Legno vivo [Check-Out 10.2009] - Federico Geremei...giungendo ad elaborare soluzioni incre-dibili...

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70 WIND JET A BUCAREST Collegamenti diretti con Catania, e Forlì e con Palermo (via Forlì) Prenotazioni e informazioni su: www.volawindjet.it

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Ucraina è a un passo, sull’altra riva del fiume Tisa. L’Ungheria è poco lontana. Ma il Maramures – la regione più settentrionale del

paese, estesa come la provincia di Trento – è Romania al cento per cento. Anzi, di più, se fosse possibile. Da queste parti i Daci si sono infatti mischiati in maniera ridotta con le tante genti di passaggio. Più blitz di orde transitorie che processi di lento sincretismo, il risultato è che la gente di questo judetul (distretto) vanta la discendenza più diretta con Decebalo e gli altri eroi nazionali. Ci vogliono otto ore di guida da Bucarest: bisogna lasciare la Valacchia, percorrere tutto il braccio settentrionale dei Carpazi, entrare in Transilvania. “Oltre le selve”, letteralmen-te. È proprio nel verde dolce dei campi o in quello scuro e possente dei boschi che si trova la materia prima – fisica, umana e spirituale – del Maramures Il lemn, legno.

Legno ViVoLe tradizioni del maramures hanno un’anima solidissima.

fatta di legno, vita nei campi e preghiereTesti e foto di federico Geremei

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Steccati, ponti e portali sono ovunque. L’architettura diffusa del Maramures, quella che non ha nome né trova molto spazio sui testi accademici, è espressione di una tradizione raffinata e varia. Non si sa – ed è un piacevole dilemma – se an-dare a caccia di scorci e panorami oppure alla ricerca del dettaglio, cercando di capire dove finisce la venatura dell’albero e inizia la mano dell’intagliatore. I testi (e le brochure) non ignorano però la forma più spettacolare dell’architettura in legno del Maramures. Le biserici (chiese) di legno sono il fiore all’occhiello maggior-mente visibile e sentito di quest’angolo di Romania. Dieci anni fa l’Unesco ne ha individuate otto per farne un sito colletti-vo da aggiungere alla lista del Patrimonio dell’Umanità. La motivazione ufficiale – pomposa e impossibile da leggere tutta d’un fiato – è stata: “Si tratta di straor-

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dinari esempi di architettura popolare lignea, derivante dall’interscambio di tradizioni ortodosse con influenze gotiche all’interno di una specifica interpretazio-ne di tradizioni di costruzioni in legno che mostrano un alto livello di maturità artistica e abilità artigianali”. Arte e artigianato, il piccolo dettaglio e il grande manufatto. A chi viaggia nel Maramures, di villaggio in villaggio, di biserica in biserica càpita di non sapersi orientare tra questi apparenti opposti.

Gli edifici religiosi sembrano dei grandi modellini architettonici, piccole ope-re d’arte in scala gigante. E i fregi, gli intarsi dei portoni, la sagomatura delle tegole non sono solo elementi decorativi. Budesti, Bârsana, Ieud, Desesti, Poienile Izei, Plopis, Rogoz e Surdesti non sono le uniche, nell’area ce ne sono tantissime. Alcune hanno sette secoli di storia, altre pochi decenni. Tutte, però, condividono gli stessi elementi.

Un camposanto sulle pendici di una collina funge da coro scosceso e disordi-nato che avvolge la scena principale, sulla sommità. Qui si staglia l’edificio vero e proprio. Le chiese del Maramures ricorda-no le stavkirker norvegesi ma col “gotico di cellulosa” condividono solo un’impo-stazione molto alla lontana. Le fonda-menta sono costituite da un basamento in assi (solitamente di quercia) che poggia su una piattaforma in pietra, per evitare il contatto diretto con la terra umida.

Nel tempo le tecniche si sono evolute giungendo ad elaborare soluzioni incre-dibili per comporre, incastrare, saldare. Giunti, perni e persino chiodi: tutto di legno. Così da vicino l’edificio sembra un casale. Ma l’occhio corre subito verso l’alto, fa fatica a seguire le geometrie: prima le assi orizzontali, poi le sindrila, tegole spioventi – migliaia, come le squa-me di un pesce – lungo piani inclinati che inseguono la prospettiva della torre.

