L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi...

38
L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il suo ruolo? Indagine qualitativa sulla specificità del ruolo educativo nei laboratori protetti del CARL Studente/essa Kevin Bernasconi Corso di laurea Opzione Lavoro Sociale Educatore Progetto Tesi di Bachelor Luogo e data di consegna Manno, settembre 2015

Transcript of L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi...

Page 1: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

 

 

       

L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il suo ruolo? Indagine qualitativa sulla specificità del ruolo educativo nei laboratori protetti del CARL Studente/essa

Kevin Bernasconi Corso di laurea Opzione

Lavoro Sociale Educatore

Progetto

Tesi di Bachelor

Luogo e data di consegna

Manno, settembre 2015

Page 2: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

2/38  

Un matto, Fabrizio De Andrè, Non al denaro non all'amore né al cielo, 1971 Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole, e la luce del giorno si divide la piazza tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa, e neppure la notte ti lascia da solo: gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro E sì, anche tu andresti a cercare le parole sicure per farti ascoltare: per stupire mezz'ora basta un libro di storia, io cercai di imparare la Treccani a memoria, e dopo maiale, Majakowsky, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto. E senza sapere a chi dovessi la vita in un manicomio io l'ho restituita: qui sulla collina dormo malvolentieri eppure c'è luce ormai nei miei pensieri, qui nella penombra ora invento parole ma rimpiango una luce, la luce del sole. Le mie ossa regalano ancora alla vita: le regalano ancora erba fiorita. Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina; di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia "Una morte pietosa lo strappò alla pazzia". Voglio ringraziare in particolar modo mia mamma e mio papà che mi hanno sostenuto dall’inizio alla fine della formazione e la Commissione di tesi che mi ha prontamente seguito e stimolato durante tutto il percorso.

“L’autore è l’unico responsabile di quanto contenuto nel lavoro”      

Page 3: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

3/38  

INDICE 1.  Descrizione  del  contesto  lavorativo  .........................................................................................  5  

2.  Definizione  della  problematica  ................................................................................................  8  

3.  Dissertazione  .........................................................................................................................  10  3.1  Approfondimento  teorico  .............................................................................................................  10  

3.1.1  L’approccio  inclusivo  .....................................................................................................................  11  3.1.2  Il  lavoro  come  strumento  di  riabilitazione  con  il  disagio  psichico  .................................................  13  3.1.3  Ruolo  dell’educatore  .....................................................................................................................  16  3.1.4  La  progettazione  dialogica  .............................................................................................................  17  

3.2  Analisi  delle  interviste  ..................................................................................................................  19  3.2.1  La  progettualità  educativa  interna  ai  laboratori  protetti  del  CARL  ...............................................  20  3.2.2  Le  modalità  di  sviluppo  dei  progetti  educativi  individuali  interni  ai  laboratori  protetti  del  CARL  .  22  3.2.3  Specificità  dell’intervento  educativo  nel  quotidiano  .....................................................................  24  3.2.4  Le  modalità  di  collaborazione  interprofessionali  interne  ai  laboratori  protetti  ............................  27  3.2.5  Le  modalità  di  collaborazione  interprofessionale  con  le  figure  esterne  coinvolte  nei  progetti  educativi  degli  utenti  dei  laboratori  .......................................................................................................  30  

4.  Conclusioni  ............................................................................................................................  32  4.1  Considerazioni  della  ricerca  svolta  ................................................................................................  32  4.2  Trasferibilità  dei  contenuti  del  lavoro  rispetto  al  ruolo  dell’educatore  nella  nostra  società  ...........  34  4.3  Risorse  e  limiti  del  lavoro  svolto  ...................................................................................................  35  

4.3.1  Contenuto  ......................................................................................................................................  35  4.3.2  Metodo  ..........................................................................................................................................  35  

5.  Bibliografia  ............................................................................................................................  37  5.1  Testi  .............................................................................................................................................  37  5.2  Dizionari  .......................................................................................................................................  37  5.3  Sitografia  ......................................................................................................................................  37  5.4  Articoli  scientifici  ..........................................................................................................................  37  5.5  Documenti  interni  OSC-­‐CARL  ........................................................................................................  38  5.6  Indice  degli  allegati  .......................................................................................................................  38  

     

Page 4: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

4/38  

Introduzione Durante il mio ultimo stage formativo, che ho svolto nei laboratori protetti del CARL, nello specifico all’interno del laboratorio di legatoria, mi sono confrontato con una realtà lavorativa piuttosto particolare in quanto il campo lavorativo dell’educatore era condiviso con due artigiani legatori. Lavorare con figure professionali diverse non è stato da subito semplice soprattutto nel capire quale fosse il ruolo dell’educatore in una realtà complessa come quella. Nonostante i numerosi scambi e confronti, sia con la mia responsabile pratica, che con il coordinatore dei laboratori protetti, ho capito che sarebbe stato interessante approfondire l’argomento della specificità del ruolo educativo nei laboratori protetti visto che allo stato attuale non esiste un documento ufficiale per i laboratori. Nel corso dello stage mi ha incuriosito il fatto di capire quale fosse il valore aggiunto che la figura educativa ha portato, nel corso degli anni, all’interno della realtà dei laboratori protetti e come ogni educatore impiegato nei diversi laboratori del CARL agisce il suo ruolo nella quotidianità e lo rende specifico. Non avendo trovato un mansionario per gli educatori dei laboratori protetti, ho voluto svolgere questo lavoro di ricerca centrando l’attenzione sulla specificità del ruolo educativo, al fine d’identificare quale sia il compito dell’educatore all’interno di équipe lavorative interprofessionali composte di figure professionali diverse. Condividendo da subito la mia idea con la mia responsabile pratica e con il coordinatore dei laboratori protetti, mi è stato confermato l’interesse anche da parte dell’istituzione rispetto la tematica che ho scelto di approfondire nel mio lavoro. I concetti teorici con i quali ho scelto di sostenere e approfondire l’argomento nel mio lavoro di tesi sono i seguenti: - concetto di ruolo educativo con persone adulte - concetto di inclusione sociale - la progettazione dialogica - il lavoro come concetto di riabilitazione in psichiatria In questo lavoro ho cercato di mettere a confronto la realtà lavorativa che ho incontrato durante questo mio ultimo stage, con i concetti teorici sopra elencati in modo da portare ai lettori una visione maggiormente chiara della figura educativa all’interno dei laboratori protetti del CARL. In breve nel primo capitolo cercherò di descrivere quello che è stato il contesto lavorativo dell’ultimo stage formativo della SUPSI partendo dalla descrizione macro dell’OSC, identificando il ruolo e il compito di questa istituzione all’interno della nostra società, per arrivare alla specificità del CARL che gli permette di distinguersi ed avere un compito ben preciso all’interno dell’istituzione. Da ultimo cercherò di fare luce brevemente sulla storia dei laboratori protetti cercando di capire da dove nascono e come sono organizzati oggi. Nel secondo capitolo identificherò la problematica da me affrontata arrivando poi all’interrogativo di ricerca individuato per comporre questo lavoro con le rispettive

Page 5: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

5/38  

domande di ricerca che mi hanno permesso di strutturare le interviste. In questo capitolo descriverò anche qual è stato il metodo di lavoro da me utilizzato per affrontare il mio lavoro di tesi, introducendo gli approfondimenti teorici che utilizzerò all’interno del capitolo della dissertazione, per analizzare e commentare quanto emerso all’interno delle interviste. In questo capitolo cercherò di fare parlare i concetti teorici da me selezionati con i punti di vista delle persone che ho intervistato durante lo stage, in modo da avere un discorso che sia teorico ma che abbia soprattutto uno sguardo sulla realtà pratica che ho scelto di analizzare.

1. Descrizione del contesto lavorativo

In questo capitolo, ho descritto il contesto macro dell’OSC, istituzione alla quale sottostà il CARL, per poi arrivare a definire il contesto dei laboratori protetti, luogo di lavoro all’interno del quale ho svolto il mio ultimo stage formativo. “Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale” (OSC) è l’istituzione statale del Canton Ticino alla quale sottostanno tutte le strutture, sia ospedaliere, sia ambulatoriali pubbliche aventi lo scopo di occuparsi e prendersi a carico le persone che presentano disturbi di tipo psichiatrico. L’OSC nasce da una terza svolta storica della gestione della psichiatria a livello cantonale, la quale ha, di fatto, segnato la scomparsa dell'ONC (Ospedale Neuropsichiatrico Cantonale), che dal 1994 si è suddiviso in due strutture distinte a dipendenza della casistica della quale hanno il mandato di occuparsi: la CPC (Clinica psichiatrica cantonale) che ha lo scopo di riabilitare e curare i pazienti psichiatrici in fase acuta e il Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL), che ha il compito di gestire gli ospiti definiti cronici stabilizzati. Gli utenti che usufruiscono delle prestazioni offerte dal CARL, sono persone che beneficiano di una rendita AI o che prima dell’età AVS ne hanno beneficiato. Lo scopo principale del Centro è quello di gestire sia i disturbi del comportamento delle persone che vi risiedono, ma anche quello di mantenere l’autonomia della persona. Le due aree di attività del CARL sono le seguenti: 1. Abitativa (circa 121 posti letto) la cui presa a carico verso l’ospite ha come obiettivo

principale la gestione dei disturbi del comportamento della persona, mantenendo, e se possibile potenziando, il livello della loro autonomia.

2. Lavorativa (117 posti di lavoro), strutturata in laboratori protetti, i quali hanno lo scopo di riattivare le competenze della persona inserendo l’utente in un ciclo produttivo.

Il CARL è quindi considerato un luogo all’interno del quale le componenti che compongono l’acronimo ovvero “abitativo, ricreativo e lavoro” lo contraddistinguono,

Page 6: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

6/38  

mettendo al servizio dell’utenza un luogo protetto che abbia tra gli scopi quello di soddisfare i bisogni fondamentali di sicurezza e di appartenenza. In ogni unità abitativa, le équipe sono formate da professionisti con competenze sociosanitarie e educative specifiche, composte da un coordinatore, educatori, operatori socio assistenziali, infermieri psichiatrici, aiuto infermieri e assistenti geriatrici. Nei laboratori protetti gli utenti hanno opportunità di lavoro diverse, con l’obiettivo di accogliere gli utenti indipendentemente dalla casistica, facendo riferimento al territorio dell’OSC (utenti del CARL, pazienti della CPC e ospiti provenienti dall’esterno). All’interno dei laboratori protetti, i professionisti presenti che si occupano della gestione delle attività sono: educatori, maestri socio professionali, operai e artigiani. “Nei Laboratori protetti a supporto dell’attività degli operai, con competenze specifiche al tipo di

attività lavorativa, sono presenti dei referenti educativi che supportano il raggiungimento degli

obiettivi riferiti ai singoli piani di sviluppo degli ospiti/utenti.”1

All’interno dei laboratori protetti, l’utente, attraverso l’attività lavorativa, viene integrato in un processo produttivo che considera sia i limiti che le capacità reali di ogni individuo, fornendo elementi in grado di aumentare le capacità di ciascuno. Questo modo di operare permette di realizzare un modello d’integrazione sociale e di valorizzazione individuale della persona aiutandola a ritrovare la propria identità permettendole di assumere un ruolo specifico. Nei laboratori protetti è attraverso l’attività lavorativa che si fanno emergere, valorizzare e stimolare nella persona le competenze manuali, ma anche le valenze che hanno a che vedere con la vita relazionale e di scambio con altre persone e con i colleghi di lavoro. Questo processo è ottenibile attraverso gli obblighi che discendono dal confronto quotidiano con gli operatori o tra utenti stessi. All’interno del centro sono inoltre attive due figure di assistenti sociali; un responsabile delle attività creative e un operatore, il cui compito è quello di occuparsi degli inserimenti professionali degli utenti. L’animatore del centro ha il ruolo di organizzare momenti di animazione allo scopo di valorizzare in modo creativo la gestione del tempo libero. Gli assistenti sociali invece hanno il compito di assicurare l’intervento e la presa a carico sociale agli utenti del CARL e degli appartamenti protetti, al fine di favorire l’autonomia dell’individuo. Per affrontare la sintesi della ricerca documentale in merito al ruolo dell’educatore all’interno del CARL, farò riferimento nello specifico al manuale di qualità dell’OSC e in secondo luogo al lavoro di diploma di educatore specializzato di F.Bernardi, ex direttore della struttura. L’operatore impiegato nei laboratori ha il ruolo e il compito di trovare e assegnare “lavori” adeguati alle capacità individuali dell’utente, necessari e utili, sia al laboratorio stesso, ma

