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MACHIAVELLI Centro Studi Politici e Strategici Dossier del MACHIAVELLI Dossier del Machiavelli, n. 7 18 Settembre 2018 L’immigrazione in Italia nel XXI se- colo Economia, società e sicurezza: prospettive e politiche adottabili AUTORE: Carlo Sacino Università di Pavia

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MACHIAVELLICentro Studi Politicie Strategici

Dossierdel MACHIAVELLI

Dossier del Machiavelli, n. 718 Settembre 2018

L’immigrazione in Italia nel XXI se-coloEconomia, società e sicurezza: prospettive e politiche adottabili

AUTORE:

Carlo SacinoUniversità di Pavia

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L’immigrazione in Italia nel XXI secolo

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♦ L’immigrazione è divenuta il tema politico centrale per eccellenza, su cui sivincono o perdono le elezioni negli ultimi anni. Tenendo conto delle esperienzedi altri paesi occidentali si possono capire quali rimostranze da parte dell’elettoratotrovino giustificazione.

♦ A causa della prolungata stagnazione e dell’elevata disoccupazione in Italia, ènecessaria una svolta mirata a premiare una immigrazione di qualità, ponendolimiti dal punto di vista quantitativo, in modo da evitare sovrapposizioni nelmercato del lavoro deleterie dal punto di vista sociale.

♦ Una politica di tipo restrittivo è giustificabile anche sotto l’aspetto dell’inte-grazione: l’eccessiva diversità etnica e culturale riduce la coesione sociale el’Italia dovrebbe evitare di ripetere le esperienze di auto-segregazione osservatein altri Paesi.

♦ Il modello di città-sviluppo per la protezione dei rifugiati in Paesi sicuri edallo stesso tempo vicini alle aree di conflitto, con una ripartizione dei costi tra iPaesi ricchi, garantirebbe la suddivisione delle competenze in base al principiodi vantaggio comparato, compatibile con gli obblighi umanitari sanciti daldiritto internazionale.

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SOMMARIO ESECUTIVO

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1. INTRODUZIONE

L’immigrazione è il tema divisivo per eccellenzadella società moderna. Da una parte c’è chi ritiene lamobilità internazionale una componente fondamentaledelle società aperte, in grado di arricchireeconomicamente e culturalmente le stesse, dall’altrachi evidenzia i problemi derivanti da un approccioeccessivamente ottimistico e utopico, sia dal puntodi vista economico che da quello culturale, ma ancheda quello della sicurezza e dell’identità.

Nell’Aprile 2018, un sondaggio di Yougov1 riguardoai problemi prioritari dell’Unione Europea ha trovatotra i popoli europei un consenso transnazionale edunanime: immigrazione e terrorismo. Solo l’Italia,

che tra l’altro finora è stata risparmiata dal terrorismoislamico, forse anche a causa del suo ritardo su temiprogressisti quali la società multiculturale, ha avutoun’opinione leggermente diversa: immigrazione edisoccupazione. L’immigrazione è quindi in assolutoil tema politico che desta più preoccupazione per glielettori dell’Unione Europea. La classe politica cheha governato sin dal dopoguerra, finora, si è dimostrataincapace di rispondere adeguatamente alle richiestedell’elettorato. Quei partiti che hanno risposto conun atteggiamento snob ed elitario verso la protesta,spesso proveniente dalle classi più basse, insistendosulla superiorità morale, economica e sociale delproprio modello, principalmente identificabili con

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2. ECONOMIA E LAVORO

Teoria e pratica

La teoria economica sulla quale si fondano granparte delle politiche migratorie moderne è di seguitoriassunta. Supponiamo che ad un paese, con unadeterminata popolazione iniziale, sia aggiunto unsegmento di popolazione aggiuntivo. Questapopolazione extra, inizialmente senza lavoro, andràa competere con i lavoratori nativi per beni pubblici(scuola, ospedali ecc.), posti di lavoro e abitazioni,generando, per quei settori in cui gli immigrati vannoa competere, un abbassamento dei salari, a cuicorrisponde un aumento dei prezzi immobiliaridovuto alla maggiore richiesta di abitazioni. Lamanodopera abbondante però, unita al basso costodel lavoro, attrae investimenti, mentre i prezzi altinel settore immobiliare stimolano la costruzione dinuove unità, cui si unisce un aumento dell’investimentopubblico nei servizi di assistenza sanitaria e nellascuola. Gli immigrati che lavorano contribuisconocon il proprio reddito ad uno stimolo dei consumi,generando quindi un aumento della domanda, a cuii produttori risponderanno con un aumentodell’offerta, assumendo lavoratori. Il gettito fiscaleprodotto dagli immigrati inoltre serve a finanziaregli investimenti pubblici sopra menzionati. Ladisoccupazione inizialmente generata viene quindiriassorbita grazie all’espansione dell’economia; ilavoratori nativi, inizialmente spiazzati nel brevetermine, nel lungo periodo riescono a riacquistareun livello di benessere eguale se non addiritturasuperiore alla situazione pre-immigrazione, mentreper quanto riguarda i lavoratori immigrati, il lororeddito è aumentato, così come lo è nel suo complessola dimensione dell’economia (il prodotto internolordo o PIL). L’autorevole rivista britannica “theEconomist” ritiene addirittura che un mondo dai“confini aperti’’ sarebbe di $78 trilioni più ricco2.

Dopo alcuni decenni di crescente immigrazione

verso i paesi dell’Europa occidentale, la ricercaaccademica ha scoperto alcune falle in questo modelloteorico. Innanzitutto, i benefici dell’immigrazioneper l’economia del paese si verificano solo in assenzadi recessioni, che nel mondo reale avvengono invececon una cadenza regolare. In secondo luogo, possonovolerci tra i cinque e i dieci anni prima che unsistema economico riesca ad assorbire un singolo,sostanzioso, incremento di lavoratori - gli immigratiappunto. I flussi migratori assorbiti invece dai paesidell’Europa occidentale negli ultimi 20-25 anni sonostati tendenzialmente non solo continui, ma crescentinelle dimensioni. Lo spiazzamento dei lavoratorinativi in tal caso diventa permanente, andando acreare malcontento, a causa del calo del benessereeconomico. La lamentela della classe operaia “gliimmigrati ci rubano il lavoro’’ potrebbe essereesagerata, ma non priva di fondamento3.

Gli effetti negativi dell’immigrazione tendono adessere diversi: in Europa, a causa delle regole suisalari, gli effetti salariali sono più limitati di quantonon lo siano negli Stati Uniti. tuttavia gli effetti dispiazzamento dei lavori nativi sono più accentuatied osservabili in particolar modo sulla partecipazioneal mercato del lavoro. C’è evidenza infatti chel’immigrazione scoraggi lavoratori disoccupati dalcercare lavoro e rimanere attivi4. Nel caso britannicoquesto è particolarmente vero per quanto riguardala popolazione maschile: è stata stimata una perditadi ottantatre posti di lavoro di individui di generemaschile per 100 posti di lavoro ottenuti da immigrati5

durante periodi di recessione e disoccupazione alta,mentre lo spiazzamento risulta essere contenutodurante periodi di crescita elevata e disoccupazionebassa. Infine, nell’esperienza britannica, immigratiprovenienti dall’Europa tendono ad avere competenzepiù elevate rispetto a quelli extracomunitari, risultantein un superiore impatto fiscale positivo6.

l’area di centro-sinistra a livello europeo, sono andatiincontro a umiliazioni elettorali e ora rischianol’estinzione.

In questo rapporto si cercherà quindi di confrontareproblemi sottolineati nel “sentir comune’’, verificarnela fondatezza. Nella prima sezione, partendo dallateoria economica, si confronteranno le esperienze didiversi paesi, concludendo con la situazione italiana

dal punto di vista dei costi e benefici e da quellooccupazionale. Nel secondo capitolo ci si concentreràsulla questione rifugiati. Nel terzo si affronterà laquestione sicurezza, mentre nel quarto l’aspettosociale in base alle proiezioni demografiche. Allafine di ognuno di essi si discuteranno politiche daadottare in base alle esigenze del sistema Italia. .

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Similmente, intervenendo nel dibattito delle elezioniamericane del 2016 tra Hillary Clinton e Donaldtrump su costi e benefici dell’immigrazione, GeorgeBorjas, uno dei principali esperti di economiadell’immigrazione degli Stati Uniti scrisse:

Chiunque dica che l’immigrazione non ha effettinegativi non capisce come funziona effettivamente.(...) Le tendenze dei salari degli ultimi cinquant’annisuggeriscono che un aumento del 10% della forzalavoro in un determinato segmento di lavoratori dicompetenze di un certo livello riduca i salari dellostesso segmento del 3%. (...) L’immigrazione ridistribuiscericchezza da chi compete con gli immigrati verso chi liutilizza, dagli impiegati ai datori di lavoro. I profittiaggiuntivi sono così sostanziosi che le dimensioni dellatorta derivante per tutti i nativi cresce. Stimo questo“surplus dell’immigrazione’’ di una dimensione di $50miliardi di dollari l’anno. Dietro questo calcolo vi èquello più significativo del trasferimento della ricchezzada un gruppo di americani ad un altro. La redistribuzionedella ricchezza dai nativi perdenti ai nativi vincitori èdi quasi mezzo trilione all’anno. Gli immigrati a lorovolta ne guadagnano in maniera significativa.7

Borjas ritiene quindi che la politica migratoriadebba orientarsi verso immigrati altamente qualificati:l’alta qualità unita al numero relativamente limitatoconsente di generare un gettito fiscale effettivamentepositivo e di beneficio per i lavoratori nativi senzaintaccarne i salari. La massiccia immigrazione versogli USA di persone con basso livello di competenze,invece, ha avuto un effetto deprimente sui salari dipari livello causando risentimento verso gli immigrati.

