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Direttore Scientifico

Andrea Cavicchioli

Redazione

Giovanni Venturi

Reg. Trib. Bologna n° 6437 del 19/4/95

Comitato Scientifico

Sergio Accardi, Piero Bonadeo, Roberto Cassino, Domenico Cucinotta, Ornella Forma, Marco Masina, Vincenzo Mattalino, Francesco Petrella, Roberto Polignano, Elia Ricci, Marco Romanelli, Alessandro Scalise, Patrizia Tomasin, Raffaele Trulli

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o divulgata senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.Gli articoli riportano il punto di vista dell’Autore che non riflette necessariamente quello dell’Editore.

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Le ulcere croniche degli arti inferiori

Coordinamento scientifico:Dott. Roberto PolignanoAngiologia - Azienda USL 10, Firenze

Collaboratori ed autori:Piero Bonadeo, MilanoGiovanni Mosti, LuccaVincenzo Mattalino, LuccaBattistino Paggi, NovaraOrnella Forma,VareseFrancesco Petrella, NapoliAlessandro Scalise, AnconaGiovanni Venturi, BolognaAndrea Cavicchioli, Modena

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Indice

Premessa pag. 9

Capitolo 1 - Le ulcere vascolari nella storia della medicina pag. 11

1.1 Le ulcere vascolari nella storia della medicina pag. 12

1.2 Ulcere venose pag. 12

1.3 Ulcere ischemiche pag. 17

Capitolo 2 - La patogenesi dell’ulcera venosa pag. 21

2.1 La patogenesi dell’ulcera venosa pag. 22

2.2 Insufficienza venosa cronica (IVC) pag. 22

2.3 Il microricircolo pag. 22

2.4 Microtrombosi pag. 23

2.5 I Leucociti pag. 23

2.6 Interazione Leucociti-Endotelio pag. 24

2.7 Nuove ipotesi pag. 24

2.8 Conclusioni pag. 25

Capitolo 3 - La patogenesi dell’ulcera ischemica pag. 27

3.1 La patogenesi dell’ulcera ischemica pag. 28

3.2 L’ischemia Cronica pag. 28

3.3 L’ischemia Cronica Critica pag. 30

Capitolo 4 - Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari pag. 33

4.1 Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari pag. 34

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Capitolo 5 - Il ruolo del bendaggio elastico nella terapia delle ulcere venose pag. 39

5.1 Introduzione pag. 40

5.2 Definizione ed azione della compressione elastica pag. 40

5.3 Azione della compressione pag. 40

5.4 Il bendaggio nella pratica clinica pag. 41

5.5 Il bendaggio multistrato pag. 43

5.6 Conclusioni pag. 44

Capitolo 6 - Il trattamento topico pag. 47

6.1 Il trattamento topico pag. 48

6.2 Detersione pag. 48

6.3 La soluzione detergente pag. 48

6.4 La tecnica di detersione pag. 48

6.5 Antisepsi pag. 49

6.6 Antisettici in soluzione pag. 51

6.7 Gestione della colonizzazione batterica pag. 52

6.8 Medicazioni pag. 54

Capitolo 7 - Il trattamento chirurgico ricostruttivo pag. 57

7.1 Il trattamento chirurgico ricostruttivo pag. 58

Capitolo 8 - Gli innesti cutanei pag. 63

8.1 Gli innesti cutanei pag. 64

Capitolo 9 - Analisi dei problemi nella gestione delle ulcere degli arti inferiori pag. 69

9.1 Introduzione pag. 70

9.2 Analisi dei problemi e possibili soluzioni pag. 71

9.3 Conclusioni pag. 72

9.4 Proposte operative pag. 72

Capitolo 10 - Casi clinici pag. 75

10.1 Casi clinici pag. 76

10.2 Considerazioni conclusive pag. 77

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Premessa

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Il programma editoriale di Helios si arricchisce, con questa monografia sulle ulcere croniche del-l’arto inferiore, di un contributo sistematico ed aggiornato che risulterà di sicura utilità sia sul pianodidattico, nelle sedi ove la disciplina viene spiegata a studenti in formazione, che in ambiente clini-co, ove esso si presta a una rapida ed efficace consultazione.Ad alcuni anni dalla uscita della seconda edizione della monografia sulle lesioni da decubito, assie-me al Comitato Scientifico della rivista, si è deciso di affrontare il campo delle ulcere croniche del-l’arto inferiore. E’ stata una scelta quasi obbligata: i dati epidemiologici del nostro paese segnalanoche questa patologia, nelle sue molteplici espressioni, si piazza immediatamente a ridosso dellelesioni da decubito, quanto a numerosità. E’ invece certamente al primo posto per l’impegno eco-nomico sia sul piano diagnostico, che su quello dei trattamenti terapeutici. Un settore del wound-care quindi che va accuratamente presidiato e su cui la precisione del processo diagnostico e tera-peutico sono fondamentali per tentare di ridurre episodi di malattia che il più delle volte si risolvo-no solamente nel medio-lungo periodo (mesi/anni) e nei quali le recidive sono all’ordine del giorno.

Il progetto è stato portato a termine in maniera brillante da un panel di clinici che quotidianamen-te si “sporcano le mani” con questo problema; questa caratteristica ben si apprezza nei diversi con-tributi che, pur non rifiutando una esposizione sistematica della materia, nondimeno cercano diportare al lettore un “vissuto” clinico che è quanto mai prezioso.

L’impegno di Coloplast è stato come al solito esemplare nel fornirci un supporto e un editing di asso-luta qualità.

Ai lettori ora il giudizio e l’impegno di formulare tutti i più sinceri consigli per migliorare, in un pros-simo futuro, quanto presentato oggi.

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Capitolo 1

Le ulcere vascolari nella storia della medicina

Piero Bonadeo

Istituto di Chirurgia Vascolare e Angiologia - Università di Milano

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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1.1 Le ulcere vascolari nella storia della medicina

David Negus, chirurgo inglese contemporaneo efra i massimi cultori del campo delle lesioniulcerative vascolari, afferma: “… le ulcere dellagamba sono comuni, la loro cura è lunga e tedio-sa, non mettono in pericolo la vita del pazientee molti chirurghi vorrebbero che qualcun altrose ne occupasse”.Queste osservazioni costituiscono un’eccellentesintesi delle dimensioni di un problema effetti-vamente ben poco conosciuto e pertanto malaffrontato da molti medici ed operatori sanitari.Le ragioni, essenzialmente, si riducono a scarsainformazione durante il corso di laurea inMedicina e Chirurgia (si pensi alle poche righededicate dai trattati fondamentali in adozionenelle nostre Università) ed alla facile resa,anche psicologica, di fronte ad una categoria dipazienti, generalmente in età medio-avanzata,demoralizzati per i lunghi tempi di una affezioneche provoca dolori e disagi, che può evolvereverso una guarigione ma anche ad una persi-stente stazionarietà se non ad un peggioramen-to, che può illudere e deludere considerando latendenza alla recidiva anche a breve terminedalla riparazione.Con poche eccezioni, nelle stesse scuole di spe-cializzazione in Chirurgia Vascolare l’argomento“ulcere vascolari” è trattato solo marginalmentenelle lezioni teoriche e viene affidato più ad unasterile e fugace osservazione pratica in ambula-torio fra le molte visite per patologie angiologi-che, diverse e maggiormente enfatizzate. Ci siriserva solo un commento superficiale e sinteti-co citando al massimo il principio etiopatogeni-co con cenni di terapia essendo evidente, anchein questa sede, l’insofferenza, quando anche il“disimpegno”, nei confronti di una complicanzae di un paziente “difficile”. Se ciò avviene perulcere venose, per le ulcere ischemiche invecel’approccio è nettamente differente, inquadran-dosi esse nel grande capitolo delle arteriopatieobliteranti degli arti inferiori al IV stadio dellaclassificazione di Leriche-Fontaine, ma anche intal caso sfugge spesso, per esempio, il concettodi ulcera mista.Questo globale limite cognitivo e la sostanzialescarsità di interesse contrastano con l’esistenzadi una vera e propria storia delle ulcere degli artiinferiori che si inserisce, a volte prepotente-mente come nel caso delle ulcere venose, nelcontesto stesso della storia della medicina edella chirurgia.

1.2 Ulcere venose

Le ulcere venose (U.V.) comparvero verosimil-mente oltre 900.000 anni fa quando l’uomopassò alla condizione di quadrupede all’ortosta-tismo, origine dell’ipertensione venosa degli artiinferiori. Tale condizione fu aggravata successi-vamente dalla compressione delle vene iliacheesercitata dall’abitudine di cavalcare introdottadagli Sciti nel VII sec. a.C., che addomesticaro-no il cavallo.Iniziò così la lenta ma progressiva riduzione delladeambulazione che oggi culmina con l’uso prefe-renziale dei mezzi di locomozione e con la scarsaattività fisica o la prolungata stazione eretta chesi sommano ai frequenti errori dietetici.L’U.V. è compatibile con una lunga vita: l’AnticoTestamento riferisce di una “messa alla prova”della fedeltà e della pazienza di Giobbe che sitrovò coperto da piaghe suppuranti e prurigino-se, oggi diremmo impetiginizzate, evitato daglistessi amici. Tuttavia il suo animo fu premiato,guarì e visse ancora 140 anni.Per rimanere alle Sacre Scritture, una giustacitazione merita il profeta Isaia che, come silegge nella Bibbia, guarì le ulcere del Re Ezechiacon impiastri a base di fichi, peraltro su suggeri-mento di Dio stesso: l’acido borico e le proteinecontenute nel frutto avevano esercitato un’azio-ne antisettica e detergente.D’altra parte nell’antico Egitto era comune l’ap-plicazione del miele sulle ulcere. Il papiro diEdwin Smith (1.500 a.C.) indica la protezionedelle ulcere (e delle ferite in generale) concerotti “ad X”, applicazione di carne fresca (adazione emostatica) e di cataplasmi a base dimiele e di burro (con funzione ipertonica e favo-rente il drenaggio delle lesioni secernenti).

Le ulcere vascolari nella storia della medicina

12I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

“Interno di ospedale”. Firenze, Biblioteca Laurenziana.

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I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Il primo riferimento certo sulle U.V. proviene daIppocrate (460-377 a.C.) nella sua opera (secon-do alcuni apocrifo) “Perihelkoon”, in versionelatina “De Ulceribus” , in cui riconobbe un lega-me tra ulcere della gamba e varici (già descritteda egizi e greci).Inoltre ammonì “… in presenza di ulcera non èconsigliabile stare in piedi, soprattutto se essa èsituata sulla gamba… dobbiamo evitare dibagnare qualsiasi ulcera tranne che con il vino ameno che essa non sia in prossimità di un’arti-colazione, poiché l’asciutto è più vicino al sanoe il bagnato al malsano”. Infine Ippocrate inse-gnava a non incidere le viene superficiali pernon creare ulcerazioni e proponeva un primitivometodo compressivo con spugne rudimentali.Il cinese Huang Ti Nei Ching Su Wen nel IV sec.a.C. scrisse un trattato di medicina interna detto“dell’imperatore Giallo” (che peraltro visse nel2600 a.C.) in cui viene descritto il trattamentodelle ulcere, ma è tuttora difficile riconosceredalla testimonianza se i medici cinesi correlas-sero le ulcere con anomalie venose.Il principale testo indiano di chirurgia fu ilSushruta Samhita del 200 a.C.: descrive l’usodelle larve per asportare il materiale necroticodalle ulcere, la detersione e la medicazione confoglie, l’adozione di tela cinese per il bendaggio.Rufo di Efeso (II sec. a.C.) propose invece unaprima terapia orale: assenzio, aristolochia, pic-colo ramno, decotto di gamberi.Celso nel suo “De Medicina” (25 d.C.) distinsemeglio le ferite dalle ulcere e consigliò l’appli-cazione di impiastri vegetali.Inoltre, seguendo l’esempio della medicina araba,introdusse il bendaggio in rotoli di morbido lino,fibra antichissima, che nel Rinascimento ritorne-rà in uso comune per qualunque medicazione.Galeno (130-200 d.C.) applicava invece sulleulcere compresse imbevute di vino ed incitava anon rinnovare spesso la medicazione.Avicenna (1000 d.C.) riaffermò nel suo “DeUlceribus” il concetto del rischio della cura del-l’ulcera anticipando la funesta “teoria umorale”secondo cui l’ulcera, specie nell’anziano, nondeve guarire perché da essa fuoriescano “umorimaligni” anzi, in caso di riparazione, essa variaperta. Tali affermazioni furono poi sostenutecon vigore da Fernel, l’Ippocrate francese, ilGaleno moderno, autore del XVI sec. del “DeUniversa Medicina” in cui si parlava di bile nerae di “umori melanconici”, corrotti, che provoca-vano edemi e, dannosi per l’organismo, doveva-no abbandonarlo.Il valore dell’elastocompressione, già propugna-ta da Celso, viene riaffermato da Henry de

Mondeville nel 1320. Egli, benché adottasse ilbendaggio per scacciare gli “umori maligni”, nericonobbe l’utilità per dominare l’edema e, spe-cie se la compressione era estesa a tutto l’arto,per guarire l’ulcera la quale, secondo le sue con-cezioni non era più necessaria una volta che ilbendaggio avesse espulso tutti gli umori cattivi.Negli stessi anni Guy de Chauliac applicavacerotti tipo diachilon (lamine di alluminio)riprendendo un’usanza egizia come descritto nelsuo trattato “Chirurgia Magna”(1363). Il cerottoè citato da Mariano Santo da Barletta e si perfe-zionerà con Baynton (1797) e Brodie (1846). Giovanni Michele Savonarola nel suo “Practica”sollecitava a bendare da distale a prossimale. È considerato il fondatore della terapia conserva-tiva; Ambroise Parè, nominato chirurgo persona-le di Enrico II, curò nel 1553 un’ulcera di LordVandeville (che pure lo aveva imprigionato) conalbume e tuorlo d’uovo (ad azione lisozimica),riposo a letto ed avvolgendo le gambe dal piede alginocchio con lamine di piombo senza dimentica-re di applicare un “piccolo cuscino” sulla venavaricosa perilesionale. La placca di piombo nonera in verità un supporto bensì si collegava almetallo-ed alluminio-terapia.Il Lord guarì ed il chirurgo riacquistò la libertàsenza cauzione. Anche Parè riteneva che le ulce-re contenessero “sangue melanconico” e cheinsorgessero in soggetti dal temperamento tristeed in dieta ipercalorica. A lui, infine, si deven laprima citazione in lingua francese sul tratta-mento delle ulcere nell’ambito della sua monu-mentale opera chirurgica.Gerolamo Fabrizi da Aquapendente, che perprimo descrisse in modo esauriente le valvolevenose già individuate da Canano, nel 1603 enfa-tizzò l’uso sistematico dell’elastocompressionenella cura delle ulcere e fu il primo ad adottaregambaletti di cuoio di vitello. Le osservazioni diFabrizio da Aquapendente permisero ad Harveydi scoprire nel 1628 la circolazione del sangue edi porre, fra l’altro la correlazione fra ulcera estasi venosa, razionalizzando l’indicazione adeseguire una contenzione elastica con bende osupporti a compressione differenziata dal piedein direzione della coscia, come già precedente-mente intuito.Richard Wiseman, sergente chirurgico di CarloII, dedusse nel 1676 che l’insufficienza valvolarefosse legata alla dilatazione delle vene e venneconsiderato il primo ad usare il termine “ulceravaricosa” per la constatazione che alle varicispesso seguivano le ulcere. Egli propose ungambaletto che ebbe molta diffusione, compo-sto di cuoio leggero “come pelle di un cane” ed

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allacciato con stringhe. Citò inoltre come fatto-ri di rischio la gravidanza e il cavalcare.Analoghi concetti furono ripresi nel 1758 daSharp nel suo libro “A trea tise on the operationsof surgery” in cui si afferma che “la difficoltà aguarire di queste piaghe è dovuta all’attrazionegravitazionale verso il basso degli umori”, dimo-strando di comprendere gli effetti della gravitàsul sangue e sui liquidi interstiziali dell’arto infe-riore.Il termine “ulcera varicosa” andò poi afferman-dosi tanto che Sir Everard Home notava le diffi-coltà di guarigione dell’ulcera “da varici” (1801).Lo stesso autore già nel 1797 consideravainfluenti l’altezza ed il peso di un individuo sullapressione venosa e sulla formazione delle ulce-re mentre riteneva che la gotta controindicasseogni forma di terapia. Elschott, medico ordinario dell’Elettore diBrandeburgo, nel 1677 eliminò una vecchia ulce-ra dalla gamba di un soldato di Danzica con l’i-niezione, mediante un sifone, di un estratto dipiantaggine in una vena crurale vicina: l’ulceraguarì o per la flebite secondaria o per la succes-siva legatura della vena. Tale vena precorreva lascleroterapia moderna del bolognese Schiassi(1908) e dei francesi Sicard e Tournay. D’altraparte Hodgson (1815) sosteneva che le ulceregià intrattabili, una volta curate le varici a cuisembravano collegate, divenivano “docili” eguarivano come ulcere “indifferenti”.Il ’700 fu un secolo particolarmente prolifico perla letteratura della terapia delle ulcere.L’Encicolpedia di Diderot dedica al propositoampio spazio.Vengono proposte bende e calze inpelle animale, bende in flanella imbevute di vinorosso o di aceto, astringenti o leggermente ges-sate; cerotti alla cera, alla pece, all’essenza diterebentino.Nel 1771 apparvero le prime pubblicazioniesclusivamente dedicate ai metodi compressivi.Così in Prussia Theden scrisse il “NeueBermerkungen und Erfahurungen zurBereicherung der Wundarzenykunst undArzenygelahrtheit” (“Nuove osservazioni edesperienze nell’arte di guarigione delle ferite enella scienza medica”) ed in Inghilterra Rowleyristampò il primo manoscritto sul trattamentoconservativo senza necessità di immobilità,“Cure of Ulcerated Leg without Rest” concettoripreso nel 1783 da Underwood nel suo “ATreasite upon Ulcers of the Legs” in cui si citanocerotti di lamine di piombo sottili e la “welchflannel”, una flanella elastica scozzese, e soprat-tutto si obbliga il paziente a camminare ritenen-do dannoso il riposo a letto.