                                                                                                               1  OSC-CARL, “Manuale qualità”, Data di emissione 16.07.2008, Data di revisione 14.04.2015

Page 7: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

7/38  

anche alla persona utente che vi lavora, in modo da permettergli di comprenderli come indispensabili nel processo produttivo. Questo percorso che l’operatore ha il compito di seguire e sostenere, ha lo scopo, per quanto possibile, di permettere all’utente di ricavare una realizzazione maggiore di se stesso, come anche una maggiore considerazione verso la sua persona. “Il lavoro protetto può inoltre diventare un’occasione privilegiata e un trampolino di lancio per quei

soggetti di cui si prevede un ritorno a domicilio; questi possono approfittare dell’attività lavorativa

per prendere coscienza dei propri mezzi e acquisire quella sicurezza necessaria per effettuare il

tentativo di reinserimento sociale.”2

Nel lavoro di diploma di P. Bedulli, R.Cavadini, G.Poletti, dal titolo “L’aspetto lavorativo al CARL”, ho trovato alcuni elementi interessanti per la mia ricerca in merito alla storia dei laboratori protetti del CARL. In breve, parte dei laboratori protetti del CARL, iniziano già la loro attività con la nascita dell’ospedale psichiatrico, allo scopo di offrire un servizio interno alla struttura e al sostentamento degli ospiti dell’ospedale stesso. Oggi i laboratori sono ancora legati, in parte, ai lavori di funzionamento delle diverse unità abitative, come alle diverse esigenze lavorative interne all’OSC. Nei vari laboratori sono comunque richieste, agli operatori impiegati nei laboratori, competenze e capacità lavorative e relazionali non comuni. Le occasioni di lavoro nei laboratori sono multiple, diffuse e diversificate all’interno dell’intero perimetro del parco di Casvegno a Mendrisio, dove risiede la struttura del CARL. Oggi i laboratori sono sei: il laboratorio di assemblaggio, la legatoria, il laboratorio NAOMI, l’Offset, il laboratorio di redazione Agorà e il laboratorio che si occupa della manutenzione del parco recentemente unito al laboratorio “La serra”. “Curare, gestire, recuperare gli ospiti con handicap prevalentemente psichici è compito specifico

dell’OSC e in certi suoi aspetti, particolare del CARL che ha assorbito e integrato fra le sue

mansioni quello di occuparsi delle attività lavorative all’interno di Casvegno”3

Tutto sommato posso dedurre che dalla storia dei laboratori all’interno del CARL, vi sia stata una necessità di inserire piano piano, all’interno delle équipe operative, la figura educativa allo scopo di garantire una presa a carico individualizzata, aiutando l’utente a riacquisire la valorizzazione del suo ruolo sociale nella società. Nell’intervista al direttore del CARL, riesco a comprende il motivo per cui si è cercato, nel tempo, di inserire e potenziare la presenza educativa all’interno dei laboratori, con la seguente affermazione: “…Il grosso cambiamento che sta avvenendo oggi è quello di

trasformare il progetto in una struttura di passaggio, con l’idea di un domani di reinserirle nella vita

                                                                                                               2 BERNARDI Franco, lavoro di diploma: l’intervento educativo nell’ambito psichiatrico. Il Centro Abitativo Ricreativo e di Lavoro, Mendrisio, 1996, pagina 36 3 BEDULLI Piercarlo, CAVADINI Riccardo, POLETTI Giovanna, lavoro di diploma: “L’aspetto lavorativo al CARL”, Mendrisio, 1999, pagina 21

Page 8: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

8/38  

esterna (foyer, appartamenti,…). Anche i laboratori sono chiamati ad inserirsi in questo progetto

offrendo la possibilità all’utenza di potenziare la propria autonomia.

Per fare questo, stiamo cercando pian pianino di sostituire artigiani con educatori all’interno dei

laboratori, allo scopo di avere almeno una di queste figure all’interno di ognuno dei laboratori.”4

Sempre nel lavoro di diploma di P.Bedulli, R.Cavadini, G.Poletti, ho trovato alcune interessanti indicazioni in merito a quanto richiesto, come ruolo e mansioni, alle persone coinvolte nell’attività lavorativa del laboratorio. “Il lavoro degli operatori, siano essi educatori, maestri socio-professionali, infermieri o altro, deve

poter avere un comune denominatore, delle basi di riferimento accettate e condivise, e delle

modalità operative che conducano al raggiungimento di obiettivi concordati.”5

Avendo come scopo del laboratorio quello educativo e riabilitativo dell’utente che decide d’intraprendere un’attività lavorativa, tramite l’attivazione della possibilità di cambiamento delle capacità o del comportamento della persona, la persona dovrebbe riuscire ad acquisire o mantenere una maggiore autonomia al fine di raggiungere la miglior integrazione sociale possibile. L’apprendimento delle abilità lavorative e sociali permette all’utente di ridurre il disagio, come anche il distacco dalla società. L’atto educativo nel laboratorio, come viene descritto nel testo citato sopra, può essere riassunto nel cercare di offrire un luogo privilegiato alla persona malata per sviluppare dei processi, sfruttando l’attività lavorativa come oggetto di mediazione di molti scambi relazionali. “L’atto educativo richiede la piena assunzione del ruolo da parte dell’operatore e là dove è

possibile e indicato sarebbe bene poter allestire un percorso formativo con tutta l’équipe,

prevedendo fin dall’inizio le fasi di sviluppo e i momenti valutativi di verifica. Un percorso

educativo-formativo deve avere degli obiettivi realistici e partire dalle potenzialità della persona.”6

In conclusione è importante, nell’azione educativa dell’educatore del laboratorio, coinvolgere il più possibile la persona direttamente interessata nella costruzione degli obiettivi che costituiscono il suo progetto.

2. Definizione della problematica

In questo capitolo ho descritto, passo per passo, quello che è stato il percorso di ricerca sulla tematica scelta per la stesura di questo lavoro di tesi partendo dalla focalizzazione dell’argomento, arrivando poi a descrivere il metodo di lavoro da me utilizzato. Come spiegato nell’introduzione, al mio arrivo all’interno dei laboratori protetti del CARL, è stato difficile capire quale fossero il ruolo e le mansioni educative specifiche dell’educatore

                                                                                                               4  Allegato numero 8, Intervista al direttore del CARL P.Broggi  5  BEDULLI Piercarlo, CAVADINI Riccardo, POLETTI Giovanna, lavoro di diploma: “L’aspetto lavorativo al CARL”, Mendrisio, 1999, pagina 16  6  Ibidem, pagina 17    

Page 9: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

9/38  

che lavora in questa realtà ed è chiamato a confrontarsi con équipe multidisciplinari composte da artigiani, educatori e maestri socioprofessionali, che associano al percorso lavorativo e produttivo dell’utente del laboratorio, una crescita individuale finalizzata all’emancipazione delle competenze individuali. Questa difficoltà nel trovare documenti specifici è dovuta al fatto che la figura educativa all’interno dei laboratori del CARL è stata inserita solo negli ultimi anni, prima vi lavoravano solo artigiani e maestri socioprofessionali. Trovandomi confrontato con questa situazione non del tutto chiara e avendo trovato poca documentazione sulle mansioni educative all’interno dei laboratori, ho pensato di approfondire, attraverso la mia ricerca, quali fossero le specificità del lavoro educativo all’interno dei laboratori protetti del CARL. Visto che la mia intenzione era quella di svolgere un lavoro di ricerca utile anche per il contesto istituzionale in cui ho lavorato, ho da subito condiviso la mia idea sia con il coordinatore dei laboratori protetti che con il direttore dell’istituzione. Il rimando che ho avuto è stato del tutto positivo e, riportando l’idea alla mia commissione di tesi, sono arrivato alla costruzione del seguente interrogativo di ricerca: “Quali sono le specificità del ruolo dell’educatore sociale all’interno dei laboratori protetti di lavoro del CARL?” Per rispondere a questo interrogativo ho di seguito formulato cinque domande guida che mi hanno permesso di focalizzare nello specifico le tematiche sulle quali costruire la ricerca teorica, la ricerca documentale, interna ai documenti dell’OSC e infine per costruire il canovaccio delle interviste. Le seguenti domande di approfondimento sono state costruite sulla base delle nozioni teoriche apprese durante la formazione scolastica, nel corso dei tre anni accademici. Queste domande fungono da fil rouge per tutto il lavoro e permettono di intrecciare quanto raccolto presso gli intervistati con apporti di esperti e considerazioni personali. Le domande nel concreto sono le seguenti: 1. Quale progettualità educativa è prevista nella presa a carico all’interno dei

laboratori del CARL? 2. Quali sono le modalità di sviluppo dei progetti educativi individuali per gli utenti dei

laboratori del CARL? 3. Quali sono le specificità dell’intervento dell’educatore a livello quotidiano? 4. Quali sono le modalità di collaborazione interprofessionale all’interno dei laboratori? 5. Quali sono le modalità di collaborazione interprofessionale con le altre figure di

riferimento esterne coinvolte nei progetti di sviluppo individuali degli utenti? L’approccio da me utilizzato per svolgere questo lavoro di ricerca è stato quello induttivo. Questo approccio consiste nell’individuare dal contesto di lavoro la problematica da affrontare, verificandola e confrontandola poi con la realtà e con le teorie di riferimento specifiche attraverso la formulazione di domande.

Page 10: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

10/38  

Il metodo di lavoro che ho utilizzato per affrontare questo lavoro di tesi mi ha portato in primo luogo ad attivarmi in una ricerca documentale interna ai documenti dell’OSC in merito al ruolo dell’educatore del CARL, le modalità di presa a carico della persona, come anche alla ricerca di mansionari assegnati alla figura educativa della struttura. In un secondo momento ho definito quattro approfondimenti teorici che ho ritenuto interessante utilizzare come punto di riferimento al sostegno del mio lavoro di ricerca. I concetti sono quelli che già avevo introdotto all’inizio del lavoro, nello specifico: - concetto di ruolo educativo con persone adulte - concetto di inclusione sociale - la progettazione dialogica - lavoro come concetto di riabilitazione in psichiatria In seguito all’identificazione della parte teorica del mio lavoro, ho da subito identificato il target di riferimento da intervistare per avere del materiale concreto e delle risposte alle mie domande. Nello specifico ho deciso di intervistare tutte le figure educative che lavorano all’interno dei laboratori, come anche l’ultimo maestro socioprofessionale che è rimasto all’interno del CARL e che lavora nel laboratorio della “serra”. Visto che i laboratori hanno anche una figura di riferimento che ha lo scopo di coordinare le diverse attività dei laboratori facendo da tramite con la direzione, mi è sembrato necessario intervistare anche questa figura centrale nell’identificazione del ruolo educativo e, non da ultimo, anche il direttore stesso dell’istituzione in modo da poter avere una visione ampia del contesto. Il modello d’intervista da me utilizzato nella raccolta dati è quello semi strutturato. Nel concreto ho costruito tre tracce d’intervista differenziate per educatori, coordinatore e direttore della struttura, affrontando l’intervista attraverso domande aperte che lasciassero raccontare all’intervistato il suo punto di vista e il suo pensiero.

3. Dissertazione

In questo capitolo cercherò di analizzare il materiale empirico raccolto, le interviste, e la ricerca documentale per quanto concerne il sistema di premesse istituzionale, attraverso supporti teorici significativi nella specificità del lavoro educativo all’interno dei laboratori protetti del CARL. Questo capitolo è strutturato in due parti distinte. La prima parte introdurrà un inquadramento teorico con quelli che sono i concetti teorici di riferimento per poi entrare nel cuore dell’analisi delle interviste nella seconda parte.

3.1 Approfondimento teorico Ritengo utile per il lettore approfondire dapprima i concetti di riferimento, i quali verranno utilizzati per l’analisi del materiale empirico inerente la dimensione educativa del lavoro svolto all’interno dei laboratori protetti del CARL. Nell’economia di questo lavoro, ritengo

Page 11: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

11/38  

che gli apporti esperienziali svolti con persone disabili adulte sono affini al lavoro e alle problematiche affrontate nell’ambito del disagio psichico. Per questo motivo nell’approfondimento teorico si troveranno riferimenti a testi che affrontano il tema della disabilità.

