Lezione emozioni

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Catina Feresin Emozioni tratto da: Intelligenza Emotiva (Daniel Goleman) Le emozioni (Valentina D'Urso) 1

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Catina Feresin

Emozioni

tratto da:

Intelligenza Emotiva (Daniel Goleman)

Le emozioni (Valentina D'Urso)

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1 A che cosa servono le emozioni?

Spesso le emozioni vengono viste come un cavallo che viene imbrigliato dalla mente razionale; mentre, in realtà, le emozioni sono fattori indispensabili nei processi decisionali della mente razionale: esse ci orientano nella giusta direzione quando la razionalità fallisce.

La realtà quotidiana ci pone a volte dei problemi di difficile soluzione (chi sposare? come investire la liquidazione? che scelta lavorativa fare?). In questi casi, gli insegnamenti emozionali appresi durante la vita (ad esempio il ricordo di un investimento fallimentare o di una dolorosa rottura sentimentale) inviano segnali che restringono il campo della decisione, eliminando alcune opzioni e mettendone in evidenza altre: in questa maniera la mente emozionale non viene controllata o inibita ma guida correttamente le nostre decisioni.

Nel cercare di comprendere come mai l'evoluzione abbia conferito all'emozione un ruolo tanto fondamentale nella psiche umana, i sociobiologi indicano quale possibile spiegazione la prevalenza del "cuore" sulla mente nei

momenti più critici della vita. Essi sostengono che le nostre emozioni ci guidano nell'affrontare situazioni e compiti troppo difficili e importanti perché possano essere affidati al solo intelletto: si pensi ai momenti di grande pericolo, alle perdite dolorose, alla capacità di perseverare

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nei propri obiettivi nonostante le frustrazioni, allo stabilirsi del legame di coppia, e alla costruzione del nucleo familiare.

Come tutti noi sappiamo per esperienza personale, quando è il momento di prendere decisioni importanti per il nostro futuro, i sentimenti contano almeno quanto il

pensiero razionale e, a volte, anche di più.

2 Definizioni di "emozione"

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad

agire. La radice stessa della parola emozione è il verbo latino moveo, cioè muovere, con l'aggiunta del prefisso "e" (movimento da), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire. Tuttavia la parola

"emozione" sfugge ad una precisa definizione perché esprime la qualità di un vissuto soggettivo di estrema variabilità che sperimentiamo quando l'organismo è sottoposto a stimoli insoliti, eccitanti o minacciosi per la sopravvivenza. La sua ambiguità si riferisce tanto alla molteplicità degli stimoli che causano emozioni, quanto alla varietà delle esperienze che qualifichiamo come emotive.

In senso letterale, l'Oxford English Dictionary

definisce emozione "ogni agitazione o turbamento della mente, sentimento, passione: ogni stato mentale violento o eccitato".

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Secondo la psicologia del senso comune le emozioni sono essenzialmente delle esperienze soggettive che noi stessi proviamo e "sentiamo" negli altri. Nel caso delle nostre emozioni, ciascuno vive un'esperienza che comprende anche la percezione di alterazioni corporee (senso di freddo, di calore, respiro corto, tremito, motilità gastrica). Nel caso delle emozioni altrui percepiamo delle alterazioni della mimica facciale, della postura, del modo di gesticolare, del tono della voce.

Se da un punto di vista della psicologia comune sappiamo perfettamente che cosa sia un'emozione, da un punto di vista scientifico è, invece molto arduo fornire una precisa definizione. Secondo alcuni studiosi l'emozione è un complesso di interazioni fra fattori soggettivi e oggettivi, mediati dai sistemi neurali/ormonali, che può suscitare esperienze affettive come senso di eccitazione, di piacere o dispiacere; generare valutazioni cognitive; attivare adattamenti fisiologici; provocare un comportamento che spesso è diretto ad uno scopo e può essere adattivo.

3 Principali emozioni

Vi sono centinaia di emozioni con tutte le loro mescolanze e sfumature. In effetti, le parole di cui disponiamo sono insufficienti per definire ogni sottile variazione emotiva.

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I ricercatori continuano a discutere su quali siano le emozioni primarie. La maggioranza dei ricercatori afferma che le emozioni primarie o fondamentali sono 6: gioia, dolore, rabbia, paura, disgusto, sorpresa. Questo elenco non risolve ogni problema di classificazione delle emozioni, per esempio come considerare emozioni

miste quali la gelosia, una variante della collera che si mescola anche al dolore e alla paura della perdita della persona amata?

Tuttavia, l'argomento a favore dell'esistenza di un gruppo di emozioni fondamentali dipende dalla scoperta di uno studioso, tale Paul Ekman, docente presso l'Università della California di San Francisco. Questo ricercatore ha trovato che le espressioni facciali

specifiche per le emozioni principali (gioia, dolore, rabbia, paura, disgusto e sorpresa) sono riconosciute in ogni

cultura del mondo, compresi popoli analfabeti che non vengono influenzati dai mass media. Ciò suggerisce l'universalità di queste emozioni.

3-1 La gioia

Le modificazioni fisiologiche presenti durante l'emozione definita gioia producono una attivazione generale dell'organismo con accelerazione della frequenza

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cardiaca, aumento del tono muscolare ed irregolarità della respirazione.

