L’immagine di Francesco nella tradizione antica, dalla ... · tradizione monastica, che era alto...

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1 L’immagine di Francesco nella tradizione antica, dalla storia all’agiografia Marcello CICCUTO Université de Pise (Italie) Alle origini, sul fondo di questa mirabile esperienza, sta la cultura monastica alto medievale, quella di san Benedetto quale ritroviamo nei Dialogi di Gregorio Magno. Il santo di Norcia compie, come è noto, un gesto di separazione rispetto al mondo (perché desidera piacere solo a Dio e arrivare solo in questo modo a una vita cristiana perfetta). C’è insomma alle origini questa condizione di separatezza necessaria per essere un cristiano autentico ; ed è quella che si inspira ai modelli dell’Antico Testamento, mentre sappiamo che il dio del Nuovo Testamento lascia il luogo celeste della divinità e sceglie come sua abitazione proprio la terra ; anzi non invita più l’uomo al rispetto di una legge di comportamento morale, ma lo invita ad accettare di parificarsi a dio, di diventare dio facendo la sua stessa vita di divinità diventata uomo, e accettando dunque di vivere secondo lo spirito. Francesco fu la dimostrazione vivente della realizzazione di una sorta di impossibile, e cioè che una sola persona impersonasse Cristo e ridesse agli uomini il senso vero della vita e del coinvolgimento in essa senza allontanarsi dal mondo (ed ecco allora Jacopone con gli accenti della sua invocazione: « O Francesco, da deo amato / Cristo en te s’ène mustrato »); e d’altronde si tratta di un dio ben diverso da quello della tradizione monastica, che era alto e splendente, lontano, e chi voleva avvicinarlo doveva sottoporsi a una dura ascesi, affrontare una lotta, un combattimento dove erano in gioco e si fronteggiavano vizi e virtù. E capite d’altronde quanta sottovalutazione dell’uomo ci fosse in questa prospettiva che significava puntare alla salvezza uscendo da se stessi e dalla condizione storica. Il dio incarnato da Francesco è consistito allora nello sposare la povertà, nel farsi « pusillo » come dice Dante nell’XI canto del Paradiso, rifiutando ogni forma di potere e identificandosi con l’agnello sacrificale del Nuovo Testamento, vale a dire in chi offre la propria vita agli altri e non la impone dall’alto o da una posizione di potere, bensì la vive assieme agli altri, facendo sì che il segno di appartenenza a Cristo altro non sia che la povertà.

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L’immagine di Francesco nella tradizione antica,

dalla storia all’agiografia

Marcello CICCUTO

Université de Pise (Italie)

Alle origini, sul fondo di questa mirabile esperienza, sta la cultura

monastica alto medievale, quella di san Benedetto quale ritroviamo nei Dialogi

di Gregorio Magno.

Il santo di Norcia compie, come è noto, un gesto di separazione rispetto al

mondo (perché desidera piacere solo a Dio e arrivare solo in questo modo a una

vita cristiana perfetta). C’è insomma alle origini questa condizione di

separatezza necessaria per essere un cristiano autentico ; ed è quella che si

inspira ai modelli dell’Antico Testamento, mentre sappiamo che il dio del

Nuovo Testamento lascia il luogo celeste della divinità e sceglie come sua

abitazione proprio la terra ; anzi non invita più l’uomo al rispetto di una legge

di comportamento morale, ma lo invita ad accettare di parificarsi a dio, di

diventare dio facendo la sua stessa vita di divinità diventata uomo, e accettando

dunque di vivere secondo lo spirito. Francesco fu la dimostrazione vivente della

realizzazione di una sorta di impossibile, e cioè che una sola persona

impersonasse Cristo e ridesse agli uomini il senso vero della vita e del

coinvolgimento in essa senza allontanarsi dal mondo (ed ecco allora Jacopone

con gli accenti della sua invocazione: « O Francesco, da deo amato / Cristo en te

s’ène mustrato »); e d’altronde si tratta di un dio ben diverso da quello della

tradizione monastica, che era alto e splendente, lontano, e chi voleva

avvicinarlo doveva sottoporsi a una dura ascesi, affrontare una lotta, un

combattimento dove erano in gioco e si fronteggiavano vizi e virtù. E capite

d’altronde quanta sottovalutazione dell’uomo ci fosse in questa prospettiva che

significava puntare alla salvezza uscendo da se stessi e dalla condizione storica.