3.1.1 L’approccio inclusivo Per introdurre questo capitolo, voglio riferirmi ad uno spunto di riflessione interessante da me trovato nel sito internet della cooperativa sociale ANFFAS Ticino di Somma Lombarda7 dove viene raccolta l’evoluzione che vi è stata negli ultimi anni rispetto alla considerazione e alla presa a carico delle persone diversamente abili, aventi difficoltà di adattamento di diverso tipo nella società. Negli anni settanta, la parola d’ordine per chi operava nei servizi a favore della disabilità era “inserimento”: “L’obiettivo primario è di permettere l’accesso ai contesti di vita, di relazione e

di informazione senza però mettere in discussione i cardini della loro organizzazione e cultura.”8 E’ solo alla fine degli anni ottanta che si è cominciato a parlare di ”integrazione”: “Il concetto d’integrazione esige una serie di adattamenti reciproci del soggetto con disabilità ma

anche della scuola e dell’ambiente lavorativo implicato. L’integrazione non è un fenomeno naturale

o spontaneo ma il risultato del processo culturale che non va realizzato ma provocato e

organizzato.”9

Da qualche anno, in particolar modo grazie alla convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2007), la società ha cominciato ad assistere ad un nuovo cambiamento, dove la nuova parola d’ordine è diventata inclusione. Il concetto d’inclusione ci invita a trovare nella pratica educativa quotidiana, delle strategie funzionali finalizzate alla rimozione delle forme di esclusione sociale a cui le persone portatrici di disabilità sono sottoposte quotidianamente. Il percorso di vita di una persona con disabilità o che, nel corso della vita, si è confrontata con situazioni difficili subendo traumi che l’hanno costretta ad una situazione di handicap, come per esempio l’insorgere di un disagio psichico, il fallimento scolastico o professionale, spesso si confronta con una difficoltà di accettazione da parte della società stessa, portando la persona ad una situazione di scarsa partecipazione alle attività sociali, nell’occupazione del proprio tempo, richiudendo l’individuo in sé stesso o nel suo stretto nucleo famigliare. “Percorrere le strade dell’inclusione sociale significa sostanzialmente porre la questione della

disabilità nella dimensione sociale del diritto di cittadinanza, perché riguarda tutti coloro che

partecipano alla vita sociale all’interno di un determinato contesto: includere vuol dire offrire

l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti.”10

                                                                                                               7  http://www.anffasticino.it/disabili/inclusione-sociale-ticino2.html, Inclusione sociale, visitato il 14.07.2015  8  MEDEGHINI Roberto, gruppo di ricerca disability studies Italy, I diritti nella prospettiva dell’inclusione e dello spazio comune 9  Dizionario delle scienze sociali, Milano, Zanichelli S.P.A, 1998 10http://www.anffasticino.it/disabili/inclusione-sociale-ticino2.html, Inclusione sociale, visitato il 14.07.2015  

Page 12: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

12/38  

L’affermazione non nasconde il fatto di dover negare che ogni individuo è diverso e che all’interno della società vi siano persone che hanno delle disabilità e quindi il diritto di essere gestite in maniera adeguata. Quello che il concetto d’inclusione prevede è lo spostamento dell’attenzione nei confronti della persona disabile focalizzandola, non più unicamente sulla persona con disabilità, ma anche sul contesto che abita per individuarne gli ostacoli, cercando di trovare delle strategie atte alla loro rimozione. “Il fine è promuovere condizioni di vita dignitose e un sistema di relazioni soddisfacenti nei riguardi di persone che presentano difficoltà nella propria autonomia personale e sociale, in modo che esse possano sentirsi parte di comunità e di contesti relazionali dove poter agire, scegliere, giocare e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità.”11 La richiesta in primo luogo che viene fatta ai servizi e alle istituzioni che si confrontano con le differenze e le disabilità sociali è di sforzarsi nell’acquisizione di un pensiero e di un’apertura mentale al cambiamento ampliando l’ottica dell’intervento educativo, non finalizzandola unicamente sulla relazione operatore-utente. “Agire per la tutela dei diritti umani delle persone con disabilità significa considerare la disabilità

non come una malattia (modello medico), ma come un rapporto sociale tra le caratteristiche delle

persone e l’ambiente (modello bio-psico-sociale). Un modo di pensare sancito prima dall’OMS e

poi dall’ONU nell’ art. 3 della Convenzione, dove tra i principi generali viene posta “la piena ed

effettiva partecipazione e inclusione nella società”.”12

Come è argomentato da Angelo Nuzzo all’interno del testo: “Inclusione sociale e disabilità”, la nuova prospettiva inclusiva pone i servizi che si occupano della disabilità, nelle sue varie forme, di fronte ad una scelta esistenziale: continuare il proprio operato seguendo il modello medico-diagnostico o accettare la sfida proposta dal modello inclusivo rimettendo in gioco il ruolo degli educatori, le idee e l’approccio verso la disabilità per rinnovarli nel nuovo concetto inclusivo. Per poter attuare questo processo è auspicabile avere, all’interno delle istituzioni, una condivisione di fondo da parte di tutte le figure che vi operano per il raggiungimento dell’idea inclusiva dove ogni operatore, al suo interno, abbia un ruolo riconosciuto nel processo di cambiamento. “Il ruolo di chi gestisce i servizi per la disabilità può essere rivisto in un’ottica ecologica delle

relazioni e dei contesti, per comprendere potenzialità e limiti nei processi di influenzamento degli

attuali equilibri che regolano la vita sociale.”13

Nel testo viene in seguito rilevata l’importanza del saper accogliere le novità, le nuove idee che partono da chi lavora direttamente a contatto con le persone disabili. Sono proprio le idee che permettono di ridefinire i problemi, le ipotesi e le scelte su come poi affrontarli

                                                                                                               11  http://www.anffasticino.it/disabili/inclusione-sociale-ticino2.html, Inclusione sociale, visitato il 14.07.2015  12  Ibidem 13  MEDEGHINI Roberto, VADALÀ Giuseppe, FORNASA Walter e NUZZO Angelo, “Inclusione sociale e disabilità”, Erickson, 2013, pagina 75  

Page 13: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

13/38  

concretamente nel quotidiano, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle persone. Anche se attuare un processo inclusivo potrebbe indurre l’operatore a dover pensare di cambiare interamente la struttura stessa in cui lavora, nel testo sopraccitato viene spiegato che non è necessariamente così. Nella pratica educativa quotidiana non basta prendersi unicamente cura della persona di cui abbiamo il compito di occuparci. Sarebbe auspicabile che all’interno del servizio-struttura si ponga attenzione anche al bisogno di appartenenza nella società delle persone che abitano il contesto. È anche attraverso la partecipazione alla società che la persona si realizza e si sente valorizzata per quello che è, come parte di un processo. “…per dare dignità a queste richieste, occorrerebbe iniziare ad interrogarsi su quanto i linguaggi

utilizzati dagli operatori, o le loro modalità per relazionarsi con le persona con disabilità, siano il

frutto di rappresentazioni che rimandano una visione che riconosce l’adultità delle persone con cui

si lavora, aprendosi così alla necessità di operare in senso inclusivo, per consentire loro di vivere

la condizione adulta nelle sue diverse dimensioni.”14

3.1.2 Il lavoro come strumento di riabilitazione con il disagio psichico Per introdurre questo capitolo, dove ho approfondito il tema dell’importanza del lavoro per l’individuo nella riabilitazione psichiatrica, ho trovato un primo spunto interessante nel testo di M.Ghisleni e R.Moscati. In questo scritto vengono riportate cinque funzioni psicologiche del lavoro definite “latenti” 15(Jahoda, Lazarsfeld, Zeisel, 1986; Pombeni, 1993, p.267) Sono le seguenti: “- il lavoro provvede a una strutturazione del tempo quotidiano;

- il lavoro assicura regolari esperienze significative di interazione sociale al di fuori della famiglia;

- il lavoro permette di rispondere al bisogno di agire sul proprio ambiente;

- il lavoro determina una diretta connessione tra mente individuale e scopi sociali

- il lavoro contribuisce a definire aspetti importanti dello status sociale e dell’identità personale”16

Le connessioni delle funzioni sopra elencate, con le dinamiche della socializzazione, sono fortissime, infatti il lavoro permette all’individuo coinvolto di essere riconosciuto come cittadino attivo, partecipe di un processo e quindi incluso in un sistema che lo valorizza per quello che fa. Nel testo di Ghisleni e Moscati è spiegato che è soprattutto quando il lavoro viene a mancare nella vita della persona che si verificano ed emergono aspetti di “deprivazione psicologica” come la difficoltà ad organizzare il proprio tempo, l’isolamento sociale, la

                                                                                                               14  MEDEGHINI Roberto, VADALÀ Giuseppe, FORNASA Walter e NUZZO Angelo, “Inclusione sociale e disabilità”, Erickson, 2013, pagina 74  15  GHISLENI Maurizio, MOSCATI Roberto, “Che cos’è la socializzazione”, Carocci, le bussole, 2001, pagina 85      

Page 14: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

14/38  

perdita di scopi significativi, l’insicurezza rispetto la propria identità e il proprio status sociale, producendo stati di apatia. Come educatore che lavora a contatto con utenti che vivono un momento di disagio psichico, è importante considerare il lavoro nella possibilità di una loro riabilitazione. Per capire come poter rendere efficace il lavoro nella riabilitazione psichiatrica, ho trovato alcuni spunti interessanti nel testo di C.Lepri e E.Montobbio. “…l’inserimento al lavoro di disabili è un risultato che si ottiene attraverso una operazione di

costruzione o ri-costruzione di condizioni necessarie e indispensabili.”17

La costruzione di queste condizioni prende in considerazione in primo luogo, la persona disabile, d’altro canto anche il mondo del lavoro deve essere considerato in quanto protagonista di questo processo. È soltanto facendo comunicare con strategie e in modo mirato queste due realtà complesse che è possibile ottenere il risultato dell’integrazione. Come far comunicare queste due realtà risulta essere però un processo piuttosto complesso; è frequente infatti, nei servizi riabilitativi, trovare “l’inserimento al lavoro” come una delle attività centrali e concetto chiave all’interno del progetto di vita della persona disabile. È importante quindi evidenziare come rischio del reinserimento lavorativo l’insuccesso del progetto. Quest’ultimo ha inevitabili effetti di ritorno sull’identità della persona inserita, come anche un effetto alone negativo sugli operatori che hanno seguito il progetto. È per questo motivo che è molto importante ragionare sulla strutturazione di un progetto partecipato con le persone di riferimento nella rete in modo da diminuire il rischio d’insuccesso e suddividere le responsabilità per il raggiungimento dell’obiettivo. Nella progettazione dell’inserimento lavorativo, è fondamentale, nell’incontro dei due mondi (persone in difficoltà e lavoro), progettare una vera e propria metodologia dell’inserimento lavorativo. Una possibile strategia su come attivare un percorso progettuale di crescita, che tende verso la relazione d’aiuto piuttosto che la diagnosi clinica dell’utente, l’ho ritrovata in un articolo scientifico di C. Meyer.18 L’obiettivo dell’autrice, che cercherò di riassumere, ha lo scopo di attivare un processo d’integrazione della persona avente un disagio psichico nella società, partendo da un contesto di comunità riabilitativa protetto inteso come “palestra”. Il primo importante passo da fare, come educatore, quando si è confrontati con l’utente psichiatrico, è riflettere sulla diagnosi della persona, cercando di leggerla astenendosi dal giudizio, evitando di vedere i limiti e le difficoltà della persona unicamente come dei disturbi, dei sintomi di una malattia, ma piuttosto come dei comportamenti disfunzionali ed inadeguati messi in atto dall’utente in un momento di difficoltà. La diagnosi viene fatta sulla persona, è però molto importante non dimenticare che la persona e il suo

                                                                                                               17  LEPRI Carlo, MONTOBBIO Enrico, “Lavoro e fasce deboli”, FrancoAngeli, 1993, pagina 40 18  MEIER Christine, “Le patologie adolescenziali e il loro trattamento nelle comunità terapeutiche”, Centro “al Dragonato”, Bellinzona  

Page 15: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

15/38  

comportamento sono due cose distinte. L’essere umano ha l’incredibile potenzialità di riuscire a generare nuove strategie di adattamento modificando i propri comportamenti ed i propri automatismi confrontandosi con un contesto di riferimento dove prevalga la relazione d’aiuto da parte di professionisti terapeuti esperti. Un importante passo da fare, prima di iniziare a costruire un percorso riabilitativo con l’utente psichiatrico, è riuscire a definire una visione comune della problematica, con le persone significative coinvolte nella situazione individuale della persona, che vengono individuate come possibili risorse al cambiamento. “Le esperienze diverse creano le differenze individuali, mentre una formazione o un orientamento

condivisi potrebbero, attraverso l’uso di una terminologia comune, contribuire a creare delle

concordanze nella percezione della stessa situazione.”19

Secondo il modello costruttivista e il costruzionismo sociale, l’individuo, in quanto osservatore, ha una percezione soggettiva della realtà, l’atto osservativo non porta quindi ad una realtà assoluta, bensì alla costruzione di una realtà. Ecco perché è importante confrontarsi con i diversi punti di vista, allo scopo di condividere le proprie interpretazioni della realtà e definire quindi una visione della problematica comune che rappresenta il punto da cui partire per la sua risoluzione. Il contesto riabilitativo deve quindi rappresentare una sorta di palestra relazionale, di crescita per l’utente, ovvero “un luogo protetto in cui l’utente può sperimentare le sue strategie

relazionali e competenze tecniche senza subire delle conseguenze definitive se sbaglia.”20 La palestra ha lo scopo sia di rivalutare le strategie e le capacità relazionali della persona che di insegnare alla persona le competenze adatte ai vari contesti (lavoro, abitazione e tempo libero) attraverso la costruzione di obiettivi mirati in una logica progettuale. Anche il laboratorio protetto viene quindi visto come una palestra socio-riabilitativa che non sia idealistica, ma che riprenda il funzionamento della realtà esterna. “Ogni contesto deve rispecchiare il più possibile il contesto reale esterno con l’unica differenza che

se il giovane “sbaglia” non verrà “licenziato” dal posto di lavoro né espulso dalla sua casa.”21

L’allontanamento, l’insuccesso, come visto precedentemente, creano nella persona una sensazione di scoraggiamento e abbattimento. Si parla, infatti, di gestire gli sbagli sul posto di lavoro attraverso delle sospensioni temporanee dove si chiede alla persona, tramite l’incontro in momenti di colloquio definiti di sostegno al progetto, di riflettere sul suo progetto e sul perseguimento dei suoi obiettivi. “…si tratta in questo momento di riflessione, di verificare cos’è che non ha funzionato. Non si tratta

di scoprire le cause del suo comportamento inadeguato, quanto di discutere le conseguenze

                                                                                                               19  MEIER Christine, “Le patologie adolescenziali e il loro trattamento nelle comunità terapeutiche”, Centro “al Dragonato”, Bellinzona, pagina 2 20  Ibidem, pagina 16  21 Ibidem, pagina 19

Page 16: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

16/38  

relative al raggiungimento dei suoi obiettivi e di incoraggiare delle soluzioni al problema alternative

e più funzionali.”22

In seguito a queste riflessioni la persona ritorna nel laboratorio per mettersi alla prova di nuovo con altri comportamenti in vista del suo futuro. Attenersi ad un modello di progettazione dialogica, che ho approfondito nei capitoli seguenti, è sicuramente uno strumento interessante e necessario per raggiungere dei risultati soddisfacenti.