Per quanto riguarda le manifestazioni esteriori, ve n'è una inconfondibile e universale: il sorriso. Esso si produce con un movimento del muscolo zigomatico maggiore, che fa sollevare gli angoli della bocca e strizzare gli occhi. Ma nessuno ha imparato a sorridere pensando al movimento del muscolo zigomatico, infatti il sorriso è

un'espressione emotiva innata. E' stato sostenuto che la precocità del sorriso ed i suoi effetti seduttivi sulla persona a cui è diretto siano geneticamente

programmati per assicurare al neonato un'interazione positiva con la madre, interazione che ha come diretta conseguenza la sopravvivenza del piccolo.

La gioia si manifesta in seguito alla gratificazione dei bisogni essenziali già nei bambini appena nati. Negli adulti, la gioia può insorgere per le cause più varie: il senso inaspettato di vigoria durante un esercizio fisico; la scoperta fortunosa di qualcosa che si credeva perduto; un'improvvisa bella notizia (la classica vittoria alla lotteria); l'incontro con una persona cara che non si vedeva da tempo; un successo o un giudizio positivo che si sente meritato; la cessazione di uno stato doloroso; innamorarsi di qualcuno.Secondo i ricercatori, gli eventi che causano gioia possono essere di svariata natura:

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Eventi indicati come cause di gioia

Tipo di evento

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1-Innamorarsi

2-Ottenere una promozione o superare un esame

3-Guarire da una grave malattia

4-Partire per le vacanze

5-Rappacificarsi con il partner

6-Fidanzarsi o sposarsi

7-Avere un figlio

8-Vincere una grossa somma

9-Ottenere una promozione o un sostanzioso aumento

10-Incontrarsi con amici

11-Iniziare un nuovo lavoro

Vi sono altri stati positivi affini alla gioia: l'allegria, l'euforia, la contentezza, la felicità.

3-2 IL dolore

Secondo numerosi ricercatori, le cause della

sofferenza umana sono essenzialmente di tre tipi:1-Le sofferenze che hanno origine e sede nel corpo, dal banale urto contro una punta aguzza, ai dolori continui e laceranti di un malato terminale.

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2-Le ansie di perdita legate ai rapporti

interpersonali, che iniziano con l'angoscia di abbandono del bambino piccolo, per accompagnare tutta la vita affettiva, quando ogni forte legame può riserbare le sofferenze della separazione o della morte.3-Le frustrazioni e le delusioni causate dalla

discrepanza fra aspirazioni e conquiste, fra le nostre ambizioni ed i risultati effettivamente raggiunti.

L'espressione del viso, le modificazioni

fisiologiche ed il comportamento osservati in seguito ad un improvviso dolore sia fisico che psicologico sono le stesse in ogni cultura umana. La fronte e le sopracciglia sono corrugate, gli occhi si socchiudono o si chiudono, la bocca si apre e si piega all'ingiù. Spesso compaiono il pianto e le lacrime. Sappiamo che il pianto ha una

precisa funzione adattiva, il neonato piange gridando, all'inizio per liberare le vie respiratorie, e per attirare in seguito l'attenzione degli altri. Il cucciolo umano, che resterà per alcuni anni incapace di procacciarsi da solo il nutrimento e la protezione, deve possedere geneticamente la capacità di richiamare l'adulto e di comunicargli i suoi bisogni; ne va della sua sopravvivenza. Il grido ed il pianto, inoltre, non funzionano solo come segnale ma, essendo degli stimoli sgradevoli e allarmanti, spingono l'adulto ad agire in modo adatto a porvi termine.

L'attivazione fisiologica generale in risposta al

dolore può variare: il tono muscolare, la frequenza del

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respiro ed il battito cardiaco sono massimi nella fase acuta, specialmente se il dolore è accompagnato da paura e ansia. Questi sintomi si attenuano nelle fasi successive: il volume della voce si riduce, la muscolatura si affloscia, diminuisce la frequenza cardiaca.

In base a molte ricerche condotte usando questionari autobiografici, possiamo dire che i principali eventi che causano dolore psicologico (tralasciamo quelli che provocano dolore fisico) sono:

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Eventi indicati come cause di dolore

Tipo di evento

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1-Morte di una persona cara

2-Perdita del lavoro

3-Fine di un amore

4-Abbandono o tradimento del partner

5-Notizia di una malattia

6-Fallimento di un progetto

7-Sfratto

8-Bocciatura

9-Litigio in famiglia o con persone care

10-Dissesto economico

11-Divorzio/separazione dei genitori

12-Tradimento della fiducia da parte di amici

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Vi sono altri stati negativi affini al dolore: la tristezza, e il lutto.

La tristezza ha la funzione fondamentale di farci adeguare ad un dolore intenso. Essa comporta una caduta di energia ed entusiasmo verso le attività della vita, in particolare per le distrazioni o i piaceri. La chiusura in noi stessi che accompagna tale emozione ci dà la possibilità di elaborare il dolore, di comprendere le conseguenze degli eventi e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti.