Il dio incarnato da Francesco è consistito allora nello sposare la povertà,

nel farsi « pusillo » come dice Dante nell’XI canto del Paradiso, rifiutando ogni

forma di potere e identificandosi con l’agnello sacrificale del Nuovo

Testamento, vale a dire in chi offre la propria vita agli altri e non la impone

dall’alto o da una posizione di potere, bensì la vive assieme agli altri, facendo sì

che il segno di appartenenza a Cristo altro non sia che la povertà.

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Documento eccezionale, e non a caso trascurato e poi cancellato

dall’ufficialità ecclesiale riconosceremo in via preliminare per il nostro discorso

nel Testamento, dove Francesco distingue due elementi: il vivere secondo la

forma della Santa Romana Chiesa e il vivere secondo la forma del santo

evangelio. Così la scelta francescana si vede essere insieme spirituale e storica : il

giovane non è più monaco, nel senso che non ritiene necessario isolarsi fuori

dalla storia per poter contemplare un dio diverso da sé ; ritiene invece di voler

aver rapporto con dio attraverso le cose della terra e le creature. Dunque devoto

al pontefice e alla Chiesa di Roma ma intenzionato a vivere la vita stessa del

Cristo, facendo allora in modo di entrare in contrasto, in modo fortemente

paradossale, e con la chiesa alto-medievale e con quella contemporanea.

La chiesa monastica era stata riformata notoriamente da Gregorio VII un

secolo e mezzo prima di Francesco e si era imposto un modello che possiamo

definire di natura eminentemente clericale, anche radicale nelle sue posizioni

per via del confronto con le forze dell’Impero. Il limite qui intravisto da

Francesco sta nell’aver intuito che, nel momento in cui il potere ecclesiastico

viene usato come potere, si separano popolo e dio, dio viene usato come

strumento di dominio (e Francesco sceglie per parte sua la mitezza assoluta, il

contrario esatto del potere dell’uomo sull’uomo). Si trattò di una scelta

addirittura anti-culturale, che spiazzò chiunque. Perché il problema primario

non fu culturale bensì di esperienza vitale, una condizione piegata ai fini di una

norma di vivere e non di filosofare, viaggiando, predicando nel modo più

naturale possibile ma sopra ogni cosa mostrando il suo volto e se stesso. Questo

significherà per il giovane umbro arrivare a essere più forte della chiesa

clericale, a essere un « sole » come in Paradiso XI, appunto ; significherà credere

fermamente che l’efficacia storica venga dall’essere crocifisso nel mondo

piuttosto che dall’essere vittorioso sul mondo.

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Questa avventura fu ovviamente considerata un esempio di alto

tradimento nei confronti della Chiesa, per quanto proprio Bonaventura abbia

saputo intravedere questa possibilità di una escatologia che appare dentro la

storia e che fu poi la forza degli

Spirituali in traccia di un dio che

non si conosce per teologia

bensì in forza di esperienza.

Solo che fu il potere ecclesiastico

a vincere veramente e

definitivamente e, per quel che

interessa a noi oggi, a decidere

dell’immagine e della storia

figurata del santo da offrire ai

fedeli al di là della stretta

cerchia dei primi seguaci del

santo.

Vi ho accennato al

Testamento, presto cancellato

dalla Chiesa, e diremo allora a

questo punto di certi documenti

che troppo aderivano ad alcune

idee così rivoluzionarie: prima

fra tutti la chartula fratris leoni

[Imago 1] di cui si parla nella

Vita secunda di Tommaso da Celano : vuole il racconto che un frate

desiderasse ardentemente avere per sua consolazione uno scritto di pugno di

Francesco ; questi si fa portare da scrivere (pare che l’episodio sia accaduto alla

Verna), « ed egli di sua mano scrisse le lodi di dio, e le parole che aveva

in animo. Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse:

prendi questa piccola carta e custodiscila con cura fino al giorno

della tua morte ».

