesimo a Venezia, Firenze, Leo S. Olschki 1998, ed il ricco aggiornamento bibliografico di C. Griffante a cui rinvio per ogni approfondimeto; preceduto da Id. L’ umanesimo, in Storia di Venezia, IV, a cura di A. Tenenti e U. Tucci, Roma, Istituto della Ednciclopedia Italiana 1996, pp.723-755. Per le figure emergenti dell’Umanesimo veneziano e veneto ho tenuto presente M. Pastore stocchi, Scuola e cultura umanistica fra due secoli, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a c. di . G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza editore 1980,, voll. 3: 3/I, pp.93-122; V. ROSSI, Il Quattrocento, Padova-Milano, Piccin-Vallardi ed. 1992, reprint dell' edizione 1933 riveduta e corretta. Nuova edizione a cura di A. Balduino. Aggiornamento a cura di Rosssella Bessi. Introduzione di Mario Martelli; le voci dei singoli autori nel Dizionario critico della letteratura italiana, a

Irrompe IL PAESAGGIO, non come nella pittura toscana, dove è geometrizzazione di un’ idea di natura o spunto per studi prospettici, a Venezia il paesaggio trionfa, è il caso della Tempesta o dei Tre filosofi di Giorgione (immagini 69, 70), tutti giocati sulla segreta “auscultazione” dei misterinaturali, così come avviene nelle numerose pale d’ altare, in cui il paesaggio, pur in secondo piano, quasi rimosso da un drappo o da una parasta architettonica, comunque si presenta tra suggestioni simboliche (Carpaccio, “Il seppellimento di Cristo morto” immagine 71, Giovanni Bellini, "Cristo deposto" immagine 74) e ampi slarghi di abbandono bucolico (immagini 72, 73, 75, 75.1). Altro punto focale dell' umanesimo veneziano è la RELIGIOSITÀ, a differenza del paganesimo e dell' esoterismo presente nell' Accademia romana di Pomponio Leto e all’ Accademia platonica di Marsilio Ficino, a Venezia sono inconcepibili forme pagane o agnostiche (immagini 76, 77). L’ umanesimo veneziano è religioso, ed annovera i nomi di grandi personaggi, da Lodovico Barbo[4], che avviò la riforma dei Benedettini e venne proclamato santo, a Lorenzo Giustiniani, primo patriarca di Venezia, anch’ egli elevato all’ onore degli altari[5], ai grandi spiriti riformatori del cenobio di S. Giorgio in Alga da cui uscì il Libellus ad Leonem X in cui si colgono chiari i prodromi della contestazione di Lutero contro l’ eccessiva mondanizzazione della Chiesa di Roma. Né va dimenticato il pensiero di Girolamo Donà (Venezia 1456 – Roma 1511) la cui pur laica impostazione della attività politico-diplomatica, non fa velo alla consapevolezza della necessità che filologia e sapere vengano messe al servizio di un rinnovato vigore di studi religiosi. Gerolamo Donà (nato a Venezia 1457, morto a Roma 1511) grande figura di diplomatico, fu ambasciatore presso Massimiliano d’Austria e a Milano alla corte di Ludovico Sforza, e, negli

cura di V. Branca e M. Pastore Stocchi, Torino, U.T.E.T. 1986, voll. 4; e in Gli autori-Dizionario biobibliografico, in Letteratura italiana, a c. di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi 1990-1991, voll. 2; Le opere, in Letteratura italiana, a c. di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi 1992; e F. CARDINI e C. VASOLI, Rinascimento e Umanesimo, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, volume III: Il Quattrocento, Roma, Salerno editrice 1996, pp. 45-157. 1[2] Su Ermolao Barbaro (1453-1493)vd. più avanti. 1[3] Le Castigationes prendono in esame non la tradizione mss. dell’ opera ma le prime edizioni della Naturalis Historia, quelle di Venezia 1472 presso Nicola Jenson, che riproduce l' edizione romana del 1470, curata dal Bussi, ed assieme tengono conto e correggono l' edizione Sweinheim e Pannartz, Roma, 1473, curata dal Perotti. Cfr.Hermolai BARBARI Castigationes plinianae et in Pomponium Melam, edidit Giovanni Pozzi, Padova, Editrice Antenore 1978, voll. 2, Introduzione p.XXIX. 1[4] Vissuto tra il 1382 e il 1443, ottenne giovanissimo il priorato del monastero di San Giorgio in Alga , successivamente nominato abae del monastero benedettino di San Cipriano di Murano, nel 1408 venne contro sua voglia creato abate del convento di Santa Giustina in Padova, incarico che lo portò a ralizzare la riforma dell’ ordine benedettino, vd. la voce di A. PRATESI in D.B.I. , 6 (1964). 2[5] Nato a Venezia nel 1381, entrato nella congregazione dei Canonici secolari, divenne superiore della Congregazione nel 1424. Venne nominato da papa Eugenio IV vescovo di Castello, in Venezia, nel 1433, e si distinse per carità e sobrietà di vita, istituendo un seminario per chierici poveri, ed intervenne con norme e rinnovate disposizioni per una più intensa vita liturgica del clero veneziano. Morì nel 1456. Sulla vita e il pensiero del santo vd.: S. TRAMONTIN, S. Lorenzo Giustiniani nell'arte e nel culto della Serenissima, Venezia 1956; N. BARBATO, Ascetica dell'orazione in San Lorenzo Giustiniani, Venezia 1960, e la voce di G. DI AGRESTI in Bibliotheca Sanctorum, 8°, Roma 1967, coll. 150-156.

anni 1490-91 nella curia di papa Alessandro VI, legazione ripetuta negli anni 1497-99, 1505 e 1509-11. La sua attività di umanista è strettamente legata con quella di Ermolao Barbaro, di cui fu seguace ed amico, e come il Barbaro seppe essere filologo e filosofo, fortemente improntato ad un profondo spirito religioso, di cui lascia testimonianza nelle traduzioni del De anima di Alessandro di Afrodisia, del De immaculatis mysteriis di Giovanni Damasceno e delle omelie di Giovanni Crisostomo. Compose il De processione Spiritus Sancti e l’Apologeticus de principatu Romanae Ecclesiae mostrandosi buon continuatore degli studi e della fede di E. Barbaro. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: P. RIGO, Catalogo e tradizione degli scritti di Girolamo Donato, “Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei, Rend. Classe Scienze morali”, XXXI, 1976, ed i numerosi riferimenti contenuti in V. BRANCA, La sapienza civile, cit. L’ attenzione alla tematica relgiosa, viva soprattutto nelle comunità monastiche sparse nelle isole della laguna, da San Giorgio in Alga a San Michele, San Giorgio Maggiore, San Francesco del deserto, e in città viene tenuta viva per il fervore dei conventi di Santo Stefano e di San Salvador[7], ed è magnificata nelle fastose celebrazioni pubbliche. Tra fasto e pietà si manifesta la religiosità di Venezia. E va tenuto conto che iin città tra la fine del Tre e gli inizi del Quattrocento confluiscono quasi tutti gli Spirituali che erano stati al seguito di santa Caterina da Siena, e sono l’ anima ardente, vera punta di diamante del pensiero sulla riforma della Chiesa e della società cristiana. L’ origine dell’ impostazione fervidamente religiosa in Venezia – ma certo non papalista – testimoniata dall’ eccezionale numero di chiese fiorite o rimodernate nel XV sec. risale fino dagli anni in cui Petrarca soggiornò in città, ospite del doge Andrea Dandolo, quando, in risposta agli attacchi degli averroisti veneziani, scrive il De sui ipsius et multorum ignorantia L’ opera – quasi il testamento umanistico del poeta - segna gli emblemi dell’ umanesimo veneziano, che possono essere sintetizzati in tre punti fondamentali: 1. lotta contro lo pseudoscientismo di matrice averroista[9], di qui il necessario ritorno alla lettera dei filosofi classici, Platone e Aristotile, e non alle loro traduzioni medievali; 2. la difesa, seguendo Agostino, di eloquenza e poesia che porta a considerare gli studi letterari come forme per intensificare la moralità, in quanto l’ espressione della bellezza diviene tutt' uno con la verità. 3. l’asserzione dei valori cristiani come necessario complemento di quelli della civilta' greco-latina, nell’ affermarsi di un forte ascetismo che non si disgiunge dai valori dell' Umanesimo. Dunque le basi spirituali e scientifiche su cui poggia l’ Umanesimo veneziano hanno come punto di riferimento una severa disciplina filologica che porti alla restituzione esatta dei testi dei filosofi greci, base delle speculazioni filosofiche e religiose in Venezia – e non solo - nel secolo XV.

3[7] Vd. S. TRAMONTIN, La cultura monastica a Venezia nel Quattrocento, in Storia della cultura veneta, III, 1, CIT., PP 431-457). 4[9] Che voleva separare le verità filosofiche dalle verità della fede in nome di una lettura deformata di Aristotile.

Va detto che a Venezia, anche per la sua attività commerciale, l’ elemento grecizzante era di casa (immagini 78, 79, 80, 81, 81.1, 81.2, 81.3, 81.4, 81.5). Venezia pur non essendo sede di Università, ospita un certo numero di scuole private, in cui si insegna il greco. Fondamentali furono le lezioni che Guarino Guarini tenne a Venezia dal 1414 al 1419, anni nodali per la formazione della classe dirigente veneziana. Figura emblematica di umanista di professione, egli, non veneziano, segue nella sua formazione modi diversi da quelli tipici del patriziato veneziano, percorre invece le tappe canoniche della carriera di un umanista “professionista”: fu discepolo di Giovanni da Conversino a Padova alla fine del ‘300, ma ebbe la formazione decisiva da Manuele Crisolora che Guarino seguì come suo segretario a Costantinopoli nel 1403. GUARINO VERONESE, (Verona 1374–Ferrara 1460) discepolo di Giovanni di Conversino a Padova alla fine del ’300, ma la formazione decisiva l’ebbe da Manuele Crisolora che Guarino seguì COME SUO SEGRETARIO a Costantinopoli nel 1403, divenuto notaio diviene segretario dell’ambasciatore veneziano Paolo Zane. Ha modo di imparare bene il greco da Emanuele e Giovanni Crisolora. Compra codd. greci. 1403 –1408 COSTANTINOPOLI. 1408 torna, è a Venezia, Verona e Bologna, dove incontra Leonardo Bruni, allora Cancelliere di Firenze, per suo invito. 1413-1414 insegna GRECO a FIRENZE nello Studio. 1414-1419 A VENEZIA, grande polo di attrazione per i giovani veneziani(Francesco Barbaro, Leonardo Giustinian, Francesco Foscari, il futuro doge); poi per 10 anni a Verona 1420 –1429 A VERONA. A VERONA dal 1420 al ’29 apre una scuola privata, poi ha la cattedra pubblica di Retorica. Alla Biblioteca Capitolare vede e studia il ms. delle Epistolae di PLINIO, OGGI PERDUTO,importante scoperta per il formarsi del gusto degli epistolari tra gli umanisti. Nel 1421 A Lodi si erano rinvenute (ad opera del Biondo?) tutte le opere retoriche di Cicerone, ne ottiene copia, si fa prestare dal Biondo il Brutus di Cicerone. 1429 – 1460 FERRARA. Invitato da Nicolò III d’Este si trasferisce a Ferrara dove rimane fino alla morte (1460), quale precettore, presso la corte degli Estensi, di Lionello d’Este, figlio di Nicolò III (immagine 6). Con il suo arrivo Ferrara diventa uno dei centri più vivi dell’Umanesimo italiano. Ispiratosi ai criteri di Gasparino Barzizza e di Pier Paolo Vergerio, contribuì in modo totalmente nuovo a dare vita ad un sistema pedagogico vissuto come esperienza totale: fisica e intellettuale e LAICA (a differenza di Vittorino da Feltre, Mantova, Casa Gioiosa). Nel De ordine docendi ac discendi Battista Guarini, figlio del Guarino, descrive la struttura della scuola pubblica istituita dal padre a Ferrara, nella quale mente e corpo dovevano crescere armoniosamente assieme, secondo quello che già era l’insegnamento degli antichi, secondo un preciso piano di studi: I. corso elementare II. grammaticale III. retorico (= studio di Cicerone, Quintiliano), e poi della filosofia negli scritti di Cicerone, Platone e Aristotele.