Anche il lutto ci permette di elaborare un dolore, generalmente dovuto ad una perdita, come la rottura di un legame affettivo, la morte di una persona cara, un divorzio, una separazione. Dal punto di vista sociale, le espressioni pubbliche di dolore e di tristezza sono previste ed addirittura incoraggiate, basti ricordare i rituali che si verificano dopo la morte di una persona.

Secondo molti studiosi, le cerimonie e le pratiche

del lutto servono sia ad alleviare il dolore dei protagonisti che a rinsaldare i legami sociali, raccogliendo la comunità attorno ad eventi importanti e a norme di comportamento condivise. Forse è per questo motivo che i dispiaceri dei quali non si può parlare, e che quindi non sono manifestati, condivisi ed elaborati collettivamente, diventano generalmente più acri e disturbanti. Un caso tipico è il lutto per la morte o la perdita di un amante segreto, quando non si può confidare ad alcuno il proprio

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dolore. Ma a cosa serve parlare delle emozioni

spiacevoli? Secondo alcuni ricercatori parlare serve in primo luogo a soddisfare la necessità di precisare, chiarire e rielaborare a livello cognitivo le sensazioni che hanno accompagnato l'emozione; in secondo luogo aiuta a guardare con maggiore distacco ciò che di negativo si è verificato, riordinando così le idee, schematizzando l'episodio e dando una spiegazione causale all'evento. Le persone a cui ci rivologiamo in questi frangenti si rendono utili non tanto per gli interventi concreti che possono attuare ma piuttosto perché distraggono la nostra attenzione, ci forniscono interpretazioni diverse, ci raccontano episodi accaduti ad altri. Tutto ciò rafforza la

nostra identità sociale perché consolida il rapporto interpersonale con coloro a cui ci rivolgiamo se essi mostrano di capire e di accettare come giusto e legittimo il nostro stato emotivo; inoltre ci sentiamo ancora di più parte di una comunità nel momento in cui scopriamo che le nostre reazioni ed espressioni emotive sono condivise e rispecchiano le norme sociali.

Diverso è il quadro della depressione endogena

che va considerata come una grave malattia perché non segue ad amputazioni affettive, ovvero presenta un quadro reattivo eccessivo per durata e per intensità della perdita subita. A proposito di depressione, sarebbe

auspicabile che il termine "depresso" non venisse

usato come sinonimo di "triste", mantenendo quindi

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ferma, anche nel linguaggio, la differenza fra la tristezza, che è uno stato emotivo ancorato alle circostanze della vita, dalle manifestazioni di una sindrome seria che va affrontata con l'aiuto di uno specialista quale uno psicologo oppure uno psichiatra.

3-3 La rabbia

Con chi ci arrabbia più spesso? Apparentemente ci si arrabbia anche contro i tanti oggetti meccanici

ed elettronici che non funzionano, l'automobile che non parte quando siamo in ritardo, il telefono che squilla di notte, l'autobus che non arriva. C'è poi la rabbia verso le istituzioni che non funzionano, verso la mala sanità, verso i piccoli disservizi. In generale, però, le ricerche indicano chiaramente che gli altri esseri umani sono la fonte

principale della nostra rabbia, e almeno la metà delle persone con cui ci arrabbiamo sono persone a cui vogliamo bene: partner, parenti, amici. Ci sono molte ragioni per cui vengono scelte delle persone a noi

vicine. In primo luogo, le persone a cui siamo affettivamente legate sono quelle che più facilmente possono infliggerci delle sofferenze e di cui temiamo l'abbandono. Inoltre, una relazione sentimentale, comporta sempre una certa perdita di autonomia, il che costituisce in sé una spina irritativa. C'è poi da considerare il maggior tempo che si passa con le persone con cui si è

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in intimità: ciò rende più frequenti le occasioni di contrasto e diminuisce il controllo dell'aggressività. E da ultimo, ha senso arrabbiarci con chi frequentiamo spesso o con chi ci vive accanto perché è importante ottenere proprio da tali persone delle modifiche dell'atteggiamento e delle azioni.

Vediamo ora descritti nella seguente tabella quelli che sono i sentimenti, i pensieri e gli eventi che sono spesso causa di rabbia.

Sentimenti, pensieri ed eventi che sono causa di

rabbia

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1-Essere trattati male

2-Essere abbandonati

3-Venire delusi

4-Essere traditi

5-Venire usati senza saperlo

6-Sapere di essere odiati

7-Essere oggetto di attacchi fisici o verbali

8-Essere criticati

9-Sentire di avere fallito

10-Pensare all'ingiustizia del mondo

11-Vedere andare male i propri progetti

12-Assistere ad azioni stupide o violente

13-Fare qualcosa che non viene apprezzata dagli altri

14-Essere costretti a fare qualcosa contro la propria volontà

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In ogni caso la causa principale della rabbia è sempre l'idea che l'altro agisca in maniera volontaria o perlomeno la volontà che si attribuisce all'altro di ferire e l'eventuale possibilità di evitare o meno l'evento frustrante. Vediamo infatti nella successiva tabella i tipi di eventi che causano rabbia valutati a seconda che siano o meno volontari e giustificabili.