Nel 1799 Thomas Baynton scrive “A descripti-ve account of a new method of treating oldulcers of the leg”, il primo libro sull’etologia ela terapia delle ulcere rivolto al pubblico e nonsolo ai medici. In esso si sostiene che le lesio-ni si formano nei settori distali dell’arto inquanto lontani dal cuore, “fonte della vita e delcalore”, sedi ove è più difficile il ritorno delsangue e della linfa.Due anni prima Baynton propose l’omonimamedicazione con cerotti di pece e resina tagliatiin liste embricate esercitanti una forte compres-sione. Negli stessi anni Whately consigliava ladeambulazione e l’attività fisica intensa “senzascrupoli”.Tuttavia, accanto a queste tendenze innovative,premesse della moderna terapia, persistevaancora nell’800 l’oscurantismo della teoria umo-rale che si opponeva alla cura delle ulcere. Taleopinione, sostenuta da Le Dran in Francia,Heister in Germania e Sharp in Inghilterra, face-va ritornare agli eremiti di Tebe in Egitto cheritenevano le malattie del corpo utili per l’animae che le ulcere, in particolare, fossero il migliorornamento per la pelle.All’umoralismo potevano imputarsi anche leteorize circa le complicanze da soppressionedei mestrui. Questo stato, infatti, generavasecondo i sostenitori le più diverse malattie(cachessie, idropisie, palpitazioni, vertigini,apoplessie) ed inoltre il sangue mestruale chesi radunava nella gamba al cessare del menar-ca e nella gravidanza era qualcosa di inattivo,che cercava di abbandonare l’arto provocandoun’ulcera nonostante Astruc già nel 1764dichiarasse falso il principio per cui il sanguemestruale contenesse umori cattivi. Eppurenel mondo anglosassone, in Astley Coopercome in Critchett, persisteva il legame equivo-co tra amenorrea ed ulcere.E se Benjamin Bell, al termine del ’700, era perun prudente tentativo di cura, Bucknam nel 1822esprimeva ancora un giudizio salomonico: “seun’ulcera giova alla salute del paziente va rispet-tata, se, al contrario, nuoce dev’essere curata”.Al passaggio del ’700 all’800 il punto sul proble-ma-ulcere degli arti inferiori può essere sintetiz-zato efficacemente da due pensieri.Nel 1770 Joseph Else, chirurgo del St. Thomas’Hospital di Londra, così si esprimeva: “Nessunamalattia è tanto frequente in un grande ospeda-le come le ulcere degli arti inferiori. La loro curaè generalmente tediosa e fastidiosa, spessoindaginosa ed a volte non esente da pericoli. Èuna malattia che colpisce più il povero che ilricco per questa ovvia ragione: il primo è mag-

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giormente esposto a traumi e quando subisceuna ferita o una contusione della gamba nonpotendo permettersi di rimanere a riposo dap-prima presenta un’infiammazione della partecolpita che poi si trasforma in ulcera la quale,per mancanza di una cura, può perpetuarsi permolti anni”.Nel 1801 Sir Everard Home scrive: “Non ha gio-vato al miglioramento della terapia delle ulceredella gamba il fatto che esse siano state univer-salmente considerate come le patologie più diffi-cili da trattare mai sottoposte all’attenzione dellachirurgia; sono patologie nelle quali anche i chi-rurghi più eminenti hanno, troppo spesso, fallito;e quindi i medici che sono vittime di insuccessinon dovranno ritenersi unici colpevoli per man-canza di abilità. Tutto ciò ha indotto le giovanigenerazioni mediche… ad essere troppo diffiden-ti sulle proprie capacità; a minimizzare i successidove tanti hanno fallito, e a seguire una pistanella quale si è avanzati talmente poco, che leulcere della gamba sono giustamente consideratel’obbrobrio della chirurgia”.Nel 1824 Sir Astley Cooper afferma che la com-pressione delle vene varicose restituisce allavalvola la continenza ribadendo l’importanzadelle varici nella genesi delle ulcere.

Effettivamente l’elastocompressione appare giàcome un momento fondamentale dell’iter tera-peutico ed Home aveva notato come tale sup-porto riducesse le recidive d’ulcera.Nel corso degli anni si perfezionarono numerosimezzi di contenzione. Martin di Boston, intornoal 1870, propose un bendaggio che ebbe moltosuccesso, di puro caucciù della migliore qualità(gomma indiana) con una piccola quantità disulfuro da applicarsi direttamente sulla pelle esull’ulcera. Sull’onda di Baynton si svilupparonoi bendaggi adesivi, la cui produzione industrialeiniziò però negli anni ’20 del XX secolo con l’im-missione sul mercato dell’Elastoplast dellaLueschen e Boemper, più tardi convertita inBeiersdorf, con cui Brann, nel 1929, concordòla vendita di Novoplast, un “bendaggio com-pressivo per il futuro”. Si trattava di un materia-le bi-adesivo resistente e contemporaneamenteflessibile, con tensione paragonabile a quella diuna garza di cotone.Nel frattempo, Brodie ancora nel 1846 usandoempiastri, impacchi e bendaggi, riconobbe chealcune medicazioni erano causa di reazionicutanee di sensibilizzazione. Bisgaard nel 1848propugnò un energico massaggio e bendaggielastici di canapa per ridurre l’edema.Nel 1849 Critchett applicò membrane interne diguscio d’uovo, la “pelle d’uovo”, direttamentesull’ulcera e sotto il bendaggio precorrendo dioltre un secolo l’uso analogo della membranaamniotica da parte di Troensegaard e Hansen(1950).Nel 1863 Hilton pubblica “Rest and Pain”, in cuiosserva che le ulcere venose sono localizzatepiù frequentemente sopra il malleolo mediale,che possono guarire col riposo “come comandaIppocrate” e che l’insufficienza delle vene comu-nicanti è probabilmente ulcerogena.Negli stessi anni si assistette anche ad un note-vole progresso sulla conoscenza della fisiopato-logia e dell’anatomia patologica, in particolaredei progressi coinvolti nella genesi della trom-bosi: K. Rokitansky nel 1852 descrisse la flebitee la periflebite e R. Virchow nel 1860 divulgò lasua celebre triade eziologica della trombosi(stasi, danno endoteliale e ipercoagulabilità delsangue).Ciò costituì la premessa allo studio e alla dia-gnosi dei processi ostruttivi del sistema venososuperficiale e, soprattutto profondo, le cui con-seguenze emodinamiche sono alla base delleulcere post-flebitiche.A questo proposito, un importante contributofu dato sa J. Gay che nel 1868 pubblicò untesto tratto dalle letture in onore del medico

Le ulcere vascolari nella storia della medicina

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“Il salasso del piede” dal libro dei Magni, Bologna, 1703.

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inglese Lettsom, perciò dette “lettsomiane”, incui descrisse e disegnò le vene perforanti ecomunicanti della gamba e della caviglia dalui esaminate durante le autopsie. Egli notòche le ulcere potevano comparire anche inassenza di vene varicose, a seguito di una alte-razione (devalvulazione) post-tromboticadelle vene profonde ed introdusse il terminedi “ulcera venosa” pur continuando a ricono-scere che “quando le varici guariscono (sic!,N.d.A.) anche le ulcere riparano prontamen-te”. Le osservazioni di Gay furono riprese econfermate da Spender nel 1868. Tuttavia,come spesso è accaduto nella storia dellamedicina, questi importanti contributi venne-ro dimenticati per molti anni, praticamentefino agli studi ed all’opera chirurgica di F.B.Cockett, da cui l’eponimo delle omonime veneperforanti del 1953.Il bendaggio resta ancora, nella seconda metàdel XIX secolo, il gesto terapeutico più eseguitoed efficace nella cura delle ulcere. Boyer, clini-co chirurgico di Parigi, nel 1882 anticipò un datooggi acquisito, ovvero che “le ulcere guarisconofacilmente” (sic!, N.d.A.) ma “recidivano pronta-mente se trascurate”. Inoltre egli confrontòminuziosamente i costi del trattamento ambula-toriale con le conseguenze socio-economiche diun allettamento obbligato.Una grande innovazione di cui ancora oggibeneficiamo avvenne a Vienna nel 1885 quan-do il dermatologo tedesco P.G. Unna inventòla pasta all’ossido di zinco da lui usata percurare le dermatiti da stasi venosa.Successivamente, impregnando un bendaggio,la pasta di Unna divenne il principio attivo perla terapia compressiva locale delle ulcere(“stivale di Unna”) come poi enfatizzato daFisher nel primo ’900. Egli ribadì anche lanecessità di una compressione dosata, gra-duale e calcolata individualmente: la pressio-ne del bendaggio e la sua distribuzione devo-no essere proporzionali alla tensione dei tes-suti sottostanti, preludio agli studi di R.Stemmer degli anni ’70.Sul finire dell’800 si registra un importante even-to: il tedesco B. Lasker nel 1888 fondò il primoIstituto per le ulcere della gamba e fu l’ispirato-re di una Società di medici specializzati nellacura delle ulcere, divenendo anche il direttoredella prima rivista esclusivamente dedicataall’argomento. Nel 1904 sorsero i primiDipartimenti a Strasburgo, Vienna, Dresda eFrancoforte.Con l’avvento della scleroterapia come mezzosussidiario della terapia delle ulcere venose, l’e-

lastocompressione fu indicata sempre dopo l’i-niezione dell’agente sclerosante, come propostodallo svizzero K. Sigg negli anni ’30.Dickson-Wright nel 1930 introdusse il termine diulcera “gravitazionale” e divulgò il bendaggio ela-sto-adesivo, ma è doveroso ricordare che lo svi-luppo della moderna contenzione elastica fu unproblema materiale dipendente. Già nel 1838 C.Goodyear scoprì che scaldando il caucciù natu-rale si poteva ottenere un prodotto dotato di ela-sticità durevole. Il 26 Ottobre 1848 nacque il gam-baletto elastico con fibre intrecciate a mano sutelaio, a opera di W. Brown del Middlesex. Il dis-positivo non era molto confortevole per il tratta-mento delle ulcere e fu modificato da J. Sparksricoprendo le fibre di gomma con cotone o seta.Il nuovo secolo portò ulteriori contributi anchealla fisiopatologia delle ulcere venose ed allaterapia chirurgica.Nel 1916-17 J. Homans descrisse il trattamentodelle vene varicose e fu il primo a stabilire chia-ramente una relazione fra una precedente trom-bosi venosa profonda, la distribuzione valvolareconseguente alla ricanalizzazione e l’ulcerazio-ne della gamba. Egli introdusse la definizione di“sindrome post-flebitica” e suddivise le ulcerevenose in due tipi: “ulcere varicose” e “ulcerepost-flebitiche”. Le prime attribuibili alle variciessenziali o familiari, facilmente guaribili con larimozione delle vene superficiali; le seconde asviluppo rapido, insensibili a trattamenti pallia-tivi, generalmente incurabili con la sola rimozio-ne delle vene varicose.Homans notò la frequente presenza accanto alleulcere o al di sotto di esse di vene perforantiinsuffucienti.La chirurgia moderna del sistema venoso super-ficiale si basa sulla tecnica dello stripping safe-nico dopo crossectomia (secondo Tavel eFacobson, 1904) la cui storia evolve dal metodoendoluminale di Keller (1905) a Mayo (1906) e aBabcok (1907) che introdussero rispettivamen-te una sonda ad anello esterno e lo stripperinterno, entrambi rigidi. Tuttavia si dovette giun-gere fino al 1954 perché Myers descrivesse e dif-fondesse il suo stripper endoluminale flessibilemetallico, oggi sostituito da strippers analoghima in materiale non riutilizzabile.La chirurgia della vene comunicanti (o perfo-ranti) insufficienti trovò le sue premesse nelleosservazioni di Gay e di Homans e nell’introdu-zione clinica ad opera di J. Cid Dos Santos dellatecnica flebologica (1938) oggi pressoché sosti-tuita da metodiche non invasive (Doppler adonda continua, ecodoppler, eco-color-doppler)sempre più affidabili.

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La legatura delle vene comunicanti fu praticatada vari chirurghi fin dalla descrizione di Gay, mamolti rinunciarono ad utilizzare questo approc-cio terapeutico alle ulcere venose per le diffi-coltà di dissezione e per la localizzazione dellevene coinvolte in un contesto lipodermatoslero-tico. Un importante progresso fu fatto da Lintondi Boston nel 1938 che descrisse la legaturasoprafasciale per la terapia della “sindrome dascoppio della caviglia” (ankle blow-out syndro-me). La pubblicazione, apparsa su Lancet, susci-tò l’interesse europeo per la terapia chirurgicadell’ulcera venosa.Nel 1964 Dodd introdusse una variante all’inter-vento di Lindon preferendo una via d’accessopostero-mediale anziché mediale per evitaremanovre su un terreno distrofico.Infine Rob propose la legatura sottofasciale pervia posteriore attraverso una lunga incisionesimile alla cucitura di una calza riprendendo laprimotiva operazione di Felder (1955) e DePalma, nel 1974, suggerì un approccio medialemediante numerose incisioni oblique parallelealle linee cutanee della gamba.Recentemente, dopo le esperienze di “tubo-ésclopage” con sonda di Albanese (1965) o con“crocket” di Bassi (1965) e con “flebotono” diEdwards (1976), si stanno divulgando, nonsenza critiche, soprattutto per i costi del mate-riale disponibile e su sollecitazione dell’indu-stria, tecniche di legatura sottofasciale per viaendoscopica (Hauer, 1985). Sempre in tema di chirurgia del sistema venososuperficiale ricordiamo la flebectomia per mini-incisioni introdotta da Muller nel 1966, la curaconservatrice emodinamica dell’insufficienzavenosa in ambulatorio (CHIVA) proposta daFranceschi in Francia nel 1986, la valvuloplasti-ca safeno-femorale nelle sue varianti di plicatu-ra della giunzione safeno-femorale secondoBelcaro (1988) e di valvulo-plastica esterna con“manicotto” (banding) proposta da Hetenyl nel1985 (“tunnel graft of greater saphenous vein”) eda Jessup del 1988 (“venocuff implant”).Tra gli interventi sul sistema venoso profondoricordiamo quelli di trasposizione venosa: nel1954 Warren e Taheri descrissero l’uso dellavena safena per un intervento di bypass per l’oc-clusione post-trombotica della vena femoralesuperficiale, operazione ulteriormente sviluppa-ta da Husni nel 1970; l’occlusione della venailiaca fu trattata analogamente con un bypassfemoro-femorale con vena safena controlateraleda Palma nel 1958.Interventi di ricostruzione valvolare, specie perquadri di insufficienza valvolare primitiva come

descritta da Bauer nel 1948, furono proposti giànel 1953 da Eisemann e Malette ed, in seguito,da N. Psathakis nel 1968, da Kistner nel 1975, daRaju nel 1985 e da Sottiurai nel 1988 con variemodalità, mentre trapianti valvolari furono ese-guiti in primo luogo sul segmento popliteo daO’Donnel nel 1985.Attualmente vengono proposti all’attenzione delmedico numerosissimi presidi che prevedonoun costante aggiornamento. E sembrano lontanitempi invece recenti, quando ancora nel 1948Bisgaard propugnava, per ridurre l’edema, il“firm massage” associato agli “elastic webbingbandages”, mentre negli anin ’50 l’applicazionedi lamine d’argento (Milberg e Tolmach), di pla-sminogeno e streptochinasi (Spier e Clifton)non ebbero successo. Oggi le medicazioni occlu-sive o semiocclusive, per esempio, evitano spes-so gli errori e le confusioni della terapia localedel passato (anche se purtroppo vi sono ecce-zioni alle regole): negli antichi ricettari traman-datici da Rolando da Parma (XIII secolo) e,poco dopo, da Magistro Guasparino da Venezia,si legge dell’associazione fra polvere di sanguedisseccato, mummia polvere di suole vecchie,allume, urina di bambino, sterco, pepe, calce,ecc. “nel più spaventoso connubio” (G.C.Donadi).Nella speranza che, almeno, in questa partedella terapia delle ulcere venose, venga smenti-to il detto di S. Butler: “The history of art is thehistory of revivals”.

