Lilith, madre di tutti i demoni, è stata...Shadowhunters. La potente magia del Conclave non riesce...

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Lilith, madre di tutti i demoni, è stata

distrutta. Ma quando gli Shadowhuntersarrivano a liberare Jace, che lei tenevaprigioniero, trovano soltanto sangue evetri fracassati. E non è scomparso soloil ragazzo che Clary ama, ma anchequello che odia, suo fratello Sebastian,il figlio di Valentine. Un figliodeterminato a riuscire dove il padre hafallito e pronto a tutto per annientare gliShadowhunters. La potente magia delConclave non riesce a localizzare nél’uno né l’altro, ma Jace non può starelontano da Clary. Quando si ritrovano,però, Clary scopre che il ragazzo non èpiù la persona di cui si era innamorata:in punto di morte Lilith lo ha legato per

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sempre a Sebastian, rendendolo unfedele servitore del male. Purtroppo nonè possibile uccidere uno senzadistruggere anche l’altro. A chi spetteràil compito di preservare il futuro degliShadowhunters, mentre Clary sprofondain un’oscura furia che mira a scongiurarea ogni costo la morte di Jace?

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Cassandra Clare

SHADOWHUNTERSCITTÀ DELLE ANIME PERDUTE

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Per Nao, Tim, David e Ben

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Nessun uomo sceglie il male perché è ilmale;

lo scambia solo per la felicità, per ilbene che cerca.

(Mary Wollstonecraft)

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PROLOGO

Simon se ne stava in piedi, attonito,davanti alla porta di casa.

Era l’unica che avesse maiconosciuto. Era il posto dove i suoigenitori lo avevano portato dopo che eranato. C’era cresciuto, fra le mura diquella villetta a schiera di Brooklyn.D’estate aveva giocato in stradaall’ombra degli alberi e d’inverno avevatrasformato i coperchi della spazzaturain slittini improvvisati. In quella casa la

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sua famiglia aveva osservato la shiva, isette giorni di lutto, in seguito alla mortedel padre. Ed era sempre lì che avevabaciato Clary per la prima volta.

Non si sarebbe mai immaginato cheun giorno, per lui, quella porta sarebbestata chiusa. L’ultima volta che avevavisto sua madre, lei gli aveva dato delmostro e aveva pregato affinché se neandasse. Lui, ricorrendo a unincantesimo, le aveva fatto dimenticaredi essere un vampiro, ma non sapeva perquanto tempo sarebbe durato. In piedi,nella fredda aria autunnale, guardò fissodi fronte a sé e capì. Anche se nonabbastanza.

La porta era coperta di simboli:stelle di David disegnate con la vernice,

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la parola ebraica chai, “vita”, incisa nellegno. Alla maniglia e al batacchioerano legati dei tefillin, astucci di cuoiocontenenti alcuni versi della Torah. Unahamsa, la Mano di Dio, copriva lospioncino.

Ancora frastornato, appoggiò unamano sopra la mezuzah, un altro piccolocontenitore di versetti, appesa sullostipite destro. Vide del fumo salire dalpunto in cui la sua pelle aveva toccatol’oggetto sacro, ma non sentì nulla.Nessun dolore. Solo un vuoto tremendo,che lentamente montava in freddarabbia.

Diede un calcio alla porta e sentìl’eco rimbombare dentro casa. —Mamma! — gridò. — Mamma, sono io!

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Non ci fu risposta, soltanto il suonodelle mandate della serratura. Il suosensibile udito aveva riconosciuto ipassi della madre, il suo respiro, ma leinon aveva fiatato. Simon riusciva adavvertire l’odore acre della paura e delpanico, persino attraverso il legno. —Mamma! — La voce gli si ruppe. —Mamma, è assurdo! Lasciami entrare!Sono io, Simon!

La porta vibrò, come se lei vi avessetirato un pugno contro. — Vattene via!— La voce di sua madre era aspra, resairriconoscibile dal terrore. —Assassino!

— Io non uccido la gente. — Simonappoggiò la testa contro la porta. Sapevache non avrebbe avuto problemi a

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sfondarla, ma a cosa sarebbe servito? —Te l’ho detto, bevo sangue animale!

— Tu hai ucciso mio figlio — disselei. — Lo hai ucciso e hai messo unmostro al posto suo!

— Ma tuo figlio sono io…— Hai il suo volto e parli con la sua

voce, ma non sei lui! Tu non sei Simon!— La voce della donna si alzò fino adiventare quasi un grido. — Vattene dacasa mia prima che ti uccida, mostro!

— Becky… — disse Simon. Avevale guance bagnate. Alzò le mani pertoccarsi il viso e, quando le allontanò,vide che erano macchiate: lacrimavasangue. — Che cosa hai detto a Becky?

— Stai alla larga da tua sorella! —Simon avvertì una successione di rumori

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metallici provenire da dentro la casa,come se fosse caduto qualcosa.

— Mamma — tentò di nuovo, maquesta volta il suo tono di voce non siaccese. Gli era uscito soltanto unsussurro rauco. La mano aveva iniziato apulsargli. — Ho bisogno di saperlo.Becky è lì? Mamma, apri, per favore…

— Stai lontano da Becky! — Oralei si stava allontanando dall’ingresso,sì, riusciva a sentirla. Poi giunsel’inconfondibile cigolio della portadella cucina che si spalancava e lostridio del linoleum mentre sua madre cicamminava sopra. Un cassetto che siapriva. All’improvviso se la immaginòche afferrava uno dei coltelli.

Prima che ti uccida, mostro.

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Il pensiero lo sconvolse. Se lei loavesse attaccato, il Marchio avrebbereagito disintegrandola, come avevafatto con Lilith.

Lasciò cadere la mano e indietreggiòlentamente, barcollando sui gradini finoal marciapiede, andando ad appoggiarsicontro il tronco di uno dei grossi alberiche regalavano ombra al quartiere.Rimase dov’era, fissando la porta dicasa, segnata e sfigurata dai simboli cheindicavano l’odio che sua madreprovava per lui.

No, ricordò a se stesso. Lei non loodiava. Lei pensava che fosse morto.Qualunque cosa sua madre odiasse, eraqualcosa che non esisteva. Io non sonociò che lei dice.

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Non sapeva quanto sarebbe rimastolì, immobile, se il suo cellulare nonavesse iniziato a vibrare nella tascadella giacca.

Lo prese d’istinto e notò che sulpalmo della mano aveva un’ustione. Erail disegno che stava sulla parte anterioredella mezuzah: stelle di Davidintrecciate. Cambiò mano per risponderee appoggiò il telefonino all’orecchio. —Pronto?

— Simon? — Era Clary. Glisembrava affannata. — Dove sei?

— A casa — disse lui, poi fece unapausa. — A casa di mia madre — sicorresse. Lo fece con una voce chesuonava cupa e distante alle sue stesseorecchie. — Non sei tornata all’Istituto?

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— Ecco, è proprio questo il punto— rispose lei. — Appena te ne seiandato, Maryse è scesa dal tetto doveJace avrebbe dovuto aspettarla. Nonc’era nessuno.

Simon si mosse. Senza rendersi beneconto del motivo per cui lo stavafacendo, come una bambola meccanicainiziò a camminare in direzione dellametropolitana. — In che senso non c’eranessuno?

— Jace è sparito — gli disse Clary,con un filo di tensione nella voce. — Econ lui anche Sebastian.

Simon si fermò all’ombra di unalbero spoglio. — Ma Sebastian èmorto. Lui è morto, Clary…

— E allora dimmi dov’è il suo

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cadavere, perché non c’è — ribatté lei,chiaramente sconvolta. — Qui soprasono rimasti solo sangue e vetri rotti. Sene sono andati tutti e due, Simon. Jace sen’è andato…

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parte prima

NESSUNANGELO MALIGNO

Amore è uno spirito familiare, Amore èun diavolo, non

c’è altro angelo maligno che Amore.(WILLIAM SHAKESPEARE, Pene

d’amor perdute)

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capitolo 1

L’ULTIMO CONSIGLIO

Due settimane dopo— Quanto altro tempo pensi che ci

vorrà per il verdetto? — chiese Clary.Non aveva idea di quanto avesseroaspettato, ma le sembravano almenodieci ore. Nella camera da letto diIsabelle, tutta nera e fucsia, non c’eranoorologi, ma soltanto cumuli di vestiti,pile di libri, cataste di armi, un mobile

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da toeletta traboccante di trucchiscintillanti e spazzole, cassetti aperti dacui straripavano mutandine di pizzo,collant velati, boa di piume. La scenaricordava un po’ il backstage delmusical Piume di struzzo, ma nelleultime due settimane Clary era rimastaabbastanza a lungo fra quel caossfavillante da trovarlo accogliente.

Isabelle era in piedi accanto allafinestra e teneva Church fra le braccia,accarezzandogli la testa con fareassente. Il gatto la guardava coi suoisinistri occhi gialli. Fuori imperversavaun tipico temporale di novembre e lapioggia rigava i vetri delle finestre comefosse vernice trasparente. — Non molto— rispose con calma la ragazza. Era

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senza trucco, cosa che la facevasembrare più giovane, e i suoi occhiscuri più grandi. — Cinque minuti,probabilmente.

Clary, seduta sul letto di Izzy fra unapila di riviste e una catasta di spadeangeliche tintinnanti, deglutì forte perricacciare indietro il sapore amaro chesentiva in gola.

Torno fra cinque minuti. Erano statequelle le ultime parole dette al ragazzoche amava più di qualsiasi altra cosa almondo. Forse, pensò, avrebbero potutoessere le ultime.

Clary ricordava la scena allaperfezione. Il giardino sul tetto. Quellaserata cristallina di ottobre, le stelle chebrillavano di un bianco gelido contro il

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cielo scuro e sereno. Le piastrelleimbrattate di rune nere, con macchiesparse di icore e di sangue. La bocca diJace sulla sua, l’unica cosa calda in unmondo che faceva rabbrividire. Lei chestringeva l’anello dei Morgensternappeso al collo. L’amor che move ilsole e l’altre stelle. Un ultimo sguardoverso di lui, mentre l’ascensore laportava via, risucchiandola giù nelletenebre dell’edificio. Aveva raggiuntogli altri nell’ingresso, abbracciando suamadre, Luke e Simon. Ma una parte dilei, come sempre del resto, era rimastacon Jace, dominando la città da quelgiardino sul tetto, loro due soli, nellametropoli fredda e scintillante di luci.

Maryse e Kadir erano saliti in

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ascensore, per raggiungere Jace sul tettoe vedere i resti del rituale di Lilith.Erano passati altri dieci minuti primache Maryse tornasse, sola. Quando leporte si erano aperte e Clary l’avevavista in faccia – bianca, contratta,sconvolta – aveva capito.

Quel che era accaduto in seguito erastato una specie di sogno: nell’ingresso,la folla degli Shadowhunters si eraraccolta attorno a Maryse; Alec se n’eraandato da Magnus; Isabelle era scattatain piedi. Bianchi sprazzi di luce avevanopenetrato l’oscurità come piccoleesplosioni di flash fotografici sul luogodi un crimine, quando, una dopo l’altra,le spade angeliche avevano illuminato lascena. Facendosi largo per avanzare,

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Clary aveva sentito la storia a pezzetti.Il giardino sul tetto era vuoto, Jacescomparso. La bara di vetro checonteneva Sebastian era andata infrantumi disseminati ovunque. Il sangueancora fresco colava giù dal piedistallosul quale, prima, giaceva il cadavere.

Gli Shadowhunters si eranoorganizzati in fretta per dividersi esetacciare l’area tutto attornoall’edificio. Magnus era lì, coi suoiocchi azzurro brillante, e aveva chiestoa Clary se avesse qualcosa di Jace dautilizzare per rintracciarlo. Attonita, leigli aveva consegnato l’anello deiMorgenstern e si era messa in un angoloper chiamare Simon. Non aveva fatto intempo a finire la telefonata, che la voce

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di uno Shadowhunter si era levata sututte le altre. — Rintracciarlo? Sì, sefosse ancora vivo. Ma con tutto quelsangue, è molto improbabile che…

In un certo senso, quella era stata lagoccia che aveva fatto traboccare ilvaso. L’ipotermia prolungata, l’estremastanchezza e lo shock avevano preso ilsopravvento, e Clary si era sentitacedere le ginocchia. Sua madre l’avevaafferrata prima che cadesse a terra.Dopo quell’episodio, solo una nubeconfusa. Il mattino seguente si erasvegliata nel suo letto, a casa di Luke,seduta ben dritta e con il cuore che lepulsava come un martello pneumatico,certa di aver avuto un incubo.

Ma quando aveva cercato

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faticosamente di alzarsi, le tracce deilividi su gambe e braccia le avevanoraccontato un’altra storia, come purel’assenza dell’anello. Indossati a casoun paio di jeans e una felpa, avevaraggiunto con passo incerto il salottodove Jocelyn, Luke e Simon sedevanocon aria cupa. In realtà non avevabisogno di chiederlo, però lo aveva fattocomunque: — L’hanno trovato? Ètornato?

Jocelyn si era alzata in piedi. —Tesoro, lo stanno ancora cercando…

— Ma non morto, vero? Non hannotrovato un cadavere, giusto? — Si eralasciata cadere sul divano, accanto aSimon. — No, non è morto… Io losaprei.

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Ricordò Simon che le stringeva lamano mentre Luke le diceva quello chedavvero sapevano: Jace risultavadisperso, e con lui Sebastian. La cattivanotizia era che il sangue sul piedistalloera stato identificato: era di Jace. Quellabuona, che ce n’era meno di quanto sifosse immaginato in un primo momento:il sangue si era mescolato all’acquafuoriuscita dalla bara rotta. Adesso, tuttipensavano che c’erano buone possibilitàche fosse sopravvissuto, qualunque cosafosse accaduta.

— Ma che cosa è successo,esattamente? — aveva chiesto Clary.

Luke aveva scosso la testa, un velodi tristezza sugli occhi. — Nessuno losa, Clary.

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Lei si sentì come se nelle vene, alposto del sangue, avesse dell’acquaghiacciata. — Voglio aiutarvi anch’io.Fare qualcosa. Non voglio restarmenequi seduta mentre Jace è scomparso.

— Di questo non mi preoccuperei —aveva commentato Jocelyn con farelugubre. — Il Conclave vuole vederti.

Quando Clary si era alzata, nellearticolazioni e nei tendini aveva sentitorompersi un ghiaccio invisibile. —D’accordo. Chi se ne importa. Dirò tuttoquello che vogliono, se riescono atrovare Jace.

— Dirai tutto quello che voglionoperché loro hanno la Spada Mortale. —C’era disperazione nella voce diJocelyn. — Piccola mia, mi dispiace

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così tanto…E ora, dopo due settimane di

testimonianze dette e ridette e un numeroinfinito di persone chiamate a deporre,dopo aver tenuto fra le mani la SpadaMortale per una dozzina di volte, Claryera seduta in camera di Isabelle in attesache il Consiglio decidesse il suodestino. Non riusciva a fare a meno diricordare la sensazione che le avevadato la Spada Mortale: minuscoli amiconficcati nella pelle che ti tiravanofuori la verità. Si era inginocchiata,stringendola, dentro il cerchio delleStelle Parlanti e aveva sentito la suastessa voce raccontare ogni cosa alConsiglio: di come Valentine avevaevocato l’angelo Raziel e di come lei gli

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aveva sottratto il potere di controllarlocancellando il suo nome sulla sabbia escrivendoci il proprio. Aveva rivelatoanche che l’angelo le aveva messo adisposizione un desiderio, e che lei loaveva sfruttato per resuscitare Jace.Aveva spiegato che Jace era statoposseduto da Lilith, la quale volevautilizzare il sangue di Simon perresuscitare Sebastian, fratello di Clary econsiderato da lei come un figlio; infine,aveva parlato del Marchio di Caino diSimon e della sconfitta di Lilith, nonchédella presunta fine di Sebastian, ritenutoormai un pericolo superato.

Clary fece un sospiro e aprì ilcellulare per guardare l’ora. — Sono làdentro da un’ora. È normale? Brutto

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segno?Isabelle posò a terra Church, che

emise un miagolio. Si avvicinò al letto esi sedette accanto a Clary. Era più magradel solito (anche lei, come Clary, nelleultime due settimane aveva perso peso)ma pur sempre elegante nei suoipantaloni neri a sigaretta abbinati a unaaderente maglietta grigia. Gli occhierano orlati da mascara sbavato, cosache avrebbe dovuto farla sembrare unpanda ma che in realtà le conferiva ilfascino di una star del cinema francese.Allungò le braccia in avanti e i suoibraccialetti di elettro, coi ciondoli aforma di rune, tintinnaronomelodiosamente. — No, non è un bruttosegno. Significa solo che hanno molto di

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cui discutere — rispose, poi feceroteare l’anello dei Lightwood sul dito.— Non avrai problemi. Tu non haiinfranto la Legge, e questo è importante.

Clary fece un sospiro. Anche ilcalore della spalla di Isabelle accantoalla sua non bastava a sciogliere ilghiaccio che si sentiva nelle vene.Sapeva che tecnicamente non avevaviolato alcun principio, ma sapevaanche che il Conclave era furibondo conlei. Agli Shadowhunters era vietatoresuscitare i morti, ma all’angelo no,eppure chiedere indietro la vita di Jaceera stata una tale enormità che loro dueavevano deciso di non parlarne connessuno.

Ora la verità era venuta a galla e

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aveva scosso il Conclave. Clary sapevache la volevano punire, se non altroperché la sua scelta aveva avuto delleconseguenze davvero disastrose. Anzi,in un certo senso voleva essere punita.Voleva che le spezzassero le ossa, lestaccassero le unghie dalle dita, volevache i Fratelli Silenti le scavassero ilcervello coi loro pensieri affilati. Unaspecie di patto col diavolo: il suodolore in cambio del ritorno di Jacesano e salvo. Sarebbe servito a farlasentire meno in colpa per averlo lasciatosul tetto, anche se Isabelle e gli altri leavevano ripetuto cento volte che le sueerano considerazioni ridicole: tutti loroavevano pensato che lassù Jace fosseassolutamente al sicuro, ed erano inoltre

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convinti che, se lei non fosse scesa,sarebbe scomparsa a sua volta.

— Piantala — disse Isabelle. Per unmomento Clary non capì se stavaparlando con lei o col gatto. Church eraimpegnato a fare quello che spessofaceva quando lo si rimetteva a terra,ovvero starsene sdraiato sulla schiena,con le zampe in aria, fingendosi mortoper provocare il senso di colpa dei suoipadroni. Quando Isabelle scostò di latola sua chioma corvina, Clary capì che ilrimprovero era rivolto proprio a lei, nonal gatto.

— Piantarla di fare cosa?— Di ripensare in maniera morbosa

a tutte le cose orribili che ti capiterannoo che vorresti ti capitassero perché tu

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sei viva mentre Jace è… scomparso. —La voce di Isabelle sussultò come undisco rotto. Non si riferiva mai a Jacecome se fosse morto e nemmeno sparitoper sempre: lei e Alec si rifiutavanoanche solo di contemplare un’ipotesi delgenere. E Isabelle non aveva mairimproverato Clary, non una sola volta,per aver mantenuto un segreto cosìenorme. Anzi, nel corso degli eventiIsabelle si era di fatto dimostrata la suapiù indomita sostenitrice. La incontravaogni giorno nell’atrio del Consiglio e lateneva a braccetto mentre insiemesfilavano davanti a gruppi diShadowhunters che le fissavano ebisbigliavano. Inoltre la aspettavadurante gli interminabili interrogatori,

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lanciando occhiate di fuoco a chiunqueosasse guardarla storto. Questoatteggiamento aveva lasciato Clarysbalordita: lei e Isabelle non erano maistate davvero unite, essendo entrambe iltipo di ragazze che si trovano più a loroagio coi maschi piuttosto che incompagnia femminile. Isabelle invecenon l’aveva mai abbandonata,lasciandola tanto stupita quantoriconoscente.

— Non posso farci niente — sidifese Clary. — Se mi permettessero diandare in perlustrazione… Se mipermettessero di fare qualsiasi cosa…Penso che non sarebbe così grave.

— Non so — rispose Isabelle intono affaticato. Nelle ultime due

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settimane lei e Alec avevano cercatoJace per sedici ore al giorno,stancandosi a morte. Quando Claryaveva scoperto di essere stata totalmenteesclusa dalle ricerche fino al momentoin cui il Consiglio non avesse preso unadecisione riguardo alla resurrezione diJace, aveva tirato un calcio alla porta dicamera sua, aprendoci addirittura unbuco. — A volte sembra tutto inutile…— aggiunse Isabelle.

Brividi di gelo percorsero le ossa diClary. — Vuoi dire… Pensi che siamorto?

— No, non lo penso. Voglio solodire che secondo me è impossibile chesia ancora a New York.

— Ma stanno cercando anche in

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altre città, giusto? — Clary si portò unamano al collo, dimenticando che l’anellodei Morgenstern non c’era più. AncheMagnus stava cercando di rintracciareJace, benché per il momento ogni sforzosi fosse rivelato vano.

— Certo che sì. — Isabelle sisporse verso Clary, incuriosita, e letoccò il grazioso campanello d’argentoche ora teneva al posto dell’anello. — Equesto che cos’è?

Clary esitò. Il campanello era ilregalo della Regina della Corte Seelie.No, non era esatto: la Regina delle fatenon faceva regali. Il campanello servivaa segnalare alla Regina che Clarydesiderava il suo aiuto. Più giornipassavano senza traccia di Jace, più la

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mano di Clary aveva indugiato intorno aquel ciondolo. L’unica cosa che latratteneva era sapere che la Regina nondava mai niente senza aspettarsiqualcosa di tremendo in cambio.

Prima che Clary potesse risponderea Isabelle, la porta si aprì. Entrambe leragazze si raddrizzarono, con Clary chestringeva uno dei cuscini di Isabelle cosìforte che gli strass cuciti sulla stoffa lesi stavano infilzando nei palmi dellemani.

— Ehi. — Una figura snella entrònella stanza e chiuse la porta. Alec, ilfratello maggiore di Isabelle, era intenuta da Consiglio: tunica nera decoratacon rune d’argento aperta sopra i jeans euna maglietta anch’essa nera. Il total

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black lo faceva sembrare ancora piùpallido, gli occhi cristallini ancora piùazzurri. Aveva i capelli neri e lisci comequelli della sorella, però più corti. Labocca era contratta in una linea sottile.

Il cuore di Clary iniziò a battereforte. Alec non aveva l’aria felice.Qualunque fosse il responso, nondoveva essere buono.

Fu Isabelle a parlare. — Com’èandata? — chiese piano. — Qual è ilverdetto?

Alec si sedette al mobile da toeletta,ruotando sulla sedia per guardare Izzy eClary da dietro le spalle. In un’altrasituazione sarebbe stato divertente: Alecera molto alto, con gambe lunghe daballerino, e il modo in cui si piegava

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goffamente per girarsi faceva sembrarela sedia il minuscolo mobile di una casadi bambole.

— Clary — disse. — Jia Penhallowha emesso la sentenza. Sei scagionata daogni possibile accusa. Non hai infrantoalcuna regola, e Jia ritiene che tu sia giàstata punita a sufficienza.

Isabelle emise un sonoro sospiro esorrise. Per un istante, un senso disollievo fece breccia tra gli strati dighiaccio che ricoprivano le emozioni diClary. Non sarebbe stata punita,rinchiusa nella Città Silente,intrappolata in un luogo da cui nonavrebbe mai potuto aiutare Jace. Luke,che, in quanto rappresentante nelConsiglio dei lupi mannari, aveva

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assistito al verdetto, aveva promesso dichiamare Jocelyn non appena la riunionesi fosse conclusa, ma Clary si affrettò aprendere il proprio telefono: l’idea didare a sua madre, per una volta, unabuona notizia era troppo allettante.

— Clary — le disse Alec mentreapriva il telefonino. — Aspetta.

Lei lo guardò. Il ragazzo avevaun’espressione seria e immobile, degnadi un becchino. Con un bruttopresentimento, Clary riappoggiò iltelefono sul letto. — Alec… Che c’è?

— Non è stato il tuo verdetto arichiedere così tanto tempo, al Consiglio— spiegò Alec. — C’era un’altraquestione di mezzo.

Il ghiaccio era tornato. Clary

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rabbrividì. — Jace?— Non proprio. — Alec si sporse in

avanti, incrociando le dita dietro loschienale della sedia. — Questa mattinapresto è arrivato un rapportodell’Istituto di Mosca. Ieri le protezionidell’isola di Wrangel sono stateabbattute. Hanno inviato una squadra perripararle, ma il fatto che un’opera di taleportata rimanga così a lungo in quellecondizioni, insomma, per il Consiglio èuna priorità.

Le protezioni, che secondo quantoClary aveva capito funzionavano comeuna sorta di recinto magico,circondavano la Terra. A metterle erastata la prima generazione diShadowhunters. I demoni potevano

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oltrepassarle, ma non era facile, e lamaggior parte di loro non ci riusciva,col risultato che si poteva evitareun’invasione di massa. Clary ricordòqualcosa che Jace le aveva detto tempoprima. Le sembravano passati anni. Unavolta in questo mondo le invasioni deidemoni erano poche e venivanocontenute facilmente. Ma anche solo daquando sono nato, sono sempre di più idemoni che riescono a oltrepassare leprotezioni.

— Be’, questa è una brutta notizia —osservò Clary. — Ma non capisco cosaabbia a che fare con…

— Il Conclave ha le sue priorità —la interruppe Alec. — Cercare Jace eSebastian è stata la missione numero uno

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nelle ultime due settimane. Sono statipassati al setaccio tutti i luoghifrequentati dai Nascosti, ma non c’ètraccia né dell’uno né dell’altro.Nessuno degli incantesimi diritrovamento lanciati da Magnus hafunzionato. Elodie, la donna che hacresciuto il vero Sebastian Verlac, haconfermato che nessuno ha cercato dimettersi in contatto con lei. Eraun’opzione improbabile, comunque. Lenostre spie non hanno riferito alcunaattività insolita da parte dei membriconosciuti del vecchio Circolo diValentine. E i Fratelli Silenti non sonostati in grado di capire quale fosseesattamente lo scopo del rituale diLilith, né se abbia avuto successo o

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meno. L’opinione generale è cheSebastian – che loro ovviamentechiamano sempre Jonathan – abbiarapito Jace, ma non è niente che già nonsappiamo.

— Dunque? — intervenne Isabelle.— Ci saranno altre indagini, altrericerche?

Alec fece di no con la testa. — No,non stanno valutando l’ipotesi diallargare l’operazione — disse piano.— Anzi, diciamo che non sono più lapriorità. Sono passate già due settimanee non hanno trovato niente. Ledelegazioni speciali fatte arrivare daIdris stanno per essere rimandate a casa.Adesso il problema delle protezioni èpiù importante. Senza contare che il

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Consiglio è nel bel mezzo di alcunetrattative molto delicate: stannoaggiornando le Leggi per consentire unaristrutturazione interna, vogliononominare un nuovo Console e un nuovoInquisitore, determinare trattamentidiversi per i Nascosti… Insomma, nonvogliono essere distratti dai loro altriimpegni.

Clary teneva lo sguardo fisso suAlec. — Non vogliono che la scomparsadi Jace li distragga dalle modifiche aqualche vecchia legge del cavolo? Sistanno arrendendo?

— Non si stanno arrendendo,stanno…

— Alec! — esclamò Isabelle in tonotagliente.

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Il fratello inspirò e sollevò una manoper coprirsi il viso. Aveva le dita lunghecome quelle di Jace, e come le sue eranocoperte di cicatrici. Il dorso della manodestra era decorato con il marchio aforma di occhio degli Shadowhunters.— Clary, per te… per tutti noi, la cosapiù importante è cercare Jace. Per ilConclave, cercare Sebastian. AncheJace, ma prima Sebastian, perché è lui ilpericolo. Ha distrutto le protezioni diAlicante. È uno sterminatore. Jaceinvece è…

— Uno Shadowhunter come tantialtri — intervenne Isabelle. — Moriamoe scompariamo ogni giorno.

— Ha dei privilegi in più per il fattodi essere un eroe della Guerra Mortale

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— spiegò Alec. — Ma alla fine ilConclave è stato chiaro: proseguirà conle ricerche, ma al momento aspetta chesia Sebastian a compiere la prossimamossa. Nel frattempo, continua aritenerla una priorità di terzo grado. Almassimo. Si aspetta che torniamo allavita di tutti i giorni.

Vita di tutti i giorni? Clary nonriusciva a crederci. Tutti i giorni, senzaJace?

— È quello che ci hanno detto dopola morte di Max — disse Izzy, con gliocchi neri asciutti ma brucianti dirabbia. — Che il dolore sarebbe passatopiù in fretta se avessimo ripreso lanostra vita normale.

— In teoria è un buon consiglio —

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disse Alec da dietro le proprie dita.— Certo. Dillo a papà. È forse

tornato da Idris per la riunione?Alec fece di no con la testa,

riabbassando le mani. — No. Ma se vipuò consolare, erano presenti moltepersone che chiedevano con decisionedi continuare le ricerche di Jace a pienoritmo. Magnus, ovviamente, ma ancheLuke, il Console Penhallow, persinoFratello Zaccaria. Ma alla fine non èbastato.

Clary continuava a fissarlointensamente. — Alec — disse. — Nonprovi niente?

Lui sgranò gli occhi, il cui azzurro siincupì, e per un istante Clary ricordò ilragazzo che l’aveva odiata al suo arrivo

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all’Istituto, il ragazzo con le unghiemangiucchiate, i buchi nelle felpe e chece l’aveva sempre con il mondo intero.— So che sei arrabbiata, Clary — ledisse in tono deciso. — Ma se staidicendo che io e Iz teniamo a Jace menodi quanto ci tieni tu…

— Non è così. Sto pensando alvostro legame di parabatai. Leggevodella cerimonia nel Codex e so cheessere parabatai vi legareciprocamente. Tu riesci a percepirecose su di lui. Quello che voglio direè… Non senti se è ancora vivo?

— Clary — Isabelle sembravapreoccupata. — Pensavo che non…

— È vivo — disse Alec conprudenza. — Pensi che starei così bene

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se non fosse così? Però c’è qualcosa diprofondamente sbagliato, sento anchequello. Ma posso dirti che respira.

— Quel qualcosa di sbagliatopotrebbe avere a che fare con il fatto cheè tenuto prigioniero? — chiese Clarycon voce esitante.

Alec guardò verso le finestre, la fittapioggia che scendeva grigiastra. —Forse. Non riesco a spiegarlo, non homai provato niente del genere primad’ora.

— Però è vivo.Alec a quel punto la guardò dritto

negli occhi. — Ne sono certo.— E allora freghiamocene del

Consiglio. Lo troveremo da soli —dichiarò Clary.

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— Clary, se fosse possibile, noncredi che avremmo già… — fece perribattere Alec.

— Abbiamo fatto quello che ilConclave voleva che facessimo — lointerruppe Isabelle. — Perlustrazioni,ricerche. Ci sono altri sistemi.

— Sistemi che infrangono la Legge,intendi dire — osservò Alec. Sembravatitubante. Clary sperava che non avrebberipetuto il motto degli Shadowhuntersquando si trattava della Legge, ovveroDura lex, sed lex: “La legge è dura, maè pur sempre la legge”. No, non ce lapoteva fare.

— La Regina della Corte Seelie si èofferta di farmi un favore — confessòClary. — Durante la festa agli

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Ironworks, a Idris. — Il ricordo diquella serata, di quanto era stata felice,le strinse il cuore per un momento,costringendola a fermarsi per riprenderefiato. — E di darmi un modo percontattarla.

— La Regina del Popolo Fatato nondà niente per niente.

— Lo so. Accetterò qualsiasi debitomi verrà imposto. — Clary ricordò leparole della ragazza che le avevaconsegnato il campanello. Farestiqualsiasi cosa per salvarlo. A ognicosto, non importa quanto tu debbapagare all’inferno o al paradiso. Dicobene? — Voglio solo che veniate conme. Non sono brava a tradurre illinguaggio delle fate. Almeno, se vi avrò

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accanto, potrete limitare i danni,qualunque saranno. Ma se c’è qualcosache lei è in grado di fare…

— Io vengo con te — disse subitoIsabelle.

Alec le lanciò un’occhiataccia. —Abbiamo già parlato con il PopoloFatato. Il Consiglio le ha interrogate alungo. E loro non possono mentire.

— Il Consiglio ha chiesto sesapevano dov’erano Jace e Sebastian —osservò Clary. — Non se erano dispostea cercarli. La Regina della Corte Seeliesapeva di mio padre, sapeva dell’angeloda lui invocato e intrappolato, sapeva laverità sul mio sangue e su quello diJace. Credo che al mondo non ci sianomolte cose di cui lei non è al corrente.

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— È vero — disse Isabelle, mentreuna punta di fervore iniziava a colorarlela voce. — Lo sai, Alec, che alle fatebisogna fare la domanda giusta, se sivogliono ricavare informazioni utili.Interrogarle è molto difficile, anche sesono obbligate a dire la verità. Unfavore, invece, è una cosa diversa.

— E i rischi che comporta sonopotenzialmente illimitati — ribatté Alec.— Se Jace sapesse che ho lasciatoandare Clary dalla Regina, mi…

— Non mi interessa. Lui per me lofarebbe, non puoi negarlo. Se ioscomparissi…

— Brucerebbe il mondo intero fino atirarti fuori dalla cenere, lo so — disseAlec in tono esasperato. — Accidenti,

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credi che anch’io ora non abbia vogliadi bruciare tutto? Sto solo cercando di…

— Di fare il fratello maggiore — lointerruppe Isabelle. — Capito.

Alec aveva l’aria di doversisforzare per mantenere il controllo. —Isabelle, se ti succedesse qualcosa…Dopo Max, dopo Jace…

Izzy si alzò in piedi, attraversò lastanza e prese Alec fra le braccia. I lorocapelli neri, esattamente del medesimocolore, si intrecciarono, mentre leisussurrava qualcosa all’orecchio di lui;Clary rimase a guardarli, non senza unpizzico di invidia. Aveva sempredesiderato un fratello. E ora ne avevauno: Sebastian. Era un po’ come aversempre desiderato un tenero cucciolo e

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ricevere invece un feroce Cerbero. OraAlec stava accarezzando i capelli dellasorella con affetto, dopodiché annuì e siliberò dall’abbraccio. — Dovremmopartire tutti — annunciò. — Ma devoinformare almeno Magnus di quello chestiamo facendo. Altrimenti sarebbescorretto.

— Vuoi usare il mio telefono? —chiese Isabelle, porgendogli unmalconcio apparecchio rosa.

Alec scosse la testa. — Staaspettando con gli altri al piano di sotto.Dovrai trovare una scusa anche perLuke, Clary. Si aspetterà che torni a casacon lui, ne sono sicuro. Diceva ancheche tua madre ha sofferto molto per tuttaquesta situazione.

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— Si ritiene colpevoledell’esistenza di Sebastian — disseClary alzandosi. — Anche se per tantianni aveva pensato che fosse morto.

— Non è colpa sua. — Isabellestaccò dal muro una frusta dorata e se lalegò attorno al polso, facendolasembrare una fila di bracciali luccicanti.— Nessuno la rimprovera per questo.

— Ma quello non conta — ribattéAlec. — Non quando sei tu cherimproveri te stesso.

In silenzio, i tre ragazziattraversarono i corridoi dell’Istituto,ora stranamente affollati da altriShadowhunters; alcuni di loroappartenevano alle commissioni specialiinviate da Idris per gestire la situazione.

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A dire il vero nessuno guardavaIsabelle, Alec o Clary con moltacuriosità. I primi tempi Clary avevaavuto l’impressione di essere l’oggettodi ogni sguardo, nonché di sentire piùvolte sussurrare le parole “la figlia diValentine”, tanto che aveva iniziato adaver paura di presentarsi all’Istituto.Arrivati a quel punto, ormai, era apparsadavanti al Consiglio così tante volte danon rappresentare più una novità.

Presero l’ascensore per scendere aipiani inferiori. La navata dell’Istitutobrillava dello splendore emanato dallastregaluce e da normali candele; alcentro, i membri del Consiglio e lerispettive famiglie. Luke e Magnus eranoseduti su una panca e stavano parlando

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fra loro; vicino al lupo mannaro c’erauna donna alta, con gli occhi azzurri, chegli assomigliava moltissimo. Aveva tintoi capelli grigi di castano e li avevaanche arricciati, ma Clary la riconobbecomunque: Amatis, la sorella di Luke.

Alla vista di Alec, Magnus si alzò egli andò incontro. Izzy parve riconoscerequalcuno seduto sulle panche e schizzòvia, al suo solito, senza fermarsi a diredove era diretta. Clary andò a salutareLuke e Amatis; avevano entrambi l’ariastanca, e lei stava accarezzando laspalla del fratello in segno di conforto.Quando Luke vide Clary, si alzò e laabbracciò. Amatis invece si congratulòcon lei per essere stata scagionata dalConsiglio. Clary annuì, ma non si

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sentiva lucida. Era come se avesse granparte della coscienza ottenebrata e ilresto sotto il comando di un pilotaautomatico.

Riusciva a vedere Magnus e Aleccon la coda dell’occhio. Stavanoparlando, Alec chino verso Magnus, inquella posizione di reciprocoinarcamento che spesso assumono lecoppie, sole nel loro universo privato.Era felice di vederli felici, ma da un latofaceva anche male. Si chiedeva seavrebbe mai rivissuto quei momenti, ose anche solo lo avrebbe voluto.Ricordò la voce di Jace: Tutto quelloche voglio sei tu.

— Terra chiama Clary — disseLuke. — Vuoi che torniamo a casa? Tua

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madre muore dalla voglia di vederti, ele piacerebbe chiacchierare un po’ conAmatis prima che domani torni a Idris.Pensavo che potremmo uscire a cena,scegli tu il posto! — Si sforzava dinascondere la preoccupazione nel tonodi voce, ma Clary la avvertivacomunque. Ultimamente aveva mangiatopoco, e i vestiti iniziavano a starlelarghi.

— In realtà non ho voglia difesteggiare — rispose. — Non ora che ilConsiglio ha tolto priorità alla ricerca diJace.

— Clary, questo non significa cheabbiano deciso di smettere — disseLuke.

— Lo so. È soltanto che… È come

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quando dicono che le indagini si sonotrasformate in ricerca del cadavere.L’effetto che mi fa è quello. — Deglutì.— In ogni caso stavo pensando diandare a mangiare da Taki con Isabelle eAlec — aggiunse. — Giusto per… farequalcosa di normale.

Amatis guardò di sbieco in direzionedella porta. — Guarda che piove adirotto.

Clary sentì che le labbra le sidistendevano in un sorriso. Si chiese sesembrava finto quanto lo sentiva lei. —Non mi scioglierò.

Luke le mise in mano qualche soldo,chiaramente sollevato nel vedere chefaceva qualcosa di normale come uscirecon gli amici. — Però promettimi che

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mangerai qualcosa.— Va bene. — Nonostante la fitta

del senso di colpa, riuscì a rivolgere aLuke un mezzo sorriso, questa voltaautentico, prima di voltarsi e andare via.

Magnus e Alec non erano più doveClary li aveva visti un attimo prima.Guardandosi attorno, riconobbe la lungachioma corvina di Izzy in mezzo allafolla. La ragazza era in piedi accanto algrande portone a due battentidell’Istituto, impegnata a parlare conqualcuno che però non riusciva ascorgere. Fece per raggiungerla e,avvicinandosi, riconobbe con un pizzicodi stupore Aline Penhallow. Aveva icapelli neri e lucidi, con un taglio allamoda che le arrivava appena sopra le

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spalle. Accanto a lei c’era una ragazzamagra, coi capelli biondo chiaro aboccoli; erano raccolti all’indietro elasciavano scoperte le orecchie,leggermente appuntite. La biondinaindossava la tunica del Consiglio, equando Clary le fu vicina notò che avevagli occhi di un verde-azzurro luminoso einsolito, un colore che le fece venirenelle dita la voglia di riprendere inmano le matite da disegno per la primavolta dopo due settimane.

— Deve essere strano, ora che tuamadre è il nuovo Console — stavadicendo Isabelle ad Aline nel momentoin cui Clary le raggiunse. — Non che Jianon sia di gran lunga meglio di… Ehi,Clary! Aline, ti ricordi di lei, vero?

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Le due ragazze si scambiarono uncenno. Una volta Clary aveva sorpresoAline che baciava Jace. Ai tempi erastato tremendo, ma ormai il ricordo nonfaceva più male. Adesso sarebbe statafelice di vedere Jace che baciavaun’altra. Almeno, per farlo, avrebbedovuto essere vivo.

— E questa è la ragazza di Aline,Helen Blackthorn — disse Isabelle conenfasi. Clary le lanciò un’occhiataccia.Pensava che fosse scema? Inoltrericordava che Aline aveva detto di averbaciato Jace soltanto come esperimento,per vedere se le piacevano i ragazzi. E aquanto pareva la risposta era stata no.— La famiglia di Helen gestiscel’Istituto di Los Angeles. Helen, lei è

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Clary Fray.— La figlia di Valentine — disse

Helen. Aveva l’aria sorpresa, comefosse in soggezione.

Clary fece una smorfia. — Cerco dinon pensarci troppo.

— Scusa, capisco il tuo sforzo. —Helen arrossì. Aveva la pelle moltochiara, di una lucentezza perlacea. — Ioho votato per mantenere la ricerca diJace al numero uno delle priorità,comunque. Mi dispiace che abbiamoperso.

— Grazie. — Clary non avevavoglia di parlarne e si girò verso Aline.— Fai le congratulazioni a tua madreper essere diventata il nuovo Console.Deve essere esaltante!

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Aline fece spallucce. — Ora hamolto più da fare. — Si rivolse aIsabelle: — Sapevi che tuo padre si ècandidato al ruolo di Inquisitore?

Clary sentì Isabelle gelare al suofianco. — No. No, non lo sapevo.

— Mi ha stupito — commentò Aline.— Pensavo che gli piacesse gestirel’Istituto, qui… — Si interruppe,guardando alle spalle di Clary. —Helen, credo che tuo fratello laggiù stiacercando di creare la più grandepozzanghera di cera colata al mondo.Forse è meglio se vai a fermarlo.

Helen sbuffò, esasperata, poiborbottò qualcosa sui ragazzini di dodicianni e sparì in mezzo alla folla, propriomentre si faceva largo Alec. Salutò

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Aline con un abbraccio (a volte Clarydimenticava che i Penhallow e iLightwood si conoscevano da anni) eguardò Helen fra la gente. — È la tuaragazza?

Aline annuì. — Helen Blackthorn.— Ho sentito dire che in quella

famiglia c’è del sangue di fata — disseAlec.

Ah, pensò Clary. Questo spiegava leorecchie a punta. Il sangue dei Nephilimera dominante, perciò il figlio di unafata e di uno Shadowhunter sarebbe statouno Shadowhunter, ma a volte il sanguedi fata riusciva a esprimersi nellemaniere più bizzarre, anche dopodiverse generazioni.

— Un pochino — confermò Aline.

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— Senti, Alec, volevo parlarti.Alec sembrò stupito. — E di cosa?— Quello che hai fatto nella Sala

degli Accordi… — iniziò Aline. —Baciare Magnus così. Mi ha dato laspinta che mi serviva per dire ai mieigenitori… Sì, per confessare che mipiacciono le ragazze. E se non l’avessifatto, credo che non avrei nemmenoavuto il coraggio di parlare con Helen,quando l’ho incontrata.

— Oh. — Alec era stupito, come senon avesse mai riflettuto sul fatto che lesue azioni potessero avere un impattoanche al di fuori del suo nucleofamiliare più stretto. — E i tuoigenitori? L’hanno presa bene?

Aline fece roteare lo sguardo. —

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Stanno ignorando la cosa, come se, nonparlandone, potesse sparire. — Claryricordava quello che Isabelle avevadetto sull’atteggiamento del Conclaverispetto all’omosessualità dei suoimembri. Se succede, non se ne deveparlare. — Ma potrebbe andare peggio.

— Certo, potrebbe andare moltopeggio — le fece eco Alec con unapunta di tristezza nella voce che spinsesubito Clary a guardarlo.

Il viso di Aline si sciolse inun’espressione comprensiva. — Midispiace, se i tuoi genitori non…

— Per loro non c’è problema —intervenne Isabelle, un po’ troppobruscamente.

— Be’, in ogni caso ora non avrei

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dovuto dire niente. Non con Jacescomparso. Sarete tutti moltopreoccupati. — La ragazza fece unrespiro profondo. — Immagino che tiavranno detto ogni genere distupidaggini su di lui. Di quelle chesaltano fuori quando non si sa cosa dire.Io… io vorrei raccontarti una cosa —Aline si scostò con impazienza da unapersona di passaggio e si avvicinò aiLightwood e a Clary, abbassando lavoce. — Alec, Izzy. Ricordo quando unavolta siete venuti da noi a Idris. Ioavevo tredici anni e Jace… sì, credo neavesse dodici. Voleva vedere la Forestadi Brocelind, così un giorno prendemmoin prestito dei cavalli e ci andammo.Ovviamente ci perdemmo, Brocelind è

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impenetrabile. Si fece buio, gli alberierano sempre più fitti e io eroterrorizzata. Pensavo che saremmomorti, in quel posto. Jace invece nonebbe mai paura, e non dubitò un soloistante che prima o poi avremmo trovatola via d’uscita. Ci vollero ore, ma allafine ce la fece. Ci tirò fuori di lì. Io nonsapevo come ringraziarlo, lui invece miguardava come se fossi pazza. Per luiera un risultato ovvio, non farcela eraimpensabile. Questo solo per dirviche… Jace troverà il modo di tornare davoi. Lo sento.

Clary non ricordava di aver maivisto Izzy piangere, cosa che del restostava cercando di evitare anche in quelmomento. Però i suoi occhi erano grandi

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e luccicanti in maniera sospetta… Alecsi stava guardando la punta delle scarpe.Clary sentì un’ondata di tristezza che lesaliva dentro e voleva sgorgare fuori,ma la ricacciò giù. Non riusciva aripensare a Jace quando aveva dodicianni, non riusciva a ripensare a lui personella notte, altrimenti se lo sarebbeimmaginato ora, intrappolato da qualcheparte, bisognoso del suo aiuto, in attesadel suo arrivo, e a quel punto sarebbecrollata. — Aline — disse, vedendo chené Isabelle né Alec riuscivano a parlare.— Grazie.

Aline le fece un sorriso timido. —Dico sul serio.

— Aline! — Era Helen, e aveva unamano saldamente ancorata attorno al

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polso di un ragazzino con le ditaimpiastrate di cera blu. Sicuramenteaveva giocato con le candele deglienormi candelabri che decoravano lefiancate della navata. Dimostrava circadodici anni, aveva un sorriso birichino egli stessi impressionanti occhi verde-azzurro della sorella, ma i capelli eranocastano scuro. — Siamo tornati. Forse èmeglio se ce ne andiamo, prima cheJules distrugga tutto quanto. Per nonparlare del fatto che non ho idea di dovesiano andati Tibs e Livvy…

— Si stavano mangiando la cera —spiegò molto opportunamente Jules, ilragazzino.

— Oddio! — Helen sbuffò disconforto, poi si guardò attorno con aria

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dispiaciuta. — Lasciatemi perdere. Hosei fratelli e sorelle minori e unomaggiore. Sembra sempre di essere allozoo.

Jules guardò prima Alec, poiIsabelle e quindi Clary. — Quantifratelli e sorelle avete voi? — chiese.

Helen impallidì. Isabelle rispose,con voce decisamente salda: — Siamoin tre.

Gli occhi di Jules si fissarono suClary. — Tu non assomigli a loro.

— Io non sono loro sorella —rispose Clary. — Io non ho né fratelli nésorelle.

— Neanche uno? — La voce delragazzo registrò sconcerto, come seClary gli avesse confessato di avere i

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piedi palmati. — È per questo che seicosì triste?

Clary pensò a Sebastian, coi suoicapelli bianco ghiaccio e gli occhi neri.Se soltanto, pensò, se soltanto nonavessi un fratello, niente di tutto questosarebbe mai accaduto. Si sentìpercorrere da un debole fremito d’odio,che le riscaldò il sangue gelido. — Sì— rispose piano. — È per questo chesono così triste.

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capitolo 2

SPINE

Simon stava aspettando Clary, Alece Isabelle fuori dall’Istituto, sotto unasporgenza di pietra che a stento gliimpediva di inzupparsi completamente.Si voltò quando gli altri uscirono dalportone. Clary vide che i capelli neri glisi erano incollati alla fronte e al collo.Simon se li tirò indietro e la fissò consguardo interrogativo.

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— Mi hanno dichiarata innocente —annunciò Clary, ma quando lui fecel’accenno di un sorriso lei scosse latesta. — Ma stanno togliendo prioritàalle ricerche. Sono… sono piuttostosicura che lo ritengano morto.

Simon abbassò lo sguardo sopra ijeans bagnati e la maglietta cheindossava, una t-shirt grigia stropicciata,con le maniche a contrasto e la scritta instampatello CHIARAMENTE HOPRESO DELLE PESSIME DECISIONI.Scosse la testa. — Mi dispiace.

— Il Conclave è capace di questecose — commentò Isabelle. — Credoche non avremmo dovuto aspettarcinient’altro.

— Basia coquum — disse Simon.

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— O qualunque sia il loro motto.— Veramente è Descensus Averno

facilis est. “La discesa agli inferi èfacile” — lo corresse Alec. — Tu haiappena detto “Bacia il cuoco”. Frequentii ristoranti dell’antica Roma?

— Cavolo! — esclamò Simon. —Lo sapevo che Jace mi stava prendendoper i fondelli. — I capelli bagnati gliricaddero sugli occhi e il ragazzo liscostò con un gesto abbastanzaimpaziente da permettere a Clary, per unistante, di intravedere il lucente Marchiodi Caino sulla sua fronte. — E ora che sifa?

— Ora si va a trovare la Reginadelle Seelie — annunciò Clary.Toccandosi il campanello che portava al

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collo, spiegò a Simon dell’incontro conKaelie al ricevimento di Luke e diJocelyn, riferendo anche le promessericevute dalla Regina.

Simon sembrava titubante. — Lasignora pel di carota, con quel bruttocarattere, che ti ha fatto baciare Jace?Non mi piaceva.

— È questo che ti ricordi di lei? Cheha fatto baciare Jace a Clary? —Isabelle sembrava innervosita. — LaRegina delle Seelie è pericolosa. Quellavolta stava solo giocando, perché disolito a colazione, ogni giorno, sidiverte a far impazzire fino alle urlaalmeno un essere umano.

— Io non sono umano — risposeSimon. — Non più. — Guardò Isabelle

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per un istante, poi abbassò lo sguardo esi voltò verso Clary. — Mi vuoi con te?

— Penso che averti sarebbe utile.Diurno, Marchio di Caino… Certe cosedovrebbero lasciare di stucco perfino laRegina.

— Non ci scommetterei — osservòAlec.

Clary guardò alle sue spalle. —Dov’è Magnus?

— Ha detto che è meglio se lui nonviene. A quanto pare fra lui e la Reginadeve esserci qualcosa.

Isabelle sollevò un sopracciglio,perplessa.

— Non quel qualcosa — ribattéAlec, irritato. — Una sorta diantagonismo. Anche se… — aggiunse a

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mezza voce — considerando quello checombinava prima che arrivassi io, nonne sarei tanto sorpreso.

— Alec! — Isabelle rimase indietroper parlare con il fratello, mentre Claryaprì l’ombrello automatico. Simonglielo aveva comprato anni prima alMuseo di Storia naturale; sul tessutoc’erano tanti piccoli dinosauri. Ilragazzo lo riconobbe, e in quel momentolei gli vide assumere un’espressionedivertita.

— Andiamo? — le chiese Simonoffrendole il braccio.

La pioggia scendeva fitta, creandopiccoli rigagnoli attorno ai tombini epozzanghere che esplodevano alpassaggio delle ruote dei taxi. Era

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strano, pensò Simon, pur non avendofreddo la sensazione di essere viscido ebagnato lo infastidiva ancora. Spostò losguardo lentamente, osservando Alec eIsabelle da sopra la spalla; Isabelle nonaveva ancora incrociato lo sguardo conlui da quando erano usciti dall’Istituto, eora si chiedeva a cosa stesse pensando.Sembrava avesse voglia di parlare conil fratello, e quando si fermaronoall’angolo di Park Avenue le sentì dire:— Allora, cosa ne pensi del fatto chepapà si è candidato come Inquisitore?

— Penso che mi sembra un lavoronoioso. — Isabelle reggeva un ombrellodi plastica trasparente, decorato conadesivi a fiori multicolori. Era uno deglioggetti più frivoli che Simon avesse mai

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visto, e non poteva biasimare Alec sepreferiva vedersela con la pioggiapiuttosto che starci sotto. — Chissàcome mai gli interessa.

— Non mi importa che sia noioso —sibilò Isabelle. — Se lo sceglieranno,dovrà stare tutto il tempo a Idris. Vogliodire, proprio sempre! Non può gestirel’Istituto e fare l’Inquisitore allo stessotempo. Non può avere due lavori.

— Nel caso non lo avessi notato, Iz,lui è già tutto il tempo a Idris.

— Alec… — Il semaforo cambiòcolore e il resto della frase vennesoffocato dal rumore del traffico, cheschizzò pioggia gelida sul marciapiede.Clary scansò quello che erapraticamente un geyser e per poco non

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cadde addosso a Simon. Lui le prese lamano e la aiutò a rimettersi inequilibrio.

— Scusa — gli disse. La sua manoera piccola e fredda dentro quella di lui.— Ero distratta.

— Lo so. — Simon cercò di nonmostrarsi preoccupato. Erano duesettimane che Clary era distratta.All’inizio aveva pianto, poi avevaprovato rabbia. Rabbia per non essersipotuta unire alle ricerche, rabbia per gliinfiniti interrogatori del Consiglio,rabbia per essere stata tenuta prigionierain casa propria perché il Conclave lariteneva sospetta. Ma soprattutto rabbiaverso se stessa, per non essere riuscita acreare una runa che fosse di qualche

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aiuto. La notte rimaneva seduta allascrivania per ore, con lo stilo strettocosì forte tra le dita da far temere aSimon che avrebbe potuto romperlo indue. Aveva cercato di costringere lapropria mente a fornire un’immaginecapace di dirle dove si trovava Jace.Invece, notte dopo notte, non erasuccesso nulla.

Sembrava più anziana, pensò Simonmentre entravano nel parco passando perun buco nel muro della Quinta Avenue.Non in senso negativo, soltanto diversadalla ragazza che era entrata con lui alPandemonium Club quella sera in cuitutto era cambiato. Più alta, ma non solo.Aveva un’espressione più seria, nelmodo in cui camminava c’erano più

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grazia e più forza, gli occhi verdi eranomeno inquieti, più determinati. Con unsussulto di sorpresa, Simon capì.Iniziava ad assomigliare a Jocelyn.

Clary si fermò in mezzo a un cerchiodi alberi gocciolanti; i rami bloccavanogran parte della pioggia, perciò lei eIsabelle poterono chiudere gli ombrellie appoggiarli contro i tronchi. Sganciòla catenella che aveva al collo e lasciòscivolare il campanello nel palmo dellamano. Guardò in faccia tutti i presenti,con espressione seria. — È un rischio— disse. — E sono anche abbastanzasicura che, se lo affronto, non potrò piùtirarmi indietro. Se quindi qualcuno divoi non vuole venire con me, non c’èproblema. Vi capisco.

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Simon si fece avanti e appoggiò unamano sopra quella di Clary. Non c’erabisogno di riflettere. Dove andavaClary, andava anche lui. Ne avevanopassate troppe insieme perché non fossecosì. Isabelle lo imitò subito, e lo stessofece Alec; gocce di pioggia cadevanodalle sue lunghe ciglia nere comefossero lacrime, ma l’espressione delviso era risoluta. I quattro ragazzi sitennero forte la mano.

E Clary fece suonare il campanello.La sensazione fu come se il mondo

stesse ruotando: non come quando siveniva scagliati attraverso un portalefino al centro di un maelström, pensòClary, ma più come starsene seduti suuna giostra che gira sempre più in fretta.

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Aveva le vertigini e le mancava il fiato,quando all’improvviso la sensazionescomparve e Clary si ritrovò di nuovoferma, con la mano stretta a quelle diIsabelle, Alec e Simon.

Lasciarono la presa uno dopo l’altra,e Clary si guardò attorno. Era già statain quel luogo, in quel lucido corridoiomarrone scuro che sembrava ricavato daun quarzo occhio di tigre. Il pavimentoera liscio, consumato da migliaia di annidi piedi di fate che ci erano passatisopra. La luce proveniva da scintillantischegge d’oro dentro i muri, e alla finedel passaggio compariva una tendamulticolore che oscillava avanti eindietro come mossa dal vento, sebbenelì sotto non ce ne fosse affatto. Quando

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Clary si avvicinò, si accorse che latenda era formata da tante farfalle cuciteinsieme. Alcune erano ancora vive, e iloro sforzi per liberarsi facevanovolteggiare la tenda simulando unabrezza leggera.

Tentò di ricacciare indietro il saporeacido che sentiva in gola. — Ehi! —chiamò. — C’è nessuno?

La tenda si scostò di lato con unfruscio e il cavaliere Meliorn comparvenel vestibolo. Indossava l’armaturabianca che Clary ricordava, ma ora sulpetto, a sinistra, c’era un sigillo. Eranole stesse quattro C che decoravanol’abito da Consiglio di Luke,identificandolo come membro. Anchesul viso del cavaliere c’era una novità,

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una cicatrice appena sotto gli occhicolor foglia. Guardò Clary conespressione glaciale. — Non si chiamala Regina della Corte Seelie con un“Ehi” così barbaro e umano — disse. —Neanche stessi chiamando una serva. Laformula giusta è “Lieta di incontrarvi”.

— Ma noi non ci siamo incontrate— ribatté Clary. — Non so nemmeno seè qui!

Meliorn la guardò con disprezzo. —Se la Regina non fosse presente e prontaa incontrarti, far suonare il campanellonon ti avrebbe portata qui. Ora seguimi,e porta con te i tuoi compagni.

Clary si voltò per fare un cenno aglialtri, poi seguì Meliorn al di là dellatenda con le farfalle torturate, avendo

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cura di abbassare le spalle nellasperanza di non toccare le loro ali.

Uno dopo l’altro, i quattro ragazzientrarono nella stanza della Regina.Clary batté le palpebre per lo stupore:l’ambiente era completamente diversoda come lo ricordava l’ultima volta chec’era stata. La Regina era distesa su undivano bianco e oro, e tutto intorno a leisi estendeva un pavimento composto dapiastrelle bianche e nere alternate,simile a una grande scacchiera. Dalsoffitto pendevano spine dall’aspettoinquietante. Su ognuna di esse eraconficcato un fuoco fatuo, la cui luce,normalmente accecante, tremolavaquando la fiammella si spegneva. Lastanza brillava del loro chiarore.

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Meliorn si mise al fianco dellaRegina. A parte lui non c’erano altricortigiani. Lentamente, la Regina siraddrizzò a sedere. Era bellissima comesempre, il suo abito un misto diafano dioro e argento, i capelli come ramerosato deposto con grazia sopra unadelle bianche spalle. Clary si chieseperché tanto disturbo. Di tutti i presenti,l’unico che poteva essere attratto dal suofascino era Simon, che però la odiava.

— Lieta di incontrarvi, Nephilim,Diurno — disse la Regina facendo uncenno con la testa in direzione deiragazzi. — Figlia di Valentine, cosa tiporta da me?

Clary aprì il palmo della mano.Dentro, il campanello brillava come

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un’accusa. — Hai mandato la tuaaiutante a dirmi che, se avessi avutobisogno del tuo aiuto, avrei dovutosuonare questo.

— Tu mi avevi detto che non voleviniente da me — ribatté la Regina. —Che avevi tutto ciò che desideravi.

Clary fece di tutto per ricordarsi ilmodo in cui si era espresso Jace quandoin passato avevano avuto udienza pressola Regina. Lui l’aveva lusingata,affascinata. Era stato come se,all’improvviso, avesse acquisito unvocabolario del tutto nuovo. Si girò eguardò da sopra la spalla Alec eIsabelle, ma lei le fece soltanto un gestonervoso per incitarla a continuare.

— Le cose cambiano — disse infine.

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La Regina allungò le gambe con ungesto voluttuoso. — Molto bene. Cosavuoi da me?

— Voglio trovare Jace Lightwood.Nel silenzio che seguì, il suono dei

fuochi fatui che gridavano di dolore eraappena percepibile. Finalmente laRegina disse: — Devi ritenerci davveromolto potenti se credi che il PopoloFatato possa riuscire dove il Conclaveha fallito.

— Il Conclave vuole trovareSebastian. Ma a me di Sebastian nonimporta: io voglio Jace — affermòClary. — E poi so già che sai più diquanto fai trapelare. Hai previsto chesarebbe successo. Nessuno lo sapeva,ma non credo che tu mi abbia mandato il

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campanello proprio il giorno dellascomparsa di Jace senza sapere chequalcosa bolliva in pentola.

— Forse sì — rispose la Regina,rimirando le splendenti unghie dei suoipiedi.

— Ho notato che voi fate dite spesso“forse” quando c’è una verità che voletenascondere — disse Clary. — Cosìpotete evitare di dare una rispostadiretta.

— Forse è così — rispose la Reginacon un sorriso divertito.

— Anche “chissà” è carino —propose Alec.

— Oppure “eventualmente” —aggiunse Izzy.

— Io non vedo niente di male nel

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dire “forse” — osservò Simon. — Unpo’ banale, ma rende bene l’idea.

La Regina liquidò con un gesto leloro parole come fossero fastidiose apiche le ronzavano attorno alla testa. — Ionon mi fido di te, figlia di Valentine —disse a Clary. — C’è stato un tempo incui volevo che mi facessi un favore, maquel tempo è passato. Meliorn ha il suoposto in Consiglio. Non sono certa checi sia qualcosa che tu possa offrirmi.

— Se tu lo pensassi veramente —ribatté Clary — non mi avresti mai fattoavere il campanello.

Per un istante i loro sguardi siincrociarono. La Regina era stupenda,ma dietro quel volto c’era qualcosa chericordava a Clary le ossa di un

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animaletto scolorite al sole. — Moltobene. Potrei essere in grado di aiutarti.Ma a quel punto vorrò una ricompensa— disse infine la Regina.

— Che colpo di scena… —mormorò Simon. Teneva le maniincollate in tasca e fissava la Regina condisprezzo.

Alec rise.Un lampo accese gli occhi della

Regina. Un secondo dopo, Alec barcollòall’indietro lanciando un urlo. Teneva lemani davanti a sé, guardandole a boccaaperta mentre si piegavano versol’interno, con le articolazioni che sigonfiavano e la pelle che si corrugava.La schiena gli si ingobbì, i capellidivennero grigi, gli occhi azzurri

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persero luce e sprofondarono in mezzo arughe marcate. Clary rimase senza fiato.Dove poco prima c’era Alec, adessoc’era un vecchio ricurvo, canuto etremante.

— Quanto rapidamente svanisce labellezza mortale — dichiarò trionfantela Regina. — Guardati, AlexanderLightwood. Ti dono un’anteprima dicome sarai tra soli sessant’anni. Checosa penserà quel giorno il tuo amatostregone della tua bellezza?

Alec ansimava. Isabelle corse subitoal suo fianco e gli prese il braccio. —Alec, non è niente. Soltanto unincantesimo. — Poi si rivolse allaRegina. — Ora toglilo. Toglilo!

— Se tu e i tuoi vi rivolgeste a me

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con maggiore rispetto, allora potreianche pensare di farlo.

— Lo faremo — promise subitoClary. — Ci scusiamo per la nostramaleducazione.

La Regina sospirò. — Sai, il tuoJace mi manca un po’… — disse. — Ditutti voi, era il più bello e il più cortese.

— Manca anche a noi — risposeClary con voce grave. — Non volevamosembrarti sgarbati. A volte è difficiletrattare con noi umani, quando stiamosoffrendo.

— Bah — fece la Regina, peròschioccò le dita e sciolse l’incantesimodi Alec. Era di nuovo se stesso, anche sepallido e sconvolto. La Regina gli lanciòuno sguardo di superiorità, poi rivolse

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di nuovo l’attenzione a Clary.— Ci sono degli anelli — esordì la

fata — che appartenevano a mio padre.Voglio che tornino a me, perché sonostati creati dalle fate e racchiudono ungrande potere. Ci consentono dicomunicare fra noi, mente con mente,come fanno i vostri Fratelli Silenti. Soda fonte certa che al momento sonoesposti all’Istituto.

— Ricordo di aver visto qualcosadel genere — disse lentamente Izzy. —Due anelli, forgiati dalle fate, contenutiin una teca di vetro al secondo pianodella biblioteca…

— Vuoi che rubi qualcosadall’Istituto? — chiese Clary stupita. Ditutti i favori che avrebbe potuto

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immaginarsi, quello non era di certo ilprimo della lista.

— Non è un furto restituire unoggetto al suo legittimo proprietario —puntualizzò la Regina.

— E poi troverai Jace per noi? —volle sapere Clary. — E non dire“forse”. Che cosa farai esattamente?

— Vi assisterò nelle ricerche —rispose l’altra. — Vi do la mia parolache il mio aiuto non avrà prezzo. Possospiegarvi, per esempio, il motivo per cuitutti i vostri incantesimi di ritrovamentosono stati vani. Posso inoltre dirvi inquale città è più probabile che Jace sitrovi…

— Però il Conclave ti ha interrogata— la interruppe Simon. — Come hai

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fatto a non dire la verità?— Non fanno mai le domande giuste.— Ma perché non dire la verità? —

volle sapere Isabelle. — Dov’è la tuaalleanza, in tutto questo?

— Non c’è. Jonathan Morgensternpotrebbe essere un potente alleato, senon lo rendo un nemico. Perché metterloin pericolo o suscitare la sua collerasenza alcun beneficio per noi? Quellodelle fate è un popolo antico. Noi nonprendiamo decisioni affrettate. Primaaspettiamo di vedere in quale direzionesoffia il vento.

— Allora per te questi anellivalgono tanto che, se te li portiamo, turischieresti di farlo arrabbiare? —chiese Alec.

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La Regina si limitò a fare un sorrisolanguido e carico di promesse. — Pensoche per oggi possa bastare — disse. —Fate ritorno da me con gli anelli e neriparleremo.

Clary esitò, voltandosi per guardareprima Alec e poi Isabelle. — Sieted’accordo? Rubare all’Istituto?

— Se significa trovare Jace… —fece Isabelle.

Alec annuì. — A ogni costo.Clary si girò di nuovo verso la

Regina, che la guardava con sguardoimpaziente. — Allora direi che abbiamotrovato un accordo.

La Regina si stiracchiò e sul viso lecomparve un sorriso soddisfatto. —Arrivederci, giovani Shadowhunters.

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Ma prima un monito, benché non abbiatefatto nulla per meritarlo. Ponderate conattenzione l’opportunità di dar la cacciaal vostro amico. Perché accade sovente,con ciò che viene perso e ritrovato, chelo si scopra diverso da come lo si eralasciato…

Erano quasi le quattro, quando Alecarrivò davanti al portone d’ingresso delpalazzo di Magnus, a Greenpoint.Isabelle lo aveva convinto a cenare daTaki insieme a Clary e Simon; sebbenelui in un primo tempo avesse protestato,ora era felice di aver accettato. Gli eraservita qualche ora per riprendersi,dopo quello che era accaduto alla CorteSeelie; non voleva che Magnus vedessequanto l’incantesimo della Regina lo

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avesse turbato.Alec non doveva più suonare il

campanello per salire in casa dellostregone: aveva la chiave, fatto di cuiera segretamente orgoglioso. Aprì ilportone e salì le scale, oltrepassando ilprimo piano del vicino. Anche se nonaveva mai visto chi abitasse in quel loft,immaginava che fosse qualcunocoinvolto in una relazione piuttostoburrascosa: una volta aveva trovato ilpianerottolo disseminato di oggettipersonali, accompagnati da un bigliettocon la scritta BUGIE, BUGIE,SOLTANTO BUGIE appuntato sulrisvolto di una giacca. Adesso invece,incollato alla porta, c’era un bouquet difiori da cui spuntava un bigliettino con

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su scritto SCUSA. A New York era così:degli affari dei tuoi vicini sapevi semprepiù di quanto non avresti voluto.

La porta di Magnus era socchiusa el’ingresso pervaso dalla musica a bassovolume; quel giorno toccava aCˇajkovskij. Alec sentì i muscoli dellespalle che si rilassavano mentre la portad’ingresso si richiudeva dietro di lui.Non sapeva mai con certezza cosaaspettarsi da quel posto… Adesso era instile minimalista: divani bianchi, tavolicomponibili rossi, alle pareti foto diParigi in un bianco e nero nettamentecontrastato. Eppure col tempol’ambiente era diventato per lui semprepiù familiare, accogliente. L’odore eraquello delle cose che associava a

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Magnus: inchiostro, colonia, tè neroLapsang Souchong, il profumocaramellato della magia. Prese inbraccio Chairman Meow, che dormivasul davanzale di una finestra, e sidiresse verso lo studio.

Quando entrò, Magnus alzò losguardo. Indossava quello che per luiera un completo austero: jeans emaglietta nera con piccole borchieattorno al collo e alle maniche. I capellineri erano sciolti, scompigliati eaggrovigliati, come se, per noia, se lifosse tormentati con le dita. Gli occhidel gatto erano pesanti di stanchezza.Alla vista di Alec, lo stregone lasciòcadere la penna e fece un sorriso. — Tupiaci a Chairman.

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— Gli piace chiunque gli dia unagrattatina dietro le orecchie — risposeAlec. Dopo aver cambiato posizione algatto appisolato, ebbe quasil’impressione di sentirsi rimbombare lesue fusa dentro il petto.

Magnus si appoggiò allo schienaledella sedia, distendendo i muscoli dellebraccia mentre faceva uno sbadiglio. Lascrivania era disseminata di fogli dicarta interamente ricoperti da disegni eda una calligrafia illeggibile. Sempre lostesso schema: varianti dei simbolirimasti sul pavimento del giardino deltetto dal quale Jace era scomparso. —Com’era la Regina Seelie?

— La solita.— Una stronza tremenda, quindi?

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— Praticamente. — Alec fornì aMagnus un breve riassunto di quello cheera successo alla Corte delle fate. Erabravo a sintetizzare: poche frasi efficaci,neanche una parola di troppo. Nonaveva mai capito le persone chechiacchieravano senza sosta e nemmenola passione di Jace per i giochi di paroletortuosi.

— Sono preoccupato per Clary —commentò Magnus. — Penso che stiaper perdere la sua testolina rossa.

Alec appoggiò Chairman Meowsulla scrivania, dove l’animale si chiusesubito a ciambella e si addormentò dinuovo. — Vuole trovare Jace. Comebiasimarla?

Lo sguardo di Magnus si intenerì.

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Agganciò un dito alla vita dei jeans diAlec e lo tirò a sé. — Stai dicendo cheanche tu faresti lo stesso, se fossi io asparire?

Alec voltò la faccia, lanciandoun’occhiata ai fogli che Magnus avevaappena messo da parte. — Staiguardando ancora quelle cose?

Con una punta di delusione, Magnuslasciò la presa. — Deve esserci unachiave per decifrarli. Qualche lingua acui non ho ancora pensato. Qualcosa diantico. Questa è vecchia magia nera,molto oscura, niente che io abbia maivisto prima d’ora. — Osservò di nuovoi fogli, inclinando la testa di lato. —Potresti passarmi la tabacchiera, perfavore? Quella d’argento, sul bordo

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della scrivania.Alec seguì con lo sguardo il gesto di

Magnus e vide una piccola scatolad’argento adagiata sul lato opposto dellagrande scrivania di legno. Si allungò ela prese. Era una specie di scrigno inminiatura che poggiava su dei piedini,con un coperchio bombato sopra il qualecomparivano le iniziali W.S. tempestatedi diamanti.

W, pensò. Will?Will. Magnus aveva fatto quel nome

quando Alec gli aveva chiestospiegazioni sulle cose dette da Camille.Santo cielo. È stato molto tempo fa.

Alec si morse il labbro. — Checos’è?

— Una tabacchiera — disse Magnus

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senza alzare la testa dai suoi carteggi. —Te l’ho detto.

— Credo sia la prima volta che nevedo una in vita mia…

Magnus sorrise. — Erano molto dimoda nel Sette e nell’Ottocento. Questala uso per tenerci un po’ di tutto.

Allungò la mano e Alec gli consegnòla scatolina. — Ti sei mai chiesto… —fece Alec, interrompendosi eriprendendo di nuovo. — Ti dà fastidiopensare che Camille è ancora in giro, daqualche parte? Che è scappata? — E cheè stata colpa mia? pensò Alec senzadirlo. Non c’era bisogno che Magnus losapesse.

— Non ha mai smesso di essere ingiro, da qualche parte — rispose

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Magnus. — So che il Conclave non ne èentusiasta, ma sono abituato aimmaginarla che si vive la sua vita senzavenirmi a cercare. Se mai mi hainfastidito, di certo non lo fa più damolto tempo.

— Però tu la amavi. Una volta.Magnus fece scorrere le dita sui

diamanti incastonati nel coperchio dellatabacchiera. — Così pensavo.

— Lei ti ama ancora?— Non credo — rispose Magnus in

tono asciutto. — L’ultima volta che l’hovista non è stata molto gentile.Ovviamente sarà perché io ho unfidanzato diciottenne con una runa dellaresistenza e lei no.

— Riguardo a questa definizione,

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io… mi oppongo! — farfugliò Alec. —È una descrizione che non mi appartiene.

— È sempre stata un tipo geloso —sorrise Magnus. Era tremendamentebravo a cambiare argomento, pensòAlec. Magnus aveva già messo in chiaroaltre volte che non gradiva parlare deisuoi amori passati, ma, a un certo puntodella conversazione, la sensazione diAlec di sentirsi a proprio agio, in unambiente familiare, era svanita. Perquanto giovane Magnus potessesembrare (e in quel momento, a piedinudi, con i capelli in piedi, dimostravacirca diciotto anni), a dividerli c’eranoincommensurabili oceani di tempo.

Magnus aprì la scatola, prese dellepuntine e le usò per fissare sulla

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scrivania il foglio che poco prima stavastudiando. Quando, alzato lo sguardo,vide l’espressione di Alec, rimasestupito.

— Tutto bene?Invece di rispondere, Alec si piegò

per prendergli le mani. Magnus si lasciòalzare in piedi, guardandolo con ariaincuriosita. Prima che potesse aprirebocca, Alec lo aveva già tirato a sé perbaciarlo. Lo stregone emise un debolegemito di piacere e gli afferrò lamaglietta da dietro, infilandoci sotto ledita fredde e appoggiandogliele sullapelle. Alec gli si strinse contro,bloccandolo fra sé e la scrivania. Nonche a Magnus dispiacesse, certo.

— Dai — gli sussurrò all’orecchio.

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— È tardi, andiamo a letto.Magnus si morse il labbro e da

sopra la spalla rivolse ancora unosguardo alle carte sulla scrivania,concentrandosi su antiche sillabe dilingue dimenticate. — Comincia adandare tu. Ti raggiungo fra cinqueminuti.

— Certo. — Alec drizzò la schiena,consapevole che, quando Magnus eraassorto nei suoi studi, cinque minutipotevano tranquillamente diventarecinque ore. — Ci vediamo dopo.

— Sssst!Clary si portò l’indice alle labbra

prima di far cenno a Simon diprecederla ed entrare in casa di Luke.Tutte le luci erano spente, il salotto buio

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e silenzioso. Indicò al ragazzo didirigersi verso camera sua, mentre leiandava in cucina a prendere un bicchiered’acqua. Arrivata a metà strada, restò disasso.

Dal corridoio sentì la voce di suamadre, una voce che Clary capiva esserecolma di tensione. Come per lei perdereJace era il peggiore degli incubi, cosìper Jocelyn sapere che Sebastian eravivo, a piede libero e capace diqualsiasi cosa, era fonte di un’angosciastraziante.

— Ma l’hanno scagionata, Jocelyn— Clary sentì dire a Luke, con la voceche variava dal sussurro al tononormale. — Non ci sarà nessun tipo dipunizione.

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— È tutta colpa mia. — La voce diJocelyn, invece, era soffocata, come seavesse sepolto la testa contro la spalladi Luke. — Se non avessi… messo almondo quella creatura, ora Clary nondovrebbe affrontare tutto questo.

— Ma tu non potevi saperlo… — Lavoce di Luke si spense in un mormorioe, sebbene Clary sapesse che lui avevaragione, per un istante provò uncolpevole fremito di rabbia verso suamadre. Pensò che Jocelyn avrebbedovuto uccidere Sebastian in culla,senza dargli il tempo di crescere erovinare le loro vite, ma, nell’istante incui lo fece, si vergognò di se stessa. Sigirò e tornò verso l’estremità oppostadella casa, precipitandosi in camera sua

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e chiudendosi la porta alle spalle comese qualcuno la stesse seguendo.

Simon, che era rimasto seduto sulletto a giocare col Nintendo DS, laguardò stupito. — Tutto okay?

Lei cercò di fargli un sorriso. Simonera una presenza familiare in camerasua; crescendo, era capitato più volteche dormissero da Luke. Clary avevafatto il possibile per trasformare quellache prima era soltanto una stanza inqualcosa di davvero suo: foto di lei conSimon o con Jace e foto della suafamiglia o dei Lightwood erano infilatea casaccio nella cornice dello specchiosopra il cassettone. Luke le avevaregalato un tavolo da disegno e leiaveva ordinatamente riposto materiali e

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colori dentro un armadietto a scomparti.Inoltre aveva appeso i poster dei suoianime preferiti: Fullmetal Alchemist,Rurouni Kenshin, Bleach.

Qua e là comparivano anche leprove della sua vita da Shadowhunter:una voluminosa copia del Codice connote e schizzi sui margini; una mensolapiena di libri sull’occulto e ilparanormale; lo stilo sopra la scrivaniae, infine, un nuovo mappamondo, donodi Luke, che mostrava Idris bordata inoro al centro dell’Europa.

E Simon, seduto a gambe incrociateal centro del suo letto, era uno dei pochielementi che appartenevano tanto allasua vecchia vita quanto alla nuova. Luila guardava con quei suoi occhi neri a

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contrasto con la carnagione pallida, loscintillio del Marchio di Caino appenavisibile sulla fronte.

— Mia madre — disseappoggiandosi contro la porta — non stabene, davvero.

— Ma non si sente sollevata? Vogliodire, ti hanno scagionata.

— Non riesce a fare a meno dipensare a Sebastian. Non riesce a nonsentirsi in colpa…

— Ma lei non c’entrava. La colpa èdi Valentine.

Clary non disse nulla. Stavaricordando l’orribile pensiero che avevaappena avuto, ovvero che sua madreavrebbe dovuto uccidere Sebastianappena nato.

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— Tutt’e due — proseguì Simon —vi sentite responsabili di cose che nondipendono da voi. Tu non ti perdoni diaver lasciato Jace su quel tetto…

Clary alzò la testa di scatto e loguardò dritto negli occhi. Non ricordavadi aver mai detto di sentirsi in colpa perquesto, pur avendolo fatto in cuor suo.— Io non ho mai…

— Oh sì, invece — ribatté Simon.— Però l’ho lasciato io, l’ha lasciatoIzzy, l’ha lasciato Alec. E Alec è il suoparabatai. Non c’era modo di sapere. Eforse, se tu fossi rimasta, le cosesarebbero andate anche peggio.

— Forse. — Clary non volevaparlarne. Evitando lo sguardo di Simon,andò in bagno a lavarsi i denti e a

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mettersi il pigiama felpato. Cercò di nonincrociare la propria immagine allospecchio. Odiava quel colorito pallido ele occhiaie. Lei era forte: non avrebbeceduto. Aveva un piano. Non importavase era un po’ folle e prevedeva di doverrubare all’Istituto.

Finito di lavare i denti, uscì dalbagno raccogliendosi i capelli a coda dicavallo. In quell’istante sorprese Simonche rimetteva dentro la borsa a tracollauna bottiglia di quello che quasisicuramente era il sangue comprato daTaki.

Lo raggiunse e gli scompigliò icapelli. — Puoi tenere le bottiglie infrigorifero, lo sai — gli disse. — Se nonti piace a temperatura ambiente, intendo.

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— In realtà, freddo è anche peggio.La cosa migliore è scaldarlo, ma credoche tua madre non sarebbe felicissima dilasciarmi usare le sue pentole.

— Jordan che dice? — domandòClary, chiedendosi se in effetti ilcoinquilino di Simon ricordasse diavere ancora qualcuno a casa, visto cheSimon aveva dormito da lei tutte le nottidell’ultima settimana. I primi giornidopo la scomparsa di Jace, lei nonriusciva a prendere sonno. Si mettevaaddosso cinque coperte, eppurecontinuava a sentire freddo. Rimanevasdraiata a occhi aperti, tremante,immaginandosi il sangue gelarsi nellesue vene, cristalli di ghiaccio checreavano attorno al cuore un reticolo

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luccicante simile a un corallo. Facevasogni dominati da oceani neri, distese dineve e laghi ghiacciati, nei quali il visodi Jace era sempre nascosto dall’ombra,da un lembo di nuvola o dai suoi stessicapelli lucenti. Non dormiva più diqualche minuto per volta, svegliandosisempre con la soffocante sensazione diannegare.

Il primo giorno in cui il Consigliol’aveva interrogata, era tornata a casa esi era messa a letto. Era rimasta così,perfettamente sveglia, finché non avevasentito bussare alla finestra. Poi Simonera entrato, evitando per un pelo dicadere sul pavimento. Senza dire unaparola, era salito anche lui sul letto e lesi era sdraiato accanto. Aveva la pelle

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fredda per essere arrivato da fuori,portava con sé odore di città e d’invernoincombente.

Lei gli aveva sfiorato la spalla conla propria, sciogliendo un briciolo dellatensione che le serrava il corpo come unpugno. Lui aveva la mano fredda, certo,ma familiare, come lo era anche ilcontatto della sua giacca di vellutocontro il braccio.

— Per quanto ti puoi fermare? — gliaveva sussurrato al buio.

— Quanto vuoi tu.Si era girata sul fianco per

guardarlo. — A Izzy non dispiacerà?— È stata lei a consigliarmi di

venire qui. Mi ha detto che non dormivie che, se avermi vicino serviva a farti

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stare meglio, allora dovevo restare.Oppure posso restare solo finché non tiaddormenti.

Clary aveva tirato un sospiro disollievo. — Rimani tutta la notte — gliaveva chiesto. — Per favore.

Lui era rimasto. E quella notte Clarynon aveva avuto incubi.

Se c’era Simon, il suo sonno erasgombro, privo di sogni, un mare buiofatto di nulla, un oblio indolore.

— A Jordan non importa granché delsangue — disse ora Simon. — A luiinteressa che io mi senta a mio agio conquello che sono: entrare in contatto colproprio vampiro interiore eccetera…

Clary gli scivolò accanto sul letto eabbracciò un cuscino. — Il tuo vampiro

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interiore è diverso dal tuo… vampiroesteriore?

— Decisamente. Vuole che indossicappelli di feltro e top con l’ombelicoscoperto, ma io sto lottando.

Clary abbozzò un sorriso. — Quindiil tuo vampiro interiore è Magnus?

— Aspetta, mi hai fatto venire inmente una cosa. — Simon si mise arovistare dentro la borsa a tracolla e neestrasse due manga che sventolòtrionfante prima di consegnarli a Clary.— Magical Love Gentleman numeroquindici e sedici — annunciò. —Esauriti ovunque tranne che da MidtownComics.

Clary li prese e osservò le copertinecoloratissime. Una volta avrebbe alzato

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in aria le braccia con l’entusiasmo diuna vera fan, adesso invece non riuscì aprodurre più di un sorriso e un grazie.Ma Simon lo aveva fatto per lei, pensò,il gesto gentile di un buon amico. Eraquello che contava, anche se non potevaneanche lontanamente immaginare dimettersi a leggere in quel momento. —Sei fantastico — gli disse dandogli uncolpetto con la spalla. Si sdraiò contro icuscini, tenendosi i manga in equilibriosulle gambe. — E grazie per esserevenuto con me alla Corte Seelie. So cheti fa tornare in mente dei brutti ricordi,ma… Quando ci sei tu sto sempremeglio.

— Sei stata grande. Ti sei mangiatala Regina in un boccone! — Simon le si

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mise accanto, spalla contro spalla,guardando in alto le familiari crepe sulsoffitto e le stelle adesive fluorescentiche ormai non si illuminavano più. —Quindi lo farai? Ruberai gli anelli per laRegina?

— Sì. — Clary lasciò andare unrespiro trattenuto troppo a lungo. —Domani. A mezzogiorno c’è una riunionedel Conclave a cui parteciperanno tutti.Lo farò in quel momento.

— Non mi piace, Clary.Lei si sentì irrigidire. — Non ti

piace cosa?— Che tu abbia a che fare con le

fate. Le fate sono bugiarde.— Ma se non possono mentire!— Dai, hai capito cosa intendo. E

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poi dire “le fate sono fuorvianti” nonsuona bene.

Clary girò la testa e guardò Simon,tenendogli appoggiato il mento sullaclavicola. Il braccio di lui salìautomaticamente a circondare le spalledi lei, tirandosela vicino. Lui aveva ilcorpo freddo e ancora umido per viadella pioggia; i capelli, di solito dritticome spaghetti, erano arricciati. —Credimi, nemmeno a me piace avere ache fare con la Corte. Ma io per te lofarei — gli disse Clary. — Come tu lofaresti per me, giusto?

— Certo che sì. Però resta unacattiva idea. — Simon la guardò negliocchi. — Lo so come ti senti. Quandomio padre è morto…

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Lei si irrigidì. — Jace non è morto.— Lo so, non era quello che

intendevo dire. È solo che… non haibisogno di dire che stai meglio quandoci sono io. Io sono sempre con te. Ildolore ti fa sentire sola, ma non lo sei.So che non credi in… che non credi allareligione come ci credo io, però, al fattodi essere circondata da persone che tivogliono bene, ci credi, no? — Avevagli occhi grandi, fiduciosi. Erano delsolito castano scuro, ma in un certosenso diversi, come se al loro coloreabituale se ne fosse aggiunto un altrostrato. E la pelle era priva di pori etraslucida allo stesso tempo.

Ci credo, pensò. Ma non sonosicura che serva. Gli diede un altro

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colpetto con la spalla. — Senti, tidispiace se ti faccio una domanda? Èpersonale ma importante.

Nella voce di Simon si insinuò unanota di allarme. — Cosa?

— Con questa storia del Marchio diCaino, se stanotte per sbaglio ti do uncalcio, me ne becco altri sette neglistinchi da una forza invisibile?

Lo sentì ridere. — Dormi, Fray.

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capitolo 3

ANGELI CATTIVI

— Ehi bello! Cos’è, ti eridimenticato che abitavi qui? — disseJordan appena Simon entrò nel salottodel loro piccolo appartamento, ancoracon le chiavi che gli penzolavano inmano. In genere trovava Jordanstravaccato sul divano, le lunghe gambeciondolanti oltre il bordo e iltelecomando della Xbox in mano. Quel

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giorno era effettivamente sul divano, maseduto dritto, con le larghe spalleincurvate in avanti, le mani nelle taschedei jeans e nessuna traccia divideogiochi accesi. Sembrava felice dirivedere Simon, e un secondo dopol’altro capì perché.

Jordan non era solo in casa. Davantia lui, su una poltrona di velluto arancioconsunto (in quella casa non c’era unsolo pezzo di arredamento coordinato),sedeva Maia, che aveva domato i suoiricci selvaggi con due trecce. L’ultimavolta che Simon l’aveva vista, eravestita di tutto punto per una festa.Adesso era tornata alla sua solita divisa:jeans con l’orlo sfrangiato, maglietta amaniche lunghe, giacca di pelle color

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caramello. Sembrava a disagio quantoJordan: schiena dritta, sguardo persofuori dalla finestra. Quando vide Simonfu felice di alzarsi in piedi eabbracciarlo. — Ciao — lo salutò. —Sono venuta a vedere come andava.

— Bene. Cioè, bene per quantopossa andare bene con tutto quel che stasuccedendo.

— In realtà non mi riferivo a Jace —disse. — Mi riferivo a te. Come ti senti?

— Io? — Simon era sorpreso. —Sto bene. Sono preoccupato per Isabellee Clary. Sai che il Conclave ha fattodelle indagini su di lei e…

— Ho sentito che è stata dichiaratainnocente, meno male. — A quel puntoMaia si sciolse dall’abbraccio. — Ma

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io pensavo a te. E a quello che ti èsuccesso con tua madre.

— Come fai a saperlo? — chieseSimon lanciando un’occhiata a Jordan, ilquale però scosse la testa in modo quasiimpercettibile. Lui non aveva parlato.

Maia si portò una treccia davantialla spalla. — Ho incontrato per casoEric, tu pensa. Mi ha raccontato quelloche è successo e ha detto che, per questomotivo, rinunci da due settimane aiconcerti con i Millenium Lint.

— In realtà hanno cambiato nome —precisò Jordan. — Ora si chiamanoMidnight Burrito.

Maia fulminò Jordan con lo sguardoe lui scivolò un po’ più in giù suldivano. Simon si chiese cosa stessero

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dicendo prima che lui entrasse in casa.— Ne hai parlato con altri della tuafamiglia? — domandò Maia con vocetenera. I suoi occhi ambrati eranocarichi di preoccupazione. Simonsapeva che era una reazione un po’ daorso, ma essere fissato in quel modo nongli piaceva. Era come se l’ansia di leirendesse il problema reale, quandoaltrimenti poteva far finta che nonesistesse.

— Ma sì — rispose. — Con lafamiglia tutto bene.

— Sul serio? Perché hai dimenticatoqui il telefono — intervenne Jordanprendendo l’apparecchio dal tavolo — eoggi tua sorella ti ha chiamato più omeno ogni cinque minuti. Come ieri, del

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resto.Simon si sentì percorrere lo stomaco

da un brivido di freddo. Prese ilcellulare dalle mani di Jordan e guardòlo schermo. Diciassette chiamate persedi Rebecca.

— Merda. Speravo di non arrivare atanto — disse.

— Be’, è tua sorella, prima o poi tiavrebbe cercato — osservò Maia.

— Lo so, ma ho provato a tenerla unpo’ tranquilla… Tipo lasciandole deimessaggi quando sapevo di non trovarla,quel genere di cose. È che… Sì, forsestavo solo cercando di evitarel’inevitabile.

— E adesso?Simon appoggiò il telefono sul

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davanzale della finestra. — Continuo aevitarla?

— Non farlo — disse Jordantogliendosi le mani di tasca. — Dovrestiparlarle.

— Per dirle cosa? — La domandagli uscì più acida del previsto.

— Tua madre deve averle dettoqualcosa — gli fece notare Jordan. —Sarà preoccupata.

Simon fece di no con la testa. — Trapoche settimane torna a casa per ilGiorno del Ringraziamento. Non vogliocoinvolgerla in quello che stasuccedendo con mia madre.

— Ma lei è già coinvolta. Fa partedella tua famiglia! — intervenne Maia.— Inoltre “quello che sta succedendo

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con tua madre”, insomma tutta questastoria, ormai fa parte della tua vita.

— E allora penso che sia meglio selei ne resta fuori. — Simon sapeva chesi stava comportando in manierairragionevole, ma non riusciva a farne ameno. Rebecca era… speciale. Diversa.Apparteneva a una delle parti della suavita che fino a quel momento eranorimaste al riparo da tutto quel delirio.Anzi, forse l’unica parte.

Maia lanciò in aria le mani,esasperata, e si rivolse a Jordan. —Digli qualcosa! Sei o no il suo custodepretoriano?

— Dai, piantatela — disse Simonprima ancora che Jordan potesse aprirebocca. — Chi di voi due è ancora in

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contatto con i genitori? Con la famiglia?Gli altri si scambiarono un rapido

sguardo. — Questo è vero, macomunque nessuno di noi aveva un belrapporto già da prima…

— Come volevasi dimostrare —fece Simon. — Siamo tutti orfani. I treorfanelli!

— Non puoi ignorare tua sorella, ebasta — insistette Maia.

— Lo vedrai.— E quando Rebecca tornerà a casa

e la troverà trasformata nel setdell’Esorcista? E tua madre non sapràdirle dove sei finito? — Jordan sisporse in avanti, tenendo le mani sulleginocchia. — Tua sorella chiamerà lapolizia e tua madre finirà nei guai.

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— È che non credo di essere prontoa sentire la sua voce — tentò di direSimon, sapendo che ormai non avevapiù scuse. — Ora devo uscire di nuovo,ma prometto che le manderò unmessaggio.

— Be’… — fece Jordan nonguardando Simon bensì Maia, nellasperanza che lei avesse notato ilprogresso appena fatto e ne fossecompiaciuta. Simon intanto si stavachiedendo se quei due si fossero visti,nelle due settimane in cui lui erapraticamente scomparso. Avrebbe dettodi no, a giudicare dall’atteggiamentoimbarazzato che avevano quando eraentrato, ma con quei due non si potevamai dire. — È già un inizio.

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Il cigolante ascensore d’ottone sifermò al terzo piano dell’Istituto. Claryfece un respiro profondo e uscì sulcorridoio. Come promesso da Alec eIsabelle, era silenzioso e deserto. Iltraffico su York Avenue arrivavaall’interno come tenue mormorio, tantoche Clary immaginò di sentire il rumoredei granelli di pulviscolo che sisfioravano l’un l’altro danzando nelfascio di luce proveniente dalla finestra.Lungo la parete c’erano gli attaccapannidove i residenti dell’Istitutoappendevano i cappotti quandoentravano. Una delle giacche nere diJace era ancora lì, con le sue manichevuote e spettrali.

Clary rabbrividì e si incamminò

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lungo il corridoio. Ricordava ancora laprima volta in cui Jace l’avevaaccompagnata in quel posto,raccontandole con voce spensieratadegli Shadowhunters, di Idris, di tutto unmondo segreto che lei non aveva maisaputo esistesse. Mentre parlava loaveva osservato, cercando di non farsinotare, chiaro, ma sapendo che con luiera impossibile: i capelli chiari cherisplendevano alla luce, i movimentiveloci delle mani eleganti, lacontrazione dei muscoli delle bracciaquando le piegava.

Raggiunse la biblioteca senzaincontrare altri Shadowhunters e aprì laporta. La stanza le diede lo stessobrivido della prima volta che l’aveva

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vista. Circolare, perché costruita dentrouna torre, la biblioteca aveva anche unagalleria soppalcata e protetta da unaringhiera che correva lungo la metàdella parete, appena sopra le file discaffali pieni di libri. La scrivania, cheper Clary era ancora quella di Hodge,giaceva al centro della stanza, ricavatada un unico tronco di quercia, con la suaampia superficie sostenuta da due angeliinginocchiati. Per poco non si aspettò divederlo seduto ancora lì, col suo corvodallo sguardo attento, Hugo, appollaiatosulla spalla.

Scuotendosi di dosso i ricordi, simosse veloce verso la teca circolareposta all’altra estremità della stanza.Indossava un paio di jeans e scarpe da

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tennis, e sulla caviglia aveva una runadel Silenzio. L’effetto era quasi sinistro,mentre saliva i gradini per raggiungerela galleria. Anche lì sopra c’erano libri,ma erano chiusi dentro delle vetrine.Alcuni, con le copertine consunte e lerilegature ridotte a pochi fili, avevanoun’aria molto antica. Altri invece eranochiaramente libri di magia pericolosa:Culti indicibili, Peste del demonio,Guida pratica per resuscitare i morti.

Fra gli scaffali chiusi a chiavec’erano delle teche, ognuna delle qualiconteneva manufatti di grande rarità ebellezza: un raffinato flacone di vetrocon uno smeraldo come tappo; unacorona con un diamante al centro cheaveva l’aria di non potersi adattare ad

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alcuna testa umana; un ciondolo a formadi angelo le cui ali erano ingranaggi diun orologio. Nell’ultima, comepromesso da Isabelle, splendevano unpaio di anelli d’oro a forma di foglieincurvate, a riprova che l’artigianatodelle fate era delicato come il respiro diun bambino.

La teca era chiusa, ovviamente, mala runa di apertura (Clary si mordicchiòil labbro mentre la disegnava, attenta anon renderla troppo potente in modo daevitare di mandare in frantumi il vetrofacendo accorrere tutti) ebbe la megliosul lucchetto. Fu solo quando si rimiselo stilo in tasca che provò un attimo diesitazione.

Era davvero lei? Rubare al

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Conclave per ricompensare la Reginadel Popolo Fatato, una le cui promesse,come una volta aveva detto Jace, eranoscorpioni con un pungiglione uncinatosulla coda?

Scosse la testa come per liberarsidai dubbi… e restò paralizzata. La portadella biblioteca si stava aprendo. Sentìlo scricchiolio del legno, voci soffocate,passi. In un secondo si buttò a terra,sdraiandosi sul freddo parquet dellagalleria.

— Avevi ragione, Jace — disse dalbasso una voce divertita e orribilmentefamiliare. — Qui non c’è nessuno.

Fu come se il ghiaccio che Clary sisentiva nelle vene si cristallizzasse,immobilizzandola sul posto. Non

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riusciva a muoversi, a respirare. Nonprovava uno shock così intenso daquando aveva visto suo padre infilareuna spada nel petto di Jace. Moltolentamente, si sporse verso il bordodella galleria e guardò giù.

E si morse con dolore il labbro perimpedirsi di gridare.

Il soffitto sopra la sua testa saliva apunta e terminava in un lucernario. Laluce del sole scendeva verso il bassoilluminando parte del pavimento comeun occhio di bue su un palcoscenico.Clary riusciva a vedere che i frammentidi vetro e di marmo incastonati nelpavimento, misti a gemme semipreziose,formavano la sagoma dell’angelo Razielcon le ali dischiuse, la coppa e la spada.

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In piedi, accanto a una delle ali, c’eraJonathan Christopher Morgenstern.

Sebastian.Allora era quello l’aspetto di suo

fratello. Il suo vero aspetto, ora che eravivo, animato, in movimento. Un visopallido, tutto spigoli e linee rette, fisicoalto e magro in divisa nera. Aveva icapelli di un bianco argenteo, non scuricome la prima volta che lo aveva visto,quando se li era tinti per imitare ilcolore del vero Sebastian Verlac. Il suobianco naturale gli stava meglio. Gliocchi erano neri, guizzanti di vita e dienergia. L’ultima volta che lo avevavisto, galleggiante dentro una bara divetro come se fosse Biancaneve, unadelle sue mani era ridotta a un moncone

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bendato. Ora quella mano era di nuovointegra, con un braccialetto d’argentoche brillava al polso, ma niente divisibile lasciava pensare che fosse maistata ferita o, meglio, amputata.

E lì, accanto a lui, coi suoi capellilucenti che brillavano alla pallida lucedel sole, c’era Jace. Non il Jace cheaveva più volte immaginato nel corsodelle ultime due settimane: malconcio,sanguinante, sofferente, affamato,rinchiuso in una cella buia, che gridavadi dolore o urlava il suo nome. Davantiai suoi occhi c’era un ragazzo in salute,pieno di vita, bellissimo. Teneva condisinvoltura le mani nelle tasche deijeans, i marchi visibili sotto la magliettabianca. Indossava un giubbino marrone

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scamosciato, nuovo per Clary, chemetteva in risalto la sfumatura ambratadella sua pelle. Reclinò la testaall’indietro, come se si stesse godendola sensazione del sole sulla pelle. — Ioho sempre ragione, Sebastian — disse.— Ormai dovresti saperlo.

Sebastian gli rivolse un’occhiatascettica, poi gli fece un sorriso. Clary lifissava. Sì, aveva proprio l’aspetto di unvero sorriso, ma come poteva essernesicura? Sebastian aveva sorriso diversevolte anche a lei, ma poi la cosa si erarivelata una menzogna. — Allora, dovesono i libri sulle evocazioni? C’è unordine in questo caos?

— Non proprio, i libri non sonodisposti in ordine alfabetico. Seguono la

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speciale classificazione di Hodge.— Ma non è quello che ho ucciso

io? Poco pratico, direi — furono leparole di Sebastian. — Forse è megliose io vado di sopra e tu guardi qui sotto.

Andò verso la scala che portava allagalleria. Il cuore di Clary iniziò apalpitare di paura. Associava Sebastianal sangue, al dolore, al terrore e allamorte. Sapeva che una volta Jace avevalottato contro di lui e aveva vinto, maper poco non ci aveva rimesso la vita. Inun confronto corpo a corpo, Clary nonavrebbe mai potuto battere suo fratello.Sarebbe riuscita a lanciarsi dallaringhiera della galleria al pavimentosenza rompersi una gamba? E, se loavesse fatto, cosa sarebbe accaduto?

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Come avrebbe reagito Jace?Sebastian aveva già un piede sul

gradino più basso della scala, quandoJace gli gridò: — Aspetta, sono qui,sotto la voce “Magia - Non letale”.

— Non letale? E allora che gustoc’è? — mormorò Sebastian, ma tolsecomunque il piede dal gradino e tornòda Jace.

— Questa sì che è una biblioteca —disse scorrendo i titoli dei volumi a cuipassava accanto. — Cura ealimentazione del Pet Imp. I demonimessi a nudo — lesse da uno dei libri.Lo prese dallo scaffale e fece una lungarisata gutturale.

— Che cos’è? — Jace alzò losguardo, mentre gli angoli della bocca

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gli si sollevavano. La voglia di correreal piano di sotto e buttarsi fra le suebraccia era così forte che Clary dovettemordersi di nuovo il labbro. Il dolore fulancinante.

— È pornografia — risposeSebastian. — Guarda. Demoni… messia nudo!

Jace lo raggiunse da dietro,appoggiandogli una mano sul braccioper stare in equilibrio mentre gli leggevada sopra la spalla. Era come vederloinsieme ad Alec, una persona con cuiera del tutto a suo agio, che toccava condisinvoltura. Eppure era uno spettacoloorrendo, assolutamente orrendo. —Okay. E come fai a dirlo?

Sebastian chiuse il libro e lo usò per

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dare un colpetto alla spalla a Jace. — Cisono cose in cui sono più esperto di te.Hai preso i libri?

— Presi. — Jace sollevò unmucchio di pesanti tomi da un tavolovicino. — Facciamo in tempo a passarein camera mia? Se potessi prenderedelle cose…

— Cosa ti serve?Jace scrollò le spalle. — Vestiti,

soprattutto. Armi.Sebastian fece di no con la testa. —

Troppo pericoloso. Dobbiamo entrare euscire in fretta, solo cose di emergenza.

— La mia giacca preferita èun’emergenza — replicò Jace.Sembrava proprio di sentirlo parlarecon Alec, con un amico. — È un po’

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come il proprietario, è calda e allamoda.

— Senti, abbiamo tutti i soldi chepossiamo desiderare — gli disseSebastian. — Comprateli, i vestiti. E frapoche settimane sarai tu a gestire questoposto. Potrai issare la tua giacca su unpalo e sventolarla come una bandiera.

Jace rise, quel suono morbido ericco che Clary adorava. — Ti avviso,quella giacca è sexy. L’Istituto potrebbeaccendersi del fuoco della passione.

— E non gli farebbe male. Così ètroppo triste. — Sebastian afferrò Jaceper la schiena del giubbino cheindossava in quel momento e gli diedeuno strattone. — Ora ce ne andiamo.Tieniti stretti i libri. — Si guardò la

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mano destra, dove luccicava un sottileanello d’argento; col pollice della manoche non stava trattenendo Jace, lo feceroteare.

— Ehi! — fece l’altro. — Pensiche… — Ma si interruppe, e per unistante Clary pensò di essere statascoperta, visto che Jace aveva la testapiegata verso l’alto. Invece, nel tempoche trattenne il respiro, i due erano giàsvaniti, scomparsi come miraggi in unsoffio di vento.

Lentamente, Clary abbassò la testasul braccio. Il labbro le sanguinava nelpunto dove lo aveva morso; si sentiva ilsangue in bocca. Sapeva di doversialzare, muoversi, scappare via. Nondoveva essere lì. Eppure il ghiaccio

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dentro le sue vene era così freddo chetemeva, se si fosse mossa, di esploderein mille schegge.

Alec si svegliò con Magnus che gliscuoteva una spalla. — Dai, fiorellino— gli disse. — È ora di affrontare unanuova giornata.

Alec, ancora intontito, si liberò dalnido di cuscini e di coperte, poi guardòil suo ragazzo. Magnus, benché avessedormito ben poco, aveva un aspettofastidiosamente pimpante. Capellibagnati che grondavano acqua sullespalle e rendevano trasparente lamaglietta bianca; jeans strappati e orliscuciti, di solito segnale che avevaintenzione di trascorrere l’interagiornata senza uscire di casa.

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— Fiorellino? — ripeté Alec.— Era una prova.Alec fece di no con la testa. — Non

ci siamo.Magnus scrollò le spalle. —

Continuerò a lavorarci — disseporgendogli una tazza azzurra sbreccatacontenente il caffè come piaceva adAlec: poco zucchero e niente latte. —Svegliati.

Alec si mise seduto, strofinò gliocchi e prese la tazza. Il primo sorsoamaro fece partire una scintilla dienergia che gli attraversò i nervi. Siricordò che la sera prima era rimastosveglio per un po’ ad aspettare Magnus,ma alla fine la stanchezza aveva avuto lameglio e, verso le cinque del mattino,

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era crollato. — Oggi salto la riunionedel Consiglio.

— Lo so, ma devi incontrare tuasorella e gli altri, al parco vicino alTurtle Pond. Mi hai chiesto diricordartelo.

Alec buttò giù le gambe dal letto. —Che ore sono?

Magnus gli tolse delicatamente latazza dalle mani prima che il caffè sirovesciasse e la appoggiò sul comodino.— Tranquillo, hai un’ora. — Si sporsein avanti e premette le labbra contro lesue. Alec allora ricordò la prima voltache si erano baciati, proprio inquell’appartamento, e provò il desideriodi stringere il suo ragazzo fra le bracciaper tirarlo a sé. Qualcosa però lo

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trattenne.Si alzò, liberandosi dalle lenzuola, e

andò verso la cassettiera. Uno degliscomparti era per lui. In bagno c’eraanche il suo spazzolino. E poi aveva lachiave della porta d’ingresso. Insomma,occupava un territorio niente male dellavita di qualcun altro, eppure nonriusciva a liberarsi lo stomaco da quelsenso di gelida paura.

Magnus intanto si era rotolato sulletto e, sdraiato a pancia in su,osservava Alec con un braccio piegatosotto la testa. — Mettiti quella sciarpa— gli consigliò indicandogli una strisciadi cachemire azzurro appesasull’attaccapanni. — Si abbina ai tuoiocchi.

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Alec la guardò. All’improvviso sisentì traboccare di odio: per la sciarpa,per Magnus, ma soprattutto per sestesso. — Non dirmelo — disse. — Nondirmi che la sciarpa ha cento anni, che èun dono che la regina Vittoria ti ha fattoprima di morire in cambio di qualchespeciale servigio alla Corona o cose delgenere.

Magnus si mise seduto. — Che cosati è preso?

Alec lo fissava. — Per caso sono iola cosa più nuova di tutta la casa?

— Credo che l’onore spetti aChairman Meow. Ha solo due anni.

— Ho detto la più nuova, non la piùgiovane — ribatté Alec. — Chi è W.S.?Si tratta di Will?

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Magnus scosse la testa come seavesse dell’acqua dentro le orecchie. —Ma cosa diavolo… Parli dellatabacchiera? W.S. sta per Woolsey Scott.Lui…

— Lui è il fondatore del PraetorLupus, lo so. — Alec si mise i jeans echiuse la zip. — Hai già parlato di lui, epoi è un personaggio storico. Tieni lasua tabacchiera nel cassetto dellecianfrusaglie. Che altro c’è, là dentro? Iltagliaunghie di Jonathan Shadowhunter?

Gli occhi da gatto di Magnus eranofreddi. — Perché questa scenata,Alexander? Io non ti dico bugie. Se c’èqualcosa che vuoi sapere di me,chiedimelo.

— Figuriamoci! — esclamò Alec

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abbottonandosi la camicia. — Seisimpatico, gentile e tante altre cose, madi certo non sei trasparente, fiorellino.Sai parlare tutto il giorno dei problemidegli altri, ma di te e della tua storia nondici nulla, e quando ti faccio unadomanda ti contorci come un verme suun amo.

— Forse perché non puoi chiedermiqualcosa del mio passato senza che sicominci a litigare sul fatto che io vivròper sempre e tu no — ribatté Magnus. —Forse perché l’immortalità si starapidamente trasformando nel terzoincomodo della nostra relazione, Alec.

— La nostra relazione non prevedeun terzo.

— Esattamente.

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Alec si sentì irrigidire il collo.C’erano mille cose che avrebbe volutodire, ma non era mai stato bravo con leparole quanto Jace o lo stesso Magnus.E così strappò la sciarpa azzurradall’appendiabiti e se la avvolse, ingesto di sfida, attorno al collo.

— Non aspettarmi alzato. Stanottepotrei andare in perlustrazione —annunciò.

Uscendo di casa sbattendo la porta,sentì Magnus che gli gridava: — Equella sciarpa, per tua informazione, èdi Gap! L’ho comprata l’anno scorso!

Alec alzò gli occhi al cielo e infilòle scale che portavano nell’atriod’ingresso. L’unica lampadina che disolito lo illuminava era fulminata,

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rendendo tutto così buio che, per unattimo, non si accorse della figuraincappucciata che gli stava scivolandoincontro. Quando la vide, si spaventò alpunto da far cadere il portachiavi, checolpì con fragore il pavimento.

La sagoma stava davvero avanzandonella sua direzione. Non riusciva adescriverla, né per età né per sesso eforse nemmeno per specie. La voce cheproveniva da sotto il cappuccio erabassa e gracchiante: — Ho un messaggioper te, Alec Lightwood. Da parte diCamille Belcourt.

— Questa sera vuoi che andiamo inperlustrazione insieme? — chieseJordan in maniera involontariamentebrusca.

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Maia si girò per guardarlo, stupita.Lui era appoggiato con la schiena albancone della cucina, con i gomiti soprail ripiano. Nella sua posizione c’era unadisinvoltura troppo studiata per esseresincera. Era quello il problema, quandoconoscevi troppo bene una persona,pensò. Fingere era molto difficile, cosìcome ignorare il fatto che fosse lei afarlo, persino nei casi in cui sarebbestata la scelta più facile.

— In perlustrazione insieme? — glifece eco lei. Simon era in camera sua acambiarsi e Maia gli aveva detto che loavrebbe accompagnato alla metro, maora se n’era pentita. Sapeva che avrebbedovuto chiamare Jordan dopo l’ultimavolta che lo aveva visto, ovvero quando,

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poco saggiamente, l’aveva baciato. Mapoi Jace era scomparso e il mondointero sembrava essere crollato,fornendole un buon pretesto per evitarel’imbarazzante questione.

Ovviamente, evitare di pensareall’ex fidanzato che ti aveva spezzato ilcuore e ti aveva trasformata in un lupomannaro era molto più semplice se nonlo avevi davanti agli occhi, con addossouna maglietta verde che stringeva neipunti giusti il suo fisico snello emuscoloso e metteva in risalto gli occhicolor nocciola.

— Pensavo che avesseroabbandonato le ricerche — risposeMaia, distogliendo lo sguardo.

— Be’, più che averle abbandonate

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hanno deciso di ridurle. Ma ioappartengo al Praetor, non al Conclave.Posso cercare Jace anche da solo.

— Giusto — disse lei.Jordan stava giocherellando con

qualcosa sul bancone, ma l’attenzioneera sempre rivolta a Maia. — Vuoiancora… cioè, ricordo che una voltavolevi andare a studiare a Stanford. Eadesso?

Maia ebbe un tuffo al cuore. — Nonpenso all’università da quando… — sischiarì la voce. — Da quando sono statatrasformata.

Lui arrossì. — Tu eri… sì, insomma,hai sempre sognato di andare inCalifornia. Volevi studiare storia, misarei trasferito anch’io e avrei fatto surf.

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Ti ricordi?Maia si infilò le mani nelle tasche

del giubbino di pelle. Si sentiva indovere di essere arrabbiata, ma in realtànon lo era. Per molto tempo avevaincolpato Jordan di averle distrutto laprospettiva di un futuro umano, fatto distudi, una casa, magari una famiglia.Eppure nel branco della vecchiastazione di polizia c’erano altri lupi checontinuavano comunque a inseguire iloro sogni, le loro passioni. Bat ne eraun esempio. Era stata lei a infilare lapropria vita in un vicolo cieco. — Miricordo — rispose arrossendo.

— A proposito di questa sera,nessuno ha mai cercato al BrooklynNavy Yard, così ho pensato… Non è

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molto divertente farlo da solo, però senon vuoi…

— No — fece Maia, sentendo lapropria voce come se fosse quella diun’altra. — Vengo con te.

— Sul serio? — Gli occhi noccioladi Jordan si illuminarono, e dentro di séMaia si maledì: non doveva riaccenderesperanze, non se non era sicura di cosaprovava. Solo che era davvero difficilecredere che lui ci tenesse tanto.

Il medaglione del Praetor Lupus cheJordan aveva al collo luccicò mentre luisi chinava in avanti e lei sentiva quelprofumo familiare di sapone e, sotto…odore di lupo. Lo guardò dritto negliocchi proprio nell’istante in cui Simonapriva la porta e usciva da camera sua

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infilandosi una felpa. Il ragazzo si fermòdi colpo, spostando lo sguardo daJordan a Maia e inarcando lentamente lesopracciglia.

— Sai cosa? Alla metro possoandarci anche da solo — disse a Maiamentre l’accenno di un sorriso glisollevava un angolo della bocca. — Sevuoi rimanere qui…

— No. — Maia si tolse subito lemani di tasca, dove fino a un secondoprima erano strette in pugni nervosi. —No, vengo con te. Jordan, noi… noi civediamo più tardi.

— Stasera — le disse lui, ma Maianon si voltò per guardarlo. Ormai stavagià correndo dietro a Simon.

Simon camminava lentamente su per

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il morbido pendio di una collina, inmezzo alle grida, quasi una musica disottofondo, di chi giocava a frisbee sulgrande prato alle sue spalle, lo SheepMeadow. Era una bella giornata dinovembre, fresca e ventosa, con il soleche accendeva quanto restava dellefoglie sugli alberi in brillanti sfumatureporpora, oro e ambra.

La cima della collina eradisseminata di massi, segno evidente cheil parco era stato ricavato da quello cheun tempo era un territorio selvaggio fattodi alberi e pietre. Isabelle era seduta incima a uno di questi massi; indossava unlungo vestito di seta color verdebottiglia coperto da un cappotto neroricamato d’argento. Rimase a guardare

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Simon, che camminava verso di lei,scostandosi i lunghi capelli neri dalviso. — Pensavo che saresti rimasto conClary — gli disse quando lui fuabbastanza vicino. — Ora dov’è?

— Sta uscendo dall’Istituto —rispose Simon sedendosi accanto a leisul masso e infilandosi le mani nelletasche della giacca a vento. — Mi hamandato un messaggio. Sarà qui frapoco.

— Anche Alec sta arrivando —cominciò a dire Izzy, ma venne interrottadal suono del cellulare di Simon. —Credo che ti sia arrivato un messaggio.

Lui scrollò le spalle. — Lo controllodopo.

Isabelle gli lanciò uno sguardo da

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sotto le lunghe ciglia. — Dicevo, ancheAlec sta arrivando. Viene da Brooklyn,perciò…

Di nuovo il cellulare.— Okay, basta. Se non lo guardi tu,

lo faccio io. — Isabelle si sporse inavanti, noncurante delle proteste diSimon, e gli mise una mano in tascasfiorandogli il mento con la testa. Simonsentì il suo profumo alla vaniglia el’odore della pelle. Quando lei si rialzò,perché aveva trovato il telefono, lui nefu sollevato e deluso allo stesso tempo.

Isabelle sgranò gli occhi. —Rebecca?! E chi è Rebecca?

— Mia sorella.Isabelle rilassò i muscoli. — Vuole

incontrarti. Dice che non ti ha visto da

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quando…Simon le tolse il cellulare di mano e

lo chiuse per poi infilarselo subito intasca. — Lo so, lo so.

— Tu non vuoi vederla?— Più di… praticamente più di ogni

altra cosa. Però non voglio che losappia. Di me, intendo. — Prese unlegnetto e lo lanciò. — Guarda cosa èsuccesso quando lo ha scoperto miamadre…

— Allora dalle appuntamento daqualche parte in un luogo pubblico, dovenon possa fare scenate. Lontano da casatua.

— Anche se non potrà fare scenate,potrà comunque guardarmi come mi haguardato mia madre — ribatté Simon

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con un filo di voce. — Come se fossi unmostro…

Isabelle gli sfiorò il polso. — Miamadre ha buttato fuori Jace quandopensava che fosse il figlio e la spia diValentine. Poi se n’è pentita da morire.Stanno accettando il fatto che Alec stiacon Magnus. E tua madre accetterà te.Fai in modo che tua sorella stia dalla tuaparte, ti sarà utile — disse inclinandoappena la testa. — Penso che a volte ifratelli capiscano più dei genitori. Nonc’è lo stesso livello di aspettative. Ionon potrei mai, dico mai, tagliare i ponticon Alec, qualsiasi cosa faccia. Mai. Enemmeno con Jace. — Gli strinse ilbraccio, poi lasciò cadere la mano. — Ilmio fratellino è morto. Non lo rivedrò

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mai più. Non far passare a tua sorellaquello che ho passato io.

— Passato cosa? — Era Alec, chesaliva la collina smuovendo coi piedi lefoglie secche sul sentiero. Indossava lasolita felpa cenciosa e dei jeans, ma alcollo aveva una sciarpa azzurra dellostesso colore degli occhi. Quello deveessere di sicuro un regalo di Magnus,pensò Simon. Alec non si sarebbe maicomprato una cosa del genere di suainiziativa: il concetto di “abbinamento”per lui era troppo.

Isabelle si schiarì la voce. — Lasorella di Simon…

Non disse altro. Ci fu una ventatad’aria fredda che sollevò un turbine difoglie morte. Isabelle alzò una mano per

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proteggersi il viso dalla polvere, mentrel’aria cominciava ad assumerel’inconfondibile luccichio traslucido diun portale che si stava aprendo. Davantiai loro occhi comparve Clary, lo stilo inuna mano e il viso inondato di lacrime.

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capitolo 4

E L’IMMORTALITÀ

— Sei davvero sicura che fosseJace? — chiese Isabelle a Clary perquella che le sembrò laquarantasettesima volta.

Si morse il labbro già martoriato econtò fino a dieci. — Sono io, Isabelle— disse infine. — Sul serio pensi chenon riconoscerei Jace? — Guardò Alec,in piedi sopra di loro, con la sciarpa

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azzurra che sventolava al vento comeuna bandiera. — Tu potresti scambiareMagnus per qualcun altro?

— No, figuriamoci — rispose ilragazzo senza esitare. I suoi occhiazzurri erano pensierosi, incupiti dallapreoccupazione. — È che… sì, ovvioche te lo chiediamo. Perché questa cosanon ha senso!

— Potrebbe essere loro ostaggio —tentò Simon, appoggiando la schienacontro un masso. La luce del soled’autunno trasformò il colore dei suoiocchi in quello del caffè. — Del tipoche Sebastian lo sta minacciandodicendogli che, se lui non sta al suogioco, farà del male a qualche persona acui vuole bene.

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Tutti gli occhi si posarono su Clary,ma lei scosse la testa, scoraggiata. —Voi non avete visto quei due insieme.Nessun ostaggio si comporterebbe così.Era contentissimo di stare con lui!

— E allora è posseduto — concluseAlec. — Come con Lilith.

— Anche io l’ho pensato, all’inizio.Ma quando era posseduto da lei, sicomportava come un robot. Continuava aripetere le stesse cose. Invece quelloche ho visto io era il vero Jace, chescherzava come scherza lui e sorridevacome sorride lui!

— Forse ha la sindrome diStoccolma — propose Simon. — Haipresente? Quando ti fanno il lavaggiodel cervello e inizi a voler bene al tuo

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aguzzino.— Ci vogliono mesi per svilupparla

— obiettò Alec. — Che aspetto aveva?Ti sembrava ferito, o malato in qualchemodo? Potresti descrivere sia lui cheSebastian?

Non era la prima volta che lochiedeva. Il vento sospinse alcune fogliesecche attorno ai piedi di Clary mentrelei descriveva per l’ennesima voltal’aspetto di Jace: energico e in pienasalute. Idem per Sebastian. Avevanoun’aria del tutto tranquilla. I vestiti diJace erano puliti, ordinati, alla moda;Sebastian portava un lungoimpermeabile nero dall’aspetto costoso.