Il caso tedesco a modo suo sembra confermarel’intuizione di Borjas e l’esperienza britannica. Secondol’Ifo Institute8, la percentuale di disoccupati stranieriè il tripla di quella degli autoctoni. Questo è dovutointeramente ad immigrati provenienti da fuoridell’Unione Europea, mentre per quanto riguardagli immigrati europei non vi è alcuna differenzarispetto ai tedeschi. Un terzo di coloro che ricevonosussidi di disoccupazione nello schema Hartz Iv èstraniero. La causa principale individuata è la mancanzadi competenze e qualifiche degli immigrati extra-europei, mentre gli immigrati provenienti dal restodell’UE presentano livelli di qualifica medio-alti.

Il caso italiano

Per quanto riguarda il caso italiano, partiamodall’elaborazione fatta dalla Fondazione Leonemoressa9 per il Dossier Statistico Immigrazione del2017 del Centro Studi e ricerche IDoS. La ricercautilizza i dati del 2015, sottolineando come inquell’anno la popolazione straniera legalmente in

Italia corrispondesse all’8,3%, a cui fa riferimentoun PIL dell'8,9% (tali percentuali sono entrambeleggermente aumentate per il 2017). La “torta’’dell’economia italiana è dunque effettivamente piùgrande grazie all’immigrazione, mentre per quantoriguarda i flussi fiscali secondo il Dossier il saldoriguardante costi e benefici dell’immigrazione perl’anno 2015 sarebbe in positivo di 2,1 miliardi dieuro:

Un primo dubbio riguardo tale interpretazioneconcerne i contributi previdenziali, conteggiati nona caso separatamente. tale cifra è spesso citata neidibattiti con la formula de “gli immigrati ci paganole pensioni”. Questo potrebbe essere veritiero nelcaso fosse ancora vigente il sistema retributivo pertutti i contributi delle pensioni; il passaggio al sistemacontributivo aumenta i dubbi riguardo taleinterpretazione.

Non essendo l’Italia un paese discriminante, icontributi previdenziali versati dagli immigrati inItalia corrispondono a prestazioni previdenziali futuredi uguale misura: gli stranieri, come tutti quanti delresto, invecchiano. L’idea che gli immigrati versinocontributi al sistema pensionistico e poi tornino inpatria, rinunciando a reclamare crediti cui hannodiritto è improbabile ed improponibile (è possibiletuttavia che alcuni lo facciano, ma si tratta di cifredifficili da stimare). Questo era il modello tedescodei Gastarbeiter, i lavoratori stranieri invitati neglianni '50-'70 in Germania, che alla fine hanno optatodi restare nel paese ospite e reclamare i propri dirittipensionistici, a differenza di quanto i politici tedeschiavevano ipotizzato. I contributi all’INPS non sonoun regalo degli immigrati allo Stato italiano o aipensionati italiani, nonostante nelle sue simulazionil'istituto stesso vada a stimare un surplus di 36miliardi a lungo termine, che può rimanere tale solonel caso gli immigrati stessi non maturino il minimocontributivo necessario per poter poi reclamare laprestazione pensionistica10. Una ipotesi alquantofantasiosa, perché richiederebbe l'interruzioneimmediata dell'attività lavorativa per tutti colorovicini a maturare tale diritto.

Allo stesso tempo, se effettivamente i versamentidegli immigrati sono utilizzati per pagare le pensioniattuali, questo significa che l’Inps si sta assumendoun debito di eguali dimensioni verso gli immigratistessi. Chi effettivamente ritiene che gli immigrati

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paghino le pensioni agli italiani, implicitamenteammette che servirà poi una seconda ondata diimmigrati per pagare le pensioni della prima, unaterza per quelle della seconda, e così via. Un taleragionamento renderebbe di fatto l’istitutoprevidenziale italiano un gigantesco schema Ponzi,in cui le spese presenti sono finanziate con quelloche di fatto è un debito verso uno strato di contribuentinon ancora esistente. Un sistema insostenibile ad unpasso dall’insolvenza.

Un’interpretazione alternativa ed in linea con lariforma Fornero sarebbe semplicemente che “gliimmigrati pagano le proprie pensioni”. Allaelaborazione precedente quindi aggiungeremmo unariga:

Corrispondente ad un saldo negativo di 9,4 miliardidi euro.

Un secondo dubbio riguarda i costi dell’accoglienza,nella tabella inseriti sotto la voce “ministerodell’Interno’’. Dal 2015 i costi sono cresciuti ognianno: €3,3 miliardi per il 201611, tra i 4,2 e i 4,6miliardi di euro per il 201712, e tra i 4,6 e i 5 miliardiper il 201813. Anche volendo tenere per buonal’interpretazione per cui “gli immigrati ci pagano lepensioni” i costi dell’accoglienza rispetto al 2015hanno raggiunto dimensioni tali per cui l’immigrazioneè un costo netto per il bilancio statale, anche senzacontare versamenti pensionistici futuri dovuti agliimmigrati.

Includiamo qui una nota sull’interpretazionecontenuta nel Documento di Economia e finanza2018, secondo cui l’immigrazione è necessaria perevitare una crescita del debito. Il Def fa riferimentoad uno dei parametri di sostenibilità del debitopubblico del trattato di maastricht, debito/PIL.Appurato che l’immigrazione può far aumentare ilPIL, una riduzione demografica dovuta alla bassanatalità italiana, che verrà descritta più nel dettaglioin capitolo successivo, potrebbe risultare in unariduzione del PIL, e quindi un aumento dell’indicatoredebito/PIL. L’argomento del ministero è che quindimantenendo una massiccia immigrazione in gradodi compensare il calo delle nascite, si potrebbemantenere il PIL almeno costante. vi sono dubbiriguardo tale interpretazione. Innanzitutto, come giàspiegato, la popolazione immigrata è destinata adinvecchiare, andando poi a reclamare le pensioni cui

ha diritto, il che di per sé già aumenterebbe le spesedello Stato. In secondo luogo, visti i crescenti costidell’accoglienza, l’immigrazione si configura comespesa netta. Il Pil aumenterebbe quindi non tantograzie agli immigrati, ma semplicemente per effettodella spesa pubblica e del moltiplicatore keynesiano;spesa pubblica che potrebbe essere tranquillamenteutilizzata ad esempio per incrementare la natalitàitaliana.

Un ultimo dubbio riguarda invece l’esclusionedal calcolo dei costi-benefici dei beni pubblici. Sitratta di spese indipendenti dal numero degli immigrati(e per questo talvolta escluse dal calcolo costi-benefici) che comunque lo Stato deve sostenere, adesempio difesa, amministrazione, interessi sul debito.La ragione per cui tali costi dovrebbero essere inclusiè che gli stranieri, in quanto comunque membridella comunità che risiede nel territorio italiano, nebeneficiano14, secondo una logica di equità di quote.Non sono inoltre conteggiati costi aggiuntivi dellasicurezza dovuti al contrasto del terrorismo islamico,fenomeno correlato alla crescita della presenzamusulmana in Europa, o tanto meno l’impattoeconomico negativo derivante dai crimini commessidagli stranieri (nella sezione ‘’Giustizia’’ sono inclusicosti carcerari e giurisdizionali), che di fattocomportano una riduzione del gettito fiscale deinativi: ad esempio se un italiano viene ucciso da unostraniero, evidentemente non potrà più pagare letasse.

Chiudiamo il capitolo costi-benefici per lo Statocitando sempre il rapporto Idos sull’immigrazione,secondo cui il reddito medio di uno straniero inItalia è di €11.752, corrispondente a versamenti mediIrpef di €2.262. A confronto, l’italiano medio dichiara€21.386, versando €5.178 all’Irpef. Essendo l’immigratomedio più povero paga un’aliquota più bassa15.

Passiamo quindi al quadro lavorativo. Gli occupatistranieri nel 2016 sono stati 3.406.772, pari al 16,6%del totale occupati in Italia16. Il tasso di disoccupazioneè del 13,4% rispetto all’8,1% degli autoctoni (ed un11-12% medio tra immigrati ed autoctoni). Dueterzi degli occupati svolgono professioni non qualificateo operaie, solo il 7% svolge una professionequalificata17.

In un contesto nazionale a disoccupazione alta(circa l’11% per il 2018 e sopra il 30% per quellagiovanile), una delle principali questioni riguarda sel’immigrazione tolga o no lavoro agli autoctoni.Esistono risposte contrastanti: secondo la FondazioneLeone moressa, gli immigrati si concentrano inprofessioni di scarso interesse per gli italiani, quali

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collaboratrici domestiche, manovali e lavori agricoli18;secondo il rapporto CEr 2016 invece19, in paesidove i lavori non qualificati sono più diffusi rispettoalla media europea, come ad esempio Spagna edItalia, i migranti scarsamente qualificati hanno uneffetto di sostituzione rispetto a quelli autoctoni,andando a competere per lavori a basse qualifiche ecreando conseguenze indesiderate in termini di salaripiù bassi e disoccupazione più alta.

Negli anni della crisi (2008-14) l'occupazionedegli autoctoni è scesa di 1,4 milioni, mentre quelladegli stranieri è salita di 610 mila unità, nonostante iltasso di occupazione degli stranieri nello stessoperiodo sia sceso del 10%20. Non solo dunque vi èuna sovrapposizione occupazionale tra italiani estranieri (il famoso ''lavoro rubato'' dagli stranieri),ma il deterioramento delle condizioni del sistemaeconomico fa si che tale sovrapposizione ora avvengaanche tra gli stranieri stessi, mentre il mercato dellavoro non è più in grado di assorbire la disponibilitàdi manodopera, indipendentemente dalla nazionalità.