1441 Leonello succede al padre NiccolÒ III, e sostiene la rinascita degli studi classici, raccoglie mss. e riforma l’Università, apre al Mantegna e a Pisanello. 1436 Guarino era divenuto pubblico lettore nello Studio, vi leggeva gli autori greci e latini, alle lezioni accorrevano molti giovani venuti anche dall’estero, Francia, Inghilterra, Ungheria. A casa faceva pensione agli studenti, i poveri di ingegno e volontà gratis. Aveva steso le Regulae = grammatica elementare e sintassi, prosodia e metrica, a complemento degli Erotemata del Crisolora. LEGGE: Valerio Massimo, Livio, Virgilio, Ovidio, Terenzio, ecc. perché danno notizie di antichità, di storia e di mitologia, la Retorica di Cicerone e le Institutiones oratoriae di Quintiliano, come manuali; gli autori antichi sono letti ed esposti non solo per motivi di stilistica e di poetica, ma anche come fonti di notizie sull’antichità, di storia e di mitologia. ESPONE PLATONE E ARISTOTILE. Di lui, oltre alle Regulae rimangono le edizioni, i commenti dei classici quali Plauto, Cicerone, Persio, Giovenale, Celso le traduzioni dal greco al latino di Omero, Odissea (canto XXII), Iliade (canto X), e – perdute – di Erodoto, Esopo, Isocrate, Plutarco, Strabone. Importante l’Epistolario come testimonianza di un modo di vivere e di relazionarsi tra dotti. COETANEO E SCOLARO DI GUARINO A VENEZIA (1416-19) FU VITTORINO DA FELTRE (VITTORINO Rambaldoni, nasce a Feltre nel 1373 c.a e muore nel 1446 a Mantova). Prima del soggiorno veneziano a Padova aveva seguito i corsi del Conversino e del Barzizza. 1423 chiamato a Mantova da Gianfrancesco Gonzaga, diviene educatore dei numerosi figli del principe, fonda la "Casa zoiosa" aperta a ricchi e poveri. Mette in pratica il "convito perfetto", di cui aveva fatto esperienza a Padova e a Venezia = vita austera e pia, come in convento, un custode alla porta. Non importava se i giovani fossero ricchi o poveri, contava l’educazione e la buona volontà. Esperto di latino e greco, insegna: - arti del TRIVIO = Grammatica, Dialettica, Retorica (GRA-DI-RE), - arti del QUADRIVIO = Aritmetica, Geometria, Astronomia, Musica (A-G-A-M). Dopo l’apprendimento di queste discipline gli studenti passavano alla filosofia: Platone e Aristotele. UN VERO LICEO CLASSICO! Assieme andavano moralità e religione, esercizio fisico, lotta, corsa, nuoto equitazione, danza. I suoi autori: Cicero, Demostene, Virgilio, Omero. + 1446 a Mantova Tra i suoi discepoli illustri: Giorgio da Trebisonda (Rethorica 1434), Nicolò Perotti, Lodovico Gonzaga, Federico da Montefeltro, duca d’Urbino. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE su Guarino Veronese e Vittorino da Feltre: Letteratura italiana – Gli Autori, cit., I, pp. 964-5. D. CANFORA, La controversia di Poggio Bracciolini e Guarino Veronese su Cesare e Scipione, Firenze, Olschki 2001; V. ROSSI, op. cit., pp. 58-62; 114-115; Dizionario bio-bibliografico, I, cit., pp. 964-965; M. VILLORESI, Da Guarino a Boiardo: la cultura teatrale a Ferrara nel Quattrocento, Roma, Bulzoni 1994; R. WEISS, in Dizionario critico della letteratura italiana, cit., II, pp. 459-460; P. BRACCIOLINI, Epistolario,a cura di da R. Sabbadini, Venezia, Deput. Storia Patria 1915-19, voll. 3; arricchito poi dalle Giunte di Pastore Stocchi, Padova, Liviana 1960 pp. 15-22; di A. Campana, in "IMU", V (1962) pp. 171-78; di C. Colombo, in "IMU", X (1967) pp. 165-257); di L. CAPRA, in "IMU", XIV (1967) pp. 193-247; di L. Katuskina, in "Rinascimento" XIV (1974) pp. 225-42.

In una Venezia ancora gotica, Guarino Veronese viene a costituire un punto di svolta per i giovani patrizi che attorno a lui si riuniscono e formano una scuola essenzialmente improntata agli studi greci, è un gruppo – e non un' accademia - è utile notarlo - di uomini economiamente indipendenti dalla professione di letterato, autorevoli, ricchi, che pur coltivandosi nelle lettere, subordinano la formazione umanistica alle necessità dello Stato, motivati da un solido senso dell' uomo e del suo agire civile. Egli insegna privatamente, lo seguono Francesco Barbaro, Leonardo Giustinian, il futuro doge Francesco Foscari; si dedica alle traduzioni dello Pseudo-Isocrate, di Plutarco, Luciano, insegna Polibio, in particolare il VI libro[11], sulll’ educazione, e lavora all’ emendatio di molte orazioni di Cicerone, apportandovi quell’ interesse per la cultura classica greca e latina che gli affanni della mercatura e la preoccupazioni poltiche connesse all’ espandersi del Dominio in Terraferma non avevano ancora fatto emergere nelle lagune. Grazie anche a Guarino si sviluppa a Venezia il senso dell' antiquaria[13], con raccolte di reperti archeologici ed epigrafici, nodale la figura di Ciriaco d’ Ancona, mercante in Oriente e grande raccoglitore di iscrizioni anche per i legami di amicizia che lo legavano all’ ambiente veneziano e al futuro doge Francesco Foscari,in paarticolare; notevole il suo contributo alla paleografia perché – come si sa - i caratteri della sua grafia latina, unita ad elementi della tradizione greca ispirarono il carattere minuscolo introdotto dal veronese Felice Feliciano[14], anche se la fama del veronese è legata all’ Alphabetum Romanum[15] (immagini 82, 83)

5[11] Che lascerà viva traccia nella composizione del De re uxoria di F. Barbaro, cfr. Francesco BARBARO, De re uxoria, ed. a cura di A. Gnesotto, "Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova", vol. XXXII, I, Padova 1915. 6[13] Vd. I. FAVARETTO, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della serenissima, Roma, “L’ Erma” di Bretschneider 1990, in particolare i capp. Ciriaco d’ Ancona e le collezioni veneziane del primo Quattrocento; La raccolta di un umanista veneziano, papa Paolo II, Collezionismo nel Veneto nella seconda metà del XV secolo: l’ eredità di Ciriaco d’ Ancona; pp. 45-61 A. CARACCIOLO ARICO', Una testimonianza di Marin Sanudo umanista: l'inedito De Antiquitatibus et Epitaphiis, in Venezia e l'Archeologia, Atti del Congresso Internazionale - Venezia 25- 29 maggio 1988, "Supplementi" 7, 1990, pp. 32-34; EAD., La più vasta silloge di iscrizioni spagnole del primo Cinquecento italiano: Il cod. marciano, lat., cl. XIV, CCLX (=4258), in Atti del Congresso Internazionale Venezia, l'archeologia e l'Europa, Venezia 27 - 30 giugno 1994, "Supplementi" 1996, n. 17, pp. 26- 38; Atti del Congresso Internazionale Venezia, l'archeologia e l'Europa, Venezia 27 - 30 giugno 1994, "Supplementi" 1996, n. 17; G. TRAVERSARI, Venezia, l’ archeologia e l’ oriente, ovvero il collezionismo archeologico a Venezia e nel Veneto in età medievale e moderna, in I seminari dell’ Umanesimo latino 2001-2002, Treviso, Edizioni Antilia 2002, pp. 101-107. 7[14] Vissuto tra il 1433 e il 1479, fu alla scuola dell’ umanista veronese Martino Rizzoni, a sua volta scolaro di Guarino, e in corrispondenza con Ciriaco d’ Ancona questo filo rosso porta il Feliciano a vivere intensamente il gusto antiquario che in quegli anni stava esplodendo tra gli umanisti . Amico di Andrea Mantegna, che a Verona tra il 1457 e il 1459 a Verona soggiornò dipingendovi la pala di San Zeno, e a lui dedica i suoi due voll. di raccolte epigrafiche, messe insieme registrando non solo le iscrizioni veronesi ma anche quelle che ebbe modo di trascrivee viaggiando per l’ Italia; e dunque figurano iscrizioni di Mantova, Venezia, Milano, Brescia, Roma registrate “sul campo”, e poi di Torcello, Murano trasmessigli da amici. Per la sua passione viene accolto nella cerchia del dotto bibliofilo medico umannista Giovanni Marcanova che divenne suo protettore e lo introdusse nell’ ambiente bolognese in cui egli era noto e stimato come professore di filosofia morale. Vd. la voce di F. PIGNATTI in D.B.I., 46 (1996), pp. 83-90 alla cui ricca scheda bibliografica si rinvia; ma va citato almeno L’ “Antiquario” Felice Feliciano veronese tra epòigrafia, letteratura e arti del libro. Atti del Convegno di studi di Verona, 3-4 giugno 1993, a cura di A. Contò-L. Quaquarelli, Padova, Antenore* 1995 8[15] Conservato dal cod. Vat. Lat. 6852, in cui si fissano i nuovi caratteri della grafia lapidaria umanistica, fissati in base ai modelli romani e agli studi e ai rilievi su questi condotti. L’ opera è stata pubblicata da G. Mardesteig (Verona 1943 e 1960) e in fac-simile con una prefazione di R. Avesani, (Milano-Zurigo 1985-1987).