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Eventi che causano rabbia, valutati a seconda che

siano o meno volontari e giustificabili

Tipo di evento

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1-Eventi volontari e ingiustificati: la persona sapeva quello che faceva e

avrebbe potuto evitarlo

2-Eventi che si potevano evitare e che sono il risultato di negligenza,

superficialità, imprevidenza

3-Eventi volontari e giustificati, ma la persona che suscita l'ira aveva il diritto

di agire in tal modo

4-Eventi o incidenti inevitabili; nessuno poteva prevederli e neppure bloccare

il loro verificarsi

La rabbia è una fra le emozioni più precoci. Alcuni ricercatori pensano di aver identificato delle chiare espressioni di rabbia nella vocalizzazione e nella espressione del viso di bambini di 4-7 mesi. Uno dei punti

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salienti dell'educazione dei bambini nella nostra cultura punta alla repressione della collera manifesta. Per quanto riguarda invece gli adulti e le auto prescrizioni che uno si impone, in molti casi si aderisce ad una teoria esplicita che scoraggia i sentimenti di collera e invita a lasciar perdere, a non prendersela tanto.

Quando siamo in collera, il sangue affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un'arma o sferrare un pugno; la frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, fra i quali l'adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da permettere un'azione vigorosa. Che effetto ha sulla persona incollerita

l'inibizione delle manifestazioni aggressive? Se da una parte esiste la teoria esplicita di soffocare la rabbia, dall'altra c'è chi sostiene che soffocare la rabbia

faccia male alla salute. Si pensa che chi non esprima in alcun modo i propri sentimenti di collera li viva per un tempo più lungo. Che fare dunque? Le strategie messe a punto dalla psicologia odierna cominciano con il distinguere fra la manifestazione dell'ira e la comunicazione dell'ira. In altre parole, si tratterebbe di addestrarsi a riconoscere precocemente lo stato emotivo che cresce dentro di noi ed esprimere a parole i motivi del nostro scontento con l'interessato usando dei messaggi freddi e descrittivi. Un'altra strategia consiste nel formulare le recriminazioni parlando di sé e delle

proprie ragioni piuttosto che accusare o insultare gli

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altri. In sintesi quando ci arrabbiamo dovremmo cercare di salvaguardare almeno quattro cose:

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Cosa cercare di salvaguardare quando siamo

arrabbiati

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1-Un decente rapporto con la persona con cui ci arrabbiamo

2-La difesa dei nostri interessi e la possibilità di far presente le nostre ragioni

3-La stima di noi stessi

4-La nostra salute fisica ed il nostro equilibrio

E' comunque essenziale che il nostro comportamento da irati non sia troppo diverso da ciò che faremmo a mente serena. Quindi una delle preoccupazioni più comuni e comprensibili è di non perdere la testa, non dire o fare cose di cui ci si pentirà dopo, anche perché si è visto che la maggioranza delle persone con cui ci arrabbiamo sono persone a cui vogliamo bene. Che fare dunque? Fra le tattiche consigliate c'è quella di ritardare

volontariamente ogni comportamento quanto più

l'ira ci spinge ad essere impulsivi. Certo non è facile. Comunque sia, è saggio frenarsi, riflettere e talvolta aspettare prima di agire e parlare. E' forse più facile allontanarsi momentaneamente dal luogo o dalla persona che hanno suscitato la rabbia, fare o dire qualunque cosa

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che serva a scaricare la tensione e ad agire, ma che non sia connessa con la persona o con l'oggetto d'ira.

3-4 La paura

L'espressione del volto durante l'emozione di paura

è caratteristica: bocca semiaperta con gli angoli verso il basso, occhi sbarrati, fronte aggrottata, i muscoli dell'intero viso sono in tensione e l'espressione può rimanere estatica per qualche istante. Nei casi di paura

acuta ed improvvisa, il sistema nervoso periferico si attiva a livello parasimpatico e si ha quindi diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, il volto impallidisce (ecco da dove viene la sensazione che "si geli il sangue"), dilatazione della pupilla. Il risultato è la paralisi, il sudore freddo e l'incapacità di reagire in modo attivo con la fuga o con l'attacco. L'aspetto adattivo di questo quadro, che può essere assai efficace per difendersi da quelle specie animali che aggrediscono solo altri esseri in movimento, consiste nel rendersi meno evidenti e nel presentare degli aspetti di fragilità e impotenza che potrebbero bloccare l'aggressività altrui.Paure meno catastrofiche mettono in attivazione invece il sistema simpatico, per cui la tensione muscolare e il battito cardiaco aumentano, i peli si rizzano, una gran

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massa di sangue affluisce i grandi muscoli scheletrici ad esempio quelli delle gambe, rendendo così più facile la fuga o l'attacco. I circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l'organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all'azione e fissando l'attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore.

Esistono paure di origine innata nelle diverse specie, altre che si sviluppano con l'esperienza, altre che dipendono dal livello di maturazione e di conoscenza dell'individuo.Le paure innate sono generate di solito da una o più delle seguenti cause elencate nella tabella.