Evidenza dalla Gran Bretagna inoltre rivela che ilavori che i nativi “non vogliono più fare” sono tali acausa delle condizioni lavorative e dei salari (chepotrebbero dipendere proprio dall’abbondanza dimanodopera), e perché spesso in settori dominati daimmigrati con effetti di esclusione e scoraggiamentoper i nativi21.

La questione è particolarmente più drammaticaper l’Italia. All’11% di disoccupazione per il 2017 sideve infatti aggiungere un 11,6% di scoraggiati22 inun contesto di crescita bassa nel breve termine epari a zero nell’ultimo ventennio. Se è vero quantoappreso dall’esperienza britannica, che l’immigrazioneha l’effetto di scoraggiare i disoccupati nativi23, e chequesto effetto è particolarmente deleterio duranteperiodi di crescita bassa e alta disoccupazione, sipotrebbe concludere che i relativamente (rispetto alrecente passato) alti livelli di immigrazione registratinegli ultimi decenni potrebbero aver condannato unsegmento importante della società, pari a quasi unquarto della popolazione in età lavorativa, a rimanereai margini del mercato del lavoro, con tutte leconseguenze nefaste sia sul piano della crescitacomplessiva che su quello della stabilità sociale. Inaltre parole, nel caso specifico italiano di bassacrescita e alta disoccupazione, non vi sono argomentieconomici validi in favore di un’immigrazione dilarga scala.

Concludiamo il capitolo italiano con l’altra facciadella medaglia: l’emigrazione. Gli italiani residentiall’estero a fine 2016 erano 4.973.942. Le destinazioni

principali sono Gran Bretagna e Germania. Secondoi dati ufficiali, gli italiani che hanno trasferito lapropria residenza all’estero nel 2015 sono stati102.000 mentre nel 2016 sono stati 116.000. Secondoil rapporto Idos sull’immigrazione tuttavia, i numerireali potrebbero essere addirittura il doppio, se nontriplo. molti italiani all’estero infatti spesso nontrasferiscono immediatamente la residenza.Incrociando i dati Istat con quelli dell’Aire (Anagrafedegli italiani all’estero), gli espatri per il 2016potrebbero essere ben 285.00024. Come abbiamovisto, la stragrande maggioranza degli immigrati chearrivano in Italia ha competenze di tipo basso. Sempresecondo l’analisi Idos, coloro che lasciano l’Italiainvece sono giovani (42,6%) con livelli di istruzionemedia (34,8% diplomati) e alta (30% con laurea).Confindustria calcola la perdita secca dovutaall’investimento nell’istruzione di giovani che poi sitrasferiscono all’estero in circa 14 miliardi di europer quei 51.000 emigranti istruiti che hanno lasciatoil paese nel 2015. La cifra sale a 42,8 miliardi percoloro che hanno lasciato il paese dal 2008 al 201525.

Conclusioni e suggerimenti

rispetto alla teoria economica di base, che vedenell’immigrazione una forma di arricchimentoeconomico per il paese ospite, l’esperienza degliultimi decenni ha rilevato alcune incongruenze. NegliStati Uniti, l’immigrazione ha avuto un impattonegativo sui salari delle classi basse native, mentre inEuropa a causa di regole più strette sulla contrattazionesalariale, l’impatto è stato nullo sui salari, ma negativoper quanto riguarda l’occupazione dei nativi. Inparticolare, la teoria economica dell’immigrazione sipuò considerare veritiera nel caso di paesi cheattraversano periodi di boom economico e bassadisoccupazione: in tal caso gli immigrati sonoeffettivamente un valore aggiunto; inoltre immigratialtamente qualificati possono ritenersi una risorsaindipendentemente dal ciclo economico. Flussicontinui a basso livello di specializzazione tuttaviarendono effetti di spiazzamento e scoraggiamentoper i lavoratori nativi permanenti e particolarmentegravi per quei paesi che soffrono di bassa crescita ealta disoccupazione. L’Italia rientra tra questi casi,avendo quote alte di disoccupati e scoraggiati, pari aquasi un quarto della forza lavoro. Livelli elevati diimmigrazione in questo caso potrebbero condannareuna generazione di lavoratori a rimanere ai marginidella società, con rischi elevati per il tessuto sociale.In questo caso l’immigrazione diventa fonte diarricchimento per le classi alte e gli immigrati stessi,

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a scapito delle classi medie e basse autoctone.

Dall’esperienza britannica e tedesca apprendiamoche gli immigrati provenienti dall’Unione Europeatendono ad avere competenze più elevate, che sitraducono in benefici superiori per il paese ospite.rowthorn26 ritiene tuttavia che questi beneficipotrebbero essere ottenuti tranquillamente riducendoi flussi netti annui verso la Gran Bretagna da 300.000a 50.000 unità.

Gli alti livelli di disoccupazione, in particolarmodo giovanile, si riflettono nel caso italiano in altilivelli di emigrazione di forza lavoro altamentequalificata, che diventa una perdita secca diinvestimento pubblico nell’istruzione. Il saldo nettoemigrazione-immigrazione risulta particolarmentenegativo, in quanto l’Italia esporta giovani istruiti,mentre importa stranieri con competenze basse.Questa perdita di competenze potrebbe in partespiegare come mai l’Italia non riesca a tenere il passodi quei paesi, come la Germania, che riescono atrarre vantaggio delle competenze dei giovani italiani.

I benefici per le casse dello Stato derivantidall’immigrazione sono sovrastimati. Innanzitutto,saldi positivi calcolati in passato non includevano icosti derivanti dai beni pubblici di cui tutti coloroche vivono in Italia, quindi anche gli stranieri,beneficiano, ma anche costi addizionali della sicurezzaa causa del fenomeno del terrorismo islamico e lariduzione di gettito nativa dovuta ai crimini commessidagli stranieri. L’utilizzo dei contributi presenti degliimmigrati per coprire pensioni maturate in passatoda italiani semplicemente pospone una mancanza dicoperture del sistema pensionistico a data futura,senza risolvere il problema. Curioso che tale argomentovenga spesso utilizzato da parti politiche che poisottolineano l’importanza di non lasciare debiti allegenerazioni future, in quanto l’utilizzo dei contributiprevidenziali degli stranieri per la spesa pensionisticapresente di fatto genera un debito per lo Statoitaliano verso gli immigrati stessi. Anche volendoaccettare tale argomentazione, il saldo positivogenerato può ritenersi azzerato a causa della crescitaesponenziale dei costi per l’accoglienza. Nella miglioredelle ipotesi quindi l’immigrazione ha un impattocosti-benefici pari o vicino a zero per il bilanciostatale presente, ma con implicite spese future senzacopertura.

I benefici per il sistema contributivo si potrebberotranquillamente ottenere aumentando il tasso dioccupazione degli autoctoni, attualmente al 58%, allivello del resto dei paesi europei, circa il 70%27, inparticolare metendo al lavoro l'1,9 milioni di neet

(persone che non sono iscritte a corsi di istruzione,formazione né occupate), che dovrebberorappresentare la priorità assoluta.

La situazione occupazionale ed economica delpaese, dunque, richiede restrizioni quantitative chetuttavia mantengano un atteggiamento di aperturadal punto di vista qualitativo. tale argomentazione èrafforzata da un contesto globale di spiazzamentodei lavoratori a basse qualifiche dovuto al progressotecnologico e alla robotizzazione. Secondo un rapportodella società di consulenza mcKinsey tra i 400 e gli800 milioni di posti di lavoro sono destinati a sparirenel prossimo decennio28. Un’importazione massicciadi lavoratori scarsamente qualificati per un paesecon abbondanza di manodopera disoccupata comel’Italia, con il rischio che nessuno di essi possa trovarelavoro a causa della robotizzazione dei processiproduttivi (e conseguenti tensioni sociali), si puòritenere priva di qualsivoglia logica di buon senso.Un esempio di riforma desiderabile delle politichedi immigrazione può essere il Raise Act (ReformingAmerican Immigration for Strong Employment) indiscussione attualmente negli Stati Uniti, cheintrodurrebbe un sistema a punti per verificarel’idoneità dell’immigrato alle necessità dell’economiaamericana. Di seguito si propone una versione adattataalle esigenze italiane della riforma del sistema:

Nel 2016, l’Istat ha iscritto all’anagrafe 262.929nuovi immigrati, tenendo conto di tutte le categorie:lavoro, famiglia, studio, asilo e altri. 181.436 sono gliarrivi provenienti dalla rotta mediterranea eappartenenti al gruppo dei richiedenti asilo29. Laquestione dei richiedenti asilo e rifugiati sarà trattata

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in un capitolo seguente. Una volta scremati dalnumero dei nuovi ingressi, i non richiedenti asilosono circa ottanta mila persone l’anno. Il limitemassimo suggerito dalla riforma andrebbe a ridurredi quasi tre quarti questo numero.

A differenza degli USA, l’Italia è inserita nelcontesto di libera circolazione delle personedell’Unione Europea. Un limite massimo sarebbequindi in contrasto con i trattati europei, ma nonper stranieri provenienti da paesi terzi. Come giàaccennato, le esperienze britanniche e tedeschetendono a rilevare che stranieri provenienti dall’UnioneEuropea hanno livelli di istruzione elevati e pertantohanno un effetto particolarmente positivosull’economia. Inoltre il calo demografico dei paesidell’Europa orientale dovrebbe gradualmente ridurrei flussi verso l’Europa occidentale. Pertanto si puòritenere non necessario imporre limiti alla circolazionedi lavoratori provenienti da questi paesi, salvo incaso di accesso al mercato del lavoro europeo dipaesi con popolazioni consistenti come Ucraina eturchia. Il mercato comune europeo fornisce dunqueun processo di selezione desiderabile per le necessitàitaliane. Un limite massimo sarebbe in conclusionenon compatibile, né necessario per quanto riguardagli immigrati provenienti dall’UE, ma troverebbeuna sua utilità per quanto riguarda i flussi provenientida paesi extracomunitari, in particolar modo se iflussi comunitari dovessero riempire tutti i 25.000posti previsti. In tale caso, un rigido criterio volto apremiare l’eccellenza degli individui extracomunitari,senza danneggiare i lavoratori autoctoni, potrebbe

essere utile.