Uno dei più brillanti allievi di Guarino, a Venezia, è sicuramente Leonardo Giustinian, fratello di Lorenzo, il primo patriarca di Venezia, e padre di Bernardo (1408 – 1489), l’ autore del De origine urbis venetiarum[16], Leonardo (1388 – 1466) rivestì importanti cariche pubbliche, Procuratore di S. Marco, la massima, “scala al dogado”, come si diceva a Venezia, si formò una solida formazione umanistica greca e latina, tanto che quando a Venezia giunge l' imperatore Giovanni Paleologo gli viene dato l’ incarico di recitare l'orazione di benevenuto in greco, proprio per questa sua riconosciuta raffinatezza culturale egli fu in relazione oltre che con gli umanisti veneziani, con Gasparino Barzizza, Giano Pannonio, BIONDO, Ciriaco, Filelfo. Leonardo Giustinian fu poeta e musicista, gran conoscitore della lingua greca, soprattutto di Plutarco e delle sue Vite, secondo quella attenzione al medaglione che sarà di tutto l’umanesimo veneziano, egli si ricorda precipuamente come scrittore in volgare, autore della famosa raccolta di Canzonette o Giustinianee (esemplate sui canti popolari), di cui compose anche la musica[17]. Al Giustinian si deve l’ apertura nel 1446 a Venezia della Scuola di San Marco - simmetrica alla Scuola di Rialto, che fin dal 1408 per il lascito di Tomà Talenti operava nella chiesa di San Giovanni Elemosinario[18] - che si volgeva a dare una preparazione grammaticale e retorica ai notai della cancelleria, ma aperta a chiunque volesse frequentarla, con un insegnamento impartito gratuitamente, nello spirito che accomunava tutti i grandi maestri umanisti nei confronti di chiunque – patrizi e cittadini - dimostrasse capacità e buona disposizione (immagine 88).

9[16] L’ opera , edita da B. Benalio nel 1492, è di impianto umanistico sul modello delle Decades di Flavio Biondo, in anni in cui ormai il volgare prevaleva.Su Bernardo Giustinian si veda l’ ancor oggi valido P. H.LABALME, Bernardo Giustinian. A Venitian of the Quattrocento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1969. 10[17] Cfr. Leonardo GIUSTINIAN, Poesie, in Rimatori veneti del Quattrocento, a cura di A. Balduino, Padova 1980, pp. 304-325; in Il fiore della lirica veneziana, a c. di M. Dazzi, Venezia, Neri Pozza 1956-1959, voll. 4+1: I, che presenta una silloge dagli Strambotti, le Elegantissime cansonette, I Contrasti e le Laudi pp. 96-141.Sull’ attività di Leonardo Giustinian poeta vd. A.E. QUAGLIO, Leonardo Giustinian tra i poeti padovani (e non) in nuovi frammenti veneti del Quattrocento. I. Tre Canzonette, “Bollettino della Società Letteraria di Verona” 1981; ID.,Nuovi versi attribuibili a Leonardo Giustinian, ibidem; ID., Leonardo Giustinian in una silloge ferrarese di rime quattrocentesche, “Rivista di Letteratura Italiana” 1 (1983), pp. 311-376; ID., Un’ imbarazzante ballata giustinianea, “Quaderni utinensi”, 9/10, pp. 157-183; ID., Da Benedetto Biffoli a Leonardo Giustinian, “Filologia e Critica”, 13 (1988), pp.157-183; ID.,Sulla corrispondenza in sonetti di Leonardo Giustinian con Ciriaco Pizzicolli, “Filologia e Critica”, 17 (1992), PP. 253-257;.Accanto a questa produzione più corsiva, anche se raffinata, non tralasciò l’ aspetto peculiare dell’ attività umanistica,quello delle traduzioni dal greco al latino, traduce infatti Plutarco, e una biografia di S. Nicola basata su fonti greche, vd. L. NADIN BASSANI, Appunti sull’ epistolario di Leonardo Giustinian, “Quaderni veneti”, 1 (1985), pp. 31-39; di lui si ricorda anche l’ Oratio funebre in onore di Carlo Zeno, né va dimenticata la produzione laudistica, vd. L. GIUSTINIAN, Laudario giustinianeo, edizione comparata con note critiche del laudario Ms. 40 dei PP. Somaschi della Salute di Venezia, a c. di F. Luisi, Venezia 1983; sui rapporti tra musica e Umanesimo a Venezia vd. F.A. GALLO, La trattatistica musicale, in Storia della cultura veneta, cit., III, 3, pp. 297-314. 18. La Scuola di Rialto aveva cominciato fin dal 1408, per il lascito di Tomà Talenti - di questa scuola dal 1421 al 1454 fu capo e maestro Paolo della Pergola, matematico; prima di questa era attiva la scuola dei medici, fisici e chirurgici, del tutto estranea all' impostazione umanistica, vd. B. NARDI, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in La civiltà veneziana del Quattrocento, Venezia, Sansoni 1957, pp. 99-145: 103-120; F. LEPORI, La scuola di Rialto, in Storia della cultura veneta, a c. di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza editore 1980, 3/II, pp. 539-605.

L’esperienza della scuola di San Marco, dove insegnarono Benedetto Brugnoli da Legnago, che tenne la cattedra dal 1466 fino al 1502, anno della sua morte, e molto contribuì a rendere famosa la Scuola della Cancelleria ducale, al punto che il Senato decretò l’ istituzione di una seconda cattedra di umanistica, affidata a Gianmario Filelfo, e poi, partito questo, al Trapezunzio, e successivamente al più valido Giorgio Merula, dottissimo in greco ed in latino, e a Giorgio Valla piacentino, il famoso autore del "De expetendis, et fugiendis rebus opus" monumentale lavoro enciclopedico, che Aldo stamperà nel 1501[19], dopo gli anni ’80 la cattedra passa a Marc’ Antonio Sabellico, e in quel periodo l’ insegnamento fu a più voci: vi erano attivi il Sabellico, Giorgio Valla, Giambattista Egnazio, e l’ Amaseo, Nicolò Leoniceno ed una serie di figure minori che ebbero il merito di traghettare la Scuola di San Marco dai primi entusiasmi umanistico-filologici del pieno Quattrocento ad una più corsiva, ma robusta struttura di insegnamento che – pur dopo la parentesi della crisi innestata dalla sconfitta di Agnadello – si mantenne solida ben dentro al Cinquecento[20] L’ attività di maestri e discepoli della scuola di San Marco venne potenziata nel 1468 con la donazione alla basilica di San Marco della biblioteca del cardinale Bessarione[21] (immagine 89) gesto significativo della fiducia nella stabilità del governo veneziano, se il Bessarione, dopo la caduta di Costantinopoli, in un momento di grave crisi per la Cristianità e la cultura europea, decide di porre in salvo il suo patrimonio di memorie, ancor prima che di libri, non presso la Curia romana, ma a Venezia, e dona la sua cospicua biblioteca (468 manoscritti greci e oltre 200 manoscritti latini) alla Chiesa di San Marco[22]. Fonda in tal modo il primo nucleo di quella che diverrà la biblioteca Marciana, con un’ operazione già progettata ai tempi del turbato soggiorno del Petrarca a Venezia, che – come è noto - non ebbe corso.

11[19] Su cui vd. avanti. 12[20] Sull’ attività della Scuola tra Quattro e Cinquecento vd. F. Lepori, op. cit., e le indicazioni bibliografiche in quello contenute. 12[21] Il Cardinale Bessarione (Trebisonda 1403 - morto a Ravenna nel 1472), inizialmente monaco basiliano, è figura importantenella storia della chiesa cristiana per l’ infaticabile opera volta a conseguire il ricongiungimento tra la chiesa d’ Oriente e quella di Roma. Il Bessarione arriva in Italia nel periodo del Concilio di Firenze – Ferrara (1437-38), nel periodo in cui l2 due Chiese, occidentale ed orientale, cercano di superare le divisioni, non teologiche ma storiche, che le avevano separate. Superare lo scisma dell’anno 1047 di Michele Cerulario, l’imperatore che non volle più sottostare all’autorità politica papale, fu un grande impegno degli umanisti del primo Quattrocento alla ricerca dell’ unità dei Cristiani in un’unica Verità e sotto un unico Dio, di fronte al profilarsi della minaccia turca. Il Bessarione, giunto in Italia al seguito dell’imperatore di Bisanzio Giovanni Paleologo, pronuncia il discorso inaugurale del Concilio affermando la necessità dell’unione delle due Chiese, discorso intitolato Oratio dogmatica de unione (Firenze, Santa Maria del Fiore, 6 luglio 1439). L’Oratio del Bessarione si basa su uno studio filologico dei testi della patristica greca e latina, non dunque su motivi politici - che pure esistevano, legati all’avanzata turca nel Mediterraneo - ma su uno studio in parallelo dei testi delle Chiese greca e Latina, dimostrando che nelle due tradizioni non sussistevano validi motivi teologici che giustificassero la diaspora. Sull’ importanza del lascito del Bessarione vd. L. LABOSKY, Bessarions’s Library and the Biblioteca marciana, Roma 1979; e dello stesso. la voce in D.B.I., 9, 1967, pp. 686-696. 12[22] Sui rapporti tra Bessarione e Venezia e sul nucleo dei codd. bessarionei alla Biblioteca Marciana si vedano i tre bei capitoli di M. ZORZI, Il cardinale Bessarione e i suoi legami con Venezia; La biblioteca del Bessarione; Bessarione, Gemisto e la donazione a San Marco, in La biblioteca di San Marco, Milano, A. Mondadori 1987, pp. 23-85.

L’ arrivo di codici bessarionei, greci e latini antichissimi, dei grandi testi della filosofia occidentale, di Platone e Aristotele in particolare, ebbe un’ influenza decisiva per il determinarsi dell' ellenismo veneziano, e per conferire a Venezia quel forte ruolo in campo filosofico e letterario che, fino agli anni della donazione, appunto, non le era stato ancora riconosciuto. Nel pensiero del cardinale Bessarione[23], , le opere di Aristotele e Platone non si scontrano, ma anzi trovano nel pensiero del Bessarione il punto di integrazione[24]. Aristotele, più pratico, concreto e dogmatico; Platone più mistico, denso di simboli e di sottese corrispondenze, ma con una forte apertura sull’ individuo. Grazie proprio alla donazione dei testi filosofici del Bessarione e al dibattito che il pensiero del cardinale innesca, dall’incontro e dalla discussione attorno ai due grandi sistemi di interpretare il mondo si sviluppa il confronto tra le idee degli umanisti, e Venezia diviene uno dei grandi centri del dibattito tra la dimensione dogmatica e pragmatica di Aristotele e il neoplatonismo, tutti sentori e presentimenti dell’ io e di Dio. Nel panorama degli intellettuali veneziani di pieno Quattrocento non va dimenticaqto Bernardo Bembo (1433-1519), il padre di Pietro[25]; Bernardo importante diplomatico cui vengono affidate prestigiose e non facili ambascerie, legato da sincera amicizia con studiosi fiorentini e toscani come il POLIZIANO, studioso e collezionista di codici, possessore di una

