Lello Jamal
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LELLO JAMAL
L’ARRIVO.
22 Giugno 2013. Autostrada Roma-Napoli, ore 10.14 AM. Mentre stavo percorrendo gli ultimi 10 km prima del casello di Napoli, riflettevo sul motivo del mio assurdo viaggio. E ciò mi rendeva nervoso. Più ci pensavo, più mi rendevo conto di come questa trasferta poteva essere evitata. Ma, d’ altronde, questa era la giusta punizione per il mio carattere sfrontato e per la mia debolezza al gioco, alla scommessa, al pronostico. So quali sono i miei limiti, ma pur essendone cosciente, come al solito, non ho resistito alla tentazione di mettermi in gioco, non sono riuscito a sottrarmi alla sfida. E quella sfida equivaleva a buttarmi da un aereo senza il paracadute scommettendo che non mi sarei schiantato. Il mio nervosismo si contrapponeva all’ insofferenza. Ce l’ avevo con me stesso, con gli eventi, con la sorte. E non vedevo l’ ora di portare a termine la mia missione per potermene tornare a casa e dimenticare al più presto questa storia. Mi ripetevo in testa che non avrei mai più commesso una simile cavolata, che non avrei mai più sfidato uno più fortunato di me. Ero perdente in partenza e lo sapevo, ma sono testardo e orgoglioso. Basta una provocazione, una scaramuccia verbale, per cadere nella tentazione della scommessa. Quindi eccomi qui, in un soleggiato sabato pomeriggio di giugno, diretto nel capoluogo campano per consegnare la coppa di vincitore del nostro girone di fantacalcio al mio acerrimo nemico Lello Jamal. Questa era la scommessa. Se Lello avesse vinto il girone io avrei ritirato la coppa per lui al raduno di Alba Adriatica e gliela avrei consegnata a Napoli. Lello Jamal quindi non sarebbe venuto al raduno. Se il girone l’ avessi vinto io, avevamo scommesso che lui si sarebbe impegnato a scrivere sulla propria pagina di girone del forum “Misterparise è un grande fantallenatore ed io sono solo fortunato”. Questo per tutto l’ arco della prossima stagione, ogni lunedì della settimana. Con me avevo anche la coppa del vincente di girone che Lello Jamal conquistò nel 2010 e che Fabio Hiroshi ritirò per lui al raduno. Quella coppa non fu mai consegnata ed ora, ironia della sorte, toccava a me farlo. La mia amarezza era doppia. Anche quell’ anno Lello Jamal era mio avversario di girone. Ma la colpa di tutto questo era solo la mia. Ero stato uno stupido. E’ stata una scommessa folle, solo per il fatto in se stesso di aver sfidato uno dei fantallenatori più fortunati della lega. Il viaggio era iniziato male già prima di partire. La mia auto era inservibile per un guasto al motorino d’ avviamento. Per questo chiesi in prestito l’ auto a mia zia. Una fiat 500 S del 1992. Velocità massima in autostrada 110 km orari. Ed era priva d’ aria condizionata in un giugno particolarmente caldo per le temperature del periodo. La macchina era un forno. In pratica stavo facendo una sauna chiuso in un barattolo. Come sempre sudavo tanto sul viso. Gli occhiali da sole mi scivolavano continuamente verso la punta del naso. Per diversi motivi, durante le ore che mi apprestavo a trascorrere a Napoli, mi sarebbe capitato diverse volte di far scivolare gli occhiali da sole sulla punta del naso. Per evitare il caldo, e per arrivare puntuale all’ appuntamento con Lello Jamal, ero partito alle 7.30 del mattino. L’ appuntamento era per le 11. Una volta giunto al casello tirai fuori il portafoglio per pagare il pedaggio. Avevo una banconota da 50 euro ma la stessa mi scivolò dalle mani ficcandosi tra lo sportello ed il sedile. Non riuscivo a recuperarla dall’ interno dell’ auto. Quindi aprii lo sportello e scesi. Dietro di me cominciavano le prime strombazzate di clacson degli automobilisti in coda. Riuscii a recuperare abbastanza in fretta la banconota e la diedi al casellante. Nel darmi il resto mi scivolarono tre monete in terra. Scesi per recuperarle. Da dietro gli automobilisti cominciarono ad alternare gli schiamazzi ai clacson.
“Uaèè guagliò, a mugliere m’ aspitt pe cena, faccimm ambress”. Mi affrettai a recuperare le monete e salii in auto. Mentre ero intento ad ingranare la prima, davanti a me si parò un venditore ambulante. “Guagliò, accattat i fazzulett”. “No grazie, non mi servono”. Iamm, e se te pigl o’ raffreddor? “Co sto cardo” risposi in romano. Uahè, si ruman? Mi stai simpatico, ti do chist ca nun sò usat” Intanto dietro di me gli automobilisti passarono ai commenti ironici tipici del luogo. “Livt da miezz curnut, ca’ a tu mugliere m’ aspitt.” Feci finta di non aver capito. Per due euro comprai i fazzoletti all’ ambulante e ingrani la prima, mentre con la mano fuori dal finestrino facevo ampi gesti di stare calmo all’ automobilista dietro di me. Mentre ripartivo guardai il gabbiotto del casellante per dargli l’ arrivederci. La tendina era abbassata e un cartellino appariva attaccato al vetro. Alle 10.30 iniziava lo sciopero dei casellanti. Ero stato l’ ultimo a pagare. Mi ero beccato un mare d’insulti da quegli automobilisti che, grazie al tempo che persi, non pagarono il casello. L’automobile immediatamente dietro di me mi superò con un’ accelerazione impressionante. La mia 500 dondolò per lo spostamento d’aria. Il conducente mi salutò con fare sbeffeggiante dall’ interno della sua stranissima auto. Era un’auto sportiva ma non riconobbi la marca. Era evidentemente modificata nella carrozzeria, adattata ai gusti eclettici del suo conducente. E aveva attaccati numerosi adesivi, almeno sul lato rivolto verso di me. Il tempo di stupirmi dell’ audace creazione che l’ auto era già sparita dalla mia vista. Dieci minuti dopo squillò il cellulare. Mi accostai sulla superstrada e risposi. “Mistèr, sono Lello Jamal addù stà?” “Ho appena superato il casello” “Ah Vabbuò, pure io venivo da fuori. Fazz nu poco tardi, agg passà da una parte. Tu aspiettam alla piazz vabbuò?” “Ok, se arrivo prima magari mi cuocio due uova sul cofano della macchina visto che ci sono 33 gradi all’ ombra.”“Ah ah Ah si fuort Mistèr! A dopo.” “Se ero forte vincevo il girone Lello. A dopo.” Entrai a Napoli. Il tom tom mi indicava la strada per la piazza dove mi attendeva Lello Jamal. Sbagliai comunque due volte e persi almeno venti minuti per riprendere la giusta direzione. Mentre ero nei pressi della piazza squillò il cellulare. Mi accostai e risposi. “Mistèr, addù stà?!” “Sono arrivato Lello, sono entrato nella piazza”. “Che auto tieni?” “Una Fiat 500”.“Ah; nun teng l’ apriscatole però… ahahaha. T’ agg vist, arrivo”. Click.
LELLO JAMAL L’ ECCENTRICO. Accostai e scesi in attesa. Immediatamente mi venne incontro, parandosi di fronte a me, una macchina sportiva rossa fiammante. Abbassai gli occhiali da sole fino alla punta del naso per vederci meglio. Sembrava proprio l’auto sportiva che mi fiancheggiò sulla superstrada. Scostai
lo sguardo dal bolide mascherato da furgone Volkswagen sessantottino ripromettendomi di soffermarmi dopo a gustarne gli eccentrici particolari. Dall’auto stava scendendo Lello Jamal. Non feci in tempo a tirare su gli occhiali che li riportai immediatamente sulla punta del naso. Lello Jamal l’anticonformista. Lo fotografai dal basso verso l’alto. Click. Stivali a punta stile cowboy con i jeans che li ricoprivano fino alle caviglie. Click. I jeans erano stracciati all’ altezza delle due ginocchia. Click. I jeans erano grigi striati di bianco. Click. Cintura di pelle ricamata stile Western. Click. Camicia a mezza manica infilata nei jeans, avvitata sui fianchi, con colori sgargianti stile Hawaii. Due bottoni slacciati lasciavano intravedere una rigogliosa peluria sul petto. Sul taschino le iniziali L.J. in corsivo maiuscolo incise in nero, l’ unico colore che mancava alla casacca di Arlecchino. Click. Al collo una catenina mediamente spessa su cui era allacciato un ciondolo raffigurante un grande ferro di cavallo d’ oro. Click. Occhiali da sole decisamente anticonformisti con lenti scure e montatura molto spessa di colore bianco a strisce rosse. Click: Capelli portati con taglio cortissimo sui lati e con una cresta che da larga alla base finiva a punta ad un’ altezza di sette-‐otto centimetri. Colore fucsia. Click. Alle mani aveva almeno tre anelli per parte e di dimensioni variabili. Due, forse tre bracciali ad ambo i polsi. Orecchini ad entrambi i lobi dell’ orecchio, ed un tatuaggio che occupava tutto l’ avambraccio destro e che rappresentava la Dea bendata con la cornucopia. Click. Un borsello di Louis Vuitton, presumibilmente originale, gli pendeva dalla spalla destra. Click. Ne bello ne brutto, ne alto ne basso, ne alto e ne magro, anche se aveva una discreta rotondità addominale che la camicia aderente indecorosamente metteva in risalto. Fine del servizio fotografico. Lo notai subito. Lello Jamal era ricco da finanziare una guerra. Appena uscito di casa portava a passeggio almeno ventimila euro tra anelli, vestiario, cellulare, tatuaggi. Più quello che poteva avere in contanti nel portafoglio. In mano a dei rapitori non sarebbe servito loro chiedere il riscatto, gli sarebbe bastato denudarlo per poter racimolare un bel gruzzoletto senza stare a scomodare organi statali, mass media e quant’ altro. Lello Jamal mi si fece incontro salutandomi con fare allegro e conviviale. “Uaè, finalment Mistèr!” Mi scossi dal mio stupore e gli strinsi la mano. “Che piacere Lello, finalmente il mio acerrimo nemico ha un volto!” “Eh già Mistèr. Com’ è iut o’ viagg?” “Diciamo che dopo una maratona sarei meno sudato.” “Mo ci rinfreschiamo Mistèr. Ah, m’ agg scurdàt, te salut Cerci Mistèr, ah aha ah.” “Cerci; chi lo avrebbe mai detto, ora è pure un Nazionale. Che stagione eh?” “Capita Mistèr, ogni tanto i giocatori forti si ricordano di saper giocare a calcio.” Avevo la risposta pronta ma poi Lello cambiò discorso senza che potessi replicare. “Allora Mistèr, pure o’ prossimo anno giochiamo nello stesso girone eh. A cussì rivinco facile facile ah ah ah”. Cambiai per un’ attimo espressione ma ripresi immediatamente un atteggiamento di affabilità e con un sorriso di circostanza cercai di mascherare il mio disappunto. E già, il sorteggio di Alba era stato impietoso. Entrambi promossi in A ed insieme nello stesso girone. Per me il sorteggio fu un’ incubo che, nelle notti successive al raduno, mi fece costantemente visita nel sonno. “Infatti facevo prima a venire il prossimo anno” risposi. “Uahè Mistèr, mo lo sai, con me il piant nun frutta”.