1.3 Ulcere ischemiche

Lo spazio dedicato alla storia delle lesioni daarteriopatia ostruttiva è necessariamente piùlimitato perché sarebbe troppo estensivo trac-ciare un profilo storico delle arteriopatie, argo-mento dettagliatamente descritto dall’Autore inaltra sede a cui per maggiori approfondimenti sirimanda il lettore. Questo anche in considera-zione del fatto che, pur essendo le ulcere ische-miche e miste in progressivo aumento, in paral-lelo all’incremento dell’età media della popola-zione, della malattia aterosclerotica e di altremalattie cronico-degenerative, dal diabele all’ar-trite reumatoride, alle stesse vascutili, esse noncostituiscono più del 20-30 % delle ulcere del-l’arto inferiore.Le arteiopatie obliteranti sclerotiche cronichedegli arti inferiori nel 1920 furono classificate instadi da due chirurghi di Strasburgo, Leriche eFontaine, corrispondendo il IV stadio a quello in

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cui, per ischemia protratta, compaiono lesionitrofiche e dolori a riposo. Di fronte a tali quadriclinici, a volte drammatici per soggettività eobiettività, la chirurgia vascolare per secoli nonebbe altra scelta che l’amputazione onde potersalvare il paziente da morte per setticemia. La“conquista del dolore” per merito dell’anestesiadivulgata da Morton nel 1846 e la scoperta del-l’antisepsi che ridusse notevolmente la mortali-tà, proprio per interventi demolitivi, ad opera diLister nel 1867, favoriscono l’esecuzione diinterventi chirurgici meno rapidi, più accurati esufficientemente protetti dalle infezioni.Nell’Ottocento si delinea la patologia vascolare.La lesione ateromasica (ateroma) ben cono-sciuta dagli anatomisti del XVI e XVII secolo, fucosì denominata da Albrect Von Haller già nel1755, ma il concetto fu ripreso da Bizot nel 1837e Cruveilhier intorno al 1840 per primo stabilìche il termine “gangrena” dovuta ad ostruzionedelle arterie, da stenosi o da trombosi, avrebbedovuto sostituire quelli gangrena “spontanea” e“senile” interpretata fino allora come la causa enon come la conseguenza della trombosi arte-riosa. Il riconoscimento di quadri ischemici nontali da portare alla gangrena non fu chiaro finoalla descrizione ad opera di Barth (1835) delcaso clinico di una portatrice di stenosi mitrali-ca con scompenso cardiaco e “claudicatio inter-mittens”.Quest’ultimo sintomo fu in realtà osservatoper la prima volta da un giovane veterinariofrancese, Bouley, in una cavalla che avvertivaspiccata sintomatologia dolorosa durante iltrotto dopo aver percorso una certa distanzamentre a riposo era asintomatica. La cavallamorì e all’autopsia Bouley riconobbe la trom-bosi dell’arteria femorale, oltre a lesioni ische-miche dei muscoli, e la considerò causa del-l’andatura lenta e zoppicante dell’animale, dacui il termine latino claudicatio (da claudica-

re). Nell’uomo la claudicatio intermittens fumirabilmente descritta da Charcot nel 1858.Nello studio anatomo-patologico delle paretiarteriose si iniziarono a riconoscere i “deposi-ti paltacei”, o più modernamente lipidici, allabase della genesi della placca ateromastica: lanatura di queste lesioni fu chiarita dai lavori diVon Rokitansky e di Virchow, mentre solo nel1913 Anitschow identificò nel colesterolo ilfattore primario della malattia ateroscleroticao aterosclerosi (termine proposto daMarchand nel 1904).Studi di patologia vascolare portarono anche aeziopatogenesi diverse delle arteriopatie steno-santi e dilatative: così furono descritte alcune

forme infiammatorie, la principale delle quali fuquella di Von Winiwarter comparsa nel 1879 inuna comunicazione che costituì la premessadella celebre relazione di Leo Buerger del 1908sulla tromboangioite obliterante, destinata asuscitare molti interessi ma anche una certaconfusione sulla nosologia e sulla nomenclaturadelle arteriopatie periferiche. Il grande cambia-mento nella chirurgia vascolare avvenne con glistudi di A. Carrel (1907) che, permettendo leanastomosi vasali, diedero il via alla chirurgiaricostruttiva ovvero di rivascolarizzazione peri-fica diretta.Tuttavia ci vollero quaranta anni prima che que-ste tecniche venissero utilizzate su pazientiaffetti da arteriopatia aterosclerotica, in quantosi riteneva che la procedura di sutura avessesuccesso e mantenesse la pervietà solo su arti-rie normali.Pertanto in questo periodo la terapia delleischemie periferiche fu limitata alla simpati-cectomia o gangliecectomia lombare ideata daRoyle nel 1924 per le sindromi algiche, maapplicata alle arteriopatie periferiche per laprima volta da Diez nel medesimo anno. Lostesso Leriche praticava già dal 1913 una sim-paticectomia periarteriosa per poi intervenirea livello del simpatico lombare in supportoall’escissione del segmento arterioso oblitera-to (arteriectomia).Nella prima metà del XX secolo due eventi furo-no fondamentali per l’ulteriore evoluzione dellachirurgia vascolare arteriosa: la scoperta dell’e-parina e lo sviluppo dell’angiografia.La frequenza delle trombosi degli innesti venosifu sempre molto elevata fino alla scoperta del-l’eparina ad opera di McLean, studente del labo-ratorio di Howell, nel 1916. La sostanza fu appli-cata in clinica da Murrat nel 1938-40 e, più tardi,da J. Cid Dos Santos.L’uso dell’eparina diede inoltre il via alle trom-boendoarteriectomie.Nel 1896 Hascheck e Lindenthal eseguirono ilprimo arteriogramma iniettando un mezzoradiopaco nella arteria di un arto amputato.Sicard e Forestieri scoprirono il lipiodol e, neglianni Venti, seguì il primo arteriogramma in

vivo. Nel 1924 Brooks studiò l’anatomia arterio-sa dell’arto inferiore iniettando sodio iodato.Tuttavia i più grandi progressi vennero dalPortogallo dove fu scoperta la tecnica dell’an-giografia cerebrale per merito di Moniz nel 1927e, da qui, nel 1929 Reynaldo Dos Santos realizzòla prima aortografia: fu dunque possibile visua-lizzare e valutare le quasi totalità dell’alberoarterioso.

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Il cateterismo per via percutanea trasfemoraledi Seldinger del 1953 permise in seguito i cate-terismi arteriosi selettivi.A questo punto non esistevano più ostacoli allosviluppo delle tecniche chirurgiche che in pochianni assunsero dimensioni enormi.Gli anni Quaranta furono un periodo decisivoper la chirurgia aortica e vascolare perché i chi-rurghi si abituarono alla ricostruzione vasaleanche nelle condizioni più impegnative.Il primo intervento per coartazione aortica rin-novò l’interesse per l’eventuale uso degli omoin-nesti: Blackmore e Lord, Hufnagel, Pierce eGross fecero studi su arterie omologhe conser-vate in ghiaccio. Nel 1948-49 Gross pubblicò leprime osservazioni sull’uso di un segmento arte-rioso umano nel trattamento della coartazioneaortica.Nello stesso 1948 Swan usò un omoinnesto arte-rioso dopo resezione di un aneurisma dell’aortatoracica.Questi successi portarono ad affermare l’uso diomoinnesti prelevati da cadavere e conservatiprevalentemente in soluzioni elettrolitiche(secondo le sperimentazioni di Gross) anche neldistretto aorto-iliaco-femorale per arteriopatiaobliterante sclerotica o per patologia aneuri-smatica.Ed ecco sorgere la prima “banca delle arterie”europea nel 1951 per merito di René Fontaineed esplodere la serie dei primi grandi interventidella chirurgia vascolare moderna.Jacques Oudot nel 1950 esegue il primo innestoomologo in sostituzione di una biforcazione aor-tica occlusa. Dopo un’ischemia dell’arto inferio-re destro Oudot pose un secondo innesto fra l’i-liaca esterna sinistra e la destra e il pazienteebbe un buon decorso. L’Autore eseguì altri 4interventi simili con esito favorevole.Tuttavia l’interesse per gli omoinnesti, nel frat-tempo impiegati anche per sostituzione di trattianeurismatici, declinò: essi erano soggetti inbreve termine a fenomeni degenerativi che con-dizionavano una ridotta pervietà a distanza,oltre alle riconosciute difficoltà di prelievo econservazione.Ciò nonostante il breve periodo degli omoinne-sti permise ai chirughi di sviluppare le propriecapacità, costituì la premessa per il successivosviluppo degli innesti protesici sintetici e quindiintrodusse di fatto la nuova era della chirurgiavascolare.Miglior fortuna ebbe l’innesto, praticabile peraltrosolo per interventi su arterie di calibro ridotto.La storia degli innesti autologhi riprende daParigi. Kunlin praticò con successo e diffuse il

bypass in vena safena (1948) che anastomizzòtermino-lateralmente alla femorale e alla popli-tea su un arteriopatico al quarto stadio diFontaine con ostruzione femoro-poplitea. Ilconcetto di anastomosi termino-laterale era deltutto nuovo ma estremamente interessante peril salvataggio dei collaterali intermedi. Nel 1952,Malan riferì invece dell’impiego, in quattropazienti, di un innesto venoso autologo con ana-stomosi termino-terminale, dopo resezione deltratto di arteria femorale obliterata.Il bypass in vena si affermò decisamente in trau-matologia arteriosa come testimoniano le espe-rienze di Huges nella guerra di Corea e di Richin quella del Vietnam.Una fondamentale variante fu poi affermata nel1959 da Cartier a Montreal e da Hall a Londra: ilbypass in safena in situ.Specialmente dopo i risultati riferiti da Leather(1979), tale procedura viene considerata elettivaper la rivascolariezzazione degli arti inferiori.Gli insuccessi degli innesti omologhi e la limita-zione all’uso di quelli venosi portarono i ricerca-tori degli anni Cinquanta a studiare l’efficacia disostituti arteriosi sintetici.Fu merito dell’americano Voorhees. Durante unasperimentazione per l’allestimento di una nuovavalvola mitralica artificiale, per errore, tese unfilo di sutura nel ventricolo cardiaco di un cane.Mesi dopo, all’autopsia, si accorse che la suturaera ricoperta di tessuto endocardico simulandouna vera corda tendinea. Voorhees intuì il grandecampo di applicazione che ne sarebbe derivato e,con Blakmore e Jaretski, proseguì gli esperimen-ti finché l’Union Carbide Company donò un quan-titativo di Vinyon-N, il materiale dei paracaduti discarso successo commerciale perché troppoinerte e poco colorabile.Voorhees prese a prestito macchine tessili efabbricò rudimentali protesi che impiantò suglianimali. Era il 1952: inizial’epoca delle protesiarteriose.Pochi mesi dopo seguì l’impiego clinico su unpaziente operato d’urgenza per aneurisma aorti-co addominale rotto che peraltro morì.L’applicazione clinica proseguì e gli Autori ripor-tano lusinghieri risultati nel 1953-54: tutto ilmondo chirurgico ne fu colpito.Edward e Tapp introdussero nel 1955 il “crim-ping” e vennero successivamente studiati e pro-posti altri materiali: l’orlon, il teflon, il nylon, ilPTFE e il celebre dacron. I congressi chirurgici,riferiscono alcuni Autori sembravano “riunionidi tessili”. Nacquero le grandi case produttricidi protesi vascolari e una nuova industria siaffermò.

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La scoperta dell’efficacia dell’eparina permiseanche la diffusione della tromboendoarteriec-tomia.I primi tentativi di Severeanu (1880) e di Jianu(1909) fallirono. Anche Delbet (1906) vi sicimentò, ma pur andando incontro ad un insuc-cesso concluse: “la più facile operazione possi-bile per curare una ostruzione arteriosa è prati-care un’arteriotomia, estrarre il trombo e sutu-rare il vaso”.Tuttavia la tromboendoarteriectomia o disobli-terazione fu abbandonata fino al 1946, quandoJao Cid Dos Santos, figlio di Reynaldo, dopo treanni di valutazioni cliniche sull’uso dell’eparinanella prevenzione della trombosi, realizzò laprima disobliterazione arteriosa seguita da suc-cesso in un caso di ischemia acuta di un artoinferiore; egli si ripeté quattro mesi dopo peruna trombosi succlavia. È interessante notarecome entrambi i casi non fossero secondari adaterosclerosi. Il principio, comunque, era con-fermato.Cannon nel 1955 propose l’uso di particolariring-strippers progenitori degli attuali diHeildeberg (o di Vollmar).Lo stesso Dos Santos diffuse la tecnicadell’“overpass” riprendendo l’angioplastica diCarrel e Guthrie del 1906. Altri pionieri furonoWylie e Freeman.Edward, nel 1960, ideò il “patch graft” (angio-plastica femorale con patch in safena).Sono altresì da ricordare le tecniche di riva-scolarizzazione mediante bypass per via extra-anatomica (axillo-femorali, femoro-femorali,ecc.) di Vetto (1961) e di Blaisdell (1963), oltreagli studi sull’importanza clinica dell’arteriafemorale profonda in caso di ostruzione del-l’arteria femorale superficiale ad opera diMorris (1961).Inoltre, grandi sviluppi e premesse per il futu-ro vengono dalle nuove tecniche di angiopla-stica percutanea transluminare (PTA) ideateda Dotter (1963) e messe in pratica daPorstmann (1973) e da Gruentzig con l’omoni-mo catetere (1977) e dall’applicazione dellaser in chirurgia vascolare (Ginsburg, 1984) edegli stents vascolari.Infine notevoli progressi sono stati fatti recente-mente in tema di diagnostica strumentale noninvasiva e angiografica. Fra i più famosi citiamole tecniche ultrasoniche basate sull’efettoDoppler codificate e diffuse da Strandness(1967) e da Leopold (B-Mode, 1972) e l’angio-grafia digitalizzata a sottrazione d’immagine(Kruger, 1977).

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Capitolo 2

La patogenesi dell’ulcera venosa

Roberto Polignano °, Giovanni Mosti*

° Ambulatorio di Angiologia – ASL 10 Firenze Ospedale di Camerata

* Angiologia e Chirurgia Flebologica - Casa di Cura M.D. Barbantini Lucca

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2.1 La patogenesi dell’ulcera venosa

La patogenesi dell’ulcera venosa può essere sud-divisa in tre fasi: la prima è l’alterazione delmacrocircolo (insufficienza venosa cronica); laseconda è costituita dalle alterazioni del micro-circolo e la terza dalle alterazioni cellulari, bio-chimiche e tessutali che portano infine all’ulcera.

2.2 Insufficienza venosa cronica(IVC)

L’IVC è causata da incompetenza valvolare delcircolo venoso profondo o del circolo venososuperficiale o di entrambe: essa può essere pri-mitiva o secondaria ad una trombosi venosa(TV); maggiore è il numero degli apparati valvo-lari lesi, maggiore sarà il reflusso venoso: comeconseguenza si osserverà un aumento dellapressione venosa deambulatoria(1). L’elevatapressione venosa che si ha nel circolo profondodella gamba viene trasferita al sottocutaneo tra-mite le vene perforanti descritte da Gay a livellodella caviglia e del polpaccio già nel 1867.Homans nel 1919 suddivise le ulcere dellagamba in quelle associate a vene varicose ed inquelle post-flebitiche descritte come ulcere dif-ficili, a decorso rapido e per la cui guarigione sidoveva procedere all’escissione fino alla fasciaprofonda con conseguente asportazione dellavena tributaria della perforante. Nel 1931 TurnerWarwick diede la prima dimostrazione del flus-so ematico dal circolo venoso profondo (CVP)al circolo venoso superficiale (CVS) attraversole vene perforanti (VP) insufficienti.La maggior parte delle ulcere venose si colloca aldi sopra del malleolo mediale o, meno frequente-mente, di quello laterale. Queste regioni dellacaviglia sono drenate da una rete di piccole tribu-tarie delle VP dirette (la corona flebectatica) chenon sono normalmente visibili. A seguito dell’in-sufficienza delle VP, tali venule si dilatano e dannoluogo all’eritema venoso della caviglia, segno chepuò essere frequentemente osservato prima dellosviluppo della lipodermatosclerosi o dell’ulcera-zione. Queste venule comunicano preferenzial-mente con il CVP ma anche con la grande safenae, attraverso le VP metatarsiche, con le vene pro-fonde del piede e della gamba.Bjordal nel 1981 (2) effettuò misurazioni direttedella pressione nelle vene superficiali della por-zione distale del polpaccio e della caviglia e

dimostrò il trasferimento dell’elevata pressioneattraverso le VP insufficienti, durante la sistolemuscolare dall’interno all’esterno e in sensocontrario durante la diastole, con flusso nettoverso l’esterno di 60ml/min.; questo passaggiosembra quindi uno dei maggiori responsabilidelle alterazioni finali del microcircolo.

2.3 Il microcircolo

L’ipertensione venosa prodotta dall’insufficien-za venosa cronica o dalla rara presenza di fisto-le artero-venose può condurre al quadro dellamicroangiopatia venosa ipertensiva (VHM -venous hypertensive microangiopathy) che ècaratterizzata da vari fattori:-aumento del flusso cutaneo di base (valutatocon flussimetria laser-doppler) (3); - marcata riduzione del riflesso veno-arteriorale

(VAR) nel passaggio dal clino all’ortostatismo; - riduzione della correlazione flusso/temperatu-

ra (4);

La patogenesi dell’ulcera venosa

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La “Salvia salvatrix, Naturae Conciliatrix”.

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- marcato aumento della pCO2 transcutanea; lapO2 ha andamento analogo, ma la correlazioneè meno costante (5);

- aumento della permeabilità capillare che peròtende a ridursi nelle fasi più avanzate dell’ulce-ra (4);

- riduzione dell’attività fibrinolitica che determi-na accumulo di fibrina intorno ai capillari piùdistali (6).