— Sembra una pubblicità dellaBurberry in versione dark — commentò

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Simon quando Clary ebbe concluso.Isabelle gli lanciò un’occhiataccia.

— Magari Jace ha un piano — disse. —Forse sta ingannando Sebastian. Cercadi farselo amico per capire quali sono isuoi piani.

— Penso che, se le cose stesserodavvero così, avrebbe trovato il modoper avvertirci — osservò Alec. —Senza lasciarci qui nel panico totale.Sarebbe troppo crudele.

— A meno che non possa rischiaredi inviarci un messaggio. Forse èconvinto che ci fidiamo comunque di lui.Ed è così! — esclamò Isabelle alzandoil tono di voce. Rabbrividì,avvolgendosi le braccia attorno alcorpo. Gli alberi che profilavano il

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sentiero di ghiaia su cui si trovavano iragazzi scossero i loro spogli rami.

— Forse dovremmo dirlo alConclave — propose Clary, sentendo lapropria voce come se venisse dalontano. — Questa cosa è… Non vedocome potremmo gestirla da soli.

— Non possiamo avvisarli. — Lavoce di Isabelle era dura.

— E perché?— Se sospettassero che Jace sta

collaborando con Sebastian, l’ordinesarebbe di ucciderlo immediatamente —spiegò Alec. — È la Legge.

— Anche se Isabelle avesseragione? Anche se lui stesse fingendosolo per compiacere Sebastian? —chiese Simon con una punta di

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perplessità nella voce. — Passandodalla sua parte per ottenereinformazioni?

— Ma non c’è modo di dimostrarlo.E se raccontassimo tutto e poi Sebastianvenisse a saperlo? Allora è probabileche ucciderebbe Jace — fece notareAlec. — E se Jace fosse posseduto,anche il Conclave lo ucciderebbe. No,non possiamo parlare con loro. — Il suotono di voce era perentorio. Clary loguardò stupita: di solito lui era il piùattento di tutti alle regole.

— Stiamo parlando di Sebastian —intervenne Izzy. — Non c’è nessuno cheil Conclave odi di più, eccettoValentine, che però è morto. Tutticonoscono almeno una persona che è

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perita durante la Guerra Mortale, eSebastian è quello che ha abbattuto leprotezioni.

Clary si mise a scavare la ghiaia delviottolo con la punta del piede. Quellasituazione le sembrava surreale, unsogno dal quale avrebbe potutosvegliarsi da un momento all’altro. — Eallora cosa facciamo?

— Ne parliamo con Magnus.Vediamo se a lui viene qualche idea —propose Alec tirandosi un lembo dellasciarpa. — Non andrà al Consiglio, nonse gli chiedo di non farlo.

— Farà meglio a evitarlo — disseIsabelle, indignata. — Altrimenti siguadagnerebbe il titolo di peggiorefidanzato in assoluto!

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— Ho detto che non ci andrà se…— Ma adesso ha ancora senso? —

domandò Simon. — Vedere la ReginaSeelie, intendo. Ora che sappiamo cheJace è posseduto, o che forse sinasconde di proposito…

— Non si manca a un appuntamentocon la Regina Seelie — dichiaròIsabelle con decisione. — Non se ti ècara la pelle.

— Ma lei si prenderebbe gli anellidi Clary e noi non verremmo a sapereniente — ribatté Simon. — Adessoabbiamo più informazioni, domandenuove da farle. Anche se non leascolterà e risponderà solo a quellevecchie. È così che fanno le fate: nientefavori a nessuno. Non ci lascerà andare

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a parlare con Magnus e poi tornare dalei.

— Non importa. — Clary si sfregò ilviso con le mani. Quando le tolse, eranoasciutte. A un certo punto, grazie a Dio,le lacrime avevano smesso di scendere.Non voleva incontrare la Regina conl’aspetto di chi ha appena pianto comeuna fontana. — Ma io non ho preso glianelli.

Isabelle batté le palpebre per lostupore. — Che cosa?!

— Dopo aver visto Jace e Sebastianero troppo scioccata per prenderli. Sonocorsa fuori dall’Istituto e sono venutaqui tramite un portale.

— Be’, allora non possiamoincontrare la Regina — concluse Alec.

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— Se non hai fatto quello che ti hachiesto, sarà furiosa.

— Altro che furiosa! Hai visto cosaha fatto ad Alec l’ultima volta che siamoandati a corte. E quello era solo unincantesimo. Questa voltatrasformerebbe Clary in un’aragosta oqualcosa di simile…

— Lei lo sapeva già — disse Clary.— Ha detto che avremmo potutotrovarlo diverso da come l’avevamolasciato. — La voce della Regina Seeliele turbinò per la mente, facendolarabbrividire.

Poteva capire perché Simon odiavatanto le fate. Sapevano alla perfezionequali parole potevano penetrarti nelcervello come una scheggia, dolorosa e

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impossibile da ignorare. — Ci sta soloprendendo in giro. Vuole quegli anelli,ma non credo che possa aiutarcidavvero.

— D’accordo — disse Isabelle conqualche dubbio. — Ma se sapesse giàquello, forse potrebbe sapere qualcosain più. E chi altro potrebbe darci unamano, visto che non possiamo rivolgercial Conclave?

— Magnus — rispose Clary. — Nonha fatto che cercare di decifrare lamagia di Lilith. Forse sarebbe utileraccontargli quello che ho visto.

Simon fece roteare gli occhi. — Nonè male conoscere la persona che sta conMagnus. Altrimenti ho comel’impressione che passeremmo il tempo

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a chiederci che diavolo fare. O araccogliere soldi vendendo limonatefresche per ingaggiarlo…

Alec sembrò davvero indignato daquel commento. — L’unico modo perraccogliere abbastanza denaro peringaggiare Magnus vendendo limonatesarebbe scioglierci dentrodell’anfetamina.

— Era così per dire. Lo sappiamoche il tuo ragazzo costa caro. Mipiacerebbe solo che non dovessimosempre ricorrere a lui per qualsiasiproblema.

— Piacerebbe anche a lui. Magnusoggi ha un altro impegno, ma stasera gliparlo e domattina ci incontriamo tutti nelsuo loft.

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Clary annuì. Non poteva nemmenoimmaginare di alzarsi il giorno dopo.Sapeva che prima avessero parlato conMagnus, meglio sarebbe stato, ma sisentiva talmente stanca, esausta… Comese sul pavimento della biblioteca,all’Istituto, avesse perso litri di sangue.

Isabelle si era avvicinata a Simon.— Allora direi che questo ci lascia ilresto del pomeriggio libero. —Andiamo da Taki? Ti darebbe un po’ disangue.

Simon guardò Clary, chiaramentepreoccupato per lei. — Tu vuoi venire?

— No, va bene così. Io torno aWilliamsburg in taxi. Devo passare unpo’ di tempo con mia madre… Dopo lastoria di Sebastian era già a pezzi, e

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ora…La chioma corvina di Isabelle

ondeggiò al vento quando buttò la testain avanti e poi all’indietro. — Non puoidirle quello che hai visto. Luke fa partedel Consiglio, non potrebbe tenerlonascosto, e tu non puoi chiedere a tuamadre di fare lo stesso con lui.

— Lo so. — Clary guardò le tre paiadi occhi ansiosi che la stavano fissando.Come erano arrivati a quel punto?pensò. Lei, che non aveva mai nascostoniente a Jocelyn, niente di serio, per lomeno, stava per tornare a casa enascondere qualcosa di enorme tanto alei quanto a Luke. Qualcosa di cuipoteva parlare soltanto con personecome Alec e Isabelle Lightwood o

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Magnus Bane, persone di cui, fino a seimesi prima, ignorava addirittural’esistenza. Era strano come il mondopotesse spostarsi dal proprio asse,stravolgendo tutte le tue convinzioni inquel che sembrava un briciolo di tempo.

Almeno aveva Simon. La sua era unapresenza fissa, costante. Gli diede unbacio sulla guancia, salutò gli altri e sivoltò, consapevole che tutti e tre lastavano guardando preoccupati mentrelei attraversava il parco, con le ultimefoglie morte autunnali che lescricchiolavano sotto le scarpe comefragili ossicini.

Alec aveva mentito. Non era Magnusche quel pomeriggio aveva un impegno:era lui.

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Sapeva che era sbagliato, ma nonpoteva farne a meno. Era come unadroga, quel desiderio di sapere di più. Eora eccolo lì, nel sottosuolo, con lastregaluce in mano, a chiedersi cosadiavolo stesse per fare.

Come tutte le linee metropolitane diNew York, anche quella puzzava diruggine e umidità, di metallo e degrado.Ma a differenza di qualsiasi altrastazione in cui era stato, in quellaregnava un silenzio inquietante. A partealcune macchie da infiltrazione, le paretie le piattaforme erano pulite. Soffitti avolta, dai quali scendeva qua e là unlampadario, si levavano sopra la suatesta coi loro archi rivestiti di piastrelleverdi. Quelle che, su una parete,

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componevano la targa col nome,formavano la scritta CITY HALL instampatello.

La stazione metropolitana di CityHall era fuori servizio dal 1945, anchese il Comune continuava a tenerla inordine come fosse un monumento. Iconvogli del 6 ci passavano nelleoccasioni speciali, per poi tornare nelladirezione opposta, ma nessuno sostavamai su quella piattaforma. Per arrivarci,Alec si era calato da una botola del CityHall Park circondata da alberi dicorniolo, cadendo da una distanza cheprobabilmente avrebbe rotto le gambe aqualsiasi mondano. Ora era in piedi erespirava aria polverosa, col battitocardiaco che accelerava.

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Era quello il luogo indicato dallalettera che il Soggiogato vampiro gliaveva consegnato nell’ingresso dellacasa di Magnus. All’inizio aveva decisoche non avrebbe mai utilizzatoquell’informazione. Poi, però, non erastato in grado di buttare via ilmessaggio. L’aveva accartocciato emesso nella tasca dei jeans, da dove, pertutto il giorno, e persino a Central Park,gli stava corrodendo la mente.

Era come la situazione con Magnus.Non riusciva a non pensarci, comequando pensi continuamente a un denteche fa male ben sapendo che il risultatoè solo di peggiorare le cose. In realtàMagnus non aveva fatto niente di male:non era colpa sua se aveva qualche

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centinaio di anni e se era già statoinnamorato altre volte. Eppure Alec nontrovava pace. E ora, sapendo qualcosadi più o forse di meno, rispetto al giornoprima, sulla situazione di Jace, stavascoppiando. Doveva parlarne conqualcuno, andare da qualche parte, farequalcosa!

E così, eccolo in quel luogo. Dovec’era anche lei, ne era sicuro. Il soffittoa volta ospitava, al centro, un lucernariodal quale proveniva la luce del parco edal quale si irradiavano quattro file dipiastrelle simili alle zampe di un ragno.All’estremità della piattaforma c’era unabreve scala che finiva nell’oscurità.Alec avvertiva la presenza della magia:qualsiasi mondano avrebbe visto solo un

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muro di mattoni, ma lui vide una portaaperta. In silenzio, salì su per i gradini.

Si ritrovò in una stanza buia, colsoffitto basso. Un lucernario di vetrocolor ametista lasciava passare un filodi luce. In uno degli angoli semibui eracollocato un elegante divano di vellutocon lo schienale dorato, a forma di arco,sul quale sedeva Camille.

Era bellissima come Alec laricordava, anche se l’ultima volta nonera al massimo dello splendore: l’avevatrovata sporca e incatenata a unatubatura dentro un edificio incostruzione. Ora invece indossava unelegante completo nero e delle scarperosse col tacco alto. I capelli lescendevano sulle spalle a onde morbide

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e boccoli. Teneva aperto sulle ginocchiaun libro: La Place de l’Étoile di PatrickModiano. Conosceva abbastanza ilfrancese da saper tradurre il titolo: “Ilposto della stella”.

Lei lo guardò come se si aspettassedi incontrarlo.

— Ciao, Camille — le disse Alec.La donna sbatté lentamente le ciglia.

— Alexander Lightwood — disse. —Ho riconosciuto i tuoi passi sulle scale.

Appoggiò una guancia al dorso dellamano e gli fece un sorriso, un sorrisocon un che di distante. Aveva lo stessocalore della polvere. — Non credo chetu abbia un messaggio per me da parte diMagnus.

Alec non disse nulla.

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— Certo che no — proseguì lei. —Che stupido da parte mia. Come sesapesse dove sei!

— Come hai fatto a sapere che eroio? Sulle scale, intendo.

— Sei un Lightwood — risposeCamille. — Quelli della tua famiglianon si arrendono mai. Sapevo che le mieparole, quella notte, non ti avrebberolasciato indifferente. Il messaggio dioggi è stato solo per rinfrescarti lamemoria.

— Non c’è bisogno che mi ricordicosa mi hai promesso. Oppure stavimentendo?

— Quella notte avrei detto qualsiasicosa per tornare libera — ammise. —Ma non stavo mentendo. — Si chinò in

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avanti, lo sguardo luminoso e cupo allostesso tempo. — Tu sei un Nephilim, delConclave e del Consiglio. Sulla miatesta c’è una taglia per aver ucciso degliShadowhunters. Ma so che tu non seivenuto qui per consegnarmi a loro. Tusei qui perché vuoi delle risposte.

— Voglio sapere dov’è Jace —dichiarò Alec.

— Lo vuoi sapere — rispose lei —ma non c’è motivo per cui io debbaavere la risposta, e infatti non ce l’ho.Se lo sapessi, te lo direi. So che è statopreso dal figlio di Lilith, e io non homotivo di esserle fedele. Se n’è andata.So che ci sono stati dei pattugliamentiper cercarmi, per scoprire qualsiasicosa potessi sapere. Ora te lo posso

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dire: non so nulla. Se sapessi dove sitrova il tuo amico, ora lo sapresti anchetu. Non ho motivi per inimicarmi ancoradi più i Nephilim. — Si passò una manotra i folti capelli biondi. — Ma non èquesta la ragione della tua presenza.Ammettilo, Alexander.

Alec sentì il proprio respiroaccelerare. Aveva pensato a quellasituazione, sveglio di notte sdraiatoaccanto a Magnus, sentendolo respirare,e sentendo i propri respiri, contandoli.Ognuno di essi rappresentava un passoverso l’invecchiamento e la morte. Ogninotte lo trascinava più vicino alla fine ditutto.

— Hai detto che conoscevi un modoper rendermi immortale — disse

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finalmente Alec. — Hai detto checonoscevi un modo per far sì che io eMagnus potessimo stare insieme persempre.

— L’ho fatto, vero? Interessante…— E voglio che tu ora me lo dica.— E lo farò — gli rispose Camille

deponendo il libro. — Ma a un prezzo.— No — ribatté Alec. — Io ti ho

liberata. E ora tu mi dirai quello chevoglio sapere, altrimenti ti consegneròal Conclave. Ti incateneranno sul tettodell’Istituto e aspetteranno l’alba.

Lo sguardo di lei si fece duro,impassibile. — Non mi importa delleminacce.

— E allora dammi quello chevoglio.

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Camille si alzò in piedi, passandosile mani sulla giacca per lisciarla. —Vieni a prendertelo, Shadowhunter.

Fu come se tutta la frustrazione, ilpanico e la disperazione delle ultimesettimane sgorgassero fuori da Alec inun istante. Balzò verso Camille propriomentre lei si lanciava su di lui con icanini scoperti.

Alec ebbe appena il tempo di sfilarela spada angelica dalla cintura che leigli stava già quasi addosso. Non era laprima volta che lottava contro unvampiro; la loro potenza e agilità eranoimpressionanti. Era come lottare controun tornado scatenato. Si buttò di lato,rotolò sui piedi e le tirò contro una scalaa pioli caduta a terra con cui la bloccò il

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tempo necessario per sollevare la spadae sussurrare: — Nuriel.

La lama si accese come una stella, eCamille esitò. Poi si scagliò di nuovoall’attacco, infilzando le sue lungheunghie nella guancia e sulla spalla diAlec. Il ragazzo sentì il caldo umido delsangue. Si voltò di scatto per trafiggerla,ma lei saltò in alto volando fuori dallasua portata, ridendo e prendendosi giocodi lui.

Alec corse verso le scale cheportavano giù alla piattaforma. Lei glicorse dietro, lui la schivò lateralmente,fece una giravolta e spiccò un salto inaria e, facendo leva contro il muro,puntò verso di lei, che nello stessoistante si stava tuffando su di lui. Si

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scontrarono a mezz’aria, Camille chegridava e si abbatteva su Alec, Alec cheteneva Camille stretta per un braccio,anche mentre si schiantavano insieme aterra, restando quasi senza fiato per lacaduta. Trattenerla verso il basso eracruciale per vincere la battaglia, e incuor suo Alec ringraziò Jace per averglifatto provare e riprovare in palestraquelle mosse finché non aveva imparatoa sfruttare ogni superficie per sollevarsiin aria per almeno qualche secondo.

Cercò di colpirla con la spadaangelica mentre rotolavano sulpavimento, ma lei schivava i colpi confacilità, muovendosi tanto in fretta dasembrare un turbine. Gli diede un calciocon i tacchi, infilzandoglieli nelle

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gambe. Lui fece una smorfia di dolore eimprecò. Camille rispose con un fiumein piena di volgarità sulla vita sessualedi Alec con Magnus e su quella cheaveva avuto lei con lo stregone; la cosaavrebbe potuto continuare, se nonavessero raggiunto il centro della stanza,il punto in cui il lucernario del soffittocreava un cerchio di luce del sole sulpavimento. Afferrandole il polso, Alecle piegò una mano all’ingiù, dentro laluce.

Lei urlò, mentre sulla pelle lecomparivano grosse vesciche bianche.Alec riusciva a sentire il calore chequella mano rigonfia emanava. Tenendole dita intrecciate a quelle di Camille,risollevò l’arto malridotto e lo riportò

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all’ombra. A quel punto le tirò unagomitata sulle labbra, aprendogliele indue. Sangue di vampiro, di un rosso piùbrillante di quello umano, le colòdall’angolo della bocca.

— Ne hai avuto abbastanza? —ringhiò. — Ne vuoi ancora?

Fece per rimetterle di nuovo la manoal sole. Aveva già iniziato a rigenerarsi,il rosso dell’ustione che passava al rosa.

— No! — Camille sussultò, tossì ecominciò a tremare: tutto il suo corpoera percorso da spasmi. Dopo un istante,Alec si rese conto che in realtà ilvampiro stava ridendo, ridendo fra irivoli di sangue. — Mi hai fatto sentireviva, Nephilim. Davvero una bella lotta,ti devo ringraziare.

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— Ringraziami dando la rispostaalla mia domanda — la esortò Alec,ansimando. — Altrimenti ti riduco incenere. Sono stufo dei tuoi giochetti.

Le labbra di Camille si distesero inun sorriso. I tagli si erano giàrimarginati, sebbene il viso fosse ancorainsanguinato. — Non c’è modo direnderti immortale. Non senza la magianera o trasformandoti in un vampiro, e tuhai rifiutato entrambe le opzioni.

— Ma tu hai detto… Hai detto chec’era un altro modo per restareinsieme…

— Oh, sì. — Gli occhi le brillarono.— Magari non sarai in grado diguadagnare l’immortalità, piccoloNephilim, almeno non a condizioni per

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te accettabili… Ma puoi portare viaquella di Magnus.

Clary era seduta in camera sua acasa di Luke, una penna stretta nellamano, un foglio di carta disteso sullascrivania di fronte. Il sole era tramontatoe la lampada da tavolo accesailluminava la runa appena cominciata.

Le si era insinuata in testa quandoera sul treno della metro, tornando acasa, mentre guardava assente fuori dalfinestrino. Non l’aveva mai vista prima,e appena arrivata in stazione era corsa acasa, scansando le domande della madree chiudendosi in camera per riprodurrequell’immagine sulla carta mentreancora era fresca nella sua mente.

Qualcuno bussò alla porta. Clary

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nascose subito il disegno sotto un fogliobianco mentre sua madre entrava nellastanza.

— Lo so, lo so — disse Jocelynalzando una mano come per difendersidalle proteste di Clary. — Vuoi esserelasciata sola. Ma Luke ha preparato lacena e dovresti mangiare qualcosa.

Clary guardò la madre. — E tuanche. — Quando era sotto stress, ancheJocelyn, come sua figlia, tendeva aperdere l’appetito, e ora aveva leguance scavate. Ormai avrebbe dovutoessere alle prese coi preparativi per laluna di miele, impegnata a fare i bagagliper qualche posto magnifico e lontano.Invece il matrimonio era statoposticipato a data da destinarsi, e di

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notte, attraverso le pareti, Clary lasentiva piangere. Conosceva quel generedi lacrime, nate dalla rabbia e dal sensodi colpa, lacrime che dicevano è tuttacolpa mia.

— Mangerò, se vuoi — disseJocelyn sforzandosi di sorridere. —Luke ha fatto la pasta.

Clary girò la sedia, piegandosiapposta per impedire alla madre la vistadella scrivania. — Mamma — le disse.— C’è una cosa che vorrei chiederti.

— Che cosa?Clary mordicchiò l’estremità della

penna, una cattiva abitudine sviluppatada quando aveva iniziato a disegnare. —Mentre ero nella Città Silente con Jace, iFratelli mi hanno detto che quando nasce

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uno Shadowhunter si fa una cerimoniaper proteggerlo. Sono le Sorelle diFerro e i Fratelli Silenti a occuparsene.E così mi stavo chiedendo…

— Se l’abbiamo fatta anche per te?Clary annuì.Jocelyn emise un sospiro e distese le

braccia verso l’alto. — Sì. Laorganizzai tramite Magnus. C’erano unFratello Silente, una persona votata alsilenzio e uno stregone femmina al postodi una Sorella di Ferro. Io quasi nonvolevo farla. Non volevo pensare che ilsoprannaturale avrebbe potuto mettertiin pericolo, dopo che ti avevo nascostacon tanta attenzione. Invece Magnus miconvinse, ed ebbe ragione.

Clary la guardò, incuriosita. — Chi

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era lo stregone femmina?— Jocelyn! — Luke la stava

chiamando dalla cucina. — L’acquabolle!

Jocelyn depose un rapido bacio sullatesta di Clary. — Scusami, emergenzaculinaria. Ci si vede tra cinque minuti?

Clary annuì mentre sua madrelasciava in fretta la stanza, poi tornò agirarsi verso la scrivania. La runa cheaveva iniziato era ancora lì, che lesolleticava i pensieri. Ricominciò adisegnare, completando quello cheaveva appena accennato. Una voltaterminata l’opera, si appoggiò alloschienale e osservò il risultato. Erasimile alla runa di apertura, ma diversa.Era uno schema semplice come una

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croce e nuovo al mondo come un bimboappena nato. Racchiudeva in sé unaminaccia silenziosa, qualcosa cherivelava come avesse origine dallarabbia, dal senso di colpa edall’impotenza.

Era una runa di grande forza. Maanche se Clary sapeva esattamente cosasignificava e come usarla, non le venivain mente un solo modo per renderla utilein quella situazione. Era come quando tisi ferma la macchina su una stradadeserta, tu rovisti disperatamente nelbagagliaio e tiri fuori, trionfante, unaprolunga elettrica invece dei cavetti dabatteria.

Si sentì come se il suo potere sistesse prendendo gioco di lei.

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Imprecando, lasciò cadere la penna sullascrivania e si prese il viso fra le mani.

L’interno del vecchio ospedale erastato accuratamente imbiancato, sceltache conferiva una luce inquietante a tuttele superfici. Quasi tutte le finestre eranosbarrate da assi di legno, ma anche inpenombra Maia con la sua potente vistariusciva a distinguere i dettagli: il sottilestrato di polvere di gesso nei corridoispogli, i segni dove erano stateposizionate le torce dei muratori, i pezzidi cavi attaccati alle pareti con grumi diintonaco, il fruscio dei topi negli angolipiù bui.

Una voce le parlò da dietro lespalle: — Ho perlustrato l’ala est,niente. Tu?

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Maia si voltò. Era Jordan, jeansscuri e felpa nera aperta per metà su unamaglietta verde. Gli rispose scuotendola testa. — Niente anche nell’ala ovest.Qualche bella scala traballante e degliinteressanti dettagli architettonici, se tiinteressa quel genere di cose.

Jordan fece segno di no. — E alloraandiamocene. Questo posto mi mette ibrividi…

Maia fu d’accordo, felice di nonessere stata lei la prima a dirlo. Si miseaccanto a Jordan e insieme scesero lescale; i pezzi di intonaco sbriciolato chericoprivano il corrimano erano cosìabbondanti da sembrare neve. Nonsapeva bene perché aveva accettato dicontinuare le ricerche insieme a lui, ma

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non poteva negare che insiemeformavano una bella squadra.

Era facile stare con Jordan.Nonostante quanto accaduto fra di loropoco prima della scomparsa di Jace, luisapeva tenere le distanze senza farlasentire in imbarazzo. La luce della lunasplendeva intensa su di loro mentreuscivano dall’ospedale ed entravano nelgrande edificio antistante. Era di marmobianco, con quelle finestre sbarrate chesembravano occhi assenti. Un alberoricurvo, che spargeva a terra le sueultime foglie, incombeva davanti alportone d’ingresso.

— Sì, è stata una perdita di tempo— commentò Jordan. Maia lo guardò.Lui era impegnato a fissare il vecchio

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ospedale della marina, quindi era ilmomento ideale. Le piaceva osservarlomentre lui non la guardava, perchépoteva studiarne l’angolo dellamascella, il modo in cui i capelli scurigli si arricciavano sulla nuca, lasporgenza delle clavicole sotto lascollatura a V della maglietta, e tuttoquesto senza la sensazione che lui siaspettasse qualcosa dai suoi sguardi.Quando si erano conosciuti, lui era ilclassico belloccio “alternativo”, visosquadrato e ciglia lunghe, ma orasembrava più grande con quelle nocchegraffiate e i muscoli che si muovevanoarmoniosi sotto la maglietta aderente. Lacarnagione aveva ancora quellasfumatura olivastra che ricordava le

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origini italiane e il nocciola degli occhiera sempre lo stesso, ma ora le pupilleerano orlate dal cerchio dorato deilicantropi. Le stesse che vedeva lei tuttele mattine, allo specchio, dentro ilproprio sguardo. Le pupille che aveva acausa di Jordan.

— Maia? — Jordan la stavaguardando con aria interrogativa. — Acosa stai pensando?

— Oh! — La ragazza batté lepalpebre, colta di sorpresa. — No,credo anch’io che non sia stato utileperlustrare l’ospedale. A essere sinceri,non so nemmeno perché ci abbianomandati qui. Il Brooklyn Navy Yard.Perché Jace dovrebbe essere da questeparti? Non mi sembra che avesse una

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passione per le barche…L’espressione di Jordan passò dal

semplice stupore di poco prima aqualcosa di molto più cupo. — Quando icadaveri finiscono nell’East River,spesso finiscono qui, al Navy Yard.

— Pensi davvero che stianocercando un cadavere?

— Non lo so. — Jordan si voltò conun’alzata di spalle e si mise acamminare, con l’erba secca eirregolare del prato che frusciava controgli stivali. — Forse continuo a cercaresolo perché smettere mi sembrerebbesbagliato.

Lui aveva il passo lento di chi nonha fretta. Camminavano spalla a spalla,quasi sfiorandosi. Maia teneva lo

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sguardo fisso all’orizzonte, sul profilodi Manhattan, una mano di bianco lucidoche si rifletteva sull’acqua. Mentre siavvicinavano alle acque basse dellaWallabout Bay, comparvero alla vistaanche il ponte di Brooklyn e ilrettangolo illuminato del South StreetSeaport sull’acqua. Maia riusciva asentire i miasmi delle acque inquinate,della sporcizia e dei motori diesel delNavy Yard, uniti all’odore deglianimaletti che si muovevano nell’erba.

— Non credo che Jace sia morto —disse infine. — Credo che non vogliaessere ritrovato.

A quelle parole, Jordan si voltò aguardarla. — Quindi per te nondovremmo cercarlo?

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— No. — Esitò. Erano sbucativicino al fiume, accanto a un muretto.Mentre camminavano, Maia ci facevascorrere sopra la mano. Tra loro el’acqua c’era solo una stretta strisciad’asfalto. — Quando sono scappata qui,a New York, non volevo essere trovata.Ma mi sarebbe piaciuta l’idea diqualcuno che mi stesse cercando comeora tutti stanno cercando JaceLightwood.

— Jace ti piaceva? — le chieseJordan in tono neutrale.

— Piacermi? Be’, sì, ma non in quelsenso!

Jordan rise. — Non intendevo inquel senso. Anche se in genere vieneconsiderato un bello spaziale!

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— Per caso stai per assumerequell’atteggiamento tipico dei ragazzietero che non sono in grado di giudicarese altri uomini sono attraenti o no? Jacee quel tizio peloso che lavora alla tavolacalda sulla Nona per te sono uguali?

— Be’, il tizio peloso ha quel neoenorme, perciò direi che Jace lo batte dipoco. Sempre se ti piace il generebiondo e scolpito, per la serie“Abercrombie farebbe i salti mortali perprendermi”. — Jordan la guardava dasotto le sue lunghe ciglia.

— Ho sempre preferito i mori —disse Maia a bassa voce.

Lui guardò verso il fiume. — TipoSimon.

— Be’… sì. — Era da tempo che

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Maia non ripensava a Simon in quelsenso. — Direi di sì.

— E poi a te piacciono i musicisti— riprese Jordan allungandosi perstaccare una foglia da un ramo basso. —Voglio dire, io sono un cantante, Bat eraun DJ, e Simon…

— Mi piace la musica — disse Maiascostandosi i capelli dal viso.

— Cos’altro ti piace? — Jordanstava spezzettando la foglia tra le dita.Si fermò per sollevarsi e mettersi asedere sul muretto, col viso rivoltoverso Maia. — Nel senso, c’è qualcosache ti piace così tanto da pensare dipoterla fare, sì, per vivere?

Lei lo guardò con stupore. — Checosa vuoi dire?

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— Ricordi quando ho fatto questi?— Si aprì la cerniera e tolse la felpa. Lamaglietta che indossava era a manichecorte e lasciava scoperti, attorno aentrambi i bicipiti, i tatuaggi con imantra in sanscrito. Maia se li ricordavabene. Erano opera della loro amicaValerie, che aveva lavorato per ore nelsuo negozio di Red Bank senza volereniente in cambio. Fece un passo versoJordan. Con lui seduto e lei in piedi,erano quasi fronte a fronte. Maia allungòuna mano e con le dita percorse,esitando, le lettere del braccio sinistro.Appena le sfiorò, Jordan chiuse gliocchi d’istinto.

— Conducimi dall’irrealtà allarealtà — lesse Maia ad alta voce. —

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Conducimi dalle tenebre alla luce.Conducimi dalla morte all’immortalità.— La pelle di lui era liscia sotto lapunta delle sue dita. — Parole trattedelle Upanishad.

— Una tua idea. Eri tu quella cheleggeva sempre. Eri tu quella che sapevatutto… — Riaprì gli occhi perguardarla. Erano di una tonalità piùchiara rispetto all’acqua alle sue spalle.— Maia, qualsiasi cosa vorrai fare, io tiaiuterò. Ho risparmiato gran parte dellostipendio che mi passa il Praetor. Queisoldi potrei darli a te, così ci paghi laretta di Stanford. Be’, almeno una parte.Se ci vuoi ancora andare.

— Non lo so — disse lei con lamente che le turbinava. — Quando mi

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sono unita al branco, pensavo che sipotesse essere lupi mannari e basta.Pensavo che fosse questione di viverecon gli altri senza avere una propriaidentità. Così mi sembrava menopericoloso... Invece Luke una vita cel’ha, è il proprietario di una libreria. Etu, tu sei nel Praetor. Forse… Forse sipuò essere più di una cosa soltanto.

— E tu lo sei sempre stata. — Iltono di Jordan era basso, quasi gutturale.— Sai, quello che hai detto prima… Chequando sei scappata ti piaceva pensareche qualcuno ti stesse cercando. — Feceun respiro profondo. — Io ti cercavo. Enon ho mai smesso.

Gli occhi di Maia incrociaronoquelli di Jordan. Lui non si muoveva, ma

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le mani stringevano le ginocchia cosìforte che le nocche erano diventatebianche. Lei si sporse in avanti,abbastanza da vedergli un accenno dibarba incolta lungo la mascella e dasentire il suo odore di lupo, didentifricio, di maschio. Appoggiò lemani sopra le sue. — Be’ — disse. —Mi hai trovata.

I loro visi erano solo a pochicentimetri di distanza. Lei sentì il suorespiro sulle proprie labbra prima chelui la baciasse. Maia si abbandonò,chiudendo gli occhi. La bocca di lui eramorbida come la ricordava; le labbrasfioravano le sue con dolcezza,facendole venire i brividi in tutto ilcorpo. Alzò le braccia per mettergliele

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attorno al collo, per lasciar scivolare ledita fra i riccioli scuri, per toccarepiano la pelle della nuca, l’orloconsumato della maglietta.

Lui la strinse più forte. Stavatremando. Maia avvertì il calore del suocorpo possente contro il proprio mentrelui le faceva scendere le mani lungo laschiena. — Maia… — sussurrò. Avevainiziato a sollevarle l’orlo della felpa,tenendola stretta alla base della schiena.Le sue labbra si mossero contro quelledi lei. — Ti amo. Non ho mai smesso diamarti.

Sei mia. Sei mia per sempre.Col cuore che le batteva

all’impazzata, Maia si staccò di colpoda Jordan riabbassandosi la felpa. —

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Jordan… fermati.Lui la guardò con aria perplessa e

preoccupata. — Scusami. Non ti èpiaciuto? Non ho più baciatonessun’altra, da quando… — La vocegli si smorzò.

Lei scosse la testa. — No. È che…non posso.

— D’accordo — fece lui. Aveva unaspetto molto vulnerabile, lì seduto conla tristezza scritta in faccia. — Nondobbiamo fare niente…

Lei annaspava per cercare le parole.— È troppo.

— Ma è stato solo un bacio.— Hai detto che mi ami — disse lei

con voce tremante. — Mi hai offerto ituoi risparmi. Non posso accettarlo.

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— Accettare cosa? — fece lui conuna scintilla di offesa. — Il denaro ol’amore?

— Entrambi. Non posso e basta,okay? Non con te, non in questomomento. — Cominciò a indietreggiare.Lui la stava guardando, a boccasocchiusa.

— Non seguirmi, ti prego — glidisse, poi corse via, nella direzione dacui erano venuti.

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capitolo 5

IL FIGLIO DI VALENTINE

Stava di nuovo sognando paesaggiglaciali. Un’aspra tundra che siestendeva ovunque, blocchi di ghiaccioalla deriva sulle nere acquedell’Artico, montagne incappucciate dineve, città scavate nel gelo con torriscintillanti come quelle demoniache diAlicante.

Davanti alla città gelata c’era un

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lago, anch’esso ghiacciato. Clary stavascivolando giù per un ripido pendio,cercando di raggiungere il lago, anchese non sapeva bene perché. Due figuresinistre, incappucciate, sorgevano alcentro della distesa gelata.Avvicinandosi a essa, slittando sulladiscesa, con le mani che le bruciavanoa contatto con il ghiaccio e la neve chele riempiva le scarpe, si accorse cheuno dei due individui era un ragazzodotato di ali nere, che gli partivanodalla schiena, simili a quelle di uncorvo. I capelli erano bianchi cometutto il ghiaccio che li circondava.Sebastian. E accanto a lui c’era Jace,la sua chioma dorata era l’unica notadi colore in un paesaggio altrimenti

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bianco e nero.Quando Jace si allontanò da

Sebastian e iniziò ad avanzare verso dilei, anche dalla sua schiena esploserodelle ali, bianco oro e lucenti. Claryscivolò sugli ultimi centimetri che ladividevano dalla superficie gelata dellago e crollò sulle ginocchia, esausta.Aveva le mani bluastre e sanguinanti, lelabbra screpolate e i polmoni che siinaridivano a ogni respiro gelato.

— Jace — sussurrò.Lui era lì, a rimetterla in piedi

avvolgendola tra le sue ali. E lei era dinuovo calda, il disgelo le partiva dalcuore e le percorreva tutte le vene,riportando in vita mani e piedi eprovocandole un formicolio a metà fra

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dolore e piacere. — Clary — le disseJace accarezzandole teneramente icapelli. — Mi prometti che nongriderai?

Gli occhi di Clary si aprirono. Perun istante fu così disorientata da averel’impressione che il mondo le girasseattorno, come fosse a bordo di unagiostra impazzita. Era in camera sua, acasa di Luke. Il solito materasso sotto dilei, il guardaroba con lo specchioincrinato, la fila di finestre che davanosull’East River, il calorifero chesibilava e lanciava schizzi. Una lucetenue si insinuava da fuori, un vagochiarore rosso aleggiava intorno alrilevatore di fumo sopra l’armadio. Erasdraiata su un fianco, sotto una montagna

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di coperte, e si sentiva la schienapiacevolmente calda. Un braccio lepenzolava giù dal letto. Si chiese seSimon fosse entrato dalla finestra,mentre dormiva, sdraiandosi accanto alei, come facevano da piccoli.

Ma il corpo di Simon non emanavacalore.

Si sentì salire il cuore in gola. Orache era del tutto sveglia, si rigirò sottole coperte. Accanto aveva Jace, sdraiatosu un fianco, che la guardava, con latesta appoggiata alla mano.

Il debole chiarore della luna rendevai suoi capelli simili a un’aureola, mentregli occhi brillavano di luce dorata comequelli di un gatto. Era completamentevestito; indossava ancora la maglietta

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bianca a maniche corte che Clary gliaveva visto quello stesso giorno, eaveva le braccia coperte di rune che siarrampicavano come edera.

Trattenne il respiro, sbalordita. Jace,il suo Jace, non l’aveva mai guardata inquel modo. L’aveva guardata condesiderio, sì, ma non con quello sguardolanguido, predatore, quasi rapace, cheora le scombussolava il battito cardiaco.

Aprì la bocca, per pronunciare il suonome o per urlare, non sapeva bene, manon ebbe modo di scoprirlo: Jace simosse così in fretta che neanche lo vide.Un istante prima era sdraiato di fianco alei, adesso le stava sopra, tenendole unamano premuta sulla bocca. Le stringeva ifianchi tra le ginocchia, facendole

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sentire il proprio corpo snello emuscoloso contro il suo.

— Non ti farò del male — le disse.— Non lo farei mai. Ma non voglio chegridi. Ti devo parlare.

Lei gli lanciò uno sguardo truce.Jace, a sorpresa, rise. Era la sua

solita risata, ma ridotta a un sussurro. —So leggere le tue espressioni, ClaryFray. Se ti togliessi la mano dalla bocca,un secondo dopo staresti già gridando. Osfruttando l’allenamento per rompermi ipolsi. Su, promettimi che non lo farai.Giura sull’Angelo.

Questa volta Clary alzò gli occhi alcielo.

— Okay, hai ragione — ripreseJace, — non puoi giurare se ti tengo la

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mano sulla bocca, quindi ora la tolgo. Ese strilli… — Inclinò la testa di lato,così che un ciuffo di capelli biondochiaro gli cadde sugli occhi. — Sparirò.

Tolse la mano. Clary giacevaimmobile, col respiro affannato e lapressione del corpo di Jace contro di sé.Sapeva che lui era più veloce e che nonc’era mossa che non avrebbe parato, maper il momento pareva intenzionato aconsiderare il loro incontro come ungioco, come qualcosa di divertente. Lovide chinarsi ancora più giù su di sé e siaccorse che aveva la maglietta alzata;sentiva i potenti muscoli dei suoiaddominali contro la propria pelle nuda.Arrossì.

Nonostante il calore alle guance, era

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come se nelle vene le scorressero freddiaghi di ghiaccio. — Che ci fai qui?

Lui si rialzò leggermente, con ariadelusa. — Non è esattamente la rispostaalla mia domanda, sai? Mi aspettavo dipiù, un alleluia o qualcosa del genere.Voglio dire, non è che il tuo ragazzoresusciti tutti i giorni.

— Lo sapevo già che non eri morto— gli disse fra labbra intorpidite. — Tiho visto in biblioteca. Con…

— Con il colonnello Mustard?— Con Sebastian.Jace accennò una risata soffiando

dalle narici. — Sapevo che c’eri anchetu. Lo sentivo.

Clary avvertì la tensione neimuscoli. — Mi hai lasciato credere che

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te n’eri andato — gli disse. — Prima dirivederti, pensavo che… pensavodavvero che ci fosse la possibilità che tufossi… — Si interruppe; non riusciva adirlo. Morto. — È imperdonabile. Se loavessi fatto io con te…

— Clary. — Si chinò di nuovo sopradi lei. Sentiva le sue mani calde suipolsi, il respiro suadente nell’orecchio.Era consapevole, in ogni punto delcorpo, che la loro pelle nuda si stavasfiorando. Una distrazione tremenda. —Ho dovuto farlo. Era troppo pericoloso.Se te lo avessi detto, avresti dovutoscegliere fra dire al Consiglio che eroancora vivo e lasciare che micercassero, oppure mantenere un segretoche ai loro occhi ti avrebbe resa una

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complice. Poi, quando mi hai visto inbiblioteca, ho dovuto aspettare. Dovevosapere se mi amavi ancora, e se avrestiriferito o no al Consiglio quello cheavevi visto. Non lo hai fatto. Dovevosapere se ti importava più di me chedella Legge. Ed è così, vero?

— Non lo so — sussurrò Clary. —Non lo so. Chi sei tu?

— Sono ancora Jace — rispose lui.— E ti amo ancora.

Lacrime calde si gonfiarono negliocchi di Clary; quando batté le palpebre,le sgorgarono fuori, sulle guance. Luipiegò la testa dolcemente e gliele baciò,facendo poi lo stesso con la bocca.Clary sentì il sapore salato delle suestesse lacrime sulle labbra di lui e

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dischiuse piano le sue, dolcemente,come stava facendo anche Jace. Queltocco e quel sapore familiare latravolsero: per una frazione di secondosi abbandonò a lui, mentre tutti i dubbiaffondavano dentro il desiderio cieco,irrazionale, di tenerlo vicino a sé, ditenerlo lì…

Ma in quel momento si aprì la porta.Sebastian.Da vicino, Clary notava meglio le

differenze rispetto a quando l’avevavisto a Idris. Aveva i capelli di unbianco assoluto, gli occhi neri cometunnel circondati da ciglia lunghe comele zampe di un ragno. Indossava unacamicia bianca, con le manicherimboccate, da cui spuntava una

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cicatrice rossa che cerchiava il polsodestro come un bracciale in rilievo.Anche sul palmo della mano ce n’erauna, molto brutta e probabilmente piùrecente.

— Ti ricordo che quella che staideflorando è mia sorella — dissepuntando il suo nero sguardo su Jace.Aveva parlato con un tono di vocedivertito.

— Mi dispiace — rispose Jace, chenon sembrava affatto dispiaciuto. Si eraappoggiato all’indietro sulle coperte,flessuoso come un gatto. — Ci siamolasciati un po’ andare.

Clary trattenne il respiro. Sentirequelle parole era sgradevole. — Fuoridi qui — disse a Sebastian.

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Lui si appoggiò allo stipite dellaporta col gomito e un fianco, e Claryrimase colpita da quanto quel gesto lericordasse Jace. Non avevano lo stessoaspetto, però si muovevano allo stessomodo. Come se…

Come se avessero imparato amuoversi dalla stessa persona.

— Ma guarda — disse Sebastian. —È questo il modo di rivolgersi al propriofratello maggiore?

— Magnus avrebbe dovuto lasciartiin versione attaccapanni — disse Clarycon disprezzo.

— Ah, te lo ricordi, vero? Misembrava che quel giorno ci fossimodivertiti. — Sogghignò, e con un’ondatadi nausea, Clary ricordò quando lui

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l’aveva portata alle rovine bruciatedella casa di sua madre e l’avevabaciata tra le macerie, pur sapendo chierano l’uno per l’altra e godendo delfatto che lei ne era all’oscuro.

Guardò Jace di sottecchi. Lui sapevabenissimo che Sebastian l’avevabaciata. Lo aveva anche provocato, conquella storia, tanto che per poco Jacenon lo aveva ucciso. Adesso invece nonpareva arrabbiato, divertito piuttosto, eforse anche un po’ infastidito per esserestato interrotto.

— Dovremmo rifarlo — disseSebastian guardandosi le unghie. —Passare un po’ di tempo in famiglia.

— Non mi importa quello che dici.Tu non sei mio fratello — disse Clary.

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— Sei un assassino.— Davvero non capisco come le due

cose possano annullarsi a vicenda —ribatté Sebastian. — Non è come nelcaso del povero papà. — Così dicendo,spostò pigramente lo sguardo su Jace. —In genere non mi piace intrometterminegli affari di cuore di un amico, ma nonho nessuna voglia di restarmene incorridoio all’infinito. Specialmentesenza poter accendere le luci. Miannoio!

Jace si mise a sedere,riabbassandosi la maglietta. — Daccisolo cinque minuti.

Sebastian fece un sospiro moltoteatrale e chiuse la porta sbattendola.Clary fissò Jace. — Cosa sta

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succedendo, Jace? Mi vuoi dire cosaca…

— Le parole, Fray! — Lo sguardo dilui guizzava. — Rilassati.

Clary punto l’indice contro la porta.— Hai sentito quello che ha detto. Delgiorno in cui mi ha baciata. Jace, luisapeva che ero sua sorella!

Qualcosa balenò negli occhi di lui,qualcosa che oscurò il loro consuetoriflesso ambrato, ma quando ricominciòa parlare fu come se le parole di Clarysi fossero scontrate con una parete dimarmo senza lasciare segni.

Clary indietreggiò. — Jace, miascolti quando parlo?

— Senti, io ti capisco se non ti vache tuo fratello ti stia aspettando in

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corridoio. Non avevo previsto dibaciarti. — Sorrise in un modo che, incircostanze diverse, Clary avrebbetrovato adorabile. — Solo che in quelmomento mi era sembrata una buonaidea.

Clary si precipitò fuori dallelenzuola, senza distogliere lo sguardo daJace. Prese la vestaglia che tenevaappesa al bordo del letto e la indossò.Jace rimase a osservarla senza fareniente per fermarla, anche se aveva gliocchi che brillavano al buio. — Io… ionon ci capisco niente. Prima sparisci,poi torni con lui comportandoti come seio non dovessi nemmeno farci caso,come se non fosse un problema, come senon… ricordassi.

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— Te l’ho detto — le rispose Jace.— Dovevo essere sicuro di potermifidare. Non volevo farti sapere dov’eromentre eri ancora fra gli indagati delConclave. Pensavo che sarebbe statodifficile, per te…

— Difficile per me?! — Quasi lemancava il fiato dalla rabbia. — Leverifiche a scuola sono difficili. Ipercorsi a ostacoli sono difficili. Il tuosparire così mi ha praticamente uccisa,Jace! E come credi che abbiano reagitoAlec? Isabelle? Maryse? Hai idea dicome sia stato? Riesci a immaginartelo?Non sapere nulla, cercarti…

La strana espressione di prima passòdi nuovo sul volto di Jace; sembrava chestesse sentendo Clary senza davvero

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ascoltarla. — Ah, sì, volevo appuntochiedertelo — disse sorridendo come unangelo. — Qualcuno mi sta cercando?

— Se qualcuno ti sta… — Claryscosse la testa, stringendosi la vestagliaattorno al corpo. All’improvviso volevaproteggersi da quello sguardo, coprirsidavanti a tutta quella bellezza familiare,a quel sorriso da cacciatore che rivelavacome Jace fosse pronto a fare con lei, alei, qualsiasi cosa, non importava chistesse aspettando in corridoio.

— Speravo che mettessero deivolantini, come quando si perdono i gatti— riprese Jace. — Scomparso ragazzodalla strabiliante bellezza. Risponde alnome di Jace o di Tanta Roba.

— Spero di aver capito male.

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— Non ti piace Tanta Roba? Pensiche Dolce Sogno sia più raffinato?Oppure ci sarebbe Fustacchione, cheperò è decisamente troppo vintage…

— Taci! — esclamò Clary conviolenza. — E vattene.

— Io… — Jace sembrò colto allasprovvista, e Clary ricordò quanto fosserimasto stupito fuori dalla tenuta, quandolei lo aveva allontanato. — Okay, orabasta. Sarò serio. Clarissa, sono quiperché voglio che vieni con me.

— Venire con te dove?— Vieni con me… — seguì un

attimo di esitazione — … e conSebastian. Poi ti spiegherò tutto.

Per un istante Clary restò dighiaccio, tenendo gli occhi fissi su

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quelli di lui. Il chiarore argenteo dellaluna gli contornava la curva dellelabbra, la forma degli zigomi, l’ombradelle ciglia, l’arco che formava il collo.— L’ultima volta che sono venuta con teda qualche parte mi sono ritrovata stesaa terra priva di sensi per poi esseretrascinata nel bel mezzo di unacerimonia di magia nera.

— Ma quello non ero io, era Lilith.— Il Jace Lightwood che conosco io

non starebbe nella stessa stanza diJonathan Morgenstern senza ucciderlo.

— Scopriresti che sarebbecontroproducente — commentò Jace condisinvoltura, infilandosi gli stivali. —Siamo legati, io e lui. Ferisci lui e iosanguinerò.

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— Legati? Cosa intendi per legati?Jace buttò all’indietro la chioma

soffice, ignorando la domanda. — È unacosa più grande di te, Clary. Noncapiresti. Lui ha un piano. È disposto aimpegnarsi, a sacrificarsi. Se solo tu milasciassi spiegare…

— Ha ucciso Max, Jace — disseClary, — il tuo fratellino…

Lui trasalì, e per un istante di follesperanza Clary pensò di essere riuscita afare breccia nel suo cuore. Invecel’espressione gli tornò subito distesa,come un lenzuolo spiegazzato dopo ilpassaggio del ferro da stiro. — Quello èstato… quello è stato un incidente. E poianche Sebastian è mio fratello.

— No — scosse la testa Clary. —

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Lui non è tuo fratello, è il mio. E Diosolo sa quanto vorrei non fosse vero.Non avrebbe mai dovuto nascere…

— Come puoi dire una cosa delgenere? — fece Jace buttando le gambegiù dal letto. — Hai mai pensato cheforse le cose non sono bianche o nerecome pensi tu? — Si piegò per prenderela cintura con le armi e allacciarsela. —C’è stata una guerra, Clary, e moltepersone si sono fatte male, ma… allorale cose erano diverse. Ora so cheSebastian non farebbe maiintenzionalmente del male a qualcunoche ama. Sta servendo una causa piùgrande di lui, e a volte ci sono dei dannicollaterali…

— Hai appena detto che tuo fratello

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è stato un danno collaterale? — Lavoce le salì fino a un mezzo gridod’incredulità. Si sentiva sul punto disoffocare.

— Clary, non mi stai ascoltando. Èuna cosa importante…

— Come, secondo Valentine, eraimportante quello che stava facendo lui?

— Valentine sbagliava — le disse.— Aveva ragione nel dire che ilConclave era corrotto, ma si sbagliavasul modo in cui sistemare le cose.Sebastian invece non sbaglia. Se tualmeno ci ascoltassi…

— Ci ascoltassi… — ripeté Clary.— Mio Dio, Jace… — Lui la guardavadal letto, e lei, benché sentisse che ilcuore le si stava spezzando, con la

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mente viaggiava all’impazzata perricordare dove aveva lasciato lo stilo, oper chiedersi se sarebbe riuscita araggiungere il taglierino nel cassetto delcomodino e, nel caso, se avrebbe avutola forza di usarlo.

— Clary? — Jace inclinò la testa dilato, studiandole il viso. — Tu… tu miami ancora, vero?

— Io amo Jace Lightwood — fu larisposta di lei. — Mentre tu non so chisei.

Jace cambiò espressione ma, primache potesse aprire bocca, un urlosquarciò il silenzio. Un urlo, e il suonodi un vetro che andava in frantumi.

Clary riconobbe la voce all’istante.Era quella di sua madre.

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Senza dedicare un altro sguardo aJace, spalancò la porta della camera e siprecipitò in corridoio per raggiungere ilsalotto, un locale ampio separato dallacucina mediante un lungo bancone.Proprio lì accanto c’era Jocelyn, conindosso pantaloni da ginnastica, unamaglietta a frange e i capelli raccolti inuno chignon disordinato. Sicuramenteera andata in cucina per prenderequalcosa da bere. Ai suoi piedi, unbicchiere rotto e la moquette verdeinzuppata d’acqua.

Sulla pelle del suo viso non erarimasta una sola nota di colore: erabianco come un cencio. Guardavadall’altra parte della stanza, e Clary,ancora prima di voltare la testa, sapeva

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cosa stava fissando.Suo figlio.Sebastian era appoggiato alla parete

del salotto, accanto alla porta, il visospigoloso privo di espressione. Abbassòle palpebre e guardò Jocelyn da sotto leciglia. C’era qualcosa in quella postura,in quell’aspetto, che sarebbe potutouscire dritto da una fotografia di Hodgecon Valentine a diciassette anni.

— Jonathan — sussurrò Jocelyn.Clary rimase immobile, persino quandopiombò in corridoio Jace, intuendosubito cosa era successo e fermandosi.La mano sinistra del ragazzo era sullacintura con le armi, le dita sottili a pochicentimetri dall’elsa di uno dei pugnali, eClary sapeva che ci avrebbe messo

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meno di un secondo ad afferrarlo.— Ora vado sotto il nome di

Sebastian — disse il fratello di Clary.— Ho deciso che non mi interessavamantenere il nome scelto da te e da miopadre. Mi avete tradito entrambi, perciòpreferisco avere meno legami possibilicon voi.

L’acqua fuoriuscita dal bicchiererotto era andata a formare un cerchioscuro ai piedi di Jocelyn. La donna feceun passo in avanti, cercando con losguardo il viso di Sebastian, scrutandolodall’alto in basso. — Pensavo fossimorto — sussurrò. — Morto. Ho vistole tue ossa ridotte in cenere.

Sebastian la guardò, i suoi occhi nericalmi e sottili. — Se tu fossi una vera

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madre, una brava madre, avresti saputoche ero vivo. Qualcuno, una volta, hadetto che le madri portano con sé lechiavi del nostro animo per tutta la vita.Ma tu hai buttato via la mia.

Jocelyn emise un rumore dal fondodella gola. Si appoggiava al bancone persorreggersi. Clary voleva correre da lei,ma si sentiva incollata al pavimento.Qualunque cosa stesse accadendo tra suamadre e suo fratello, lei non c’entrava.

— Non dirmi che non sei nemmenoun po’ contenta di vedermi, madre —proseguì Sebastian. Anche se le paroleerano supplicanti, la voce risultavaatona. — Non sono tutto quello chepotresti desiderare in un figlio? —Spalancò le braccia. — Bello, forte,

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proprio come il nostro caro e vecchiopapà.

Jocelyn scosse la testa, grigia inviso. — Che cosa vuoi, Jonathan?

— Voglio quello che vogliono tutti— rispose lui. — Voglio quello che mispetta. In questo caso, l’eredità deiMorgenstern.

— L’eredità dei Morgenstern èsangue e devastazione — disse Jocelyn.— Qui non siamo Morgenstern. Né io,né mia figlia. — Si mise dritta in piedi.La mano era ancora aggrappata albancone, ma Clary aveva capito chenell’espressione di sua madre eratornato un po’ del vecchio fuoco. — Seadesso te ne vai, Jonathan, non dirò alConclave che sei stato qui. — Gli occhi

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le guizzarono su Jace. — Lo stesso valeper te. Se sapessero che statecollaborando, vi ucciderebberoentrambi.

Clary, d’istinto, si spostò permettersi davanti a Jace. Lui oraguardava Jocelyn da sopra le sue spalle.— Ti importa, se muoio? — le chiese.

— Mi importa di quello chesuccederebbe a mia figlia — risposeJocelyn.

— E la Legge è dura, troppo dura.Forse quello che ti è successo… si puòrimediare. — Con lo sguardo tornò suSebastian. — Ma per te, caro Jonathan,è davvero troppo tardi.

La mano aggrappata al banconesaettò in avanti brandendo il kindjal a

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manico lungo di Luke. Sul viso lebrillavano gocce di pianto, ma la presadel coltello era salda.

— Sembro proprio lui, vero? —disse Sebastian senza scomporsi.

Sembrava aver notato a malapenal’arma. — Valentine. È per quello chemi guardi così.

Jocelyn scosse la testa. — Hail’aspetto che hai sempre avuto dal primomomento che ti ho visto. Quello di unacreatura demoniaca. — La sua voce eratriste e addolorata. — E mi dispiacetanto.

— Di cosa?— Di non averti ucciso quando sei

nato. — E così dicendo uscì da dietro ilbancone facendo roteare il kindjal

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dentro la mano.Clary si irrigidì, ma Sebastian non

fece una mossa. I suoi occhi scuriseguivano quelli di sua madre che gli siavvicinava. — È questo che vuoi? — lechiese. — Tu vuoi che io muoia? —Aprì le braccia come per volerlaaccogliere, poi fece un passo in avanti.— Prego. Commetti pure un figlicidio.Non te lo impedirò.

— Sebastian! — esclamò Jace.Clary gli lanciò un’occhiata sbalordita.Era davvero preoccupato per lui?

Jocelyn fece un altro passo in avanti.Muoveva il coltello così velocementeche distinguerne i contorni eraimpossibile. Quando l’arma si fermò, lapunta mirava dritto al cuore di

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Sebastian.Eppure lui non si muoveva.— Fallo — le disse piano. Poi piegò

appena la testa di lato. — Pensi difarcela? Avresti potuto uccidermiappena nato, ma non l’hai fatto. — Il suotono di voce si fece più profondo. —Forse sai che l’amore per un figlio èincondizionato. Forse, amandomiabbastanza, avresti potuto salvarmi.

Per un istante si fissarono l’unl’altra, madre e figlio, occhi verdeghiaccio che incontravano carboniardenti. Agli angoli della bocca diJocelyn c’erano due profondi solchi che,Clary avrebbe potuto giurarci, solo duesettimane prima non esistevano. — Staibluffando — disse lei con la voce che le

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tremava. — Tu non provi nulla,Jonathan. Tuo padre ti ha insegnato afingere di provare le emozioni umanecome si insegna a parlare a unpappagallo. Lui non sa cosa sta dicendo,proprio come te. Quanto vorrei… Dio,sì, quanto vorrei che ne fossi davverocapace. Invece…

Jocelyn sollevò la lama tracciandoun arco rapido, netto, tagliente. Il colpoperfetto avrebbe dovuto entrare sotto lecostole di Sebastian per arrivare drittoal cuore. Almeno in teoria, se Sebastiannon fosse stato persino più veloce diJace. Si voltò di spalle, allontanandosi,e la punta della lama gli fece solo ungraffio superficiale sul petto.

Accanto a Clary, Jace trattenne il

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respiro, e lei si girò per guardarlo. Sullamaglietta gli era comparsa una macchiarossa che andava allargandosi. QuandoJace si toccò, vide che la punta delledita era insanguinata. Siamo legati.Ferisci lui e io sanguinerò.

Senza pensarci due volte, Clary siprecipitò al centro della stanza,mettendosi fra Jocelyn e Sebastian. —Mamma! — esclamò, senza fiato. —Fermati!

Jocelyn aveva ancora il coltello inmano e non staccava gli occhi daSebastian. — Clary, togliti di mezzo.

Sebastian scoppiò a ridere. —Carino, vero? La sorellina che difende ilsuo fratellone!

— Non sto difendendo te — ribatté

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Clary continuando a guardare sua madrein viso. — Qualsiasi cosa succeda aJonathan, succede anche a Jace. Capisci,mamma? Se uccidi lui, Jace muore. Stagià sanguinando! Mamma, ti prego!

Jocelyn non mollava la presasull’arma, ma aveva un’aria esitante. —Clary…

— Santo cielo, che situazione —commentò Sebastian. — Voglio propriovedere come la risolvete. Dopotutto ionon ho motivo di andarmene.

— Sì, invece — disse una voce cheproveniva dal corridoio. — Ce l’hai.

Era Luke, a piedi nudi, con addossoun paio di jeans e un vecchio maglione.Aveva l’aspetto scarmigliato, e senza gliocchiali sembrava stranamente più

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giovane. In equilibrio sulla spalla tenevaun fucile a canne mozze, puntato drittocontro Sebastian. — Questo è un fucile apompa Winchester calibro 12 che ilbranco usa per abbattere i lupi mannariimpazziti — disse. — Anche se non tiuccido, posso farti saltare una gamba,figlio di Valentine.

Fu come se tutti nella stanzatrasalissero nello stesso istante. Tuttitranne Luke e Sebastian. Quest’ultimo,con un sorriso che gli divideva la facciain due, si voltò verso l’avversarioguardandolo come se la sua arma nonesistesse. — Figlio di Valentine, dici?È così che mi vedi? In altre circostanzeavresti potuto essere il mio patrigno.

— In altre circostanze — ribatté

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Luke, facendo scivolare un dito sulgrilletto — avresti potuto essere umano.

Sebastian rimase perplesso. — E lostesso si può dire di te, lupo mannaro.

Era come se il mondo avesserallentato. Luke guardava lungo la cannadel fucile, Sebastian sorrideva.

— Luke — lo chiamò Clary.Sembrava uno di quei sogni, uno diquegli incubi in cui vorresti urlare matutto quello che ti esce dalla gola è undebole sussurro. — Luke, non farlo!

Il dito del suo patrigno si irrigidì sulgrilletto. A quel punto Jace, che stava difianco a Clary, esplose: partì di corsa,saltò oltre il divano e si avventò su Lukeproprio nell’istante in cui partì il colpo.

Il proiettile volò in alto e colpì una

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delle finestre, che scoppiò versol’esterno. Luke barcollò all’indietro peril contraccolpo. Jace gli strappò il fuciledalle mani e lo scagliò via, facendolofinire fuori dalla finestra rotta.

— Luke… — cercò di dirgli. Mal’altro lo colpì.

Pur sapendo tutto quello che sapeva,lo shock di vedere Luke, colui che avevadifeso Jace un’infinità di volte davanti asua madre, a Maryse e al Conclave, lostesso Luke noto per la sua calma e lasua gentilezza, che colpiva Jace in pienovolto fu per Clary come ricevere unpugno in prima persona. Jace, del tuttoimpreparato, finì all’indietro contro ilmuro.

E Sebastian, che fino a quel

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momento non aveva mostrato emozionidiverse dallo scherno e dal disgusto,ringhiò. Ringhiò ed estrasse dallacintura un pugnale lungo e sottile. Lukesgranò gli occhi e fece per voltarsi, maSebastian fu più veloce di lui, piùveloce di chiunque Clary avesse maivisto. Jace compreso. Infilzò il pugnalenel petto di Luke, facendolo ruotare conviolenza prima di estrarlo, rosso finoall’impugnatura. Luke si lasciò caderecontro il muro e scivolò a terralasciandosi dietro una scia di sangue,sotto lo sguardo esterrefatto di Clary.

Jocelyn lanciò un grido il cui suonofu peggiore di quello del proiettile cheaveva distrutto la finestra, ma Claryebbe l’impressione di sentirlo provenire

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da lontano, quasi da sott’acqua. Stavafissando Luke, collassato a terra, mentreil tappeto attorno a lui si tingeva velocedi rosso.

Sebastian sollevò di nuovo ilpugnale. Clary allora gli si scagliòcontro, colpendolo più forte che potevasulla spalla per fargli perderel’equilibrio. Lo smosse a malapena, mariuscì a fargli cadere l’arma. Sebastiansi girò per guardarla. Aveva un labbroferito. Clary non ne capiva il motivo,finché davanti agli occhi non lecomparve anche Jace, sporco di sanguenel punto in cui era stato colpito daLuke.

— Ora basta! — Jace afferròSebastian per le spalle della giacca. Era

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pallido, non stava guardando né Luke néClary. — Smettila. Non è questo ilmotivo per cui sono venuto qui.

— Lasciami andare!— No. — Jace passò un braccio

davanti a Sebastian e gli afferrò lamano. Il suo sguardo si incrociò conquello di Clary. Mosse le labbra perpronunciare qualcosa, poi balenò unaluce argentea – l’anello al dito diSebastian – ed entrambi sparirono,dissolti nello spazio di un respiro.Proprio mentre scomparivano, una sciametallica volò in aria nel punto in cui idue si trovavano un secondo prima eandò a conficcarsi nel muro.

Il kindjal di Luke.Clary si girò per guardare la madre,

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che aveva lanciato l’arma. Ma lei perònon la vide. Si era già precipitata alfianco di Luke, buttandosi in ginocchiosopra il tappeto insanguinato eprendendo in grembo il propriocompagno. Lui aveva gli occhi chiusi edagli angoli della bocca gli colavanorivoli rossi. A qualche centimetro didistanza giaceva il pugnale d’argento diSebastian, ancora più rosso.

— Mamma — sussurrò Clary. —Luke è…

— Il pugnale è d’argento — disseJocelyn con voce scossa. — Non guariràtanto in fretta, non senza una curaspeciale. — Sfiorò il viso di Luke conla punta delle dita. Clary notò consollievo che il petto di lui si alzava e

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abbassava, anche se di poco. Riusciva asentire il sapore delle lacrime bruciargliin fondo alla gola e, per un attimo,rimase colpita dalla calma di sua madre.Ma poi pensò che quella era la stessadonna che un tempo aveva visto leceneri della sua casa, i corpicarbonizzati della sua famiglia, genitorie figlio compresi, e che era riuscita lostesso ad andare avanti.

— Vai in bagno a prendere degliasciugamani — le ordinò. — Dobbiamofermare l’emorragia.

Clary barcollò ed entrò quasi allacieca nel piccolo bagno piastrellato diLuke. Sul retro della porta era appeso unasciugamano grigio; lo tirò giù e tornò insalotto. Jocelyn teneva Luke sulle

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ginocchia con una mano, mentre conl’altra stringeva un cellulare. Alla vistadi Clary, lo lasciò cadere e prese subitol’asciugamano. Dopo averlo piegato indue, lo appoggiò sopra la ferita che Lukeaveva sul petto e premette forte. Claryvide la stoffa tingersi di scarlatto.

— Luke — sussurrò Clary. Lui nonsi mosse. Aveva il viso di un tremendocolor grigio.

— Ho appena avvisato il suo branco— disse Jocelyn. Non guardò sua figlia;Clary si rese conto che Jocelyn non leaveva fatto una sola domanda su Jace esu Sebastian, né le aveva chiesto comemai lei e Jace fossero usciti dalla stessastanza, né che cosa stessero facendo. Eracompletamente concentrata su Luke. —

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Hanno mandato alcuni dei loro membri aperlustrare la zona. Appena arrivano,dobbiamo andarcene. Jace tornerà acercarti.

— Non puoi saperlo… — cominciòa dire Clary sussurrando da una golaprosciugata.

— Invece sì — dichiarò Jocelyn. —Valentine è tornato da me dopo quindicianni. I Morgenstern sono fatti così. Nonsi arrendono mai, perciò lui tornerà date.

Jace non è Valentine, avrebbevoluto dire, ma la frase le si spensesulle labbra. Avrebbe anche volutobuttarsi sulle ginocchia e prendere lamano di Luke, stringerla forte, dirgli chegli voleva bene. Invece, ricordando le

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mani di Jace sulle proprie in camera daletto, non lo fece. Era colpa sua. Nonmeritava di consolare Luke: meritavasolo dolore e senso di colpa.

Stridore di passi sul portico.Mormorio sommesso di voci. Jocelynalzò subito la testa: era il branco.

— Clary, vai a prendere le tue cose— le ordinò. — Prendi quello che pensiti servirà ma niente più di quello cheriesci a portare. Non torneremo inquesta casa.

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capitolo 6

NESSUNA ARMA IN QUESTOMONDO

La prima neve aveva iniziato ascendere a fiocchi leggeri, simili apiume, da un cielo grigio acciaio. Clarye sua madre camminavano veloci lungoGreenpoint Avenue, con la testa piegatacontro il gelido vento che salivadall’East River.

Jocelyn non aveva detto una parola

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da quando avevano lasciato Luke nellastazione di polizia abbandonata chefungeva da quartier generale del branco.Era stato tutto molto caotico: i lupimannari che trasportavano il lorocapobranco all’interno, gli strumenti percurarlo, Clary e la madre che tentavanodi guardarlo mentre gli altri serravano iranghi intorno a lui quasi volesseroproteggerlo dalla vista altrui. Sapevaperché non potevano portarlo in unnormale ospedale, ma era stata dura,durissima, lasciarlo lì, in quella stanzabianca che veniva utilizzata comeinfermeria.

Il fatto non era tanto che Jocelyn eClary non piacessero agli altri lupi, mache loro due non appartenevano al

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branco, e mai lo avrebbero fatto. Clarysi era guardata attorno in cerca di Maia,un’alleata, ma non l’aveva trovata. Allafine Jocelyn l’aveva mandata fuori incorridoio, perché la stanza era troppoaffollata, e lei si era lasciata cadere sulpavimento, abbracciando lo zaino cheteneva sulle ginocchia. Erano le due dinotte e non si era mai sentita così sola.Se Luke fosse morto…

Quasi non ricordava di aver maivissuto senza la sua presenza. Era graziea lui e a sua madre se sapeva cosavoleva dire essere amati in modoincondizionato. Uno dei suoi primiricordi era Luke che la prendeva inbraccio per posarla tra i rami di unalbero di mele, nella sua fattoria a nord

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di New York. Prima, in infermeria, loaveva sentito rantolare mentre Bat, ilsuo comandante in terza, apriva il kit disoccorso. In teoria, ricordava Clary, lepersone rantolavano quando stavano permorire. Non riusciva a ricordarel’ultima cosa che aveva detto a Luke.Ma quando qualcuno muore, bisognaricordarselo, no?

Quando Jocelyn era finalmenteuscita dall’infermeria, con l’ariaesausta, aveva offerto una mano a Clarye l’aveva aiutata a rialzarsi dalpavimento.

— Mamma, Luke è…— Stabile — aveva risposto

Jocelyn. Poi aveva guardato su e giù peril corridoio e le aveva detto che

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dovevano andare.— Andare dove? — Clary era

sconcertata. — Pensavo saremmorimaste qui, con Luke. Non vogliolasciarlo.

— Nemmeno io. — Jocelyn era statairremovibile e Clary aveva ripensatoalla donna che aveva voltato le spalle aIdris, a tutto ciò che aveva conosciuto,andandosene per iniziare una nuova vitada sola. — Ma non possiamo neanchelasciare che Jace e Jonathan ciraggiungano qui. Metteremmo inpericolo il branco, oppure Luke. E ilprimo posto dove Jace verrebbe acercarti è proprio qui.

— E allora, dove… — aveva tentatodi dire Clary, ma si era accorta, ancora

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prima di completare la frase, che stavaper fare una domanda inutile. Doveandavano, in quel periodo, ogni voltache avevano bisogno d’aiuto?

La pavimentazione sconnessa dellastrada era coperta da un leggero strato dibianco, simile a zucchero a velo. Primadi uscire di casa, Jocelyn si era messaun cappotto lungo, ma sotto avevaancora i vestiti macchiati del sangue diLuke. A labbra strette, fissava la stradadavanti a sé con sguardo imperturbabile.Clary si chiese se fosse quello l’aspettoche aveva quando era stato il momentodi lasciare Idris, con gli stivali copertidi cenere e la Coppa Mortale nascostasotto la giacca.

Scosse la testa per cancellare quella

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scena. Si stava lasciando trasportaredalla fantasia, pensando a scenari a cuinon aveva assistito, mentre la mentecercava di scappare dall’orrore di cuiera stata testimone diretta.

L’immagine non richiesta diSebastian che infilzava il coltello nellacarne di Luke le balzò alla mente, cosìcome il suono della voce amata efamiliare di Jace mentre pronunciava leparole “danni collaterali”.

Perché accade sovente, con ciò cheviene perso e ritrovato, che lo si scopradiverso da come lo si era lasciato…

Jocelyn rabbrividì e alzò ilcappuccio per proteggersi i capelli.Bianchi fiocchi di neve avevano iniziatoa mischiarsi alle ciocche color rosso

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intenso. Lei continuava a tacere, e lastrada, fiancheggiata da ristorantipolacchi e russi intervallati daparrucchieri e centri estetici, eradeserta, in quella notte bianca e gialla. Aun tratto, davanti alle palpebre chiuse diClary, si accese il flash di un ricordo:stavolta un ricordo vero, non uncapriccio della fantasia. Sua madre chela conduceva lungo una strada neracome la notte, fra cumuli di nevesporca. Un cielo minaccioso, grigio eplumbeo…

Aveva già visto quella scena, laprima volta che i Fratelli Silenti leavevano scavato nella mente. E oraaveva capito di cosa si trattava: suamadre che la portava da Magnus per

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alterarle i ricordi. Doveva essereaccaduto in pieno inverno, ma la stradaera Greenpoint Avenue.

L’edificio di mattoni rossi in cuiviveva Magnus si stagliò davanti ai loroocchi. Jocelyn aprì le porte a vetridell’ingresso e Clary cercò di respiraredalla bocca mentre la madre suonava ilcitofono dello stregone una, due, trevolte. Una seconda porta si aprì, emadre e figlia salirono le scale.

L’appartamento di Magnus eraaperto; lo stregone le stava aspettandoappoggiato allo stipite della porta.Indossava un pigiama giallo canarino eai piedi aveva delle pantofole verdi conle facce di due alieni, complete diantenne a molla; i capelli erano un

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ammasso caotico di ricci e di punte. Gliocchi da gatto rivolsero alle nuovearrivate uno sguardo stanco.

— Rifugio di San Magnus perShadowhunters perduti — annunciò convoce profonda. — Benvenute — disseaprendo un braccio. — Le camereancora libere sono da quella parte.Pulitevi gli stivali sullo zerbino.

Fece un passo indietro dentro casa ele lasciò passare prima di chiudere laporta. Quel giorno lo stiledell’arredamento era una sorta di fintovittoriano: divani a schienale alto egrandi specchi con cornice dorataovunque. Le colonne erano avvolte daluci a forma di fiori.

In fondo a un breve corridoio che

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partiva dal salotto, c’erano tre camerelibere. Clary scelse a caso quella sulladestra. Aveva le pareti arancione, comela sua vecchia stanza di Park Slope,ospitava un divano letto, e la piccolafinestra dava sulle vetrine buie di unatavola calda chiusa. Chairman Meowera acciambellato sul letto col musoinfilato sotto la coda. Clary gli si sedetteaccanto e gli accarezzò le orecchie,sentendolo vibrare in tutto il suo piccolocorpo peloso. Mentre lo coccolava, siaccorse di cosa c’era sulla manica dellasua felpa: macchie scure e grumi disangue. Il sangue di Luke.

Si alzò e se la strappò di dosso confoga. Prese dallo zaino un paio di jeanspuliti e una maglietta nera col collo a V

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e si rivestì. Si diede un’occhiata veloceal vetro della finestra, che le restituì ildebole riflesso di una ragazza coicapelli flosci, bagnati di neve, e lelentiggini evidenti come chiazze divernice. Non che le importasse del suoaspetto. Ripensò a Jace che la baciava(le sembravano passati giorni anzichéore) e lo stomaco le fece male come seavesse ingoiato una miriade di coltellini.

Si tenne al bordo del letto per unlungo istante, finché il dolore non fuscomparso. Poi fece un respiro profondoe tornò in salotto.

Sua madre era seduta su una dellesedie coi profili di legno dorato, e le suelunghe dita da artista avvolgevano unatazza di limonata calda. Magnus era

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pigramente seduto su un divano colorrosa acceso e aveva poggiato i piedinelle pantofole verdi sopra il tavolinoda caffè. — Il branco lo ha stabilizzato— stava dicendo Jocelyn con voceesausta. — Ma non sanno quantoresisterà. In un primo tempo pensavanoche sulla lama ci fosse polvered’argento, ma deve essere qualcos’altro.La punta del coltello… — Inquell’istante alzò lo sguardo, vide Clarye tacque.

— Non c’è problema, mamma. Sonogrande abbastanza da sentire cosa èsuccesso a Luke.

— È che non sanno bene di cosa sitratta — disse piano Jocelyn. — Lapunta della lama usata da Sebastian si è

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spezzata contro una delle costole,incastrandosi nell’osso. E ora nonriescono a estrarla. Perché… si muove.

— Si muove? — Magnus era stupito.— Quando hanno cercato di

rimuoverla, si è rintanata nell’osso e loha quasi spezzato — spiegò Jocelyn. —Luke è un lupo mannaro, guarisce infretta, ma quella cosa è dentro di lui, glisfregia gli organi interni e impediscealla ferita di rimarginarsi.

— Metallo demoniaco — dichiaròMagnus. — Non argento.

Jocelyn si sporse in avanti. — Credidi poterlo aiutare? Non importa quantocosterà, pagherò…

Magnus si alzò in piedi. Le suepantofole aliene e i capelli arruffati

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sembravano davvero poco consonirispetto alla gravità delle circostanze.— Non lo so.

— Ma hai guarito Alec —intervenne Clary — quando il DemoneSuperiore lo ha ferito…

Magnus cominciò a camminareavanti e indietro. — Con lui sapevo qualera il problema. Invece, in questo caso,non so di quale metallo demoniaco sitratta. Potrei fare degli esperimenti,tentare diversi incantesimi di guarigione,ma non sarebbe la soluzione più rapidaper curarlo...

— E quale sarebbe, allora? — vollesapere Jocelyn.

— Il Praetor — rispose Magnus. —I Lupi Guardiani. Conoscevo il loro

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fondatore, Woolsey Scott. In seguito adalcuni, diciamo, incidenti, ha sviluppatouna grande passione per il modo in cui imetalli e le droghe demoniache agisconosui licantropi, così come i FratelliSilenti prendono nota delle variesoluzioni per guarire i Nephilim. Nelcorso degli anni il Praetor è diventatomolto riservato ed esclusivo, purtroppo,ma un loro membro potrebbe avereaccesso alle informazioni che ciservono.

— Luke non ne fa parte — disseJocelyn. — E la lista dei membri èsegreta.

— Luke no, ma Jordan sì! —esclamò Clary. — Sta con loro,potrebbe scoprire qualcosa. Adesso lo

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chiamo…— Lo chiamo io — la fermò

Magnus. — Non posso entrare nelquartier generale del Praetor, ma possolasciare un messaggio che dovrebbeavere un certo peso. Torno subito. —Detto questo, trascinò le pantofole finoalla cucina, con le antenne cheondeggiavano mollemente come alghemosse dalla corrente.

Clary si girò verso sua madre, chenel frattempo stava fissando la sua tazzadi limonata calda. Era una delle suebevande preferite, quando avevabisogno di riprendersi, anche se inverità Clary proprio non capiva come sipotesse desiderare di bere dell’acquacalda inacidita. Notò che i capelli di sua

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madre, inzuppati di neve, si stavanoasciugando formando dei riccioli,proprio come i suoi quando c’eraumidità.

— Mamma — le disse, e Jocelynsollevò lo sguardo. — Quel coltello chehai lanciato… prima, a casa di Luke.Era per Jace?

— Era per Jonathan. — Non loavrebbe mai chiamato Sebastian, Clarylo sapeva.

— È esattamente… — Clary fece unrespiro profondo — … è quasi la stessacosa. Hai visto anche tu. Quando haipugnalato Sebastian, Jace ha iniziato asanguinare. È come se fossero speculari,in qualche modo. Ferisci Sebastian eJace sanguinerà. Uccidilo, e Jace

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morirà.— Clary — disse sua madre

sfregandosi gli occhi stanchi. —Possiamo non parlarne adesso?

— Ma tu hai detto che secondo tetornerà a cercarmi. Jace, intendo. Hobisogno di sapere che non gli farai delmale…

— Be’, non posso promettertelo,perché non posso saperlo, Clary. Nonposso. — Sua madre la guardava consguardo risoluto. — Vi ho visti uscire dacamera tua.

Clary arrossì. — Non voglio…— Cosa? Parlarne? Troppo tardi,

hai iniziato tu. Ti puoi ritenere fortunatache non sono più nel Conclave. Daquant’è che sapevi dov’era Jace?

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— Ma io non so dov’è! Stasera è laprima volta che gli parlo da quando èscomparso. Sì, l’ho visto all’Istituto conSeb… Jonathan, ieri. Ne ho parlato conAlec, Isabelle e Simon, ma non potevodirlo a nessun altro: se il Conclave loprendesse…

Jocelyn alzò i suoi occhi verdi. — Eperché no?

— Perché è Jace. E perché lo amo.— Quello non è Jace. Le cose stanno

così, Clary. Lui non è più quello che era.Non vedi che…

— Certo che lo vedo, non sonostupida. Ma ho fiducia. L’ho già vistoposseduto e l’ho visto anche tornare insé. Penso che il vero Jace sia ancora lìdentro, da qualche parte. So che ci deve

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essere un modo per salvarlo!— E se invece non ci fosse?— Dimostramelo.— Non puoi dimostrare qualcosa

che non c’è, Clarissa. Io capisco che loami, e lo hai sempre amato, troppo.Credi che io non amassi tuo padre?Credi che non gli abbia dato tutte lepossibilità? E guarda com’è finita.Jonathan: se non fossi rimasta con tuopadre, lui non esisterebbe nemmeno…

— E io neanche — ribatté Clary. —Nel caso te ne fossi dimenticata, io sonoarrivata dopo mio fratello, non prima.— Fissò la madre con sguardo severo.— Stai dicendo che sarebbe statomeglio non avermi, pur di liberarti diJonathan?

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— No, io…Si sentì il suono gracchiante delle

chiavi nella serratura, e la portadell’appartamento si aprì. Era Alec.Indossava un lungo cappotto nero dipelle aperto su un maglione azzurro,aveva i capelli neri punteggiati di neve.Le guance erano rosse come mele, maper il resto il viso era pallido.

— Dov’è Magnus? — chiese.Mentre guardava verso la cucina, Clarynotò che aveva un livido sulla mascella,sotto l’orecchio, grande come l’improntadi un pollice.

— Alec! — Magnus arrivò in salottoslittando sul pavimento e con la manolanciò un bacio al fidanzato. Si era toltole pantofole e ora era a piedi nudi.

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Quando vide Alec, i suoi occhi da gattosi illuminarono.

Clary conosceva quell’espressione.Era la stessa di quando lei guardavaJace. Alec, però, non contraccambiò losguardo: si stava togliendo il cappottoper appenderlo all’attaccapanni damuro, con fare visibilmente turbato. Lemani gli tremavano, le ampie spalleerano rigide.

— Hai ricevuto il mio messaggio?— gli chiese Magnus.

— Sì. Comunque ero a pochi isolatida qui. — Alec guardò Clary, poi suamadre, e sul viso gli comparvero ansia eincertezza. Anche se era stato alricevimento di Jocelyn e l’aveva giàincontrata diverse volte, non si poteva

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certo dire che si conoscessero bene. —È vero quello che ha detto Magnus? Hairivisto Jace?

— E Sebastian — aggiunse Clary.— Ma Jace… — fece per dire Alec.

— Com’era? Voglio dire, come ti èsembrato?

Clary sapeva esattamente cosavoleva sapere: per una volta lei e Alecsi erano capiti meglio di chiunque altroin quella stanza.

— Non si sta prendendo gioco diSebastian — rispose con un filo di voce.— È davvero cambiato. Non è più lui,per niente.

— In che senso? — la incalzò Aleccon uno strano misto di rabbia evulnerabilità. — In che senso è

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cambiato?Clary aveva un buco nei jeans,

all’altezza del ginocchio. Ci infilòdentro il dito e iniziò a grattare. — Ilmodo in cui parla… Si fida diSebastian, crede in quello che lui stafacendo, qualunque cosa sia. Gli horicordato che lui è l’assassino di Max,ma sembrava non importargli… — Aquel punto la sua voce si incrinò. — Hadetto che Sebastian è suo fratello tantoquanto Max.

Alec sbiancò, e i pomelli rossi delleguance risaltarono come chiazze disangue. — Non ha detto niente di me? DiIzzy? Non ha chiesto di noi?

Clary fece di no con la testa, amalapena in grado di sopportare

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l’espressione sul viso di Alec. Con lacoda dell’occhio vide che anche Magnuslo stava guardando e che aveva il visoparalizzato dalla tristezza. Si chiese sefosse ancora geloso di Jace oppuredispiaciuto per Alec.

— Perché è venuto a casa tua? —domandò Alec scuotendo il capo. —Non capisco.

— Voleva che lo seguissi, cheandassi con lui e Sebastian. Penso chevoglia trasformare il loro duo di cattiviin un trio. — Scrollò le spalle. —Magari si sente solo. Sebastian non deveessere il massimo della compagnia.

— Non lo sappiamo. Magari è unfenomeno a Scarabeo — fece Magnus.

— È un assassino psicopatico —

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replicò Alec con voce atona. — E Jacelo sa.

— Ma ora Jace non è più Jace… —esordì Magnus, ma si interruppe alsuono del telefono. — Rispondo io.Come si fa a sapere chi altro stascappando dal Conclave e ha bisogno diun posto dove stare? D’altronde, non èche in questa città non esistanoalberghi… — E con ciò si avviò incucina.

Alec si buttò sul divano. — Stalavorando troppo — disse seguendo consguardo preoccupato il suo ragazzo. —È stato sveglio ogni notte, tutta la notte,per decifrare quelle rune.

— Lo fa per conto del Conclave? —si informò Jocelyn.

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— No — disse piano Alec. — Lo faper me. Per quello che Jace significa perme. — Sollevò la manica e mostrò aJocelyn la runa parabataisull’avambraccio interno.

— Tu sapevi che Jace non era morto— disse Clary iniziando a rimuginare.— Perché sei il suo parabatai, per viadel legame che vi unisce. In effetti avevisentito che qualcosa non andava.

— Difatti Jace è posseduto — disseJocelyn. — Non è più lo stesso.Valentine disse che, quando Lukedivenne un Nascosto, provò la stessacosa, una specie di senso diinadeguatezza.

Alec scosse la testa. — Ma quandoJace è stato posseduto da Lilith, io non

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l’ho sentito — spiegò. — Ora inveceavverto qualcosa di… sbagliato.Qualcosa di guasto. — Si guardò lescarpe. — Lo senti, quando il tuoparabatai muore, è come se si spezzasseuna corda a cui sei legato e tu cominci acadere nel vuoto. — Guardò Clary. —Successe una volta, a Idris, nel corso diuna battaglia. Ma durò solo un istante, equando tornai ad Alicante Jace era vivo,perciò mi convinsi di essermiimmaginato tutto.

Clary scosse la testa ripensando aJace e alla sabbia intrisa di sangue dellago Lyn. E invece no.

— Quello che provo ora è un’altracosa — proseguì Alec. — Sento che luiè assente dal mondo ma che non è morto.

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Nemmeno imprigionato…Semplicemente, non è qui.

— Esatto — fece Clary. — Tutte edue le volte che li ho visti, lui eSebastian sono svaniti nell’aria. Nessunportale: un attimo erano lì, quello doponon c’erano più.

— Quando parli di lì e di qui —disse Magnus mentre tornava in salottosbadigliando — e di questo e quelmondo, in realtà stai parlando didimensioni. Esistono soltanto pochistregoni in grado di utilizzare la magiadimensionale, come ad esempio il miovecchio amico Ragnor. Le dimensioninon giacciono l’una accanto all’altra,sono piegate insieme come fogli dicarta. Nei punti in cui si intersecano, è

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possibile creare delle taschedimensionali che impediscono allamagia di trovarti. Dopotutto non sei qui:sei lì.

— Forse è per questo che nonriusciamo a rintracciarlo? Il motivo percui Alec non riesce a sentirlo? —propose Clary.

— È una possibilità… — Magnussembrava quasi stupito. — Vorrebbedire che non c’è davvero modo ditrovarli, se loro non vogliono. E, sedovesse accadere di trovarli, non lo sipotrebbe comunicare fino a qui. Si trattadi magia complessa e costosa. Sebastiandeve avere delle conoscenze… —Suonò il citofono e tutti sussultarono.Magnus invece alzò gli occhi al cielo.

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— Calma, calma — disse prima disparire nell’ingresso.

Fece ritorno un istante dopo incompagnia di un uomo avvolto in unatunica color pergamena, con la parteposteriore e i bordi decorati da runecolor mogano scuro. Benché avesse ilcappuccio alzato che gli riparava ilviso, sembrava perfettamente asciutto,come se su di lui non si fosse posatoneanche un fiocco di neve. Quando loabbassò, Clary non fu sorpresa nelriconoscere il viso di Fratello Zaccaria.

Jocelyn appoggiò di colpo la tazzasul tavolino. Stava guardando il FratelloSilente. Ora che aveva il cappuccioall’indietro, la chioma scura eravisibile, ma la faccia restava in ombra,

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tanto che Clary non gli vedeva gli occhima soltanto gli zigomi con incise le rune.— Tu… — fece Jocelyn con la voce chele si smorzava. — Eppure Magnus miaveva detto che tu non avresti mai…

Eventi inattesi richiedono misureinattese. Le parole di Fratello Zaccariaaleggiarono nell’aria andando a toccarela mente di Clary, e lei capì,dall’espressione degli altri, che ancheloro riuscivano a sentirle. Al Conclavenon dirò niente di ciò che emergeràquesta notte. Se avrò la possibilità disalvare l’ultimo discendente delladinastia Herondale, la considero dimaggiore importanza rispetto allafedeltà che devo al Conclave.

— Allora siamo d’accordo — disse

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Magnus. Formava una strana coppia, conil Fratello Silente accanto: uno dei duepallido e slavato nella sua tunica, l’altrocol pigiama giallo canarino. — Scopertoniente di nuovo sulle rune di Lilith?

Le ho studiate con attenzione e hoascoltato tutte le testimonianze depostein Consiglio, disse Fratello Zaccaria.Credo che il suo rituale sia statoduplice. Prima ha usato il morso delDiurno per risvegliare la coscienza diJonathan Morgenstern. Il suo corpoera ancora debole, ma mente e volontàerano vive. Penso che, quando JaceHerondale è stato lasciato solo con luisul tetto, Jonathan abbia attinto alpotere delle rune di Lilith costringendoJace a entrare nel cerchio magico che

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circondava lui. A quel punto la volontàdi Jace sarebbe stata subordinata allasua. Penso anche che abbia sfruttato ilsangue di Jace per ricavare la forzanecessaria per alzarsi e scappare daltetto, portando il ragazzo con sé.

— E in qualche modo questo hacreato fra loro una specie diconnessione? — chiese Clary. —Perché, quando mia madre ha pugnalatoSebastian, Jace ha iniziato a sanguinare.

Sì. Quello di Lilith è stato una sortadi rito di gemellaggio, non diversodalla nostra cerimonia parabatai, solomolto più potente e pericoloso. Queidue ora sono legati indissolubilmente.Se uno dovesse morire, morirebbeanche l’altro. Nessuna arma in questo

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mondo può ferire soltanto uno dei due.— Quando dici che sono legati

indissolubilmente — disse Alecchinandosi in avanti — significa che…Voglio dire, Jace odia Sebastian. Haucciso nostro fratello!

— E io non vedo come Sebastianpossa andare matto per Jace. È statogeloso di lui per tutta la vita. Pensavache fosse il preferito di Valentine… —aggiunse Clary.

— Per non parlare del fatto che Jacelo ha ucciso! — fece notare Magnus. —Quello darebbe fastidio a chiunque.

— È come se Jace non ricordassenessuna di queste cose — concluseClary, demoralizzata. — No, più che nonricordarle… non ci crede.

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Se le ricorda. Ma il potere del lorolegame è tale per cui i pensieri di Jacepassano sopra quei fatti, come l’acquapassa sopra alle rocce nel letto di unfiume. È come l’incantesimo cheMagnus ha fatto alla tua mente,Clarissa. Quando hai visto frammentidel Mondo Invisibile, la tua mentevoleva rifiutarli, respingerli. Non hasenso tentare di far ragionare Jace suJonathan. La verità non può rompere illoro legame.

Clary ripensò a quello che erasuccesso quando aveva ricordato a Jaceche Sebastian aveva ucciso Max, a comeil suo viso si era temporaneamentecorrugato in un’espressionemeditabonda per poi rilassarsi di nuovo,

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segno che si era dimenticato di quelleparole tanto in fretta quanto lei le avevapronunciate.

Consolatevi, per quanto possibile,pensando che Jonathan Morgenstern èvincolato quanto il vostro Jace. Nonpuò ferirlo o fargli del male, enemmeno è nelle sue intenzioni,aggiunse Zaccaria.

Alec alzò le braccia al cielo. —Quindi ora si adorano? Sono miglioriamici? — Il dolore e la gelosia eranoevidenti nella sua voce.

No. Ora l’uno è l’altro. Vedonocome vede l’altro e sanno che per lorol’altro è indispensabile. Sebastian è ilcapo, la figura dominante fra i due.Quello che lui crede, lo crede anche

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Jace. Quello che lui vuole, Jace lo farà.— Dunque è posseduto — commentò

Alec in tono freddo.Quando una persona è posseduta,

spesso mantiene intatta una parte dellapropria coscienza originaria. Chi lo haprovato dice che è come vedercompiere le proprie azioni dall’esterno,gridando senza però essere sentiti.Jace invece è padrone del propriocorpo e della propria mente. Lui siritiene sano. E crede che questo sia ciòche vuole.

— E allora che cosa voleva da me?— chiese Clary con la voce che letremava. — Perché stanotte è venuto incamera mia? — Sperò di non starearrossendo. Cercò di rimuovere il

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ricordo di quel bacio, la pressione delcorpo di lui contro il suo, sul letto.

Lui ti ama ancora, disse FratelloZaccaria in tono sorprendentementegentile. Sei il perno attorno a cui ruotatutto il resto. Questo non è cambiato.

— Ed è proprio per questo motivoche siamo dovute scappare — disseJocelyn, tesa. — Tornerà a cercarla.Non potevamo rimanere alla stazione dipolizia. E non so dove potremmo essereal sicuro…

— Qui — le disse Magnus. — Possocreare delle difese che terranno Jace eSebastian alla larga.

Clary vide il sollievo negli occhi disua madre. — Ti ringrazio — disse.

Magnus minimizzò. — Per me è un

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privilegio. Mi piace tenere a bada gliShadowhunters arrabbiati, soprattuttoquelli posseduti.

Lui non è posseduto, ricordòFratello Zaccaria.

— Pura semantica — fece Magnus.— La domanda è: che cosa hanno inmente quei due? Qual è il loro piano?

— Clary ha spiegato che quando liha visti in libreria, Sebastian diceva chepresto sarebbe stato lui a capodell’Istituto — rispose Alec. — Quindiqualcosa l’hanno in mente di sicuro.

— Proseguire l’opera di Valentine,probabilmente — propose Magnus. —Abbasso i Nascosti, a morte tutti gliShadowhunters recalcitranti e tutto ilresto.

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— Forse — Clary non ne era certa.— Jace ha detto qualcosa sul fatto cheSebastian stava servendo una causasuperiore.

— Solo l’Angelo sa cosa intendono— intervenne Jocelyn. — Sono statasposata con un fanatico per anni e socosa vuol dire “causa superiore”:torturare gli innocenti, commetterebrutali assassini, voltare le spalle ai tuoivecchi amici, tutto in nome di qualcosache credi più grande di te ma che non èaltro che avidità e immaturitàribattezzate in modo altisonante.

— Mamma — protestò Clary,preoccupata di sentire Jocelyn parlare intono così amareggiato.

Ma lei stava guardando Fratello

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Zaccaria. — Hai detto che non c’è armaal mondo che possa ferire soltanto unodei due — ripeté. — Nessuna di cui tusia a conoscenza…

Lo sguardo di Magnus si accese dicolpo, come quello di un gattoabbagliato dalla luce. — Credi che…

— Le Sorelle di Ferro — disseJocelyn. — Sono loro le esperte di armie armamenti. Magari hanno la rispostagiusta.

Clary sapeva che le Sorelle di Ferroerano il corrispettivo femminile deiFratelli Silenti. Loro però non avevanoocchi e bocca cuciti, e vivevano insolitudine pressoché totale dentro unafortezza in una località sconosciuta. Nonerano guerriere, bensì artigiane: le loro

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mani forgiavano armi, stilo e spadeangeliche capaci di difendere la vitadegli Shadowhunters. C’erano rune chesolo loro sapevano incidere, così comeerano loro le uniche depositarie deisegreti su come trasformare la sostanzacolor bianco argento chiamata adamasin torri demoniache, stilo e pietreruniche di stregaluce. Difficili daincontrare, non partecipavano alleriunioni del Consiglio, né siavventuravano ad Alicante.

È possibile, disse Fratello Zaccariadopo una lunga pausa.

— Se si potesse uccidere Sebastianmantenendo in vita Jace, lo silibererebbe anche dalla sua influenza?— chiese Clary.

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Seguì una pausa ancora più lunga. Epoi: Sì, rispose Fratello Zaccaria.Sarebbe il risultato più probabile.

— Allora dovremmo andare dalleSorelle. — La stanchezza incombeva suClary come un manto, rendendolepesanti le palpebre e acido il sapore inbocca. Si sfregò gli occhi, cercando diallontanarla. — Adesso.

— Non posso venire — disseMagnus. — Solo gli Shadowhuntersdonna possono entrare nella Città diDiamante.

— E neanche tu ci andrai — ordinòJocelyn a Clary con il più serio dei suoitoni alla “No, tu in discoteca con Simondopo mezzanotte non ci vai”. — Qui seipiù al sicuro, ci sono le protezioni.

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— Isabelle! — esclamò Alec. — Cipuò andare lei.

— Avete idea di dove sia? — chieseClary.

— A casa, suppongo — risposeAlec alzando una spalla. — Possochiamarla e…

— Ci penso io — decise Magnussfilandosi il cellulare dalla tasca edigitando un messaggio con fare dagrande esperto. — È tardi, non è il casodi svegliarla. Tutti abbiamo bisogno diriposare. Se devo mandare qualcuno divoi dalle Sorelle di Ferro, lo faròdomani.

— Io andrò con lei — annunciòJocelyn. — Nessuno cerca me inparticolare ed è meglio che Isabelle non

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vada da sola. Anche se ora,tecnicamente, non sono più unaShadowhunter, comunque lo sono stata.L’importante è che sia in regola almenouna delle due.

— Non è giusto — si lamentò Clary.Sua madre non la guardò nemmeno.

— Clary…Lei si alzò in piedi. — Nelle ultime

due settimane sono stata praticamente inprigione — disse con voce tremante. —Il Conclave non voleva che cercassiJace. E ora che tocca a me, ripeto a me,non mi lasciate nemmeno venire con voidalle Sorelle di Ferro!

— Non sarebbe sicuro.Probabilmente Jace è già sulle tuetracce…

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A quel punto Clary perse ilcontrollo. — Ogni volta che cerchi ditenermi al sicuro, tu mi rovini la vita!

— No, è che più ti fai coinvolgereda Jace, più sei tu stessa a rovinartela!— ribatté sua madre. — Tutti i rischiche hai corso, tutti i pericoli che haiaffrontato, sono stati per colpa sua! Ti hapuntato un coltello alla gola, Clarissa.

— Quello non era lui — disse Clarycol tono di voce più debole e affrantoche potesse immaginare. — Pensi cherimarrei un solo secondo con un ragazzoche mi ha minacciata con un coltello,anche se lo amassi? Forse hai vissutotroppo a lungo nel mondo degli umani,mamma, ma la magia esiste. E lapersona che stiamo cercando non è Jace.

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Se però muore…— Non ci sono speranze di riaverlo

— decretò Alec.— Potrebbe essere già troppo tardi

— gli fece eco Jocelyn. — Dio, Clary,guarda i fatti. Pensavi che voi due fostefratello e sorella! Hai sacrificato tuttoper salvargli la vita e un DemoneSuperiore lo ha usato per arrivare a te!Quando affronterai il fatto che voi duenon siete fatti per stare insieme?

Clary barcollò all’indietro come sesua madre le avesse dato uno schiaffo.

Fratello Zaccaria se ne stava fermoin piedi come una statua, come senessuno stesse gridando. Magnus e Alecosservavano la scena: Jocelyn aveva leguance accaldate e gli occhi luccicanti

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di rabbia. Senza osare parlare, Clarygirò sui tacchi e attraversò a grandipassi il corridoio per raggiungere lastanza libera di Magnus, sbattendo laporta dietro di sé.

— Bene, sono qui — annunciòSimon. La superficie pianeggiante delgiardino sul tetto era sferzata da unvento gelido che lo indusse a infilare lemani nelle tasche dei jeans. A dire ilvero non sentiva freddo, ma glisembrava la cosa giusta da fare. Alzò iltono di voce. — Io mi sono presentato.E tu dove sei?

Il giardino sul tetto del GreenwichHotel, ora chiuso e quindi deserto, erastato progettato in stile inglese: cespuglipotati meticolosamente, mobili in vetro

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e vimini disposti con eleganza,ombrelloni con il logo dell’aperitivofrancese Lillet che erano battuti dallefolate di un vento energico. I graticcidelle rose rampicanti, ora spogli per ilfreddo, coprivano come ragnatele lepareti di pietra che circondavano ilgiardino, oltre le quali Simon riusciva ascorgere il paesaggio scintillante delLower Manhattan. — Ci sono — disseuna voce mentre un’ombra leggera sistaccava da una poltrona di vimini e sialzava. — Iniziavo a dubitare del tuoarrivo, Diurno.

— Raphael — disse Simon in tonorassegnato. Avanzò attraverso lepanchine di legno che si insinuavano frale bordure fiorite e i laghetti incorniciati

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di quarzo lucente. — Io anche.Quando si avvicinò, Simon lo

riconobbe chiaramente. Era dotato diun’eccellente visione notturna e, se nonl’aveva individuato prima, era solo perla capacità di Raphael di fondersi con leombre. L’altro vampiro indossava unabito nero con le maniche della giaccarisvoltate, a sfoggiare il bagliore deigemelli a forma di catena. Aveva ancorail viso di un cherubino, sebbene losguardo puntato su Simon fosse freddo.— Quando il capoclan dei vampiri diManhattan ti chiama, Lewis, tu rispondi.

— E se invece non lo facessi? Mipugnaleresti? — rispose Simonallargando le braccia. — Prova. Fammiquello che ti pare. Divertiti!

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— Dios, quanto sei noioso —rispose Raphael. Dietro di lui, accantoalla parete, Simon intravedeva le lucenticromature della moto volante che l’altroaveva usato per arrivare fin lì.

Simon riabbassò le braccia. — Seitu che mi hai chiesto un incontro.

— Ho un’offerta di lavoro per te —disse Raphael.

— Sul serio? Siete a corto dipersonale, all’hotel?

— Mi serve una guardia del corpo.Simon lo scrutò perplesso. — Cos’è,

di recente hai visto Kevin Costner inBodyguard? Be’, sappi che non hointenzione di innamorarmi di te e diportarti in giro fra le mie possentibraccia.

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Raphael gli lanciò un’occhiata digelo. — Ti pagherei di più solo peresser sicuro di vederti lavorare insilenzio.

Simon lo fissò. — Stai dicendo sulserio, vero?

— Non mi prenderei la briga divenirti a cercare se non fosse così. E seavessi voglia di scherzare, passerei iltempo con qualcuno che mi stasimpatico. — Raphael tornò a sedersisulla poltrona. — Camille Belcourt giraa piede libero per New York. GliShadowhunters sono completamenteassorbiti da questa stupida storia delfiglio di Valentine e non si disturberannoa cercarla. Lei per me rappresenta unpericolo immediato, perché vuole

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ristabilire il controllo sul clan diManhattan. La maggior parte dei membrimi è fedele. Uccidermi sarebbe il modopiù rapido per tornare in cima allagerarchia.

— Okay — disse piano Simon. —Ma perché io?

— Sei un Diurno. Altri possonoproteggermi di notte, ma tu puoi farlo digiorno, quando la gran parte di noi èimpotente. E poi hai il Marchio diCaino. Con te di mezzo, Camille nonoserebbe mai colpirmi.

— Hai ragione su tutto, ma non lofarò.

Sul viso di Raphael comparveun’espressione incredula. — E perchéno?

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Le parole esplosero dalla bocca diSimon. — Ma stai scherzando? Perchétu per me non hai mai fatto niente, daquando sono diventato un vampiro. Anzi,hai fatto del tuo meglio per rendere lamia vita uno schifo e per metterle fine.Perciò, se vuoi sentirtelo dire nellinguaggio da vampiri: è con immensodiletto, mio signore, che ora le dico…scordatelo.

— Non è saggio rendermi tuonemico, Diurno. Come amici…

Simon rise, incredulo. — Aspetta unsecondo. Eravamo amici? Ah, per tequello era essere amici?

I canini di Raphael uscirono alloscoperto. Simon si rese conto che eraveramente arrabbiato. — So perché mi

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respingi, Diurno. Non lo fai perorgoglio. Tu sei talmente coinvolto dagliShadowhunters da pensare di essere unodi loro. Ti abbiamo visto. Anzichépassare le notti da noi, come dovresti, tene stai in compagnia della figlia diValentine. E vivi con un lupo mannaro.Sei una vergogna!

— Ti comporti così a ogni colloquiodi lavoro?

Raphael digrignò i denti. — Devidecidere se essere un vampiro o unoShadowhunter, Diurno.

— Allora preferisco Shadowhunter,perché finora la mia esperienza divampiri non è stata un granché. E poi,scusa il gioco di parole, ma proprio nonsono in vena di starti a sentire.

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Raphael si alzò in piedi. — Staicommettendo un grave errore.

— Ti ho già detto che…L’altro vampiro lo liquidò con un

gesto della mano. — Sta per arrivareuna grande oscurità. Colpirà la Terracon tenebre e fiamme. Quando saràterminata, i tuoi preziosi Shadowhuntersnon ci saranno più. Noi, i Figli dellaNotte, sopravviveremo, perché viviamoal buio. Ma se tu continui a rinnegare ciòche realmente sei, anche tu verraidistrutto, e nessuno alzerà un dito peraiutarti.

Senza pensarci, Simon alzò unamano per toccarsi il Marchio sullafronte.

Raphael rise sommessamente. —

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Ah, sì! Il marchio dell’Angelo su di te.Ma quando regneranno le tenebre, anchegli angeli periranno. La loro forza non tiaiuterà. E farai meglio a pregare di nonperdere mai quel segno prima che arrivila guerra, perché, se dovesse capitare, cisarà una fila di nemici ad aspettare illoro turno per ucciderti. E io sarò ilprimo.

Clary era rimasta a lungo distesapancia all’aria sul divano di Magnus.Aveva sentito sua madre cheattraversava il corridoio ed entrava inun’altra delle stanze libere, chiudendosila porta alle spalle. Attraverso le paretidella sua camera, riusciva a sentireMagnus e Alec che, in salotto, parlavanoa bassa voce. Pensò che avrebbe potuto

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aspettare di sentirli andare a letto, maAlec aveva detto che nell’ultimoperiodo Magnus stava sveglio a lungoper studiare le rune; anche seapparentemente Fratello Zaccaria erariuscito a interpretarle, Clary non potevacontare sul fatto che quei due sisarebbero coricati di lì a poco.

Si mise seduta sul letto accanto aChairman Meow, che emise un rumoreindistinto di protesta, e cominciò afrugare nello zaino. Ne estrasse unascatola di plastica trasparente e la aprì.C’erano le sue matite colorate, qualchegessetto… e il suo stilo.

Si alzò infilandosi la scatola nellatasca della giacca. Poi prese il cellularedalla scrivania e scrisse un messaggio:

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VEDIAMOCI DA TAKI. Rimase adaspettare l’avvenuto invio e poi infilòl’apparecchio nei jeans, inspirandoprofondamente.

Non era giusto nei confronti diMagnus, lo sapeva, il quale avevapromesso a sua madre che si sarebbepreso cura di lei, e di certo non eraprevista una fuga di nascosto. Ma lei,Clary, aveva tenuto la bocca chiusa,senza promettere niente. E poi… poi sitrattava di Jace.

Faresti qualsiasi cosa per salvarlo.A ogni costo, non importa quantodovresti pagare all’inferno o alparadiso. Dico bene?

Estrasse lo stilo, appoggiò la puntasulla vernice arancione della parete e

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iniziò a disegnare un portale.Un martellare insistente scosse

Jordan da un sonno profondo. Scattòall’istante e rotolò giù dal letto permettersi accovacciato sul pavimento.Anni di preparazione con il Praetor gliavevano lasciato in eredità riflessiveloci e una perenne tendenza al sonnoleggero. Un rapido controllo visivo eolfattivo della stanza gli disse che eravuota: solo lui e il chiarore della lunache si riversava sul pavimento.

Il rumore riprese e questa voltaJordan lo riconobbe. Era di qualcunoche stava bussando vigorosamente allaporta. Di solito dormiva con addossosoltanto i boxer, così si infilò di corsaun paio di jeans e una maglietta, aprì la

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porta della camera con un calcio e uscìnell’atrio. Se era un gruppo di studentidel college che si divertivano a bussarea tutte le porte dell’edificio, prestoavrebbero imparato che cosa volevadire trovarsi di fronte a un lupo mannaroincavolato.

Raggiunta la porta, si bloccò.Un’immagine gli tornò davanti agliocchi, la stessa che aveva avuto durantele ore che gli ci erano volute peraddormentarsi: Maia al Navy Yard checorreva via da lui, lo sguardo che avevaquando si era allontanata. L’avevaforzata a spingersi troppo in là, se nerendeva conto, le aveva chiesto troppo etroppo in fretta. Probabilmenterovinando tutto. A meno che… Magari

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lei ci aveva ripensato. In fondo c’erastato un periodo in cui la loro relazioneera stata una serie continua di litifuribonde e rappacificazioni altrettantopassionali.

Con il cuore che gli pulsava forte,spalancò la porta. E poi spalancò gliocchi. Sulla soglia c’era IsabelleLightwood, coi suoi lunghi capellicorvini e lucenti che le arrivavano quasialla vita. Indossava stivali scamosciatineri, alti fino alle ginocchia, dei jeansaderenti e una maglietta di seta rossacon il solito ciondolo al collo chebrillava di una luce cupa.

— Isabelle? — Jordan non riuscì anascondere la sorpresa nella voce,oppure, come sospettò Isabelle, la

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delusione.— Be’, sì, nemmeno io cercavo te

— gli disse subito Izzy passandogliaccanto ed entrando nell’appartamento.Portava con sé l’odore tipico degliShadowhunters, simile a quello delvetro riscaldato al sole; sotto, unprofumo alla rosa. — Stavo cercandoSimon.

Jordan la guardò di traverso. —Sono le due di notte.

Lei fece spallucce. — È un vampiro.— Ma io no.— Aaaah? — Le rosse labbra di

Isabelle si arricciarono agli angoli. —Ti ho forse svegliato? — Allungò unamano verso il basso e gli diede uncolpetto al primo bottone dei jeans,

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toccandogli la pancia piatta con la puntadell’unghia. Jordan si sentì contrarre imuscoli. Izzy era stupenda, non c’era dadiscutere. E faceva anche un po’ paura.Si chiese come facesse il mite Simon agestirla. — Forse è meglio se te liabbottoni tutti. Carini quei boxer,comunque — gli disse. Se lo lasciò allespalle e andò verso la camera di Simon.Jordan la seguì, abbottonandosi per benei jeans e borbottando che non c’eraniente di strano ad avere dei pinguinidanzanti stampati sulla biancheriaintima.

Isabelle infilò la testa in camera diSimon. — Non è qui. — Si chiuse laporta dietro le spalle e appoggiò laschiena al muro, guardando Jordan. —

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Dunque, hai detto che sono le due dinotte?

— Già. Sarà da Clary, ultimamenteha dormito spesso da lei.

Isabelle si morse un labbro. —Giusto. Certo.

Jordan stava di nuovo avendo quellasensazione, che ogni tanto gli capitava,di aver detto qualcosa di sbagliato senzasapere esattamente cosa. — C’è unmotivo per cui sei venuta qui? Cioè, èsuccesso qualcosa? C’è qualcheproblema?

— Problema? — Isabelle slanciò lebraccia al cielo. — Intendi dire oltre alfatto che mio fratello è scomparso e cheprobabilmente gli è stato fatto illavaggio del cervello? Che i miei

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genitori stanno divorziando? E cheSimon è da Clary?

Si interruppe bruscamente e glipassò accanto per andare in salotto. Luile corse dietro. Quando la raggiunse, leiera già in cucina a rovistare fra gliscaffali della dispensa. — Non aveteniente da bere? Un bel Barolo? UnSagrantino?

Jordan la prese per le spalle e lacondusse con gentilezza via dalladispensa. — Siediti — le disse. — Tiverso un po’ di tequila.

— Tequila?— Quello che abbiamo. Tequila o

sciroppo per la tosse.Sedendosi su uno degli sgabelli

allineati lungo il bancone della cucina,

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Isabelle sventolò la mano in segno didelusione. Jordan si sarebbe aspettato divedere unghie lunghe laccate di rosso odi rosa, curate alla perfezione, che siabbinavano al resto del look, invece no.Lei era una Shadowhunter: aveva lemani coperte di graffi, le unghie corte esquadrate. La runa della comprensionele splendeva, nera, sulla mano destra. —D’accordo.

Jordan prese la bottiglia di JoseCuervo, la aprì e ne versò unbicchierino, allungandolo a Isabelle sulbancone. Lei lo trangugiò in un secondo,dopodiché fece una smorfia e batté ilbicchiere contro il legno.

— Non è abbastanza — dissesporgendosi sul bancone per strappare

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la bottiglia di mano a Jordan. Buttò latesta all’indietro e bevve uno, due, tresorsi. Quando la rimise giù, aveva leguance in fiamme.

— Dove hai imparato a bere così?— le chiese lui non sapendo se dovevaesserne colpito o spaventato.

— A Idris si può consumare alcoldai quindici anni. Non che la gente cifaccia molto caso. Io per esempio bevoacqua e vino con i miei genitori daquando sono bambina — spiegò Isabellecon un’alzata di spalle, gesto a cuimancava un po’ della sua tipica fluiditàdi movimento.

— Okay. Vuoi lasciarmi unmessaggio per Simon, c’è altro cheposso dire o…

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— No. — Prese un’altra sorsata. —Mi sono ubriacata e sono venuta qui perparlargli, invece lui è da Clary.Figuriamoci.

— Pensavo che fossi tu a dirgli distarle vicino.

— Già — rispose lei giocherellandocon l’etichetta della tequila. — Propriocosì.

— Quindi — fece Jordan con quelloche riteneva un tono da personaragionevole — digli di smetterla.

— Non posso farlo — Isabellesembrava sfinita. — Sono in debito conlei.

Jordan appoggiò i gomiti sulbancone. Si sentiva un po’ come i baristidei film, quelli che ti davano sempre un

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consiglio saggio. — E cosa le devi?— Una vita — fu la risposta della

ragazza.Jordan rimase stupito. Quella notizia

andava un po’ oltre le sue capacità dibarman e di consulente. — Clary ti hasalvato la vita?

— Ha salvato la vita di Jace.Avrebbe potuto chiedere qualunque cosaall’Angelo Raziel, invece ha salvato miofratello. Ci sono davvero poche personedi cui mi fido nella mia vita. Di cui mifido davvero. E queste persone sono miamadre, Alec, Jace e Max. Una l’ho giàpersa. E Clary è l’unico motivo per cuinon ne ho persa anche un’altra.

— Pensi che sarai mai in grado difidarti di qualcuno che non sia tuo

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parente?— Non sono imparentata con Jace.

Non esattamente — disse Isabelleevitando lo sguardo di Jordan.

— Hai capito cosa intendo —sussurrò lui lanciando un eloquentesguardo verso la stanza di Simon.

Izzy aggrottò le sopracciglia. — GliShadowhunters vivono secondo uncodice d’onore, lupo mannaro — glidisse, e per un istante mostrò tuttal’arroganza dei Nephilim. Jordanricordò perché così tanti Nascosti non lisopportavano. — Clary ha salvato unLightwood. Io le devo la vita. Se nonposso dargliela, anche perché non vedocosa se ne farebbe, posso comunquedarle qualsiasi cosa la renda meno

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infelice.— Non puoi darle Simon. Simon è

una persona, Isabelle. Lui va dove glipare.

— Già — fece lei. — E a quantopare non gli dispiace andare dove c’èlei, vero?

Jordan esitò. C’era qualcosa, nelleparole di Isabelle, che non loconvinceva affatto, eppure non potevanemmeno dire che si sbagliassecompletamente. Simon, con Clary, sitrovava a proprio agio come con nessunaltro. In realtà, lui non si sentiva nellaposizione di elargire consiglisull’argomento, essendo statoinnamorato di una sola ragazza in tutta lasua vita. Però si ricordava di quando

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Simon gli aveva detto, in tonosarcastico, che quella di Clary era una“storia a prova di bomba atomica”.

Se in quel sarcasmo ci fosse dellagelosia, Jordan non poteva dirlo concertezza. E non sapeva nemmeno sefosse possibile dimenticare la primaragazza che avesse mai amato,soprattutto se l’avevi di fronte agli occhitutti i giorni.

Isabelle schioccò le dita. — Ehi,dico a te! Mi stai ascoltando? — Chinòla testa di lato liberandosi il viso danere ciocche di capelli e guardò Jordancon fermezza. — E comunque, cosa stasuccedendo fra te e Maia?

— Niente — disse lui in tonoeloquente. — Non sono sicuro che

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smetterà mai di odiarmi.— Probabilmente no — commentò

Isabelle. — E a buon diritto.— Grazie tante.— Non sono una che rassicura la

gente per niente — replicò Izzyallontanando la bottiglia di tequila. Isuoi occhi scuri, fissi su Jordan, eranopieni di vita. — Vieni qui, lupo.

Aveva abbassato il tono di voce. Oraera dolce, suadente. Jordan deglutì, lagola improvvisamente asciutta. Ricordòche quando aveva visto Isabelle conaddosso quel vestito rosso, fuori dagliIronworks, si era chiesto se fossedavvero lei quella con cui Simon stavafacendo il doppio gioco, coinvolgendoanche Maia. Nessuna delle due

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sembrava il genere di ragazza che potevitradire pensando di riuscire asopravvivere.

E nessuna delle due era il genere diragazza a cui dicevi di no. Aggiròlentamente il bancone avvicinandosi aIsabelle. Arrivato a pochi passi didistanza, lei slanciò le braccia e lo tiròverso di sé prendendolo per i polsi. Glifece scorrere le mani su per le braccia,sul rigonfiamento dei bicipiti, suimuscoli delle spalle. Jordan sentì ilbattito cardiaco che accelerava.Riusciva a percepire il calore cheemanava il corpo di lei, il suo profumo el’odore dolciastro della tequila. — Seistupendo — gli disse. Le mani diIsabelle gli scivolarono sul petto e lì si

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fermarono. — Lo sai, vero?Jordan si chiese se Isabelle riuscisse

a sentire il suo cuore pulsare sotto lamaglietta. Sapeva come lo guardavanole ragazze per strada, a volte anche iragazzi, e sapeva cosa vedeva ognigiorno allo specchio, ma non ci avevamai pensato troppo. Si era concentratosu Maia talmente a lungo da considerareimportante che fosse lei e soltanto lei atrovarlo attraente, se mai si fosserorivisti. Con lui ci avevano provato intante, ma non come Isabelle, mai inmaniera così esplicita. Si chiese sestesse per baciarlo. Da quando avevaquindici anni, non aveva mai baciatonessuna che non fosse Maia. E Isabelleaveva lo sguardo puntato su di lui,

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grandi occhi scuri e labbra dischiusecolor fragola. Si chiese se, baciandole,ne avrebbe sentito anche il sapore.

— Non me ne importa niente —disse a un tratto la ragazza.

— Isabelle, non credo che…Aspetta. Come, scusa?

— Dovrebbe importarmene —disse. — Voglio dire, c’è di mezzoMaia, perciò credo che non ti sareicomunque saltata addosso per strappartii vestiti, ma il fatto è che ora non voglio.In un altro momento magari sì.

— Ah — fece Jordan. Provòsollievo, ma anche una piccola punta didelusione. — Dunque… è un bene?

— Penso a lui costantemente —confessò Izzy. — È tremendo. Non mi

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era mai successa una cosa del genere.— Parli di Simon?— Il piccolo bastardo mondano tutto

pelle e ossa — disse togliendo le manidal petto di Jordan. — Solo che non loè. Pelle e ossa, intendo, non più. Eneppure mondano. E mi piace passare iltempo con lui. Mi fa ridere e mi piacecome sorride. Hai presente quando glisale prima un lato della bocca e poil’altro… Be’, vivi con lui, lo avrainotato per forza.

— A dire il vero no — ammiseJordan.

— Quando non c’è mi manca —confessò Isabelle. — Pensavo… non so,dopo quello che è successo quella nottecon Lilith, le cose tra di noi sono

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cambiate. Ma ora è sempre con Clary. Eio non potrò mai essere arrabbiata conlei.