3.1.3 Ruolo dell’educatore Per introdurre questa complessa tematica, ho preso spunto da un pensiero di Angelo Nuzzo che descrive il complesso ruolo dell’educatore come l’artigiano della relazione. “Per restare nella metafora, l’educatore artigiano deve ricercare continuamente le formule più

adatte ai bisogni dei clienti, perché ogni volta che interviene deve sfornare lavori su misura, unici e

irripetibili.”23

Parafrasando quanto contenuto nel testo, l’educatore è una figura professionale che deve continuamente centrare la propria attenzione su come ricalibrare il proprio lavoro, al fine di soddisfare le attese della persona di cui si sta occupando. Questa pratica lo rende un lavoro pesante che richiede costantemente, nel quotidiano, spazi di riflessione. In queste riflessioni non devono mancare riferimenti a metodologie diverse, con riferimenti teorici, per sostenere quanto si cerca di portare avanti nell’intenzionalità educativa. Come visto nel corso della formazione, una buona pratica-riflessiva, deve stare alla base del lavoro educativo perché permette all’operatore di ragionare sugli interventi, evitando la casualità e finalizzandoli a qualcosa di preciso sapendo dove si vuole arrivare. Per realizzare una buona pratica educativa, è necessario, per l’educatore, avere in chiaro le finalità da perseguire nella sua quotidianità lavorativa, sia rispetto alla diversità di utenti di cui si deve occupare, ma anche rispetto allo svolgimento delle attività quotidiane, sia lavorative nel caso di un laboratorio protetto, ma anche abitative nel caso di un foyer. In breve, la finalità del lavoro educativo è rappresentato dalla realizzazione personale nello sviluppo della personalità della persona di cui si occupa l’educatore. È attraverso la costruzione di ruoli individuali e sociali che si permette alla persona di raggiungere la propria autonomia restituendole il potere decisionale e la possibilità di scegliere. Il compito dell’educatore sociale, nel raggiungimento di questa finalità, è di ricostruire il senso del proprio agire producendo azioni, relazioni ed eventi che rivestano un significato utile a fornire gli stimoli necessari per promuovere l’autonomia della persona, rielaborando le risorse presenti o latenti, al fine di produrre un cambiamento sui modi di essere, pensare e relazionare dell’utente stesso.

                                                                                                               22  MEIER Christine, “Le patologie adolescenziali e il loro trattamento nelle comunità terapeutiche”, documentazione interna Centro “al Dragonato”, Bellinzona, pagina 19  23  BRANDANI Walter, ZUFFINETTI Paolo, “Le competenze dell’educatore professionale”, Carocci Faber, Il servizio sociale, 2004, pagina 40  

Page 17: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

17/38  

L’educatore deve sviluppare una visione di tipo evolutivo rispetto le situazioni che osserva e dove deve intervenire, fornendo ai soggetti nuove rappresentazioni di sé, al fine di ridefinire la rappresentazione personale e sociale della persona in modo da rinforzare l’immagine sociale del soggetto o del gruppo di lavoro in cui opera. Un passo importante che deve compiere l’educatore nei confronti dell’utente, è quello di motivarsi, essere incuriosito dalla sua storia di vita, senza entrare nel giudizio, ma dimostrandosi collaborante e disponibile. Gli interventi educativi devono essere caratterizzati da intenzionalità, al fine di ridurre al minimo il rischio d’insuccesso; questo può essere fatto se la costruzione del percorso è stata pensata prima di essere agita. L’azione educativa comprende due aspetti fondamentali, quello del fare, che racchiude il momento in cui l’educatore entra in relazione con il soggetto e quello del pensare ovvero la ricerca di un senso, in merito a quello che succede costantemente, al fine di costruire percorsi e ricercare regole di funzionamento adatte alla situazione. Un aspetto interessante del ruolo educativo, l’ho ritrovato nel testo “Viaggiatori inattesi” di C.Lepri che ci rende attenti sulla differenza di significato e impatto tra educazione ed assistenza. “Nell’educazione l’obiettivo principale è quello di favorire l’evoluzione della persona,

nell’assistenza, quello di impedirne l’involuzione.”24

Da queste parole possiamo quindi confermare l’importanza nel ruolo dell’educatore di promuovere il cambiamento nella costruzione di un futuro con la persona, favorendo la sua crescita e rinforzando le sue capacità di autonomia al fine di raggiungere una partecipazione sociale più intensa e capace di sopportare e riconoscere la persona per quello che sa fare. Nel testo questo bisogno dell’individuo di essere accettato e riconosciuto nella società, viene descritto come bisogno di normalità, inteso come bisogno che accomuna tutti gli esseri umani e a maggior ragione le persone che percorrono il loro cammino di vita con qualche difficoltà e fragilità in più. Se la pianificazione del cambiamento, e quindi delle scelte che l’utente deve prendere nella costruzione del proprio futuro, spetta non solo all’operatore, ma piuttosto all’utente stesso, come è possibile attivare un percorso educativo di aiuto intenzionale che sia concreto e prenda in considerazione l’interesse dell’utente e della rete a lui vicina? Nel prossimo capitolo cercherò di approfondire il modello di “progettazione partecipata”, una buona risposta a come pianificare percorsi educativi, con i diretti interessati, efficaci e funzionali.

3.1.4 La progettazione dialogica Per introdurre questo capitolo prendo spunto dal testo di R. Medeghini, G. Vadalà, W.Fornasa e A.Nuzzo, “Inclusione sociale e disabilità, dove viene spiegato il motivo per cui è necessario strutturare, con la persona disabile, una buona progettazione dialogica.

                                                                                                               24  LEPRI Carlo, “Viaggiatori inattesi”, Appunti sull’integrazione sociale delle persone disabili, FrancoAngeli, 2011, pagina 91  

Page 18: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

18/38  

Il testo suggerisce di relativizzare approcci di progettazione lineari, allo scopo di normalizzare la persona disabile, aprendosi a modelli progettuali che promuovano l’emancipazione e l’inclusione, rinforzando e attivando le competenze della persona e dei contesti sociali in cui abita o lavora. “La sfida inclusiva, in pratica, chiede ai servizi di privilegiare nuove e diverse forme di progettualità,

di tipo dialogico e partecipativo, che prestino attenzione alla promozione di relazioni, all’incontro tra

persone e realtà differenti, privilegiando la ricerca e la costruzione di significati nuovi e condivisi da

trasferire nel rapporto sia tra i singoli, sia tra i contesti, sostenendo le comunità nei processi

inclusivi e valorizzandone le competenze nel costruire esperienze in grado di creare

appartenenze.”25

Nonostante l’individualismo interno alla nostra società e la spersonalizzazione dell’individuo, con il quale oggi siamo confrontati costantemente, dobbiamo concentrare le nostre risorse e le nostre capacità di operatori sociali per potenziare la coesione sociale e il senso di appartenenza alla comunità, rompendo la sensazione di solitudine che le persone con disabilità e le loro famiglie conoscono molto bene. “…il processo di progettazione è la risultante di una serie di eventi e azioni in cui il pensare

assume diverse forme: dall’osservare all’ascoltare, dall’attribuire significati alla ricerca di senso,

dall’elaborazione dei dati alla valutazione, dalla riunione di équipe alla supervisione, dalla

formazione continua alla riflessione circa il proprio operato, dal confronto al conflitto con i diversi

attori, dalla programmazione degli interventi alla co-progettazione e altro ancora.”26

La progettazione non è da intendersi unicamente come momento formale legato a scadenze annuali dove si tirano le somme ridefinendo i programmi per l’anno venturo, il progetto educativo dovrebbe essere riferito a un lavoro pensante, maggiormente complesso, composto di azioni quotidiane, ma anche di spazi di riflessività verso quello che succede giornalmente. Il mestiere educativo è quindi definibile come una pratica riflessiva. “L’educatore professionale è, di fatto, quell’operatore che attraverso gli strumenti della

progettazione educativa e soprattutto della relazione interpersonale accompagna l’utente nel suo

percorso di crescita… L’intervento educativo non è semplicemente un servizio per un’altra

persona; esso si identifica di più come un lavorare con l’utente per produrre un cambiamento.”27

Per perseguire quindi questo tipo di obiettivo con la persona, è inevitabile considerare, nel proprio lavoro, le dimensioni che appartengono alla persona stessa, come la sua dimensione psicologica o relazionale. L’obiettivo è quello di restituire alla persona una lettura efficace delle sue difficoltà, che permetta all’utente di avere una visione di cambiamento rispetto all’obiettivo che vuole raggiungere. In questo senso la signora

                                                                                                               25  MEDEGHINI Roberto, VADALÀ Giuseppe, FORNASA Walter e NUZZO Angelo, “Inclusione sociale e disabilità”, Erickson, 2013, pagina 80  26    BRANDANI Walter, ZUFFINETTI Paolo, “Le competenze dell’educatore professionale”, Carocci Faber, Il servizio sociale, 2004, pagina 41  27  Ibidem, pagina 16  

Page 19: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

19/38  

C.Meier ci da uno spunto interessante per mettere in pratica questo importante step del lavoro di progettazione nella definizione degli obiettivi. “Il definire le sue difficoltà in termini di comportamenti inadeguati o in termini di strategie relazionali

fallite, piuttosto che come manifestazione di una malattia o di un deficit psichico, permette

all’operatore ed all’utente di elencare obiettivi mancati, strategie disfunzionali e comportamenti

alternativi auspicabili e vincenti per il raggiungimento dei suoi desideri.”28

Non bisogna dimenticare nel lavoro con la persona di interagire con gli aspetti legati alla globalità di ogni soggetto, come il suo contesto di vita o la comunità di appartenenza. Quando l’educatore ha come focus quello di occuparsi di una singola persona, deve essere consapevole che il suo intervento apporta, di fatto, delle modifiche nelle relazioni del soggetto stesso rispetto alla sua famiglia, amici, colleghi,… Tutte le relazioni interpersonali, come anche il suo ambiente di vita, subiscono dei cambiamenti inevitabili. È senz’altro importante nella relazione educativa un giusto equilibrio tra il coinvolgimento nella situazione dell’utente e il distacco. Non ci si può lasciar prendere dalle situazioni vissute dalla persona, ma nemmeno distaccarsi eccessivamente correndo il rischio di mostrarsi disinteressati. A questo punto sembra doveroso fare riferimento al processo circolare di costruzione di un progetto dialogico partecipato, mirato e concreto che sia di supporto nella pratica educativa quotidiana. Le cinque tappe di cui si compone il progetto, sono strettamente collegate tra loro in modo circolare. Da ogni tappa è possibile ritornare all’altra in un processo di continua co-costruzione di senso e di scelte, sviluppate coinvolgendo il più possibile tutti gli attori nell’intero processo di progettazione. Si parte dall’ideazione nella quale si trova l’analisi della situazione problema, per passare alla fase di attivazione di tutte le risorse e gli attori in gioco e solo a questo punto si formalizza nero su bianco il progetto, il quale sarà realizzato nella fase di attuazione e infine valutato. La valutazione permette di fare il bilancio di quanto sperimentato e in prospettiva riformulare nuovi obiettivi con i quali si riapre un nuovo ciclo progettuale. 29

3.2 Analisi delle interviste In questo capitolo verranno riportate le sintesi significative delle interviste le quali verranno analizzate grazie agli apporti teorici. La struttura dei sotto capitoli riprende le cinque domande guida formulate a supporto della domanda di ricerca. La struttura di ogni sotto capitolo comprende la sintesi e l’analisi del materiale raccolto, seguito da considerazioni che evidenziano gli elementi salienti emersi. L’analisi delle interviste segue cronologicamente la struttura gerarchica istituzionale; si parte quindi da                                                                                                                28    MEIER Christine, “Le patologie adolescenziali e il loro trattamento nelle comunità terapeutiche”, Centro “al Dragonato”, Bellinzona, pagina 16  29 Allegato numero 9, MAIDA Serenella, IGLESIAS Alicia, La progettazione dialogica partecipata, L’approccio Concertativo, SUPSI DEASS, 2014

Page 20: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

20/38  

una lettura macro da parte del direttore per poi passare ad aspetti più puntuali emersi dagli operatori.