Una nota finale riguarda la migrazione a catena(chain migration) costituita tramite i ricongiungimentifamiliari. Secondo il Dossier Immigrazione IDoS, ipermessi per motivi familiari nel 2016 sono stati104.500, il 46% di tutti i nuovi rilasci annui ascadenza30. I ricongiungimenti familiari sono regolatidal Decreto Legislativo n.286 del 25 Luglio 1998, iltesto Unico Immigrazione, che stabilisce il redditominimo pari all’importo annuo dell’assegno socialeaumentato della sua metà per ogni persona daricongiungere. Considerando un assegno sociale peril 2018 di € 5.899,00 per una persona, il redditominimo per la richiesta di ricongiungimento di unsingolo familiare è di €8.833,5, di €11.778,00 perdue familiari e così via aggiungendo €2.944.50 perogni persona aggiuntiva. Se si ricongiungono due opiù minori di 14 anni, il reddito minimo è di€11.778,00, più €2.944.50 per ogni persona aggiuntiva.Si ritiene tali requisiti estremamente bassi, soprattuttoconsiderando l’elevato costo della vita in Italia rispettoa buona parte del resto del mondo. Allo scopo diaumentare la qualità dell’immigrazione ed evitareper quanto possibile una competizione tra immigratied autoctoni per le risorse pubbliche, la soglia minimaper il ricongiungimento familiare dovrebbe essereinnalzata in maniera significativa, partendo dal triplodell’assegno sociale per un singolo ricongiungimento(€ 17.697,00) ed aggiungendo un valore equivalenteall’intero assegno sociale per ogni personaaggiuntiva.

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3. QUESTIONE RIFUGIATI

I fatti risultati nell’emergenza rifugiati sono noti edunque brevemente riassunti. A seguito delle‘’Primavere Arabe’’, le diffuse proteste dei popolinordafricani e mediorientali contro i propri governied alla degenerazione in scontri violenti tra forzegovernative e ribelli in Libia e Siria, molte personeprovenienti da questi paesi hanno cercato rifugio inEuropa. A questi flussi si sono aggiunti quelli dipersone provenienti da paesi vicini (tunisia), maanche dai Balcani, dall’Afghanistan e dall’Africa Sub-Sahariana. Dopo un iniziale momento di accoglienzadiffusa, sia da parte del governo italiano presiedutoda Enrico Letta con l’operazione mare Nostrum, siasu invito della cancelliera Angela merkel nel 2015con l’arrivo di oltre un milione di persone in Germania

nello stesso hanno, i costi derivanti da quella chesembrava essere un’accoglienza senza limiti, i casi diviolenza sessuale commessa da richiedenti asilo nellanotte di Capodanno del 2016, gli attacchi delterrorismo islamico in Svezia, Germania, Belgio eFrancia e l’esasperazione dei cittadini europei hannoobbligato i vari capi di governo a cercare soluzionialternative ad un esodo verso l’Europa. tra queste,un accordo con il governo turco per il controllo delconfine marittimo nell’Egeo, il trattenimento deiflussi migratori ed il tentativo di creare un sistema diricollocazione a livello europeo dei rifugiati. Il bloccodei flussi nel mediterraneo orientale tuttavia non èstato replicabile in Libia a causa dell’assenza di ungoverno nazionale a seguito della guerra civile in

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quest’ultima.

La sostituzione dell’operazione Mare Nostrumdel governo italiano con l’operazione Triton, poioperazione Sophia, e quindi Themis dal 2018, conridotto raggio d’azione, ha visto l’intervento diorganizzazioni umanitarie nel mediterraneo a sostegnodei migranti, indipendentemente dal fatto che essisiano rifugiati o immigrati economici, e la creazionedi una politica migratoria indipendente dalla volontàdegli Stati sovrani. Il rimpasto di governo a fine2016 ha visto il nuovo ministro dell’Interno marcominniti lavorare per una riorganizzazione dellaGuardia Costiera Libica allo scopo di prevenirepericolosi viaggi verso l’Italia e bloccare i flussi.Nonostante una riduzione indicativa nei numeri deglisbarchi, l’incapacità del passato governo italiano disigillare la rotta del mediterraneo centrale vieneadditata come uno dei motivi per il rifiuto da partedegli altri governi europei a partecipare ad unmeccanismo di ricollocazione diffuso dei richiedentiasilo. Un gruppo di paesi europei, appartenente alcosiddetto “Gruppo visegrad”, composto daSlovacchia, repubblica Ceca, Ungheria e Polonia,ha opposto un rifiuto totale a tale progetto adducendodiversi motivi: l’invito unilaterale di Angela merkelai rifugiati siriani senza consultare i colleghi europei,la mancanza di legittimità democratica verso unapolitica rifiutata dagli elettori, la paura che ilmeccanismo di ricollocazione diventi un cavallo ditroia e risulti nella perdita da parte degli Statinazionali della facoltà di gestire autonomamente lapropria politica migratoria, il rifiuto del progetto disocietà multiculturale attualmente in corso nei paesioccidentali. Gli altri paesi dell’Unione Europea hannoinvece dato disponibilità ad accettare richiedentiasilo nel caso in cui la richiesta d’asilo sia accettata.

Al fine di comprendere meglio la situazione, èutile confrontare i dati delle richieste asilo (fonte:ministero degli Interni) degli ultimi anni:

La maggioranza dei richiedenti asilo dunque nonsi qualifica per nessuna forma di protezione: si trattain gergo tecnico di migranti economici, per lo piùprovenienti dall’Africa Sub-Sahariana. La forma diprotezione più diffusa è quella della “protezioneumanitaria”, un permesso ridotto della durata di 2anni, mentre rifugiati e titolari di protezione sussidiariaricevono un permesso di 5 anni. Inoltre, mentre ledue principali forme di protezione sono riconosciute

negli altri paesi UE, la protezione umanitaria varia aseconda dell’ordinamento: esiste ad esempio inSpagna ma non in Francia, in Gran Bretagna iltermine protezione umanitaria si riferisce a quellasussidiaria, mentre la Germania ha forme alternativenon necessariamente compatibili. Si comprendequindi la reticenza dei partner europei ad un sistemadi ricollocamento totale dei richiedenti asilo primache la richiesta venga esaminata: a secondadell’ordinamento e del fatto che esso riconosca omeno la protezione umanitaria, la percentuale dirifiuti potrebbe variare dal 60% all’80%, con laconseguenza di ritrovarsi con numeri elevati diimmigrati illegali da rimpatriare.

Non si comprende dunque l’ossessione pubblicae mediatica in Italia per la soluzione del sistema diricollocamento secondo la logica di suddivisionedegli oneri; i dati sono disponibili a tutti i governieuropei e difficilmente ognuno di essi, già sottopressione interna per limitare i flussi migratori,accetterà la suddivisione di migranti la maggior partedei quali non ha diritto alla protezione internazionale.

La cooperazione europea non è tuttavia da scartareinteramente. La Germania nel 2016 ad esempio èriuscita a rimpatriare ben 54.000 migranti la cuirichiesta d’asilo è stata rifiutata, anche grazie ai fondieuropei dell’European Reintegration Network, chegestisce rimpatri sicuri tramite voli e consente almigrante di iniziare un’attività economica in patria,e all’European Return Fund, parte dell’EuropeanAsylum and Migration Fund31.

È importante tenere conto dell’esperienza tedescaanche per quanto riguarda i costi dell’accoglienza eil processo di integrazione. Come già visto, la voceaccoglienza in Italia è quasi raddoppiata dal 2015 al2018, passando da 2,7 a 4,6-5 miliardi di euro l’anno,che vanno a coprire vitto, alloggio, ‘’paghetta’’ ecosti di istruzione per totale medio di 35 euro algiorno per migrante. La Germania invece, forteanche di un momento di prosperità, ha allestito unprogramma del costo totale di € 93,6 miliardicomplessivi distribuiti dal 2015 al 202032, anche se lespese per il solo 2016 sono passate dai € 16.1 miliardiprevisti agli effettivi € 23,3 miliardi33. Questo anchea causa di una narrativa mediatica eccessivamenteottimistica riguardo al potenziale economico deirifugiati: inizialmente si era ritenuto che i rifugiatipotessero supplire alla mancanza di manodoperaper la locomotiva industriale tedesca. Se è vero chela metà del personale qualificato siriano ha lasciato ilproprio paese a causa della guerra civile, i flussientrati in Germania sono per solo il 10% rifugiati

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con studi accademici, mentre per i due terzi ladiscrepanza tra il livello del sistema di istruzionetedesco e quello siriano li rende ‘’funzionalmenteanalfabeti’’ anche nel caso (irrealistico) essi parlinola lingua tedesca. La prospettiva per la maggioranzadei rifugiati in Germania è quella di una disoccupazionea lungo termine, considerando anche che il 70% dichi aveva iniziato una formazione vocazionale haabbandonato. Solo per i bambini, qualora inseriti inun contesto con gli altri giovani tedeschi, vi sonobuone speranze di integrazione34. L’ex presidentedell’Ifo Institute, il centro di ricerca economica dimonaco di Baviera, Hans-Werner Sinn, anticipandoin un’intervista il contenuto del suo libro di prossimauscita stima che il costo a lungo termine dell’1,3milioni di rifugiati accolti dalla Germania nel 2015possa superare il trilione di euro35.