13[23] Nominato con carica onorifica cardinale di Costantinopoli pur essendo la città ormai in mano turca. 24.L’opera più significativa del pensiero di Bessarione e del platonismo italiano è In calunniatorem Platonis, contro quel Giorgio da Trebisonda che, comparando le due filosofie platonica e aristotelica, si era scagliato contro Platone accusandolo di eresia e di immoralità, affermando che solo nella filosofia aristotelica si può vedere un’anticipazione del pensiero cristiano. Il Bessarione, secondo il concetto di unità, sostiene Platone mostra che non vi è reale opposizione tra le due filosofie. Le polemiche scatenate attorno ai pensieri di Bessarione, Giorgio di Trebisonda e Stefano Planude, fanno sì che Venezia diventi un centro di riflessione filosofica di primaria importanza. 14[25] Vd. la valida monografia di N. GIANNETTO, Bernardo Bembo umanista e politico veneziano, Firenze 1985; e si vedano almeno R. RIBUOLI, La collazione polizianea del codice bembino di Terenzio. Con le postille inedite del Poliziano e note su Pietro Bembo, Roma 1981; J. FLETCHER, Bernardo Bembo and Leonardo’s portrait of Ginevra de’ Benci, “The Burlington magazine”, 131 (1989), pp. 811-817; F. PIOVAN, Per Bernardo Bembo e Giovanni Giacomo Can (a proposito di una letteraa edita-inedita a Lorenzzo de’ Medici, “Quaderni per la storia dell’ Università di Padova”, 26-27 ( 1993-1994), pp. 251-254. 14 [26] Vd. C. DIONISOTTI, Aldo Manuzio editore, Dediche. Prefazioni. Note ai testi, Introduzione di Carlo Dionisotti, Testo latino con traduzione e note a cura di Giovanni Orlandi, Milano, Ed. Il Polifilo, 1975,(tip. Valdonega, Verona), voll. 2, Introuzione, p. XLI. 14 [27] Vd. Di A. BETTINZOLI, Poliziano tra Bernardo e Pietro Bembo, in ID., Daedaleu iter. Studi sulla poesia e la poetica di Angelo Poliziano, Firenze, Leo S. Olschki ed. 1995, pp.353-374; R. RIBUOLI, La collazione polizianea del codice bembino di Terenzio, cit. 14 [28] Su Poliziano e la filosofia vd. V. ROSSI, op. cit., pp. 554-55. 14 [29] Vd. V. BRANCA, Ermolao Barbaro e il suo circolo, in La sapienza civile, cit., magistrale afffresco sulla cultura venezianaa del secondo Quattrocento e sulla forza innovativa degli studi filosofici e sul rigoroso metodo filologico del Barbaro. 14 [30] Vd. V.BRANCA, Postille barbariane: Ermolao poeta e la corte aragonese, in ID.,La sapienza civile, cit., pp. 155-173. [31] Epistola ad Herm Barbarum, Treviso 1481, che gli aveva dedicato la traduzione del Temistio, 1480, è in linea con il programma della diffusione di un sapere enciclopedico e scientifico, voluto dal Barbaro, e condiviso dal Galateo.

importante biblioteca con volumi anche in formato tascabile, che daranno l’ispirazione al Manuzio per la famosa collana degli enchiridia[26]. Nella biblioteca di Bernardo maturò l’ amicizia di Poliziano e Pietro Bembo[27], e dagli icontri veneziani del Poliziano nascerà l’ intenso dialogo con gli esponenti dell’ umanesimo veneziano, primo fra tutti con Ermolao Barbaro, e una nuova passione per il toscano, quella per la filosofia[28]. In questo ambito si situa l' attività di Ermolao Barbaro (1453-1493), (immagine 89.1) grande innovatore degli studi aristotelici, soprattutto in quelle opere che lo Studio padovano avevalasciato in ombra, dotato di una raffinata oratoria e di grande fede, egli fu il campione di quell’ Umanesimo sapiente e cristiano[29] che a Venezia ebbe molti testimoni, e si pone come personaggio centrale e fondante nel dibattito filologico-filosofico del secondo Quattrocento. Figlio di Zaccaria Barbaro,l’ambasciatore, e nipote di Francesco, l’ autore del "De re uxoria"[30], all’ombra del padre, durante la sua lunga legazione a Napoli (1471-1473), Ermolao stringe rapporti con il circolo pontaniano, con Gaza, con lo stesso Pontano e con il Galateo, medico e letterato, da quest’ ultimo – in particolare - viene influenzato per il taglio scientifico della cultura[31] La scientificità del Galateo[32] e il piglio accesameente 15[32] ANTONIO DE FERRARIIS DETTO IL GALATEO, nato a Galatone (Puglia)1448 (non 1444 come si credeva) morto a Lecce 1517. Primi studi nel Gymnasium di Nardò, in Puglia = Magna Grecia → buona conoscenza di greco e latino direttamente sui testi greci e latini, poi studia FILOSOFIA E MEDICINA; a Ferrara conseguì il “Privilegium artibus et medicina” il 3 agosto 1474. 1490 re Ferdinando lo chiama a NAPOLI presso di sé come medico; 1494 re Ferdinando d’Aragona muore, rimane con Alfonso II, ma dopo la sua morte torna in Puglia, fonda, pare, l’Accademia Leccese. 1496 dialogo l’Heremita in latino. Visse tra Napoli e Gallipoli > Callipoli descriptio 1512-13. Dopo la definitiva caduta degli Aragonesi - 1501 - si ritira in provincia. È tra i sostenitori del potere temporale della Chiesa contro il Valla che aveva sconfessato la Donazione di Costantino (De falso credita et ementita donatione Constantini). 1501 va a Roma e a Giulio II porta la copia mss della donazione di Costantino. Opere di particolare interesse: Epistola ad Hermolaum Barbarum, Treviso 1481, che gli aveva dedicato la traduzione del Temistio, 1480; l’epistola è in linea con il programma della diffusione di un sapere enciclopedico e scientifico, voluto dal Barbaro, e dal G. condiviso. Entrambi sono contro le dispute filosofiche inconcludenti. Contro gli esegeti e gli scolastici - in particolare d’Oltralpe - astrusi ed inconcludenti: A TANTE INUTILI CHIACCHIERE È MEGLIO OPPORRE LA LETTURA DIRETTA DEI CLASSICI E L’EMENDAZIONE DEI LORO TESTI. Per il Galateo come per E. Barbaro L’ELOQUENZA VALE SE VEICOLA VALORI . TRA RES E VERBA (cioè tra concreti argomenti e modo di rappresentarli)SONO PREFERIBILI LE RES, CONTRO OGNI RICERCATEZZA FORMALE, per UNO STILE CHIARO E REALISTICO. Sull’argomento scrive: 1. Epistola Petro Summontio A. G. medicus genere = atteggiamento polemico verso la letteratura povera di valori e gonfia nelle forme, contro i grammatici, contro il Valla "grammaticulus" così come contro il Valla era il Pontano al tempo delle Elegantiae. 2. Epistola Belisario Aquevivo G. medicus o Vituperatio litterarum, del 1513,in cui ribadisce che le lettere non hanno il primato sulle altre arti, presa di coscienza del variare del ruolo della letteratura in relazione alle mutate condizioni sociali e politiche. La sua buona preparazione in greco lo fece ben accogliere in seno all’Accademia Pontaniana. In filosofia – COSÌ COME E. BARBARO - il suo uomo è ARISTOTELE TUTTO LETTO NELL’ORIGINALE TESTO GRECO secondo un abito di studi ben radicato in Puglia, LA STESSA PREPARAZIONE MEDICA sui testi di Ippocrate, Galeno, Dioscoride, Damasceno, Celso Asclepiade e Plinio si inquadra in quest’ambito e dimostra la > SUA FEDE SCONFINATA NEGLI ANTICHI SOPRATUTTO GRECI . DI CONTRO AL VALLA RIFIUTA UN CONCETTO IDEALE DI LINGUA PERFETTA E STABILE > il suo vocabolario latino è aperto a mille influssi (in polemica con il Valla): classici e tardi, dialettalismi,

contestatore, soprattutto nei confronti del malcostume della CHiesa lasciano traccia nella formazione del giovane Barbaro, che, tornato a Venezia, segue all’Università di Padova le

neologismi voci spagnole latinizzate, parole inusitate. (vd. il latino di Pontano, molto simile a quest’apertura). IN CAMPO RELIGIOSO ESERCITA IN MODO ESTREMO LA LIBERTÀ DI GIUDIZIO, NON È ETERODOSSO, MA SOTTOPONE AL RIGIDO, ANTICONFORMISTA VAGLIO DEL SUO GIUDIZIO STORICO-CRITICO TUTTA LA TRADIZIONE CRISTIANA, BIBLICA E NEOTESTAMENTARIA, (vd. Heremita dedicato ad Antonio Tolomei vescovo di Lecce dal 1485 al 1498, allo stesso dedica l’ep. De distinctione humani generis et nobilitate) per poi concludere con un sublime omaggio alla Madonna che tutti protegge ed ama. L’Heremita è del 1496, ha un’impostazione che ricorda il V del Purg., (Buonconte da Montefeltro, anime che si pentirono in punto di morte). Qui immagina che la sua anima si salvi, ma prima G. ottiene di essere condotto fuori della porta del Paradiso per spiare dentro e vedere chi arriva e come stanno. Nessuno lo vuole fare entrare perché quando uno è accusato, anche se è innocente è ben difficile che gli venga tolta l’ignominia. Nessuno lo fa entrare, così l’Eremita mette sotto accusa tutti, e a tutti fa le pulci, nessuno si salva, attacca meno degli altri Mosè‚ e san Luca, medico e suo protettore. Questo gli ottiene la protezione della MADONNA, che SOLA LO SALVA. IMPOSTAZIONE FUORI DA OGNI SOGGEZIONE DOGMATICA, che ritroviamo anche nell’Esposizione sopra il Pater noster unica sua opera in volgare, richiamo al mondo attuale e alla decadenza politica e religiosa, l’opera venne inviata in omaggio ad Isabella, vedova di Federico d’Aragona, nel 1507-08, quando venne a stabilirsi a Bari. Significativo lo spirito cui è improntata: PATRIOTTISMO DI CONTRO ALL’INVADENZA DEGLI SPAGNOLI STABILMENTE INSEDIATISI IN ITALIA; a questo si collega il De educatione per l’educazione di Ferdinando indirizzato al maestro di Ferdinando, Crisostomo Colonna: "italum accepisti […] italum redde, non hispanum"; G. è contro gli Spagnoli così come lo erano molti meridionali tra ’400 e ’500. Interessante è l’Epistola Ad Franciscum Caracciolum de beneficio indignis collocato sull’ingratitudine, la cui natura non si riesce a modificare. La sua opera testimonia il disagio degli umanisti di fronte alle tempeste politiche che sconvolsero il Regno e sradicarono la vita dell’Accademia. LA PROBLEMATICITÀ di fronte ALL’INSTABILITÀ DELLE COSE DEL MONDO è la sua cifra. OPERE: Opere a cura di S. Grande in “Collana degli scrittori di Terra d’Otranto”, Lecce, Tip. Garibaldi 1867-71, voll. II, IV, XVIII, XXII (vi figurano: De educatione, De dignitate disciplinarum, l’Heremita, Esposizione del Pater noster); Edizioni recenti: Catalogo delle opere a cura di P. Andrioli Nemola 1982; De situ Iapygiae, (in forma epistolare 1510), edito a c. di V. Zacchino, trad. di G. Miccoli, Lecce, Messapica 1975; successivamente a c. di N. Biffi, Modugno 2001, con traduzione a fronte; Epistolae ed. critica a c. di A. Altamura, Lecce, Centro di Studi salentini 1959 ; Epistole salentine, a c. di Michele Paone, Galatina, Congedo 1974; Epistola illustri viro Belisario Aquevivo, a cura di P. Andrioli Nemola, Galatina, Congedo 1991 ; Heremita a c. di E. Garin in Prosatori latini del Quattrocento, Milano-Napoli, Ricciardi 1952, pp. 1068-1124; Lettere – Testo, traduzione e commento di A. Pallara, Lecce 1996. Studi critici: N. DE BLASI – A. VARVARO, Napoli e l’Italia meridionale, in Letteratura italiana. Storia e geografia, II, Torino, Einaudi 1988, pp.235-325: 285-286; E. SAVINO, Un curioso poligrafo del Quattrocento: Antonio de’ Ferrariis (Galateo) accademico pontaniano, Bari 1941; S. MARTELLI, La Vituperatio litterarum di A. de’ Ferrariis, in P.A. DE LISIO – S. MARTELLI, Dal progetto al rifiuto. Indagini e verifiche sulla cultura del Rinascimento meridionale Salerno 1979, pp. 109-125; Verso Antonio Galateo: profilo bio-bibliografico e culturale con brani scelti, a cura di V. Zacchino, Galatina, tip. Panico 2001, pubblicato in occasione della mostra e del Convegno ivi tenutovi; ed ancora “Institutio principis” e ideale principesco in una corte meridionale. Belisario Acquaviva, Duca di Nardò, e Antonio Galateo, in Acta Conventus Neo-Latini Hafniensis, a cura di A. Moss et alii, New York MRTS, Bing e Hamton 1994. Di lui si ricordino almeno Antonii Galatei philosophi, et medici praestantissimi Liber de situ Japygiae, Neapoli, Maccarano Domenico 1624, ora a cura di N.Biffi, Modugno 2001, con traduzione aa fronte; L’ Episstola illustri viro Belisario Aquevivo, a c. di P. Andrioli Nemol, Galatina, Congedo 1991, le Epistole, ed. critica a cura di Antonio Altamura, Lecce 1959; le Epistole salentine, a c. di Michele Paone, Galatina, Congedo 1974, e gli studi di F. Tateo; ed il recentissimo Verso Antonio Galateo: profilo bio-bibliogragico e culturale con brani scelti, a cura di Vittorio Zacchino, Galatina, pubblicato in occasione della mostra e del Convegno ivi tenutovi.