“eh o’ saccio o saccio” risposi in napoletano. Lello Jamal sembrava volermi dire tutto in un minuto. Cambiò di nuovo discorso. “Hai visto che bolide Mistèr.” Lello Jamal spostò la mia attenzione sulla sua auto. “B…bella, ma che marca d’ auto è?” “Chist non è un’ auto, chist è la Lello car. Era nu Ferrari che io ho personalizzato rendendola U-‐N-‐I-‐C-‐A!” Abbassai di nuovo gli occhiali sulla punta del naso. Con grande fatica, e con un tempo d’ attesa infinito, riconobbi le linee di una Ferrari come si riconosce il viso di una persona che non vedi dall’ età dell’ asilo. La rossa più amata d’ Italia aveva cambiato i suoi connotati, ora era la Lello car, un’ indefinibile quattro ruote che della Ferrari aveva perso tutto, onore e orgoglio compresi. Lello Jamal l’ aveva “arricchita” con un’ enorme alettone posteriore, con una cresta simile a quella di un luccio posta sul tettuccio, con mini gonne laterali e adesivi sparsi un po’ ovunque. Il cavallino rampante era stato sostituito da un ferro di cavallo. Sul posteriore, dove era posto il nome del modello, c’ era un grande adesivo della Dea bendata che faceva il gesto dell’ ombrello al conducente della macchina successiva. Ma il vero teatrino della Lello car era nel suo interno. Lello Jamal mi invitò caldamente a prendere posto. Tremante aprii la portiera. Avevo il timore di quello che potevo vedere, come un commissario di polizia che entra nella scena di un truce delitto messo a compimento da un serial killer. La pazzia di Lello Jamal aveva sfigurato la bellezza unica della Ferrari. L’ interno dell’ abitacolo era un costante tintinnio di portachiavi di ogni genere. C’ erano i classici cornetti di varie dimensioni, il ferro di cavallo, la cornucopia, la coccinella, il gobbo. Lello Jamal doveva conoscere molto bene la città, perché sul lunotto anteriore di certo non c’ era spazio per applicarvi il navigatore satellitare. Una statuetta di Diego Armando Maradona si stagliava sul cruscotto in posizione centrale. All’ angolo destro c’ era un piccolo quadruccio che era appeso ad un filo, il quale partiva dall’ alto ed era collegato alla mini-‐cassa dello stereo. Il quadruccio ritraeva, in un fotomontaggio, Lello Jamal abbracciato alla dea bendata. Appena sopra il cassettino porta oggetti c’ era applicata una foto, incastonata in un’ altro quadruccio, che ritraeva probabilmente la famiglia di Lello Jamal. Nell’ angolo sinistro una statua di Padre Pio sembrava voler benedire quel mix incoerente di icone e simboli della fortuna. Dietro era la tana dei pupazzi. La Ferrari è un’ auto a due posti, ma Lello Jamal aveva trovato comunque il modo di offrire un rifugio a una decina di animali di peluche di varie dimensioni. Il ciucciariarello del Napoli era il più grande. Poi c’ era quella che Lello chiamò la gallina dalle uova d’ oro, sempre sotto forma di peluche. Poi il peluche della dea bendata. E ancora, Cavani e Hamsik ritratti su un palloncino da parco giochi. Il pallone del Napoli. Un bruco di peluche del Napoli con al collo un fazzoletto, anch’ esso del Napoli. Sul vetro destro era applicata una foto di Maradona abbracciato a Ferlaino, sul vetro sinistro Maradona con la maglia della nazionale argentina che bacia la coppa del mondo. “Che ne pensi Mistèr. E’ nu capolavur no?” “Beh, orginale; molto originale. Forse un po’ rumorosa per via dei portachiavi. Peccato che non ci sia il posto per la coppa del girone, ci stava proprio a pennello. Ah, a proposito, te la vado a prendere.” Uscii velocemente dal quadro di Picasso e andai a recuperare la coppa nella mia banalissima 500. “Tieni Lello, ecco il giusto premio dopo una stagione tanto faticosa. Ho anche quella del 2010” Era solo per galanteria se il mio tono non sembrò ironico. Mascherai bene il mio dissenso per quella che era una coppa vinta all’ 80% per lo smisurato sedere che Lello Jamal meschinamente portava in giro come una semplice parte del proprio corpo.
Intanto Lello Jamal aveva recuperato dal bagagliaio un cartone da pasticceria con dentro dei dolci tipici napoletani. “Grazie Mistèr, mi duole che t’ agg fatt venire fino a Napoli, ma na scummess è na scummess.” “Giusto, e vanno sempre mantenute”. “Per ringraziarti t’ agg portato nu pensiero. Chist so le sfogliatelle napoletane. A’ riccia e a’ frolla.” “Ah si, le conosco, sono squisite. Grazie Lello, ma non dovevi. Qualcuna me la mangerò in viaggio. Infatti ora devo andare, si è fatto tardi Lello. A Roma m’ aspettano per pranzo.” “Addù va Mistèr! Ma vuò pazzià! Andiamo a prenderci nu caffè iamm. C’ è nu bar d’ amici qui di fronte. Iamm, so simpatici, te li presento.” Provai ad oppormi ma ogni resistenza fu vana. Acconsentii per il caffè. Parcheggiai meglio la 500 e m’ avviai con Lello. L’ insegna del bar era eloquente. “Bar della fortuna”. Ovvio.
LELLO JAMAL L’ AMULETO. L’ entrata di Lello Jamal nel bar sembrò quella di Bono Vox sul palco del concerto di Dublino. Mentre varcavamo la soglia Lello Jamal era già con la mano alzata che salutava tutti i presenti. Mi presentò a gran voce a tutti saltando i convenevoli delle strette di mano. Ci accomodammo sugli sgabelli del bancone. Lello Jamal ordinò due aperitivi. Mi opposi, invano, per il fatto che erano le 11 passate da poco e che un’ aperitivo a quell’ ora per me era l’ equivalente delle salsicce e delle uova che i tedeschi mangiano a colazione. Lello Jamal scambiò due frasi in dialetto col barista. Non riuscii neanche a capirne il senso. Poi Lello me lo presentò come Gaetano. Il ragazzo, che poteva avere una trentina d’ anni, quando cominciò a parlare chiaramente si sforzò di non usare il napoletano almeno quanto io mi sforzavo di abbandonare per un giorno il mio pesante accento romano. “Ah, cussì tu si Mistèrparise, quello che ha scommesso con Lello ahahah.” “Eh si, sono io lo scemo.” “Ora lo sai, mai scommettere con Lello. Tiene o’ cul ross ross!” Non credevo d’ aver capito ma non finsi di averlo fatto. Abbozzai un’ affermazione che richiedeva al contempo un chiarimento. “Rosso rosso.” “Ah ahahah, no rosso rosso, grosso grosso!” “Ah, ecco, suonava strano infatti.” “Pensa Mistèr che ogni settimana Lello vince qualcosa. Li vedi tutti questi biglietti appesi? A’ metà l’ agg vint iss. Questo bar è diventato famoso perché Lello, due anni fa, ha comprato qui il biglietto che ha vinto o’ primo premio della lotteria Italia!” Rimasi allibito. Non poteva essere. Non ricordavo a quanto ammontava il primo premio di due anni fa, ma comunque si parlava di milioni di euro. Era evidente che mi prendevano in giro. Risposi istintivamente in romano. “Eh vabbè, me state a cojonà.” Allora il barista mi fece notare una foto appesa all’ angolo sopra la cassa. Mi alzai e mi avvicinai per vedere meglio. Raffigurava Lello Jamal abbracciato ad un’ uomo, forse il proprietario, con in mano il biglietto della lotteria Italia. Istintivamente cercai gli occhiali per abbassarli fino alla punta del naso, ma li avevo tolti appena entrato nel bar. Rimasi per un’ attimo a bocca aperta. Non poteva aver avuto un culo così nella vita, non era possibile. L’ invidia mi assalì con prepotenza.
Ritornai da Lello Jamal che intanto stava conversando con due signori di mezz’ età. Parlavano di giocate, probabilmente del lotto, dato che intuii dei numeri nelle loro parole. Non interruppi anche perché il barista mi parlò di nuovo. “Tutti vogliono giocare con Lello, perché porta anche fortuna agli altri. Tiene o cul ross ross!” “Agg capito, agg capito. Risposi in napoletano.” I due si allontanarono da Lello Jamal che si girò a stuzzicare gli arachidi e a sorseggiare il prosecco che il barista ci aveva servito. “Lello, dacci tre numeri a Mistèr” disse Gaetano. “No, grazie non gioco mai al lotto, io sono tutto il contrario di Lello” dissi. “Per questo devi provare.” “No guarda, non ho mai vinto niente in vita mia, sono un caso disperato.” “Accattate o’ gratta e vinci allora”, disse il barista. “Mistèr, la fortuna è una ruota che gira.” Disse Lello Jamal. “Si, la ruota di un’ autotreno che m’ ha investito!” Allora Lello, senza dire niente, comprò un gratta e vinci e me lo porse. Rifiutai con cortesia ma Lello Jamal non voleva arrendersi. Un istante dopo però qualcosa lo fece desistere. Lello Jamal si distrasse, come tutti gli altri avventori del bar, nel posare lo sguardo sull’ entrata. Entrò una ragazza, bellissima. Tacchi a spillo e gonna corta, tanto, troppo corta. Nel bar scese il silenzio. Due signori anziani che stavano giocando a carte si bloccarono impietriti. Uno di loro esclamò “Scopa!”. Cercai ancora i miei occhiali da sole. Alta almeno un metro e ottanta, mora, con i capelli lunghi e voluminosi. Seni prosperosi con una scollatura che non pretendeva troppo di contenerli. Fianchi ampi e accoglienti. Caviglie fine ma con polpacci solidi. Forse era una sportiva. La ragazza veniva verso di noi, verso Lello Jamal. Con voce sensuale salutò Lello e gli diede un delicatissimo bacio su una guancia. “Ciao Lello”. “Ciao Ramona”. “Non li tieni tre numerini per me oggi”. Pensai che Lello Jamal sarebbe stato più propenso ai numeri da circo in una camera da letto. “Teng nu solo numero pe te, o’ sessantanove, sotto e ‘ncoppa ah ah ah.” Ramona gli diede uno schiaffetto affettuoso sulla spalla. Ti potevi accorgere che apparteneva al genere umano solo quando la potevi toccare, fortuna riservata a pochi eletti tra i quali probabilmente c’ era Lello Jamal. Per il resto sembrava un’ entità non di questo mondo. La giovane si scostò da Lello Jamal per salutare il barista. Gaetano faceva splendere un bicchiere che non guardava, abbagliato dalla ragazza. La dea prese un succo A.C.E. che sorseggiò con incredibile lentezza guardando intensamente Lello Jamal. Me la presentò ed io cercai in tutti i modi di non iniziare a sudare come spesso mi succedeva di fronte a simili capolavori dell’ Altissimo. Al di la dei convenevoli non mi prestò molta attenzione. I suoi sguardi erano tutti per Lello Jamal. Parlarono fittamente per diversi minuti. Poi Ramona si staccò e si salutarono. Con passo da sfilata si diresse verso l’ uscita, con i presenti nelle vesti dei fotografi. “Bella guagliona eh?” disse Lello Jamal. “Direi discreta, pudica e per niente appariscente” risposi con tono scherzoso. “Sarebbe perfetta con te nella Lello car” “Co o’ sedile reclinato però” specificò Gaetano. “Oppure comodamente seduta sulle mie gambe” disse Lello Jamal. Poi i due continuarono a fantasticare su posizioni alternative decisamente imbarazzanti da evitare di descrivere. Io seguivo ridevo alle loro battute spinte.