Eventi e oggetti che scatenano paure innate

Tipo di evento e di oggetto

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1-Stimoli fisici molto intensi come ad esempio il dolore o un forte rumore

2-Oggetti, eventi o persone totalmente nuovi, da cui l'individuo non sa cosa

aspettarsi né sa come affrontare

3-Situazioni di pericolo che riguardano la sopravvivenza per l'intera specie:

buio, altezza, solitudine

4-Circostanze legate all'interazione con altri esseri viventi che mostrano

atteggiamenti aggressivi

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E' interessante notare che l'espressione della

paura è a sua volta causa di paura. Di fatto, sembra che una delle funzioni di esprimere paura, in tutte le specie studiate, sia quella di avvertire i membri del

gruppo della presenza di un pericolo e nello stesso

tempo chiedere aiuto. Gridare o emettere altri suoni caratteristici per ciascuna specie è il mezzo più efficace per trasmettere a distanza lo stato di allarme e la richiesta di soccorso.

Come fare per superare la paura? Ci sono delle paure assolutamente realistiche e quindi assolutamente funzionali, altre paure sono invece reazioni emotive sproporzionate agli eventi esterni di natura psicogena per le quali si può ricorrere a trattamenti psicologici.Il punto di partenza per decidere la tattica più adeguata sta nell'individuare l'elemento principale

responsabile della paura. Si tratta di un evento ignoto? Allora sarà più prudente una attività di tipo esplorativo? Si tratta di un evento realmente pericoloso? Allora sarà meglio allontanarsi dal luogo. Quando invece si teme di perdere il controllo per la rabbia o di essere sopraffatti dalla tristezza, quando cioè si temono le proprie emozioni, è consigliabile accettare le proprie paure invece che combatterle.

3-5 Il disgusto

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Si può definire il disgusto come un'emozione

connessa essenzialmente con il cibo e con il rifiuto

della contaminazione. Il termine "disgusto", essendo derivato ed opposto a "gusto", trasmette il suo significato originario di sgradevolezza legata all'ingerimento del cibo. Ciò nonostante, l'emozione del disgusto insorge anche in

assenza di stimolazioni delle papille gustative, in

risposta, invece, ad altri stimoli visivi, olfattivi e

tattili.Le emozioni in prevalenza hanno come origine un

altro essere umano e, spesso, ad esso sono dirette. Il disgusto no: il suo oggetto di elezione è qualcosa di

inanimato, un animale particolare, oppure un essere

vivente già morto. Può essere un animale vivo e integro (ad esempio uno scarafaggio), la parte di un essere vivente (un membro amputato) o pezzi di origine animale (sangue o budella). Fra gli animali, ve ne sono alcuni che suscitano disgusto più di altri, come i piccoli serpenti, le lumache, le lucertole, i ragni.

Vedere, toccare o essere colpiti dall'odore di qualcosa che ispira repulsione, spinge ad allontanare dal proprio campo percettivo l'oggetto disgustoso, distogliendo lo sguardo, scuotendo le dita, o sputando se lo si era già messo in bocca.

La persona che prova disgusto ha un'espressione

facciale assai caratteristica: essa consiste principalmente nell'arricciare le narici, indicando il tentativo primordiale di

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chiudere le narici colpite da un odore nocivo, mentre il labbro superiore rimane sollevato, allargare la bocca per sputare un cibo velenoso. Nei casi più intensi di disgusto si prova nausea e può esservi anche la reazione di vomito.

Il disgusto è considerato un'emozione primaria o fondamentale non solo per la presenza universale dell'espressione del viso, ma per il suo valore adattivo. Questa emozione ha infatti una chiara origine funzionale. L'esperienza di disgusto protegge dal rischio di

entrare in contatto e di ingerire sostanze

potenzialmente dannose per l'organismo: è quindi chiaramente connesso all'alimentazione e all'olfatto.

4 Prime teorie sulle emozioni

4-1 La teoria di James e Lange

C'è stata una teoria in passato che tentava di spiegare le emozioni come feedback dagli effetti periferici del sistema nervoso autonomo e dai muscoli scheletrici. Questa teoria fu formulata indipendentemente da Willam

James e da Carl Lange alla fine del diciannovesimo secolo (circa 1884). Questi studiosi suggerirono che il vissuto emotivo dipende dall'esperienza dei cambiamenti fisiologici che si verificano in una situazione pericolosa. In altri termini, una situazione che ci spaventa provoca prima di tutto delle risposte fisiologiche: è solo il prendere atto

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del fatto che il cuore batte più forte, o che siamo impalliditi, a fornire il contenuto conscio del "sentimento" di paura. Perciò "abbiamo paura perché scappiamo" o "ci vergogniamo perché siamo diventati rossi".

Questa interpretazione appare oggi molto ingenua in quanto accentua la rilevanza della risposta organica ad una situazione di stress proponendola come primaria anche rispetto alla presa di coscienza e alla valutazione cognitiva dell'emozione.

4-2 La teoria di Cannon

Nel 1927, William Cannon riassunse le obiezioni che erano state mosse contro la teoria di James e Lange, osservando che il comportamento emotivo compare anche se sono interrotte le comunicazioni nervose tra i visceri e il sistema nervoso centrale, che molte delle manifestazioni viscerali non implicano di per sé un contenuto emotivo, e che sono comunque troppo lente per rappresentare la causa dell'emozione.