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Infine il pinnacolo: una guglia affila-tissima, una specie di piramide stirata all’infinto. La testa torna giù, stordita dalle dimensioni e dalle proporzioni. E confusa: com’è possibile che un’opera così azzardata (alcune torri salgono fino a settanta metri), diversa da qualsiasi altra al mondo, paia naturale? Come fanno queste chiese aguzze a sembrare un elemento normale di un paesaggio che abitua, coi suoi innumerevoli pagliai, alle forme tonde? Per capirlo bisogna entrare in quello spazio che l’enorme copertura sembra più schiacciare che proteggere.

E che invece sorprende e rassicura ap-pena si varcano i portoni coi motivi che li ornano (uno su tutti: l’immancabile funia vietii, la corda intrecciata senza fine, simbolo di vita e rinascita). L’ambiente è nettamente diviso in pronao (destinato alle donne) e la zona davanti all’altare (per gli uomini).

Tutto si sviluppa lungo l’asse est-ovest: pochi metri ma due mondi a sé. Anzi tre, perché l’iconostasi chiude il secondo ambiente dalla zona sacra cui accede solo l’autorità religiosa. A proposito, come

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si dice? Popa (sacerdote), preot (prete) o parinte (padre)? In Maramures vanno bene tutti e tre, sinonimi perfettamente interscambiabili per indicare una figura di riferimento, paterna ma non pater-nalistica. Le figure, già: le pareti sono affrescate, ogni centimetro quadrato ospita scene del Vecchio o del Nuovo Testamento. L’iconografia classica della chiesa ortodossa è ossequiata ma con un’impostazione più accessibile. Auto-revole ma non austera. Ecco, è questa la

chiave per comprendere questi manufatti architettonici, per passare dal contenitore al contenuto. In villaggi senza piazze o luoghi di aggregazione è intorno e dentro alla chiesa che ci si trova e ritrova. Vivi e morti, nei giorni tutti uguali e in quelli speciali di festa. Gerarchie secolari e dimensione familiare. L’elemento ligneo diventa molto più che un materiale di costruzione, si fonde con quello umano. Ma niente trascendenza del paesaggio. È spiritualità vera e l’occasione migliore è quella delle messe nei giorni di Pasqua. Il “fenomeno” Maramures si spiega forse con qualche gene degli antichi Daci che s’annida ancora oggi nel dna di Sighetu Marmatiei e dintorni.

La morte come momento non luttuoso ma di rinnovamento, il respiro della co-munità e non il dolore del singolo. Questo rivive oggi nel cosiddetto “cimitero alle-gro” di Sapânta e vive – più discreto ma da sempre – nella simbologia che alterna la fune della vita, il sole pagano, la croce cristiana. Non è forse un caso se anche il

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richiamo alla preghiera non è affidato alle campane – collocate altissime e invisibili, quasi si avesse pudore di usare il ferro – ma ad una percussione con due semplici martelli su un’asse appesa vicino all’edi-ficio. Pochi fronzoli, effetto immediato (e non mediato).

Le settimana clou delle messe speciali inizia col giovedì santo e prosegue anche oltre il giorno di Pasqua. Quella della notte tra il sabato e la domenica, però, ha qualcosa di speciale. Per il significato religioso, certo. E per la liturgia che si fa più vibrante, sottolineandone la solennità.

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Soprattutto, però, la gente si ritrova. Sola di fronte al proprio Dio, eppure insieme. Giovani e anziani, uomini e donne, tutti schierati in settori ben precisi. Senza – di nuovo – che ciò risulti forzato o innatura-le, tutt’altro. Quando ogni candela è stata accesa, dopo che le ultime note hanno risuonato l’alba è ormai vicina. Manca poco all’ennesimo sorgere del sole, non ha senso andare a dormire, fra poco si è di nuovo tutti qui.

Ecco allora che il bianco dei vestiti tradizionali acquista la tonalità propria, gli affreschi raccontano le stesse storie di qualche ora prima ma con un’altra voce. La massa scura della vegetazione non è più uno sfondo indefinito ma faggi, querce e castani. Oppure prati a perdita d’occhio. Pochi posti al mondo riescono a trasmettere una spiritualità così forte in maniera naturale. Un vero patrimonio, vera umanità.