— Hai perso tuo fratello.Isabelle lo guardò. — Cosa?— Insomma, lui si fa in quattro per

aiutare Clary a sentirsi meglio dopo cheha perso Jace — osservò Jordan. — MaJace è tuo fratello. Forse Simondovrebbe sforzarsi anche per far staremeglio te, no? Tu non ce l’hai con Clary,ma potresti benissimo avercela con lui.

Isabelle lo fissò per un lungo istante.— Ma noi due non siamo niente. Lui nonè il mio ragazzo. È solo che mi piace. —Fece una smorfia. — Merda. Non possocredere di averlo detto. Forse sono piùubriaca di quanto pensassi.

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— Più o meno lo avevo già capitoda quello che stavi dicendo prima —disse Jordan rivolgendole un sorriso.

Isabelle non ricambiò, ma abbassòle ciglia e lo guardò da sotto in su. —Non sei così male — gli disse. — Sevuoi posso dire a Maia qualcosa dicarino su di te.

— No, grazie — rispose lui, che nonsapeva bene cosa intendesse Isabelleper “carino” e forse temeva anche discoprirlo. — Sai, è normale, quando staipassando un periodo difficile, volerstare con la persona che… — Stava perdire “ami”, ma si rese conto che nonaveva mai usato quel termine, e perciòcambiò strada. — Che per te èimportante. Ma non penso che Simon

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sappia quello che provi per lui.Le ciglia di Isabelle si

risollevarono. — Non parla mai di me?— Pensa che tu sia davvero forte —

rispose Jordan. — E che non abbia perniente bisogno di lui. Penso che senta diessere… superfluo, nella tua vita. Dellaserie, cosa ti posso dare se sei giàperfetta? Perché dovresti volere unragazzo come lui? — Jordan esitò unistante. Dire tutte quelle cose non eranelle sue intenzioni, e non era nemmenosicuro di quanto potessero valere perSimon piuttosto che per se stesso eMaia.

— Quindi, secondo te, dovrei dirglicome mi sento? — chiese Isabelle conun filo di voce.

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— Sì, decisamente. Digli quello cheprovi.

— Okay… — Lei afferrò di nuovola bottiglia di tequila e bevve un sorso.— Vado subito a casa di Clary e glielodico.

Jordan sentì squillare dentro al pettoun piccolo campanello d’allarme. —Non puoi. Sono praticamente le tre dinotte e…

— Se aspetto, poi perdo il coraggio— ribatté lei con quel tono ragionevoleusato solo dai veri ubriachi. Altro sorsodi tequila. — Vado là, busso allafinestra e gli dico come mi sento.

— Ma almeno sai qual è la finestradi Clary?

Isabelle strabuzzò gli occhi. —

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Nooo.Nella testa di Jordan si materializzò

la terribile visione di un’Isabellesbronza che svegliava Jocelyn e Luke.— Isabelle, no. — Si allungò pertoglierle la bottiglia di mano, ma lei fupiù veloce.

— Mi sa che sto cambiandoopinione su di te — disse lei in un tonosemiminaccioso che avrebbe fatto piùpaura se solo fosse stata in grado dipuntare gli occhi dritti su di lui. —Credo che in fondo non mi piaci poi cosìtanto. — Si mise dritta, si guardò i piedicon un’espressione di stupore sul visoe… cadde all’indietro. Fu solo grazie aisuoi riflessi scattanti che Jordan riuscì aprenderla prima che finisse sul

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pavimento.

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capitolo 7

UNA TRASFORMAZIONE RADICALE

Clary era alla sua terza tazza di caffèda Taki quando Simon finalmente entrò.Indossava dei jeans, una felpa rossa conla zip (perché preoccuparsi di indossarecappotti di lana quando non sentivafreddo?) e stivali da motociclista. Lagente si voltò a guardarlo quandoserpeggiò tra i tavoli per raggiungereClary. Era migliorato molto da quando

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Isabelle aveva iniziato a occuparsi delsuo look, pensò la ragazza mentre lui leandava incontro. Qua e là, fra i capelliscuri, erano intrappolati dei fiocchi dineve, ma, mentre le guance di Alecerano diventate scarlatte per il freddo,quelle di Simon erano rimaste pallide eincolori. Si infilò nel séparé, di fronte aClary, e la guardò con occhi lucidi epensierosi.

— Chiamato? — domandò, con unavoce profonda ed echeggiante chevoleva imitare quella del conte Dracula.

— Tecnicamente ho mandato un sms.Gli passò il menu facendolo

scivolare sopra il tavolo e aprendolosulla pagina dedicata ai vampiri.L’aveva già letta altre volte, ma al solo

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pensare a pudding o frullati fatti colsangue le venivano i brividi. — Sperodi non averti svegliato.

— Oh, no — disse Simon. — Se tidico dov’ero non ci credi…

Il ragazzo smorzò la voce appenavide l’espressione che Clary aveva sulviso. — Ehi. — All’improvviso le suedita erano sotto il mento di lei,sollevandole la testa. Il buonumore sen’era andato dal suo sguardo,rimpiazzato dalla preoccupazione. —Che è successo? Altre notizie su Jace?

— Sapete già cosa volete? — EraKaelie, la fata cameriera dagli occhiazzurri che aveva consegnato a Clary ilcampanello della Regina. Ora la stavaguardando con un sorriso o, meglio, una

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smorfia di superiorità che spinse l’altraa digrignare i denti.

Clary ordinò una fetta di torta dimele, Simon un mix di cioccolata caldae sangue. Kaelie portò via i menu eSimon guardò Clary con ansia. Laragazza fece un respiro profondo e gliraccontò di quella notte fin nei minimidettagli: la comparsa di Jace, quello chele aveva detto, la colluttazione in salottoe infine le condizioni di Luke. Spiegòanche quello che Magnus aveva dettosulle tasche dimensionali e sugli altrimondi, aggiungendo che non c’era mododi mandare messaggi o individuare chivoleva rimanere nascosto. Più leiparlava, più lo sguardo di Simon siincupiva, finché, al termine del racconto,

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il ragazzo si prese la testa fra le mani.— Simon? — Nel frattempo Kaelie

era tornata al loro tavolo per poiandarsene di nuovo, vedendo che leordinazioni non erano state toccate.Clary gli toccò una spalla. — Cosa c’è?È per Luke e…

— È colpa mia. — Lo disseguardandola a occhi asciutti. I vampiriversavano lacrime miste a sangue, pensòClary. Lo aveva letto da qualche parte.— Se non avessi morso Sebastian…

— Lo hai fatto per me. Perpermettermi di continuare a vivere. —Parlava in tono gentile. — Tu mi haisalvato la vita.

— Tu hai salvato la mia almeno seio sette volte. Mi sembrava giusto. — La

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voce gli si incrinò. Clary ricordòquando aveva vomitato il sangue nero diSebastian, in ginocchio nel giardino sultetto.

— Attribuire le colpe non ci porteràda nessuna parte — disse Clary. — Eraccontarti tutto non è il motivo per cuiti ho fatto correre qui. Voglio dire, te loavrei detto comunque, ma avrei aspettatofino a domani, se non fosse stato così…

Lui la guardò con circospezione ebevve un sorso dalla sua tazza. — Cosìcome?

— Ho un piano.Simon sbuffò. — Era quello che

temevo.— Ma i miei piani non sono così

tremendi!

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— Quelli di Isabelle sono tremendi— le disse Simon puntandole un ditocontro. — I tuoi sono suicidi. Se vabene.

Clary appoggiò la schienaall’indietro, incrociando le bracciasopra il petto. — Lo vuoi sentire oppureno? Devi mantenere il segreto.

— Mi caverei gli occhi con unaforchetta piuttosto che svelare i tuoisegreti — disse Simon, poi la guardòpreoccupato. — Aspetta un secondo,pensi che sia necessario?

— Non lo so. — Clary si coprì ilviso con le mani.

— Dimmelo e basta — la esortò luiin tono rassegnato.

Sospirando, Clary si mise una mano

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in tasca e ne estrasse un sacchettino divelluto che aprì sul tavolo. Ne cadderofuori due anelli d’oro, che atterraronocon un debole tintinnio.

Simon li guardò, sbalordito. — Tivuoi sposare?

— Non essere idiota. — Si sporse inavanti, abbassando di colpo la voce. —Simon, questi sono gli anelli. Quelli chevoleva la Regina della Corte Seelie.

— Avevi detto che non eri riuscita aprenderli, mi pare… — Simon siinterruppe, sollevando gli occhi sul visodi lei.

— Ho mentito. Li ho presi. Ma dopoaver visto Jace in biblioteca, non hovoluto darli alla Regina. Ho avuto lasensazione che un giorno avrebbero

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potuto servirci. E mi sono resa conto chelei, in ogni caso, non ci avrebbe datonessun tipo di informazione utile. Glianelli mi sono sembrati più preziosi diun altro round con la Regina.

Simon li prese in mano,nascondendoli alla vista di Kaeliementre passava. — Clary, non puoiprendere cose che la Regina vorrebbe etenerle per te. È molto pericolosa, comenemico.

Clary lo guardò con aria supplicante.— Almeno possiamo vedere sefunzionano?

Simon fece un sospiro e le consegnòuno degli anelli; era leggero, ma lasensazione era quella di oro vero. Clarysi preoccupò per un istante che non fosse

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della misura giusta, ma appena se loinfilò all’indice destro fu come sel’anello si adattasse da solo al suo dito,fino a collocarsi alla perfezione nellospazio sotto la nocca. Vide Simon che sirimirava la mano destra e capì che anchea lui era successa la stessa cosa.

— E ora possiamo parlare, credo —disse. — Dimmi qualcosa. Sì, con lamente intendo.

Clary lo guardò, sentendosi stranacome qualcuno a cui fosse stato chiestodi recitare una parte mai studiata.Simon?

Lui batté le palpebre. — Credoche… potresti rifarlo?

Questa volta Clary si concentròdavvero, cercando di focalizzare

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l’attenzione su Simon: il suo essere sestesso, il modo in cui parlava, lasensazione di ascoltare la sua voce, lapercezione di averlo vicino. I suoisussurri, i suoi segreti, il modo in cui lafaceva ridere. Dunque, disse fra sé, orache sono dentro i tuoi pensieri, vorrestivedere qualche immagine mentale diJace nudo?

Simon sobbalzò. — L’ho sentito!E… no!

L’eccitazione cominciò a scorrerefra le vene di Clary. Stava funzionando!— Dai, ora rivolgi tu un pensiero a me.

Ci volle meno di un secondo. SentìSimon, nello stesso modo in cui sentivaFratello Zaccaria, una voce senza suonodentro la propria mente. Davvero lo hai

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visto nudo?Be’, non del tutto. Però…— Basta così — disse Simon ad alta

voce, e anche se il tono era fra ildivertito e l’agitato, aveva gli occhi chebrillavano.

— Funzionano. Cavolo, funzionanodavvero!

Lei si sporse in avanti. — Quindiposso dirti la mia idea?

Simon si toccò l’anello che aveva aldito, avvertendo, sotto la pelle, ladecorazione a intaglio e le venaturedelle foglie. Certo.

Clary iniziò a spiegare, ma lui lainterruppe prima di lasciarla arrivarealla fine. Questa volta lo fece a vocealta.

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— No. Assolutamente no.— Simon — ribatté lei. — È un

ottimo piano!— Parli del piano in base al quale tu

segui Jace e Sebastian in qualche ignotatasca dimensionale e noi usiamo glianelli per comunicare, così chi è rimastonella dimensione normale puòrintracciarti? Intendi quel piano?

— Sì.— Allora no. Non lo è per niente.Clary si abbandonò contro lo

schienale. — Non te la puoi cavaredicendo no e basta.

— Questo piano implica la miapresenza, perciò io dico no e ancora no!

— Simon…Lui diede una pacca sul posto a

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sedere accanto a sé, come se ci fossequalcuno. — Lascia che ti presenti ilmio caro amico No.

— Magari riusciamo a trovare unaccordo — propose la ragazzamangiando un boccone di torta.

— No.— Simon!!— “No” è una parola magica — le

disse. — Senti come funziona. Tu dici:“Simon, ho un piano folle, suicida. Tiandrebbe di aiutarmi a metterlo inpratica?” E io rispondo: “Perbacco,no!”

— Lo farò comunque — dichiaròClary.

Lui, dall’altra parte del tavolo, lafissò. — Come hai detto?

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— Lo farò con o senza il tuo aiuto— ribadì. — Se non posso usare glianelli, allora seguirò comunque Jaceovunque si trovi e cercherò dirimettermi in contatto con voi scappandodi nascosto, cercando un telefono,qualcosa insomma. Se sarà possibile.Simon, io lo faccio. È solo che se tu miaiuti ho più possibilità di sopravvivere.Tu di rischi non ne avresti.

— A me non importa dei rischi chepotrei correre io — sibilò Simonsporgendosi sopra il tavolo. — A meimporta quello che potrebbe succedere ate! Cavolo, io sono praticamenteindistruttibile. Lascia andare me, e turimani qui.

— Certo — rispose Clary. — Jace

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non lo troverà affatto strano. Potrestidirgli che sei sempre stato segretamenteinnamorato di lui e che non sopporti distargli lontano.

— Potrei dirgli che ci ho pensato su,e che, trovandomi d’accordo con lafilosofia sua e di Sebastian, vorreiunirmi a loro.

— Ma se non sai nemmeno qual è laloro filosofia!

— Hai ragione. Forse andrebbemeglio se gli dicessi che lo amo. Tantolui è convinto che tutti siano innamoratidi lui.

— Ma io… — disse Clary — losono veramente.

Simon la guardò a lungo, in silenzio.— Sei seria — concluse. — So che

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lo faresti davvero. Con o senza di me.Senza alcuna rete di protezione.

— Non c’è niente che non farei perJace.

Simon appoggiò la testa contro ilsedile di plastica del séparé. Sulla suafronte, il Marchio di Caino lanciò undebole bagliore argenteo. — Non dirlo— replicò.

— Tu non faresti niente per chi tiama?

— Io per te farei quasi tutto —rispose piano lui. — Per te morirei. E losai. Ma uccidere un’altra persona, uninnocente? E se fossero molte viteinnocenti? O magari il mondo intero? Èdavvero amore dire a qualcuno che, sedovessi scegliere tra lui e qualsiasi altra

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vita sul pianeta, sceglieresti lui? Èche… non so. Ma esiste poi un tipo diamore che si possa definire morale?

— L’amore non è morale o immorale— disse Clary. — È amore e basta.

— Lo so. Ma i gesti che compiamoin nome dell’amore, quelli sì, sonomorali o immorali. E in genere non è unproblema. In genere, pur trovando Jaceirritante, so che non ti chiederebbe maidi fare qualcosa che andasse contro latua natura. Né per lui né per nessunaltro. Quello che hai visto tu, però, non èil vero Jace, giusto? E io non so, Clary,non so cosa potrebbe chiederti di fare.

Clary appoggiò i gomiti sul tavolo,improvvisamente stanca.

— Forse non è Jace, ma è quanto di

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più simile a lui mi resta. Senza, non sipuò tornare all’originale. — Sollevò losguardo e lo puntò sugli occhi di Simon.— O forse mi stai dicendo che non cisono più speranze?

Seguì un lungo silenzio. Claryriusciva letteralmente a vedere l’innatosenso dell’onestà di Simon lottare coldesiderio di proteggere la sua miglioreamica. Finalmente rispose: — Non homai detto questo. Sono ancora ebreo,sai, anche da vampiro. Nel mio cuorecontinuo a ricordare e a credere, persinoalle parole che non posso dire. D… —tossì e deglutì — strinse con noiun’alleanza, proprio come quella che gliShadowhunters sono convinti di averstretto con Raziel. E noi crediamo alle

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sue promesse. Perciò non puoi maiperdere la speranza, hatikva, perché setieni in vita la speranza, lei terrà in vitate. — A quel punto parve leggermenteimbarazzato. — Lo diceva sempre il miorabbino.

Clary fece scivolare una mano sultavolo e la appoggiò su quella di Simon.Era difficile che lui parlasse dellapropria religione con lei o con altri,anche se Clary sapeva della sua fede. —Significa che sei d’accordo?

Simon emise un verso di sconforto.— Penso significhi che hai vinto il miospirito e che mi hai sconfitto.

— Fantastico.— Ovviamente ti rendi conto che mi

stai mettendo in condizione di avvisare

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tutti, ovvero tua madre, Luke, Alec, Izzy,Magnus…

— Forse non dovevo dirti che per tenon c’erano rischi… — precisò lei conaria innocente.

— Hai ragione — fece Simon. —Però ricordati, quando tua madre mi siattaccherà alla caviglia come una furiosamamma orsa separata dai suoi cuccioli,che l’ho fatto per te.

Jordan si era appena riaddormentatoquando i colpi alla porta tornarono afarsi sentire. Si girò dall’altra parte edemise un gemito sconsolato. Laradiosveglia sul comodino segnava, alettere gialle lampeggianti, le quattro delmattino.

Altri colpi. Jordan si mise suo

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malgrado in piedi, infilò i jeans ebarcollò fino all’ingresso. Dischiuse laporta con la vista annebbiata. — Senti…

Le parole gli si spensero sullelabbra. Sulla porta c’era Maia.Indossava un paio di jeans e una giaccadi pelle color caramello; i capelli eranoraccolti all’indietro con delle bacchettecolor bronzo. Sulla tempia le ricadevaun unico ricciolo. E le dita di Jordanmorivano dalla voglia di allungarsi persistemarglielo delicatamente dietrol’orecchio.

Invece tenne le mani ben infilatenelle tasche dei jeans.

— Bella maglietta — gli disse leilanciando uno sguardo impassibile alsuo petto nudo. Appeso alla spalla di

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Maia c’era uno zaino. Per un attimoJordan sentì un colpo al cuore. Stavalasciando la città? Se ne stava andandoper scappare via da lui? — Ascolta,Jordan…

— Chi è? — La voce proveniente dadietro le spalle di Jordan era roca,sconvolta come il letto dal qualeprobabilmente si era appena districata.Jordan vide Maia restare a bocca apertae, quando si voltò, si accorse che dietrole sue spalle c’era Isabelle. Indossavauna delle magliette di Simon e si stavastrofinando gli occhi.

La bocca di Maia si richiuse dicolpo. — Sono io — disse in tono nonparticolarmente gentile. — Sei… invisita a Simon?

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— Come? No, Simon non c’è —Taci, Isabelle, pensò Jordan in preda alpanico. — Simon è… — la ragazza feceun gesto vago — uscito.

Le guance di Maia si accesero dirosso. — Qui dentro c’è odore di bar.

— Colpa della tequila da due soldidi Jordan — disse Isabelle sventolandola mano. — Sai com’è…

— E quella è la sua maglietta? —indagò Maia.

Isabelle abbassò lo sguardo su sestessa e poi lo alzò di nuovo su Maia.Con un certo ritardo, sembrò aver capitocosa stesse passando per la testadell’altra ragazza.

— Quindi prima Simon mi ha traditacon te, e adesso tu e Jordan…

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— Simon ha anche tradito me con te.E comunque tra me e Jordan non c’èniente. Sono passata per vedere Simon,ma lui non c’era e così ho deciso didormire in camera sua. Dove ora torno.

— No — disse Maia bruscamente.— Non farlo. Dimentica Simon edimentica Jordan. Anche tu devi sentirequello che ho da dire.

Isabelle restò immobile con unamano sulla porta di Simon, mentre ilviso, rosso per il sonno, impallidivalentamente. — Jace — disse. — È perquesto che sei qui?

Maia fece di sì con la testa.Isabelle si lasciò andare contro la

porta. — Sei venuta a dire che è… —Le si incrinò la voce e ricominciò da

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capo. — Hanno trovato…— È tornato — disse Maia. — Per

Clary. — Fece una pausa. — Con luic’era Sebastian. C’è stata unacolluttazione e Luke è rimasto ferito.Ora sta morendo.

Isabelle soffocò un grido in gola. —Jace? Jace ha fatto del male a Luke?

Maia cercò di evitare il suo sguardo.— Non so cosa sia successo di preciso.So soltanto che Jace e Sebastian sonovenuti a cercare Clary e che c’è statouno scontro. Luke è stato aggredito.

— Clary…— Tutto a posto. È da Magnus con

sua madre. — A quel punto Maia sirivolse a Jordan. — Magnus mi hachiamata per chiedermi di venire da te.

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Ha cercato di chiamarti, ma non ci èriuscito. Vuole che ti metti in contattocon il Praetor Lupus.

— Mettermi in contatto con… —Jordan scosse il capo. — Non si puòalzare la cornetta e chiamare il Praetor.Non esiste un 899-899-LUPIMANNARI!

Maia incrociò le braccia. — Eallora tu come li contatti, sentiamo?

— Ho un supervisore. Lui miraggiunge quando vuole oppure lochiamo io in caso di emergenza.

— Questa è un’emergenza. — Maiasi infilò i pollici nei passanti dellacintura. — Luke potrebbe morire eMagnus dice che forse il Praetor sacome aiutarlo. — Guardò Jordan coi

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suoi grandi occhi scuri.Doveva dirglielo, pensò Jordan.

Dirle che a quelli del Praetor nonpiaceva immischiarsi negli affari delConclave, che preferivano concentrarsisu loro stessi e sulla loro missione:aiutare i nuovi Nascosti. Non c’eragaranzia che avrebbero accettato diprestare aiuto, anzi, l’opzione piùprobabile era che si sarebbero irritatiper quella richiesta.

Ma era Maia che glielo stavachiedendo. Si trattava di una cosa chepoteva fare per lei e che magari loavrebbe portato un passo più in là sullalunga strada verso la rappacificazione,dopo tutto quanto era accaduto.

— Okay — disse. — Allora

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andiamo al loro quartier generale epresentiamoci di persona. Sono nellazona di North Fork, a Long Island.Quindi lontano da qui. Possiamo andarcicol mio furgone.

— Bene. — Maia issò lo zaino suentrambe le spalle. — Sapevo chesaremmo dovuti andare da qualcheparte; è per questo che mi sono portatala mia roba.

— Maia — era Isabelle, rimasta insilenzio talmente a lungo che Jordan siera quasi dimenticato della suapresenza. Si voltò e la vide appoggiataal muro, accanto alla porta di Simon. Sistava abbracciando la schiena come seavesse freddo. — Lui sta bene?

Maia trasalì. — Luke? No, è…

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— Jace. — La voce di Isabelle eraun respiro profondo. — Jace sta bene?Gli hanno fatto del male, lo hannocatturato o magari…

— Sta bene — rispose Maia in tononeutrale. — E se n’è andato. Scomparsoinsieme a Sebastian.

— E Simon? — Lo sguardo diIsabelle guizzò verso Jordan. — Haidetto che era con Clary.

Maia scosse la testa. — No. Nonc’era — rispose tenendo una manostretta sulla bretella dello zaino. — Maora c’è una cosa che sappiamo e che a tenon piacerà. Jace e Sebastian sono inqualche modo legati l’uno all’altro.Ferisci Jace e ferirai anche Sebastian.Uccidi lui e Sebastian morirà. Vale

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anche viceversa, lo ha detto Magnus.— Il Conclave lo sa? — domandò

subito Isabelle. — Non li hannoinformati, vero?

Maia fece di no con la testa. — Nonancora.

— Lo scopriranno — dichiaròIsabelle. — L’intero branco ne è aconoscenza. Qualcuno parlerà, e a quelpunto sarà caccia all’uomo. Ucciderannolui solo per uccidere Sebastian. Louccideranno comunque. — Si portò lemani alla testa, infilando le dita tra ifolti capelli neri. — Voglio mio fratello— disse. — Voglio vedere Alec.

— Bene — fece Maia. — Perché,dopo avermi chiamata, Magnus mi haanche inviato un messaggio: sentiva che

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saresti stata qui e voleva dirti di andarenel suo appartamento di Brooklyn ilprima possibile.

Fuori si gelava. Il freddo era cosìintenso che persino la runa thermis dicui Isabelle si era munita e il leggeroparka preso dall’armadio di Simon nonle impedivano del tutto di tremarementre apriva il portone del palazzodove abitava Magnus e vi si infilavadentro.

Le aprirono la seconda porta e salìle scale, facendo scorrere una manolungo la ringhiera scheggiata. Una partedi lei voleva macinare un gradino dopol’altro, sapendo che Alec, lassù,avrebbe capito i suoi sentimenti;un’altra, invece, quella che per tutta la

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vita aveva tenuto nascosto ai fratelli ilsegreto dei loro genitori, avrebbepreferito fermarsi sul pianerottolo,rannicchiarsi e rimanere sola con la suatristezza.

Poi, la parte di lei che odiava faraffidamento sugli altri (Perché nondovrebbero deluderti?) e che eraorgogliosa di proclamare che IsabelleLightwood non aveva bisogno dinessuno le ricordò un dettaglioimportante: se si trovava lì, era perchéavevano chiesto la sua presenza. Loroavevano bisogno di lei.

E questo a Isabelle non davafastidio. Anzi, le piaceva proprio. Eraquesto il motivo per cui le ci era volutotempo per affezionarsi a Jace, la prima

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volta in cui lui, un ragazzino pelle e ossadi dieci anni con gli occhi spiritati colororo chiaro, aveva attraversato il portaleda Idris. Alec era stato subito entusiastadi lui, mentre a Isabelle non era piaciutatutta quella sicurezza di sé.

Quando sua madre le aveva spiegatoche il padre di Jace era stato uccisodavanti ai suoi occhi, lei si eraimmaginata di vederlo arrivare inlacrime, alla ricerca di conforto emagari di consigli. Invece no, sembravache quel ragazzino non avesse bisognodi nessuno. A soli dieci anni era giàdotato di un’ironia caustica e diffidente,unita a un temperamento spigoloso. Sì,aveva pensato Isabelle con sgomento,Jace era proprio come lei.

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Alla fine, era stata la loro natura diShadowhunters a legarli: una passionecomune per le armi affilate, lescintillanti spade angeliche, il dolcedolore dei marchi sulla pelle, il ritmofrastornante delle battaglie. Una voltache Alec volle andare a caccia da solocon Jace, senza Izzy, lui la difese: — Leici serve, è la migliore. Escluso me,ovvio.

Gli aveva voluto bene soltanto perquello.

Ora si trovava davantiall’appartamento di Magnus. Dallafessura tra la porta e il pavimentofiltrava della luce, e riusciva a sentireun mormorio di voci. Spinse la manigliae venne accolta da un’ondata di calore

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che la rese felice di fare un passo avanti.La piacevole temperatura si doveva

a un fuoco scoppiettante che bruciavanel camino; questo benché l’edificiofosse sprovvisto di canne fumarie,perché le fiamme avevano la sfumaturaverde-azzurra dell’incantesimo. Magnuse Alec erano seduti su uno dei divanisistemati vicino al camino. AppenaIsabelle entrò in casa, Alec la guardò ebalzò in piedi. Con indosso pantalonidella tuta neri e maglietta bianca colcollo sdrucito, attraversò la stanza apiedi nudi per correrle incontro estringerla fra le braccia.

Per un attimo Isabelle rimase insilenzio dentro il cerchio delle bracciadel fratello, sentendo il cuore di lui che

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pulsava e le mani che le salivano su egiù per la schiena, sui capelli, un po’impacciate. — Iz — le disse. — Andràtutto bene, Izzy.

Lei si liberò di colpo dalla strettastrofinandosi gli occhi. Dio, quantoodiava piangere. — Come fai a dirlo?— gli chiese bruscamente. — Comepotrà andare tutto bene, dopo una cosadel genere?

— Izzy… — Alec prese i capellidella sorella e glieli mise tutti di lato suuna spalla, tirandoli poi con un gestoleggero. Quel gesto le fece tornare inmente il periodo in cui aveva le trecce eAlec gliele tirava, con molta, moltameno dolcezza di quella che stavadimostrando in quel momento. — Non

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crollare. Abbiamo bisogno di te. —Abbassò la voce. — A proposito, lo saiche odori di tequila?

Isabelle guardò Magnus, che intantoli stava osservando, seduto sul divano,coi suoi imperscrutabili occhi da gatto.— Dov’è Clary? — gli chiese. — E suamadre? Pensavo fossero qui.

— Stanno dormendo. Avevanobisogno di riposare — rispose lostregone.

— E io no?— Per caso tu hai appena visto il tuo

fidanzato o il tuo patrigno mentre venivaquasi ucciso davanti ai tuoi occhi? — fula secca risposta di Magnus. Indossavaun pigiama a righe coperto da unavestaglia di seta nera. — Isabelle

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Lightwood — le disse alzandosi eintrecciando morbidamente le ditadavanti sé. — Come ha detto Alec,abbiamo bisogno di te.

Isabelle si mise ben dritta sullaschiena, buttando le spalle all’indietro.— Bisogno di me… per cosa?

— Per andare dalle Sorelle di Ferro— annunciò Alec. — Ci serve un’armacapace di dividere Jace e Sebastian inmodo da poterli colpireseparatamente… cioè, hai capito cosaintendo. Vogliamo uccidere Sebastiansenza fare del male a Jace. Ed è soloquestione di tempo, prima che ilConclave venga a sapere che Jace non èprigioniero di Sebastian, ma che stacollaborando con lui e…

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— Non è Jace — protestò Isabelle.— Potrebbe non essere lui —

ammise Magnus, — ma se morisse,anche il tuo Jace se ne andrebbe persempre.

— Come sai, le Sorelle di Ferroparlano soltanto con le donne — disseAlec. — E Jocelyn non può andare dasola, perché lei non è più unaShadowhunter.

— Cosa mi dici di Clary?— Si sta ancora allenando. Non

saprebbe porre le domande giuste, néusare il giusto atteggiamento. Tu eJocelyn invece sì. Lei poi ha detto diessere già stata da loro: ti aiuterà aorientarti quando, tramite portale, timanderemo fino al limite delle

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protezioni attorno alla Città diDiamante. Partirete entrambe, questamattina stessa.

Isabelle ci pensò su. L’idea di averefinalmente qualcosa da fare, qualcosa didefinito, attivo e importante era unsollievo. Avrebbe preferito un incaricoche avesse qualcosa a che fare conl’uccisione di demoni o l’amputazionedelle gambe di Sebastian, ma era sempremeglio di niente. Le leggende checircondavano la Città la descrivevanocome un luogo sperduto e ostile, e leSorelle di Ferro si vedevano ancora piùraramente dei Fratelli Silenti. Isabellenon ne aveva mai incontrata una.

— A che ora si parte? — chiese.Alec sorrise per la prima volta da

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quando la sorella era arrivata e lescompigliò i capelli. — Ecco la miaIsabelle!

— Piantala. — Izzy si divincolòdalla carezza di Alec e vide cheMagnus, nel frattempo, li stavaosservando col sorriso sulle labbra. Sialzò facendo leva sulle braccia e sipassò una mano fra i capelli neri, giàritti in piedi come se fosse scoppiata unabomba.

— Ho tre stanze libere — disse. —In una c’è Clary e in un’altra sua madre.Ti faccio vedere la terza.

Tutte le stanze si diramavano da uncorridoio lungo e stretto e senza finestreche sfociava in salotto. Due delle porteerano chiuse, perciò Magnus

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accompagnò Isabelle alla terza, in unacamera con le pareti color fucsia. Dalleaste cromate sopra le finestre pendevanotende nere agganciate tramite manette. Ilcoprilenzuolo era decorato con unafantasia a cuori rosso scuro.

Isabelle si guardò attorno. Si sentivanervosa, agitata, per niente pronta adormire. — Belle manette. Ora capiscoperché qui non ci hai messo Jocelyn.

— Mi serviva un modo per poter farscorrere le tende — rispose Magnusfacendo spallucce. — Hai qualcosa dametterti per dormire?

Isabelle si limitò a fare un cenno conla testa, perché non voleva ammettere diaver portato con sé una maglietta diSimon presa nel suo appartamento. In

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realtà i vampiri non avevano odori, mala maglietta era comunque impregnatadel tenue, rassicurante profumo del suosapone da bucato. — È un po’ strano —disse. — Mi chiedi di venire subito quie poi mi metti a letto dicendomi che siparte domani…

Lo stregone si appoggiò contro laparete accanto alla porta, bracciaincrociate e sguardo felino fisso su dilei. Per un istante le ricordò Church,solo meno propenso a mordere. —Voglio bene a tuo fratello, lo sai, vero?— le disse.

— Se vuoi il mio permesso persposarlo, fate pure — ribatté Isabelle.— Poi l’autunno è una bella stagione,potresti metterti uno smoking arancione.

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— Non è felice — riprese Magnuscome se lei non avesse parlato.

— Certo che non lo è! — esclamòl’altra. — Jace…

— Jace — pronunciò con intensitàMagnus, mentre lungo i fianchi le manigli si serravano in pugni. Isabelle rimasea guardarlo. Aveva sempre pensato che aMagnus Jace non dispiacesse, anzi, cheaddirittura gli andasse a genio, dopo cheavevano risolto la questione deisentimenti di Alec.

E ad alta voce disse: — Pensavo chetu e Jace foste amici.

— Non è quello — fece lui. — Cisono certe persone alle quali l’universosembra aver riservato un destinospeciale. Speciale nei vantaggi e

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speciale nei tormenti. Dio sa quanto tuttinoi siamo attratti da ciò che è bello edannato. Io stesso sono stato così, maalcuni non possono essere cambiati. O,se succede, è solo grazie a un amore eun sacrificio così grandi da distruggerechi lo dona.

Isabelle scosse la testa lentamente.— Mi hai fraintesa. Jace è nostrofratello, ma, per Alec… Jace è anche ilsuo parabatai.

— So cosa significa — disseMagnus. — Ho conosciuto deiparabatai così vicini da essere quasi lastessa persona. Sai cosa succede,quando uno dei due muore, a quello cherimane…

— Basta! — Isabelle si coprì le

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orecchie con le mani, poi le riabbassòlentamente. — Come osi, Magnus Bane?Come osi rendere le cose ancorapeggiori di quello che sono?

— Isabelle? — Magnus aprì le mani.Sembrava un po’ scosso, come turbatodalle sue stesse considerazioni. — Midispiace. A volte dimentico che…nonostante la tua forza e il tuoautocontrollo, hai la stessa vulnerabilitàdi Alec.

— Alec non ha niente di vulnerabile— dichiarò Isabelle.

— No — disse Magnus. — Amarecome scegli di amare, quello sì cherichiede forza. Il fatto è che ti volevoqui per lui. Ci sono delle cose che io,per Alec, non posso fare. Cose che non

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posso dargli. — Per un istante, Magnussembrò lui stesso insolitamente fragile.— Tu conosci Jace da quanto lo conoscelui. Gli puoi dare un conforto che per meè impossibile dargli. E poi ti vuolebene.

— Certo che mi vuole bene. Sonosua sorella.

— Il sangue non è amore — replicòMagnus in tono amaro. — Chiedilo aClary.

Clary venne scagliata fuori dalportale come una pallottola da una cannadi fucile. Fece una capriola verso ilbasso e cadde dritta in piedi, unatterraggio da manuale. Resistette inquella posizione solo pochi istanti primache, troppo stordita dal portale per

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concentrarsi, perdesse l’equilibrio ecadesse di schiena, la botta attutita dallozaino. Fece un sospiro, pensando che ungiorno gli allenamenti avrebberodavvero dato i loro frutti, e si rimise inpiedi, ripulendosi il sedere dallapolvere.

Era di fronte alla casa di Luke. Ilfiume le scintillava da sopra una spallae, dietro, Lower Manhattan si innalzavain una foresta di luci. La casa eraproprio come l’avevano lasciata, oreprima, chiusa e al buio. In piedi, sulsentiero di sassi e terriccio che portavaai gradini d’ingresso, deglutì forte.

Con le dita della mano sinistra sitoccò lentamente l’anello che portavaalla destra. Simon?

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La risposta giunse immediatamente.Sì?

Dove sei?Sto camminando verso la metro. Sei

tornata a casa tramite portale?A casa di Luke. Se Jace torna, come

penso succederà, lo farà qui.Silenzio. Poi: Bene, se hai bisogno

di me, sai come trovarmi, credo.Credo. Clary fece un respiro

profondo. Simon?Sì?Ti voglio bene.Pausa. Anche io ti voglio bene.E finì così. Non ci fu il clic di una

cornetta riagganciata, ma Clary percepìl’interruzione del contatto, come sedentro la testa le fosse stata tagliata una

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corda. Si chiese se fosse quello a cui siriferiva Alec quando parlavadell’interruzione del legame fraparabatai.

Avanzò verso la casa di Luke e salìlentamente i gradini. Quella era casasua. Se Jace fosse tornato a cercarla,come le aveva accennato che avrebbefatto, è lì che sarebbe andato. Si sedettesull’ultimo gradino, si mise lo zainosulle ginocchia e aspettò.

Simon, in piedi di fronte alfrigorifero di casa sua, bevve un’ultimasorsata di sangue freddo mentre ilricordo della voce mentale di Clary glisi dileguava dalla mente. Era appenarientrato; l’appartamento era buio, ilfrigo emetteva il suo ronzio, e il tutto

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aveva uno strano odore di… tequila?Forse Jordan aveva bevuto. La porta dicamera sua era chiusa, comunque, eSimon non trovava niente da ridire sulfatto che era ancora a letto: erano dapoco passate le quattro di notte.

Rimise la bottiglia in frigo e sidiresse verso la propria camera.Sarebbe stata la prima notte passata acasa in tutta la settimana. Si era abituatoad avere qualcuno con cui condividere illetto, un corpo contro il quale rotolarenel cuore della notte. Gli piaceva ilmodo in cui Clary gli si sistemavaaccanto, accucciata nel sonno con unamano sotto la testa. E poi, se propriodoveva ammetterlo, gli piaceva anche ilfatto che lei non riusciva a dormire se

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non c’era anche lui. Era una cosa che lofaceva sentire utile, indispensabile; purriconoscendo che, se a Jocelyn nonimportava che dormisse nello stessoletto della figlia, il suo potenziale diminaccia sessuale dovevaprobabilmente essere pari a quello di unpesce rosso.

Certo, lui e Clary avevano più voltecondiviso il letto, da quando avevanocinque anni fino ai dodici circa. Magaric’entrava qualcosa, pensò mentre aprivala porta della camera. Avevano passatogran parte di quelle notti alle prese conattività torbide quali, per esempio, farea chi ci metteva di più a mangiare uncioccolatino al caramello. Oppure siportavano di nascosto un lettore DVD

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portatile e…Batté le palpebre. Camera sua era la

stessa di sempre: pareti spoglie, scaffalidi plastica con i vestiti, la chitarraappesa al muro e il materasso sulpavimento. Ma sopra il letto c’era unfoglio di carta, un quadrato bianco sullosfondo nero della coperta a frange. Lacalligrafia poco leggibile e tondeggiantegli risultava familiare. Isabelle.

Lo prese e lesse:Simon, ho cercato di chiamarti, ma

a quanto pare hai il telefono spento.Non so dove sei adesso. Non sonemmeno se Clary ti ha già dettoquello che è successo stanotte. Ma iodevo andare da Magnus e vorrei tantoche ci fossi anche tu.

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Non ho mai paura, ma stavolta neho per Jace. Ho paura per mio fratello.Non ti chiedo mai niente, Simon, mastavolta vieni. Ti prego.

Isabelle Simon lasciò cadere il messaggio

dalle mani. Si ritrovò fuori di casa e giùper le scale prima ancora che la cartaavesse toccato terra.

Quando Simon arrivò a casa diMagnus, tutto taceva. Davanti al caminoscoppiettante, lo stregone era seduto suun divano dall’imbottitura voluminosa eteneva i piedi appoggiati sopra iltavolino da caffè. Stava giocherellandocon una ciocca dei capelli di Alec, chedormiva con la testa sulle sue ginocchia.

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Lo sguardo dello stregone, rivolto allefiamme, era assente, come se stesseripensando a un passato lontano. Simonnon poté fare a meno di ricordare quelloche una volta gli aveva detto a propositodell’immortalità:

Un giorno resteremo soltanto io ete.

Simon rabbrividì, e Magnus alzò gliocchi. — Isabelle ti ha chiesto dipassare, lo so — disse parlando a vocebassa per non svegliare Alec. — È daquella parte, in fondo al corridoio.Prima stanza a sinistra.

Simon annuì e, lanciando un saluto aMagnus, si avviò. Aveva addosso unostrano nervosismo, come se si stessepreparando per un primo appuntamento.

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Isabelle, a quanto ricordava, non gliaveva mai chiesto né di aiutarla né distarle vicino; anzi, non aveva maiammesso in alcun modo di averebisogno di lui.

Aprì la porta della prima stanza asinistra ed entrò. Era buia, a luci spente.Se non fosse stato per le sue doti davampiro, probabilmente non avrebbevisto nulla. Invece riuscì a individuare icontorni di un armadio, sedie sulle qualierano stati lasciati dei vestiti e un lettocon le coperte buttate indietro. Isabelledormiva su un fianco, coi lunghi capellineri sparsi sul cuscino.

Simon rimase a guardarla. Era laprima volta che la vedeva dormire.Sembrava più giovane del solito: viso

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rilassato e lunghe ciglia che sfioravanola punta degli zigomi. Aveva la boccaleggermente aperta e le ginocchiapiegate. Indossava solo una maglietta: lasua maglietta, azzurra e con la scrittaCLUB DELL’AVVENTURA “MOSTRODI LOCHNESS”. CERCHIAMORISPOSTE, IGNORIAMO I FATTI.

Simon si chiuse la porta dietro lespalle, sentendosi più deluso di quantosi sarebbe aspettato. Non pensava ditrovarla già addormentata. Volevaparlarle, sentire la sua voce. Si tolse lescarpe e le si sdraiò accanto. Isabelleoccupava sicuramente più spazio vitaledi Clary. Era alta quasi quanto lui, maquando le mise una mano sulla spalla,ebbe la sensazione che le sue ossa

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fossero gracili, delicate. Le accarezzò ilbraccio. — Iz? — la chiamò. —Isabelle?

Lei emise un mormorio e affondò lafaccia nel cuscino. Lui le si avvicinòancora di più: Isabelle sapeva di alcol eprofumo alle rose. Be’, in fondo eraquesta la risposta. Aveva pensato distringerla fra le braccia per baciarla condolcezza, ma “Simon Lewis, ilmolestatore di donne collassate” non eracerto l’epitaffio con cui voleva esserericordato.

Si sdraiò a pancia in su e guardò ilsoffitto. Intonaco crepato, segnato damacchie d’umidità. Magnus dovevasbrigarsi a chiamare qualcuno perrimediare. Come se avesse sentito la sua

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presenza, Isabelle rotolò di lato e gliappoggiò una guancia contro la spalla.— Simon? — disse con voce impastata.

— Sì — rispose lui accarezzandoledelicatamente il viso.

— Sei venuto. — Isabelle gliallungò un braccio sul petto,sistemandosi in modo che la testa le siincastrasse nella spalla di lui. — Noncredevo l’avresti fatto.

— Certo che sono venuto.Le altre parole che lei gli disse gli si

smorzarono contro il collo. — Scusa,stavo dormendo.

Lui sorrise fra sé, appena, al buio.— Non c’è problema. Anche se miavessi chiesto di venire qui solo perstringerti mentre dormivi, lo avrei fatto.

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Lui la sentì irrigidirsi, poi rilassarsidi nuovo. — Simon?

— Sì?— Mi racconti una storia?Simon rimase perplesso. — Che

genere di storia?— Una in cui i buoni vincono e i

cattivi perdono. E rimangono morti.— Quindi una specie di fiaba? —

disse Simon. Si arrovellò il cervello.Delle fiabe conosceva solo le versioniDisney, e la prima immagine che glivenne in mente fu quella di Ariel con ilreggiseno a conchiglia. A otto anni si erainnamorato di lei, ma forse non era ilcaso di specificarlo.

— No. — La parola uscì dallabocca di Isabelle come un respiro. —

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Noi studiamo le fiabe a scuola. Molte diquelle magie sono vere, ma… no, voglioqualcosa che non ho mai sentito.

— Okay, ne ho una bella — risposeSimon accarezzandole i capelli esentendo le sue ciglia che glisolleticavano il collo mentre leichiudeva gli occhi. — Tanto tempo fa, inuna galassia lontana lontana…

Clary non sapeva dire da quantotempo fosse seduta sui gradinid’ingresso della casa di Luke, quando ilsole cominciò a sorgere; levandosidietro la casa, tingeva il cielo di un rosascuro e rendeva il fiume una striscia digrigio-azzurro. Lei stava tremando, e lofaceva da così tanto che tutto il corpo lesi era praticamente contratto in un

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singolo, forte spasmo di freddo. Perriscaldarsi aveva utilizzato due rune, manon erano state d’aiuto; aveva lasensazione che i brividi fossero più unfattore psicologico che altro.

Sarebbe arrivato? Se era rimasto ilJace che lei pensava, lo avrebbe fatto;quando le aveva accennato che sarebbetornato, Clary sapeva che intendeva ilprima possibile. Jace non era paziente.E non gli piaceva scherzare.

Eppure non poteva fare altro cheaspettare. Di lì a breve il sole sarebbesorto del tutto, dando inizio a una nuovagiornata. Sua madre avrebbericominciato a tenerla d’occhio e leiavrebbe dovuto rinunciare a Jace per unaltro giorno, se non di più.

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Chiuse gli occhi contro lo splendoredella luce, appoggiando i gomiti sulgradino più in alto dietro di sé. Per unistante si abbandonò alla fantasia chetutto fosse come una volta, propriouguale: nel pomeriggio avrebbeincontrato Jace per gli allenamenti, o lasera per cena, e lui l’avrebbeabbracciata facendola ridere comesempre.

Caldi sprazzi di luce le sfiorarono ilviso. A malincuore, gli occhi le siriaprirono.

Ed ecco Jace che saliva i gradini perandarle incontro, al solito silenziosocome un gatto. Indossava una felpa bluscuro che gli faceva sembrare i capellidel colore del sole. Clary si mise seduta

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dritta, con il cuore che le martellava.Era come se i contorni della figura diJace fossero definiti dal bagliore dellaluce. Ripensò a quella notte a Idris,quando i fuochi d’artificio avevanoattraversato il cielo facendole pensaread angeli che si trasformavano in gocceardenti.

Lui la raggiunse e le porse le mani;Clary le prese e si lasciò aiutare adalzarsi. I suoi occhi d’oro chiaro lescrutavano il viso. — Non ero sicuro ditrovarti qui.

— Da quando non sei sicuro di me?— Prima eri piuttosto arrabbiata. —

Le racchiuse una guancia dentro il palmodella mano, su cui c’era una grossacicatrice; Clary riusciva a sentirla

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contro la propria pelle.— E se non mi avessi trovata qui,

cosa avresti fatto?La tirò a sé. Anche lui tremava. Il

vento gli soffiava nei capelli mossi,disordinati e lucenti. — Come sta Luke?

Sentendo pronunciare quel nome,Clary rabbrividì di nuovo. Jace,pensando che avesse freddo, la strinsepiù forte. — Si riprenderà — gli risposecon cautela. È colpa tua, colpa tua,colpa tua.

— Non volevo che si facesse male.— Jace la teneva fra le braccia,disegnandole una lenta linea retta su egiù per la colonna vertebrale. — Micredi?

— Jace… Perché sei qui?

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— Per chiedertelo di nuovo. Divenire con me.

Clary chiuse gli occhi. — Senzadirmi dove?

— Fiducia — rispose lui piano. —Devi avere fiducia. Ma anche sapereche, se vieni con me, non c’è ritorno.Per molto tempo.

Clary ripensò al momento in cui erauscita dal Java Jones e lo aveva trovatoad aspettarla. In quel momento, la suavita era cambiata in un modo che nonavrebbe mai più potuto cancellare.

— Non c’è mai stato ritorno — glidisse. — Non con te. — Aprì gli occhi.— Andiamo.

Lui sorrise, un sorriso radioso comeil sole che spuntava da dietro le nuvole,

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e lei sentì i muscoli rilassarsi. — Seisicura?

— Sicura.Jace si chinò in avanti e la baciò.

Sollevandosi per abbracciarlo, lei sentìche sulle labbra di Jace c’era qualcosadi amaro. E a quel punto le tenebrecalarono come un sipario che segnava lafine di un atto teatrale.

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parte seconda

CERTE COSEOSCURE

T’amo come si amano certe cose oscure.(PABLO NERUDA, Sonetto XVII)

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capitolo 8

IGNIS AURUM PROBAT

Maia non era mai stata a LongIsland, ma se proprio avesse dovutoimmaginarsela, l’avrebbe descritta comeun posto molto simile al New Jersey:un’area per lo più suburbana, dovevivevano i pendolari che facevano laspola con New York o con Philadelphia.

Aveva buttato la borsa sul furgone diJordan, sorprendentemente poco

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familiare ai suoi occhi. Ai tempi in cuiuscivano insieme guidava una Toyotarossa, sempre piena di bicchierini vuotiaccartocciati e sacchetti di fast food; ilposacenere traboccava di sigaretteconsumate fino al filtro. L’abitacolo diquel furgone, con una sola pila digiornali sul sedile del passeggero, aconfronto sembrava pulito. Salendo, lispostò di lato senza dire una parola.

Non avevano parlato attraversandoManhattan e nemmeno sull’autostradaverso Long Island, finché Maia si eraappisolata con una guancia premutacontro il freddo vetro del finestrino. Siera svegliata quando avevano superatoun dosso, era balzata in avanti e,battendo le palpebre, si era strofinata gli

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occhi.— Scusa — le aveva detto Jordan,

dispiaciuto. — Volevo lasciarti dormirefino all’arrivo.

Lei si era seduta dritta, guardandosiattorno. Stavano percorrendo una stradaasfaltata a due corsie e il cielocominciava appena a rischiararsi. Adestra e a sinistra c’erano soltantocampi, qua e là una fattoria o un silo, inlontananza qualche cottage con lastaccionata di legno.

— È bello qui — avevacommentato, stupita.

— Già. — Jordan aveva cambiatomarcia e si era schiarito la voce. —Dato che ormai sei sveglia… prima chearriviamo alla Praetor House, posso

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farti vedere una cosa?Lei aveva esitato solo un istante, poi

annuito. E ora eccoli lì a sobbalzare su egiù per una stradina sterrata bordatadagli alberi. In gran parte erano spogli,la strada fangosa. Girò la manovella delfinestrino per annusare l’aria. Alberi,acqua di mare, foglie in lentadecomposizione, animaletti checorrevano fra l’erba alta. Fece un altrorespiro profondo quando lasciarono lastrada e si fermarono su una piazzolacircolare. Davanti a loro c’era laspiaggia, che si stendeva fino allospecchio grigio-azzurro dell’acqua. Ilcielo era quasi lilla.

Maia diresse lo sguardo su Jordan,che invece lo teneva dritto davanti a sé.

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— Venivo sempre qui, quando miallenavo alla Praetor House — disse. —A volte anche solo per osservarel’acqua e schiarirmi le idee. L’alba inquesto posto… ogni volta diversa, masempre stupenda.

— Jordan.Lui non si voltò per guardarla. —

Sì?— Scusami per prima. Per essere

corsa via, al Navy Yard.— Tutto a posto. — Espirò

lentamente, ma a giudicare dalle spalletese e dal modo in cui stringeva ilcambio, Maia sapeva che non era così,non proprio. Si sforzò di non badare almodo in cui la tensione gli plasmava imuscoli delle braccia, accentuando la

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curva dei bicipiti. — Per te è statotroppo, lo capisco. Solo che…

— Penso che dovremmo andarcipiano. Cercare di essere amici.

— Io non voglio essere tuo amico —fu la risposta di lui.

Maia non riuscì a nascondere lostupore. — No?

Jordan spostò la mano dal cambio alvolante. La ventola del riscaldamentodiffondeva aria calda che andava amischiarsi a quella più freddaproveniente dal finestrino abbassato diMaia. — Non vorrei affrontare questoargomento adesso.

— Ma io voglio — ribatté lei. — Nevoglio parlare adesso. Non mi va dipensare alla nostra situazione mentre

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siamo alla Praetor House.Jordan scivolò giù con la schiena

lungo il sedile, mordicchiandosi unlabbro. I capelli arruffati gli ricadderosopra la fronte. — Maia…

— Se non vuoi che siamo amici,allora cosa dovremmo essere? Nemici,di nuovo?

Lui girò la testa, con una guanciaappoggiata al sedile. Quegli occhi eranoproprio come lei li ricordava, nocciolacon tocchi di verde, azzurro e oro. —Non voglio che siamo amici — le disse— perché ti amo ancora. Maia, lo saiche non ho più baciato nessun’altra, daquando ci siamo lasciati?

— Isabelle…— Isabelle voleva ubriacarsi e

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parlare di Simon. — Tolse le mani dalvolante, sembrò sul punto di protenderleverso di lei, ma poi se le lasciò caderein grembo, un’aria sconfitta sul volto. —Sei l’unica che abbia mai amato. È solopensando a te che sono riuscito adaffrontare gli allenamenti, con l’idea cheun giorno avrei potuto farmi perdonare.E ci riuscirò, in tutti i modi possibilitranne uno.

— Che non sarai mio amico.— Non sarò un semplice amico,

Maia. Io ti amo. Io sono innamorato dite. Lo sono sempre stato e lo saròsempre. Essere soltanto un amico miucciderebbe.

Lei rivolse lo sguardo versol’oceano. Il cerchio del sole spuntava

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appena sopra la superficie dell’acqua,illuminandola coi suoi raggi nelletonalità del viola, dell’oro edell’azzurro. — È bellissimo qui.

— Ed è per questo che ci venivo.Non riuscivo a dormire, perciò restavoad ammirare l’alba. — Parlava con vocesommessa.

— Ora invece dormi? — gli chieseMaia.

Lui chiuse gli occhi. — Maia… sestai per dire che no, che da me non vuoialtro che amicizia… allora dillo e basta.Via il dente, via il dolore, okay?

Sembrava una persona che sipreparava a ricevere un colpo. Le cigliagli adombravano gli zigomi; sulla pelleolivastra del collo c’erano piccole

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cicatrici bianche, cicatrici che gli avevalasciato lei. Maia si slacciò la cintura disicurezza e si protese verso il sedile dilui. Sentì che Jordan tratteneva ilrespiro, ma non si mosse mentre lei sipiegava per baciargli la guanciainalando il suo profumo. Stesso sapone,stesso shampoo, ma niente più traccedell’odore persistente di sigaretta.Stesso ragazzo. Gli percorse la guanciadi baci, arrivò all’angolo della bocca e,finalmente, sporgendosi ancora un po’,mise le labbra sopra le sue.

Jordan sentì la propria boccadischiudersi sotto quella di Maia e, dalfondo alla gola, emise un ringhio. Ingenere i lupi mannari non erano delicatifra loro, invece le mani di lui lo furono

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quando la sollevò per mettersela sulleginocchia e abbracciarla, mentre il lorobacio si faceva più profondo. Il tocco dilui, il calore del velluto di cui eranorivestite le sue braccia, il battito delcuore, il sapore della bocca, lo scontrodi labbra e di lingue le tolsero il fiato.Gli fece scivolare le mani dietro il colloe si lasciò andare definitivamente,mentre sentiva il solletico leggero deisuoi capelli, lo stesso di sempre.

Quando infine si allontanarono, luiaveva gli occhi acquosi. — Erano anniche lo aspettavo.

Maia gli passò un dito sulla base delcollo. Sentiva il proprio cuore battereforte. Per qualche istante non erano statidue lupi mannari in missione per

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un’organizzazione segreta, ma duesemplici ragazzi che si baciavano inmacchina, sulla spiaggia. — Ed è statoall’altezza delle aspettative?

— Molto meglio. — L’angolo dellabocca di lui si sollevò. — Significache…

— Be’, non è il genere di cose che sifanno tra amici, giusto?

— Ah no? Allora devo dirlo aSimon. Resterà profondamente deluso.

— Jordan! — Maia gli diede uncolpetto leggero sulla spalla, ma stavasorridendo. Come lui, del resto, conquel grande sorriso un po’ ebete einconsueto che gli si stava allargando infaccia. Maia gli si avvicinò di nuovo egli appoggiò il viso sull’incavo del

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collo, inalando, insieme all’aria delmattino, anche un po’ di Jordan.

Stavano combattendo sul lagoghiacciato, la città di gelo che brillavain lontananza come un faro. L’angelocon le ali dorate e l’angelo con le alisimili a fiamme nere. Clary se ne stavain piedi sul ghiaccio mentre sangue epiume le cadevano attorno. Quelledorate bruciavano come fiamme neipunti in cui le toccavano la pelle,mentre quelle nere erano fredde comeghiaccio.

Clary si svegliò con il cuore a mille,intrappolata in un groviglio di coperte.Si alzò, tirandosele giù fino alla vita.Era in una stanza che non conosceva. Imuri erano intonacati di bianco e lei si

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trovava in un letto di legno nero, conindosso gli stessi vestiti della seraprima. Scivolò giù, appoggiando i piedinudi sul freddo pavimento di pietra, e siguardò attorno in cerca dello zaino.

Lo trovò subito, su una poltrona dipelle nera. La stanza era priva difinestre: l’unica luce proveniva da unlampadario di vetro nero smerigliato.Mise una mano nello zaino e scoprì condisappunto, ma non con sorpresa, chequalcuno l’aveva già ispezionato. Lascatola col materiale da disegno erasparita, stilo compreso. Non restavaaltro che la spazzola per capelli, i jeanse la biancheria intima di ricambio.Almeno aveva ancora al dito l’anellod’oro.

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Lo sfiorò piano e col pensiero sirivolse a Simon. Ci sono.

Niente.Simon?Nessuna risposta. Deglutì per

scacciare il senso di disagio. Non avevaidea di dove si trovasse, né di che orefossero o di quanto tempo avessepassato al freddo. Magari Simon stavadormendo. Non poteva andare nelpanico e convincersi che gli anelli nonfunzionavano. Doveva inserire il pilotaautomatico: capire dov’era, scoprirequello che poteva. Avrebbe provato aricontattarlo più tardi.

Fece un respiro profondo e cercò diconcentrarsi su quanto la circondava.Nella stanza c’erano due porte. Provò ad

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aprire la prima e scoprì che dava su unpiccolo bagno in vetro e acciaiocromato, munito di vasca con piedini dirame. Anche lì, nessuna finestra. Si lavòrapidamente, si asciugò con una salviettabianca e soffice, indossò jeans e felpapuliti. Poi tornò in camera da letto, dovesi infilò le scarpe e provò con laseconda porta.

Tombola. Lì c’era il resto della casa.Un appartamento? Una villa? Si trovavain una grande stanza, metà della qualeoccupata da un lungo tavolo di vetro.Dal soffitto pendevano altri lampadaridi vetro nero smerigliato cheproiettavano ombre danzanti sulle pareti.Era tutto molto moderno, dalle sedie inpelle nera al grande camino incorniciato

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d’acciaio. Dentro ardeva un fuoco.Segno che doveva esserci qualcuno, oalmeno che c’era stato di recente.

L’altra metà della stanza ospitava ungrande televisore, un tavolino da caffènero laccato su cui erano sparsivideogiochi e joy-pad, e divani bassi inpelle. Una scala di vetro a chiocciolaportava al piano superiore. Dopo essersiguardata attorno, Clary iniziò a salire igradini. Il vetro era perfettamentetrasparente e dava l’impressione dipercorrere una scala invisibile cheportava in cielo.

Il secondo piano era molto simile alprimo: pareti chiare, pavimento nero, unlungo corridoio su cui si aprivanodiverse porte. La prima dava su quella

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che era chiaramente la camerapadronale, dove un enorme letto dipalissandro, celato da tende bianchetrasparenti, occupava gran parte dellospazio. C’erano delle finestre di coloreblu scuro. Clary attraversò la stanza perguardare fuori.

Per un attimo si chiese se fosse dinuovo ad Alicante. Vedeva, oltre uncanale, un altro edificio con le finestrechiuse da imposte verdi. In alto, il cieloera grigio, il canale blu-verdastro e,sulla destra, c’era un ponte che portavasull’altra riva. Sopra, due persone. Unadi esse aveva una macchina fotograficadavanti al viso e si stava dando un grandaffare a scattare foto. No, nienteAlicante. Amsterdam? Venezia? Guardò

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dappertutto per trovare il modo di aprirela finestra, ma senza successo. Picchiòcontro il vetro e gridò, ma i passanti sulponte non si accorsero di lei e, dopopochi istanti, proseguirono.

Clary tornò nella camera da letto, siavvicinò a uno degli armadi e lo aprì. Leprese un colpo. Il guardarobastrabordava di vestiti, vestiti da donna.Erano magnifici: pizzo, raso, perline efiori. I cassetti contenevano sottovesti ebiancheria intima, magliette di cotone eseta, gonne, ma niente jeans népantaloni. C’erano persino delle scarpeallineate, aperte e con il tacco, nonchécollant ben piegati. Per un istante Claryrimase a guardare, chiedendosi se cifosse in giro un’altra ragazza o se

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magari a Sebastian fosse venuta la maniadi vestirsi da donna. Ma su tutti i vestitic’era ancora il cartellino, ed eranopressoché della sua taglia. Non solo:continuando a guardare, si rese contoche i colori erano esattamente quelli chele donavano di più. C’era tutta la gammadegli azzurri, dei verdi e dei gialli, inlinee tagliate per una figura minuta. Allafine, prese uno dei capi più semplici,una camicia verde scura, con le manichead aletta, decorata sul davanti daun’allacciatura di seta. Se la provò,dopo aver buttato la sua maglietta sulpavimento, e si guardò nello specchioappeso dentro il guardaroba.

Le stava alla perfezione. Metteva inrisalto la sua figura snella stringendole

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la vita e rendendo più intenso il verdedegli occhi. Staccò l’etichetta per nonvedere quanto era costata e corse fuoridalla stanza, avvertendo un brividofreddo lungo la schiena.

La camera successiva erasicuramente quella di Jace. Lo capìnell’istante in cui ci mise piede. C’era ilsuo odore, l’odore della sua colonia, delsuo sapone e della sua pelle. Il letto,rifatto alla perfezione, era in legno aeffetto ebano, con le coperte bianche.Tutto era in ordine, come nella suastanza all’Istituto. Accanto al lettoc’erano pile di libri con titoli in italiano,francese e latino. Il pugnale d’argentodegli Herondale, col suo motivo diuccelli, era conficcato nel muro

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intonacato. Quando Clary guardò più davicino, si accorse che serviva a tenereferma una fotografia: lei e Jace,immortalati da Izzy. Ricordava ancoraquella bella giornata di inizio ottobre,Jace seduto sui gradini d’ingressodell’Istituto con un libro sulle ginocchia.Lei era un gradino più su, gli teneva unamano sulla spalla e si sporgeva in avantiper vedere cosa stava leggendo. Luiaveva la mano appoggiata sopra quelladi lei, un gesto quasi assente, ma intantosorrideva. Quel giorno non era riuscita aguardarlo in faccia, non sapeva chestava sorridendo a quel modo, loscopriva solo adesso. Le si contrasse lagola e dovette uscire anche da quellastanza per riprendere fiato.

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Non poteva comportarsi a quelmodo, si rimproverò, come se ilrivedere il vecchio Jace fosse ogni voltaun pugno nello stomaco. Doveva fingereche non le importasse, e che non notassela differenza. Entrò nella stanzasuccessiva e scoprì che era ancora unacamera da letto, molto simile a quella diprima, non fosse stato per il disordinetotale: il letto era un groviglio di copertee lenzuola in seta nera, la scrivania divetro e acciaio giaceva sotto un cumulodi libri e riviste, vestiti da ragazzosparpagliati ovunque. Jeans, giacche,magliette e attrezzature. L’occhio lecadde su qualcosa che brillava, sopra ilcomodino accanto al letto. Avanzò senzadistogliere lo sguardo, incredula dei

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propri occhi.Era il cofanetto di sua madre, quello

con le iniziali J.C. Quello che sua madretirava fuori ogni anno, una volta l’anno,per poi riversarci sopra un fiume dilacrime silenziose che le scorrevano giùper le guance fino alle mani. Claryconosceva il contenuto di quell’oggetto:una ciocca di capelli fini e bianchi comeun soffione; brandelli di una maglietta dabambino; una scarpina talmente piccolada starci nel palmo di una mano. Erano iresti di suo fratello, una sorta di collagedel bambino che sua madre avrebbevoluto, che aveva sognato, prima cheValentine facesse quello che aveva fattoe che trasformasse il suo stesso figlio inun mostro.

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J.C.Jonathan Christopher.Si sentì contorcere lo stomaco e

indietreggiò rapidamente per lasciare lastanza, finendo dritta contro un muro dicarne e ossa. Delle braccia laavvolsero, stringendola forte, e Claryvide che erano snelle, muscolose,ricoperte da una peluria chiara. Per unattimo pensò che a stringerla fosse Jace,e cominciò a rilassarsi.

— Che cosa ci fai in camera mia? —le disse all’orecchio Sebastian.

Isabelle era stata abituata asvegliarsi presto ogni mattina, con lapioggia o con il sole, e una leggerasbronza non le impedì certo di farloanche quel giorno. Si mise lentamente a

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sedere e abbassò gli occhi su Simon.Non aveva mai trascorso un’intera

notte a letto con qualcuno, a partequando aveva quattro anni e per pauradei temporali correva in camera deigenitori. Non riusciva a fare a meno diguardare Simon come se fosse unaspecie di animale esotico. Era straiatosulla schiena, a bocca leggermenteaperta, con i capelli sugli occhi.Normali capelli castani, normali occhicastani. Aveva la maglietta leggermentealzata. La pancia era piatta e liscia, masenza addominali in rilievo, e nei trattidel viso c’era ancora qualcosa diinfantile. Ma cos’era che le piaceva, dilui? Era carino, certo, ma lei era uscitacon dei cavalieri mozzafiato del Popolo

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Fatato, con degli Shadowhunterssupersexy e così via…

— Isabelle — disse a un trattoSimon senza aprire gli occhi. —Piantala di fissarmi.

Lei fece un sospiro spazientito e silanciò giù dal letto, poi rovistò nellaborsa per recuperare le sue cose e uscì acercare il bagno.

Era a metà del corridoio, e una portasi aprì proprio in quel momento, facendoemergere Alec in una nuvola di vapore.Aveva un asciugamano attorno allespalle e si stava strofinando con vigore icapelli neri. Isabelle pensò che in fondonon doveva stupirsi di vederlo, perchéanche lui era stato abituato ad alzarsipresto.

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— Sai di sandalo — gli disse comesaluto. Era un odore che lei odiava.Preferiva le essenze più dolci: vaniglia,cannella, gardenia.

Alec la guardò. — A noi piace ilsandalo.

Isabelle fece una smorfia. — O è uncaso di pluralis maiestatis, oppure tu eMagnus state diventando una di quellecoppie che pensano di essere una cosasola. “A noi piace il sandalo”;“Adoriamo la musica sinfonica”;“Speriamo che il nostro regalo di Nataleti piaccia”… Il che, se mi permetti, èsolo un modo furbo per evitare dicomprare due regali.

Alec batté le sue ciglia umide. — Locapirai…

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— Se stai dicendomi che lo capiròquando anch’io sarò innamorata, prendoquell’asciugamano e ti soffoco.

— E se tu continui a impedirmi ditornare in camera mia a vestirmi, dico aMagnus di far venire le fate ad annodartii capelli.

— Oh, togliti dai piedi — feceIsabelle tirando un calcio alla cavigliadi Alec, il quale si incamminò, senzafretta, lungo il corridoio. Aveva lasensazione che, se si fosse voltata aguardarlo, lo avrebbe sorpreso a farleuna linguaccia, perciò preferì nongirarsi. Si chiuse invece nel bagno e aprìla doccia a pieno getto. Quando vide lamensola con i prodotti per il corpo, feceun’esclamazione poco signorile.

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Shampoo al sandalo, balsamo alsandalo, sapone al sandalo. Puah.

Dopo che finalmente uscì, con ladivisa indosso e i capelli raccolti, trovòAlec, Magnus e Jocelyn che laaspettavano in salotto. C’eranociambelle, di cui non aveva voglia, ecaffè, che invece prese. Lo macchiò conuna generosa quantità di latte e si misecomoda. Rimase stupita dall’aspetto diJocelyn: anche lei indossava la divisada Shadowhunter.

Era strano, pensò. La gente le dicevaspesso che assomigliava a sua madre,anche se lei non riusciva a renderseneconto, e in quel momento si chiese seper loro due fosse come per Clary eJocelyn. Stesso colore di capelli, sì, ma

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anche stessi lineamenti, inclinazionedella testa, mento imbronciato. La stessasensazione, guardandole, che da fuorisembravano bambole di porcellana, madentro erano d’acciaio. A dire il vero, aIsabelle sarebbe piaciuto ereditare gliocchi azzurri di Maryse e di Robert,come Clary quelli verdi della madre.L’azzurro era molto più interessante delnero.

— Come per la Città Silente, c’è unasola Città di Diamante, ma molte porteattraverso cui trovarla — spiegòMagnus. — Per noi, la più vicina èl’antico monastero agostiniano diGrymes Hill, a Staten Island. Io e Alecci arriveremo con voi tramite portale, easpetteremo il vostro ritorno, perché noi

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non possiamo proseguire oltre.— Lo so — disse Isabelle. —

Perché voi siete maschi. Bleah!Alec le puntò un dito contro. —

Prendila sul serio, Isabelle. Le Sorelledi Ferro non sono come i FratelliSilenti. Sono molto meno amichevoli enon amano essere disturbate.

— Prometto che mi comporterò almeglio — annunciò Isabelle posando latazza di caffè, ora vuota, sul tavolo. —Andiamo.

Magnus la guardò con aria sospettaper un istante, poi scrollò le spalle. Quelgiorno aveva trasformato i capelli, conil gel, in un milione di punte; gli occhierano truccati di nero, il che li rendevapiù felini che mai. Oltrepassò Isabelle e

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si avvicinò alla parete già mormorandoin latino, finché la sagoma familiare diun portale, simile a un arcano portonecontornato da simboli luccicanti, noniniziò a delinearsi. Si alzò un ventofreddo e tagliente che spinse all’indietrole ciocche di capelli di Isabelle.

Per prima si fece avanti Jocelyn.Quando attraversò il portale, fu un po’come guardare una persona che sparivadentro un’onda d’acqua, ingoiata in unbagliore argenteo che offuscò il rossodei capelli mentre lei svaniva emettendoun debole luccichio.

La seconda fu Isabelle. Era abituataal senso di vuoto che dava il trasportovia portale: un rombo nelle orecchie eniente aria nei polmoni. Chiuse gli occhi

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e li riaprì quando il vortice la liberò,facendola cadere in mezzo a dellesterpaglie secche. Si alzò in piedi,pulendosi le ginocchia dalle erbaccemorte, e vide che Jocelyn la stavaguardando. Aprì la bocca per parlare,ma la richiuse non appena comparveMagnus, col portale scintillante che giàsi chiudeva alle sue spalle.

Nemmeno quel viaggio avevascompigliato i capelli a punta diMagnus, che se li toccò con orgoglio. —Guarda che roba — disse a Isabelle.

— Magia?— Gel. Tre dollari e novantanove al

supermercato.Isabelle fece roteare gli occhi,

esasperata, poi si guardò attorno per

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ispezionare la zona. Si trovavano sullacima di una collina, coperta da cespuglisecchi ed erba ingiallita. Più in bassoc’erano alberi anneriti dall’autunno e,molto in lontananza, sullo sfondo di uncielo limpido, Isabelle intravedeva laparte superiore del Ponte di Verrazzano,che collega Staten Island a Brooklyn.Quando si voltò, si accorse che dietro lesue spalle, sopra un tappeto di fogliespente, si ergeva il monastero. Eraimbrattato qua e là da graffiti.

Uno stormo di avvoltoi collorosso,disturbati dall’arrivo dei viaggiatori,volavano attorno alla torre delcampanile ormai decrepita.

Isabelle osservò l’edificio conattenzione, per cercare di capire se ci

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fosse un incantesimo da svelare. Se cosìfosse stato, allora avevano a che farecon qualcosa di davvero potente. Niente.Malgrado gli sforzi, davanti a sé nonvedeva altro che una costruzione inrovina.

— Non ci sono incantesimi —dichiarò Jocelyn, cogliendola disorpresa. — Quello che vedi è purarealtà.

Jocelyn avanzò a fatica,schiacciando con gli stivali gli arbustiinariditi che si trovava sul cammino. Unattimo dopo Magnus scrollò le spalle ela seguì, con Alec e Isabelle dietro. Nonc’era alcun sentiero: i rami crescevano agrovigli, scuri contro l’aria limpida, e ilfogliame crepitava secco sotto i loro

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piedi. Mentre si avvicinavanoall’edificio, Isabelle notò che in alcunipunti l’erba secca era stata distrutta dapentagrammi e cerchi runici disegnaticon bombolette spray.

— Mondani — disse Magnusspostando un ramo dal cammino diIsabelle. — Fanno i loro stupidigiochetti con la magia, ma non lacapiscono davvero. Spesso si sentonoattratti da luoghi come questo, centri dienergia, senza nemmeno sapere ilperché. Bevono, stanno insieme ecoprono le pareti di graffiti, come sefosse possibile lasciare un segno umanosu ciò che è magico. — Raggiunsero unaporta, sbarrata con assi di legno, che siapriva in una parete di mattoni. — Ci

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siamo.Isabelle guardò la porta con grande

attenzione. Anche stavolta nessunsentore di incantesimo, sebbene,concentrandosi a fondo, riuscisse aintravedere un debole luccichio, simile aquello del sole sull’acqua. Jocelyn eMagnus si scambiarono uno sguardo, poilei si rivolse a Isabelle. — Sei pronta?

Isabelle annuì e, senza aggiungerealtro, Jocelyn fece un passo in avantidissolvendosi fra le tavole di legnodella porta. A quel punto Magnus guardòIsabelle con impazienza.

Alec le si avvicinò, e lei avvertì iltocco della mano del fratello sullaspalla. — Non ti preoccupare — ledisse. — Non ti succederà niente, Iz.

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Lei sollevò il mento. — Lo so —rispose, poi seguì Jocelyn dentro laporta.

Clary trattenne il fiato, ma prima chepotesse replicare si sentirono dei passisulla scala e, in fondo al corridoio,comparve Jace. Sebastian mollò subitola presa su Clary e la girò verso di sé.Col sorriso di un lupo, le arruffò icapelli. — Che bello vederti, sorellina.

Clary era senza parole. Jace sidiresse verso di loro senza emettere unsuono. Indossava un giubbino di pellenero, una maglietta bianca e dei jeans,ed era scalzo. — Stavi abbracciandoClary? — chiese a Sebastianguardandolo sbalordito.

L’altro fece spallucce. — È mia

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sorella. Sono contento di vederla.— Tu non abbracci le persone —

ribatté Jace.— Non ho avuto tempo di preparare

dei biscotti.— Non è niente, Jace — intervenne

Clary, liquidando con un gesto ilfratello. — Sono inciampata. Mi hasoltanto aiutata a non cadere.

Se Sebastian fu sorpreso di sentireche Clary lo stava difendendo, di certonon lo diede a vedere. Il suo volto nontradiva alcuna espressione, mentre laragazza attraversava il corridoio perraggiungere Jace, che la baciò sullaguancia sfiorandole la pelle con le ditafredde. — Che cosa ci facevi, quisopra? — le chiese lui.

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— Ti stavo cercando — rispose lei,scrollando le spalle. — Mi sonosvegliata e non riuscivo a trovarti, cosìho pensato che magari stavi ancoradormendo.

— Vedo che hai scoperto ilnascondiglio dei vestiti — disseSebastian indicando la maglietta diClary. — Ti piacciono?

Jace gli lanciò un’occhiataccia. —Siamo usciti a prendere da mangiare —disse a Clary. — Niente di particolare,pane e formaggio. Vuoi pranzare?

E fu così che, qualche minuto dopo,Clary si ritrovò seduta al grande tavolodi vetro e acciaio. Dal genere dipietanze che aveva davanti, capì che lasua seconda ipotesi su dove si trovasse

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era giusta: Venezia. Pane, formaggi,affettati misti, marmellata di uva e difichi, bottiglie di vino. Jace era sedutodi fronte a lei, Sebastian a capotavola.Le tornò alla mente l’inquietante ricordodella notte in cui aveva incontratoValentine, al Renwick di New York,quando si era messo a capotavola fra leie Jace offrendo loro del vino e dicendoche erano fratello e sorella.

In quel momento guardò di sottecchiil suo vero fratello. Pensòall’espressione di sua madre quandol’aveva visto. Valentine. Sebastian,però, non era la copia carbone delpadre. Aveva visto delle foto diValentine alla loro età. Il viso diSebastian temperava i lineamenti duri

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del padre con la bellezza della madre;era alto, ma con le spalle meno larghe,più snello e felino nei movimenti. Avevagli zigomi e la bocca sottile e morbidadi Jocelyn, gli occhi scuri e i capellibiondo platino di Valentine.

In quel momento, lui alzò lo sguardo,come se l’avesse sorpresa a guardarlo.— Vino? — le disse porgendo labottiglia.

Lei annuì, anche se il vino non le eramai piaciuto molto e, dall’episodio delRenwick, l’aveva addirittura odiato. Sischiarì la voce mentre Sebastian leriempiva il bicchiere. — E dimmi,questo posto… è tuo? — gli chiese.

— Era di nostro padre — rispose luiappoggiando la bottiglia. — Di

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Valentine. Si muove, dentro e fuori daimondi. Lo usava sia come ritiro, siacome mezzo di trasporto. Mi ci haportato qualche volta, spiegandomicome entrare e come farlo spostare.

— Non c’è la porta d’ingresso.— C’è, se sai come trovarla —

disse Sebastian. — Papà è stato moltofurbo, riguardo a questo posto.

Clary guardò Jace, che scosse latesta. — A me non lo ha mai fattovedere. Neanche immaginavo cheesistesse.

— Fa molto… casa da singlerampanti — commentò Clary. — Nonavrei mai pensato a Valentine come auno che…

— Aveva anche un televisore a

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schermo piatto — fece Jacesorridendole. — Non che prenda icanali, però ci puoi guardare i DVD.Alla tenuta avevamo una ghiacciaia chefunzionava con la stregaluce. Qui c’è unfrigorifero di ultima generazione.

— Quello era per Jocelyn —intervenne Sebastian.

Clary alzò lo sguardo. — Cosa?— Tutte quelle cose moderne. Gli

elettrodomestici. E i vestiti. Comequella maglietta che indossi ora. Eranoper nostra madre, nel caso avesse decisodi tornare. — Gli occhi scuri diSebastian incontrarono i suoi. Provò unsenso di nausea. Questo è mio fratello,e stiamo parlando dei nostri genitori.Si sentì girare la testa: troppe cose,

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troppo in fretta. Non aveva mai avuto iltempo di pensare a Sebastian come a unsuo fratello reale, vivente. Quandoaveva scoperto chi era in realtà, lui eragià morto.

— Scusa se è strana — disse Jace intono di scuse, indicando la camicetta. —Possiamo comprarti degli altri vestiti.

Clary si sfiorò appena la manica.Tessuto setoso, sottile, di lusso. Alloraera quella la spiegazione: tutto più omeno della sua taglia, tutto di tonalitàche le donavano. Perché somigliava asua madre.

Fece un respiro profondo. — Tuttobene — disse. — È solo che… cosa fatedi preciso? Andate in giro stando dentroquesto appartamento e…

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— Vediamo il mondo? — dissepiano Jace. — C’è di peggio.

— Ma non potrete farlo per sempre.Sebastian non aveva mangiato molto,

ma in compenso aveva bevuto duebicchieri di vino. Ora era al terzo e gliocchi gli luccicavano. — Perché no?

— Be’, perché… perché il Conclavevi sta cercando, e non potete continuarea scappare e a nascondervi persempre… — la voce di Clary le sismorzò in gola mentre spostava gli occhidall’uno all’altro. Si erano scambiati losguardo di due persone al corrente diqualcosa che tutti gli altri ignoravano.Era uno sguardo che Jace non scambiavacon altri, di fronte a lei, da molto, moltotempo.

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Sebastian parlò lentamente, a bassavoce: — È una domanda oun’affermazione?

— Lei ha il diritto di conoscere inostri piani — disse Jace. — È venutaqui sapendo di non poter tornareindietro.

— Un bell’atto di fede — feceSebastian passando un dito sul bordo delbicchiere. Era un gesto che Clary avevagià visto fare a Valentine. — In te. Lei tiama. È per questo che è qui. Non è così?

— E allora? — replicò Clary. Forseavrebbe potuto fingere che ci fosseun’altra ragione, ma gli occhi diSebastian erano così tenebrosi epenetranti… Dubitava che le avrebbecreduto. — Mi fido di Jace.

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— Ma non di me — le fece ecoSebastian.

Clary scelse le parole con estremacura. — Se Jace si fida di te, alloravoglio fidarmi anch’io — disse. — Esei mio fratello. Conterà qualcosa. —Sentì in bocca il sapore amaro dellabugia. — Anche se non ti conoscoveramente.

— Allora, forse, dovresti investireun po’ di tempo per imparare a farlo —propose Sebastian. — E a quel punto tiracconteremo i nostri piani.

Ti racconteremo. Nostri. Nella suamente c’era lui e c’era Jace. Non c’eraJace con Clary.

— Non mi va di tenerla all’oscuro— intervenne Jace.

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— Glielo diremo fra una settimana.Che differenza fa?

Jace gli lanciò un’occhiataccia. —Due settimane fa eri morto.

— Infatti non ho parlato di ben duesettimane — puntualizzò l’altro. —Sarebbe una pazzia.

La bocca di Jace si increspò agliangoli. Guardò Clary.

— Sono disposta ad aspettare che vifidiate di me — affermò, sapendo cheera la cosa più giusta da dire. E piùdifficile. — Non importa quanto civorrà.

— Una settimana — disse Jace.— Una settimana — acconsentì

Sebastian. — E questo significa che leiresta qui, in casa. Niente contatti con

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nessuno. Non le si apre la porta, nienteandirivieni.

Jace si appoggiò allo schienale. —E se ci sono io con lei?

Sebastian gli lanciò una lungaocchiata da sotto le ciglia abbassate.Aveva uno sguardo calcolatore. Clarycapì che stava decidendo cosaconsentire a Jace di fare, quanto lungapoteva essere la catena di suo “fratello”.— D’accordo — disse infine con vocepiena di condiscendenza. — Se ci sei tu.

Clary abbassò lo sguardo sul suobicchiere di vino. Aveva sentito Jacerispondere con un mormorio, ma nonriusciva a guardarlo. L’idea di lui chedovesse ricevere il permesso di farequalcosa, proprio lui che faceva sempre

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quello che voleva, le faceva venire ilvoltastomaco. Avrebbe voluto alzarsi espaccare la bottiglia in testa a Sebastian,ma sapeva che era impossibile. Ferisciuno, e l’altro sanguinerà.

— Com’è il vino? — Era la voce diSebastian, con un netto sottofondosarcastico.

Clary svuotò il bicchiere finoall’ultima goccia, mentre il saporeamaro le andava di traverso. —Delizioso.

Isabelle riemerse in un paesaggioalieno. Davanti a lei, sotto unincombente cielo grigio scuro, siestendeva una pianura color verdeintenso. Alzò il cappuccio della divisa eguardò davanti a sé, incuriosita. Non

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aveva mai visto una distesa di cielo cosìgrandiosa, a volta, e nemmeno unapianura di quella vastità: brillava comeuna gemma color muschio. Facendo unpasso, si accorse che il muschio c’eradavvero, e che cresceva tutto attornoalle rocce sparse su una terra nera comeil carbone.

— È una pianura vulcanica —spiegò Jocelyn. Era in piedi accanto aIsabelle e il vento aveva iniziato aliberare qualche ciocca rosso rame dalsuo stretto chignon. La somiglianza conClary era impressionante. — Queste, untempo, erano pianure laviche.Probabilmente l’intera area è di originevulcanica. Lavorando con l’adamas, leSorelle hanno bisogno di un calore

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incredibile, per forgiare le lorocreazioni.

— Uno se lo immaginerebbe unposto un po’ più caldo — brontolòIsabelle.

Jocelyn le lanciò un’occhiataccia einiziò a camminare verso una direzioneche a Isabelle sembrò scelta a caso. Laseguì arrancando. — A volte sei cosìsimile a tua madre che mi lasci quasisenza parole, Isabelle.

— Lo prendo come un complimento— fece l’altra socchiudendo gli occhi.Nessuno poteva osare insultare la suafamiglia.

— Guarda che non lo dicevo peroffenderti.

Isabelle tenne gli occhi puntati verso

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l’orizzonte, dove il cielo cupoincontrava la pianura verde smeraldo.— Conoscevi bene i miei genitori?

Jocelyn le diede un rapido sguardodi sottecchi. — Sì, abbastanza. Eravamotutti insieme, a Idris. Li ho rivisti pocotempo fa, dopo anni.

— Li conoscevi già quando si sonosposati?

Il sentiero scelto da Jocelyn avevacominciato a farsi ripido, perciò larisposta fu leggermente affannata. — Sì.

— Erano… innamorati?Jocelyn si fermò e si voltò per

guardarla. — Isabelle, dove vuoiarrivare?

— A parlare d’amore? — rispose laragazza dopo un attimo di silenzio.

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— Non so per quale motivo dovrestiritenermi un’esperta dell’argomento.

— Be’, in fondo sei riuscita a tenertiattorno Luke per tutta la vita, prima diaccettare di sposarlo. È notevole. Ancheio vorrei avere lo stesso potere suiragazzi.

— Eh sì — le disse Jocelyn. —Voglio dire, ce l’hai. Ma non è una cosada desiderare. — Jocelyn si portò lemani fra i capelli, e Isabelle sussultò.Per quanto quella donna somigliasse allafiglia, le mani lunghe e sottili, flessuosee delicate, erano quelle di Sebastian.Isabelle ricordò di averne tagliata una,nella valle di Idris, quando la sua frustaaveva squarciato pelle e ossa. — I tuoigenitori non sono perfetti, Isabelle,

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perché nessuno lo è. Sono personecomplicate. E hanno appena perso unfiglio. Quindi, se ti stai riferendo al fattoche tuo padre è rimasto a Idris…

— Mio padre ha tradito mia madre— confessò tutto d’un fiato la ragazza, eper poco non si portò d’istinto una manoalla bocca per coprirla. Avevamantenuto quel segreto per anni, e dirload alta voce a Jocelyn aveva il saporedel tradimento, malgrado tutto.

L’espressione dell’altra cambiò. Orac’era comprensione nel suo sguardo. —Lo so.

Isabelle trasalì. — Lo sanno tutti?Jocelyn scosse la testa. — No, solo

alcuni. Io ero… in una posizioneprivilegiata per saperlo. Di più non ti

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posso dire.— Chi era? — volle sapere Isabelle.

— Con chi l’ha tradita?— Nessuno di tua conoscenza,

Isabelle…— Tu non sai chi conosco io! —

esclamò lei alzando la voce. — E poipiantala di pronunciare il mio nome aquel modo, come se fossi una bambinapiccola.

— Non spetta a me dirtelo — disseJocelyn in tono asciutto prima diriprendere a camminare.

Isabelle si mosse subito per seguirla,anche se il sentiero si era fattoimprovvisamente molto scosceso, unmuro di verde che saliva a incontrare ilcielo minaccioso.

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— Ho tutto il diritto di sapere. Sonoi miei genitori. E se ora non me lo dici,io…

Si fermò, inspirando forte. Avevanoraggiunto la cima del crinale e, non sisapeva come, davanti ai loro occhi eraspuntata dal suolo una fortezza, come unfiore dischiusosi all’improvviso. Erainteramente ricavata da adamas biancoargenteo, che rifletteva il cielo striato dinuvole. Torri con la cima ricoperta dielettro si levavano verso l’alto, e il tuttoera circondato da un’alta muraglia,anch’essa di adamas, nella quale siapriva un unico cancello formato da dueenormi lame infilzate obliquamente nelterreno, come a formare un mostruosopaio di forbici.

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— La Città di Diamante — annunciòJocelyn.

— Grazie tante — ribatté Isabelle.— C’ero arrivata da sola.

Jocelyn emise un suono al qualeIsabelle era abituata, visto che lo avevagià sentito varie volte dai suoi genitori.Ed era pressoché sicura che si trattavadella definizione che gli adulti davanodegli adolescenti. A quel punto, la donnainiziò la discesa dalla collina verso lafortezza. Isabelle, stanca di arrancare,accelerò il passo per superarla. Era piùalta della madre di Clary e aveva legambe più lunghe, inoltre non vedeva ilmotivo per cui avrebbe dovutoaspettarla se poi lei si ostinava atrattarla come una bambina. Scese a

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grandi passi dal pendio, schiacciando ilmuschio sotto gli stivali, finché siabbassò per attraversare il cancello aforma di forbici…

E lì rimase senza fiato. Si ritrovò inpiedi sulla minuscola sporgenza di unaroccia, mentre di fronte a lei la terra siapriva in un enorme baratro, in fondo alquale ribolliva un fiume di lava rossooro che circondava la fortezza.Dall’altra parte del fossato, troppogrande da saltare anche per unoShadowhunter, c’era l’unica entratavisibile dell’edificio, ovvero un pontelevatoio sollevato.

— Certe cose — disse a quel puntoJocelyn, giunta di soppiatto al suo fianco— non sono semplici come sembrano a

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prima vista.Isabelle trasalì, poi la guardò di

traverso. — Direi che non è proprio ilposto adatto per far spaventare unapersona…

Jocelyn si limitò a incrociare lebraccia al petto e a sollevare lesopracciglia. — Hodge ti avrà certoinsegnato il metodo più adatto peravvicinarti alla Città di Diamante —disse. — In fondo, è accessibile a tuttele donne Shadowhunter in buoni rapporticon il Conclave.

— Certo che sì — rispose Isabellein tono altezzoso, sforzandosi con lamente di ricordare. Solo chi ha ilsangue dei Nephilim… Alzò una mano esi tolse una delle bacchette di metallo

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dai capelli. Quando ne fece ruotare labase, questa scattò e si trasformò in unpugnale con la runa del coraggio sullalama.

Isabelle sollevò le mani sopra ilprecipizio. — Ignis aurum probat —esclamò, poi usò la lama per incidersi ilpalmo sinistro. Provò un dolorelancinante, e dalla ferita sgorgò unrivolo di sangue scarlatto che si riversònel burrone. Ci fu un bagliore di luceazzurra e si sentì un frastornantesferragliare: il ponte levatoio si stavalentamente abbassando.

Isabelle sorrise e pulì la lama delpugnale sulla divisa. Poi, con un altrorapido scatto, lo fece ridiventare unabacchetta di metallo, e se la rimise nei

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capelli.— Sai che cosa significa? — chiese

Jocelyn, senza staccare gli occhi dalponte che si abbassava verso di loro.

— Cosa?— Quello che hai detto, il motto

delle Sorelle di Ferro.A quel punto il ponte era quasi

orizzontale. — Significa che il fuocotempra l’oro.

— Giusto — fece Jocelyn. — Manon solo per quanto riguarda le armi oaltri oggetti metallici. Vale anche per leavversità che mettono alla prova la forzadi carattere. Nei momenti più difficili,nei momenti più bui, alcune personebrillano.

— Oh, davvero? — fece Izzy. —

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Be’, io sono stanca dei momenti bui edifficili. Forse non voglio brillare.

Il ponte levatoio si abbassò del tuttodavanti ai loro piedi, con un boato. —Se sei anche solo un poco come tuamadre — ribatté Jocelyn — non potraifare nulla per evitarlo.

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capitolo 9

LE SORELLE DI FERRO

Alec sollevò nella mano la pietrarunica di stregaluce, che emanava raggisplendenti, rischiarando prima un angolodella stazione City Hall e poi un altro.Sobbalzò allo squittio di un topo cheattraversava di corsa la piattaformapolverosa. Alec era uno Shadowhunter,non era la prima volta che si trovava inun luogo tetro, ma nella decadenza di

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quella stazione c’era qualcosa che glifaceva venire i brividi lungo la schiena.

Forse quello che sentiva era ilfremito della slealtà, dopo averabbandonato la postazione di guardia aStaten Island ed essersi precipitato alferry nell’esatto istante in cui Magnus sen’era andato. Non aveva riflettuto suquello che stava facendo, lo aveva fattoe basta, come se viaggiasse con il pilotaautomatico. Se si sbrigava, era sicuro diriuscire a tornare prima di Isabelle eJocelyn, prima ancora che qualcuno sirendesse conto del suo allontanamento.

A quel punto Alec alzò la voce. —Camille! — gridò. — Camille Belcourt!

Sentì una risatina, che rimbombòcontro i muri della stazione. E poi

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eccola là, in cima alle scale, colchiarore della stregaluce che la rendevasimile a un’ombra. — AlexanderLightwood — gli disse. — Sali.

In quel momento svanì. Alec seguì lapropria luce dardeggiante su per igradini e trovò Camille dove l’aveva giàincontrata, nell’ingresso della stazione.Era vestita secondo la moda di un’epocalontana: un lungo abito di velluto strettoin vita, capelli a boccoli candidiraccolti in alto, labbra rosso scuro.Doveva essere bellissima, anche se luinon era il più adatto a giudicare labellezza femminile. Il fatto di odiarla,poi, non era affatto d’aiuto.

— E quel costume? — le chiese.Lei fece un sorriso. Aveva la pelle

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bianca e liscia, priva di linee scure.Segno che si era nutrita di recente. —Un ballo in maschera giù in centro. Homangiato niente male. Perché sei qui,Alexander? Sentivi la mancanza di unpo’ di buona conversazione?

Se fosse stato Jace, pensò Alec,avrebbe risposto con una battuta a tono,con qualche gioco di parole o un insultovelato. Invece si mordicchiò un labbro edisse: — Mi hai chiesto di tornare, sefossi stato interessato alla tua offerta.

Camille accarezzò lo schienale deldivano con una mano. Era l’unicomobile in tutto l’ingresso della stazione.— E hai deciso che lo sei.

Alec annuì.Lei ridacchiò. — Ti rendi conto di

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quello che mi stai chiedendo?Alec si sentiva il cuore martellare

nel petto e si chiese se anche Camillepotesse sentirlo. — Hai detto che potevirendere Magnus mortale. Mortale comeme.

Le labbra carnose di lei siassottigliarono. — Vero — rispose. —E devo ammettere che dubitavo del tuointeresse. Te n’eri andato piuttostobruscamente.

— Non scherzare con me — ledisse. — Non voglio poi così tantoquello che mi offri.

— Bugiardo — rispose lei in tonoindifferente. — In quel caso non sarestiqui. — Oltrepassò il divano peravvicinarsi ad Alec, scrutandogli il

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volto. — Visto da vicino non assomiglicosì tanto a Will come pensavo. Hai isuoi colori, ma lineamenti diversi…forse la mascella un po’ sfuggente…

— Taci — le disse lui. D’accordo,non era ironico ai livelli di Jace, mameglio di niente. — Non voglio sentirparlare di Will.

— Molto bene — fece leistiracchiandosi languidamente, come ungatto. — È stato molti anni fa, quando ioe Magnus ci frequentavamo. Eravamo aletto insieme, dopo una serata piuttostofocosa… — Vide Alec sussultare esorrise. — Hai presente, no?, queidiscorsi che si fanno a letto, in cui sirivelano le proprie debolezze… Magnusmi parlò di un incantesimo con cui era

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possibile privare uno stregone della suaimmortalità.

— Allora perché non potrei scoprireio stesso di che incantesimo si tratta epoi realizzarlo? — La voce di Alec sialzò e poi si ruppe. — Perché avreibisogno di te?

— Primo, perché sei unoShadowhunter. Non hai idea di come sipraticano gli incantesimi — spiegò concalma. — Secondo, perché se lo fai tu,lui saprà chi è il colpevole. Se inveceme ne occupo io, penserà a una vendetta,a un gesto di rancore. E poi a me nonimporta quello che pensa. A te invecesì…

Alec la guardava con attenzione. —E lo farai per me come un favore?

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Camille rise, il suono di millecampanelli. — Certo che no — rispose.— Tu fai un favore a me, e io ne facciouno a te. È così che funzionano questecose.

La mano di Alec si strinse forteattorno alla stregaluce, finché i bordinon gli si infilzarono nella mano. — Eche favore vuoi da me?

— Molto semplice — fece lei. —Uccidere Raphael Santiago.

Il ponte che sovrastava il burronetutto intorno alla Città di Diamante erapunteggiato da coltelli infilzati, a lamainsù, posti a intervalli irregolari lungo ilpercorso, così da rendere possibileattraversare il ponte solo moltolentamente, scegliendo i passi con

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destrezza. Isabelle non ebbe moltadifficoltà, ma rimase sorpresa nelvedere con quanta bravura si facessestrada Jocelyn, non più attiva comeShadowhunter da oltre quindici anni.

Quando Isabelle ebbe raggiunto ilcapo opposto del ponte, la runa delladestrezza che aveva sulla pelle si era giàvolatilizzata, lasciando solo un leggeromarchio bianco. Jocelyn era solo unpasso dietro di lei e, per quanto Isabellela trovasse irritante, fu felice di vederlasollevare una mano in cui brillava unapietra runica di stregaluce, con la qualeilluminò lo spazio ai loro piedi.

Le pareti erano fatte di adamasliscio e argenteo, ed emanavano da soleun certo splendore. Su una di esse era

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apparsa un’ombra, un’ombra i cuicontorni si facevano sempre più chiari esempre più vicini. A un tratto una partedel muro scivolò all’indietro e uscì unadonna.

Indossava un abito bianco lungo eampio, ben stretto ai polsi, e sotto ilseno da una corda color biancoargenteo, una corda demoniaca. Il visoera liscio e antico al tempo stesso.Avrebbe potuto avere qualsiasi età. Icapelli erano lunghi e scuri, raccolti inuna spessa treccia che scendeva lungo laschiena. Sopra gli occhi e le tempie eratatuata una maschera dal disegnointricato, che circondava uno sguardoarancione come fiamme crepitanti.

— Chi è che chiama le Sorelle di

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Ferro? — chiese. — Pronunciate i vostrinomi.

Isabelle guardò in direzione diJocelyn, che la invitò con un gesto aparlare per prima. Lei si schiarì la voce.— Sono Isabelle Lightwood e lei èJocelyn Fr… Fairchild. Siamo venuteper chiedere il vostro aiuto.

— Jocelyn Morgenstern — replicòla donna. — Nata Fairchild, ma non ècosì semplice eliminare la macchia diValentine dal proprio passato. Voi avetevoltato le spalle al Conclave?

— È così — rispose Jocelyn. — Ione sono esclusa. Ma Isabelle è figlia delConclave. Sua madre…

— È a capo dell’Istituto di NewYork — disse l’altra donna. — Siamo

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lontane, ma non prive di fontid’informazione. E poi non sono unasciocca. Mi chiamo Sorella Cleophas,sono una Artigiana. Plasmo l’adamas inmodo che le altre Sorelle possanoinciderlo. Riconosco la frusta che tieniavvolta attorno alla vita con tanta astuzia— proseguì indicando Isabelle. —Quanto al ninnolo che porti al collo…

— Visto che sai così tante cose — lainterruppe Jocelyn, mentre la mano diIsabelle saliva lentamente sopra ilciondolo di rubino, — sai anche perchésiamo qui? Perché siamo venute da te?

Le palpebre di Sorella Cleophas siabbassarono e la donna fece un sorrisocauto. — A differenza dei nostri Fratelliche non parlano, noi qui alla Fortezza

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non sappiamo leggere nella mente. Perquesto ci basiamo su una rete diinformatori, in gran parte moltoaffidabili. Presumo che la vostra visitaabbia qualcosa a che fare con lasituazione di Jace Ligthwood, dato chec’è sua sorella, e di tuo figlio, JonathanMorgenstern.

— Ci troviamo di fronte a un enigma— spiegò Jocelyn. — JonathanMorgenstern complotta contro ilConclave, come suo padre, e ilConclave ha emesso un mandato dimorte contro di lui. Ma Jace, JonathanLightwood, è molto amato dalla suafamiglia, che non ha fatto niente di male,e da mia figlia. L’enigma sta nel fattoche Jace e Jonathan sono legati da una

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magia di sangue molto antica.— Magia di sangue? Che genere di

magia di sangue?Jocelyn prese gli appunti di Magnus

che teneva piegati nella tasca delladivisa e li passò alla Sorella. Lei lianalizzò con il suo sguardo fiero eintenso. Isabelle fu sorpresa di notareche Cleophas aveva le dita della manomolto lunghe, ma non erano elegantiquanto piuttosto grottesche, come se leossa fossero state allungate fino arendere la mano simile a un ragnoalbino. Le unghie erano appuntite eognuna terminava con dell’elettro.

Scosse la testa. — Le Sorelle hannopoco a che fare con la magia di sangue.— Fu come se il fuoco che aveva negli

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occhi divampasse e poi si attenuasse. Eun secondo dopo, un’altra ombraapparve dietro la superficie di vetroopaco della parete di adamas. Questavolta Isabelle guardò più da vicinomentre una seconda Sorella di Ferro sifaceva avanti. Era come osservarequalcuno che emergeva da una nuvola difumo bianco.

— Sorella Dolores — disseCleophas, passando gli appunti diMagnus alla nuova arrivata.Assomigliava molto a Cleophas: stessafigura alta e sottile, stesso abito bianco,stessi capelli lunghi che però erano grigie raccolti in due trecce legate con filodorato. Malgrado la chioma colorcenere, la pelle del viso era priva di

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rughe e lo sguardo luminoso. — Capisciqualcosa?

Dolores passò rapidamente inrassegna gli appunti. — Un incantesimodi gemellaggio — disse. — Moltosimile alla nostra cerimonia diparabatai, solo che la loro alleanza èdemoniaca.

— Cosa la rende tale? — domandòIsabelle. — Se il legame fra parabatai èinnocuo…

— Davvero? — disse Cleophas, maDolores le lanciò uno sguardo perzittirla.

— Il rituale dei parabatai uniscedue individui ma lascia libere le lorovolontà — spiegò Dolores. — Anchequesto li vincola, ma rende uno

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subordinato all’altro. Ciò di cui èconvinto l’elemento primario,convincerà anche il secondario; quelloche desidera l’uno, desidera anchel’altro. Essenzialmente rimuove il liberoarbitrio del secondo partner, ed è perquesto che viene consideratodemoniaco. Perché è il libero arbitrio arenderci creature celesti.

— Pare significhi anche che, quandouno dei due viene ferito, anche l’altrosubisce il colpo — aggiunse Jocelyn. —Possiamo presumere che la stessa cosavalga anche per la morte?

— Sì. Nessuno dei duesopravviverebbe alla morte dell’altro. Epure questo non rientra nel nostro ritualeparabatai, perché sarebbe troppo

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crudele.— La domanda che vi poniamo è

questa — riprese Jocelyn. — È mai statacreata un’arma, o potreste voi crearneuna, in grado di ferire soltanto uno deidue? O di dividerli?

Sorella Dolores abbassò lo sguardosugli appunti e poi li passò a Jocelyn. Lesue mani, come quelle della compagna,erano lunghe e sottili, bianche comelanugine. — Non esiste arma da noiforgiata, o che mai potremmo forgiare,in grado di fare una cosa del genere.

Isabelle serrò le mani lungo ifianchi, tanto che le unghie le incisero ipalmi. — State dicendo che non esistenulla?

— Nulla a questo mondo — spiegò

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Dolores. — Una lama del Paradiso odell’Inferno potrebbe farcela. La spadadell’arcangelo Michele, con la qualeGiosuè combatté a Gerico, perché èinfusa di fuoco paradisiaco. E ci sonoanche lame forgiate nelle tenebredell’Inferno che potrebbero esservid’aiuto, ma come ottenerle, questo nonlo so.

— E se anche lo sapessimo, laLegge ci impedirebbe di dirvelo —aggiunse Cleophas con fermezza. —Capirete, ovviamente, che dovremoinformare il Conclave di questa vostravisita…

— Cosa mi dite della spada diGiosuè? — la interruppe Isabelle. —Potete procurarvela? O possiamo farlo

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noi?— Soltanto un angelo potrebbe

donarvela — rispose Dolores. — Einvocare un angelo significa esserespazzati via dal fuoco del Paradiso.

— Ma Raziel… — fece Isabelle.Le labbra di Cleophas divennero una

linea sottile. — Raziel ci ha lasciato gliStrumenti Mortali a cui ricorrere neimomenti di disperato bisogno, maquell’unica possibilità è stata sprecataquando Valentine lo ha invocato. Nonsaremo mai più in grado di esigere dinuovo il suo aiuto. Usare gli Strumenti aquel modo è stato un crimine. L’unicomotivo per cui Clarissa Morgenstern èinnocente è che fu suo padre a invocarel’angelo, non lei.

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— Mio marito ne evocò anche unaltro — disse Jocelyn. Parlava in tonocalmo. — L’angelo Ithuriel. Lo tenneimprigionato per diversi anni.

Entrambe le Sorelle esitarono primache Dolores prendesse la parola. —Intrappolare un angelo è il più lugubredei crimini — disse. — Il Conclave nondarebbe mai la sua approvazione. Anchese riusciste a evocarne uno, non potrestemai convincerlo a soddisfare la vostrarichiesta. Non esiste un incantesimo perfarlo. Non potreste mai convincerel’angelo a darvi la spada dell’arcangelo:potete prendergliela con la forza, ma nonesiste crimine peggiore. Meglio chemuoia il vostro Jonathan, piuttosto chevedere un angelo infangato a quel modo.

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A quelle parole Isabelle, che nelfrattempo aveva incominciato ainfervorarsi, esplose. — È questo ilproblema, con voi. Con tutti voi, Sorelledi Ferro e Fratelli Silenti. Qualsiasicosa abbiano fatto per trasformarvi daShadowhunter in quello che siete, be’, viha strappato via ogni sentimento.Saremo in parte angeli, è vero, ma siamoanche in parte umani. Voi non capitel’amore, né le cose che ci spinge a fare,e neppure la famiglia…

Le fiamme si accesero negli occhiarancio di Dolores. — Io avevo unafamiglia — disse. — Un marito e deifigli, tutti uccisi dai demoni. Non mi erarimasto niente. Ero sempre stata brava acostruire oggetti, perciò sono diventata

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una Sorella di Ferro. In questo modo hotrovato una pace che credo non avreitrovato da nessun’altra parte. Ed è perquesto motivo che ho scelto il nomeDolores, perché contiene il significatodi dolore. Perciò non venirci a dire cosasappiamo o non sappiamo sullasofferenza o sull’essere umani.

— Voi non sapete niente — ribattéIsabelle. — Siete dure come la pietrademoniaca. Non c’è da stupirsi che lausiate per circondarvi.

— Il fuoco tempra l’oro, IsabelleLightwood — disse Cleophas.

— Oh, piantala — fece lei. — Nonsiete state di nessun aiuto, né l’una nél’altra.

Girò sui tacchi e tornò verso il

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ponte, guardando appena i punti in cui icoltelli rendevano il sentiero unatrappola mortale e lasciando che fossel’allenamento a guidarla d’istinto.Raggiunse l’altra sponda e varcò ilcancello; solo quando uscì fuori, crollò.In ginocchio sul muschio e le roccevulcaniche, sotto l’immenso cielo grigio,si lasciò andare a un fremito silenzioso,ma senza lacrime.

Le sembrarono passati secoli quandosentì accanto a sé dei passi leggeri.Jocelyn si inginocchiò per metterle unbraccio attorno alle spalle. Isabelle fusorpresa di notare che il suo gesto non lainfastidiva. Sebbene la madre di Clarynon le fosse mai piaciuta, nel suo toccoc’era qualcosa di così universalmente

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materno da spingerla ad abbandonarsi aesso, quasi contro la propria volontà.

— Vuoi sapere che cosa hanno detto,dopo che te ne sei andata? — le chieseuna volta che ebbe cessato di tremare.

— Scommetto qualcosa su come iosia una disgrazia per tutti gliShadowhunters del mondo eccetera.

— A dire il vero, Cleophas ha dettoche saresti un’ottima Sorella di Ferro, edi avvisarla, nel caso fossi interessata— disse Jocelyn accarezzandolelievemente la testa.

Malgrado tutto, Isabelle dovettesoffocare una risata. Alzò gli occhi suJocelyn. — Dimmelo.

La mano dell’altra donna si fermò.— Dirti cosa?

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— Chi era. Chi era la persona concui mio padre ha avuto una relazione. Tunon capisci: ogni volta che vedo unadonna dell’età di mia madre, mi chiedose è lei. La sorella di Luke. Il Console.Tu…

Jocelyn emise un sospiro. —Annamarie Highsmith. È mortanell’attacco di Valentine ad Alicante.Dubito che tu l’abbia mai incontrata.

Isabelle rimase un istante a boccaaperta, poi la chiuse di nuovo. — Nonho mai nemmeno sentito il suo nome.

— Bene. — Jocelyn si sporse persistemarle una ciocca di capelliall’indietro. — Ti senti un po’ meglio,ora che lo sai?

— Certo — mentì Isabelle, tenendo

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lo sguardo fisso in basso. — Mi sentomolto meglio.

Dopo pranzo Clary era tornata nellacamera al piano di sotto adducendo lascusa di essere esausta. Una voltarichiusa la porta alle sue spalle, avevariprovato a mettersi in contatto conSimon. In realtà si rendeva conto che,data la differenza di fuso orario tra NewYork e Venezia, città in cui si trovava inquel momento, lui stava sicuramentedormendo. O almeno era quello chesperava. Molto meglio pensare aquell’ipotesi rispetto alla possibilità chegli anelli non funzionassero…

Era in camera soltanto da unamezz’ora circa, quando sentì bussarealla porta. Disse “avanti” appoggiandosi

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all’indietro sulle mani e piegando ledita, come se potesse servire anascondere l’anello.

La porta si aprì lentamente. Sullasoglia, a guardarla c’era Jace. Le tornòalla mente un’altra notte, la calura estivae un colpo alla porta. Era Jace.Ripulito, in jeans e maglietta grigia, icapelli lavati a formare un’aureolaumida e dorata. I lividi sul voltostavano già passando dal viola algrigio chiaro. Aveva le mani dietro laschiena.

— Ehi — disse. Ora aveva le manibene in vista e indossava un maglionecolor bronzo, dall’aria soffice, che glimetteva in risalto l’oro negli occhi. Sulviso non c’erano lividi, e anche le

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occhiaie alle quali Clary ormai si eraquasi abituata erano sparite.

È felice così? Davvero felice? E selo è, da cosa lo state proteggendo?

Clary mise a tacere la vocina chesentiva in testa e si sforzò di sorridere.— Come va?

Anche lui sorrise. Il suo era unsorriso malizioso, di quelli che lefacevano scorrere il sangue più in frettanelle vene. — Mi concedi unappuntamento?

Presa alla sprovvista, Clarybalbettò. — Un c-cosa?

— Un appuntamento — ripeté Jace.— Quella cosa che si prende spesso coni dentisti. Soltanto che in questo casosarà una serata di romanticismo al

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fulmicotone con il sottoscritto.— Oh davvero? — Clary non

sapeva bene come reagire. — Alfulmicotone?

— Eh be’, stiamo parlando delsottoscritto — fece Jace. — Guardarmimentre gioco a Scarabeo è giàabbastanza per far sospirare moltefanciulle. Tu pensa se io volessi anchemetterci dell’impegno.

Clary si mise a sedere dritta e sidiede un’occhiata. Jeans e maglietta diseta verde. Pensò ai cosmetici chec’erano in quella strana stanza simile aun reliquiario. Non poteva farne a meno:avrebbe voluto un pochino dilucidalabbra.

Jace le porse una mano. — Sei

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stupenda — le disse. — Andiamo.Gli prese la mano e lasciò che la

aiutasse ad alzarsi. — Non so…— Dai. — La voce di Jace aveva

quel tono autoironico e seducente cheClary ricordava dai tempi in cuiavevano cominciato a conoscersi, daquella volta in cui l’aveva portata nellaserra per mostrarle i fiori chesbocciavano a mezzanotte. — Siamo inItalia, a Venezia, una delle città più belledel mondo. Peccato non vederla, noncredi?

Jace la tirò a di sé e lei gli caddecontro il petto. Il tessuto della camiciaera setoso sotto le dita; il profumo delsapone e dello shampoo quello disempre. Clary ebbe un tuffo al cuore. —

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Oppure potremmo restarcene qui —propose lui, con un po’ di affanno nellavoce.

— Così posso svenire guardandotiscrivere una parola lunghissima aScarabeo? — Fece uno sforzo perstaccarsi da lui. — E risparmiami lebattute sulla lunghezza, per favore.

— Accidenti, donna, tu mi leggi nelpensiero — fece lui. — Ma esiste unabattuta sporca che non riesci aprevedere?

— Sono i miei speciali poterimagici. Riesco a leggerti nel pensieroogni volta che pensi al sesso.

— Quindi per il novantacinque percento del tempo.

Clary inclinò all’indietro la testa per

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osservarlo. — Novantacinque? E l’altrocinque?

— Oh, sai, le solite cose… Demoniche potrei uccidere, gente che mi ha datofastidio tempo fa, anatre.

— Anatre?Lui liquidò la domanda con un gesto

della mano. — Esatto. Ora stai aguardare. — Le prese le spalle e lavoltò con delicatezza, di modo cheentrambi guardassero nella stessadirezione. Un secondo dopo, Clary noncapì bene in che modo, fu come se lepareti della stanza si sciogliesseroattorno a loro, lasciandoli in piedi su unselciato. Rimase senza fiato e si girò perguardare dietro di sé, ma vide soltantola facciata di un antico edificio in pietra

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con delle grandi finestre in alto. File dipalazzi dello stesso genere siaffacciavano sul canale accanto al qualesi trovavano. Se piegava la testa asinistra, vedeva, in lontananza, che ilcanale sfociava in un corso d’acquamolto più largo, profilato da edificimaestosi. Ovunque regnava l’odoredell’acqua e della pietra.

— Fico, eh? — disse Jace conorgoglio.

Lei si voltò a guardarlo. — Anatre?— chiese di nuovo.

L’angolo della bocca di lui sisollevò in un sorriso. — Odio le anatre.Non so perché, ma le ho sempre odiate.

Era mattino presto, quando Maia eJordan arrivarono alla Praetor House, il

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quartier generale del Praetor Lupus. Ilfurgone cigolò e sobbalzò sul lungosentiero bianco che tagliava i praticurati alla perfezione e giungeva finoall’enorme villa che si ergeva come laprua di una nave in lontananza. DietroMaia intravedeva file di alberi e, ancorapiù in là, le acque azzurre di un bracciodi mare.

— È qui che si svolgeva la vostrapreparazione? — chiese la ragazza. —Questo posto è magnifico!

— Non lasciarti ingannare — ledisse Jordan con un sorriso. — È uncampo di addestramento, e cheaddestramento!

Lei lo guardò di sottecchi. Jordancontinuava a sorridere. Lo faceva

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praticamente senza sosta da quandoall’alba lei lo aveva baciato sullaspiaggia. Parte di lei si sentiva come seuna mano l’avesse sollevata e riportataindietro nel passato, quando amavaJordan oltre ogni cosa immaginabile,mentre un’altra parte era completamentesconvolta, come se si fosse svegliata inun paesaggio del tutto ignoto, lontana dalconforto della vita quotidiana e dalcalore del branco.

Era una sensazione molto strana.Non spiacevole, pensò. Soltanto…strana. Jordan si fermò su uno spiazzorotondo davanti alla villa; osservandol’edificio da vicino, Maia notò che erafatto di blocchi di pietra dorata colorbruno fulvo, quello della pelliccia dei

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lupi. Un portone a due battenti, nero, sistagliava in cima a una massicciascalinata in pietra. Il centro dellospiazzo era dominato da una grandemeridiana, il cui quadrante in rilievodiceva che erano le sette del mattino.Attorno al bordo c’era incisa una scritta:SEGNO SOLO LE ORE LIETE.

Maia aprì la portiera e scese dalfurgone, proprio mentre le porte dellavilla si aprivano e una voce chiamava:— Praetor Kyle!

Sia Jordan che Maia alzarono losguardo. A scendere le scale era unuomo di mezza età, con un abito colorcarbone e i capelli biondi striati digrigio. Jordan, cancellando dal visoqualsiasi espressione, lo salutò. —

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Praetor Scott, lei è Maia Roberts, delbranco di Garroway. Maia, questo èPraetor Scott. Si può dire che sia lui ilcapo del Praetor Lupus.

— È dall’Ottocento che gli Scottgovernano l’ordine — spiegò l’uomolanciando uno sguardo a Maia, la qualeinchinò la testa in segno di riverenza. —Jordan, devo ammettere che non ciaspettavamo di rivederti tanto presto. Lafaccenda del vampiro di Manhattan, ilDiurno…

— È sotto controllo — tagliò cortoJordan. — Non è quello il motivo percui siamo qui. Il problema è tutt’altro…

Praetor Scott sollevò unsopracciglio. — Così però miincuriosisci…

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— Si tratta di una questione urgente— intervenne Maia. — Luke Garroway,il nostro capobranco…

Praetor Scott le lanciò un’occhiatatagliente per zittirla. Anche se non avevaun branco, quell’uomo era un maschioalfa, lo si capiva dall’atteggiamento. Gliocchi, sotto quelle sopracciglia folte,erano verde-grigio; attorno alla gola,sotto il colletto della camicia, brillava ilciondolo di bronzo del Praetor consopra l’orma di un lupo. — È il Praetora decidere quali argomenti sono daconsiderare urgenti — affermò. — E poinoi non siamo un albergo, aperto agliospiti senza invito. Jordan ha corso unrischio a portarti qui, e ne èconsapevole. Se non fosse uno dei nostri

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diplomati più promettenti, potrei anchemandarvi via entrambi.

Jordan si infilò i pollici nella cinturadei jeans e guardò a terra. Un istantedopo Praetor Scott gli mise una manosulla spalla.

— Sta di fatto, a ogni modo —riprese, — che sei uno dei nostridiplomati più promettenti. E hai l’ariaesausta; si vede che sei stato svegliotutta la notte. Vieni, andiamo a parlarenel mio ufficio.

L’ufficio doveva essere in fondo a unlungo e tortuoso corridoio rivestito dilegno scuro. La villa risuonava di vocie, accanto a una scala che portava alpiano superiore, c’era un cartello con unelenco di regole da rispettare.

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REGOLE DELLA CASAVietato compiere metamorfosi nei

corridoi.Vietato ululare.Vietato introdurre argento

nell’edificio.I vestiti vanno indossati sempre.

SEMPRE.Vietato lottare e/o mordere.Scrivere il proprio nome sul cibo

prima di metterlo nel frigoriferocomune.

Nell’aria si diffuse il profumo dellacolazione, e a Maia brontolò lo stomaco.Praetor Scott sembrò divertito. — Vifaccio preparare qualcosa da mangiare,se avete fame.

— Grazie — mormorò Maia. Erano

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arrivati in fondo al corridoio e PraetorScott aprì una porta contrassegnata dallatarghetta con la scritta UFFICIO.

Le sopracciglia del lupo mannaro siaggrottarono. — Rufus — disse. — Checi fai tu qui?

Maia sbirciò dentro la stanza. Eraspaziosa e disordinata, ma in manierapiacevole. C’era una finestrapanoramica rettangolare che dava suvasti prati sui quali erano assembratigruppi di persone, per lo più giovani,alle prese con quelle che sembravanoesercitazioni militari; indossavanopantaloni da ginnastica neri e magliettedello stesso colore. Le pareti dellastanza erano piene di libri sullalicantropia, molti dei quali in latino, ma

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Maia non ebbe difficoltà a riconoscerela parola lupus. La scrivania consistevain una lastra di marmo appoggiata soprale statue di due lupi che ringhiavano.

Davanti c’erano due sedie. Su unaera seduto un uomo corpulento, anzi unlupo mannaro corpulento, con le spallecurve in avanti e le mani giunte. —Praetor — disse con voce gracchiante,— vorrei discutere con lei dell’episodiodi Boston.

— Ti riferisci al fatto di aver rottola gamba al tuo assistito? — domandò ilPraetor in tono asciutto. — Neparleremo, Rufus, ma non in questomomento. Qualcosa di più urgente michiama.

— Ma, Praetor…

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— Non ho altro da aggiungere, Rufus— ribadì Scott col tono squillante di unmaschio alfa i cui ordini non possonoessere messi in discussione. —Ricordati che questo è un luogo diriabilitazione, cosa che comporta anchel’apprendere il rispetto dell’autorità.

Brontolando sottovoce, Rufus si alzòdalla sedia. Soltanto quando fu in piedi,Maia si rese davvero conto di quantofosse enorme la sua taglia. Troneggiavasia su di lei sia su Jordan, la magliettanera gli tirava sul petto e le maniche perpoco non esplodevano attorno aibicipiti. Aveva la testa rasata quasi azero e una guancia segnata da graffiprofondi come solchi arati nel terreno.Le lanciò un’occhiata minacciosa mentre

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li scansava per uscire in corridoio.— Va da sé che alcuni di noi —

mormorò Jordan — siano più semplicida riabilitare di altri.