Nel 1929, Cannon propose una sua teoria, detta "talamica", nella quale ipotizzava il ruolo centrale del talamo nelle emozioni: le informazioni che giungono dagli organi di senso sarebbero inviate dal talamo non solo alle aree corticali di proiezione, ma, anche, contemporaneamente e direttamente, ai visceri. Le risposte somatiche e l'esperienza emotiva risulterebbero,

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perciò, pressoché contemporanee, anche se vicendevolmente condizionate. Secondo Cannon quindi non potevano esserci emozioni senza intervento del talamo.

4-3 L'ipotesi di Papez

Un contributo fondamentale alla comprensione del meccanismo neurale che sta alla base delle emozioni giunse dal medico francese Papez che nel 1937 aveva iniziato le sue ricerche sulla base dell'osservazione delle reazioni emotive che compaiono nell'uomo affetto da infezione rabbica. Egli era rimasto molto colpito dalla drammaticità del quadro clinico: nelle fasi acute dell'infezione, ai normali sintomi, si aggiungevano manifestazioni di apprensione, di terrore, di paura parossistica.Riflettendo sul fatto che le lesioni provocate dal virus della rabbia sono localizzate per lo più nell'ippocampo e nell'ipotalamo e considerando la storia evolutiva di queste strutture, Papez formulò l'ipotesi che il centro integrativo superiore delle emozioni, fosse costituito dal sistema

limbico, un complesso di strutture nervose subcorticali e corticali, filogeneticamente molto antiche.

L'ipotesi di Papez, ampliata da McLean nel 1949 e da Penfield nel 1954 fu confermata da una grande quantità di dati sperimentali.

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5 Mente emozionale e mente razionale: sistema limbico e neocorteccia

A tutti gli effetti abbiamo "due menti", una che pensa, l'altra che "sente". La mente razionale è la modalità di comprensione della quale siamo in parte solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere; ma, accanto ad essa c'è un altro sistema di conoscenza, quello della mente emozionale caratterizzato dall'impulsività.La dicotomia emozionale/razionale è simile alla popolare distinzione fra "cuore" e "mente"; quando sappiamo che qualcosa è giusto "con il cuore" la nostra convinzione è di un ordine diverso; in qualche modo è una certezza più profonda di quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale.Il rapporto fra razionale ed emozionale nel controllo della mente varia lungo un gradiente continuo; quanto più intenso è il sentimento, tanto più dominante è la mente emozionale e più inefficace quella razionale. Questa situazione sembra derivare dal vantaggio evolutivo rappresentato dall'essere guidati dalle emozioni e dalle intuizioni quando sia necessaria una reazione immediata in un contesto di pericolo.

Spesso le "due menti" sono perfettamente in equilibrio, ma quando le passioni aumentano di intensità,

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l'equilibrio si capovolge: la mente emozionale prende il sopravvento, travolgendo quella razionale.

Per comprendere la grande influenza delle emozioni sulla mente razionale, e per capire anche come mai il sentimento e la ragione entrino in conflitto così facilmente, bisogna considerare il modo in cui si è evoluto il cervello umano.

Come viene descritto nella figura, la parte più primitiva del cervello è il tronco cerebrale che circonda l'estremità cefalica del midollo spinale. Esso regola funzioni vegetative fondamentali come il respiro e il metabolismo. Da questa struttura derivano filogeneticamente i centri emozionali. Milioni di anni dopo, nel corso dell'evoluzione, da questi centri emozionali si è evoluta la "mente razionale" cioè la neocorteccia. Il fatto che il cervello razionale si sia evoluto da quello emozionale ci dice molto sui rapporti fra pensiero e sentimento: molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale.

Le radici più antiche della nostra vita emotiva affondano nel senso dell'olfatto. I centri emozionali incominciarono infatti ad evolversi in relazione ai centri olfattivi.I centri emozionali sono collocati intorno all'estremità cefalica del tronco cerebrale e lo circondano come un anello; per questa ragione essi vennero chiamati sistema

limbico (dal latino limbus, cioè anello).

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Quando si evolse, il sistema limbico perfezionò due strumenti importantissimi: l'apprendimento e la memoria. Queste due conquiste consentivano ai mammiferi di regolare finemente le proprie risposte in modo da adattarle ad esigenze mutevoli senza più dover reagire in modo automatico e rigido. Se un tipo di cibo si era rivelato nocivo, la volta successiva poteva essere evitato. Decisioni riguardanti quali cibi mangiare e quali rifiutare erano ancora determinate dall'olfatto; a quel punto le connessioni fra bulbo olfattivo e sistema limbico si assunsero il compito di distinguere gli odori e riconoscerli, confrontandoli con quelli già percepiti in passato e discriminando i buoni dai cattivi.

Poiché molti centri cerebrali della neocorteccia si svilupparono dal sistema limbico, il cervello emozionale ha un ruolo fondamentale nell'architettura neurale; infatti le zone limbiche sono strettamente collegate alla neocorteccia attraverso una miriade di circuiti di

connessione. Ciò consente ai centri emozionali di influenzare la mente razionale e di essere a loro volta influenzati da questa.