lezioni di Nicoletto Vernia, di stampo fortemente aristotelico; negli anni in cui a Firenze si studia Platone e si punta alle traduzioni dal greco in latino, in Padova vigevano ancora vecchi testi di tradizione medioevale, e non nuove edizioni filologiche, Ermolao, ancora studente, nel 1479, traduce dal greco e commenta la Retorica, l’ Etica e la Politica, quelle opere che l’insegnamento patavino avevamesso in disparte. Si iscrive alla corporazione di artisti e medici, dunque, nonostante la sua profonda conoscenza dei testi degli autori greci, non si considera semplicemente letterato, e nel 1481 pubblica il Temistio, un commento alla parafrasi della Fisica di Aristotele[33], anticipato l’anno prima da un commento a Dioscoride, i Corollarii in Dioscoridem, testo di scienza medica, farmacologia e botanica. Del 1484 èun compendio di scienze naturali tratto dagli studi di Aristotele: Compendium scientiae naturalis ex Aristotele (verrà pubblicato solo nel 1544); in quello stesso anno si pubblica anche la sua Epitome librorum Aristotelis ethicorum. Lo studio sistematico della natura è dunque alla base della sua formazione filologico-scientifica e diverrà punto di forza nella stesura delle Castigationes Plinianae.[34] Ermolao mette in pratica nelle sue edizioni delle opere di Aristotele un criterio umile, ma scientificamente ineccepibile, applica il metodo dell’ intertestualità, collazionando ed emendando con una vigile attenzione all’usus scribendi dell’autore; si muove dunque sulle orme di LORENZO VALLA, anche per Ermolao come per il Valla il filologo deve postulare una stretta connessione tra res e verba, questa stretta interrelazione tra cosa e parola è alla base dell’esercizio filologico di Ermolao, e si intensifica quando il Barbaro stesso afferma la pari validità tra filologia e filosofia. La filosofia è intesa come ricerca del vero tra i tanti miti e superstizioni depositati neella tradizione, così come la filologia ricerca la verità nel testo. Pertanto Ermolao Barbaro fissa la pari validità tra filologia e filosofia, entrambe discipline alla ricerca del vero, ma con un’ estensione ulteriore rispetto a quanto già affermato da Lorenzo Valla, perché collega filologia e filosofia con la poesia. Dai colloqui veneziani col Poliziano il Barbaro intuisce che anche la poesia è testimone del vero, di quel vero che tutto domina nella dimensione del cosmo,che è bellezza e armonia. Anche la poesia è testimone di Dio, secondo un concetto già espresso dal Petrarca nel Canzoniere. Il Vero ricercato da Ermolao è una verità cristiana, secondo il profondo spirito religioso che lo anima, ed è una interpretazione che non rimase isolata se anche il Manuzio, pur nutrito di studi classici greci e latini, nel 1500 pubblica le lettere di santa Caterina e, nel 1502, una antologia dei poeti cristiani antichi, con un grande ritorno ad una cristianità vissuta in un senso più intimistico e profondo di quanto non lo fosse stato in tutto il precedente secolo, nel quale la religiosità era stata piuttosto un fatto di occasione, di costume, di liturgia sociale.

16[33] Che gli risponde con l’ Epistola ad Hermolaum Barbarum, Treviso 1481, lo scritto è in linea con il programma della diffusione di un sapere enciclopedico e scientifico, voluto dal Barbaro, e condiviso dal Galateo. Entrambi sono contro le dispute filosofiche inconcludenti, contro glli esegeti e gli scolastici - in particolare d' Oltralpe - astrusi ed inconcludenti: a tante inutili chiacchiere è meglio opporre la lettura diretta dei classici e l' emendazione dei loro testi. 17[34] La dimensione di attento registratore della realtà colta nei suoi aspetti scientifici aveva fatto supporre A. Ferriguto che il giovane dei “Tre filosofi” di Giorgione, tutto proteso a misurare, registrare, indagare la natura potesse essere Ermolao, vd, ID.,Attraverso i misteri del Giorgione, Castelfranco 1933; e Ancora dei soggetti di Giorgione, “Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, XCVIII (1938-39), pp. 271-290, e CII, 1942-43, pp. 403-4418 ; l’ ipotesi, ripresa da V. Branca è stata suffragata dallo stesso con stringenti argomentazioni , vd. Ermolao e il suo circolo, cit. p. 125.

Queste sono le basi su cui si fonda l’ Umanesimo veneziano, e saranno l’ humus, le linee guida della politica culturale di ALDO MANUZIO[36], il massimo editore dell' epoca, avviò un’ impresa per molti aspetti esemplare, grazie alla sinergia messa in atto dalle sue straordinarie risorse umane ed intellettuali e al suo eccezionale talento editoriale. Egli agì sempre fuori dello spazio universitario, contento di definirsi “gramaticus”[37], piccolo maestro nelle corti principesche dei Pico e dei Pio a Mirandola e a Carpi – Alberto Pio da Carpi fu il suo allievo prediletto, e negli anni rimase suo costante punto di riferimento. Quando il Manuzio arriva a Venezia da Carpi l’ arte della stampa era agli inizi[38], ed egli, con sicuro fiuto del momento fa propria la lezione di Ermolao, quella che puntava a riscoprire le opere di Aristotele nella loro stesura originaria, in greco, superando le storture e superfetazioni che si erano fissate nelle interpretazioni medievali. Da subito egli punta a pubblicare tutto Aristotele in greco (immagine 90), e lo dichiara nel suo programma editoriale, Oraganon, stilato nel 1495 in cui dice di voler pubblicare l’ intera opera del filosofo greco, e, a ruota, i suoi commentatori greci - non quelli arabi o scolastici - e dunque Simplicio, Porfirio, Alessandro, Temistio, proprio gli stessi che Barbaro e Gerolamo Donà avevano o tradotto o indicato come gli autori più vicini al pensiero di Aristotele, quelli cui il Barbaro ricorreva più frequentemente per spiegare i passi incerti di Aristotele. Nel contempo Manuzio punta all’ edizione di opere scientifiche e matematiche, così come aveva fatto Ermolao Barbaro[40]. La sua consumata conoscenza della lingua greca lo porta a dare corso ad una produzione di libri editi con i caratteri greci da lui stesso delineati. Tra gli umanisti italiani pochi potevano vantare un uso sicuro del greco, Poliziano, Pico, e non molti altri, ma ancora nessuno aveva pensato di farsi editore di testi in greco. Aldo in tal modo innova la tradizione umanistica italiana di prevalente indirizzo latino, chiama nel 1507 alla sua bottega[41] ERASMO, lontano dalla frequentazione della letteraria italiana, ma buon conoscitore dei testi greci, presente nel dibattito filosofico umanistico e al

18[36] Per l’ attività di Aldo Manuzio ho tenuto presente C. DIONISOTTI, Aldo Manuzio editore. Dediche. Prezioni. Note ai testi, Introduzione di Carlo Dionisotti, Testo latino con traduzione e note a cura di Giovanni Orlandi, Milano, Ed. Il Polifilo, 1975,(tip. Valdonega, Verona), voll. 2, ed in particolale l’ Introduzione di C. Dionisotti, pp. XI-XI, per gli anni delll' attività di Aldo a Venezia come e ditore(1495-1515), ma vd. anche M. LOWRY, Il mondo diAldo Manuzio. Affar ie cultura nella Venezia del Rinascimento, Roma, Il Veltro editrice 1984; Aldo Manuzio e l’ ambiente veneziano 1494 – 1515, a c. di S. Marcon e M. Zorzi, Venezia, Il Cardo 1994; Aldine Press Books at the Harry Ranson Humanities Research Center The University of Texas at Austin. A Descrriptive Catalogue by Craig W. Kallewndorf e Maria X. Wellwa, Austin, Harry Ranson Humanities Research Center 1998; e il non ancaora superato A.A. RENOUARD, Annales de l’ imprimerie des Aldes, Paris, J. Renouard 1834, poi in traduzioone italiana, Bologna, Ed. Fiammenghi 1953. 19[37] Significativo il fatto che, ancor prima di iniziare la propria attività di editore, egli pubblichi nel 1493 la sua Grammatica latina con Andrea Torresano da Asola, suo futuro suocero, e la sua ultima opera sia una Grammatica greca pubblicata postuma dal Musuro nel 1515. 20[38] Vd. N. POZZA, L’ editoria veneziana da Giovanni da Spira ad Aldo Manuzio, in Storia della cultura veneta, cit., 3, II, pp. 215-244. 21[40] Infatti già nel 1497 pubblica in greco la Historia plantarum di Teofrasto, e il Libellus de Epidemia, quam uulgo morbum Galliccum uocant del Leoniceno, i libri Astronomici di Giulio Firmico, nel 1499, e in quello stesso anno gli Scriptores astronomici veteres e di Dioscoride, il De materia medica. 22[41] Dove già erano attivi Marco Musuro, il Crisolora, Giano Lascaris, Gerolamo Aleandro.