Il passo della benedizione riprende un luogo vetero-testamentario di

Numeri VI, ma è riportato a memoria per averlo Francesco appreso non dal testo

« ufficiale » della Bibbia ma nel corso di una semplice celebrazione liturgica. E

poi c’è il tau che cade proprio in mezzo al nome di Leone ed è la firma

tradizionale di Francesco simboleggiante come si sa protezione nei libri di

Ezechiele e dell’Apocalisse ; e il disegno tracciato sotto il tau altro non è che il

monte Calvario, in cui è confitta la croce di Cristo, nel luogo stesso della

Imago 1

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sepoltura di Adamo ; sul teschio di Adamo sarebbe quindi colato il sangue

della croce, a significare la rigenerazione dell’intera umanità.

Già in questo primissimo documento si capisce quanto fosse rilevante il

rapporto fra testi e immagini in queste fasi di partenza della vicenda

francescana. Detto rapporto, se esteso al profluvio di altri documenti che

abbiamo disponibile va tenuto in gran conto anche al fine di capire come si

snoda nel tempo la rappresentazione della figura e insomma l’iconografia del

santo. Dunque, nella Vita prima sancti Francisci commissionata a Tommaso da

Celano da Gregorio IX, Francesco più di ogni altra cosa è celebrato come un

alter christus e addirittura un serafin, « perseverando a vivere crocifisso ». Dato

il grave momento di assestamento della Chiesa, si devono prendere in conto

altri materiali di cui si viene a conoscenza, come quelli che i frati Leone, Angelo

e Rufino nel 1246 inviano da Jesi e da Greccio al ministro generale Crescenzio ; e

c’è una lettera di accompagnamento che riporta il pensiero e le azioni di altri

compagni francescani come Illuminato e Filippo o Masseo. Poi c’è una Vita che

Giulian da Spira realizza fra 1232 e 1239 per ambienti intellettuali e universitari

parigini. La Vita secunda rende a sua volta conforme la vita di Francesco a quella

di san Martino di Tours, si introducono nuovi episodi come il dialogo col

crocifisso di San Damiano e il celebre sogno di Innocenzo III (anche se

quest’ultimo sembra ricavato dalle leggende su san Domenico, già poste in gara

con le più diffuse e fortunate francescane), dove si fa strada una dimensione

ecclesiale dell’operato di Francesco, ai fini della reparatio ecclesiae di cui ci

informa l’episodio lateranense legato a papa Innocenzo III. Si potrebbe dire che

c’è una continua addizione di documenti, come ad esempio un Tractatus de

miraculis, sempre di Tommaso da Celano. Si configura insomma una biografia

assai scomoda del santo, con parti divergenti, divisa in più sezioni che si

scoprono distanti e per spirito e per stile – ecco perciò l’intervento di

Bonaventura inteso a operare una reductio ad unum, imponendo naturalmente

censure e tagli e omissioni, per offrire all’Ordine una giustificazione

provvidenziale della sua stessa esistenza, e anche controllando infrazioni

gioachimite di evidente origine pauperistica. Così l’assimilazione del santo con

Cristo acquista una tipologia nuova, che è quella del misterioso Angelo del

Sesto Sigillo che, ascendendo dall’Oriente, avrebbe rotto i sigilli dell’Età nuova.

Il Francesco di Bonaventura assurge a un’importanza che trascende il

contingente in forza di una sua sempre più marcata « spiritualizzazione »,

essendo lo scopo vero quello di inserire il santo sul piano di un’economia

divina nella storia. Così nel 1266 Bonaventura ordina la distruzione di tutte le

precedenti Vite del santo, consacrando il verbo unico della Legenda maior. Certo

gli zelanti avevano idee ben diverse, che condensarono poi nella Legenda trium

sociorum e nel testo del Sacrum commercium beati francisci cum domina paupertate,

provandosi ad accreditare una rappresentazione esemplare della primitiva

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fraternità francescana contro la leggenda oramai considerata ufficiale ; e questo

spirito più autentico e fedele alle origini si disperse in altri luoghi e testi lontani

dalla versione ufficiale, come la Legenda antiqua perusina, lo Speculum

perfectionis attribuito a frate Leone e infine i Fioretti, coi quali siamo però già fra

1327 e 1340, alle soglie del De conformitate vite beati francisci ad vitam Domini Iesu

di Bartolomeo da Pisa, agosto 1390, in cui si celebra nientemeno che la

conseguita santità dell’Ordine tutto, in quella che dobbiamo considerare alla

stregua di una sorta di enciclopedia storica francescana.