5-1 I circuiti neurali emozionali: il ruolo dell'amigdala e

della neocorteccia

Negli esseri umani l'amigdala (termine che deriva dal greco e significa "mandorla") è un gruppo di strutture

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interconnesse, a forma di mandorla, posto sopra il tronco cerebrale, vicino alla parte inferiore del sistema limbico. L'amigdala insieme all'ippocampo (di cui si parlerà in seguito) sono alcune delle strutture che, nel corso della filogenesi, hanno dato origine alla corteccia primitiva e poi alla neocorteccia.

L'amigdala funziona come un archivio della

memoria emozionale ed è quindi depositaria del significato stesso degli eventi; la vita senza amigdala sarebbe un'esistenza spoglia di significato personale.Gli animali ai quali l'amigdala sia stata rimossa o resecata non provano più rabbia o paura, perdono l'impulso a cooperare o competere e non hanno più percezione del ruolo sociale. Le lacrime, un segnale emozionale tipico degli esseri umani, vengono stimolate dall'attività dell'amigdala. Il pianto viene inibito così come l'attività dell'amigdala viene smorzata quando gli esseri umani sono confortati ed accarezzati; tuttavia senza amigdala non ci sarebbe alcun pianto da confortare.

Per comprendere il potere delle emozioni nella vita mentale è importante considerare i momenti della vita in cui agiamo spinti da una emozione. In quei momenti il nostro comportamento diviene irrazionale e spesso, dopo il "temporale emotivo", ci pentiamo delle azioni che abbiamo commesso e delle parole che abbiamo detto. In quei momenti il ruolo dell'amigdala è fondamentale. I segnali in entrata provenienti dagli organi di senso

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consentono all'amigdala di analizzare ogni percezione sempre guidata da un interrogativo molto primitivo: "E' qualcosa che odio? Qualcosa che mi ferisce? Qualcosa che temo?". Se la risposta è affermativa, l'amigdala scatta immediatamente, come una sorta di grilletto neurale

che reagisce inviando un messaggio di pericolo a tutto il cervello.

Molte ricerche ed in particolare quelle di LeDoux

(1994; 1995) hanno dimostrato che l'amigdala ha una posizione privilegiata nell'architettura del cervello in relazione agli input sensoriali. Questi input provenienti dall'occhio e dall'orecchio viaggiano diretti al talamo, e poi, seguendo un secondo circuito, arrivano all'amigdala; nel frattempo un secondo segnale viene poi inviato dal talamo alla neocorteccia cioè alla mente razionale. Questa struttura del circuito permette all'amigdala di rispondere prima della neocorteccia. Esistono quindi delle vie neurali emozionali che aggirano la neocorteccia. I segnali che prendono la via diretta passante per l'amigdala corrispondono ai sentimenti più primitivi e potenti; la conoscenza di questo circuito è di grande aiuto per spiegare la capacità dell'emozione di soffocare la razionalità.

LeDoux ha scoperto quindi che, oltre alla via che va dal talamo alla corteccia, esiste un fascio più sottile di fibre nervose che vanno direttamente all'amigdala. Questa via più breve permette all'amigdala di ricevere alcuni input

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direttamente dal talamo; essa può così cominciare a rispondere prima che tali input siano stati completamente registrati dalla corteccia. L'amigdala può quindi spingerci ad una azione immediata mentre la neocorteccia, più lenta ma con informazioni più complete, prepara la sua azione in modo estremamente raffinato. In termini evolutivi la via diretta occhio-orecchio- talamo-amigdala assume un significato notevole in quanto consente una risposta rapida che abbrevia di alcuni millisecondi critici il tempo di reazione (T.R.) ai pericoli.

5-2 La memoria emozionale: il ruolo dell'ippocampo e

dell'amigdala

Dal punto di vista anatomico, il sistema emozionale può agire indipendentemente dalla neocorteccia, ciò vuol dire che alcuni ricordi e reazioni emotive possono formarsi senza alcuna partecipazione cognitiva. Nell'amigdala possono esserci ricordi e repertori di risposte emotive che vengono messi in atto senza che ci si renda conto del perché si agisca in quel modo, e questo è dovuto al fatto che la scorciatoia dal talamo all'amigdala esclude completamente la corteccia.Mentre l'amigdala è importante come struttura che codifica il "significato emotivo" dei ricordi, l'ippocampo è coinvolto nella registrazione degli schemi percettivi relativi ad un dato ricordo. Quindi l'ippocampo "ricorda" i fatti,

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l'amigdala ne trattiene il "sapore emozionale". Per esempio, se facciamo un sorpasso azzardato ed evitiamo per miracolo uno scontro frontale, l'ippocampo ricorderà su quale tratto di strada eravamo e l'aspetto dell'altra automobile, ma sarà l'amigdala che ci farà sentire ansiosi ogni volta che tenteremo di sorpassare in circostanze simili.

Il cervello usa un metodo semplice ma ingegnoso per fare in modo che i sistemi mnestici emozionali siano particolarmente potenti: i sistemi neurochimici di

allarme (liberazione di ormoni quali l'adrenalina e la noradrenalina) che inducono l'organismo a reagire alle emergenze che minacciano la sopravvivenza sono esattamente gli stessi che imprimono un ricordo emotivo nell'amigdala. Quanto più intenso è il risveglio dell'amigdala, tanto più forte è l'impressione del ricordo; le esperienze della vita che più ci piacciono, ci feriscono o ci spaventano sono destinate a diventare i nostri ricordi più indelebili. L'esistenza di un sistema speciale per i ricordi emozionali è un fatto assolutamente logico nell'evoluzione: essa infatti garantisce agli animali la conservazione di un ricordo particolarmente vivido di ciò che li ha minacciati o che ha dato loro piacere.