Mentre il suono del passo pesante diRufus si smorzava lungo il corridoio,Scott si sedette sulla poltrona girevoledietro la scrivania e premette il pulsantedi un interfono dall’ariasorprendentemente moderna. Dopo averrichiesto la colazione con fare conciso,si appoggiò all’indietro, tenendo le maniallacciate dietro la testa.

— Sono tutto orecchi — disse.Mentre Jordan raccontava i fatti e

avanzava la loro richiesta a PraetorScott, Maia non era in grado di tenere afreno né lo sguardo né la mente. Si

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chiese come sarebbe stato crescere inquel posto, in quell’elegante casa conregole e divieti, anziché con la libertà, aconfronto sfrenata, del branco. A uncerto punto, un lupo mannaro vestito dinero (che a quanto pareva era il coloreregolamentare del Praetor Lupus) entrònell’ufficio portando un vassoio dipeltro con arrosti, formaggi e bevandeiperproteiche. Maia guardò il tutto conun certo sconforto: sapeva che ai lupimannari servivano più proteine rispettoalla gente normale, anzi molte di più,ma… arrosto a colazione?

— Ti accorgerai — le disse PraetorScott mentre lei sorseggiava con cautelaun beverone iperproteico — che lozucchero raffinato è nocivo per i lupi

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mannari. Se smetti di assumerlo per uncerto periodo di tempo, smetterai anchedi desiderarlo. Il tuo capobranco te lo hamai detto?

Maia cercò di immaginarsi Luke, ilquale adorava cucinare frittelle di formestrane e divertenti, mentre le davalezioni sullo zucchero, ma senzasuccesso.

— Capisco la preoccupazione per iltuo capobranco — disse Scott. Sul polsogli brillava un Rolex d’oro. — Dinorma, osserviamo una rigida politica dinon ingerenza negli affari che nonriguardino i nuovi Nascosti. In realtà,non diamo la priorità neppure ai lupimannari rispetto ad altri Nascosti,benché solo i licantropi siano ammessi

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al Praetor.— Ma è proprio questo il motivo

per cui ci serve il vostro aiuto — disseJordan. — I branchi sono, per loronatura, sempre in movimento, itineranti.Non hanno l’opportunità di costruirecose come biblioteche in cui depositarela loro conoscenza. Con questo non stodicendo che non siano colti, ma che tuttosi basa sulla tradizione orale, e che ognibranco sa qualcosa di diverso.Potremmo visitarne uno dopo l’altro, emagari qualcuno saprebbe come curareLuke, ma non abbiamo tempo. Qui —disse indicando i libri lungo le pareti —c’è quanto di più simile esista, in uncerto senso, agli archivi dei FratelliSilenti o al Labirinto a spirale degli

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stregoni.Scott non sembrava convinto. Maia

mise giù la sua bevanda proteica. — Epoi Luke non è un capobranco qualsiasi— disse. — È il rappresentantelicantropo del Consiglio. Se voi ciaiutate a curarlo, il Praetor avrebbe unavoce in Consiglio a suo favore.

Un barlume si accese nello sguardodi Scott. — Interessante — disse. —Molto bene. Darò un’occhiata ai mieimanuali, è probabile che ci vorràqualche ora. Jordan, se devi guidare finoa Manhattan, ti consiglio di riposare.Non c’è bisogno che finisci col furgonecontro un albero.

— Potrei guidare io… — tentòMaia.

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— Anche tu sembri altrettantostanca. Jordan, come sai, per te ci saràsempre una stanza qui alla PraetorHouse, anche se ti sei già diplomato. ENick è fuori per una missione, quindi c’èun letto anche per Maia. Perché nonandate a riposarvi? Vi chiamo quando hofinito. — Ruotò la poltrona e si mise aesaminare i libri alle pareti.

Jordan fece segno a Maia che era ilmomento di andare, e lei si alzò in piedi,ripulendosi i jeans dalle briciole. Era ametà strada verso la porta, quandoPraetor Scott parlò di nuovo.

— Ah, e tu, Maia Roberts — dissecon un velato tono di avvertimento. —Spero saprai che, quando si fannopromesse a nome d’altri, poi è compito

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nostro assicurarci che loro lemantengano.

Simon si svegliò sentendosi ancoraesausto, battendo le palpebrenell’oscurità. Le spesse tende neredavanti alle finestre lasciavano passareben poca luce, ma il suo orologiointeriore gli diceva che era giorno. Eanche che Isabelle se n’era andata,lasciando la sua metà di letto sottosopra,con le coperte buttate all’indietro.

Era giorno e non aveva ancoraparlato con Clary, da quando lei erapartita. Estrasse una mano da sotto lecoperte e si guardò l’anello d’oro allamano destra. Di foggia raffinata, erabordato da disegni o parole di unalfabeto che non conosceva.

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Serrando la mandibola, si mise asedere e lo toccò. Clary?

La risposta fu chiara e immediata.Dal sollievo, per poco non cadde giùdal letto. Simon. Grazie a Dio.

Puoi parlare?No. Percepì, più che sentì, un senso

di turbamento nella voce mentale diClary. Sono felice che mi hai cercato,ma adesso non è il momento. Non sonosola.

Ma stai bene?Sì. Non è ancora successo niente.

Sto cercando di raccogliereinformazioni. Prometto che appena soqualcosa ti faccio sapere.

Okay. Stai attenta.Anche tu.

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E fu così che la voce di Clary sparì.Lasciando scivolare le gambe oltre ilbordo del materasso, Simon fece del suomeglio per appiattirsi i capelli arruffatidal sonno e andò a vedere se qualcunaltro era sveglio.

Sì. Alec, Magnus, Jocelyn e Isabelleerano tutti seduti attorno al tavolo delsalotto. Alec e lo stregone indossavanodei jeans, mentre le due donne erano indivisa, Isabelle con la frusta avvoltaintorno al braccio destro. Alzò gli occhiquando lui entrò nella stanza, ma nonsorrise. Aveva le spalle tese, la boccastretta in una linea sottile. Tutti avevanodavanti una tazza di caffè.

— C’è un motivo per cui il ritualedegli Strumenti Mortali è così

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complicato. — Magnus fece volare lazuccheriera verso di sé e lasciò cadereun po’ di polvere bianca dentro la tazza.— Gli Angeli agiscono per ordine diDio, non degli esseri umani. E nemmenodegli Shadowhunters. Evocane uno, ed èprobabile che ti ritroverai addosso lacollera divina. Il senso degli StrumentiMortali non sta nel permettere aqualcuno di evocare Raziel, ma nelproteggere l’evocatore dalla sua ira, unavolta che lui sia effettivamentecomparso.

— Valentine — disse Alec.— Sì, Valentine ha anche evocato un

angelo minore, che però non gli ha mairivolto la parola, giusto? Non gli ha maidato un briciolo di aiuto, benché lui

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abbia raccolto il suo sangue. E deveaver utilizzato incantesimi di potenzainaudita anche solo per legarlo. Secondome ha vincolato la sua vita alla tenuta diWayland, così, quando l’angelo è morto,la tenuta è finita in macerie. —Tamburellò sulla tazza con una delle sueunghie laccate di azzurro. — E si èdannato. Che si creda o no a Inferno eParadiso, è certo che si è dannato.Quando ha evocato Raziel, lui lo haannientato, in parte come vendetta perquello che aveva fatto al suo fratelloangelo.

— Perché stiamo parlando dievocare gli angeli? — chiese Simon,mettendosi a sedere a una estremità dellungo tavolo.

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— Isabelle e Jocelyn sono andate aconsultare le Sorelle di Ferro — spiegòAlec — per chiedere se esiste un’armada usare contro Sebastian senza nuocerea Jace.

— E non c’è?— Niente che esista a questo mondo

— spiegò Isabelle. — Potrebbe farloun’arma del Paradiso, o qualcosa legatoa una seria alleanza demoniaca. Stavamoanalizzando la prima opzione.

— Evocare un angelo per farvi dareun’arma?

— È già capitato — intervenneMagnus. — Raziel diede la SpadaMortale a Jonathan Shadowhunter. Nelleantiche leggende, la notte prima dellabattaglia di Gerico, un angelo comparve

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per dare a Giosuè una spada.— Uh! — esclamò Simon. — Avrei

pensato che gli angeli fossero per lapace, non per le armi.

Magnus fece una smorfia. — Gliangeli non sono soltanto sempliciintermediari. Sono soldati. Si dice cheMichele abbia guidato degli eserciti. Epoi non sono tipi pazienti, di certo noncon le faccende degli esseri umani.Chiunque abbia cercato di evocareRaziel senza la protezione degliStrumenti Mortali è stato fulminatoall’istante. Evocare i demoni è facile.Ce ne sono tanti, e molti di loro sonodeboli. Ma un demone debole puòessere d’aiuto solo se…

— Non possiamo evocare un

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demone — disse Jocelyn, spaventata. —Il Conclave…

— Pensavo che il parere delConclave avesse smesso di importartigià anni fa — osservò Magnus.

— Non si tratta soltanto di me —rispose Jocelyn. — Ma di tutti voi. DiLuke. Di mia figlia. Se il Conclavesapesse…

— Be’, non lo saprà, giusto? —intervenne Alec con una punta diirruenza nella voce, normalmentegentile. — A meno che tu non vada adirglielo.

Jocelyn guardò prima il visoimmobile di Isabelle, poi quelloinquisitore di Magnus, infine gli ostinatiocchi azzurri di Alec. — Ci state

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davvero pensando? Evocare un demone?— Non un demone qualsiasi —

disse Magnus. — Azazel.Lo sguardo di Jocelyn divampò. —

Azazel? — Con lo sguardo scrutò i voltidegli altri, come in cerca di appoggio,ma Izzy e Alec abbassarono gli occhisulle rispettive tazze e Simon si limitò aun’alzata di spalle.

— Non so chi sia Azazel — disse ilragazzo. — Non è uno dei personaggi diBatman? — Si guardò attorno, maIsabelle si limitò a sollevare gli occhi alcielo, spazientita.

Clary? pensò Simon.La voce di lei giunse carica di

angoscia. Cosa? Cos’è successo? Miamadre ha scoperto che me ne sono

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andata?Non ancora, rispose col pensiero

Simon. Azazel è o non è un personaggiodi Batman?

Seguì una lunga pausa. Lo è, Simon.Bravo. Ma non mi pare il caso di usaregli anelli magici per fare domande delgenere!

E con quelle parole sparì. Simonalzò lo sguardo dalla propria mano e siaccorse che Magnus lo stava guardandocon aria interrogativa. — Avranno anchelo stesso nome, Robin — gli disse lostregone, — ma io mi riferisco a unDemone Superiore. Luogotenentedell’Inferno e Forgiatore d’Armi. Era unangelo che insegnò all’umanità aprodurre armi quando questa era una

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competenza che solo gli angelipossedevano. Per questo motivo cadde eora è un demone. “Tutta la terra è statacorrotta dagli insegnamenti di Azazel eogni peccato va attribuito a lui”.

Alec guardò Magnus conun’espressione sbalordita. — Come faia sapere queste cose?

— È un mio amico — risposel’altro. Notando le loro facce, fece unsospiro. — Okay, non proprio. È unafrase contenuta nel cosiddetto Libro diEnoch.

— Sembra pericoloso — fece Aleccorrugando la fronte. — Mi immaginoqualcuno ancora più potente di unDemone Superiore… come Lilith.

— Per fortuna è già legato — lo

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rassicurò Magnus. — Se lo si evoca, lospirito arriva, ma il corpo rimane legatoalle rocce frastagliate di Duduael.

— Le rocce frastagliate di… oh, chise ne importa — disse Isabelleavvolgendosi i lunghi capelli neri in unochignon. — È il demone delle armi.Punto. Io dico di fare un tentativo.

— Non posso credere che ci stiateanche solo pensando — intervenneJocelyn. — Ho imparato da mio maritocosa può succedere quando ci si dilettaa evocare demoni. Clary… — A quelpunto si interruppe, come se avessesentito su di sé lo sguardo di Simon, e sivoltò. — Simon — gli disse. — Sai seClary è già sveglia? L’abbiamo lasciatadormire, ma sono quasi le undici.

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Simon esitò. — Non lo so — Ed eravero. Ovunque fosse, poteva ancheessersi addormentata. Benché le avesseappena parlato.

Jocelyn sembrava perplessa. — Manon eri in camera con lei?

— No, io ero… — Simon siinterruppe, rendendosi conto delpasticcio in cui si era cacciato. C’eranotre camere da letto libere. Jocelyn inuna, Clary in un’altra. Il che significavache lui doveva aver dormito nella terzastanza con…

— Isabelle? — disse Alecsollevando le sopracciglia. — Haidormito in camera di Isabelle?

Lei sventolò la mano. — Non c’è dapreoccuparsi, fratellone. Non è successo

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niente. Ovvio — disse, mentre le spalledel fratello si rilassavano. — Eroubriaca fradicia, praticamentecollassata. Avrebbe potuto fare quelloche voleva e io non me ne sarei accorta.

— Oh, per favore — disse Simon.— Ti ho solo raccontato tutta la trama diGuerre Stellari.

— Non credo di ricordarlo —ribatté Isabelle, prendendo un biscottodal piatto sul tavolo.

— Ah, davvero? E chi era ilmigliore amico d’infanzia di LukeSkywalker?

— Biggs Darklighter — risposeimmediatamente Isabelle, poi colpì iltavolo con un palmo della mano. —Così però non vale! — esclamò,

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circondando il biscotto che aveva inbocca con un sorriso.

— Ah! — sospirò Magnus. —Amore tra nerd. È una cosa bellissima,nonché oggetto di scherno e ilarità daparte di chi fra noi ha gusti piùsofisticati.

— D’accordo, adesso basta —dichiarò Jocelyn alzandosi in piedi. —Vado a prendere Clary. Se aveteintenzione di evocare un demone, io nonvoglio esserci, e non voglio nemmenoche ci sia mia figlia. — Si diresse versol’entrata, ma Simon le bloccò la strada.

— Non puoi farlo — le disse.Jocelyn lo guardò con aria risoluta.

— Lo so, Simon, che stai per dire chequesto è per noi il posto più sicuro dove

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stare. Ma se volete evocare un demone,io…

— Non è quello — Simon fece unrespiro profondo, che però non gli fu dialcun aiuto, dato che il suo sangue nonelaborava più l’ossigeno. Provò unleggero senso di nausea. — Non puoiandare a svegliarla perché… Perché leinon c’è.

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capitolo 10

LA CACCIA SELVAGGIA

La vecchia stanza di Jordan allaPraetor House aveva l’aspetto di undormitorio qualsiasi di un collegequalsiasi. C’erano due letti di ferro,appoggiati a due pareti opposte. Dallafinestra che le separava si vedevano, trepiani più sotto, dei prati verdi. Il latodella camera destinato a Jordan erapiuttosto spoglio; a quanto pareva si era

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portato quasi tutti i libri e le fotografie aManhattan, però ai muri restavanoappese immagini di spiagge e oceani,nonché una tavola da surf. Maia si sentìpercorrere da un fremito quando videche sul comodino c’era una loro foto,dentro una cornice dorata, scattata aOcean City sullo sfondo del lungomare edella spiaggia.

Jordan guardò prima la fotografia epoi Maia, arrossendo. Lasciò scivolarela borsa sul letto e si tolse la giacca,dando le spalle alla ragazza.

— Quando tornerà il tuo compagnodi stanza? — chiese Maia perinterrompere un silenzio fattosiall’improvviso imbarazzante. Nonsapeva perché fossero entrambi a

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disagio. Di sicuro prima, nel furgone,non lo erano stati, ma adesso che sitrovavano in camera di Jordan era comese gli anni trascorsi senza parlare listessero spingendo via l’uno dall’altra.

— Chi lo sa? Nick è in missione.Una faccenda pericolosa, potrebbe nontornare. — Jordan sembrava rassegnato,riguardo a questo. Buttò la giacca sulloschienale della sedia. — Perché non tisdrai un po’? Io faccio una doccia. — Sidiresse verso il bagno, e Maia fusollevata nel vedere che eracomunicante con la camera. Non se lasentiva di affrontare uno di quei bagnicomuni in fondo al corridoio.

— Jordan… — fece per dire, ma luisi era già chiuso la porta alle spalle.

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Maia sentì scorrere l’acqua. Con unsospiro, si tolse le scarpe e si sdraiò sulletto libero di Nick. La coperta era unplaid blu scuro e profumava di pigna.Quando alzò lo sguardo, si accorse cheil soffitto era tappezzato di foto. Lostesso ragazzo biondo, diciassette annisu per giù, le sorrideva da ogni scatto.Nick, con ogni probabilità. Aveva l’ariafelice. Anche Jordan lo era stato, lì allaPraetor House?

Allungò un braccio per girare versodi sé la fotografia di loro due insieme.Era stata scattata parecchi anni prima,quando Jordan era ancora pelle e ossa,con dei grandi occhi nocciola che glidominavano tutto il viso. Avevano lebraccia l’uno attorno all’altra, la pelle

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scottata e lo sguardo felice. Il soleaveva scurito il colorito di entrambi, eJordan teneva la testa leggermenteinclinata verso di lei, come se fosse sulpunto di dirle qualcosa o di baciarla.Maia non se lo ricordava. Non più.

Pensò al ragazzo al qualeapparteneva il letto su cui ora eraseduta, al ragazzo che forse non sarebbepiù tornato. Pensò anche a Luke, chemoriva lentamente, e ad Alaric, a Gretel,Justine, Theo e tutti gli altri membri delbranco che avevano perso la vita nellaguerra contro Valentine. Pensò a Max e aJace, due Lightwood perduti: sì, perchédoveva ammettere che, dentro di sé, nonpensava che sarebbero riusciti a salvareJace. Infine, stranamente, pensò a

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Daniel, il fratello che non aveva mairimpianto. E fu sorpresa di sentire dellelacrime pungerle in fondo agli occhi.

Si mise a sedere di colpo, con lasensazione che il mondo si stesseinclinando e che lei stesse tentandoinvano di aggrapparsi per nonprecipitare dentro un abisso. Sentiva ilbuio chiudersi sopra la sua testa. ConJace in quella situazione e Sebastianancora vivo, le cose non potevano chepeggiorare. Ci sarebbero state soltantoaltre morti e altre perdite. Dovevaammetterlo: da settimane, ormai, ilmomento in cui si era sentita più vivaera stato quando aveva baciato Jordansul furgone.

Come in un sogno, si ritrovò in

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piedi. Attraversò la stanza e aprì laporta del bagno. La doccia era unparallelepipedo di vetro opaco,attraverso il quale intravedeva lasagoma di Jordan. Dubitava che luiriuscisse a sentirla, vista l’acquascrosciante, mentre si toglieva ilmaglione e sgusciava fuori prima daijeans e poi dalla biancheria intima. Conun respiro profondo si avvicinò alladoccia, fece scorrere la porta ed entrò.

Jordan si voltò subito, scostandosi icapelli bagnati dagli occhi. L’acquadella doccia era calda; aveva le guancearrossate e gli occhi gli brillavano comese l’acqua li avesse lucidati. O forse nonera soltanto l’acqua a fargli affluire ilsangue alla pelle quando, con lo

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sguardo, si accorse della presenza diMaia. Di tutta la sua presenza. Leiricambiò con occhi decisi, privi diimbarazzo, che indugiarono su come ilciondolo del Praetor Lupus gli luccicavanell’incavo bagnato del collo e su comela schiuma del sapone gli scivolava supetto e spalle mentre lui la fissava,battendo le palpebre per liberarsi daglischizzi d’acqua. Era bellissimo, mad’altronde non aveva mai pensatodiversamente.

— Maia? — le disse, titubante. —Sei…?

— Ssst — lei gli mise un dito sullelabbra, chiudendo con l’altra mano laporta della doccia. Poi gli si avvicinò,avvolgendolo con entrambe le braccia,

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lasciando che l’acqua ripulisse entrambidal buio. — Non parlare. Baciami ebasta.

E lui lo fece.— In nome dell’Angelo, cosa

significa che Clary non c’è? — chieseJocelyn, bianca in volto. — Come fai asaperlo, se ti sei appena svegliato? Edove è andata?

Simon deglutì. Era cresciutoconsiderando Jocelyn quasi una secondamadre. Era abituato al suo atteggiamentoprotettivo verso la figlia, anche se lei loaveva sempre considerato un alleato, daquel punto di vista, una figura capace diinterporsi fra Clary e i pericoli delmondo. — Mi ha mandato un messaggioieri sera… — esordì, ma si interruppe

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quando Magnus gli fece segno diavvicinarsi al tavolo.

— Tanto vale che ti siedi — glidisse. Isabelle e Alec, ai lati dellostregone, osservavano la scena conocchi spalancati. Magnus invece nonsembrava particolarmente stupito. —Raccontaci quello che sta succedendo.Ho come la sensazione che ci vorrà unpo’ di tempo…

E in effetti fu così, anche se ce nevolle meno di quanto Simon avessesperato. Una volta conclusa laspiegazione, chino sul tavolo e con losguardo fisso sui graffi del tavolo diMagnus, sollevò la testa solo perincontrare gli occhi verdi di Jocelyn chelo squadravano, freddi come acque

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artiche. — Hai lasciato che mia figlia sene andasse… con Jace… in un luogointrovabile, indefinito, dove nessuno dinoi può raggiungerla?!

Simon si guardò le mani. — Io possoraggiungerla — disse, tenendo alzata lamano destra con l’anello d’oro sul dito.— Te l’ho detto. Ho avuto sue notiziestamattina. Mi ha fatto sapere che stabene.

— Ma tu non avresti mai dovutolasciarla andare!

— Non è che l’ho “lasciata” andare.Lo avrebbe fatto comunque. Pensavo chealmeno poteva avere qualche sicurezzain più, dato che non ero certo in grado difermarla.

— In effetti — disse Magnus —

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credo che non ci sarebbe riuscitonessuno. Clary fa quello che vuole. —Guardò Jocelyn. — Non puoi tenerla ingabbia.

— Io mi fidavo di te! — disse lei aMagnus. — Come ha fatto a uscire?

— Con un portale.— Ma tu hai detto che c’erano delle

formule per…— Tenere fuori le minacce, non per

tenere dentro gli ospiti. Jocelyn, tuafiglia non è stupida e fa quello cheritiene opportuno. Non puoi fermarla.Nessuno può farlo. È molto, moltosimile a sua madre…

Jocelyn fissò Magnus per un istante,a bocca leggermente aperta, e Simoncapì che di sicuro lo stregone aveva

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conosciuto la madre di Clary dagiovane, quando aveva tradito Valentinee il Circolo e per poco non era mortadurante la Rivolta. — Ma è soltanto unaragazzina — disse Jocelyn, rivolgendosipoi a Simon. — Le hai parlato?Usando… quegli anelli? Da quando èpartita?

— Questa mattina — rispose Simon.— Ha detto che stava bene. Che andavatutto bene.

Invece di essere sollevata, Jocelynsembrò arrabbiarsi ancora di più.

— Non ho dubbi che abbia dettocosì, figurati. Non riesco a credere chetu le abbia lasciato fare una cosa delgenere. Avresti dovuto fermarla…

— E come, legandola? — replicò

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Simon, incredulo. — Ammanettandola altavolo della cucina?

— Sì, se fosse stato necessario. Seipiù forte di lei. Sono delusa dal tuo…

Isabelle si alzò in piedi. — Okay,adesso basta — disse lanciandoun’occhiata di fuoco a Jocelyn. — Ètotalmente, assolutamente ingiustorimproverare Simon per qualcosa cheClary ha deciso da sola di fare. E seSimon l’avesse legata, cosa sarebbesuccesso? Avevi intenzione di tenerlaprigioniera per sempre? Alla fineavresti dovuto lasciarla andare, e a quelpunto non si sarebbe più fidata diSimon, quando già non si fida più di te,dopo che le hai rubato i ricordi. E anchequello, se non sbaglio, è stato fatto per

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proteggerla. Forse, se non ti comportassisempre così, Clary saprebbe distingueremeglio tra cosa è pericoloso e cosa no,diventando più sincera e… menosconsiderata!

Tutti gli occhi erano puntati suIsabelle e, per un istante, Simon siricordò di una cosa che gli aveva dettouna volta Clary: Izzy faceva di rado deidiscorsi, ma quando capitava, li rendevamemorabili. Jocelyn era sbiancata.

— Andrò alla stazione di polizia perstare con Luke — disse. — Simon, miaspetto notizie da te ogni ventiquattr’oreper sapere se mia figlia sta bene. Se nonti sento tutte le sere, vado al Conclave.

Detto questo, uscì a grandi passidall’appartamento sbattendo la porta

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dietro le spalle così forte che, nel muroaccanto, comparve una crepa.

Isabelle si rimise seduta, questavolta vicino a Simon. Lui non le disseniente, ma le porse una mano che leistrinse, intrecciando le dita con le sue.

Jace e Clary trascorsero la mattinatapasseggiando per le calli che correvanolungo i canali dove il colore dell’acquapassava dal verde intenso al blu scuro.Si fecero strada fra i turisti di piazzaSan Marco e sopra il Ponte dei Sospiri,per poi sorseggiare un espresso al CaffèFlorian. Quel labirinto intricato distrade fece tornare in mente a ClaryAlicante, città che tuttavia non aveva lastessa atmosfera di raffinata decadenzatipica di Venezia. Lì non c’erano strade

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con automobili, soltanto viottoli tortuosie ponti sospesi sopra canali in cuiscorreva acqua verde come malachite.Mentre il cielo sopra le loro teste sitingeva del blu profondo tipicodell’autunno inoltrato, cominciarono adaccendersi le luci: dentro ai negozietti,nei bar e nei ristoranti che sembravanospuntare dal nulla e poi sparirenell’ombra via via che Clary e Jacepassavano lasciandosi luce e risate allespalle.

Quando Jace chiese a Clary se fossepronta per la cena, lei annuì condecisione. Cominciava a sentirsi incolpa: non era riuscita a ricavare da luinessuna informazione, eppure, di fatto, sistava divertendo. Mentre attraversavano

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un ponte che portava a Dorsoduro, unadelle zone più tranquille della città,lontana dalle orde di turisti, decise chequella sera avrebbe scoperto qualcosa,qualcosa degno di essere riferito aSimon.

Jace le teneva stretta la mano mentreinsieme percorrevano un ultimo ponte ela strada si affacciava su una grandepiazza accanto a un canale enorme, quasiun mare. Alla loro destra sorgeva lacupola di una basilica. Dall’altra partedel canale, il resto della cittàrischiarava la notte proiettando le sueluci sull’acqua, che tremolava dibarlumi paglierini. Le mani di Claryfremevano dalla voglia di stringeregessetti e matite per disegnare la luce

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che abbandonava il cielo, l’acqua che siincupiva, il contorno frastagliato degliedifici e i loro riflessi chescomparivano nel canale. Sembravatutto dipinto di blu acciaio. Da qualcheparte, un suono di campane.

Strinse la mano di Jace. In quelluogo si sentiva lontana anni luce datutto ciò che apparteneva alla sua vita,lontana in un modo mai provato a Idris.Venezia aveva in comune con Alicante lasensazione di trovarsi in un posto fuoridal tempo, strappato al passato, come sesi fosse immersa in un quadro o fra lepagine di un libro. Ma era anche unacittà reale, di cui aveva sentito parlarementre cresceva e che aveva desideratovisitare. Guardò di traverso in direzione

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di Jace, che nel frattempo stava fissandoil canale. La luce blu acciaio si eraposata anche su di lui, incupendogli gliocchi, le ombre sotto gli zigomi, icontorni della bocca. Quando si accorseche Clary lo stava osservando, si voltòverso di lei e le sorrise.

Le fece fare il giro della chiesa e lacondusse giù per dei gradini ricoperti dimuschio fino a un passaggio lungo ilcanale. L’odore era ovunque quellodella pietra bagnata, dell’acqua,dell’umidità e degli anni. Mentre il cielosi rabbuiava, qualcosa ruppe lasuperficie dell’acqua, a pochi passi daClary. Sentendo il rumore degli spruzzi,la ragazza si girò in tempo per vedereuna donna con i capelli verdi che

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emergeva dall’acqua sorridendole.Aveva un viso meraviglioso, ma denti dasqualo e occhi gialli da pesce. I capellierano incrostati di perle. Si immerse dinuovo sotto la superficie dell’acqua,senza incresparla minimamente.

— Una sirena — disse Jace. — Cisono alcune loro antiche famiglie chevivono qui a Venezia, da molto, moltotempo. Sono un po’ strane. Starebberomeglio in acque pulite, al largo, acibarsi di pesci anziché di spazzatura.— Guardò verso l’orizzonte. — L’interacittà sta affondando. Tra un centinaio dianni sarà tutto sott’acqua. Immaginati dinuotare nel mare e toccare la punta dellabasilica di San Marco… — disseindicando l’acqua.

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Clary provò una punta di tristezza alpensiero di tutta quella bellezzadestinata a perdersi. — Non c’è nienteche possono fare?

— Per sollevare una città intera? Oper tenere a bada il mare? Non molto —rispose Jace. Erano arrivati davanti auna scalinata in salita. Il vento si alzòdall’acqua e sollevò i capelli oro scurodi Jace dalla fronte e dal collo. — Tuttotende all’entropia. L’intero universo sista espandendo, le stelle si allontananol’una dall’altra e Dio solo sa cosafinisce dentro le crepe — si interruppe.— Okay, questa suonava un po’ folle.

— Forse è stato tutto quel vino apranzo.

— Io reggo bene l’alcol. — Quando

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voltarono l’angolo, li accolse unpaesaggio incantato di luci. Clarydovette battere le palpebre per abituarsia tutto quello splendore. Era unristorantino con dei tavoli sia dentro chefuori; le lampade termiche fra i tavoli,attorno alle quali erano avvolte lucinatalizie, ricordavano una foresta dialberi magici. Jace si staccò da Clary iltempo sufficiente per occupare untavolo, e ben presto furono sedutiaccanto al canale, ad ascoltare glispruzzi d’acqua che lambivano le pietree a guardare le gondole che salivano escendevano con la marea.

La stanchezza cominciava a investireClary a ondate, come l’acqua contro lesponde del canale. Disse a Jace quello

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che voleva mangiare e lasciò che fosselui a ordinare, in italiano. Fu felicequando vide il cameriere che se neandava: finalmente poteva piegarsi inavanti e appoggiare i gomiti sul tavoloper tenersi la testa fra le mani.

— Credo di soffrire il fuso orario —annunciò. — Il fuso orariointerdimensionale!

— Be’, il tempo in effetti è unadimensione — puntualizzò Jace.

— Pedante! — esclamò lei,lanciandogli una briciola di pane presadal cestino sul tavolo.

Lui sorrise. — L’altro giorno stavocercando di ricordare i peccati capitali— disse. — Avarizia, invidia, gola,ironia, pedanteria…

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— Sono praticamente sicura chel’ironia non sia un peccato capitale.

— E io sono praticamente sicuro disì.

— La lussuria — ribatté lei. —Quella è un peccato capitale.

— E le sculacciate.— Credo che rientrino sempre nella

lussuria.— Credo che invece dovrebbero

avere una categoria a sé — disse Jace.— Avarizia, invidia, gola, ironia,pedanteria, lussuria e sculacciate. —Negli occhi aveva il riflesso delle lucibianche del Natale. Era bello come nonmai, pensò Clary, e altrettanto distante,difficile da raggiungere veramente.Quando ripensò a quello che lui le

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aveva detto a proposito della città chestava affondando e degli spazi fra lestelle, le vennero in mente i versi di unacanzone di Leonard Cohen che il gruppodi Simon proponeva come cover, eneanche troppo bene. “There is a crackin everything / That’s how the light getsin”: c’è una crepa in tutto, è così cheentra la luce. Forse ce n’era una anchenella calma di Jace, un modo perraggiungere il vero lui, che, ne eraconvinta, ancora esisteva.

I suoi occhi color ambra la stavanostudiando. Si sporse per toccarle lamano, ma solo dopo qualche istanteClary si accorse che le stava tenendo ledita sull’anello d’oro. — E questocos’è? — chiese. — Non ricordavo che

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avessi un anello delle fate.Aveva parlato in tono neutrale, ma

che bastò a provocarle un tuffo al cuore.Mentirgli davanti agli occhi non eraun’attività con cui aveva molta pratica.— Era di Isabelle — disse facendospallucce. — Stava buttando tutti i regalidel suo ex, Meliorn. L’ho visto, l’hotrovato carino e lei ha detto che potevotenerlo.

— E l’anello dei Morgenstern?Quella sembrava una domanda che

richiedeva verità. — L’ho dato aMagnus, così poteva usarlo perrintracciarti.

— Magnus… — Jace pronunciòquel nome come se fosse quello di unosconosciuto, dopodiché sospirò. — Sei

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ancora convinta di aver preso ladecisione giusta? Venire qui con me?

— Sì. Sono felice di stare con te. Epoi… be’, ho sempre sognato di visitarel’Italia. Non ho mai viaggiato molto, maiuscita dagli Stati Uniti…

— Ma sei stata ad Alicante — lericordò lui.

— Okay, fatta eccezione per terremagiche che nessun altro può vedere,non ho viaggiato molto. Io e Simonavevamo dei progetti. Alla fine dellesuperiori volevamo partire, zaino inspalla, e girare l’Europa. — La voce lesi smorzò. — Ora sembra una stupidata.

— No, non è vero. — Le si avvicinòe le mise una ciocca di capelli dietrol’orecchio. — Resta con me. Possiamo

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vedere il mondo intero.— Sono già con te. Non andrò da

nessuna parte.— Non c’è un posto in particolare

dove vorresti andare? Parigi? Budapest?La Torre di Pisa?

Soltanto se cade in testa aSebastian, pensò lei. — Possiamoandare a Idris? Cioè, voglio dire, lacasa può viaggiare fin laggiù?

— Non posso oltrepassare le difese.— La mano di lui le scese lungo laguancia. — Mi sei mancata tanto, sai?

— Vuoi dire che non hai vissutomomenti romantici con Sebastian mentreeri lontano da me?

— Ci ho provato — fece lui — maper quanto lo fai bere, non cede.

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Clary afferrò il suo bicchiere.Cominciava ad abituarsi al sapore delvino. Lo sentiva mentre tracciava il suoardente percorso giù per la gola,riscaldandole le vene, rendendo la nottepiù simile a un sogno. Era in Italia, colsuo stupendo fidanzato, e stavatrascorrendo una serata altrettantostupenda resa ancora più piacevole dalcibo delizioso che le si scioglieva inbocca. Quello era il genere di momentiche si ricordano per tutta la vita. Eppureera come sfiorare soltanto il bordo dellafelicità: ogni volta che guardava Jace, lagioia svaniva. Come poteva, allo stessotempo, essere e non essere Jace? Comesi poteva, allo stesso tempo, avere ilcuore spezzato ed essere felici?

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Erano sdraiati sul letto destinato auna sola persona, avvolti stretti sotto lacoperta di flanella di Jordan. Maia gliteneva la testa appoggiata sull’incavodel braccio, mentre il sole che entravadalla finestra le scaldava viso e spalle.Jordan era appoggiato su un braccio,chino sopra di lei, accarezzandole icapelli con l’altra mano; le srotolava iricci fino alle punte e poi lasciava che siriavvolgessero fra le proprie dita.

— Mi mancavano i tuoi capelli — ledisse posandole un bacio sulla fronte.

Maia sentì che da qualche parte,dentro di sé, stava traboccando unarisata, quel genere di risata data dallavertigine dell’infatuazione.

— Soltanto i capelli?

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— No. — Lui stava sorridendo, gliocchi nocciola accesi di verde, i capellicastani completamente arruffati. — I tuoiocchi. — Li baciò, prima uno e poil’altro. — La tua bocca .— Baciò anchequella, e lei agganciò con una mano lacatenina col ciondolo del Praetor Lupusche gli pendeva dal petto. — Mi èmancato tutto di te.

Maia si avvolse la collana attornoalle dita. — Jordan… Mi dispiace perprima. Per averti risposto male quandoparlavamo dei soldi e di Stanford. Eratroppo, in una volta sola.

Lo sguardo di lui si incupì. Chinò latesta. — Lo so bene quanto seiindipendente. Volevo soltanto… farequalcosa di bello per te.

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— Lo so — gli sussurrò lei. — Soche ti preoccupa il fatto che io abbiabisogno di te, ma non voglio stare con teper necessità. Voglio stare con te perchéti amo.

Lo sguardo di lui si illuminò,incredulo e speranzoso. — Pensi…ecco, pensi che un giorno potrai ancorasentirti così, con me?

— Io non ho mai smesso di amarti,Jordan — fu la risposta di Maia. Lui laafferrò e la baciò con tanta passione dafarle quasi male. Lei gli si avvicinòancora di più, e le cose avrebberopotuto proseguire come nella doccia sequalcuno non avesse bussato alla porta.

— Praetor Kyle! — gridò una vocefuori dalla stanza. — Sveglia! Praetor

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Scott ti vuole vedere al piano di sotto,nel suo ufficio.

Jordan, ancora con le bracciaavvolte attorno a Maia, imprecòsottovoce. Lei scoppiò a ridere e glifece scorrere veloce una mano su per laschiena, finendo per attorcigliargli icapelli. — Pensi che Praetor Scottpotrebbe aspettare? — gli sussurrò.

— Penso che abbia la chiave diquesta stanza e che, volendo, potrebbeusarla.

— Hai ragione — disse lei,sfregandogli le labbra contro l’orecchio.— Abbiamo un sacco di tempo, vero?Tutto il tempo di cui avremo bisogno.

Chairman Meow, profondamenteaddormentato, era sdraiato di fronte a

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Simon sul tavolo e teneva tutt’e quattrole zampe in aria. Era già qualcosa,pensò Simon. Da quando era diventatoun vampiro, in genere non aveva grandesuccesso con gli animali. Loro sepotevano lo evitavano, abbaiando osoffiando quando si avvicinava troppo.Per lui, che li amava da sempre, erastato un brutto colpo. Ma forse in quelcaso, trattandosi del gatto di unostregone, c’era maggiore tolleranzaverso le creature più bizzarre.

Magnus, come si scoprì, non avevascherzato sulle candele. Simon si stavaconcedendo un momento per riposare ebere un caffè; riuscì a digerirlo bene, ela caffeina servì a smorzare i primimorsi della fame. Avevano passato tutto

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il pomeriggio ad aiutare Magnus coipreparativi per l’evocazione di Azazel.Avevano setacciato i negozi del vicinatoin cerca di candele e di ceri, poidisposti in cerchio con cura. Isabelle eAlec erano impegnati a cospargere ilpavimento esterno al cerchio con unmisto di sale e belladonna essiccata,seguendo le istruzioni che Magnusleggeva ad alta voce dal volume Ritualiproibiti. Manuale di un negromante delXV secolo.

— Che cosa hai fatto al mio gatto?— chiese lo stregone a Simon quandotornò in salotto con una caraffa di caffè eun cerchio di tazze che gli volavanoattorno alla testa come un planetarioattorno al sole. — Hai bevuto il suo

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sangue, vero? Mi avevi detto di nonessere affamato!

Simon si mostrò indignato. — Nonho bevuto il suo sangue, il gatto stabene! — esclamò toccando l’animalesulla pancia e provocandogli unosbadiglio. — E poi mi hai chiesto seavevo fame mentre stavate ordinando lepizze e io ho detto di no, perché la pizzanon posso mangiarla. Volevo solo esseregentile.

— Questo non ti dà il diritto dimangiarmi il gatto.

— Ti ho detto che sta bene! —Simon si sporse per prendere in braccioChairman, che però saltò sulle quattrozampe, sdegnato, e scese dal tavolo.

— Visto?

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— Okay, okay. — Magnus si lasciòcadere sulla sedia a capotavola; letazzine caddero rumorosamente al loroposto, mentre anche Alec e Izzy,terminato il loro compito, si rialzavanoin piedi. Lo stregone batté le mani. —Parlo con tutti! Mettetevi in cerchio, è ilmomento di fare una riunione. Sto perinsegnarvi come si evoca un demone.

Praetor Scott li stava aspettando inbiblioteca, seduto sulla stessa poltronagirevole, con una scatola color bronzodavanti a sé. Maia e Jordan siaccomodarono all’altro lato dellascrivania, e la ragazza non poté fare ameno di chiedersi se portasse scritto infaccia quello che aveva appena fatto conJordan. Non che il Praetor li stesse

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guardando con chissà quale interesse.Spinse la scatola verso Jordan. — È

un balsamo — disse. — Se applicatoalla ferita di Garroway, filtra il velenodal sangue e lo libera dall’acciaiodemoniaco. Dovrebbe guarire in pochigiorni.

Il cuore di Maia si riempì di gioia:finalmente qualche bella notizia. Siallungò verso la scatola, prima diJordan, e la aprì. In effetti conteneva unbalsamo brunastro, di consistenza similea cera, con un pungente odore di erbeche ricordava l’alloro appena macinato.

— Io… — esordì Praetor Scottmentre gli occhi gli saettavano suJordan.

— Deve prenderlo lei — disse il

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ragazzo. — Conosce bene Garroway eappartiene al suo branco. Si fidano dilei.

— Stai dicendo che non si fidano delPraetor?

— Metà di loro pensano sia unaleggenda — rispose, riflettendo poi sulfatto che avrebbe dovuto concludere lafrase almeno con un “signore”.

Praetor Scott sembrò scocciato, mavenne interrotto dallo squillo deltelefono sulla scrivania. Sulle primeesitò, poi si portò il ricevitoreall’orecchio. — Scott, pronto — disse, edopo un istante: — Sì… Sì, credo. —Riagganciò, con la bocca che gli siincurvava in un sorriso non del tuttopiacevole. — Praetor Kyle — disse. —

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Sono felice che, fra tutti i giorni, tu siacapitato da noi proprio oggi. Fermati unminuto, la questione in un certo senso tiinteressa.

L’annuncio lasciò Maia perplessa,ma non tanto quanto lo divenne un istantedopo, quando un angolo della stanzacominciò a scintillare: come se stesseosservando un’immagine che sisviluppava all’interno di una cameraoscura, vide davanti ai propri occhi lasagoma di un ragazzino. Aveva i capellicastano scuro, corti e lisci, e sulla brunapelle del collo brillava una collanad’oro. L’aspetto era quello esile edetereo del giovane membro di un coro,ma negli occhi c’era qualcosa che lofaceva sembrare ben più grande.

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— Raphael — disse,riconoscendolo. Era persino un po’trasparente. Una proiezione, dunque…Ne aveva sentito parlare, ma non neaveva mai vista una da vicino.

Praetor Scott la guardò stupito. —Conosci il capoclan dei vampiri di NewYork?

— Ci siamo incontrati una volta,nella foresta di Brocelind — spiegòRaphael, guardandola senza troppointeresse. — È un’amica del Diurno,Simon.

— Il tuo assistito — disse PraetorScott a Jordan, come se il ragazzopotesse dimenticarsene.

Lui corrugò la fronte. — Gli èsuccesso qualcosa? — chiese. — Sta

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bene?— Non si tratta di lui — rispose

Raphael. — Si tratta del vampirofuorilegge, Maureen Brown.

— Maureen?! — esclamò Maia. —Ma se ha solo… cosa, tredici anni?

— Un vampiro fuorilegge è unvampiro fuorilegge — disse Raphael. —E si può dire che Maureen si stia dandoda fare, tra la zona di TriBeCa e ilLower East Side. Svariati feriti ealmeno sei morti. Ho tentato dinascondere gli omicidi, ma…

— Lei è assegnata a Nick — dissePraetor Scott corrugando la fronte. —Ma finora lui non è riuscito arintracciarla. Forse è il caso di inviarequalcuno con più esperienza…

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— Sì, dovete farlo — lo incoraggiòRaphael. — Se in questo momento gliShadowhunters non fossero alle presecon la loro… emergenza, a quest’orasarebbero già intervenuti. E l’ultimacosa di cui il clan ha bisogno dopo lastoria di Camille è un richiamo ufficialeda parte degli Shadowhunters.

— Allora presumo che anche diCamille non ci sia più traccia, giusto?— domandò Jordan. — Simon ci haraccontato quello che successe la nottedella scomparsa di Jace e, a quantopare, Maureen esegue gli ordini diCamille.

— Camille non è diventata unvampiro da poco tempo, quindi non ciinteressa — dichiarò Scott.

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— Lo so, ma… trovate lei e potrestetrovare anche Maureen, tutto qui.

— Se fosse con Camille, nonucciderebbe alla velocità con cui stauccidendo — fece notare Raphael. —Lei glielo impedirebbe. È assetata disangue, ma conosce il Conclave e anchela Legge. Terrebbe nascosta ai loroocchi tanto Maureen quanto le sueattività. No, il comportamento diMaureen ha le caratteristiche tipiche diun vampiro inselvatichito.

— Stando così le cose, penso cheabbiate ragione voi — disse Jordanappoggiandosi allo schienale. — A Nickserve aiuto per trovarla, altrimenti…

— Altrimenti potrebbe succedergliqualcosa? In quel caso, magari

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impareresti a concentrarti di più, infuturo — ribatté Praetor Scott, — sullatua missione.

Jordan restò a bocca aperta. —Simon non c’entra, con la trasformazionedi Maureen — disse. — Come hodetto…

Praetor Scott liquidò le parole delragazzo con un gesto della mano. — Sì,lo so. Altrimenti ti avrebbero toltol’incarico, Kyle. Ma il tuo soggetto l’hamorsa, per di più mentre era sotto la tuatutela. Ed è stato il suo legame con ilDiurno, per quanto distante, a portarealla sua definitiva trasformazione.

— Il Diurno è pericoloso — disseRaphael con gli occhi che gli brillavano.— Non faccio che ripeterlo da tempo.

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— Non è pericoloso! — ribattéMaia con decisione. — È un bravoragazzo. — In quell’istante notò cheJordan le aveva lanciato un’occhiatinadi traverso, tanto rapida che si chiese senon se la fosse soltanto immaginata.

— Bla bla bla — fece Raphael,scocciato. — Voi lupi mannari nonpotete occuparvene. Mi fido di te,Praetor. Il vostro dipartimento si occupadei nuovi Nascosti, ma lasciare Maureena piede libero ha delle ripercussioninegative sul mio clan. Se non la trovatein fretta, mi rivolgerò a tutti i vampiri amia disposizione. Dopotutto — dissecon un sorriso che gli scoprì i caniniscintillanti — in fin dei conti spetta anoi ucciderla.

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Terminata la cena, Clary e Jacetornarono a casa in una notte velata difoschia. Le strade erano deserte el’acqua splendeva come vetro.Svoltando un angolo, si ritrovaronovicini a un canale silenzioso, costeggiatoda case con le imposte chiuse. Legondole oscillavano dolcemente al motoondoso dell’acqua, ognuna una mezzaluna nera.

Jace rise piano e avanzò, lasciandola mano di Clary. I suoi occhi eranograndi e dorati alla luce del lampione.Si inginocchiò sul bordo del canale e leicolse un flash di luce bianco argento,uno stilo, dopodiché una delle gondolesi liberò dalla catena di ancoraggio ecominciò ad andare alla deriva verso il

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centro del canale. Jace si infilò di nuovolo stilo nella cintura e fece un salto,atterrando dolcemente sul sedile dilegno dell’imbarcazione. Porse la manoa Clary. — Vieni.

Lei spostò lo sguardo da lui allabarca, poi scosse la testa. Era poco piùgrande di una canoa, dipinta di vernicenera ma scheggiata. Sembrava leggera efragile quanto un giocattolo.

Se la immaginò rovesciata, con lei eJace a mollo nel canale verde ghiaccio.— Non posso. Si ribalterebbe!

Jace scosse la testa, impaziente. —Sì che puoi — la incoraggiò. — Ti hoallenata io. — Fece un passo indietroper darle una dimostrazione. Ora sitrovava in piedi sul sottile bordo della

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barca, proprio accanto allo scalmo. Laguardava con la bocca inarcata in unmezzo sorriso. Secondo tutte le leggidella fisica, pensò Clary, la barca, privadi equilibrio, avrebbe dovutorovesciarsi su un fianco. Invece Jacerestava fermo senza problemi, a schienadritta, come se non fosse composto danient’altro che fumo. Dietro di lui, unosfondo di acqua e pietre, canali e ponti,nemmeno un edificio moderno in vista.Con quei capelli lucenti e quelportamento, Jace avrebbe potuto essereun principe rinascimentale.

Le porse di nuovo la mano. —Ricorda. Sei tanto leggera quanto vuoiesserlo.

Se lo ricordava. Ore di allenamenti

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su come cadere, rimanere in equilibrio,atterrare come Jace con la leggerezza diun granello di cenere che si depone aterra. Trattenne il respiro e fece un salto,sorvolando in un istante il verdedell’acqua. Si posò a prua della barca,dondolando sul sedile di legno, marimanendo stabile.

Emise un sospiro di sollievo e sentìJace ridere mentre saltava sul fondopiatto della barca. C’era una perdita: illegno era ricoperto da un sottile stratod’acqua. Jace superava in altezza Clarydi circa venti centimetri, ma ora, con leiseduta a prua, avevano le teste allostesso livello.

Le mise le mani sulla vita. —Dunque — disse. — Adesso dove vuoi

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andare?Lei si guardò attorno. Si erano

allontanati dalla banchina del canale. —Stiamo per caso rubando una barca?

— “Rubare” è una brutta parola —osservò lui.

— E come lo definiresti, allora?Jace la sollevò e le fece fare una

giravolta prima di rimetterla giù. — Uncaso estremo di “giro per vetrine”.

La strinse più forte e lei si irrigidì.Le scivolarono i piedi, così che finironoentrambi sul fondo bombato della barca,duro, umido e impregnato di odore diacqua misto a legno ammuffito.

Clary si ritrovò sopra Jace, con leginocchia accanto ai suoi fianchi. Ivestiti di lui si stavano inzuppando

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d’acqua, ma non sembrava importargli.Si mise le mani dietro la nuca e leintrecciò, facendo sollevare la camiciasulla pancia. — Mi hai letteralmentemesso al tappeto con la forza della tuapassione — disse. — Bel lavoro, Fray.

— Sei caduto solo perché l’hai fattoapposta. Ti conosco… — rispose lei. Laluna era un faro sopra di loro, come sefossero gli unici a ricevere la sua luce.— Tu non scivoli mai.

Lui le toccò il viso. — Mai —ribatté. — Solo quando cado ai tuoipiedi.

Il cuore di Clary batteva forte, tantoche dovette deglutire prima dirispondergli con leggerezza, come se luistesse scherzando: — Questa potrebbe

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essere la tua peggiore battuta di sempre.— E chi ha detto che è una battuta?La gondola vacillò e Clary si sporse

in avanti, appoggiando le mani sul pettodi Jace. Sentiva i fianchi premere controquelli di lui mentre guardava i suoiocchi che si spalancavano, passando daun oro luccicante e malizioso al nero,con la pupilla che inghiottiva l’iride.Dentro riusciva a vedere se stessa e ilcielo notturno.

Jace si appoggiò su un gomito e lefece scivolare una mano attorno allabase del collo. Lo sentì inarcarsi controdi lei, sfiorandole le labbra, ma Clary sitirò indietro senza davvero concedergliun bacio. Voleva Jace, lo voleva cosìtanto da sentirsi vuota dentro, come se il

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desiderio avesse consumato ogni cosa.Non contava se la testa le diceva chequello non era Jace, non il Jace disempre: il suo corpo lo ricordava, formae tocco, odore della pelle e dei capelli,e lo voleva ancora.

Sorrise contro la sua bocca come sevolesse prenderlo in giro, poi rotolò dilato accucciandosi contro di lui sulfondo bagnato della barca. Jace nonprotestò. Il suo braccio si curvò attornoa lei, e il dondolio dell’imbarcazionesotto di loro era dolce e regolare.Avrebbe voluto mettergli la testa sullaspalla, ma non lo fece.

— Stiamo andando alla deriva —disse.

— Lo so. Voglio farti vedere una

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cosa. — Jace stava guardando in alto,verso il cielo. La luna era un’ondabianca simile a una vela; il petto di Jacesaliva e scendeva regolarmente. Leteneva le dita intrecciate fra i capelli.Clary gli stava accanto in silenzio,mentre le stelle si spostavano come unorologio astronomico, e si chiese checosa stessero aspettando. Finalmente losentì, un lungo e lento scrosciare, comedi acqua che si riversava da un arginerotto. Il cielo si rabbuiò e si contorse,mentre delle figure lo attraversavanoimpetuose. Clary riusciva a malapena adistinguerle per via delle nuvole e delladistanza, ma le sembravano uomini coicapelli lunghi, simili a fili di nuvole, ingroppa a cavalli i cui zoccoli

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splendevano del colore del sangue. Ilsuono di un corno da caccia echeggiònella notte, le stelle tremolarono e ilcielo si piegò su se stesso, mentre gliuomini sparivano dietro la luna.

Clary lasciò andare il respiro in unalenta esalazione. — E quello cos’era?

— La Caccia Selvaggia — risposeJace. Aveva la voce distante, trasognata.— I Segugi di Gabriel. L’EsercitoFurioso. Hanno molti nomi. Sono esserifatati che disdegnano le Corti terrene.Cavalcano per il cielo, nella loro cacciaeterna. Una notte all’anno, a un mortale èconcesso di unirsi a loro; ma se lo fa,non se ne può più andare.

— E perché qualcuno dovrebbefarlo?

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Jace rotolò e in un attimo fu sopraClary, premendola contro il fondo dellabarca. Lei si accorse a stentodell’umidità: sentiva il corpo di luiemanare ondate di calore, lo sguardoardente. Riusciva a starle sopra senzamai schiacciarla, ma facendole sentiretutto il proprio corpo contro il suo… Laforma dei fianchi, i rivetti dei jeans, irilievi delle cicatrici. — C’è qualcosadi affascinante all’idea — disse — diperdere completamente il controllo. Noncredi?

Clary aprì la bocca per rispondere,ma lui la stava già baciando. Lo avevabaciato così tante volte: baci dolci edelicati, passionali e disperati, rapidistrofinii di labbra per dirsi arrivederci e

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altri che sembravano durare ore. Eanche quello non fu diverso. Come ilricordo di una persona che aveva abitatouna casa perdurava anche dopo che sen’era andata, così il corpo di Claryricordava Jace. Ricordava il suosapore, l’inclinazione della sua boccasopra la sua, la sensazione dellecicatrici sotto le dita, la forma del corposotto le mani. Abbandonò i dubbi e lotirò a sé.

Jace si mise di lato, stringendola,con la barca che oscillava sotto di loro.Clary sentiva il rumore delle ondementre le mani di lui le scendevano finsopra ai fianchi, con le dita cheaccarezzavano leggere la pelle sensibilesopra le reni. Gli fece scivolare le mani

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fra i capelli e chiuse gli occhi, avvoltadalla foschia, dal suono e dall’odoredell’acqua. Trascorsero epoche infinite:esistevano solo la bocca di Jace sullasua, il dolce cullare della barca, le suemani sulla pelle. Alla fine, dopo untempo che avrebbe potuto essere ore ominuti, sentì una voce arrabbiata gridarein italiano, levandosi nella notte esquarciandola.

Jace si tirò indietro, lo sguardopigro e pieno di rimpianto. — Saràmeglio andare.

Clary lo guardò, confusa. — Perché?— Perché quello è il proprietario

della barca. — Jace si mise a sedere esi sistemò la camicia. — E sta perchiamare la polizia.

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capitolo 11

ATTRIBUITE A LUI OGNI PECCATO

Magnus aveva spiegato che, durante

l’evocazione di Azazel, non si potevausare elettricità, perciò il loft erailluminato soltanto dalle luci dellecandele che bruciavano in cerchio alcentro della stanza. Erano di altezze eintensità diverse, ma tutte con lamedesima fiamma bianco-azzurra.

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Lo stregone aveva tracciato dentro alcerchio un pentagramma, utilizzando unbastone di sorbo selvatico per darefuoco a dei triangoli sovrapposti sulpavimento. Fra le sezioni formate dalpentagramma c’erano simboli che Simonnon aveva mai visto prima: non propriolettere ma nemmeno rune, cheemanavano un senso di fredda minacciamalgrado il calore delle candele.

Ormai fuori dalle finestre s’era fattobuio, quel genere di buio cheaccompagnava i tramonti precocidell’inverno incombente. Isabelle, Alec,Simon e infine Magnus, il quale eraimpegnato a leggere ad alta voce dallibro Rituali proibiti: ognuno di loro erain piedi, in corrispondenza di un punto

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cardinale attorno al cerchio. La vocedello stregone si alzava e si abbassava,declamando parole latine come in unapreghiera distorta e sinistra.

Le fiamme arsero più intensamente ei simboli tracciati sul pavimentocominciarono a bruciare annerendo.Chairman Meow, che guardava da unangolo della stanza, soffiò e poi scappònell’ombra. Le fiamme bianco-azzurredivampavano a tal punto che ora Simonfaticava a vedere Magnus. Nella stanzainiziava a fare caldo; lo stregone stavarecitando il rituale con fare concitato,mentre i capelli neri gli si arricciavanoper l’umidità e il sudore gli brillavasulle guance. — Quod tumeraris: perJehovam, Gehennam, et consecratam

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aquam quam nunc spargo, signumquecrucis quod nunc facio, et per votanostra, ipse nunc surgat nobis dicatusAzazel!

Dal centro del pentagramma si levòuna fiammata, accompagnata da un’ondadi fumo nero che si dissipò lentamenteper l’intera stanza, costringendo tutti,tranne Simon, a tossire. La nube ruotavacome un vortice, concentrandosigradualmente al centro del pentagrammafino a formare la sagoma di un uomo.

Simon sgranò gli occhi. Non sapevabene cosa doveva aspettarsi, ma di certonon quello: un individuo alto e coicapelli ramati, né giovane né vecchio.Un viso senza età, freddo e inumano.Spalle larghe, abito nero di sartoria,

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scarpe lucide dello stesso colore.Attorno ai polsi aveva dei solchi rossoscuro, segno di una costrizione con dellacorda o del metallo che, nell’arco dimolti anni, gli aveva scavato la pelle.Gli occhi erano fiamme rosse e ardenti.

Parlò. — Chi evoca Azazel? — Lasua voce era lo stridore del metallocontro il metallo.

— Io — rispose Magnus, chiudendocon decisione il volume che teneva frale mani. — Magnus Bane.

Azazel girò lentamente verso di luila testa, che gli ruotava sul collo inmaniera del tutto innaturale, come quelladi un serpente. — Stregone — disse. —So chi sei.

Magnus sollevò un sopracciglio. —

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Ah sì?— Evocatore. Costrittore.

Distruttore del demone Marbas. Figliodi…

— Non c’è bisogno di tornare sututte quelle cose.

— Sì, invece. — Azazel sembravaragionevole, forse persino divertito. —Se è l’assistenza infernale che richiedi,perché non hai evocato tuo padre?

Alec guardava Magnus a boccaspalancata. Simon era dispiaciuto perlui. Sicuramente i presenti eranoconvinti che lo stregone non sapessenulla su suo padre, a parte il fatto cheera un demone che aveva ingannato suamadre facendole credere di esserne ilmarito. Era chiaro che anche Alec non

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ne sapeva più degli altri, cosa che,immaginò Simon, probabilmente non glifaceva molto piacere.

— Io e mio padre non siamo inbuoni rapporti — disse Magnus. —Preferirei non coinvolgerlo.

Azazel sollevò le mani. — Comevolete, Signore. Mi avete in pugno. Cosachiedete?

Magnus aprì bocca, madall’espressione che comparve sul voltodi Azazel si capì che stava comunicandotelepaticamente, in silenzio. Le fiammeguizzavano e danzavano negli occhi deldemone come bambini impazienti diascoltare una storia. — Furba, Lilith —disse infine Azazel, — a risvegliare ilragazzo dalla morte e garantirgli la

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sopravvivenza legando la sua vita aqualcuno che nessuno di voi vorrebbemai uccidere. È stata sempre più bravadi quasi tutti noi a manipolare leemozioni umane. Forse perché, untempo, anche lei era qualcosa di simileagli umani.

— C’è un modo — Magnussembrava impaziente — per rompere illegame fra quei due?

Azazel scosse il capo. — Non senzaucciderli entrambi.

— E allora c’è un modo per fare delmale solo a Sebastian senza farne aJace? — Era Isabelle, ansiosa. Magnusla fulminò con lo sguardo.

— Non con armi che potrei creare ioo che ho già a mia disposizione —

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rispose Azazel. — Posso forgiarle solose possiedono l’alleanza demoniaca. Unlampo scagliato dalla mano di un angelo,forse, potrebbe distruggere il maledentro il figlio di Valentine, rompendocosì il legame, oppure trasformandolo inqualcosa di positivo. Se mi permettetedi darvi un consiglio…

— Oh — fece Magnus,socchiudendo i suoi occhi da gatto. —Per favore, daccelo.

— Avrei una semplice soluzione perseparare i ragazzi, mantenendo in vita ilvostro e neutralizzando il pericolodell’altro. In cambio vi chiederei benpoco.

— Tu sei il mio servitore — ribattéMagnus. — Se vuoi andartene da questo

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pentagramma, farai quello che ti dico io,senza chiedere favori in cambio.

Azazel gli sibilò contro e dalle suelabbra divamparono lingue di fuoco. —Se non sono imprigionato qui, lo sono dilà, quindi non c’è molta differenza…

— Perché questo è l’Inferno, né ione sono fuori — disse Magnus con l’ariadi riportare una citazione antica.

Azazel sfoggiò un sorriso metallico.— Forse, stregone, non sei orgogliosocome il vecchio Faust, ma sei moltoimpaziente. Sono certo che la miavolontà di restare in questopentagramma è più forte della tua vogliadi farmi la guardia…

— Oh, non saprei — ribatté Magnus.— Sono sempre stato piuttosto audace in

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materia di arredamento, e averti qui ineffetti aggiunge alla stanza un certo nonso che.

— Magnus! — esclamò Alec,chiaramente poco entusiasta all’idea diun demone immortale che si piazzava nelloft del suo fidanzato.

— Geloso, giovane Shadowhunter?— fece Azazel sorridendo ad Alec. — Iltuo stregone non è il mio tipo, e poi nonvorrei proprio fare arrabbiare suo…

— Ora basta — lo interruppeMagnus. — Dicci qual è quel “benpoco” che vorresti in cambio del tuointervento.

Azazel si mise le mani sulle tempie,le mani color sangue e unghie nere diuno che lavorava sodo. — Un ricordo

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felice — disse — di ognuno di voi.Qualcosa per divertirmi mentre saròlegato come Prometeo alla sua roccia.

— Un ricordo? — ripeté Isabellesbalordita. — Vuoi dire che svanirebbedalla nostra mente? Che noi nonpotremmo più ripensarci?

Azazel la guardò, attraverso lefiamme, con attenzione. — E tu che cosasei, piccolina? Una Nephilim? Sì, miprenderei il vostro ricordo e lo rendereimio. Dimenticherete che quella cosa visia davvero successa. Però evitate didonarmi ricordi che riguardano demoniche avete squartato al chiaro di luna, nonsono il genere di cose che mi divertono.No, voglio che questi ricordi siano…personali. — Sorrise, e i denti gli

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luccicarono come una saracinesca diferro.

— Sono vecchio — disse Magnus— e ho molti ricordi. Sono pronto asacrificarne uno, se necessario. Ma nonposso parlare a nome di tutti. Nessunodovrebbe essere costretto a rinunciare auna cosa del genere.

— Io lo faccio — disse subitoIsabelle. — Per Jace.

— Anch’io, ovvio — le fece ecoAlec, dopodiché fu il turno di Simon.Pensò subito a Jace, che si tagliava ilpolso e gli donava il suo sangue nellaminuscola stanza sulla nave di Valentine.Aveva messo a rischio la sua vita perlui. Forse in fondo era stato per amoredi Clary, ma restava il fatto che lui gli

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era ancora debitore. — Ci sto.— Bene — disse Magnus. — Tutti

voi, cercate di pensare a dei ricordifelici, davvero felici. Qualcosa che vifaccia piacere ricordare. — Lanciò unosguardo tagliente al demone, che se nestava dentro il pentagramma con ariacompiaciuta.

— Sono pronta — annunciò Isabelle.Era in piedi con gli occhi chiusi e laschiena dritta, come se fosse sul punto diincassare un colpo. Magnus le siavvicinò e le appoggiò le dita sullafronte, mormorando piano.

Alec li guardò a bocca serrata, poianche lui chiuse gli occhi. Simon fece lostesso, in tutta fretta, sforzandosi dirievocare un ricordo felice. Qualcosa

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che aveva a che fare con Clary? Mamolti dei ricordi che aveva di lei eranoormai intaccati dalla preoccupazione perla sua salute. Qualcosa che risaliva aquando erano molto piccoli?Un’immagine gli nuotò davanti agliocchi della mente: un caldo giornod’estate a Coney Island, lui sulle spalledi suo padre, Rebecca che correvadietro di loro trascinando un mazzo dipalloncini. Lo sguardo che si alzava alcielo, cercando di scorgere delle figurenelle nuvole, e il suono della risata disua madre. No, pensò, quello no. Nonvoglio perdere quello…

Sentì una sensazione di freddo sullafronte. Aprì gli occhi e vide che Magnusstava riabbassando la mano. Lo guardò,

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con la mente improvvisamente sgombra.— Ma io non stavo pensando a niente —protestò.

Lo sguardo felino di Magnus eratriste. — Sì, invece.

Simon si guardò attorno, sentendosileggermente stordito. Anche per gli altridoveva essere lo stesso: avevanol’aspetto di chi si sta svegliando da unostrano sogno. Incrociò lo sguardo diIsabelle, lo sfarfallio nero delle sueciglia, e si chiese a cosa avesse pensatolei, a quale gioia avesse rinunciato.

Un brontolio leggero dal centro delpentagramma gli fece distogliere losguardo da Izzy. Azazel era in piedi, piùvicino possibile al bordo del disegnotracciato a terra, e dalla gola gli usciva

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un lento ringhio di fame. Magnus si voltòper guardarlo, con un’aria di disgustosul viso. Aveva le mani strette a pugno esembrava che qualcosa gli brillasse frale dita, come se avesse una pietra runicadi stregaluce. Si girò e fece un rapidolancio obliquo verso il centro delpentagramma. La visione da vampiro diSimon capì di cosa si trattava: era unasfera di luce che si espandeva in volo,trasformandosi in un cerchio diimmagini multiple. Vide uno sprazzo dimare turchese, il lembo di un vestito diraso che svolazzava mentre chi loindossava faceva una piroetta,un’istantanea del volto di Magnus, unragazzo con gli occhi azzurri. Poi Azazelaprì le braccia e il cerchio di immagini

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svanì dentro al suo corpo comespazzatura vagante risucchiata nellafusoliera di un aereo.

Azazel trasalì. I suoi occhi, cheprima lanciavano saette di fiamme rosse,ora ardevano come un incendio e,quando parlò, la sua voce si incrinò. —Aaah… Delizioso.

Magnus si fece subito sentire. — Eora la tua parte dello scambio.

Il demone si leccò le labbra. — Lasoluzione al vostro problema è laseguente. Voi mi liberate e mi lasciateandare nel mondo, io prendo il figlio diValentine e lo porto all’Inferno. Nonmorirà, perciò Jace continuerà a vivere,ma, lasciando questa dimensione, a pocoa poco il legame tra i due si dissolverà.

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E voi riavrete il vostro amico.— E a quel punto? — chiese

lentamente Magnus. — Noi ti liberiamo,ma poi tu torni e ti lasci imprigionare dinuovo?

Azazel scoppiò a ridere. — Certoche no, stupido stregone. Il prezzo per ilmio favore è la libertà.

— La libertà?! — Fu Alec a parlare,con voce incredula. — Un Principedell’Inferno lasciato libero di vagareper il mondo? Ti abbiamo già dato inostri ricordi…

— Quello era il prezzo da pagareper sentire il mio piano — osservòAzazel. — La mia libertà è il prezzo pervederlo realizzato.

— Questo è un inganno e tu lo sai —

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gli disse Magnus. — Stai chiedendol’impossibile.

— Anche voi — ribatté Azazel. —In teoria avete perso il vostro amico persempre. “Quando uno avrà fatto un votoal Signore o si sarà obbligato congiuramento a una astensione, non violi lasua parola”. E, secondo i terminidell’incantesimo di Lilith, le loro animesono legate, ed entrambi l’hannoaccettato.

— Jace non lo avrebbe mai… —fece per dire Alec.

— Ha pronunciato le parole — lointerruppe Azazel — di sua spontaneavolontà o mosso dal senso di colpa, nonha importanza. Mi state chiedendo direcidere un legame sul quale soltanto il

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Paradiso ha potere. Ma il Paradiso nonvi aiuterà, e lo sapete bene quanto me. Infondo è per questo che gli uominievocano i demoni e non gli angeli,giusto? Questo è il prezzo da pagare peril mio intervento. Se non volete, doveteimparare ad accettare ciò che aveteperso.

Il viso di Magnus era pallido e teso.— Ora discutiamo fra noi e valutiamo sela tua proposta è accettabile. Nelfrattempo… ti bandisco! — Sventolò lamano e Azazel svanì, lasciando dietro disé odore di legno carbonizzato.

Le quattro persone nella stanza sifissarono l’un l’altra, incredule. — Stachiedendo qualcosa di impossibile,vero? — disse infine Alec.

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— Teoricamente tutto è possibile —rispose Magnus, tenendo lo sguardofisso davanti a sé come dentro un abisso.— Ma liberare un Demone Superiore…Anzi, non soltanto un Demone Superiore,un Principe dell’Inferno, secondo solo aLucifero… La distruzione che potrebbecausare…

— Non è possibile — intervenneIsabelle — che Sebastian ne provochialtrettanta?

— Come ha detto Magnus, tutto èpossibile — commentò Simon conamarezza.

— Agli occhi del Conclave nonpotrebbe esserci crimine più grande —disse Magnus. — Chiunque liberasseAzazel sulla Terra diventerebbe un

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criminale ricercato.— Ma se servisse a distruggere

Sebastian… — tentò Isabelle.— Non abbiamo la prova che

Sebastian stia complottando alcunché —disse Magnus. — Per quanto nesappiamo, tutto ciò che vuole èsistemarsi in una bella casa di campagnaa Idris.

— Con Clary e Jace? — chieseAlec, incredulo.

Magnus scrollò le spalle. — Chi losa cosa vuole da loro? Forse,semplicemente, si sente solo.

— Non ci credo che abbia rapitoJace da quel tetto solo perché ha undisperato bisogno di amicizia fra uomini— fece notare Isabelle. — Quello ha in

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mente qualcosa…Guardarono tutti Simon. — E Clary

sta cercando di scoprire cosa. Le servedel tempo. E non dite che non neabbiamo — disse, — lo sa bene anchelei.

Alec si passò una mano fra i capelliscuri. — Bene, però abbiamo appenasprecato un’intera giornata. Una giornatache non avevamo. Basta con le ideestupide! — Aveva parlato in tonobrusco, e non era da lui.

— Alec — disse Magnus,appoggiando una mano sulla spalla delsuo ragazzo. Alec era fermo in piedi efissava il pavimento con rabbia. — Staibene?

Alec lo guardò. — Te lo chiedo di

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nuovo: chi sei?Magnus sussultò. Per la prima volta

da quando Simon ricordava, lo stregonesembrava realmente spossato. Durò soloun istante, ma accadde. — Alexander…— disse al fidanzato.

— Troppo presto per scherzare sulricordo felice, suppongo — fece Alec.

— Tu credi? — La voce di Magnussi era alzata. Prima che potesseaggiungere altro, la porta si spalancò.Erano Maia e Jordan. Avevano le guancerosse per il freddo, e Simon notò consorpresa che lei indossava la giacca dipelle di lui.

— Arriviamo adesso dalla stazione— annunciò entusiasta. — Luke non si èancora risvegliato, ma sembra che starà

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bene… — Si interruppe, guardandosiattorno e notando il pentagramma ancorascintillante, le nuvole di fumo nero e lechiazze di bruciato sul pavimento. —Okay ragazzi, ora mi dite che cosastavate facendo?

Grazie all’aiuto di un incantesimo ealla capacità di Jace di appendersi conun solo braccio a un vecchio pontearcuato, lui e Clary riuscirono a sfuggirealla polizia italiana senza esserearrestati. Una volta smesso di correre,crollarono seduti a terra contro il murodi un palazzo, ridendo uno accantoall’altra con le mani intrecciate. Claryvisse un istante di pura gioia e dovetteseppellire il viso contro la spalla diJace ricordando a se stessa, con una

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severa voce interiore, che quello non eralui. E, a quel punto, le risate si spenseronel silenzio.

Jace sembrò interpretare il suorepentino cambio di atteggiamento comeun segno di stanchezza. Stringendoledelicatamente la mano, tornò verso lastrada da cui erano partiti, lo strettocanale coi ponti a entrambe le estremità.In mezzo, Clary riconobbe la residenzaspoglia, priva di tratti distintivi, cheavevano lasciato. Si sentì percorrere daun brivido.

— Freddo? — Jace la strinse a sé ela baciò. Era molto più alto di lei, e lealternative erano piegarsi o sollevarla;scelse la seconda opzione, e lei rimasesenza fiato quando lui la prese e la fece

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passare… attraverso il muro della casa.La rimise giù e tirò un calcio a una

porta comparsa all’improvviso alle lorospalle. Poi la richiuse di colpo, ed erasul punto di togliersi la giacca, quandosentì il suono di una risata soffocata.

Clary si allontanò di colpo da Jace,mentre attorno a loro si accendevanodelle luci. Sebastian era seduto suldivano, coi piedi sul tavolino. La suachioma platino era arruffata, gli occhineri e lucidi. Non era solo. Con luic’erano due ragazze, una per lato. Laprima era bionda, vestita in manieraabbastanza succinta: minigonnascintillante e top di lustrini. Teneva unamano aperta sul petto di Sebastian.L’altra era più giovane e dall’aria più

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dolce, coi capelli neri tagliati corti, unafascia di velluto rosso attorno alla testae un vestito nero di pizzo.

Clary sentì i suoi nervi irrigidirsi.Vampira, pensò. Non sapeva comeavesse fatto a riconoscerla, eppure eracosì… Sarà stato per la pelle bianca elucente come cera della ragazza coicapelli scuri, per la profondità dei suoiocchi, o magari solo per il fatto cheaveva ormai imparato ad accorgersi dicerte cose, proprio come ci si aspettavada uno Shadowhunter. La ragazza, a suavolta, sapeva che lei sapeva, Clary neera certa. Sorrise mostrandole i suoipiccoli canini appuntiti, poi si piegò perfarli scorrere sul collo di Sebastian. Lepalpebre di lui vennero percorse da un

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fremito, ciglia bionde che siabbassavano su occhi di carbone. Disottecchi, guardò Clary ignorando Jace.

— Ti è piaciuta la seratina?Clary avrebbe voluto rispondergli

male, ma si limitò ad annuire.— Bene, allora volete unirvi a noi?

— disse indicando se stesso e le dueragazze. — Per un drink?

La mora scoppiò a ridere e chiesequalcosa a Sebastian, in italiano.

— No — rispose Sebastian nellastessa lingua. — Lei è mia sorella.

La ragazza si appoggiò all’indietrosullo schienale, con l’espressionedelusa. Clary si sentiva la boccaasciutta. All’improvviso sentì la manodi Jace contro la sua, il tocco ruvido

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delle dita callose. — No grazie —disse. — Noi andiamo di sopra. Civediamo domani mattina.

Sebastian fece svolazzare una mano,e l’anello dei Morgenstern che aveva aldito catturò la luce, splendendo come unfuoco di segnalazione. — Civediamo! — gli disse in italiano.

Jace condusse Clary fuori dallastanza, su per le scale di vetro. Soltantoquando furono in corridoio lei ebbe lasensazione di aver ripreso a respirare.Un conto era un Jace diverso. Un altroSebastian: il senso di minaccia cheemanava era come fumo attorno alfuoco. — Che cosa ha detto? — chiese.— Le parole in italiano, intendo.

Jace tradusse tutto, tranne quello che

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la ragazza aveva chiesto a Sebastian.— Lo fa spesso? — chiese Clary. Si

erano fermati davanti alla stanza di Jace,sulla soglia. — Si porta spesso delleragazze in casa?

Jace le accarezzò il viso. — Lui faquello che vuole e io non gli facciodomande — rispose. — Potrebbetornare con un coniglio rosa di un metroe ottanta in bikini, se gli piace. Non sonoaffari miei. Ma se stai chiedendo a mese ho portato qui delle ragazze, larisposta è no. Io voglio solo te.

Non era quello che voleva sapere,ma annuì comunque, come se quelleparole l’avessero rassicurata. — Nonvoglio tornare di sotto.

— Puoi dormire con me in camera

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mia, stanotte. — Gli occhi d’ambra diJace splendevano al buio. — Oppurestare nella camera padronale. Sai chenon ti chiederei mai…

— Voglio stare con te — furono leparole di Clary, sbalordita dalla suastessa irruenza. Forse era soltantoperché l’idea di dormire nella stanzadove un tempo aveva dormito Valentine,quando lei viveva ancora con sua madre,era troppo. O forse perché era stanca, eaveva trascorso un’unica notte nellostesso letto con Jace, quando avevanodormito sfiorandosi soltanto le manicome se fra loro giacesse una spadasguainata.

— Dammi un secondo per sistemarela stanza, è un casino.

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— Già, in effetti prima, quando cisono entrata, credo di aver visto ungranello di polvere sul davanzale. Faraimeglio a rimediare.

Lui le afferrò una ciocca di capelli,pettinandogliela con le dita. — Non perandare apposta contro i miei stessiinteressi, ma… ti serve qualcosa perdormire? Un pigiama, o…

Clary ripensò al guardarobatraboccante di vestiti della camerapadronale. Avrebbe dovuto abituarsiall’idea, quindi tanto valeva iniziaresubito. — Vado a prendere una camiciada notte.

Ovviamente, pensò qualche minutodopo, davanti all’armadio aperto, il tipodi pigiama che gli uomini compravano

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per le loro donne noncoincideva necessariamente con quelloche loro avrebbero comprato per sestesse. Di solito Clary dormiva con unacanottiera e dei pantaloncini corti,mentre lì dentro era un trionfo di sete,pizzi, più vedo che non vedo, o tutt’e trele cose insieme. Alla fine scelse unacamicia da notte verde chiaro che learrivava a metà coscia. Ripensò alleunghie rosse della ragazza al piano disotto, quella con la mano sul petto diSebastian. Le sue erano mangiucchiate, esui piedi non osava mai mettere più chesmalto trasparente. Si chiese comesarebbe stato assomigliare un po’ di piùa Isabelle, così consapevole del propriopotere femminile da essere in grado di

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brandirlo come una spada, invece diguardarlo perplessa, con lo stessodisagio di qualcuno che ha appenaricevuto un regalo per la casa nuova manon ha idea di dove metterlo.

Per scaramanzia, si toccò l’anellod’oro che portava al dito, prima didirigersi verso la camera di Jace. Luiera seduto sul letto, a petto nudo e coipantaloni del pigiama neri, impegnato aleggere un libro dentro il piccolo alonegiallo emanato dalla lampada delcomodino. Clary rimase in piedi aosservarlo per qualche istante: vedeva ildelicato gioco di muscoli sotto la suapelle mentre voltava le pagine, ma ancheil Marchio di Lilith, appena sopra ilcuore. Non assomigliava al ricamo nero

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degli altri marchi. Era rosso e argento,come mercurio sfumato di sangue. E nonsembrava roba sua.

La porta alle sue spalle si chiuse dasola con uno scatto e a quel punto Jacealzò lo sguardo. Clary gli vide cambiareespressione. Quella camicia da notte nonla faceva impazzire, ma di sicuro avevafatto colpo su di lui: vedere la suareazione le fece venire un brivido sullapelle.

— Hai freddo? — Jace tirò indietrole coperte, e lei si infilò nel lettoaccanto a lui, che nel frattempo avevabuttato il libro sul comodino. Sirannicchiarono insieme sotto le lenzuola,finché non furono faccia a faccia. Eranorimasti sdraiati nella gondola, a

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baciarsi, per quelle che le erano parseore, ma adesso era diverso. Prima eranoin un luogo pubblico, sotto lo sguardodella città e delle stelle. Quella inveceera un’intimità inattesa, soltanto loro duesotto la coperta, i respiri e il calore deicorpi che si fondevano. Nessuno aguardarli, nessuno a fermarli, nessunmotivo per farlo. Quando lui allungò unamano per accarezzarle la guancia, ilsangue le palpitava nei timpani cosìforte da farle temere di diventare sorda.

Avevano gli occhi così vicini che leiriusciva a distinguere il disegno dipagliuzze dorate, più chiare e più scure,dentro le iridi di lui, simile a unmosaico di opale. Clary aveva avutofreddo per molto tempo, ma ora si

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sentiva come se stesse bruciando esciogliendosi allo stesso tempo,dissolvendosi dentro di lui; e si stavanoa malapena sfiorando. Scoprì il propriosguardo che esplorava i punti in cui luiera più vulnerabile: tempie, occhi, ilpalpito alla base del collo che lainvitava a baciarlo proprio lì, persentire il suo battito cardiaco sullelabbra.

La mano destra di lui, coperta dicicatrici, le stava scendendo dallaguancia alla spalla, per poi accarezzarlalungo la schiena, in un unico, lento gestoche terminò all’altezza dei fianchi. OraClary capiva come mai agli uominipiacevano tanto le camicie da notte diseta: non c’era attrito, era come lasciar

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scorrere le mani su una superficie divetro. — Dimmi cosa vuoi — le dissecon un sussurro a malapena in grado dicelare il tono ruvido della voce.

— Voglio solo che mi stringi —rispose lei. — Mentre dormo. Adessonon voglio altro.

Le dita di lui, che le stavanotracciando lenti cerchi sul fianco, sifermarono. — Tutto qui?

No, non era quello che voleva.Quello che voleva era baciarlo fino aperdere la cognizione del tempo e dellospazio, come prima sulla gondola;baciarlo fino a dimenticare se stessa e ilmotivo per cui era lì. Voleva usarlocome una droga.

Ma era una pessima idea.

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Lui la guardò, inquieto, e lei ricordòla prima volta che lo aveva visto. Loaveva trovato bellissimo e mortale altempo stesso, come un leone. Questa èuna prova, pensò. E forse anchepericolosa. — Tutto qui.

Il petto di lui si gonfiava e siriabbassava. Sembrava che il Marchiodi Lilith gli pulsasse sulla pelle, appenasopra il cuore. Le strinse la mano sulfianco. Clary avvertiva il propriorespiro, debole come una brezza marina.

Jace la tirò a sé, facendola girarefinché non furono incastrati come duecucchiai, la schiena di lei rivolta versolui. Clary deglutì per non sussultare.Sentiva la sua pelle bollente, quasi comese avesse la febbre. Ma le braccia che la

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stavano avvolgendo erano familiari.Insieme erano complementari, comesempre: la testa di lei sotto il mento dilui, la schiena contro i possenti muscolidi petto e addome, le gambe piegate. —Va bene — sussurrò Jace, e lasensazione del suo respiro sulla nucafece venire a Clary la pelle d’oca sututto il corpo. — Allora dormiamo.

E non ci fu altro. Piano piano ilcorpo di Clary si distese, il palpitare delcuore rallentò. Le braccia di Jace ledavano la stessa sensazione di sempre:conforto. Strinse le mani attorno a quelledi lui e chiuse gli occhi, immaginandoche il letto sul quale giacevano fosselibero da quella strana prigione,fluttuasse nello spazio o sulla superficie

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di un oceano, loro due e basta.Dormì così, la testa incastrata sotto

il mento di Jace, la schiena aderente alsuo corpo, le gambe intrecciate. Fu lamigliore dormita da settimane.

Simon era seduto sul bordo del letto,nella camera degli ospiti di Magnus,guardando la borsa che aveva sulleginocchia.

Sentiva delle voci provenire dalsalotto. Lo stregone spiegava a Maia e aJordan quanto era accaduto quella notte,con Izzy che di tanto in tanto intervenivaper fornire dettagli. Jordan propose diordinare del cibo cinese per non moriredi fame, Maia rideva, e disse cheandava bene, purché non chiamassero ilLupo di Giada.

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Morire di fame, pensò Simon. Anchelui cominciava ad avere appetito,abbastanza da sentirsi le vene chetiravano. Era un tipo di fame diversa daquella umana: si sentiva svuotato, unvuoto infinito dentro. Se qualcuno loavesse colpito, l’avrebbe fatto tintinnarecome un campanello.

— Simon — si aprì la porta eIsabelle entrò in camera. Aveva i capellisciolti, le arrivavano quasi alla vita. —Tutto bene?

— Bene.Gli vide la borsa sulle gambe e le

spalle le si irrigidirono. — Te ne staiandando?

— Be’, non avevo in programma difermarmi qui per sempre — rispose lui.

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— Voglio dire, l’altra sera era…diverso. Tu mi avevi chiesto…

— Giusto — fece lei con un tono divoce squillante e innaturale. — Almenofatti accompagnare da Jordan. Aproposito, hai notato lui e Maia?

— Notato cosa?Lei abbassò la voce. — Durante la

loro gitarella è sicuramente successoqualcosa… Adesso sono tutti moine!

— Bene, allora.— Sei geloso?— Geloso? — ripeté lui, perplesso.— Be’, tu e Maia… — Fece

ondeggiare una mano, guardandolo dasotto le sue lunghe ciglia. — Voi due…

— Ah. No. No, per niente. Sonocontento per Jordan. Ne sarà

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felicissimo. — Ed era sincero.— Bene. — Isabelle rialzò lo

sguardo e Simon notò che aveva leguance rosse, non solo per via delfreddo. — Questa notte ti fermeresti qui,Simon?

— Con te?Lei annuì, ma senza guardarlo. —

Alec sta uscendo per andare arecuperare altri vestiti all’Istituto. Mi hachiesto se volevo tornare con lui ma…io preferirei restare qui con te. —Sollevò il mento, ora guardando Simondritto in faccia. — Non voglio dormireda sola. Se rimango qui, stai con me? —Lui capì quanto le fosse costato farequella domanda.

— Ma certo — le disse, con la

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massima naturalezza possibile,togliendosi il pensiero della fame dallatesta, o almeno provandoci.

L’ultima volta che aveva cercato didimenticarsi di bere, era andata a finirecon Jordan che lo strappava dal corposemicosciente di Maureen.

Ma quello era stato dopo che erarimasto per giorni senza mangiare.Adesso era diverso. Conosceva i suoilimiti, ne era certo.

— Sì, Isabelle — ribadì. — Sarebbefantastico.

Dal divano, Camille lanciò ad Alecun sorrisetto ammiccante. — E Magnus,adesso, dove crede che tu sia?

Alec, che aveva appoggiato unatavola di legno sopra due blocchi di

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calcestruzzo per formare una specie dipanchina, distese le lunghe gambe e siguardò gli stivali. — All’Istituto aprendere dei vestiti. Stavo per andare aSpanish Harlem, invece sono venuto qui.

Lo sguardo di lei si assottigliò. — Ecome mai?

— Perché non posso farlo. Nonposso uccidere Raphael.

Camille buttò in aria le mani. — Eperché no? Hai con lui un qualchelegame personale?

— Lo conosco appena — risposeAlec. — Ma ucciderlo significherebbeinfrangere deliberatamente la Leggedell’Alleanza. Non che non mi sia maicapitato di violare le Leggi, ma c’èdifferenza tra farlo per un buon motivo o

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farlo solo a scopo personale.— Ossignore. — Camille si alzò e

iniziò a camminare avanti e indietro. —Risparmiami la storia che i Nephilimhanno una coscienza.

— Mi dispiace.Lei lo fissò. — Ti dispiace?! Ora ti

faccio vedere io cosa… — Siinterruppe. — Alexander — proseguì intono più composto. — Cosa mi dici diMagnus? Se continui così, lo perderai.

Alec la guardò mentre si muoveva,felina ed elegante, col viso sgombro ditutto tranne che di una stranacomprensione. — Dov’è nato Magnus?

Camille rise. — Non sai nemmenoquello? Santo cielo. Batavia, se vuoisaperlo. — Fece una smorfia in risposta

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all’espressione confusa di lui. —Indonesia, che all’epoca si chiamavaIndie Orientali Olandesi. Sua madre eradel posto, credo, e suo padre unostupido colonialista. Be’, non il suo veropadre, ovviamente. — Le labbra le siincurvarono in un sorriso.

— E chi era il suo vero padre?— Il padre di Magnus? Ma un

demone, che domande!— D’accordo, ma quale?— Che importanza ha, Alexander?— Ho come la sensazione —

proseguì Alec, ostinato — che sitrattasse di un demone piuttosto potente,di alto livello. Solo che lui non ne vuoleparlare.

Camille si ributtò sul divano con un

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sospiro. — Certo che no. In unarelazione bisogna mantenere un certomistero, Alec Lightwood. Un libro chenon si è ancora letto è sempre molto piùinteressante di un altro che si conosce amemoria.

— Vuoi dire che io gli raccontotroppo di me? — Alec volevaaggrapparsi a un brandello di consiglio.Lì, da qualche parte, dentroquell’involucro di donna freddo ebellissimo, c’era qualcuno che avevacondiviso con lui un’esperienza unica:amare ed essere riamato da Magnus. Leidoveva sicuramente sapere qualcosa,conoscere un segreto di qualche tipo,avere la chiave per impedirgli dimandare tutto a rotoli.

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— Molto probabilmente, anche sesei vivo da così poco tempo che nonriesco a immaginarmi quante cosepotresti avere da dire. Sarai di sicuro acorto di aneddoti.

— Comunque mi pare evidente cheanche la tua scelta di non dirgli nientenon abbia funzionato.

— Io non volevo tenermelo quantolo vuoi tu.

— E se… — esordì Alec, sapendoche la sua era una pessima idea, maincapace di fermarsi. — E se invece tulo avessi voluto, cosa avresti fatto didiverso?

Camille emise un sospiro teatrale.— Ciò che sei troppo giovane percapire è che tutti nascondiamo qualcosa.

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Lo nascondiamo a chi amiamo perchévogliamo mostrare soltanto il meglio dinoi, ma anche perché, se si tratta di veroamore, ci aspettiamo semplicemente diessere capiti senza bisogno di chiederlo.In un rapporto sincero, di quelli chedurano nel tempo, esiste una tacitacomunione.

— M-ma… — balbettò Alec — iopensavo volesse che mi confidassi.Voglio dire, ho avuto dei problemi adaprirmi anche con persone che conoscoda tutta la vita, come Isabelle o Jace…

Camille sbuffò. — Quella è un’altracosa — disse. — Quando hai trovato ilvero amore, non ti serve nessun altronella vita. Non c’è da stupirsi se Magnussente di non potersi confidare, se tu fai

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così tanto affidamento su queste altrepersone. Quando è vero amore, dovrestisoddisfare ogni desiderio, ogni bisognodell’altro… Mi stai ascoltando, giovaneAlexander? Perché i miei consigli sonopreziosi, e non li do tanto spesso…

La stanza era inondata dalla lucetraslucida dell’alba. Clary si miseseduta, guardando Jace che dormiva.Era sul fianco, i capelli bronzo chiaronell’aria bluastra. Si faceva daguanciale con una mano, come unbambino. La cicatrice a forma di stellasulla spalla era scoperta, così come idisegni di vecchie rune su e giù per lebraccia, dietro e sui lati.

Si chiese se altre persone avrebberotrovato le cicatrici belle quanto le

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trovava lei, o se le vedeva così soltantoperché lo amava ed erano parte di lui.Alcune gli avevano persino salvato lavita.

Jace mormorò nel sonno e si voltòsulla schiena. La mano, con la runadella Chiaroveggenza nera ed evidentesul dorso, era aperta sugli addominali.Più in alto c’era un’altra runa, quellache a Clary non piaceva: il Marchio diLilith, il vincolo che lo legava aSebastian.

Sembrava pulsare, in un modo chele ricordava il ciondolo di rubino diIsabelle, come un secondo cuore.

Con le movenze silenziose di ungatto, si spostò e si mise sulleginocchia. Tolse dal muro il pugnale

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degli Herondale. La foto di lei e di Jacesvolazzò a terra, volteggiando nell’ariaprima di cadere a faccia in giù.

Deglutì e si girò per guardarlo.Anche adesso era così vivo, comeavesse un bagliore interiore, un fuocoche lo accendeva. La cicatrice sul pettopulsava al suo solito ritmo regolare.

Sollevò il coltello.Clary si svegliò di soprassalto, col

cuore che le martellava contro la gabbiatoracica. La stanza le ruotava attornocome una giostra: era ancora buio, ilbraccio di Jace attorno a lei, il suorespiro caldo sulla nuca. Sentiva il suobattito cardiaco contro la schiena.Chiuse gli occhi, deglutendo persoffocare il sapore amaro che aveva in

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bocca.Era stato un sogno. Soltanto un

sogno.Ma ormai di riaddormentarsi non se

ne parlava. Si mise piano a sedere,spostando con cautela il braccio di Jace,poi scese dal letto.

Il pavimento era gelido e, quando ciappoggiò sopra i piedi nudi, fece unasmorfia. Nella penombra trovò ilpomello della porta e la aprì. Restandodi sasso.

Anche se il corridoio non avevafinestre, era illuminato da lampadari abracci. Il pavimento era macchiato daqualcosa dall’aspetto scuro eappiccicoso. Lungo una parete dipinta dibianco c’era la netta impronta di una

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mano… fatta col sangue. Altro sangueinzaccherava il muro a tratti, fino allescale, dove c’era un’unica, lunga scia.

Clary guardò verso la stanza diSebastian. C’era silenzio, la porta erachiusa, nessuna luce da sotto. Pensò allaragazza bionda con il top di lustrini chelo guardava. Guardò di nuovol’impronta della mano. Era come unmessaggio, una mano aperta perdire basta.

E poi la porta di Sebastian si aprì, elui uscì.

Indossava una maglietta e dei jeansneri, i capelli argentei eranoscompigliati. Stava sbadigliando, equando vide Clary si spaventò, conun’espressione di autentico stupore sul

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viso. — Cosa ci fai alzata?Clary trattenne il respiro. L’aria

sapeva di metallo. — Cosa ci faccio? Etu cosa ci fai?

— Scendo di sotto a prendere degliasciugamani per pulire questo casino —rispose in tono molto pratico. — Ivampiri e i loro giochetti…

— Non mi sembrano i resti diun gioco — disse Clary. — Laragazza… l’umana che era con te… Checosa le è successo?

— Si è un po’ spaventata quando havisto i canini. A volte capita. —Notando l’espressione di Clary,Sebastian scoppiò a ridere. — Ma si èripresa. E ne voleva ancora. Adesso ènel mio letto che dorme, se vuoi andare

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a controllare che sia ancora viva.— No… non è necessario. — Clary

abbassò di colpo lo sguardo. Avrebbepreferito indossare qualcos’altro, oltre aquella camicia da notte di seta. Sisentiva svestita. — E tu?

— Mi stai chiedendo se sto bene? —Non era così, ma Sebastian sembravacompiaciuto. Spostò di lato il collettodella maglietta, mostrandole due nettifori sopra la clavicola. — Potrei usareun iratze.

Clary non disse nulla.— Vieni al piano di sotto — le disse

lui, facendole segno di seguirlo mentrela oltrepassava per scendere le scale divetro. Un istante dopo, Clary fece comele era stato chiesto. Strada facendo, lui

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accese le luci, così che, quando furonoin cucina, il locale brillava di un giallocaldo. — Vino? — le chiese aprendo losportello del frigorifero.

Lei si sedette su uno degli sgabellidel bancone, tirando giù l’orlo dellacamicia da notte. — Solo acqua.

Lo guardò mentre versava duebicchieri: uno per lei e uno per sé. Imovimenti fluidi, essenziali, eranoquelli di Jocelyn, mentre l’autocontrollocon cui agiva doveva essergli statoinstillato da Valentine. Le ricordava ilmodo in cui si muoveva Jace, come unballerino ben allenato.

Spinse l’acqua verso di lei con unamano mentre con l’altra si portava il suobicchiere alle labbra. Finito di bere, lo

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riappoggiò con un tonfo sul banconedella cucina. — Probabilmente lo sapraianche tu, ma giocare coi vampiri ti fasempre venire sete.

— E perché dovrei saperlo? — ladomanda le uscì più brusca del previsto.

Lui fece spallucce. — Ho pensatoche, con quel Diurno, ti sarai puremordicchiata un po’…

— Io e Simon non ci siamomai mordicchiati — disse Clary in tonoglaciale. — Anzi, non riesco aimmaginare il motivo per cui qualcunodovrebbe aver voglia di farsi mordereda un vampiro. Non dicevi di odiare edisprezzare i Nascosti?

— No — rispose lui. — Nonconfondermi con Valentine.

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— Già — mormorò lei. — Graveerrore.

— Non è colpa mia se io assomigliocome una goccia d’acqua a lui e tu a lei.— La bocca di Sebastian si corrugò inun’espressione di disgusto al pensiero diJocelyn. Clary lo guardò con cipiglio.— Ecco, ci risiamo, mi guardi sempre inquel modo — disse lui.

— Quale modo?— Come se fossi uno che incendia le

tane degli animali e si accende lesigarette con gli orfanelli. — Si versò unaltro bicchiere d’acqua. Quando voltò ilviso dall’altra parte, Clary notò che lepunture dei canini stavano giàcominciando a rimarginarsi.

— Hai ucciso un bambino — sbottò,

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brusca, sapendo, mentre parlava, cheavrebbe fatto meglio a tenere la boccachiusa e a fingere che Sebastian nonfosse un mostro. Solo che Max… Maxera vivo nei suoi pensieri come la primavolta che lo aveva visto, addormentatosul divano dell’Istituto con un libro sullegambe e gli occhiali storti sul faccino.— Non è una cosa per cui si può essereperdonati, mai.

Sebastian inspirò profondamente. —Dunque è così — disse. — Subito cartescoperte sul tavolo, sorellina?

— Che cosa pensavi? — La voce diClary risuonò debole e stanca alle suestesse orecchie, ma Sebastianindietreggiò come se lei avesse tentatodi morderlo.

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— Mi crederesti se ti dicessi che fuun incidente? — chiese, appoggiando ilbicchiere sul bancone. — Non volevoucciderlo. Soltanto metterlo fuoricombattimento, così non avrebbedetto…

Clary lo zittì con uno sguardo.Sapeva di non poter nascondere l’odioche aveva negli occhi. Sapeva anche chesarebbe stato meglio farlo, ma le eraimpossibile.

— Davvero. Volevo colpirlo comeho fatto con Isabelle. Ho sottovalutato lamia forza.

— E Sebastian Verlac? Quello vero?Lo hai ucciso, no?

Sebastian si guardò le mani come segli fossero estranee. Al polso destro

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portava una catenina d’argento conappesa una targhetta di metallo, simile aquelle militari. Nascondeva il puntodove Isabelle gli aveva amputato lamano. — Non pensavo che avrebbereagito…

Disgustata, Clary cominciò ascivolare giù dallo sgabello, maSebastian le afferrò un polso e la tiròverso di sé. Sentiva la pelle caldacontro la sua e, quel gesto le ricordòquando, a Idris, il suo tocco l’avevaustionata. — Jonathan Morgenstern haucciso Max. Ma se non fossi più lastessa persona? Non ti sei accorta chenon uso più lo stesso nome?

— Lasciami andare.— Tu credi che Jace sia diverso —

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replicò lui con calma. — Credi che nonsia la stessa persona, che il mio sanguelo abbia cambiato, non è vero?

Lei annuì senza parlare.— E allora perché ti è così difficile

credere che anche per me possa esserelo stesso? Magari il suo sangue mi hacambiato. Magari non sono la stessapersona.

— Hai pugnalato Luke — disseClary. — Una persona a cui tengo molto.Una persona a cui voglio bene…

— Stava per farmi a pezzi col suofucile — ribatté Sebastian. — Tu glivuoi bene, io non lo conosco. Stavosalvando la mia vita e quella di Jace.Sul serio non riesci a capirlo?

— E magari stai dicendo quello che

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mi dici soltanto per fare in modo che iomi fidi di te.

— Pensi che alla persona che eroimporterebbe se tu ti fidassi o no di me?

— Sì, se tu volessi qualcosa.— Forse soltanto una sorella.A quelle parole, gli occhi di lei

puntarono su quelli di lui.Involontariamente, increduli. — Tu nonsai cos’è una famiglia — gli disse. — Ocosa faresti con una sorella, se ne avessiuna.

— Ne ho una. — Parlava a vocebassa. Il colletto della maglietta erasporco di sangue nel punto in cui glitoccava la pelle. — Ti sto dando unapossibilità. E vedere quello che io eJace stiamo facendo è la cosa giusta.

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Puoi darmene una anche tu?Ripensò al Sebastian che aveva

conosciuto a Idris. Lo aveva sentitodivertito, gentile, distaccato, ironico,appassionato e arrabbiato. Ma non loaveva mai sentito supplicante.

— Jace si fida di te — disse. — Ioinvece no. Pensa che tu lo amiabbastanza da ribaltare qualsiasi cosa acui tu abbia mai dato valore o in cui tuabbia mai creduto per seguirlo e starecon lui. A ogni costo.

Clary sentì le mascelle irrigidirsi.— E come fai a sapere che io non lofarei?

Lui rise. — Perché sei mia sorella.— Non ci assomigliamo per niente

— affermò Clary con disprezzo. Vide il

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lento sorriso che si formava sul viso diSebastian ed evitò di aggiungere altro,ma ormai era tardi.

— È quello che avrei detto io —ribatté Sebastian. — Ma andiamo, Clary,sei qui, non puoi tornare indietro. PerJace hai messo in gioco tutto, tanto valeche tu lo faccia col cuore, che tu siaparte di quello che sta succedendo. Poipotrai decidere cosa fare con… me.

Senza guardare lui ma il pavimentodi marmo, Clary annuì, moltolentamente.

Sebastian le si avvicinò, spostandolei capelli che le erano caduti sugli occhi.Le luci della cucina si riflessero sulbraccialetto che gli aveva notato prima,quello con delle lettere

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incise. Acheronta movebo. Con audacia,gli mise una mano sul polso. — Checosa vuol dire?

Lui le guardò la mano, nel punto incui gli stava toccando l’argento sulpolso. — Significa “Mi muoverò controi tiranni”. Lo porto per ricordarmi delConclave. Si dice che l’abbiano gridatoi congiurati nell’uccidere Giulio Cesareprima che diventasse un despota.

— Traditori — disse Clary,lasciando la presa.

Lo sguardo scuro di Sebastian venneattraversato da un lampo. — O uominiche lottavano per la libertà. Sono ivincitori a scrivere la storia, sorellina.

— E tu hai intenzione di scriverequesta parte?

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Lui le sorrise, gli occhi brillanti. —Ci puoi scommettere.

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capitolo 12

MATERIA CELESTE

Quando Alec tornò a casa diMagnus, tutte le luci erano spente, ma ilsoggiorno era ancora rischiarato dallefiamme bianco-azzurre. Gli ci volle unpo’ per capire che provenivano dalpentagramma.

Si tolse le scarpe sulla porta ecamminò il più silenziosamentepossibile verso la camera padronale.

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Era buia, con un fascio di luci nataliziemulticolori avvolte alla cornice dellafinestra come unica fonte di luce.Magnus dormiva in posizione supina, lecoperte fino alla vita, la mano aperta suuna pancia senza ombelico.

Alec si spogliò in fretta e, rimasto inboxer, si infilò nel letto sperando di nonsvegliare l’altro. Purtroppo non avevatenuto conto di Chairman Meow, che siera acciambellato sotto le lenzuola: ilgomito gli finì dritto sulla coda delgatto, che lanciò un miagolio di dolore esaettò sul pavimento facendo svegliareMagnus. Lo stregone si mise a sedere estrofinò gli occhi.

— Che sta succedendo?— Niente — disse Alec,

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maledicendo dentro di sé tutti i gatti. —Non riuscivo a dormire.

— E quindi sei uscito? — Magnusrotolò sul fianco e gli toccò una spallanuda. — Hai la pelle fredda e l’odoredella notte…

— Ho camminato qui attorno —rispose Alec, contento che la stanzafosse abbastanza buia da non permetterea Magnus di guardarlo in faccia. Sapevadi non essere per niente bravo a mentire.

— Attorno dove?In una relazione bisogna mantenere

un certo mistero, Alec Lightwood.— Vari luoghi — rispose Alec in

tono vago. — Sai com’è, luoghimisteriosi.

— Misteriosi?

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L’altro annuì.Magnus ricadde all’indietro sui

cuscini. — Mi sa che sei stato nel paesedei matti, altro che — mormoròrichiudendo gli occhi. — Non mi haiportato niente?

Alec si chinò su di lui e gli diede unbacio sulla bocca. — Solo questo — glisussurrò piano prima di rialzarsi.Magnus però, che aveva cominciato asorridere, gli afferrò le braccia.

— Be’, visto che mi hai svegliato —gli disse — facciamo in modo che ne siavalsa la pena — concluse tirando Alecsopra di sé.

Considerato che avevano giàtrascorso una notte nello stesso letto,Simon non si aspettava che la seconda

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volta con Isabelle sarebbe stata cosìimbarazzante. Però ora era sobria, esveglia, nonché chiaramente in attesa diqualcosa da parte sua. Il problema erache lui non sapeva bene cosa.

Le aveva prestato una delle suecamicie e, per gentilezza, aveva distoltolo sguardo mentre lei si infilava sotto lelenzuola, sul bordo del materasso,lasciandogli un sacco di spazio.

Lui non si prese la briga dicambiarsi; si limitò a togliere scarpe ecalze e a entrare nel letto con ancorajeans e maglietta addosso. Rimaserosdraiati l’uno accanto all’altra per unmomento, poi Isabelle gli rotolò vicino egli mise un braccio attorno al fianco. Siscontrarono con le ginocchia. Poi una

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delle unghie dei piedi di Isabelle gligraffiò la caviglia. Cercò di spostarsi inavanti, e picchiarono la fronte.

— Ahia! — esclamò Isabelle,scandalizzata. — Non dovresti essere unpo’ più bravo in queste cose?

Simon non capì. — E perché?— Tutte quelle notti passate a letto

con Clary, avvolti nei vostri magnificiabbracci platonici — disse premendogliil viso contro la spalla e soffocando cosìla voce. — Pensavo che…

— Abbiamo dormito e basta —ribatté Simon. Non voleva dirle nientesu come Clary aderisse perfettamente alsuo corpo, su come stare insieme nellostesso letto fosse naturale comerespirare, sul modo in cui il profumo dei

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suoi capelli gli ricordava l’infanzia, ilsole, la semplicità e la grazia. Avevauna vaga sensazione che tutti queidettagli non sarebbero stati di grandeaiuto.

— Lo so. Io, però, non dormo ebasta — gli disse Isabelle in tonoirritato. — Con nessuno. Nemmeno mifermo tutta la notte. Voglio dire, non lofaccio mai e poi mai.

— Hai detto tu che volevi…— Oh, stai zitto. — Lo baciò. In

quello ebbe relativamente più successo.Non era la prima volta che baciavaIsabelle: adorava la morbidezza dellesue labbra, la sensazione che provavanole sue mani nello sfiorarle i lunghicapelli neri… Ma quando lei gli si

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strinse contro, sentì anche il calore delsuo corpo, le lunghe gambe nude controdi sé, il pulsare del sangue… E lo scattodei canini che gli spuntavano fuori.

Si ritrasse immediatamente.— E adesso cosa c’è? Non vuoi

baciarmi?— Sì — cercò di dire lui, ma

c’erano di mezzo i canini. Isabellesgranò gli occhi.

— Oh, hai fame — disse. — Quandoè stata l’ultima volta che hai bevuto delsangue?

— Ieri — riuscì a dire Simon, nonsenza difficoltà.

Isabelle si distese sul cuscino.Aveva occhi grandi, neri e lucidi. —Forse dovresti mangiare. Lo sai cosa

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succede se non lo fai.— Non ho sangue con me. Dovrei

tornare a casa — spiegò lui mentre icanini cominciavano a ritrarsi.

Isabelle lo prese per un braccio. —Non c’è bisogno che tu beva sangueanimale freddo. Ci sono qui io.

Lo shock di quelle parole fu per luicome una scarica di energia che glisaettò dentro il corpo, mandandogli inervi in fiamme. — Stai scherzando.

— Invece no. — Isabelle cominciò asbottonarsi la camicia, scoprendo primail collo fino alla base, il tracciato dellevene visibile sotto la pelle diafana. Poila camicia si aprì del tutto. Il reggisenoblu copriva ben più di quanto avrebberopotuto fare molti bikini, ma Simon si

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sentì lo stesso prosciugare la bocca. Ilrubino di lei brillava come un semafororosso sotto le clavicole. Isabelle. Comese gli stesse leggendo nella mente, lei sisollevò e si scostò i capelli, mettendolitutti da una parte e lasciando scopertol’altro lato del collo. — Non vuoi…?

Lui la prese per il polso. —Isabelle, non farlo — la supplicò. —Non riesco a controllarmi, a controllaretutto questo. Potrei farti male, ucciderti.

A lei brillò lo sguardo. — Non lofarai. Sei in grado di trattenerti. ConJace l’hai fatto.

— Ma io non sono attratto da Jace!— Nemmeno un po’? — gli disse

Isabelle speranzosa. — Pochinopochino? Perché sarebbe piuttosto

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eccitante. D’accordo, pazienza. Senti,attrazione o no, quando staviletteralmente morendo di fame l’haimorso, eppure sei riuscito a staccarti.

— Ma con Maureen non ce l’hofatta. È dovuto intervenire Jordan.

— L’avresti fatto. — Alzò un dito eglielo premette contro le labbra, poi lofece scorrere lungo la gola, sul petto,fino al punto in cui una volta gli battevail cuore. — Mi fido di te.

— Forse non dovresti.— Sono una Shadowhunter. Saprei

difendermi, se fosse necessario.— Jace non l’ha fatto.— Jace è innamorato dell’idea di

morire — ribatté lei. — Io invece no! —Gli serrò i fianchi tra le gambe, dotate di

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una flessuosità straordinaria, e scivolòin avanti fino a sfiorargli le labbra conle sue. Simon voleva baciarla, lo volevacosì tanto che tutto il corpo gli facevamale. Aprì la bocca con fare esitante, letoccò la lingua con la propria e avvertìun dolore acuto. L’aveva fatta scorrerecontro il bordo tagliente del canino:sentì il sapore del suo stesso sangue e siritrasse di scatto, voltando la faccia.

— Isabelle, non posso. — Chiuse gliocchi. Lei era calda e delicata sulle suecosce, tentatrice, seducente. I canini glifacevano malissimo; si sentiva come sedel filo spinato gli si stesseattorcigliando in tutte le vene del corpo.— Non voglio che tu mi veda in questecondizioni.

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— Simon. — Con dolcezza lei glisfiorò la guancia, girandogli il visoverso di sé. — Questo sei tu…

I canini si erano ritratti, lentamente,ma facevano ancora male. Simon sinascose il viso tra le mani e parlòattraverso le dita. — Non ci credo chelo vuoi davvero. Non ci credo che vuoime. Persino mia madre mi ha buttatofuori di casa. Ho morso Maureen… Erasoltanto una bambina. Insomma,guardami, guarda quello che sono, dovevivo e cosa faccio. Sono una nullità.

Isabelle gli accarezzò piano icapelli. Lui la guardò, sempre senzaspostare le mani. Da vicino vedeva chegli occhi di lei non erano neri, macastano molto scuro, screziati d’oro. Era

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certo di leggervi dentro dellacompassione. Non sapeva cosa Isabellesi aspettasse di sentire. Lei era una cheusava i ragazzi e poi li buttava via; erabellissima, forte, perfetta, e non avevabisogno di niente. Men che meno di unvampiro che non era nemmeno bravo afare quello.

Sentiva il suo respiro. Un odoredolce, di sangue, mortalità e gardenie.— Tu non sei una nullità — gli disse. —Simon. Ti prego. Fatti guardare infaccia.

Lui abbassò le mani, riluttante.Adesso la vedeva meglio. Era dolce eattraente al chiaro di luna, con la pellepallida e vellutata, i capelli simili a unacascata nera. — Guarda queste — gli

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disse toccandosi le cicatrici bianche deimarchi rimarginati che le spuntavanosull’argento della pelle. Sopra il collo,le braccia, le curve dei seni. —Orrende, non è vero?

— Tu non hai niente di orrendo, Izzy— le disse lui, sinceramente scioccato.

— Le ragazze non dovrebberoessere coperte di cicatrici — osservòinvece lei, realistica. — Ma a te nondanno fastidio.

— Fanno parte di te. No, certo chenon mi danno fastidio.

Gli toccò le labbra con le dita. —Ed essere un vampiro fa parte di te. Nonti ho detto di venire qui la scorsa nottesolo perché non avevo in mente nessunaltro a cui chiederlo. Volevo stare con

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te, Simon. Questa cosa mi spaventa amorte, ma è così.

Gli occhi le luccicavano, e primache lui potesse chiedersi per più di unistante se fossero lacrime, si era giàchinato a baciarla. E quella volta non cifu imbarazzo. Lei gli si abbandonòcontro, lui la prese e la girò, mettendolasopra di sé. I lunghi capelli neri diIsabelle li coprivano entrambi come unatenda. Lei gli sussurrò dolcementequalcosa, mentre lui le faceva scorrerele mani su per la schiena. Sentiva, sottola punta delle dita, i rilievi dellecicatrici e voleva dirle che per lui eranodecori, prove di un coraggio che larendeva soltanto più bella. Ma per farloavrebbe dovuto smettere di baciarla, e

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non voleva. Lei gemeva e si muovevafra le sue braccia; gli tenne le dita fra icapelli, mentre insieme rotolarono su unfianco, finché lui non le fu di nuovosopra. Aveva le braccia colme delcalore e della dolcezza di lei, il suosapore sulla bocca, sentiva l’odore dellasua pelle: sale, profumo e… sangue.

Si irrigidì di nuovo, completamente,e Isabelle se ne accorse. Gli prese lespalle, ed era come se splendesse albuio. — Fallo — gli sussurrò. Simonsentiva il cuore di Isabelle batterglicontro il petto. — Lo voglio.

Lui chiuse gli occhi, premette lafronte contro quella di lei, cercò dicalmarsi. I canini erano spuntati dinuovo e premevano contro il labbro

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inferiore, duri e pungenti. — No.Le gambe lunghe e perfette di

Isabelle avvolte attorno a lui, le caviglieche lo bloccavano e lo stringevano forte.— Voglio che tu lo faccia. — Il seno glisi appiattì contro il petto mentre leiinarcava il corpo verso di lui,scoprendo la gola. L’odore del suosangue era ovunque, lo travolgeva,riempiva la stanza.

— Non hai paura? — le sussurrò.— Sì. Ma voglio lo stesso.— Isabelle… Io… non posso…La morse.I canini, taglienti come rasoi, si

infilzarono dentro la vena sul collo diIsabelle come avrebbe potuto fare uncoltello nella buccia di una mela. Il

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sangue gli esplose in bocca. Non avevamai provato niente di simile prima diallora. Con Jace era moribondo, conMaureen il senso di colpa lo avevaassalito già mentre le succhiava ilsangue. Di sicuro non si sarebbe mainemmeno immaginato che, a qualcuno,farsi mordere potesse addirittura darepiacere.

Isabelle invece ansimò, spalancandogli occhi e inarcandosi ancora di piùcontro di lui. Faceva le fusa come ungatto, gli accarezzava i capelli, laschiena, piccoli movimenti impazienticon cui gli diceva Non fermarti, nonfermarti. Emanava un calore che glientrava dentro, accendendogli il corpo;non aveva mai provato, anzi immaginato

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qualcosa di anche solo paragonabile.Riusciva a sentire il battito forte edeciso di quel calore, che le pulsavanelle vene e poi finiva nella sua bocca, ein quel momento fu come tornare avivere, tanto che il cuore gli si contrassedi pura ebbrezza.

Si staccò. Non seppe bene come, masi staccò e rotolò sulla schiena,conficcando forte le dita nel bordo delmaterasso. Ancora rabbrividiva mentre icanini gli si ritiravano. Tutta la stanzaluccicava, così come luccicava ognicosa nei brevi istanti dopo aver bevutosangue umano, vivo.

— Izzy… — le sussurrò. Avevapaura di guardarla, paura che, senza piùi suoi denti dentro la gola, lo avrebbe

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guardato con terrore e repulsione.— Cosa?— Non mi hai fermato — le disse, a

metà fra l’accusa e la speranza.— Non volevo. — La guardò. Era

sdraiata sulla schiena, con il petto che lesi gonfiava e sgonfiava rapidamente,come se avesse corso. Sui lati del colloc’erano due netti fori e due rivoli disangue che le colavano sul petto.Obbedendo a un istinto che sembravaarrivargli da dentro, Simon si chinò e leleccò il sangue residuo, assaporando ilsale, assaporando Isabelle. Leirabbrividì, scompigliandogli i capellicon le dita. — Simon…

Lui si rialzò. Isabelle lo stavaguardando con i suoi grandi occhi neri,

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molto seri, e le guance arrossate. —Io…

— Cosa? — Per un folle istanteSimon pensò che stesse per dirgli “tiamo”, invece lei scosse la testa,sbadigliò e gli infilò un dito nel passantedella cintura, mentre con le altre giocavasulla pelle nuda della vita.

Simon aveva letto da qualche parteche sbadigliare era segno di carenza disangue. Andò nel panico. — Stai bene?Ho bevuto troppo? Ti senti stanca?Stai…

Lei gli si avvicinò di scatto. — Stobe-ne. Ti sei fermato da solo. E io sonouna Shadowhunter. Rimpiazziamo ilsangue perduto tre volte più in frettadegli esseri umani.

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— Ti è… — Faticava achiederglielo. — Ti è piaciuto?

— Sì — rispose lei con voceprofonda. — Mi è piaciuto.

— Davvero?Isabelle ridacchiò. — Non si

capiva?Si sollevò appoggiandosi a un

gomito e abbassò lo sguardo su Simon,coi grandi occhi neri che lesplendevano. Come facevano degliocchi a essere così scuri e luminosi allostesso tempo? — Io non fingo, Simon —gli disse. — Non mento e non faccio lacommedia.

— Sei una rubacuori, IsabelleLightwood — le disse lui con tutta ladolcezza possibile, mentre il suo sangue

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gli scorreva ancora come fuoco dentrole vene. — Una volta Jace ha detto aClary che mi avresti camminato sopracon gli stivali a tacco alto.

— Una volta, forse. Adesso seidiverso. — Lo osservò. — Non haipaura di me.

Le toccò il viso. — E tu non haipaura di niente.

— Non lo so. — I capelli lericaddero in avanti. — Magari sarai tu aspezzare il cuore a me. — Prima cheSimon potesse aggiungere altro, lobaciò. Lui si chiese se Isabelle stessesentendo il sapore del proprio sangue.— E ora zitto. Voglio dormire — glidisse lei, rannicchiandosi contro di lui echiudendo gli occhi.

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In qualche modo, ora, si adattavanocome prima non succedeva. Non c’eraalcun imbarazzo, non c’erano spintoni ecalci contro le gambe. La sensazione cheprovava Simon non aveva a che fare conil ricordo dell’infanzia, con il sole e ladolcezza: era strana, calda, eccitante,potente e… diversa. Rimase sveglio,con gli occhi puntati al soffitto e unamano che accarezzava assente i setosicapelli neri di lei. Si sentiva come se untornado lo avesse imprigionato e poidepositato in qualche luogo sperduto,dove niente gli era familiare. Alla finevoltò la testa e diede a Izzy un bacio,molto leggero, sulla fronte. Lei sistiracchiò e mormorò qualcosa, ma nonaprì gli occhi.

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Quando Clary si svegliò, al mattino,Jace dormiva ancora, rannicchiato al suofianco e con un braccio disteso, asfiorarle appena la spalla. Gli diede unbacio sulla guancia e si alzò. Un attimoprima di andare in bagno per farsi unadoccia, venne presa dalla curiosità: siavvicinò silenziosamente alla portadella camera da letto e sbirciò fuori.

Il sangue in corridoio era sparito,l’intonaco immacolato. Anzi, eratalmente pulito che si chiese se nonfosse stato soltanto un sogno: il sangue,la conversazione in cucina conSebastian, tutto quanto. Fece un passofuori dalla stanza, appoggiò una manocontro il muro dove c’era l’impronta disangue…

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— Buongiorno.Si voltò di scatto. Era suo fratello.

Uscito senza far rumore dalla camera,ora si trovava in piedi a metà corridoioe la osservava con un sorriso obliquo.Sembrava fresco di doccia; ancoraumidi, i suoi capelli chiari avevano latonalità dell’argento, quasi metallici.