L’aumento di flusso cutaneo è conseguenzadiretta della stasi venosa: essa si riflette sulmicrocircolo causando il fenomeno del micro-pooling con accumulo di CO2 e conseguentevasodilatazione cutanea. Il riflesso veno-arteriolare (VAR) di origine sim-patica determina una riduzione del flusso cuta-neo nel passaggio dal clinostatismo all’ortostati-smo; tale riflesso è ridotto nell’IVC a causa del-l’elevata pCO2 cutanea che mantiene la vasodi-latazione: la riduzione del VAR si associa all’e-dema periferico e ad un ulteriore micropooling;queste alterazioni provocano un danno alle ter-minazioni nervose e causano un ulteriore peg-gioramento del VAR creando un circolo viziosoingravescente.È soprattutto l’aumento della pCO2 il fattore chesembra determinante per la dinamica dellamicroangiopatia e ciò sembrerebbe dimostratodalla stretta correlazione tra la pCO2, le pressio-ni venose deambulatorie ed i parametri laser-doppler (8). L’edema della caviglia si correla inversamenteall’efficacia del VAR, ed è proprio la riduzionedi questo che favorirebbe l’aumento della fil-trazione capillare, lo stravaso di fluidi dal com-partimento capillare a quello extravasale el’aggravamento dell’edema. L’evoluzione della malattia si accompagna all’ul-teriore stravaso di fluidi, responsabile, con lariduzione dell’attività fibrinolitica (9), dell’accu-mulo di fibrina intorno ai capillari più distali(ipotesi delle “fibrin cuffs” di Browse eBurnand). È proprio questo che, in contrapposi-zione alla fase precedente, causerebbe una ridu-zione della filtrazione capillare e dell’edemasoprattutto nelle fasi più avanzate della lipo-sclerosi e dell’ulcera e sarebbe anche causadella riduzione della diffusione di O2 e di altremolecole con conseguente sofferenza tessutale(10). Tale suggestiva ipotesi non è stata peròconfermata dagli studi sui modelli teorici delladiffusione dei gas eseguiti da Michel. Questiafferma che la composizione della cuffia di fibri-na è in realtà per il 99% costituita da acqua e chesarebbe inadatta ad impedire la diffusione dellemolecole più piccole (11).

È innegabile comunque che le alterazioni delmicrocircolo hanno una grande responsabilitànella genesi dell’ulcera; ne è ulteriore dimostra-zione il fatto che sebbene l’ipertensione venosaesista anche a livello del piede e dell’alluce, inqueste due regioni non si osservano alterazionisignificative né del flusso cutaneo né del VAR enon vi si riscontrano lesioni clinicamente evi-denziabili al contrario di ciò che avviene a livel-lo malleolare.

2.4 Microtrombosi

Ehrly e Partsch hanno ipotizzato che la riduzio-ne del flusso ed il suo rallentamento possanoprovocare dei microtrombi nel microcircolo conconseguente ipossia (12). Gli stessi Autorihanno poi suggerito di trattare le ulcere conbasse dosi di trombolitici, osservando unaumento della TcpO2 ed una riduzione delledimensioni delle lesioni. Tale atteggiamento nonha avuto un largo seguito, pur avendo una baseteorica logica e razionale e ai farmaci tromboli-tici sono stati preferiti spesso farmaci pro-fibri-nolitici (defibrotide) per sfruttare un’ipoteticaazione sulla cosiddetta cuffia di fibrina (13).

2.5 I leucociti

L’ipotesi che i leucociti fossero in qualche modocoinvolti nella genesi dell’ulcera venosa si devea Coleridge Smith che si basò anche sugli studidi Moyses e Thomas che avevano osservato unintrappolamento di globuli bianchi negli arti dipazienti con IVC o con ipertensione venosa pro-vocata. L’ipotesi suggeriva che queste celluleintrappolate a causa della riduzione del flusso,avrebbero potuto produrre danno dell’endotelioa causa della liberazione di radicali liberi e dienzimi proteolitici e ostruzione dei capillari conconseguenti aree ischemiche e di danno tessu-tale. Ciò sembrava confermato anche dall’osser-vazione alla capillaroscopia microscopica di unridotto numero di anse capillari soprattutto neipazienti con lipodermatosclerosi, riduzionedirettamente proporzionale all’aumento dellapressione venosa deambulatoria (14,15,16).Altri Autori osservarono che i capillari incorso di ipertensione venosa deambulatoriaapparivano dilatati, confermando inoltre unanotevole riduzione del flusso ematico. Questidue fattori in combinazione potevano inoltre

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costituire un importante stimolo all’adesioneleucocitaria nelle venule post-capillari, crean-do un evidente circolo vizioso (17). Il fenome-no non sarebbe comunque ubiquitario e l’in-trappolamento dei leucociti si avrebbe solo inuna piccola zona di cute immediatamenteprossimale ai malleoli.Più recentemente, in pazienti di controllo neiquali si è provocato un’ipertensione venosaper 30’, sono stati misurati i valori di elastasi elattoferrina nel plasma, enzimi normalmentedepositati nei granuli dei neutrofili, e che sonorisultati elevati, segno indiretto di un’attivazio-ne leucocitaria (18).Questi valori sono risultati elevati anche inpazienti con IVC, su sangue refluo dal braccio(19) ed in pazienti nei quali era stata provoca-ta ipertensione venosa, pur in assenza di segnidi IVC, su sangue refluo dagli arti inferiori(20). Proprio sulla base di questo studio gliautori hanno ipotizzato che in pazienti condanno valvolare, la ripetuta esposizione degliarti inferiori all’ipertensione venosa e all’atti-vazione dei neutrofili, potrebbe dare inizio aicambiamenti trofici della cute osservatinell’IVC.

2.6 Interazione leucociti-endotelio

La migrazione dei leucociti dal torrente ematicoagli spazi tessutali è una caratteristica del pro-cesso infiammatorio. Questo stravaso coincidecon la liberazione da parte dei granulociti dimolte sostanze attive ed enzimi idrolitici che incondizioni normali giocano un ruolo vitale nelladifesa dai microorganismi patogeni, ma che tal-volta possono provocare danni anche nelle cel-lule normali dello stesso organismo ospitante.Tale meccanismo di distruzione è comunquemolto complesso e sembra coinvolgere unaserie di reazioni che iniziano a livello microcir-colatorio. Questa localizzazione ha portato alconcetto che l’adesione dei neutrofili all’endote-lio delle venule post-capillari sia un evento pre-coce durante il processo infiammatorio.L’interazione tra endotelio e granulociti sembracoinvolgere sia stimoli chemiotattici che mole-cole di adesione espresse dall’endotelio e daigranulociti (21). Almeno tre categorie di mole-cole di adesione meritano di essere menzionate:le integrine beta 2 leucocitarie, i membri dellasuperfamiglia delle immunoglobulin-gene, e lafamiglia delle selectine (22).

Nelle venule i globuli rossi, più piccoli e rapidi,sorpassano e sospingono i leucociti verso laparete del vaso; il rilascio di stimoli chemiotatti-ci sui siti dell’infiammazione dà inizio all’attivitàe al movimento dei leucociti, promuovendo l’e-spressione della selectina nelle cellule endote-liali delle venule post-capillari (25).L’interazione tra selectine endoteliali ed il lorocontrorecettore sulla superficie dei leucocitimedia la debole reazione che segue l’inizialeadesione (rolling) dei leucociti e rallenta iltransito dei neutrofili nel passaggio lungo lasuperficie delle venule post-capillari. Quando ilneutrofilo viene attivato anche da piccole quan-tità di stimoli pro-infiammatori, si ha subito unrapido cambiamento nell’adesività leucocitarianel sito nell’infiammazione. L’attivazione deineutrofili induce un cambiamento nelle integri-ne leucocitarie che interagiscono con le immu-noglobulin-gene e mediano le forti interazioniadesive coinvolte nel processo di adesività per-manente: una volta che il leucocito è permanen-temente adeso può trasmigrare.Come l’adesione leucocitaria sia poi coinvoltanella genesi dell’ulcera venosa è un problemapiù complesso e non ancora completamentechiarito. Ci sono evidenze in letteratura sulruolo dei leucociti in alcune varietà di altri dis-ordini ischemici (27). Ricordiamo inoltre glistudi indiretti, sopra descritti, sull’intrappola-mento leucocitario in corso di IVC, sulla “cuffiadi fibrina” e sulla degranulazione leucocitariacon aumento di lactoferrina ed elastasi.. In par-ticolare Whiston ha notato che i neutrofili otte-nuti da pazienti con ipertensione venosa risulta-vano già attivati rispetto a quelli dei controlli epresentavano una risposta aumentata agli sti-moli chemiotattici (28). Alterazioni dell’espres-sione di CD11B/CD18 sono state notate sia inpazienti con malattia venosa sia in corso di iper-tensione venosa sperimentale (29). Infine, forsela dimostrazione più importante sulla validità diquesto modello, è la rilevazione di un aumentodi molecole di adesione, ICAM-1 e VCAM-1,nelle biopsie cutanee ottenute da pazienti conIVC (30).

2.7 Nuove ipotesi

Le ipotesi patogenetiche sul danno tessutale incorso di ipertensione venosa, fino ad ora espo-ste, hanno preso in considerazione diversiaspetti: l’ischemia, gli shunt artero-venosi, lecuffie di fibrina e più recentemente l’adesione

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leucocitaria. A quest’ultima ipotesi dobbiamo ilmerito di aver introdotto il concetto di danno“infiammatorio”. Su questa base altri Autori (31)hanno però introdotto un nuovo elemento pato-genetico: il danno tessutale linfocito-mediato.Probabilmente il meccanismo del danno tessu-tale di tipo cellulo-mediato è complesso e coin-volge molti fattori; alcuni di questi sono già statiipotizzati:- produzione monocito-macrofagica-dendritica

di IL-12;- stimolo alla differenziazione dei T-helper CD4+

in Th1;- produzione di IFN-gamma, IL2, TNF beta;- incremento dell’espressione di molecole di

adesione;- incremento della produzione di Th1, IL-12

dipendente e inibizione della differenziazionein Th2.

In particolare l’IFN-gamma sembrerebberesponsabile dell’aumentata espressione eattivazione del FAS Ag e dell’apoptosi kerati-nocitica e contemporaneamente dell’inibizio-ne della produzione fibroblastica di PDGF, del-l’angiogenesi e della sintesi di collageni miofi-broblastici (32).Sono già molti i lavori in corso che cercherannodi far luce su questi meccanismi.

2.8 Conclusioni

Indipendentemente dalle ipotesi patogenetichefin qui esposte, la cosa che importa ricordare èche il danno che parte dalle alterazioni delmacrocircolo, varici, lesioni valvolari, trombosi,insufficienza venosa congenita o acquisita, sitrasmette sempre col tempo al microcircolo esuccessivamente ai tessuti cutanei e sottocuta-nei. Sarà quindi importante interrompere questoprocesso il più precocemente possibile (chirur-gia e/o scleroterapia), anche perché non sappia-mo ancora quale sia la linea di “non ritorno”,quella cioè oltre la quale, anche correggendo lealterazioni macrocircolatorie, non è possibilerendere reversibili i danni microtessutali che inun certo senso si possono automantenere, aiu-tati talvolta da microtraumi locali o dall’evolu-zione senile della stessa cute. Bisogna inoltrericordare l’effetto positivo dell’elastocompres-sione in ognuna di queste fasi. Essa ha mostratoeffetti benefici sia sul macro, sia sul microcirco-lo e sul sistema linfatico, permettendo di ritar-dare l’evoluzione dell’IVC e di guarire prima leulcere venose.

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La patogenesi dell’ulcera venosa

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Capitolo 3

La patogenesi dell’ulcera ischemica

Piero Bonadeo

Istituto di Chirurgia Vascolare e Angiologia - Università di Milano

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3.1 La patogenesi dell’ulceraischemica

Verrano di seguito esposti i meccanismi etiopa-togeneci in grado di produrre lesioni ulcerativecroniche da ridotta ossigenazione e nutrizionedei tessuti secondaria ad arteriopatia obliteran-te esulando dalla descrizione di eventi acuti(trombotici, embolici, tromboembolici) chenella maggior parte dei casi determinano lesionitrofiche ad insorgenza e sviluppo molto rapido ela cui gravità appare subito evidente. La progno-si stessa circa la salvezza dell’arto è legata allapossibilità ed all’immediatezza della rivascola-rizzazione chirurgica o, più raramente, farmaco-logica e comunque sempre sotto stretta sorve-glianza medica in ambiente ospedaliero.

3.2 L’Ischemia Cronica

L’insufficienza arteriosa periferica cronica è unasindrome clinica legata alla riduzione della por-tata ematica distrettuale di uno o di entrambi gliarti secondaria nell’80% dei casi ad aterosclero-si e nel restante 20% ad altre cause (es. infiam-matorie) per le quali restano validi gli stessi con-cetti fisiopatologici ed etiopatogenetici.La malattia aterosclerotica è caratterizzata dalladeposizione sulle pareti arteriose di un ateromache progressivamente ne restringe il lume. Neconseguono modificazioni d’ordine emodinami-co macro e microcircolatorio, reologico, coagu-lativo e tissutale che configurano la malattiacondizionandone lo stato di compenso o di noncompenso.Il processo origina da una lesione endoteliale acui conseguono molte reazioni cellulari anche acarico del laboratorio endoteliale, “a cascata”, checulminano con la formazione dell’ateroma ovverodella lesione anatomo-patologica fondamentaledell’aterosclerosi. Ciò costituisce il punto di par-tenza dell’evoluzione in stenosi ed in obliterazio-ne del lume vasale che rappresenta la storia natu-rale della placca ateromasica. Queste condizionisi verificano essenzialmente per la perdita dell’o-meostasi degli ormoni cellulari prodotti dall’endo-telio e degli elementi figurati del sangue con pre-valenza dell’aggregazione (piastrinica) e dellacoagulazione sugli eventi antiaggreganti e fibrino-litici e per il sovvertimento della regolazione emo-dinamica a livello del microcircolo.Le arteriopatie obliteranti croniche sono carat-terizzate da una evoluzione relativamente lenta

delle lesioni steno-ostruttive permettendo inol-tre l’instaurarsi di meccanismi compensatoriche possono efficacemente rallentare la pro-gressione del processo ischemico.In termini emodinamici una stenosi diventapotenzialmente capace di provocare una sintoma-tologia ischemica quando il restringimento dellume arterioso è tale da provocare un gradientepressorio (P) a monte e a valle della lesione conuna riduzione del flusso (Q). Questo si verificaquando l’area trasversa del vaso è ridotta almenodel 75%. I decrementi di Q sono esattamente cor-relabili agli incrementi di P. In un sistema dinami-co come l’albero arterioso tuttavia hanno un’im-portanza rilevante le modificazioni delle resisten-ze (R) del letto vascolare periferico, in continuarelazione con pressione e flusso. Si può affermareche, in generale, quando le resistenze sono basseed il flusso elevato, le modificazioni correlate di Pe Q si instaurano con grado di stenosi minore.Questo può spiegare in parte come una lesioneche non produce alcun sintomo a riposo puòdiventare sintomatica durante la deambulazione.Nell’ambito delle resistenze totali al flusso, unagrande importanza hanno in caso di malattia, leresistenze segmentarie (R seg.) determinate dallelesioni steno-ostruttive e dal circolo collaterale.La regolazione periferica del flusso è localizzataper la maggior parte nelle arteriole terminali enegli sfinteri pre-capillari, il cui tono è regolatodal sistema nervoso simpatico, dalle catecola-mine circolanti, da prodotti del metabolismolocale e da fattori miogenetici.Le reazioni tra pressione, flusso e resistenze siaa riposo che durante l’esercizio muscolare sonodiverse nei soggetti normali e patologici e simodificano nel corso della malattia.Si può sostenere che la pressione distale ad un’o-struzione (Pd) dipende dalla pressione arteriosasistemica (Pa) e dal prodotto del flusso e delleresistenze segmentarie secondo la relazione:

Pd = Pa - Q Rseg.