“Mistèr, e tu non hai visto Carmen”. Disse Gaetano. “Tra poco dovrebbe arrivare”. “Beh allora quando arriva avvertitemi che mi metto gli occhiali da sole stavolta”. Poi Gaetano cambiò discorso e attaccò a parlare di calcio. Di come il Napoli abbia buttato via la stagione finendo secondo ad un punto dalla Juventus. Io appoggiai il suo discorso affermando che il campionato lo aveva perso a febbraio, come sempre accade alle squadre di Mazzarri. Lello affermava che il Napoli avrebbe dovuto vincere lo scontro diretto e allora la Juve se la sarebbe fatta sotto. Dalla zona delle macchine succhia soldi fece eco la voce di un certo Tony, che insisteva sul fatto che Mazzarri ormai se ne doveva andare perché non avendo vinto nulla il suo tempo a Napoli era terminato. Lello Jamal rispose che se andava via Mazzarri allora potevano dire addio anche ai campioni. Il discorso si stava spostando sulle qualità dei singoli. Dentro quel bar erano tutti, ma proprio tutti, tifosi sfegatati del Napoli. Poi improvvisamente Gaetano toccandomi la spalla mi disse “Miettet ucchial Mistèr” indicando con la testa la porta d’ entrata. Era Carmen. Per la seconda volta nel bar scese il silenzio. E per la seconda volta il vecchietto che giocava a carte fece scopa. Carmen era più bassa di Ramona ma non di certo meno avvenente. Rossa di capelli, scarpe col tacco, gonna corta ma non aderente come quella di Ramona, ma bensì caratterizzata da uno svolazzare di veli di quelli che facevano sperare ai passanti in strada in un’ improvvisa folata di vento. “Questa nun po’ annà in giro pe strada vestita così, è da tamponamento a catena” dissi io. Gaetano commentò con un “alzo l’ aria condizionata che fà callo”. Non so perché me lo aspettassi, ma anche la seconda divinità andò diritta da Lello Jamal. La scena fu molto simile alla precedente solo che Carmen, dopo aver salutato Lello Jamal con un bacio sulla guancia, si limitò a prendere un litro di latte, pagò e se ne andò lasciando una penetrante scia di profumo. “Ammazza er profumo che s’ è messa” esclamai. “Eau de purchiacca, come dicono i napulitan a Parigi” disse Gaetano. A Lello Jamal non chiesi nulla. Era chiaro che piaceva alle donne. Un’ altro marchio che la Dea bendata aveva impresso a fuoco sulle sue chiappe. Ricco, non bello, ma piacente. Ed ero certo che non era tutto. Solo che io non avevo il tempo di addentrarmi nella sua vita. Mentre Lello Jamal mi faceva l’ occhiolino indicando con un cenno della testa Carmen che usciva ancheggiando, gli risposi a mia volta con un cenno d’ assenso e con l’ espressione più maliziosa che potei stamparmi sul viso. L’ uomo senza pudore. Niente niente vuoi vedere che davvero…..e risi di me mentre lo pensavo. Ed immediatamente dopo gli dissi che dovevo andare. Salutammo tutti i presenti con la ripromessa che non avrei più scommesso con Lello Jamal. Ci alzammo dagli sgabelli e Lello Jamal si diresse verso al cassa per pagare. Provai a bloccarlo ma Lello mi scansò con un gesto repentino. Un istante dopo entrò un tizio. Tutto trafelato e con fare agitato attraversò velocemente il bar sotto gli occhi dei presenti. “Marciè, che è stat?” Disse Gaetano preoccupato. “Lellooo, Lellooo”, c’ è Lello, gridò Marcello. Poi una volta individuato si precipitò verso di lui agitando un foglietto in mano. “Lellooo, o’ terno secco su Venezia Lelloooo!” Lello Jamal si girò senza troppa enfasi ma andò comunque ad abbracciare Marcello. “Quant’è Marciè?”. “Diecimila euro Lello!” Esclamò Marcello mentre stringeva la faccia di Lello Jamal tra le mani e gli baciava le guance. Non erano i baci di Carmen e Ramona, ma nel viso di Lello Jamal si leggeva la stessa soddisfazione. La soddisfazione del vincente, dell’ acclamato idolo del bar
della fortuna. Lello Jamal era stato contagiato dalla buona sorte divenendone portatore sano. “Uahè, allora simm fortunati!” Disse Lello. “Offro da bere a tutti i presenti!” Disse Marcello. “Facciamo un brindisi a Lello, che tiene o’ culo ross ross!” Gridò Gaetano quando ebbe riempito tutti i bicchieri. La mia presenza al bar della fortuna si protrasse per un’ altra mezz’ ora tra brindisi e canti vari. Mi girava la testa. Non ero abituato a bere tanto e per giunta a stomaco vuoto. Così, finita l’ allegra festicciola improvvisata da Marcello, mentre uscivamo dal bar, Lello Jamal ipotizzò l’ idea che rimanessi a pranzo. Stavolta ero deciso a rifiutare. Lo ringraziai di cuore per l’ aperitivo e quant’ altro e gli dissi che non volevo approfittare troppo della sua ospitalità. Erano le parole sbagliate. Mai limitare i napoletani in fatto d’ ospitalità. Lello Jamal la prese come un fatto personale e insistette tanto che dovetti cedere per sfinimento. D’ altronde il mio cervelletto non era nel pieno delle facoltà e mi sarei comunque dovuto fermare al primo autogrill sull’ autostrada per far scendere lo stato di ebbrezza che mi rendeva poco lucido. Alla fine accettai l’ invito.
LELLO JAMAL L’ INTOCCABILE.
Erano le 12 passate e Lello Jamal mi propose di passare, prima del pranzo, ad un cantiere edilizio che era li vicino. Mi disse che faceva il costruttore e che aveva vinto la gara d’ appalto per costruire un alberghetto li in periferia. Mi fece lasciare la 500 dicendo che tanto avremmo fatto presto e che per andare a casa sua saremmo ripassati per il bar. Mentre la Lello car si districava nel traffico, Lello Jamal aveva acceso lo stereo e inserito un cd. Un brivido freddo mi percorse la schiena. In genere i napoletani vanno pazzi per due autori che le mie orecchie tollerano a fatica. I miei sospetti furono confermati. Lello Jamal alzò il volume al massimo su “non dirgli mai” di Gigi D’ Alessio. Fortunatamente il tragitto era breve e la mia agonia durò appena tre canzoni “dell’ artista” partenopeo. Procedemmo nella via dell’ entrata del cantiere insieme ad un’ altra auto, una BMW, che parcheggiò un secondo prima di noi, proprio davanti all’ ingresso. Lello Jamal cercava un posto all’ ombra che non c’ era. La zona era priva di palazzi nelle immediate vicinanze e sui marciapiedi non c’ erano aiuole con alberi piantati. Lello Jamal parcheggiò la Lello car in doppia fila nonostante davanti ci fosse posto. Conosceva il conducente della BMW. Lo salutò, me lo presentò, e tutti e tre ci dirigemmo all’ interno del cantiere. Sullo stretto marciapiede, appena prima dell’ entrata, c’ era un fascio di barre di ferro alto circa un metro e lungo almeno cinque. Dovemmo girare intorno al fascio e passare lateralmente, non senza difficoltà, per entrare dal cancello aperto. Lello Jamal imprecò per la noncuranza da parte di chi aveva scaricato il materiale. Poi Lello Jamal e l’ uomo della BMW salutarono un signore sulla cinquantina. Forse il direttore dei lavori. Parlottavano tra loro mentre io davo un’ occhiata in giro. L’ alberghetto che stava costruendo Lello Jamal era una “baracca” di almeno dodici piani, tanti erano i solai impilati. E chissà quanti ne avrebbero ancora innalzati. L’ area di cantiere era enorme. Una lavoro da milioni di euro. Intanto ai tre si era aggiunto il un’ altra persona con l’ elmetto in testa, forse il capocantiere. Io mi ero fissato a osservare una ruspa che stava prelevando ghiaia da un mucchio posto a una quindicina di metri da noi. La ruspa, con la sua grande benda, trasportava meccanicamente la ghiaia verso il lato lungo dell’ albergo per poi tornare indietro e ricominciare. Faceva caldo, e nonostante i tanti liquidi ingurgitati nel bar, avevo una sete da profugo sahariano. E mi girava la testa. Continuavo a osservare la ruspa nei suoi movimenti, ma desideravo ombra e liquidi. Poi il mio
stato di torpore fu improvvisamente scosso. L’ ennesimo viaggio della ruspa fu diverso dagli altri. Mentre era di fronte al mucchio di ghiaia, il guidatore non abbassò la benda ma passò lateralmente al cucuzzolo. La ruspa si sollevò leggermente su un fianco mentre passava sopra la parte più bassa della collinetta di ghiaia. Il mezzo proseguì oltre, come se il guidatore avesse finito e volesse parcheggiare, oppure, altra ipotesi, dovesse caricare altro. Ma davanti non c’ era nulla e la velocità con cui procedeva la ruspa era un po’ troppo elevata. Continuai a seguire il suo tragitto. La ruspa ormai puntava dritto verso il cancello. Qualcosa non andava. Gridai all’ autista e col braccio alzato accennai uno scatto. La ruspa era lontana e non accennava a diminuire la velocità. Uscì dal cancello. Le ruote anteriori del mezzo si arrampicarono sul fascio di ferro che stava sul marciapiede. La ruspa s’ impennò sulle possenti ruote posteriori e procedette in avanti. Una volta che anche le ruote posteriori fecero presa sul fascio, la ruspa sobbalzò in avanti ponendosi a cavalcioni sul fascio stesso, urtando con le ruote anteriori l’ auto di fronte mandandone in frantumi i vetri laterali. La benda, che era sospesa a mezz’ aria, nella ricaduta della ruspa urtò il tettino dell’ auto. Accostata c’ era la Lello car. Mi bloccai con gli occhiali calati sulla punta del naso. La ruspa continuava ad urlare col suo motore accelerato. Tuttavia non riusciva a procedere perché incastrata tra il fascio di ferro e l’ auto in sosta. Le sue ruote anteriori incredibilmente non facevano presa sulla BMW, mentre quelle posteriori non toccavano il fascio. In pratica il mezzo non potè procedere nell’ arrampicarsi sulla malcapitata BMW. Corremmo tutti verso la ruspa. L’ operaio che la conduceva era bocconi sulla cloche dei comandi. Salii sul mezzo dal lato sinistro e girai la chiave che era posta proprio sul mio lato di salita. Gli altri balzarono sulla ruspa apportando i soccorsi al guidatore. Tutti erano allarmati. L’ operaio con l’ elmetto sentì il polso del collega che risultò debole ma comunque presente. Così, dopo averlo sollevato dalle braccia e dalle