— Hai intenzione di non togliertelapiù? — le chiese adocchiando lacamicia da notte.

— No, stavo solo… — Non volevadirgli che stava controllando se ilcorridoio fosse ancora sporco di sangue.Lui si limitava a guardarla, divertito ealtezzoso. Clary indietreggiò. — Andròa vestirmi.

Sebastian le disse ancora qualcosa,

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ma lei non si fermò per capire cosa.Tornò di scatto dentro la camera di Jacee chiuse la porta dietro di sé. Un istantedopo sentì delle voci in corridoio:ancora Sebastian, e una ragazza, cheparlavano in un musicale italiano. Laragazza della notte precedente, pensòClary. Quella che a detta di Sebastianera ancora nella sua camera a dormire.Fu solo allora che si rese conto diquanto avesse dubitato della suasincerità.

Invece era stato onesto. Ti sto dandouna possibilità, le aveva detto. Puoidarmene una anche tu?

Poteva? Era di Sebastian chestavano parlando. Ci rimuginò soprasenza sosta mentre si faceva la doccia e

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si vestiva con cura. I capi dentro ilguardaroba, scelti per Jocelyn, eranocosì distanti dal suo solito stile chedecidere cosa mettersi risultavadifficile. Trovò un paio di jeans, marcadi lusso, a giudicare dal cartellinoancora attaccato, e una camicia di seta apois, impreziosita da un fiocco al collocon un tocco vintage che le piaceva. Cimise sopra la propria giacca di velluto etornò in camera di Jace, ma lui nelfrattempo era scomparso. In realtà nonera difficile indovinare dove: il tintinniodei piatti, il suono delle risate e l’odoredi cibo salivano come un’onda dal pianodi sotto.

Scese i gradini di vetro due allavolta, ma si fermò sull’ultimo,

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guardando verso la cucina. Sebastian eraappoggiato al frigorifero, bracciaincrociate, mentre Jace cuoceva inpadella qualcosa che prevedeva uova ecipolle come ingredienti. Era a piedinudi, coi capelli scompigliati e lacamicia abbottonata a caso. Il cuore lefece una capriola. Non lo aveva maivisto così, appena sveglio al mattino,con ancora attorno la calda aura doratadel sonno, e provò una tristezza pungentea pensare che tutte quelle prime voltestavano accadendo mentre Jace non erail suo Jace.

E questo anche se lui sembravafelice e rideva, con lo sguardo riposato,mentre rigirava le uova in padella efaceva scivolare una omelette sul piatto.

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Sebastian gli disse qualcosa, lui guardòverso di lei e le sorrise. — Strapazzateo all’occhio di bue?

— Strapazzate. Non sapevo chesapessi cucinare le uova. — Scese dalgradino e si avvicinò al bancone dellacucina. Il sole entrava dalle finestre e imobili splendevano di vetro e acciaiocromato; in casa non c’erano orologi, madoveva essere mattino inoltrato.

— Chi è che non le sa fare? —chiese lui a voce alta.

Clary alzò la mano, e nello stessoistante Sebastian fece lo stesso. Lei nonpoté fare a meno di rimanere stupita e siaffrettò a rimettere subito giù il braccio,non prima che Sebastian la notasse esorridesse.

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Aveva sempre il sorriso sullelabbra. E Clary avrebbe voluto farglielosparire con una sberla.

Distolse lo sguardo e si mise acomporre un piatto per la colazione conquello che c’era sul tavolo: pane, burro,marmellata e pancetta a fette rotonde, damasticare a lungo. C’erano anche delsucco di frutta e del tè. Dovevaammettere che lì si mangiava parecchiobene, anche se sapeva che, a eccezionedi Simon, i maschi adolescenti avevanoperennemente fame. Guardò verso lafinestra… e rimase senza parole. Ilpanorama non era più quello di uncanale, ma di una collina che si alzavaall’orizzonte, con in cima un castello.

— E adesso dove siamo? — chiese.

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— A Praga — rispose Sebastian. —Io e Jace abbiamo una commissione dasbrigare. — Guardò anche lui fuori dallafinestra. — Anzi, credo che dovremmodarci una mossa.

Lei gli fece un sorrisetto dolce. —Posso venire con voi?

Sebastian scosse il capo. — No.— E perché no? — Clary incrociò le

braccia al petto. — Cos’è, una cosa frauomini in cui non posso immischiarmi?Fra poco vi farete anche lo stesso tagliodi capelli?

Jace le allungò un piatto di uovafritte, guardando Sebastian. — Forsedovrebbe venire — gli disse. — Vogliodire, questa commissione inparticolare… Non è pericolosa.

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Gli occhi di Sebastian erano come ilbosco della poesia di Robert Frost: buie profondi. Non lasciavano trapelarenulla. — Qualsiasi cosa può rivelarsipericolosa.

— Be’, la decisione spetta a te. —Jace fece spallucce, prese una fragola,se la lanciò in bocca e si leccò il succodalle dita. Quella, pensò Clary, era unachiara, totale differenza fra quel Jace eil suo. Il Jace che conosceva lei avevauna curiosità feroce, insaziabile, versoogni cosa: non avrebbe mai scrollato lespalle e accettato passivamente ilprogramma di un altro. Era come unoceano che si abbatteva incessantecontro una costa rocciosa, mentre quelJace era… un fiume calmo che brillava

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al sole.Perché è felice?La mano di Clary si strinse attorno

alla forchetta, tanto che le nocche lediventarono bianche. Odiava quellavocina in testa. Come la Regina Seelie,deponeva i semi del dubbio dove nondovevano esserci, sollevava domandequando non c’erano risposte.

— Vado a prendere le mie cose —annunciò Jace rubando un’altra fragoladal piatto, mettendosela in bocca ecorrendo su per le scale. Clary alzò latesta. I gradini di vetro trasparentesembravano invisibili, dandol’impressione che Jace, invece dicorrere, stesse volando verso l’alto.

— Non stai mangiando le uova. —

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Era Sebastian. Aveva girato attorno albancone, ancora senza emettere ilminimo rumore, accidenti, e ora la stavaguardando con le sopracciglia sollevate.Aveva una punta di accento straniero, unmisto fra quello degli abitanti di Idris equalcosa di britannico. Si chiese se finoa quel momento lo avesse dissimulato ose fosse stata lei a non accorgersene.

— A dire il vero le uova non mipiacciono — confessò.

— Ma non volevi dirlo a Jace,perché sembrava così soddisfatto diprepararti la colazione…

Dato che aveva ragione, Clary nondisse nulla.

— Divertenti, vero? — ripreseSebastian. — Le bugie che dicono le

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persone buone. Ora vedrai che tipreparerà le uova ogni giorno per ilresto della tua vita e tu dovrai mandarlegiù, perché non puoi più dirgli che non tipiacciono.

Clary ripensò alla Regina Seelie. —L’amore ci rende tutti bugiardi?

— Esattamente. Sei una che imparain fretta, vero? — Fece un passo versodi lei, che nel frattempo si sentì ardere inervi da un pizzicore ansioso. Sebastianaveva usato la stessa acqua di colonia diJace. Riconobbe l’aroma di agrumi epepe nero, ma su di lui il risultato eradiverso; sbagliato, in un certo senso. —È una cosa che abbiamo in comune —disse Sebastian cominciando asbottonarsi la camicia.

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Lei si alzò subito in piedi. — Cosastai facendo?

— Tranquilla, sorellina. — Fecescattare l’ultimo bottone e la camicia siaprì del tutto. Sul viso gli comparve unsorriso svogliato. — Tu sei la ragazzadalla runa magica, vero?

Clary annuì lentamente.— Voglio una runa della forza — le

disse. — E se tu sei la migliore, lavoglio da te. Non negheresti mai unaruna al tuo fratellone, giusto? — I suoiocchi scuri la scrutavano. — E poi vuoiche ti dia una possibilità.

— E tu vuoi che te ne dia una io —rispose Clary. — Allora ti faccio unaproposta. Se mi lasciate venire con voi,io ti do una runa della forza.

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Sebastian si tolse la camicia e labuttò sul bancone. — Affare fatto.

— Però non ho lo stilo. — Nonvoleva guardarlo, ma era difficile.Sembrava che lui volesse invadere diproposito il suo spazio personale. Avevaun fisico molto simile a quello di Jace:tonico, senza un grammo di troppo danessuna parte, i muscoli ben evidentisotto la pelle. Anche lui aveva variecicatrici, ma era talmente pallido cherisaltavano meno che sulla pelle ambratadi Jace; su suo fratello erano come diinchiostro color argento su carta bianca.

Sebastian si sfilò uno stilo dallacintura e glielo passò. — Usa il mio.

— D’accordo — accettò lei. —Girati.

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Lui obbedì. E lei dovette sforzarsi dinon fare un salto. La schiena nuda diSebastian era striata di cicatrici daicontorni frastagliati, una vicina all’altra,troppo regolari per essere il frutto di unqualche incidente.

Frustate.— Chi è stato a farti questo?— E chi, secondo te? Nostro padre

— rispose lui. — Usava una frusta dimetallo demoniaco, quindi qualsiasiiratze sarebbe stato inutile. I segni miservono da promemoria.

— Per cosa?— Per i pericoli dell’obbedienza.Clary toccò una delle cicatrici. La

sentiva ruvida e calda sotto la puntadelle dita, come se fosse ancora fresca,

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mentre la pelle tutto attorno era morbida.— Non volevi dire disobbedienza?

— Volevo dire quello che ho detto.— Fanno male?— Continuamente. — Si guardò

dietro la schiena con aria impaziente. —Cosa aspetti?

— Niente. — Clary gli appoggiò lapunta dello stilo sulla scapola, cercandodi tenere la mano ferma. Una parte dellasua mente viaggiava all’impazzata,pensando a quanto sarebbe stato facilefargli un marchio che lo avrebbedanneggiato, fatto ammalare, scosso finnel profondo delle interiora… Ma cosasarebbe successo a Jace? Scostandosi icapelli dal viso, tracciò con attenzionela runa Fortis tra la scapola e la colonna

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vertebrale, proprio dove, se fosse statoun angelo, gli sarebbero spuntate le ali.

Quando ebbe terminato, Sebastian sivoltò e le prese lo stilo, rimettendosi lacamicia. Clary non si aspettavaringraziamenti, e infatti non ne ricevette.Mentre si rivestiva, lui fece roteare lespalle all’indietro, sorridendo. — Seidavvero brava — disse, ma nonaggiunse altro.

Un secondo più tardi i gradinitremarono: era Jace che stava tornando,mettendosi un giubbotto scamosciato. Siera allacciato anche la cintura con learmi e, alle mani, portava guanti scurisenza dita.

Clary gli sorrise con un calore che inrealtà non provava. — Sebastian dice

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che posso venire con voi.Jace sollevò le sopracciglia. —

Stesso taglio di capelli per tutti, allora?— Spero di no — rispose Sebastian.

— I boccoli mi stanno malissimo!Clary si guardò. — Devo mettermi

la divisa?— Non direi. Non è il genere di

missione da cui ci si aspetta uncombattimento. Però vado a prendertiqualcosa dalla stanza delle armi — ledisse Sebastian, svanendo poi al pianodi sopra. Clary si maledì per non avertrovato da sola quella stanza, malgradole ricerche. Le sarebbe servito a scovarequalche indizio per capire cosa avevanodavvero in mente quei due…

Jace le toccò la guancia, e lei trasalì.

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Per poco non si era dimenticata dellasua presenza. — Sei sicura di volerlofare?

— Assolutamente. Restare chiusaqui dentro mi fa impazzire. E poi seistato tu a insegnarmi a combattere,perciò immagino che, prima o poi,volevi che lo facessi.

Le labbra di lui si contorsero in unsorriso diabolico; le pettinò i capelliall’indietro e le sussurrò all’orecchioqualcosa sul mettere in pratica quelloche le aveva insegnato. Si allontanòquando li raggiunse Sebastian, la suagiacca addosso e una cintura da armi inmano. Dentro erano infilati un pugnale euna spada angelica. Si sporse per tirareClary verso di sé e metterle la cintura

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attorno alla vita, facendo due giri eaggiustandogliela bassa sui fianchi. Leiera troppo sorpresa per respingerlo, epoi lui finì prima che lei ne avesseanche solo la possibilità. Voltandosi,Sebastian andò verso il muro, dov’eracomparsa la sagoma di una porta,brillante come in un sogno.

Ci passarono attraverso.Un debole colpo alla porta della

biblioteca spinse Maryse a sollevare latesta. Fuori dalle finestre la giornata eragrigia, uggiosa, e le lampade colparalume verde creavano nella stanzapiccole pozze di luce. Non sapeva daquanto tempo se ne stava seduta dietroquella scrivania. La superficie davanti asé era disseminata di tazze da caffè

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vuote.Si alzò in piedi. — Avanti.La porta si aprì con un lieve scatto,

ma nessun rumore di passi. Un istantedopo una figura avvolta in un mantelloscivolò nella stanza, col viso adombratoda un cappuccio. Ci hai chiamato,Maryse Lightwood?

Maryse fece roteare le spalleall’indietro. Si sentiva indolenzita,stanca, vecchia. — Fratello Zaccaria.Mi aspettavo… be’, non importa.

Fratello Enoch? È un miosuperiore, ma ho pensato che magari lachiamata potesse avere a che fare conla scomparsa di tuo figlio adottivo.Tengo particolarmente alla sua salute.

Lei lo guardò, incuriosita. Alla

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maggior parte dei Fratelli Silenti nonpiaceva fare commenti, né tantomenoparlare dei propri sentimenti privati,sempre che ne avessero. Lisciandoall’indietro i capelli scompigliati,Maryse si mise davanti alla scrivania.— Benissimo. Voglio mostrarti una cosa.

Non era mai riuscita ad abituarsidavvero ai Fratelli Silenti e al modo incui si muovevano, come se nontoccassero terra. Fratello Zaccariasembrò librarsi accanto a lei quando loaccompagnò attraverso la biblioteca permostrargli la cartina geografica delmondo posta sulla parete a nord. Era unamappa degli Shadowhunters, con Idris alcentro dell’Europa, e attorno le difese,come un confine dorato.

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Su una mensola sotto la mappac’erano due oggetti: una scheggia divetro incrostata di sangue secco e unpolsino di pelle consunto e decorato conla runa del potere angelico.

— Questi sono…Il polsino di Jace Herondale e il

sangue di Jonathan Morgenstern.Deduco che i tentativi di rintracciarlisiano stati infruttuosi.

— Per la precisione, non si è trattatodi rintracciarli. — Maryse si raddrizzò .— Quando appartenevo al Circolo,Valentine usava un meccanismo perindividuare la posizione di tutti noi. Ameno che non fossimo in determinatiluoghi protetti, lui sapeva sempredov’eravamo. Ho pensato che magari

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aveva fatto lo stesso con Jace, quandoera piccolo, dato che non aveva maiproblemi a trovarlo.

A che genere di meccanismo tiriferisci?

— Un marchio. Non uno del LibroGrigio. Tutti lo avevamo. Io me ne eroquasi dimenticata; dopotutto, non c’eramodo di liberarsene.

Se anche Jace lo avesse, credi chenon lo saprebbe e che non cercherebbedi fare qualcosa per impedirvi diusarlo e, quindi, di trovarlo?

Maryse scosse la testa. — Potrebbeessere un marchio bianco e minuscolo,praticamente invisibile, sotto i capelli.Come il mio. In questo caso nonsaprebbe di averlo. E poi Valentine non

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aveva alcun interesse a dirglielo.Fratello Zaccaria si allontanò da

Maryse per esaminare la cartina. Equale è stato il risultato del tuoesperimento?

— Che Jace ce l’ha — dichiarò lei,senza però sembrare né compiaciuta nétrionfante per la sua scoperta. — L’hocapito guardando la cartina: quandocompare Jace, si illumina, e produce unaspecie di scintilla in corrispondenzadella sua posizione. Econtemporaneamente si accende anche ilpolsino, quindi so che si tratta di lui enon di Jonathan Morgenstern, che invecesulla cartina non compare mai.

E dov’è? Dov’è Jace?— L’ho visto comparire, solo per

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pochi secondi alla volta, a Londra,Roma e Shanghai. Poco tempo fa ha datotracce della sua presenza a Venezia, poiè scomparso di nuovo…

Come fa a viaggiare così in frettada una città all’altra?

— Tramite portale? — Maryse feceun’alzata di spalle. — Non so. Sosoltanto che ogni volta in cui la mappa siaccende, io so che è vivo… per ilmomento. Ed è come tornare a respirare,almeno per qualche secondo. — Chiusela bocca con decisione, per paura che lesfuggissero altre parole. Parole suquanto le mancassero Alec e Isabelle esu quanto non sopportasse di chiamarliall’Istituto, dove ci si aspettava chealmeno Alec assumesse la

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responsabilità delle ricerche delfratello. Parole su come pensasse ancoraa Max ogni giorno, come se qualcuno lesvuotasse i polmoni dall’aria,costringendola a tenersi il cuore perpaura di morire. Non poteva perdereanche Jace.

Posso capirlo. Fratello Zaccariaincrociò le braccia al petto. Le sue manisembravano giovani, non grinzose néricurve, e le dita erano affusolate.Maryse si era domandata molte voltecome invecchiassero i Fratelli e quantoa lungo sopravvivessero, ma si trattavadi un’informazione riservata al loroordine. Ci sono poche cose più potentidell’amore di una famiglia. Ma quelloche non capisco è perché tu abbia

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deciso di mostrare queste cose proprioa me.

Maryse fece un respiro tremante. —So che dovrei parlarne con il Conclave,ma loro ormai sanno del legame conJonathan. Li stanno cercando entrambi.Se trovano Jace, lo uccidono. Eppure,tenere tutto per me è comunquetradimento… — lasciò cascare la testa.— Ho deciso che parlarne a voi, iFratelli, fosse accettabile. Poi sarà unadecisione vostra parlarne o no alConclave. Non posso… sopportare chesia mia.

Zaccaria rimase in silenzio per unlungo istante. Poi la sua voce, gentilenella testa di lei, disse: La tua mappadice che tuo figlio è ancora vivo. Se tu

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la consegnassi al Conclave, non credoche li aiuterebbe molto; scoprirebberosolo che Jace sta viaggiando in fretta eche è impossibile da individuare. Magià lo sanno. Tienila tu. Per ilmomento, io non parlerò.

Maryse lo guardò stupefatta. — Matu… sei un servitore del Conclave.

Un tempo ero uno Shadowhuntercome te. Vivevo come te. E, come per te,anche per me c’erano persone cheamavo tanto da mettere il loro benedavanti a qualsiasi altra cosa.Qualsiasi giuramento, qualsiasi debito.

— Hai mai avuto… — Maryse esitò.— Hai mai avuto dei figli?

No. Niente figli.— Mi dispiace.

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Non essere dispiaciuta. E cerca dinon lasciare che l’angoscia per Jace tidivori. È un Herondale, e loro sannocome sopravvivere…

Qualcosa scattò dentro Maryse. —Lui non è un Herondale. Lui è unLightwood, Jace Lightwood. Mio figlio.

Seguì una lunga pausa. Poi FratelloZaccaria disse: Non volevo intendere ilcontrario. Divincolò le sue mani sottilie fece un passo indietro. C’è una cosa acui devi fare attenzione. Se Jacecompare sulla mappa per più di pochisecondi per volta, allora dovrairiferirlo al Conclave. È un’eventualitàa cui ti devi preparare.

— Non credo di potercela fare —disse lei. — Gli manderanno dei

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cacciatori alle calcagna. Gli tenderannouna trappola. Lui è soltanto un ragazzo…

Non è mai stato soltanto unragazzo, ribatté Zaccaria, voltandosi perfluttuare fuori dalla stanza. Maryse nonrimase a guardarlo mentre se ne andava.Era tornata a fissare la mappa.

Simon?Il sollievo gli sbocciò nel cuore

come un fiore. La voce di Clary, esitantema familiare, gli riempì la testa. Guardòdi lato; Isabelle stava ancora dormendo.La luce del mezzogiorno brillava suibordi delle tende.

Sei sveglio?Rotolò sulla schiena, fissando il

soffitto. Certo che sì.È che non ne ero sicura. Voi siete…

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cosa, sei o sette ore indietro rispetto ame? Qui è il tramonto.

Sei in Europa?Adesso siamo a Praga, bella. C’è

un grande fiume e un sacco di edifici aguglie. Da lontano assomiglia un po’ aIdris. Però fa freddo, più freddo che acasa.

Okay, basta con le previsioni meteo.Sei al sicuro? Dove sono Sebastian eJace?

Con me. Ma adesso mi sonoallontanata un po’. Ho detto che volevogodermi il paesaggio che si vede dalponte.

Quindi io sarei il paesaggio dalponte?

Clary rise, o per lo meno sentì in

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testa qualcosa di simile a una risatadebole e nervosa. Non posso restaremolto. Anche se in realtà sembra cheloro non sospettino niente. Jace… Jacesicuramente no. Sebastian è piùdifficile da decifrare. Non credo che sifidi di me. Ieri gli ho perquisito lastanza, ma non c’era niente, niente chelasci pensare a cosa potrebbero averein mente. La scorsa notte…

La scorsa notte?Niente. Era strano come lei gli fosse

dentro la testa e lui potesse comunquepercepire che stava nascondendoqualcosa. Sebastian tiene in camera ilcofanetto di mia madre. Con le sue coseda piccolo. Non riesco a capire perché.

Non perdere tempo a cercare di

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capire Sebastian, le comunicò Simon.Non ne vale la pena. Cerca piuttosto dicapire quello che vogliono fare.

Ci sto provando. Sembròinnervosita. Sei ancora da Magnus?

Già. Siamo passati alla fase due delpiano.

Ah, davvero? E la fase uno cos’era?La fase uno era sedersi attorno al

tavolo, ordinare le pizze e discutere.E la fase due? Sedersi attorno al

tavolo, bere caffè e discutere?Non proprio. Simon fece un respiro

profondo. Abbiamo evocato il demoneAzazel.

Azazel? La voce mentale di lei salìdi qualche ottava, tanto che Simon sicoprì le orecchie. Ecco il perché di

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quella stupida domanda su Batman!Dimmi che è uno scherzo.

Invece no. È una lunga storia. Laaggiornò meglio che poteva, guardandonel frattempo Isabelle che respirava e laluce fuori dalla finestra che si facevapiù intensa. Pensavamo potesse aiutarcia trovare un’arma capace di colpireSebastian senza far male a Jace.

D’accordo, ma… evocare undemone? Clary non sembrava convinta.E poi Azazel non è un demone cometutti gli altri. Sono io quella con lasquadra dei Cattivi, qui. Tu sei dellasquadra dei Buoni. Cerca diricordartelo.

Lo sai che niente è così semplice,Clary.

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Per Simon fu come sentirlasospirare, un fiato d’aria che gli passavasulla pelle, sollevandogli i peli dellanuca. Lo so.

Città e fiumi, pensò Clary alzando ledita dall’anello d’oro che aveva sullamano destra e distogliendo lo sguardodal Ponte Carlo per voltarsi di nuovoverso Jace e Sebastian. Loro eranodall’altro lato dell’antica struttura dipietra, intenti a indicare qualcosa che leinon riusciva a vedere. L’acqua, sotto,era color del metallo, e scivolavasilenziosa attorno ai vecchi piloni; ilcielo era della stessa sfumatura,butterato da nuvole nere.

Mentre camminava per raggiungeregli altri, Clary sentiva un forte vento che

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le sferzava giacca e capelli. Si rimiseroin cammino tutti insieme, coi due ragazziche chiacchieravano fra loro a bassavoce. Pensò che avrebbe potuto unirsialla conversazione, se lo avesse voluto,ma dentro la silenziosa eleganza diquella città con le guglie in lontananzache si innalzavano nella foschia c’eraqualcosa che la spingeva a non parlare,a osservare e riflettere per contoproprio.

Il ponte sfociò in una stradinaacciottolata affiancata da negozi disouvenir, alcuni dei quali vendevanogranati rosso sangue, grossi pezzi diambra baltica dorata, cristalli di Boemiae giocattoli di legno. Anche a quell’ora,i promoter se ne stavano fuori dalle

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discoteche per distribuire ingressigratuiti o tessere con sconti sulleconsumazioni; Sebastian li allontanò,scocciato, esprimendo la propriairritazione in lingua ceca. La calca trovòsfogo quando la stradina si aprì suun’antica piazza medievale: malgrado ilfreddo, ospitava una folla in movimentoe chioschi con in vendita salsicce esidro caldo e speziato. I tre si fermaronoper mangiare a un tavolino traballante,mentre il grande orologio astronomicodel municipio rintoccava le ore. Unmarchingegno sferragliante si mise inmoto e un cerchio di personaggi di legnouscì dalle porticine su entrambi i lati delquadrante: erano i dodici apostoli,spiegò Sebastian mentre le figure

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giravano.— C’è una leggenda — disse poi

sporgendosi in avanti e tenendo le mania coppa attorno a una tazza di sidrobollente — secondo la quale il re fecestrappare gli occhi all’artigiano cheaveva costruito l’orologio così che nonpotesse mai più costruire niente dialtrettanto bello.

Clary rabbrividì e si avvicinò un po’a Jace. Lui non parlava da quandoavevano lasciato il ponte, come fosseassorto nei propri pensieri. La gente,soprattutto le ragazze, si fermavano aguardarlo quando avanzava con queisuoi capelli luminosi, straordinari, acontrasto con i cupi colori invernalidell’antica piazza. — Che sadico —

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commentò.Sebastian fece scorrere un dito sul

bordo della tazza, poi leccò i residui disidro. — Il passato è un paese straniero.

— Una terra straniera — locorresse Jace.

Sebastian rispose con sguardoannoiato. — Come, scusa?

— Il passato è una terra straniera,dove le cose vanno diversamente —disse Jace. — È questa la citazionecompleta.

Sebastian fece spallucce e spinse viala tazza. Riportandola allo stand doveera stata presa, si riceveva in cambio uneuro, ma Clary sospettava che aSebastian non interessasse fingersi unbuon cittadino solo per ricevere una

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misera moneta. — Andiamo.Lei non aveva ancora finito il suo

sidro, ma lo lasciò lo stesso sul tavolo eseguì gli altri, mentre Sebastian siallontanava dalla piazza per entrare inun labirinto di vicoli stretti e tortuosi.Jace aveva corretto Sebastian, pensò. Suun dettaglio da poco, certo, ma la magiadi sangue di Lilith non doveva forselegarli in modo che Jace approvasseogni singola mossa dell’altro? Potevaessere un segno, magari ancheminuscolo, che forse l’incantesimo stavainiziando a scomparire?

Era stupido sperare. Ma a volte lasperanza è l’unica cosa che hai.

Le stradine si facevano sempre piùstrette e buie. Le nuvole in cielo

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avevano completamente oscurato il solecalante; qua e là brillavano vecchielampade a gas, illuminando l’oscuritàvelata di nebbia. Il manto stradale eradiventato acciottolato, i marciapiedisempre più stretti, e i tre erano costrettia camminare in fila indiana come seavanzassero sopra un ponte pericolante.Solo la presenza di altri passanti, checomparivano e svanivano in mezzo allanebbia, davano a Clary la sensazione dinon stare attraversando una qualchestrana curvatura temporale chel’avrebbe portata in una città di sognofrutto della sua immaginazione.

Infine raggiunsero un arco di pietrache dava su una piazzetta. La maggiorparte dei negozi aveva spento le luci,

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anche se davanti ai tre ce n’era unoancora aperto. L’insegna, a caratteridorati, riportava la scrittaANTIKVARIAT e la vetrina era piena divecchie bottiglie di diverse sostanze,con etichette mezze scollate in latino.Clary rimase sorpresa quando videSebastian dirigersi proprio verso quellabottega. Che cosa se ne sarebbero fattidi qualche vecchia bottiglia?

Smise di chiederselo quandooltrepassarono la soglia. Dentro, ilnegozio era poco illuminato e puzzava dinaftalina, ma era stracolmo, in ognicantuccio, di un’incredibile varietà diciarpame. Non solo. Splendide mappecelesti contendevano il posto acontenitori di sale e pepe sagomati come

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i personaggi dell’orologio della CittàVecchia. C’erano montagne di vecchiescatolette di tabacco e di sigari,francobolli sottovetro, obsoletemacchine fotografiche russe o dellaGermania Est, una meravigliosa coppadi vetro smerigliato color verdesmeraldo intenso di fianco a una pila dicalendari ammuffiti. Da un’asta pendevauna vecchia bandiera ceca.

Sebastian si fece strada tra gliammassi di oggetti per dirigersi a unbancone sul retro del negozio. A untratto, Clary si accorse che quello cheaveva scambiato per un manichino era inrealtà un uomo anziano col viso rugoso eraggrinzito come un lenzuolo sciupato.Se ne stava appoggiato a braccia

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incrociate sopra una vetrina contenentemucchi di gioielli vintage e perline divetro colorate, pochette con fermagli digemme e file di gemelli da uomo.

Sebastian disse qualcosa in ceco,l’uomo annuì e indicò Clary e Jace conun’alzata del mento e lo sguardodiffidente. Clary notò che aveva gliocchi color rosso scuro. Aggrottò lesopracciglia, concentrandosi a fondo, ecercò di vedere oltre l’incantesimo.

Non era facile, perché gli stavaattaccato come carta moschicida. Allafine riuscì a rimuoverlo abbastanza pervedere, a tratti, la vera creatura cheaveva davanti: alta, dalle fattezzevagamente umane, con la pelle grigia egli occhi di rubino, nella bocca denti

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aguzzi che puntavano in tutte le direzionie, infine, lunghe braccia serpeggianti cheterminavano con teste simili a quelle diun’anguilla: strette, dentate, malefiche.

— Un demone Vetis — le sussurròJace all’orecchio. — Sono come draghi.Si divertono ad accumulare oggettiluccicanti. Ciarpame o gioielli: per loroè lo stesso.

Sebastian, voltandosi, li guardò dasopra una spalla. — Sono mio fratello emia sorella — disse dopo un istante. —Sono assolutamente fidati, Mirek.

Clary si sentì percorrere la pelle daun brivido leggero. Non le piaceval’idea di passare per la sorella di Jace,anche se solo per non contrariare undemone.

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— Non mi piace questa storia —ribatté il demone Vetis. — Hai detto cheavremmo trattato solo con te,Morgenstern. Inoltre, sapevo cheValentine aveva una figlia — e a quelpunto la testa si piegò verso Clary — maanche che aveva un solo figlio maschio.

— Adottato — spiegò Sebastian condisinvoltura, indicando Jace.

— Adottato?— Immagino che ti sarai reso conto

di come la moderna definizione difamiglia stia cambiando alla velocitàdella luce, di questi tempi — commentòJace.

Il demone, Mirek, non sembravaconvinto. Affatto. — Non mi piacequesta storia — ripeté.

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— Ma ti piacerà questo — annunciòSebastian togliendosi dalla tasca unasacca chiusa in cima. La rovesciò sulbancone facendo uscire una fragorosacascata di monete in bronzo, che siscontrarono l’una contro l’altrarotolando sul vetro. — Monetine per gliocchi dei defunti. Un centinaio. E tu haiquanto pattuito?

Una mano dentata si fece stradastrisciando sopra il bancone e addentòcon cautela una delle monete. Intanto gliocchi rossi del demone guizzavanosopra il mucchio di bronzo. — Va tuttomolto bene, ma non basta per comprareciò che cerchi.

Fece un gesto con un braccioondulante, sopra al quale comparve

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quello che a Clary parve un grossopezzo di cristallo, ma più luminoso,puro, argenteo e bello. Si accorse constupore che era il materiale di cui eranofatte le spade angeliche. — Adamaspuro — annunciò Mirek. — La materiadel Paradiso. Impagabile.

La rabbia si abbatté sul viso diSebastian come un fulmine e, per unistante, Clary vide la malvagità cheaveva dentro, il ragazzo che aveva risomentre Hodge giaceva morente. Poiquello sguardo scomparve. — Ma cisiamo accordati sul prezzo.

— E anche sul fatto che sarestivenuto da solo — ribatté Mirek. Gliocchi rossi del demone tornarono aguardare Clary e poi Jace, il quale, nel

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frattempo, non si era mosso ma aveval’aspetto guardingo di un felinoaccovacciato. — Ora ti dico cos’altromi puoi dare — proseguì Mirek. — Unaciocca dei bei capelli di tua sorella…

— Va bene — disse Clary facendosiavanti. — Se me ne vuoi tagliare unpochino…

— No! — Jace si avventò su di leiper fermarla. — È un cultore dellamagia nera, Clary. Non hai idea di cosapotrebbe fare con una ciocca di capellio poche gocce di sangue!

— Mirek — disse piano Sebastian,senza guardare Clary. In quel momentolei si chiese cosa lo avrebbe fermato, sedavvero aveva intenzione di scambiareuna ciocca di suoi capelli con l’adamas

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del demone. Jace si era opposto, ma eraanche costretto a fare quello che volevaSebastian. Chi l’avrebbe spuntata, aldunque? Il legame fra di loro o isentimenti che Jace provava per lei? —Assolutamente no.

Il demone gli lanciò uno sguardolento, da lucertola. — Assolutamenteno?

— A mia sorella non toccherai uncapello — dichiarò Sebastian. — Néverrai meno al nostro patto. Nessunoprende in giro il figlio di ValentineMorgenstern. Il prezzo pattuito,altrimenti…

— Altrimenti cosa? — ringhiòMirek. — Me ne pentirò? Tu non seiValentine, ragazzino. Quello sì che era

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un uomo capace di ispirare fedeltà…— No — lo interruppe Sebastian,

sguainando una spada angelica dallacintura che portava in vita. — Non sonoValentine. Non voglio trattare con idemoni come faceva lui. Se non possoavere la tua fedeltà, avrò la tua paura.Sappi che sono più potente di quantonon sia mai stato mio padre e, se non ticomporti bene con me, ti toglierò la vitae avrò ciò per cui sono venuto. —Sollevò la lama che aveva in pugno. —Dumah — sussurrò. L’arma saettò inavanti, luccicando come una colonna difuoco.

Il demone indietreggiò,pronunciando con rabbia diverse paroledi una lingua dal suono vischioso come

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fango. Jace aveva già in mano unpugnale. Chiamò Clary, ma nonabbastanza in fretta: qualcosa la colpìforte sulla spalla facendola cadere inavanti, lunga distesa sul pavimentopieno di cianfrusaglie. La ragazza rotolòsulla schiena, rapida, alzò lo sguardo…

E lanciò un grido. Sopra di leiincombeva un grosso serpente, oqualcosa di simile: testa di cobra, corporicoperto di spesse squame, maarticolato, da insetto, con una dozzina dizampe guizzanti che terminavano conartigli affilati. Clary rovistòfreneticamente nella cintura delle armi,mentre la creatura prendeva la rincorsa,col veleno giallo che le colava dallezanne, e colpiva.

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Dopo aver “parlato” con Clary,Simon si era riaddormentato. Quando sisvegliò, le luci erano accese e Isabelleera in ginocchio sul bordo del letto, conindosso dei jeans e una magliettaconsunta presa probabilmente in prestitoda Alec: aveva dei buchi nelle manichee l’orlo si stava disfacendo. La ragazzaera impegnata ad allargare il collo perdisegnare, con la punta di uno stilo, unaruna sulla pelle del petto, appena sottola gola.

Simon si sollevò sui gomiti. — Cosafai?

— Un iratze — rispose lei. — Perquesto. — Si infilò i capelli dietrol’orecchio e gli mostrò le due feriteaghiformi che lui le aveva procurato ai

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lati del collo. Conclusa la runa, i segniscomparvero, lasciando soltanto dueimpercettibili macchie bianche.

— Stai… stai bene? — La voce gliuscì in un sussurro. Un dolce sussurro.Si stava sforzando per evitare le altredomande che voleva porle: Ti ha fattomale? Ora pensi che io sia un mostro?Ti ho spaventata a morte?

— Sto bene. Ho dormito molto dipiù del solito, ma credo che si tratti diun buon segno. — Vedendol’espressione di lui, Isabelle si infilò lostilo nella cintura, gli si avvicinò conl’eleganza di un gatto e gli si sdraiòsopra, avvolgendo entrambi con la suachioma nera. Erano così vicini che i loronasi si sfioravano. Lei lo guardò senza

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battere ciglio. — Perché sei così pazzo?— gli disse. Simon sentiva il suorespiro sul viso, delicato come unsussurro.

Avrebbe voluto tirarla verso di sé ebaciarla, non morderla, soltantobaciarla, ma in quello stesso istantesuonò il campanello di casa. Un secondodopo qualcuno stava già bussando allaporta della camera, o meglio la stavapercuotendo, facendola tremare suicardini.

— Simon. Isabelle. — Era Magnus.— Sentite, non mi importa se statedormendo o vi state facendo a vicendacose indicibili: vestitevi e venite insoggiorno. Adesso.

Simon e Isabelle incrociarono gli

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sguardi, entrambi perplessi allo stessomodo.

— Fuori da lì — ordinò lo stregone,dopodiché il corridoio echeggiò delsuono dei suoi passi che siallontanavano.

Isabelle rotolò giù da Simon, consuo grande dispiacere, e fece un sospiro.— Secondo te di cosa si tratta?

— Non ne ho idea — rispose ilragazzo. — Riunione d’emergenza dellasquadra dei Buoni, direi! — QuandoClary aveva usato la stessa espressione,lui l’aveva trovata divertente. Isabelleinvece scosse la testa e sospirò.

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capitolo 13

IL LAMPADARIO DI OSSA

Mentre la testa del serpente siavventava su Clary, un bagliorescintillante si scagliò contro di essa,quasi accecando la ragazza. Una spadaangelica, la sua lama splendente chetagliava di netto la testa del demone.Questa crollò a terra, spruzzando velenoe icore. Clary rotolò di lato, ma partedella sostanza tossica le arrivò sul torso.

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Il demone svanì prima che il suo corpo,ormai squartato in due pezzi, potessetoccare il pavimento. Clary lottò control’urlo di dolore che avrebbe volutoemettere e cercò di rimettersi in piedi;all’improvviso, una mano le offrì aiuto.Jace, pensò lei, ma quando alzò gliocchi si rese conto di stare guardandosuo fratello.

— Su — le disse, con la mano tesaverso di lei. — Ce ne sono altri.

Clary accettò il suo aiuto e si lasciòtirare su. Anche lui era sporco di sanguedi demone, una sostanza verdenerastra,in grado di ustionare la pelle, che gliaveva lasciato sui vestiti macchie dibruciato. Sotto lo sguardo di Clary, unodi quei cosi con la testa di serpente

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(demoni Elapid, capì in ritardo,ricordando l’illustrazione di un libro) lostava per cogliere alle spalle, il colloallargato come quello di un cobra. Senzapensarci, Clary afferrò la spalla diSebastian e lo spinse di lato, con forza;lui barcollò all’indietro nell’istante incui il demone attaccava, mentre Clary sisollevò per colpire la bestia con ilpugnale estratto dalla cintura. Si girò dilato, affondando il colpo ed evitando lezanne della creatura, il cui sibilo sitrasformò in un gorgoglio mentre la lamapenetrava le sue carni. Clary trascinòpoi l’arma verso il basso, sventrando ildemone come si farebbe con un pesce.Venne colpita da un’esplosione disangue demoniaco, copiosa al pari di un

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torrente di fuoco. Gridò, ma non mollòla presa sul pugnale, mentre l’Elapidcessava di esistere.

Si voltò. Sebastian stava lottandocontro un altro degli Elapid sulla portadel negozio; Jace ne stava tenendo abada altri due, accanto a una vetrina diceramiche antiche. Il pavimento eracosparso di cocci di vasellame. Claryslanciò il braccio all’indietro e scagliòforte il pugnale, così come le avevainsegnato Jace. L’arma salì in alto eandò a colpire una delle creature nelfianco, allontanandola, urlante e in predaalle convulsioni, da Jace. Il ragazzo sigirò e, vedendo Clary, le fecel’occhiolino un attimo prima di saltareper amputare la testa di ciò che restava

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del demone. Il cadavere della bestiasvanì nell’istante in cui crollava, e Jace,ricoperto di sangue nero, fece unsorriso.

Clary si sentì travolgere da unastrana sensazione, una sorta di euforiafebbrile. Sia Jace che Isabelle leavevano parlato dell’esaltazione chedava la battaglia, ma prima di quelmomento lei non poteva dire di averlamai provata. Adesso invece si sentivapotente, le vene le pulsavano, la forza lesaliva dalla base della schiena. Eracome se tutto, attorno a lei, stesserallentando. Rimase a guardare l’Elapidferito che le si avvicinava correndoleincontro sulle sue zampe da insetto e conle labbra che già si ritraevano per

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lasciare spazio alle zanne. Claryindietreggiò di un passo, prese tra lemani l’antica bandiera e la conficcòdentro le fauci spalancate del mostro.L’asta perforò il cranio del demone euscì da dietro, e in quel momento lacreatura svanì portando con sé l’anticocimelio.

Clary scoppiò in una risata.Sebastian, che aveva appena annientatoun altro demone, si girò per guardarla esgranò gli occhi. — Clary! Fermalo! —le gridò, facendole notare che Mirekstava armeggiando con la maniglia dellaporta sul retro del negozio.

La ragazza fece uno scatto e si misea correre, estraendo senza fermarsi laspada angelica dalla cintura. — Nakir!

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— gridò balzando sopra il bancone eusandolo come trampolino per saltare,mentre l’arma risplendeva in un baglioredi luce. Atterrò sopra al demone Vetis,buttandolo a terra. Venne aggredita da unbraccio-anguilla e lo tagliò di netto conun movimento orizzontale della lama.Altri spruzzi di sangue nero. Il demonela stava guardando con occhi rossi espaventati.

— Basta — sibilò. — Posso dartitutto ciò che desideri…

— Ma io ho tutto quello chedesidero — mormorò lei, affondando lalama nel petto del nemico, che svanìlanciando un grido sordo. Clary cadde inginocchio sul tappeto.

Un istante dopo, di fianco al bancone

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comparvero due teste che la fissavano:una color biondo dorato, l’altra biancoplatino. Erano Jace e Sebastian. Il primoaveva gli occhi sgranati, l’altrosembrava pallido. — Nel nomedell’Angelo, Clary — sussurrò lui. —L’adamas…

— Ah, quella cosa che volevi? Cel’ho qui. — Era rotolata in parte sotto ilbancone. Clary la sollevò, un bloccolucente d’argento, sporco nei punti in cuile sue mani lo avevano toccato.

Sebastian fece un’esclamazione disollievo e le tolse l’adamas dalle mani,mentre Jace oltrepassava il bancone conun unico movimento e le atterravavicino. Si inginocchiò anche lui e lastrinse a sé, accarezzandole la schiena e

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guardandola con occhi cupi per lapreoccupazione. Clary gli prese i polsi.

— Sto bene — gli disse. Il cuore lepalpitava, il sangue ancora le urlavanelle vene. Jace aprì la bocca per direqualcosa, ma lei si sporse in avanti e glimise le mani sulle guance, premendo conle unghie. — Mi sento bene. — Loguardò, arruffato, sudato e cosparso disangue com’era, e provò il desiderio dibaciarlo. Voleva…

— D’accordo, voi due — esordìSebastian. Clary si staccò da Jace e alzòlo sguardo sul fratello. Lui li stavaosservando con un sorriso, mentrerigirava lentamente l’adamas dentro unamano. — Domani lo useremo —annunciò, facendo un cenno per indicare

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la pietra. — Ma stasera… dopo che cisaremo dati una bella ripulita… sifesteggia.

Simon, seguito da Isabelle, camminòa piedi nudi fino al soggiorno e lì rimasesorpreso dalla scena che lo accolse. Ilcerchio e il pentagramma al centro delpavimento brillavano di luce argenteasimile a mercurio. Dal centro si levavadel fumo, un’alta colonna rosso-nera conla cima bianca. L’intera stanza puzzavadi bruciato. Magnus e Alec erano inpiedi al di fuori del disegno e, con loro,Jordan e Maia, che a giudicaredall’abbigliamento erano appena entratiin casa.

— Cosa sta succedendo? — chieseIsabelle, stirando le sue lunghe braccia

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con uno sbadiglio. — Perché tuttiguardano Canale Pentagramma?

— Pazienta un secondo — le disseAlec in tono lugubre. — Lo vedrai.

Isabelle scrollò le spalle e seguì conlo sguardo quello degli altri. Mentre tuttiosservavano, il fumo bianco cominciò aturbinare sempre più in fretta,trasformandosi in un tornado inminiatura che sferzava il centro delpentagramma lasciando a terra parolebruciate:

AVETE PRESO LA VOSTRADECISIONE?

— Ehi! — esclamò Simon. — È tuttala mattina che fa così?

Magnus sollevò le braccia in aria.Indossava un paio di pantaloni di pelle e

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una maglietta col disegno di un fulmine azig zag. — Anche tutta la notte.

— E continua a ripetere la stessadomanda?

— No, dice cose diverse. A volteimpreca. A quanto pare Azazel si stadivertendo…

— Può sentirci? — Jordan inclinò latesta di lato. — Ehi, dico a te, demone!

Le lettere di fuoco si ricomposero.CIAO, LUPO MANNARO.

Jordan indietreggiò di un passo eguardò Magnus. — È… è normale?

Magnus sembrava profondamentescoraggiato. — Direi proprio di no. Nonavevo mai evocato un demone potentecome Azazel, ma anche così… Hoconsultato la letteratura disponibile,

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eppure non sono riuscito a trovareesempi di un evento del genere. Staandando fuori controllo.

— Azazel deve essere ricacciatoindietro — disse Alec. — In viadefinitiva, intendo. — Scosse la testa.— Forse Jocelyn aveva ragione.Dall’evocazione dei demoni non si puòricavare niente di buono.

— Sono abbastanza sicuro cheanch’io provengo da qualcuno che ne haevocato uno — disse Magnus. — Alec,l’ho fatto centinaia di volte, non capiscoperché questa dovrebbe essere diversa.

— Azazel non può uscire, vero? —indagò Isabelle. — Dal pentagramma,intendo.

— No — disse Magnus — ma

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nemmeno dovrebbe fare tutte le cose chesta facendo.

Jordan si chinò in avanti, tenendo lemani appoggiate sulle ginocchia. —Come si sta all’Inferno, amico? — glichiese. — Caldo o freddo? Ho sentitoentrambe le versioni.

Non ci fu risposta.— Bel lavoro, Jordan — disse

Maia. — Mi sa che lo hai infastidito.Lui toccò il bordo del pentagramma.

— Sa leggere il futuro? Senti,pentagramma, dici che il nostro grupposfonderà?

— È un demone infernale, Jordan,non il Libro delle Risposte — commentòMagnus, nervoso. — E stai lontano daquel disegno. Se evochi un demone e lo

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intrappoli dentro il pentagramma, lui nonpuò uscire né farti del male. Ma se cientri tu, allora sei nella sua sferad’influenza…

In quel momento, la colonna di fumocominciò a compattarsi. Magnus sollevòdi scatto la testa e Alec si alzò in piedirischiando di ribaltare la sedia, mentredavanti ai loro occhi la foschiaprendeva la forma di Azazel. Primacomparve l’abito, un gessato grigio-argento comprendente anche elegantigemelli, poi fu come se il demone loriempisse a poco a poco, con gli occhicome ultimo dettaglio. Si guardò attornocon evidente soddisfazione. — La bandaè al completo, vedo — disse. — Allora,avete preso una decisione?

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— Sì — rispose Magnus. — Noncredo che avremo bisogno dei tuoiservigi. Grazie lo stesso.

Silenzio.— Adesso te ne puoi anche andare

— aggiunse Magnus facendo sfarfallarele dita in gesto di saluto. — Adieu!

— Non credo proprio — risposeAzazel, compiaciuto. Si tolse dalla tascaun fazzoletto con cui iniziò a lucidarsi leunghie. — Penso che resterò. Mi piace,qui.

Magnus fece un sospiro e dissequalcosa ad Alec, che andò verso iltavolo e tornò con in mano un libro daporgere allo stregone. Magnus lo aprì ecominciò a recitare: — Spirito dannato,vattene! Ritorna nel regno del fumo e

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delle fiamme, della cenere e…— Quello con me non funziona —

rispose il demone con voce annoiata. —Provaci pure, se vuoi. Tanto resto qui.

Magnus lo guardò con gli occhiardenti di rabbia.

— Non puoi obbligarci a scendere apatti con te.

— Però posso provarci. Dopotuttonon ho di meglio da fare per occupare…

Azazel si interruppe non appena videuna sagoma familiare attraversare lastanza. Era Chairman Meow, lanciatoall’inseguimento di quello che sembravaun topo. Mentre tutti restavano aguardare, sorpresi e impauriti, l’animalesaettò oltre il contorno del pentagrammae Simon, agendo più per impulso che per

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volere razionale, lo seguì dentro iltracciato e lo prese fra le braccia.

— Simon! — Anche senza girarsi,lui sapeva che a gridare era stataIsabelle. Quando lo fece, la vide che siera portata una mano alla bocca,fissandolo con occhi spalancati. In realtàlo stavano fissando tutti. Izzy era biancacome un cencio e persino Magnussembrava turbato.

Se evochi un demone e lo intrappolidentro il pentagramma, lui non puòuscire né farti del male. Ma se ci entritu, allora sei nella sua sferad’influenza…

Simon si sentì toccare la spalla.Voltandosi, lasciò scendere ChairmanMeow, che schizzò via dal pentagramma

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e andò a nascondersi sotto un divano.Simon alzò lo sguardo: a incomberesopra di lui c’era l’imponente viso diAzazel. Da quella distanza cosìravvicinata, riusciva a vedergli le rughedella pelle, come crepe nel marmo, e lefiamme in fondo agli occhi scavati.Quando il demone sorrise, Simon siaccorse che ogni dente terminava con unago di ferro.

Azazel fece un sospiro, e attorno aSimon si levò una nuvola di zolfobollente. Il ragazzo si rendeva amalapena conto della presenza diMagnus, la cui voce si alzava e siabbassava in tono cantilenante, comeanche di quella di Isabelle, che stavagridando qualcosa mentre il demone

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prendeva lui per le braccia. Azazel losollevò, facendogli penzolare i piedi inaria, dopodiché… lo scagliò via.

O per lo meno ci provò. Le mani deldemone scivolarono dal corpo delragazzo, che cadde a terraaccovacciandosi, mentre Azazelrimbalzava all’indietro come se avessecolpito una barriera invisibile. Il rumorefu simile a quello di una grossa pietrache andava in mille pezzi. Azazel caddein ginocchio, poi si risollevò condolore. Alzò lo sguardo ringhiando, poiavanzò svelto verso Simon. Lui,rendendosi conto soltanto in quelmomento di quanto era accaduto, sollevòuna mano tremante e si spostò i capellidalla fronte.

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Azazel si fermò all’istante. Le suemani, con le unghie munite dello stessoferro appuntito dei denti, siappoggiarono sui fianchi. — Ramingo— mormorò. — Sei tu?

Simon rimase immobile. Magnuscontinuava a recitare in sottofondo, matutti gli altri erano in silenzio. Avevapaura di guardarsi attorno e cogliere losguardo di uno dei suoi amici. Clary eJace, pensò, avevano già visto ilMarchio all’opera, con la sua fiammaaccecante. Ma gli altri no, nessuno. Nonc’era da stupirsi se erano rimasti senzaparole.

— No — riprese Azazel, stringendoin una fessura il suo sguardo di fuoco.— No. Tu sei troppo giovane, e il

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mondo troppo vecchio. Ma chi oserebbeapporre il Marchio del Paradiso su unvampiro? E perché?

Simon abbassò la mano. — Toccamiancora e lo scoprirai — disse.

Azazel emise un suono gutturale, ametà fra l’ironia e il disprezzo. —Preferisco di no. Se vi siete divertiti apiegare ai vostri desideri la volontàceleste, persino la mia libertà non valeil rischio di unire il mio destino alvostro. — Si guardò attorno. — Voisiete tutti dei pazzi. Buona fortuna,bambini umani. Ne avrete bisogno.

E così dicendo svanì in una fiamma,lasciando dietro di sé fumo nero e puzzadi zolfo.

— Stai ferma — disse Jace

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prendendo il pugnale degli Herondale eusando la punta per tagliare la camiciadi Clary dal colletto all’orlo. Afferrò ledue metà così ricavate e le gettò convigore oltre le spalle di lei, lasciandolaseduta sul bordo del lavandino conaddosso soltanto jeans e canotta. Lamaggior parte dell’icore e del velenoaveva solo sporcato jeans e giacca, mala delicata camicetta di seta erarovinata. Dopo averla buttata nellavandino, dove sfrigolò al contatto conl’acqua, Jace tracciò sulla spalla diClary il contorno leggero di una runa diguarigione.

Lei chiuse gli occhi, avvertendoprima il bruciore della runa, poiun’ondata di piacere che si propagava

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attraverso gambe e braccia, mentre ildolore si attenuava. Era comenovocaina, soltanto che non la intontiva.

— Meglio? — le chiese Jace.Lei riaprì gli occhi. — Molto

meglio. — Il dolore non era scomparsodel tutto, perché l’iratze non facevagranché effetto sulle ustioni causate dalveleno dei demoni, ma queste tendevanoa guarire in fretta sulla pelle degliShadowhunters. In realtà pungevanosolamente, e Clary, ancora eccitata dalcombattimento, le sentiva appena. —Tocca a te?

Lui sorrise e le offrì lo stilo. Eranonel retrobottega del negozio di antichità.Sebastian aveva provveduto a chiuderloe a spegnere le luci dell’insegna, per

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non attirare l’attenzione di qualchemondano. Era eccitato all’idea di“festeggiare” e, quando li aveva lasciati,si era chiesto se fosse meglio tornare acasa a cambiarsi o andare direttamentealla discoteca del quartiere di MaláStrana.

Se c’era una parte di Clary chepercepiva quanto tutto ciò fossesbagliato, a cominciare dall’idea difesteggiare, essa andò perduta in mezzoal ribollire del suo sangue. Erasorprendente che, tra tutti i compagni dibattaglia che poteva avere, era statoproprio Sebastian a far scattare dentrodi lei l’interruttore che accendeva i suoiistinti di Shadowhunter. Aveva voglia discalare palazzi altissimi con un solo

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balzo, fare un centinaio di capriole,imparare ad affilare le lame comefaceva Jace. Invece gli prese lo stilo edisse: — Allora togliti la maglietta.

Lui la sfilò dalla testa e lei cercò dirimanere indifferente. Aveva una lungaferita sul fianco, di un rosso-violaceopiù intenso sui bordi, mentre la base delcollo e la spalla destra erano rimastiustionati dal sangue di demone. Eppureera ancora la persona più bella cheavesse mai incontrato. Pelle d’orochiaro, spalle larghe, vita e fianchistretti, una sottile linea di peluria chiarache correva dall’ombelico al bottone deijeans. Distolse lo sguardo e gli appoggiòlo stilo sulla spalla, cominciando aincidere con cura nella pelle quella che

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doveva essere la milionesima runa diguarigione che riceveva.

— Va bene? — gli chiese una voltafinito.

— Mmm-mmm — Jace si piegòverso di lei. Sentì il suo odore: sangue ebruciato, sudore, sapone da due solditrovato accanto al lavandino. — Mi èpiaciuto — le disse. — A te no?Combattere così, insieme?

— È stato… intenso. — Lui era giàin piedi, fra le gambe di lei. Le siavvicinò ancora di più, infilandole ledita tra la vita e i jeans. Le mani di leisalirono rapide sulle spalle di lui, e quelmovimento le fece notare lo scintilliodell’anello d’oro che portava al dito.Servì a farle riguadagnare un po’ di

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autocontrollo. Non farti distrarre, nonperdere la testa. Questo non è Jace,non è Jace, non è Jace.

Lui le sfiorò le labbra con le sue. —Io dico che è stato incredibile. Tu seistata incredibile.

— Jace… — sussurrò Clary, ma poiqualcuno bussò alla porta. Jace,sorpreso, la lasciò andare e lei scivolòall’indietro, finendo contro il rubinetto.Partì un getto d’acqua che li bagnòentrambi. Clary lanciò un gridolino eJace scoppiò a ridere, voltandosi peraprire la porta mentre Clary si giravaper interrompere il getto.

Era Sebastian, ovviamente.Considerato quello che avevano passato,era notevolmente in ordine. Aveva

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sostituito il giubbino di pelle macchiatocon un vecchio giaccone militare che,portato a quel modo sopra la maglietta,gli dava un non so che di chic etrasandato al tempo stesso. Fra le maniaveva qualcosa, qualcosa di nero elucente.

Sollevò le sopracciglia.— C’è un motivo per cui hai appena

buttato mia sorella dentro il lavandino?— Stava cadendo ai miei piedi —

rispose Jace piegandosi per raccoglierela maglietta e rimettersela. Come perSebastian, anche nel suo caso era statol’abbigliamento esterno a subire granparte dei danni, ma anche la magliettaera lacerata in corrispondenza del puntodove uno dei demoni aveva infilzato un

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artiglio.— Ti ho portato qualcosa da mettere

— annunciò Sebastian porgendol’oggetto nero e lucente che aveva inmano a Clary, la quale, nel frattempo,era uscita dal lavandino ed era in piedi agrondare acqua e sapone sul pavimentodi piastrelle. — È un pezzo vintage. Esembra più o meno della tua taglia.

Stupita, Clary restituì a Jace il suostilo e prese l’indumento offertole daSebastian. Era un vestito, o meglio unasottoveste color nero inchiostro, condelle perline elaborate incastonate sullespalline e il bordo di pizzo. Le spallineerano regolabili e il tessuto abbastanzaelasticizzato da farle sospettare cheSebastian avesse ragione: probabilmente

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era proprio la sua taglia. A una parte dilei non piaceva l’idea di portarequalcosa scelto da Sebastian, però nonera davvero il caso di andare indiscoteca con indosso una camicetta abrandelli e un paio di jeans inzuppatid’acqua. — Grazie — gli disse infine.— Okay, voi due fuori mentre micambio.

I ragazzi uscirono, chiudendosi laporta alle spalle. Riusciva a sentirli, conle loro forti voci maschili e, sebbenenon capisse cosa dicevano, era sicurache stessero scherzando. Erano a loroagio. In confidenza. Era così strano,pensò mentre si spogliava e si infilava ilvestito dalla testa. Jace, che in praticanon si apriva con nessuno, stava ridendo

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in tutta allegria con Sebastian.Si voltò per guardarsi allo specchio.

Il nero le faceva sembrare la pelleancora più chiara, gli occhi più grandi escuri, i capelli più rossi, gambe ebraccia più lunghe, magre e pallide.Sulle palpebre, ombretto scuro sfumato.Gli stivali, che già prima portava sotto ijeans, davano un tocco da dura all’interolook. Non era certa di risultare davverocarina, ma sicuramente aveva l’aria diuna a cui non bisogna dare troppofastidio.

Si chiese se Isabelle avrebbeapprovato.

Aprì la porta del bagno e uscì nelretro poco illuminato del negozio, doveera stata assiepata alla rinfusa tutta la

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merce che non trovava posto nel localeantistante, separato da una tenda divelluto dietro la quale c’erano Jace eSebastian. Stavano parlando, ma nonriusciva a distinguere le parole. Tirò latenda e fece un passo in avanti.

Le luci erano accese, anche se lavetrina era stata coperta dallasaracinesca e i passanti non potevanovedere all’interno. Sebastian stavapassando in rassegna la merce sugliscaffali, prendendo con le sue lunghemani caute un oggetto dopo l’altro,sottoponendolo a una rapida ispezione epoi rimettendolo a posto.

Jace fu il primo a notare Clary. Leigli vide lo sguardo illuminarsi e ricordòla prima volta in cui lui l’aveva vista

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elegante, coi vestiti di Isabelle, perandare alla festa di Magnus. Comequella volta, anche ora gli occhi di luiviaggiarono lenti dagli stivali su per legambe, i fianchi, il petto e si posaronoinfine sul viso. Le fece un sorrisolanguido.

— Potrei farti notare che quello nonè un vestito, ma biancheria intima — ledisse. — Però credo che andrebbecontro il mio interesse.

— Devo ricordarti — intervenneSebastian — che stiamo parlando di miasorella…

— Molti fratelli sarebbero lieti divedere un gentiluomo dabbene come mescortare la loro sorellina in giro per lacittà — rispose Jace togliendo da uno

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degli appendiabiti una giacca militare einfilandoci dentro le braccia.

— Dabbene? — ripeté Clary. — Fraun po’ salterà fuori che sei un maliardoCasanova…

— E a quel punto ci sarà un duelloall’alba — intervenne Sebastian,avanzando verso la tenda di velluto. —Torno subito. Mi devo lavare il sanguedai capelli.

— Schizzinoso! — gli gridò Jacecon un sorriso, poi prese Clary e la tiròa sé. La voce gli divenne un sussurroprofondo. — Ti ricordi quandoandammo alla festa di Magnus? Quandotu entrasti con Isabelle e per poco Simonnon si prese un colpo apoplettico?

— Forte, stavo pensando alla stesa

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cosa! — Clary reclinò la testaall’indietro per guardarlo. — Ma nonricordo che quella volta tu abbia dettoqualcosa su come stavo.

Lui le fece scivolare le dita sotto lespalline del vestito, sfiorandole la pelle.— Pensavo di non piacerti granché. Epoi sapevo che fornire a tutti unadescrizione dettagliata delle cose cheavrei voluto farti non sarebbe certoservito a farti cambiare idea…

— Pensavi di non piacermi?! — lavoce di lei salì di tono, incredula. —Jace, quando mai ti è successo di nonpiacere a una ragazza?

Lui fece spallucce. — Senza dubbioi manicomi di tutto il mondo sono pienidi ragazze sfortunate che non sono

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riuscite a intuire il mio fascino.Una domanda affiorò alle labbra di

Clary, una che voleva fargli da tempoma per la quale le era sempre mancato ilcoraggio. In fondo, cosa importava diquello che Jace aveva fatto prima diconoscerla?

Come se lui riuscisse a leggerlel’espressione che aveva in viso, addolcìlo sguardo ambrato.

— Non mi è mai importato quelloche le ragazze dicevano di me — disse.— Non prima che arrivassi tu.

Prima che arrivassi tu. La voce diClary tremò appena. — Jace, mi stavochiedendo…

— I vostri preliminari verbali sononoiosi e irritanti — intervenne

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Sebastian, ricomparso coi capellid’argento bagnati e arruffati davanti allatenda di velluto. — Pronti ad andare?

Clary si liberò di scatto da Jace,arrossendo. Lui invece rimasetranquillo. — Siamo noi che stavamoaspettando te.

— E sembra che abbiate trovato ilmodo di trascorrere il tempo senzaannoiarvi. Adesso però sbrighiamoci,andiamo. Vi avverto, questo posto vipiacerà.

— Non mi restituiranno mai lacauzione — disse Magnus,demoralizzato. Era seduto sopra iltavolo, fra i cartoni di pizza e le tazze dicaffè, a guardare gli altri componentidella squadra dei Buoni mentre facevano

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del loro meglio per ripulire il caoslasciato dall’evocazione di Azazel:buchi fumanti nelle pareti, liquame neroe puzzolente di zolfo che colava dai tubidel soffitto, cenere e altre sostanze neree granulose sparpagliate sul pavimento.Chairman Meow era disteso sulle gambedel padrone e faceva le fusa. Magnus eraesentato dalle pulizie perché già avevalasciato che quasi gli distruggesserol’appartamento; Simon anche, perché,dopo l’episodio del pentagramma,nessuno sapeva bene come trattarlo.Aveva cercato di parlare con Isabelle,ma lei non aveva fatto altro chesventolare minacciosa lo straccio delpavimento.

— Ho un’idea — disse Simon a

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Magnus. Era seduto accanto a lui, coigomiti sulle ginocchia. — Ma non tipiacerà.

— E io ho la sensazione che hairagione, Sherwin.

— Simon. Mi chiamo Simon.— Come vuoi — disse lo stregone

sventolando una mano. — Sentiamoquesta idea.

— Io ho il Marchio di Caino. Equesto significa che niente puòuccidermi, giusto?

— Ti puoi uccidere da solo —rispose l’altro senza essergli di grandeaiuto. — Per quanto ne so, potrebbefarlo anche un oggetto inanimato,accidentalmente. Quindi, se haiintenzione di imparare a ballare la

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lambada su una pista unta di grasso esospesa su una fossa piena di coltelli,be’… fossi in te lascerei perdere.

— Fine dei miei progetti per sabato.— In effetti non c’è altro che ti

possa uccidere — proseguì lo stregone.Aveva distolto gli occhi da Simon e orastava guardando Alec, intento adarmeggiare con uno strofinaccio. —Perché lo vuoi sapere?

— Quello che è successo prima conAzazel, dentro il pentagramma, mi hafatto riflettere — rispose Simon. — Haidetto che evocare gli angeli è piùpericoloso che evocare i demoni, perchépotrebbero annientare chi li ha chiamatio ustionarlo col fuoco del Paradiso. Mase fossi io a farlo… — La voce gli si

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smorzò. — Be’, sarei comunque alsicuro, o no?

Quella domanda riguadagnòl’attenzione di Magnus. — Tu? Evocareun angelo?

— Potresti farmi vedere come si fa— lo incoraggiò Simon. — So di nonessere uno stregone, ma Valentine lo hafatto comunque. Se ci è riuscito lui,perché non dovrei riuscirci io? Vogliodire, ci sono persino degli esseri umaniin grado di compiere magie.

— Non posso prometterti chesopravviveresti — rispose Magnus, manella sua voce c’era una scintilla diinteresse che contraddiceval’avvertimento. — Il Marchio è unaprotezione del Paradiso, d’accordo, ma

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ti protegge anche dal Paradiso stesso?Non conosco la risposta a questadomanda.

— Lo so. Ma sei d’accordo che, fratutti noi, sono io quello con piùpossibilità di farcela?

Magnus guardò Maia, che stavaschizzando Jordan con dell’acqua erideva mentre lui si girava gridando. Poila ragazza si tirò all’indietro i riccioli,lasciando sulla fronte una traccia nera disporco. Sembrava una ragazzina. — Sì— rispose Magnus a malincuore. —Probabilmente sì.

— Chi è tuo padre? — volle sapereSimon.

Gli occhi di Magnus tornarono aposarsi su Alec. Erano verde-oro,

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indecifrabili come quelli del gatto cheteneva in braccio. — Sai che non è ilmio argomento preferito, Smedley.

— Simon — lo corresse l’altro. —Se devo morire per voi, il minimo chepotresti fare è ricordare come michiamo.

— Non stai morendo per me —ribatté Magnus. — Se non fosse perAlec, io sarei…

— Saresti dove?— Ho fatto un sogno — disse

l’altro, lo sguardo distante. — Ho vistouna città tutta di sangue, con torri fatte diossa e liquido rosso che scorreva comeacqua per le strade. Forse puoi salvareJace, Diurno, ma non puoi salvare ilmondo. Le tenebre stanno per arrivare.

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“Terra delle tenebre e dell’ombra dimorte, terra di caligine e di disordine,dove la luce è come le tenebre”. Se nonfosse per Alec, me ne andrei da qui.

— E dove andresti?— Mi nasconderei. Aspetterei che il

tutto si sfogasse. Non sono un eroe. —Magnus prese Chairman Meow e lodepose sul pavimento.

— Ami Alec abbastanza da restare— osservò Simon. — Questo è già unpo’ da eroe.

— E tu amavi Clary abbastanza daincasinare completamente la tua vita perlei — ribatté Magnus con un astio nellavoce che non era da lui. — Guarda doveti ha portato. — Alzò la voce. — Bene,dico a tutti, venite qui. Sheldon ha

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un’idea.— E chi è Sheldon? — chiese

Isabelle.Le strade di Praga erano fredde e

buie; anche se Clary si era tenuta sullespalle la giacca bruciacchiatadall’icore, l’aria gelida le era penetratadentro al ribollio delle vene, mettendo atacere quanto rimaneva dell’esaltazionescatenata dalla battaglia. Nel tentativo dimantenere viva quella sensazione,comprò una tazza di vino caldo, laavvolse fra le mani e ne assaporò ilcalore, mentre con Jace e Sebastian siperdeva in mezzo a un intricato labirintodi antichi vicoli sempre più stretti,sempre più cupi. Non c’erano cartellistradali, né targhe col nome delle vie, né

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altri passanti; l’unica costante era laluna che si muoveva sopra le loro testeattraverso spesse nuvole. Finalmente unabassa scalinata di pietra li portò giù suuna piazzetta, un lato della quale erailluminato da un’abbagliante insegna alneon con la scritta KOSTI LUSTR. Sottoc’era una porta aperta, un buco neronella parete simile a un dente mancante.

— Che cosa significa “Kosti Lustr”?— chiese Clary.

— Significa Lampadario di Ossa. Èil nome della discoteca — le spiegòSebastian, avanzando baldanzoso. I suoicapelli chiari riflettevano i colori alneon, sempre diversi, dell’insegna:rosso intenso, azzurro ghiaccio, orometallico. — Venite?

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Nell’istante in cui mise piede dentroal locale, Clary venne colpita da unmuro di suono e di luce. Era una salagrande e affollatissima, che un tempodoveva essere stata l’interno di unachiesa. Alle pareti, c’erano ancora lealte finestre a vetri colorati. Fasci diluce variopinta si soffermavano sui voltiestasiati di chi ballava tra la folla infermento, illuminandoli di fucsia, verdefosforescente, viola acceso. Lungo unaparete c’era la consolle del DJ, e daglialtoparlanti esplodeva musica trance;Clary sentiva le onde sonore che lesalivano palpitando su dai piedi edentravano nel sangue, facendole vibrarele ossa. La stanza era calda per via deicorpi accalcati e nell’aria aleggiava un

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misto di sudore, fumo e birra.Stava per voltarsi e chiedere a Jace

se voleva ballare, quando a un tratto sisentì una mano sulla spalla. EraSebastian. Clary si irrigidì, ma non siritrasse. — Vieni — le sussurròall’orecchio. — Noi non stiamo qui conla plebaglia.

La sua mano era come ferro che lepremeva contro la schiena. Si lasciòspingere in avanti fra le persone cheballavano e che, una volta alzato losguardo su Sebastian, lo riabbassavanofacendosi da parte. Il caldo era semprepiù soffocante e, quando raggiunserol’estremità opposta del locale, Clary eraquasi senza fiato. C’era un arco cheprima non aveva notato. Una scalinata di

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pietra, coi gradini consumati, scendevaverso il basso e curvava nell’oscurità.

Alzò gli occhi quando Sebastian letolse la mano dalla schiena.All’improvviso venne avvolta da unbagliore: Jace aveva estratto la pietrarunica di stregaluce e le stavasorridendo, il viso tutto spigoli e ombredentro quel fascio luminoso potente econcentrato.

— Facilis descensus.Clary rabbrividì. Sapeva che quella

frase si riferiva alla discesa agliinferi…

— Andiamo. — Sebastian fece uncenno con la testa, dopodiché riprese ascendere con passo sicuro ed elegante,neanche lontanamente preoccupato di

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scivolare sulla pietra levigatadall’usura. Clary lo seguiva un po’ piùlentamente. L’aria si faceva più freddaman mano che scendevano e il suonopulsante della musica si affievoliva.Sentiva il loro respiro e vedeva le loroombre, distorte e affusolate, contro lepareti.

Non appena arrivarono in fondo allascala, si accorse che la musica eradiversa. Il ritmo era ancora piùinsistente di quello al piano di sopra: leperforava le orecchie, le entrava nellevene e le faceva girare la testa. Avevaquasi le vertigini, quando arrivaronosull’ultimo gradino e misero piede inuna sala enorme, che le tolse il fiato.

Era tutto di pietra, le pareti

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sconnesse e bitorzolute, il pavimentoliscio sotto i loro piedi. La gigantescastatua di un angelo con le ali nere sistagliava contro il muro di fondo, latesta invisibile fra le ombre del soffitto,le ali da cui pendevano fili di granatosimili a gocce di sangue. L’intera stanzaera il teatro di esplosioni di colore chenon avevano niente in comune con leluci artificiali del piano superiore:queste erano splendide, lucenti comefuochi d’artificio, e ogni volta che nescoppiava una la folla danzante venivaricoperta da una pioggia scintillante.Enormi fontane di marmo sprizzavanoacqua e bollicine; sulla superficiegalleggiavano petali di rose nere. Inalto, da una lunga corda dorata, sopra la

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pista affollata di gente che ballava,pendeva un enorme lampadario fatto diossa.

Era tanto intricato quanto lugubre. Lastruttura principale era composta dacolonne vertebrali unite fra loro: femorie tibie pendevano come decorazioni daibracci, che si curvavano all’insù eterminavano con teschi umani dai qualispuntavano grosse candele. Cera neracolava come sangue di demone e finivasulla gente, che però non se ne curava.Nessuno dei presenti, impegnati avolteggiare, dimenarsi e battere le mani,era umano.

— Lupi mannari e vampiri — disseSebastian rispondendo alla domandaimplicita di Clary. — A Praga sono

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alleati. È qui che vengono per…rilassarsi. — Una calda brezza spiravaper tutta la stanza, come vento deldeserto; sollevò i capelli argentei diSebastian e glieli soffiò sopra gli occhi,nascondendone l’espressione.

Clary si sfilò la giacca e se la tennepremuta al petto quasi fosse uno scudo.Si guardò attorno con occhi sgranati.Riusciva a percepire l’assenza dellanatura umana nelle persone dentro lasala: i vampiri con il loro pallore e lagrazia languida e agile, i lupi mannarifieri e veloci. Erano per lo più giovani,ballavano vicini, si dimenavano su e giùcontro i corpi altrui. — Ma non gli daràfastidio la nostra presenza? DeiNephilim?

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— Mi conoscono — risposeSebastian. — E sapranno che sei conme. — Allungò un braccio per toglierledi mano la giacca. — Vado a fartelaappendere.

— Sebastian… — Ma lui era giàsparito tra la folla.

Guardò Jace, accanto a lei. Si tenevai pollici infilati nella cintura e siguardava attorno con aria disinvolta. —Guardaroba per vampiri? — gli chiese.

— Perché no? — le sorrise. —Avrai notato che non si è offerto diprendere la mia, di giacca. La cavalleriaè morta, lasciamelo dire! — Vedendol’espressione perplessa di lei, chinò latesta di lato. — Non importa. Ci saràqualcuno con cui deve parlare.

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— Ma allora non è venuto quisoltanto per divertirsi?

— Sebastian non fa mai nientesoltanto per divertirsi. — Jace le presele mani e la tirò verso di sé. — Ioinvece sì.

Nella più totale assenza di stuporeda parte di Simon, nessuno si dimostròentusiasta del suo piano. Anzi, si erasollevato un coro di disapprovazione,seguito da un clamore di voci checercavano di dissuaderlo o chechiedevano, per lo più a Magnus,informazioni sul grado di pericolosità diun’impresa del genere. Simon appoggiòi gomiti sulle ginocchia e rimase inattesa.

Alla fine sentì un tocco leggero sul

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braccio. Si voltò e vide, con sorpresa,che si trattava di Isabelle. Gli fece segnodi seguirla.

Si misero all’ombra di una dellecolonne, mentre la discussionecontinuava a imperversare alle lorospalle. Dato che inizialmente Isabelleera stata una degli oppositori più tenacial progetto, Simon si preparòall’eventualità che potesse gridarglicontro. Invece si limitava a guardarlo abocca serrata, nient’altro. — Okay —disse lui alla fine, non sopportando quelsilenzio. — Immagino che in questomomento non sei molto contenta di me.

— Immagini? Ti darei un calcio nelsedere, vampiro, ma non voglio rovinarei miei costosi stivali nuovi.

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— Isabelle…— Non sono la tua ragazza.— Giusto — disse lui, anche se non

poté evitare di provare una punta didelusione. — Lo so.

— E non ti ho mai rinfacciato iltempo che hai trascorso con Clary. Anzi,ti ho incoraggiato. So quanto tieni a lei equanto lei tiene a te. Ma ora… ora staiparlando di correre un rischio assurdo.Ne sei sicuro?

Simon si guardò attorno:l’appartamento in disordine di Magnus,il gruppetto poco distante che discutevadel suo futuro. — Non si tratta soltantodi Clary.

— Si tratta di tua madre, allora? —gli chiese lei. — Per il fatto che ti ha

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dato del mostro? Tu non hai niente dadimostrare, Simon. Quello è unproblema suo, non tuo.

— Non è quello. Jace mi ha salvatola vita, sono in debito con lui.

Isabelle sembrava sorpresa. — Tunon lo stai facendo solo per ricambiareJace. Mi sbaglio? Perché penso cheadesso siete più o meno pari.

— No, non del tutto — ammise lui.— Senti, la situazione la conosciamotutti. Sebastian non può andarsene ingiro liberamente. È una situazionepericolosa, e su questo il Conclave haragione. Ma se lui muore, muore ancheJace. E se Jace muore, Clary…

— Sopravviverebbe — risposesubito Isabelle, secca. — È una ragazza

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forte.— Soffrirebbe. Magari per sempre.

E io non voglio che soffra a quel modo.Come non voglio che soffri tu.

Isabelle incrociò le braccia. —Certo che no. Ma credi che lei nonsoffrirebbe, Simon, se succedessequalcosa a te?

Simon si morse un labbro. In effettinon ci aveva pensato, non in queitermini. — E tu?

— E io?— Soffriresti se mi succedesse

qualcosa?Lei continuò a guardarlo, a schiena

dritta e mento alto. Ma gli occhi leluccicavano. — Sì.

— Ma vuoi che aiuti Jace.

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— Sì, voglio anche quello.— Devi lasciarmi fare — le disse.

— Non è solo per Jace, per te o perClary, anche se tutti giocate un ruoloimportante. È perché credo che stianoarrivando le tenebre. Credo a Magnus,quando lo dice. Credo che Raphaelabbia davvero paura di una guerra. Cosìcome credo anche che stiamo vedendosolo una piccola parte del piano diSebastian, e non credo che abbia presocon sé Jace per pura coincidenza, comenon è una coincidenza il loro legame.Sebastian sa che avremmo bisogno di luiper vincere la guerra. Sa chi è Jace.

Isabelle non poteva negarlo. — Tusei coraggioso quanto lui.

— Forse — disse Simon. — Ma non

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sono un Nephilim. Non posso farequello che fa lui. E non conto così tantoper così tanta gente.

— Destini speciali nei vantaggi especiali nei tormenti — sussurròIsabelle. — Simon, tu per me contimolto.

Lui le si avvicinò e le appoggiòdelicatamente una mano sulla guancia.— Sei una guerriera, Iz. È quello chefai, quello che sei. Ma se non puoicombattere Sebastian perché far delmale a lui ne farebbe anche a Jace, nonpuoi scendere in guerra. E se pervincere ti trovassi a dover uccidereJace, penso che a quel punto morirebbeanche una parte della tua anima. E io nonvoglio vedere una cosa del genere, non

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se posso fare qualcosa per impedirlo.Isabelle deglutì. — Non è giusto —

disse — che debba essere tu a…— Farlo è una mia scelta. Jace

invece non può scegliere. Se muore, èper qualcosa che non dipende da lui, nonin senso stretto.

Isabelle esalò un respiro. Sciolse lebraccia e prese Simon per il gomito. —D’accordo — gli disse. — Andiamo.

Lo guidò di nuovo verso il gruppo,che interruppe la discussione e rimase aguardare Isabelle che schiariva la voce,quasi che non si fossero accorti dellaloro assenza fino a quel momento.

— Basta — esordì. — Simon hapreso la sua decisione, una decisioneche spetta solo a lui. Evocherà Raziel. E

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noi lo aiuteremo in ogni modo possibile.Ballarono. Clary cercò di lasciarsi

andare al ritmo incessante della musicae al sangue che le affluiva alle vene,come un tempo era riuscita a fare alPandemonium, con Simon. Ovviamentelui si era dimostrato un ballerinopiuttosto improponibile, mentre Jace erabravissimo. Pensò che forse eranormale. Con tutto quell’allenamento percontrollarsi durante i combattimenti equell’agilità ben calibrata, c’era benpoco che non potesse chiedere alproprio corpo. Quando lanciò la testaall’indietro, i suoi capelli erano scuriper il sudore, incollati alle tempie, e lacurva del collo brillava alla luce dellampadario di ossa.

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Clary si accorse del modo in cui loguardavano le altre persone in pista:c’erano ammirazione, curiosità, famepredatoria. Un senso di gelosia che nonriusciva a definire, né a controllare, lesalì dentro. Si avvicinò a lui, facendoscivolare il corpo come aveva visto farein pista a ragazze che prima non avevaavuto il coraggio di imitare. Era semprestata convinta che i capelli le sarebberorimasti impigliati nella fibbia dellacintura di qualcuno, ma adesso le coseerano diverse. Tutti quei mesi diallenamento non davano i loro fruttisoltanto quando era il momento dicombattere, ma ogni volta in cui dovevausare il proprio corpo. Si sentivasciolta, a proprio agio, in un modo mai

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provato prima. Premette il propriocorpo contro quello di Jace.

Lui teneva gli occhi chiusi. Li riaprìproprio nell’istante in cui un’esplosionedi luce colorata accese il buio attorno aloro. Gocce metalliche li investironocome pioggia; alcune rimaserointrappolate fra i capelli di Jace, altregli brillarono sulla pelle come mercurio.Toccò con le dita una goccia di liquidoargenteo rimasta sul collo e la mostrò aClary, curvando le labbra all’insù. —Ricordi cosa ti avevo detto quella primavolta da Taki? Sul cibo delle fate?

— Ricordo che avevi detto di avercorso lungo Madison Avenue nudo condelle corna in testa — disse Clary,battendo le palpebre e facendo piovere

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gocce d’argento dalle ciglia.— Non credo sia mai stato

dimostrato che quello fossi davvero io.— Soltanto Jace era capace di parlare eallo stesso tempo ballare senzasembrare strano. — Be’, direi chequesta roba… — disse schizzando conle dita il liquido argenteo che glibagnava pelle e capelli, dipingendolo dimetallo — è così, ti fa sentire…

— Sballato?Lui la guardò con occhi cupi. —

Potrebbe essere divertente. — Sopra leloro teste scoppiò un altro di queiparticolari fiori rotanti: questa volta ilgetto fu blu-argento, come acqua. Jacene leccò una goccia da un palmo dellamano, senza smettere di osservare Clary.

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Sballare. Clary non aveva maiprovato droghe, nemmeno beveva. Forsel’unica volta era stata con la bottiglia diliquore al caffè trafugata dal mobile bardella madre di Simon e bevuta con lui,quando avevano tredici anni. Dopoerano stati male da morire; Simon avevaaddirittura vomitato dentro una siepe.Non ne era valsa la pena, ma lasensazione di vertigini, la voglia diridacchiare, il sentirsi felice senzamotivo se li ricordava ancora.

Quando Jace riabbassò la mano,aveva la bocca sporca d’argento. Lastava ancora guardando, con gli occhidorati oscurati dalle lunghe ciglia.

Felice senza motivo.Ripensò a quando erano stati

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insieme dopo la Guerra Mortale, primache Lilith lo possedesse. Allora lui erail Jace della fotografia sulla parete:felice. Lo erano entrambi. Quando loguardava, non era attanagliata dai dubbi,non provava quella sensazione diminuscoli coltelli sotto la pelle cheaveva ora e che erodeva la reciprocaintimità.

Si avvicinò a Jace e lo baciò,lentamente e senza esitare, sulle labbra.

La bocca le esplose di un saporeagrodolce, un misto fra vino ecaramella. Altro liquido argenteopiovve su di loro, mentre lei siallontanava da lui leccandosi diproposito le labbra.

Jace respirava forte; tentò di

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riafferrare Clary, ma lei fece unagiravolta e scappò via ridendo.

All’improvviso si sentì libera eselvaggia, incredibilmente leggera.Sapeva che c’era qualcosa ditremendamente importante che avrebbedovuto fare, ma non ricordava cosa operché le fosse importato. I volti dellepersone attorno non avevano piùquell’aria selvatica, vagamenteminacciosa, ma mostravano una bellezzaoscura. Si sentiva dentro a un’immensacaverna di echi e le ombre attorno eranodipinte con colori più belli e luminosi diqualsiasi tramonto. La statua dell’angeloche incombeva dall’alto aveva l’ariabenevola, mille volte più di Raziel edella sua fredda luce bianca, ed

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emetteva una nota acuta, pura,cristallina, perfetta. Clary girò, semprepiù veloce, lasciandosi alle spalledolore, ricordi, perdite, finché andò afinire tra due braccia che leserpeggiarono attorno da dietro e lastrinsero forte. Abbassò lo sguardo e sivide due mani coperte di cicatriciattorno alla vita, dita snelle e bellissime,la runa della Chiaroveggenza. Jace. Sisciolse contro di lui, chiudendo gliocchi, lasciando che la testa le cadessenella curva della sua spalla. Sentiva ilsuo cuore battere contro la propria spinadorsale.

Il cuore di nessun altro battevacome quello di Jace, né avrebbe maipotuto farlo.

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Gli occhi le si aprirono; si girò, conle mani tese, per spingere via quelcorpo. — Sebastian… — sussurrò. Suofratello le sorrise, nero e argenteo comel’anello dei Morgenstern.

— Clarissa — disse lui. — Vogliofarti vedere una cosa.

No. La parola se ne andò come eraarrivata, zucchero che si dissolvevadentro un liquido. Non ricordava piùperché fosse tenuta a dirgli di no. Infondo era suo fratello, avrebbe dovutovolergli bene. L’aveva portata in unposto stupendo. Forse aveva fatto dellebrutte cose, certo, ma era successo tantotempo prima, e poi non ricordavanemmeno di cosa si trattasse.

— Sento gli angeli cantare — gli

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disse.Lui ridacchiò. — Allora hai

scoperto che quella roba color argentonon sono semplici lustrini. — Le siavvicinò e le sfregò un dito sullozigomo; quando lo tolse, era grigiolucido, come se avesse toccato unalacrima colorata. — Seguimi, ragazzaangelo. — Le porse una mano.

— Ma, Jace… — ribatté lei. — L’hoperso in mezzo alla gente.

— Ci troverà. — La mano diSebastian si strinse attorno alla sua,sorprendentemente calda e confortante.Clary si lasciò condurre verso una dellefontane al centro della stanza e si sedettesul largo bordo di marmo. Lui le si miseaccanto, sempre tenendola per mano. —

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Guarda nell’acqua — le disse. —Dimmi cosa vedi.

Clary si sporse e guardò lasuperficie liscia e scura della vasca.Vedeva il proprio viso riflesso, gli occhigrandi e impazziti, il trucco sbavatocome un livido, i capelli arruffati. Poianche Sebastian si sporse, e Clary videil suo viso accanto al proprio. L’argentodei capelli di lui riflesso nell’acqua lefaceva pensare alla luna su un fiume.Allungò una mano per toccarne lalucentezza, ma l’immagine andò infrantumi, il riflesso distorto,irriconoscibile.

— Che cos’è? — chiese Sebastian,nella sua voce un tono basso e insistente.

Clary scosse la testa. Stava facendo

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davvero lo stupido. — Ho visto te e me— gli rispose con una vocina infantile.— Cos’altro?

Sebastian le mise una mano sotto ilmento e le girò la faccia verso di sé.Aveva gli occhi neri, neri come la notte,con un cerchio d’argento a separare lapupilla dall’iride. — Non lo vedi?Siamo uguali, io e te.

— Uguali? — Clary lo guardòbattendo le ciglia. C’era qualcosa diprofondamente sbagliato in quello chestava dicendo, anche se non sapeva direbene cosa. — No…

— Sei mia sorella — proseguì lui.— Abbiamo lo stesso sangue.

— Tu hai sangue di demone —ribatté Clary. — Il sangue di Lilith. —

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Chissà perché, quel dettaglio le parvedivertente. Si mise a ridacchiare. — Seitutto buio, buio, buio. Mentre io e Jacesiamo luce.

— Dentro di te hai un cuore ditenebra, figlia di Valentine — le disseSebastian. — Ma non vuoi ammetterlo.E se desideri Jace, farai meglio adaccettarlo. Perché ora lui appartiene ame.

— E tu a chi appartieni?Le labbra di Sebastian si

dischiusero, ma non pronunciarono unasola parola. Per la prima volta, pensòClary, sembrava non avesse nulla dadire. Era sorpresa: le parole diSebastian non le importavano granché, eavevano suscitato in lei niente più di una

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vaga curiosità. Prima che potesseaggiungere altro, una voce sopra di lorodisse:

— Cosa state facendo? — Era Jace.Spostò lo sguardo da uno all’altra, ilviso impassibile. Aveva addosso altrasostanza luccicante, gocce d’argentointrappolate fra i capelli d’oro. —Clary. — Sembrava infastidito. Lei sistaccò da Sebastian e balzò in piedi.

— Scusa — gli disse, senza fiato. —Mi ero persa tra la folla.

— Lo avevo notato — rispose lui.— Sto ballando con te, un attimo dopo tusei sparita e io mi ritrovo un lupomannaro particolarmente insistente checerca di sbottonarmi i jeans.

Sebastian rise. — Maschio o

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femmina?— Non saprei. In ogni caso, avrebbe

dovuto farsi la barba. — Prese la manodi Clary e le circondò il polso con ditaleggere. — Vuoi andare a casa? Oballare ancora un po’?

— Ballare ancora un po’. Per te vabene?

— Prego — rispose Sebastian. Siallungò all’indietro, appoggiando lemani sul bordo della fontana. Il suosorriso era una lama di rasoio. —Guardare non mi disturba.

Qualcosa splendette davanti agliocchi di Clary: il ricordo dell’improntainsanguinata di una mano. Se ne andòveloce come era comparso, facendolecorrugare la fronte. Quella notte era

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troppo bella per pensare alle cosespiacevoli. Rivolse un ultimo sguardo alfratello e poi lasciò che Jace la portasseverso i margini della folla, quasi inombra, là dove la pressione fra i corpiera minore. Un’altra sfera di lucecolorata esplose sopra le loro testementre camminavano, spargendoargento; Clary alzò la testa e allungò lalingua per catturare altre gocceagrodolci.

Al centro della stanza, sotto illampadario di ossa, Jace si fermò e leigli finì contro. Si ritrovò con le bracciaattorno a lui, mentre gocce del liquidoargenteo le colavano giù per le guancecome lacrime. Il tessuto della magliettadi Jace era sottile, tanto che sotto

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riusciva a sentire la sua pelle chebruciava. Le mani le scivolarono sottol’orlo, le unghie graffiarono leggere lecostole. Altre gocce brillarono dalleciglia di lui mentre abbassava losguardo sul suo e si chinava persussurrarle all’orecchio. Le mise lemani sulle spalle, poi le lasciò scorreregiù lungo le braccia. Nessuno dei duestava più ballando: attorno a loro lamusica continuava, ipnotica, così comeil movimento delle altre persone inpista, ma Clary se ne accorgeva amalapena. Una coppia li oltrepassòridendo e facendo un commento dal tonosprezzante in ceco. Clary non capì, masospettava che il significato fossequalcosa tipo “Prendetevi una stanza”.

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Jace emise un gemito d’impazienza,poi tornò in mezzo alla follatrascinandosi dietro Clary e portandoladentro uno dei privé al buio cheprofilavano le pareti.

Ce n’erano a dozzine, circolari,ognuno con una panca di pietra e unatenda di velluto che si poteva chiudereper ottenere un briciolo di privacy. Jacelo fece immediatamente, e si scontraronol’uno contro l’altra come il mare controla riva. Le loro bocche prima urtarono epoi si unirono; Jace la sollevò perstringersela contro, mentre le dita gli sicontorcevano nel tessuto scivoloso delvestito.

Clary sentiva il calore e lamorbidezza, le mani che cercavano e

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trovavano, la cedevolezza e la pressionedei corpi. Le proprie dita sotto lamaglietta di Jace, le unghie che gligraffiavano la schiena, selvaggiamenteappagate quando lo sentirono trasalire.Lui le morse il labbro inferiore; leiavvertì in bocca il sapore del sangue,caldo e salato. Era come se si volesserodivorare, pensò, entrare l’uno nel corpodell’altra e condividere lo stesso battitocardiaco, anche a costo di morireentrambi.

Il privé era buio, così buio che Jacesembrava soltanto una sagoma d’oro ed’ombra. Il suo corpo premeva quello diClary contro il muro. Le mani gliscivolarono lungo i fianchi di lei eraggiunsero l’orlo del vestito,

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sollevandolo sulle cosce.— Che stai facendo? — sussurrò lei.

— Jace?Lui la guardò. Le strane luci della

discoteca gli trasformavano gli occhi inun caleidoscopio di colori. Aveva unsorriso perverso. — Puoi dirmi difermarmi quando vuoi — le disse. —Ma non lo farai.

Sebastian tirò la tenda di vellutopolveroso che chiudeva uno dei privé esorrise.

Una panca correva lungo ilperimetro interno della stanzettacircolare. Sopra sedeva un uomo, coigomiti appoggiati a un tavolino di pietra.Aveva i capelli lunghi e neri legatiall’indietro, una cicatrice o una voglia a

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forma di foglia su una guancia, gli occhiverdi come l’erba. Indossava uncompleto bianco e dal taschino glispuntava una pochette con il ricamo diuna foglia verde.

— Jonathan Morgenstern — disseMeliorn.

Sebastian non lo corresse. I membridel Popolo Fatato tenevano molto ainomi e non lo avrebbero mai chiamato inun modo diverso da quello scelto per luida suo padre. — Non ero sicuro chesaresti stato qui all’ora fissata, Meliorn.

— Permettimi di ricordarti che ilPopolo Fatato non mente — disse ilcavaliere. Si alzò per chiudere la tendaalle spalle di Sebastian. La musica chepulsava all’esterno venne smorzata, ma

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rimase ben lontana dall’essereimpercettibile. — Entra, allora, eaccomodati. Vino?

Sebastian prese posto sulla panca.— No, niente. — Il vino, come illiquore delle fate, non avrebbe fattoaltro che offuscargli la mente, mentreloro sembravano sopportarlo moltomeglio. — Ammetto di essere rimastosorpreso quando ho ricevuto ilmessaggio con cui proponevi diincontrarmi in questo posto.

— Tu più di tutti dovresti sapere chela signora nutre un interesse speciale neituoi confronti. Segue tutti i tuoimovimenti. — Meliorn bevve un sorsodi vino. — Stanotte, qui a Praga, c’èstata un’intensa attività demoniaca. La

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Regina era preoccupata.Sebastian allargò le braccia. —

Come vedi, sono illeso.— Un’attività demoniaca così

intensa attirerà di sicuro l’attenzione deiNephilim. Anzi, se non erro, diversi diloro se la spassano già senza.

— Senza cosa? — chiese Sebastiancon innocenza.

Meliorn bevve un altro sorso e loguardò con occhio torvo.

— Ah, giusto, dimentico sempre lostrano modo di esprimersi del PopoloFatato. Intendi dire che nella folla quifuori ci sono degli Shadowhunters chemi stanno cercando. Lo so, li ho notati.La Regina non ha grande considerazionedi me se pensa che non sia in grado di

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affrontare da solo una manciata diNephilim. — Sebastian estrasse unpugnale dalla cintura e lo fece roteare,così che quel minimo di luce presentenel privé andò a riflettersi contro lalama.

— Le riporterò questo concetto —mormorò Meliorn. — Devo ammettereche proprio non capisco quale tipo diattrazione eserciti su di lei. Ti ho presole misure e le ho trovate scarse.D’altronde non ho gli stessi gusti dellamia signora.

— Pesato con la bilancia e trovatocarente? — Divertito, Sebastian sisporse in avanti. — Lascia che tispieghi, cavaliere delle fate. Sonogiovane. Sono bello. E sono pronto a

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ridurre in cenere il mondo intero perottenere quello che voglio. — Colpugnale, fece un’incisione sul piano inpietra del tavolo. — Come a me, anchealla Regina piacciono le partite lunghe.Ma quello che desidero sapere è:quando arriverà il tramonto deiNephilim, la Corte sarà con me o controdi me?

L’espressione di Meliorn eraimpassibile. — La Signora dice diessere con te.

La bocca di Sebastian si sollevò agliangoli. — Questa è un’ottima notizia.

Meliorn fece una smorfia. — Hosempre immaginato che la specie umanaavrebbe posto fine a se stessa —commentò. — Da mille anni ormai

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profetizzo che sarete voi stessi la causadella vostra morte. Eppure non miaspettavo che la fine sarebbe giunta inquesto modo…

Sebastian fece roteare il suo pugnalelucente fra le dita. — Nessuno mai se loaspetta.

— Jace — sussurrò Clary, — Jace,potrebbe entrare qualcuno. Potrebberovederci!

Le mani di lui non smisero di farequello che stavano facendo. — Nonsuccederà.

Le tracciò un sentiero di baci giù peril collo, con il risultato discombussolarle la mente. Era difficileaggrapparsi alla realtà, con le mani dilui addosso, pensieri e ricordi persi in

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un turbine, dita incastrate cosìsaldamente nella sua maglietta da averela certezza che presto l’avrebberostrappata.

Sentiva la parete di pietra freddacontro la schiena, ma Jace le stavabaciando la spalla, facendo scivolaregiù la spallina del vestito. Provavacaldo, freddo, brividi. Il mondo si eraframmentato in mille pezzi, come itasselli di un caleidoscopio, e stava persbriciolarsi fra le sue mani.

— Jace. — Si aggrappò alla suamaglietta. Era viscida, appiccicosa. Siguardò le mani e, per un istante, non capìcosa stesse guardando. Liquidoargenteo, misto a rosso.

Sangue.

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Alzò lo sguardo. A testa in giù sopradi loro, come una macabra pentolacciamessicana, penzolava un corpo umano,con una corda legata alle caviglie. Ilsangue colava da un taglio all’altezzadella gola.

Clary lanciò un grido che però nonfece rumore. Diede una spinta a Jace,che barcollò all’indietro; aveva sanguefra i capelli, sulla maglietta, sulla pellenuda. Lei si risollevò le spalline delvestito e si precipitò verso la tenda chenascondeva il privé, per aprirla.

La statua dell’angelo non era piùcome prima. Le ali nere erano diventateali di pipistrello; il viso grazioso ebenevolo si era contratto in un ghigno.Dal soffitto, appesi a corde intrecciate,

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penzolavano cadaveri di uomini, donne,animali: tutti squartati, col sangue checolava di sotto come pioggia. Anche lefontane gettavano sangue a fiotti, e ora,sulla superficie, non galleggiavano piùfiori bensì mani aperte amputate. Lestesse persone che ballavano sulla pistacontorcendosi e dimenandosigrondavano liquido rosso. Sotto gliocchi di Clary, una coppia passòvolteggiando: lui alto e pallido, leirigida fra le sue braccia e con la golaaperta, chiaramente morta. L’uomo sileccò le labbra e si piegò per morderladi nuovo, ma prima di farlo guardòClary e le sorrise. Aveva il volto striatodi sangue e d’argento.

La ragazza sentì la mano di Jace, sul

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braccio, che la tirava indietro, ma lottòper liberarsene. Aveva gli occhiinchiodati alle vasche di vetro lungo laparete che, in un primo momento,pensava contenessero dei pesciluccicanti. L’acqua non era limpida,bensì vischiosa, torbida: vigalleggiavano cadaveri umani, coicapelli che si diramavano attorno alleteste come filamenti di meduseluminose. Sentì un grido salirle in gola,ma lo ricacciò indietro quando ilsilenzio e le tenebre la travolsero.

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capitolo 14

COME CENERE

Clary riprese coscienza lentamente,con lo stesso senso di vertigini cheaveva provato quella prima mattinaall’Istituto, quando si era svegliata senzaavere la minima idea di dove fosse. Lefaceva male tutto il corpo e si sentivacome se le avessero sfondato la testacon un bilanciere d’acciaio. Era sdraiatasu un fianco, la testa appoggiata sopra

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una superficie ruvida, e attorno allespalle aveva qualcosa di pesante.Abbassando lo sguardo vide una manoaffusolata che le premeva lo sterno confare protettivo. Riconobbe i marchi, leleggere cicatrici bianche, persino ildisegno di vene bluastre lungol’avambraccio. Il peso che si sentiva nelpetto si alleggerì; si mise a sedere concautela, scivolando fuori dal braccio diJace.

Erano nella camera da letto di lui.Riconobbe l’ordine maniacale, il lettocon le coperte ben infilate sotto gliangoli. Era rimasto così. Jace dormiva,con la testa appoggiata alla testata delletto e indosso ancora gli stessi vestitidella notte precedente. Aveva persino le

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scarpe. Si era chiaramente addormentatostringendola, anche se lei non ricordavaniente. Era ancora sporco di quellastrana sostanza argentea della discoteca.

Si stiracchiò leggermente, come se sifosse accorto che Clary si era spostata, emise il braccio libero attorno a sestesso. Non sembrava ferito, pensò,soltanto esausto, con le lunga ciglia oroscuro incurvate nell’incavo delleocchiaie. Così addormentato, sembravavulnerabile, un bambino. Avrebbe potutoessere il suo Jace.

Invece no. Ricordava la discoteca,le sue mani al buio su di lei, i cadaveri eil sangue. Lo stomaco le si contorse, simise una mano sopra la bocca e bloccòun conato di vomito. Ripensare a quella

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scena le dava la nausea, ma sotto quellanausea c’era anche una spina insistente,la sensazione di stare dimenticandoqualcosa.

Qualcosa di importante.— Clary.Si girò. Jace aveva gli occhi

socchiusi; la stava guardando da sotto leciglia, l’oro degli occhi annebbiatodalla stanchezza. — Sei già sveglia? —le disse. — Non è nemmeno l’alba.

Strinse le mani fra l’intrico dilenzuola. — L’altra notte — disse convoce incerta. — I corpi… il sangue…

— Il cosa?!— È quello che ho visto.— Io no. — Jace scosse la testa. —

Le droghe delle fate — aggiunse. — Lo

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sapevi…— Sembrava talmente reale.— Mi dispiace. — Gli occhi di lui

si chiusero. — Volevo divertirmi. Inteoria servono a renderti felice, fartivedere cose… Pensavo che ci saremmodivertiti insieme.

— Io ho visto del sangue — ribadìClary. — E gente morta che galleggiavadentro le vasche…

Lui scosse la testa, abbassando leciglia. — Niente era reale…

— Nemmeno quello che è successofra te e me…? — Clary si interruppe,perché lui aveva chiuso gli occhi; ilpetto gli saliva e scendeva a ritmoregolare. Si era riaddormentato.

Clary si alzò in piedi senza più

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guardarlo ed entrò nel bagno. In piedi, siguardò allo specchio, mentre un senso ditorpore le pervadeva le ossa. Eracoperta di residui di liquido argenteo.La scena le ricordò la volta in cui unapenna a inchiostro metallizzato le si erarotta dentro lo zaino, rovinando tutto.Una delle spalline del reggiseno erasaltata, probabilmente perché Jace, lanotte prima, l’aveva tirata troppo. Gliocchi erano circondati da strisce nere dimascara sbavato, pelle e capelliappiccicosi per via del liquidod’argento.

Sentendosi debole, nauseata, si tolseil vestito-sottoveste e la biancheriaintima, buttando tutto nel cesto dellabiancheria sporca. Poi si immerse

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nell’acqua bollente.Si lavò i capelli più volte, cercando

di ripulirli da quella schifezza ormaisecca. Era come tentare di lavare via icolori a olio. Anche l’odore non se nevoleva andare; simile a quellodell’acqua di un vaso di fiori marci, eraappena percettibile, dolciastro, indecomposizione sulla sua pelle.Sembrava che non ci fosse quantità disapone in grado di eliminarlo una voltaper tutte.

Finalmente convinta di essere il piùpulita possibile, si asciugò e tornò nellacamera padronale per vestirsi. Fu unsollievo infilarsi di nuovo jeans, stivalie un comodo maglioncino di cotone. Fusoltanto allora, quando ebbe quasi finito

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di vestirsi, che la fastidiosa sensazionedi stare dimenticando qualcosa tornò afarsi viva. Restò di ghiaccio.

L’anello. L’anello d’oro che lepermetteva di comunicare con Simon.

Non c’era più.Si mise a cercarlo freneticamente,

rovistando prima dentro al cesto dellabiancheria per vedere se era rimastoimpigliato nel vestito, e poi perlustrandoogni centimetro della stanza di Jace,mentre lui continuava a dormirepacificamente. Cercò fra le setole deltappeto, le coperte, dentro i cassetti deicomodini.

Alla fine si mise a sedere, con ilcuore che le batteva forte nel petto e unsenso di nausea allo stomaco.

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L’anello era sparito. Perduto, daqualche parte, in chissà quale maniera.Fece uno sforzo per ricordare l’ultimavolta che lo aveva visto; sicuramente lebrillava ancora al dito quando avevascagliato il pugnale contro i demoniElapid. Che fosse caduto a terra nelnegozio di anticaglie? Oppure indiscoteca?

Infilzò le dita nel tessuto di jeans chele ricopriva le cosce, finché il dolorenon la fece trasalire. Concentrati, sidisse. Concentrati!

Forse le era scivolato dal dito daqualche parte in casa. Forse, a un certopunto, Jace l’aveva portata al piano disopra. Non c’erano molte possibilità diritrovarlo, ma non bisognava lasciare

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niente di intentato.Si alzò ed entrò, il più

silenziosamente possibile, in corridoio.Andò verso la camera di Sebastian e lìsi fermò, esitante. Non riusciva aimmaginarsi il motivo per cui l’anelloavrebbe dovuto essere là dentro, esvegliare Sebastian sarebbe stato solocontroproducente. Fece dietrofront escese le scale, poggiando i piedi senzafare rumore con gli stivali.

In testa le turbinavano millepensieri. Senza un modo per contattareSimon, che cosa avrebbe fatto? Dovevaraccontargli del negozio di antiquariato,dell’adamas. Avrebbe dovuto parlargliprima. Aveva voglia di tirare un pugnocontro il muro, ma costrinse la propria

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mente a rallentare, a valutare diverseopzioni. Sebastian e Jace stavanocominciando a fidarsi di lei; se fosseriuscita ad allontanarsi da loro, ancheper poco, in una strada di città piena digente, avrebbe potuto chiamare Simonusando un telefono pubblico. Oppuresgattaiolare dentro un Internet café emandargli una mail. Conosceva latecnologia dei mondani meglio dei dueragazzi. Aver perso l’anello non era lafine.

No, non si sarebbe arresa.Aveva la mente così occupata dai

progetti su come attuare le sue prossimemosse che, in un primo momento, non siaccorse di Sebastian. Per fortuna lestava dando le spalle. Era in piedi in

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salotto, col viso rivolto al muro.Arrivata già in fondo alle scale,

Clary rimase immobile, poi attraversòcome una saetta la stanza e si appiattìcontro la mezza parete che separava lacucina dalla stanza più grande. Nonc’era motivo di andare nel panico, sidisse. In fondo lei viveva lì. SeSebastian l’avesse vista, gli avrebbepotuto dire che era scesa a prendersi unbicchiere d’acqua.

Ma la possibilità di osservarlo senzache lui se ne accorgesse era troppoallettante. Si sporse appena, sbirciandodal bancone della cucina.

Sebastian continuava a voltarle lespalle. Si era cambiato, dopo la seratain discoteca. Niente più giaccone

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dell’esercito: ora indossava jeans ecamicia. Quando si girò, la camicia sisollevò, lasciando intravedere la cinturacon le armi ben allacciata in vita.Sollevò la mano destra, e Clary notò cheteneva in mano il suo stilo. E che lofaceva in un modo attento e riflessivoche, per un secondo appena, le ricordò igesti con cui sua madre stringeva ipennelli.

Chiuse gli occhi. Era come tessutoche si strappava su un gancio, la fitta chesentiva al cuore quando riconosceva inSebastian qualcosa che le ricordava suamadre o se stessa. Le faceva ripensareche, sebbene gran parte del sangue diSebastian fosse veleno, era comunque lostesso sangue che scorreva dentro le sue

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vene.Riaprì gli occhi, in tempo per vedere

un passaggio formarsi di fronte alragazzo, il quale prese una sciarpa da unappendiabiti e avanzò nell’oscurità.

Clary ebbe una frazione di secondoper decidere. Restare e ispezionare tuttele stanze, oppure seguire Sebastian evedere dove stava andando. I piediscelsero prima della mente.Allontanandosi dal muro, si lanciò versoil nero varco pochi istanti prima che lesi chiudesse alle spalle.

La stanza in cui giaceva Luke erailluminata soltanto dal chiarore deilampioni che, dalla strada, filtravaattraverso le persiane. Jocelyn sapevache avrebbe potuto chiedere una

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lampada, ma preferiva così. Il buionascondeva la gravità delle ferite di lui,il pallore del volto e i semicerchiinfossati sotto gli occhi.

Anzi, in quella penombra Luke lericordava il ragazzo che avevaconosciuto a Idris prima che si formasseil Circolo. Se lo ricordava nel cortiledella scuola, magro, coi capelli castani,gli occhi azzurri e le mani nervose. Erail migliore amico di Valentine e, perquel motivo, nessuno lo aveva maiguardato veramente. Nemmeno lei,altrimenti non sarebbe stata così ciecada non capire quello che provava perlei.

Ripensò al giorno delle nozze conValentine, il sole alto e splendente

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attraverso il tetto di cristallo della Saladegli Accordi. Lei aveva diciannoveanni, Valentine venti, e ricordava quantoi suoi genitori fossero scontenti che leiavesse deciso di sposarsi così giovane.Ma, per lei, la loro disapprovazione noncontava nulla: non capivano e basta. Eraassolutamente certa che, nella sua vita,non ci sarebbe mai stato nessun altro cheValentine.

Luke gli aveva fatto da testimone.Ricordava il suo viso quando lei avevacamminato lungo il corridoio… Loaveva guardato solo per un attimo, primadi rivolgere tutta la sua attenzione aValentine. Ricordò anche di averpensato che forse non si sentiva bene,che aveva l’aspetto sofferente. E più

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tardi, nella piazza dell’Angelo, mentre siassiepavano gli invitati (c’era quasi tuttoil Circolo, da Maryse e RobertLightwood, già sposati, all’alloraquindicenne Jeremy Pontmercy), lei erain piedi accanto a Luke e Valentine, equalcuno aveva fatto una battuta dicendoche, se lo sposo non si fosse presentato,la sposa avrebbe dovuto sposare iltestimone. Luke era vestito da sera, conle rune d’oro di buon auspicio per ilmatrimonio, e stava molto bene, ma,mentre tutti gli altri ridevano, lui erasbiancato completamente. Deve davverodetestare l’idea di sposarmi, avevapensato Jocelyn. Ricordò che gli avevatoccato una spalla, ridendo.

— Non fare quella faccia — gli

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aveva detto. — Ci conosciamo da unavita, ma ti prometto che non dovrai maisposarmi!

E poi era arrivata Amatis, portandocon sé uno Stephen in preda alle risate, elei si era dimenticata completamente diLuke, del modo in cui la guardava… edello strano modo in cui Valentine avevaguardato lui.

Adesso, dopo avergli lanciatoun’occhiata, sobbalzò sulla sedia. Lukeaveva gli occhi aperti, per la primavolta da giorni, e la stava fissando.

— Luke! — disse in un sussurro.Lui sembrava confuso. — Quanto…

quanto ho dormito?Jocelyn avrebbe voluto buttarsi su di

lui, ma lo stretto bendaggio che ancora

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gli avvolgeva il petto la trattenne. Invecegli prese la mano e se la mise sullaguancia, intrecciando le dita con le sue.Chiuse gli occhi e, quando lo fece, sentìle lacrime scenderle da sotto lepalpebre. — Circa tre giorni.

— Jocelyn — disse lui, ora convoce davvero allarmata. — Perchésiamo qui alla stazione? Dov’è Clary?Io non ricordo, sul serio…

Jocelyn abbassò le mani intrecciatee, con la voce più ferma che le riuscì,gli raccontò quello che era successo.Sebastian e Jace, il metallo demoniacoche gli aveva perforato la carne,l’intervento del Praetor Lupus.

— Clary — disse lui, non appenaterminato il racconto. — Dobbiamo

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cercarla.Liberando la propria mano da quella

di lei, Luke si sforzò di mettersi asedere. Anche in penombra, Jocelynvide il suo pallore peggiorare nella lottacontro il dolore.

— Non è possibile. Luke, sdraiati, tiprego. Non pensi che, se ci fosse statoun modo per trovarla, ci avrei giàprovato?

Lui mise le gambe sul lato del letto,rimanendo seduto. Poi, con un gemito, siappoggiò all’indietro sulle mani. Avevaun aspetto tremendo. — Ma ilpericolo…

— Credi che non ci abbia pensato?— Jocelyn gli mise le mani sulle spallee lo spinse con dolcezza di nuovo contro

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i cuscini. — Simon mi contatta tutte lesere. Clary sta bene, davvero. E tu nonsei nelle condizioni per intervenire.Ucciderti non le sarà di aiuto. Ti prego,Luke, credimi.

— Jocelyn, non posso starmene qui.— Sì, invece — gli disse lei

alzandosi in piedi. — E lo farai, anche acosto di dovermi sedere sopra di te. Macosa credi di fare, Lucian? Seiimpazzito? Sono terrorizzata per Clary elo sono stata anche per te. Ti prego, nonfarlo. Non farmi questo. Se ti succedessequalcosa…

Lui la guardò stupito. C’era già unamacchia rossa sulle bende bianche chegli avvolgevano il petto, nel punto in cuii suoi movimenti avevano riaperto la

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ferita. — Io…— Cosa?!— Non sono abituato al fatto che mi

ami — disse Luke.In quelle parole c’era una

mansuetudine che Jocelyn non associavaa lui. Lo fissò per un istante, prima didire: — Luke. Rimettiti giù, per favore.

Quasi per cercare un compromesso,lui si appoggiò un po’ di più ai cuscini.Aveva il respiro affannoso. Jocelynguardò il comodino, versò un bicchiered’acqua e lo mise in mano a Luke. —Bevi — gli disse. — Per favore.

Luke prese il bicchiere. I suoi occhiazzurri la seguivano, mentre lei sirimetteva sulla sedia accanto al lettosulla quale era rimasta per così tante ore

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da essere sorpresa di non esserediventata un tutt’uno con quella. — Sai acosa stavo pensando? — gli chiese. —Poco prima che ti svegliassi?

Lui bevve un sorso d’acqua. —Sembravi molto assorta.

— Stavo pensando al giorno in cuisposai Valentine.

Luke riabbassò il bicchiere. — Ilgiorno peggiore della mia vita.

— Peggiore di quando sei statomorso? — chiese lei, piegandosi legambe sotto il corpo.

— Peggiore.— Non lo sapevo — gli disse. —

Non sapevo come ti sentivi. Avreivoluto. Credo che le cose sarebberoandate diversamente.

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Lui la guardò con aria incredula. —E come?

— Non avrei sposato Valentine —rispose Jocelyn. — Non se lo avessisaputo.

— Avresti…— Non avrei — lo interruppe lei,

decisa. — Ero troppo stupida per capirecosa provavi, ma ero anche troppostupida per capire cosa provavo io. Tiho sempre amato, anche se non losapevo. — Si sporse in avanti e glidiede un bacio delicato, per non farglimale; poi appoggiò la guancia contro lasua. — Promettimi che non correrairischi. Promettimelo.

Lei sentì la mano libera di lui fra icapelli. — Te lo prometto.

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Jocelyn si appoggiò all’indietro, inparte soddisfatta. — Vorrei poter tornareindietro nel tempo. Aggiustare le cose.Sposare subito l’uomo giusto.

— Ma così non avremmo Clary —le ricordò. Jocelyn adorò il modo in cuilui aveva detto “avremmo”; cosìnaturale, come se dentro di sé nonavesse il minimo dubbio che fosse anchefiglia sua.

— Se tu fossi stato più presentementre lei cresceva… — Jocelyn feceun sospiro. — È che mi sento come seavessi sbagliato tutto. Ero cosìconcentrata a proteggerla che credo diavere esagerato. Ora si butta a capofittonei pericoli senza riflettere. Mentrecrescevamo, noi abbiamo visto degli

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amici morire in battaglia. A lei non èmai successo. E non vorrei mai che leaccadesse, ma a volte ho paura che nonsi renda conto di come un giornopotrebbe essere lei a morire.

— Jocelyn — la voce di Luke eradolce. — L’hai cresciuta per farladiventare una brava persona. Unapersona con dei valori, che distingue ilbene dal male e che si impegna a dare ilmassimo. Come hai sempre fatto tu. Nonsi può educare un figlio spingendolo acredere l’opposto di quello che si fa.Non credo che Clary non pensi di potermorire: credo solo che, proprio comesei sempre stata tu, anche lei è convintache ci siano delle cose per cui valga lapena farlo.

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Clary seguì Sebastian attraverso unreticolo di stradine strette, mantenendosivicina all’ombra proiettata dai palazzi.Non erano più a Praga, quello eraevidente. Le strade erano buie, il cielodi un azzurro cupo segnava un primoaccenno di alba, le insegne dei negoziaccanto a cui passava erano scritte infrancese. Così come i cartelli stradali:RUE DE LA SEINE, RUE JACOB, RUEDE L’ABBAYE.

Mentre attraversava la città, lepersone la oltrepassavano comefantasmi. Ogni tanto si sentiva ilrombare di un’auto, i camion siaffiancavano ai negozi facendo le primeconsegne del mattino. L’aria sapeva diacqua di fiume e di spazzatura. Era già

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abbastanza sicura di dove si trovassero,poi una svolta e una strada la portaronoverso un ampio viale, finché un cartellostradale emerse dalla scura foschia:delle frecce puntavano in diversedirezioni, indicando come raggiungere laBastiglia, Notre-Dame e il QuartiereLatino.

Parigi, pensò Clary aggirandoun’auto parcheggiata mentre Sebastianattraversava la strada. Siamo a Parigi.

Che ironia. Aveva sempre desideratoandare a Parigi con qualcuno che giàconoscesse la città. Aveva semprevoluto camminare per quelle strade,vedere la Senna, ritrarre gli edifici. Nonsi sarebbe mai immaginata tutto ciò.Inseguire Sebastian attraverso il

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boulevard Saint-Germain, oltre unbureau de poste giallo canarino, lungoun viale dove i bar erano chiusi ma itombini pieni di bottiglie di birra emozziconi, giù per una stradina strettafiancheggiata da case. Sebastian sifermò davanti a una di queste, e ancheClary si bloccò, appiattendosi contro unmuro.

Rimase a guardare suo fratello chealzava una mano e digitava un codice suuna tastiera accanto alla porta, seguendocon gli occhi i movimenti delle sue dita.Ci fu uno scatto: la porta si aprì e luisparì all’interno. Nell’istante in cui laporta si richiuse, Clary si precipitòdavanti alla tastiera, dove digitò lostesso codice — X235 — e aspettò di

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sentire il debole suono che indicaval’apertura. Quando accadde, non fusicura di sentirsi più sollevata o piùsorpresa. Non dovrebbe essere cosìsemplice.

Un secondo dopo si ritrovò in uncortile. Era quadrato, circondato suiquattro lati da edifici dall’aria moltocomune. Dalle porte, aperte, siintravedevano tre rampe di scale.Sebastian era scomparso.

Perciò, tanto semplice non sarebbestato.

Avanzò nel cortile, consapevole,mentre lo faceva, che stavaabbandonando la protezione dell’ombrae si stava esponendo all’aperto, dovepoteva essere vista. Il cielo si

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illuminava sempre di più a ogni istante.Sapere di poter essere vista le fecevenire la pelle d’oca sulla nuca, perciòdecise di nascondersi all’ombra delprimo pozzo delle scale che incontrò.

Era semplice, con dei gradini dilegno che salivano e scendevano e,appeso alla parete, uno specchio da duesoldi in cui vide il proprio, pallidovolto. Aleggiava distintamente un odoredi spazzatura in decomposizione. Per unmomento si chiese se fosse vicina alpunto in cui stavano i cassonetti, finchéalla fine capì: quella puzza era il segnodella presenza demoniaca.

I suoi stanchi muscoli cominciaronoa tremare, ma strinse le mani a pugno.Era dolorosamente consapevole di

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essere disarmata. Prese una boccataprofonda di quell’aria maleodorante ecominciò a scendere giù per i gradini.

L’odore si faceva più pungente el’atmosfera più cupa via via chescendeva; avrebbe voluto avere unostilo e la runa della visione notturna, maormai non poteva farci niente. Continuòa scendere, mentre la scala si curvavaripetutamente su se stessa.All’improvviso fu contenta di quellamancanza di luce, perché sentì di avermesso i piedi dentro qualcosa diappiccicoso. Afferrò il corrimano ecercò di respirare con la bocca.L’oscurità si fece più fitta, finché Clarysi ritrovò a camminare alla cieca, colcuore che le batteva così forte da darle

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la certezza che stesse annunciando il suoarrivo. Le strade di Parigi, il mondonormale, sembravano lontani anni luce.C’erano solo le tenebre e lei, chescendeva giù, sempre più giù…

A un tratto, una luce si accese inlontananza, un puntino minuscolo, comela capocchia di un fiammifero chediventava fuoco. Clary si accostò alcorrimano, quasi rannicchiandosi,mentre la luce si espandeva. Orariusciva a vedersi la mano e adistinguere la sagoma dei gradini sottodi sé. Ne mancavano pochi. Arrivò infondo alle scale e si guardò attorno.