A riposo le resistenze segmentarie cominciano adelevarsi quando una stenosi diventa critica.All’innalzamento delle resistenze segmentarie siaccompagna la dilatazione delle arteriole a valledella lesione, mantenendo costante il flusso.Essendo Rseg. elevata, il prodotto Q Rseg. aumen-ta e quindi Pd diminuisce. In un arto dove è pre-sente un’ostruzione arteriosa (o una stenosi signi-ficativa) il flusso a riposo può essere normale masi ha una caduta della pressione distrettuale. Con l’aggravarsi della malattia, per le scarsecapacità di compenso del circolo collaterale e

La patogenesi dell’ulcera ischemica

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per la molteplicità delle lesioni, Rseg. diventanomolto elevate e Pd può scendere al di sotto di20-30 mmHg, valori sotto ai quali cessa ogniautoregolazione ed il flusso diventa completa-mente dipendente dalla pressione. è in questecondizioni che, anche a riposo, il flusso dimi-nuisce a tal punto da provocare la necrosi tes-sutale con la comparsa di ulcere e gangrene.è d’altro canto difficile stabilire sempre conesattezza quale è il valore pressorio critico perla perfusione tessutale, in quanto in alcunesituazioni, come la presenza di diabete o di infe-zione, è richiesto un flusso vitale minimo supe-riore a quello in condizioni normali.Si osservano frequentemente pazienti con ische-mia avanzata porre l’arto in posizione declive, aldi fuori del letto (specie nelle ore notturne) pertrovare sollievo al dolore. Negli stessi pazientil’elevazione del piede provoca al contrarioun’intensificazione del dolore. Il fenomeno èspiegabile in termini di cambiamento della pres-sione idrostatica.Sebbene l’aumento della pressione idrostaticariguardi sia il versante arterioso che quello veno-so, lasciando inalterato il gradiente, l’aumentodella pressione intraluminale arteriolare porteràda una dilatazione massimale del letto capillare.Esiste una spiegazione emodinamica anche peril fenomeno, in apparenza paradossale, delmiglioramento dei sintomi che i pazienti condolori a riposo riferiscono dopo aver eseguitoalcuni passi. La contrazione dei muscoli del pol-paccio provoca un importante abbassamentodella pressione venosa (se non esistono ostaco-li al deflusso e la funzione valvolare è conserva-ta). Poiché tale movimento non influisce signifi-cativamente sulla pressione arteriosa, il gra-diente pressorio ne risulterà aumentato.Negli arti con lesioni ostruttive arteriose esistegià in condizioni vasali un discreto grado divasodilatazione arteriolare per compensare leelevate resistenze segmentarie. In risposta all’e-sercizio si ha un’ulteriore vasodilatazione, ma leresistenze totali al flusso rimangono alte pro-prio a causa delle resistenze segmentarie dovu-te alle lesioni vascolari.Quindi il flusso, anche se in una certa misuraaumenta, non raggiunge l’incremento necessa-rio a garantire le richieste metaboliche, anch’es-se aumentate.Si accumulano quindi, quei prodotti metaboliciresponsabili del dolore tipico della claudicatiointermittens.Poiché il prodotto Q Rseg. è elevato, la pressio-ne distrettuale Pd cala notevolmente. Questocalo pressorio durante l’esercizio è uno stru-

mento diagnostico molto utile in presenza diclaudicatio intermittens.La situazione diventa più complessa quando inun arto si verificano occlusioni multiple in vasiposti in serie.L’asse iliaco, per esempio, non serve solamentead irrorare i muscoli della regione glutea e dellacoscia ma è anche la via di afflusso alla femora-le superficiale, che a sua volta, attraverso lapoplitea, supplisce i muscoli del polpaccio. Secoesistono un’ostruzione dell’iliaca e dellafemorale superficiale, l’esercizio muscolare pro-voca una caduta di pressione a valle di entram-bi i segmenti. Nel letto arteriolare a monte dellafemorale superficiale tuttavia si instaura unavasodilatazione massimale atta a garantire laperfusione dei muscoli glutei della coscia.Questo provoca un’ulteriore caduta di pressionea causa della quale la femorale superficialeviene perfusa non con una normale pressionesistemica ma con una pressione ridotta. Di con-seguenza, verrà ridotta ancor di più la quota diflusso destinata al polpaccio. In sostanza, neldistretto arterioso prossimale si attua un “furto”ematico ai danni del distretto più distale.Nelle ostruzioni multisegmentarie, quindi, laclaudicatio intermittens insorge dopo un eserci-zio muscolare più ridotto rispetto ai casi diocclusione monosegmentaria. Un ruolo fonda-mentale nell’arteriopatia obliterante cronicagiocano i circoli collaterali. Sono costituiti davie arteriose pre-esistenti che funzionano dacomunicazione tra i rami di un’arteria di distri-

La patogenesi dell’ulcera ischemica

29I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

“Il medico e lo speziale”. Incisione seicentesca tratta

da “Le conventioni fra l’ecc.mo Collegio dei Medici… e

la Compagnia delli Spetiali”.

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buzione a monte dell’ostruzione (segmentoaffluente) e vasi situati a valle dell’ostruzione(segmento ricevente).I vasi collaterali sono stimolati ad aumentare illoro calibro dal gradiente pressorio che siinstaura ai due lati di una lesione steno-ostrutti-va segmentaria e dall’incremento della quantitàdi flusso cui devono provvedere in condizione diesercizio.In determinati distretti i circoli collaterali pre-esistenti, sono in grado, in condizioni normali edi moderato esercizio fisico, di fornire un’irrora-zione muscolare adeguata. è il caso per esempiodel sistema della femorale profonda in presenzadi occlusione della femorale superficiale o dellevarie vie collaterali che entrano in funzione se siinstaura un’occlusione cronica dell’iliaca comu-ne o esterna.L’instaurarsi di un valido sistema di supplenzarichiede un periodo di tempo abbastanza lungo.In ogni caso, anche quando esso è sviluppato almassimo, le resistenze al flusso sono pur sem-pre maggiori di quelle riscontrabili in condizioninormali nell’arteria principale andata incontroad occlusione.La storia naturale dell’insufficienza arteriosa peri-ferica cronica, quale che sia la localizzazione, seg-mentaria o plurisegmentaria o diffusa, dell’atero-sclerosi nel distretto aorto-iliaco e/o femoro-popliteo-tibiale, è ben rappresentata dalla classifi-cazione in stadi di LERICHE e FONTAINE basatasu criteri essenzialmente clinici ma con precisecorrelazioni fisiopatologiche (Tab. 1).Questa formulazione racchiuse in sé per moltianni “un senso di fatale ed ineluttabile evolutivi-tà che immancabilmente comporta il passaggioattraverso i vari stadi, in tempi più o meno lun-

ghi, sino al triste traguardo dell’amputazione e,successivamente, della morte” (Andreozzi).Dai tempi di Leriche quando gli unici interventiconservativi erano le simpaticectomie e preva-levano quelli demolitivi molto è cambiato grazieal progresso tecnologico che ha chiarito moltipunti oscuri della fisiopatologia circolatoria conosservazioni spinte fino al celebre “ultimoprato” della microcircolazione. Inoltre è oggifondamentale il contributo della biologia mole-colare che continua ad identificare nuovi siste-mi di controllo del fenomeno circolatorio.Accanto a tutto questo bisogna considerare il pro-gresso nelle tecniche chirurgiche, specie di riva-scolarizzazione diretta, oltre all’introduzione dinuove molecole o alla scoperta di attività fino adun tempo sconosciute in molecole già esistenti damolto tempo (per esempio l’azione antiaggregan-te piastrinica dell’acido acetilsalicilico).Con la migliorata conoscenza della fisiopatolo-gia dell’insufficienza arteriosa si sono createvalide prospettive nel rallentare l’evoluzionedell’arteriopatia obliterante consentendo il pas-saggio dei pazienti dal III al II stadio o di limita-re i livelli di amputazione nei IV stadi oltre chenel mantenere più a lungo la malattia in fase distazionarietà. Alcuni AA parlano di “evoluzioneculturale” che ha introdotto nella classificazione“aggettivi che meglio definissero le fasi di trans-izione sia dal punto di vista fisiopatologico siada quello clinico-evolutivo sia, e non ultimo, dalpunto di vista patogenetico. Nasce così il tenta-tivo di una nuova classificazione funzionale...che non va interpretato come un superamentodella classificazione di Leriche e Fontaine, bensìcome un suo approfondimento, tentativo tuttorain corso” (Andreozzi).

La patogenesi dell’ulcera ischemica

30I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Stadio Sintomatologia Fisiopatologia

I

II A

II B

III

IV

Stadio infra-clinico, senza manifestazionifunzionali, evidenziato da un esame clinicosistematico.

Dolore da sforzo, crampiforme insorgentedopo un certo IL e caratterizzato da unpreciso tempo di recupero.

IL <200 m tR> 3’

Dolori a riposo. Arto declive

Turbe trofiche

Discrepanza tra richiesta muscolare eapporto di O2.

Discrepanza tra richiesta muscolare eapporto di O2.

Discrepanza tra richiesta muscolare eapporto di O2 e deterioramento deimeccanismi di compenso.

Ipossia cutanea neurite ischemica.

Ipossia marcata.

IL= Intervallo Libero tR=tempo di ristoro

Tab. 1 - Classificazione di Leriche e Fontaine

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I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

3.3 L’Ischemia Cronica Critica

Nonostante la validità ancora attuale della clas-sificazione di Leriche-Fontaine, in anni recenti,si è sentita l’esigenza di rivederla criticamentespecie nel senso di una più approfondita analisie differenziazione dei quadri clinici dei singolistadi anche al fine di poter disporre di una mag-giore uniformità per le indicazioni terapeutichee per una più attenta valutazione dei sempre piùnumerosi e diversificati tipi di trattamento. Nel1986 è stata così pubblicata una proposta direvisione classificativa dell’ischemia degli artiinferiori preparata dall’ Ad Hoc Commitee onReporting Standards, Society for VascularSurgery/North American Chapter, InternationalSociety for Cardiovascular Surgery (Tab. 2).

A Berlino nel 1989 nell’ottica di nuove possibi-lità di prevenzione e cura dell’evoluzionetrombotica delle arteriopatie periferiche in cuisi considerano, alla luce delle nuove acquisi-zioni, sia le alterazioni microcircolatorie chequelle macrocircolatorie, è andato afferman-dosi il concetto di Ischemia Critica come defi-nito nell’Eurapean Consensus Document onCritical Limb Ischaemia nella 2a raccomanda-zione, A e B, di un lungo e dettagliato elenco di

46 raccomandazioni, ulteriormente precisatoin 51 raccomandazioni dal II EuropeanConsensus Document tenutosi a Rudesheim inGermania nel 1991 (Tab. 3).

Bisogna anche notare la possibilità che unoscompenso microcircolatorio, in grado di darecianosi, si realizzi clinicamente anche conpressioni alla caviglia superiori a 50 mmHg esia sostenuto dall’abolizione della reattivitàmicrocircolatoria con stasi accompagnata daeventi ipossici ipercapnici distrettuali croni-cizzati, dallo sbilanciamento in senso coagula-tivo dell’omeostasi fibrinolitico-coagulativacon trombosi microvasale, dall’aumento dellaviscosità ematica, dallo “sludge” eritrocitario edall’aggregazione leucocitaria.Uno scompenso macrocircolatorio può infineessere scatenato da fattori locali quali l’accre-scimento della placca ateromasica, la trombo-si su placca e l’ateroembolia. In questo caso l’i-schemia critica evolve più rapidamente versofasi caratterizzate da dolori a riposo e lesionitrofiche.

La patogenesi dell’ulcera ischemica

31

Grado Categoria Descrizione clinica Criteri oggettivi

0

I

II

III

0

1

2

3

4

5

6

Asintomatico - nessuna malattia occlusivaemodinamicamente significativa

Claudicatio moderata

Claudicatio media

Claudicatio severa

Dolore ischemio a riposo

Perdita minore di tessuti con scarsatendenza alla guarigione - gangrenafocale con ischemia del piede

Perdita maggiore di tessuto soprametatarsale, perdita della funzionalitàdel piede

Treadmill test normale (T.T.)

Completa il T.T. AP dopo esercizio<50mmHg ma >25 mmHg meno dellaBP

Tra 1 e 3

Non riesce a completare il T.T. e APdopo sforzo <50mmHg

Pressione a riposo <40 mmHg, labile oassente il polso alla caviglia - TP<30mmHg

AP a riposo <60 mmHg, labile o assentei polsi alla caviglia - TP<40 mmHg

= alla categoria 5

AP=ankle pressure; BP=brachial pressure; PVR=pulse volume recording; TP=toe pressure; TM=transmetatarsal.

Tab. 2 - Classificazione dell’ischemia cronica degli arti inferiori

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I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

La patogenesi dell’ulcera ischemica

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Rac 2A:

L’ischemia critica è definita dai seguenti due criteri:

Dolore a riposo persistente che necessita di analgesia per più di 2 settimane e/o ulcerazioni o gangrene delpiede o delle dita con pressione sistolica alla caviglia minore ai 50 mmHg

In pazienti diabetici o comunque con pressione alla caviglia scarsamente valutabile per calcificazioni arte-riose, l’assenza dei polsi arteriosi periferici rappresenta un parametro sufficiente per definire un criterio diischemia critica

Rac 2B:

Ulteriori valutazioni sono fornite dall’esame angiografico e/o da uno dei seguenti tests:

Pressione sistolica digitale minore ai 30 mmHg

TcpO2 (pressione transcutanea dell’O2) dell’area ischemica minore / uguale a 10 mmHg (non incrementa-bile con somministrazioni di O2)

Assenza di pulsazioni digitali nell’alluce (misurata con tecnica “strain gauge” o fotopletismografia con testdi iperemia

Alterazioni strutturali o funzionali dei capillari cutanei dell’area ischemica

Tab. 3 - Raccomandazione 2A e B per la definizione di Ischemia Critica

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Capitolo 4

Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari

Giovanni Mosti*, Vincenzo Mattaliano*, Roberto Polignano °

* Angiologia e Chirurgia Flebologica - Casa di Cura M.D. Barbantini Lucca

° Ambulatorio di Angiologia – ASL 10 Firenze Ospedale di Camerata

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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4.1 Diagnostica e clinica dellelesioni vascolari

Le ulcere cutanee (UC) degli arti inferiori rico-noscono, nella stragrande maggioranza dei casi,una eziopatogenesi vascolare; basti pensare cheil 70-80% di esse sono legate a patologia venosa,il 15-25% a patologia arteriosa e il 5-15% ad ezio-patogenesi mista.Tutte le altre cause insieme (vasculiti, neuropa-tie, infezioni, dismetabolismi, malattie ematolo-giche, traumi) sono alla base solo del 5% di tuttele ulcere. Un corretto inquadramento diagnostico dellaUC è molto importante in quanto totalmentediversi risulteranno prognosi, trattamento loca-le e generale: basti pensare all’elastocompres-sione che, se utile nel’80% circa di pazienti (quel-li affetti da patologia venosa) può risultareestremamente dannosa nel 15-20% di pazientiaffetti da ulcera arteriopatica; da qui la necessi-tà di un corretto inquadramento diagnostico chedeve essere mirato a verificare l’eventuale pre-senza di una patologia arteriosa.L’iter diagnostico si fonda su tre momenti essen-ziali: un inquadramento clinico-anamnestico, l’e-same obiettivo, le indagini strumentali.A) inquadramento clinico-anamnestico:

- la presenza di malattie genetiche, dismeta-boliche, ematologiche che già possonoorientarci verso una diagnosi corretta.

- le modalità di insorgenza della UC con parti-colare attenzione alla ricerca di microtraumispesso fondamentali nella genesi dell’ulceraed altrettanto spesso misconosciuti.

- la presenza e l’entità del dolore e le suevariazioni in rapporto al clinostatismo oalla deambulazione (le ulcere flebostatichesono relativamente non dolenti, a menoche non siano infette; le arteriopatiche, lemiste, le vasculitiche, le ipertensive posso-no essere molto dolenti; in queste il dolorepuò aumentare in posizione clinostatica odurante la deambulazione).

- la presenza di condizioni peggiorative:patologia ortopedica con deficit alladeambulazione, mantenimento della sta-zione eretta o seduta per lungo tempo,obesità, tabagismo, malattie respiratorie,uso di farmaci come cortisonici od immu-nosoppressori.

- le condizioni igieniche: in caso di scarsaigiene personale o ambientale l’ulceratende ad infettarsi e ad automantenersi.

B) esame obiettivo

attraverso l’esame obiettivo si dovrà valutare lapresenza di varici clinicamente evidenti, deipolsi periferici, le dimensioni dell’arto e la pre-senza di edema, le discromie cutanee, la dermo-ipodermite, il pallore cutaneo in clinostatismoassociato alla cianosi in ortostatismo, le condi-zioni degli annessi cutanei.La presenza di varici, l’aumento di volume del-l’arto, la presenza di edema e/o discromie cuta-nee e/o la dermo-ipodermite ci orienterannoverso la genesi flebostatiche della UC; l’assenzao la ipopulsatilità dei polsi periferici, il pallorecutaneo, l’assenza o la distrofia degli annessicutanei ci orienteranno verso la genesi arterio-patica.Infine dovremo osservare le caratteristichedella lesione trofica che possono orientarciverso la diagnosi etiologica:

- forma: se irregolare e tondeggiante è indi-cativa di genesi venosa; se regolare, astampo di genesi arteriosa, se con marginipoliciclici, sottominati di pioderma gan-grenoso.

Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari

34I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Raffigurazione delle vene e delle arterie del corpo

umano, da R. Benincasa, “Almanacco perpetuo”,

Venezia, 1661; Forlì, Biblioteca Comunale “A. Saffi”.

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- sede: la sovramalleolare interna è tipica del-l’ulcera venosa; la sede anterolaterale è tipi-ca dell’ulcera arteriosa; il piede è spessoaffetto da ulcere diabetiche o neuropatiche.

- cute circostante: se l’ulcera è in sede di ipo-dermite, di cute fibrotica, se sono presentiaree di atrofia bianca è verosimile la gene-si venosa; la cute pallida e l’assenza degliannessi depongono per la genesi arteriopa-tica.

- profondità: in caso di lesioni da varici, dacausa vasculitica o linfatica, è interessatolo strato dermo-epidermico; in caso dilesioni da arteriopatia o miste potremmoavere un interessamento di fascia, tendini emuscoli.

- fondo: se necrotico orienta verso la dia-gnosi di ulcera arteriopatica; se coperto difibrina, sanioso verso quella venosa.

C) indagini strumentali

come detto l’inquadramento diagnostico dell’ul-cera deve essere mirato a verificare l’eventualepresenza di una patologia arteriosa; tra le inda-gini non invasive di I livello l’esame Doppler edecocolorDoppler sono quelli in grado di fornirele informazioni più precise su morfologia parie-tale e flusso arterioso e venoso e, quindi, spessosufficienti per una diagnosi completa.