Avete capito (ma lo sapevate già) che si affaccia alla storia con Francesco

un personaggio talmente ricco e singolare e

suggestivo da avere inediti attributi fisici e

spirituali, e in particolare capace di conquistare

una sua identità personale su cui gioca tutto. La

sua immagine però deve, anch’essa, farsi strada in

mezzo e oltre gli stereotipi della figura bizantino-

greca, tanto da arrivare a piena maturazione solo

negli ultimi decenni del secolo, con Cimabue e

Giotto. Se pensiamo per un attimo al ritratto che ci

consegna Tommaso da Celano, scopriamo un

Francesco bello, biondo, rotondo, piccolo e ben

formato… ; a considerare invece la testimonianza

di Tommaso da Spalato, studente a Bologna che

vide Francesco predicare il giorno 15 agosto 1222

ci vien detto che sordidus erat habitus eius, persona

comptemptibilis et facies indecora. Allora come

stanno le cose ? Le cose stanno nell’esigenza di

non andare a cercare conformità con queste

descrizioni testuali [IMAGO 2] perché anche le Imago 2

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scalature temporali possono decidere – e hanno effettivamente deciso – rilevanti

variazioni nell’iconografia. Nell’immagine n° 2, che è anteriore al luglio 1228, il

Francesco raffigurato a Subiaco è un giovane bello, alto, slanciato, con barba e

capelli chiari; porta un cappuccio identico a quello dei benedettini sublacensi e

sul davanti ha un cordone a grossi nodi, che sarebbe però stato aggiunto più

tardi. Ha detto bene Offner a proposito del vicino ritratto francescano del

Louvre – ma le sue parole sono estensibili pressoché a tutti i primi documenti

figurativi della leggenda francescana – che « la presenza estatica del santo del

Louvre esprime più l’atteggiamento del mondo verso la sua leggenda che non

quella del santo verso il mondo ». [IMAGO 3]

Imago 3

7

Invero più rigidi paiono i santi dei dossali toscani, derivati da esemplari

bizantini : si veda il santo assai ascetico nella tavola di Bonaventura Berlinghieri

al S. Francesco di Pescia. [IMAGO 4]

Imago 4

8

Dunque intendo dire che succede che si tenti di

rendere il senso della spontanea primitività del

messaggio francescano, ma si tratta di impresa ardua

se si è costretti a confrontarsi con una tradizione così

forte, anti-ritrattistica. Comunque Francesco si cerca di

« tenerlo nella vita » man mano che passa il tempo, e

pure nel bel mezzo di tentativi intesi a farne un’icona

differente rispetto a quella greco-bizantina degli inizi.

Nell’espressione del grande critico Roberto Longhi in

merito all’immagine del santo in Santa Maria degli

Angeli ad Assisi [IMAGO 5] – si parla cioè di un «

bonzo strabico » – andrà colto l’impegno di alcune aree

culturali a conservare dettagli realistici e verosimili per

la figura del santo, che vediamo qui effettivamente

reso con una conformazione fisica delicata, esile, un

corpo smilzo sotto i panni, la testa piccola.

Però il primo vero ritratto realistico, di effettivo avvicinamento alla sua

Imago 5

9

figura storica viene dal territorio aretino, con Margarito [IMAGO 6] da

Sargiano; da un prototipo perduto, con faccia mobile, animata e vivace, tratti un

po’ rustici ma da uomo vivo, da povero pellegrino, brutto e senza pretese

estetiche, coerente al massimo col clima di fervore nostalgico e paupertario dei

conventi più piccoli, dove resistette la visione originale dei fatti e del messaggio

francescano.

E di repliche di questo modello ne sono state conservate almeno cinque.