Qualsiasi somiglianza con unanormale casa era sparita. Da qualcheparte, lungo il percorso, i gradini di

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legno si erano trasformati in pietra, e oraClary si trovava in una piccola stanzacon le pareti anch’esse in pietra e conuna torcia che emanava un’inquietanteluce verdognola. Il pavimento era diroccia liscia e lucida, inciso da svariatisimboli strani. Ci passò accanto,attraversando la stanza per raggiungerel’unica altra uscita, un arco di pietra incima al quale stava un teschio umanoall’intersezione di due grandi asceincrociate.

Sentiva delle voci proveniredall’altra parte. Erano troppo distantiperché riuscisse a capire cosa stesserodicendo, ma era comunque certa chefossero voci. Da questa parte,sembrava dicessero. Seguici.

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Alzò lo sguardo verso il teschio, e isuoi occhi vuoti la ricambiarono conaria di scherno. Si chiese dove sitrovava, se Parigi era ancora sopra lasua testa o se lei era entrata in un mondocompletamente diverso, come accadevaquando si andava nella Città Silente.Pensò a Jace, lasciato addormentato inquella che ora sembrava un’altra vita.

Lo stava facendo per lui, ricordò ase stessa. Per riaverlo. Attraversò l’arcoper entrare nel corridoio, appiattendosid’istinto lungo la parete. Vi strisciòcontro, mentre le voci si facevanosempre più forti. Il corridoio era buio,ma non completamente. A ogni manciatadi passi compariva una torcia verdastrache emanava odore di bruciato.

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All’improvviso si aprì una porta nelmuro alla sua sinistra, e le vocidiventarono ancora più distinte.

— … non è come suo padre —diceva uno, la voce roca come cartavetrata. — Valentine non avrebbe maitrattato con noi. Ci avrebbe resischiavi. Lui invece ci darà il mondo.

Molto lentamente, Clary sbirciòdallo stipite della porta.

La stanza era spoglia, le pareti lisce,priva di mobili. Dentro, un gruppo didemoni. Sembravano lucertole, con lapelle spessa, verde-marrone, ma ognunodi loro aveva sei tentacoli che simuovevano producendo un suono asproe scivoloso. Le teste erano bulbose,aliene, con due occhi neri sfaccettati.

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Clary deglutì amaro. Le tornò allamente Ravener, uno dei primi demoniche avesse mai visto: un grottescoincrocio fra lucertola, insetto e alienoche le aveva fatto rivoltare lo stomaco.Si strinse al muro e ascoltò conattenzione.

— È così, se vi fidate di lui. — Eradifficile capire quale di loro stesseparlando. Tutti quei tentacoli simuovevano incastrandosi e poidistricandosi, i corpi bulbosi sialzavano e riabbassavano. A quantopareva non erano muniti di bocca, maquando parlavano facevano vibraredegli ammassi di piccoli tentacoli.

— La Grande Madre si fidava dilui. È suo figlio.

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Sebastian. Ma certo, stavanoparlando di Sebastian.

— Ma è anche un Nephilim. Lorosono nostri grandi nemici.

— Sono anche nemici suoi. Ha ilsangue di Lilith.

— Ma quello che chiama compagnoha il sangue dei nostri nemici. È unodegli angeli. — Quell’ultima parolavenne pronunciata con tanto disgusto chea Clary arrivò come uno schiaffo.

— Il figlio di Lilith ci ha garantitoche lo tiene in pugno. E in effettisembra obbediente.

Seguì una risata asciutta e soffocata.— Voi giovani vi angosciate troppo. Alungo i Nephilim ci hanno tenutolontani da questo mondo, e le sue

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ricchezze sono grandi. Loprosciugheremo e non lasceremo checenere. Quanto all’angioletto, saràl’ultimo della sua razza a morire. Lobruceremo su una pira finché nonresteranno soltanto ossa dorate.

Clary sentì montare la rabbia.Trattenne il respiro. Il suo fu un suonodebole, ma pur sempre un suono. Ildemone a lei più vicino sollevò la testa.Per un momento Clary rimase impietrita,intrappolata nello sguardo minacciosodei suoi occhi neri a specchio.

Poi si voltò e scappò via. Corseindietro verso l’ingresso, le scale e illoro percorso di tenebre. Sentiva deltrambusto alle sue spalle, le creature chegridavano, poi lo sdrucciolio dei loro

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tentacoli che si muovevano per seguirla.Diede una rapida occhiata dietro lespalle e si rese conto che non cel’avrebbe fatta. Nonostante il vantaggio,stavano quasi per prenderla.

Sentiva il proprio respiro affannosoche entrava e usciva dai polmoni,quando raggiunse l’arco, si voltò e saltòper aggrapparvisi con le mani. Sislanciò in avanti con tutte le forze, glistivali che si schiantavano contro ilprimo dei demoni e lo buttavanoall’indietro, facendogli lanciare un gridoacuto. Ancora appesa, agguantò ilmanico di una delle due asce sotto ilteschio e tirò.

Era attaccata saldamente. Non simuoveva.

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Chiuse gli occhi, strinse ancora dipiù la presa e tirò di nuovo, con tutte lesue forze.

L’ascia si staccò dal muro con unrumore lacerante, in una pioggia dipietre e calcinacci. Clary persel’equilibrio e cadde accovacciandosi,l’ascia tesa di fronte a sé. Era pesante,ma la sentiva appena. Stava accadendodi nuovo, le sensazioni amplificate.Riusciva ad avvertire ogni singolosoffio d’aria sulla pelle, ogniirregolarità del suolo sotto ai piedi. Sipreparò, quando il primo dei demonifuggì via dall’ingresso, indietreggiandocome una tarantola, prendendo azampate l’aria sopra di lei. Sotto itentacoli della bocca, c’erano un paio di

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lunghe zanne bavose.Era come se l’ascia che teneva in

mano roteasse in avanti di propriavolontà, andandosi a piantare a fondonel petto della creatura. Le venne subitoin mente quando Jace le aveva detto dinon colpire il petto dei demoni ma didecapitarli, perché non tutti avevano ilcuore. In quel caso, tuttavia, fu fortunata.Lo aveva preso, o se non altro avevaferito un qualche organo vitale. Lacreatura si contorse e gridò; attorno allaferita gorgogliò del sangue, poi tutto ilsuo corpo svanì. Clary fece un passoall’indietro, con in mano l’armainzuppata di icore. Il sangue del demoneera nero e maleodorante come catrame.

Quando il secondo mostro si fece

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avanti, lei si abbassò, compiendo unsemicerchio con l’ascia, che amputòall’avversario diversi tentacoli.Ululando, questo cadde di lato come unasedia rotta e subito un terzo demonecalpestò il compagno per attaccareClary. Lei brandì di nuovo l’ascia, cheandò a piantarsi dritta in faccia allacreatura. Saltò all’indietro per evitaregli spruzzi di icore, premendosi controle scale. Se uno di loro l’avesse coltaalle spalle, sarebbe stata spacciata.

Inferocito, il demone col voltosquartato andò di nuovo all’attacco; leilo colpì con l’ascia tagliandogli untentacolo, ma un altro le si strinseattorno al polso. Un calore lancinante lesalì lungo il braccio. Gridò e cercò di

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liberarsi la mano, ma la morsa deldemone era troppo potente. Era come semille aghi incandescenti le stesseroperforando la pelle. Continuando aurlare, prese slancio con il bracciosinistro e tirò un pugno dritto in facciaalla creatura, dove aveva già colpitol’ascia. Il demone emise un sibilo elasciò la presa per un secondo. Claryliberò la mano non appena l’altro sisbilanciò all’indietro e…

Dal nulla, una lama luccicante siabbatté verso il basso, conficcandosi nelcranio del demone. Sotto gli occhi diClary, il demone scomparve: era statosuo fratello, con in mano un’abbacinantespada angelica e la camicia biancachiazzata di icore. Alle sue spalle la

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stanza era vuota, a parte il corpo di unodei demoni che ancora si contorceva eche, dai monconi di tentacoli, perdevafluido nero come una macchina sfasciataavrebbe potuto perdere dell’olio.

Sebastian. Lo fissò sbalordita. Leaveva appena salvato la vita?

— Stai lontano da me, Sebastian —sibilò.

Lui sembrò non sentirla. — Ilbraccio.

Clary abbassò lo sguardo sul polsodestro, ancora pulsante per il dolore.Una spessa striscia composta di piccoleferite circolari lo avvolgeva nel punto incui le ventose del demone le si eranoattaccate alla pelle. Le ferite si stavanogià scurendo, diventando di un

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impressionante nero-bluastro.Rialzò lo sguardo sul fratello. I suoi

capelli bianchi le sembravano un’auranell’oscurità. O forse era perché stavaperdendo la vista. La luce stavaformando un alone anche attorno allatorcia sul muro, così come attorno allaspada angelica che splendeva tra le manidi Sebastian. Lui le stava parlando, male sue parole erano confuse, indistinte,come se arrivassero da sott’acqua.

— … veleno mortale — stavadicendo. — Cosa diavolo avevi inmente, Clarissa? — La sua voce sismorzò, poi si fece sentire di nuovo.Clary si sforzava di concentrarsi. —Lottare contro sei demoni Dahak conun’ascia ornamentale…

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— Veleno — ripeté lei, e per unmomento i contorni del volto di luitornarono distinti, i segni della tensioneattorno a bocca e occhi evidenti, anziimpressionanti. — Quindi direi che,dopotutto, non mi hai salvato la vita,giusto?

La mano di lei venne scossa da unospasmo e l’ascia le cadde a terra confragore. Sentì il maglione impigliarsinelle sporgenze della parete grezzamentre il suo corpo cominciava ascivolare verso il basso, desiderososolo di sdraiarsi sul pavimento. MaSebastian non l’avrebbe lasciata cadere.Aveva già infilato le braccia sotto le sueper sorreggerla, poi la sollevò di peso esi mise il braccio sano di Clary attorno

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al collo. Lei voleva liberarsi, ma leenergie l’avevano abbandonata. Sentì undolore lancinante al gomito, unbruciore… il tocco di uno stilo. Unsenso di torpore le si propagò nellevene. L’ultima cosa che vide prima dichiudere gli occhi fu il teschio sopral’arco. E, poteva giurarci, le orbite caveche stavano ridendo di lei.

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capitolo 15

MAGDALENA

La nausea e il dolore andavano evenivano in vortici sempre più stretti.Attorno a sé, Clary riusciva a vederesoltanto un miscuglio indistinto dicolori. Si rendeva conto che suo fratellola stava trasportando, perché ognuno deisuoi passi le rimbombava dentro ilcervello come un punteruolo daghiaccio; capiva anche che si stava

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aggrappando a lui e che la forza dellesue braccia era rassicurante, anche seera strano pensare che Sebastian avesseuna tale virtù e che si stesseapparentemente sforzando di camminaresenza scuoterla troppo. Clary annaspavaper respirare e, molto in lontananza,sentì suo fratello chiamarla per nome.

Poi scese il silenzio totale. Per unmomento pensò che fosse arrivata lafine: era morta, morta combattendocontro dei demoni, come succedeva allamaggior parte degli Shadowhunters. Poiperò avvertì un bruciore insistenteall’interno del braccio, un’ondata diquello che sembrava ghiaccio inpropagazione in tutte le vene.Lentamente, il mondo smise di vorticare,

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mentre i turbini di nausea e di dolore siplacavano fino a diventare deboliincrespature dentro la marea del sangue.Riusciva di nuovo a respirare.

Tirando un sospiro, riaprì gli occhi.Cielo azzurro.Era sdraiata sulla schiena, con lo

sguardo fisso su un cielo infinitopunteggiato di nuvole di bambagia, comequello dipinto sul soffittodell’infermeria dell’Istituto. Distese lebraccia doloranti. Sul destro c’eraancora il braccialetto di ferite, mastavano diventando color rosa chiaro.Sul sinistro c’era un iratze, talmentechiaro da essere quasi invisibile, enell’incavo del gomito un mendelincontro il dolore.

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Fece un respiro profondo. Ariaautunnale, condita dall’odore di foglie.Vedeva la cima degli alberi, sentiva ilbrusio del traffico e…

Sebastian. Udì una risata soffocata esi accorse di non essere semplicementesdraiata, ma di trovarsi appoggiata a suofratello. Sebastian, che aveva il corpocaldo e respirava, le stava tenendo latesta avvolta nel proprio braccio. Ilresto del corpo di Clary era distesosopra una superficie di legnoleggermente umida.

Saltò su all’istante. Sebastian rise dinuovo; era seduto all’estremità di unapanchina dotata di elaborati braccioli inferro battuto. Aveva la sciarpa piegatasulle ginocchia, dove era stata sdraiata

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lei, e il braccio libero allungato sulloschienale. Aveva sbottonato la camiciabianca per nascondere le macchie diicore e sotto indossava una magliettagrigia.

Sul polso gli luccicava ilbraccialetto d’argento. La stavastudiando coi suoi occhi neri, divertito,mentre lei si allontanava il più possibilesulla panchina.

— È un vantaggio essere cosìpiccola — le disse. — Se fossi stata piùalta, trasportarti sarebbe statodecisamente scomodo.

Lei fece uno sforzo per mantenere lavoce salda. — Dove siamo?

— Al Jardin du Luxembourg — ledisse. — I Giardini del Lussemburgo, un

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parco davvero bello. Dovevo portarti inun posto in cui avresti potuto sdraiarti, elasciarti in mezzo alla strada non misembrava una grande idea.

— Già. Ci sarebbe anche una parolaper chi lascia morire qualcuno sullacarreggiata: pirata della strada.

— Innanzitutto sono tre parole, e poipenso che tecnicamente valga soltantoquando sei tu l’investitore. — Sistrofinò le mani come per scaldarle. —Comunque, perché dovrei lasciartimorire in mezzo a una strada dopo averfaticato tanto per salvarti la vita?

Clary deglutì e abbassò lo sguardosul braccio. Ora le ferite erano diventateancora più chiare. Se non avesse saputoche c’erano, probabilmente non le

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avrebbe nemmeno notate. — Perchél’hai fatto?

— Fatto cosa?— Salvarmi la vita.— Sei mia sorella.Lei deglutì. Alla luce del mattino, il

viso di lui aveva un certo colorito.Lungo il collo c’erano leggerescottature, i punti colpiti dall’icore didemone. — Prima non ti importava chelo fossi.

— No? — I suoi occhi neri lasquadrarono dall’alto al basso. Ricordòquando Jace era andato a casa sua dopoche lei aveva lottato contro il demoneRavener e il suo veleno la stavauccidendo. Lui l’aveva curata propriocome aveva fatto Sebastian, portandola

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via nella stessa maniera. Forse eranopiù simili di quanto avesse mai pensato,anche prima che l’incantesimo lilegasse. — Nostro padre è morto —disse Sebastian. — Non ci sono altriparenti. Tu e io siamo gli ultimi, siamogli unici Morgenstern superstiti. Tu seila sola persona col mio stesso sanguenelle vene. La sola come me.

— Sapevi che ti stavo seguendo —gli disse.

— Certo.— E mi hai lasciato fare.— Volevo vedere cosa avresti fatto.

E ammetto che non pensavo che miavresti seguito fin laggiù. Sei piùcoraggiosa di quanto pensassi. — Presela sciarpa che teneva sulle ginocchia e

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se la avvolse al collo. Il parcocominciava a riempirsi di turisti con lecartine sottobraccio, genitori coi figliper mano, anziani che fumavano la pipaseduti, come loro due, sulle panchine. —Non avresti mai potuto vincere quellabattaglia.

— Forse sì.Lui sorrise, un rapido sorriso di

sbieco, come se non fosse riuscito atrattenerlo. — Forse.

Clary strisciò gli stivali sull’erbaumida di rugiada. Non aveva intenzionedi ringraziare Sebastian. Per nessunmotivo. — Perché stai trattando con deidemoni? — gli chiese. — Li ho sentitiparlare di te. So quello che staifacendo…

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— No, non lo sai. — Il sorriso erasparito, il tono di superiorità di nuovopresente. — Prima di tutto, quelli nonerano i demoni con cui stavo trattando.Quelli erano soltanto le loro guardie,ecco perché si trovavano in una stanza aparte, dove io non c’ero. I demoniDahak non sono molto intelligenti, perquanto cattivi, robusti e guardinghi.Quindi non si può dire che fosserodavvero al corrente di ciò che stasuccedendo; stavano solo ripetendo deipettegolezzi carpiti ai loro padroni.Demoni Superiori. Erano loro quelli cheho incontrato.

— E questa notizia dovrebbe farmistare meglio?

Sebastian si chinò verso di lei sulla

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panchina. — Non sto cercando di fartisentire meglio. Sto cercando di dirti laverità.

— Ah, ecco perché sembri uno chesta per avere una crisi allergica — glidisse, anche se non era esattamente così.Sebastian aveva un aspettofastidiosamente sereno, anche se latensione della mascella e la tempiapalpitante tradivano il fatto che non eracalmo quanto voleva apparire. — IlDahak ha detto che avresti consegnatoquesto mondo ai demoni.

— E questa ti sembra una cosa cheio sarei capace di fare?

Lei si limitò a guardarlo.— Pensavo proprio che mi avresti

dato una possibilità — riprese lui. —

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Non sono la stessa persona che haiincontrato ad Alicante. — Aveva losguardo limpido. — E non sononemmeno l’unico seguace di Valentineche hai incontrato. Era mio padre.Nostro padre. Non è facile mettere indiscussione le cose in cui hai credutomentre crescevi.

Clary incrociò le braccia davanti alpetto. L’aria era pulita ma fredda, congià una punta d’inverno. — Sì, questo èvero.

— Valentine si sbagliava —proseguì Sebastian. — Era talmenteossessionato dai torti che riteneva diaver subito dal Conclave che per luiesisteva solo il bisogno di dimostrare diavere ragione. Voleva evocare l’Angelo

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perché dicesse che lui era JonathanShadowhunter redivivo, che era il lorocapo e che le sue idee erano quellegiuste.

— Non è andata proprio così.— Lo so come è andata. Me ne ha

parlato Lilith. — La sua fuun’affermazione disinvolta, come seconversare con la madre di tutti glistregoni fosse una cosa che prima o poicapitava a tutti.

— Non illuderti che sia successoquel che è successo perché l’Angelo hagrande compassione, Clary. Gli angelisono freddi come ghiaccioli. Raziel erain collera perché Valentine avevadimenticato la missione di tutti gliShadowhunters.

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— Che sarebbe?— Uccidere i demoni. Questo è il

nostro compito. Di certo avrai sentitodire che negli ultimi anni sono sempre dipiù quelli che riescono ad arrivare finoal nostro mondo, no? Che non abbiamoidea di come tenerli alla larga?

A Clary tornò alla mente un’eco diparole, qualcosa che Jace aveva dettoquella che sembrava una vita fa, laprima volta in cui avevano visitato laCittà Silente.

Una volta in questo mondo leinvasioni dei demoni erano poche evenivano contenute facilmente. Maanche solo da quando sono nato, sonosempre di più i demoni che riescono aoltrepassare le protezioni.

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— Sta per arrivare una grandeguerra con i demoni, e il Conclave èmiseramente impreparato — dichiaròSebastian. — Su questo mio padreaveva ragione. Sono troppo fissati coiloro metodi per ascoltare gliavvertimenti o cambiare. Io non miauguro la distruzione dei Nascosti comeinvece faceva Valentine, ma mipreoccupa il fatto che la miopia delConclave condanni il mondo che glistessi Shadowhunters proteggono.

— Vuoi farmi credere che a teimporta qualcosa se questo mondo vienedistrutto?

— Be’, vivo qui — rispose lui conun tono più pacato di quanto lei sisarebbe aspettata. — E qualche volta, a

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mali estremi, estremi rimedi. Perdistruggere il nemico può esserenecessario capirlo, persino averci a chefare. Se riesco a far sì che quei DemoniSuperiori si fidino di me, allora potreiattirarli qui, dove possono esseredistrutti, e con essi i loro seguaci.Dovrebbe servire a invertire latendenza. I demoni capirebbero chequesto mondo non è la preda facile cheimmaginavano.

Clary scosse la testa. — E tuvorresti farlo solo con… cioè, te stessoe Jace? Voi due siete davvero notevoli,non fraintendermi, ma da soli non…

Sebastian si alzò. — Proprio nonriesci a immaginare che magari hopensato a tutto, vero? — La guardò

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dall’alto, il vento autunnale che gliscostava i capelli bianchi dal viso. —Vieni con me. Voglio mostrarti una cosa.

Clary esitò. — Jace…— Dorme ancora. Fidati, lo so. —

Le porse una mano. — Vieni con me,Clary. Se non posso convincerti di avereun piano, magari posso dimostrartelo.

Lei lo fissò. Nella mente leturbinava una serie di immagini, comeuna pioggia di coriandoli: il rigattiere diPraga, l’anello con le foglie d’oro chespariva nell’oscurità, Jace che laabbracciava nel privé della discoteca, levasche di vetro con i cadaveri.Sebastian con una spada angelica inpugno.

Dimostrartelo.

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Gli prese la mano e lasciò che laaiutasse ad alzarsi in piedi.

Si era deciso, non senza una lungadiscussione, che per evocare Raziel lasquadra dei Buoni avrebbe dovutotrovare un luogo ben protetto. — Nonpossiamo evocare un angelo altodiciotto metri nel bel mezzo di CentralPark — osservò Magnus in tonosarcastico. — La gente potrebbe notarlo,persino a New York.

— Raziel è alto diciotto metri? —domandò Isabelle. Era morbidamenteadagiata su una poltrona che avevaavvicinato al tavolo. Sotto i suoi occhiscuri c’erano dei semicerchi infossati;anche lei, come Alec, Magnus e Simon,era esausta. Erano tutti svegli da ore e

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ore a sfogliare volumi di Magnus cosìantichi che le pagine erano sottili comebuccia di cipolla. Sia Isabelle che Alecsapevano leggere il greco e il latino,inoltre Alec conosceva i linguaggidemoniaci anche meglio della sorella,ma ce n’erano alcuni che solo lostregone riusciva a capire. Maia eJordan, rendendosi conto di poter esserepiù utili altrove, erano andati allastazione di polizia a vedere come stavaLuke. Nel frattempo, Simon avevacercato di contribuire in altri modi:portando cibo e caffè, copiando isimboli che gli indicava Magnus,rifornendo di continuo di carta e matite,persino dando da mangiare a ChairmanMeow, che lo aveva ringraziato

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vomitando una palla di pelo sulpavimento della cucina.

— A dire il vero è alto solodiciassette metri e mezzo, ma gli piaceesagerare — disse Magnus. Lastanchezza non gli stava regalandobuonumore. Aveva i capelli in piedi e,sul dorso delle mani, dove si erasfregato gli occhi, era sporco dibrillantini.

— È un angelo, Isabelle. Non haistudiato proprio niente?

La ragazza fece schioccare la puntadella lingua, infastidita. — Valentine haevocato un angelo nel suo scantinato.Non vedo perché a voi dovrebbe serviretutto questo spazio…

— Perché Valentine è semplicemente

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troppo più fico di me — ribatté Magnus,appoggiando la penna. — Sentite…

— Non alzare la voce con miasorella — gli disse Alec. Lo fece senzascomporsi, ma c’era forza, dietro le sueparole. Magnus lo guardò sbalordito.Alec proseguì rivolgendosi a Isabelle.— Devi sapere che l’altezza degliangeli, quando compaiono nelladimensione terrestre, varia in base alloro potere. L’angelo evocato daValentine era di rango inferiore rispettoa Raziel. E se uno volesse evocarequalcuno di ancora superiore, comeMichele o Gabriele…

— Non potrei fare un incantesimoper legarli, nemmeno temporaneamente— disse Magnus con voce sommessa. —

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Stiamo evocando Raziel in parte perchésperiamo che, in quanto creatore degliShadowhunters, potrebbe avere unacompassione particolare, o… meglio,soltanto averla, per la vostra situazione.Inoltre è più o meno del giusto rango.Può darsi che un angelo meno potentenon sia in grado di aiutarci, ma cheinvece uno più potente… Be’, sequalcosa andasse storto…

— Potrei non essere soltanto ioquello che muore — disse Simon.

Magnus sembrò costernato, Alecabbassò gli occhi sui fogli sparpagliatiper tutto il tavolo. Isabelle mise la manosopra quella di Simon. — Non ci possocredere che stiamo davvero parlando dievocare un angelo — disse. — È da

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quando sono nata che giuriamo sul suonome. Sappiamo che il nostro poterederiva da loro. Ma l’idea di vederneuno… non riesco davvero aimmaginarmelo. Quando ci provo, è unacosa troppo grande.

Attorno al tavolo scese il silenzio.Negli occhi di Magnus c’era un’oscuritàtale da spingere Simon a chiedersi seavesse mai visto un angelo. Pensò sefosse il caso di rivolgergli una domandadiretta, ma lo squillo del telefono losollevò dalla decisione.

— Un secondo — mormorò, poi sialzò in piedi. Aprì il cellulare e siappoggiò a una delle colonne del loft.Era un messaggio, anzi diversi messaggi,da parte di Maia.

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BUONE NOTIZIE! LUKE ÈSVEGLIO E PARLA. SEMBRA CHE SIRIPRENDERÀ.

Simon si sentì sommergere daun’ondata di sollievo. Finalmente buonenotizie! Chiuse il cellulare e toccòl’anello al dito.

Clary?Niente.Cercò di non agitarsi. Probabilmente

stava dormendo. Quando alzò losguardo, vide che tutti i presenti lostavano fissando.

— Chi è che ti ha cercato? — chieseIsabelle.

— Maia. Ha detto che Luke si èsvegliato e che parla. Guarirà. — Seguìun brusio di voci sollevate, ma Simon

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continuava a guardarsi l’anello. — Miha fatto venire un’idea.

Isabelle era in piedi e stavaavanzando verso di lui, ma a quelleparole si fermò e assunse un’espressionepreoccupata. Simon non potevabiasimarla: negli ultimi tempi le sueidee erano state decisamente suicide. —Di cosa si tratta? — gli chiese.

— Cosa ci serve per evocareRaziel? Quanto spazio? — chieseSimon.

Magnus si fermò sopra un libro. —Un raggio di quasi due chilometri,almeno. L’acqua sarebbe una buonaidea. Il lago Lyn…

— La fattoria di Luke — lointerruppe Simon. — A nord, a poche

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ore da qui. Adesso dovrebbe esserechiusa, ma io so come arrivarci. E là c’èun lago. Non grande come il Lyn, ma…

Magnus chiuse il volume che stavaleggendo. — Non è una cattiva idea,Seamus.

— Poche ore? — intervenneIsabelle, guardando l’orologio. —Potremmo essere là per le…

— Ah no! — la interruppe Magnusspingendo via il libro. — Il tuoentusiasmo è impressionante esconfinato, Isabelle, ma io al momentosono troppo stanco per l’incantesimo dievocazione. Ed è una cosa su cui nonvoglio rischiare. Penso che saremo tuttid’accordo…

— E allora quando? — chiese Alec.

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— Ci serve almeno qualche ora disonno — disse Magnus. — Propongo dipartire nel primo pomeriggio.Sherlock… scusa, Simon, nel frattempochiama Jordan e chiedigli se puoiprendere in prestito il suo furgone. Eora…

Mise da parte i giornali. — Io vadoa dormire. Isabelle, Simon, se voleterestare ancora nella stanza degli ospiti,fate pure.

— Due camere separate sarebberomeglio — borbottò Alec.

Isabelle guardò Simon con sguardointerrogativo, ma lui si stava giàfrugando nelle tasche in cerca deltelefono. — Okay — disse. — Torno permezzogiorno, ma adesso c’è una cosa

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importante che devo fare.Alla luce del giorno, Parigi si rivelò

una città di stradine strette e tortuose chesfociavano su ampi viali, edifici daicaldi colori dorati con tetti d’ardesia, eun fiume luccicante che la trapassavacome una cicatrice di guerra. Sebastian,sebbene avesse annunciato a Clary chele avrebbe dimostrato di avere un piano,non disse granché mentre insiemerisalivano una strada fiancheggiata dagallerie d’arte e negozi di libri antichi epolverosi per raggiungere il Quai desGrands-Augustins, sulla riva dellaSenna.

Dal fiume si alzava un vento freddoche la fece rabbrividire. Sebastianallora si tolse la sciarpa dal collo e

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gliela porse. Era di tweed bianco e nerosfumato, ancora calda per essere stataavvolta attorno alla sua pelle.

— Non essere stupida — le disse.— Hai freddo, mettitela.

Clary lo fece. — Grazie — risposedi riflesso, cosa che la fece trasalire.

Aveva appena ringraziato Sebastian.Rimase in attesa di un fulmine cheesplodesse dalle nuvole e la riducessein cenere. Invece non accadde nulla.

Lui le rivolse uno sguardoperplesso. — Stai bene? Sembri una chesta per starnutire.

— Tutto a posto. — La sciarpaprofumava di colonia agli agrumi e diragazzo. Non sapeva dire che odore sisarebbe aspettata. Si rimisero in marcia

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e questa volta Sebastian rallentò ilpasso, camminandole accanto,fermandosi per spiegare che i quartieridi Parigi erano contrassegnati da unnumero e che loro si stavano spostandodal sesto al quinto, il Quartiere Latino. Ilponte che si estendeva in lontananza erail Saint-Michel. Clary notò che in giroc’erano tanti giovani; ragazze della suaetà o più grandi, con lunghi capelli chesvolazzavano al vento della Senna. Nonpoche rallentavano per lanciare aSebastian uno sguardo di ammirazione,che però lui sembrava non notare.

Jace invece, pensò Clary, se nesarebbe accorto. Sebastian davacertamente nell’occhio, con quei capellibianco ghiaccio e gli occhi neri. La

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prima volta che lo aveva visto lo avevatrovato bello; all’epoca si tingeva dinero, che in realtà non gli donava molto.Così stava meglio. I capelli chiarissimigli illuminavano la carnagione,attiravano gli sguardi sul rossore lungogli zigomi alti, sui lineamenti aggraziatidel viso. Aveva delle cigliaincredibilmente lunghe, appenaincurvate, proprio come quelle diJocelyn. Che ingiustizia! Perché lei nonle aveva ereditate? E perché lui nonaveva nemmeno una lentiggine?

— Dunque — gli disseall’improvviso, interrompendolo a metàdi una frase. — Cosa siamo noi?

Lui la guardò di sbieco. — Cosaintendi dire con cosa siamo?

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— Hai detto che io e te siamo gliultimi Morgenstern. E Morgenstern è unnome tedesco — rispose Clary. —Quindi cosa siamo, tedeschi? Qual è lanostra storia? Perché ci siamo soltantonoi?

— Non sai niente della famiglia diValentine? — La voce di Sebastian siaccese di incredulità. Si era fermatoaccanto al muretto che correva lungo laSenna, sul marciapiede. — Tua madrenon ti ha mai raccontato niente?

— È anche la tua, di madre, ecomunque no, non lo ha fatto. Valentinenon è il suo argomento preferito.

— I nomi degli Shadowhunters sonocomposti — spiegò piano Sebastiansaltando sopra il muretto. Allungò una

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mano verso il basso e, un istante dopo,lei si lasciò aiutare per sedersi accantoa lui. La Senna scorreva grigioverdesotto di loro, piccoli battelli di turistipassavano sbuffando a ritmo tranquillo.— Fair-child, Light-wood, White-law.Morgenstern significa “stella mattutina”.Il nome è tedesco, ma la famiglia erasvizzera.

— Era?— Valentine era figlio unico —

disse Sebastian. — Suo padre, nostrononno, fu ucciso dai Nascosti, mentre ilnostro prozio morì in battaglia. Nonaveva figli. Questi — disse allungandouna mano per toccare i capelli rossi diClary — vengono dai Fairchild, chehanno sangue inglese. Io ho preso di più

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dal lato svizzero della famiglia. ComeValentine.

— Sai niente dei nostri nonnimaterni? — volle sapere Clary, suomalgrado intrigata.

Sebastian riabbassò la mano e saltògiù dal muro. La rialzò di nuovo peraiutarla a scendere, e lei la prese,cercando di non perdere l’equilibrio.Per un secondo si scontrò con il petto dilui, duro e caldo sotto la camicia. Unaragazza che stava passando le lanciò unosguardo divertito, geloso, e Clary siritrasse subito. Avrebbe voluto gridarleche Sebastian era suo fratello, e checomunque lo detestava. Non lo fece.

— No, non ne so niente — disse lui.— Come potrei? — Aveva un sorriso

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sghembo. — Vieni, voglio farti vedere ilmio posto preferito.

Clary esitò. — Pensavo volessidimostrarmi di avere un piano.

— Ogni cosa a suo tempo. —Sebastian si incamminò e, un istantedopo, lei lo seguì. Scoprire il suo piano.Fare la brava finché posso. — Il padredi Valentine gli assomigliava molto —proseguì Sebastian. — Credeva nellaforza. “Siamo i guerrieri prescelti daDio”, ecco in cosa credeva. Il dolore tirafforza. La perdita ti regala potenza.Quando morì…

— Valentine cambiò — disse Clary.— Me lo ha detto Luke.

— Provava per lui odio e amore.Qualcosa che puoi capire, visto che

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conosci Jace. Valentine ci ha cresciuticome suo padre aveva cresciuto lui. Sitorna sempre a quello che si sa.

— Ma a Jace — ribatté Clary —Valentine non ha insegnato solo acombattere. Gli ha insegnato le lingue, asuonare il pianoforte…

— Quella era l’influenza di Jocelyn.— Sebastian pronunciò quel nome afatica, come se ne odiasse il suono. —Lei pensava che Valentine dovesseparlare anche di libri, di arte, dimusica… e non solo di uccidere. Coseche lui, poi, ha tramandato a Jace.

Alla loro sinistra comparve unasbarra di ferro blu. Sebastian si abbassòper passarci sotto e fece segno a Clarydi seguirlo. Lei lo fece senza bisogno di

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piegarsi, tenendo le mani in tasca. — Etu? — gli chiese.

Sebastian alzò le mani. Erano senzadubbio quelle di sua madre: agili,affusolate, fatte per stringere una pennao un pennello. — Ho imparato a suonaregli strumenti della guerra — rispose. —E a dipingere con il sangue. Io non sonocome Jace.

Si trovavano in una via stretta, tradue file di edifici costruiti con la stessapietra dorata di molti altri a Parigi, con itetti che rilucevano di verderame allaluce del sole. Sotto i loro piedi, unpavimento stradale di ciottoli, némacchine né moto attorno. A sinistrac’era un bar, con un’insegna di legnoappesa a un palo di ferro battuto che era

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l’unico indizio della presenza diun’attività commerciale in quella stradatortuosa.

— Mi piace qui — annunciòSebastian, seguendo lo sguardo di Clary.— Perché è come trovarsi in un altrosecolo. Niente rumore di traffico, nienteluci al neon. Soltanto… pace.

Clary lo guardò attentamente. Stamentendo, pensò. Sebastian non hapensieri di questo tipo. Sebastian, cheha tentato di radere al suolo Alicante,se ne frega della “pace”.

Ripensò a dove i due ragazzi eranocresciuti. Lei non c’era mai stata, maJace gliene aveva parlato. Una piccolacasa, una villetta rustica per laprecisione, in una valle fuori da

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Alicante. Lì le notti erano silenziose e ilcielo colmo di stelle. Ma mancavano aSebastian? Era possibile? Si possonoavere certe emozioni, quando in realtànon si è nemmeno umani?

Non ti dà fastidio? Avrebbe volutodirgli. Stare nel posto in cui è cresciutoe vissuto il vero Sebastian Verlac,finché tu non hai messo fine alla suavita? Camminare per queste strade,portare il suo nome, sapere che, daqualche parte, sua zia lo stapiangendo? E cosa intendevi quandodicesti che non ti aspettavi chereagisse?

Gli occhi neri di lui la osservaronopensierosi. Aveva il sensodell’umorismo, Clary lo sapeva; in

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Sebastian c’era una vena di ironiacaustica a volte non diversa da quella diJace. Lui, però, non sorrideva.

— Vieni — le disse, interrompendole sue riflessioni. — Qui fanno lamigliore cioccolata calda di tutta Parigi.

Clary si chiese come potessesaperlo, visto che era la prima volta chevisitava la città, ma una volta sedutadovette ammettere che quella cioccolataera davvero eccellente. La preparavanodirettamente al tavolo (un piccolo tavolodi legno circondato da sedie antiche conlo schienale alto) dentro una teiera diceramica blu, mischiando panna,polvere di cacao e zucchero.

Il risultato era un liquido talmentedenso che, se ci mettevi dentro il

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cucchiaino, restava in piedi. C’eranoanche dei croissant, così ne prese uno elo immerse nella cioccolata.

— Guarda che se poi ne vuoi unaltro, te lo portano — le disseSebastian, accomodandosi all’indietrosullo schienale. Clary notò che erano digran lunga i più giovani di tutto il locale.— Te lo stai divorando come un lupo!

— Ho fame — rispose lei facendospallucce. — Senti, se mi vuoi parlare,parla. Convincimi.

Lui si sporse in avanti, appoggiandoi gomiti sul tavolo. Clary ricordòquando, la notte prima, gli avevaguardato gli occhi, notando il cerchioargentato attorno all’iride. — Stavoripensando a quello che hai detto la

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scorsa notte.— La scorsa notte avevo le

allucinazioni. Non ricordo cosa ti hodetto.

— Mi hai chiesto a chi appartengo— disse Sebastian.

Clary rimase ferma con la tazza dicioccolata a metà strada verso la bocca.— Ah, sì?

— Già. — Gli occhi di lui lestudiavano il viso con attenzione. — Maio non ho una risposta.

Appoggiò la tazza, sentendosiall’improvviso molto a disagio. — Nondevi appartenere a nessuno — gli disse.— Era solo per dire.

— Be’, lascia che ora sia io achiederti una cosa — ribatté Sebastian.

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— Pensi di potermi perdonare? Vogliodire, pensi che il perdono sia possibileper una persona come me?

— Non lo so. — Clary strinse forteil bordo del tavolo. — Io… io non mene intendo molto di perdono in sensoreligioso, conosco solo il generestandard delle persone indulgenti.

Poi fece un respiro profondo,consapevole di stare balbettando. C’eraqualcosa nella fermezza dello sguardoscuro di Sebastian su di lei, come sedavvero lui si aspettasse di ottenererisposte a domande cui nessuno potevarispondere. — So solo che bisogna farequalcosa, per guadagnare il perdono.Cambiare se stessi. Confessarsi, pentirsie… fare ammenda.

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— Fare ammenda — le fece eco lui.— Sì, rimediare a quello che si è

commesso. — Abbassò lo sguardo sullatazza. Non c’era rimedio per le cose cheSebastian aveva fatto, niente di sensato.

— Ave atque vale — disseSebastian, guardando a sua volta lapropria tazza.

Clary riconobbe in quella frase leparole che gli Shadowhunterspronunciavano per i loro morti. —Perché dici così? Non sto morendo.

— È il verso di una poesia —spiegò lui. — Di Catullo. Frater, ave,atque vale. “Salute e addio, fratello”.Parla di cenere, dei riti funebri e deldolore del poeta per la scomparsa delfratello. L’ho imparata da piccolo, ma

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non la sentivo veramente: né il dolore,né la perdita, nemmeno come sarebbemorire senza avere qualcuno che tipiange. — Alzò lo sguardo e la fissòintensamente. — Come pensi chesarebbero andate le cose se Valentine tiavesse cresciuta con me? Mi avrestivoluto bene?

Clary era contenta di averappoggiato la tazza, perché, se nonl’avesse fatto, in quel momento sarebbecaduta. Sebastian non la stava guardandocon la timidezza o quel genere dinaturale imbarazzo che accompagnanouna domanda così strana, ma piuttostocome se lei fosse una singolare forma divita aliena.

— Be’ — disse, — sei mio fratello.

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Ti avrei voluto bene. Avrei… avreidovuto.

Lui continuava a guardarla con lostesso sguardo fermo e intenso. Clary sidomandò se chiedergli o no se anche luiavrebbe voluto bene a lei. Come a unasorella. Ma aveva la sensazione cheSebastian non avesse nemmeno idea dicosa volesse dire.

— Ma Valentine non mi ha cresciuta— proseguì. — Anzi, io l’ho ucciso.

Non sapeva bene perché l’avessedetto. Forse voleva vedere se erapossibile turbare Sebastian. Dopotutto,una volta Jace le aveva detto cheValentine era l’unica cosa di cui glifosse mai importato.

L’altro invece non impallidì. — A

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dire il vero — rispose — è statol’Angelo a ucciderlo. Anche se a causatua. — Con le dita stava tracciandodelle linee sulla superficie consumatadel tavolo. — Sai, la prima volta che tiincontrai, a Idris, avevo delle speranze.Pensavo che saresti stata come me. Equando vidi che non era affatto così, tiodiai. Poi, quando ritornai in vita e Jacemi disse cosa avevi fatto, capii diessermi sbagliato. Tu sei come me.

— Lo hai già detto l’altra sera —rispose Clary. — Ma io non…

— Hai ucciso nostro padre —proseguì lui. Parlava con voce calma. —E non ti importa. Non ci hai mai pensatodue volte, vero? Valentine ha picchiatoJace a sangue per i primi dieci anni

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della sua vita, eppure lui ancora ne sentela mancanza. Ha sofferto per la suascomparsa, anche se fra loro non ci sonolegami di sangue. Lui invece era tuopadre, tu l’hai ucciso e non ci hai maiperso una notte di sonno.

Clary lo guardava a bocca aperta.Era così ingiusto. Ingiusto. Valentine nonsi era mai comportato da padre con lei,non le aveva voluto bene. Era stato unmostro, che doveva morire. Lei lo avevaucciso perché non aveva altra scelta.

Senza che lo volesse, alla mente leaffiorò l’immagine di Valentine cheaffondava la lama nel petto di Jace e poilo teneva mentre moriva: Valentineaveva pianto sul figlio assassinato da luistesso. Lei invece non aveva mai pianto,

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per suo padre. Non aveva mai nemmenopensato di farlo.

— Ho ragione o no? — proseguìSebastian. — Dimmi che ho torto.Dimmi che non sei come me.

Clary abbassò lo sguardo sulla tazzadi cioccolata, ormai fredda. Si sentivacome se, dentro la testa, le si fosseaperto un vortice che stava risucchiandopensieri e parole. — Credevo che tupensassi di essere come Jace — disseinfine con voce strozzata. — Credevoche fosse quello il motivo per cui lovolevi con te.

— Ho bisogno di Jace — disseSebastian. — Ma nel suo cuore lui non ècome me. Tu invece sì. — Si alzò inpiedi. A un certo punto doveva aver

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pagato il conto del bar, Clary nonricordava. — Seguimi.

Le diede la mano. Lei si alzò senzaprenderla e si riannodò meccanicamentela sciarpa. La cioccolata appena bevutaera come acido che le corrodeva lostomaco. Seguì Sebastian fuori dal caffèe poi in strada, dove si era fermato aguardare il cielo.

— Io non sono come Valentine — glidisse, fermandosi accanto a lui. —Nostra madre…

— Tua madre — la corresseSebastian — mi odiava. Mi odia. Tul’hai vista, ha cercato di uccidermi. Vuoidirmi che assomigli a lei, bene. JocelynFairchild è spietata. Lo è sempre stata.Ha finto di amare nostro padre per mesi,

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forse per anni, in modo da raccogliereabbastanza informazioni per tradirlo. Haorganizzato la Rivolta e guardato senzabatter ciglio tutti gli amici di suo maritoche venivano massacrati. Ti ha rubato iricordi. L’hai perdonata? E quando èscappata da Idris, credi davvero cheabbia mai pensato di portarmi con sé?Per lei deve essere stato un sollievopensare che fossi morto…

— Non è vero! — esclamò Clary. —Aveva un cofanetto con le tue cose dapiccolo. Lo prendeva e ci piangevasopra. Tutti gli anni, il giorno del tuocompleanno. So che ora lo tieni incamera tua.

Le labbra sottili, eleganti diSebastian si contrassero. Le diede le

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spalle e si incamminò lungo la strada. —Sebastian! — lo chiamò lei. —Sebastian, aspetta! — Non sapevaperché voleva che tornasse indietro. Disicuro non aveva idea di dove si trovavao di come tornare a casa, ma non erasolo quello. Voleva combattere,dimostrare di non essere come luil’aveva dipinta. Alzò la voce,trasformandola in un grido: — JonathanChristopher Morgenstern!

Lui si fermò e si girò lentamente,guardandola da sopra le spalle.

Clary gli andò incontro e lui rimasea fissarla con la testa inclinata di lato egli occhi neri a fessura. — Scommettoche non sai nemmeno il mio secondonome — gli disse.

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— Adele. — C’era qualcosa dimusicale nel modo in cui lo pronunciò,una familiarità che la fece sentire adisagio. — Clarissa Adele.

Gli si affiancò. — Perché Adele?Non l’ho mai saputo.

— Nemmeno io — rispose lui. —So che a Valentine non piaceva il nomeClarissa Adele. Voleva che ti chiamassiSeraphina, come sua madre, nostranonna. — Si girò e riprese a camminare;questa volta Clary tenne il passo. —Dopo l’uccisione di nostro nonno, anchelei morì. D’infarto. Valentine ha sempredetto che era morta per il dispiacere.

Clary ripensò ad Amatis, che non siera mai ripresa dal suo primo amore,Stephen. Al padre di Stephen, morto di

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dolore. All’Inquisitore, una vitadedicata alla vendetta. Alla madre diJace, che si era tagliata i polsi quandosuo marito era morto. — Prima diconoscere i Nephilim, avrei detto chemorire di dolore era impossibile.

Sebastian fece una risatina soffocata.— Noi non ci leghiamo come i mondani— disse. — Be’, a volte sì, certo. Nontutti sono uguali, ma i legami fra noitendono a essere intensi e indissolubili.Ecco perché andiamo così pocod’accordo con chi non appartiene allanostra specie. Nascosti, mondani…

— Mia madre sta per sposare unNascosto — gli disse Clary, offesa. Sierano fermati davanti a un palazzosquadrato, con le imposte azzurre, quasi

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alla fine della strada.— Una volta era un Nephilim —

osservò Sebastian. — E poi guardanostro padre. Tua madre lo ha tradito elo ha lasciato, ma lui ha passato il restodella vita a cercare di convincerla atornare da lui. Quell’armadio pieno divestiti… — Scosse la testa.

— Ma Valentine diceva a Jace chel’amore è debolezza — ribatté Clary. —Che ti distrugge.

— Non lo penseresti anche tu,avendo passato metà della tua vita ainseguire una donna che ti odiava dalprofondo e che non riuscivi adimenticare? Dovendo ricordare che lapersona che più amavi al mondo ti hapugnalato alle spalle e ha rigirato il

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coltello? — Le si avvicinò un istante,abbastanza da muoverle i capelli con ilrespiro mentre parlava.

— Forse sei più simile a tua madreche a tuo padre. Ma che differenza fa?Hai la crudeltà nelle ossa e il ghiaccionel cuore, Clarissa. Non dirmi che non ècosì.

Si voltò prima che lei potesserispondere, salendo il primo gradinodella casa con le imposte azzurre. Unafila di citofoni correva lungo la pareteaccanto alla porta, ognuno con un nomescritto a mano su una targhetta. Premetteil bottone di fianco alla scritta“Magdalena” e aspettò. A un tratto, unavoce roca disse dall’altoparlante:

— Qui est là?

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— C’est le fils et la fille deValentine — disse Sebastian. — Nousavions rendez-vous?

Ci fu una pausa, poi la porta scattò.Sebastian la spalancò e la tenne aperta,lasciando educatamente che Claryentrasse per prima. Le scale erano dilegno, consumate e lisce come il fiancodi una barca. Le salirono in silenzio finoall’ultimo piano, dove c’era una portasocchiusa che dava sul pianerottolo.Sebastian entrò per primo e Clary loseguì.

Si ritrovò in uno spazio ampio earioso. Le pareti erano bianche, cosìcome le tende. Da una finestra vedeva lastrada parallela, fiancheggiata daristoranti e negozi. Le macchine

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passavano sibilando, ma sembrava cheil rumore non riuscisse a penetraredentro l’appartamento. Il pavimento eradi legno lucido, i mobili dipinti dibianco, i divani imbottiti ricoperti dicuscini colorati. Una partedell’appartamento era adibita a unasorta di studio; la luce penetrava dallucernario e inondava un lungo tavolo dilegno. C’erano dei cavalletti da pittore,coperti da teli che ne nascondevano ilcontenuto. Su un appendiabiti a muropendeva un grembiule sporco di pittura.

In piedi vicino al tavolo c’era unadonna. Clary le avrebbe dato più o menola stessa età di sua madre, se non cifossero stati diversi fattori cheostacolavano il giudizio: indossava un

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grembiule nero e informe che lenascondeva il corpo; solo le manibianche, il viso e il collo erano visibili;su ognuna delle guance era incisa unaspessa runa nera, che correvadall’angolo esterno dell’occhio fino allelabbra. Clary non aveva mai visto quellerune, ma ne intuiva il significato: potere,capacità, abilità tecnica. La donna avevadei lunghi capelli ramati, che lericadevano in morbide onde fino allavita, e gli occhi, quando li sollevò,erano di un singolare arancione spento,come una fiamma che si smorzava.

La donna incrociò mollemente lemani davanti al grembiule. Con vocenervosa, melodica, disse: — Tu doisêtre Jonathan Morgenstern. Et elle,

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c’est ta sœur? Je pensais que…— Sono Jonathan Morgenstern —

disse Sebastian. — E questa è miasorella, sì, Clarissa. Per favore, parla ininglese quando c’è lei. Non capisce ilfrancese.

La donna si schiarì la voce. — Ilmio inglese è arrugginito. Sono anni chenon lo parlo.

— A me sembra che vada bene.Clarissa, lei è Sorella Magdalena, unadelle Sorelle di Ferro.

A quella notizia, Clary non sitrattenne. — Ma io pensavo che leSorelle di Ferro non lasciassero mai laloro fortezza…

— Vero — le confermò Sebastian,— a meno che siano cadute in disgrazia

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per aver preso parte alla Rivoltascoperta. Chi credi che avesse armato ilCircolo? — Rivolse a Magdalena unsorriso triste. — Le Sorelle di Ferrosono artigiane, non combattenti. MaMagdalena scappò dalla Fortezza primache il suo ruolo nella Rivolta venissescoperto.

— Non vedevo un Nephilim dacinquant’anni, prima che tuo fratello micontattasse — spiegò Magdalena. Eradifficile dire chi stesse guardando,mentre parlava; era come se i suoi occhiprivi di espressione vagassero nelvuoto, ma di sicuro non era cieca. — Èvero? Hai… il materiale?

Sebastian mise una mano dentro lasacca che gli pendeva dalla cintura delle

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armi e ne estrasse un blocco di quelloche sembrava quarzo. Lo appoggiò sullungo tavolo e un raggio di lucesolitario, attraversando il cielo, sembròilluminarlo dall’interno. Clary trattenneil fiato. Era l’adamas del negozio diantiquariato di Praga.

Magdalena trattenne il fiato.— Adamas puro — disse Sebastian.

— Nessuna runa lo ha mai toccato.La Sorella di Ferro oltrepassò il

tavolo e appoggiò sull’adamas le mani.Erano segnate da svariate rune, che inquell’istante tremarono. — Adamas pur— sussurrò. — Sono anni che non toccoquesta sacra materia.

— È tutto tuo, lavoralo — disseSebastian. — Quando avrai finito, ti

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ripagherò dandotene dell’altro.Ovviamente solo se pensi di potercreare quanto ti ho chiesto.

Magdalena drizzò la schiena. —Sono o non sono una Sorella di Ferro?Non ho preso i voti? Le mie mani nonforgiano la materia del Paradiso? Possoconsegnarti quello che ti ho promesso,figlio di Valentine. Non dubitarne.

— Buono a sapersi. — Nella vocedi Sebastian c’era una traccia di ironia.— Allora tornerò stanotte. Sai comechiamarmi, se ne avrai bisogno.

Magdalena scosse la testa. Tutta lasua attenzione era tornata sulla sostanzacristallina, l’adamas. L’accarezzò con ledita. — Sì. Potete andare.

Sebastian annuì e fece un passo

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all’indietro. Clary esitò. Volevaprendere da parte la donna, chiederlecosa Sebastian le avesse chiesto di fare,sapere perché mai aveva infranto laLegge dell’Alleanza per collaborare conValentine. Come se percepisse la suaesitazione, Magdalena alzò lo sguardo ele fece un sorriso sottile.

— Voi due — esordì, e per unmomento Clary pensò che stesse per diredi non capire come mai fossero insieme,di aver sentito che si odiavano e che lafiglia di Jocelyn era una Shadowhunter,mentre il figlio di Valentine uncriminale. Invece la donna si limitò ascuotere la testa. — Mon Dieu — disse.— Assomigliate proprio ai vostrigenitori.

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capitolo 16

FRATELLI E SORELLE

Quando Clary e Sebastianritornarono a casa, il salotto era vuoto,ma dal lavandino spuntavano dei piattiche prima non c’erano.

— Avevi detto che Jace stavadormendo, se non mi sbaglio — disselei, con una nota di accusa nella voce.

Sebastian fece spallucce. — Ed eracosì, quando l’ho detto. — Aveva

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parlato con un leggero tono di scherno,ma senza vera scontrosità. Erano tornatida casa di Magdalena senza quasiparlare, ma il loro non era stato unsilenzio ostile. Clary aveva lasciatovagare la mente, tornando di colpo allarealtà solo nei momenti in cui si rendevaconto che era Sebastian quello che lecamminava accanto. — Sono piuttostosicuro di sapere dove si trova.

— In camera sua? — Clary siincamminò verso le scale.

— No. — Sebastian le si paròdavanti. — Vieni, ti faccio vedere.

Salì i gradini a passo veloce,entrando nella camera padronale conClary alle calcagna. Mentre leiguardava, perplessa, lui bussò su un lato

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dell’armadio. Questo si mossescorrendo, rivelando una scala.Sebastian si girò per lanciare a Clary,che lo seguiva, un sorrisetto da soprauna spalla. — Non ci credo — gli dissela ragazza. — Scale segrete?

— Non dirmi che è la cosa piùstrana che hai visto oggi… — Luiscendeva i gradini due alla volta, eClary, sebbene esausta, gli stava dietro.La scala curvava su se stessa e dava suuna grande stanza con un pavimento dilegno lucido e il soffitto alto. Sullepareti era appeso ogni genere di armi,come nella palestra dell’Istituto: kindjale chakhram, mazze da guerra, spade epugnali, balestre e tirapugni di ottone,stelle ninja, asce e spade da samurai.

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Sul pavimento erano tracciati conprecisione dei cerchi da allenamento. Alcentro c’era Jace, la schiena rivolta allaporta. Era a torso e piedi nudi, pantalonida ginnastica neri, un coltello inentrambe le mani. Nella testa di Clarycomparve all’improvviso un’immagine:la schiena nuda di Sebastian, segnata daisegni inconfondibili di una frusta. Quelladi Jace invece era liscia, pelle oropallido sui muscoli, segnata soltantodalle cicatrici tipiche di unoShadowhunter… e dai graffi che leistessa gli aveva fatto la notteprecedente. Si sentì arrossire, ma avevaancora la mente concentrata su unadomanda: perché Valentine avevafrustato un solo ragazzo e l’altro no?

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— Jace — gli disse.Lui si girò. Era pulito. Il liquido

argenteo era sparito, i capelli doratierano quasi scuri come bronzo, umidi eincollati alla testa. La pelle luccicava disudore e l’espressione era guardinga. —Dove siete stati?

Sebastian si avvicinò al muro ecominciò a esaminare le armi cheoffriva, passando la mano sopra le lame.— Ho pensato che Clary aveva voglia divedere Parigi.

— Potevi lasciarmi un biglietto —ribatté Jace. — Non è che la nostrasituazione sia delle più tranquille,Jonathan. Preferirei non dovermipreoccupare per Clary…

— L’ho seguito io — intervenne lei.

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Jace si voltò e la guardò. Per unistante Clary colse nei suoi occhi losguardo del ragazzo di Idris che leaveva gridato contro perché avevarovinato tutti gli scrupolosi piani con cuivoleva mantenerla incolume. Ma quelJace era diverso. Le sue mani nontremavano quando la guardava e ilbattito del sangue nel collo era rimastoregolare. — Cosa?

— Ho seguito io Sebastian — ripetélei. — Ero sveglia e volevo vederedove stava andando. — Si mise le maninelle tasche dei jeans e lo guardò conaria di sfida. Gli occhi di lui lastudiarono tutta, dai capelli scompigliatidal vento fino agli stivali, e Clary sentìil sangue che le saliva al viso. Le

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clavicole di lui luccicavano di sudore,così come il profilo dei muscoliaddominali. I pantaloni da ginnasticaerano risvoltati all’altezza della vita,mostrando in parte la V dell’inguine.Ricordò come era stato sentire le suebraccia attorno a sé, essere premutacontro di lui abbastanza forte dapercepire ogni dettaglio di ossa emuscoli sul proprio corpo…

Sentì un’ondata di imbarazzo cosìintensa da darle le vertigini. La cosapeggiore era che Jace era normalissimo,come se la notte prima lei non gli avessefatto lo stesso effetto che lui aveva fattoa lei. Sembrava solamente… infastidito.Infastidito, sudato, accaldato.

— Be’ — disse, — la prossima

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volta che decidi di svignarteladall’appartamento, dotato di difesemagiche, passando per una porta che inrealtà non esiste, lascia un messaggio.

Clary sollevò lo sguardo. — Mistate prendendo in giro?

Lui lanciò in aria uno dei coltelli epoi lo riprese. — Forse.

— Ho portato Clary da Magdalena— spiegò Sebastian. Aveva tolto unastella ninja dalla parete e la stavaesaminando. — Le abbiamo portatol’adamas.

Jace nel frattempo aveva lanciatoanche l’altro coltello; questa volta nonlo riprese, e l’arma andò a conficcarsidi punta nel pavimento. — Davvero?

— Davvero — disse Sebastian. — E

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ho spiegato a Clary il piano. Le ho dettoche vogliamo attirare i DemoniSuperiori per poterli distruggere.

— Ma non mi hai detto come pensidi farlo — puntualizzò Clary.

— Ho pensato che era meglio dirtelocon Jace presente — rispose Sebastian.Fece scattare di colpo il polso in avantie la stella ninja volò verso Jace, che labloccò con una rapida mossa delcoltello. L’arma cadde a terra. Sebastianfece un fischio. — Svelto! — commentò.

Clary si girò di scatto verso ilfratello. — Potevi fargli male…

— Qualsiasi cosa fa male a lui, famale anche a me — disse l’altro. — Eraper dimostrarti quanto mi fido di lui. Eora voglio che tu ti fidi di noi. — I suoi

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occhi neri la penetrarono. — Adamas —disse. — La sostanza che ho portato oggialla Sorella di Ferro. Sai per cosa siusa?

— Certo. Spade angeliche. Torridemoniache di Alicante. Stilo…

— E per la Coppa Mortale.Clary fece di no con la testa. —

Quella è d’oro. L’ho vista.— Adamas placcato d’oro. Lo stesso

materiale dell’impugnatura della SpadaMortale. Si dice che sia la materia concui vengono costruiti i palazzi delParadiso. E non è facile entrarne inpossesso. Soltanto le Sorelle di Ferrosono capaci di lavorarla; e inoltre sonole uniche che dovrebbero essere ingrado di venirne in possesso.

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— E perché hai dato l’adamas aMagdalena?

— Per farle forgiare una secondaCoppa — spiegò Jace.

— Un’altra Coppa Mortale? —Clary spostò lo sguardo dall’unoall’altro, incredula. — Ma non potete.Non si può decidere così di fare un’altraCoppa Mortale. Se fosse possibile, ilConclave non sarebbe impazzito cosìtanto quando l’originale andò perduto.Valentine non ne avrebbe avuto unbisogno così disperato quando…

— È solo una coppa — disse Jace.— Comunque la si crei, resterà sempre esoltanto una coppa se l’Angelo non civerserà volontariamente del sangue.Ecco cosa la rende ciò che è.

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— E voi pensate di poter convincereRaziel a versare volontariamente il suosangue nella nuova coppa, per voi? —Clary non riuscì a nascondere unevidente scetticismo. — Be’, buonafortuna.

— È un trucco, Clary — disseSebastian. — Hai presente che tutto èbasato su un’alleanza, serafica odemoniaca? I demoni pensano che noivogliamo l’equivalente demoniaco diRaziel, ossia un demone di enormepotenza che mischierà il suo sangue alnostro e creerà una nuova razza diShadowhunters svincolati dalla Legge,dall’Alleanza e dalle regole delConclave.

— Avete detto che volete creare

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degli… Shadowhunters al contrario?— Qualcosa del genere. —

Sebastian rise, pettinandosi i capelli conle dita. — Jace, mi vuoi aiutare con laspiegazione?

— Valentine era un fanatico —intervenne l’altro. — Si sbagliava sumolte cose. Sul fatto di voler uccideregli Shadowhunters e sui Nascosti. Manon si sbagliava sul Conclave o sulConcilio: tutti gli Inquisitori cheabbiamo avuto erano corrotti. Le Leggitramandate dall’Angelo sono arbitrarie esenza senso, le punizioni anche peggio.“La legge è dura, ma è pur semprelegge”. Quante volte l’hai sentito?Quanto volte abbiamo dovutonasconderci ed evitare il Conclave con

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le sue leggi, anche quando stavamocercando di salvarle? Chi mi ha messoin prigione? L’Inquisitore. Chi ha messoSimon in prigione? Il Conclave. Chi loavrebbe lasciato bruciare?

Il cuore di Clary aveva cominciato abattere forte. La voce di Jace, cosìfamiliare, che diceva quelle parole, lefaceva sentire le ossa deboli. Avevaragione e torto allo stesso tempo. ComeValentine. Ma lei voleva credere in luinello stesso modo in cui non avevavoluto credere a Valentine.

— Bene — disse infine. — Capiscoche il Conclave è corrotto. Ma noncapisco cosa c’entra col fatto di trattarecon i demoni.

— La nostra missione è quella di

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distruggerli — disse Sebastian. — Ma ilConclave ha dedicato tutte le proprieenergie ad altre attività. Le protezioni sistanno indebolendo e sempre più demoniraggiungono la Terra, ma il Conclavefinge di non vedere. Abbiamo aperto unvarco molto a nord, sull’isola diWrangel, e lo useremo per attirare idemoni con la promessa di questacoppa. Solo che, quando ci verserannodentro il sangue, verranno distrutti. Hostretto accordi come questo con diversiDemoni Superiori. Quando io e Jace liavremo uccisi, il Conclave vedrà chesiamo una potenza con cui deve fare iconti. E a quel punto saranno costretti adascoltarci.

Clary li fissava. — Uccidere dei

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Demoni Superiori non è così semplice.— Oggi l’ho fatto — disse

Sebastian. — E poi, guarda caso, è ilmotivo per cui nessuno di noi finirà neiguai dopo aver ucciso tutti quei demoniguardiani: ho ucciso il loro capo.

Clary spostò lo sguardo da Jace aSebastian, poi viceversa. Lo sguardo diJace era calmo, interessato; quello diSebastian più intenso.

Era come se stesse cercando dileggerle nel pensiero. — Insomma —fece lei, lentamente, — sono tante leinformazioni da assimilare. E non mipiace l’idea che voi due vi mettiate inquesto genere di pericoli. Ma sonocontenta che vi siete fidati abbastanza dadirmi tutto.

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— Te l’avevo detto — intervenneJace. — Te l’avevo detto che avrebbecapito.

— Non ho mai detto il contrario. —Sebastian parlò senza staccare gli occhida Clary.

Lei deglutì forte. — L’altra notte nonho dormito molto — disse. — Hobisogno di riposare.

— Peccato — fece Sebastian. —Volevo chiederti se ti andava di saliresulla Torre Eiffel. — Aveva lo sguardocupo, indecifrabile. Clary non capiva sestesse scherzando o no. Prima chepotesse rispondere, sentì la mano diJace che scivolava dentro la sua.

— Vengo con te — le disse. —Anch’io non ho dormito bene. — Fece

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un cenno a Sebastian. — Ci vediamo percena.

L’altro sulle prime non reagì.Quando furono quasi ai gradini, lachiamò. — Clary.

Lei si girò, togliendo la mano daquella di Jace. — Cosa?

— La mia sciarpa. — Tese la manoper riaverla.

— Ah, giusto. — Facendo qualchepasso verso di lui, tirò con dita nervosela striscia di tessuto che teneva ancoraannodata al collo. Dopo essere rimasto aguardarla un momento, Sebastian sbuffòd’impazienza e attraversò la stanza agrandi passi per raggiungerla, le lunghegambe che coprivano in fretta tutta ladistanza fra loro. Clary si irrigidì

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quando lui le mise una mano al collo e,con pochi abili gesti, le sciolse il nododella sciarpa. Per un secondo pensò che,prima di scioglierla, avesse esitato,sfiorandole la gola con le dita…

Ricordò quando l’aveva baciatasulla collina, accanto alle rovinebruciate della tenuta dei Fairchild, e dicome lei si era sentita in caduta liberaverso un luogo cupo e abbandonato,perduta e terrorizzata. Si voltòbruscamente e la sciarpa le cadde dalcollo. — Grazie per avermela prestata— gli disse, prima di correre su per lescale, dietro a Jace, senza voltarsi pervedere il fratello che la osservava conla sciarpa in mano e un’espressioneinterrogativa sul viso.

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Simon era in piedi tra le fogliemorte, lo sguardo rivolto in avanti sulsentiero; ancora una volta lo colsel’istinto tutto umano di fare un respiroprofondo. Era a Central Park, vicinoallo Shakespeare Garden. Gli alberiavevano perso quel che restava dellalucentezza autunnale, con l’oro, il verdee il rosso che volgevano al marrone e alnero. Quasi tutti i rami erano spogli.

Toccò di nuovo l’anello al dito.Clary?

Ancora nessuna risposta. Si sentiva imuscoli tesi come corde di violino. Erapassato troppo tempo da quando erariuscito a contattarla con l’anello. Si erapiù volte ripetuto che forse lei stavadormendo, ma niente poteva sciogliere

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quel tremendo nodo di angoscia chesentiva dentro lo stomaco. L’anello eral’unico legame che aveva con Clary, main quel momento non gli sembrònient’altro che un pezzo di metalloinerte.

Lasciò cadere le mani lungo i fianchie avanzò sul sentiero, oltrepassando lestatue e le panchine con incisi i versidelle opere shakespeariane. Dovettecurvare a destra e, all’improvviso, lavide, seduta su una panchina. Guardavadall’altra parte, i capelli scuri raccoltiin una lunga treccia che le scendevasulla schiena. Era completamenteimmobile, aspettava. Aspettava lui.

Simon raddrizzò le spalle e le andòincontro, anche se ogni passo sembrava

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carico di piombo.Lei lo sentì avvicinarsi e si girò, il

volto pallido che sbiancava ancora dipiù mentre lui le si sedeva accanto. —Simon — gli disse in un soffio. — Nonero sicura che saresti venuto.

— Ciao, Rebecca.Lei gli porse una mano e lui la prese,

compiaciuto con se stesso per essersimesso i guanti, quella mattina, così,toccandola, non le avrebbe fatto sentireil gelo della sua pelle. Non era passatomolto dall’ultima volta che l’avevavista, forse quattro mesi, ma sembravagià la fotografia di una personaconosciuta molto tempo prima, benchétutto, in lei, fosse familiare: capelli scurie occhi castani, stessa forma e colore

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dei suoi. Sul naso, una spruzzata dilentiggini. Indossava jeans, una giacca avento giallo canarino, una sciarpa verdecon dei grandi fiori di cotone. Clarydefiniva lo stile di Becky hippie-chic:circa la metà dei suoi vestiti provenivada negozi vintage, l’altra metà se licuciva da sola.

Quando le strinse la mano, gli occhiscuri di lei si riempirono di lacrime. —Sì — gli disse, prendendolo fra lebraccia e stringendolo. Lui la lasciòfare, dandole delle pacche sulle bracciae sulla schiena, goffamente. Quando leisi ritrasse, asciugandosi gli occhi, avevala fronte corrugata. — Dio, hai la facciagelida — gli disse. — Dovresti mettertiuna sciarpa. — Lo guardò con fare

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accusatorio. — Insomma, dove sei statofino adesso?

— Te l’ho detto — fece lui. —Stavo da un amico.

Lei gli rispose con una secca risata.— Okay, Simon, chi vuoi prendere ingiro? Mi dici cosa cavolo stasuccedendo?

— Becky…— Ho chiamato la mamma, prima

del Giorno del Ringraziamento — disseRebecca, guardando davanti a sé, versogli alberi. — Sai, per chiederle chetreno avrei dovuto prendere eccetera. Evuoi sapere cosa mi ha risposto lei? Dinon tornare a casa, perché non cisarebbe stato nessun Giorno delRingraziamento. E così ho chiamato te.

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E tu non hai risposto. Ho richiamato lamamma per chiederle dov’eri e lei… hariattaccato. Mi ha riattaccato, così. Sonotornata a casa, dove ho visto tutte quelleassurdità religiose sulla porta. Ho datodi matto con la mamma e lei mi ha dettoche eri morto. Morto, mio fratello! Hadetto che eri morto e che un mostroaveva preso il tuo posto.

— E tu che cosa hai fatto?— Me la sono data a gambe —

rispose Rebecca. Simon capiva chestava cercando di fare la dura, ma chenella sua voce c’era qualcosa di fragile,spaventato. — Era piuttosto chiaro chela mamma era uscita di testa.

— Ah… — fece Simon. Rebecca esua madre avevano da sempre un

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rapporto travagliato. A sua sorellapiaceva riferirsi alla madre come alla“svitata” o alla “signora matta”. Maquella era la prima volta in cui sentivache stava parlando sul serio.

— Puoi ben dirlo, ah! — gli feceeco Rebecca. — Ho perso la testa. Timandavo un sms ogni cinque minuti.Alla fine ricevo quel cavolo dimessaggio in cui mi dici che stai da unamico. E poi mi vuoi incontrare qui. Madico, Simon? Da quanto va avanti questastoria?

— Da quanto va avanti quale storia?— Cosa credi? La mamma che è

diventata completamente pazza! — Lepiccole dita di Rebecca toccarono lasciarpa. — Dobbiamo fare qualcosa.

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Parlare con qualcuno, dei medici. Farleprendere qualche pastiglia o cose delgenere. Io non sapevo cosa fare, nonsenza di te. Sei mio fratello.

— Non posso — disse Simon. —Cioè, non posso aiutarti.

La voce di lei si ammorbidì. — Loso che è un casino e che tu sei solo allesuperiori, ma, Simon, sono decisioni chedobbiamo prendere insieme.

— Volevo dire che non possoaiutarti a farle prendere delle pastiglie— spiegò lui. — O a portarla da undottore. Perché lei ha ragione. Io sonoun mostro.

La bocca di Rebecca si spalancò. —Ti ha fatto il lavaggio del cervello?

— No…

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La voce le tremava. — Sai, ho anchepensato che magari ti aveva fatto delmale… Dal modo in cui parlava. Ma poimi sono detta, no, non lo farebbe mai,figuriamoci. Se però mi dici che èsuccesso… Se ha mosso anche solo undito contro di te, Simon, aiutami a…

Simon non ce la fece più. Si sfilò unguanto e porse la mano alla sorella. Lei,che gliela teneva sulla spiaggiadell’oceano quando era troppo piccoloper camminare da solo. Lei, che gliaveva tamponato il sangue dopo unallenamento di calcio e asciugato lelacrime dopo che papà era morto e lamamma se ne stava sdraiata in camera afissare il soffitto come uno zombie. Lei,che gli aveva letto le favole quando lui

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dormiva in un letto a forma di auto dacorsa e portava ancora il pigiama atutina. Sono Lorax e parlo per glialberi. Lei, che una volta, per sbaglio,cercando di fare la brava donnina dicasa, gli aveva ristretto tutti i vestitirendendoli adatti soltanto a unabambola. Lei, che gli preparava ilpranzo quando la loro mamma non avevatempo. Rebecca, pensò. L’ultimo legameche doveva tagliare.

— Prendimi la mano — le disse.Sua sorella lo fece e rabbrividì. —

Sei freddissimo! Non stai bene?— No, diciamo di no. — Simon la

guardò, sperando di farle capire che inlui c’era qualcosa che non andava, chenon andava per niente. Lei invece si

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limitava a guardarlo con quei suoifiduciosi occhi castani. Respinse unmoto d’impazienza. In fondo non eracolpa di Rebecca. Lei non sapeva. —Sentimi il polso — le disse.

— Non sono capace, Simon. Studiostoria dell’arte.

Lui allora le si avvicinò, le prese ledita e se le mise sul polso. — Premi qui.Senti niente?

Per un momento lei rimase ferma,con la frangia che le oscillava sullafronte. — No. Dovrei?

— Becky… — Ritrasse il polso,frustrato. Non c’erano altre soluzioni.Soltanto una. — Guardami — le disse, equando gli occhi di lei furono sul suoviso, lasciò scendere i canini.

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Lei gridò.Gridò e cadde dalla panchina sopra

uno strato compatto di foglie e terriccio.Diversi passanti li guardaronoincuriositi, ma erano a New York,perciò non si fermarono né li fissarono,continuando semplicemente per la lorostrada.

Simon era disperato. Lo avevavoluto lui, ma tutto era diverso, ora chela vedeva acquattata a terra, così pallidache le lentiggini sul suo viso spiccavanocome chiazze d’inchiostro, e con unamano sopra la bocca. Proprio la stessacosa successa con sua madre. Ricordòdi aver detto a Clary che non c’erasensazione peggiore di non fidarsi dellepersone a cui volevi bene. Si era

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sbagliato. Far paura alle persone a cuivolevi bene, quello era ancora peggio.— Rebecca — le disse, e la voce gli siruppe. — Becks…

Lei scosse la testa, la mano ancorasopra la bocca. Era seduta in mezzo allasporcizia, la sciarpa che strisciava inmezzo alle foglie. In altre circostanze,avrebbe potuto essere una scenadivertente.

Simon scese dalla panchina e le siinginocchiò accanto. I canini eranospariti, ma lei lo guardava come se cifossero ancora. Con molta esitazione,allungò una mano e la toccò sulla spalla.— Becks — le disse. — Non ti fareimai del male. E nemmeno alla mamma.Volevo solo vederti un’ultima volta per

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dirti che vado via e che non dovrairivedermi. Vi lascerò in pace, tutte edue. Potrete festeggiare ilRingraziamento, non mi farò vedere.Non cercherò di mantenere i contatti.Non…

— Simon. — Lei gli prese ilbraccio, poi lo tirò verso di sé, come unpesce all’amo. Lui per poco non lecadde addosso, e lei lo abbracciòstringendolo forte. L’ultima volta che loaveva stretto in quel modo era stato ilgiorno del funerale di loro padre,quando aveva pianto come si piange conla sensazione di non poter smettere mai.— Io non voglio non rivederti mai più.

— Ah — fece Simon. Si sedette perterra, talmente sorpreso che la mente gli

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si era azzerata. Rebecca gli mise dinuovo le braccia attorno al corpo e lui lesi appoggiò contro, sebbene lei fossepiù esile. Lo aveva sorretto quandoerano bambini, riusciva a farlo ancora.— Pensavo di sì.

— Perché?— Sono un vampiro — disse Simon.

Era strano sentirlo. Così, ad alta voce.— Quindi i vampiri esistono?— E i lupi mannari. E altre creature

ancora più strane. Questa cosa… èsuccessa. Voglio dire, sono statoattaccato. Non l’ho scelta, ma non conta.Ora io sono così.

— Ma tu… — Rebecca esitò, eSimon sentiva che stava per arrivare ladomanda da un milione di dollari, quella

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che contava veramente. — Mordi lepersone?

Simon ripensò a Isabelle, ma siaffrettò a cancellare subitoquell’immagine dalla testa. E ho morsouna tredicenne. E un tizio. Non è stranocome sembra. No. C’erano cose che nonerano affari di sua sorella. — Bevosangue in bottiglia. Sangue animale. Nonfaccio male alle persone.

— Okay. — Rebecca fece un respiroprofondo. — Okay.

— Davvero? Davvero per te è okay?— Sì. Io ti voglio bene — gli

rispose. Gli sfregò la schiena, un po’impacciata. Lui si sentì qualcosa diumido sulla mano e abbassò lo sguardo.Rebecca stava piangendo, e una delle

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sue lacrime era andata a infrangersisulle sue dita. Ne seguì un’altra, e lui laracchiuse nella mano. Stava tremando,ma non dal freddo; lei si tolse comunquela sciarpa e la usò per circondareentrambi. — Ci penseremo — disse. —Tu sei il mio fratellino, stupido idiota.Ti voglio bene, senza condizioni.

Rimasero seduti insieme, spalla aspalla, con lo sguardo perso nelle zoned’ombra fra gli alberi.

La camera di Jace era luminosa, coiraggi del sole di mezzogiorno che siriversavano dalle finestre aperte.Nell’istante in cui Clary entrò, facendoscricchiolare il pavimento di legno coitacchi degli stivali, lui si chiuse la portaa chiave dietro le spalle. Ci fu uno

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sferragliare metallico quando appoggiò icoltelli sul comodino. Lei fece pergirarsi e chiedergli se stava bene,quando lui la prese per la vita e la tirò asé.

Gli stivali le facevano guadagnarequalche centimetro, ma lui dovevacomunque piegarsi per baciarla. Le suemani, sulla vita, la sollevarono e lapremettero contro di lui. Un secondodopo, Jace aveva la bocca sopra la sua,facendole dimenticare qualsiasiproblema di statura o imbarazzo. Sapevadi sale e di fuoco. Cercò di escluderetutto tranne i sensi: l’odore familiaredella sua pelle e del sudore, il freddodei capelli umidi sulla guancia, la formadelle spalle e della schiena sotto le sue

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mani, il modo in cui il proprio corpoaderiva al suo.

Jace le tolse il maglione da sopra latesta. Aveva una maglietta a manichecorte, e sulla pelle sentì il calore che ilsuo corpo emanava. Le dischiuse lelabbra con le proprie, e si sentì morirequando la mano di lui le scivolò sulprimo bottone dei jeans.

Ci volle tutto l’autocontrollo cheaveva per prendergli il polso con unamano e trattenerlo. — Jace — gli disse.— No.

Lui si ritrasse, abbastanza perché leipotesse vederlo in faccia. Aveva losguardo vitreo, perso. Il cuore glibatteva contro il suo. — Perché?

Lei chiuse forte gli occhi. — La

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scorsa notte, se non fossimo… se nonfossi svenuta, non so cosa sarebbesuccesso. Ed eravamo in una sala pienadi gente. Pensi davvero che vorrei che lamia prima volta con te, o qualsiasi voltacon te, potesse essere davanti a ungruppo di sconosciuti?

— Non è stata colpa nostra — disselui, spingendole dolcemente le dita fra icapelli. Il palmo ruvido della mano legraffiò leggermente la guancia. —Quella roba argentata era droga di fate,te l’ho detto. Eravamo completamentefuori. Adesso però io sono lucido, tu seilucida…

— E Sebastian è al piano di sotto, eio sono stanchissima, e… — E sarebbeun’idea pessima, pessima, di cui ci

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pentiremmo entrambi.— Non ti va? — C’era scetticismo

nella sua voce.— Mi dispiace che nessuna te lo

abbia mai detto prima, Jace, ma larisposta è no. Non mi va. — Guardòfissa la mano di lui, ancora ferma sulbottone dei jeans. — E adesso mi vaancora di meno.

Lui sollevò entrambe lesopracciglia, ma invece di parlare silimitò a lasciare la presa.

— Jace…— Andrò a farmi una doccia fredda

— le disse allontanandosi. Avevaun’espressione distaccata,impenetrabile. Quando la porta delbagno si richiuse sbattendo alle sue

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spalle, Clary si avvicinò al letto, rifattoalla perfezione e senza residui d’argentosulle coperte, e ci affondò dentro,prendendosi la testa fra le mani. Non erala prima volta che lei e Jace litigavano;aveva sempre pensato che lo facesserocome tutte le coppie normali, in generecon le migliori intenzioni, e non eranomai rimasti arrabbiati l’uno con l’altrain maniera significativa. Ma adessoc’era qualcosa nella freddezza negliocchi di Jace che la faceva tremare,qualcosa di distante e irraggiungibileche rendeva difficile come non mairimuovere la domanda sempre presentenei suoi pensieri: C’è ancora qualcosadel vero Jace? È rimasto qualcosa dasalvare?

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Ora questa è la legge della giunglaantica e vera come il cielo.Il lupo che la osserverà avrà vita

prospera,ma quello che la infrangerà dovrà

morirecome la liana cinge il tronco

dell’alberola legge corre avanti e indietro.Perché la forza del branco è il lupoe la forza del lupo è il branco.Jordan fissava, senza guardarla, la

poesia incollata al muro di camera sua.Era una stampa antica trovata in unnegozio di libri usati, con le parolecircondate da un’elaborata cornice difoglie.

Era di Rudyard Kipling e le sue

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parole riassumevano così bene le regolesecondo le quali vivevano i lupimannari, la “legge” che vincolava leloro azioni, da spingerlo a chiedersi senon fosse stato lui stesso un Nascosto, oquantomeno al corrente degli Accordi.Jordan aveva sentito l’impulso dicomprare la stampa e appenderla almuro, anche se non era mai stato ungrande appassionato di poesia.

Camminava avanti e indietro percasa da un’ora, a volte guardando ilcellulare per vedere se Maia gli avevascritto, intervallando il tutto con regolariaperture del frigorifero per controllarese fosse comparso qualcosa degno diessere mangiato. Non fu così, ma nonvoleva uscire a fare la spesa, perché

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magari lei sarebbe tornata propriomentre lui era fuori. Fece anche unadoccia, pulì la cucina, cercò di guardareun po’ di televisione senza riuscirci ecominciò a riordinare tutti i DVD inbase al colore.

Non trovava pace. Proprio come glicapitava, a volte, davanti alla lunapiena, consapevole che latrasformazione stava per arrivare,sentendo la forza della corrente delsangue. Ma ora la luna era calante, noncrescente. E non era la trasformazione afarlo sentire come se fosse sul punto disgusciare fuori dalla propria pelle. EraMaia. Era il fatto di stare senza di lei,dopo quasi due giorni interi passatiinsieme mai più distanti di pochi passi.

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Era andata alla centrale di poliziasenza di lui, dicendo che non era ilmomento di turbare il branco con un nonmembro, anche se Luke si stavariprendendo. Aveva detto che la suapresenza non era necessaria, dato che leinon doveva far altro che chiedere a Lukese il giorno dopo Simon e Magnuspotevano andare alla sua fattoria; poiavrebbe telefonato là e chiesto aimembri del branco eventualmentepresenti di andarsene al più presto.Jordan sapeva che aveva ragione. Nonc’era motivo che lui la seguisse, eppure,nel momento in cui se n’era andata, siera fatto prendere dall’inquietudine. Lofaceva perché si era stancata di starecon lui? Ci aveva ripensato e aveva

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deciso di tornare alla sua vecchiaopinione? E cosa stava succedendo traloro? Erano due che si frequentavano?Forse avresti dovuto chiederglieloprima di dormire con lei, genio, si disserendendosi conto di essere perl’ennesima volta in piedi davanti alfrigorifero. Il contenuto non eracambiato: bottiglie di sangue, mezzochilo di carne macinata che scongelava,una mela morsicata.

La chiave girò nella toppa dellaporta d’ingresso, spingendo Jordan asaltare via dal frigorifero e a voltarsi dicolpo. Si guardò: era a piedi nudi, con ijeans e una vecchia maglietta. Perché,mentre lei era via, non ne avevaapprofittato per farsi la barba, darsi una

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sistemata, mettersi un po’ di colonia ofare qualsiasi altra cosa? Si passò infretta le mani fra i capelli mentre Maiaentrava in salotto, appoggiando la suacopia del mazzo di chiavi sul tavolino.Aveva le guance rosa per il freddo, lelabbra rosse e gli occhi luminosi. Ildesiderio di baciarla era così forte dafargli male.

Invece deglutì.— Allora? Come è andata?— Bene. Magnus può usare la

fattoria. Gli ho già mandato unmessaggio. — Si avvicinò a Jordan eappoggiò i gomiti sul bancone dellacucina. — Ho anche riferito a Lukequello che ha detto Raphael su Maureen.Spero non ci siano problemi.

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Jordan rimase perplesso. — Perchéhai pensato che doveva saperlo?

Fu come se lei si sgonfiasse. —Oddio. Non mi dire che dovevarimanere un segreto.

— No, è che mi chiedevo…— Be’, se c’è davvero un vampiro

fuorilegge che si aggira per LowerManhattan, il branco deve esserne alcorrente. È il loro territorio. E poivolevo il suo consiglio per sapere sedirlo a Simon oppure no.

— E il mio, di consiglio? — Jordanstava facendo finta di fare l’offeso, mauna piccola parte di lui parlava sulserio. Avevano già discusso inprecedenza l’opportunità che Jordaninformasse Simon dei guai causati da

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Maureen, temendo che sarebbe statotroppo, considerato quello che già stavapassando. Alla fine Jordan aveva decisoche era meglio tacere, anche perchéSimon non avrebbe potuto farci niente,mentre Maia era rimasta nel dubbio.

La ragazza saltò sul bancone e sigirò per guardare Jordan in faccia.Seduta in quella posizione, adesso erapiù alta di lui e i suoi occhi castaniluccicavano dentro ai suoi. — Volevo ilconsiglio di un adulto.

Lui le afferrò le gambe cheoscillavano e fece scorrere le mani super la cucitura dei jeans. — Ho diciottoanni… Non sono abbastanza adulto perte?

Lei gli mise le mani sulle spalle e le

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piegò all’indietro, come per verificarnela muscolatura. — Be’, di certo seicresciuto…

Jordan la tirò giù dal bancone,prendendola per la vita e baciandola.Dentro gli si accese un fuoco che sipropagò in tutte le vene quando leirispose al suo bacio, abbandonando ilproprio corpo contro il suo. Le fecescivolare le mani fra i riccioli,togliendole il cappello e liberando lachioma selvaggia. Le baciò il collomentre lei gli toglieva la maglietta dallatesta e gli faceva scorrere le mani sututto il corpo, spalle, schiena e braccia,facendo le fusa come un gatto. Jordan sisentiva come un pallone di elio: inascesa verso l’alto grazie ai baci di lei e

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leggero per il sollievo. Allora, in fondo,Maia non si era già stancata di lui.

— Jordy — gli disse. — Aspetta.Non lo chiamava quasi mai così, se

non c’era di mezzo qualcosa di serio. Ilbattito cardiaco, già impazzito, gliaccelerò ancora di più. — Cosa c’è?

— È solo che… Se ogni volta che civediamo, finiamo a letto… Lo so che hoiniziato io, non ti sto accusando néniente… Ma è solo che forse dovremmoanche parlare.

Lui la guardò, guardò i suoi grandiocchi scuri, il sangue che le pulsava nelcollo, il rossore sulle guance. Fece unosforzo per parlare in tono composto. —Okay. Di cosa vuoi parlare?

Lei lo guardò e basta. Dopo un

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istante scosse la testa e disse: — Diniente. — Gli intrecciò le mani dietro latesta e se lo tirò vicino, baciandoloappassionatamente, aderendo con tutto ilcorpo contro il suo. — Proprio diniente.

Clary non seppe quanto tempo civolle prima che Jace uscisse dal bagnoasciugandosi i capelli con una salvietta.Lo guardò da dove si trovava, seduta sulbordo del letto. Lui si stava infilandouna maglietta azzurra sulla pellemorbida e dorata, segnata da cicatricibianche.

Clary distolse subito lo sguardomentre lui attraversava la stanza e le sisedeva accanto, emanando odore disapone.

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— Scusami — le disse.A quel punto lei lo guardò, sorpresa.

Si era chiesta se fosse capace dichiedere scusa, nello stato in cui era.Aveva l’espressione seria, forse un po’curiosa, ma non disonesta.

— Wow — fece lei. — Quelladoccia fredda deve essere stata brutale.

Le labbra di lui salirono agli angoli,ma l’espressione tornò seria quasiimmediatamente. Le mise una mano sottoil mento. — Non avrei dovuto forzarti. Èsolo che… dieci settimane fa, anchesolo stringersi sarebbe statoimpensabile.

— Lo so.Le prese il viso fra le mani, le sue

lunghe dita fredde contro le guance, e

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glielo sollevò. La stava guardando etutto, in lui, le era familiare: le iridi orochiaro degli occhi, la cicatrice sullaguancia, il labbro inferiore carnoso, laleggera scheggiatura del dente graziealla quale i suoi lineamenti non eranocosì perfetti da risultare noiosi…Eppure, in un certo senso, era cometornare in una casa dove aveva vissutoda bambina e sapere che, anche sel’esterno era lo stesso, dentro ora civiveva un’altra famiglia. — Non miimportava — disse. — Ti volevo lostesso. Ti ho sempre voluto. Per me eril’unica cosa che contava. Sempre.

Clary deglutì. Lo stomaco le sicontorse, non per le solite farfalle chesentiva quando c’era Jace attorno, ma

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per un autentico senso di disagio.— Ma Jace, non è vero. Ti

importava anche della tua famiglia. E…ho sempre pensato che tu fossiorgoglioso di essere un Nephilim. Unodegli angeli.

— Orgoglioso? — ripeté lui. — Diessere mezzo angelo e mezzo umano…Si è sempre consapevoli della propriainadeguatezza. Non sono un angelo. Nonsono un prediletto del Paradiso. ARaziel non importa di noi, non possiamonemmeno pregarlo. Non preghiamoniente. Preghiamo per niente. Ricordiquando ti ho detto che forse avevosangue di demone, perché questoavrebbe spiegato come mai, con te, misentivo così? Per certi versi, crederlo è

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stato un sollievo. Non sono mai stato unangelo, non ci sono mai andato nemmenovicino. Be’… — fece una pausa —magari uno di quelli caduti.

— Gli angeli caduti sono demoni.— Non voglio essere un Nephilim

— le disse. — Voglio esserequalcos’altro. Più forte, più veloce,migliore di un umano. Ma diverso. Nonservire le Leggi di un angelo a cui, dinoi, non importa un accidente. Voglioessere libero. — Le passò una manodentro un ricciolo. — Adesso sonofelice, Clary. Non fa la differenza?

— Pensavo che fossimo feliciinsieme — disse lei.

— Con te sono sempre stato felice— rispose Jace. — Ma non ho mai

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pensato di meritarmelo.— E adesso invece sì?— E adesso quella sensazione è

sparita. Io so soltanto che ti amo. E, perla prima volta, mi basta.

Clary chiuse gli occhi. Un secondodopo lui la stava baciando ancora,stavolta molto dolcemente, con la boccache tracciava il contorno della sua. Sentìse stessa cedere sotto le mani di lui. Sene accorse quando il respiro di Jaceaccelerò e le sue stesse pulsazionifecero un balzo. Le mani di Jace lestavano accarezzando i capelli, laschiena, la vita. Il suo tocco era unaconsolazione, il suo battito cardiacocontro il proprio una musica familiare, ese anche la tonalità era leggermente

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diversa, con gli occhi chiusi non potevaesserne davvero sicura. Sotto la pelleavevano lo stesso sangue, pensò, comeaveva detto la Regina Seelie; il suocuore correva quando lo faceva quellodi lui, ed era stato sul punto di imitarloanche la volta in cui si era fermato. Seavesse dovuto rifare tutto da capo, sottolo sguardo spietato di Raziel, si sarebbecomportata allo stesso modo.

Questa volta fu lui a ritrarsi,lasciando che le dita indugiasseroancora sulla guancia e sulle labbra dilei. — Voglio quello che vuoi tu — ledisse. — E quando lo vuoi tu.

Clary sentì un brivido percorrerle laschiena. Le parole erano semplici, mal’intonazione nascondeva un invito

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pericoloso e seducente. Qualsiasi cosavuoi, quando lo vuoi. Le mani lelisciarono i capelli, la schiena,indugiarono sulla vita. Clary deglutì.Quasi non ce la faceva più.

— Leggimi qualcosa — gli disseall’improvviso.

Lui la guardò perplesso. — Eh?Clary rivolse lo sguardo oltre Jace,

verso i libri sul comodino. — Non èfacile. Le parole di Sebastian, quelloche è successo l’altra notte, tutto. Hobisogno di dormire, ma sono troppoagitata. Quando ero piccola e nonriuscivo a prendere sonno, mia madre mileggeva sempre qualcosa per farmirilassare.

— E adesso ti ricordo tua madre?

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Mi dovrò cercare un’acqua di coloniapiù maschile…

— No, è solo che… pensavo chepoteva essere una cosa carina!

Jace si appoggiò ai cuscini,allungando un braccio verso i libri sulcomodino. — Qualcosa in particolareche ti va di sentire? — Con un gestoteatrale sollevò il primo libro della pila.Aveva un aspetto antico, con lacopertina di pelle, le lettere del titolostampate a caratteri d’oro. Le due città.— Dickens promette sempre bene…

— Già letto. A scuola — ricordòClary. Si appoggiò anche lei ai cuscini,accanto a Jace. — Ma non me lo ricordoper niente, quindi non mi dispiacerebberisentire la storia.

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— Perfetto. Mi hanno detto che houna notevole voce da lettura melodica.— Aprì il libro alla prima pagina, doveil titolo era in caratteri corsivi. Sottoc’era una lunga dedica, con l’inchiostroormai sbiadito e appena leggibile, ma lafirma era chiara: Finalmente consperanza, William Herondale.

— Qualche tuo antenato — disseClary, accarezzando la pagina con ledita.

— Sì. Lo aveva quel pazzo diValentine. Deve averglielo dato miopadre. — Jace aprì una pagina a caso ecominciò a leggere:

Dopo un po’ si tolse la mano dagliocchi, e parlò con fermezza.

“Non abbiate timore di udirmi. Non

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vi ritraete da quello che vi dico. Iosono come uno che è morto giovane.Tutta la mia vita potrebbe essere giàstata.”

“No, signor Carton. Io sono certache la parte migliore della vostra vitapotrebbe ancora essere; sono certa chevoi potreste esser molto, molto piùdegno di voi.”

— Ah, ora ricordo la storia! — feceClary. — Un triangolo amoroso. Leisceglie quello noioso.

Jace ridacchiò piano. — Noioso perte. Chi lo sa che cosa scaldava lesignore vittoriane sotto le sottane.

— È vero, sai.— Cosa, delle sottane?— No. Che hai una voce da lettura

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notevole. — Clary si nascose il visocontro la spalla di lui. Erano quelli, piùche quando la baciava, i momenti che lefacevano più male. I momenti in cui luiavrebbe potuto essere il suo Jace.Purché continuasse a tenere gli occhichiusi.

— Quello, oltre ad addominalid’acciaio — puntualizzò lui voltandoun’altra pagina. — Che vuoi di più?

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capitolo 17

COMMIATO

Mentre passeggiavo lungo labanchina

E ormai lontana era la mattinaHo sentito una bella fanciulla

parlare:“Ahimè, non mi riesco a svagare.”Un menestrello udì la sua voceE in suo aiuto corse veloce…— Dobbiamo continuare ad

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ascoltare questa lagna? — chieseIsabelle, con un piede infilato nellostivale che tamburellava sul cruscottodel furgone di Jordan.

— Per tua informazione, ragazzamia, a me questa lagna piace. E dato chesono io a guidare, sono anche io ascegliere — replicò Magnus, altezzoso.In effetti stava guidando. Simon erarimasto sorpreso che ne fosse capace,anche se non sapeva bene perché. Infondo viveva da secoli: di certo avevatrovato il tempo per inserire qualchesettimana di lezioni di guida. In ognicaso, non poté fare a meno di chiedersiche data c’era scritta sulla sua patente.

Isabelle fece roteare gli occhi,probabilmente perché nell’abitacolo del

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furgone non c’era abbastanza spazio perfare altro, con loro quattro schiacciatil’uno contro l’altro sul sedile. A dire ilvero, Simon non si aspettava di vederlacon loro. Anzi, non si aspettava lapresenza di nessuno fuorché di Magnus.Invece Alec aveva subito insistito peraccompagnarli (con grande disappuntodi Magnus, che considerava l’interafaccenda “troppo pericolosa”), poi,proprio mentre lo stregone stavaavviando il motore del furgone, Isabelleera scesa di corsa dalle scale delpalazzo e si era precipitata fuori dalportone ansimando. — Vengo anch’io!— aveva annunciato.

E così era stato. Nessuno avevapotuto opporsi o dissuaderla. Durante le

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sue insistenze, Isabelle non avevaguardato Simon, né spiegato il motivoper cui voleva seguirli, ma alla finel’aveva spuntata, e adesso eccola lì.Indossava un paio di jeans e una giaccadi velluto viola, probabilmente rubatadall’armadio di Magnus. Attorno aifianchi stretti, la cintura con le armi. Erapremuta contro Simon, a sua voltapremuto contro la portiera del furgone.Una ciocca di capelli le volava libera,solleticandole il viso.

— Che cos’è, comunque? — chieseAlec guardando perplesso il lettore CD,che funzionava pur non contenendonessun disco. Magnus si era limitato atoccare l’impianto con un dito che avevalanciato un lampo azzurro, facendolo

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funzionare. — Una band di fate?Magnus non rispose, ma il livello

del volume aumentò.Subito allo specchio andòE i suoi capelli d’ebano acconciòPer il vestito molti soldi sborsòUn bel fusto sperava di incontrareE all’alba i gracili piedi le

facevano maleMa tutti i ragazzi, ahi lei, erano

gay.Isabelle sbuffò. — Tutti i ragazzi

sono gay. Su questo furgone, almeno.Ah, non tu, Simon.

— Te ne sei accorta — fece lui.— Io mi considero un bisessuale

disinvolto — puntualizzò Magnus.— Ti prego, non usare mai questa

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definizione davanti ai miei genitori —gli disse Alec. — Specialmente a miopadre.

— Pensavo che i tuoi genitori nonavessero problemi con… sì, con il tuocoming out — intervenne Simon,sporgendosi oltre Isabelle per guardareAlec che, come spesso succedeva,aveva le sopracciglia aggrottate e sistava togliendo il ciuffo di capelli neridagli occhi. A parte qualche battuta quae là, Simon non gli aveva mai parlatomolto. Non era una persona facile daconoscere. Doveva però ammettere che,dopo l’allontanamento da sua madre, oraera più curioso di sentire la risposta diAlec.

— Mia madre sembra averlo

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accettato — disse l’altro. — Ma miopadre… no, in realtà no. Una volta mi hachiesto cos’era stato, secondo me, afarmi diventare gay.

Simon sentì Isabelle irrigidirsiaccanto a sé. — A farti diventare gay?!— era incredula. — Alec, non me loavevi mai detto.

— Spero gli avrai risposto che èstato un ragno gay — disse Simon.

Magnus sbuffò, Isabelle aveva l’ariaperplessa. — Ho letto la raccolta difumetti di Magnus — disse Alec. —Quindi so di cosa stai parlando. — Unsorriso gli fece capolino sulle labbra. —Dici che mi dà la gaytudineproporzionale di un ragno?

— Solo se fosse un ragno davvero

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gay — disse Magnus, lanciando unostrillo quando Alec gli diede un pugnosul braccio. — Okay, okay, come nondetto.

— Be’, in ogni caso — intervenneIsabelle, chiaramente irritata per nonaver capito la battuta, — non torneràcomunque da Idris.

Alec fece un sospiro. — Mi dispiacedi aver distrutto la tua immagine difamiglia felice. So che ti piacerebbepensare che nostro padre non abbiaproblemi con la mia omosessualità, manon è così.

— Ma, se quando la gente ti dice ofa certe cose che ti feriscono, tu non melo vieni a dire, io come faccio adaiutarti?

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Simon sentiva l’agitazione diIsabelle vibrarle per tutto il corpo. —Come posso…

— Iz — disse Alec, stancamente. —Non è un unico episodio macroscopico.Sono tante piccole cose invisibili.Mentre io e Magnus eravamo in viaggioe io telefonavo, papà non ha mai chiestocome stava lui. Quando mi alzo perparlare nelle riunioni del Conclave,nessuno mi ascolta, e non so se è perchésono giovane o per qualche altro motivo.Ho visto la mamma che parlava conun’amica dei suoi nipoti e, nell’esattoistante in cui sono arrivato io, hannosmesso. Irina Cartwright mi ha detto cheè un peccato se nessuno erediterà mai imiei occhi azzurri. — Fece un’alzata di

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spalle e guardò Magnus, che per unattimo tolse una mano dal volante permetterla su quella di Alec. — Non ècome una ferita di pugnale da cuipotresti proteggermi. Sono milioni dipiccoli graffi che ti fai con la carta, tuttii giorni.

— Alec… — fece per dire Isabelle.Ma prima che potesse aggiungere altro,all’orizzonte comparve un cartello dilegno a forma di freccia con la scrittaFATTORIA TRE FRECCE. Simonricordò Luke, inginocchiato sulpavimento della fattoria, che dipingevacon cura le lettere, mentre Claryaggiungeva i fiori lungo il bordoinferiore, ormai scoloriti e quasiinvisibili.

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— Gira a sinistra — disse,allungando un braccio e rischiando dicolpire Alec. — Magnus, siamo arrivati.

C’erano voluti diversi capitoli diDickens prima che Clary cedessefinalmente alla stanchezza e siaddormentasse sulla spalla di Jace. Ametà fra il sogno e la realtà, ricordavache a un certo punto lui l’aveva portatain braccio giù per le scale, mettendolanella stanza dove si era svegliata ilprimo giorno, in quella casa. Avevatirato le tende e chiuso la porta dietro disé, lasciando la stanza al buio, e lei siera addormentata al suono della suavoce che nel corridoio chiamavaSebastian.

Sognò di nuovo il lago ghiacciato,

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Simon che gridava il suo nome e unacittà come Alicante, solo che le torridemoniache erano fatte di ossa umane enei canali scorreva sangue. Si alzò in unintrico di lenzuola, i capelli un ammassodisordinato e la luce fuori dalla finestradebole come il chiarore del crepuscolo.All’inizio pensò che le voci che sisentivano in corridoio facessero partedel sogno, ma quando divennero piùforti alzò la testa per ascoltare, ancoraintontita e mezza intrappolata nella retedel sonno.

— Ehi, fratellino. — Era la voce diSebastian, che dal salotto si infiltravasotto la porta di camera sua. — Finito?

Seguì un lungo silenzio. Poi la vocedi Jace, stranamente neutra, priva di

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espressione. — Sì.Sentì Sebastian trattenere il fiato. —

E la vecchia signora… ha fatto quelloche le avevamo chiesto? Ha creato lacoppa?

— Sì.— Fammela vedere.Un fruscio. Poi silenzio. Jace che

diceva: — Guarda, prendila, se vuoi.— No. — Il tono di Sebastian era

stranamente pensieroso. — Tienila pureun attimo. Dopotutto sei stato tu arecuperarla, giusto?

— Ma il piano è stato tuo. — Nellavoce di Jace c’era qualcosa, qualcosache spinse Clary a sporgersi in avanti ea premere l’orecchio contro la parete,improvvisamente desiderosa di sapere

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di più. — E io l’ho eseguito, propriocome volevi tu. Ora, se non tidispiace…

— Mi dispiace. — Si sentì unfruscio. Clary immaginò Sebastian che sialzava, abbassando lo sguardo su Jacedi quel paio di centimetri che liseparavano in altezza. — C’è qualcosache non va. Lo sento. Riesco a leggerti,sai?

— Sono stanco. E c’è stato moltosangue. Senti, devo darmi una ripulita epoi andare a dormire. E… — la voce diJace si smorzò.

— E vedere mia sorella.— Mi piacerebbe vederla, sì.— Dorme. Da ore.— Devo chiederti il permesso? —

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La domanda aveva un che di tagliente,una nota che ricordò a Clary il modo incui un tempo aveva parlato a Valentine.Qualcosa che non gli sentiva usare conSebastian da molto, molto tempo.

— No. — Sebastian sembravasorpreso, quasi preso in contropiede. —Se vuoi entrare in camera e restare afissarla trasognato, fai pure. Non capiròmai perché…

— No — lo interruppe Jace. — Noncapirai mai.

Scese il silenzio. Clary riusciva aimmaginarsi talmente bene Sebastianmentre guardava Jace andarsene,l’espressione stupita, che le ci volle unmomento prima di rendersi conto cheprobabilmente lui stava per entrare in

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camera. Fece appena in tempo asdraiarsi sul letto e a chiudere gli occhiprima che la porta si aprisse, lasciandoentrare uno spicchio di luce giallastrache per un istante la accecò. Fece quellache sperava fosse la smorfia realisticadi chi si sveglia e rotolò di lato,coprendosi il viso con una mano. —Cosa…?

La porta si chiuse. La stanza era dinuovo al buio. Vedeva Jace soltantocome un’ombra che si avvicinavalentamente al letto, finché non fu in piedidavanti a lei. Non poté fare a meno diricordare un’altra notte in cui lui eraentrato in camera sua mentre leidormiva.

Era accanto al letto, e indossava

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ancora gli abiti da lutto. E non c’eraniente di leggero, sarcastico odistaccato nel modo in cui la guardava.Ho girato per tutta la notte, nonriuscivo a dormire e… continuavo aritrovarmi qui. Da te.

Adesso Jace era soltanto unasagoma, una sagoma con i capelli lucentiche brillavano al debole chiarore chefiltrava da sotto la porta. — Clary —sussurrò. Si sentì un tonfo, e Clary capìche lui doveva essere caduto inginocchio accanto al letto. — Clary,sono io. Io!

Spalancò le palpebre e i loro occhisi incontrarono. Lo fissò. Inginocchiatoaccanto al letto, Jace aveva lo sguardoalla stessa altezza del suo. Indossava un

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lungo cappotto di lana scura,abbottonato fino al collo, dovespuntavano marchi neri – Silenzio,Agilità, Accuratezza – che gli formavanouna specie di collana sulla pelle. Avevagli occhi di colore oro intenso e moltograndi. Come se riuscisse a penetrarli,Clary vide Jace. Il suo Jace. Quel Jaceche l’aveva presa fra le braccia quandolei stava quasi per morire per il velenodel demone Ravener; quel Jace chel’aveva guardata mentre sostenevaSimon contro la luce dell’alba, sull’EastRiver; quel Jace che le aveva raccontatodel ragazzino e del falco che suo padreaveva ucciso. Quel Jace che lei amava.

Fu come se il cuore le si fermasse dicolpo. Non riusciva nemmeno a far

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uscire l’aria dai polmoni.Lo sguardo di lui era colmo di

impazienza e dolore. — Ti prego —mormorò. — Ti prego, credimi.

Lei gli credeva. Avevano lo stessosangue, amavano allo stesso modo:quello era il suo Jace, così come le suemani erano le sue mani e il suo cuore ilsuo cuore. Ma… — Come?

— Clary, ssst…Lei fece per mettersi a sedere, ma lui

la prese per le spalle e la spinse dinuovo contro il letto. — Adesso nonpossiamo parlare. Devo andare.

Clary gli prese la manica, lo sentìtrasalire. — Non mi lasciare.

Jace abbassò la testa solo per unistante. Quando rialzò lo sguardo, i suoi

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occhi erano asciutti, ma conun’espressione che la spinse a tacere. —Aspetta qualche minuto dopo che me nesarò andato — le sussurrò. — Poi corrifuori e sali in camera mia. Sebastian nondeve sapere che siamo insieme. Nonstanotte. — Si rimise in piedi, gli occhisupplicanti. — Non farti sentire.

Clary si sedette. — Il tuo stilo.Lasciami il tuo stilo.

Il dubbio passò negli occhi di Jace;lei sostenne il suo sguardo condecisione, poi distese una mano. Unistante dopo lui estrasse dalla tasca lostrumento dal bagliore offuscato. Glielomise sul palmo della mano. Per unsecondo si sfiorarono, pelle contropelle, e Clary rabbrividì. Anche il tocco

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più leggero di quel Jace era quasipotente quanto tutti i baci e gli abbraccipassionali della notte in discoteca.Sapeva che anche lui provava lo stesso,perché lo vide ritrarre la mano di scattoe indietreggiare verso la porta. Sentivail suo respiro, rapido e irregolare. Luiarmeggiò con la maniglia senza voltarsie uscì, tenendo gli occhi sul viso diClary fino all’ultimo istante, quando laporta si chiuse fra di loro con uno scattodeciso.

Rimase seduta al buio, sconvolta.Aveva la sensazione che il sangue le sifosse raggrumato nelle vene e che ilcuore dovesse faticare il doppio percontinuare a battere. Jace. Il mio Jace.

La mano le si strinse attorno allo

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stilo. Fu come se qualcosa, la sua freddadurezza, la facesse concentrare, dandolucidità ai suoi pensieri. Si guardò.Indossava maglietta e pantaloncini delpigiama; sulle braccia aveva la pelled’oca, ma non per colpa del freddo. Siappoggiò la punta dello stilo nella parteinterna del braccio e la fece scorrerelentamente sulla pelle, guardandosimentre una runa del Silenzio leavvolgeva a spirale l’incarnato bianco esegnato da vene bluastre.

Aprì soltanto uno spiraglio di porta.Sebastian se n’era andato, moltoprobabilmente a dormire. Le cassedell’impianto audio mandavano unamusica sommessa; qualcosa di classico,il genere di composizioni per pianoforte

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che piacevano a Jace. Si chiese se ancheSebastian avesse i suoi stessi gusti, oanche solo se gli piacesse la musica. Lesembrava una capacità così umana…

Malgrado la preoccupazione perdove fosse andato Jace, i piedi laportarono verso il corridoio che dava incucina; poi si trovò ad attraversare ilsalotto e a correre su per i gradini divetro, con i piedi che non fecero rumorequando raggiunsero la cima delle scale ela slanciarono rapida lungo il corridoio,verso la stanza di Jace. Aprì la porta evi scivolò dentro, chiudendola di scattoalle proprie spalle.

Le finestre erano aperte; si vedevanoi tetti delle case e uno spicchio ricurvodi luna, una perfetta notte parigina.

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La pietra runica di stregaluce di Jaceera appoggiata sul comodino accanto alletto. Emanava una debole energia checontribuiva a rischiarare ulteriormentela stanza. C’era abbastanza luce perchéClary riuscisse a vedere Jace, in piedifra due lunghe finestre. Si era tolto ilcappotto nero, che ora giaceva ai suoipiedi in un ammasso raggomitolato. Capìall’istante perché non se lo era toltoappena entrato in casa, perché l’avevatenuto abbottonato fino al collo: sottoindossava solo una camicia grigia e deijeans, appiccicosi e completamenteintrisi di sangue. Parte della camicia eraridotta a brandelli, come se fosse statamartoriata da una lama molto affilata. Lamanica sinistra era arrotolata fino in

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alto, scoprendo una fasciaturasull’avambraccio che probabilmente luisi era appena fatto ma i cui bordistavano già diventando scuri per ilsangue. Era a piedi nudi, le scarpe in unangolo, e il pavimento sotto di lui erachiazzato di sangue, come lacrimescarlatte. Clary mise lo stilo sulcomodino, producendo un rumore sordo.

— Jace — disse piano.A un tratto sembrò assurdo che fra di

loro ci fosse tutto quello spazio, che leisi trovasse in piedi dall’altra parte dellastanza rispetto a lui e che non si stesserotoccando. Si mosse per raggiungerlo, malui alzò una mano per farle segno distare lontana.

— No. — La voce di Jace si incrinò.

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Poi le dita gli scivolarono sui bottonidella camicia, aprendoli uno dopol’altro. Si scrollò dalle spallel’indumento sporco di sangue e lo lasciòcadere a terra.

Clary lo guardò. La runa di Lilith eraancora al suo posto, sopra il cuore, mainvece di essere color rosso e argentoluccicante sembrava essere statacarbonizzata dalla punta di un attizzatoioardente. Di riflesso lei si portò le dita alpetto, allargandole sopra il cuore.Sentiva le pulsazioni, forti e veloci. —Oh…

— Già. Oh — ripeté Jace in tononeutrale. — Non durerà, Clary. Intendoio che sono di nuovo me stesso. Soltantofinché questa non sarà guarita.

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— Ho… ho pensato — balbettòClary. — Prima… mentre dormivi… Hopensato di sfregiare la runa come avevofatto quando abbiamo lottato controLilith. Ma poi ho avuto paura cheSebastian lo avrebbe sentito.

— Sì, sarebbe andata così. — Gliocchi dorati di Jace erano spenti comela sua voce. — Lui non ha sentito questoperché è stato fatto con un aegis, unpugnale immerso nel sangue di angelo.Sono rarissimi, non ne avevo mai vistouno in tutta la mia vita. — Si passò ledita fra i capelli. — La lama si ètrasformata in cenere bollente dopoavermi toccato, ma ha fatto il danno chedoveva fare.

— Ti sei battuto. Era un demone?

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Perché Sebastian non è venuto con…— Clary. — La voce di Jace non era

che un sussurro. — A questo… serviràpiù tempo di una ferita normale perguarire, ma prima o poi succederà. Eallora io sarò di nuovo lui.

— Quanto tempo? Quanto, prima chetu torni come prima?

— Non lo so. Proprio non lo so.Però volevo… Avevo bisogno di starecon te, così, come me stesso, il più alungo possibile. — Le porse una manorigida, come incerto della suaaccoglienza. — Pensi che potresti…

Lei stava già attraversando di corsala stanza per raggiungerlo. Gli buttò lebraccia al collo. Lui la prese e lasollevò, sprofondandole la faccia

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nell’incavo del collo. Lo respirò comearia. Sapeva di sangue, sudore, cenere emarchi.

— Sei tu — gli sussurrò. — Seidavvero tu.

Jace si ritrasse per guardarla, e conla mano libera le accarezzòdelicatamente lo zigomo. Le eramancata, quella dolcezza. Era una delleprime cose che l’avevano fattainnamorare di Jace: il fatto di capire chequel ragazzo sarcastico, coperto dicicatrici, in realtà era dolce con le coseche amava.

— Mi sei mancato — gli disse. —Mi sei mancato tanto.

Jace chiuse gli occhi come se quelleparole gli facessero male. Clary allora

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gli mise una mano sulla guancia; luiappoggiò l’intero viso contro il suopalmo, solleticandole le nocche con icapelli e lei si accorse che anche il visoera umido.

Il bambino non pianse mai più.— Non è colpa tua — disse Clary.

Gli baciò la guancia con la stessatenerezza dimostrata da lui. Sentì ilsapore del sale. Sangue e lacrime. Luinon aveva ancora parlato, ma lei sentivail suo cuore batterle all’impazzata nelpetto. La stringeva fra le braccia rigide,come se non la volesse più lasciare. Glibaciò uno zigomo, il mento e infine labocca, una leggera pressione di labbracontro labbra.

Non c’era più la frenesia della

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discoteca. Quello era un bacio per daresollievo, per dire tutto ciò che non c’eratempo di dire. Lui le baciò la schiena,dapprima esitando, poi con intensitàcrescente; entrò con una mano furtiva trai suoi capelli, avvolgendosi i ricciolisulle dita. I loro baci diventarono piùprofondi, lentamente, dolcemente, lapassione che saliva come sempre, unlampo che scaturiva da un solofiammifero e divampava in un fuocoincontrollato.

Era consapevole della sua forza, marimase comunque sbalordita quando luila sollevò per portarla sul letto eadagiarla dolcemente fra i cuscinisparpagliati, facendo scivolare ilproprio corpo sopra il suo, un gesto

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fluido che le ricordò a cosa servivanotutti quei marchi che aveva sul corpo.Forza. Grazia. Tocco leggero. Respirò ilsuo respiro mentre si baciavano, ognibacio ora prolungato, morbido,esploratore. Salì con le mani sulle suespalle, sui muscoli delle braccia, sullaschiena. La pelle nuda le sembrava setacalda sotto i palmi.

Quando le mani di lui trovaronol’orlo della maglietta, lei allungò lebraccia, inarcando la schiena,desiderando che ogni barriera fra lorosparisse. Nell’istante in cui la magliettascomparve, Clary lo tirò a sé e i lorobaci si fecero più passionali, come sefossero in cerca di qualche luogonascosto dentro l’altro. Non pensava che

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si potesse stare più vicini di così:invece, in qualche modo, siavvilupparono ancora di più, in ungroviglio di corpi, senza smettere didarsi baci che diventavano sempre piùfamelici e profondi dei precedenti.

Le loro mani si muovevano primaveloci sul corpo dell’altro, poi piùlente, indagando senza fretta. Lei gliaffondò le dita nelle spalle quando lui lebaciò il collo, le clavicole, il segno aforma di stella sulla spalla. Gli graffiòanche la cicatrice, con le nocche, ebaciò il Marchio ferito che Lilith gliaveva fatto sul petto. Lo sentì fremere didesiderio. Sapeva di essere al limiteestremo del punto di non ritorno, ma nonle importava. Ora aveva capito che cosa

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voleva dire perdere Jace. Avevaconosciuto i giorni vuoti e neri cheseguivano a un simile evento. E sapevaanche che, se lo avesse perso di nuovo,avrebbe voluto quel ricordo. Un ricordoa cui aggrapparsi. Voleva laconsapevolezza che, per una volta, gliera stata quanto più vicino si potessestare a una persona. Gli cinse la partebassa della schiena con le caviglie e losentì gemere contro la propria bocca, unsuono lieve, profondo, inerme. Lui leaffondò le dita nei fianchi.

— Clary. — Jace si ritrasse. Stavatremando. — Se non ci fermiamo ora,non ci fermiamo più.

— Non vuoi? — Lei gli rivolse unosguardo sorpreso. Era accaldato,

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arruffato, i capelli biondi di un oro piùscuro nei punti in cui il sudore li avevaincollati a fronte e tempie. Lei riusciva asentire che il cuore gli stava martellandodentro al petto.

— Sì, è solo che non ho mai…— No? — Clary era sorpresa. —

Mai fatto?Lui fece un respiro profondo. — Sì,

l’ho fatto. — I suoi occhi le stavanoscrutando il viso, come in cerca digiudizio, disapprovazione, persinodisgusto. Lo sguardo di Clary invece eratranquillo. Dopotutto, era quello cheaveva sempre pensato. — Ma noncontava. — Le toccò la guancia con ledita, leggere come piume. — Non soneppure come…

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Clary fece una risata sommessa. —Credo che abbiamo appena stabilito cheinvece lo sai.

— Non volevo dire quello. — Leprese la mano e se la mise sul viso. —Io ti voglio — le disse — più di quantoabbia mai voluto qualcosa nella miavita. Però… — deglutì, — per l’Angelo,so che dopo mi prenderò a calci da solo.

— Non dirmi che stai cercando diproteggermi — gli disse lei con fierezza.— Perché io…

— Non è quello — ribatté Jace. —Non mi sto sacrificando. Sonosoltanto… geloso.

— Sei… geloso? E di chi?— Di me stesso. — Il viso gli si

contrasse. — Odiavo l’idea che stesse

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con te. Lui, l’altro me. Quellocontrollato da Sebastian.

Clary sentì le guance scottarle. — Indiscoteca… l’altra notte…

Jace le appoggiò la testa su unaspalla. Un po’ sbalordita, lei gliaccarezzò la schiena, sentendo i graffilasciati dalle sue stesse unghie dentroquel privé. Ripensare a quel dettaglio lafaceva arrossire ancora di più. Comeanche riflettere sul fatto che, in fondo,lui avrebbe potuto liberarsi di quei segnicon un iratze, se solo lo avesse voluto.Invece non lo aveva fatto. — Ricordotutto dell’altra notte — le disse. — Equesta cosa mi fa impazzire, perché eroio ma non ero io. Quando siamo insieme,voglio che tu sia tu. E io il vero io.

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— Non è quello che siamo ora?— Sì. — Sollevò la testa, la baciò

sulla bocca. — Ma per quanto? Potreitornare a essere lui da un minutoall’altro. Non voglio farti questo. Non ate e non a noi. — Parlava in tonoamareggiato. — Non so nemmeno comefai a sopportare di stare attorno a questacosa che non sono io…

— Anche se tu tornassi così fracinque minuti — gli disse Clary — nesarebbe valsa la pena, anche solo per ilfatto di essere stati insieme, così. Senzache tutto fosse finito su quel tetto. Perchéquesto sei tu. E anche l’altro te…conserva delle parti del tuo vero essere.È come guardarti attraverso un vetroappannato, solo che non sei davvero tu.