3.2.1 La progettualità educativa interna ai laboratori protetti del CARL

• Sintesi delle risposte e analisi Nell’intervista al direttore del CARL Patrizio Broggi è emerso che, rispetto alla progettualità educativa interna all’istituzione, si sta attuando un cambiamento a livello generale. Il CARL è nato come una struttura avente lo scopo di ospitare i pazienti dell’allora ONC immaginando che per loro diventasse la casa definitiva. Inizialmente non s’immaginava un reinserimento nel territorio. L’acronimo CARL significa infatti centro abitativo, ricreativo e di lavoro ed era quindi chiaro che per l’utente psichiatrico cronico avrebbe rappresentato il suo futuro luogo di vita. In questo senso anche i laboratori si inserivano in questa progettualità statica, allo scopo di occupare la giornata all’utente. Il cambiamento che il CARL sta mettendo in atto attualmente è quello di trasformare il centro in una struttura di passaggio, con l’idea di reinserire gli utenti nella vita esterna, a seguito di un percorso di cambiamento. “Anche i laboratori sono chiamati ad inserirsi in questo progetto, offrendo la possibilità all’utenza di

potenziare la propria autonomia.”30 Il progetto dell’utente è infatti stabilito dal foyer in cui vive la persona, i laboratori prendono poi parte al progetto adattandone uno, specifico, per l’attività lavorativa. Per l’educatore del laboratorio è quindi importante andare a capire quale è il progetto dell’utente stabilito dall’ente inviante che, come detto, può essere un foyer, sia interno che esterno al CARL, oppure un medico psichiatra, per capirne la finalità. Lo scopo dei laboratori protetti è quindi quello dell’emancipazione nel mondo del lavoro, che tenga conto delle capacità individuali degli utenti rispetto alla capacità di assunzione delle numerose responsabilità richieste dall’attività lavorativa. “Il lavoro del laboratorio è quello di permettere alla persona di riscoprire le sue capacità, le sue

risorse per entrare nel mondo del lavoro…”31 Oggi i laboratori protetti del CARL offrono dunque la possibilità all’utente di acquisire l’identità lavorativa, in un contesto di lavoro protetto, dove viene offerta la possibilità di esercitare un ruolo attivo nella società, valido e funzionale che possa sovrastare quello del malato. Rispetto al ruolo educativo, come specificato nel capitolo di approfondimento, e dal testo “Le competenze dell’educatore professionale”, si capisce che è attraverso la costruzione di ruoli individuali e sociali che è possibile favorire l’emancipazione dell’autonomia della persona restituendole il potere decisionale di poter scegliere. In questo senso i laboratori protetti del CARL contribuiscono alla costruzione identitaria dell’utente che vi lavora rinforzando e attivando le sue competenze pratiche e relazionali.

                                                                                                               30  Allegato numero 8, Intervista al direttore del CARL “P.Broggi  31 Ibidem

Page 21: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

21/38  

Infatti, come sostenuto da M.Ghisleni e R.Moscati, il lavoro permette alla persona di essere riconosciuta come cittadino attivo nella società, partecipe di un processo e quindi incluso in un sistema che lo valorizza per quello che fa ed è capace a fare. Mi sembra doveroso precisare che nei laboratori del CARL è comunque previsto un momento di condivisione e negoziazione in fase di attivazione del progetto. Infatti, come specificato dal direttore P.Broggi e come già anticipato nell’approfondimento teorico relativo alla progettazione dialogica, non sarebbe possibile un’emancipazione o un cambiamento dell’utente, se questi non è coinvolto in modo attivo nel suo cambiamento. Gli educatori impiegati nei laboratori, intendono la progettualità educativa come un processo individualizzato, costruito sulla base delle capacità e delle risorse di ogni singolo utente: “Lo scopo è quello di andare verso la persona, a seconda delle proprie capacità individuali.”32 Come approfondito nel capitolo relativo alla progettazione dialogica, per attivare un percorso di emancipazione dell’autonomia individuale, anche interno ai laboratori protetti, bisogna considerare la soggettività di ogni individuo con le dimensioni che appartengono alla sua persona come quella psicologica e relazionale. Le finalità del progetto individuale possono essere di tipo produttivo, professionale, per implementare delle conoscenze di base della persona o per apprendere qualcosa di nuovo. Non è comunque esclusa l’importanza della relazione e del potenziamento delle capacità di socializzazione della persona. Come esplicitato nel capitolo inerente il contesto lavorativo, il settore lavorativo al CARL, ha lo scopo di offrire alla persona un ruolo lavorativo di valore e di importanza interno alla struttura. L’apprendimento delle abilità lavorative e sociali permette all’utente di ridurre il disagio, come anche il distacco dalla società. È importante che la scelta del settore lavorativo appartenga alla persona, come esplicitato dal direttore. L’offerta lavorativa deve però tenere in considerazione la disponibilità dei posti di lavoro nei laboratori e le macro-finalità del progetto al quale si associa quello dei laboratori. Il coordinatore specifica quindi che: “Il progetto è una mediazione tra le necessità della

persona, il progetto che sta già seguendo e la disponibilità del laboratorio.”33

Il concetto di lavoro, come viene inteso all’interno del CARL, si può ricondurre allo scopo di evitare la “deprivazione psicologica” della persona portatrice di un disagio che decide di intraprendere un’attività lavorativa nel suo percorso riabilitativo, come viene sostenuto nel testo di M.Ghisleni e R.Moscati. Questo avviene sempre secondo l’interesse e l’obiettivo del progetto e della persona.

• Riflessioni personali e considerazioni Da quanto emerge dall’analisi, si può considerare che la storia del CARL influisce sugli obiettivi e sul modello progettuale previsto all’interno della struttura e quindi anche nei                                                                                                                32  Allegato numero 4, Intervista all’educatrice M.  33  Allegato numero 7, intervista al coordinatore dei laboratori protetti C.Maiocchi

Page 22: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

22/38  

laboratori protetti. Il cambiamento di progetto del CARL è comunque un processo lungo che va ad influire sul modello di progettazione adottato al suo interno. Per alcuni aspetti questa istituzione ha ancora molte tracce da ospedale, sia per l’utenza, che in parte ha vissuto il grande cambiamento, ma anche nel modo di fare di alcune figure professionali, soprattutto quelle legate maggiormente agli aspetti infermieristici e biomedici della persona. Nonostante l’istituzione, nel suo intento di trasformare sempre di più il CARL in un luogo di passaggio, tenda ad andare verso un modello di progettazione individuale, dialogico e partecipato con l’utente, in realtà appare evidente la difficoltà di attuare progetti di cambiamento. Progetti che hanno lo scopo di responsabilizzare l’utente di fronte al suo futuro permettendogli di scegliere e di riorganizzarsi. Visto che il progetto individuale nei laboratori si aggancia ad un progetto già esistente, una possibile difficoltà potrebbe essere rappresentata dal modello di progettazione dell’ente inviante che non per forza è affine a quello dialogico partecipato. All’interno dei laboratori risulta comunque di primaria importanza l’ascolto degli interessi e delle rappresentazioni dell’idea di futuro della persona in modo, per quanto possibile, di realizzare le aspettative future dell’utenza. Con il tempo e il cambiamento dell’utenza che usufruisce del servizio offerto nei laboratori del CARL, cambieranno anche le modalità di progettazione e le finalità nella costruzione degli obiettivi generali.

3.2.2 Le modalità di sviluppo dei progetti educativi individuali interni ai laboratori protetti del CARL

• Sintesi delle risposte e analisi La modalità di sviluppo dei progetti educativi interni ai laboratori protetti del CARL hanno una linea generale che va a strutturare le diverse tappe della procedura di assunzione della persona nel laboratorio il più indicato possibile. Inizialmente arriva una segnalazione da parte dell’inviante, o della persona direttamente interessata ad iniziare un’attività lavorativa, al coordinatore dei laboratori protetti, quest’ultimo effettua il primo colloquio di conoscenza con la persona interessata e la sua persona/ente di riferimento con la quale ha già strutturato un progetto e quindi un obiettivo, legato al reinserimento nel mondo lavorativo. La persona di riferimento dell’utente può essere un operatore di riferimento di un foyer o il medico psichiatra curante. A seguito della richiesta il coordinatore effettua una prima scelta, in base alle aspettative della persona, facendo riferimento alla scheda di segnalazione che arriva al momento della richiesta, ma anche rispetto alle disponibilità dei posti di lavoro dei laboratori. A seguito del primo colloquio, il coordinatore ha anche il compito di valutare quale potrebbe essere il percorso futuro della persona. Se non si riesce, per motivi organizzativi, ad inserire la persona nel laboratorio maggiormente adatto, si può iniziare un percorso

Page 23: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

23/38  

temporaneo in un’altra realtà lavorativa, aspettando che il contesto ideale abbia disponibilità di nuove assunzioni. Il passo successivo è poi rappresentato da un incontro tra gli educatori e gli artigiani di riferimento del laboratorio con l’utente interessato al fine di conoscersi e di esplicitare le diverse aspettative, in un processo di negoziazione. “Il progetto però deve poi prevedere

anche una serie di incontri con l’inviante per riuscire a capire gli sviluppi della situazione.”34

Dopo un periodo di prova, dove viene verificato l’interesse della persona, si stipula il contratto retroattivo che, a dipendenza delle diverse situazioni e dei diversi progetti, può subire delle modifiche con il passare del tempo. Sono comunque previsti uno o più momenti di valutazione e verifica di ogni progetto. In questi momenti si valutano sia gli obiettivi lavorativi e professionali che l’andamento del progetto educativo, al fine di poter correggere il tiro e poter modificare eventuali obiettivi del progetto. “Durante i momenti di valutazione, verifica, cerchiamo di mettere a confronto ed incontrare tutte le

persone che sono attorno alla persona, come il medico, il curatore, l’educatore della casa, per

vedere se il nostro progetto porta beneficio alla persona ed è in linea con quello che ha interesse

di fare.”35

Analizzando la modalità di sviluppo dei progetti interni ai laboratori, sembra sia data grande importanza ai momenti dialogici di discussione e negoziazione rispetto le diverse aspettative di cambiamento delle parti della rete coinvolte. Nel modello della progettazione dialogica, infatti, “…la progettazione diventa la ricerca e la

costruzione condivisa di significati attraverso l’incontro tra persone e sistemi relazionali.”36

Come C.Meier sostiene, è molto importante, prima di iniziare un percorso riabilitativo, in questo caso nei laboratori, definire una visione della problematica che sia esplicita e il più possibile condivisa con tutte le figure di riferimento implicate nel progetto. Generalmente questo importante tassello della progettazione è già approfondito nella fase di attivazione del progetto, che nei laboratori è demandato inizialmente alla figura del coordinatore e poi in seguito all’educatore interessato del laboratorio. Nei laboratori del CARL non sono però richiesti in modo esplicito momenti di condivisione del progetto con i famigliari o altre persone significative di riferimento dell’utente non professionali. Questo aspetto è demandato principalmente al settore abitativo o ad altre figure professionali nella rete che fungono da portavoce. Nel corso dell’anno, è demandato alla figura educativa del laboratorio il mantenimento dei contatti con la rete di riferimento, come anche l’organizzazione dei momenti di valutazione in itinere del progetto.

                                                                                                               34  Allegato numero 8, Intervista al direttore del CARL P.Broggi  35  Allegato numero 1, Intervista all’educatore E. 36 BRANDANI Walter, ZUFFINETTI Paolo, “Le competenze dell’educatore professionale”, Carocci Faber, Il servizio sociale, 2004, pagina 45  

Page 24: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

24/38  

I momenti di valutazione rappresentano nel processo circolare della progettazione dialogica un tassello fondamentale nel monitoraggio e aggiustamento degli obiettivi per dirigere ed orientare la continuità del progetto. Nei laboratori del CARL questi momenti sono garantiti almeno una volta all’anno per tutti gli utenti che vi lavorano, nel caso dovessero esserci problemi e si valuta la necessità di intensificare i momenti di valutazione, gli incontri possono essere anche più frequenti. L’intervento educativo nei laboratori mira a sensibilizzare l’utente a chiedere aiuto e supporto alla rete in caso di bisogno. Idealmente l’obiettivo è rendere sempre più partecipe e attore principale del progetto la persona, aiutandola a comprendere i diversi ruoli della rete e il sostegno su cui può far riferimento in caso di bisogno. L’obiettivo è portare la persona a percepire l’insorgere di eventuali momenti di difficoltà dandogli la possibilità di essere autonoma nella richiesta di aiuto ai membri della rete.

