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APRILE 2012 FlashArt 13 DOHA L’EGO DI TAKASHI MURAKAMI Lucy Rees “Ego - Takashi Murakami”, a cura di Massimiliano Gioni — Direttore artistico della prossima Biennale di Venezia —, è una delle più ampie mostre dell’artista giapponese e la sua prima esposizione in Medio Oriente. La retrospettiva ospita set- tanta importanti lavori realizzati a partire dal 1997, oltre a nuove opere influenzate dal terremoto e dallo Tsunami verificatosi in Gip- pone lo scorso anno. Che significato vuoi dare al titolo della mostra? Takashi Murakami: Quando Massimiliano Gioni e io abbiamo cominciato a lavorare al progetto, abbiamo parlato immediatamen- te di titoli. Massimiliano ne ha suggeriti circa venti diversi, ma nessuno di essi era in grado di catturare l’attenzione. Abbiamo continuato a parlarne e sono passati mesi. La mostra doveva essere inizialmente una retro- spettiva con alcuni lavori nuovi: era questa l’unica idea che ave- vamo. Ma poi, due mesi più tardi, Massimiliano mi ha mandato una mail dicendomi: “Cosa ne pensi di ‘Murakami - Ego’?” e io ho pensato “sì, funziona”. Dopo aver deciso il titolo, il concept della mostra è davvero cambiato. La maggior parte degli autoritratti in mostra e la scultura gonfiabile di fronte alla facciata del museo sono state tutte influenzate e sono venute fuori in seguito alla scelta del titolo. In questo modo la mostra si collega a un tempo e a un luogo specifici. Sentivo che questo avrebbe attirato l’atten- zione del pubblico del Qatar. Massimiliano Gioni ha parla- to di una sorta di passaggio dal “superflat” al “soprannaturale”. Puoi parlarci del cambiamento e dell’evoluzione nel tuo lavoro, così evidenti in questa mostra? TM: Quando ho coniato il ter- mine, “superflat” non indicava una connotazione positiva della cultura giapponese, ma piuttosto critica. Dopo la guerra, le gerar- chie sociali si sono maggiormente livellate e tutto è diventato piatto. Certo, abbiamo ottenuto la de- mocrazia, ma c’era una piattezza così rigida che, se qualcuno aves- se cercato di emergere, sarebbe stato riportato alla posizione di partenza; allo stesso modo, se ti trovavi in difficoltà, venivi rial- zato. Era una monotonia strana, innaturale. Da una parte c’era la piattezza sociale, ma poi c’era anche quella di manga e ani- me, la piattezza della storia, il modo in cui vengono create le immagini e la piattezza della pit- tura tradizionale. Massimiliano ha usato il termine “superflat” per parlare del “soprannatura- le” come gioco di parole, ma il “naturale” e il suo lato umano sono davvero stati sempre parte di questa piattezza. È importante rendersi conto di tutto ciò. Per me, la vera origine del “superflat” è stata la strage a opera di Aum Shinrikyo negli anni Novanta. Eventi come questo, avvenuto prima del terremoto dell’anno scorso, hanno represso la cultura del “superflat”. Ora tutte que- ste cose stanno venendo fuori e stanno cambiando. Credo che sia questa la ragione per cui Massi- miliano dice che il mio lavoro sta diventando più umano, dato che l’unicità della cultura giapponese si sta modificando. È diventata più universale. In un certo senso ora è più facile da capire. Cosa pensi del progetto culturale dei musei di Doha e del Qatar? TM: Quando sono venuto a contatto per la prima volta con Sheikha Al Mayassa e suo marito Sheikh Jassim, lui mi ha salutato dicendo “Ciao fratello” — e non lo intendeva in senso americano, perché siamo entrambi asiatici. Poi mi ha chiesto se sapevo che il Qatar ha investito un sacco di soldi in Giappone e che c’è un rapporto molto forte tra i nostri paesi. Ha aggiunto che era molto orgoglioso di avere una mia mo- stra qui, dato che sono stato uno dei primi artisti asiatici ad aver avuto successo nel panorama ar- tistico internazionale. Io credo che l’artista emerga in una cultu- ra quando riflette sul vocabolario culturale locale e su come può essere trasferito in un linguaggio internazionale. Quando ero bam- bino mi hanno portato a vedere una mostra di Goya e guardando le immagini del demone che man- giava il bambino o de La Maya Desnuda, prima che io riflettessi sulla diversità delle culture, ri- masi scioccato e imbarazzato. Mio padre mi regalò un poster da attaccare alla parete. Questa esperienza mi colpì molto. Spero che i bambini possano venire qui e sentire qualcosa di forte, e che in seguito possano riflettere sulla loro cultura e sul modo in cui la cultura va oltre la lingua. Pom & Me, 2009-2010. Fribra al carbonio, acrilico, Corian, 133 x 107 x 90 cm. © Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved. Foto: Chika Okazumi.