La durezza dei numeri tedeschi demolisce quantoottimisticamente prospettato dai media nelle lorolodi ad Angela merkel: tra i rifugiati, “i dottori edingegneri’’ che arricchiranno la Germania sono benpochi. Non stupisce dunque lo sforzo per rimpatriarein sicurezza quante più persone possibile.

Conclusioni e suggerimenti

Alla luce dell’esperienza tedesca e di quella italiana,e della crudezza dei dati, la reticenza dei paesieuropei ad una condivisione diffusa di tutti i richiedentiasilo risulta fondata. La ricollocazione dei migrantiin questo senso semplicemente normalizza unasituazione di emergenza, i cui oneri in terminieconomici, sociali e politici non sono sostenibili négiustificabili. In questo senso è importante accennareche nel Dicembre 2018 i governi del mondo siriuniranno alle Nazioni Unite per discutere e firmareil Global Compact on Migration e il Global Compacton Refugees: è cruciale che i rappresentanti delgoverno italiano evitino di impegnarsi in obblighiequivalenti a quelli del piano di ricollocazione checostringano l’Italia ad una accoglienza illimitata edindiscriminata (come invece fatto in precedenza dalgoverno renzi), che poi impedisca al paese dicontrastare efficacemente l’immigrazione irregolare.Entrambi i Global Compact tendono a ricalcarequella narrativa rosea di presunti benefici economiciderivanti dai rifugiati, che è smentita dai dati.

Una soluzione alternativa, che consenta ai paesidi non abdicare ai propri doveri umanitari sancitidai trattati internazionali, senza trasformare laquestione rifugiati in una migrazione di massaorganizzata, è proposta da due professori

dell’Università di oxford, Alexander Betts e PaulCollier nel libro Refuge: rethinking refugee policy ina changing world.

Il piano di Collier e Betts parte da un’analisi delconcetto di rifugiato e una suddivisione del lavorosecondo il concetto del vantaggio comparato. Secondogli autori, occorre separare il rifugiato dal piùcomplesso processo migratorio in atto nel mondo; ilrifugiato è chi ha bisogno di un posto sicuro, unrifugio. In questo senso, viene rifiutato il concettocaro a molte organizzazioni umanitarie del “diritto amigrare” su basi etiche, pragmatiche e di sostenibilità35;tale prospettiva infatti significherebbe che tre quartidel popolo nigeriano (un paese di 186 milioni dipersone) che ha manifestato la propria intenzione,data la possibilità, di migrare, si muoverebbe versol’Europa36. Una percentuale simile si ha per il Ghana,mentre metà dei Sudafricani, Senegalesi e Keniotifarebbe lo stesso. Un esodo interminabile di centinaiadi milioni di persone, con conseguenti effetti deleterisulla coesione sociale ed esplosione delle tensionietniche. Altrettanto da scartare è l’idea che il rifugiatopossa scegliere la propria destinazione secondoappunto tale “diritto”. La necessità di rifugio noncrea un passaporto valido per la mobilità globale. Lapriorità è garantire sicurezza e prospettive di vitaper il rifugiato. In questo caso, gli oneri sono cosìsuddivisi: i paesi “ricchi” del mondo, quindi nonsolo Europa, ma anche America settentrionale edAsia orientale ed i paesi del Golfo, si dovrebberofare carico dell’onere economico per intero, mentrei paesi sicuri in prossimità dei luoghi di crisi sifarebbero carico dell’onere fisico, accogliendo quindii rifugiati, a spese dei paesi ricchi. Al momentoattuale, il 90% dei rifugiati sono concentrati in paesi“poveri”, mentre solo il 10% sono accolti in paesibenestanti37; il paradosso è che il mondo spende $75miliardi all’anno per questi ultimi, mentre solo $5miliardi per i primi, andando a creare una categoriadi rifugiati privilegiati rispetto a tutti gli altri38; inaltre parole l’accoglienza di un rifugiato in un paesebenestante costa 135 volte quanto costerebbe in unpaese sicuro vicino alla zona di crisi. I 4,6 o 5 miliardidi euro (5,8 in dollari) che l’Italia dovrebbe spenderenel 2018 sarebbero più che sufficienti a finanziare il90% dei rifugiati del mondo nei loro paesi di rifugioattuali.

Esiste dunque una soluzione più efficiente cheridistribuire i rifugiati tra i paesi europei, tenendoconto del costo della vita infinitamente inferiore neipaesi in via di sviluppo. Collier e Betts hanno visitatoi campi di rifugiati di Daadab in Kenya (oggi

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contenente mezzo milione di persone), za’atari inGiordania, Nyagurusu in tanzania, Nakivale inUganda e la zona economica King Hussein Bin TalalDevelopment Area, anch’essa in Giordania, perstudiare le esperienze che hanno funzionato. Lasoluzione proposta è quella di campi per rifugiatiche funzionino come insediamenti con possibilità disviluppare attività economiche. Questi rifugi/cittàeconomiche dovrebbero essere sviluppati in paesisicuri prossimi a quelli in crisi. La prossimità garantisceun’agevole accessibilità al rifugio per chiunque abbiabisogno di protezioni internazionale, oltre a limitareincomprensioni dovute alle differenze culturali trarifugiati ed autoctoni (ad esempio in Germania alcunirifugiati siriani si rifiutano di ricevere istruzione dalledonne39). La vicinanza serve inoltre ad evitarepericolosi viaggi in giro per il mondo verso rifugi inpaesi benestanti. Infine, crea la possibilità per unagevole ritorno qualora l’emergenza finisca. Lanecessità di rifugio può durare 5 anni, ed in tal casoil rifugiato potrebbe tornare a casa, ma anche 20 oun’intera vita; quest’ultimo caso rende necessario

l’elemento della possibilità di creare attivitàeconomiche, in modo da non dover sprecare la vitadell’individuo nel campo. Il coinvolgimento delSegretariato Generale dell’oNU e delle agenzieUNHCr e Iom servirebbe a garantire protezione,imparzialità e rispetto dei diritti umani. Infine presentaun elevato grado di fattibilità dal punto di vista delconsenso politico. Inizialmente proposto dal governodella Gran Bretagna, anch’esso contrario al piano diricollocazione, il piano riscontra l’approvazione deipaesi del gruppo visegrad, dell’Austria e dellaNorvegia.

Si tratta quindi di una soluzione completamentediversa da quanto cercato di fare finora dai passatigoverni italiani e dalla Commissione Europea, efficientesia dal punto di vista della solidarietà verso gli aventibisogno di protezione, sia da quello economico-politico e che potrebbe almeno parzialmente arginarela pressione migratori sui confini europei e calmaregli animi dell’elettorato sul tema immigrazione.

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4. SICUREZZA

La questione sicurezza è una delle più spinoseriguardanti il tema dell’immigrazione. Una dellelamentele più comuni riguarda l’alto tasso o presuntotale di criminalità correlato agli stranieri. L’altrotema principale è quello dell’immigrazione illegale.

Per quanto riguarda la questione criminalità, ilDossier Statistico Immigrazione 2017, studiando idati del 2015, offre la seguente interpretazione: iltasso di denuncia per 100.000 residenti è di 1076,50per gli italiani e di 506,26 per gli stranieri,corrispondenti a 655.524 denunce contro italiani e302.426 contro gli stranieri. Secondo il dossier, questidati «ridimensionerebbero notevolmente il pregiudizioche gli stranieri in Europa siano più criminali degliautoctoni»41.

A livello puramentestatistico questa conclusionesembra frettolosa, in quantonon comparata alla compo-sizione della popolazioneresidente, che come visto inprecedenza per il 2015,vedeva un 8,3% di stranieriresidenti sul suolo italiano,cui, dati sopra alla mano,

corrispondono il 31,4% delle denunce per lo stessoanno. Il tasso di denuncia correlato sarebbe quindidi quasi quattro volte superiore per gli stranieririspetto agli italiani.

Un’analisi più statisticamente sofisticata vieneofferta dalla Fondazione Hume42, che ha il merito dianalizzare l'evoluzione storica del crimine in Italiapartendo dal 1988, anno in cui la percentuale distranieri sul territorio italiano era inferiore al 2%,fino al 2015, in cui ha superato l'8%. Altro pregiodell'analisi sopra citata è quella di concentrarsi sucrimini di particolare gravità, come omicidi, lesionivolontarie, associazione a delinquere, estorsione,furto, rapina, spaccio di droga, sfruttamento dellaprostituzione, violenza sessuale e violenza a pubblico

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ufficiale, ignorando invece sanzioni amministrative,come ad esempio lo status di irregolare.

Analizzando le tabelle si possono fare alcuneconsiderazioni:

- in linea di massima, la società italiana stadiventando più pacifica; ad eccezione delle violenzesessuali ed estorsioni, tutte le altre tipologie di crimini(linea rossa) sono in diminuzione;

- la percentuale di immigrati nel periodo consideratoè stata in continuo, graduale aumento;

- se non vi fosse alcuna correlazione rilevante traimmigrazione e criminalità, il tasso di criminalitàdegli immigrati dovrebbe muoversi in linea conquello della percentuale di immigrati sul suolonazionale;

- tale tasso invece, in tutte le tipologie di crimineaumenta più che proporzionalmente rispettoall'incremento di immigrati;

- se la criminalità diminuisce a livello assoluto, èperché i nativi stanno commettendo meno crimini.