• Riflessioni personali e considerazioni Come emerge dall’analisi precedente, la modalità di progettazione nei laboratori del CARL prende in considerazione aspetti importanti quali la negoziazione e la condivisione, che figurano nel modello di progettazione dialogica. Riflettendo sul parere degli operatori intervistati, emergono anche le difficoltà del costruire un progetto specifico con un modello di progettazione partecipato con l’utente e la sua rete di riferimento. Il processo di negoziazione richiede all’operatore e alla rete un investimento in prima persona e una rimessa in discussione dei propri valori e delle proprie rappresentazioni. Dai dati emerge che non è sempre semplice avere queste condizioni ottimali di collaborazione da parte dei diversi attori coinvolti nella situazione. Dalle interviste emerge comunque lo sforzo, da parte dei professionisti dei laboratori, nel cercare di coinvolgere in primis l’utente e di seguito la rete di riferimento per attivare un progetto condiviso e maggiormente realizzabile. È da evidenziare lo sforzo, da parte dei laboratori, di cercare di favorire, nel limite del possibile, la possibilità di scelta della persona, verso il suo futuro professionale. In conclusione trovo comunque che sia limitato demandare gli aspetti di condivisione e negoziazione del progetto con i famigliari e i sistemi di riferimento informali della persona ad una figura professionista come l’assistente sociale; sarebbe interessante, al fine di sviluppare un progetto maggiormente efficace, confrontarsi direttamente con le persone esterne ritenute una risorsa per l’utente e il suo progetto.

3.2.3 Specificità dell’intervento educativo nel quotidiano

• Sintesi delle risposte e analisi Partendo dal punto di vista del direttore dell’istituzione, l’educatore del laboratorio è responsabile degli sviluppi e del monitoraggio del progetto dell’utente poiché ha gli strumenti professionali sia per costruire che per valutare in itinere un progetto educativo. L’educatore è stato inserito nei laboratori proprio per questo motivo infatti, nel piccolo estratto del manuale di qualità, risulta che la figura educativa nel laboratorio ha la funzione

Page 25: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

25/38  

di supportare il raggiungimento degli obiettivi dei singoli piani di sviluppo individuali degli utenti. Nel quotidiano dovrebbe essere in grado di permettere all’artigiano di entrare nel progetto attribuendovi gli aspetti legati all’apprendimento pratico e produttivo diventando mediatore tra le competenze tecniche e relazionali all’interno del laboratorio. L’aspettativa nei confronti del ruolo educativo, da parte dell’istituzione, è quella di sensibilizzare il contesto lavorativo protetto alla creazione delle condizioni adatte per valorizzare il ruolo dell’utenza, attraverso la costruzione di ruoli individuali e sociali in linea ai singoli progetti di sviluppo. Come argomentato dall’ex direttore del CARL F.Bernardi, “…diventa importante il ruolo degli

operatori e la capacità di quest’ultimi di trovare dei “lavori” che l’individuo possa comprendere

come indispensabili, necessari e utili a lui e a tutti gli altri.” 37

“…è nel ruolo dell’educatore quello di prendere in considerazione il pensiero dell’utente, come

anche quello di aiutare l’utente a ragionare rispetto al suo progetto e ai suoi interessi.”38

Come sostenuto da C.Meier, è molto importante definire con gli utenti momenti di colloquio di sostegno al progetto dove viene chiesto alla persona di ragionare sulla propria situazione, come anche sul perseguimento dei suoi obiettivi emancipativi. È infatti compito dell’educatore del laboratorio quello di confrontarsi quotidianamente con l’utenza, in modo da accertarsi dell’evoluzione dei sentimenti della persona rispetto l’attività lavorativa. Rispetto al concetto di pratica riflessiva, l’educatore dovrebbe costantemente mettersi in discussione di fronte agli interventi che mette in atto a sostegno del progetto, dovrebbe lavorare in un’ottica di“…, riuscire a fare in modo di non fare quello che l’altro è in grado a fare,

semplicemente aiutare a farlo.”39 È proprio in questo senso che l’operatore artigiano della relazione, ha il compito di centrare la propria attenzione, nella pratica quotidiana, ricalibrando quotidianamente il proprio lavoro al fine di soddisfare le attese della persona di cui si sta occupando evitando di sostituirsi ad essa. La visione del ruolo educativo degli educatori dei laboratori sembra essere leggermente diversificata e schierata su due poli che cercherò di descrivere in seguito. Da un lato vi sono alcuni educatori che intendono la pratica educativa quotidiana come il cercare di lavorare assieme all’utente fungendo da esempio, cercando di favorire momenti di discussione e riflessione rispetto le situazioni individuali degli utenti durante l’attività lavorativa. “Cerco di trasmettere alla persona un ruolo attivo come educatore. Io cerco nel mio ruolo di

nascondermi come ruolo di educatore cercando di entrare come ruolo attivo di lavoratore,

attraverso l’esempio concreto piuttosto che teorico.”40

                                                                                                               37  BERNARDI Franco, lavoro di diploma: l’intervento educativo nell’ambito psichiatrico. Il Centro Abitativo Ricreativo e di Lavoro, Mendrisio, 1996, pagina 36 38  Allegato numero 8, Intervista al direttore del CARL P.Broggi  39  Ibidem  40  Allegato numero 6, Intervista all’educatore M.  

Page 26: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

26/38  

Altri invece che distinguono l’aspetto lavorativo da quello educativo assumendo un ruolo meno influente nello svolgimento dell’attività lavorativa produttiva, occupandosi unicamente degli aspetti educativi, di sostegno e monitoraggio del progetto. “Gli educatori dovrebbero lavorare su più laboratori perché non guarda tanto il lavoro ma piuttosto

la casistica. Se l’educatore lo mettiamo a guardare il lavoro, prendo l’operaio e risolvo il

problema.”41

In tutti e due i casi l’educatore cerca di riconoscere la validità del gesto dell’artigiano, sia direttamente che indirettamente, in modo da diventare mediatore dell’inclusione della persona all’interno del laboratorio.

• Riflessioni personali e considerazioni Si evince dal capitolo precedente che è compito dell’educatore quello di garantire un contatto regolare con la rete degli ospiti allo scopo di avere un costante aggiornamento rispetto allo svolgimento dei progetti individuali dei singoli utenti. Oltre a questo emerge che l’educatore è comunque chiamato a riconoscere e a valorizzare le risorse dell’utente, consapevole delle difficoltà e dei limiti, riadattando continuamente il suo modo di intervenire di situazione in situazione. Anche il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo dell’artigiano è di fondamentale importanza per l’educatore del laboratorio, in quanto è proprio la figura dell’artigiano che rimanda all’utente un contesto di lavoro normalizzante, che delinei il laboratorio protetto come una palestra riabilitativa, che possa essere in linea al cambiamento che il CARL sta avendo negli ultimi anni nella trasformazione in una struttura di passaggio. Dalle interviste agli educatori emerge comunque la difficoltà ad essere riconosciuti nel proprio ruolo educativo all’interno del contesto lavorativo. Posso dunque considerare che l’inserimento dell’educatore nel laboratorio, in un contesto che era gestito unicamente da artigiani, abbia reso più difficile il riconoscimento e la validità della risorsa professionale. È con il tempo, la negoziazione e la condivisione che sarà possibile valorizzare le potenzialità di questa ancora nuova figura professionale rendendola operativa affinché si costruisca lo spazio necessario per agire e dimostrare la validità del lavoro progettuale, che dall’analisi emerge come uno dei punti forti del lavoro educativo. Da quanto sostenuto dagli intervistati, i momenti che può sfruttare l’educatore per riflettere e agire sul contesto lavorativo sono sicuramente i momenti di riunione che da qualche anno sono stati inseriti settimanalmente, sia in ogni laboratorio che tra tutti i professionisti dei laboratori. In conclusione, come sostenuto dagli educatori ritengo che l’educatore all’interno del laboratorio protetto funga da catalizzatore delle risorse dell’utente rispetto a quello che offre il contesto in cui lavora, cercando di sostenerlo nello sviluppo della sua autonomia.

                                                                                                               41  Allegato numero 1, intervista all’educatore E.

Page 27: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

27/38  

3.2.4 Le modalità di collaborazione interprofessionali interne ai laboratori protetti

• Sintesi delle risposte e analisi Da un punto di vista macroscopico e strutturale del direttore dell’istituzione CARL, ogni professionista impiegato nel laboratorio ha una responsabilità precisa. L’educatore dovrebbe essere quella persona che, all’interno del laboratorio, riesce a valorizzare le competenze di tutti gli attori coinvolti, sia utenti sia artigiani. L’inserimento dell’educatore nei laboratori, che con il tempo il direttore ha cercato di implementare arrivando ad avere in quasi tutti i laboratori almeno una figura educativa di riferimento, ha avuto lo scopo di aiutare gli artigiani nell’impostazione dell’attività lavorativa quotidiana prendendo in considerazione i punti di vista di tutti gli attori coinvolti (artigiani e utenti). In una situazione di collaborazione di questo tipo, il progetto sarebbe più completo e con maggiore probabilità di riuscita poiché facilitato nella condivisione delle attese prendendo in considerazione le diverse specificità delle discipline e le competenze specifiche di ogni professionista. “L’educatore dovrebbe essere quella persona che riesce a valorizzare le diverse competenze, non

solo dell’utente, ma anche degli artigiani stessi.”42

L’educatore nel laboratorio rappresenta quindi una sorta di canale di comunicazione rispetto alla complessità del mondo della psichiatria e la realtà lavorativa interna al laboratorio, in modo da facilitare il processo d’inclusione degli utenti assunti. L’obiettivo dei laboratori protetti di oggi non è più quello di occupare il tempo, sarebbe interessante già all’interno dei singoli laboratori “…togliere determinate etichette alle persone

che lavorano nel laboratorio passando il concetto di laboratorio come una “palestra”.”43

Nel concetto di “palestra” relazionale di crescita della comunità terapeutica, come lo intende C.Meier, è importante che i diversi contesti, che vive l’utente, rappresentino il più possibile quelli del mondo esterno, riconoscendo l’errore dell’utente come uno sbaglio, un comportamento disfunzionale, al quale è possibile rimediare in momenti di riflessione al progetto, offrendo possibilità alla persona di migliorarsi producendo un cambiamento. In questo senso l’educatore e l’artigiano dovrebbero avere compiti ben distinti, chi nella gestione del lavoro, chi nel momento di riflessione al progetto. Nei laboratori protetti del CARL, secondo il coordinatore, “Il ruolo dell’educatore è quello di

essere il filo conduttore nell’introdurre la progettualità della persona, cosa che magari viene fatta

dall’artigiano in maniera naturale. L’artigiano inizierà spontaneamente ad insegnare il lavoro alla

persona, l’educatore dovrebbe riuscire a tenere questo filo conduttore sapendo quello che

abbiamo intenzione di raggiungere con la persona.”44

                                                                                                               42  Allegato numero 8, Intervista al direttore del CARL P.Broggi  43  Ibidem  44  Allegato numero 7, intervista al coordinatore dei laboratori protetti C.Maiocchi  

Page 28: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

28/38  

Dalle interviste agli educatori emerge che nella diversità delle attività lavorative offerte nei laboratori del CARL, ogni realtà ha con il tempo affinato il modo in cui gestire la quotidianità, nella suddivisione dei compiti e delle responsabilità. È di primaria importanza incentivare la persona a migliorarsi nello sviluppo delle sue capacità seguendo i consigli dell’artigiano dimostrando a se stesso e agli altri cosa è capace a fare. In équipe risulta infatti molto importante il confronto tra i diversi professionisti in modo da trovare per ogni utente un lavoro adeguato alle sue capacità, in linea al suo progetto di sviluppo individuale. Vista la diversità delle capacità, dovuta anche alle età diversificate degli utenti assunti nei laboratori, risulta difficile per gli operatori fare un discorso generale di intervento. In alcuni laboratori il progetto di alcuni utenti, soprattutto i più anziani, è ancora legato al vecchio modello del CARL, quello dell’occupazione del tempo. Per i “nuovi” casi, sempre più giovani, è invece importante impostare un altro tipo di progettualità lavorativa nel laboratorio, più in linea con l’idea di “palestra”, dove l’artigiano si occupa di gestire le mansioni lavorative in un contesto “normalizzante”. A questo proposito il coordinatore sostiene infatti che all’interno dei laboratori servano maggiormente gli artigiani piuttosto che gli educatori a gestire il lavoro pratico. “Il mio scopo è di avere questa cultura della figura

educativa, ma che l’educatore non sia così presente nel laboratorio. Nei momenti dei vari bisogni

si chiama l’educatore.”45  

In questo senso è come se vi fossero due realtà lavorative distinte, una maggiormente produttiva e l’altra più occupazionale. “Non posso gestire la parte di esecuzione del lavoro,

questa è una collaborazione, un parere che posso dare ai colleghi artigiani che gestiscono di più la

parte legata al lavoro...”46

Il grosso del lavoro con gli utenti nei laboratori, soprattutto nella parte maggiormente produttiva, viene svolto dagli artigiani o dalla figura professionale che ha le conoscenze tecniche del lavoro, l’educatore svolge invece un lavoro di supporto legato alla discussione in équipe per favorire l’inclusione sociale delle persone maggiormente in difficoltà e favorire invece la crescita e la possibilità di integrazione dei più giovani. Questo modo di gestire l’attività lavorativa nei laboratori, tenendo unite la realtà maggiormente occupazionale a quella più produttiva, rimanda agli utenti del laboratorio l’ipotetico futuro nel mondo lavorativo esterno lasciando sempre la speranza e la possibilità all’utente di sorprendere il professionista facendo vedere capacità che nessuno poteva immaginare, d’altro canto un possibile rischio è quello che il giovane si riconosca nei colleghi che hanno alle spalle un vissuto psichiatrico più duraturo e intenso scoraggiandosi di fronte alla quotidianità. Il modo di gestire la quotidianità del laboratorio attualmente in vigore permette agli educatori di avere una visione di tipo evolutivo della persona, che deve sempre essere stimolata e disposta al cambiamento.                                                                                                                45  Allegato numero 7, intervista al coordinatore dei laboratori protetti C.Maiocchi  46  Allegato numero 4, Intervista all’educatrice M.  