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a p r i l e 2 0 1 2 • FlashArt 13

doha

l’ego di takashi MurakaMi Lucy Rees

“Ego - Takashi Murakami”, a cura di Massimiliano Gioni — Direttore artistico della prossima Biennale di Venezia —, è una delle più ampie mostre dell’artista giapponese e la sua prima esposizione in Medio Oriente. La retrospettiva ospita set-tanta importanti lavori realizzati a partire dal 1997, oltre a nuove opere influenzate dal terremoto e dallo Tsunami verificatosi in Gip-pone lo scorso anno.

Che significato vuoi dare al titolo della mostra?Takashi Murakami: Quando Massimiliano Gioni e io abbiamo cominciato a lavorare al progetto, abbiamo parlato immediatamen-te di titoli. Massimiliano ne ha suggeriti circa venti diversi, ma nessuno di essi era in grado di catturare l’attenzione. Abbiamo continuato a parlarne e sono passati mesi. La mostra doveva essere inizialmente una retro-spettiva con alcuni lavori nuovi: era questa l’unica idea che ave-vamo. Ma poi, due mesi più tardi, Massimiliano mi ha mandato una mail dicendomi: “Cosa ne pensi di ‘Murakami - Ego’?” e io ho pensato “sì, funziona”. Dopo aver deciso il titolo, il concept della mostra è davvero cambiato. La maggior parte degli autoritratti in mostra e la scultura gonfiabile di fronte alla facciata del museo sono state tutte influenzate e sono venute fuori in seguito alla scelta del titolo. In questo modo la mostra si collega a un tempo e a un luogo specifici. Sentivo che questo avrebbe attirato l’atten-zione del pubblico del Qatar.

Massimiliano Gioni ha parla-to di una sorta di passaggio dal “superflat” al “soprannaturale”. Puoi parlarci del cambiamento e dell’evoluzione nel tuo lavoro, così evidenti in questa mostra?TM: Quando ho coniato il ter-mine, “superflat” non indicava una connotazione positiva della

cultura giapponese, ma piuttosto critica. Dopo la guerra, le gerar-chie sociali si sono maggiormente livellate e tutto è diventato piatto. Certo, abbiamo ottenuto la de-mocrazia, ma c’era una piattezza così rigida che, se qualcuno aves-se cercato di emergere, sarebbe stato riportato alla posizione di partenza; allo stesso modo, se ti trovavi in difficoltà, venivi rial-zato. Era una monotonia strana, innaturale. Da una parte c’era la piattezza sociale, ma poi c’era anche quella di manga e ani-me, la piattezza della storia, il

modo in cui vengono create le immagini e la piattezza della pit-tura tradizionale. Massimiliano ha usato il termine “superflat” per parlare del “soprannatura-le” come gioco di parole, ma il “naturale” e il suo lato umano sono davvero stati sempre parte di questa piattezza. È importante rendersi conto di tutto ciò. Per me, la vera origine del “superflat” è stata la strage a opera di Aum Shinrikyo negli anni Novanta. Eventi come questo, avvenuto prima del terremoto dell’anno scorso, hanno represso la cultura

del “superflat”. Ora tutte que-ste cose stanno venendo fuori e stanno cambiando. Credo che sia questa la ragione per cui Massi-miliano dice che il mio lavoro sta diventando più umano, dato che l’unicità della cultura giapponese si sta modificando. È diventata più universale. In un certo senso ora è più facile da capire.

Cosa pensi del progetto culturale dei musei di Doha e del Qatar?TM: Quando sono venuto a contatto per la prima volta con Sheikha Al Mayassa e suo marito Sheikh Jassim, lui mi ha salutato dicendo “Ciao fratello” — e non lo intendeva in senso americano, perché siamo entrambi asiatici. Poi mi ha chiesto se sapevo che il Qatar ha investito un sacco di soldi in Giappone e che c’è un rapporto molto forte tra i nostri paesi. Ha aggiunto che era molto orgoglioso di avere una mia mo-stra qui, dato che sono stato uno dei primi artisti asiatici ad aver avuto successo nel panorama ar-tistico internazionale. Io credo che l’artista emerga in una cultu-ra quando riflette sul vocabolario culturale locale e su come può essere trasferito in un linguaggio internazionale. Quando ero bam-bino mi hanno portato a vedere una mostra di Goya e guardando le immagini del demone che man-giava il bambino o de La Maya Desnuda, prima che io riflettessi sulla diversità delle culture, ri-masi scioccato e imbarazzato. Mio padre mi regalò un poster da attaccare alla parete. Questa esperienza mi colpì molto. Spero che i bambini possano venire qui e sentire qualcosa di forte, e che in seguito possano riflettere sulla loro cultura e sul modo in cui la cultura va oltre la lingua.

pom & Me, 2009-2010. Fribra al carbonio, acrilico, Corian, 133 x 107 x 90 cm. © takashi Murakami/kaikai kiki Co., ltd. all rights reserved. Foto: Chika okazumi.

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