[IMAGO 7]

Imago 6

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Imago 7

E allora è ad Assisi che si apre il dibattito sulla persona fisica e morale di

Francesco, a cominciare da Cimabue e dalla sua rivoluzionaria elaborazione

individuale dell’immagine del santo. [IMAGO 8]

Imago 8

Un vero salto di qualità, fondato sulla

riconquista piena del personaggio storico, in

tutta la sua tangibilità, a realizzare

l’immagine che forse più di ogni altra incarna

pittoricamente il personaggio-Francesco della

nostra fantasia.

Gli si contrapporrà l’idealizzato realismo di

Giotto : al piccolo brutto e cisposo santo

cimabuesco si contrappone un gladiatore

trionfante, sicuro di sé, [IMAGO 9] diremmo

per effetto di un classicismo a oltranza che va

addirittura oltre Bonaventura.

Imago 9

11

Il profluvio di immagini che segue ci dice comunque quanto fu combattuta la

disputa sulla figura del santo, fra il sottilmente aristocratico di Simone Martini

[IMAGO 10]

Imago 10

e il bellissimo del Maestro di Figline oggi a Worcester,

con folta barba nera intrecciata sul volto squadrato,

[IMAGO 11]

Imago 11

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grazie ai quali possiamo intuire come talvolta si imponessero esempi di rivalsa

popolare in immagine contro la sterilità immaginativa delle appropriazioni

dotte. Certo il quadro muta man mano che ci si addentra nel ‘300 e con

decadenza dell’Ordine a seguito del violentissimo contrasto sulla povertà

intrecciato all’azione di Giovanni XXII. Vediamo allora e ad esempio l’ultimo

episodio importante ad Assisi, rappresentato dalla raffigurazione di mano di

Puccio Capanna, [IMAGO 12]

Imago 12

13

dove circola un’aria spirituale, romantica, quasi preraffaellitica e moderna ;

mentre aderente a nuovi significati apocalittici è il Francesco di Taddeo di

Bartolo a Perugia, del 1403, coi piedi sui mostri di lussuria, orgoglio e avarizia

secondo quanto prescriveva l’iper-ortodosso De conformitate. [IMAGO 13]

Imago 13

14

Esistono tuttavia rivoli, derive interessanti, e cioè le storie accessorie, i

miracoli post mortem delle pitture su tavola e insomma le cosiddette tavole

istoriate. Se per un momento torniamo a Bonaventura Berlinghieri e al suo

dipinto di Pescia, [IMAGO 14]

Imago 14

Imago 14

15

vediamo come risultino rilevate e come

isolate le immagini del Christus patiens,

del santo taumaturgo; in più lo spazio

diventa accogliente e non selvaggio, si

raffigura la cassa che in S. Giorgio

doveva contenere il corpo del santo, un

oggetto preciso e reale ; e poi le scene di

esterni, le stimmate e la predica agli

uccelli, a far sì che la storia gloriosa del

santo non si svolga in un astratto clima

spirituale ma nel concreto della

topografia italica. La propaganda delle

virtù evangeliche e soprannaturali di

Francesco viene così ad assumere ben

precisa funzione, non fosse che per i

riscontri gioachimiti che tanto

influenzano l’iconografia «allargata» di Imago 15

16

quei decenni. Addirittura certi episodi (Francesco che sceglie l’abito in forma di

croce, si toglie le scarpe alla lettura del Vangelo alla Porziuncola o si espone

nudo alla gogna), come ritroviamo nella Cappella Bardi in S. Croce a Firenze,

[IMAGO 15] non torneranno più nelle pittografie o nei cicli affrescati dei secoli

XIII e XIV.

Si dà spazio allora a personaggi femminili, quali l’indemoniata, la malata

d’occhi o la fanciulla da Norcia (ad esempio nel quadro del Tesoro della Basilica

di San Francesco ad Assisi) [IMAGO 16]

Imago 16

17

ma anche a cose ben più popolari, sul modello dell’episodio del coscio di

cappone tramutato in pesce e di nuovo in cappone, o le stimmate che appaiono

e scompaiono come nella tavola del San Francesco di Orte. [IMAGO 17]

Imago 17

18

Più tardi, nelle decorazioni

ufficiali fra XIII e XIV secolo,

recupera terreno la versione

convenzionale accreditata da

Bonaventura e dalla sua Legenda

maior, dove più non domina il

confidenziale intimismo delle prime

versioni bensì un piglio

monumentale, magniloquente, la

visione della carriera del santo in

qualità di difensore della Chiesa. Ecco

perciò inserito il colloquio miracoloso

con il crocefisso di San Damiano

[IMAGO 18] : mentre si ribadisce il

colloquio diretto fra Cristo e

Francesco, d’altro canto si sottolinea

la funzione storica del personaggio a

sostegno della Chiesa romana, alias

un’idealizzazione sempre più

accentuata di un eroico protagonista, Imago 18

19

da statuaria classica e alla fine fuori del tempo storico, quando non legato ad

ambientazioni apocalittiche.