Page 29: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

29/38  

Gli educatori, dichiarano di essere in difficoltà nella gestione della realtà lavorativa poiché complessa e fortemente diversificata. Nell’agevolare questa realtà lavorativa, una possibile proposta di cambiamento arriva dal coordinatore: “Quello che mi piacerebbe ottenere, come cambiamento, è appunto quello che l’educatore viene

interpellato nei momenti di scambio e nei momenti di reale bisogno.”47

In questa proposta di cambiamento l’educatore assume un ruolo itinerante, su più laboratori, intervenendo unicamente quando richiesto dalle situazioni in modo da distinguere l’atto educativo riabilitativo da quello lavorativo. Questo cambiamento sembra però non essere condiviso da tutti gli educatori. Una parte ritiene che la figura educativa debba essere l’esempio nel laboratorio di fronte allo svolgimento dell’attività fungendo da motivazione anche per quegli utenti difficili da coinvolgere e da stimolare.

• Riflessioni personali e considerazioni Posso considerare dall’analisi soprastante che l’educatore è colui che deve saper riconoscere e cogliere l’importanza del gesto spontaneo dell’artigiano, maestro d’arte dell’utente, in quanto è considerata la figura che potrà offrigli i mezzi per apprendere il lavoro e lo scopo che viene attribuito al prodotto del laboratorio. Dall’analisi emerge che l’educatore ha la funzione di essere il mediatore dell’attività lavorativa aiutando l’artigiano, attraverso momenti d’intervisione costanti, nell’attribuzione di significati più ampi, che sappiano prendere in considerazione più punti di vista rispetto alle situazioni agite ed osservate. La figura educativa rappresenta un tassello importante nel contesto lavorativo dei laboratori protetti del CARL, nell’evoluzione che hanno avuto nel tempo. L’educatore all’interno dell’équipe interprofessionale è responsabile della gestione individuale della situazione sociale, relazionale e psicologica dell’utente, indispensabile da monitorare anche nello spazio lavorativo. Da quanto emerge dalle interviste, si può considerare che non deve essere stato semplice per le figure educative entrare in una realtà lavorativa consolidata dove questa figura non era prevista, portando un punto di vista nuovo, meno assistenziale ma con effetto maggiormente emancipato verso l’autonomia dell’utenza. Nonostante gli sforzi e i cambiamenti che vi sono stati negli ultimi anni nel rendere le diverse équipe dei laboratori maggiormente funzionali in linea al cambiamento del CARL, risulta necessario dal punto di vista degli intervistati il passare del tempo per lasciare alle spalle la visione occupazionale dell’attività dei laboratori e aspettando che gli utenti che hanno vissuto il cambiamento vadano in pensione. Emerge dall’analisi dei dati che i professionisti, specialmente gli artigiani, che hanno vissuto il cambiamento mostrano maggiore difficoltà nel vedere il laboratorio in un’ottica di “palestra riabilitativa” dove l’attività lavorativa ha lo scopo di produrre un cambiamento nella persona in vista di un reale inserimento sul territorio.

                                                                                                               47  Allegato numero 7, intervista al coordinatore dei laboratori protetti C.Maiocchi  

Page 30: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

30/38  

In conclusione, gli intervistati, che hanno vissuto direttamente ed indirettamente l’inserimento lavorativo di un utente del laboratorio assemblaggio in una ditta esterna, sostengono che questo evento servirà a dare una svolta alla rappresentazione dei laboratori attribuendovi un percorso maggiormente emancipato e di cambiamento. L’idea di cambiamento proposta dal coordinatore nell’avere educatori “mobili” su più laboratori, che non è condivisa da tutti gli attori coinvolti, permetterebbe di scindere l’attività lavorativa con i momenti di difficoltà della persona.

3.2.5 Le modalità di collaborazione interprofessionale con le figure esterne coinvolte nei progetti educativi degli utenti dei laboratori

• Sintesi delle risposte e analisi Sempre partendo da un punto di vista strutturale, dalla visione del direttore del CARL, l’educatore del laboratorio dovrebbe essere il garante e responsabile del mantenimento del contatto con la rete di riferimento dell’utente in un’ottica di valutazione continua del progetto. L’utente deve sempre essere informato di fronte ad ogni azione dell’educatore e, se possibile, deve essere lui a ritenere necessario un supporto e un sostegno attivando la rete nel momento del bisogno. È importante per il laboratorio capire se le persone che stanno attorno all’utente rappresentano dei possibili aiuti rispetto al progetto e non delle difficoltà. Dal punto di vista del direttore, i genitori e i parenti non sempre contribuiscono a favorire l’autonomia della persona nel momento del disagio, delle volte rappresentano, infatti, parte del problema. In linea al cambiamento previsto all’interno del CARL, si dovrebbe riuscire ,con il tempo, ad avere maggiori dimissioni dalle strutture abitative, i quali utenti modificheranno il proprio contratto da “ospite” del CARL ad utente esterno. In questo caso l’educatore del laboratorio diventerà il regista del progetto, della situazione della persona, in collaborazione con i professionisti esterni come medici, curatori, assistenti sociali,... Riprendendo una citazione dal testo “L’aspetto lavorativo al CARL”: “L’atto educativo richiede la piena assunzione del ruolo da parte dell’operatore e là dove è

possibile e indicato sarebbe bene poter allestire un percorso formativo con tutta l’équipe,

prevedendo fin dall’inizio le fasi di sviluppo e i momenti valutativi di verifica.”48

Già nel 1999 si parlava di allestire percorsi formativi con tutta l’équipe (inteso come rete di riferimento della persona), in modo da definire un vero e proprio progetto educativo valutato in itinere. In questo senso il pensiero istituzionale di oggi verso la responsabilità educativa di lavorare in rete, mette i laboratori nella condizione di avere un contatto continuo e costante con i punti di riferimento degli utenti in modo da avere continui aggiornamenti sul progetto e quindi anche una maggiore coerenza negli interventi interdisciplinari.

                                                                                                               48  BEDULLI Piercarlo, CAVADINI Riccardo, POLETTI Giovanna, lavoro di diploma: “L’aspetto lavorativo al CARL”, Mendrisio, 1999, pagina 17  

Page 31: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

31/38  

Questo punto di vista istituzionale in merito all’importanza del lavoro di rete, è sostenuta dal modello progettuale dialogico, il quale sostiene l’importanza del lavoro e della comunicazione in rete. L’intervento messo in atto con l’utente in un determinato contesto porta delle modifiche inevitabili in tutte le relazioni del soggetto sia professionali sia personali. Ecco perché è importante ritagliare, nel corso dell’anno, spazi dialogici d’incontro tra i membri della rete implicati. Le modalità di collaborazione e comunicazione in itinere con le figure esterne della rete di riferimento degli utenti “vengono fatte principalmente per mail o per telefono, alle persone

direttamente interessate…lo scambio tra le diverse figure di riferimento permette di conoscere

diversi aspetti e capacità della persona che emergono dai contesti diversi.”49 Gli educatori in generale riconoscono il valore e il sostegno della rete di riferimento. Dal loro punto di vista emerge che viene spesso interpellata soprattutto allo scopo di fissare degli incontri, fissare degli appuntamenti ma anche semplicemente per uno scambio di informazioni rispetto alle diverse rappresentazioni della situazione della persona. La rete viene soprattutto interpellata quando vi sono problemi, se invece tutto procede in modo tranquillo, la comunicazione viene mantenuta in maniera più diluita nel tempo. E’ solo negli ultimi 3-4 anni che nei laboratori si è cominciato a lavorare in rete. Questo sicuramente contribuisce a creare delle difficoltà nel raggiungimento del nuovo progetto del CARL atteso dal direttore. Un buon lavoro di rete si costruisce infatti con il tempo attraverso la negoziazione e la condivisione. Alcuni educatori sembrano non essere sempre soddisfatti del tipo di collaborazione che si instaura con la rete. Una criticità è infatti legata alla poca disponibilità al confronto e alla poca conoscenza da parte di alcuni membri della rete rispetto il lavoro svolto nei laboratori. La collaborazione può sicuramente migliorare se l’educatore aumenta la sua disponibilità di confronto dando responsabilità all’utente di fronte a questo importante supporto di cui dispone. “Ultimamente ho notato che la disponibilità dei membri della rete migliora dal momento in cui

anche io mi rendo disponibile venendo incontro al medico o alle altre persone di riferimento

facendo cioè io il primo passo, o cercando nel concreto di andare io nel suo studio per un

incontro.”50

Come già detto, ogni anno viene svolto almeno un incontro di rete per ogni utente che lavora all’interno dei laboratori. Questo rappresenta un'altra modalità di collaborazione dei laboratori, con le reti di riferimento dei diversi attori coinvolti. “La valutazione diventa per questo modello parte inscindibile della progettazione, perché ne

costituisce il canale di alimentazione. Valutare è ricercare e riconoscere i significati costruiti del

                                                                                                               49  Allegato numero 7, intervista al coordinatore dei laboratori protetti C.Maiocchi  50  Allegato numero 3, Intervista all’educatrice C.  

Page 32: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

32/38  

problema e il senso di ciò che è successo, attraverso il confronto tra le diverse attribuzioni e con la

partecipazione attiva dei diversi attori coinvolti” 51

• Riflessioni personali e considerazioni Come emerso dall’analisi, il grande sforzo degli educatori dei laboratori nel corso di questi ultimi anni, è stato quello di essere maggiormente efficaci nella relazione d’aiuto con l’utente, attivando un lavoro di rete che rappresenta però un processo lungo e complesso. Emerge dalle analisi che vi sono delle analogie rispetto alla modalità di progettazione interna al laboratorio e le modalità di collaborazione con le diverse reti di riferimento degli utenti. Poiché il progetto del laboratorio si allaccia ad un progetto già esistente, lo spazio di azione all’interno della rete dell’educatore del laboratorio, nelle sue intenzioni integrative inclusive, risulta essere limitato. Posso considerare, da quanto emerso dall’analisi, che sarebbe interessante e innovativo per la struttura del CARL potenziare la visione educativa all’interno delle reti di riferimento degli utenti. Sarebbe un importante passo da fare nella direzione di valorizzare le risorse degli utenti piuttosto che i loro limiti. Ritengo questo importante poiché appartiene al percorso di cambiamento che il CARL sta cercando di attuare in questi ultimi anni. Dai dati emersi, posso considerare che all’interno dei laboratori protetti del CARL, le modalità di collaborazione interprofessionale, con la rete di riferimento degli utenti, sono basate principalmente sul bisogno e la richiesta dell’utente rispetto le sue difficoltà.

4. Conclusioni

4.1 Considerazioni della ricerca svolta Arrivato alla fine di questo lavoro, provo a sintetizzare i risultati emersi a partire dalla domanda di ricerca: “Quali sono le specificità del ruolo dell’educatore sociale all’interno dei laboratori protetti di lavoro del CARL?” Rispetto a quanto emerso dai dati raccolti attraverso le interviste, il primo aspetto da considerare nella risposta alla domanda di ricerca è legato alla storia del CARL, la quale influisce sul modello progettuale previsto all’interno della struttura e quindi anche nei laboratori protetti.  Concretamente, per quanto riguarda le specificità del ruolo educativo nei laboratori protetti, risulta di primaria importanza l’ascolto degli interessi e delle rappresentazioni dell’idea di futuro dell’utente in modo, per quanto possibile, di aiutare la persona a realizzare le sue aspettative di futuro. L’istituzione nel suo intento di trasformare il CARL in un luogo di passaggio, sembra tendere verso un modello di progettazione individuale, dialogico e partecipato con l’utente.  