- esame Doppler ad onda continua: è l’indagi-ne più semplice basata sugli ultrasuoni e sul-l’effetto Doppler che consente di riconosce-re le strutture in movimento e misurarne lavelocità. L’indagine dopplersonografica si èrivelata estremamente utile, a basso costo erapida nella diagnostica delle patologievascolari degli arti inferiori; essa fornisceinformazioni già alla semplice ascoltazionedel segnale acustico: con un minimo di pra-tica anche un semplice mini Doppler (delcosto di poche centinaia di euro) può forni-re utili elementi per una diagnosi differen-ziale; il paziente viene esaminato in clino-statimo per lo studio del sistema arterioso,in clino- ed ortostatismo per lo studio delcircolo venoso; gli assi arteriosi e venosipossono essere esplorati per tutta la lorolunghezza; il flusso arterioso è, normalmen-te, trifasico: il complesso velocimetrico èrappresentato da una prima onda positivalegata alla sistole arteriosa; un reflusso pro-todiastolico dovuto alla chiusura delle semi-lunari e legato all’elasticità parietale; unaseconda onda positiva legata all’effettoWindkessel della parete arteriosa. La possi-

bilità di apprezzare la qualità trifasica delflusso depone per la normalità del circoloarterioso mentre la presenza di un flussomonofasico e continuo è indicativa di arte-riopatia; infine molto utile è il calcolo del-l’indice di Winsor che è il rapporto tra pres-sione alla caviglia e pressione omerale: se �1 il sistema arterioso può essere considera-to normale; una particolare attenzione vaposta nel paziente diabetico che per incom-pressibilità arteriosa (dovuta alla calcinosidella media) può avere un indice falsamentenormale; in questi casi la morfologia delvelocitogramma arterioso è fondamentaleper una diagnosi corretta. Se l’indice diWinsor è inferiore a 1 vi è una ostruzionearteriosa che è tanto maggiore quanto mino-re è l’indice stesso; con indice di Winsorinferiore a 80 il bendaggio elastico è sconsi-gliato se non a personale particolarmenteesperto; con indice inferiore a 50 il bendag-gio è assolutamente controindicato. L’esameDoppler venoso fornisce un reperto sonoroed un tracciato analogico meno definitirispetto a quello arterioso; il flusso venoso èun flusso lento che necessita di manovreprovocative per essere ampliato; esso dà unreperto sonoro simile ad un soffio di ventomodulato dagli atti respiratori e dalle mano-vre di compressione a monte e a valle delpunto di esplorazione che, in casi normali,provocheranno rispettivamente un aumentood un arresto del flusso. Una trombosi veno-sa determina cessazione del flusso venoso;con il paziente in ortostatismo si può evi-denziare un reflusso venoso mediantemanovre di compressione-decompressionedel polpaccio o manovra di Valsalva.

- Ecocolordoppler: metodica che forniscesimultaneamente morfologia del vaso einformazioni sul flusso arterioso e venosomediante velocimetria Doppler pulsata ecodifica a colori. È infatti possibile lavisualizzazione diretta del vaso per lo stu-dio della parete e del lume e l’inserimentoall’interno di questo di un volume campio-ne per la rilevazione del flusso; un’ulterioreevoluzione tecnologica consente la correla-zione tra l’analisi velocimetrica ed un codi-ce cromatico per cui le variazioni di fre-quenza vengono rappresentate da unascala di colori; il flusso in avvicinamentoalla sonda viene convenzionalmente rap-presentato con il colore rosso; il flusso inallontanamento con il colore blu; la tecnicadi esame è del tutto simile a quella utilizza-

Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari

35I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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ta per il Doppler ad onda continua. Nellapatologia arteriosa l’ecocolordoppler con-sente una miglior precisione diagnosticacirca sede, estensione e morfologia dellelesioni stenotiche ma è soprattutto nellapatologia venosa che esso costituisce unreale progresso rispetto alle altre indaginidiagnostiche tanto da essere oggi conside-rato come il “gold standard” nella diagno-stica di questa patologia. È, infatti, possibi-le un corretto inquadramento anatomicodelle strutture in esame, il riconoscimentodegli assi venosi superficiali e di quelli pro-fondi a livello della regione ostiale safeno-femorale o safeno-poplitea, di eventualivarianti anatomiche, di distretti safenicimultipli, delle vv. perforanti incontinenti odi rientro. È possibile identificare la pre-senza di reflusso venoso superficiale o pro-fondo mediante l’inversione del flusso (bendocumentata dalla sua codifica a colori)ottenibile con paziente in posizione orto-statica semplicemente comprimendo idistretti a monte; è possibile documentarel’ostruzione trombotica degli assi venosicon il test della compressione: la vena nor-male collabisce alla pressione della sonda;la vena trombizzata risulta incompressibi-le; il lume venoso, normalmente anecoge-no, diventa ecogeno; le manovre si com-pressione a monte e a valle non provocanoalcun flusso nel distretto esaminato. Infineè possibile documentare le modificazioniche intervengono nella sindrome post-fle-bitica: la ricanalizzazione con ricomparsadel flusso precedentemente assente; l’i-spessimento delle pareti venose su cuiresta adeso materiale trombotico, l’insuffi-cienza valvolare.

Altri esami sono utili a completamento morfolo-gico e funzionale delle informazioni che ci ven-gono fornite dagli esami ultrasonografici; meri-tano di essere ricordati: capillaroscopia,LaserDoppler, ossimetria transcutanea e pleti-smogafia digitale, pletismogafia strain gauge ereografia a luce riflessa.

In particolare la capillaroscopia, LaserDopplered ossimetria transcutanea consentono lo stu-dio del microcircolo cutaneo e ci forniscononotizie di tipo fisiopatologico e la misura dellacompromissione microcircolatoria a comple-tamento ed integrazione dell’inquadramentodiagnostico ottenuto con esame Doppler edecocolorDoppler.Se è vero, infatti, che le alterazioni macrocir-

colatorie sono quelle che innescano a casca-ta tutti quei processi che possono portareall’ulcera, è anche vero che è il distrettomicrocircolatorio che viene interessato dal-l’ipossia sia se colpito da patologia arteriosache da patologia venosa (ipossia ischemica eipossia da stasi).

- La capillaroscopia ci consente di studiarele piccole arterie, capillari e venule con dia-metro inferiore ai 500 micron a livello dellaplica ungueale, della cute del dorso delpiede, nell’ area periulcerosa etc.; è possi-bile studiare lo stato nutrizionale e funzio-nale dei tessuti ed identificare le areeischemiche; vi sono quadri capillaroscopicipatognomonici sia nella patologia venosa,sia nella patologia arteriosa, sia nellevasculiti.

- Il LaserDoppler che permette di misurarela perfusione ematica istantanea di undeterminato campione di tessuto; la sondaLaser viene di solito posizionata sul I dito esul dorso del piede; si esamina il riflessovasomotorio venulo-arteriolare (VAR) cheè tanto più alterato quanto più grave è lacompromissione microcircolatoria; l’esa-me è indicato dell’ischemia critica, nellamicroangiopatia diabetica, nella patologiavasospastica (acrocianosi, diabete), nell’i-pertensione venosa cronica.

- L’ossimetria transcutanea misura, appun-to per via transcutanea, in modo incruen-to, la pressione parziale di ossigeno e ani-dride carbonica. In condizioni normali laTcpO2 si mantiene ad un identico livellodi 70/80 mm. Hg lungo tutto l’arto mentrenell’arteriopatico essa decresce verso leestremità distali in misura direttamenteproporzionale alla gravità dell’arteriopa-tia. La TcpCO2 presenta un valore di 35-40mm Hg ed aumenta in caso di sofferenzatissutale.

Questi esami sono in grado di fornisce impor-tanti informazioni prognostiche e terapeutichees. le probabilità di successo della terapia medi-ca o della rivascolarizzazione o il rischio diamputazione.Un cenno merita anche la Reografia a luceriflessa o fotopletismografia venosa.Questa ci permette uno screening rapido ed effi-ciente nella valutazione dell’insufficienza venosacronica e nelle successive scelte terapeutiche. Il principio sul quale si fonda questa metodicaé il seguente: un piccolo trasduttore del diame-

Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari

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tro di circa 3cm, contenente uno o più emetti-tori di luce infrarossa e una fotocellula, vienefissato con un dischetto trasparente bi-adesivoin sede sovramalleolare mediale. Si fa quindifare al Paziente un esercizio che consiste indieci dorsiflessioni forzate del piede per attiva-re la pompa muscolare del polpaccio e si osser-va il grafico su un monitor. In questa fase “dispremitura” la curva scenderà proporzionata-mente alla capacità del Paziente di “svuotare” ilsistema venoso dell’arto. Dopo le dieci dorsi-flessioni si fa fermare il Paziente con la gambaa penzoloni e a questo punto la curva comin-cierà a riportarsi verso la linea base dalla qualeera partita. Si calcola quindi il tempo di ritornodella traccia al valore di base (RT=refilling

time). Si considera come valore normale un RTsuperiore a 20-25 sec. In un soggetto normale,senza reflussi venosi, il riempimento é moltolento; al contrario se ci sono reflussi, il tempodi riempimento si riduce proporzionalmentealla gravità del reflusso. Un RT normale per-mette quindi di escludere patologie da reflusso.Si potrà inoltre simulare una correzione chirur-gica del circolo venoso superficiale compri-mendo con le dita i punti di fuga o usando deilacci e quindi ripetere l’esame per vedere se ilRT si normalizza, in questo caso l’interventochirurgico potrà essere suggerito con maggiorgaranzia di successo, anche in presenza di unainsufficienza venosa sia del circolo venososuperficiale, sia del profondo.

Diagnostica e clinica delle lesioni vascolari

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“Le molteplici virtù della Panacea Balsamica”, Jacopo Mugnai. Foglio volante (sec. XVII).

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Capitolo 5

Il ruolo del bendaggio elasticonella terapia delle ulcere venose

Roberto Polignano* - Battistino Paggi° - Vincenzo Mattaliano^

*Angiologia Ospedale Camerata ASL 10 Firenze - ° IPAFD ASL 13 Novara

^ Angiologia e Chirurgia flebologica Casa di Cura Barbantini Lucca

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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5.1 Introduzione

Le ulcere venose degli arti inferiori costitui-scono una grave patologia che colpisce dallo0.3 al 3% della popolazione e che incide inmodo significativo sulla spesa sanitaria esociale [1]. È una patologia soprattutto del-l’anziano e costituisce una situazione di estre-mo disagio per la qualità di vita del Paziente edella sua famiglia.Studi sull’elastocompressione hanno evidenzia-to come bendaggi e calze elastiche costituisca-no un valido trattamento di tale patologia,soprattutto in considerazione dell’ottimo rap-porto costo-beneficio[2]. Altri studi internazio-nali [3,4] hanno evidenziato la superiorità deitrattamenti eseguiti da personale specificamen-te addestrato nell’uso di medicazioni avanzate edi bendaggi elastici, in termini di una maggiorpercentuale di guarigioni.Bendaggi e sistemi di tamponi per compressioniselettive sono noti fin dai tempi di Ippocrate.Tali forme di compressione sono state perfezio-nate nei secoli ed oggi vengono caratterizzateper la loro composizione, elasticità ed adesività.Molto si deve al Prof. Stemmer che circa 20 annifa apriva una nuova era di studio dei meccani-smi fisiopatologici sui quali si basa il trattamen-to elastocompressivo [5].

5.2 Definizione ed azione dellacompressione elastica

La terapia elastocompressiva consiste nell’ap-plicazione sulla superficie cutanea di una pres-sione esterna destinata a controbilanciare lepressioni intravenose patologiche.Durante la stazione eretta immobile la pressionevenosa nella safena interna a livello del malleo-lo con paziente eretto e immobile è espressionedella pressione idrostatica tra l’atrio destro e ilpunto dove viene rilevata la pressione: circa 90mmHg. In pratica è come se si avesse sempreuno stato di IPERTENSIONE VENOSA e talesituazione è UGUALE nel SANO e nel FLEBO-

PATICO.Durante la deambulazione, nel soggetto sano,vi è una riduzione della pressione al malleolocompresa tra 25 e 35 mmHg [6]. Nel soggettoflebopatico invece, a seconda della gravità del-l’insufficienza venosa sottostante, tale riduzio-ne è minore o addirittura, nei casi più gravi, siha addirittura un aumento. L’ipertensione

venosa, causata principalmente dal mancatofrazionamento della colonna di pressione daparte delle valvole incontinenti che provocal’aumento della pressione idrostatica[21], siripercuote a livello del microcircolo creandouno squilibrio tra pressione di filtrazione e diriassorbimento del liquido interstiziale.L’aumento della pressione transmurale(PTM=PV/PT PTM: press. Transmurale; PV:pr.venosa; PT: pr.Tissutale) favorirà quindi laformazione di edema [21]. L’edema è il primosintomo delle alterazioni della rete capillareche, se la causa persiste, evolverà verso unavera e propria interstiziopatia fino alla trom-bosi capillare e alla necrosi tessutale, aspettimicrocircolatori del quadro clinico caratteriz-zato da lipodermatosclerosi e ulcera [7].L’elastocompressione ha dimostrato effetti posi-tivi sul macro e microcircolo in corso di insuffi-cienza venosa cronica: riduzione del calibrovenoso e dei reflussi patologici e aumento dellavelocità del sangue [8], riduzione del sovraccari-co valvolare [9], accelerazione del trasporto lin-fatico [10], miglioramento delle condizioni del-l’interstizio [11], diminuzione della pressioneinterstiziale ed endolinfatica [12].L’elastocompressione aumentando la pressionetissutale ed abbassando la pressione trans-murale riduce l’edema, la flebostasi e l’iperten-sione venosa migliorando l’ischemia e le mani-festazioni cliniche dell’IVC [21].

5.3 Azione della compressione

La pressione esercitata sulla superficie cutaneadal sistema elastocompressivo è data dallaLegge di Laplace P = Tn/rh

(P = pressione esercitata sulla superficie cuta-nea n = numero di spire applicate T = tensionedel tessuto elastico r = raggio di curvatura dellasuperficie compressa h = altezza benda).

Si intuisce dall’applicazione della formula che, aparità di tensione applicata, la pressione decre-scerà con l’aumentare del raggio di curvaturadell’arto. Senza variare quindi la tensione diapplicazione, sfruttando la normale conicitàdella gamba, otterremo una pressione gradualedal basso verso l’alto. Un altro modo di sfrutta-re la Legge a nostro vantaggio è quello di ridur-re il raggio della superficie da bendare con l’ap-plicazione di spessori supplementari (pads,pelottes, gomma piuma, spessori in latex, inpoliuretano, caucciù o silicone) o aumentando-

Il ruolo del bendaggio elastico nella terapia delle ulcere venose

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lo con l’applicazione di cotone di Germania oviscosa per la protezione ad esempio delle spor-genze ossee ed ottenere rispettivamente unaumento o una riduzione della pressione appli-cata (fig. 1).

Avremo così particolari forme di compressionedenominate rispettivamente: C.CONCENTRICHE: che agiscono in funzionedella tensione del tessuto e delle variazioni divolume dell’arto durante la deambulazione. C.ECCENTRICHE: Positive: in cui la pressionerisulta aumentata - Negative: in cui la pressionerisulta diminuita.

Tralasciando comunque i particolari dellaLegge, occorre sottolineare la necessità disfruttare questi principi per ottenere un ben-daggio efficace utilizzando bende elastiche,applicando una tensione costante, ed utilizzan-do un bendaggio a più strati (2, 3 o 4) sovrap-posti in diversi modi, per correggere e sfrutta-re il diverso raggio dell’arto. Quando il nume-ro degli strati aumenta, l’elasticità del bendag-gio diminuisce.Durante la deambulazione l’arto subisce dellevariazioni di volume per l’alternarsi delle con-trazione e rilassamento. In relazione alle variefasi della deambulazione e al riposo, si possonodistinguere due tipi di pressione esercitate dauna benda:

PRESSIONE DI RIPOSO cor-risponde alla Pressione di appli-

cazione (forza necessaria perestendere la benda all’applicazio-ne) e dipende dalleCaratteristiche di elasticità pro-prie della benda (capacità di

riprendere la forma originale dopo l’estensione).La pressione di Riposo viene misurata sull’artonon in movimento. Meno estensibile è il materia-le e minore è la pressione di riposo.

PRESSIONE DI LAVORO

risulta dalla Resistenza che labenda oppone alla espansionedei muscoli al momento dellaloro contrazione.La pressione di lavoro vienesempre misurata nell’arto in

movimento. Meno estensibile è la benda e piùelevata è la pressione di lavoro.

Le pressioni che ne deriveranno saranno quindidiverse a seconda del materiale utilizzato comesi può osservare nella fig. 2

Fig. 2

Bisogna quindi sottolineare l’importanza che lamobilizzazione del paziente ha per un’adeguataefficacia dell’elastocompressione.

5.4 Il bendaggio nella pratica clinica

Sulle tecniche di applicazione delle bende cisono spesso alcune differenze tra i diversi ope-ratori, ma pareri concordi sui principi fonda-mentali .Nella pratica clinica vi sono alcuni parametriche devono essere sempre considerati primadell’applicazione di qualsiasi bendaggio:- il tipo di patologia da trattare- la compliance del Paziente- il livello di deambulazione del Paziente - il tipo e la frequenza delle medicazioni- le caratteristiche della cute- la disponibilità del materiale- la possibilità di una collaborazione familiare- eventuali controindicazioni generali ed in parti-

colare presenza di una arteriopatia obliterante.