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LIVING WOODMaramures traditions rest

on rock-hard traditions. Made of wood, life in the

fields and prayers

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Text and photos by Federico Geremei

LIVING WOODMaramures traditions rest

on rock-hard traditions. Made of wood, life in the

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Ukraine is a stone throw’s away, on the other bank of river Tisa. Hungary is not far either but Maramures is nevertheless Romania 100%. Here the Dacians did not quite mix with other tribes, people from this judetul (district) show the most straightforward link with Decebalus and the other national heroes. Eight hours is what it takes to reach Maramures from Bu-carest: drive all along the northern section of Carpathian mountain range, then enter Transilvania. “Beyond the forests”, literaly. Be it grass, busehes or trees, green is the “raw material” – physical, human, spiritual – of the region. Wooden fences, portals, bridges everywhere: Maramures’ architec-ture has a valuable artistic traditions. Hard choice: should one look for grat wiews and lanscapes or rather focus on details, trying to figure where nature end and crafts begin? The biserici de lemn (wooden churches) are the most striking and renowned trademark of the area. Unesco has pinponted and added eight of them to the World Heritage List. Official criterion for inclusion: The Maramures wooden churches are outstanding examples of vernacular religious wooden architecture resulting from the interchange of Orthodox religious traditions with Gothic influences in a specific vernacular interpretation of

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timber construction traditions, showing a high level of artistic maturity and craft skills”. Art and articrafts, minor detail and big scale. Such (seeming) opposites undermine a traveller’s sense of orienta-tion in Maramures. Buildings look like big maquettes whereras carvings, friezes and tiles are much more then sheer decora-tions. Budesti, Bârsana, Ieud, Desesti, Poienile Izei, Plopis, Rogoz e Surdesti aren’t the only ones in the area. Some have stood up for centuries, others for decades. They all share the same unique

patterns: a graveyard on the slopes of a hill (almost a furry choir wrapping the major scene on top). Here’s where the building rises towards the sky. The church stands on a bed of oak axes resting on a stone platform, to avoid direct contact with the ground (rich in water). Eyes glaze quickly upwards, vertically, trying to follow lines and curves: horizontal panels, then sindras (wooden tiles) – thousands, they resem-ble fish scales – up to the pinncle. It’s a sharp pyramid, stretched beyond physical constraints. How can such challenging and

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unique masterpieces (some towers reach 70 meters in height) look natural? Inner volumes outline a strict pattern, along a west-east line: the nartex (for the women) leads to the chancel (men only). A tiny space but two worlds apart. Three, in fact: the iconostasis separates it all from the holy area, only accessible by the priest.

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Walls are covered with frescoes host-ing motifs from Old and New Testament. Standard orthodox iconography is revered in keen respect but it feels somehow more accessible then elsewhere. Where villages have no central square and places to gather are not common, the curch is the place to meet, finding one another (and one’s self).

The dead ones and the living, on ordinary days and during special religious festivities. Hierarchies and family molded in centuries: the “Maramures phenomenon” might be explained by those traces of ancient Dacians preserved during ages in Sighetu Marmatiei and around. For them death is not barely mourning, it means renewal as

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Time Table

well. It all lives in the so-called “merry graveyard” of Sapânta and within ancient pagan symbolic and iconic references – like the neverending rope or the sun – side by side with the Christian church.

No wonder that the call for prayer is performed banging wooden hammers on a wooden plate, not by the bell toll. Easter celebrations – the highest peak on a spir-itual scale – set off with Good Thursday and go on past Easter Sunday. It is during the night leading to that day, though, that something special takes place.

The whole community gathers tight, eve-rybody has a special assigned place inside or around the church. Liturgies keep going on, candles lit up and out. When dawn ap-proaches they’re all there again. Traditional costumes look whiter, colors shine better. It all looks the same but different, some-how more proper.

Even frescoes tell the same stories, but a new voice is heard instead. Few places manage to impress in such a natural fash-ion, the extraordinary gets ordinary.

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