forte valore innovativo di uno scaltrito uso della filologia[42] (vd. ERASMO DA ROTTERDAM). Aldo è tanto convinto della superiorità degli studi greci e della lingua greca su quella latina che ribadisce più volte l’ opportunità per conseguire una buona formazione umanistica di studiare contemporaneamente la lingua greca e quella latina, affermando la sostanziale subordinazione degli autori latini a quelli greci. Fin dall’ inizio della sua attività – e grazie alle sue avanzatissime scelte editoriali – Aldo figura in dialogo con i massimi esponenti della raffinata cultura veneziana tra Quattro e Cinquecento, Marin Sanudo, di cui è grande estimatore[43], il grecista Giorgio Valla[44], Pietro Bembo sono suoi amici ed interlocutori abituali. Del giovane Bembo pubblica nel 1495 il giovanile De Aetna[45], che coinvolgerà nell’ edizione di Petrarca[46] e di Dante[47]. La sua prima pubblicazione – del 1495 - è la Grammatica greca di Ccostantino Lascaris nel 1498 stampa il catalogo dei suoi libri greci, non di quelli latini, considerati quasi in subordine, come di minor rilievo, e vi figurano già 16 testi greci, più di quanto tutti gli editori italiani avessero fatto, tra questi, cinque volumi sono dedicati ad Aristotele. Nel luglio di quello stesso anno dà fuori Aristofane, considerato fondamentale non tanto perché autore non tanto di opere teatrali conosciute e rappresentate in Venezia, quanto come doviziosa fonte di conoscenza linguistica[48]. Di questa edizione interessa in modo particolare l’ introduzione scritta da Aldo perché vi leggiamo che la rinascita degli studi sarebbe passata attraverso lo studio della medicina e della matematica, apprese dalle fonti greche. E mentre i torchi di Padova e Venezia andavano buttando sul mercato l' Aristotele latino, Aldo – come abbiamo visto - lo pubblica direttamente in greco, con un’ operazione di sicuro successo editoriale, perché solo nelle edizioni aldine si può avere l’ impatto diretto con il pensiero originale del filosofo, e per questo i libri del Manuzio divengono punto di riferimento

23[42] Come stanno a dimostrare le famose edizioni del Novum Instrumentum, Basel, Froben 1516, e il Novum Testamentum, Basel, Froben 1519, che diverranno punti di riferim primari per gli studi che verranno e per le battaglie riformatrici. Nella vastissima bibliografia su Erasmo vd. almeno R.H. BAINTON, Erasmo della Cristianità, introduzione di Antonio Rotondo, Firenze, Sansoni 1970;M. BATAILLON, Erasme et l' Espagne, Genève, Librairie Droz 1991; Jh. HUIZINGA, Erasmo,Torino, Einaudi 1983;; e l’ Introduzione di E. GARIN all’ Elogio della follia, Milano, Serra e Riva, 1984. 24[43] Gli dedica infatti l'Opera omnia Politiani, pubblicata nel 1498, mon solo ma nel 1502 accompagna l’ edizione delle Metamorfosi di Ovidio coon un lettera a Marino Sanudo, lo stesso farà quasi in limine mortis nel marzo 1515, quando gli indirizzza una lettera nell’ edizione di Catullo, Tibullo, Properzio. 25[44] Il suo De expetendis, et fugiendis , opus pubblicato splendidamente in due grandi volumi in folio nel 1501 presso Aldo, è una delle massime ecnciclopedie scientifiche dell’ Umanesimo, ed ebbe a Venezia largo seguito (ne parla anche Marin Sanudo nel De origine, cit., p. 31). 26[45] Petri BEMBI De Aetna ad Angelum Chabrielem Liber, . In Aedibus Aldi Romani Mense Februario Anno .M. VD. 27[46] Le cose volgari di Messer Francesco Petrarcha. Impresso in Vinegia nelle case di Aldo Romano, nel anno .MDI. del mese di Luglio, et tolto con sommissima diligenza dallo scritto di mano medesima del Poeta, hauuto da M. Pietro Bembo. 28[47] Le Terze rime di Dante, Venetiis in Aedib. Aldi accuratissime. men. Aug. MDII. Agile volumetto in 8.vo, prima edizione della Divina Commedia in formato tascabile, esempio del new deal editoriale inaugurato da Aldo con la proposta di libri in sedicesimo.

irrinunciabile nel dibattito tra averroisti e tomisti che sempre più accesi si fronteggiavano, in contrapposizione con il neoplatonismo fiorentino. Il fiuto editoriale lo porta, pur non essendo Aldo seguace di Platone, a pubblicare nel 1497 i testi neoplatonici tradotti in latino dal Ficino, opera fuori dalla sua linea editoriale, ed infatti non accompagna la stampa – com’ era consuetudine - con una lettera introduttiva, ed è l' unica opera che egli stampi dei neoplatonici. Ma nel 1503 stampa l’ opera del Bessarione in difesa di Platone contro il Trapezunzio, e bisognerà attendere fino al 1513 per avere l’ edizione di Platone in greco[50]. Oltre al deciso, espliciito amore di Aldo per la lingua e il pensiero greco, quello che caratterizza la sua attività di editore è il taglio scientifico-naturalistico dei testi filosofici che egli edita. In questo mostra di essere entrato in sintonia con il carattere peculiare della cultura veneziana: concreto, scientifico, matematico, e si mostra vero erede del pensiero di Ermolao, che aveva accompagnato le Castigationes Plinianae[51], con uno studio di Temistio e di Dioscoride[52]. La filosofia intesa come astratto ragionamento non interessò né Ermolao né Aldo, ma prende valore quale chiave interpretativa del reale. L’ amore al mondo classico porta Aldo a mettere in essere una delle sue più alte realizzazioni, la stampa nel 1499 dell’ Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna[53], il suo capolavoro editoriale in cui il testo si coniuga con l' immagine (immagine 91), singolarissima edizione in cui l’ apparato iconico è di pari valore – e forse superiore - rispetto alla parte letteraria e la arricchisce, sconfinando nei suggestivi confini di un romanzo “archeologico-mitologico”[54]; è un in fol. (234 ff.) senza la prefazione di Aldo[55]; opera affascinante ed enigmatica, con citazioni che ci immettono direttamente nei filoni delle mode culturali dell’ epoca: le citazioni archeologiche, figurativamente espresse attraverso immagini reali o di fantasia di architetture e monumenti antichi, egiziani e greci, trascrizioni epigrafiche, - sfoggio di bravura antiquaria - accanto a reminiscenze medievali, soprattutto in quell’ esordio di ascendenza dantesca nel ricordo e nella rappresentazione iconica di una selva oscura. L’ opera, straordinario esempio della forza della confluenza di due codici espressivi: la parola e l’ immagine, grazie anche alla grande suggestione che in quegli anni esercitava la pittura veneziana[56], si pone davvero come l’ acme dell’ arte tipografica cui era giunto Aldo. è in volgare, e questo, a tale altezza cronologica, è una novità, segna un punto di svolta, indica che il Manuzio ormai si rivolge ad un pubblico diverso e nuovo, meno letterariamente attrezzato, ma più coinvolto negli stimoli di una - seppur raffinata – curiosità per l’ immagine – l’ ambiente veneziano era ben ricco di sollecitazioni in questo senso -; è una total-literatur* quella che si manifesta nella ardita scelta editoriale di Aldo, che con un colpo d’ ala si stacca dai suoi prediletti autori greci e latini, apre al mondo volgare. Il libro

29[50] Omnia Platonis opera dedicata a papa Leone X. 30[51] Su cui vd. sopra. 31[52] Che Aldo nel 1499 pubblica in greco e lo dedica a Gerolamo Donà. 32[53] Ambigua figura di monaco del convento domenicano di San Giovanni e Paolo a Venezia. 33[54] La definizione è di B. NARDI, nel bel saggio sopra citato, p. 128. 34[55] Il che sta a segnalare forse la non completa adesionee all’ argomento dell’ iniziativa editoriale presentata.

orchestrato tra "sterminate antichità visionarie”[57] e gli smemoranti oblii del sogno di Polifilo[58], e registra quei fermenti neoplatonici che ormai sono presenti ormai nella sensibilità del secondo Cinquecento[59]. L’ anno successivo, altro atto di coraggio innovatore, Aldo pubblica le lettere di santa Caterina da Siena. Il richiamo a Dio e alla religione cristiana diviene una nota ricorrente nelle edizioni fin dall’ esordio, nel 1497, i Salmi, l' Ufficio della Vergine[60], i testi dell'antica letteratura cristiana sia greca che latina e volgare[61] sono accompagnati da prefazioni in cui si manifesta un sincero, semplice, non problematizzato spirito religioso. Rivestono valore simbolico per la completezza dell’ edizione le Epistole raccolte da Bartolomeo de Alzano da Bergamo,[62]; le lettere – 368 - tutte in volgare, sono una raccolta di molto superiore all’ edizione precedente, Bologna 1492, che presentava solo 31 scritti. In questa nuova stampa figura un corredo iconografico – seppur molto ridotto rispetto a quello del Polifilo - è riprodotta la figura a tutto campo della santa che regge con la mano destra un libro aperto e con la sinistra un cuore. Sul libro si legge la scritta: "Jesu dolce Jesu amore", e sul cuore: “Jesu”, segno di una devozione legata ad una pietà popolare e tradizionale. Significativa la data, il 1500, anno epocale, che segna il passaggio dai densi umori del Medioevo alle aperture, squilibri, affanni, inquiete solarità dell’ epoca moderna; significativa anche la decisione di mettere sul mercato un’altra opera in volgare dopo la splendida iniziativa dell’ anno precedente. In Aldo è ormai maturata la disillusione per l’ ntellettualismo dei filosofi che non salva l’ uomo. Stendendo la prefazione al terzo volume di Aristotele attacca i filosofi, "incolti, scellerati, eretici, privi di una qualsiasi fede religiosa", e se la prende anche contro i principi, corrotti e abietti, responsabili dell' attuale crisi politica morale[63]. Non ci stupisce dunque se, anche affrontando Aristotele, preferisca pubblicare le opere scientifiche e naturalistiche, lontane dai pseudodogmatismi delle discussioni filosofiche che - l’ aveva constatato – non sortiscono niente di buono. Anche per questo Aldo si volge alla poesia – non dimentichiamo che l’ anno 1500 è l’ anno delle Epistole di santa Caterina, ma anche del De rerum natura di Lucrezio[64] - e dunque in questi primi anni del Cinquecento la casa di Aldo è una fonte continua di edizioni di poeti,

35[56] Sull'argomanto si veda almeno A. GENTILI, Bessarione sì e no nel ciclo di Vittore Carpaccio per la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Roma 1993; ID., Le storie di Vittore Carpaccio, Venezia, i Turchi, gli Ebrei, Venezia 1996. 36[57] Vd. F. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, riproduzione dell' aldina del 1499. Introduzione, tradizione e commento di Marco Ariani e Mino Gabriele, Milano, Adelphi 1998, voll. 2, in cui vd. l’ introduzione di Mino Gabriele, Il viaggio dell' anima, p. XVII. 37[58] Sul valore dell’ opera vd. anche la non superata Introduzione di G. Pozzi, a F. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, 1499, a cura di Giovanni Pozzi e Lucia Ciapponi, Padova, Antenore 1980. 37[59] Dalle Stanze per la giostra del Polizianoall’ Arcadia del Sannazaro. 38[60] Nel 1503 escono le Origenes Homiliae; i Carmina di Gregorio Nazianzeno tradotti dal greco (1504), al Libro d’ ore nel 1505, ristampa delle Horae beatiss. uirginis secundum consuetudinem romanae cuiae, Septem psalmi poenitentiales cum Letaniis et orationibus pubblicate in greco nel 1497, agli esordi della sua attività. 39[61] I Poetae Christiani veteres, Venetiis apud Aldum mense Ianuario. MDI. [ma 1502], 2 voll. 40[62] Venezia, Aldo 1500. Accuratissimo in folio di 442 ff. Le lettere sono stampate con un nuovo carattere corsivo, agile e veloce, il “corsivo umanistico” in uso tra gli amanuensi di formazione umanistica. 41[63] Anticipa di quasi tre decenni l’ amara conclusione del IV libro del Cortegiano di B. Castiglione.