Lo studio della fondazione Hume provvede inoltrea fornire gli indici di criminalità degli stranieri

(scremati dagli immigrati italiani) rispetto agli italianistessi, per il triennio 2013-2015 con relativi tassi dicondanna:

Lo studio conclude che «vi è motivo di ritenereche la forte sovra-rappresentazione degli immigratitra gli imputati, i denunciati ed i condannati registratain Italia negli ultimi decenni sia associata a flussimigratori tumultuosi e sostanzialmente incontrollati(…) in un paese con alcune caratteristiche come laforte disuguaglianza economica, l'alto tasso didisoccupazione, la rigidità del mercato del lavoro ala limitata libertà economica».

Una ulteriore analisi di Confcommercio, pubblicata

(Fonte dei grafici: Fondazione Hume)

(Fonte: Fondazione Hume)

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nel Dicembre 2016 utilizzando i dati per il 2014permette di distinguere tra i tassi di criminalità deglistranieri regolari rispetto a quelli irregolari. Da notareche sotto il profilo delle denunce, il 2014 ha avutodati molto simili al 2015: 672.876 denunce per gliitaliani, 307.978 per gli stranieri, con una percentualeidentica (31,4%) attribuibile al numero di denunceverso stranieri.

Per i 12 reati elencati nelle tabelle i tassi dicriminalità per ogni 1000 persone sono pari a 4,3per gli italiani, 8,5 per gli stranieri regolari e 246,3per gli stranieri irregolari. La propensione a delinqueredegli irregolari è 57 volte quella degli italiani e quasi29 volte rispetto a quella degli stranieri regolari (aloro volta con un tasso quasi il doppio rispetto aquello degli italiani)43.

Secondo la Fondazione Ismu, la stima del numerodi immigrati clandestini in Italia a inizio 2017 era di491.000 persone, in aumento di 56.000 rispettoall’anno precedente. Curioso che la Fondazionedefinisca tale aumento, del 12,8% in un solo anno,«non rilevante»44.

Nel 2016 sono stati intercettati 41.473 immigratiillegali, in aumento di 7.369 rispetto all’anno

precedente. Le persone effettivamente allontanate,espulse o respinte sono state 18.664 rispetto alle31.255 che hanno ricevuto un provvedimento diespulsione. I paesi più rappresentati tra gli immigratiottemperanti sono marocco e Algeria, mentre trachi è stato espulso, ma non si è riusciti a rimpatriare,le percentuali più alte si hanno per Sudan, Algeria,Senegal, Bangladesh e marocco. Nel 2015 solo il51,7% dei 5.371 migranti irregolari che sono transitatiper un CIE (Centro di Espulsione, ora rinominatoCentro per la permanenza ed il rimpatrio) èeffettivamente rientrato in patria, mentre la percentualeper il 2016 è scesa a 48,3%, a fronte anche di unariduzione dei migranti passati per il Cie a 2.984. Ilcosto per un volo di rimpatrio, impiegando 71 tramedici, infermieri ed agenti di scorta è di 115 milaeuro, circa 4 mila a migrante45. Un’alternativa sono ipoco utilizzati ritorni volontari assistiti (905 casi daLuglio 2016 al marzo 2018), che prevedonol’organizzazione del viaggio da parte dello Statoitaliano, l’erogazione di 400 euro alla partenzadall’Italia ed un Piano di reintegrazione che varia daun minimo di 1.600 euro a 2.00046.

Conclusioni e suggerimenti

In linea con il “comune sentito dire” quindi vi èuna correlazione statistica tra immigrazione ecriminalità, particolarmente grave per quanto riguardagli stranieri irregolari. talvolta nel dibattito politicoviene suggerito che una regolarizzazione di massapotrebbe risolvere il problema. Dati alla mano, nellamigliore delle ipotesi potrebbe ridurre il tasso dicriminalità degli stranieri irregolari alla pari di quellodei regolari, che comunque rimane doppio rispettoagli italiani. Il problema non verrebbe risolto, ma almassimo attenuato. Evidente quindi la necessità dipuntare su qualcosa di diverso, come ad esempiopolitiche migratorie più selettive come suggerito neicapitoli precedenti ed allo stesso tempo il rimpatriodegli irregolari.

Gli accordi di rimpatrio attualmente esistono permigranti irregolari provenienti da Egitto, tunisia,Nigeria e marocco. Nel caso i paesi precedentementecitati (Sudan, Senegal, Algeria, Bangladesh e marocco)rifiutino una cooperazione sui rimpatri, sarebbeopportuno riorganizzare gli aiuti umanitari ai paesiin via di sviluppo in maniera da premiare gli Staticooperanti a scapito di quelli meno inclini ad aiutarel’Italia sulla questione. È inoltre necessario unsuperamento del “foglio di espulsione” in quantoinefficace a contrastare l’immigrazione clandestina.Si potrebbe pensare ad una permanenza nei Centri

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per la permanenza ed il rimpatrio per tutti coloroche vengono fermati per assenza di permesso regolare,e offrire la scelta sulla forma di rimpatrio al migrantestesso, secondo le seguenti opzioni:

1) rimpatrio volontario

2) rimpatrio volontario assistito

3) rimpatrio forzato

In tutti i casi, la permanenza nel Centro dovrebbeessere continua (allo scopo di prevenire la fuga edulteriore clandestinità) ma di durata quanto piùbreve possibile. Nel caso di rimpatrio volontario, ilmigrante lascerebbe il Centro il giorno del volo opartenza via nave, scortato da agenti, ma viaggiandoa proprie spese. Il rimpatrio volontario assistitoprevederebbe la cooperazione dell’organizzazioneInternazionale per le migrazioni a garantirne l’efficacia;ne è auspicabile un maggiore utilizzo, considerandoche ad esempio dal Dicembre 2017 vi è stato unaumento significativo di Voluntary HumanitarianReturns verso Nigeria, Guinea, Gambia, mali eSenegal dalla Libia, con un picco di 20.000 personenel Gennaio 201847. tramite il già citato EuropeanReintegration Network la Germania rimpatria versoAfghanistan, India, Iran, Iraq, marocco, Nigeria,

Pakistan, russia (solo Cecenia), Somalia, Sri Lankae Ucraina utilizzando un meccanismo simile ai rimpatrivolontari assistiti48. Per quanto riguarda i rimpatriforzati esistono diverse possibilità per aumentarnel’efficacia: allo scopo di ridurre l’onere sullo Statoitaliano, si dovrebbe utilizzare maggiormentel’European Return Fund, parte dell’European Asylumand Migration Fund.

L’Australia, con una politica controversa, rifiutarichieste di asilo per tutti coloro che tentano diarrivare illegalmente via barconi. I richiedenti asilovengono trasferiti sull’isola della Papua Nuova Guinea,dove la richiesta viene analizzata, e nei casi positivi irifugiati rimangono in centri di accoglienza sull’isolastessa. Coloro che invece ricevono un diniego vengonorimpatriati o trasferiti in un paese terzo. Il tentativodi entrata illegale preclude in qualsiasi modo futurepossibilità di legalizzazione49.

La Danimarca confisca somme di denaro contantee beni di valore superiori ad una somma di 10.000corone danesi secondo una legge del 201650. talepolitica è in considerazione da parte del nuovogoverno Kurz in Austria51 allo scopo di contenere icosti dell’accoglienza e scoraggiare il “turismo delwelfare”.

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5. DEMOGRAFIA, SOCIETÀ E DIVERSITÀ

Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 del centroIDoS recita, alla voce «Il futuro demografico dell’Italiafra poco meno di 50 anni»: «Nel 2065 la popolazionedell’Italia sarà di 61,3 milioni (…) in questo lasso ditempo 40 milioni di decessi eccederanno di ben 11,5milioni di unità (le nascite); la dinamica naturalenegativa verrà compensata da una dinamica migratoriapositiva di 17,9 milioni di migranti che si insedierannodall’estero ed eccederanno di ben 12 milioni i 5,9milioni di persone che nel frattempo lascerannol’Italia». Questo grazie ad ingressi pari a 300.000all’anno, che poi si ridurranno gradualmente al disotto delle 250.000 unità, fino ad una media di175.000 ingressi annui alla fine del periodo considerato.«Una crescita imponente questa, che renderà l’Italiasempre più multietnica e multiculturale»52.

Un’analisi alternativa del Centro Studi machiavellistima che la percentuale di persone d'origine straniera(per lo più prima e seconda generazione) nel 2065dovrebbe superare il 40%53 rispetto al totale deiresidenti, a causa dello stabile declino della popolazione

autoctona per via del basso numero di nascite(inferiore al 2,1 per coppia necessario a rendere lapopolazione stabile nel tempo) e della costanteimmigrazione, in particolare dall’Africa, il cui boomdemografico iniziato negli ultimi decenni dovrebbecontinuare.

La necessità di un’immigrazione massiccia percompensare il calo demografico è uno degli argomentiprimari utilizzati in favore dell’immigrazione stessa;tale politica assume il nome tecnico di “immigrazionedi rimpiazzo” (replacement migration54), in quantoappunto “rimpiazza” i residenti anziani di un paesecon forze fresche da un altro. Nel dibattito modernosull’immigrazione, da una parte vi è chi ritiene questoprocesso inevitabile e desiderabile: l’ex ministro perl’integrazione Cécile Kyenge, discutendol’immigrazione con l’emittente radiofonica pubblicadella Svizzera poco prima delle elezioni legislativedel 2018, commentò che «gli italiani devono essereaccompagnati attraverso il processo di cambiamentodella composizione della popolazione»55; dall’altro

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lato invece c’è chi lo ritiene una vera e propria“sostituzione etnica”. La risposta a quest’ultimaargomentazione è di fomentare un “allarmismoingiustificato e non supportato dai dati” condita diinterpretazioni quali: “200.000 arrivi per un paese di62 milioni rappresentano solo lo zero virgola”. Eppureil dizionario treccani cita “sostituzione” come primotermine sinonimo di “rimpiazzo”; l’immigrazione dirimpiazzo va effettivamente a rimpiazzare un gruppoetnico in calo demografico (siano essi italiani, tedeschi,inglesi) con altri, mentre lo scenario demograficodinamico appena citato utilizzando differenti fontismentisce l’interpretazione statica basata sul singoloanno. Per quanto sconveniente in un dibattito politico,l’effetto dell’immigrazione di rimpiazzo su scaladecennale, partendo dall’inizio degli anni '90 durantei quali la popolazione residente straniera eraapprossimativamente pari al 2%, fino al 2065, quindiin tre quarti di secolo, aumenterà la popolazioneresidente d'origine straniera fino al 40%, riducendoquella italiana dal 98% al 60% circa, a fronte di unaumento complessivo della popolazione nello stessoperiodo di 7 milioni circa; la “sostituzione” è undato di fatto.