gambe, lo portarono a terra sdraiato supino. Immediatamente l’ operaio riprese i sensi. Si era trattato di un malore. Un semplice mancamento che poteva far finire il tutto in tragedia, se le cose fossero andate diversamente da come erano andate. Ora il proprietario della BMW, visto lo scampato pericolo da parte dell’ operaio, poteva dare in escandescenza per i danni subiti dalla sua auto. Lello Jamal, ovviamente, aveva avuto l’ ennesima botta di culo. Se fossimo arrivati in cantiere un minuto prima, sarebbe stata la Lello car quella schiacciata dalla ruspa. E riecco l’ invidia, dominante, dirompente. Non c’ era niente da fare, Lello Jamal usciva sempre illeso dalle fatalità, come al fantacalcio. Mente riflettevo su questo mi trovai istintivamente a scuotere la testa. Mentre ripercorrevo gli eventi di quella mezza giornata, sommandoli tra loro, mi stupii dell’ effimero pensiero che si fece largo nella mia mente. Forse fu l’ alcool a suggerirmelo. Pensai che se Walt Disney fosse stato ancora in vita, avrebbe cercato di conoscere di persona Lello Jamal perché l’ avrebbe identificato come uno dei suoi personaggi in carne ed ossa. Ovvero Gastone Paperone. Mi ritrovai a scuotere ancora la testa. Stavolta forse avevo anche un sorriso storto sull’ angolo della bocca. Lello Jamal forse la prese come una considerazione sul malore occorso all’ operaio perchè disse: “Mo me dovess giucà o muort che parla!” Badando bene nel farsi sentire anche dallo stesso operaio risorto. Ci facemmo tutti una risata distensiva. La ruspa fu rimossa dalla BMW non senza che su quest’ ultima fossero riportati altri danni. Ironicamente bisbigliai all’ orecchio di Lello che purtroppo stavano togliendo l’ ombra dalla Lello car.
LELLO JAMAL HOUSE
Andammo via dal cantiere destinazione Lello Jamal house. Continuai a ripetergli di lasciarmi alla mia 500, che non era il caso che rimanessi a pranzo, che era meglio che si riposasse, che magari voleva stare con moglie e piccolo. Mi rispose che è la domenica che è fatta per riposare e che comunque a casa non c’ era nessuno perché il resto della Lello’s family era alla casa al mare. Così ripresi possesso della 500 e seguii la Lello car in direzione Lello Jamal house, spostando di tanto in tanto lo sguardo sull’ adesivo della Dea bendata che mi faceva il gesto dell’ ombrello. La Lello house si trovava in una zona molto tranquilla. La sua dimora era un villino a due piani con ampio giardino posto auto in strada. Entrammo dal cancello e subito notai la statua in gesso della Dea bendata. Non sapevo cosa aspettarmi all’ interno. Entrammo in casa alle 13.15. Lello Jamal mise subito sui fornelli la pentola con l’ acqua. E mentre aspettavamo che l’ acqua bollisse mi portò in giro ad ammirare la casa. Era enorme. Ma stranamente poco arredata. Visti i suppellettili che dominavano la Lello car, la cosa mi stupì non poco. Lello Jamal, casualmente, diede risposta ai miei pensieri dicendo che si erano trasferiti da una quindicina di giorni e molte cose che avevano nella vecchia casa le avevano buttate perché volevano cambiare stile d’ arredamento. La casa era grande. 140 Mq suddivisa in tre camere, due bagni, cucina, il salotto enorme e due ampi balconi. L’ avevano scelta soprattutto per la zona tranquilla. Anche quella che era la stanza del bimbo non era completamente ammobiliata, ma alle pareti avevano già trovato posto i posters di Maradona, Cavani, Hamsik e una gigantesca bandiera del Napoli. Nel salotto mancava il divano, che era stato ordinato e che sarebbe stato consegnato in settimana. Su un mobile c’ erano le fotografie di famiglia. Lello Jamal mi presentò virtualmente i suoi familiari. “Tuo figlio ti somiglia tanto eh?” dissi. “E’ preciso a me Mistèr. Pienz che quando siamo usciti dall’ ospedale, dopo o’ part, c’ era nu vento che sembrava Trieste e na 50 euro s’ attaccò al bordo della culla do’ bebbè.” “Proprio tale padre e tale figlio” dissi sorridendo. Mangiammo una pasta fatta col sugo fresco e due foglie di basilico. Piatto semplice ma sempre vincente. Ovviamente abbondante. Rifiutai categoricamente il vino e alcolici di ogni sorta. Cominciava appena a riaffiorare in me un briciolo di lucidità e non volli rischiare di dover rimanere anche per cena. Finito di pranzare cominciammo a parlare del più e del meno. Lello Jamal si mostrò subito una persona gradevole e di chiacchiera facile. Ciò mi convinse a introdurre l’ argomento lotteria Italia. “Insomma, c’ hai avuto il culo sfacciato di vincere alla lotteria Italia.” Gli dissi sorridendo. “Eh già Mistèr, proprio un bel culo.” Poi fu più forte di me, vinse la forza dell’ invidia che voleva trovare un punto debole nell’ universo perfetto in cui ruotava il pianeta Lello Jamal. “Scusa la domanda, ma in genere ste cose non si tengono nascoste? Cioè, voglio dire, sono una barca di soldi, fanno gola, non so se mi spiego.” I miei dubbi, legittimi, posarono le basi per un discorso lungo ma esaustivo da parte di Lello Jamal. Dalle parole che pronunciò per la successiva mezz’ ora capii chi era veramente Lello Jamal e mi si aprì un mondo sulla sua persona. Lello mi raccontò di lui. Questa era la sua storia.
LELLO JAMAL STORY La vita di Lello Jamal cambiò il nove gennaio di due anni fa. Come se una pagina del libro bianco della vita aspettasse di essere scritta da un’ altra penna, nel suo caso, quella della Dea bendata. Lello Jamal apprese della vincita alla lotteria Italia la mattina del nove gennaio del 2011. Quando capì che i numeri vincenti erano i suoi e non sarebbero cambiati neanche rileggendoli mille volte, si sentì mancare dall’ emozione che per poco non svenne. Era euforico ma si sforzò di rimanere irrazionale. Sapeva che ora aveva una vita completamente diversa da gestire. Reset. Si comincia daccapo. Si rivaluta tutto e tutti. A partire dal proprio stato mentale che andava gestito. Passarono quattro mesi in cui Lello Jamal non seppe cosa fare della propria vita e della propria fortuna. Cercò consigli tra le amicizie pur senza sbilanciarsi nel dire cosa gli era capitato. Non era semplice. In tanti intuirono che qualcosa era cambiato nella sua vita. Per quanto si sforzasse, si vedeva che era una persona diversa. Come un serpente che aveva cambiato muta, Lello Jamal, a partire dal 10 gennaio, era un’ altro Lello Jamal. Forse era nel modo di fare e di comportarsi. Oppure in qualche modo, non si sa come, la voce del sospetto era girata. Per ora comunque era ancora nell’ anonimato. Il bar della fortuna era in festa dal sette gennaio perché il biglietto era stato comprato li. Scovare l’ identità di Gastone Paperone era nelle mani degli addetti alla vendita dei biglietti. A parte mantenere l’ anonimato Lello Jamal si chiedeva cosa dovesse fare una volta incassato il suo destino che lo vedeva miliardario. Forse doveva continuare la sua vita come se niente fosse accaduto. Ma era difficile rimanere indifferenti davanti alle prospettive che una cassaforte piena ti presenta. Però era anche difficile starsene li passivo aspettando che i soldi finissero. Ma poi in realtà finiscono? E con quale velocità? Come spenderli? Come passare inosservati pur riuscendo a concedersi i piccoli e grandi lussi che ognuno ha sempre sognato? Andare via poteva essere una soluzione. Inventare una scusa per allontanarsi da tutto e da tutti e cambiare vita. Ma non sarebbe stato facile neanche quello. E si chiedeva ancora, con chi avrebbe dovuto condividere il segreto? Di chi si poteva fidare? Allora forse doveva rimanere ed investire il proprio denaro. Ma come? Come giustificare la somma investita? Avrebbe dovuto inventare una storia, possibilmente plausibile e che non desse credito a dubbi di ogni sorta. Non era una situazione facile da gestire. Doveva studiarsela molto bene. Poi c’ era la paura. Lello Jamal aveva, giustamente, altre preoccupazioni e di altra natura. Il rischio che a sapere fossero le persone sbagliate era quanto mai tangibile. Non bisognava essere dei tipi particolarmente ansiosi per immaginare situazioni pericolose per se stessi e per chi ti ruota attorno nella vita. Pensare di non poter più vivere un’ esistenza serena era ciò che l’ angosciava veramente. Che qualcuno a lui caro potesse correre dei pericoli a causa sua lo faceva impazzire. Avrebbe preferito di gran lunga rimanere anonimo e far finta che tutto fosse stato un sogno. Non voleva che il destino si prendesse beffe di lui facendogli credere di essere un eletto della Dea bendata, per poi portargli un conto che lui avrebbe dovuto pagare con una moneta con la quale al cambio ci si perde tre a uno. Allora dove sarebbe stata la fortuna in quel caso? Lello Jamal rimase schiacciato per mesi sotto il peso della croce del suo destino, dove la corona di spine era composta da banconote da 500 euro che gli si conficcavano nelle meningi. Poi la Dea bendata, la lucciola che per lui si concedeva gratis, si buttò di nuovo tra le sue braccia. Era una domenica di fine maggio. Lello Jamal percorreva una strada di campagna che lo doveva portare al terreno di un suo amico contadino, Carmelo, dal quale comprava uova, ortaggi e frutta. Questa volta però era li per cogliere le ciliegie dai tre alberi che crescevano all’ interno del terreno. Le cerase di Carmelo erano speciali. Erano amici da tanti anni e Carmelo, per sdebitarsi di un favore da parte di Lello, lo aveva invitato più volte ad arrampicarsi sulla