Nel presente, però, i ricordi emozionali possono rivelarsi guide fuorvianti. L'amigdala, infatti, analizza l'esperienza presente confrontando ciò che sta accadendo con il passato registrato nei suoi "archivi emozionali". Il

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suo metodo di confronto è associativo e poco preciso: quando la situazione presente e quella passata hanno un elemento chiave simile, l'amigdala lo identifica come un'associazione. Questo circuito neurale ci impone precipitosamente di reagire secondo modalità fissate magari nell'infanzia, con emozioni e reazioni apprese in risposta ad eventi forse solo vagamente analoghi e tuttavia abbastanza simili da mettere in allarme l'amigdala.Affinché l'amigdala dichiari lo stato di emergenza basta che solo pochi elementi della situazione presente ricordino quelli di una passata circostanza pericolosa.

In quei momenti, l'imprecisione del cervello cresce in quanto molti vividi ricordi emozionali risalgono ai primi anni di vita dell'individuo e riguardano generalmente il rapporto fra il bambino e chi si prendeva cura di lui. L'amigdala matura molto velocemente nel cervello del bambino, e alla nascita è molto più vicina di altre strutture allo sviluppo completo.Poiché questi primissimi ricordi emozionali si fissano nella memoria in un momento in cui i bambini non sanno ancora parlare per descrivere le loro esperienze, quando poi, in tempi successivi, essi vengono richiamati, non è possibile associare alcun insieme di pensieri articolati alla risposta che prende il sopravvento. Uno dei motivi, quindi, che spiegano come mai siamo così sconcertati dalle nostre esplosioni emozionali, è che esse spesso hanno radici in un

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periodo molto precoce della nostra vita. Questi ricordi che scatenano tali esplosioni possono dunque suscitare sentimenti caotici, ma non possono evocare parole.

5-3 Neocorteccia prefrontale: la mente razionale che

controlla le emozioni

Mentre l'amigdala lavora per scatenare una reazione ansiosa e impulsiva, altre aree del cervello si adoperano per produrre una risposta correttiva, più consona alla situazione. L'interruttore cerebrale che smorza gli impulsi dell'amigdala sembra trovarsi nei lobi prefrontali.

Quest'area cerebrale neocorticale consente di dare ai nostri impulsi emotivi una risposta più analitica o appropriata, modulando l'attività dell'amigdala e di altre aree limbiche.

Come si è già detto precedentemente, la maggior parte delle informazioni sensoriali provenienti dal talamo non è diretta all'amigdala ma alla neocorteccia e ai suoi centri di ricezione e comprensione delle informazioni percepite. Tutta l'informazione viene coordinata dai lobi prefrontali dove le azioni vengono programmate ed organizzate in vista di un obiettivo. Se è necessaria una risposta emozionale, i lobi frontali la dettano collaborando con l'amigdala e con gli altri circuiti del sistema limbico. Quando si scatena un'emozione, nel giro di qualche istante i lobi prefrontali eseguono la reazione che ritengono

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migliore fra moltissime possibilità, in base al criterio del rapporto rischio/beneficio. Per gli animali, ciò significa decidere quando attaccare e quando darsi alla fuga; mentre per noi significa decidere quando attaccare, quando darsi alla fuga, quando calmarsi, persuadere, cercare comprensione, essere sprezzanti.

La risposta neocorticale è più lenta rispetto alla risposta dell'amigdala, per questo è una risposta più ponderata e riflessiva. Fra i modi con i quali la corteccia prefrontale riesce a dominare efficacemente le emozioni c'è quello di smorzare i segnali di attivazione provenienti dall'amigdala. Sembra inoltre che l'interruttore neurale fondamentale che inibisce le emozioni negative sia il lobo

prefrontale sinistro.

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Letture ulteriori:

Cassini A. e Dellantonio A. (1987). Il comportamento emotivo. In Le basi fisiologiche dei processi motivazionali

ed emotivi. Bologna, Il Mulino.Darley J. M., Glucksberg S., Kinchla R.A. (1998) Le emozioni. In Fondamenti di Psicologia. Bologna, Il Mulino.D'Urso V. (1999) Le emozioni. In Cicogna P. C (a cura di)

Psicologia Generale, Roma, Carocci. D'Urso V e Trentin R (1990) (a cura di) Psicologia delle

emozioni. Bologna, Il Mulino.D'Urso V, Trentin R (1992). Sillabario delle emozioni. Milano, Giuffrè.Ekman P. (1992). An argument for basic emotions.

Cognition and Emotion, 6, 169-200.Goleman D. (1996). Parte prima: Intelligenza emotiva. In Intelligenza emotiva, Bergamo, Rizzoli.LeDoux, J. E. (1994). Emozioni, memoria e cervello. Le

Scienze, 312, 332, agosto.LeDoux, J. E. (1995). Emotions: Clues from the brain. Annal

Review of Psychology, 46, 209-235.

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