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E almeno ora lo so.— In che senso? — Le mani di lui le

si irrigidirono sulle spalle. — Cosa vuoldire che almeno ora lo sai?

Clary fece un respiro profondo. —Jace, quando ci siamo messi insieme, eintendo dire davvero insieme, per quelprimo mese sei stato così felice… Tuttoquello che facevamo era spensierato,divertente, favoloso. E poi è stato comese tu avessi cominciato a svuotarti ditutta quella felicità. Non volevi stare conme, guardarmi…

— Avevo paura di farti del male. Hopensato che stavo perdendo la testa.

— Non sorridevi, non ridevi, nonscherzavi. E non te ne sto facendo unacolpa. Lilith si stava insinuando nella

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tua mente, per controllarti. Cambiarti.Ma ti devi ricordare, e lo so che suonastupido, che non avevo mai avuto unragazzo. Pensavo che forse era normale,che magari ti stavi solo stancando di me.

— Io non potrei…— Non ti sto chiedendo

rassicurazioni — gli disse. —Ascoltami. Quando sei… come sei,sembri felice. Sono venuta qui perchévolevo salvarti. — La voce le si smorzòdi colpo. — Ma poi ho cominciato achiedermi da cosa ti stessi salvando.Davvero dovevo riportarti a una vita dicui sembravi così scontento?

— Scontento? — Scosse la testa. —Ero fortunato. Davvero fortunato. E nonriuscivo a vederlo. — Gli occhi di lui

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incontrarono i suoi. — Ti amo — ledisse. — E tu mi rendi più felice diquanto non avrei mai pensato didiventare. Ora che so com’è esserequalcun altro… Ora che so cosasignifica aver perso me stesso, rivogliola mia vita. La mia famiglia. Te. Tutto.— Lo sguardo gli si incupì. — Lorivoglio.

La bocca di Jace scese su quella diClary con una pressione quasi da farmale, le labbra dischiuse, calde evogliose, le mani che l’afferravanoprima sulla vita e poi stringevano lelenzuola, quasi strappandole. Si ritrasseansimando. — Non possiamo…

— Allora smettila di baciarmi! —esclamò lei. — Anzi… — Sgusciò fuori

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da sotto la sua presa e recuperò lamaglietta. — Torno subito.

Lo spinse via e si precipitò in bagno,chiudendo la porta a chiave. Accese laluce e si guardò allo specchio. Avevauno sguardo folle, i capelli scompigliati,le labbra gonfie per i baci. Arrossì e sirimise la maglietta, buttandosidell’acqua fresca in viso, legandosi icapelli. Quando si fu convinta di nonavere più l’aria della fanciulla sedottadegna della copertina di un romanzorosa, andò verso gli asciugamani, nientedi romantico in tutto ciò, ne afferrò uno elo inzuppò d’acqua, sfregandolo poi condel sapone.

Tornò in camera. Jace era seduto sulbordo del letto, con i jeans e una

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camicia pulita sbottonata, i capelliscompigliati incorniciati dalla luce dellaluna. Sembrava la statua di un angelo, senon fosse stato per il fatto che, in genere,gli angeli non erano striati di sangue.

Gli si mise di fronte. — Bene —disse. — Togliti la camicia.

Jace sollevò le sopracciglia.— Non ho intenzione di aggredirti

— gli disse Clary, impaziente. — Giuroche posso sopportare la vista del tuopetto nudo anche senza svenire.

— Sei sicura? — le chiese, facendoscivolare obbediente la camicia giùdalle spalle. — Perché vedere il miopetto nudo ha fatto sì che molte donne,nella ressa per raggiungermi, si ferisserogravemente.

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— Oh, capisco. Be’, qui non vedonessun’altra, a parte me. E poi ti volevosoltanto pulire il sangue. — Lui siappoggiò docilmente all’indietro sullemani. Parte del sangue era penetratoattraverso la camicia pulita, striandogliil petto e il ventre muscoloso, maquando Clary gli passò con delicatezzale dita sulla pelle, sentì che la maggiorparte delle ferite era superficiale.L’iratze che lui stesso si era fatto pocoprima le stava già facendo scomparire.

Jace alzò il viso su di lei, a occhichiusi, che gli passava l’asciugamanobagnato sul corpo, mentre il cotonebianco si tingeva di rosa. Gli sfregò lestrisce di sangue essiccato sul collo,strizzò il tessuto e lo immerse nella

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bacinella d’acqua sul comodino,ricominciando poi con il petto. Lui se nestava seduto con la testa inclinata dilato, guardandola mentre l’asciugamanogli scivolava sui muscoli delle spalle, lalinea morbida di braccia, avambracci,petto scolpito segnato dalle lineebianche delle cicatrici e da quelle neredei marchi.

— Clary — le disse.— Sì?L’ironia era sparita dalla voce di

Jace. — Non me ne ricorderò — ledisse. — Quando sarò tornato comeprima, sotto il suo controllo, nonricorderò di essere stato me stesso. Nonricorderò di essere stato con te o diaverti parlato in questo modo. Perciò

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dimmi, stanno tutti bene? La miafamiglia? Lo sanno che…?

— Se sanno cosa ti è successo?Qualcosa. E no, non stanno tutti bene. —Lui chiuse gli occhi. — Potrei mentirti— proseguì Clary — ma devi saperlo.Ti vogliono tanto bene, e vogliono chetorni da loro.

— Non così — fece lui.Gli toccò la spalla. — Vuoi dirmi

che cosa è successo? Come ti seiprocurato queste ferite?

Jace fece un respiro profondo, gestoche gli mise in evidenza il Marchio sulpetto, scuro e livido. — Ho ucciso unapersona.

Sentì lo shock delle sue parole chele attraversava il corpo come il rinculo

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di un fucile. Fece cadere l’asciugamanoinsanguinato, poi si chinò perriprenderlo. Quando alzò lo sguardo,vide che lui la stava fissando. Alla lucedella luna, i contorni del viso di Jaceerano sottili, netti, tristi. — Chi? — glichiese.

— L’hai conosciuta — disse Jace,ogni parola un macigno. — La donna dacui sei andata con Sebastian. La Sorelladi Ferro, Magdalena. — Si allontanò discatto da Clary e si sporse perrecuperare qualcosa rimasto avvolto frale lenzuola. I muscoli di braccia eschiena gli guizzarono sotto la pellementre prendeva l’oggetto e lo porgeva,luccicante sulla mano, a Clary.

Era un calice trasparente, simile a

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vetro: una replica esatta della CoppaMortale, eccetto il fatto che, invece diessere d’oro, era stata ricavata da unblocco di adamas bianco-argenteo.

— Stanotte Sebastian mi ha mandatoda lei, o meglio ha mandato lui, aprenderlo, dandomi anche l’ordine diucciderla. Lei non se lo aspettava. Nonsi aspettava violenza di nessun tipo, soloun pagamento e uno scambio. Pensavastessimo dalla stessa parte. Mi sonofatto consegnare la Coppa, poi ho presoil pugnale e… — Inspirò con forza,come se il ricordo gli facesse male, —l’ho pugnalata. Volevo colpirla al cuore,ma si è girata, e l’ho mancato per pochicentimetri. Ha barcollato all’indietro,appoggiandosi al tavolo da lavoro.

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Sopra c’era della polvere di adamas elei me l’ha lanciata. Credo volesseaccecarmi. Ho girato la testa, e quandoho guardato di nuovo lei aveva in manoun aegis. La sua luce mi ha bruciato gliocchi e io ho gridato, mentre lei lolanciava contro il mio petto. Ho sentitoun dolore lancinante dentro il Marchio,poi la lama si è frantumata. — Abbassòlo sguardo e fece una risata triste. — Ilbello è che, se avessi indossato ladivisa, non sarebbe successo. Non mel’ero messa perché non pensavo cheservisse. Non pensavo che lei avrebbepotuto farmi del male. Invece l’aegis habruciato il Marchio, il Marchio di Lilith,e all’improvviso sono tornato in me, inpiedi sopra questa donna morta, con un

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pugnale insanguinato in una mano e laCoppa nell’altra.

— Non capisco. Perché Sebastian tiha chiesto di ucciderla? Lei volevaconsegnare la Coppa a te. A Sebastian.Aveva detto…

Jace emise un respiro irregolare. —Ricordi quello che disse Sebastian aproposito dell’orologio della Piazzadella Città Vecchia, a Praga?

— Che il re aveva fatto cavare gliocchi all’artigiano che lo aveva creato,per impedirgli di costruire qualcosa dialtrettanto bello? — disse Clary. — Manon capisco…

— Sebastian voleva la morte diMagdalena per impedirle di creareun’altra Coppa. Inoltre, in questo modo,

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non avrebbe più potuto dirlo a nessuno— spiegò Jace.

— Dire cosa? — Clary alzò lamano, prese il mento di Jace e loabbassò in modo da farsi guardare infaccia. — Jace, cos’è che ha davvero inmente di fare Sebastian? La storia cheha raccontato nella stanza per gliallenamenti, l’idea di evocare deidemoni per poterli distruggere…

— Certo che vuole evocare deidemoni. — La voce di Jace era tetra. —Uno in particolare. Lilith.

— Ma Lilith è morta. Simon l’hadistrutta.

— I Demoni Superiori non muoiono,non veramente. I Demoni Superioriabitano gli spazi tra i mondi, il nulla, il

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grande Vuoto. Quello che ha fatto Simonè stato infrangere il suo potere,rispedirla a brandelli in quel nulla dacui proviene. Ma lentamente siriformerà. Rinascerà. Ci vorrebberosecoli, ma non se Sebastian l’aiuterà.

Clary si sentì crescere dentro lostomaco un senso di gelo. — Sel’aiuterà come?

— Evocandola di nuovo in questomondo. Lui vuole mischiare il suosangue a quello di lei dentro una coppaper creare un esercito di Nephilimoscuri. Vuole essere la reincarnazione diJonathan Shadowhunter, ma dalla partedei demoni, non degli angeli.

— Un esercito di Nephilim oscuri?Voi due siete forti, ma non esattamente

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un esercito…— Ci sono circa quaranta o

cinquanta Nephilim che un tempo eranofedeli a Valentine o che non sopportanola direzione presa dal Conclave. Sonopronti a sentire ciò che Sebastian ha dadire. Si è messo in contatto con loro esaranno presenti, quando evocheràLilith. — Jace fece un respiro profondo.— E poi? Con il potere di Lilith dallasua parte? Chi lo sa chi potrebbe unirsialla sua causa? Lui vuole una guerra. Èconvinto che la vincerà, e io non sonosicuro che si sbagli. Ogni Nephilimoscuro da lui generato non farà cheaumentare il suo potere. Aggiungi quelloai demoni con cui ha già stretto dellealleanze e io non so se il Conclave sarà

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pronto a resistergli.Clary abbassò la mano. — Sebastian

non è mai cambiato. Il tuo sangue non loha mai cambiato. È esattamente quelloche è sempre stato. — Gli occhi lesaettarono su quelli di Jace. — Ma tu.Anche tu mi hai mentito.

— Lui ti ha mentito.Dentro la testa aveva un caos di

pensieri. — Lo so. So che quel Jace nonsei tu…

— Lui pensa che è per il tuo bene eche alla fine saresti più felice, ma ineffetti ti ha mentito. E io non lo fareimai.

— L’aegis — disse Clary, — se tipuò ferire senza che Sebastian se neaccorga, allora potrebbe uccidere lui

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senza uccidere te?Jace scosse la testa. — Credo di no.

Se avessi un aegis, sarei disposto aprovare, ma… no. Le nostre forze vitalisono legate fra loro. Un conto è unaferita, ma se lui dovesse morire… — Iltono di voce gli si inasprì. — Tuconosci il modo più semplice permettere fine a tutto quanto: ficcarmi unpugnale nel cuore. Anzi, è strano che tunon lo abbia già fatto mentre dormivo…

— Tu ci riusciresti? Se fossi io? —Le tremò la voce. — Pensavo ci fosse unmodo per aggiustare le cose. Anzi, lopenso ancora. Dammi il tuo stilo, voglioaprire un portale.

— Non puoi aprire un portale da qua— le disse Jace. — Non funzionerebbe.

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L’unico modo per entrare e uscire daquesta casa è passando per il muro alpiano di sotto, vicino alla cucina. Ed èanche l’unico posto da cui puoi spostarel’appartamento.

— Ci puoi portare nella CittàSilente? Se torniamo indietro, i FratelliSilenti potrebbero pensare a un modoper separarti da Sebastian.Racconteremo il suo piano al Conclave,così si prepareranno…

— Potrei spostarci davanti a unadelle entrate — propose Jace. — E lofarò. Ci andrò. Andremo insieme. Però,Clary, giusto per evitare che tra noirimangano cose non dette… devi sapereche mi uccideranno. Quando avròraccontato quello che so, mi

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uccideranno.— Ucciderti? No, non lo

farebbero…— Clary — Jace parlava con voce

gentile. — Da buon Shadowhunter, sareitenuto a offrirmi di morire pur difermare il piano di Sebastian. E da buonShadowhunter, lo farei.

— Ma tu non c’entri niente! —Aveva alzato il tono di voce, e si sforzòdi riabbassarlo per evitare cheSebastian, al piano di sotto, li sentisse.— Non hai colpa per quello che ti hannofatto. Sei una vittima. Non si tratta di te,Jace, ma di qualcun altro, qualcuno cheporta la tua faccia. Non dovresti esserepunito…

— Non è questione di punizioni, è

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una questione pratica. Uccidi me eSebastian muore. Non è diverso dalsacrificarmi in battaglia. Certo, non l’hoscelto io, è successo e basta. E quelloche sono ora, me stesso, presto spariràdi nuovo. Clary, lo so che non ha senso,ma io mi ricordo, mi ricordo tutto: lapasseggiata con te a Venezia, la serata indiscoteca, la notte insieme in questoletto. Non lo capisci? L’ho voluto. Ètutto quello che ho sempre voluto, viverecosì con te, stare così con te. Cosadovrei pensare, quando la cosa peggioreche mi è mai capitata mi ha datoesattamente quello che voglio? ForseJace Lightwood riesce a capire i motiviper cui tutto questo è sbagliato, distorto,ma Jace Wayland, il figlio di

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Valentine… a lui questa vita piace. — Isuoi occhi erano grandi e dorati mentrela guardava; le fece venire in menteRaziel, quel suo sguardo in cuisembrava racchiusa tutta la saggezza e latristezza del mondo. — Ed è per questoche devo andare — disse. — Prima chesvanisca. Prima che io torni a essere lui.

— Andare dove?— Nella Città Silente. Devo

costituirmi. E consegnare la Coppa.

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parte terza

TUTTOÈ CAMBIATO

Tutto è cambiato, cambiato totalmente:

Una tremenda bellezza è nata.(WILLIAM BUTLER YEATS, Pasqua

1916)

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capitolo 18

RAZIEL

Clary?Simon era seduto sui gradini del

porticato sul retro della fattoria, con losguardo puntato sul sentiero cheattraversava il frutteto di mele e portavafino al lago. Isabelle e Magnus cistavano camminando sopra, lui con gliocchi prima rivolti verso il lago e poi inalto, sulle basse montagne che

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circondavano la zona. Stava prendendoappunti su un libriccino, utilizzando unapenna la cui estremità splendeva di unverde azzurro sfavillante. Alec sitrovava a qualche passo di distanza, eaveva lo sguardo alzato in direzionedegli alberi, sul bordo del crinale dicolline che separavano la fattoria dallastrada. Sembrava si tenesse il piùlontano possibile da Magnus, rimanendoperò a portata d’orecchio. Simon, puressendo il primo ad ammettere di nonessere un grande osservatore quando sitrattava di certe cose, aveva lasensazione che, nonostante le battute diprima sul furgone, negli ultimi tempi traMagnus e Alec si fosse creata una certadistanza. Una distanza di cui non

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conosceva le ragioni, ma che riusciva aintuire.

Aveva la mano destra appoggiata sulpalmo della sinistra, con le dita cherigiravano l’anello d’oro sul dito.

Clary, ti prego.Da quando aveva ricevuto il

messaggio di Maia su Luke, avevaprovato a contattarla ogni ora. Ma nonc’era stata risposta. Niente, neanche unaccenno.

Clary, sono alla fattoria. Ricordoquando eri qui, con me.

Era una giornata calda, per lastagione; un debole vento scuoteva leultime foglie tra i rami degli alberi.Dopo aver passato troppo tempo achiedersi come ci si doveva vestire per

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incontrare gli angeli (l’abito intero glisembrava eccessivo, anche se avevaancora quello della festa difidanzamento di Jocelyn e Luke), ora erain jeans e maglietta, le braccia nude alsole. Aveva così tanti ricordi inondati diluce legati a quel posto, a quella casa!Lui e Clary erano andati lì con Jocelynquasi tutte le estati, praticamente dasempre. Nuotavano nel lago. Lui siabbronzava fino a diventare marrone,mentre la pelle chiara di lei non facevache scottarsi e riempirsi di un milione dilentiggini su spalle e braccia. Giocavanoa baseball con le mele, nel frutteto, chesi trasformava in un allegro caos, poi aScarabeo e a poker nella fattoria, anchese vinceva sempre Luke.

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Clary, sto per fare una cosastupida, pericolosa e magari suicida. Ècosì grave se voglio parlarti un’ultimavolta? Lo sto facendo per proteggerti,ma non so nemmeno se sei viva e se tiposso aiutare. Se fossi morta però losaprei, no? Lo sentirei.

— Bene, andiamo — annunciòMagnus, comparendo davanti ai gradini.Lanciò uno sguardo sull’anello diSimon, ma non fece commenti.

Simon si alzò e si ripulì i jeans, poifece strada agli altri lungo il sentieroche attraversava il frutteto. Il lago, difronte a loro, luccicava come unamoneta azzurro ghiaccio. Avvicinandosi,Simon vide il vecchio pontile chesporgeva sull’acqua, dove una volta

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avevano legato i kayak prima che unaparte della struttura si staccasse eandasse alla deriva. Pensò quasi disentire il pigro ronzio delle api e il pesodell’estate sulle spalle. Raggiunta lariva del lago, si voltò a guardare lafattoria: assi di legno dipinte di bianco,imposte verdi e un vecchio porticato cheospitava dei consunti mobili bianchi divimini.

— Ti piaceva parecchio qui, vero?— gli disse Isabelle. I suoi capelli nerisvolazzavano come uno stendardo controla brezza che soffiava dal lago.

— Da cosa lo capisci?— Dalla tua espressione — gli

disse. — Si vede che stai ricordandoqualcosa di bello.

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— Lo era — ammise Simon. Fece ilgesto di aggiustarsi gli occhiali sul naso,si ricordò che non li portava più eriabbassò la mano. — Ero fortunato.

Isabelle guardò verso il lago.Portava dei piccoli orecchini d’oro acerchio; uno le era rimasto impigliato inuna ciocca di capelli. Simon avrebbevoluto liberarlo, allungare una mano etoccarle il lato della guancia con le dita.— E adesso no?

Scrollò le spalle. Stava guardandoMagnus, che nel frattempo aveva inmano una specie di lungo bastoneflessibile, col quale stava tracciando deisegni nella sabbia umida in riva al lago.Teneva aperto il libro degli incantesimie, mentre disegnava, recitava ad alta

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voce. Alec lo guardava conl’espressione di chi osserva unosconosciuto.

— Hai paura? — gli chiese Isabelleavvicinandosi leggermente. Simonriusciva a sentire il calore del suobraccio contro il proprio.

— Non so. Gran parte dellasensazione di paura è data dagli effettifisici: cuore che accelera, sudorazione,palpitazioni. Non ho nulla di tutto ciò.

— Un vero peccato — mormoròIsabelle guardando l’acqua. — I ragazzisudati sono sexy.

Le lanciò un mezzo sorriso; fu piùdifficile di quanto avrebbe pensato.Forse aveva davvero paura. — Bastacon queste risposte da donna vissuta,

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signorina Isabelle.Il labbro di lei tremò come se la

ragazza stesse per sorridere. Invecesospirò. — Sai cosa non avrei maipensato di desiderare? — disse. — Unragazzo che sapesse farmi ridere.

Simon si girò verso di lei perprenderle la mano, ignorando il fatto chesuo fratello era lì con loro. — Izzy…

— Bene — gridò Magnus. — Io hofinito. Simon, vieni qui.

Si girarono: Magnus era in piedidentro il cerchio, che brillava di unadebole luce bianca. In realtà erano duecerchi concentrici, uno poco più piccolodell’altro, e nell’area intermedia eranostate tracciate dozzine di simboli. Anchequelli brillavano di una luce bianco-

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azzurra, come i riflessi del lago.Simon sentì il debole respiro con cui

Isabelle prendeva fiato, e si allontanò dalei prima di poterla guardare. Farloavrebbe reso tutto più difficile. Avanzòoltre il bordo del cerchio e andò accantoa Magnus. Guardare fuori dal centro deltracciato era come guardare sott’acqua:il resto del mondo ondeggiavaindistintamente.

— Tieni. — Magnus gli mise il suolibro fra le mani. Le pagine erano sottili,coperte di rune scarabocchiate, ma lostregone aveva incollato sopral’incantesimo una copia con le parole ela relativa pronuncia. — Tu recitaqueste — gli mormorò. — Dovrebbefunzionare.

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Tenendosi il libro contro il petto,Simon si tolse l’anello d’oro che loteneva in contatto con Clary e lo passò aMagnus. — Se non sarà così — dissechiedendosi da dove gli arrivasse tuttaquella strana calma — qualcunodovrebbe prendersi questo. È il nostrounico legame con Clary e con quello chesa.

Magnus annuì e si fece scivolarel’anello sul dito. — Pronto, Simon?

— Ehi — fece lui, — ti sei ricordatoil mio nome.

Magnus gli lanciò uno sguardoimpenetrabile dai suoi occhi verde-oro,dopodiché uscì dal cerchio. Subitodivenne anche lui una sagoma confusa,indistinta. Alec gli si affiancò da una

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parte, Isabelle dall’altra. Lei si stavatenendo i gomiti e, anche attraversol’aria tremolante, Simon vedeva benequanto era preoccupata.

Si schiarì la voce. — Mi sa che èmeglio se voi andate, ragazzi.

Loro però non si mossero.Sembravano in attesa di sentiredell’altro.

— Grazie per essere venuti qui conme — disse infine Simon dopo essersifrugato la mente in cerca di qualcosa disignificativo da dire. Non era il tipo dagrandi discorsi di addio o di solenniarrivederci. Prima guardò Alec. —Mmm, Alec. Mi sei sempre piaciuto piùdi Jace. — Poi si rivolse a Magnus: —Magnus, vorrei avere il coraggio di

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mettermi i pantaloni che metti tu.E infine Izzy. Riusciva a vedere che

lo stava guardando, attraverso lafoschia, gli occhi neri come ossidiana.

— Isabelle — disse. La osservò.Nel suo sguardo, un punto interrogativo.Ma non c’era nulla che gli venne dadirle davanti ad Alec e Magnus, nientecapace di riassumere quello cheprovava. Fece un passo indietro, versoil centro del cerchio, piegando la testaverso il basso. — Arrivederci, credo.

Ebbe la sensazione che gli altri glistessero dicendo ancora qualcosa, ma lafoschia ondeggiante che li separavaconfuse le loro parole. Rimase aguardarli mentre si voltavano etornavano sul sentiero che attraversava

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il frutteto, verso casa, finché nondivennero dei puntini neri. Finché non fupiù in grado di vederli.

Non riusciva a capacitarsi di nonpoter parlare un’ultima volta con Claryprima di morire. Nemmeno ricordava leultime parole che si erano detti. Eppure,se chiudeva gli occhi, sentiva la suarisata volare sopra il frutteto; ricordavacom’era, prima che diventassero grandie tutto cambiasse. Se fosse morto in quelposto, forse sarebbe stato appropriato.Dopotutto, alcuni dei suoi ricordi piùbelli erano nati lì. Se l’Angelo lo avessefulminato, le sue ceneri avrebberopotuto volteggiare fra gli alberi di melee sopra l’acqua del lago. C’eraqualcosa, in quell’immagine, che trovò

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rasserenante.Pensò a Isabelle. Poi alla sua

famiglia: sua madre, suo padre, Becky.Clary, si disse infine. Ovunque tu sia,sei la mia migliore amica. Lo sarai persempre.

— No! — Clary si alzò, facendocadere l’asciugamano bagnato. — Jace,non puoi. Ti uccideranno.

Lui prese una camicia pulita, se lamise e l’abbottonò, evitando lo sguardodi Clary. — Prima cercheranno disepararmi da Sebastian — rispose, nontroppo convinto. — E solo se nondovesse funzionare mi ucciderebbero.

— Non mi basta. — Fece pertoccarlo, ma lui si voltò dall’altra parte,infilando i piedi negli stivali. Quando si

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girò di nuovo, sul viso avevaun’espressione triste.

— Non ho scelta, Clary. È la cosagiusta da fare.

— È una follia. Qui sei al sicuro.Non puoi buttare via la tua vita…

— Salvare me stesso equivale a untradimento. È come mettere un’armanelle mani del nemico.

— A chi importa del tradimento? Odella Legge? — disse. — A me importadi te. Insieme troveremo unasoluzione…

— Non possiamo trovare unasoluzione insieme. — Jace si mise intasca lo stilo che c’era sul comodino,poi prese la Coppa Mortale. — Perchéio resterò me stesso ancora per poco. Ti

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amo, Clary. — Le prese il viso fra lemani e la baciò, lentamente. — Fallo perme — le sussurrò.

— Assolutamente no! — ribatté lei.— Non ti aiuterò a ucciderti.

Ma lui stava già andando verso laporta. La tirò con sé e attraversaronoinsieme il corridoio, parlando a bisbigli.

— Ma è una pazzia — sibilò Clary.— Metterti in pericolo…

Lui sbuffò, esasperato. — Come setu non lo facessi.

— Esatto, infatti questa cosa ti fainfuriare — mormorò lei mentre loseguiva giù per le scale. — Ricordatiquello che mi hai detto ad Alicante.

Erano arrivati in cucina. Jaceappoggiò la Coppa sul bancone,

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prendendo lo stilo. — Non avevo ildiritto di dirlo — le rispose. — Clary, èquesto che siamo: Shadowhunters. Equesto è quello che facciamo. Ci sonorischi che corriamo e che non sono isemplici rischi delle battaglie.

Clary scosse la testa, afferrandoglientrambi i polsi. — Non ti lascerò.

Uno sguardo addolorato attraversò ilviso di Jace. — Clarissa…

Lei fece un passo indietro, amalapena in grado di credere a quelloche stava per fare. Ma nella sua mentec’era l’immagine dell’obitorio nellaCittà Silente, dei cadaveri degliShadowhunters distesi sulle lastre dimarmo, e non poteva permettere cheJace diventasse uno di loro. Tutto quello

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che aveva fatto, andare fin lì, sopportaretutto quel che aveva sopportato, loaveva fatto per salvare la vita di Jace,non soltanto per se stessa. Pensò adAlec e a Isabelle, che l’avevano aiutata,e a Maryse, che voleva bene a Jace, equasi senza rendersi conto, alzò la vocee urlò:

— Jonathan! Jonathan ChristopherMorgenstern!

Jace spalancò gli occhi. — Clary…— fece per dire, ma ormai era troppotardi. Lei gli aveva dato le spalle e se nestava andando. Forse Sebastian stava giàarrivando: non c’era modo di spiegare aJace che lei non si fidava di lui, ma cheera anche l’unica arma a suadisposizione per tentare di farlo restare.

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Ci fu un movimento repentino, edecco Sebastian. Non si era preso labriga di scendere per le scale,preferendo lanciarsi giù e atterrare inmezzo a loro due. Aveva i capelliscompigliati dal sonno; indossava unamaglietta scura e dei pantaloni neri, cosache portò Clary a chiedersi per un attimose di solito dormisse vestito. Sebastianli guardò entrambi, gli occhi neri chestudiavano la situazione. — Battibecchitra innamorati? — domandò. Qualcosagli luccicò nella mano. Un coltello?

A Clary tremò la voce. — La suaruna si è danneggiata. Guarda. — Simise una mano sopra il cuore. — Vuoletornare, consegnarsi al Conclave…

La mano di Sebastian si slanciò per

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strappare la Coppa dalle mani di Jace.La picchiò con forza sul bancone dellacucina. Jace, ancora pallido per loshock, rimase a guardarlo; non mosse undito mentre Sebastian gli si avvicinava elo prendeva per la camicia. I primibottoni saltarono, scoprendogli il collo,sul quale Sebastian passò con violenzala punta del suo stilo per tracciare uniratze. Jace si morse il labbro, gli occhicolmi di odio mentre l’altro lo lasciavaandare e faceva un passo indietro con lostilo in mano.

— Sul serio, Jace — gli disse. —Mi sconvolge il solo pensare checredevi di passarla liscia con una cosadel genere, proprio.

Le mani di Jace si strinsero a pugno

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mentre l’iratze, nero come carbone,iniziava a penetrargli la pelle. — Laprossima volta… che vuoi esseresconvolto… sarò felice di accontentarti.Magari con un mattone in testa.

— Tsé — fece Sebastian, — piùtardi mi ringrazierai. Persino tu deviammettere che questo desiderio di morteè un tantino estremo.

Clary si aspettava che Jacecontrobattesse ancora, invece non fucosì. Con lo sguardo stava esaminandolentamente il viso di Sebastian. Inquell’istante, nella stanza c’erano sololoro due; quando Jace parlò, lo fece conparole chiare e fredde. — Più tardi ionon ricorderò niente — disse. — Ma tusì. La persona che si comporta come un

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tuo amico… — fece un passo in avanti,annullando lo spazio che lo divideva daSebastian, — la persona che si comportacome se tu le piacessi: quella personanon è reale. Io sono questo. E ti odio. Tiodierò sempre. E non c’è magia oincantesimo in questo o in qualsiasi altromondo che mi farà mai cambiare idea.

Per un secondo, il sorriso sullelabbra di Sebastian vacillò. Jace invecerestò calmo, poi spostò lo sguardo daSebastian e lo rivolse a Clary. — Devisapere — le disse — che non ti ho dettotutta la verità.

— La verità è pericolosa —intervenne Sebastian, impugnando lostilo davanti a sé come fosse un’arma.— Attento a quello che dici.

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Jace trasalì. Il petto gli si gonfiava esgonfiava rapidamente; era chiaro che laruna in via di guarigione sul petto glistava procurando dolore fisico. — Ilpiano — disse. — Evocare Lilith,realizzare una nuova Coppa, creare unesercito oscuro… non era di Sebastian.Era mio.

Clary rimase impietrita. — Checosa?!

— Sebastian sapeva quello chevoleva — riprese Jace. — Ma sonostato io a pensare a come avrebbe potutofarcela. Una nuova Coppa Mortale…Sono stato io a dargli l’idea. — Sicontorse dal dolore. Clary riusciva aimmaginare cosa stava succedendo sottoil tessuto della sua camicia: la pelle che

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si rimarginava e guariva, la runa diLilith che tornava integra e splendente.— Oppure, dovrei forse dire, è stato lui.Quella cosa che sembra me ma non lo è.Distruggerà il mondo intero, seSebastian glielo chiede, e lo farà con ilsorriso sulle labbra. Ecco che cosa staisalvando, Clary. Questo. Non capisci?Preferirei essere morto…

La sua voce si soffocò mentre sipiegava su se stesso. I muscoli dellespalle gli si irrigidirono mentre onde didolore gli attraversavano il corpo. Claryricordò quando lo aveva stretto, nellaCittà Silente, mentre i Fratelli gliavevano frugato nella mente in cerca dirisposte. Ora aveva alzato lo sguardo,con un’espressione sconvolta.

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I suoi occhi si posarono prima suSebastian, non su di lei, che sentì untuffo al cuore, pur sapendo che era statalei stessa a scatenare tutto.

— Che sta succedendo? — disse aun tratto Jace.

Sebastian gli sorrise. — Bentornato.Jace batté le palpebre,

momentaneamente confuso. Poi fu comese lo sguardo gli scivolasse all’indietro,come faceva ogni volta in cui Clarycercava di parlargli di qualcosa che luinon riusciva ad affrontare: l’omicidio diMax, la guerra di Alicante, il dolore chestava causando alla sua famiglia.

— È ora? — gli chiese.Sebastian si guardò l’orologio da

polso con fare teatrale. — Quasi. Perché

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non vai avanti tu e noi ti seguiamo? Puoiiniziare i preparativi.

Jace si guardò attorno. — LaCoppa… Dov’è?

Sebastian la prese dal bancone dellacucina. — Proprio qui. Per caso ti sentiun po’ confuso?

Jace sollevò la bocca agli angoli,poi afferrò l’oggetto. In tutta tranquillità.Non c’era più traccia del ragazzo chefino a pochi istanti prima era di fronte aSebastian e gli diceva che lo odiava. —Perfetto. Noi due ci vediamo là, allora.— Si girò verso Clary, ancoraparalizzata dallo shock, e le baciò laguancia. — E anche noi.

Fece un passo indietro e le strizzòl’occhio. C’era affetto nel suo sguardo,

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ma non contava. Quello non era il suoJace, era chiaro. Rimase a guardarlostordita mentre lui attraversava lastanza. Lo stilo che aveva con sé emanòun flash, e nella parete si aprì una porta.Intravide uno sprazzo di cielo e unapianura rocciosa, poi Jace entrò dentro esparì.

Clary si conficcò le unghie neipalmi.

Quella cosa che sembra me ma nonlo è. Distruggerà il mondo intero, seSebastian glielo chiede, e lo farà con ilsorriso sulle labbra. Ecco che cosa staisalvando, Clary. Questo. Non capisci?Preferirei essere morto…

Sentì le lacrime bruciarle in fondoagli occhi, e le trattenne a stento, mentre

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suo fratello si girava verso di lei conuno sguardo lucente. — Mi hai chiamato— le disse.

— Voleva consegnarsi al Conclave— sussurrò Clary, non sapendo con chisi stesse giustificando. Aveva fattoquello che doveva fare, utilizzato l’unicaarma a sua disposizione, sebbene ladisprezzasse. — Lo avrebbero ucciso.

— Hai chiamato me — ripeté lui,avvicinandosi a lei di un passo. Allungòuna mano e le tolse una lunga ciocca dicapelli dal viso, mettendogliela dietrol’orecchio. — Te lo ha detto, allora?Del piano? Tutto?

Clary lottò per scacciare un brividodi repulsione. — Non tutto. Ancora nonso cosa succederà stanotte. Cosa

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intendeva dire Jace con “è ora”?Sebastian si chinò su di lei e le

diede un bacio sulla fronte, bacio chesentì bruciare come un marchio a fuocotra gli occhi. — Lo scoprirai — ledisse. — Ti sei guadagnata il diritto diesserci, Clarissa. Potrai guardare tuttodal tuo posto accanto a me, stanotte, alSettimo Sito Sacro. Entrambi i figli diValentine, insieme… finalmente.

Simon tenne gli occhi fissi sullepagine, recitando le parole che Magnusgli aveva scritto. Avevano un ritmomusicale, leggero, nitido, raffinato. Glitornò in mente quando da bambino,durante il rituale ebraico del barmitzvah, aveva dovuto leggere ad altavoce un brano della Haftarah; solo che

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allora conosceva il significato delleparole, ora invece no.

Via via che recitava la formula, sisentì sempre più preda di una morsa,come se l’aria attorno si stesse facendopiù densa e pesante; gli premeva sulpetto e le spalle, diventando più calda.Se fosse stato umano, probabilmente nonavrebbe sopportato un simile calore.Invece così sentiva un bruciore sullapelle, che gli scottava le ciglia e lamaglietta. Tenne gli occhi fissi sul libroaperto davanti a sé, mentre una perla disangue gli cadeva dall’attaccatura deicapelli e andava a macchiare la pagina.

Era arrivato alla fine. L’ultimaparola, “Raziel”, era stata pronunciata.Alzò la testa e vide che la foschia si era

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dileguata; davanti ai suoi occhi siestendeva il lago, azzurro e luccicante,immobile come una lastra di vetro.

Poi, l’esplosione.Il centro del lago divenne prima

color oro, poi nero. La marea sidistribuì verso l’esterno, rovesciandosiin direzione della riva, salendonell’aria, finché, al centro, Simon nonvide un anello d’acqua simile a uncerchio di luccicanti cascate ininterrotteche salivano e scendevano, producendoun effetto tanto strano quantoaffascinante. Schizzi d’acqua locolpirono facendolo rabbrividire eraffreddandogli la pelle bollente.Reclinò la testa all’indietro nell’istantein cui il cielo si tinse di nero: tutto

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l’azzurro era sparito, divorato in unimprovviso assalto di tenebre eburrascose nuvole grigie. Il murod’acqua tornò ad abbattersi sul lago: alcentro, nel punto dove il colore argentoera più intenso, sorse una figurainteramente d’oro.

A Simon si prosciugò la bocca.Aveva visto infiniti ritratti di angeli,credeva alla loro esistenza, avevasentito l’avvertimento di Magnus.Eppure si sentì come trafitto da unalama, quando, davanti ai suoi occhi, sidischiusero due ali. Sembravanoabbracciare l’intero cielo. Eranoenormi, bianche, dorate e argentee,ricoperte di piume munite di occhidorati che lo guardavano con disprezzo.

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A un tratto le ali si alzarono,disperdendo le nuvole davanti a loro, esi piegarono all’indietro. Un uomoimponente, o forse la sua forma, altasvariati piani, si schiuse e si alzò.

I denti di Simon avevano cominciatoa battere. Non sapeva bene perché, maera come se dall’Angelo, che si ergevain tutta la sua statura, emanassero ondedi potenza. O qualcosa di più, ondedella forza elementare dell’universo. Ilprimo e piuttosto bizzarro pensiero diSimon fu di avere davanti una versionedi Jace grande come un enormecartellone pubblicitario. Solo che inrealtà non gli assomigliava per niente.Era tutto dorato, dalle ali, alla pelle,agli occhi, che erano un’unica membrana

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lucente senza traccia di bianco. Doratierano anche i capelli, e sembravanoformati da pezzi di metallo che siarricciavano come ferro battuto. Eraalieno e terrificante. Troppo di tuttopoteva distruggerti, pensò Simon.Troppe tenebre potevano uccidere, maanche troppa luce poteva accecare.

Chi osa evocarmi? L’Angelo parlòdentro la testa di Simon, con una vocesimile al suono di gigantesche campane.

Domanda trabocchetto, pensòSimon. Se fosse stato Jace, avrebbepotuto dire “Uno dei Nephilim”, e sefosse stato Magnus, uno dei figli diLilith nonché un Alto Stregone. Clary el’Angelo si erano già incontrati, perciòimmaginava che avessero già fatto

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amicizia. Invece lui era Simon, senzatitoli prima del nome o grandi gestacompiute in passato. — Simon Lewis —disse infine, appoggiando il libro degliincantesimi e raddrizzando la schiena.— Figlio della Notte e… tuo servitore.

Mio servitore? La voce di Razielera gelida per la disapprovazione. Mievochi come un cane e osi definirti mioservitore? Dovresti essere spazzato viada questo mondo, così che il tuodestino possa servire da monito aglialtri perché non facciano lo stesso. Èproibito al mio stesso Nephilimevocarmi. Perché con te dovrebbeessere diverso, Diurno?

Simon pensò che non doveva stupirsise l’Angelo sapeva chi fosse, eppure

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rimase lo stesso sconcertato, comesconcertanti erano le dimensioni diquella creatura. Per certi versi si eraimmaginato un Raziel più umano. —Io…

Pensi che perché possiedi il sanguedi uno dei miei discendenti, allora io tidebba dimostrare misericordia? Se ècosì, hai rischiato e hai perso. Lamisericordia del Paradiso è per chi sela merita. Non per chi infrange lenostre Leggi dell’Alleanza.

L’Angelo sollevò una mano,puntando un dito dritto contro Simon. Ilragazzo si preparò al peggio. Questavolta non pronunciò nemmeno le parole,le pensò soltanto: Ascolta, Israele, ilSignore è il nostro Dio, il Signore è

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Uno…Che Marchio è quello? La voce di

Raziel era turbata. Sulla tua fronte,ragazzino. — È il Marchio… — esitòSimon. — Il primo Marchio. Il Marchiodi Caino.

L’immenso braccio di Raziel siabbassò lentamente. Ti ucciderei, ma ilMarchio me lo impedisce. È la manodel Paradiso che avrebbe dovutoapporlo fra le tue sopracciglia, ma soche non è stato così. Come può essere?

L’evidente perplessità dell’Angelodiede coraggio a Simon. — Uno dei tuoifigli, i Nephilim — disse, — uno con untalento speciale, lo ha messo qui perproteggermi. — Si avvicinò di un passoal bordo del cerchio. — Raziel, sono

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venuto a chiederti un favore, nel nome diquei Nephilim. Stanno affrontando ungrave pericolo. Uno dei loro è… è statotrasformato in tenebra e ora minacciatutti gli altri. Hanno bisogno del tuoaiuto.

Io non intervengo.— Ma lo hai fatto — osservò Simon.

— Quando Jace era morto, lo hairiportato in vita. Non che non ne siamotutti contenti, ma, se tu non lo avessifatto, ora non starebbe succedendo tuttoquesto. Quindi, in un certo senso, spettaa te rimediare.

Forse non posso ucciderti, riflettéRaziel. Ma non c’è motivo per cui tidebba dare ciò che vuoi.

— Non ho ancora detto quello che

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voglio — disse Simon.Tu vuoi un’arma. Qualcosa che

possa dividere Jonathan Morgensternda Jonathan Herondale. Ucciderestiuno e salveresti l’altro. Più facile,ovvio, uccidere semplicementeentrambi. Il vostro Jonathan era mortoe forse la morte lo cerca ancora, e luicerca lei. Non ti è mai passato per lamente?

— No — rispose Simon. — So che,in confronto a te, noi non siamo granché,però non uccidiamo i nostri amici.Cerchiamo di salvarli. Se il Paradisonon volesse questo, non avremmoricevuto la capacità di amare. — Scostòdalla fronte i capelli corvini, scoprendoancor di più il Marchio. — No, non devi

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per forza aiutarmi. Ma se non lo farai,non c’è niente che mi impedisca dievocarti in continuazione, ora che so chenon mi puoi uccidere. Immaginamiappoggiato al campanello della tua portadel Paradiso… per sempre.

Raziel, incredibilmente, sembròridere a quella battuta. Sei testardo, glidisse. Un autentico guerriero della tuagente, come colui di cui porti il nome,Simone Maccabeo. E poiché lui diedetutto per suo fratello Gionata, voidarete tutto per il vostro Jonathan. Onon siete disposti?

— Non è soltanto per lui — disseSimon, un po’ perplesso. — Però sì,tutto ciò che vuoi. Te lo daremo.

Se io ti do ciò che vuoi, prometti

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che non mi disturberai mai più?— Credo che questo non sarà un

problema — fece Simon.Molto bene, disse allora l’Angelo.

Ti dirò cos’è che desidero. Desideroquel Marchio blasfemo che hai sullafronte. Voglio toglierti il Marchio diCaino, perché non sei mai stato nellecondizioni di portarlo.

— Io… Ma se prendi il Marchio,poi potrai uccidermi — replicò Simon.— Non è forse l’unica cosa che sifrappone fra me e la tua ira celeste?

L’Angelo rifletté un istante. Giureròdi non farti del male, che tu abbia ilMarchio oppure no.

Simon esitò. L’espressionedell’Angelo si fece minacciosa. Il

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giuramento di un Angelo del Paradiso èquanto di più sacro esista. Osi dubitaredi me, Nascosto?

— Io… — Simon tacque per unmomento straziante. Aveva lo sguardopieno del ricordo di Clary, in piedi sullepunte, che gli premeva lo stilo contro lafronte; la prima volta che aveva visto ilMarchio all’opera, quando si era sentitocome il conduttore di un lampo, energiapura che lo attraversava con potenzamortale. Era una maledizione, unamaledizione che lo aveva terrorizzato eche lo rendeva un oggetto di desiderio edi paura. Lo aveva odiato. Eppure ora,di fronte alla possibilità di perderlo, diperdere quella cosa che lo rendevaspeciale…

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Deglutì forte. — Va bene. Sì,accetto.

L’Angelo sorrise. E fu qualcosa diterribile, come guardare direttamente ilsole. Allora giuro di non farti del male,Simone Maccabeo.

— Lewis — disse Simon. — Dicognome faccio Lewis.

Ma sei del sangue e del credo deiMaccabei. Alcuni dicono che eranomarchiati dalla mano di Dio. In ognicaso, sei un guerriero del Paradiso,Diurno, che ti piaccia o no.

L’Angelo si mosse. Gli occhi diSimon si inumidirono, perché fu come seRaziel trascinasse il cielo con sé comeun panno, in un vortice di nero, diargento e del bianco delle nuvole. L’aria

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attorno a lui tremò. Qualcosa lampeggiòin alto come il riflesso della luce sulmetallo e un oggetto colpì sabbia erocce accanto a Simon, producendo unclangore metallico.

Era una spada. All’apparenza nientedi speciale, una vecchia spada di ferrodall’aria malconcia e con l’elsaannerita. I bordi erano irregolari, comecorrosi dall’acido, ma la punta eraacuminata. Sembrava il reperto di unoscavo archeologico ancora non benripulito.

L’Angelo parlò. Mentre Giosuè erapresso Gerico, alzò gli occhi, ed ecco,vide un uomo in piedi davanti a sé cheaveva in mano una spada sguainata.Giosuè si diresse verso di lui e gli

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chiese: — Tu sei per noi o per i nostriavversari?. Quello rispose: — No, iosono il capo dell’esercito del Signore.Giungo proprio ora.

Simon abbassò gli occhi sull’oggettopoco attraente ai suoi piedi. — E quellaè la sua spada?

È la spada dell’Arcangelo Michele,comandante degli eserciti del Paradiso.Essa possiede il potere del fuoco delParadiso. Usala per colpire il tuonemico, e brucerà la sua cattiveria. Seè più cattivo che buono, piùdell’Inferno che del Paradiso, bruceràanche la sua vita. Senza dubbiospezzerà il legame con il vostro amico.E può ferire soltanto uno alla volta deidue.

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Simon si chinò per raccogliere laspada. Farlo gli provocò una scossa allamano, che risalì lungo il braccio egiunse dentro al cuore inerte. La sollevòd’istinto e, per un istante, fu come se lenuvole si allontanassero e un raggio diluce piovesse verso il basso per colpireil metallo opaco dell’arma e farlorisuonare.

L’Angelo abbassò il suo freddosguardo su Simon. Il nome della spadanon può essere pronunciato dalla tuamisera lingua umana. Potrestichiamarla Gloriosa.

— Io… — fece per dire Simon. —Grazie.

Non ringraziarmi. Ti avrei ucciso,Diurno, ma il tuo Marchio e ora il mio

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giuramento lo impediscono. Il Marchiodi Caino doveva arrivarti da Dio, manon è stato così. Che venga cancellatodalla tua fronte e rimossa la suaprotezione. E se ti rivolgerai ancora ame, io non ti aiuterò.

All’istante, il raggio di luce chesplendeva dalle nuvole si intensificò,investendo la spada come una frusta difuoco, richiudendo Simon dentro unagabbia di luce brillante e di calore. Laspada divampò; Simon gridò e cadde aterra, il dolore che gli perforava la testa.Era come se qualcuno gli stesseinfilzando un ago rovente fra gli occhi.Si coprì il viso, affondando la testa frale braccia, lasciando che il dolore gliscivolasse addosso. Era l’agonia

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peggiore che avesse provato dalla nottein cui era morto.

Il dolore svanì lentamente, rifluendocome la marea. Rotolò sulla schiena,alzando gli occhi, la testa ancorasofferente. Le nuvole nere stavanocominciando a correre via, dando spazioa una striscia azzurra sempre più ampia.L’Angelo era scomparso, e il lago sisollevò sotto la luce che aumentavad’intensità, come se l’acqua stessebollendo.

Simon si rimise in piedi con calma,gli occhi dolorosamente socchiusicontro il sole. Intravedeva qualcuno checorreva lungo il sentiero, dalla fattoriaverso il lago. Qualcuno con dei lunghicapelli neri e una giacca viola che

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svolazzava come due ali. Isabelle arrivòalla fine della stradina e saltò sulla rivadel lago, con gli stivali che sollevavanosbuffi di sabbia. Lo raggiunse e lo buttòa terra, abbracciandolo. — Simon —sussurrò.

Sentiva il battito forte e regolare delsuo cuore.

— Pensavo fossi morto — gli disse.— Ti ho visto cadere e… ho pensatofossi morto.

Simon si lasciò stringere,appoggiandosi sulle mani. Si accorseche stava oscillando come una nave conuna falla nella fiancata e cercò di nonmuoversi. Temeva che, se lo avessefatto, sarebbe caduto. — Io sono giàmorto.

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— Lo so — ribatté Izzy. —Intendevo, più morto del solito.

— Iz… — Sollevò il viso davanti aquello di lei, che gli stava inginocchiatasopra, a cavalcioni, tenendogli lebraccia attorno al collo. Non sembravauna posizione comoda. Simon si lasciòcadere all’indietro, trascinando giùanche lei. Picchiò la schiena contro lasabbia fredda, con Isabelle addosso, eguardò dentro i suoi grandi occhi neri.Era come se abbracciassero il cielointero.

Isabelle gli toccò la fronte,meravigliata. — Il Marchio è sparito.

— Se lo è preso Raziel. In cambiodella spada. — Fece un gesto perindicare l’arma. In lontananza, davanti al

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porticato della fattoria, vide duemacchioline nere. Alec e Magnus. — Èla spada dell’Arcangelo Michele. Sichiama Gloriosa.

— Simon… — gli baciò la guancia.— Lo hai fatto. Hai parlato conl’Angelo, hai ottenuto la spada!

Nel frattempo, Magnus e Alec sistavano incamminando verso il lago.Simon chiuse gli occhi, esausto. Isabelleera china sopra di lui, i suoi capelli glisolleticavano i lati del viso. — Noncercare di parlare. — Sapeva dilacrime. — Non sei più dannato — glisussurrò. — Non lo sei più.

Simon intrecciò le dita con le sue. Sisentiva come se stesse fluttuando sopraun fiume cupo, le ombre che gli si

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richiudevano attorno. Solo la mano diIsabelle lo ancorava a terra. — Lo so.

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capitolo 19

AMORE E SANGUE

Metodicamente, con precisione,Clary stava rivoltando la stanza di Jace.Era ancora in canottiera, ma si eramessa un paio di jeans. Aveva i capelliraccolti in uno chignon disordinato, leunghie nere di polvere. Aveva frugatosotto il letto, in tutti i cassetti e gliarmadi, si era infilata nel guardaroba esotto la scrivania, aveva perquisito le

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tasche di tutti i vestiti in cerca di unaltro stilo, ma non era riuscita a trovareniente.

Aveva detto a Sebastian che eramolto stanca e sentiva il bisogno diandare di sopra a riposarsi un po’. Luile era sembrato distratto e le aveva fattocenno di andare. Ogni volta chechiudeva gli occhi, le comparivanocome in un flash immagini del viso diJace: il modo in cui l’aveva guardata,tradita, come se non la conoscesse più.

Ma non c’era motivo di rimuginarcitroppo sopra. Avrebbe potuto sedersi sulbordo del letto e piangere con la testafra le mani, ripensando a quello cheaveva fatto, ma non sarebbe servito anessuno. Non arrendersi: lo doveva a

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Jace, a se stessa. Continuare a cercare.Se solo fosse riuscita a trovare unostilo…

Stava sollevando il materasso dalletto, per cercare anche fra le molle,quando qualcuno bussò alla porta.

Lasciò cadere il materasso, nonsenza aver capito che anche lì non c’eraniente. Strinse le mani a pugno, fece unrespiro profondo, si avvicinò a passodeciso alla porta e la spalancò.

Sulla soglia, Sebastian. Per la primavolta indossava qualcosa che non erabianco o nero. Certo, i pantaloni e glistivali neri erano quelli di sempre, masopra portava una casacca di pelle rossafinemente intarsiata da rune d’oro ed’argento, abbottonata sul davanti

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tramite una fila di alamari metallici.Portava, su entrambi i polsi, deibraccialetti di argento martellato e, aldito, l’anello dei Morgenstern.

Clary lo guardò stupita. — Rosso?— Cerimoniale — rispose. — Per

gli Shadowhunters i colori hannosignificati diversi che per gli umani. —Pronunciò la parola “umani” condisprezzo. — Conosci la vecchiafilastrocca dei Nephilim, giusto?

Il Nero per cacciare quando il solemuore

Bianco è il colore per il lutto e ildolore

Oro per l’abito che la sposa haindosso

E, per invocare l’incantesimo, il

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rosso.— Gli Shadowhunters si sposano in

oro? — chiese Clary. Non che leinteressasse particolarmente, ma stavacercando di mettersi tra la porta aperta eil muro per impedire a Sebastian diguardarle alle spalle e vedere il disastroche aveva combinato nella camera,altrimenti ordinatissima, di Jace.

— Mi dispiace di avere infranto iltuo sogno di un matrimonio in bianco. —Le sorrise. — A proposito, ti ho portatouna cosa da mettere.

Tolse la mano da dietro la schiena ele porse un abito ripiegato. Clary loprese e lo spiegò: era una lunga,morbida striscia di tessuto scarlatto,illuminata da un particolare riflesso

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dorato, come il lembo di una fiamma.Anche le spalline erano dorate.

— Nostra madre lo indossava nellecerimonie del Circolo, prima di tradirenostro padre — le disse. — Mettitelo.Voglio che stasera lo indossi tu.

— Stasera?— Be’, direi che non puoi andare

alla cerimonia come sei vestita adesso.— La scrutò partendo dai piedi nudi,risalendo lungo i jeans impolverati, finoalla canottiera incollata al corpo per ilsudore.

— L’aspetto che avrai stasera,l’impressione che farai ai nostri nuoviaccoliti, è importante. Mettitelo.

Clary era confusa. La cerimonia distasera. I nostri nuovi accoliti. —

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Quanto tempo ho? Per preparami,intendo. — chiese.

— Forse un’ora — le disse. —Dobbiamo essere al Sito Sacro entromezzanotte. Gli altri saranno già là. Nonstarebbe bene arrivare in ritardo.

Un’ora. Col cuore che battevaall’impazzata, Clary buttò l’abito sulletto, dove luccicò come fosse di magliametallica. Quando si voltò, Sebastianera ancora sulla porta, con un mezzosorriso in faccia, intenzionato adaspettarla lì mentre lei si cambiava.

Clary fece per chiudere la porta, malui la prese per il polso. — Stasera —le disse — mi chiamerai Jonathan.Jonathan Morgenstern, tuo fratello.

Un brivido le percorse tutto il corpo.

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Abbassò lo sguardo, sperando che luinon ci vedesse dentro tutto l’odio cheprovava. — Quello che vuoi.

L’istante in cui se ne andò, Claryprese uno dei giubbotti di pelle di Jace.Se lo mise, felice di sentire il suoprofumo e di scaldarsi. Fece scivolare ipiedi dentro le scarpe e uscì incorridoio senza fare rumore, alla ricercadi uno stilo per tracciare una nuova runadel Silenzio. Al piano di sotto sentivadell’acqua scorrere e Sebastian chefischiettava stonato, ma ogni passo lerimbombava nelle orecchie come uncolpo di cannone. Avanzò furtiva,tenendosi vicina alla parete, finché nonraggiunse la porta di Sebastian e vi siinfilò dentro.

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Era buia, rischiarata appena dalleluci della città che entravano dallefinestre con le tende aperte. L’ambienteera un disastro, proprio come la primavolta che l’aveva vista. Cominciòdall’armadio, pieno zeppo di vestiticostosi: camicie di seta, giacche dipelle, completi di Armani, scarpe BrunoMagli. Sul fondo, c’era una camiciabianca, raggomitolata e macchiata disangue abbastanza vecchio da esserediventato marrone.

Clary la guardò per un lungo istantee poi richiuse l’armadio.

A quel punto si dedicò allascrivania, aprendo i cassetti, cercandotra i fogli. Avrebbe preferito qualcosa dipiù semplice, magari un bel quadernetto

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con sopra la scritta IL MIO PIANOMALEFICO, ma non fu così fortunata.C’erano dozzine di fogli pieni di simbolinumerici e alchemici, e persino unbiglietto che iniziava con “Miabellissima”, scritto nella calligrafiacontorta di Sebastian. Clary si chieseper un istante chi potesse essere la“bellissima” in questione: non avevamai pensato a lui come a qualcuno ingrado di provare sentimenti romantici.

Poi fu la volta del comodino. Aprì ilcassetto, dentro il quale trovò unamazzetta di banconote. In cima, qualcosabrillò. Qualcosa di rotondo e metallico.

L’anello delle fate.Mentre tornavano con il furgone a

Brooklyn, Isabelle era seduta con un

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braccio attorno a Simon. Lui eraesausto: la testa gli pulsava e sentivafitte in tutto il corpo. Anche se, al lago,Magnus gli aveva restituito l’anello, nonera più riuscito a comunicare con Clary.Peggio ancora, aveva fame. Gli piacevache Isabelle fosse seduta così vicina,con la mano appoggiata appena sopral’incavo del gomito, intenta a fargli ilsolletico e a lasciar scorrere di tanto intanto le dita fino al polso. Ma quel suoodore, sangue misto a profumo, glifaceva brontolare lo stomaco.

Fuori cominciava a fare buio, il soletardo autunnale in rapido declino cheregalava sempre meno luce all’internodell’abitacolo. Le voci di Alec e diMagnus erano mormorii nell’ombra.

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Simon lasciò che le palpebre glicalassero, vedendoci davanti la figuradell’Angelo in tutta la sua luceaccecante.

Simon! La voce di Clary gli esplosenella testa. Ci sei?

Un sussulto improvviso gli sfuggìdalle labbra. Clary? Ero cosìpreoccupato…

Sebastian mi aveva preso l’anello.Simon, potremmo non avere moltotempo. Te lo devo dire. Hanno un’altraCoppa Mortale, vogliono evocare Lilithe creare un esercito di Shadowhuntersoscuri, con lo stesso potere deiNephilim ma alleati del mondo deidemoni.

— Stai scherzando — disse Simon.

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Gli ci volle un istante prima di rendersiconto che lo aveva detto ad alta voce.Isabelle si mosse, Magnus si girò perguardarlo.

— Tutto bene lì dietro, vampiro?— È Clary — annunciò Simon. Tutti

lo guardarono con la stessa espressionesbalordita. — Sta cercando di parlarmi.— Si premette le mani contro leorecchie, scivolando all’ingiù sul sedileper cercare di concentrarsi sulle paroleche sentiva. Quando lo faranno?

Stasera. Fra poco. E non soesattamente dove siamo… Ma qui sonocirca le dieci.

Allora sei circa cinque ore avantirispetto a noi. Ti trovi in Europa?

Non ne ho idea. Sebastian ha

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parlato di un certo Settimo Sito Sacro.Non so cosa sia, ma ho trovato dei suoiappunti e a quanto pare è un’anticatomba. Sembra una specie di porta,dalla quale si possono evocare idemoni.

Clary, io non ho mai sentito nientedel genere…

Ma forse Magnus e gli altri sì. Tiprego, Simon. Dillo a tutti, prima chepuoi. Sebastian sta per resuscitareLilith. Vuole la guerra, una guerratotale con gli Shadowhunters. Ci sonocirca quaranta, cinquanta Nephilimpronti a seguirlo. E saranno presenti.Vuole ridurre in cenere il mondo intero.Simon, dobbiamo fare qualsiasi cosaper fermarlo!

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Se le cose sono così pericolose,Clary, te ne devi andare da lì!

Sembrava stanca. Ci sto provando.Ma potrebbe essere troppo tardi.

Simon era tristemente consapevoleche tutti gli altri passeggeri lo stavanofissando preoccupati. Non gli importava.La voce di Clary dentro la testa eracome una corda lanciata da un burrone:se fosse riuscito ad afferrarne un capo,forse avrebbe potuto issare lei verso lasalvezza, o almeno impedirle diprecipitare.

Clary, ascoltami. Non sto a dirticome, è una storia troppo lunga, maadesso abbiamo un’arma. La si puòusare con Jace o con Sebastian senzafare male all’altro, e secondo…

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secondo la persona che ce l’ha data,potrebbe riuscire a dividerli.

Dividerli? E come?Ha detto che brucerebbe via tutto il

male di quello con cui la usiamo.Quindi suppongo che, se la usassimoper Sebastian, annullerebbe il legame,perché il legame è malvagio. Simon sisentiva pulsare la testa e sperava diapparire più deciso di quanto non fosse.Non ne sono sicuro. Però è un’armamolto potente, si chiama Gloriosa.

E la useresti con Sebastian? Lidividerebbe senza ucciderli?

L’idea sarebbe quella, sì. Vogliodire, c’è la possibilità che distruggaSebastian. Dipende se in lui è rimasto ono qualcosa di buono. Se non ricordo

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male, l’Angelo ha detto qualcosa come“più dell’Inferno che del Paradiso”…

L’Angelo? L’apprensione di Clary sifece palpabile. Simon, che cos’hai…

La voce di lei si spezzò e, a untratto, Simon venne investito da unuragano di emozioni: stupore, rabbia,terrore. Dolore. Gridò, mettendosi drittoa sedere.

Clary?Ma ormai, nella testa, gli risuonava

soltanto silenzio.— Che è successo? — fece Isabelle.

— Sta bene? Cosa sta facendo?— Penso che abbiamo molto meno

tempo di quanto pensassimo — concluseSimon con una voce ben più calma dicome si sentiva dentro. — Magnus,

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accosta il furgone. Dobbiamo parlare.— Insomma — disse Sebastian,

riempiendo la porta con tutta la suafigura e guardando fisso Clary. —Sarebbe un déjà vu se ti chiedessi cosastai facendo nella mia stanza, sorellina?

Clary deglutì con la golaimprovvisamente arida. La luce delcorridoio splendeva intensa alle spalledi Sebastian, trasformandolo in unasagoma controluce. — Stavo cercandote? — azzardò.

— Sei seduta sul mio letto — disselui. — Pensavi che fossi sotto?

— Io…Sebastian entrò nella stanza.

Ostentava sicurezza, come se sapessequalcosa di cui lei era all’oscuro.

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Qualcosa che nessuno sapeva. — Eallora perché mi stavi cercando? Eperché non ti sei cambiata per lacerimonia?

— Il vestito… non mi sta.— Ma certo che sì — ribatté

Sebastian sedendosi sul letto accanto aClary. Si girò per guardarla, la schienarivolta verso i cuscini. — Tutti gli altrivestiti in quella camera ti andavanobene. Quindi dovrebbe essere cosìanche per questo.

— È di seta e chiffon. Non siallarga.

— Sei uno scricciolo. Non c’èbisogno che si allarghi! — Le prese ilpolso destro e lei chiuse la mano,tentando disperatamente di nascondere

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l’anello. — Guarda come ti stringo ilpolso con una mano.

Lei sentiva la sua pelle calda soprala propria; era come se le pizzicasse inervi. Ricordò come il suo tocco, aIdris, l’avesse bruciata come acido. —Il Settimo Sito Sacro — gli disse senzaguardarlo. — È lì che è andato Jace?

— Sì, l’ho mandato avanti. Sta giàpredisponendo tutto per il nostro arrivo.Ci incontreremo là.

Il cuore le si spezzò nel petto. —Non torna?

— Non prima della cerimonia. —Clary colse l’angolo rivolto all’insù delsorriso di Sebastian. — E va bene così,perché rimarrebbe molto deluso se glidicessi di questo… — Fece scivolare

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rapido la mano su quella di Clary,aprendole le dita. L’anello d’orosplendeva come un fuoco. — Pensi chenon sappia riconoscere l’opera dellefate? Pensi che la Regina sia cosìstupida da mandarti a recuperare i suoianelli senza sapere che li avresti tenutiper te? Lei voleva che tu lo portassi qui,dove io lo avrei trovato. — Le strappòvia l’anello con un sorrisetto beffardo.

— Eri in contatto con la Regina? —domandò Clary. — E come?

— Proprio tramite questo anello —mormorò lui, compiaciuto. Clary siricordò di quando la Regina le avevadetto, con la sua voce dolce e acuta:Jonathan Morgenstern potrebbe essereun potente alleato. Quello delle fate è

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un popolo antico. Non prendiamodecisioni affrettate. Prima aspettiamodi vedere in quale direzione soffia ilvento. — Credi davvero che ti avrebbelasciato mettere le mani su qualcosacapace di comunicare coi tuoi amichettisenza che lei potesse sentirvi? Daquando te l’ho preso, ho parlato con leie lei con me. Sei stata una stupida afidarti, sorellina. Alla Regina Seeliepiace stare dalla parte di chi vince. Equella parte sarà la nostra, Clary. Lanostra. — Parlava con voce bassa esuadente. — Dimenticali, i tuoi amiciShadowhunters. Il tuo posto è con noi.Con me. Il tuo sangue rivendica potere,come il mio. Qualsiasi cosa abbia fattotua madre per plagiarti la coscienza, tu

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sai ancora chi sei. Jocelyn ha presosoltanto decisioni sbagliate; si è alleatacon il Conclave e contro la sua famiglia.Questa è la tua chance per rimediare alsuo errore.

Clary cercò di liberare il braccio.— Lasciami andare, Sebastian. Dico sulserio.

Le mani di lui scivolarono dal polsoverso l’alto, circondandolel’avambraccio. — Sei proprio unoscricciolo. Chi avrebbe mai detto cheeri anche così aggressiva? Specialmentea letto…

Clary saltò in piedi, allontanandosida lui di scatto. — Cos’è che hai detto?!

Anche lui si alzò, gli angoli dellelabbra rivolti all’insù. Era molto più

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alto di lei, circa quanto lo era Jace. Lesi avvicinò, parlando con voce ruvida eprofonda. — Tutto ciò che marchia Jace,marchia anche me — le disse. — Anchele tue unghie. — Stava ridendo. — Ottograffi paralleli sulla schiena, sorellina.Stai dicendo che non sei stata tu a farli?

Clary si sentì in testa un’esplosionesilenziosa, un fuoco d’artificio dirabbia. Guardò la faccia divertita diSebastian e ripensò a Jace e a Simon,alle parole appena scambiate con lui. Sela Regina era davvero in grado diascoltare le loro conversazioni, forsesapeva già della Gloriosa. Ma Sebastianno. Non ancora.

Gli rubò l’anello di mano e lo buttòper terra. Sentì Sebastian lanciare un

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grido, ma lei ci aveva già messo unpiede sopra. Lo sentiva cedere, l’oroche finiva in pezzi.

Lui la guardò, incredulo, mentrespostava di nuovo il piede. — Tu…

Clary portò all’indietro la manodestra, la più forte, e tirò a Sebastian unpugno nello stomaco.

Lui era più alto, più robusto e piùforte di lei, ma Clary aveva sfruttato ilfattore sorpresa. Sebastian si piegò su sestesso, tossendo, e Clary gli sfilò lo stilodalla cintura delle armi. E poi corse via.

Magnus sterzò così bruscamente chefece stridere i pneumatici. Isabellelanciò uno strillo. Si misero sulla corsiad’emergenza, all’ombra di un boschettodi alberi in parte senza foglie.

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Un secondo dopo, tutti erano scesidal furgone. Il sole stava tramontando e ifari del veicolo erano accesi, investendotutti con un bagliore inquietante.

— D’accordo, vampiro — disseMagnus scuotendo la testa abbastanza daspargere glitter. — Cosa diavolo stasuccedendo?

Alec si appoggiò al furgone mentreSimon riportava la conversazione avutacon Clary il più accuratamentepossibile, prima di dimenticarsiqualcosa.

— Non ha detto niente su di lei eJace, laggiù? — gli chiese Isabelle aracconto terminato. Il bagliore giallastrodei fari le sbiancava il viso.

— No — rispose Simon. — Ah,

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Iz… Non credo che Jace se ne vogliaandare. Vuole rimanere dov’è.

Isabelle incrociò le braccia eabbassò lo sguardo sugli stivali, icapelli neri che le svolazzavano davantial viso.

— Cos’è questa storia del SettimoSito Sacro? — intervenne Alec. —Conosco le sette meraviglie del mondo,ma non i sette siti sacri.

— Riguardano più gli stregoni che iNephilim — spiegò Magnus. — Sonodei posti in cui convergono delle lineetemporanee che formano una matrice:una specie di rete dentro la quale gliincantesimi magici si amplificano. Ilsettimo è un dolmen irlandese, a Poll namBrón; il nome significa “caverna dei

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dolori”. Si trova in una zona moltobrulla, disabitata, chiamata Burren.Ottimo posto per evocare un demone, seè grande. — Si tirò uno spunzone dicapelli. — Pessima notizia. Davveropessima.

— Pensi che si possa fare? Creare…degli Shadowhunters oscuri? — glichiese Simon.

— Tutto si basa su un’alleanza,Simon. L’alleanza dei Nephilim èangelica, ma se fosse demoniaca,sarebbero comunque forti e potenti comelo sono adesso, ma si dedicherebberoall’eliminazione del genere umano,anziché alla sua salvezza.

— Dobbiamo andare là — dichiaròIsabelle. — Dobbiamo fermarli.

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— Fermarlo, vuoi dire — lacorresse Alec. — Dobbiamo fermarelui, Sebastian.

— Jace ora è suo alleato, deviaccettarlo, Alec — gli disse Magnus.Aveva cominciato a scendere unapioggerella sottile, le cui goccebrillavano come oro al bagliore dei fari.— L’Irlanda è cinque ore avanti. Lacerimonia sarà a mezzanotte. Qui sono lecinque, abbiamo un’ora e mezzo, due almassimo, per fermarli.

— E allora non stiamocene quiimpalati. Andiamo! — esclamò Isabelle,con una punta di panico nella voce. —Se vogliamo fermarlo…

— Iz, siamo soltanto in quattro — lericordò Alec. — Non sappiamo

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nemmeno con quanti nemici dovremoconfrontarci…

Simon guardò Magnus, che a suavolta guardava Alec e Isabelle litigare,con una singolare espressione didistacco sul viso. — Magnus — lochiamò. — Perché non andiamo allafattoria e apriamo un portale? Avevitrasportato mezza Idris nella pianura diBrocelind.

— Volevo darvi abbastanza tempoper cambiare idea — rispose lostregone, senza staccare gli occhi dalsuo ragazzo.

— Ma possiamo aprire un portale dalà. Cioè, tu potresti aiutarci a farlo —insisté Simon.

— Già — fece l’altro. — Ma, come

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dice Alec, non sappiamo cosa ci aspetta.Io sono uno stregone abbastanza potente,ma Jonathan Morgenstern non è unoShadowhunter qualsiasi, e nemmenoJace lo è, se è per quello. E seriuscissero a evocare Lilith… Sarebbemolto più debole di prima, ma pursempre Lilith.

— Ma lei è morta — intervenneIsabelle. — Simon l’ha uccisa.

— I Demoni Superiori non muoiono— disse Magnus. — Simon… l’haspedita, a brandelli, nello spazio fra imondi. Ci vorrà molto tempo prima chesi riformi, resterà debole per anni. Ameno che Sebastian non la evochi dinuovo… — Si passò una mano fra lepunte umide dei capelli.

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— Abbiamo la spada — ribattéIsabelle. — Possiamo sconfiggereSebastian. Abbiamo Magnus, Simon…

— Non sappiamo nemmeno se laspada funzionerà — puntualizzò Alec.— E non ci servirà a molto, se nonriusciamo a raggiungere Sebastian. E poiSimon non è più Mister Indistruttibile.Può essere ucciso, come noi.

Tutti gli occhi puntarono su Simon.— Dobbiamo provare — disse lui. —Sentite, è vero, non sappiamo in quantisaranno. E abbiamo poco tempo. Pocoma abbastanza, se usiamo un portale, pertrovare dei rinforzi.

— Rinforzi dove, scusa? — chieseIsabelle.

— Io torno a casa, da Maia e Jordan

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— disse Simon, con la mente chepassava in rassegna tutte le possibilità.— Vediamo se Jordan riesce a ottenerequalche tipo di sostegno da parte delPraetor Lupus. Magnus, tu vai allastazione di polizia e cerca di reclutaretutti i membri del branco disponibili.Isabelle e Alec…

— Ci stai dividendo? — vollesapere Isabelle, alzando il tono di voce.— Cosa ne dici dei messaggi di fuoco,o…

— Nessuno crederebbe a unmessaggio di fuoco per una cosa delgenere — replicò Magnus. — E poiquelli sono per gli Shadowhunters. Vuoidavvero comunicare questainformazione al Conclave via messaggio

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di fuoco, invece di andare all’Istituto dipersona?

— D’accordo. — Isabelle si portòsul fianco del furgone. Aprì la portieracon forza, ma non salì: mise dentro unamano ed estrasse la Gloriosa. L’armabrillò alla debole luce come un fulminenero, le parole incise sulla lama chetremolavano davanti ai fari dell’auto:Quis ut Deus?

La pioggia iniziava a incollare lachioma corvina di Isabelle al suo collo;mentre tornava verso il gruppo, laragazza aveva un’aria davvero temibile.— Allora dobbiamo lasciare qui ilfurgone. Ci dividiamo, ma ci ritroviamoall’Istituto fra un’ora. E a quel punto siparte, chi c’è, c’è. — Incrociò lo

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sguardo di ognuno dei suoi compagni,uno dopo l’altro, sfidandoli acontraddirla. — Simon, prendi questa.

Gli porse la Gloriosa dalla partedell’elsa.

— Io? — Simon era perplesso. —Ma io non… non ho mai usato una spadaprima d’ora!

— L’hai chiesta tu — gli fece notareIsabelle, i grandi occhi scuri lucidi sottola pioggia. — L’Angelo l’ha data a te,Simon, e sarai tu a tenerla.

Clary si precipitò in fondo alcorridoio e calpestò rumorosamente igradini, scendendo di corsa al piano disotto, verso il punto della parete in cui,come le aveva detto Jace, c’era l’unicomodo di entrare e uscire

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dall’appartamento.Non si era illusa di poter fuggire, ma

le servivano pochi istanti per fare quelloche doveva essere fatto. Sentì gli stivalidi Sebastian battere forte sulla scala divetro dietro di lei e acceleròulteriormente, rischiando di schiantarsicontro il muro. Prima ci piantò contro lostilo, disegnando freneticamente unoschema semplice come una croce enuovo al mondo come…

Il pugno di Sebastian si chiuse dietroalla sua giacca, tirandola all’indietro efacendole volare di mano lo stilo.Trasalì quando lui la sollevò di peso ela lanciò contro il muro, lasciandolasenza fiato. Sebastian guardò il marchioche Clary aveva appena tracciato sulla

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parete e le labbra gli si contorsero in unghigno crudele.

— La runa di Apertura? — disse. Lesi avvicinò e le sibilò all’orecchio: — Enon l’hai nemmeno finita. Non che contiqualcosa. Pensi davvero che esista unposto sulla Terra dove potresti andaresenza che io riesca a trovarti?

Clary gli rispose con un insulto che,se detto alla St. Xavier, l’avrebbe fattabuttare fuori di classe. Quando luicominciò a ridere, lei sollevò una manoe gli diede una sberla in faccia così forteda sentirsi pungere le dita. Colto allasprovvista, Sebastian mollò la presa sudi lei, che ne approfittò per scappare viae scavalcare il tavolo per raggiungere lacamera da letto del piano inferiore, che

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aveva la porta con la serratura…Ma lui le stava già di fronte: la prese

per il bavero della giacca e la fecegirare. Clary non toccava più terra esarebbe caduta se lui non l’avesse tenutaferma contro il muro con tutto il corpo,le braccia lungo i fianchi, creandoleattorno una gabbia.

Aveva un sorriso diabolico. Ilragazzo elegante che l’aveva portata apasseggio lungo la Senna, che si erafermato per bere una cioccolata calda eaveva parlato dei loro legami di sangue,era sparito. Sebastian aveva gli occhicompletamente neri, senza pupille,profondi come tunnel. — Cos’è che nonva, sorellina? Sembri turbata.

Lei riusciva a stento a respirare. —

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Mi sono scheggiata… lo… smalto,schiaffeggiando la tua… faccia schifosa.Vedi? — Gli mostrò un dito, unosoltanto.

— Carino — disse lui con unasmorfia. — Sai perché sapevo che ciavresti traditi? Che non avresti resistito?Perché tu mi assomigli troppo.

Le premette più forte la schienacontro il muro. Clary sentiva il petto dilui salire e scendere contro il suo. Ilcorpo di Sebastian era come unaprigione attorno al suo, la tenevaimmobile. Davanti agli occhi aveva lalinea netta e diritta delle sue clavicole.— Io con te non c’entro per niente.Lasciami andare…

— Tu con me c’entri per tutto — le

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ringhiò nell’orecchio. — Seiun’infiltrata. Hai finto amicizia, hai fintoaffetto.

— Non ho mai avuto bisogno difingere affetto per Jace.

A quelle parole, Clary vide qualcosabrillare nello sguardo di Sebastian, unagelosia oscura, e non sapeva nemmenodi cosa potesse essere geloso. Lui lemise le labbra sulla guancia, abbastanzavicine da fargliele sentire mentre lemuoveva quando parlava. — Tu ci haifottuto — le mormorò. Le stringeva unamano attorno al braccio sinistro comeuna morsa; poi cominciò a farlascivolare lentamente verso il basso. —Anzi, con Jace l’hai fattoletteralmente…

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Clary non poté far altro che cercaredi allontanarsi. Lo sentì inspirare dicolpo. — Allora è vero — le disse. —Sei andata a letto con Jace. — Era comese si sentisse tradito.

— Non sono affari tuoi.Sebastian allora le prese il viso,

girandolo verso di sé, piantandole ledita nel mento. — Non puoi scoparequalcuno per farlo diventare buono.Bella mossa senza cuore, comunque. —La sua bocca delicata si tese in unfreddo sorriso. — Sai che non si ricordaniente, vero? Ti ha fatto divertire,almeno? Perché io l’avrei fatto.

Clary si sentì salire la bile in gola.— Tu sei mio fratello.

— Parole che, almeno in questo

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caso, non significano niente. Noi nonsiamo umani. Le loro regole non ciriguardano. Stupide regole su come puòmischiarsi il DNA! Che ipocrisia,davvero, se ci pensi. I sovranidell’antico Egitto si sposavano trafratelli, sai? Anche Cleopatra lo fece.Rafforza la linea di discendenza.

Clary lo guardò disgustata. — Già losapevo che eri pazzo — gli disse, — manon avevo capito che eri totalmente,assurdamente uscito fuori da quellacavolo di testa.

— Oh, non c’è niente di assurdo.Con chi dovremmo stare, se non l’unocon l’altra?

— Jace — rispose lei. — Il mioposto è con Jace.

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Sebastian sbuffò. — Te lo puoianche tenere.

— Pensavo che avessi bisogno dilui.

— Sì. Ma non per il tuo stessomotivo. — Le afferrò di colpo la vitacon le mani. — Possiamo dividercelo.Non mi importa quello che fate. Purchétu sappia che appartieni a me.

Clary sollevò le mani con l’intentodi spingerlo via. — Io non ti appartengo.Io appartengo a me stessa.

Lo sguardo negli occhi di lui laimpietrì. — Potresti fare di meglio — ledisse premendo la bocca sulla sua, conforza.

Per un istante era tornata a Idris, difronte alla tenuta dei Fairchild, quando

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Sebastian l’aveva baciata e l’aveva fattasentire come se stesse precipitando nelletenebre, in un tunnel senza fine. Ai tempiaveva pensato di avere qualcosa che nonandava. Di non poter baciare nessunoche non fosse Jace. Di essere lei quellastrana.

Ora invece aveva capito. La boccadi Sebastian si muoveva sopra la sua,dura e fredda come lo squarcio di unrasoio nelle tenebre. Si mise in punta dipiedi e, con violenza, gli morse illabbro.

Lui gridò e si allontanò di scatto,portandosi una mano alla bocca. Sentivail sapore del sangue, rame amaro: glicolò giù per il mento mentre la fissavacon occhi increduli. — Tu…

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Clary si girò e gli diede un calcionenello stomaco, sperando gli facesseancora male per il pugno di prima.Quando Sebastian si piegò su se stesso,gli passò di fianco a tutta velocità,correndo verso le scale. Era quasiarrivata quando sentì che lui la afferravaper il colletto. La fece roteare comefosse una mazza da baseball e la scagliòcontro la parete. Lo scontro fu cosìviolento che la fece cadere sulleginocchia, completamente senza fiato.

Sebastian andò di nuovo all’assalto,le mani piegate lungo i fianchi e gliocchi neri che rilucevano come quelli diuno squalo. Aveva un aspettoterrificante: Clary sapeva che sarebbestato normale avere paura, ma sentì

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dentro di sé un freddo distacco. Eracome se il tempo si fosse fermato.Ricordò il combattimento dal rigattieredi Praga, come era sparita nel suomondo dove ogni movimento era precisocome quello di un orologio. Sebastian sichinò per afferrarla, e lei saltò versol’alto, staccandosi da terra, distendendole gambe di lato e colpendolo così fortealle gambe da fargli perderel’equilibrio.

Lui cadde in avanti e lei rotolò via,rimettendosi in piedi con un balzo.Questa volta non si prese nemmeno labriga di correre. Preferì afferrare il vasodi porcellana che c’era sul tavolo e,appena Sebastian fu in piedi, glielo tiròin testa. Il soprammobile andò in

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frantumi, spruzzando acqua mista afoglie, e Sebastian barcollò all’indietro,col sangue che gli sbocciava tra i capellibianco-argento.

Ringhiò e le saltò addosso. Fu comeessere colpiti da una palla dademolizione. Clary volò all’indietro,sfondando il tavolo di vetro, e atterròsul pavimento in un’esplosione dischegge e dolore. Lanciò un urlo, mentreSebastian le cadeva sopra, premendoleil corpo contro i vetri rotti, le labbraritratte come una belva. Prese lo slancio,abbassò un braccio e le colpì il viso. Ilsangue la accecò; il suo sapore in boccala soffocò, mentre il sale le pungeva gliocchi. Sollevò di scatto un ginocchio,colpendo Sebastian allo stomaco, ma era

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come prendere a calci un muro. Lui leafferrò le mani, costringendola aportarle lungo i fianchi.

— Clary, Clary, Clary — le disse.Ansimava. Almeno era riuscita a farglivenire il fiatone… Il sangue gli colavain un lento rivolo da una ferita al latodella testa, tingendogli i capelli dirosso. — Non male. A Idris non eri unagrande combattente…

— Togliti…Le avvicinò il viso e fece saettare la

lingua in fuori. Lei cercò di divincolarsi,ma non riuscì a muoversi abbastanza infretta: lui le stava già leccando il sanguedalla guancia, sorridendo. Ma sorrideregli lacerò un labbro, e sul mento colòancora più sangue. — Mi hai chiesto a

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chi appartengo — le sussurrò. — Ioappartengo a te. Il tuo sangue è il miosangue, le tue ossa sono le mie ossa. Laprima volta che mi hai visto, avevoun’aria familiare, vero? Come tu l’aveviper me…

Clary rimase a bocca aperta. — Tusei pazzo.

— Sta scritto nella Bibbia — ledisse. — Tu mi hai rapito il cuore, o miasorella, sposa mia; tu mi hai rapito ilcuore con un solo sguardo dei tuoiocchi, con uno solo dei monili del tuocollo. — Le sfiorò la gola con le dita,infilandole poi nella catenina chereggeva l’anello dei Morgenstern. Clarysi chiese se le avrebbe sfondato latrachea. — Io dormo, ma il mio cuore

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veglia: è il mio diletto che bussa.“Aprimi, sorella mia, mia amica, miacolomba, mia perfetta”. — Il sangue dilui le stava colando sulla faccia. Simantenne immobile, il corpo che letremava per lo sforzo, mentre la mano diSebastian le scivolava dalla gola, lungoil collo, giù fino alla vita. Le infilò ledita dentro il bordo dei jeans. Aveva lapelle calda, bollente: sentiva che lavoleva.

— Tu non mi ami — gli disse Clary.Aveva parlato con un filo di voce; lui lestava schiacciando fuori tutta l’aria daipolmoni. Ricordò quello che aveva dettosua madre, cioè che ogni emozionemostrata da Sebastian era finzione. Tuttosommato, lei riusciva ancora a pensare

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con la massima lucidità: in silenzio,ringraziò l’eccitazione da battaglia peraver fatto quello che doveva fare e peraverla aiutata a mantenere laconcentrazione, mentre Sebastian lanauseava con il suo tocco.

— E a te non importa il fatto che iosono tuo fratello — le rispose lui. — Soquello che provavi per Jace, anchequando pensavi che fosse tuo fratello. Tunon puoi mentirmi.

— Jace è molto meglio di te.— Nessuno è meglio di me. —

Sorrise, tutto sangue e denti bianchi. —Giardino chiuso tu sei, sorella mia,sposa, giardino chiuso, fontana sigillata.Ma non più, vero? A quello ci hapensato Jace. — Mentre lui armeggiava

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con il bottone dei suoi jeans, Clary neapprofittò per raccogliere da terra unascheggia di vetro triangolare. La strinsee conficcò il bordo frastagliato nellaspalla di Sebastian.

Il vetro le scivolò sulle dita,lacerandole. Lui urlò e si allontanò, mapiù per la sorpresa che per il dolore; ladivisa lo proteggeva. Clary tornò acolpire con il vetro, questa volta nellacoscia, e, quando lui arretrò, gli piantòil gomito dell’altro braccio nella gola.Sebastian cadde di lato, tossendo, eClary rotolò, bloccandolo sotto di sé,mentre gli estraeva la scheggia di vetrodalla gamba. La abbassò verso la venapulsante del collo… e si fermò.

Sebastian stava ridendo. Era sotto di

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lei e rideva, una risata che le vibrava intutto il corpo. Aveva la pelle coperta disangue: quello di Clary che gli colavaaddosso, il proprio nei punti dove lei loaveva ferito, i capelli color platinocompletamente impiastricciati.Sebastian lasciò cadere le braccia ailati, allargate come ali. Ali di un angeloinfranto, caduto dal cielo.

Disse: — Uccidimi, sorellina.Uccidimi, e ucciderai anche Jace.

Lei lasciò cadere la scheggia divetro.

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capitolo 20

UNA PORTA NEL BUIO

Clary urlò in preda alla più totalefrustrazione mentre la scheggia di vetrosi andava a piantare nel pavimento dilegno, a pochi centimetri dalla gola diSebastian.

Lo sentì ridere sotto di sé. — Nonpuoi farlo — le disse. — Non puoiuccidermi.

— Tu puoi andare all’Inferno — gli

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ringhiò contro. — È Jace che non possouccidere.

— Stessa cosa — ribatté lui e,mettendosi a sedere così in fretta che amalapena Clary lo vide muoversi, lacolpì in faccia con una forza tale dafarla slittare sul pavimento cosparso dischegge. La scivolata si interruppecontro il muro, dove Clary si sentìsoffocare e tossì sangue. Si nascose latesta dietro l’avambraccio, il sapore el’odore del proprio sangue ovunque,metallico e nauseante. Un secondo dopo,la mano di Sebastian aveva giàimpugnato la sua giacca e la stavatirando in piedi.

Non si oppose. Che senso aveva?Perché lottare contro una persona che

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cercava di ucciderti e sapeva che tu nonvolevi fare lo stesso con lei, nemmenoferirla seriamente? Avrebbe vintocomunque. Rimase immobile, mentre luila esaminava. — Poteva andare peggio— le disse. — Sembra che la giacca tiabbia protetto da danni veri.

Danni veri? Si sentiva come se ilproprio corpo fosse stato fatto a pezzi datanti coltellini. Lo guardò minacciosa,mentre lui la sollevava e la prendeva frale braccia. Era come a Parigi, quandol’aveva sottratta all’attacco dei demoniDahak, ma allora si era sentita, se nonproprio riconoscente, per lo menoconfusa. Adesso invece scoppiava diodio, odio profondo. Mantenne il corpoin tensione mentre lui la portava su per

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le scale, gli stivali che risuonavano suigradini. Stava cercando di dimenticareche la stava toccando, che le stavatenendo un braccio sotto le cosce e lemani possessive sulla schiena.

Lo ucciderò, pensava. Troverò unmodo e lo ucciderò. Sebastian entrò incamera di Jace e la scaricò sulpavimento. Lei indietreggiò barcollando,ma lui la prese e le strappò la giacca didosso. Sotto Clary indossava soltantouna maglietta, ridotta a un colabrodocome se l’avesse strofinata con unagrattugia, macchiata dappertutto disangue.

Sebastian fece un fischio.— Sei messa male, sorellina — le

disse. — Forse è meglio se vai in bagno

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a lavarti via un po’ di quel sangue.— No — si oppose lei. — Lascia

che mi vedano così. Lascia che vedanocosa hai dovuto fare per costringermi avenire con te.

Sebastian fece scattare la mano e leprese il mento, sollevandole il viso. Siguardavano a pochi centimetri didistanza. Clary avrebbe voluto chiuderegli occhi, ma si rifiutò di dargli quellasoddisfazione. Lo fissò, i cerchid’argento dentro agli occhi neri, ilsangue sul labbro dove lo aveva morso.— Tu appartieni a me — disse lui, dinuovo. — E ti avrò al mio fianco, anchese dovrò obbligarti a esserci.

— Perché? — gli chiese Clary, larabbia amara sulla lingua quanto il

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sapore del sangue. — Cosa ti importa?So che non puoi uccidere Jace, mapotresti uccidere me. Perché non lo fai ebasta?

Solo per un istante, gli occhi diSebastian si fecero distanti, vitrei, comese stesse vedendo qualcosa di invisibilea lei. — Questo mondo verrà consumatodalle fiamme dell’Inferno — disse. —Ma io porterò te e Jace al sicuroattraverso di esse, se solo farete quelloche voglio. È una grazia che non estendoa nessun altro. Non capisci quanto seistupida a rifiutarla?

— Jonathan — gli disse. — Noncapisci che è impossibile chiedermi ticombattere al tuo fianco se tu vuoiridurre il mondo in cenere?

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Gli occhi di lui le fissaronointensamente il viso. — Ma perché? —Il suo tono era quasi lamentoso. —Perché questo mondo è così prezioso,per te? Lo sai che ce ne sono altri. — Ilsuo sangue sulla pelle diafana spiccavadi un rosso intenso. — Dimmi che miami. Dimmi che mi ami e checombatterai con me.

— Io non ti amerò mai. Ti sbagliaviquando dicevi che abbiamo lo stessosangue. Il tuo è veleno, veleno didemone. — Pronunciò le ultime parolecon disprezzo.

Lui si limitò a sorridere, mentre gliocchi gli brillavano di un bagliore cupo.Clary sentì qualcosa bruciarle sullaparte superiore del braccio e fece un

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salto prima di accorgersi che era unostilo. Lui le stava tracciando un iratzesulla pelle. Anche se il dolore siattenuava, lei continuava a odiarlo.Sentiva il braccialetto di Sebastianrisuonargli contro il polso mentre luimuoveva la mano con perizia percompletare la runa.

— Sapevo che mentivi — gli disseClary all’improvviso.

— Io mento spesso, piccola — fu lasua risposta. — A cosa ti riferisci, inparticolare?

— Il braccialetto. Acherontamovebo. Non significa “Mi muoveròcontro i tiranni”. Questa è una citazionedi Virgilio. Flectere si nequeo superos,Acheronta movebo. “Se non posso

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muovere i celesti, muoverò gli inferi”.— Il tuo latino è meglio di quanto

pensassi.— Imparo in fretta.— Non abbastanza. — Le lasciò il

mento. — Ora vai in bagno e datti unaripulita — le ordinò dandole una spinta.Poi prese dal letto il vestito dacerimonia di sua madre e glielo buttò frale braccia. — Il tempo stringe e la miapazienza si sta esaurendo. Se non sei quifra dieci minuti, vengo a prenderti. E,credimi, non ti piacerà.

— Sto morendo di fame — disseMaia. — Mi sento come se nonmangiassi da giorni! — Aprì la porta delfrigorifero e ci sbirciò dentro. — Oh,no…

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Jordan la tirò indietro, avvolgendolafra le sue braccia e strofinandole il nasosulla nuca. — Possiamo ordinarequalcosa. Pizza, cucina thailandese,messicana, tutto quello che vuoi. Purchénon costi più di venticinque dollari.

Lei si girò fra le sue braccia,ridendo. Indossava una delle suecamicie; era un po’ grande persino perlui, e a lei arrivava quasi alle ginocchia.Si era raccolta i capelli in una crocchiadietro al collo. — Spendaccione — glidisse.

— Per te questo e altro. — Lasollevò per la vita e la mise su uno deglisgabelli della cucina. — Potrestimangiare un taco. — La baciò. Le labbradi lui erano dolci, con un leggero sapore

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di menta, per il dentifricio. Maia sentì lascossa che le provocava il contatto conla pelle di lui: cominciava alla basedella spina dorsale e si diffondeva intutti i nervi.

Ridacchiò contro la sua bocca,mettendogli le braccia al collo. A untratto, uno squillo acuto interruppe ilmormorio del suo sangue e Jordan simise a rovistare dietro di sé alla ricercadel telefono. Quando lo trovò, avevasmesso di suonare, ma lo presecomunque, corrugando la fronte. — È ilPraetor.

Il Praetor non chiamava mai, oalmeno lo faceva di rado. Solo quandoc’era qualcosa di importanza capitale.Maia fece un sospiro e si appoggiò

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all’indietro sul bancone. — Richiamali.Lui annuì, mentre già si stava

portando il telefono all’orecchio. Lavoce di Jordan era un mormoriosommesso che le risuonava nel profondodella mente mentre saltava giù dallosgabello e andava davanti al frigo, doveerano attaccati i menu del cibod’asporto. Li scartabellò finché nontrovò quello del ristorante thailandeseche le piaceva. Si girò tenendolo inmano.

Jordan ora era in piedi al centro delsalotto, il volto bianchissimo, il telefonodimenticato nella mano. Maia sentìall’altro capo una voce metallica,distante, che pronunciava il nome diJordan.

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Maia lasciò cadere il menu e corseda Jordan. Gli tolse il telefono di mano,interruppe la comunicazione e loappoggiò sul bancone. — Jordan? Checosa è successo?

— Il mio compagno di stanza…Nick… Ti ricordi? — disse con sguardoincredulo. — Non l’hai mai incontrato,ma…

— Ho visto le sue foto — disseMaia. — È successo qualcosa?

— È morto.— Come?— Sgozzato, completamente

dissanguato. Pensano che abbiaindividuato il soggetto a lui assegnato eche questo lo abbia ucciso.

— Maureen? — Maia era scioccata.

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— Ma era soltanto una ragazzina…— Adesso è un vampiro — Jordan

fece un respiro profondo. — Maia… —Lei lo stava guardando. Gli occhi diJordan erano vitrei, i capelli arruffati.Dentro le sorse all’improvviso ilpanico. Baciarsi, toccarsi e persino faresesso erano una cosa; consolare unapersona colpita da un lutto, un’altra.Richiedeva impegno. Affetto. Desideriodi alleviare il suo dolore e, allo stessotempo, gratitudine verso Dio perchéquella cosa brutta non era successa a lei.

— Jordan — disse piano, mettendosisulle punte dei piedi e abbracciandolo.— Mi dispiace.

Il cuore di Jordan batteva fortecontro il suo. — Nick aveva solo

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diciassette anni.— Era uno dei Praetor, come te —

gli sussurrò. — Sapeva che erapericoloso. E tu ne hai solo diciotto. —Jordan strinse la presa su di lei ma nondisse nulla. — Jordan. Io ti amo. Ti amoe mi dispiace.

Lo sentì irrigidirsi. Era la primavolta che gli diceva quelle parole dapoche settimane prima di essere statamorsa. Jordan trattenne il respiro, poi lorilasciò, espirando sonoramente.

— Maia — sospirò. E poi,inaspettatamente, prima di poteraggiungere altro, il telefono di leisquillò.

— Non importa — disse. — Nonrispondo.

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Jordan la lasciò andare, il visotenero, attonito per il dolore e lostupore. — No — disse, — potrebbeessere importante. Fai pure.

Maia fece un sospiro e andò verso ilbancone. Il telefono smise di suonarequando lo raggiunse, ma sullo schermocomparve un messaggio. Sentì i muscolidello stomaco contrarsi.

— Cosa c’è? — chiese Jordan,come se avesse percepito la sua tensioneimprovvisa. Forse lo aveva fattodavvero.

— 911, emergenza. — Lei lo guardò,col telefono in mano. — Chiamata allearmi. Arrivata a ogni membro delbranco. Da parte di Luke… e di Magnus.Dobbiamo andare immediatamente.

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Clary era seduta sul pavimento delbagno di Jace, la schiena contro lepiastrelle della vasca, le gambeallungate davanti a sé. Si era ripulita ilviso e il corpo dal sangue, per poisciacquarsi i capelli insanguinati nellavandino. Indossava l’abito dacerimonia di sua madre, sollevato finoall’altezza delle cosce, e il pavimentoera freddo contro i piedi e i polpaccinudi.

Si guardò le mani. Avrebbero dovutoessere diverse, pensò. Ma erano lestesse che aveva sempre avuto: ditasottili, unghie squadrate (non le tienilunghe, se sei un’artista) e lentigginisulle nocche. Anche il viso era il solito.Tutto, in lei, era come sempre. Soltanto

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lei stessa non lo era più. Quegli ultimigiorni l’avevano cambiata in un modoche ancora non riusciva a comprendereappieno.

Si alzò in piedi e si guardò allospecchio. Era pallida, tra i colori delfuoco dei capelli e del vestito. I lividi ledecoravano spalle e collo.

— Ti stai rimirando? — Non avevasentito Sebastian aprire la porta, maeccolo lì, con quel ghignoinsopportabile di sempre, appoggiatoallo stipite della porta. Indossava untipo di divisa che non aveva mai visto:il consueto materiale robusto, ma di uncolore scarlatto come sangue fresco.Aveva inoltre aggiunto un accessorio:una balestra. La teneva con noncuranza

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in una sola mano, anche se dovevaessere davvero pesante. — Staibenissimo, sorella. La compagna giustaper me.

Lei si mangiò le parole col saporedel sangue che ancora le indugiava inbocca e camminò verso di lui. Mentrecercava di oltrepassarlo, premendosicontro la cornice della porta, Sebastianla prese per un braccio. La mano lescivolò sopra la spalla nuda. — Bene —le disse. — Vedo che qui non seimarchiata. Odio quando le donne sirovinano la pelle con le cicatrici. Lasciai marchi a gambe e braccia.

— Preferirei che non mi toccassi.Lui sbuffò e alzò la balestra con un

gesto veloce. Sopra c’era una freccia,

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pronta a colpire. — Cammina — ledisse. — Io ti sto dietro.

Le ci volle fino all’ultimo briciolodi forza che aveva per non scappare. Sigirò e camminò verso la porta,avvertendo un bruciore fra le scapole,dove si immaginava fosse puntata lafreccia della balestra. Proseguirono cosìanche giù per le scale e attraversocucina e salotto. Sebastian fece unasmorfia alla vista della runa che Claryaveva tracciato sulla parete; mise unamano davanti a lei e fece comparire unaporta. Si aprì da sola, dando su unquadrato di tenebra.

La balestra pungolò Clary con forzanella schiena. — Muoviti.

Lei fece un respiro profondo, e

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avanzò nel buio.Alec premette l’intera mano sul

bottone del piccolo ascensore a gabbia esi abbandonò con le spalle al muro. —Quanto tempo abbiamo?

Isabelle controllò lo schermoluminoso del suo cellulare. — Circaquaranta minuti.

Mentre l’ascensore cigolava versol’alto, la ragazza lanciò un’occhiatafurtiva al fratello. Lui aveva l’ariastanca, con semicerchi bluastri sotto gliocchi. Malgrado forza e altezza, Alec,coi suoi occhi azzurri e i suoi sofficicapelli neri che gli arrivavano fin quasial collo, sembrava più fragile di quantonon fosse. — Sto bene — le disse,rispondendo alla tacita domanda di

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Isabelle. — Sei l’unica che avrà deiproblemi per essere rimasta via da casa.Io ho compiuto diciotto anni, posso farequello che mi pare.

— Ho mandato un messaggio allamamma tutte le sere, dicendole che erocon te e con Magnus — rispose leiquando l’ascensore si fermò. — Non èche non sapesse dove fossi. Quanto aMagnus…

Alec allungò un braccio davanti allasorella e aprì la porta internadell’ascensore. — Cosa?

— Tutto bene, fra voi? Cioè, andated’accordo e tutto quanto?

Alec le lanciò uno sguardo incredulomentre lei usciva sul pianerottolo. —Sta per andare tutto quanto a ramengo e

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tu vuoi sapere come va la mia storia conMagnus?

— Mi sono sempre chiesta cosavolesse dire quell’espressione… —disse Isabelle, pensierosa, seguendo apassi rapidi il fratello lungo ilcorridoio. Alec aveva gambe lunghe,molto lunghe e, benché pure lei fosseveloce, certe volte era difficile starglidietro. — Perché a ramengo? Che vuoldire? E, se è un posto, cosa ci sarà?

Alec, che era stato parabatai di Jaceabbastanza a lungo da aver imparato aignorare le conversazioni cherischiavano di partire per la tangente,disse: — Io e Magnus andiamo bene,credo.

— Oh-oh — fece Isabelle. — Bene,

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credo? Lo so che cosa intendi, quandodici così. Che cosa è successo? Avetelitigato?

Mentre camminavano veloci, Alectamburellava le dita contro la parete,segnale inconfondibile di nervosismo.— Smettila di intrometterti nella miavita privata, Iz. E tu, invece? Perché tu eSimon non state insieme? È ovvio chelui ti piace.

Isabelle fece un verso di sorpresa.— Io non sono ovvia!

— E invece sì — ribatté Alec, comese la cosa, ora che ci pensava,sorprendesse anche lui. — Lo guardicon certi occhioni trasognati… E poi,come sei impazzita, al lago, quando ècomparso l’Angelo…

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— Pensavo che Simon fosse morto!— Più morto, vuoi dire? — ribatté

Alec bruscamente. Vedendol’espressione sul viso di sua sorella,scrollò le spalle. — Ascolta, se ti piace,bene. Solo che non capisco perché nonvi frequentate ufficialmente.

— Perché io non piaccio a lui.— Certo che sì, invece. Non esiste

un ragazzo a cui tu non piaci.— Scusami, eh, ma credo che il tuo

sia un giudizio un po’ di parte…— Isabelle — disse lui, e ora nella

sua voce c’era gentilezza, il tono cheIsabelle normalmente attribuiva a suofratello: affetto misto a esasperazione.— Tu lo sai di essere stupenda. I ragazziti danno la caccia da… da sempre.

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Perché Simon dovrebbe essere diverso?Lei fece spallucce. — Non lo so.

Però è così. Penso che il coltello dallaparte del manico l’abbia lui. Sa cosaprovo. Ma non credo che abbia fretta difare qualcosa, in proposito...

— Però non ha altre storie in giro.— Lo so, ma… è sempre stato così.

Clary…— Credi che sia ancora innamorato

di lei?Isabelle si mordicchiò un labbro. —

Io credo… no, non proprio. Lei è l’unicacosa che gli resta della sua vita umana,non può perderla. E finché sarà così, nonso se c’è spazio per me.

Erano quasi arrivati in biblioteca.Alec lanciò a Isabelle uno sguardo in

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tralice, da sotto le lunghe ciglia. — Masono soltanto amici…

— Alec — Isabelle alzò una mano,facendo segno al fratello di tacere. Dallabiblioteca provenivano delle voci, laprima stridula e immediatamenteidentificabile con quella della loromadre:

— Cosa vuol dire scomparsa?— Nessuno la vede da due giorni —

disse un’altra voce femminile, pacata, inun leggero tono di scuse. — Vive sola,perciò non si sa con certezza, maabbiamo pensato, dato che conosci suofratello…

Senza aspettare oltre, Alec aprì abraccio teso la porta della libreria.Isabelle gli passò davanti e vide sua

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madre seduta dietro l’imponentescrivania di mogano al centro dellastanza. Davanti a lei, in piedi, due figurefamiliari: Aline Penhallow, con indossola divisa, e accanto a lei HelenBlackthorn, coi capelli ricciscompigliati. Si voltarono entrambe,sorprese, sentendo la porta aprirsi.Helen era pallida sotto le lentiggini; ladivisa che anche lei indossava, poi, lafaceva sembrare ancora più esangue.

— Isabelle! — esclamò Marysealzandosi in piedi. — Alexander. Checosa è successo?

Aline prese la mano di Helen. Dueanelli d’argento luccicarono sulle lorodita: quello dei Penhallow, colcaratteristico disegno di montagne, su

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quelle di Helen; le spine intrecciatedella famiglia Blackthorn su quelle diAline. Isabelle sentì che le suesopracciglia si stavano sollevando.Scambiarsi gli anelli di famiglia era unacosa seria. — Se siamo di troppo,possiamo andarcene… — fece Aline.

— No, restate — chiese Izzy,andando verso di loro. — Potremmoavere bisogno di voi.

Maryse si sistemò sulla sedia. — Edunque i miei figli mi degnano della loropresenza. Dove siete stati? — chiese.

— Te l’ho detto — rispose Isabelle.— Eravamo da Magnus.

— E come mai? — incalzò Maryse.— Non lo sto chiedendo a te, Alexander.Lo sto chiedendo a mia figlia.

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— Perché il Conclave ha smesso dicercare Jace — rispose Isabelle. — Manoi no.

— E Magnus voleva aiutarci —aggiunse Alec. — Tutte queste notti nonha dormito per consultare i suoi libri dimagia, cercando di capire dove potessetrovarsi Jace. Ha persino evocato…

— No — lo interruppe Marysealzando una mano. — Non dirmelo. Nonvoglio saperlo. — Il telefono nero sullascrivania cominciò a squillare e tutti ciposarono sopra lo sguardo. Unatelefonata da quell’apparecchio era unatelefonata da Idris. Nessuno si mosseper rispondere e, un istante dopo, eratornato il silenzio. — Perché siete qui?— chiese Maryse, rivolgendo di nuovo

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l’attenzione ai suoi figli.— Stiamo cercando Jace — ripeté

Isabelle.— Quello è un compito che spetta al

Conclave — scattò Maryse. Isabellenotò che sua madre aveva l’aria stanca,la pelle tirata e sottile sotto gli occhi. Lerughe agli angoli della boccaconferivano alla linea delle sue labbraun’espressione triste. Era così magrache, dai polsi, sembravano sbucare leossa. — Non vostro.

Alec picchiò la mano sul tavoloabbastanza forte da far tremare icassetti. — Ma vuoi starci a sentire? IlConclave non ha trovato Jace, noiinvece sì. E con lui Sebastian. Sappiamoanche cos’hanno in mente, e abbiamo…

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— si interruppe per controllarel’orologio alla parete — pochissimotempo per fermarli. Ci vuoi aiutare ono?

Il telefono nero suonò di nuovo. E dinuovo Maryse non fece nemmenol’accenno di voler rispondere. Stavafissando Alec, bianca in volto per loshock. — Avete fatto cosa?!

— Sappiamo dov’è Jace, mamma —intervenne Isabelle. — O per lo menodove sarà. E anche cosa farà. Siamo alcorrente del piano di Sebastian edobbiamo fermarlo. Ah, abbiamo anchescoperto come possiamo ucciderlo senzafar male a Jace…

— Basta — Maryse scosse la testa.— Alexander, spiegati. Conciso e senza

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isterismi, grazie.Alec iniziò il suo racconto,

tralasciando, secondo Isabelle, tutte leparti migliori, cosa che gli permise diriassumere il tutto in maniera efficace.Nonostante la brevità, quando ebbeterminato, sia Aline che Helen erano abocca aperta. Maryse rimase in silenzio,immobile. A un tratto, disse con un filodi voce:

— Perché avete fatto queste cose?Alec sembrò preso alla sprovvista.— Per Jace — rispose Isabelle. —

Per farlo tornare.— Vi rendete conto che, mettendomi

in questa situazione, non mi date altrascelta se non di avvertire il Conclave?— ribatté Maryse, con la mano ferma sul

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telefono nero. — Avrei preferito che nonfoste venuti.

Isabelle si sentì la bocca asciutta. —Sei davvero arrabbiata con noi perché tiabbiamo finalmente raccontato tuttoquello che sta succedendo?

— Se avverto il Conclave, loromanderanno rinforzi. Jia non potrà farealtro che ordinare di sparare a vista suJace. Avete un’idea di quantiShadowhunters appoggiano il figlio diValentine?

Alec scosse la testa. — Forse unaquarantina, sembrerebbe.

— Supponiamo di presentarci con ildoppio delle forze. Saremmo abbastanzasicuri di sconfiggerlo, ma cosasuccederebbe a Jace? Praticamente non

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ci sono possibilità che ne esca vivo. Loucciderebbero anche solo per sicurezza.

— E allora non possiamo avvisarli.Andremo da soli. Lo faremo senza ilConclave — dichiarò Isabelle.

Maryse, senza smettere di guardarela figlia, stava scuotendo la testa. — LaLegge dice che dobbiamo informarli.

— Non mi importa della Legge —esordì lei con rabbia. Poi notò che Alinela stava guardando, così chiuse la bocca.

— Non ti preoccupare — disse laragazza, — non dirò niente a mia madre.Io sono in debito con voi. Specialmentecon te, Isabelle. — Aline irrigidì ilmento; Isabelle si ricordò le tenebresotto un ponte, a Idris, e la sua frusta chesi abbatteva su un demone che aveva già

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gli artigli sopra la ragazza. — E poiSebastian ha ucciso mio cugino. Il veroSebastian Verlac. Perciò anch’io ho imiei buoni motivi per odiarlo.

— Non importa — fece Maryse. —Se non lo diciamo, andiamo contro laLegge. Potrebbero sanzionarci, o peggio.

— Peggio? — chiese Alec. — Dicosa stiamo parlando? Esilio?

— Non lo so, Alexander — risposesua madre. — La decisione spetterebbea Jia Penhallow e a chiunque siaggiudicherà il ruolo di Inquisitore.

— Magari sarà papà — mormoròIzzy. — E magari non sarà tropposevero.

— Se non li avvertiamo di questasituazione, Isabelle, non ci sono

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possibilità che tuo padre diventiInquisitore, neanche una — osservòMaryse.

Izzy fece un respiro profondo. —Potremmo rischiare di farci togliere imarchi? Potremmo… perdere l’Istituto?

— Isabelle — disse sua madre. —Potremmo perdere tutto.

Clary batté le palpebre per adattaregli occhi all’oscurità. Era in piedi su unaspianata rocciosa, sferzata dal vento,senza niente che potesse frenarnel’impeto. Zolle d’erba spuntavano qua elà tra lastre di roccia grigia. Inlontananza sorgevano delle collinecarsiche brulle, coperte di detriti, nere eferrose contro il cielo notturno. Davantia sé, delle luci. Clary riconobbe il

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bagliore accecante e intermittente dellastregaluce, mentre la portadell’appartamento si chiudeva di colpoalle loro spalle.

Ci fu il suono di un’esplosionesmorzata. Clary si voltò di scatto e videche la porta era svanita; al suo posto erarimasta una chiazza di bruciato ed erbaancora fumante. Sebastian la fissava inpreda al più totale stupore. — Checosa…

Clary rise. Una tetra gioia le salì dalprofondo quando scorse l’espressionesul viso di Sebastian. Non lo aveva maivisto così scioccato, l’arroganza sparita,il viso che non poteva nascondere losgomento.

Tornò ad alzare la balestra contro di

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lei, a pochi centimetri dal petto. Sel’avesse colpita da quella distanza, lafreccia le avrebbe trapassato il cuore,uccidendola all’istante. — Che cosa haifatto?

Clary lo guardò trionfante. — Quellaruna, quella che pensavi essere una runadi Apertura incompleta. Ti sbagliavi.Era soltanto una cosa che non avevi maivisto prima. Una runa creata da me.

— Una runa per cosa?Clary ricordò il momento in cui

aveva appoggiato la punta dello stilo sulmuro, la forma della runa a cui avevapensato la sera in cui Jace l’avevaraggiunta da Luke. — Per distruggere lacasa nell’istante in cui qualcuno avrebbeaperto la porta. Ora è sparita, non puoi

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più usarla. Nessuno può farlo.— Sparita? — La balestra vibrò. Le

labbra di Sebastian si contrassero, losguardo gli si accese di rabbia. —Stronza. Sei una piccola…

— Uccidimi — lo provocò lei. —Fatti avanti. E poi vallo a spiegare aJace. Ti sfido.

Sebastian la guardò, il petto ansante,le dita che gli tremavano sul grilletto.Lentamente, spostò la mano. Aveva gliocchi piccoli e furiosi. — Ci sono cosepeggiori della morte — le disse. — E iote le farò passare tutte, sorellina, dopoaver bevuto dalla Coppa. E, vedrai… tipiaceranno.

Clary gli sputò addosso. Lui lepremette con forza la punta della freccia

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contro il petto, facendole male. — Girati— ringhiò. Lei lo fece, stordita da unmisto di terrore e trionfo, mentre lui laspingeva giù per una discesa rocciosa.Indossava ancora delle pantofoleleggere e, sotto i piedi, sentiva ognisingolo sasso o crepa del suolo.Avvicinandosi alla stregaluce, videfinalmente la scena che si presentavadavanti ai loro occhi.

Il terreno si inerpicavatrasformandosi in una bassa collina incima alla quale, rivolto verso nord,sorgeva un enorme dolmen. Le ricordavaun po’ Stonehenge: due pietre verticaline reggevano una terza orizzontale, cosìche l’intera struttura ricordava unaporta. Davanti c’era una lastra

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orizzontale, simile a un palco distesosopra l’erba e lo scisto. Davanti a quellapietra, vide un semicerchio di circaquaranta Nephilim vestiti di rosso e conin mano torce di stregaluce. All’internodi quello schieramento, sul suolo scuro,brillava un pentagramma bianco-azzurro.

In piedi, sulla lastra orizzontale,c’era Jace. Indossava una divisascarlatta, come quella di Sebastian; nonerano mai stati così simili.

Clary riconobbe lo splendore deisuoi capelli persino da quella distanza.Lui stava camminando sul bordo dellalastra; avvicinandosi, con Sebastian chela pungolava da dietro, Clary riuscì asentire cosa stava dicendo.

— … gratitudine per la vostra lealtà,

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anche dopo questi ultimi, difficili anni, egratitudine per aver creduto in nostropadre e, ora, nei suoi figli. E in suafiglia.

Un mormorio si diffuse tra i presenti.Sebastian spinse Clary in avanti;camminarono fra le ombre e poi salironosulla pietra mettendosi dietro a Jace.Quando lui li vide, prima di dare lespalle ai presenti, chinò il capo. Stavasorridendo. — Voi siete coloro cheverranno salvati — annunciò. — Milleanni fa, l’Angelo ci diede il suo sangueper renderci speciali, per renderci deiguerrieri. Ma non è stato abbastanza.Mille anni sono trascorsi, e ancoradobbiamo nasconderci nell’ombra.Proteggiamo mondani che non amiamo

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da forze di cui loro restano all’oscuro,mentre una Legge antica, fossilizzata, ciimpedisce di manifestarci come lorosalvatori. Moriamo a centinaia, senza ungrazie e senza una lacrima, se non daparte dei nostri simili, e senza ricorrereall’Angelo nostro creatore. — Siavvicinò al bordo della piattaforma diroccia, davanti agli Shadowhuntersdisposti a semicerchio. I capelli di Jacesembravano un fuoco lucente. — Sì. Osodirlo. L’Angelo che ci ha creati non ciaiuterà: noi siamo soli. Persino più solidei mondani, perché, come disse unavolta uno dei loro grandi scienziati, sonocome bambini che giocano con i sassisulla spiaggia, mentre tutto attorno ilgrande oceano della verità giace

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sconosciuto. Ma noi la verità laconosciamo. Siamo i salvatori di questaTerra, e dovremo governarla.

Jace era un ottimo oratore, pensòClary avvertendo una fitta al cuore, cosìcome lo era stato Valentine. Ora lei eSebastian erano alle sue spalle, con losguardo rivolto verso la distesa e lafolla dei presenti. Riusciva a sentire gliocchi degli Shadowhunters puntati suentrambi.

— Sì, governarla. — Jace sorrise.Era un sorriso adorabile e spontaneo,pieno di fascino, ma intriso di oscurità.— Raziel è crudele e indifferente neiconfronti delle nostre sofferenze. Ètempo di voltargli le spalle e dirivolgersi a Lilith, la Grande Madre, che

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ci darà forza senza punizioni,supremazia senza Legge. Il nostro dirittodi nascita è il potere. Ed è giunto ilmomento di rivendicarlo.

Guardò di lato con un sorriso,mentre Sebastian si faceva avanti. — Eora lascerò che sia Jonathan, mente diquesto sogno, a raccontarvi il resto —annunciò con disinvoltura mentreretrocedeva per lasciare il posto aSebastian. Con un altro passo indietro sitrovò accanto a Clary, e abbassò unamano per intrecciarla con la sua.

— Bel discorso — gli mormorò lei.Sebastian stava parlando, ma Clary loignorava e si concentrava soltanto suJace. — Molto convincente.

— Credi? Stavo per esordire con

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“Amici, Romani, malfattori…”, ma noncredo che avrebbero capito la battuta.

— Pensi che siano davvero deimalfattori?

Lui scrollò le spalle. — Per ilConclave, sì. — Distolse lo sguardo daSebastian e lo posò su di lei. — Seibellissima — le disse, ma lo fece con untono di voce stranamente freddo. — Checosa è successo?

Clary fu colta alla sprovvista. — Inche senso?

Lui aprì la giacca. Sotto portava unacamicia bianca, macchiata di rosso sulfianco e sulla manica. Clary notò chefece attenzione a nascondersi dalla folla,mentre le mostrava il sangue. — Sentoquello che sente lui — le ricordò. — Te

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ne eri scordata? Mi sono dovuto fare uniratze senza farmi vedere. È stato comese qualcuno mi stesse tagliando la pellecon una lama di rasoio…

Clary incontrò il suo sguardo. Nonaveva senso mentire, no? Tanto nonc’era ritorno, né letteralmente né insenso figurato. — Io e Sebastianabbiamo litigato.

Lui le scrutò il viso. — Be’ — disselasciando che la giacca si chiudesse, —spero che abbiate risolto, qualunquecosa fosse.

— Jace… — fece per dire lei, ma ilragazzo aveva già rivolto tuttal’attenzione a Sebastian. Il suo profiloera nitido e freddo al chiarore dellaluna, come una sagoma ritagliata nella

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carta nera. Di fronte a loro Sebastian,che aveva appoggiato la balestra ealzato le braccia. — Siete con me? —gridò.

Un mormorio si diffuse tra la folla.Clary si irrigidì. Uno del gruppo deiNephilim, un uomo piuttosto anziano,buttò all’indietro il cappuccio e feceun’espressione corrucciata. — Tuopadre ci aveva fatto tante promesse,nessuna mantenuta. Perché oradovremmo credere a te?

— Perché io manterrò le miepromesse. Questa notte stessa —dichiarò Sebastian. Da sotto la casaccaestrasse la copia della Coppa Mortale,che alla luce della luna emanava undebole chiarore.

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A quel punto i mormorii si feceropiù intensi. Jace disse a Clary: — Sperovada tutto liscio. Mi sento come se lascorsa notte non avessi chiuso occhio.

Jace era rivolto verso la folla e ilpentagramma, con un’espressione diacceso interesse sul viso. Al chiaroredella stregaluce, i suoi lineamenti eranodelicatamente squadrati. Clary osservòla cicatrice sulla guancia, le infossaturedelle tempie, la forma adorabile dellabocca. Non me ne ricorderò, le avevadetto. Quando sarò tornato comeprima, sotto il suo controllo, nonricorderò di essere stato me stesso. Edera vero. Aveva dimenticato ognidettaglio. Anche se Clary se loaspettava, anche se lo aveva visto

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dimenticare, il dolore della realtàpungeva forte dentro di lei.

Sebastian scese dalla roccia e siavvicinò al pentagramma, al bordo delquale iniziò a recitare: — Abyssuminvoco. Lilith invoco. Mater mea,invoco.

Estrasse dalla cintura un pugnalesottile. Infilandosi la Coppasottobraccio, usò la lama per incidersi ilpalmo della mano. Il sangue sgorgò,nero al chiarore della luna. A quelpunto, si rimise il coltello nella cintura etenne la mano grondante sopra la Coppa,senza smettere di recitare formule latine.

Ora o mai più, pensò Clary. — Jace— sussurrò. — So che questo non seidavvero tu. So che c’è una parte di te

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che non è d’accordo con quello che stasuccedendo. Cerca di ricordare chi sei,Jace Lightwood.

Lui girò di scatto la testa e la guardòstupito. — Ma cosa stai dicendo?