pianta. Gli disse che poteva andarci quando voleva, anche senza avvisarlo. Così quel giorno Lello Jamal, senza preavviso, si decise ad andare al terreno. Carmelo viveva li, da solo, in un casale ristrutturato datato 1920. Il fattore però non era in casa quel giorno. Ma Carmelo gli aveva lasciato una copia delle chiavi del cancello dandogli libero accesso ai tre alberi che crescevano selvaggi al centro degli immensi ettari che si estendevano davanti al casale. Lello Jamal arrivò con il suo Majesty 250. Parcheggiò la moto direttamente dentro il garage del casale. La serranda era sempre aperta e Lello lo sapeva. L’ amico contadino la teneva alzata perché tanto non aveva nulla di valore da tenere sotto chiave. Chi gli avrebbe mai rubato la vecchia Fiat Panda 900 del 95’? Trattori e mezzi agricoli non ce n’ erano. Carmelo coltivava solo una minima parte del suo immenso terreno. D’ altronde, a settantacinque anni, era il massimo che il fisico gli potesse concedere. Un orticello che gli desse occupazione e nulla più. Per le pretese che aveva, Carmelo se la cavava benissimo con la sua vecchia motozappa, anch’ essa a prova di furto. Per il resto, sparsi nel terreno, c’ erano piante d’ ulivo, alberi da frutto e rovi di more. Dopo aver issato la moto sul cavalletto, Lello Jamal prese una scala estendibile appoggiata ad una parete. Era leggerissima con la scocca in alluminio. Passò di fianco al pollaio, sul lato sinistro del casale, e s’ avviò verso il terreno. Con una mano sorreggeva la scala mentre l’ altra mano era occupata da due ceste. Una delle due l’ avrebbe riempita per se, l’ altra per l’ amico Carmelo. Mentre procedeva badò a tenersi accostato al recinto del pollaio altrimenti Tyson, il mastodontico meticcio in parte Rottweiler e in parte pastore Maremmano, avrebbe certamente sfruttato tutti i centimetri della catena alla quale era legato per garantirsi un pasto supplementare in cui il pregiato culo di Lello Jamal era l’ equivalente del caviale per gli esseri umani. Mentre passava il cane non smetteva di abbaiare nella sua direzione. Lello Jamal lo ignorò inoltrandosi nel terreno. Camminò non poco per raggiungere i tre alberi di ciliegio che nascevano pressappoco al centro dell’ enorme tenuta. Scelse di salire sul più lontano rispetto al casale, che a occhio gli sembrava essere il più carico di frutti. Forse era per un fattore d’ esposizione al sole. Ora se ne stava appollaiato su un ramo molto esterno, ingolosito da un gruppo di cerase che promettevano di essere decisamente succose. Uno dei due grandi cestini era agganciato ad un ramo poco più in alto di lui. Faceva caldo. Un leggero venticello, che faceva danzare le foglie e oscillare pericolosamente i rami, lo rinfrescava dalla calura che lo attanagliava in una morsa afosa. Il cielo era sgombro di nuvole. E proprio osservando il cielo che Lello Jamal si accorse delle splendenti ciliegie che crescevano sui rami più alti. Ma si sa, la cose più belle spesso sono inaccessibili. Resistette alla tentazione di arrampicarsi sui rami più fragili e continuò la raccolta dove poteva arrivare senza rischiare cadute. Poi però un pensiero si fece largo nella sua mente. Per arrivare in alto poteva utilizzare la leggerissima scala se avesse trovato il modo di poggiarla sui rami su cui era adesso. Era rischioso ma volle provarci lo stesso. Issò la scala e cercò di posizionare i piedi tra due rami che partivano insieme dal tronco centrale. I due rami camminavano orizzontalmente allontanandosi tra loro man mano che si allungavano dal tronco centrale. L’ ultimo piolo della scala doveva essere poggiato su una ramificazione che partiva in verticale da uno dei due rami sulla quale era poggiata la scala. Accorciò la scala estendibile al minimo per fare in modo di non gravare troppo peso su quel ramo che era più fino man mano che saliva. Se avesse avuto una fune di qualche tipo avrebbe cercato di bloccare la scala. La soluzione non lo gratificava. In basso i piedi gommati della scala sembravano far presa sui grossi rami. Ma la superficie d’ appoggio dell’ ultimo piolo in alto sul ramo era tondeggiante, quindi il contatto era minimo e solamente centrale sul piolo stesso. Lello Jamal avrebbe dovuto salire perfettamente bilanciato al centro per non far spostare la scala di lato. Era titubante, ma volle tentare. Saliva con le gambe che gli tremavano. Ai suoi lati aveva due rami che salivano insieme a quello d’ appoggio e che partivano da altri due rami principali. L’ avvicinarsi alle ciliegie lo spinse a continuare la sua ascesa nonostante l’ adrenalina crescesse. Arrivò a destinazione con i muscoli delle cosce che gli dolevano per lo sforzo nel mantenere l’ equilibrio. Era sul
terzultimo piolo. Si fermò, agganciò il cesto e cominciò ad allungarsi verso l’ alto. Coglieva con la mano destra mentre con la sinistra si reggeva al ramo vicino. Il ramo d’ appoggio dondolava ad ogni soffio di vento. Lello Jamal non si sentiva per nulla a suo agio. E quando spostò il suo bilanciamento lateralmente a destra per raggiungere un gruppo di ciliegie, la scala perse il suo appoggio dal basso. La stessa si bloccò immediatamente sull’ intersezione dei due rami ma Lello perse comunque l’ equilibrio. Col riflesso di un leopardo si agganciò con le mani a due rami che aveva immediatamente a disposizione. Un piede era sulla scala, l’ altro appuntato su un piccolo ramoscello che partiva dal ramo con cui si reggeva con la mano destra. Non era caduto per miracolo. Per ora. Ma era in una posizione scomodissima e innaturale. Era fermo e saldo sulle mani ma sui piedi era in una situazione molto precaria. Il problema adesso era scendere, possibilmente non con un salto di sette metri. La scala era sull’ albero ma non era praticabile vista la posizione. Lello Jamal si mantenne calmo. Quindi fece tre respiri profondi per annullare l’ effetto dell’ adrenalina e cominciò a calarsi facendo forza sulle braccia e sulle gambe. Tolse il piede sinistro dalla scala e cominciò a scendere lentamente. Strusciava i piedi in modo da rallentare la discesa mentre si scorticava i palmi delle mani. Man mano che scendeva i rami si accostavano tra loro e la sua posizione iniziale a gambe divaricate diventava più comoda. Arrivò sano e salvo al centro del tronco principale. L’ aveva scampata. La sua santa protettrice madre Dea bendata lo aveva soccorso tirandolo giù dal ramo come mamma gatto farebbe con il suo cucciolo. Non ci avrebbe riprovato. Aveva avuto la sua razione di fortuna quotidiana. Poteva bastare. Si sarebbe accontentato delle ciliegie meno belle ma anche meno insidiose. Si tranquillizzò e riprese a cogliere. La raccolta lo rilassava ma nel contempo era concentrato nel non far cadere le ciliegie. Improvvisamente il gesto ripetitivo di staccarle e posarle nel cestino fu interrotto dal rumore di un’ auto che procedeva nel terreno. Dal rombo sembrava un’ auto di grossa cilindrata. In effetti si trattava di un grosso SUV. Lello Jamal rimase interdetto ad osservare l’ avvicinarsi del mezzo. Poteva essere Carmelo accompagnato da non si sa chi. Strano che l’ auto non venisse dalla parte del casale. Evidentemente c’ era un’ altra entrata intorno al recinto del grande terreno. Però Carmelo non sapeva che lui sarebbe andato oggi al terreno perché Lello Jamal non lo aveva avvisato. Che avesse portato qualcuno a cogliere le ciliegie? Lo avrebbe saputo subito. Il SUV, che Lello Jamal notò avere i vetri oscurati, fece manovra e si fermò col posteriore rivolto all’ albero su cui era lui, a cinque-‐sei metri dal tronco. Cambiò posizione sul ramo, rivolgendo il volto verso l’ auto pronto a richiamare l’ attenzione di Carmelo. Dall’ auto non scese Carmelo. Dall’ interno ne uscirono due figure, due uomini. Uno sulla trentina, corporatura massiccia, pancia prominente. Il secondo sembrava più giovane, più snello, ma comunque dal fisico atletico. Entrambi indossavano una giacca di pelle nera su blue jeans. I due, del tutto sconosciuti, con occhiali da sole scuri e barba incolta, andarono verso il bagagliaio del SUV. Ne tirarono fuori due picconi, due pale e due vanghe. Chi erano? Conoscenti di Carmelo? Che erano venuti a fare? I due cominciarono a scavare una buca. Prima usando la vanga, poi con la pala. Agivano in fretta e con energia, come se avessero fretta. L’ occhio di Lello Jamal in parte seguiva i loro movimenti, in parte si posava sul bagagliaio aperto del SUV. All’ interno c’ erano due sacchi di iuta pieni. Qualcosa si muoveva in uno dei due sacchi. Nell’ altro il contenuto era immobile. Lello Jamal non capiva, o meglio, non voleva intendere il peggio, lasciando le ipotesi peggiori infondo alle possibilità che la situazione comprendeva. Nel sacco che si muoveva sperava ci fosse un’ animale. Nell’ altro qualcosa che non fosse un essere vivente. Doveva essere così ma l’ istinto gli suggerì di rimanere fermo e di non rivolgere la parola ai due individui. Cominciò a sudare. La tensione per lo sforzo di rimanere in una posizione scomoda si sommava all’ agitazione derivante dalla scena a cui assisteva. Dopo dieci interminabili minuti i due terminarono la buca. O la fossa. Era delle dimensioni di un’ essere umano, o di un grande cane per quanto Lello Jamal s’ illudeva