Che cosa aveva fatto Bonaventura ? Aveva fatto di Francesco « il santo

delle stimmate », allontanandolo nuovamente e per sempre dal modello

umano-terrestre di partenza e facendone una sorta di angelo. Nell’iconografia

legata alla Legenda maior si vede bene che le ferite sono prodotte per intervento

soprannaturale, e il serafino–tetramorfo acquista sempre maggiori rilievo e

dimensione [IMAGO 19] :

Imago 19

20

qui appunto il Serafino che è Cristo risulta inchiodato alla croce – mentre

Francesco volle sempre tener nascoste quelle stimmate che nella presente

circostanza vengono poste in primo piano (oltreché affiancate dalla ferita al

costato) [IMAGO 20]

Imago 20 Imago 20

21

ma che erano state un prodotto interiore, dalla condizione umana sua si erano

sprigionate come frutto della sua esperienza terrena…

La meditazione poi sul supplizio della croce non è di Francesco bensì della

cultura dei suoi seguaci, perché a Francesco interessava il « Cristo trionfante »,

non la passione bensì l’incarnazione, il problema della salvezza e l’amore del

Padre. Quindi Bonaventura ha spostato sul piano di una significanza

puramente spirituale tutti gli effetti fisici e umani della passione di Francesco,

con Giotto che gli fornisce la formula per rendere detto spostamento

visivamente (e poi storicamente) efficace.

Imago 20

22

Si consideri che alcuni dipinti

ignorano sia la croce che le stimmate (ad

esempio a S. Pietro a Caporciano

[IMAGO 21]

oppure a Montelabate vicino Perugia),

[IMAGO 22]

Imago 21

Imago 22

23

così come si cominciano a

inserire episodi della biografia

francescana meglio legati al

corpo del santo, alle leggende

della Vita Prima (certo nella

Tavola Bardi oppure nei

numerosi casi di figurazione

della « predica agli uccelli »,

dove l’azione del nuovo Adamo

venne a schierarsi da subito, col

suo significato di fratellanza

piena col creato e recupero della

perduta armonia edenica contro

la visione della Curia romana in

merito anche al predicare di

illitterati e laici). Possiamo

chiamare questo un fenomeno di

resistenza per una visione non

ortodossa e meglio aderente al

messaggio originale: quella col

libro e senza ferite, che è insomma ancora l’immagine dei benedettini di

Subiaco, puro in tutto e non legata ai condizionamenti del potere (e allora c’è

chi gli contrappone una funzione subalterna, affiancandogli l’immagine del

Battista [IMAGO 23] o anche quella dell’avversario Domenico); tanto che

talvolta lo si mette assieme ad altri santi penitenziali senza la ferita al costato

perché quello che interessa è proprio il contesto della passione-incarnazione del

primissimo messaggio francescano. [IMAGO 24]

Imago 23

24

Tant’è che le commissioni non

francescane si fanno le loro

iconografie personali, svincolate del

tutto dalle pastoie di questo dibattito:

così nell’originale esito di Lippo di

Benivieni, oggi a Cracovia, c. 1310.

[IMAGO 25]

Imago 24

Imago 25

25

Si rende il santo sempre più coerente al

motivo della croce – che non è il messaggio

originale – anzi sottoposto a essa [IMAGO

26]

lo si trasforma nel più

convenzionale dei santi

[IMAGO 27]

Imago 27

Imago 26

26

o, appunto, gli si fa perdere del tutto l’identità, « sotto il vestito niente » come

nel San Francesco di Zurbaran, solitario dialogante con la morte e non più

fervido propositore della vita umana. [IMAGO 28]

Imago 28