                                                                                                               51  BRANDANI Walter, ZUFFINETTI Paolo, “Le competenze dell’educatore professionale”, Carocci Faber, Il servizio sociale, 2004, pagina 46  

Page 33: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

33/38  

Il questo senso risulta però complessa l’applicazione del processo di negoziazione necessario al cambiamento, in quanto richiede all’operatore e alla rete di riferimento che collabora, una rimessa in discussione dei propri valori e delle proprie rappresentazioni.  Dall’analisi emerge che il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo dell’artigiano all’interno del laboratorio, da parte dell’educatore, sono di fondamentale importanza. È la figura dell’artigiano che rimanda all’utente un contesto di lavoro normalizzante, che delinea il laboratorio protetto come una palestra riabilitativa, che possa essere in linea al cambiamento che il CARL sta avendo negli ultimi anni, nella trasformazione in una struttura di passaggio. Questo processo risulta essere rallentato in quanto gli educatori sostengono di vivere ancora oggi delle difficoltà nel confronto con gli artigiani. Aumentando la comunicazione e rendendola più efficace nel confronto in équipe, queste divergenze tra i diversi punti di vista potrebbero migliorare valorizzando la visione delle differenze delle specifiche professioni. Dall’analisi dei dati posso inoltre aggiungere che un altro importante compito demandato all’educatore nel laboratorio, è quello di garantire un contatto regolare con la rete degli utenti, allo scopo garantire la continuità nei progetti individuali e un costante aggiornamento rispetto al loro sviluppo. Sta inoltre al ruolo educativo riconoscere e valorizzare le risorse dell’utente, consapevole delle difficoltà e dei limiti, riflettendo continuamente all’interno dell’équipe su come aggiustare il progetto del laboratorio, rispetto a quanto viene osservato e valutato. I momenti che può sfruttare l’educatore per portare avanti riflessioni volte al cambiamento del contesto lavorativo, sono, prima di tutto, i momenti di riunione e di incontro formali previsti settimanalmente.  È nella specificità del ruolo educativo nei laboratori, quello di essere responsabile della gestione della situazione sociale, relazionale e psicologica dell’utente in quanto ritenuta importante da monitorare anche nel contesto lavorativo. Le modalità di progettazione interna ai laboratori e le modalità di collaborazione con la rete di riferimento, presentano delle analogie. Il progetto del laboratorio del quale è garante e responsabile l’educatore, si allaccia ad un progetto già esistente. Per questo motivo lo spazio di azione, dell’educatore del laboratorio, all’interno della rete risulta essere limitato. Dall’intervista ai diversi educatori emerge che se si riuscisse a potenziare la visione educativa all’interno delle reti di riferimento degli utenti, si farebbe un passo avanti nel valorizzare le risorse dell’utente piuttosto che i suoi limiti. Questo compito spetta sicuramente in primo luogo agli educatori che devono riuscire a trovare il modo di rendere il loro punto di vista maggiormente valido anche sostenuti da un mansionario specifico e maggiormente dettagliato che illustri il ruolo dell’educatore in maniera esplicita all’interno di laboratori protetti.

Page 34: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

34/38  

4.2 Trasferibilità dei contenuti del lavoro rispetto al ruolo dell’educatore nella nostra società Dal mio punto di vista, i contenuti emersi da questo lavoro sono sicuramente estendibili alle finalità educative verso cui un operatore sociale dovrebbe tendere nella pratica quotidiana. In modo particolare, ci tengo a rilevare l’interessante proposta di A.Nuzzo che, in una visione inclusiva della società, propone alle realtà istituzionali delle strategie di valorizzazione del ruolo sociale e di partecipazione attiva della persona avente un disagio psichico nella società. “La dimensione di soggetto che vive il territorio, ricercando le occasioni promosse da altri soggetti

sociali per parteciparvi, stringendo legami di cooperazione, partecipando alla realizzazione di

iniziative e progetti. Concretamente, per i servizi significa creare occasioni di incontro, confronto,

scambio, conoscenza, condivisione e dialogo, in grado di coinvolgere le realtà del territorio

attraverso proposte che sappiano creare le condizioni ideali per la costruzione di relazioni

positive.”52

In questo senso considero importante, nelle realtà dei laboratori protetti, considerare continuamente, a livello educativo, delle possibilità di confronto, da parte degli utenti implicati, con le realtà esterne allo scopo di rompere le barriere psico-sociali di paura ed etichettamento dei luoghi di cura e riabilitazione. In questo senso ho trovato interessante l’esperienza del laboratorio “assemblaggio” del CARL dove per alcuni giorni al mese gli utenti si spostano, presso una delle principali ditte che commissiona il lavoro, per lavorare direttamente nella fabbrica, dove viene loro chiesto di fare lo stesso lavoro che fanno in laboratorio. “Il progetto che era in cantiere l’anno scorso e che ultimamente si sta concretizzando il quale

consiste nel lavorare fuori, in primis ha lo scopo di togliere questa etichetta di malato psichiatrico,

l’altro per cercare di dare a queste persone la possibilità di vedere la ditta esterna, come è, vedere

gli operai che ci lavorano dentro, come anche i ritmi di lavoro. Per gli operai che sono lì, invece,

l’obiettivo è vedere chi sono le persone a cui portano il lavoro in laboratorio, vedere come

lavorano, come si comportano e che ritmi hanno.”53

In questa situazione, è stato il laboratorio che si è spostato in un'altra realtà, allo scopo di permettere e favorire un confronto, d’altra parte ritengo interessante considerare anche la possibilità di aprire le porte dei laboratori alla popolazione, in modo da mostrare le numerose qualità e abilità possedute degli utenti che vi lavorano. Nel corso del mio ultimo stage formativo che ho avuto occasione di svolgere all’interno del laboratorio di legatoria, sono riuscito ad imparare, osservando e ascoltando i consigli degli utenti del laboratorio rispetto le tecniche di rilegatura, una nuova professione, interessante ed utile in vista del mio futuro.                                                                                                                52  MEDEGHINI Roberto, VADALÀ Giuseppe, FORNASA Walter e NUZZO Angelo, “Inclusione sociale e disabilità”, Erickson, 2013, pagina 80  53  Allegato numero 2, Intervista all’educatore U., pagina 4  

Page 35: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

35/38  

Anche il concetto di palestra come comunità riabilitativa lo trovo interessante da estendere alla figura educativa in generale perché ritengo che ogni individuo, soprattutto se manifesta dei disturbi psichiatrici, debba avere la possibilità di confrontarsi e sperimentare le sue capacità socio-relazionali in contesti che riproducano le condizioni lavorative esterne, ma che dimostrino di essere comunque vicini alla diversità delle situazioni, ridando alla persona la possibilità di migliorarsi e credere nelle sue capacità.

4.3 Risorse e limiti del lavoro svolto

4.3.1 Contenuto Ritengo che la risorsa principale di questo lavoro sia quella di aver messo in risalto gran parte degli aspetti importanti che definiscono la specificità del ruolo educativo all’interno dei laboratori protetti del CARL, in modo costruttivo e complementare. Dal mio punto di vista è segno di professionalità quello di riconoscere il valore del gesto educativo dei colleghi professionisti, il valore della diversità nel vestire il proprio ruolo professionale. Ritengo che questo modo di affrontare la collaborazione in équipe sia un buon punto di partenza per affrontare i conflitti e le divergenze che fanno comunque parte del lavoro educativo quotidiano. Affrontare questo lavoro d’indagine mi ha anche fatto capire l’importanza del ricordare che la storia istituzionale influisce sulle modalità di cambiamento della presa a carico della persona all’interno della struttura in cui si opera. Nel caso del CARL, la componente infermieristica, legata maggiormente al modello bio-medico rallenta dal mio punto di vista la visione inclusiva, alla quale la figura educativa fa riferimento, rendendo più difficile e in alcuni casi anche logorante il lavoro educativo. È comunque da considerare che dagli aspetti emersi durante le interviste emerge maggiormente la rappresentazione ideale della persona, piuttosto che la dimensione reale e applicativa della situazione in sé. Quest’aspetto rappresenta sicuramente un limite del mio lavoro di tesi che per alcuni aspetti ritengo risulti essere idealistico. Un altro limite di questo lavoro è sicuramente legato al fatto che i risultati ottenuti sono limitati al pensiero istituzionale e alle figure educative implicate nei laboratori protetti del CARL. Sarebbe interessante riflettere, in futuro, sulla percezione della specificità del ruolo educativo dal punto di vista dell’utenza dei laboratori e degli altri professionisti che vi lavorano, per avere materiale da confrontare con i miei risultati ottenuti. Penso comunque di aver raggiunto, come emerge dalle considerazioni sul lavoro svolto, l’obiettivo che mi ero posto all’inizio del percorso.

4.3.2 Metodo Questo lavoro di ricerca mi ha permesso, soprattutto attraverso le interviste che ho sviluppato, di sperimentare in prima persona il valore del confrontarsi, all’interno di un’istituzione con i propri colleghi di lavoro, come anche con le figure professionali che rivestono ruoli dirigenziali e di coordinamento. È stato interessante conoscere le diverse

Page 36: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

36/38  

rappresentazioni del ruolo agito dai vari professionisti per avere un’idea maggiormente ampia delle attese istituzionali e su come poterle perseguire nella pratica educativa quotidiana. Questo lavoro mi ha inoltre confermato l’importanza dell’approfondire la propria pratica lavorativa quotidiana, attraverso concetti teorici di riferimento specifici, per valorizzare gli interventi attribuendogli scopi specifici che evitano l’intervento casuale. Si è dimostrata inoltre una risorsa ricercare all’interno dei documenti ufficiali all’istituzione, riferimenti specifici sulla funzione educativa, in modo da chiarire gli obiettivi istituzionali. Questa ricerca si è dimostrata difficile, in quanto i documenti interni hanno pochi riferimenti alle mansioni educative e alla specificità del ruolo dell’educatore. Il principale limite del mio lavoro è sicuramente stato il poco tempo a disposizione per l’elaborazione dei dati raccolti. Per aiutarmi la mia commissione ha saputo darmi gli elementi di sintesi necessari per rendere la parte della dissertazione maggiormente scorrevole. Sarebbe stato interessante approfondire, domanda per domanda, ogni aspetto indagato nelle interviste, magari attraverso qualche approccio teorico di riferimento in più. Sono comunque contento della metodologia di lavoro che ho deciso di adottare nello svolgimento della problematica perché permette una lettura strutturata con un senso logico di tutto il lavoro.

Page 37: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

37/38  

5. Bibliografia

5.1 Testi BEDULLI Piercarlo, CAVADINI Riccardo, POLETTI Giovanna, lavoro di diploma: “L’aspetto lavorativo al CARL”, Mendrisio, 1999 BERNARDI Franco, lavoro di diploma: l’intervento educativo nell’ambito psichiatrico. Il Centro Abitativo Ricreativo e di Lavoro, Mendrisio, 1996 BRANDANI Walter, ZUFFINETTI Paolo, “Le competenze dell’educatore professionale”, Carocci Faber, Il servizio sociale, 2004 FORNASA Walter, MEDEGHINI Roberto, VADALÀ Giuseppe, NUZZO Angelo, “Inclusione sociale e disabilità”, Erickson, 2013 GHISLENI Maurizio, MOSCATI Roberto, “Che cos’è la socializzazione”, Carocci, le bussole, 2001 JAHODA.M, LAZARSFELD.P.F, ZEISEL.H, I disoccupati di Marienthal, Edizioni lavoro, Roma, ed.or.1981, 1986 LEPRI Carlo, MONTOBBIO Enrico, “Lavoro e fasce deboli”, FrancoAngeli, 1993 LEPRI Carlo, “Viaggiatori inattesi”, Appunti sull’integrazione sociale delle persone disabili, FrancoAngeli, 2011

5.2 Dizionari Dizionario delle scienze sociali, Milano, Zanichelli S.P.A, 1998

5.3 Sitografia Anffas Ticino Onlus di Somma Lombardo, Inclusione sociale, http://www.anffasticino.it/disabili/inclusione-sociale-ticino2.html, visitato il 14.07.2015 Sito ufficiale OSC, http://www4.ti.ch/dss/dsp/osc/chi-siamo/presentazione-osc/, visitato il 11.08.2015

5.4 Articoli scientifici MEDEGHINI Roberto, gruppo di ricerca disability studies Italy, I diritti nella prospettiva dell’inclusione e dello spazio comune MEIER Christine, “Le patologie adolescenziali e il loro trattamento nelle comunità terapeutiche”, Centro “al Dragonato”, Bellinzona

Page 38: L’educatore nei laboratori protetti del CARL, quale è il ...tesi.supsi.ch/292/1/Bernasconi K..pdf · di chi ha perso lo scemo e lo ... Voglio ringraziare in particolar modo mia

   

38/38  

5.5 Documenti interni OSC-CARL OSC-CARL, “Manuale qualità”, Data di emissione 16.07.2008, Data di revisione 14.04.2015 Centro abitativo, ricreativo e di lavoro, Concetto generale, Versione 09.2002

5.6 Indice degli allegati Allegato numero 1: Intervista educatore E. Allegato numero 2: Intervista educatore U. Allegato numero 3: Intervista educatrice C. Allegato numero 4: Intervista educatrice M. Allegato numero 5: Intervista educatrice M. Allegato numero 6: Intervista educatrice M. Allegato numero 7: Intervista coordinatore laboratori protetti Claudio Maiocchi Allegato numero 8: Intervista direttore CARL Patrizio Broggi Allegato numero 9: MAIDA Serenella, IGLESIAS Alicia, La progettazione dialogica partecipata, L’approccio Concertativo, SUPSI DEASS, 2014 Allegato numero 10: Tracce d’intervista al direttore, coordinatore e agli educatori dei laboratori protetti