che fosse quello il contenuto del sacco animato. I due riposero gli strumenti nel bagagliaio e si accinsero a tirare giù il sacco vivente. Lello Jamal era teso come Jean Cloude Van Damme quando veniva tirato dalle funi nel film “Kick boxer, il nuovo guerriero”. Il più giovane aprì il sacco. Ne uscì fuori quello che Lello Jamal temeva. Un uomo reso cieco da una benda e ammutolito da un nastro adesivo. Forse sulla sessantina, calvo, vestito con una giacca, una camicia e pantaloni di cotone. L’ altezza non era facile da decifrare per Lello Jamal vista la sua posizione. La fossa però era sicuramente ampia per accoglierlo. Lo sbendarono ma non gli tolsero il nastro. Uno dei due aveva una pistola che teneva in una fondina sul lato destro del corpo. Ormai era evidente ciò che stava per accadere. Lello Jamal sentì crescere la tensione. Non voleva vedere ma al contempo non poteva girarsi perché doveva restare in quella posizione. Non doveva muovere assolutamente un solo muscolo. Nessuno dei tre lo aveva visto. Ringraziò se stesso per aver deciso d’ indossare dei pantaloni mimetici. Immediatamente dopo si maledì per la scelta di una t-‐shirt bianca. Ma di certo i tre non potevano aspettarsi che tra gli alberi ci fosse qualcuno che stesse appollaiato a raccogliere ciliegie. Proprio quel giorno, proprio in quel momento della giornata. D’ altronde nessuno sapeva che era li. La moto non l’ avevano vista perché non erano passati per il casale. Distolto il pensiero sulla sua mimetizzazione, Lello Jamal tornò a pensare alla situazione. Quell’ uomo stava per morire e lui non poteva aiutarlo. Qualsiasi cosa avrebbe tentato di fare, qualsiasi decisione avesse attuato, avrebbe rischiato di morire anche lui. In mente gli si sovrapponevano le più disparate ipotesi. Le possibili mosse, in una scala del tutto personale di fattibilità, partivano dalla stupidaggine fino ad arrivare all’ inutile, passando per l’ impossibile e il temerario. Lello Jamal in pratica non aveva soluzioni ottimali. E ciò significava che dire che non ne aveva nessuna. Gli venne in mente di tirare il cesto pieno di ciliegie in testa all’ uomo che teneva la pistola. Se la mira fosse stata buona probabilmente lo avrebbe steso. Ma con l’ altro come si sarebbe messa? Non poteva balzare giù dall’ albero, in un salto di quasi cinque metri, senza considerare l’ ipotesi che si sarebbe potuto rompere l’ osso del collo. Lello Jamal non era Walker Texas Ranger o Steven Segal che nei telefilm mettono K.O. i cattivoni con le loro evoluzioni marziali. Lello Jamal non era un supereroe. Non era Superman, Spiderman o Batman. I supereroi avevano i superpoteri e, soprattutto, avevano coraggio. Invece lui se la stava facendo sotto dalla paura. Non era la stessa matrice di paura che aveva provato prima sulla scala. Era un’ altro tipo di paura che non aveva mai provato. Sulla scala era rimasto lucido e consapevole di se stesso. Sapeva cosa doveva fare per tirarsi fuori dal guaio e attuò la soluzione che gli sembrò più giusta. Quest’ altro tipo di paura era derivante dall’ angoscia. Dal fatto che la coscienza lo incitava a fare qualcosa, ma la paura ne bloccava i gesti impedendo una valutazione sensata sul da farsi. In pratica, Lello Jamal era nel panico. La sua mente era inerme. Come se gli ingranaggi che muovevano i suoi pensieri fossero incastrati tra di loro da una spessa lamina fatta di terrore misto al fremito dell’ attesa che tutto finisse. La situazione ricordava a Lello Jamal quelle volte che giocava a Taboo. Quando era lui a dover far indovinare la parola al compagno, andava nel pallone nel vedere il tempo che scorreva inesorabile. La sua mente si contorceva alla ricerca delle parole giuste, ma il risultato era che ne veniva fuori un groviglio di mezze frasi che non finalizzavano un concetto. Allora passava alla parola successiva, poi all’ altra e all’ altra ancora. Alla fine, lui e il compagno, non avevano totalizzato neanche un punto. Ora nella clessidra stavano precipitando gli ultimi granelli e Lello Jamal, come a taboo, non trovava il modo di uscirne fuori. Non riusciva a prevedere cosa potesse comportare un suo qualsiasi gesto. Alla fine concluse che non poteva farci nulla. Giustificò questa sua sentenza, che gli sembrava quantomeno vigliacca, con l’ idea che non doveva chiedere troppo alla sorte. Nella vita aveva provato sulla sua pelle che non si poteva perseverare con la magnanimità della Dea bendata.
Anche se lei verso di lui era un’ amante sempre disponibile. Aveva già avuto le sue attenzioni nell’ irriverente azzardo della scala. Non era il caso di stuzzicare di nuovo la propria buona stella. Il proverbio recita che la fortuna va aiutata. Lui l’ avrebbe indispettita. Decise di non fare nulla. Di non decidere. Anche questo è un modo per richiamare l’ attenzione della Dea bendata. Come quando non mandi la formazione al fantacalcio ma vinci lo stesso. Accorgendoti poi che se la formazione la mandavi avresti perso. Così Lello Jamal restò sospeso su quel ramo nella totale immobilità. Era invisibile come l’ insetto stecco. Lui era su quell’ albero ma in realtà non c’ era. L’ attesa gli sembrò interminabile. E fisicamente insopportabile. Aveva poca circolazione di sangue al piede sinistro tanto che sentiva le tipiche formiche punzecchiargli la pianta. Sudava come Zinedine Zidane durante la finale del campionato del mondo del 2006. Come il francese, che lasciò la sindone del suo volto sulla casacca di Materazzi, Lello Jamal desiderava lasciare la sua su un fazzolettino di carta. Una goccia di sudore gli colò nell’ occhio destro facendolo bruciare. Desiderava solo che tutto finisse. Ovviamente non in quel modo, ma ormai aveva deciso che non sarebbe stato lui il salvatore della malcapitata vittima. E non sapeva neanche quello che avrebbe fatto dopo lo sparo. Ci avrebbe pensato a tempo debito. Il momento era arrivato. Uno dei due fece un cenno all’ altro. L’ altro tirò fuori la pistola dalla fondina. L’ alzò con movimento lento, tanto lento. Lello Jamal chiuse gli occhi in attesa. Quattro metri più in basso si stava consumando una tragedia che non voleva gli rimanesse impressa nella memoria. Erano esattamente sotto di lui. Se Lello Jamal si fosse sporto in avanti con la testa, le sue gocce di sudore sarebbero cadute sulle loro teste. La vittima respirava affannosamente. L’ improvviso silenzio dell’ attesa lo aveva convinto che l’ inevitabile stava per accadere. Gli stavano per far saltare le cervella. Ora era immobile, rassegnato. Poi il silenzio fu improvvisamente rotto da una musica, da una melodia. Un bolero riecheggiò nell’ aria. Sembrava la colonna sonora di un thriller nel momento topico del film, in cui cresce la tensione e la musica di sottofondo contribuisce ad alimentarla. Un thriller alla Tarantino, vista la scelta della musica non certo usuale per la situazione. I due sicari si guardarono in faccia confusi. “E’ il tuo?” Chiese uno. “No” rispose l’ altro. Guardarono per un’ attimo la vittima. “No, non è il suo” disse uno. “Sta in macchina nel cassettino ed è spento.” Il cellulare che suonava era quello di Lello Jamal. Era nei guai. Mentre i due sicari si guardavano intorno per capire l’ origine e la direzione della sinfonia, Lello Jamal con movimento repentino quanto goffo cercò la tasca per spengere quel maledetto cellulare. Fece un movimento in avanti per distendere la gamba destra in modo da poter infilare la mano in tasca. Mentre si sporgeva in avanti, spostando il peso del corpo sul braccio sinistro, si sentì il netto crack del ramo. Successe tutto in un’ attimo. Appena i due sicari alzarono la testa, Lello Jamal venne giù con tutto il ramo. Mentre era in caduta libera istintivamente protese le braccia in avanti. L’ impatto fu come se l’ era immaginato. Doloroso il giusto. Logico e coerente. Dove aveva urtato aveva dolore. Cadde a faccia in giù. Aveva visto avvicinarsi progressivamente la nuca di uno dei due malviventi e, nonostante con le braccia protese in avanti avesse limitato l’ entità dell’ impatto, con la fronte aveva urtato con forza il cranio dell’ uomo. Era a terra immobile, con Ravel che continuava a suonare il bolero. La vista gli si annebbiò immediatamente. Sapeva che stava per svenire. Poi improvvisamente l’ effetto nebbia svanì. L’ adrenalina lo scosse. Le sue ghiandole surrenali quel giorno avevano fatto gli straordinari. Si rotolò su un fianco mentre si teneva la testa. Non era nelle sue piene facoltà mentali ma era abbastanza cosciente per capire che era ancora in pericolo. In quel momento
era letteralmente con un piede nella fossa perché una gamba gli penzolava dentro la buca. Riprese rapidamente lucidità. Prima fece un veloce check up sul suo corpo. Il colpo in testa gli causò un bernoccolo sulla fronte grande come una mezza albicocca. Gli faceva male anche un ginocchio. Poi si alzò in piedi e si guardò intorno per capire in che situazione si trovasse e quali fossero i nuovi sviluppi. Anche questa volta ebbe fortuna. Era andata meglio di ogni previsione perché i due malviventi erano entrambi riversi a terra privi di sensi. Era precipitato su uno di loro, quello più panciuto, che involontariamente aveva steso con una testata. La stazza dell’ uomo aveva attutito la caduta e per questo non ebbe ripercussioni ne sulla gabbia toracica ne sulla spina dorsale. Gli era andata di lusso. Non sapeva dare motivazione al dolore al ginocchio ma ipotizzò che nella colluttazione l’ arto gli fosse stato utile per mettere K.O. l’ altro sicario. Il sequestrato intanto era in piedi nella fossa che mugolava. Tremava come una foglia e guardava Lello Jamal con espressione terrorizzata. Gli occhi imploranti lo fissavano. Lello Jamal temeva di aver accoppato i sicari, quindi si preoccupò immediatamente di sentire il polso dei due. Era presente. Ora doveva prendere delle decisioni e in fretta. Alzò lo sguardo verso la vittima designata. Gli strappò via il nastro dalla bocca. L’ uomo respirava affannosamente. Mentre ansimava la vittima gli chiese immediatamente chi era. Forse, dal suo punto di vista, non considerava casuale la presenza di Lello Jamal su quell’ albero. Lello era ancora percorso dall’ adrenalina e le parole gli uscirono fuori come se la sua fosse la bocca di un balbuziente. Con atteggiamento sulla difensiva si presentò come uno qualsiasi che stava cogliendo le ciliegie dall’ albero del un suo amico contadino. Si guardarono per un secondo. L’ uomo probabilmente stava valutando se credergli. Quindi disse: “Beh, lei mi ha salvato la vita.” Lello Jamal annuì dicendo che era stato un colpo di fortuna che entrambi fossero vivi. Non chiese al suo interlocutore ne il suo nome, ne chi fosse, ne del perché quei due lo