senza discriminare tra greci, latini e volgari. Messe da parte le impegative edizioni a carattere grammaticale o retorico[65] si butta a stampare i best-sellers della nostra tradizione letteraria volgare, non solo, ma anche greca e latina. è una profluvie di libri che vengono messi sujl mercato in ujn breve giro d’ anni. E nel 1502 inaugura il NUOVO CORSIVO delineato da Francesco Griffo di Bologna, molto simile a quello usato dagli amanuensi di formazione umanistica (vd. il sito di Istituzioni di filologia medievale e umanistica del prof. G.C. Alessio http://lettere2.unive.it/alessio), che gli permette di creare una nuova linea editoriale quella dei libri tascabili in 16°. E’ una scelta in linea con i tempi, significativa: è finito l’ epoca del paziente lavorio sui testi che necessitava di ampi margini su cui fissare le chiose, o le lezioni difformi (immagine 92); ora il mercato librario si rivolge a una categoria di lettori diversi e dinamici, gente colta, che ha poco tempo da dedicare allo studio, gente che viaggia, ed ama portare con sé libri piccoli, poco ingombranti, magari per rileggere autori già noti. Sono testi senza commento, non per studiosi ma per intenditori, gente non più interessata al periglioso cammino dell’ edizione critica, è un nuovo pubblico, quello ormai del Rinascimento, che viene conquistato da questa linea editoriale. E fu per Aldo un eccezionale successo. Secondo questo nuova visione escono nel 1501 Virgilio, Orazio, Petrarca, Giovenale, Persio, Marziale in un intreccio tra poeti classici e moderni che tiene conto del mutato gusto del mercato, così nel 1502 escono Ovidio, Lucano, Stazio, Dante, Catullo, Tibullo Properzio, e Le Familiares di Cicerone, i Detti Memorabili di Valerio Massimo. E sembra essere un tempo inenarrabile quello che separa questi libri dalla stampa della Cornucopia di Nicolò Perotti[66], il monumentale commento a Marziale, che costituisce una delle grandi prove della filologia italiana sulla strada indicata da LORENZO VALLA. L’ edizione – splendida – constava di 700 pagine numerate - non più carte - arricchita da un utilissimo indice analitico, potrmmo dire: contenuto antico entro una struttura modernizzata. POI verrà la stagione di Erasmo, con la traduzione dell’ Hecuba di Euripide e la splendida, raffinata edizione degli Adagia, un stupendo in folio. Collaborazione fondamentale, quella di Erasmo, che la dice lunga sul reale taglio culturale di Aldo – che rimane classsico -, e la sua volontà di aprirsi ad un orizzonte europeo e cristiano. E questa sua scelta,anticipata dalla presenza nella sua bottega di Reuchlin, dà il segno della tempra dell’ Umanesimo veneziano, speso tra impegno filologico e filosofico, diretta e paartecipata esperienza del reale, e pietà cristiana. Un posto a sé merita MARIN SANUDO il giovane (Venezia 1466-1536), di cui non è stato ancora appieno valutata la valenza culturale. Personalità prismatica e non unidirezionale; riduttivo dirlo sbrigativamente “cronista”, è figura di frontiera, tra profondo rinnovamento di un’ età in rapida evoluzione e persistenze medievali. Sanudo uomo di varia, poliedrica cultura - lo attestavano i 6500 volumi della sua biblioteca 42[64] T. LUCRETII CARI, LIBRI SEX NUPER EMENDATI, Venetiis, accuratissime apud Aldum, mense Decembri M.D, accompagnato da una epistola di Alldo ad Alberto PIO. 43[65] E’ appena il caso di ricordare gli Erotmata di Costantino Lascaris, con cui nel 1495 inizia la sua attività, i Theodori [Gaza] Introductivae gammatices libri quatuor di quello stesso anno, il Thesaurs Cornucopiae & Horti Adonidis, in greco con traduzione latina, del 1497, la Grammatica greca dello stesso Aldo, uscita per le cure del Musuro nel 1497, e di quello stesso anno, il Dizionario greco, e l’ imponente edizione della Cornucopia di N. Perotti, di cui diremo.

– si interessava di letteratura teatrale, nella sua biblioteca ora dipersa figuravano Plauto e Terenzio trascritti sia in latino sia nei volgarizzamenti pronti per andare in scena[67], la completa bibliografia dei poemi cavallereschi, raccolte epigrafiche in 2 voll di suo pugno[69] sono annotate molte iscrizioni [70] , trascritte molto precisamente. Ma soprattutto la sua attività prevalente ssi esplicò in campo storico, eppure non ha mai trovato un editore che volesse pubblicare i suoi molti, ponderosi lavori. Nondimeno, nel panorama della Venezia umanistico-rinascimentale egli era stimato come figura di non comune rilievo: Zaccaria Barbaro, il padre di Ermolao, lo storico M.A. Sabellico, l’ Egnazio, Antonio da Marsilio, Domenico Querini, fra’ Filippo Foresti da Bergamo gli manifestano la loro stima. Non per niente il Manuzio, uomo dal fiuto fino per scegliere utili protettori, nel 1498 gli dedica l’ Opera omnia Politiani, e l’ accompagna con una epistola che è un aperto atto di adulazione per la “singolare dottrina” sanudiana, e ripete encomi e lodi anche nell’ edizione de le Metamorfosi di Ovidio (1502), nel marzo 1515 l’ edizione di Catullo, Tibullo, Properzio- una delle ultime di Aldo – ancora una volta è deidcata al Sanudo. Egli è cnosciuto soprattutto per la sua instancabile attività di diarista – dal 1496 al 1533 annota quoitidianamente tutti i movimenti privati, pubblici e politici della vita veneziana[71] – accanto alla sua inesausta attività di registratore “in diretta” si pone però la capacità dello storico che fissa in una prosa nervosa, essenziale, a volte disarticolata per un’ interna ansia di coprire ogni particolare, il racconto dei fatti antichi delle vita di Venezia, da Le vite dei Dogi, umanista, ma non “letterato da cubicolo”, agisce liberamente mosso da spirito di conoscenza, fuori dalle impostazioni della scuola. Non si era addotorato, ma mostra una scaltrita consonanza con i gusti umanistici; attento alle presenze degli umanisti attivi in Venezia, ne registra gli incarichi e i ruoli, da Benedetto Brugnoli, a Giorgio Valla, Antonio Corner[72], così come si mostra buon conoscitore degli storiografi umanisti: F. BIONDO; Sabellico, lui che era scrittore di storie, apprezzate, ma senza positivi esiti editoriali. Riscosse tante lodi, tuttavia il suo volgare è sentito come uno strumento stonato nel ben intonato coro degli scrittori di successo, la sua lingua non ha assunto le cadenze della prosa letteraria toscana, è rimasta lontana ed indipendente, ma senza consensi letterari. Troppo legata all’ affabile parlata veneziana per essere codificata entro canoni di scrittura percorribili a livello nazionale.

44[66] Pubblicato solo qualche mese prima, nella seconda metà del 1499, [NICOLAI PEROTTI] Cornucopiae sive linguae latinae commentarii. 45[67] Vd. G. PADOAN, La raccolta di testi teatrali di Marin Sanudo, in Momenti del Rinascimento veneto, Padova, Editrice Antenore 1978, pp. 68-93, che registra come accanto ad autori moderni figurino nella biblioteca sanudian L’ Asinaria di Plauto anche in traduzione: El penolo, assieme ai Maenechmi, al Miles gloriosus, e allo Stichus. 46[69] Vd. A. CARACCIOLO ARICO', Una testimonianza di Marin Sanudo umanista: l'inedito De Antiquitatibus et Epitaphiis, in Venezia e l'Archeologia, Atti del Congresso Internazionale - Venezia 25- 29 maggio 1988, "Supplementi" 7, 1990, pp. 32-34; 23; EAD., La più vasta silloge di iscrizioni spagnole del primo Cinquecento italiano: Il cod. marciano, lat., cl. XIV, CCLX (=4258), in Atti del Congresso Internazionale Venezia, l'archeologia e l'Europa, Venezia 27 - 30 giugno 1994, "Supplementi" 1996, n. 17, pp. 26- 38. 47[70] Tanto da divenire fonte, per la Spagna, di T. Mommsen per il Corpus inscriptionum latinarum, in cui è pienamente documentato lo scrupolo del registratore attento e minuzioso. 48[71] I Diarii (1496-1533) di MARIN SANUDO, a cura di R. Fulin, F. Stefani, N. Barozzi, M. Allegri, Venezia, Tip. del commercio 1879-1903, voll. 58.

E’ vero che alla fine del Quattrocento non esisteva ancora una grammatica del volgare, e dunque in assenza di una normativa, tutti gli esiti potevano considerarsi accettabili, ma ormai un grande come Aldo, pur nutrito di spiriti classici, apre - proprio al finire del secolo (1499) –lo abbiamo visto più sopra - sul versante della cultura volgare toscana e, ancor prima di avviare le due edizioni di Petrarca e Dante, mette in essere l’ Hypnerotomachia Polyphili, in cui non hanno campo né il greco, né il latino, pur a lui così cari, ma il volgare, un volgare non facile, né tutto veneto né compiutamente toscano, splendido esempio di sinergia tra due codici espressivi: quello figurativo e quello linguistico. E l’ anno successivo, il 1500, erige un monumento ad una forma letteraria più umile, pubblicando in volgare le lettere di santa Caterina [74] In questi stessi anni le commedie di Ruzante, nell’ ostica parlata pavana, riempivano palazzi e conventi per le rappresentazioni di carnevale, quelle stesse che permettevano ai giovani patrizi delle Compagnie di Calza di fare sfoggio della loro acquisita bravura letteraria. Il volgare, anche a Venezia, si era ormai affermato, e su registri diversi, aperto agli influsssi della “vita in diretta”, si muoveva entro il dominio di una concreta fruibilità, libera dalla costrizione di modelli o di ben precise regole grammaticali. Eppure Marin Sanudo non trovò un editore che volesse pubblicare le molte opere in volgare che era andato assiepando fin dalla prima giovinezza. Così rimasero inediti l’ Itinerario con i Sindaci di Terraferma, del 1483, il De origine, situ et magistratibus, dedicato al doge Agostino Barbarigo nel 1487 con la speranza di trovare un patron che lo aiutasse a trovare un editore é trovarono chi le stampasse Le vite dei dogi, i tre ponderosi volumi dedicati alla storia di Venezia dalle sue origini al 1494, né la Spedizione di Carlo VIII, stesa dal 1494 al 1496, proprio a ridosso di quei drammatici avvenimenti, né troveranno editore i Diarii, 1902, 58 monumentali volumi che, nell’ agitato periodo dal 1496 al 1533 seguono il farsi della vita nell’ intero bacino del Mediterraneo, nell’ Europa continentale e in Venezia – che è quanto a dire nel mondo intero. Niente. Nessuno gli diede spazio. Grandi lodi ma per le opere di Marino non vi fu apertura.Ad altri andarono la gloria e l’ onore, a Marcantonio Sabellico, e poi a Pietro Bembo, che si impelagarono tronfiamente in una storia latinamente composta, lavoro oratorio, mummificato dall’ ufficialità, in cui la verità - anima della storia - è relegata in una dimensione subalterna rispetto allo sfoggio di una tornita, vacua eloquenza. Marino rimane fuori, escluso. Utilizzato solo come serbatoio di notizie, stipato magazzino di fatti e persone. C’ è da chiedersi perché. Forse la ragione più plausibile è da reperire nella retorica[80], o meglio: nella assoluta mancanza di retorica delle molte pagine del Sanudo. Proprio in ragioni linguistiche e stilistiche va ricercato il motivo del suo “fallimento”. Troppo diretto e corsivo lo stile di Marino, eccessiva la congestione di notizie, assiepate con un taglio paratattico che tutto livella e accomuna. La narrazione storica che fissa le memorie patrie e genera gloria e onore, quella, per