In particolare, Pazienti non deambulanti, intol-leranti di qualsiasi costrizione, o ancora affetti

Il ruolo del bendaggio elastico nella terapia delle ulcere venose

41I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Fig.1

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da un dolore insopportabile o non adeguata-mente motivati, avranno una compliance proba-bilmente insufficiente.Nella scelta di bendaggi mobili, solitamente con-fezionati a domicilio, dovremo essere sicuridelle capacità tecniche di un familiare, delPaziente o del personale sanitario domiciliare.Ricordiamo poi che difficilmente il Pazientetoglierà un bendaggio fisso adesivo e che questotipo di bendaggio, anelastico o a corta estensibi-lità, al contrario di quello a media-lunga estensi-bilità, dovrà essere confezionato da personaleesperto.

Il materiale che possiamo utilizzare per confe-zionare un bendaggio è sostanzialmente costi-tuito da:- materiale di protezione, assorbimento e

fissaggio (cotone di Germania, bendaggi

coesivi leggeri, mousse) e materiale per

compressioni eccentriche;

- bende anelastiche (bende rigide all’ossi-

do di zinco, Circ-Aid)

- bende a corta esensibilità (40-70%)

- bende a media estensibilità (70-140%)

- bende a lunga estensibilità (>140%)

Le bende a corta estensibilità possono essereadesive/coesive o non adesive, ma spesso si pre-feriscono le prime per permettere un bendaggiofisso più stabile che possa restare in sede peralcuni giorni. Il bendaggio fisso può essere con-fezionato anche con una benda all’ossido dizinco, anelastica, che darà alte pressioni deam-bulatorie e basse a riposo (purché non si diatroppa tensione alla benda) permettendo alPaziente di tenerlo anche la notte. Le bende amedia-lunga estensibilità sono generalmentenon adesive, vengono messe al mattino e tolte lasera; al contrario delle precedenti creano unapressione elevata a riposo che, però, s’incre-menta poco durante la deambulazione. Possonoessere bendaggi più sicuri, ma meno efficaci perla riduzione dell’edema e spesso si dislocanorichiedendo un nuovo confezionamento durantela giornata [13].Il bendaggio è controindicato in quei pazientiche presentano una patologia arteriosa severa(Indice di Winsor < 0,6), ma con particolariattenzioni e su indicazione specialistica, potreb-be essere utilizzato anche in in presenza di unapatologia arteriosa meno severa (I. Winsor 0-6-0,8)[14]; è controindicato nei casi di scompensocardiaco non controllato e accompagnato daedemi declivi. È possibile con particolari caute-

le e sotto stretto controllo medico nei Pazientidiabetici o con vasculite.

Nel posizionare il bendaggio dovremo utilizzarealcune norme generali:- il Paziente sarà generalmente disteso- con gamba rilassata- piede a 90° e leggermente rialzato- il bendaggio dovrà essere esteso dalla radice

delle dita fin sotto il ginocchio- generalmente con bende alte da 7,5 a 10cm- dovrà garantire una pressione adeguata ed

uniforme- ed essere ben accetto dal Paziente

In caso di ulcera con eccessivo essudato o chenecessiti ispezioni frequenti, sarà più pratico emeno dispendioso un bendaggio mobile rispettoad un bendaggio fisso spesso non riutilizzabile.

Il primo strato è di solito costituito da uno stratodi cotone di Germania o di salvapelle (moussesintetica) che potrà avere diverse funzioni: quelladi correggere eventuali anomalie del raggio dellagamba, come spesso possiamo osservare nelledistrofie dell’insufficienza venosa cronica (ad es.una gamba a “fiasco rovesciato”); in presenza diulcera potrà aiutare l’assorbimento di un essuda-to abbondante ed infine potrà essere utile per evi-tare eventuali danni, legati sia alla formazione dilacci per sovrapposizioni alterate o per disloca-zione del bendaggio durante la deambulazione inarti difficili o all’eccessiva pressione esercitatasulle sporgenze ossee della gamba.Lo strato successivo sarà costituito da unabenda a corta-media estensibilità, che sarà scel-ta in base alla presenza o meno di edema, al tipodi ulcera, alle capacità deambulatorie delPaziente e alla possibilità di lasciare in sede labenda per più tempo.

Il tipo di tecnica sarà variabile: generalmente inpazienti con piede normale si consiglia di svol-gere la benda con un movimento avvolgente insupinazione, sollevando cioè il margine medialedal piano plantare così come si fa anche in pre-senza di un appiattimento della volta plantare.In caso di piede cavo con margine mediale sol-levato, si applicherà la benda con movimentoavvolgente in pronazione cercando di abbassareil margine mediale e di sollevare il margine late-rale dal piano plantare. Comunque non vi sonoevidenze scientifiche che la rotazione dellabenda in un senso o nell’altro influenzi in qual-

Il ruolo del bendaggio elastico nella terapia delle ulcere venose

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che modo la guarigione delle ulcere. Inoltre dif-ficilmente un bendaggio elastico, anche se acorta elasticità, potrà influenzare la curvaturadella volta plantare dal momento che viene sem-pre usato con interposizione di altri materiali(mousse, cotone di germania, crespata) che nelimitano enormemente la possibilità di grip,cosa che invece avviene sempre nei bendaggifunzionali ortopedici con bende adesive e cerot-ti adoperati a “pelle”. Si potrà utilizzare una tecnica di avvolgimento“a spirale”, sovrapponendo le spire della metà odi 2/3, oppure in alternativa una tecnica “a otto”o “a lisca di pesce” che creando una maggiorsovrapposizione di strati darà una maggior rigi-dità e quindi maggior pressione a parità di ten-sione e di tipo di benda. Il bendaggio potrà esse-re sostituito una o due volte alla settimana edogni volta che la riduzione dell’edema lo rende-rà inefficace.Nel confezionare un bendaggio fisso all’ossidodi zinco dovremo tener conto di ulteriori atten-zioni. La benda anelastica non dovrà esseretesa ma stesa per evitare la formazione distrozzature, e dovrà seguire le curvature del-l’arto con tecnica “a srotolamento”; eventualiincroci o pieghe saranno fatti in zone protettee non a rischio; un’altra tecnica prevede che labenda possa essere stesa evitando che giricompletamente intorno all’arto, ripiegandolasu se stessa ogni volta sulla linea medianaposteriore della gamba, con spire “a ferro dicavallo” e proseguendo ad ogni giro con un’in-clinazione verso l’alto. Questo tipo di tecnicapermetterà inoltre, una volta indurita la benda,di poterla togliere senza necessità di forbici,semplicemente tirandola dal davanti come ungesso tagliato sul dietro.Ed infine osserviamo sempre l’aspetto del ben-daggio confezionato e non dimentichiamo diripetere al Paziente per l’ennesima volta di cam-minare.

5.5 Il bendaggio multistrato

Il sistema di bendaggio compressivo multistra-to, specifico per il trattamento delle ulcerevenose degli arti inferiori, è in grado di produr-re ottimi risultati su pazienti con indice brac-cio\caviglia di almeno 0,8. È controindicato inquei pazienti che presentano una patologia arte-riosa severa, in quelli che presentano uno scom-penso cardiaco non controllato e accompagnatoda edemi declivi. È possibile l’applicazione, ma

sotto stretto controllo, nei pazienti diabetici enei pazienti con artrite reumatoide.Il successo del bendaggio multistrato è legato avalutazioni più ampie che vanno da un approc-cio sanitario e gestionale basato sulla ricerca, adun approccio integrale per il paziente che tengaconto di qualità, costi ed efficacia[15].Il sistema di bendaggio a quattro strati è statosviluppato per produrre una compressione effi-cace, graduata e sostenuta al tempo stesso,senza dimenticare un buon rapporto fra costo etrattamento.Compressione efficace: l’efficacia della tecnica dibendaggio compressivo multistrato è stata clini-camente dimostrata con studi eseguiti sia pressoospedali sia presso strutture territoriali [16].

Il sistema di bendaggio compressivo multistratoassicura una pressione di circa 40 mmHg allacaviglia, decrescente a 17 mmHg al ginocchio.Blair [17] ha dimostrato che tale sistema man-tiene un livello di compressione efficace almenoper una settimana senza necessità di cambiare ilbendaggio nonostante la riduzione dell’edema.Rapporto costo/trattamento: un cambio settima-nale del bendaggio riduce drasticamente iltempo necessario alla gestione delle ulcere del-l’arto inferiore da parte del personale clinico.Significativi sono già i risultati di alcuni studiche hanno permesso di evidenziare risparmisignificativi nell’ambito del costo per singolotrattamento [18].

Si dovrà porre particolare attenzione, come perqualsiasi altro tipo di bendaggio, in sede diprima applicazione. Sarà quindi utile procederecome segue:1.sottoporre il paziente ad una visita accurata,che escluda la presenza di malattie arteriose;consigliabile l’impiego di un doppler ad ondacontinua (minidoppler);2.considerando che il sistema di bendaggio èstato espressamente studiato per dare i miglioririsultati su caviglie della circonferenza tra i 18-25cm, sarà opportuno misurare la circonferenzadella caviglia ed accertarsi che la stessa siasuperiore ai 18 cm. (eventualmente aumentare ilraggio con adeguate imbottiture);3.accertarsi che la circonferenza della cavigliastessa, per effetto dell’assorbimento dell’edemanon sia cambiata; a tale scopo è importanterimisurare sempre la circonferenza dopo unprimo periodo di trattamento;4.analizzare l’arto del paziente per individuarepossibili prominenze ossee o fibrosi dellagamba al fine di poterle opportunamente pro-

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teggere ad esempio con la prima benda di visco-sa del sistema stesso.5.escluderne l’impiego in pazienti arteriopatici(con un indice di pressione braccio/cavigliainferiore allo 0,8) o su pazienti diabetici conmicroangiopatia in stato avanzato.

Ogni kit di bendaggio si compone di una primabenda assorbente naturale costituita da un 100%di viscosa, anaelastica, in grado di garantire unaalta assorbenza, una buona conformabilità, unabassa perdita di fibra ed una elevata tollerabili-tà grazie alla sua naturale morbidezza. Essa con-sente di proteggere le zone a più elevato rischio,di ridistribuire adeguatamente la pressione e digarantire un buon assorbimento dell’essudato.La sua applicazione, dopo il fissaggio a livellodelle teste metatarsali e l’ordinato avvolgimentodel collo del piede e del tallone, si sviluppa aspirale con sovrapposizione del 50% senza alcu-na tensione sino alla tuberosità tibiale fin sottoil ginocchio.Una seconda benda, in crespo di cotone conun’estensibilità del 45%, consente un’ulterioreattività assorbente, completa il modellamentodella benda precedente e si dimostra altrettantomorbida. Rifinisce quindi quanto preparato conla benda n.1, ne consente il fissaggio, contribui-sce ad elevare le capacità di assorbimento delsistema stesso e in ultimo consente un buonancoraggio alla terza benda evitando un facilescivolamento verso il basso. La sua applicazionesi differenzia dalla precedente solo per unaminima tensione che deve essere impressa nelmomento in cui si srotola la benda sull’arto,sempre con tecnica a spirale e sovrapposizionedel 50%.La terza benda è in grado di esercitare una com-pressione leggera (17 mmHg alla caviglia), mapossiede una elevata elasticità (estensibilitàsuperiore al 150%), presenta una linea centralecolorata, che funge da guida nell’applicazione.La sua applicazione, dopo il fissaggio a livellodelle teste metatarsali e l’inglobamento del collodel piede e del tallone, si sviluppa con una figu-ra ad otto con sovrapposizione del 50% ed unatensione pari al 50% della massima estensibilitàdella benda. Dopo il suo posizionamento èopportuno controllarne il grado di tensioneesercitato oltre che la compattezza e la tenutanei punti di sovrapposizione.La quarta benda a media estensibilità, coesiva esoffice è in grado di garantire una compressioneelastica moderata di 23 mmHg alla caviglia ecostituisce l’amalgama di fissaggio di tutto ilsistema di bendaggio multistrato. Alla fine del

confezionamento, dopo aver attentamenteosservato l’assenza di difetti nelle sovrapposi-zioni, è anche consigliabile un rimodellamentomanuale degli strati sovrapposti al fine di garan-tire una miglior tenuta del bendaggio stesso.A differenza di un bendaggio anelastico, il ben-daggio a quattro strati sarà più stabile nel tempoanche in caso di riduzione dell’edema nei primigiorni di trattamento [17].

5.6 Conclusioni

Da quanto esposto fino ad ora, risulta evidenteche circa il 70-80% delle ulcere degli arti, cioèquelle che presentano un’eziologia prevalente-mente venosa, può essere trattata con un’ade-guata elastocompressione. Se condotta con tec-nica appropriata e materiale idoneo, tale terapiaporterà alla guarigione del 70% circa di ulcereentro 12-24 settimane [13]. Sarà naturalmenteimportante conoscere bene le tecniche di appli-cazione, i vari materiali e motivare adeguata-mente ogni Paziente. Non dobbiamo trascurare,soprattutto per i servizi territoriali, la possibilitàdi disporre di kit già pronti per il bendaggio mul-tistrato, sistemi sviluppati per produrre unacompressione efficace e costante nel tempo esui quali disponiamo già di una grossa mole distudi clinici [15,16,17,18].Terapia elastocompressiva non significa solobende elastiche, ma anche calze [19], pressote-rapia pneumatica intermittente [20] e linfodre-naggio manuale che comunque esulano dallanostra analisi, ma che sono stati ottimamentetrattati dal Collegio Italiano di Flebologia nellerecenti linee guida sulla terapia elastocompres-siva [7].Ricordiamo infine come la stessa Evidence-based Medicine dia una raccomandazione digrado A (basata su grandi studi clinici rando-mizzati, meta-analisi, assenza di eterogeneicità)per l’uso della terapia compressiva nel tratta-mento delle ulcere venose da stasi, pur senzaevidenziare superiorità significative tra i diversitipi di bendaggio [14].

Il ruolo del bendaggio elastico nella terapia delle ulcere venose

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21. Claude Franceschi Teoria e pratica della cura

CHIVA. Cap.II A/B/C/D Pag. 19-59

Il ruolo del bendaggio elastico nella terapia delle ulcere venose

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Capitolo 6

Il trattamento topico

A.O.Macchi - Varese

Centro di Vulnologia Ornella Forma

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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6.1 Trattamento topico

Una vincente strategia terapeutica per la curadelle ulcere cutanee degli arti inferiori deverivolgersi sia alle condizioni generali della per-sona che all’ulcera cutanea. Nel mondo delwuond care sono innumerevoli i prodotti chevengono lanciati dal commercio ogni giorno;una scelta sempre più ricca e, se vogliamo,sempre più impegnativa da parte dell’operato-re , che deve osservare, testare e valutare ognitipologia di prodotto per:

• migliorare la qualità delle cure prestate all’u-tenza,

• per ridurre i tempi di guarigione delle ulcere• per diminuire i costi di trattamenti che

influiscono in modo importante sul bilanciodel Sistema Nazionale Italiano

• per riuscire a raggiungere risultati migliorinel più breve tempo possibile.

Nella realtà quotidiana ci si rende conto quantoimpropria sia la considerazione che un limitatonumero di medicazioni , possa essere sufficien-te per rispondere ad ogni fase dell’evoluzionedell’ ulcera fino ad accompagnarla alla sua gua-rigione.La classificazione delle ulcere e le fasi evolutivedella lesione, sono strumenti importanti per lascelta della terapia topica ideale ed efficace ; daciò si deduce che ad ogni fase della lesione l’o-peratore dovrà rivalutare il trattamento topicopiù efficace.Esistono comunque dei cardini fondamentalinel trattamento delle ulcere cutanee , il primo èla detersione.

6.2 Detersione

La detersione è la fase più importante e ripetiti-va di tutto il trattamento.Questa tecnica ha diverse finalità:

• Asportare eventuale tessuto necrotico

• Diminuire l’assorbimento di tossine

• Eliminare la fonte di moltiplicazione batterica

• Ridurre lo sviluppo della flora microbica sulfondo della lesione

• Alleviare il dolorePrendiamo come punto di riferimento le lineeguida dell’A.H.C.P.R. (Agency Health CarePolicy and Research) “pulire le ferite all’inizio

del trattamento e ad ogni cambio di medicazio-ne” (evidenza C).Quindi per una corretta ed efficace detersionebisogna prendere in considerazione:

• la soluzione detergente

• la tecnica di detersione

6.3 La soluzione detergente

Sempre in riferimento alle Linee Guida possia-mo evidenziare che è di fondamentale impor-tanza la soluzione che viene utilizzata: “impiega-re una soluzione fisiologica salina per la puliziadelle lesioni” (evidenza C).La soluzione fisiologica non provoca danni altessuto detergendo in maniera adeguata; prefe-ribilmente è consigliato utilizzare il Ringer latta-to perché è in grado di aumentare il trofismocutaneo grazie all’elevata presenza di ioni dipotassio, ma è disponibile solo in ambito ospe-daliero.C’è da tenere presente che l’applicazione diuna soluzione fredda può provocare una vaso-costrizione, con una conseguente riduzionedell’apporto nutrizionale del tessuto oltre allacomparsa di sintomatologia dolorosa. Per pre-venire tali danni all’attività micotica delle cel-lule, è importante mantenere la temperaturadella soluzione per la detersione tra i 28° e i30°. Localmente è necessario poi continuare a pro-teggere la cute con prodotti ad “effetto barrie-ra” in modo prevenire sia l’essicamento masoprattutto la macerazione della cute perile-sionale.