stavano per uccidere. Non aveva il coraggio di farlo. Non voleva sapere. Lello Jamal voleva solo sparire e possibilmente dimenticare di essere stato presente in quel posto. La domanda gli venne spontanea. “Ora che facciamo?” E mentre attendeva la risposta si rese conto che aveva anticipato l’ altro di una frazione di secondo. Lello Jamal non voleva toccare i due sicari. Non voleva lasciare tracce di se. Non aspettò la risposta dell’ altro che sembrava essersi preso una pausa per riflettere. Prima di mettere in atto qualsiasi decisione disse all’ altro che voleva solo andarsene e dimenticare il tutto. E soprattutto che l’ episodio non portasse conseguenze negative su di lui. Lello Jamal gli sciolse braccia e gambe. Quindi si mossero. Decisero di imbavagliare e bendare i due. Su uno dei due uomini usarono la stessa benda e lo stesso nastro usati per la vittima. Per l’ altro utilizzarono i calzini del condannato a morte che fungevano uno da benda e l’ altro da morso. Legarono braccia e caviglie di uno dei due usando le piccole funi che prima immobilizzavano il politico. L’ altro lo immobilizzarono con le loro cinture dei pantaloni. Che avrebbero fatto ora? L’ uomo intanto decise di presentarsi. Disse che era un politico, influente. Diede più peso del dovuto all’ aggettivo “influente”. Probabilmente per porsi in una posizione di vantaggio su Lello Jamal. O anche per riguadagnare l’ immagine e il rispetto che la situazione gli aveva tolto. E per questa sua posizione era costantemente minacciato. Dopo un paio d’ avvertimenti erano passati ai fatti. Doveva sparire e disse che quella buca sarebbe stato il suo letto per l’ eternità se non fosse stato per Lello Jamal. Poi prese la sua decisione. Disse che avrebbe fatto delle telefonate prima di decidere cosa farne dei due. Disse che doveva essere consigliato da delle persone che avrebbero preso la decisione migliore. Lello Jamal gli ribadì che non voleva essere coinvolto. L’ uomo recuperò il suo cellulare dall’ interno del SUV e telefonò. Aveva
preso in mano la situazione. Con incredibile calma stava spiegando a qualcuno l’ accaduto. Poi cominciò ad annuire ad intervalli regolari. Probabilmente dall’ altro capo stava ricevendo istruzioni sul da farsi. Lello Jamal attendeva impaziente. I due criminali continuavano ad essere assenti. Quando l’ uomo riagganciò sembrò avere le idee chiare. Senza dare spiegazioni a Lello Jamal gli disse di aiutarlo a caricare i due in macchina. Lello Jamal era titubante. Non voleva rendersi complice di nulla, buone o cattive che fossero le intenzioni del politico. Intutita la sua riluttanza l’ uomo provvide a rassicurarlo dicendogli che di Lello Jamal non ci sarebbero state tracce. Che nessuno lo avrebbe riconosciuto o avrebbe saputo di lui. Aveva la sua parola d’ onore. Lello Jamal era tormentato dai dubbi. Non sapeva se fidarsi, ma prese coscienza che realmente non aveva altra scelta. Certo, poteva fuggire, ma poi non avrebbe avuto comunque garanzie su come il politico avrebbe agito. Una sua fuga poteva mettergli dubbi su Lello Jamal. Se lui non si fidava dell’ uomo, di certo anche anche l’ altro poteva nutrire dei dubbi. Di certo aveva i mezzi per rintracciarlo. Rimanere ad aiutarlo gli sembrò la decisione giusta. Caricarono i due nel bagagliaio del SUV. Lo sguardo gli tornò sull’ altro involucro. Cosa c’ era nel suo interno? Il politico, forse vedendo il suo sguardo posarsi sul sacco, gli lesse nel pensiero. Disse che nell’ altro sacco c’ era un cane morto. I sicari avrebbero certamente collocato il sacco con la povera bestia in cima alla buca, mentre sotto ci sarebbe stato il suo sudario di iuta. Magari i due involucri sarebbero stati distanziati da uno strato di terra. Se qualcuno avesse notato la terra rimossa, e gli fosse venuto in mente di scavare intuendo che ci fosse seppellito qualcosa, avrebbe constatato solo la presenza del cane. Una precauzione in più nel caso Carmelo avesse deciso a breve d’ addentrarsi nel suo terreno e avesse notato la terra rimossa. Ricoprirono la buca, caricarono gli strumenti sul SUV e cercarono di rendere la zona quanto più simile a prima. Lello Jamal cancellò ogni sua traccia. Sembravano loro i criminali. Le sue orme e quelle del politico sulla terra rimossa sparirono. Salì sull’ albero e recuperò i cestini. L’ uomo prese in mano la pistola con il lembo della camicia per non lasciare impronte. Poi la poggiò in macchina spingendola sotto al sedile con il piede. Finito il tutto il politico guardò Lello Jamal negli occhi. “Chiedimi ciò che vuoi” gli disse, “ti devo la vita.” Lello Jamal gli disse che gli bastava non essere immischiato nella faccenda. Il politico lo rassicurò di nuovo. Ma gli ripetè che voleva fare qualcosa per lui. Gli chiese che lavoro faceva, se aveva una casa, se aveva bisogno di qualcosa insomma. Lello Jamal gli disse che non voleva approfittare della situazione. Il politico insistette dicendogli che un regalo glielo doveva e comunque glielo avrebbe fatto. Quindi, come il genio della lampada, gli conveniva esprimere un desiderio che lui avrebbe esaudito. Poi disse: “Noi due siamo uguali. Lo so riconoscere un mio simile.” Lello Jamal era interdetto e lo guardò con sguardo confuso. “Ti ho riconosciuto, tu come me sei un eletto della Dea bendata. Poi fece una breve pausa per dare il tempo a Lello Jamal d’ assimilare quella frase. “Non so se ti rendi conto dell’ enorme fortuna che abbiamo avuto entrambi. O forse non te ne rendi conto perché per te è del tutto normale che sia finita così. Sei abituato al fatto che le situazioni ambigue finiscano sempre con un lieto fine.” Lello Jamal non rispose. Voleva capire dove intendesse arrivare il politico. “Anche a me nei momenti importanti è sempre andata bene nella vita. Sono certo che tu ed io abbiamo avuto la stessa guida. E’ soprattutto per questo voglio ricompensarti. Perché quelli come noi escono sempre vincenti dalle situazioni difficili. Per me ricompensarti è come dare il premio nobel per la pace a madre Teresa di Calcutta. Insomma pensaci, quante possibilità c’ erano che tu fossi su quell’ albero proprio sotto di noi, che il ramo si spezzasse e che mettessi K.O. quei due. Sei indubbiamente un regalo, ed io so chi ti ha recapitato. Ti ripeto, io sono stato sempre fortunato nella vita e ormai i segni della sorte li riconosco. E riconosco i miei simili.
Sai, non ce ne sono molti in giro come noi. Tu sei come me, e noi siamo dei vincenti, è questo che devi capire. E i vincenti non rifiutano i regali”. Ora Lello Jamal guardava il politico fisso negli occhi annuendo. Ora aveva capito. Non doveva andare contro le decisioni della sorte. Le parole del politico lo convinsero. Attese un attimo per riflettere, poi ebbe il lampo. Non si espresse subito, mostrando titubanza, perché gli sembrava comunque disonesto approfittare della situazione. Ma poi si disse che questa era la sua occasione e non doveva sciuparla. Il politico sembrava sinceramente grato per quello che aveva fatto. La sua era quasi ammirazione per un suo simile e voleva ricompensarlo. Che c’ era di male? Se insisteva tanto evidentemente aveva le possibilità di esaudire un suo desiderio, qualsiasi esso fosse. Inoltre non aveva la sensazione di sentirsi in pericolo. Il politico sembrava sincero quando gli aveva garantito l’ anonimato. Se lo sentiva e sentiva che questo era un’ altro regalo della Dea bendata. Il politico aveva ragione. Quelli come loro ricevevano periodicamente dei regali, e sarebbe stato offensivo nei confronti della loro benefattrice non accettarli. Allora ruppe ogni indugio. “Ho dei soldi da investire” disse. “Diciamo, parecchi soldi. Vorrei intraprendere un’ attività nell’ edilizia. Vorrei cominciare a costruire ma ho paura che possa perdere molti soldi. Non ho esperienza e non ho conoscenti o amici nel settore che mi possano indirizzare o consigliare. E ho paura che questi miei investimenti siano, diciamo, notati da persone con l’ occhio lungo e la mira buona. Non so se mi spiego.” “Non devi preoccuparti”, rispose il politico, “posso aiutarti io. Così avrò modo di sdebitarmi. Te lo devo.” E fece segnare a Lello Jamal il suo numero di telefono sul suo cellulare. “Poi mi dirai anche il tuo nome disse il politico.” Lello Jamal si avvicinò e gli sussurrò il suo nome all’ orecchio indicando i due criminali. Non voleva correre il rischio che magari uno dei due si fosse ripreso proprio in quel momento e avesse potuto sentire il suo nome. Il politico annuì. “Ora vai” disse. “Stanno arrivando delle persone che mi consiglieranno cosa fare con questi due”. Lello Jamal aveva paura di chiedergli cosa ne sarebbe stato di loro e quindi non lo fece. L’ espressione sul suo viso, evidentemente, fu di nuovo di facile lettura. “Non li uccideremo se è quello che pensi” disse il politico. La criminalità non si sconfigge usando le stesse armi. Ci servono un po’ d’ informazioni da loro. Ci sono d’ aiuto più da vivi che da morti”. Lello Jamal annuì. Poi si congedò dal politico avviandosi verso il casale. Prima raccolse la scala, che era caduta anch’ essa dall’ albero all’ incirca due metri più in la. Poi prese i cesti e il ramo spezzato. Di lui non c’ era più traccia e non ce ne sarebbe stata anche in futuro. Ne era certo. Mentre s’ incamminava verso la moto prese il cellulare dalla tasca per vedere chi avesse suonato il bolero. Identità nascosta. Ovvio. Lei non la puoi trovare sull’ elenco telefonico. Non ha indirizzo, ne un cellulare. Non la devi cercare, è lei che ti trova. E che ti bacia quando meno te l’ aspetti. Da quel giorno la sua strada divenne in discesa. Così Lello Jamal uscì allo scoperto dichiarando la sua vincita. Sistemò prima i familiari più stretti e poi anche quelli meno stretti tanto che nella sua vecchia casa si cominciava stare veramente troppo stretti. Ma era giusto così. Poi toccò agli amici. Tolse dai guai qualcuno di loro che se la passava male e a tutti gli altri fece un regalo. Poi, finalmente, Lello Jamal potè intraprese la sua attività di costruttore. Mi disse che il politico aveva mantenuto la promessa e così lui potè tuffarsi nel ramo dell’ edilizia senza paura che questo ramo si spezzasse. Lui non chiedeva nulla. Non voleva favori o raccomandazioni. Semplicemente chiedeva la possibilità di mettere in gioco le sue doti. Solo