— Ti prego, cerca di ricordare,Jace. Io ti amo. Tu ami me…

— Certo che ti amo, Clary — ledisse con una punta di irritazione nellavoce. — Ma mi avevi detto che capivi.E ora eccoci qui. Il culmine di tuttoquello per cui abbiamo lavorato.

Sebastian gettò il contenuto dellaCoppa al centro del pentagramma. —Hic est enim calix sanguinis mei.

— Abbiamo? Non io — ribattéClary. — Io non faccio parte di questacosa. E nemmeno tu…

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Jace inspirò bruscamente. Per unistante, Clary pensò che fosse per leparole che gli aveva appena detto,magari capaci, chissà come, dioltrepassare il muro, ma poi, seguendo ilsuo sguardo, vide che al centro delpentagramma era comparsa una sfera difuoco rotante. Era grande all’incircacome una palla da baseball, ma crescevasotto i suoi occhi allungandosi emodellandosi, finché non assunse lasagoma di una donna, una donnainteramente composta di fiamme.

— Lilith — disse Sebastian convoce squillante. — Come tu mi avevievocato, ora io evoco te. Come tu miavevi dato la vita, ora io la do a te.

A poco a poco le fiamme si

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scurirono. Davanti a tutti i presenti orac’era Lilith, alta la metà di un normaleessere umano, completamente nuda macoi capelli neri che le ricadevano acascata fino alle caviglie. Aveva ilcorpo grigio come cenere, percorso dalinee nere simili a lava vulcanica.Rivolse gli occhi a Sebastian, ed eranoserpenti color carbone che sicontorcevano.

— Figlio mio — sussurrò.Fu come se lui si illuminasse, quasi

fosse una stregaluce umana: carnagionepallida, capelli chiari, vestiti che sottola luna sembravano neri. — Madre, ti hoevocata come mi hai chiesto. Questanotte non sarai soltanto madre mia, bensìmadre di una nuova razza. — Indicò gli

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Shadowhunters in attesa, i quali,probabilmente per lo shock, eranocompletamente immobili. Un conto erasapere che si stava per evocare unDemone Superiore, un altro vederne unoper davvero. — La Coppa — disseSebastian, porgendola, col bordo biancomacchiato del proprio sangue, allamadre.

Lilith fece una risata soffocata, ilsuono di due enormi blocchi di roccia inattrito l’uno contro l’altro. Prese laCoppa e, con la disinvoltura con cui sipotrebbe togliere un insetto da unafoglia, si morse il polso color cenere.Molto lentamente cominciò a sgorgaredel sangue nero e melmoso che andò aschizzare l’interno della Coppa, la quale

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sembrò trasformarsi: sotto la mano diLilith, divenne più scura e perse la suatrasparenza cristallina, assumendo latorbidezza del fango. — Come la CoppaMortale è stata per gli Shadowhunters untalismano e uno strumento ditrasformazione, così sia, per te, questaCoppa Infernale — pronunciò con la suavoce roca, sferzata dal vento. Siinginocchiò, porgendo l’oggetto aSebastian. — Prendi il mio sangue ebevilo.

Sebastian le prese la Coppa dallemani. Ormai era diventata nera, un neroluccicante come ematite.

— Come cresce il tuo esercito, cosìfarà anche la mia potenza — sibilòLilith. — Presto sarò abbastanza forte

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da ritornare per davvero. E a quel puntodivideremo il fuoco del potere, figliomio.

Sebastian chinò la testa. —Proclamiamo la tua morte, madre mia, eprofessiamo la tua resurrezione.

Lilith scoppiò in una risata,sollevando le braccia. Il fuoco le lambìil corpo e lei si proiettò in aria,esplodendo in particelle di luce che sismorzarono come i tizzoni di un focolarequasi spento. Quando furonocompletamente scomparsi, Sebastiandiede un calcio al pentagramma,spezzandone il contorno, e sollevò latesta. Sulla bocca aveva un sorrisotremendo.

— Cartwright — disse. — Portami

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il primo.La folla si aprì e un uomo con

indosso una tunica si fece avanti con unadonna che gli arrancava accanto. Lateneva legata al suo braccio per mezzodi una catena; lunghi capelli arruffati lenascondevano il viso. Clary si irrigidìcompletamente. — Jace, cosa significa?Che cosa sta succedendo?

— Niente — le disse lui, guardandoin avanti con occhi assenti. — Nessunosi farà male. Cambierà soltanto. Stai avedere.

Cartwright, il cui nome Claryricordava vagamente dai tempi di Idris,mise una mano sulla testa dellaprigioniera e la costrinse ainginocchiarsi. Poi si chinò a sua volta e

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le afferrò i capelli, strattonandole latesta verso l’alto. La donna guardòSebastian, con terrore misto a sfida, ilviso perfettamente illuminato dalla luna.

Clary rimase senza fiato. — Amatis!

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capitolo 21

SCATENARE L’INFERNO

La sorella di Luke alzò lo sguardo epuntò i suoi occhi azzurri, così simili aquelli del fratello, su Clary. Apparivafrastornata, scioccata, l’espressioneleggermente distante, come se l’avesserodrogata. Cercava di rimettersi in piedi,ma ogni volta Cartwright la ributtavagiù. Sebastian andò verso di loro con inmano la Coppa.

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Clary fece per raggiungerli, ma Jacela prese per un braccio e la trattenne.Lei allora gli tirò un calcio, ma luil’aveva già presa in braccio mettendoleuna mano sulla bocca. Sebastian stavaparlando ad Amatis con voce profonda,ipnotica. La donna scuoteva la testa conviolenza, ma Cartwright la prese per ilunghi capelli e la strattonò all’indietro.Clary la sentì urlare, un suono flebilesopra quello del vento.

Ripensò alla notte in cui era rimastaalzata a guardare il petto di Jace che sialzava e si abbassava, riflettendo sucome avrebbe potuto mettere fine a tuttocon un unico colpo di lama. Ma “tutto”non aveva un viso, una voce, un piano.Ora che il volto era quello della sorella

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di Luke, ora che Clary sapeva delloscopo finale, era troppo tardi.

Sebastian teneva una mano stretta apugno sui capelli di Amatis, dietro lanuca, e con l’altra le spingeva la Coppacontro la bocca. Mentre la forzava adeglutire, lei aveva conati di vomito etossiva, il liquido nero che le colavalungo il mento.

Sebastian ritrasse la Coppa, ma soloperché aveva raggiunto il suo scopo.Amatis emise un suono stridulo,tremendo, mentre il corpo le sicontorceva. Gli occhi le uscirono dalleorbite, diventando neri come quelli diSebastian. Si picchiò le mani contro ilviso, si lasciò sfuggire un lamento,dopodiché Clary vide con stupore che la

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runa della Chiaroveggenza le stavascomparendo dalla mano. Divennesempre più chiara, finché a un certopunto non ne rimase più traccia.

Amatis riabbassò le mani.L’espressione del viso era tornatadistesa, e gli occhi, di nuovo azzurri,puntarono su Sebastian.

— Liberala — ordinò a Cartwright,lo sguardo fisso su Amatis. — Lasciache venga da me.

Cartwright aprì la catena che lolegava ad Amatis e fece un passoindietro, con un curioso misto diapprensione e interesse sul viso.

Amatis rimase ferma un istante, lemani a penzoloni lungo i fianchi. Poi sialzò in piedi e camminò verso

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Sebastian. Gli si inginocchiò davanti, icapelli che toccavano terra. — Padrone— disse. — Come posso servirti?

— Alzati — le disse Sebastian, eAmatis obbedì con grazia. Era come se,tutt’a un tratto, si muovesse in manieradiversa. Tutti gli Shadowhunters eranoparticolarmente agili, ma lei oradisponeva di una silenziosa leggiadriache Clary trovava stranamenteinquietante. Era in piedi, di fronte aSebastian. Per la prima volta, Clary videche quello che aveva scambiato per unlungo abito bianco era in realtà unacamicia da notte, come se la donna fossestata svegliata e rapita dal suo letto. Cheincubo, ritrovarsi lì, fra quelle figureincappucciate, circondata da un

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paesaggio aspro e desolato. — Vieni dame — le fece cenno Sebastian. Leiavanzò. Era più bassa di lui di almenouna testa, e dovette allungare il collo persentire quello che le stava sussurrando.Un freddo sorriso le si dipinse in volto.

Sebastian sollevò una mano. — Vuoicombattere contro Cartwright?

Lui lasciò cadere la catena e portò lamano sulla cintura delle armi sotto ilmantello. Era giovane, coi capellibiondicci e la mascella squadrata. —Ma io…

— Non c’è niente di male ad avereuna dimostrazione del suo potere —disse Sebastian. — Su, Cartwright. Èuna donna, e anche più vecchia di te.Non avrai mica paura?

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L’altro sembrava perplesso, maestrasse comunque un lungo pugnaledalla cintura. — Jonathan…

Lo sguardo di Sebastian si accesecome un lampo. — Attaccalo, Amatis.

Le labbra di lei si incurvarono. —Con piacere — disse, poi scattò. Avevauna velocità eccezionale. Saltò in aria eslanciò un piede in avanti, facendocadere a terra il pugnale di Cartwright.Clary rimase a osservarla sbalorditamentre si scagliava verso l’alto einfilava un ginocchio nello stomacodell’avversario, che barcollòall’indietro. Gli tirò una testata,girandogli attorno per strattonarlo forteda dietro e mandarlo al tappeto.Cartwright atterrò ai suoi piedi con un

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tonfo spaventoso e gemette di dolore.— Questo per avermi tirata fuori dal

letto in piena notte — disse Amatispassandosi il dorso della mano sullabbro, che sanguinava leggermente. Lafolla fu percorsa dal debole suono diuna risata forzata.

— Lo avete visto — annunciòSebastian. — Anche uno Shadowhuntersenza particolari capacità – e non me nevolere, Amatis – può diventare più fortee veloce di una sua controparte alleatacon gli angeli. — Picchiò con forza unpugno nel palmo dell’altra mano. —Potere. Vero potere. Chi è pronto ariceverlo?

Seguì un attimo di esitazione, poiCartwright si alzò in piedi a fatica

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tenendosi una mano sopra lo stomaco.— Io — annunciò, lanciando ad Amatisuno sguardo velenoso e ricevendo incambio un semplice sorriso.

Sebastian innalzò la CoppaInfernale. — E allora vieni avanti.

L’altro obbedì e, mentre avanzava,gli altri Shadowhunters ruppero le righeaccalcandosi disordinatamente davanti aSebastian. Amatis se ne stavaserenamente in piedi lì accanto, con lemani congiunte. Clary la fissava,sperando di essere ricambiata. Era lasorella di Luke. Se le cose fosseroandate come previsto, a quel puntosarebbe stata sua zia acquisita.

Amatis. Clary ripensò alla suacasetta di Idris che dava sul canale, al

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suo modo di essere così gentile, a tuttol’amore che provava per il padre diJace. Ti prego, guardami, pensò.Dimostrami che sei ancora te stessa.Come se Amatis avesse sentito la suapreghiera interiore, sollevò la testa e laguardò negli occhi.

Sorrise. Non un sorriso gentile orassicurante. Il suo era un sorrisofreddo, oscuro, silenziosamentedivertito. Quello di qualcuno, pensòClary, che avrebbe potuto guardartiaffogare senza muovere un dito peraiutarti. Non era l’espressione diAmatis. Anzi, quella non era affattoAmatis: lei non c’era più.

Jace le aveva tolto la mano dallabocca, ma Clary non voleva gridare.

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Nessuno, lì, l’avrebbe aiutata, e lapersona che la stava tenendo fra lebraccia, intrappolandola con il corpo,non era il vero Jace. Il modo in cui unvestito manteneva la forma del suoproprietario anche se non veniva piùindossato per molto tempo, o il modo incui, su un cuscino, restava impresso ilcontorno della testa di chi ci avevadormito, anche a distanza di anni dallasua morte: ecco cosa era rimasto diJace. Un contenitore vuoto che lei avevariempito con i suoi desideri, il suoamore, i suoi sogni.

E mentre lo faceva, aveva commessoun grave torto nei confronti del veroJace. Durante la sua missione persalvarlo, quasi si era dimenticata chi

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voleva salvare. Invece ricordava benequello che lui le aveva detto in queipochi minuti durante i quali era tornatose stesso: Odiavo l’idea che stesse conte. Lui. L’altro me. Jace sapeva cheerano due individui diversi, e che,privato dell’anima, non era più sestesso.

Aveva cercato di consegnarsi alConclave, ma lei glielo aveva impedito.Non aveva ascoltato i suoi desideri.Aveva scelto per lui. In un momento difuga e di panico, certo, ma aveva sceltolei, senza rendersi conto che il suo Jaceavrebbe preferito morire piuttosto cheessere così, e che lei non gli stava tantosalvando la vita, quanto lo stavacondannando a un’esistenza che avrebbe

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disprezzato.Si piegò contro il suo corpo. Jace

interpretò quel gesto improvviso comela fine della volontà di opporsi, perciòallentò la presa. Ormai l’ultimo degliShadowhunters era di fronte a Sebastian,smanioso di ricevere la Coppa Infernaleche lui gli stava porgendo. — Clary…— fece Jace.

Non scoprì mai quello che luiavrebbe voluto dirle. Ci fu un grido. LoShadowhunter che stava per bere dallaCoppa barcollò all’indietro, con unafreccia nel collo. Incredula, Clary giròdi scatto la testa e vide che, in cima aldolmen, c’era Alec in divisa e con inmano l’arco. Sorrideva soddisfattoportando il braccio dietro la schiena per

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munirsi subito di un’altra freccia.E poi, dalle sue spalle, il resto di

loro si riversò sulla pianura. Un brancodi lupi correva rasente al suolo, con lapelliccia che brillava alla luce screziata.Tra loro dovevano esserci anche Maia eJordan, pensò Clary. Dietro ai lupicamminavano degli Shadowhunters, a leiben noti, formando un fronte compatto:Isabelle e Maryse Lightwood, HelenBlackthorn e Aline Penhallow, ma ancheJocelyn, i suoi capelli rossi visibili giàda lontano. Con loro c’erano Simon,l’elsa di una spada d’argento che glispuntava da sopra la curva della spalla,e Magnus, con un fuoco azzurro che gliscoppiettava fra le mani

Il cuore le fece un salto dentro al

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petto. — Sono qui! — gridò. — Sonoqui!!

— La vedi? — chiese Jocelyn.Simon cercò di concentrarsi sulle

dense tenebre che gli si estendevano difronte, i sensi da vampiro che siacuivano in presenza di un deciso odoredi sangue.

O meglio, diversi generi di sangue,mescolati fra loro: di Shadowhunter, didemone, quello amaro di Sebastian. —La vedo! — annunciò. — Jace la statrattenendo. E ora la porta laggiù, dietroquella fila di Shadowhunters.

— Se sono fedeli a Jonathan come loera il Circolo con Valentine, formerannoun muro umano per proteggere sia lui siaClary e Jace. — Jocelyn era pura furia

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materna, con le fiamme dentro gli occhiverdi. — Dovremo fare irruzione perprenderli.

— Quello che dobbiamo prendere èSebastian — disse Isabelle. — Simon,noi ti apriamo la strada. Tu raggiungiSebastian e lo trapassi con la Gloriosa.Quando lui cade…

— Gli altri probabilmente sisparpaglieranno — intervenne Magnus.— Oppure, a seconda di quanto sonolegati a Sebastian, potrebbero morire osoccombere insieme a lui. Almenopossiamo sperarlo. — Buttò la testaall’indietro. — A proposito di speranza,avete visto che colpo ha scoccato Aleccon il suo arco? Quello è il mio ragazzo!— Sorrise e sfarfallò le dita, da cui

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partirono scintille azzurre. Brillavadalla testa ai piedi. Soltanto Magnus,pensò Simon con fare rassegnato, potevapermettersi un’armatura da battaglia dipaillette.

Isabelle svolse la frusta che tenevaattorno al polso. L’arma scattò in tutta lasua lunghezza come una lingua di fuocodorato. — Bene, Simon — fece. — Seipronto?

Lui sentì le spalle che gli siirrigidivano. Erano ancora a una certadistanza dal fronte dell’esercito nemico,che non sapeva come altro definire,fermo in posizione coi suoi membri inrosso traboccanti di armi. Alcuni di loroinveivano ad alta voce, confusi. Nonriuscì a trattenere un sorriso.

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— Per l’Angelo, Simon — disseIzzy. — Che cosa c’è da ridere?!

— Le loro spade angeliche nonfunzionano più — osservò Simon. — Estanno cercando di capire perché.Sebastian ha appena gridato di usarealtre armi. — Un urlo si levò dal fronte,mentre un’altra freccia piombava giù daldolmen e si andava a conficcare nellaschiena rivestita di rosso di uncorpulento Shadowhunter, che cadde inavanti. Lo schieramento sussultò e siaprì appena, come una crepa in un muro.Simon, cogliendo l’occasione, si slanciòin avanti e gli altri con lui.

Fu come tuffarsi di notte in unoceano nero, un oceano pieno di squali eperfide creature marine dai denti aguzzi

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che si scontravano l’una con l’altra. Nonera la prima battaglia a cui Simonpartecipava, ma durante la GuerraMortale aveva appena ricevuto ilMarchio di Caino. Ancora nonfunzionava del tutto, ma molti demoni sierano fatti indietro alla sua sola vista.Non aveva mai pensato che gli sarebbepotuto mancare, ma ora era così, mentrecercava di farsi avanti in mezzo alloschieramento compatto diShadowhunters che menavano pericolosifendenti. Da un lato aveva Isabelle edall’altro Magnus che lo proteggevano.E con lui proteggevano la Gloriosa. Lafrusta di Isabelle scoccava forte edecisa; le mani dello stregone sputavanofuoco rosso, verde e azzurro. Lampi

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colorati colpivano i Nephilim oscuri,bruciandoli sul posto; altriShadowhunters gridavano mentre i lupidi Luke balzavano agili tra loro,graffiando e mordendo, saltando allagola degli avversari.

Un pugnale volò con una rapiditàincredibile e sfregiò il fianco di Simon.Lui gridò ma continuò ad avanzare,consapevole che la ferita si sarebberimarginata in pochi secondi. Si fecestrada e…

Rimase impietrito. Davanti a sé, unavoce familiare: la sorella di Luke,Amatis. Quando la donna pose gli occhisu di lui, Simon capì che lo avevariconosciuto. Che cosa ci faceva lì? Eravenuta per aiutarli a combattere? Ma…

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Amatis si scagliò contro di lui conun pugnale che le luccicavaminacciosamente in una mano. Eraveloce, ma non tanto da impedire ai suoiriflessi da vampiro di salvarlo, se nonfosse stato troppo scioccato permuoversi: Amatis era la sorella di Luke,lui la conosceva, e quell’istante diincredulità avrebbe potuto essere fatalese Magnus non gli fosse saltato di fronte,spingendolo indietro. Dalla mano dellostregone divampò del fuoco, ma Amatisfu ancora più rapida. Si riparò dallafiammata voltandosi e si infilò sotto ilbraccio di Magnus; Simon colse ilriflesso della luna sulla lama del suopugnale.

Gli occhi dello stregone si

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sgranarono per lo stupore quandoquell’arma accesa dalla luna gli venneincontro, penetrandogli l’armatura. Nelmomento in cui Amatis la ritrasse, lalama era viscida di sangue lucente;Isabelle lanciò un urlo, Magnus cadde inginocchio. Simon cercò di girarsi versodi lui, ma la pressione della folla inarmi lo trascinò via. Gridò il nome diMagnus, mentre Amatis si chinava sopralo stregone caduto e sollevava il pugnaleuna seconda volta, puntando al cuore.

— Lasciami andare! — sbraitòClary, contorcendosi e tirando calci pertentare di sfuggire alla presa di Jace.Non riusciva a vedere quasi niente al dilà della folla impetuosa diShadowhunters vestiti di rosso che

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stavano di fronte a lei, a Jace e aSebastian, bloccando la strada alla suafamiglia e ai suoi amici. Loro tre sitrovavano a pochi passi di distanza dallalinea di battaglia; Jace la stringeva fortementre lei tentava di divincolarsi, eSebastian, accanto a loro, osservava glieventi con un’espressione furibonda eminacciosa sul viso. Stava muovendo lelabbra. Clary non sapeva dire se stesseimprecando, pregando o recitando unaformula magica. — Lasciami andare,brutto…

Sebastian si voltò. Faceva paura:sulle labbra, qualcosa a metà strada fraun sorriso e un ringhio. — Falla starezitta, Jace.

— Ma noi dobbiamo stare qui dietro

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a farci proteggere da loro? — chieseJace senza mollare la presa su Clary eindicando con un cenno lo schieramento.

— Sì — rispose Sebastian. —Siamo troppo importanti per rischiare difarci male, io e te.

Jace scosse la testa. — Non mipiace. Dall’altra parte sono in troppi. —Sporse il collo per guardare oltre lafolla. — E Lilith? Non puoi evocarlaancora, chiederle di aiutarci?

— Cosa? Qui? — C’era disprezzonel tono di Sebastian. — No. E poi èancora troppo debole per esseredavvero di aiuto. Una volta sarebbestata capace di sgominare da sola unesercito intero, ma quel Nascostomaledetto, con il suo Marchio di Caino,

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ha disseminato il suo essere negli spazivuoti fra i mondi. Comparire e donarci ilsuo sangue era tutto quello che potevafare.

— Codardo — gli sputò controClary. — Hai trasformato tutte questepersone in tuoi schiavi e tu nemmenocombatti per proteggerli…

Sebastian sollevò un braccio comeper colpirla in faccia con unmanrovescio. Clary ci sperava, speravache Jace fosse testimone di un gestosimile, invece sul viso di Sebastian siaccese un sorrisetto. Riabbassò ilbraccio. — E se Jace ti lasciasseandare, immagino che tu combatteresti,giusto?

— Certo che…

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— Da che parte? — la interruppelui. Le si avvicinò, sollevando la CoppaMortale. Anche se ci avevano bevuto inmolti, il sangue era rimasto allo stessolivello. — Sollevale la testa, Jace.

— No! — Clary raddoppiò gli sforziper liberarsi. La mano di Jace le scivolòsotto il mento, ma ebbe l’impressione disentire, in quel gesto, una punta diesitazione.

— Sebastian — disse. — Non…— Adesso! — esclamò l’altro. —

Non c’è bisogno che restiamo qui.Siamo noi quelli importanti, non questacarne da macello. Abbiamo dimostratoche la Coppa Mortale funziona. Ed èquello che conta. — Agguantò il davantidel vestito di Clary. — Ma scappare

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sarebbe molto più semplice — disse —se questa qui non scalciasse, gridasse etirasse pugni ogni due passi.

— Possiamo farla bere più tardi…— No! — ringhiò Sebastian. —

Tienila ferma. — Sollevò la Coppa e laspinse contro le labbra di Clary,cercando di aprirle la bocca. Lei siribellò, digrignando i denti. — Bevi —le disse lui con un perfido sussurro, cosìbasso che dubitava che Jace lo avessesentito. — Te l’avevo detto che alla finedi questa serata avresti fatto tutto quelloche volevo. Bevi! — Gli occhi scuri diSebastian si fecero ancor più tenebrosi.Spinse con forza la Coppa, tagliandole illabbro inferiore.

Clary sentì il sapore del proprio

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sangue mentre si allungava all’indietro,afferrando le spalle di Jace, usando ilsuo corpo come leva per slanciare legambe in avanti. Sentì la cucitura delvestito aprirsi lungo i fianchi mentrespingeva con forza i piedi contro lagabbia toracica di Sebastian. Lui,rimasto senza fiato, vacillò nell’esattomomento in cui Clary sentì il sonorocozzo del proprio cranio contro il visodi Jace, che gridò e allentò la presaabbastanza perché lei riuscisse aliberarsi. Corse via da lui e si buttònella battaglia senza guardarsi allespalle.

Maia correva sul terreno roccioso,mentre la luce delle stelle facevapassare le proprie fredde dita attraverso

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la sua pelliccia e i forti odori dibattaglia le assalivano il naso sensibile:sangue, sudore, il puzzo di plasticabruciata della magia nera.

Il branco si era ampiamentesparpagliato su tutta la zona, saltando euccidendo con denti e artigli mortali.Maia si teneva vicina a Jordan, nonperché avesse bisogno della suaprotezione, ma perché aveva scopertoche l’uno accanto all’altra combattevanomeglio e con maggiore efficacia. Primadi allora aveva partecipato a una solabattaglia, sulla Pianura di Brocelind, equella era stato un vortice caotico didemoni e Nascosti. Lì nel Burrenc’erano molti meno combattenti, ma gliShadowhunters oscuri erano formidabili;

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agitavano le loro spade e i loro pugnalicon una forza spaventosa, fulminea.Maia aveva visto un uomo snello che,con un pugnale a lama corta, staccava latesta di un lupo a mezz’aria: a cadere aterra era stato un corpo umanodecapitato, sanguinante eirriconoscibile.

Mentre rifletteva, uno dei Nephilimin rosso comparve di fronte a lei eJordan, stringendo in pugno una spada adoppia lama. Sotto la luce della luna, sivedeva che l’arma era macchiata dirosso e di nero. Sentì Jordan ringhiare alsuo fianco, ma fu lei a scagliarsi control’avversario. Quest’ultimo si scansò,brandendo la spada. Maia avvertì unafitta acuta alla spalla e ricadde a terra

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sulle quattro zampe, il corpo pervasodal dolore. Ci fu un fragore metallico, ecapì di essere riuscita a togliere di manola spada all’uomo. Ringhiò disoddisfazione e si girò, ma Jordan stavagià saltando alla gola del nemico…

Che però lo prese per il collo, amezz’aria, come se stesse agguantandoun cucciolo ribelle. — Feccia diNascosti — imprecò. Anche se non erala prima volta che Maia sentiva insultidel genere, c’era qualcosa nell’odiogelido di quel tono di voce che la fecerabbrividire. — Dovreste essere dellepellicce. E io dovrei indossarvi.

Maia gli affondò i denti nella gamba.Si sentì esplodere in bocca il sapore delrame; lui gridò di dolore e arretrò,

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cercando di scalciarla via e perdendo lapresa su Jordan. Maia lo tenne fermomentre Jordan tornava all’attacco, equesta volta l’urlo di rabbia delloShadowhunter venne presto interrottodagli artigli del lupo che gli aprivano lagola.

Amatis stava puntando il coltello alcuore di Magnus, ma proprio inquell’istante una freccia sibilò nell’ariae le si conficcò nella spalla, facendolacadere con una forza tale da ribaltarla afaccia in giù contro il suolo roccioso.Urlò, un suono presto soffocato dalloscontro delle armi tutto attorno. Isabellesi inginocchiò al fianco di Magnus;Simon, sollevato lo sguardo, vide Alecfermo sopra il dolmen, con l’arco fra le

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mani. Probabilmente era troppo lontanoper vedere bene Magnus; Isabelle avevale mani sul petto dello stregone, ma lui,di solito sempre in movimento, semprepieno di energia, subiva le manovre dilei nella più totale immobilità. Isabellealzò gli occhi e vide che Simon li stavafissando. Aveva le mani rosse di sangue,ma scosse la testa con violenza.

— Non fermarti! — gli gridò. —Trova Sebastian!

Simon si girò di scatto e si ributtònella mischia. Il fronte compatto diShadowhunters oscuri aveva iniziato ascomporsi: per disperdere gli avversari,i lupi saettavano da una parte all’altra.Jocelyn era spada contro spada con unuomo che urlava e perdeva sangue da un

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braccio. Mentre si faceva avanti,insinuandosi negli stretti corridoi fra unaschermaglia e l’altra, Simon notòqualcosa di bizzarro: nessuno deiNephilim vestiti di rosso era marchiato.La loro pelle era priva di disegni.

Dovette inoltre constatare,guardando con la coda dell’occhio unodegli Shadowhunters oscuri che siavventava su Aline con una mazzaferrata, che erano molto più forti diqualunque Nephilim avesse mai visto,fatta eccezione per Jace e Sebastian. Simuovevano con l’agilità dei vampiri,pensò mentre uno di loro colpiva unlupo intento a saltare e gli squartava lapancia. Quando la creatura cadde a terramorta, era il cadavere di un uomo

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robusto coi capelli biondi e ricci. NéMaia né Jordan. Simon si sentìsollevato, poi fu preso dal senso dicolpa; continuò ad avanzare, l’odore delsangue tutto attorno, e ancora una voltasentì la mancanza del Marchio di Caino.Se lo avesse avuto, avrebbe potutodistruggere sul posto tutti quei Nephilimnemici…

Uno di loro gli si parò di frontebrandendo una spada larga, con una solalama. Simon si abbassò, ma non ce n’erabisogno: l’uomo era quasi a metàslancio quando una freccia lo colpì alcollo e lo buttò a terra facendogli uscireil sangue in un gorgoglio. La testa diSimon scattò verso l’alto: era statoAlec, ancora in cima al dolmen, il volto

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una maschera di pietra. Stava scagliandofrecce con la precisione di unamacchina, la mano che si allungavaautomaticamente all’indietro perprenderne una dopo l’altra, inserirlanell’arco e scoccarla. Tutte colpivano unobiettivo, ma era come se Alec non sene accorgesse. Mentre una volava, luigià se ne stava procurando un’altra.Simon sentì un’altra freccia fischiargliaccanto e infilzarsi nel corpo diqualcuno, mentre lui saettava in avanti,cercando di raggiungere una zonasgombra del campo di battaglia.

Poi rimase di sasso. Eccola lì.Clary, una figura minuscola che sifaceva largo tra la folla a mani nude,scalciando e spingendo per passare.

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Addosso aveva un vestito strappato e icapelli erano un ammasso informe e,quando lo vide, si accese in viso diun’espressione incredula. Con le labbrasillabò il suo nome.

Subito dietro di lei c’era Jace.Aveva il viso insanguinato. La folla sidivise quando lui vi si buttò in mezzo,lasciandolo passare. Alle sue spalle, nelcorridoio che si era formato, Simonintravide un bagliore rosso e argento.Una figura familiare, con la stessachioma bianca di Valentine.

Sebastian. Ancora nascosto dietrol’ultima linea difensiva diShadowhunters oscuri. Senza staccargligli occhi di dosso, Simon si mise unamano dietro la spalla e tolse la Gloriosa

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dal fodero. Un istante dopo, un’ondata difolla spinse Clary verso di lui. Aveva gliocchi quasi completamente neri perl’adrenalina, ma la gioia per averlorivisto era più che evidente. Simon sisentì rincuorato, ma si chiese anche selei fosse ancora la stessa o se avesseinvece subito una trasformazione, comeAmatis.

— Dammi la spada! — gli gridò, lavoce quasi soffocata dal clangore delmetallo contro altro metallo. Claryslanciò il braccio verso di lui, e in quelmomento non era più soltanto Clary, lasua amica d’infanzia, bensì unaShadowhunter, un angelo vendicatore. Eil posto di quella spada era nella suamano.

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Gliela porse, dalla parte dell’elsa.La battaglia era come un vortice,

pensò Jocelyn mentre si faceva largoattraverso la folla abbattendo il kindjaldi Luke su ogni frammento di rosso chevedeva. Tutto piombava incontro così infretta, andandosene poi tantorapidamente, che l’unica cosa che sipercepiva davvero era un senso dipericolo incontrollabile, la fatica dirimanere vivi e non soccombere.

Gli occhi le guizzavano fra icombattenti, in cerca di sua figlia, di unostralcio di capelli rossi. O anche solo diJace, perché lui sarebbe stato senz’altrodove c’era lei. Sulla pianura eranodisseminati qua e là grossi massi similiad iceberg dentro un mare immobile. Si

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issò sulla parete ruvida di uno di essi,cercando di guadagnare una visualemigliore del campo di battaglia, ma tuttociò che vedeva erano corpi accalcati,armi luccicanti, ombre scure di lupi chesi insinuavano fra i combattenti.

Si girò per scendere…Ma vide che, a terra, qualcuno la

stava aspettando. Jocelyn si fermò aguardare.

Indossava un abito scarlatto e su unaguancia aveva una cicatrice livida,vestigia di una battaglia a leisconosciuta. Aveva il viso scavato e nonpiù giovane, ma non si poteva nonriconoscerlo. — Jeremy — gli dissepiano, la voce a malapena udibile soprail clamore della battaglia. — Jeremy

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Pontmercy.L’uomo che un tempo era stato il più

giovane di tutto il Circolo la guardavacon occhi iniettati di sangue. — JocelynMorgenstern. Sei venuta per unirti a noi?

— Unirmi a voi? Jeremy, no…— Una volta eri nel Circolo — le

disse lui avvicinandosi. Dalla manodestra gli pendeva un lungo pugnale conla lama affilata come un rasoio. — Eriuna di noi. E ora seguiamo tuo figlio.

— Ho rotto con voi quandoseguivate mio marito — rispose Jocelyn.— Cosa vi fa pensare che vi seguireiadesso che è mio figlio a guidarvi?

— O sei con noi o contro di noi,Jocelyn. — Il viso di Jeremy si indurì.— Non puoi metterti contro il tuo stesso

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figlio.— Jonathan — gli disse lei, piano,

— è la cosa più malvagia che Valentineabbia mai prodotto. Non potrei mai staredalla sua parte. Alla fine, non sono maistata neanche con Valentine. Quindi chesperanza hai di convincermi ora?

Lui scosse la testa. — Tu mifraintendi — fece. — Intendo dire chenon puoi stare contro di lui. Contro dinoi. Il Conclave stesso non può. Nonsono pronti, non per quello chepossiamo fare. Che vogliamo fare. Ilsangue scorrerà per le strade di ognicittà. Il mondo brucerà. Tutto quello checonosci verrà distrutto. E noirisorgeremo dalle ceneri della vostrasconfitta, come una fenice trionfante.

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Questa è la tua unica possibilità: dubitoche tuo figlio te ne conceda un’altra.

— Jeremy — disse Jocelyn. — Ericosì giovane quando Valentine ti haarruolato. Potresti tornare, persino dalConclave. Sarebbero indulgenti…

— Non potrei mai tornare da loro —dichiarò l’altro con solennesoddisfazione. — Non capisci? Chi dinoi sta dalla parte di tuo figlio, non è piùun Nephilim.

Non è più un Nephilim… Jocelynfece per rispondere, ma prima cheaprisse bocca il sangue sgorgò da quelladel suo interlocutore, che si accasciò.Allora Jocelyn vide che dietro di lui,con uno spadone in mano, c’era Maryse.

Le due donne si guardarono per un

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istante al di sopra del corpo di Jeremy.Poi Maryse si voltò e tornò verso labattaglia.

Nell’istante in cui le dita di Clary sichiusero attorno all’elsa, la spadaesplose di luce dorata. Il fuoco divampòlungo tutta l’arma a partire dalla punta,illuminando la scritta Quis ut Deus?minacciosamente incisa sul fianco efacendo brillare l’impugnatura come seimprigionasse la luce del sole. Per pocoClary non la lasciò cadere, pensandoche stesse bruciando, ma la fiammasembrava racchiusa all’interno dellaspada e il metallo era freddo sotto i suoipalmi.

Tutto ciò che seguì sembrò accaderecon estrema lentezza. Clary si voltò, la

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spada che le ardeva in mano. Con losguardo scrutò disperatamente la folla incerca di Sebastian. Non lo vedeva, masapeva che era dietro l’assembramentocompatto di Shadowhunters oscuriattraverso cui si era dovuta fare largo apugni. Stringendo la spada, si avvicinòal gruppo, ma trovò la strada sbarrata.

Da Jace.— Clary — le disse. Le sembrava

impossibile riuscire a sentirlo, perché irumori che la circondavano eranoassordanti: c’era chi urlava, chiringhiava, il metallo che si schiantavacontro altro metallo. Ma era come se lamassa di figure in combattimento sifosse aperta in due come il Mar Rossoper lasciare spazio attorno a loro.

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La spada divampava, scivolosa nellapresa di Clary. — Jace. Togliti dimezzo.

Sentì Simon, dietro di lei, che legridava qualcosa; Jace stava facendo dino con la testa. I suoi occhi d’oro eranoinespressivi, impenetrabili. Aveva ilvolto insanguinato; lei gli aveva tiratouna testata sullo zigomo, dove ora lapelle era scura e rigonfia. — Dammiquella spada, Clary.

— No. — Scosse la testa,indietreggiando di un passo. La Gloriosailluminò lo spazio che stavanooccupando, l’erba calpestata e sporca disangue attorno a Clary, Jace che simuoveva verso di lei. — Jace. Possosepararti da Sebastian. Posso ucciderlo

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senza fare del male a te…Il viso di lui si contrasse. I suoi

occhi avevano lo stesso colore del fuoconella spada, o lo stavano riflettendo,Clary non sapeva quale delle due. Stavavedendo Jace e un non-Jace allo stessotempo: i ricordi che aveva di lui, ilbellissimo ragazzo incontrato all’inizio,sconsiderato con se stesso e con glialtri, ma che poi aveva imparato adavere cura di entrambi. Ripensò allanotte trascorsa a Idris, stringendosi lemani su quel letto stretto, e al ragazzocoperto di sangue che a Parigi l’avevaguardata con occhi spiritaticonfessandole di essere un assassino. —Ucciderlo? — diceva ora il non-Jace.— Sei impazzita?

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A Clary tornò in mente quella notteal lago Lyn, quando Valentine lo avevacolpito con la spada e lei aveva avuto lasensazione che la sua stessa vitascivolasse via con il sangue di lui.

Lo aveva guardato morire, là sullaspiaggia di Idris. Poi, dopo averloriportato in vita, lui si era trascinato dalei e l’aveva guardata con quegli occhiche ardevano come la Spada, come ilsangue incandescente di un angelo.

Ero nel buio, aveva detto. Nonc’erano che ombre, io stesso eroun’ombra, e sapevo che ero morto etutto era finito, tutto quanto. Poi hosentito la tua voce.

Ma quella voce svaniva dentroun’altra, più recente: Jace di fronte a

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Sebastian, nel salotto della casa diValentine. Quella voce diceva cheavrebbe preferito morire piuttosto chevivere in quel modo. Ora Clary losentiva parlare, mentre le diceva diconsegnargli la spada e che, se lei nonl’avesse fatto, se la sarebbe presa dasolo. Aveva il tono brusco e impazientedi qualcuno che sgrida un bambino. E inquell’istante capì che, come lui non eraJace, così lei non era la Clary che luiamava. Era solo un ricordo, confuso edistorto: l’immagine di una personadocile, ubbidiente, incapace dicomprendere che l’amore dato senzalibero arbitrio o sincerità non era affattoamore.

— Dammi la spada. — Aveva la

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mano tesa, il mento sollevato, e parlavacon fare imperioso. — Dammela, Clary.

— La vuoi?Sollevò la Gloriosa, così come le

aveva insegnato a fare lui, mantenendolain equilibrio con una mano per quantofosse pesante. All’interno, la fiamma sifece più brillante, finché fu come sesalisse verso l’alto e toccasse le stelle.Tra lei e Jace c’era solo la distanzacoperta dalla spada. Gli occhi di luierano increduli. Nemmeno in quelmomento riusciva a cpensare che leiavrebbe potuto fargli del male, davveromale. Nemmeno allora.

Clary fece un respiro profondo. —Prendila.

Vide gli occhi di Jace accendersi

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come era successo al lago, poi lotrafisse con la spada, proprio comeaveva fatto Valentine. Ora capiva cheera così che doveva andare. Era mortoin quel modo, lei lo aveva strappato allamorte. E ora la morte era tornata.

Non puoi ingannare la morte. Allafine si prenderà la rivincita.

La Gloriosa gli affondò nel petto eClary sentì la propria mano insanguinatascivolare sull’elsa mentre la lama siscontrava con le ossa della gabbiatoracica di Jace, penetrando finché ilpugno non le arrivò contro il petto. Aquel punto si fermò, immobile. Lui nonsi era mosso e ora lei gli si premevacontro stringendo la Gloriosa, colsangue che cominciava a sgorgare dalla

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ferita sul petto.Ci fu un grido, un suono di rabbia,

dolore e spavento, il suono di qualcunoche veniva squarciato brutalmente.Sebastian, pensò Clary. Sebastian, chegridava perché il suo legame con Jaceera stato spezzato.

Ma lui, Jace, non emise un solosuono. Nonostante tutto, aveva il visocalmo e sereno, il viso di una statua.Abbassò lo sguardo su Clary e gli occhigli brillarono, come se si stesseroriempiendo di luce.

Poi cominciò a bruciare.Alec non si rese conto di correre giù

dalla cima della collina, né di farsilargo sulla spianata rocciosa in mezzo auna distesa di caduti: Shadowhunters

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oscuri, lupi mannari morti o feriti. I suoiocchi cercavano una sola persona.Inciampò e per poco non cadde; quandorialzò lo sguardo, scrutando il campo dibattaglia, riconobbe Isabelleinginocchiata sul terreno accanto aMagnus.

Si sentì come se nei polmoni nonavesse più aria. Non aveva mai vistoMagnus così pallido, così immobile.Sull’armatura di pelle c’era del sangue,come tutto attorno al suo corpo. Ma eraimpossibile, Magnus era vivo da cosìtanti anni... lui era immortale. Un puntofermo. L’immaginazione di Alec nonavrebbe mai e poi mai potuto pensare aun mondo in cui Magnus moriva primadi lui.

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— Alec. — Era la voce di Izzy, chegiungeva a lui come attraverso un murod’acqua. — Alec, respira.

Lui emise un sospiro tremante, poiporse una mano alla sorella. — Pugnale.

Isabelle ubbidì in silenzio: a lezionedi pronto soccorso non era mai stataattenta quanto lui, pensando che le runebastavano per tutto. Alec tagliò in duel’armatura di Magnus e poi la magliettasottostante. Lo fece a denti stretti: forseerano le uniche cose a tenere insieme ilsuo corpo.

Ripiegò all’indietro i lembi concautela, sorpreso dalla fermezza dellesue stesse mani. C’era molto sangue, euna ferita profonda sotto la parte destradel petto. Tuttavia, dal ritmo del respiro

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di Magnus, si capiva che i polmoni nonerano stati trafitti. Alec si strappò lagiacca, la raggomitolò e la premettecontro la ferita ancora sanguinante.

Magnus batté le palpebre. — Ahia— disse con un filo di voce. — Piantaladi appoggiarti.

— Raziel — mormorò Alec, congratitudine. — Allora stai bene. —Infilò la mano libera sotto la testa diMagnus, usando il pollice peraccarezzargli la guancia insanguinata. —Pensavo…

Alzò lo sguardo per guardare lasorella prima di dire qualcosa diimbarazzante, ma lei era già sgattaiolatavia in silenzio.

— Ti ho visto cadere — mormorò

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Alec. Si chinò su Magnus e lo baciòsulla bocca con delicatezza, per nonfargli male. — Pensavo fossi morto.

Magnus fece un sorriso sghembo. —Per cosa, quel graffio? — Così dicendo,abbassò lo sguardo sulla giacca semprepiù rossa nella mano di Alec. — Okay,un graffio profondo. Diciamo il graffiodi un gatto bello grosso.

— Stai delirando? — fece Alec.— No. — Le sopracciglia di

Magnus si avvicinarono. — Amatis hamirato al cuore, ma non ha preso organivitali. Il problema è che l’emorragia mista sfiancando, rallenta la mia capacitàdi guarire. — Fece un respiro profondoche terminò con un colpo di tosse. —Su, dammi la mano. — Porse la propria

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ad Alec e lui intrecciò le dita alle sue,premendo forte il palmo. — Ti ricordi,la notte della battaglia sulla nave diValentine, quando mi servì un po’ dellatua forza?

— Adesso ti serve ancora? — glichiese Alec. — Prendila.

— A me la tua forza serve sempre,Alec — rispose Magnus chiudendo gliocchi mentre le loro dita intrecciatecominciavano a brillare, come seracchiudessero la luce di una stella.

Il fuoco esplose dall’elsa dellaspada dell’angelo e corse lungo la lama.La fiamma colpì il braccio di Clarycome una scossa elettrica, buttandola aterra. Un lampo le bruciò su e giù per levene: si contorse dal dolore,

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stringendosi forte, come per impedire alcorpo di esplodere in mille pezzi.

Jace cadde in ginocchio. Avevaancora la spada conficcata nel petto, maora stava bruciando di una fiammabianco-dorata e il fuoco gli riempivatutto il corpo come acqua colorata che siriversava in una caraffa di vetro. Eraattraversato da vampate d’oro che glirendevano la pelle traslucida. Aveva icapelli color bronzo; le ossa eranoun’esca infiammabile dura e lucente,visibile all’esterno. La stessa Gloriosasi stava dissolvendo in gocce liquide,come oro dentro un crogiolo. Jace avevala testa buttata all’indietro, la schienapiegata ad arco mentre la conflagrazionegli sconquassava il corpo. Clary cercò

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di avvicinarsi, sul terreno roccioso, mail calore che lui emanava era troppo. Siteneva le mani serrate sul petto, finchéun fiume di sangue dorato cominciò acolargli fra le dita. La pietra sulla qualeera inginocchiato si annerì, si incrinò esi trasformò in cenere. Infine, laGloriosa si consumò come un falò inestinzione, lanciando una cascata discintille; Jace crollò in avanti, sullepietre.

Clary cercò di rimanere in piedi, male gambe le cedevano. Si sentiva ancoracome se nelle vene avesse del fuoco,mentre il dolore le pungolava lasuperficie della pelle come unattizzatoio rovente. Si costrinse adavanzare, facendo sanguinare le dita e

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sentendo che il vestito le si stavastrappando, finché non raggiunse Jace.

Lui era sdraiato sul fianco con latesta appoggiata su un braccio, mentrel’altro era disteso. Clary gli sirannicchiò accanto. Jace irradiavacalore dal corpo come un letto dicarboni ardenti, ma non le importava.Riusciva a vedere lo strappo nella parteposteriore della divisa, quelloprovocato dalla Gloriosa. La ceneredelle rocce bruciate si mischiava all’orodei suoi capelli insieme al sangue.

Muovendosi lentamente, ogni gestofaticoso come se fosse diventata vecchiaall’improvviso, come se avesse sullespalle un anno in più per ogni secondoin cui Jace era bruciato, lo tirò verso di

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sé, per girarlo a pancia in su sulla pietraannerita e insanguinata. Gli guardò ilviso, non più dorato ma immobile, ecomunque bellissimo.

Gli mise una mano sul petto, dove ilrosso del sangue risaltava sopra quellopiù scuro della divisa. Aveva sentito ibordi della lama stridere contro le suecostole. Aveva visto il sangue sgorgarglidalle dita, così abbondante da tingere dinero le rocce sotto di lui e daimpiastrargli le punte dei capelli.

Eppure. Non se è più del Paradisoche dell’Inferno.

— Jace — sussurrò. Tutto attorno aloro, piedi che correvano. I superstitimalconci del piccolo esercito diSebastian stavano scappando sul Burren,

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abbandonando le armi strada facendo. Listavano ignorando. — Jace!

Lui non si mosse. Aveva il visoimmobile, sereno sotto la luce dellaluna. Le ciglia gli proiettavano ombrescure, a raggiera, sugli zigomi.

— Ti prego — gli disse, con unavoce che sembrò graffiarle la gola.Quando respirò, si sentì i polmoni infiamme. — Guardami.

Clary chiuse gli occhi. Quando liriaprì, sua madre le stava inginocchiataaccanto, tenendole una mano sullaspalla.

Dalle guance di Jocelyn scendevanodelle lacrime. Ma non poteva essere…Sua mamma stava piangendo?

— Clary — le sussurrò. — Lascialo

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andare. È morto.In lontananza, Clary vide Alec

inginocchiato vicino a Magnus.— No — disse. — La spada… La

spada brucia tutto il male. Potrebbeessere ancora vivo.

Sua madre le accarezzò la schiena,infilando le dita fra i riccioli sporchidella figlia. — Clary, no…

Jace, pensò lei con fierezza mentregli stringeva le braccia. Tu sei più fortedi tutto questo. Se sei tu, se sei davverotu, allora aprirai gli occhi e miguarderai.

A un tratto arrivò anche Simon, e siinginocchiò accanto a Jace, il visomacchiato di sangue e fuliggine. Feceper toccarla, ma lei alzò di scatto la

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testa lanciando un’occhiata di fuoco alui e a sua madre. In quell’istante videche li stava raggiungendo anche Isabelle,gli occhi spalancati che si muovevanolentamente. Aveva la divisa sporca disangue.

Incapace di affrontare il suosguardo, Clary si girò e fissò l’oro deicapelli di Jace.

— Sebastian — disse, o per lo menocercò di dire, con una voce roca. —Qualcuno dovrebbe prenderlo e… — Elasciarmi sola.

— Lo stanno cercando. — Suamadre le si avvicinò, ansiosa, losguardo sbarrato. — Clary, lascialoandare. Clary, piccola…

— Lasciala in pace. — Clary sentì

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dire a Isabelle in tono brusco. Avvertì leproteste di sua madre, ma tutto quelloche stava succedendo le sembravalontano, come se guardasse unospettacolo teatrale dall’ultima fila. Noncontava altro che Jace. Jace, chebruciava. Le lacrime le scottavano infondo agli occhi. — Jace, maledizione— disse con voce spezzata. — Tu nonsei morto.

— Clary — la chiamò Simon condolcezza, — poteva succedere …

Vieni via da lui. Era questo che lestava chiedendo Simon, ma lei nonpoteva. Non voleva. — Jace —sussurrò. Era come un mantra, come lavolta in cui lui l’aveva tenuta a Renwickripentendo continuamente il suo nome.

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— Jace Lightwood…Si paralizzò. Eccolo. Un movimento

così impercettibile da poter essere amalapena considerato tale. Il fremito diun ciglio. Si chinò in avanti, perdendoquasi l’equilibrio, e premette la manocontro il tessuto scarlatto sopra il pettodi lui, come se potesse guarire la feritache lei stessa aveva causato. Invecequello che sentì sotto le dita, cosìmeraviglioso che per un istante lesembrò assurdo, era il battito del suocuore.

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EPILOGO

All’inizio, Jace non si rese conto diniente. Poi ci fu il buio e, dentro di esso,un dolore bruciante. Era come averingoiato il fuoco, che lo soffocava e gliustionava la gola. Annaspòdisperatamente per prendere aria, per unrespiro capace di raffreddare quelfuoco, e i suoi occhi si aprirono.

Vide tenebre e ombre, una stanza

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poco illuminata, conosciuta esconosciuta al tempo stesso, con file diletti e una finestra che lasciava filtrareuna cupa luce azzurra; era sdraiato suuno di quei letti, coperte e lenzuolaavvolte attorno al suo corpo comecorde. Il petto gli faceva male, come sesopra avesse un peso morto. Alzò unamano per capire di cosa si trattava,incontrando soltanto uno spessobendaggio che gli copriva la pelle nuda.Prese un altro respiro. Ancora sollievo.

— Jace. — Quella voce gli risultòfamiliare come fosse la propria. Unamano strinse la sua mano, ditaintrecciate ad altre dita. Con un riflessonato da anni di affetto e vicinanza,ricambiò la stretta.

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— Alec — disse, quasi scioccato alsuono delle sue stesse parole. Non eracambiato. Aveva l’impressione di esserestato bruciato, fuso e poi riplasmatocome oro in un crogiolo, per poidiventare… Che cosa? Avrebbe potutotornare a essere se stesso? Alzò losguardo verso gli occhi azzurri, carichidi angoscia, di Alec, e capì dove sitrovava. L’infermeria dell’Istituto. Casa.— Mi dispiace…

Una mano callosa e affusolata gliaccarezzò la guancia, e un’altra voce glidisse: — Non scusarti. Non hai niente dicui scusarti.

Socchiuse gli occhi. Il peso sul pettoera ancora lì: metà ferita e metà senso dicolpa. — Izzy.

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Lei trattenne il fiato. — Sei davverotu, giusto?

— Isabelle — disse Alec come peravvertire la sorella di non stancarlotroppo, ma Jace le toccò la mano.Riusciva a vedere gli occhi scuri di Izzyche brillavano alla luce dell’alba, il suoviso pieno di attesa e speranza. Quellaera la ragazza che solo la sua famigliaconosceva, un’Isabelle affettuosa eapprensiva.

— Sono io — le disse, poi si schiarìla gola. — Se non mi credi, ti capisco,ma te lo giuro sull’Angelo, Iz. Sono io.

Alec non parlò, ma strinse più fortela mano di Jace.

— Non c’è bisogno che giuri — glidisse infine, toccandogli la runa

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parabatai vicino alla clavicola. — Loso. Lo sento. Non è più come se mimancasse una parte di me.

— Anche per me era così — risposeJace respirando a fatica. — Mi mancavaqualcosa. Lo sentivo, anche conSebastian, ma non sapevo cos’era.Invece eri tu. Il mio parabatai. —Guardò Izzy. — E tu. Mia sorella. E…— All’improvviso le palpebre glibruciarono di una luce cocente: la feritasul petto cominciò a palpitare, finchévide il viso di lei, illuminato dallafiamma della spada. Uno strano calore,un fuoco bianco, gli percorse le vene. —Clary. Vi prego, ditemi che…

— Sta bene — si affrettò a direIsabelle. C’era dell’altro, nella sua

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voce. Stupore, disagio.— Me lo giuri? Non lo dici soltanto

per tenermi tranquillo…— È stata lei a trafiggerti — affermò

lei.Jace fece una risata soffocata.

Provava dolore. — Clary mi ha salvato.— È vero — gli confermò Alec.— Quando posso vederla? — chiese

Jace, cercando di non sembrare troppoimpaziente.

— Allora sei proprio tu —commentò Isabelle in tono divertito.

— I Fratelli Silenti sono entrati eusciti per controllarti — spiegò Alec. —Per controllare questo — aggiunsetoccandogli il bendaggio sul petto — eper vedere se eri già sveglio. Quando

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scopriranno che è così, è probabile chevorranno parlarti, prima di lasciartivedere Clary.

— Quanto tempo sono rimasto senzasensi?

— Circa due giorni — rispose Alec.— Da quando ti abbiamo portato via dalBurren, praticamente convinti che sarestimorto. A quanto pare non è cosìsemplice guarire la ferita inferta dallalama di un arcangelo.

— Quindi mi stai dicendo cheresterà la cicatrice.

— Grande e brutta, attraverso ilpetto.

— Cavolo — fece Jace. — E io checontavo sui soldi di quell’ingaggio comemodello di biancheria intima, avevo

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fatto un casting…Scherzava, ma dentro di sé pensò

che in fondo fosse giusto avere unacicatrice: doveva portare il segno diquello che gli era successo, siafisicamente che psicologicamente.Aveva rischiato di perdere l’anima, e lacicatrice sarebbe servita a ricordargli ladebolezza della volontà e la difficoltà diessere buoni.

Ma anche cose più cupe. Quello chelo aspettava e quello che non potevapermettere che accadesse. Stavariprendendo le forze; lo sentiva, e leavrebbe dirette tutte contro Sebastian.Quella consapevolezza lo fece subitosentire più leggero, il peso sul pettodiventava meno opprimente. Girò la

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testa per poter guardare Alec negliocchi.

— Non avrei mai pensato dicombattere dal fronte della battagliaopposto al tuo — gli disse con vocefioca. — Mai.

— E non lo farai mai più — disseAlec, la mandibola serrata.

— Jace — lo chiamò Isabelle. —Cerca di stare calmo, okay? È che…

— Che cosa? C’è qualcos’altro chenon va?

— Ecco… È che stai brillando unpo’ — gli disse Isabelle. — Cioè, soloun pochino.

— Brillando?!Alec sollevò la mano stretta a quella

di Jace, per mostrare all’altro, nella

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penombra, il debole luccichionell’avambraccio che gli percorreva levene facendolo sembrare una cartinageografica. — Pensiamo che sia uneffetto lasciato dalla spadadell’arcangelo. Probabilmente svaniràpresto, ma i Fratelli Silenti ne sonoincuriositi, ovviamente.

Jace sospirò e abbandonò la testa sulcuscino. Era troppo esausto perapprezzare più di tanto quel suo nuovostato di “illuminazione”. — Allora ve neandate? Dovete far venire i Fratelli? —domandò.

— Ci hanno chiesto di chiamarli altuo risveglio — rispose Alec, mascuoteva la testa già mentre parlava. —Ma se non vuoi…

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— Mi sento stanco — confessò Jace.— Se potessi dormire ancora qualcheora…

— Certo. Certo che puoi. — Le ditadi Isabelle gli spinsero i capelliall’indietro, via dagli occhi. Il suo tonodi voce era fermo, fiero come quello diuna mamma orso che protegge i suoipiccoli.

Gli occhi di Jace iniziarono achiudersi. — E non mi lascerete?

— No — disse Alec. — Non tilasceremo mai. E lo sai.

— Mai. — Isabelle gli prese lamano, quella che non stava già tenendoAlec, e la strinse con forza. — ILightwood, tutti insieme — mormorò. Lamano di Jace diventò improvvisamente

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umida nel punto in cui lei glielastringeva, e capì che Isabelle stavapiangendo. Le sue lacrime gli piovevanosulla pelle. Piangeva per lui, perché glivoleva bene. Anche dopo tutto quelloche era successo.

Tutti e due gliene volevano.Si addormentò così, con Isabelle da

un lato e Alec dall’altro, mentre il solesi apriva alla luce del giorno.

— Cosa vuol dire che non possoancora vederlo? — sbottò Clary. Eraseduta sul bordo del divano, nel salottodi Luke, il filo del telefono avvolto cosìstretto attorno alle dita che le punte leerano diventate bianche.

— Sono passati solo tre giorni, duedei quali è rimasto in coma — disse

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Isabelle. Sentendo delle voci dietro dilei, Clary aguzzò le orecchie per capiredi chi si trattasse. Forse una era Maryse,ma stava parlando con Jace? Con Alec?— I Fratelli Silenti lo stanno tenendosotto osservazione. E hanno detto nientevisite.

— Insomma, quelli mi voglionofottere.

— Perché, pensi di essere il lorotipo?

— Isabelle! — Clary si buttòall’indietro sui cuscini morbidi. Era unaluminosa giornata d’autunno, e il soleinondava le finestre del salotto, maquesto non bastava a farla sentiremeglio. — Voglio solo sapere che stabene. Che non ha danni permanenti, che

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non è gonfio come un melone…— Ovvio che non è gonfio come un

melone, non essere ridicola.— Come faccio a saperlo? Nessuno

mi dice niente!— Sta bene — la rassicurò Isabelle,

anche se Clary sentiva che nella suavoce c’era della reticenza. — Alecdorme nel letto accanto al suo, io e miamadre facciamo i turni per assisterlo. IFratelli Silenti non lo hanno micatorturato! Hanno solo bisogno di saperecosa sa lui. Sebastian, l’appartamento,tutto.

— Non posso credere che Jace nonmi chiamerebbe, se potesse. A meno chelui preferisca non vedermi.

— Forse è così — rispose Isabelle.

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— Magari per il fatto che l’hai trafitto…— Isabelle, io…— Stavo scherzando, che tu ci creda

o no. Nel nome dell’Angelo, Clary, nonpuoi avere un po’ di pazienza? —sospirò Isabelle. — D’accordo, comenon detto. Avevo dimenticato con chistavo parlando. Ora non dovrei dirlo, equindi mi raccomando, ma Jace ha dettoche voleva parlarti di persona. Se solotu riuscissi ad aspettare…

— Ma non ho fatto altro — ribattéClary. — Nient’altro che aspettare. —Ed era vero. Aveva trascorso le ultimedue notti sdraiata in camera, a casa diLuke, in attesa di notizie su Jace,ripercorrendo continuamente e neiminimi dettagli l’ultima settimana della

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sua vita. La Caccia Selvaggia, il negoziodi antiquariato di Praga, le fontane disangue, i tunnel degli occhi di Sebastian,il corpo di Jace contro il proprio,Sebastian che le spingeva la CoppaInfernale contro le labbra percostringerla a bere, l’odore amarodell’icore demoniaco. La Gloriosa chele risplendeva in mano, trafiggendo Jacecome un fulmine celeste, il battito delsuo cuore sotto i polpastrelli. Lui nonaveva nemmeno aperto gli occhi, ma aClary aveva gridato che era vivo, che ilcuore gli batteva ancora, dopodiché tuttala famiglia di Jace li aveva circondati,anche Alec, che quasi doveva tenere dipeso un Magnus bianco come unostraccio. — Continuo a pensare e

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ripensare alle stesse cose. Stodiventando pazza.

— E su questo siamo d’accordo. Saicosa, Clary?

— Cosa?Ci fu una pausa. — Non ti serve il

mio permesso per venire qui a trovareJace — disse Isabelle. — Non ti serve ilpermesso di nessuno per fare niente. Tusei Clary Fray. Ti butti a capofitto inqualsiasi situazione senza sapere comecavolo andrà a finire, poi ce la fai,perché hai coraggio da vendere e… seianche un po’ pazza.

— Non quando si tratta della miavita privata, Iz.

— Uh! — fece Isabelle. — Forsedovresti esserlo. — E così dicendo,

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riagganciò.Simon era disteso sul letto, i piedi

sopra i cuscini, il mento appoggiatosulle mani. Teneva il portatile apertodavanti a sé, immobile su una scena delfilm Matrix. Alzò lo sguardo quando leientrò. — Allora? Ti è andata bene?

— Non proprio. — Clary si era giàvestita con l’idea che quel giornoavrebbe potuto incontrare Jace: jeans eun maglione celeste che sapevapiacergli. Si mise una giacca di velluto acoste e si sedette sul letto accanto aSimon, facendo scivolare i piedi dentrogli stivali. — Isabelle non mi diceniente. I Fratelli Silenti non voglionoche Jace riceva visite, ma chi se neimporta. Io ci vado lo stesso.

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Simon chiuse il portatile e rotolòsulla schiena. — Ecco la mia piccolamolestatrice coraggiosa!

— Chiudi il becco — gli disse. —Non vuoi venire con me? VedereIsabelle?

— Devo vedere Becky, a casa diJordan — rispose lui.

— Bene. Salutala da parte mia. —Finì di allacciarsi gli stivali e allungòuna mano per togliere a Simon unaciocca di capelli dalla fronte. — Primami sono dovuta abituare a te con ilMarchio di Caino. E ora mi devoriabituare a te senza.

Gli occhi scuri di lui le percorsero ilineamenti del viso. — Con o senza,sono sempre e soltanto io.

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— Simon, ti ricordi cosa c’erascritto sulla lama della spada? DellaGloriosa?

— Quis ut Deus?— È latino. Sono andata a cercare e

ho visto che vuol dire “Chi è comeDio?” Una domanda trabocchetto,perché la risposta è “nessuno”. Nessunoè come Dio. Non vedi?

Lui la guardò. — Vedere cosa?— L’hai detto. Deus, Dio.Simon aprì la bocca, poi la richiuse.

— Io…— Camille ti disse che lei poteva

pronunciare il nome di Dio perché noncredeva in lui, ma io credo che la cosaabbia a che fare con quello che unocrede di se stesso... Se pensi di essere

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dannato, allora lo sei. Se no…Gli toccò la mano. Lui strinse le dita

per un attimo e le lasciò andare,un’espressione preoccupata sul viso. —Mi serve del tempo per pensarci su.

— Tutto quello che ti serve. Ma sehai bisogno di parlare, sappi che sonoqui.

— E io sono qui se sarai tu adaverne bisogno. Qualsiasi cosa succedafra te e Jace all’Istituto… sai che puoisempre venire da me, se ti va di parlare.

— Come sta Jordan?— Abbastanza bene. Adesso lui e

Maia stanno proprio insieme. Sono inquella fase odiosa in cui ho lasensazione di doverli lasciare solicontinuamente! — Arricciò il naso. —

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Quando lei non c’è, Jordan impazzisceperché si sente insicuro a pensare chelei ha frequentato altri ragazzi mentre luiha passato gli ultimi tre anni inallenamento militare per il Praetor,fingendosi in pratica un essereasessuato.

— Oh, andiamo. Dubito che a leiinteressi.

— Sai come sono fatti gli uomini. Ilnostro ego è fragile.

— Non direi lo stesso per quello diJace.

— No. Jace è una specie di carroarmato d’artiglieria contraerea dell’egomaschile — ammise Simon. Era sdraiatocon la mano destra aperta sulla pancia, el’anello d’oro delle fate gli brillava sul

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dito. Dato che l’altro era stato distrutto,probabilmente questo non aveva piùpoteri, ma Simon lo portava comunque.D’istinto, Clary si chinò e gli baciò lafronte.

— Sei il migliore amico che sipotrebbe mai avere, lo sai?

— Sì, lo sapevo, ma è sempre bellosentirselo dire.

Clary rise e si alzò. — Be’,potremmo anche camminare insieme finoalla metropolitana. A meno che tu nonvoglia restare qui con i miei anziché neltuo appartamento supercool da scapoliin centro.

— Giusto. Con il mio coinquilinoche si strugge d’amore e mia sorella. —Simon scivolò giù dal letto e la seguì

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mentre lei usciva dal soggiorno. —Perché non usi un portale?

Clary fece spallucce. — Non so. Misembrerebbe… uno spreco. —Attraversò il corridoio e, dopo averbussato rapidamente, infilò la testadentro la camera padronale. — Luke?

— Entra.Lei entrò, con Simon accanto. Luke

era a letto, seduto. Il bendaggio che gliavvolgeva il petto formava un rilievosotto la camicia di flanella. Davanti alui, una pila di riviste. Simon ne preseuna: — “Brilla come una principessa:sposa d’inverno” — lesse ad alta voce.— Non so, amico. Non sono sicuro cheuna coroncina di cristalli sarebbe il lookpiù adatto a te.

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Luke guardò attorno al letto e fece unsospiro. — Jocelyn ha pensato che unpo’ di preparativi per il matrimoniopotrebbero farci bene. Ritorno allanormalità e cose del genere. — Sotto isuoi occhi azzurri c’erano delle ombrescure. Era stata Jocelyn a rivelargli laverità su Amatis, quando lui era ancoraalla stazione di polizia. Anche se Clarylo aveva accolto a casa con grandiabbracci, lui non aveva nominato suasorella una sola volta, e nemmeno loaveva fatto lei. — Se fosse per me,scapperei a Las Vegas e farei unmatrimonio a tema da cinquanta dollari,tutti vestiti da pirati, celebrato da Elvis.

— Io potrei fare la damigellad’onore con la toppa sull’occhio —

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propose Clary. Puntò lo sguardo suSimon. — E tu potresti essere…

— Oh no — la fermò lui. — Io sonoun alternativo. Troppo indie per imatrimoni a tema.

— Ma se giochi aDungeons&Dragons! Tu sei un nerd! —replicò lei con affetto.

— Guarda che il genere sfigato va dimoda — dichiarò lui. — Le ragazze loadorano.

Luke si schiarì la voce. — Presumoche siate venuti qui per dirmi qualcosa,giusto?

— Sto andando all’Istituto pervedere Jace — rispose Clary. — Vuoiche ti porti qualcosa?

Lui fece di no con la testa. — Tua

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mamma è già in negozio a far provviste.— Si sporse per arruffarle i capelli, mafece una smorfia. Stava guarendo, ma gliserviva ancora del tempo. — Divertiti.

Clary pensò a quello che l’avrebbeprobabilmente aspettata all’Istituto: unaMaryse arrabbiata, un’Isabelleaffaticata, un Alec assente e un Jace chenon voleva vederla. Sospirò. —Contaci.

La galleria della metro aveval’odore dell’inverno definitivamentegiunto in città: metallo freddo, umidità,sporcizia bagnata, deboli tracce di fumo.Alec, camminando lungo i binari,vedeva il proprio respiro condensato innuvolette bianche davanti al viso. Siinfilò la mano libera nella tasca del

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giaccone a doppiopetto blu, perscaldarsela. Con l’altra teneva lastregaluce che gli serviva per illuminareil tunnel: piastrelle verdi e crema,scolorite dagli anni, cavi chepenzolavano dal soffitto come ragnatele.Ne era passato del tempo, dall’ultimavolta che quel posto aveva visto passareun treno.

Si era svegliato prima di Magnus,anche quella volta. Lo stregone erarimasto a dormire fino a tardi, perriposarsi dalla battaglia nel Burren.Aveva consumato molte energie perrigenerarsi, ma non era ancoracompletamente guarito. Gli stregonierano immortali, ma non invulnerabili.“Qualche centimetro più su e per me

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sarebbe stata la fine” aveva dettoMagnus, con apprensione, esaminando laferita da taglio. “Mi avrebbe fermato ilcuore”.

C’erano stati dei momenti, forseminuti, in cui Alec aveva davveropensato che fosse morto. Dopo tutto queltempo passato a preoccuparsi didiventare vecchio e morire prima di lui!Che beffa del destino sarebbe stata…Era quello che si sarebbe meritato,avendo preso seriamente inconsiderazione l’offerta di Camille,seppure per un solo secondo.

Di fronte a sé vedeva delle luci: lastazione di City Hall, illuminata dalampadari e lucernari. Era sul punto dispegnere la sua stregaluce, quando

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dietro di sé sentì una voce familiare.— Alec — disse qualcuno. —

Alexander Gideon Lightwood.Alec provò una stretta al cuore. Si

voltò lentamente. — Magnus?Lo stregone avanzò dentro il cerchio

chiaro proiettato dalla stregaluce diAlec. Aveva un’aria stranamentelugubre, gli occhi adombrati, i capelli aspunzoni scompigliati. Indossava unagiacca elegante con una maglietta, tantoche Alec non poté fare a meno dichiedersi se non avesse freddo.

— Magnus — gli disse di nuovo. —Pensavo stessi dormendo.

— Ovviamente — rispose lui.Alec deglutì forte. Non aveva mai

visto Magnus arrabbiato, non sul serio.

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Non così. Il suo sguardo felino eraassente, impossibile da decifrare. — Mihai seguito? — gli chiese.

— In un certo senso. È stato utilesapere in anticipo dove stavi andando.— Con movimenti rigidi, Magnusestrasse dalla tasca un foglio di cartaripiegato. In quella penombra, l’unicacosa che Alec riusciva a intravedere erauna calligrafia ordinata e ricca disvolazzi. — Sai, quando lei mi ha dettoche eri stato qui e dell’accordo cheaveva stretto con te, io non le hocreduto. Non volevo crederle. Inveceeccoti qui.

— Camille ti ha detto…Magnus sollevò una mano per

interromperlo. — Taci — gli disse

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l’altro stancamente. — Certo che me loha detto. Ti avevo avvertito che era laregina delle manipolazioni e degliintrighi, ma tu non mi hai ascoltato.Secondo te, chi preferirebbe avere dallasua parte? Me o te? Hai diciotto anni,Alexander. Non sei esattamente quelloche si potrebbe definire un potentealleato.

— Le avevo già detto — risposeAlec — che non avrei ucciso Raphael.Sono venuto qui e le ho detto chel’accordo saltava, che non lo avreifatto…

— E dovevi venire fin qui, in questastazione abbandonata, per consegnarlequel messaggio? — Magnus sollevò lesopracciglia. — Non pensi che avresti

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potuto fare la stessa cosa, per esempio,restando alla larga?

— Era…— E anche se tu fossi venuto qui per

dirle che l’accordo saltava — proseguìMagnus con voce tremendamente calma— mi dici cosa ci fai qui adesso? Visitadi cortesia? Passavi per caso?Spiegamelo, Alexander, se c’è qualcosache mi sfugge.

Alec deglutì. Doveva di certoesserci un modo per spiegare. Eraandato fin lì, da Camille, perché eral’unica persona con cui poteva parlaredi Magnus. L’unica persona che loconosceva come lo conosceva lui, nonsoltanto come l’Alto Stregone diBrooklyn, bensì come una persona

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capace di dare e ricevere amore, confragilità e peculiarità tutte umane, unite abizzarri sbalzi d’umore che Alec nonsapeva come affrontare senza qualcheconsiglio. — Magnus… — Alec fece unpasso verso il suo fidanzato e, per laprima volta da che si ricordava, lui siallontanò. Aveva una postura rigida eostile; lo guardava come avrebbe potutoguardare uno sconosciuto, unosconosciuto non particolarmente gradito.

— Mi dispiace tanto — gli disseAlec. All’improvviso la sua vocesuonava gracchiante e irregolare alle suestesse orecchie. — Io non volevo…

— Ci stavo pensando, sai — lointerruppe Magnus. — Questo è in parteil motivo per cui volevo il Libro

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Bianco. L’immortalità può essere unfardello. Ripensi ai giorni che haidavanti, quando sei stato dovunque e haivisto tutto. L’unica cosa che non avevoprovato era invecchiare con qualcuno,con qualcuno che amavo. Pensavo chemagari potevi essere tu. Ma questo nonti dà il diritto di rendere la durata dellamia vita una scelta tua.

— Lo so. — Il cuore di Alec battevaall’impazzata. — Lo so, e infatti non loavrei fatto…

— Resterò fuori tutto il giorno —disse Magnus. — Vieni a portare via letue cose da casa mia. Lascia le chiavisul tavolo da pranzo. — Mentre parlava,con gli occhi scrutava il viso di Alec. —È finita. Non voglio mai più rivederti,

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Alec. E nemmeno i tuoi amici. Sonostanco di essere il loro stregone dacompagnia.

Le mani di Alec avevano cominciatoa tremare, abbastanza forte da farglicadere la stregaluce. L’oggetto si spensee il ragazzo cadde in ginocchio,frugando tra la sporcizia sul pavimento.Finalmente qualcosa si accese di fronteai suoi occhi e, quando si sollevò, videMagnus con la stregaluce in mano.Brillava e tremolava di uno stranobagliore colorato.

— Non dovrebbe fare quella luce —disse Alec d’istinto. — Non con chi nonè uno Shadowhunter.

Magnus allungò il braccio. Il cuoredella stregaluce brillava di rosso scuro,

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il colore dei carboni ardenti.— È per via di tuo padre? — gli

chiese Alec.Lo stregone non rispose e si limitò a

mettergli la pietra runica nel palmo dellamano. Quando si sfiorarono, il viso diMagnus cambiò espressione. — Staigelando.

— Sì?— Alexander… — Magnus lo tirò a

sé, la stregaluce che brillava fra lorocambiando rapidamente colore. Alecnon l’aveva mai vista fare niente delgenere. Appoggiò la testa alla spalla diMagnus e lasciò che lui lo abbracciasse.Il cuore dello stregone non batteva comequello umano; era più lento, ma stabile.La cosa più stabile di tutta la sua vita,

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aveva a volte pensato Alec.— Baciami — gli disse.Magnus gli appoggiò una mano sulla

guancia e, con delicatezza, quasi inmodo assente, gli fece scorrere ilpollice lungo lo zigomo. Quando sichinò per baciarlo, profumava disandalo. Alec gli afferrò la manica dellagiacca, e la stregaluce, stretta fra i lorocorpi, si accese di rosa, verde e azzurro.

Fu un bacio lento, e triste. QuandoMagnus si ritrasse, Alec vide che, chissàcome, era lui l’unico a sorreggere lastregaluce. Brillava di un bianco tenue.

A bassa voce, lo stregone disse: —Aku cinta kamu.

— Cosa vuol dire?Magnus si liberò dalla presa di

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Alec. — Vuol dire “ti amo”. Non checambi qualcosa.

— Ma se mi ami…— Certo che ti amo. Più di quanto

pensassi. Ma è finita comunque — glidisse. — Non cambia quello che haifatto.

— Ma è stato un errore — sussurròAlec. — Solo un errore…

Magnus fece una risata sarcastica.— Solo un errore? È come dire chedurante il viaggio inaugurale del Titanicc’è stato un piccolo incidente. Alec, tuhai cercato di accorciarmi la vita.

— È stato solo… Me lo ha propostolei, ma io ci ho pensato su e ho capitoche non potevo farlo, che non potevofarti una cosa del genere.

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— Ma hai dovuto pensarci. E nonme ne hai mai parlato. — Magnus scossela testa. — Non ti sei fidato di me. Nonlo hai mai fatto.

— Sì, invece — ribatté Alec. — Lofarò, ci proverò. Dammi un’altrapossibilità…

— No — rispose Magnus. — E, seposso darti un consiglio: stai alla largada Camille. C’è una guerra in arrivo,Alexander, ed è meglio se non metti indiscussione le tue alleanze. Dico bene?

Pronunciate quelle parole, si girò ese ne andò via con le mani in tasca,camminando lentamente, come se fosseferito, e non soltanto dal taglio sulfianco. In ogni caso, se ne stavaandando. Alec rimase a guardarlo finché

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non uscì dal bagliore della stregaluce,sparendo dalla sua vista.

L’interno dell’Istituto era fresco,d’estate, ma ora che l’inverno eraufficialmente cominciato, Clary lotrovava caldo. La navata era illuminatada file di candelabri e le finestre con ivetri colorati brillavano di una lucetenue. Lasciò che la porta le si chiudessealle spalle e si diresse versol’ascensore. Arrivata a metà delcorridoio centrale, sentì una risata.

Si voltò. Isabelle era seduta su unadelle vecchie panche, le lunghe gambeappoggiate sopra lo schienale di fronte.Indossava degli stivali che le arrivavanoa metà coscia, jeans aderenti e unmaglione rosso che le lasciava una

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spalla scoperta. Aveva la pelle ricopertada disegni neri; Clary ricordò le paroledi Sebastian, quando le aveva detto chea lui non piacevano le donne che sisfiguravano la pelle con i marchi, e sisentì percorrere da un brivido. — Nonhai sentito che ti chiamavo? — le chieseIzzy. — Sai davvero esseresorprendentemente testarda.

Clary si fermò, appoggiandosi a unacolonna. — Non ti ho ignorata apposta.

Isabelle tolse di slancio le gambedallo schienale e si alzò in piedi. Itacchi degli stivali erano alti e lafacevano troneggiare sopra Clary. —Oh, lo so. È per questo che ho detto“testarda” e non “cafona”.

— Sei qui per dirmi di andare via?

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— Clary fu felice di sentire che la vocenon le stava tremando. Voleva vedereJace. Voleva vederlo più di ogni altracosa. Ma dopo quello che aveva passatonell’ultimo mese, sapeva che a contareera solo il fatto che lui era ancora vivo eche era di nuovo se stesso. Tutto il restofiniva in secondo piano.

— No — disse Izzy, cominciando adirigersi verso l’ascensore. Clary laseguì e le si mise accanto. — Credo chetutta questa storia sia ridicola. Tu gli haisalvato la vita.

Clary deglutì contro il freddo che sisentiva in gola. — Hai detto che c’eranocose che non capivo.

— E ci sono. — Premette il pulsantedell’ascensore. — Jace te le può

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spiegare. Sono scesa perché ho pensatoche c’era qualcos’altro che dovevisapere.

Clary rimase in attesa di sentire ilfamiliare cigolio, seguito da vibrazioni etonfo finale, del vecchio ascensore agabbia. — Del tipo?

— Mio padre è tornato — annunciòIsabelle senza incontrare lo sguardo diClary.

— Tornato in visita o tornato perrestare?

— Per restare. — Isabelle sembravacalma, ma Clary ricordò quanto l’avevaferita la notizia che Robert si fossecandidato a diventare Inquisitore. — Inpratica Aline ed Helen hanno evitato chefinissimo nei guai per tutto quello che è

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successo in Irlanda. Quando siamovenuti ad aiutarti, lo abbiamo fatto senzainformare il Conclave. Mia madre erasicura che, se li avessimo avvertiti,avrebbero inviato dei guerrieri peruccidere Jace. Lei non poteva farlo.Voglio dire, era in gioco la nostrafamiglia.

L’ascensore sferragliò e completò ilsuo fragoroso percorso prima che Clarypotesse dire qualunque cosa. Seguìl’altra ragazza all’interno, lottandocontro lo strano impulso di abbracciarla.Dubitava che a Izzy sarebbe piaciuto.

— E così Aline ha detto al Console,ovvero in fin dei conti a sua madre, chenon c’era stato il tempo di avvisare ilConclave, che lei era stata lasciata

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indietro col preciso ordine di chiamareJia, ma che poi i telefoni non avevanofunzionato. Balle su balle, insomma. Maè la nostra versione, perciò dobbiamocontinuare a sostenerla. In realtà nonpenso che Jia le abbia creduto, ma nonimporta; di sicuro non voleva punire miamadre. Le serviva soltanto una storia acui aggrapparsi per non trovarsi incondizione di doverci davverosanzionare. Dopotutto, l’operazione nonsi è rivelata un disastro. Siamo andati,abbiamo salvato Jace, ucciso gran partedei Nephilim oscuri e messo in fugaSebastian.

L’ascensore smise di salire e sifermò strepitando.

— Messo in fuga Sebastian — ripeté

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Clary. — Quindi non abbiamo idea didove si trovi? Pensavo che forse,avendogli distrutto casa, ovvero la tascadimensionale, avremmo potutorintracciarlo.

— Ci abbiamo provato — spiegòIsabelle. — Ovunque sia, resta ancora aldi là delle nostre capacità diritrovamento. E, secondo i FratelliSilenti, la magia compiuta da Lilith…Insomma, Clary, Sebastian è forte.Veramente forte. Dobbiamo pensare chesia là fuori, con la Coppa Infernale,impegnato a pianificare la sua prossimamossa. — Aprì il cancellodell’ascensore e uscì. — Pensi chetornerà a cercarti? O a cercare Jace?

Clary esitò. — Non subito —

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rispose infine. — Per lui siamo le ultimetessere del puzzle. Prima vorràsistemare tutto il resto. Vorrà unesercito, vorrà sentirsi pronto. Noisiamo come… il premio per la suavittoria. E così non dovrà essere solo.

— Deve soffrire molto la solitudine— disse Isabelle. Non c’eracomprensione nella sua voce; era unasemplice osservazione.

Clary pensò a Sebastian, alla facciache aveva cercato di dimenticare, quellache popolava i suoi incubi e i suoi sognia occhi aperti. Mi hai chiesto a chiappartengo. — Non ne hai un’idea.

Raggiunsero le scale che portavanoin infermeria. Isabelle si fermò,posandosi una mano sul collo. Clary

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riusciva a intravedere il contornosquadrato del suo ciondolo di rubinosotto il maglione. — Clary…

Lei si sentì all’improvviso inimbarazzo. Si lisciò l’orlo della manicaper evitare lo sguardo di Isabelle.

— Com’è? — le chieseall’improvviso.

— Com’è cosa?— Essere innamorati — rispose

Isabelle. — Come si fa a sapere che losi è? E come si fa a sapere se qualcunolo è di te?

— Uhm…— Come con Simon — proseguì. —

Come avevi capito che era innamoratodi te?

— Be’… Me l’aveva detto lui —

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rispose Clary.— L’aveva detto lui.Clary fece spallucce.— E prima di quello, tu non ne avevi

idea?— No, in realtà no — rispose Clary,

ripensando a quel momento. — Izzy…se provi qualcosa per Simon, o se vuoisapere cosa prova per te… forsedovresti dirglielo e basta.

Isabelle si stava gingillando con uninesistente filo sulla manica delmaglione. — Dirgli cosa?

— Quello che provi per lui.Isabelle non sembrava d’accordo. —

Ma non posso!Clary scosse la testa. — Dio. Tu e

Alec siete così simili…

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Isabelle spalancò gli occhi. —Invece no! Proprio per niente. Io escocon dei ragazzi, lui prima di Magnusmai. Lui si ingelosisce, io no…

— A tutti capita di essere gelosi. —Clary parlò con decisione. — E sietetutti e due così… stoici. Si tratta diamore, non è la battaglia delleTermopili. Non dovete affrontare tuttocome se fosse l’ultima battaglia. Nondovete tenervi tutto dentro.

Isabelle buttò in aria le mani. — Oh,all’improvviso sei diventata un’esperta?

— Non sono un’esperta — ribattéClary. — Ma conosco Simon. Se non glidici qualcosa, penserà che non seiinteressata a lui e si arrenderà. Lui habisogno di te, Iz, e tu di lui. Ma ha anche

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bisogno che sia tu a dirlo.Isabelle fece un sospiro e si girò di

scatto per cominciare a salire le scale.Clary la sentì borbottare strada facendo.— È colpa tua, sai. Se tu non gli avessispezzato il cuore…

— Isabelle!— Senti, lo hai fatto.— Già, e mi sembra di ricordare che

quando fu trasformato in un topo, fosti tua proporre di lasciarlo così. Per sempre.

— Non è vero.— Sì, tu… — Clary si interruppe.

Avevano raggiunto il piano successivo,dove un lungo corridoio si allungava adestra e a sinistra. Davanti alla doppiaporta dell’infermeria c’era la figura,avvolta in una tunica color pergamena,

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di un Fratello Silente a mani giunte eviso basso, fermo in posizionemeditativa.

Isabelle lo indicò con grande enfasi.— Prego! — le disse. — Buona fortuna,se vuoi oltrepassarlo per vedere Jace.

Se ne andò lungo il corridoio, congli stivali che battevano forte contro ilpavimento in legno.

Clary sorrise fra sé e prese lo stiloche teneva nella cintura. Sapeva cheprobabilmente non esisteva una runacapace di ingannare un Fratello Silentecon un incantesimo, ma forse, se fosseriuscita ad andargli così vicina datracciargliene una sulla pelle…

Clary Fray. La voce dentro la suatesta era divertita, e anche familiare. Pur

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essendo priva di suono, lei ne riconobbela forma, proprio come siriconoscerebbe il modo di ridere o direspirare di qualcuno.

— Fratello Zaccaria. — Conrassegnazione, Clary rimise a posto lostilo e gli andò più vicina, pensando cheavrebbe voluto Isabelle ancora con sé.

Presumo tu sia qui per vedereJonathan, le disse lui sollevando latesta dalla sua posizione meditativa. Ilviso era ancora coperto dall’ombra delcappuccio, ma Clary riusciva aindovinare il contorno di uno zigomospigoloso. Nonostante gli ordini dellaConfraternita.

— Chiamalo Jace, per favore.Altrimenti faccio troppa confusione.

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Jonathan è un bel vecchio nome daShadowhunter, il primo dei nomi. GliHerondale hanno sempre mantenuto iloro nomi di famiglia…

— Il suo nome non gli è stato datoda un Herondale — sottolineò Clary. —Anche se ha un pugnale con quello disuo padre. Sulla lama c’è scritto S.W.H.

Stephen William Herondale.Clary fece un altro passo verso la

porta e verso Zaccaria. — Sai moltecose sugli Herondale — gli disse. — Etra tutti i Fratelli Silenti, sembri quellopiù umano. La maggior parte di loro nonlascia mai trapelare nessuna emozione.Sono come delle statue. Invece sembrache tu provi qualcosa, che ti ricordiancora della tua vita passata.

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Essere un Fratello Silente è vita,Clary Fray. Ma se mi stai chiedendo sericordo com’era la mia vita prima dellaConfraternita, allora la risposta è sì.

Clary fece un respiro profondo. —Sei mai stato innamorato? Prima dellaConfraternita? C’è mai stato qualcunoper cui avresti dato la vita?

Seguì un lungo silenzio, e poi:Due persone. Esistono ricordi che il

tempo non cancella, Clarissa. Chiediloal tuo amico Magnus Bane, se non micredi. L’eternità non basta adimenticare ciò che si è perso, lo rendesoltanto sopportabile.

— Be’, io non ho l’eternità — disseClary con una voce sottile. — Ti prego,fammi entrare a vedere Jace.

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Fratello Zaccaria non si mosse.Ancora non riusciva a vedergli la faccia,soltanto un accenno di ombre e superficisotto il cappuccio della tunica. Tenevaancora le mani giunte davanti a sé.

— Ti prego! — lo supplicò.Alec si sollevò sulla piattaforma

della stazione City Hall e camminò agrandi passi verso le scale. Avevaeliminato l’immagine di Magnus che siallontanava da lui grazie a un solo, unicopensiero: avrebbe ucciso CamilleBelcourt.

Salì i gradini, sfilando dalla cinturauna spada angelica. La luce era fioca,tremolante; riemerse al pianoammezzato, sotto il City Hall Park, dovei lucernari di vetro colorato filtravano la

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grigia luce invernale. Si mise lastregaluce in tasca e sollevò l’arma.

— Amriel — sussurrò, e la spadadivampò, come fosse un fulmine nellasua mano. Sollevò il mento, perlustrandola stanza con lo sguardo. Il divano aschienale alto era ancora lì, ma Camilleno. Le aveva mandato un messaggioannunciandole il suo arrivo, ma, visto ilmodo in cui lo aveva tradito, non sistupiva che non fosse rimasta lì adaspettarlo. Attraversò la stanza comeuna furia e tirò un violento calcio aldivano, che si ribaltò con fragore controil legno sollevando una nuvola dipolvere. Uno dei piedini si era staccato.

Dall’angolo della stanza giunse unarisata argentina, squillante.

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Alec si voltò di scatto, la spadalucente fra le mani. Le ombre negliangoli erano dense e nere; persino laluce di Amriel non bastava a penetrarle.— Camille? — disse con vocepericolosamente tranquilla. — CamilleBelcourt. Esci fuori, adesso.

Seguì una seconda risata e unasagoma uscì dalle tenebre. Ma non eraCamille.

Era una ragazzina molto magra, chenon aveva più di dodici o tredici anni,con un paio di jeans strappati e unamaglietta rosa a maniche corte coldisegno luccicante di un unicorno. Rosaera anche la sciarpa che aveva al collo,l’orlo inzuppato di sangue. Altro sangueera sparso sulla metà inferiore del suo

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viso, che colava fino a macchiare ilbordo della maglietta. Guardava Aleccon occhi grandi e felici.

— Io ti conosco — mormorò.Appena aprì la bocca, Alec vide il flashdei suoi canini. Un vampiro. — AlecLightwood. Tu sei amico di Simon, ti hovisto ai concerti.

Lui rimase a fissarla. Si erano giàincontrati? Forse… Il lampo di un visofra le ombre di un bar, uno di queiconcerti a cui Isabelle lo aveva costrettoa partecipare. Non ne era così sicuro.Ma questo non significava che nonsapesse chi aveva di fronte.

— Maureen — disse. — Tu sei laMaureen di Simon.

Lei sembrò compiaciuta. — Sì. Sono

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la Maureen di Simon.La ragazzina si guardò le mani,

coperte di sangue come se le avesseletteralmente immerse. E non era sangueumano, pensò Alec. Era scuro, rossorubino: sangue di vampiro. — Staraicercando Camille — gli disse con vocecantilenante. — Ma lei non è più qui.Oh, no. Se n’è andata.

— Andata? In che senso se n’èandata?

Maureen fece un risolino. — Saicome funziona la legge dei vampiri,vero? Chiunque uccide il capo di un clandi vampiri prende il suo posto. ECamille era il capo del clan di NewYork. Eh già, lo era.

— Perciò… qualcuno l’ha uccisa?

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Maureen scoppiò a ridereallegramente. — Non qualcuno,sciocchino — disse. — L’ho uccisa io.

Il soffitto a volta dell’infermeria eraazzurro, abbellito da un motivo in stilerococò di cherubini che reggevano nastridorati e da stralci di nuvole bianche.Lungo le pareti di destra e di sinistraerano allineati dei letti di ferro, in mododa formare un corridoio al centro. Dadue alti lucernari entrava la luce chiaradi un sole invernale che, però, nonserviva a scaldare la fredda stanza.

Jace era seduto su uno dei letti, laschiena appoggiata a una pila di cuscinisottratti agli altri letti. Indossava deijeans con gli orli sdruciti e una magliettagrigia. Teneva un libro in bilico sulle

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ginocchia. Quando Clary entrò nellastanza lui alzò lo sguardo, ma, quando lavide avvicinarsi al letto, non disse nulla.

Il cuore di lei aveva iniziato amartellare. Il silenzio era immobile,quasi opprimente. Gli occhi di Jace laseguirono mentre arrivava ai piedi delletto e si fermava, appoggiando le manisulla sbarra di ferro. Clary gli studiò ilviso. Tante volte aveva cercato di fargliun ritratto, pensò, cercando di catturarequella qualità ineffabile che rendevaJace se stesso, ma le sue dita non eranomai state davvero capaci di riprodurresulla carta quello che vedevano gliocchi. Ora quella qualità indefinibile,che non c’era quando Sebastian locontrollava, era lì: comunque la si

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volesse chiamare, anima o spirito, oraera lì che gli spuntava dagli occhi.

Strinse le mani attorno al ferro delletto. — Jace…

Lui si infilò una ciocca di capellioro chiaro dietro l’orecchio. — Ma tu…I Fratelli Silenti ti hanno detto chepotevi entrare?

— Non proprio.L’angolo della bocca di Jace si

sollevò. — Quindi li hai messi altappeto con una trave di legno e hai fattoirruzione? Il Conclave non vede di buonocchio certe cose, lo sai.

— Ehi! Mi ritieni capace diqualsiasi cosa, eh? — Si mosse persedersi sul letto accanto a lui, in parteper essere al suo stesso livello, in parte

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per nascondere il fatto che le stavanotremando le ginocchia.

— Già, a poco a poco l’ho imparato— le disse, mettendo da parte il libro.

Quelle parole la colpirono come unoschiaffo. — Non volevo farti del male— gli disse con una voce più simile a unsussurro. — Mi dispiace.

Jace si mise a sedere dritto, buttandole gambe dall’altro lato del letto. Nonerano molto distanti l’uno dall’altra, sulletto, ma lui si stava trattenendo. Ne erasicura. Così come era sicura che, dietroquegli occhi chiari, c’erano dei segreti ec’era dell’esitazione. Avrebbe volutoallungare una mano, ma rimaseimmobile, la voce ferma.

— Non ho mai voluto farti del male

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— disse. — E non sto parlando solo delBurren. Intendo dal primo istante in cuitu, il vero tu, mi hai detto quello chevolevi. Avrei dovuto ascoltarti, mal’unica cosa a cui pensavo era salvarti,portarti via. Non sono stata a sentirtiquando hai detto che volevi consegnartial Conclave, e per questo siamo quasifiniti come Sebastian. Quando ho fattoquello che ho fatto con la Gloriosa…Alec e Isabelle ti avranno detto chel’arma era per Sebastian. Ma nonriuscivo a trovarlo in mezzo alla folla,proprio non ce la facevo. E ho pensato aquello che tu mi avevi detto, e cioè cheavresti preferito morire piuttosto chevivere sotto l’influenza di Sebastian. —La voce le si strozzò in gola. — Il vero

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tu, intendo. Non potevo chiedertelo, hodovuto intuirlo da sola. Devi sapere checolpirti è stato… tremendo. Pensare chemagari saresti morto e che sarebbe statala mia mano a impugnare l’arma deldelitto… Avrei preferito morire, ma homesso a rischio la tua vita pensando chefosse quello che avresti chiesto tu. Dopoaverti tradito una volta, ho pensato chete lo dovevo. Ma, se fossi stata forte…— Fece una pausa, ma lui non parlava.Le si rivoltò lo stomaco, una contorsionedolorosa, da provocarle la nausea. —Quindi… scusami. Lo so che non c’èniente che posso fare per farmiperdonare. Però volevo fartelo sapere,farti sapere che mi dispiace.

Tacque di nuovo, e questa volta il

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silenzio si estese fra loro, sempre piùampio, un filo teso all’infinito.

— Adesso puoi parlare — sbottòinfine lei. — Anzi, sarebbe molto bellose lo facessi.

Jace la guardava incredulo. —Scusa, fammi capire — le disse. — Seivenuta qui per scusarti con me?

Clary si sentì presa alla sprovvista.— Certo che sì.

— Clary, tu mi hai salvato la vita.— Ma io ti ho praticamente ferito a

morte. E con una spada enorme. Haipreso fuoco!

Le labbra di lui vennero scosse daun fremito quasi impercettibile. — Okay— disse. — Allora forse i nostriproblemi non sono come quelli delle

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altre coppie. — Sollevò una mano comeper toccarle il viso, ma la riabbassòsubito. — Ti ho sentita, sai? — riprese,in tono più dolce. — Quando mi diceviche non ero morto. Quando mi haichiesto di aprire gli occhi.

Si guardarono in silenzio per quelliche furono secondi ma che a Clarysembrarono ore. Vederlo così,completamente se stesso, era talmentebello da riuscire quasi a cancellare lapaura che tutto andasse a rotoli nel girodi pochi minuti.

Finalmente Jace parlò di nuovo.— Perché credi che mi sia

innamorato di te?Era l’ultima cosa che Clary si

aspettava di sentirgli dire. — Io non…

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Non è giusto chiederlo.— A me sembra di sì, invece —

rispose Jace. — Credi che non ticonosca, Clary? La ragazza che è entratain un hotel pieno di vampiri perché ilsuo migliore amico era lì e avevabisogno di aiuto? Quella che è andata aIdris con un portale perché nonsopportava l’idea di rimanere esclusadall’azione?

— Ma mi hai sgridata per quello…— Sgridavo me stesso — disse lui.

— Ci sono cose in cui siamo cosìsimili… Siamo imprudenti. Nonpensiamo prima di agire. Faremmoqualsiasi cosa per le persone cheamiamo. E non ho mai pensato a quantofosse angosciante tutto questo per chi

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amava me finché non ho visto te, equesto mi ha spaventato. Come potevoproteggerti se tu non me lo lasciavi fare?— Si chinò in avanti. — Questa,comunque, era una domanda retorica.

— Bene. Perché a me non serveprotezione.

— Sapevo che lo avresti detto. Ma ilfatto è che, invece, a volte capita. Anchea me. Siamo nati per proteggerci avicenda, ma non da qualunque cosa. Nondalla verità. Ecco cosa significa amareuna persona e lasciare che sia se stessa.

Clary si guardò le mani. Morivadalla voglia di toccarlo. Era comevisitare un carcerato: lo potevi vederebene, da vicino, ma in mezzo c’erasempre un vetro infrangibile.

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— Mi sono innamorato di te — ledisse — perché tu sei una delle personepiù coraggiose che abbia maiconosciuto. Quindi come potevochiederti di non esserlo più solo perchéti amavo? — Le passò una mano fra icapelli, sollevandole riccioli e nodi cheClary non vedeva l’ora di risistemare.— Sei venuta per me — proseguì. — Mihai salvato quando praticamente tutti glialtri si erano arresi e quando anche chinon lo aveva fatto non sapeva più comeintervenire. Credi che non sappiacos’hai passato? — Gli occhi di lui siincupirono. — Come fai anche solo apensare che potrei essere arrabbiato conte?

— E allora perché non volevi

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vedermi?— Perché… — Jace sospirò. —

D’accordo, un punto a tuo favore. Inrealtà c’è una cosa che non sai. La spadache hai usato, quella che Raziel ha datoa Simon…

— La Gloriosa. La spadadell’Arcangelo Michele. È andatadistrutta.

— Distrutta no. È tornata da dove èvenuta, dopo che il fuoco del Paradisol’ha consumata. — Jace fece un debolesorriso. — Altrimenti il tuo Angeloavrebbe avuto un bel po’ di spiegazionida dare se Michele avesse scoperto cheil suo amico Raziel aveva prestato lasua spada preferita a un branco di umanisciagurati. Ma torniamo al punto: la

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spada… il modo in cui bruciava…quello non era un fuoco qualsiasi.

— L’avevo immaginato. — Claryavrebbe voluto che Jace allungasse unbraccio e la tirasse a sé. Invece eracome se lui volesse mantenere ledistanze, perciò rimase ferma dov’era.Stargli così vicino e non poterlo toccarele dava la sensazione di un dolorefisico.

— Avrei preferito che non mettessiquel maglione — mormorò Jace.

— Cosa? — Clary si guardò. —Pensavo ti piacesse!

— E mi piace — rispose luiscuotendo la testa. — Non importa. Quelfuoco… era fuoco del Paradiso. Ilcespuglio ardente, il fuoco eterno, la

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colonna di fuoco davanti ai figlid’Israele… È questo il fuoco di cuistiamo parlando. “Un fuoco si è accesonella mia collera e brucerà fino nellaprofondità degl’inferi; divorerà la terrae il suo prodotto e incendierà le radicidei monti”. È stato lui a bruciare viaquello che Lilith mi aveva fatto. — Siprese l’orlo della maglietta e lo sollevò.Clary trattenne il fiato, perché vide chesopra il cuore di Jace, sulla pelle lisciadel petto, non c’era più alcun marchio:soltanto una cicatrice bianca nel punto incui era penetrata la spada.

Allungò una mano per toccarlo, malui si ritrasse e fece di no con la testa.Mentre lui rimetteva a posto lamaglietta, Clary si rese conto

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dell’espressione dispiaciuta che nonaveva fatto in tempo a nascondere e cheora le stava attraversando il viso. —Clary — le disse. — Quel fuoco… èancora dentro di me.

Lei lo fissò. — Che cosa vuoi dire?Jace fece un respiro profondo e le

porse le mani, con i palmi all’ingiù. Leile guardò, affusolate e familiari, la runadella Chiaroveggenza sulla destrasbiadita dalle cicatrici bianche che lacoprivano. Sotto gli occhi di entrambi,le mani di lui cominciarono a tremareleggermente. Poi Clary rimase scioccataquando le vide diventare trasparenti.Come la lama della Gloriosa quandoaveva cominciato a bruciare, così anchela pelle di Jace sembrava sul punto di

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trasformarsi in vetro, vetro al cui internoera intrappolato un oro che si muoveva,imbruniva e ardeva. Clary riusciva avedergli i contorni dello scheletro, ossadorate connesse da tendini di fuoco.

Lo sentì inspirare bruscamente. Poilui alzò lo sguardo e lo incrociò con ilsuo. Aveva gli occhi d’oro. Era lo stessocolore di sempre, ma Clary avrebbepotuto giurare che adesso quell’oroviveva e bruciava. Jace stava respirandoforte, sulle guance e sul petto glibrillavano gocce di sudore.

— Hai ragione — gli disse. — Inostri problemi non sono come quellidelle altre persone.

Jace la guardò incredulo. Chiuselentamente le mani a pugno e il fuoco

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svanì, lasciando dietro di sé pellenormale, intatta. Con una risatastrozzata, le disse: — È tutto qui quelloche hai da dire?

— No, ho ben altro da dire. Checosa sta succedendo? Le tue mani sonodiventate armi? Sei la Torcia Umana?Cosa diavolo…

— Non so cosa sia una torcia umana,ma… Okay, senti, i Fratelli Silenti mihanno detto che ora porto dentro di me ilfuoco del Paradiso. Dentro le vene,dentro l’anima. Quando mi sonorisvegliato, mi sentivo come serespirassi fuoco. Alec e Isabellepensavano fosse un effetto transitorioprovocato dalla spada, ma vedendo chenon spariva hanno chiesto ai Fratelli

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Silenti. Zaccaria ha detto che non sapevase sarebbe stato transitorio e… io l’hoscottato. Mentre parlava mi ha toccato lamano, e io ho sentito dentro una scossad’energia.

— Lo hai ustionato?— No, solo una leggera scottatura.

Però…— È per questo che non mi vuoi

toccare — dedusse Clary ad alta voce.— Hai paura di scottarmi.

Lui annuì. — Nessuno ha mai vistoniente del genere, Clary. Non primad’ora. Mai. La spada non mi ha ucciso,ma mi ha lasciato questo: un pezzo diqualcosa di mortale dentro di me.Qualcosa di così potente cheprobabilmente ucciderebbe un essere

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umano, forse anche uno Shadowhunter.— Fece un respiro profondo. — IFratelli Silenti sono al lavoro perscoprire come potrei liberarmene ocome controllarlo. Ma, come puoiimmaginare, io non sono la loro prioritànumero uno.

— Perché quella è Sebastian. Haisentito che ho distrutto la sua casa? Soche ha altri modi per cavarsela, ma…

— La mia Clary! Comunque sì, hadei piani di riserva. E altri posti in cuinascondersi. Non so dove siano, non mel’ha mai detto. — Si sporse in avanti,abbastanza perché Clary riuscisse avedere i colori in mutamento che avevadentro gli occhi. — Da quando mi sonosvegliato, i Fratelli Silenti sono rimasti

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con me praticamente ogni minuto. Hannodovuto ripetere la cerimonia, quella chesi fa alla nascita di uno Shadowhunterper proteggerlo. E poi mi sono entratinella mente. L’hanno setacciata percercare di estrarre il più piccolobriciolo di informazione su Sebastian,qualsiasi cosa che potessi sapere maavessi dimenticato. Invece… — Jacescosse la testa, demoralizzato, — nonc’è niente. Durante la cerimonia alBurren ero al corrente dei suoi piani.Ma oltre a quello, non ho idea di qualesarà la sua prossima mossa o dovepotrebbe colpire. Sanno che stavacollaborando con dei demoni, quindihanno rafforzato le protezioni,specialmente attorno a Idris. Io sento che

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c’è una cosa utile che potremmo averricavato da tutto questo, ovvero qualchesegreto dentro di me. Invece nonabbiamo neanche quello.

— Ma se tu sapessi qualcosa, Jace,lui cambierebbe programma — obiettòClary. — Sa di averti perso. Voi dueeravate legati l’uno all’altro. L’hosentito urlare, quando ti ho colpito. —Rabbrividì. — Un suono desolato,tremendo. Credo che, a suo modo, sifosse affezionato a te. E anche se questaavventura è stata orribile, abbiamoimparato tutti e due una cosa chepotrebbe rivelarsi utile.

— Ovvero?— Il fatto che lo capiamo. Sì, per

quanto si possa capire Sebastian. E

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questa non è una cosa che lui puòcancellare cambiando i piani e basta.

Jace annuì lentamente. — Sai chialtro mi sembra di capire, adesso? Miopadre.

— Valen… no — si corresse Claryvedendo l’espressione sul viso di lui, —intendi Stephen.

— Ho guardato le sue lettere. Lecose dentro la scatola che mi ha datoAmatis. Mi aveva scritto una lettera chevoleva leggessi dopo la sua morte. Miha detto di essere un uomo migliore dilui.

— E lo sei — rispose Clary. — Neipochi momenti in cui eri davvero tu,nella casa, fare la cosa giusta tiimportava di più della tua stessa vita.

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— Lo so — disse lui guardandosi lenocche graffiate delle mani. — È questala cosa strana. Avevo così tanti dubbi sume stesso, sempre, ma ora conosco ladifferenza. Fra me e Sebastian. Fra me eValentine. Anche la differenza fra lorodue. Valentine credeva davvero di starefacendo la cosa giusta; lui odiava idemoni. Ma Sebastian… La creaturastessa che lui considera sua madre è undemone. Sarebbe felice di comandareuna razza di Shadowhunters al loroservizio, massacrando gli umani diquesto mondo a suo piacimento.Valentine continuava a credere che lamissione degli Shadowhunters fosseproteggere gli esseri umani; perSebastian, non sono altro che scarafaggi.

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Lui non vuole proteggere nessuno: vuolesoltanto quello che vuole nel momento incui lo vuole. E l’unica vera cosa cheprova è rabbia quando lo si ostacola.

Clary si mise a riflettere. Avevavisto Sebastian guardare Jace, persinoguardare lei stessa, e sapeva che in luic’era una parte che risuonava solitariacome il vuoto cosmico più nero. Lasolitudine era un movente valido quantola sete di potere: solitudine e bisogno diessere amato senza la benché minimaconsapevolezza che l’amore è unsentimento che va guadagnato. Mal’unica cosa che disse ad alta voce fu:— Bene, allora continuiamo aostacolarlo.

Un sorriso apparve sul viso di Jace.

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— Lo sai che vorrei implorarti direstare fuori da questa faccenda, vero?Sarà una battaglia tremenda. Peggiore diquanto lo stesso Conclave possaimmaginare.

— Ma tu non lo farai — ribattéClary. — Perché farebbe di te un idiota.

— Lo dici perché ci servono le tuerune?

— Sì, per questo, e… Allora non haiascoltato niente di quello che hai appenadetto? Tutta la storia sul proteggersi avicenda?

— Sappi che per quel discorso hofatto le prove, davanti allo specchio,prima che venissi qui.

— E quindi, cosa credi significasse?— Non lo so — ammise Jace, — ma

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so che mentre lo facevo ero veramentefigo.

— Dio, mi ero dimenticata quantofosse odioso il Jace non posseduto —brontolò Clary. — Devo ricordarti chehai detto di dover accettare il fatto chenon puoi proteggermi da tutto. L’unicomodo che abbiamo per proteggerci èstare insieme. Affrontare le coseinsieme. Fidarci l’uno dell’altra. — Loguardò dritto negli occhi. — Non avreidovuto chiamare Sebastian per impedirtidi andare al Conclave. Devo rispettarele tue decisioni. E tu le mie. Perchéstaremo insieme per molto tempo, ed èl’unico modo per far funzionare le cose.

La mano di Jace si spinse avantipoco alla volta verso di lei, sulla

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coperta. — Essere sotto l’influenza diSebastian — disse con voce roca — orami sembra un brutto sogno. Quel postofolle… Quegli armadi pieni di vestitiper tua madre…

— Allora ti ricordi… — Quello diClary fu quasi un sussurro.

Jace le sfiorò la punta delle dita conle sue, facendole quasi fare un salto.Entrambi trattennero il respiro mentrelui la toccava; Clary non si mosse, marimase a guardarlo mentre le spalle glisi rilassavano lentamente el’espressione ansiosa se ne andava dalsuo viso. — Ricordo tutto — disse. —Ricordo la barca a Venezia, la discotecaa Praga. Quella notte a Parigi, quandoero me stesso.

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Lei sentì il sangue affluirle allapelle, facendole scottare il viso.

— In un certo senso, abbiamopassato cose che nessuno, tranne noidue, potrebbe mai capire — le disse. —E questo mi ha aperto gli occhi. Siamosempre, in ogni caso, meglio insieme. —Sollevò il viso verso quello di lei. Erapallido e il fuoco gli scoppiettava dentrogli occhi. — Ucciderò Sebastian —annunciò. — Lo ucciderò per quello cheha fatto a me, a te e a Max. Lo uccideròper quello che ha fatto e che farà. IlConclave lo vuole morto, e lo cercherà.Ma io voglio che sia la mia mano adistruggerlo.

A quel punto Clary gli si avvicinò egli mise una mano sulla guancia. Lui

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rabbrividì e socchiuse gli occhi. Clarysi aspettava di sentire la pelle calda,invece era fresca al tocco. — E se fossiio a ucciderlo?

— Il mio cuore è il tuo cuore — ledisse. — Le mie mani sono le tue mani.

Gli occhi di Jace erano color delmiele mentre scorrevano lentamente su egiù lungo il corpo di lei, come se lavedesse per la prima volta da quandoera entrata in infermeria. Partivano daicapelli arruffati dal vento e scendevanofino agli stivali, poi ricominciavano dacapo. Quando i loro sguardi siincrociarono di nuovo, Clary aveva labocca asciutta.

— Ti ricordi — le disse lui — laprima volta che ci incontrammo, quando

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ti dissi che ero sicuro al novanta percento che farti una runa non ti avrebbeuccisa? E tu mi rifilasti uno schiaffo,dicendomi che era per il restante dieci?

Clary annuì.— Ho sempre pensato che mi

avrebbe ucciso un demone — ripreseJace. — Un Nascosto fuorilegge. Unabattaglia. Ma poi ho capito che avreipotuto morire se non fossi riuscito abaciarti, e presto.

Clary si passò la lingua sulle labbrasecche. — Be’, lo hai fatto — rispose.— Mi hai baciata, voglio dire.

Lui allungò una mano e le prese unricciolo. Era abbastanza vicino da farlesentire il calore del suo corpo, l’odoredel sapone, della pelle e dei capelli. —

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Non abbastanza — disse lasciando chela ciocca gli scivolasse fra le dita. — Seti baciassi tutto il giorno, ogni giorno,per il resto della mia vita, non sarebbeancora abbastanza.

Jace piegò la testa. Lei non poté farea meno di alzare la sua. La sua mente erapiena dei ricordi di Parigi, stretta a luicome se fosse l’ultima volta, e per poconon lo era stata davvero. Il suo sapore,il tocco, il respiro. Anche adessoriusciva a sentire l’aria che gli uscivadalla bocca. Con le ciglia, le solleticavala guancia. Le loro labbra erano a pochimillimetri di distanza, poi si sfioraronoleggermente e poi più forte. Siabbandonarono l’uno all’altra… e Claryavvertì una scintilla, non di dolore, più

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come una scossa di elettricità statica.Jace si ritrasse velocemente. Era rossoin viso. — Dovremo lavorarci su.

A Clary girava ancora la testa. — Vabene.

Lui guardava dritto di fronte a sé,ancora col respiro affannoso. — C’è unacosa che voglio darti.

— L’avevo capito.A quella risposta, Jace riportò lo

sguardo su Clary e, quasi controvoglia,sorrise. — Non quello. — Si mise unamano sotto il colletto della maglietta ene estrasse l’anello dei Morgensternappeso alla catenina. Se la sfilò dallatesta e, chinandosi in avanti, lo lasciòcadere delicatamente in mano a Clary.Era caldo per via della pelle. — Alec se

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lo è fatto ridare per me da Magnus. Loporterai ancora?

Clary chiuse la mano attornoall’anello. — Sempre.

Il sorriso teso di lui si ammorbidì elei osò appoggiargli la testa sulla spalla.Sentì che trattenne il fiato, ma non simosse. Inizialmente rimase fermo asedere, ma a poco a poco la tensione gliuscì dal corpo, finché si appoggiaronol’uno all’altra. Non fu un abbraccioardente e passionale, ma dolce ecomprensivo.

Jace si schiarì la voce. — Questosignifica che quello che abbiamo fatto,anzi, quasi fatto a Parigi…

— Cioè andare sulla Torre Eiffel?Lui le mise una ciocca di capelli

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dietro l’orecchio. — Non mi dai treguaun secondo, eh? Non importa. È unadelle cose che mi piacciono di te.Comunque, l’altra cosa che abbiamoquasi fatto a Parigi… probabilmente nonse ne parlerà per un po’. A meno che nonvuoi che frasi tipo “quando ci baciamobrucio di passione” diventino follerealtà!

— Niente baci?— Baci, forse. Quanto al resto…Clary gli strofinò dolcemente una

guancia con la sua. — Per me va bene seva bene per te.

— Ovvio che per me non va bene.Sono un maschio adolescente. Perquanto mi riguarda, questa è la cosapeggiore che poteva capitare da quando

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Magnus fu bandito dal Perù. — Losguardo gli si addolcì. — Ma noncambia quello che siamo l’uno perl’altra. È come se alla mia anima fossesempre mancato un pezzo. Quel pezzo èdentro di te, Clary. Una volta ricordo diaverti detto che, Dio o non Dio, noisiamo soli. Ma quando ci sei tu, io nonlo sono.

Clary chiuse gli occhi per non farglivedere le lacrime. Lacrime di gioia, perla prima volta da molto tempo.Nonostante tutto, nonostante il fatto chele mani di Jace restavano prudentementenel grembo di lui, Clary sentì un sensodi sollievo così travolgente da soffocarequalunque altra cosa: la preoccupazionesu dove fosse Sebastian, la paura di un

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futuro incerto, tutto passò in secondopiano.

Niente più contava. Erano insieme, eJace era tornato se stesso. Lo sentì chegirava la testa e le dava un bacioleggero sui capelli.

— Quanto vorrei che non ti fossimessa quel maglione! — le sussurròall’orecchio.

— Per te è un buon allenamento —ribatté Clary muovendo le labbra controla pelle di lui. — Domani, calze a rete.

Contro il suo fianco, caldo efamiliare, lo sentì ridere.

— Fratello Enoch — disse Marysealzandosi da dietro la scrivania. —Grazie per aver raggiunto me e FratelloZaccaria con così poco preavviso.

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Si tratta di Jace? volle sapere lui.Se Maryse non avesse saputo con chiaveva a che fare, avrebbe detto diriconoscere una punta d’ansia nella vocedel Fratello. Oggi sono andato acontrollarlo diverse volte. Le suecondizioni non sono cambiate.

Enoch si mosse sotto la veste. E hocercato negli archivi e nell’anticadocumentazione relativa al fuoco delParadiso. Ci sono alcune informazionisul modo in cui si potrebbe liberarlo,ma devi avere pazienza. Non c’èbisogno che ci chiami. Se avremonotizie, saremo noi a chiamare te.

— Non si tratta di Jace — disseMaryse oltrepassando la scrivania con itacchi che battevano sul pavimento di

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pietra della biblioteca. — L’argomento ècompletamente diverso. — Abbassò losguardo. Un tappetino era stato buttato aterra in malo modo, in un punto dovenormalmente non c’era nulla. Non eraben disteso, ma ricurvo sopra qualcosadi irregolare. Copriva la raffinata grecadi piastrelle che creavano la forma dellaCoppa, della Spada e dell’Angelo. Sipiegò, afferrò l’angolo del tappetino e lotirò.

I Fratelli Silenti non trasalivano maiper lo stupore, certo, non potevanoemettere suoni. Ma la mente di Marysesi riempì di una singolare cacofonia,l’eco psichico del loro shock e del loroterrore. Fratello Enoch fece un passoindietro e Fratello Zaccaria sollevò una

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delle sue mani dalle lunghe dita percoprirsi il viso, come per proteggere daquello spettacolo i suoi occhi giàdeturpati.

— Stamattina non c’era — spiegòMaryse. — Ma quando sono tornata,questo pomeriggio, era qui adaspettarmi.

A un primo, rapido sguardo, avevapensato che qualche grosso uccellofosse riuscito a entrare in biblioteca,dove poi era morto rompendosi magariil collo contro una delle alte finestre.Quando però si era avvicinata, la veritàle era piombata addosso. Non dissenulla della disperazione attanaglianteche l’aveva trafitta come una freccia, nédel modo in cui si era trascinata fino

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alla finestra per vomitare di fuorinell’istante in cui aveva capito cosastava guardando.

Un paio di ali bianche, anzi nonproprio bianche, piuttosto un amalgamadi colori cangianti: argento chiaro,venature violacee, blu scuro, ogni piumabordata d’oro. E poi, lì alla base, unorrendo stralcio di ossa e tendinisquartati. Ali d’angelo, ali d’angelostrappate da un corpo vivente. Sulpavimento, una chiazza di icore angelicodel colore dell’oro liquido.

In cima alle ali c’era un foglio dicarta ripiegato, indirizzato all’Istituto diNew York. Dopo essersi buttata in visodell’acqua fresca, Maryse aveva presola lettera e l’aveva letta. Era breve, una

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sola frase, e firmata da un nome con unacalligrafia che le era stranamentefamiliare, perché aveva in sé l’eco delcorsivo di Valentine, gli svolazzi dellesue lettere, il pugno fermo e deciso. Mail nome non era il suo. Era quello di suofiglio.

Jonathan Christopher Morgenstern.Maryse passò il biglietto a Fratello

Zaccaria. Lui lo prese, lo aprì e lessel’unica parola, in greco antico, scritta inmodo elaborato in cima alla pagina.

Erchomai, diceva.Sto arrivando.

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NOTE

L’invocazione latina di Magnusquando evoca Azazel, a pagina 243, checomincia con “Quod tumeraris: perJehovam, Gehennam” è tratta da Latragica storia del dottor Faust diChristopher Marlowe.

Le parti della canzone che Magnusascolta in macchina, alle pagine 399-400, sono estratte da Alack, for I Can

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Get No Play, su gentile concessione diElka Cloke. elkacloke.com

La maglietta CHIARAMENTE HOPRESO DELLE CATTIVE DECISIONIè stata ispirata dal fumetto del mioamico Jeph Jacques, suquestionablecontent.net. Sua anchel’idea di Magical Love Gentleman.

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RINGRAZIAMENTI

Come sempre, devo ringraziare lamia famiglia: mio marito Josh, miamadre e mio padre, come anche Jim Hille Kate Connor; Melanie, Jonathan edHelen Lewis; Florence e Joyce. Grazieinfinite anche ai primi lettori e criticiHolly Black, Sarah Rees Brennan, DeliaSherman, Gavin Grant, Kelly Link, EllenKushner e Sarah Smith. Un grazie

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speciale va a Holly, Sarah, MaureenJohnson, Robin Wasserman, CristiJacques e Paolo Bacigalupi per avermiaiutata con la scaletta di lavoro e a farquadrare le scene. Maureen, Robin,Holly, Sarah: posso sempre venire alamentarmi da voi. Siete delle stelle. Ungrazie a Martange per avermi aiutata conla traduzione francese e ai miei fanindonesiani per la dichiarazione diMagnus ad Alec. Wayne Miller, comesempre, mi ha assistita nelle traduzionilatine, mentre Aspasia Diafa e RachelKory hanno fornito un supporto specialeper il greco antico. Un aiuto impagabileè arrivato dal mio agente BarryGoldblatt, dalla mia editor KarenWojtyla e dalla sua complice Emily

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Fabre. Mille grazie anche a CliffNielson e a Russell Gordon per labellissima copertina dell’edizioneamericana, allo staff di Simon&Schustere di Walker Books per aver compiuto ilresto della magia.

Città delle anime perdute è statoscritto con il programma “Scrivener”nella città di Goult, in Francia.