Appurato l’elemento statistico ne discutiamo lademocraticità, eticità e desiderabilità. Chi ritienetale cambiamento della popolazione desiderabile,spesso ne aggiunge l’inevitabilità; tale argomentazionetuttavia non è onesta, né tanto meno democratica:l’idea che un popolo non possa decidere il propriofuturo demografico non appartiene ad una societàfondata sulla libertà di parola, opinione e sulle libereelezioni; allo stesso tempo tale argomento sembrapiù volto ad impedire la presentazione di opinionicontrarie verso una determinata posizione politica.

Per quanto riguarda l’eticità, partiamo dalpresupposto che ogni popolo o gruppo etnico sullafaccia della terra abbia diritto ad una patria ed apreservare la propria identità e cultura. tali principi,che l’élite moderna, cosmopolita e mobile a livelloglobale spesso snobba come “nativismo”, sono sancitidalla “Dichiarazione dei Diritti delle PopolazioneIndigene’’ delle Nazioni Unite. tale Dichiarazionetrae le sue origini dal tentativo di garantire i dirittidei popoli vittime di imperialismi e colonialismi;come tutte le Dichiarazioni dei Diritti dell’oNU,tuttavia, ha un valore universale e quindi applicabilea tutti i popoli autoctoni. L’Italia ne è firmataria,anche se non ha valore legale.

L’articolo 8 in particolare legge: «I popoli e gliindividui indigeni hanno diritto a non essere sottopostiall’assimilazione forzata o alla distruzione della loro

cultura», mentre al comma 2: «Gli Stati devonoprovvedere efficaci misure di prevenzione ecompensazione per:

- qualunque atto che abbia lo scopo o l’effetto diprivarli della loro integrità come popoli distinti,oppure dei loro valori culturali o delle loro identitàetniche;

- qualunque atto che abbia lo scopo o l’effetto diespropriarli delle proprie terre, territori e risorse;

- qualunque forma di trasferimento forzato dellapopolazione che abbia lo scopo o l’effetto di violareo minare quale che sia dei loro diritti;

- qualunque forma di assimilazione o integrazioneforzata;

- qualunque forma di propaganda volta apromuovere o istigare la discriminazione razziale oetnica nei loro confronti».

L’articolo 9 invece legge: «I popoli e gli individuiindigeni hanno diritto ad appartenere ad una comunitào nazione indigena, in conformità con le tradizioni ei costumi della comunità o nazione in questione.Dall’esercizio di questo diritto non deve derivarealcuna discriminazione di alcun tipo»56.

L’universalità di tali diritti dovrebbe dunqueapplicarsi a chiunque, siano essi i maori nativi dellaNuova zelanda, gli Shona del mozambico e dellozimbawbe, gli Han della Cina, maggioranze ominoranze autoctone, quindi anche gli Italiani. L’ideache questi ultimi (ma non solo) debbano “passare iltestimone” della propria patria ad altri siconfigurerebbe quindi come una violazione dei dirittiumani del popolo italiano. tali diritti non sono incontraddizione con quelli del singolo immigrato, diqualunque provenienza o religione, di non esseresoggetto ad alcuna forma di discriminazione, o tantomeno precluderebbero la possibilità di cittadinanzae di entrare a far parte del popolo italiano. Non vi èun diritto alla “purezza etnica”. I diritti del singolomigrante non sono in contrasto con quelli del popoloitaliano. Ben diverso è lo scenario in precedenzadescritto dai dati in cui un gruppo etnico è soggettoad una migrazione talmente massiccia da determinarneil cambiamento di status da maggioranza superioreal 90% nella propria patria a minoranza in meno diun secolo. Il diritto del migrante di non esserediscriminato non dovrebbe comportare dunque unobbligo dei popoli autoctoni a scomparire nellastoria. Interessante notare come la versione temporaneadell’articolo 7 definiva le violazioni a tali diritti come«etnocidio» e «genocidio culturale»57.

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Un secondo limite alla società multiculturale ègarantito dalla stessa Costituzione italiana e confermatodalla Corte di Cassazione, Sezione Penale 31 marzo2017 n. 24084, altresì noto come “caso del kirpan”,il pugnale che i fedeli sikh sono tenuti ad indossarecome “segno della fede”. La suprema corte si ètrovata ad esprimere sui limiti all’articolo 19 dellaCostituzione, che garantisce la libertà di culto, inbase alla normativa del porto d’armi ed alla scalavaloriale della comunità italiana. Non solo la SupremaCorte ha sancito la sicurezza pubblica come beneprevalente sul diritto della libertà religiosa, ma ancheche la convivenza tra individui appartenenti a diverseetnie comporta l’individuazione di «un nucleo comunein cui immigrati e società di accoglienza si devonoriconoscere entro il limite invalicabile dei dirittiumani e della civiltà giuridica del paese ospitante»ed un «obbligo per l’immigrato di conformare ipropri valori a quelli del mondo occidentale, in cuiha scelto liberamente di inserirsi, e di verificare lacompatibilità dei propri comportamenti con i principiche la regolano».

Un altro argomento a favore del “passaggio ditestimone” da parte dei “vecchi Italiani” a quelli“nuovi” è la compensazione per i crimini delcolonialismo. tale argomentazione si fonda però sullogico presupposto che un popolo, quello italiano inquesto caso, sia ereditariamente e collettivamentecolpevole di un crimine: un concetto che rispecchiala definizione nel dizionario di “razzismo”.

L’ultima questione riguarda la desiderabilità diuna società multietnica e multiculturale: il nuovoparadigma dell’ortodossia liberal, una vera ossessione,è quello della diversità. Nel mondo finanziario, ladiversificazione del portafoglio riduce l’esposizioneverso crisi di una singola industria, rendendo ilportafoglio finanziario più stabile in quando in gradodi sopravvivere con maggiore probabilità a crisisistemiche. A livello accademico ed aziendale, ladiversità di genere, culturale ed orientamento sessuale(ma non di classe, istruzione o altro) è ritenutagaranzia di diversi approcci per una migliorerisoluzione dei problemi. Secondo una ricerca diInsead, Adecco e Tata Communications, a livelloaziendale squadre con diversità cognitiva presentanoprestazioni superiori rispetto a squadre il cui principalecriterio di selezione è il talento58. tuttavia i paesiconsiderati il massimo della competitività, Svizzera,Norvegia, Finlandia, Danimarca, Svezia, sono solo ametà classifica per quanto riguarda il criterio della“diversità”. I paesi nordici sono criticati in quantoin ritardo nell’attrazione di talenti stranieri e non

sufficientemente multiculturali; in particolare laFinlandia è solo 35° per quanto riguarda il criteriodi apertura. Stranamente questa mancanza dicorrelazione tra paesi competitivi ed alta diversitànon è considerata prova contraria alle conclusionidel rapporto.

La differenza tra mondo accademico o aziendalee la dimensione sociale di un paese può forse megliospiegare questa divergenza di risultati. Sia il mondouniversitario che quello aziendale hanno forti barriereall’ingresso in termini di istruzione, competenze eclasse. Si tratta di campi prevalentemente rappresentatida individui con master, dottorati, decennali esperienzelavorative ed elevati redditi. In tali casi quindi ilegami etnici, culturali e sociali sono più debolirispetto a quelli di classe sia dal punto di vistaeconomico sia da quello del livello di istruzione.Nella maggior parte dei paesi del mondo invececoesistono individui di diversa classe sociale (alta,media o bassa che sia), istruzione, identità etnica,religiosa e culturale. Nel contesto nazionale, anchealla luce dei risultati elettorali recenti nel mondooccidentale, si può notare una netta contrapposizionetra élite cosmopolite, progressiste e globalmentemobili, sradicate da identità etniche e culturali dauna parte, contro classi medie e basse per cui invecele proprie radici etniche e culturali sono fonte disicurezza ed identità dall’altra; accanto ad esse inFrancia, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi e Germaniasi può anche osservare l’auto-segregazione di larghecomunità di immigrati secondo criteri etnici e/oreligiosi.

Gli studi sull’impatto della diversità a livellosociale tendono ad avere conclusioni piuttostounanimi: la diversità è negativamente correlata allacoesione sociale in termini di senso di appartenenza,solidarietà di gruppo, fattori entrambi a loro voltapositivamente correlati a benessere personale eproduttività economica. Il più famoso caso nel mondoaccademico è quello di robert D. Putnam, il quale,pur da sostenitore del concetto di diversità e disocietà multietnica e multiculturale nel 2006, dopoaver a lungo studiato il caso statunitense si trovò aconcludere che le comunità etnicamente diverseavevano59:

- meno fiducia nel governo locale, nei capi politicie nei media;

- meno fiducia nell’efficacia del proprio voto;

- più interesse nella vita politica e partecipazionein proteste;

- meno aspettative che altri cooperino alla

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risoluzione di problemi comuni;

- minore partecipazione a progetti della comunità;

- minori donazioni alle organizzazioni di carità eminore partecipazione ad attività di volontariato;

- più sentimenti di infelicità e delusione dallapropria qualità della vita;

- meno amici e confidenti;

- speso più tempo davanti alla televisione,ritenendola fonte principale di intrattenimento.