49[72] Ne dà notizia nel De origine, cit., p. 31. 50[74] Vd. più sopra.

intenderci, livianamente intesa, quella di cui, appunto, aveva bisogno Venezia nel numinoso passaggio dal Quattro al Cinquecento (la débacle di Agnadello è alle porte), andava stesa in altro modo. Non per niente Giovanni Conversini fin dagli inizi del Quattrocento nella Dragmalogia accusa i Veneziani di grettezza e si spinge a dire che preferiscono nutrire a casa loro un cane piuttosto che un letterato o un filosofo, e rincara la dose sostenendo che per loro vale più un palazzo pieno d’ oro che una produzione storiografica che si attesti sui parametri della fama e dell’ onore, così i Veneziani hanno perduto l’ occasione di consegnare alla storia la memoria del loro grande passato[81]. Tutti i torti non li aveva. La prosa dimessa, colloquiale e quotidiana della vasta produzione cronachistica veneziana in cui il continuo processo di fatti grandi e minimi di Venezia – ricordiamo almeno alcuni nomi di cronisti veneziani, attivi tra il secondo Trecento e la fine del sec. XV, da Enrico Dandolo[83], a Giorgio e Pietro Dolfin[84], Antonio Morosini[85], Ger. Priuli[86], M. A. Michiel[87] - era fissato in un volgare intriso di termini turcheschi, arabi, croati, schiavoni, grecheschi, che con molta difficoltà avrebbe potuto essere recepito fuori da domini della Serenissima. C’è in questi scrittori – ed anche in Sanudo – la splendida, ma illusoria, convinzione che Venezia sia il Mondo, e che la koiné linguistica veneta sia la moneta buona da spendere in tutto il mondo che conta, il mondo del “Trafego”, luogo mutevole, dinamico e perennemente autogenerantesi della mercatura, in cui Venezia fino agli estremi anni del Quattrocento la faceva da padrona (immagine 97, 98). Il confine della lingua dei Veneziani era segnato dagli itinerari delle ampie vele spiegate di navi, cocche e galee, o dalle carovaniere che ad Oriente si spingevano sempre più oltre a ripercorrere le vie della seta e delle spezie aperte da Marco Polo. Ma un altro plus ultra si era affacciato sulla storia.

51[80] Sul peso della retorica vd. L. RITTER SANTINI e E. RAIMONDI, Retorica e critica letteraria, Bologna 1978; E. RAIMONDI, Poesia come retorica, Firenze 1980; P. VALESIO, Ascoltare il silenzio, Bologna 1986; E. RAIMONDI, La retorica d'oggi, Bologna 2002. 52[81] Vd. A. CARACCIOLO ARICO', Venezia al di là del mito negli scrittori tra Quattrocento e Cinquecento, cit. 53[83] La cronaca veneziana detta di Enrico Dandolo, conservata in copia del sec XV ex, all'Ambrosiana di Milano (B.A.M., H 85 inf.), è una delle prime testimonianze della cronachistica veneziana, risale infatti al periodo 1360-62. Sul valore della cronaca, vd. A. CARILE, La cronachistica veneziana (secoli XIII-XIV) di fronte alla spartizione della Romania nel 1204, Firenze 1969, pp. 45-64. 54[84] La cronaca di Giorgio Dolfin è inedita alla B.N.M. (mss. It. cl. VII, 794=8503), vd. A. CARACCIOLO ARICO', Nel gran mare delle cronache: la "Cronaca veneta" di Giorgio Dolfin, in La "Cronaca dela nobil cità de Venetia et dela sua Provintia et Destreto" di Giorgio Dolfin (1396-1458), in Pietro Spezzani. In memoriam, "Quaderni veneti", 33-34, a cura di E. Burgio, Ravenna 2003, vol. 2: I, pp. 17-32. La cronaca di Pietro Dolfin è una delle fonti principali del Sanudo, tra tutte la più nominata nel corpo de Le vite dei Dogi a cui Sanudo riconosce il ruolo di fonte su tutte attendibile, vd. A. CARACCIOLO ARICO', Introduzione a MARIN SANUDO il GIOVANE, Le vite dei Dogi (1474-1494), Padova-Roma 1989-2001, pp. XXXIII, XXXIX-XLII e nota 70; P. DOLFIN, Petri Dolphini Annalium Venetorum Pars quarta, Diarii veneziani del secolo decimosesto, a cura di R. Cessi-P. Sambin, Venezia 1943. 55[85] A. MOROSINI, Chronique d'Antonio Morosini; introduction et texte, a cura di D.G. Lefèvre-Pontalis-L. Dorez, Parigi 1898-1902, voll. 4; A. MOROSINI, The Morosini Codex, I, To the Death of Andrea Dandolo (1354), edited by M.P. Ghezzo-J.R. Melville-Jones-A. Rizzi, Padova 1999; voll. 2 condotto con un criterio editoriale non facilmente condivisibile. 56[86] G. PRIULI, I diarii, ed. A. Segre-R. Cessi, in R.I.S., Nuova edizione, Tomo XXIV, parte III, Bologna 1912-41.

La scoperta di terre impensate ad ovest delle colonne d’Ercole, e la rotta del Capo di Buona Speranza spostano l’ asse politico da Oriente ad Occidente a livello mondiale ed europeo: la vita aveva preso un altro corso. I parametri di valutazione cambiano. Anche in Italia. La politica culturale di Lorenzo aveva imposto il ruolo egemone di Firenze e la Toscana dai grandi del Trecento a POLIZIANO. Venezia - senza accorgesene – era passata da una splendida autosufficiente Signoria (la “Dominante”, la “Serenissima”, questi gli applellativi che la designano) ad un drammatico fuori campo. Anche letterariamente. Venezia è isolata. Urge un adeguamento. Di qui, in campo storico, la decisione del Consiglio dei X, del 1516 che solennemente dichiara: “La reputation è uno dei principi fondamentali dello Stato”, la si consegue con i “facti”, ma necessaria è la loro memoria. Dunque il ricordo non andrà fissato nella grezza ruvida messe delle cronache , ma nel fluire di “floride historie” composte da “scriptori” e non da storici. Il gioco è fatto. L’ aulicità viene assunta come fattore primario, più del documento e dell’ interpretazione. Sanudo è fuori. Rincorrendo le “floride historie” degli scriptori, la Serenissima si rivolgerà non a lui ma al dotto umanista Andrea Navagero, e morto questo non a lui ma a Pietro Bembo, leader nel campo della letteratura nazionale., affinché non in volgare – lui maestro consacrato del nuovo idioma letterario – ma in latino, la lingua della massima celebrazione, allestisse una storia degna del fasto di Venezia. Tuttavia il volgare “ciabattante” della cronaca sanudiana, inesuasta ricezione e inesauribile propalazione (Benzoni) inventiva mescidanza, fatta di italiano e latino, in cui la parlata dei Veneziani s’ impasta con il volgare “di là da Mar” (Folena), linguaggio in presa diretta, “tranche de vie”, scarna, essenziale registrazione sui fatti, mantiene una sua forte giustificazione. E si connette con la volontà di testimoniare il vero, i fatti come si sono svolti nella loro realtà, testimonianza che mal sopporta eleganze rifinite o lenocinii formali. Il Vero rimane nella coscienza degli storici-cronisti veneziani (Dolfin, Priuli, Sanudo) - e non degli “scriptori” - come il necessario fondamento della narrazione. La “diegesis alethés” cioè la narrazione della verita’ è la vera ossessione di Sanudo, “e questo è potissimo nelle historie, narrar la verità”, più volte ripete, che, se lo spiazzò dal campo più proprio della elaborazione retorica e dunque della letterarieta’, pose le sue opere in grembo al filone delle scritture–documento, legate alla concretezza del fatto e alla sua testimonianza diretta. Del resto quella del narrar con verità è lezione che viene da lontano, condizione ineludibile – come sottolinea Albano Biondi – del narrare storico. Da questa dimensione, che pone la dignità della cronaca proprio nella attestazione della verità, deriva come necessaria conseguenza quella dell’ utilità dello scrivere per tutti. Per questo su tutto prevale nelle scritture sanudiane la forza del documento –riportato secondo una volontà di testimonianza “empirica”, nelle registrazioni dei suoi scritti incontriamo lettere di privati e di ambasciatori, resoconti in diretta, trattati ufficiali, perché quello che vale è l’ atto testato, valgono le relazioni con valore di documento, vale anche la testimonianza delle cronache –spesso familiari, non i racconti medievali, ricchi di leggende e superstizioni.

Marin Sanudo supera l’ umanesimo di bottega, ancorato allo sfoggio di stucchevoli bravure retoriche, punta invece ad una storia documentata e verificabile, registrata, per di più, nel sermon materno “acciò tutti, dotti e indotti possano leggere e intendere”[89] (immagine 99). Così Marin Sanudo il giovane è figura di passaggio, in bilico tra erudizione medievale che affastella e assiepa notizie reali e fantasie popolari in pagine stilisticamente incuranti di eleganze formali, e la sensibilità nuova, ormai rinascimentale, quella non più e non solo del pubblico dei letterati, ma dell’ uomo nuovo, di “dotti e indotti”, di politici e di lettori comuni, che cercano il fatto nelle sue coordinate reali e verificabili, consapevoli che l’ esperienza e il documento hanno una ben diversa e forte valenza rispetto alle eloquenti cadenze di una prosa costruita sui parametri letterari, quali il Bembo aveva indicato, in campo storico, senza successo. ANGELA CARACCIOLO ARICÒ

58[10] Figura emblematica di un umanista di professione, egli non veneziano, ma veronese (1374 Verona – Ferrara 1460), segue nella sua formazione modi diversi da quelli tipici del patriziato veneziano, egli percorre le tappe canoniche con cui si foggia la carriera di un umanista “professionale”: discepolo di Giovanni di Conversino a Paddova alla fine del '300, ebbe la formazione decisiva da Manuele Crisolora che Guarino seguì COME SUO SEGRETARIO a Costantinopoli nel 1403, negli anni 1403 –1408, sulla sua fortunata carriera.

57[87] Dei Diarii (1511-1520) di Marcantonio Michiel (1486-1552) conservati alla Biblioteca del Museo Correr (Fondo Cicogna 1022=2848), il Centro di Studi Medievali e Rinascimentali "E.A. Cicogna" sta approntando l'edizione informatica. 58[89] A. BIONDI, Tempi e forme della storiografia, pp. 1075-1116.