questo voleva e solo questo ottenne dal politico. E di doti ne aveva molte. Lello Jamal ci sapeva fare. Era abile negli affari e stava attento al suo capitale. Sapeva parlare con la gente. Era affabile con tutti ma deciso quando occorreva. Era accorto e guardingo. Sapeva fiutare le fregature mascherate da buone opportunità. Certamente non fu tutto semplice. Non aveva esperienza e ciò, inizialmente, lo portò a perdere dei soldi. Per i primi sei mesi fu aiutato ad inserirsi nell’ ambiente da persone esperte che il politico gli aveva messo a disposizione. Ma quando cominciò ad andare con le sue gambe incappò in un paio d’ affari che si rivelarono fiaschi. Ma Lello Jamal imparava in fretta ed aveva dalla sua parte un’ affabilità ed un modo di porsi che conquistava tutti. Capì come funzionavano le cose. E poi c’ era sempre la Dea bendata. Lei non l’ avrebbe mai tradito. Lello Jamal spesso aveva vinto gare d’ appalto per poche decine di euro. La Dea bendata accendeva sempre di più il suo intuito. Sempre più spesso sceglieva gli affari migliori mollando al contempo quelli meno redditizi o addirittura fallimentari. Nel 2012 la sua società prese il volo. In due anni Lello Jamal divenne uno dei più famosi costruttori di Napoli e provincia. Lello Jamal era un vincente. Ascoltai in silenzio quell’ incredibile storia. A volte annuendo, a volte concedendomi commenti increduli. Era la storia di Lello Jamal. Era la storia di una stella che non si sarebbe mai spenta. “Io non ho mai conosciuto uno con una fortuna come la tua” dissi alla fine della storia. Lello Jamal sorrise. “Vedi Mistèr, io nun lo saccio perché è toccato a me. E’ nu dono. Come l’ arte o come chi tiene il piede sinistro di Maradona.” Annuii. “Però Mistèr, so sincero, io non avevo bisogno di tutti sti sord. Io ero felice anche prima. Nun tenevo tutti sti sord, ma tenevo tutto, perché la mia ricchezz sta tutta lì Mistèr”. Lello Jamal indicò il mobile con sopra le foto della sua famiglia. Annuii. Tutti sta gent a o’ bar, so tutti amici acquisiti. Sò solo cumpars. A chill interess solo i numeri. Però per me nun so nient. Me fanno scena. Fanno parte della mia immagine e basta. I miei amici so altr, so chill ca nun me chiedono nient. E’ accussì pure per Carmen e Ramona. Chille vonn i sord e basta. Ma a me nu me ne futt nient. L’ unica vera amante che tiengo è la Dea bendata. L’ unica che na muglier potiss tollerà. I sord so pe la famiglia e stop. Chill conta e basta. O’ rest è tutta immagin.” In pratica Lello Jamal voleva farmi capire che tra tanti anelli che portava c’ era anche una fede e per lui quell’ anello aveva un valore inestimabile non paragonabile a tutto l’ oro del quale era ricoperto. Annuii ancora. Lello Jamal poteva bluffare, ma non so perché gli volli credere. Infondo era un ragazzo come tutti gli altri a cui era capitata una delle cose più ambite dagli esseri umani. Ma Lello Jamal sembrava convivere bene con i suoi super poteri. Lello Jamal probabilmente si riteneva come un supereroe ma senza il costume, e quindi senza la responsabilità di dover intervenire sempre e comunque in soccorso di tutti. Per Lello il compito difficile stava nel capire chi davvero aveva bisogno di lui e chi invece se ne voleva approfittare. Però gli dissi scherzando “se Carmen e Ramona un giorno diventeranno ricche grazie ai tuoi numeri e avranno bisogno di un’ uomo immagine ricordati di me Lello” Ah ah ah. Abbandonammo il discorso spostandoci su argomenti più leggeri. Parlammo veramente di tutto. Se Lello Jamal in mezzo agli altri era un trascinatore, nell’ uno contro uno era a tratti ubriacante tanto che avrei preferito altri dieci aperitivi al bar della fortuna alle ore di chiacchiere che facemmo insieme. Non sputava mai. Lello Jamal l’ istrionico. Rafforzava il suo linguaggio colorito con espressioni del viso e gesti tesi a creare affabilità con l’ interlocutore. E ancora, gesticolava e ti dava pacche sulle spalle, rideva con gusto sulle sue stesse battute.
Alternava italiano a napoletano. A volte dovevo farmi ripetere delle frasi perché non capivo alcune parole. Ma era comunque una compagnia gradevole. Via via che parlavo con Lello Jamal mi trovavo sempre più a mio agio. Indubbiamente era una persona che sapeva farti sentire a casa. Diventai logorroico anche io. Gli parlai del raduno. Di quanto ci eravamo diverti e delle attività che si svolgevano. Dal poker al subbuteo, dal beach volley al torneo di calcetto. Del mare e della spiaggia. Gli parlai delle immancabili cene. Delle premiazioni. Dei sorteggi. Gli raccontai aneddoti e situazioni divertenti. Di come sia piacevole sedersi a tavola con amici con i quali altrimenti parleresti solo tramite forum. Insomma, si respirava a pieni polmoni calcio, fantacalcio, Lega Forum. Poi ci spostammo su altri argomenti tra i quali il calcio e il fantacalcio ovviamente. Il tempo volò tra discorsi di vita quotidiana e aneddoti vari della nostra esistenza.
PARTENZA Si erano fatte le 17. Stavolta era davvero ora di andare. Lello Jamal mi accompagnò alla 500. Lo salutai con la promessa che la prossima volta ci saremmo visti ad Alba Adriatica o a Roma se per caso fosse passato da quelle parti. Lo ringraziai per la splendida ospitalità e per la gradevole compagnia. “Ciao Lello, stamme bbene. Ahò, ogni volta che vedrò una foto del cratere del Vesuvio mi verrà in mente la tua fortuna ah aha ah”. Quindi misi in moto e m’ avviai con calma verso l’ autostrada. Mi attendevano almeno tre ore di viaggio alla velocità di 100 km orari. Fortunatamente la testa non mi girava più e comunque era troppo concentrata a ripensare alle ore di quella giornata per darmi delle noie. Ero sereno. I miei occhiali da sole ora erano ben saldi sul naso. Alla fine Lello Jamal mi aveva conquistato e mi accorsi che non provavo più invidia per lui. Dopo quello a cui avevo assistito in questa incredibile giornata, la mia invidia si era ormai trasformata in pura rassegnazione. Come essere innamorati della donna di un’ altro ma non avere nessuna speranza perché lei ha occhi solo per l’ antagonista. E quando si prende coscienza di come i due stiano bene insieme, che sono fatti l’ uno per l’ altra, che nessuno potrà mai separarli perché sono fatti per stare insieme, allora non si può che mettere da parte la propria bramosia ed augurare il meglio per loro. E poi, come poteva Lello Jamal essere antipatico dopo quella giornata? Mentalmente gli augurai ogni bene liberando così la mia anima dall’ invidia. Ero all’ altezza di Frosinone quando la vescica cominciò a suggerirmi una sosta. Erano evidentemente i rimasugli dei tanti liquidi che avevo tracannato. Mi fermai all’a autogrill e corsi al bagno. Espletai le mie necessità fisiologiche, presi un caffè e tornai verso la 500. Mentre stavo aprendo la portiera con la chiave notai qualcosa sul sedile posteriore. Insieme al cartone delle sfogliatelle c’ era un foglio. Entrai e mi affacciai sul sedile posteriore. No, non era un foglio. Era un gratta e vinci da cinque euro. Quel disgraziato di Lello Jamal me lo doveva aver ficcato in auto mentre ci salutavamo. Bene pensai, mettiamo alla prova l’ amuleto Lello Jamal. Vediamo se funziona anche con uno sfigato come me. Mi misi a sedere su sedile di guida, presi una moneta da 50 centesimi dal portamonete sotto il cambio e con scetticismo cominciai a grattare. Era un gratta e vinci “il miliardario”. Prima scoprii tutti i numeri in basso. Poi cominciai a grattare “i miei numeri”. Se uno o più numeri corrispondevano a quelli in basso vincevo il
premio corrispondente. Primo numero 32. Niente, sotto ci sono 33 e 34, classico. 25, niente. 12, niente, sotto ci sono 11,13,14. Mi prende per il culo, come sempre. 26, niente. Grattai l’ ultimo dei miei cinque numeri. Non era un numero. I miei occhiali da sole scivolarono di nuovo sulla punta del naso. Scoprii il lingotto d’ oro! Significava che vincevo tutti i premi! Il mio cuore accelerò improvvisamente i suoi battiti. Parlavo da solo. “Mamma mia! Nun me di. Nun me di che è arivato er momento mio”. Cominciai a grattare al di sotto dei numeri dove c’ erano nascoste le cifre corrispondenti. Mentre lo facevo pensavo a Lello Jamal. Mi figurai gli stivali a punta stile cow boy e la camicia hawaiana. Pensai a quale negozio potevo comprarli. Otto premi. “Daje Fabiè prepara i bagagli che se ne annamo alle Bahamas!” esclamai. Grattai il primo con la mano che mi tremava. Cinque euro. Vabbè, andiamo avanti. Secondo premio, cinque euro. Terzo premio, cinque euro. Un pensiero si fece largo nella mia testa. Cominciai a grattare in modo più frenetico. Cinque euro. Cinque euro. Cinque euro. Da primo all’ ottavo cinque euro. No, non poteva essere. Non ci credevo. Avevo la bocca impastata. Deglutii a fatica con la saliva che scese giù come un tocco di cemento secco. Poi feci un sorriso storto scuotendo la testa. Potevo sentire l’ amaro in bocca neanche avessi dimenticato di zuccherare il caffè dell’ autogrill. L’ illusione era svanita. Come un 71,833. A un passo dall’ essere anche io un eletto. Sarebbe stato l’ altro modo di lasciare ogni traccia d’ invidia dalla mia anima. Diventare uno dei pochi amanti della Dea bendata. Ed invece niente, ero stato beffato e deriso ancora una volta. Ma vaffanc… Lello Jamal!