La diversità non crea necessariamente ostilità digruppo ma causa un ritiro degli individui dalle attivitàcollettive e sfiducia nei vicini. È importante tuttavianotare che tali conclusioni furono raggiunte ben undecennio prima che l’immigrazione e l’identity politicsdiventassero temi polarizzanti del dibattito politiconegli USA. Conclusioni analoghe nello stesso periodofurono trovate da Dora Costa e matthew Khan,secondo i quali la fiducia tra individui è più bassa incomunità eterogenee così come la partecipazionealle attività della comunità60, ed ancora Alesina e LaFerrara, i quali trovano una correlazione positiva trafiducia, reddito ed istruzione ed una correlazionenegativa tra fiducia e comunità etnicamente miste61.Similmente uno studio sul caso britannico ritieneche62 «deprivazione e disordine sociale tendono adessere correlati con la diversità etnica» e che queste«erodono interazioni formali ed informali, che a lorovolta si traducono in bassa fiducia interpersonale esenso di appartenenza». Infine una comparazionedei casi canadese e statunitense anch’essa confermala correlazione negativa tra diversità e fiducia63.

Altre ricerche più recenti confermano che «ladiversità ha una relazione negativa con due dimensionidella coesione sociale: appartenenza e solidarietà»64

e che vi è un effetto causale delle diversità in questariduzione della coesione sociale65.

La ricerca accademica ha quindi raggiuntoconclusioni ben chiare riguardo la societàmulticulturale: sebbene vi possano essere dei beneficidi lungo termine, nel breve e nel medio periodo ladiversità semplicemente divide. I benefici di lungotermine potrebbero quindi non manifestarsi mai nelcaso di implosione delle relazioni sociali su baseetnica, culturale o religiosa. L’insistenza ossessivadella classe dirigente per il dogma della diversitàtrova difficile giustificazione: vi è una natura tribalenello sviluppo delle società umane, che può esserecertamente gestita in modo da evitare manifestazioniviolente già verificatesi nella storia; allo stesso tempoperò vi sono dubbi di democraticità, eticità e

desiderabilità verso esperimenti di ingegneria socialevolti a minare comunità omogenee a fini ideologici,specialmente nel caso in cui vi è evidenza schiacciantedei costi sociali che essa comporta.

L’elemento tribale della natura umana èulteriormente confermato da una simulazionedell’università canadese mcGill66: comparando losviluppo nel tempo di società fondate su etnocentrismo,umanitarismo, egoismo e tradimento, la societàetnocentrica prevale nell’evoluzione storica su tuttele altre grazie a superiori forme di cooperazione,cognizione sociale e apprendimento.

L’ultimo argomento a favore della diversità èquello delle diverse possibilità culinarie che essagarantisce; si può ritenere un argomento di per sévalido e di indubbia desiderabilità. tuttavia in unrapporto costi-benefici, dove tra i primi vi è undecremento della coesione sociale e tra i secondi unamaggiore disponibilità di leccornie, è razionalmentedifficile scegliere questi ultimi come fondamentodella società.

Conclusioni e suggerimenti

La questione demografica è finora statasostanzialmente presentata in modo disonesto alpubblico italiano. È in atto un verificabile cambiamentodella composizione etnica della popolazione ed alpopolo italiano dovrebbe essere consentito scegliereil proprio futuro, senza sfociare in eccessive frustrazioni.La classe dirigente è finora stata ondivaga, primanegando, poi mettendo il pubblico italiano di fronteal fatto compiuto, adducendo argomentazioni dinecessità e desiderabilità di dubbio valore. Nel casogli italiani decidessero che l’immigrazione di rimpiazzonon sia un’adeguata risposta alla compensazione delcalo demografico, quest’ultimo dovrebbe esserecombattuto rigenerando una scala valoriale che mettaal centro la famiglia e con politiche volte a crearelavoro per i giovani italiani.

La diversità può essere un valore aggiunto, comenei casi aziendali ed accademici, qualora vi sianoforti barriere selettive all’entrata: questo supporta laprecedente conclusione raggiunta nella sezioneeconomica, che i benefici possibili derivantidall’immigrazione potrebbero essere raggiunti piùfacilmente con restrizioni di tipo qualitativo equantitativo. riutilizzando la logica finanziaria, ilrischio massimo della società multietnica emulticulturale è un’implosione sociale e conflittietnici già visti in altri tempi e luoghi; difficilmente ibenefici potenziali giustificano i costi effettivi ed

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immediati di un’eccessiva diversità: questi ultimi,nella forma di una diminuzione della coesione socialedovuta all’aumento dell’eterogeneità etnica e culturale,sono ampiamente documentati dalla ricercaaccademica. I flussi migratori dovrebbero esserecontrollati in modo da evitare la formazione di societàparallele come sta avvenendo in molti paesi dell’Europaoccidentale, a causa della superficialità della classedirigente liberale. All’immigrato deve essere data lapossibilità di inserirsi in un contesto prevalentementeitaliano, cosicché egli possa italianizzarsi a sua volta.Questo processo richiede anni e viene rallentato oimpedito da flussi continui che causano auto-

segregazione delle comunità dei migranti.

La superdiversità tanto decantata nei salotti politiciè nel migliore dei casi un lusso culinario abbordabileper pochi. Per quanto auspicabile che le societàumane non si chiudano su se stesse secondo lineetribali, se effettivamente vi è una componentecomunitaria nella natura umana, allora la raggiungibilitàdi tale atomismo individuale si presenta come unapericolosa chimera. Altri regimi nel passato hannocercato di superare le limitazioni della natura umanagiustificando le proprie azioni secondo principimorali, scientifici o razionali, eppure ognuno di essiè imploso a causa delle proprie contraddizioni interne.

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6. CONCLUSIONE

Questo rapporto si è concentrato su tematicheparticolarmente scottanti al momento attuale neldibattito politico. L’impatto economico delle politichemigratorie sul sistema paese è vario: certamentearricchisce gli immigrati stessi ed aumenta la variabilePIL; le dinamiche interne tuttavia sono meno rosee.Le classi più deboli in un momento di stagnazioneed alta disoccupazione come quello attraversatodall’Italia nell’ultimo decennio risentono negativamentedella competizione di immigrati bassamente qualificati,non tanto sui salari, ma nella distribuzione dellerisorse pubbliche e dell’occupazione. Allo stessotempo, l’Italia sta sprecando l’investimento nel campodell’istruzione, non essendo in grado di garantire unfuturo lavorativo ai propri giovani istruiti. Affinchél’immigrazione abbia effetti benefici diffusi a livellosociale nelle condizioni economiche attuali, urge unarestrizione significativa dei flussi secondo criteri chepremino la qualità e non la quantità. tali restrizionisono giustificabili anche secondo una logica diintegrazione: flussi eccessivi alimentano i fenomenidi auto-segregazione e società parallele, specialmentequando si tratta di individui di classe bassa edequivalente livello di istruzione. L’ integrazione delsingolo individuo, indipendentemente dalla suaprovenienza, richiede la necessità di inserimento inun contesto italiano ed allo stesso tempo una tempisticasufficientemente ampia affinché esso possa adattarsia usi e costumi ed imparare la lingua. Questo processoavviene molto più lentamente qualora venga creatala possibilità per gli immigrati di concentrarsi inquartieri secondo preferenze etniche e culturali.

Il progetto di società multiculturale dovrebbe

essere abbandonato: la stessa Corte di Cassazione haenunciato la necessità di preservare un nucleo comunedi valori su cui la società si deve fondare. vi èabbondante evidenza che la diversità eccessiva haun pericoloso effetto destabilizzante sulla coesionesociale; non riteniamo sia un caso che la polarizzazionepolitica degli ultimi anni si concentri in particolarmodo sul tema immigrazione, e che questa sia unaprimaria preoccupazione per l’elettorato. Laconnessione logica sembra auto evidente: le societàoccidentali potrebbero aver raggiunto ed in alcunicasi superato il limite massimo di “diversità” tollerabileprima che l’elettorato decida di sbarazzarsi dellapropria élite politica, ritenuta colpevole di essersiimbarcata in tale progetto. Le preoccupazioni diordine pubblico trovano anch’esse riscontro nei dati.Al fine di non venire meno ai propri obblighiumanitari, i paesi ricchi del mondo e le organizzazioniinternazionali dovrebbero collaborare alla creazionedi città-sviluppo per i rifugiati in paesi sicuri ma nonlontani dai luoghi di conflitto. Il trasferimento inEuropa di numeri elevati di rifugiati non aiutal’integrazione né dei rifugiati stessi, né tantomenodegli immigrati già presenti in Europa. È difficilmentegiustificabile dal punto di vista dei costi, specialmenterispetto all’opzione delle città-sviluppo e allo stessotempo presenta forti limiti dal punto di vista delleopportunità lavorative a causa delle competenzetendenzialmente basse dei rifugiati stessi. Il modellodi città-sviluppo consente invece di ovviare a tuttequeste difficoltà in maniera pragmatica garantendola sacrosanta protezione agli individui che ne hannobisogno.

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L’AUTORE

Carlo Sacino, laurea triennale in scienze politicheall'Università Cattolica di Milano e magistralein economia, politica, istituzioni internazionaliall'Università di Pavia. Precedentemente analistapolitico per la Fondazione Gefira.