6.4 La tecnica di detersione

I gesti ormai consolidati nel tempo che vengonoeseguiti autonomamente durante l’atto delladetersione, possono determinare, se eseguitiimpropriamente, dei danni importanti al fondodella lesione e alla cute perilesionale. Le tecniche della detersione sono: il tampona-mento, l’irrigazione, l’immersione.

Tamponamento.

Viene eseguito applicando la minor quantità diforza meccanica possibile utilizzando una garza,un panno, una spugna (Evidenza C.). È una tec-nica comunemente utilizzata per ulcere dimedia entità.

Il trattamento topico

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Irrigazione.

“Utilizzare una pressione di irrigazione suffi-ciente a migliorare la pulizia della ferita, senzacausare trauma al fondo della lesione stessa .Una pressione di irrigazione sicura ed efficacevaria da 4 a 15 libbre per pollice quadrato (psi)”.(Evidenza B) Tab.2Questa tecnica viene utilizzata quando si devo-no gestire ulcere profonde , con tratti sottomi-nati e/o tragitti fistolosi per poter detergere inmodo accurato anche le zone non facilmenteraggiungibili.

Immersione

Viene definita la detersione ideale soprattuttoper le ulcere degli arti inferiori. Esistono peròdei problemi organizzativi notevoli quali ;

• locale dedicato con vasche apposite,• tempi d’intervento lunghi ,• disinfezioni accurate delle vasche che ven-

gono utilizzate.L’immersione nella soluzione di detersione , ha ilvantaggio di agire sull’ulcera in modo atrauma-tico e sulla cute perilesionale detergendolaaccuratamente. La soluzione se pre-riscaldata ,non compromette le funzioni vitali della cellula.C’è la possibilità, di utilizzare l’idroterapia a vor-tice. Le linee guida ci dicono:“prendere in consi-derazione l’idroterapia a vortice per la pulizia dilesioni che contengono abbondante essudato,croste, tessuto necrotico. Interrompere il vorticenon appena la lesione è detersa.” (Evidenza C)

6.5 Antisepsi

È un’operazione controversa e molto delicata : èuna procedura atta a ridurre il numero di

Il trattamento topico

49I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Dispositivo Pressione di impatto di irrigazione (psi)

Flacone spray (a) 1.2

Siringa a bulbo (a) 2.0

Siringa di irrigazione a pistone da 60 ml con 4.2 estremità cono catetere

Flacone a spruzzo di soluzione fisiologica salina 4.5 da 250 ml con cappuccio da irrigazione

Siringa da 35 ml con ago o angiocatetere calibro 19 8.0

Tab.2 I dispositivi (a) potrebbero emanare una pressione insufficiente per un’adeguata detersione.

Pressioni di irrigazione da vari tipi di dispositivi

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microrganismi presenti sui tessuti viventimediante distruzione o inibizione della moltipli-cazione batterica. Nella pratica quotidiana,ambulatoriale ed ospedaliera, l’uso degli antiset-tici è basato sull’esperienza personale in quantonon esistono protocolli e linee guida convalida-te dall’evidenza scientifica.Se andiamo ad analizzare le linee guida interna-zionali possiamo evidenziare che tendono adare indicazioni diverse su tale utilizzo;

• Le linee guida dell’A.H.C.P.R. (Agency forHealth Care Policy and Reasearch) ci consi-gliano:“Non si esegue la pulizia della ferita dadecubito con detergenti per la pelle o conagenti antisettici (per es. iodopovidone, iodo-foro, soluzione di ipoclorito di sodio, perossi-do di idrogeno, acido acetico” (evidenza B)

• Le linee guida dell’EPUAP (EuropeanPressare Ulcer Advisory Panel) hanno unavisione più aperta nell’utilizzo delle sostanzeantisettiche, e dicono: “Gli antisettici nondovrebbero essere utilizzati di routine perdetergere le ulcere, ma possono essere presiin considerazione quando la carica battericadeve essere controllata (dopo la valutazioneclinica). Idealmente gli antisettici dovrebbe-ro essere utilizzati solamente per un periododi tempo limitato fino ad ottenere la deter-sione dell’ulcera e la riduzione dell’infiam-mazione perilesionale” (evidenza C)

È necessario quindi dire che si considera un’ul-cera infetta quando essa contiene più di 106(1.000.000) di batteri per grammo di tessuto(Robson et al – 1982).

Tuttavia è dimostrato che alcune ulcere conte-nenti più di 108 di batteri per grammo di tessutonon presentano segni visibili di infezione(Lonkingbill et al – 1978).

Quando si considera la presenza di batteri inun’ulcera occorre evidenziare almeno tre fasi:

• Contaminazione: presenza di batteri senzamoltiplicazione

• Colonizzazione: presenza di batteri in molti-plicazione senza reazione dell’ospite

• Infezione: presenza di batteri in moltiplica-zione con reazione dell’ospite

Recentemente, un nuovo modello che individuala progressione da colonizzazione ad infezione èstato ideato da A. Kingsley (2001). Il modelloguarda alla progressione da lesione sterile adinfezione in base alla carica batterica.

La sequenza dell’infezione (A. Kingsley, 2001):

Nel primo riquadro a sinistra, possiamo vedereche una lesione acuta immediatamente dopol’intervento chirurgico può non presentaremicrobi e, pertanto, non è richiesta alcuna azio-ne. Progredendo verso destra i microbi diventa-no più attivi e si passa da uno stato di contami-nazione, dove il tessuto devitalizzato dovrebbeessere rimosso, ad uno stato di colonizzazione ecolonizzazione critica dove l’ospite non è ingrado di mantenere un equilibrio sano causandoun ritardo della guarigione. In questi casi gliantisettici topici possono essere indicati perridurre la gravità e riportare la lesione dalla

Il trattamento topico

50I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Lesione acuta

Assenza di microbi

Avvieneimmediatamentedopo interventochirurgico

Breve durata, nonè necessarianessuna azione

Lesione acuta

Microbi, piccolacrescita attiva

Avvieneimmediatamentedopo il ferimento

Rimuovere iltessuto non sano;prevenire unamaggiorecontaminazionenelle ustioni

Acuta/Cronica

Equilibriodinamico dicrescita/mortedei microbi

Situazionenormale

Non è necessarianessuna azione

Acuta/Cronica

L’ospite non è ingrado dimantenere unequilibrio sano

Guarigioneritardata; alcuniindicatori diinfezione

(ad eccezionedelle ulcere delpiede diabetico?)

Acuta/Cronica

L’ospite ha ilsopravvento: cellulite locale;può progredire

Esacerbazionedella lesione

Antisettici topiciper invertire laseverità

Sterile Contaminata Colonizzata Criticamente Infetta

colonizzata

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colonizzazione critica alla colonizzazione. Sel’intervento non è tempestivo, la lesione proce-derà verso l’infezione, ove l’ospite soffre di cel-lulite locale e l’infezione può progredire perdiventare sistemica, con un aggravarsi dellalesione od anche un peggioramento tale darichiedere antibiotico terapia sistemica con osenza antisettici.

Tenendo presente che la tossicità cellulare ètipica di ogni antisettico , nel momento in cui sidecide di utilizzarlo dobbiamo sempre ricordar-ci che:

• gli antisettici sono citotossici nei confrontidi fibroblasti , cheratinociti, globuli bianchi ,globuli rossi, leucociti……. per tutte le cel-lule viventi

• gli antisettici non hanno selettività batterica• l’azione di alcuni antisettici può essere dis-

attivata da materiale organico• alcuni antisettici non passano “la barriera

essudato” non raggiungendo così il fondodella lesione

• ogni antisettico inizia a svolgere azione bat-teriostatica o battericida ad una determinataconcentrazione

Il tempo di applicazione dell’antisettico non èmai stato definito perché varia ed è difficilepoterlo calcolare

Ci sono però diversi vantaggi nell’utilizzo degliantisettici. Questi sono generalmente efficaci con-tro un largo spettro di batteri, funghi, protozoi edendospore, incluso batteri resistenti agli antibioti-ci, quali MRSA e VRE. In aggiunta, consentono lagestione dell’odore, facilitano il debridement e lagestione dell’essudato attraverso la riduzionedella risposta infiammatoria. In alcuni casi, pos-sono ridurre la necessità di antibiotici ed essereutilizzati come profilassi per la prevenzione delleinfezioni in pazienti a rischio elevato, quali i dia-betici e quelli con una circolazione compromessa.

Per riuscire ad avere una visione completa , hocercato di elencare gli antisettici tradizionali insoluzione più utilizzati.

Il trattamento topico

51I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

acidi organici

agenti ossidanti

agenti tensioattivi

alogeni

biguanidi

coloranti antibatterici

derivati dei metalli pesanti

• acido acetico (1-2% in soluzione fisiologica)

• perossido di idrogeno o acqua ossigenata (soluzione al 3%)• potassio permanganato (soluzioni da 0,0025 a 0,025%)

• benzalconio cloruro (soluzioni da 0,005 a 0,033% - per la cute perile-sionale soluzione allo 0,1%)

• benzetonio cloruro• cetrimonio bromuro

• ipoclorito di sodio (soluzione allo 0,25%)• clorammina t (soluzioni da 0,05 a 0,5%)• liquido di lugol• tintura di iodio• iodiopovidone (soluzioni da 2 a 10%)

• clorexidina (soluzione allo 0,05%)

• verde brillante• verde di malachite• violetto di metile• fucsina

• merbromina (soluzioni da 1 a 2%)• nitrato d’argento (soluzione allo 0,01%)

Categoria chimica Sostanza farmaceutica

6.6 Antisettici in soluzione

Alcuni degli svantaggi di queste tradizionali soluzioni antisettiche, sono stati superati dalle prepa-razioni antisettiche moderne. Queste nuove preparazioni sono più stabili e forniscono un rilasciocontinuato dell’antisettico, aspetto fondamentale per mantenere il controllo della carica batterica.Alcune preparazioni come Contreet di Coloplast mantengono inoltre un ambiente umido.

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6.7 Gestione della colonizzazione batterica

Le lesioni sono notoriamente soggette allo svi-luppo di infezioni con batteri resistenti ad anti-biotici; la prevalenza d’infezione varia in rappor-to alla localizzazione e all’estensione dell’ulcerae alle condizioni generali della persona. La cre-scita di un microrganismo patogeno determinauna distruzione delle cellule per la competizioneche si va ad instaurare tra battere e cellula per ladisponibilità di ossigeno; il batterio rilascia tos-sine che determinano ulteriore necrosi cellularee danno origine alla formazione di pus (compo-sto da frammenti di tessuto necrotico, leucociti,neutrofili). Le tossine inoltre vengono assorbitee nel momento in cui arrivano al circolo sangui-gno causano tossiemia. Se non si controlla tempestivamente l’infezione,il fondo dell’ulcera si ricopre di materiale liqui-do fetido (induito sanioso).Per una corretta diagnosi di ulcera infetta biso-gna valutare:

• Segni e sintomi di un’ulcera infetta

(Monti 2000)

essudazione purulentaessudazione non purulentaallargamento delle dimensioni dell’ulceraarresto della riparazionefragilità e facile sanguinamento del fondoaumento dell’induito sanioso (frammenticellulari necrotici, batteri proliferanti)aumento del doloreodore nauseantelinfangite satellitecellulite satellite

• Esame colturale

Le normali colture a tampone non devonoessere utilizzate poiché tutte le lesioniaperte sono colonizzate da batteri e pos-sono quindi non essere in grado di riflet-tere in modo corretto l’organismo cheprovoca l’infezione del tessuto indivi-duando solo le sostanze contaminanti esuperficiali (Rousseau 1989);L’esame colturale, secondo il C.D.C.(Center Disease Control) deve essere rea-lizzato tramite una coltura di fluido ottenu-to attraverso aspirazione con ago o biopsiadel tessuto della lesione (Garner 1988).

Osservazioni :

• La colonizzazione batterica può essere mini-mizzata mediante un efficace detersione.

• La colonizzazione batterica può essereminimizzata mediante un efficace sbriglia-mento del letto della lesione.

• Quando è presente una secrezione puru-lenta , odorosa e abbondante , medicare lalesione con maggior frequenza.

• Le lesioni che non iniziano a guarire o checontinuano a produrre essudato dopodue/quattro settimane, devono essere riva-lutate per impostare un nuovo e adeguatotrattamento.

• Quando la lesione non risponde al tratta-mento, praticare una coltura dei tessutimolli e verificare la presenza di complican-ze come l’osteomielite.

• Gli antibiotici per via sistemica sono consi-gliati in caso di batteriemia, sepsi, celluliteavanzata ed osteomielite.

Per gestire la colonizzazione batterica si puòintervenire a livello locale, utilizzando prodotti emedicazioni che vanno ad agire direttamentesulla carica batterica favorendo la guarigionedella lesione.Nella gestione dell’ulcera infetta, la scelta e l’uti-lizzo di una medicazione deve avvenire con curain quanto l’eccessiva umidità e la semiocclusività, possono favorire la proliferazione batterica. Tuttavia i nuovi orientamenti nell’ambito delWound Care, consigliano di creare un ambienteottimale per favorire la guarigione della lesione,

Il trattamento topico

52I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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di utilizzare medicazioni innovative che permet-tono di preparare e di mantenere “sano” il lettodella ferita contrastando e gestendo la caricabatterica senza ledere le cellule vitali.

L’argento come antimicrobicoL’argento metallico è inerte, ma in soluzioni ilrilascio di cationi (Ag+) e radicali liberi fornisceun’elevata capacità antibatterica. Le soluzionidiluite sono efficaci in quanto i batteri e gli altrimicrobi assumono e concentrano ioni. Gli ioniargento si legano alla proteine dei tessuti e cau-sano cambiamenti strutturali nella parete cellu-lare dei batteri, nell’ambiente intracellulare enelle membrane nucleari, denaturando DNA edRNA. Uno dei benefici dell’argento è che questoagisce in tutti e tre i modi e questo potrebbespiegare perché si incontra una così bassa resi-stenza all’argento.

L’evento innovativo è l’ introduzione in commer-cio di nuove e più moderne soluzioni antisettiche,oltre a quelle tradizionali, comunemente utilizzatein passato. Queste preparazioni a lento rilascio diioni argento assicurano una dose bassa, macostante nel tempo, diminuendo la possibilità didanno cellulare ed ai tessuti. Queste preparazioniassicurano un effetto antisettico costante ed alcu-ne preparazioni combinano i benefici delle medi-cazioni in ambiente umido con quelli dell’argento.Ad esempio, Contreet Schiuma di Coloplast oltreal beneficio del lento rilascio di ioni argento con-sente una gestione ottimale dell’essudato.

Sbrigliamento o debridement.

Il suo scopo è quello di rimuovere l’escara o partedel tessuto necrotico, per promuovere il tessutodi granulazione ed evitare eventuali infezioni.Le linee guida dell’A.H.C.P.R. (Agency for HealthCare Policy and Reasearch) ci consigliano“Rimuovere il tessuto devitalizzato dalle lesioni,quando ciò sia opportuno rispetto alle condizio-ni del paziente e conforme ai suoi scopi”(Evidenza C).Il tessuto devitalizzato può avere caratteristichevarie in relazione al suo colore, consistenza, allasua aderenza al fondo delle lesione.Il colore da una fase iniziale bianco/grigiastra,passa progressivamente ad una fase giallognolafino ad arrivare ad una fase marrone/nerastro.La consistenza segue esattamente le fasi colore;si disidrata fino all’essicamento.L’aderenza varia in rapporto al contenuto diacqua.

La scelta del metodo di sbrigliamento varia inrapporto alle seguenti valutazioni:

• Condizioni generali della persona• Il tipo di lesione• L’esperienza nel wound-care• La tipologia di tessuto da rimuovere • Il materiale disponibile

Le tecniche per lo sbrigliamento sono diverse e lepossiamo suddividere in selettive e non selettive:

Il trattamento topico

53I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Selettive Non selettive

Autolitica Chirurgia totale

Enzimatica Wet to dry

Osmotica Ultrasuoni

Bio-chirurgica

Selettive:

• Autolisi: che si esplica attraverso l’applica-zione di idrogels, quali Purilon Gel, di faci-le impiego che hanno la funzione di ammor-bidire ed idratare necrosi e fibrina, creareun ambiente umido stimolando l’autolisi deltessuto. Possono essere utilizzati gli idro-gels per la preparazione del tessuto necroti-co allo sbrigliamento chirurgico.Si può uti-lizzare sotto medicazioni semiocclusive

• Biochirurgica: in uso nel nostro paese soloin via sperimentale, e consiste nell’applica-zione di larve di mosca sterili che vengonoposizionate nel letto della lesione.

• Enzimatica: si esplica attraverso l’impiegodi composti costituiti principalmente daenzimi quali collagenasi o proteasi, ingrado di “digerire” in modo selettivo il col-lagene nativo e denaturato

• Osmotica: tecnica che utilizza il processodi osmosi che determinate medicazionisono in grado di realizzare sulla superficiedella lesione. (Es: alginati, idrocolloidi)

Non selettive:

• Chirurgica: di competenza medica, richie-de uno strumento tagliente come bisturi,forbici, ecc…..

• Wet to dry : si utilizza una medicazione“umido-asciutta” che va ad aderire sulfondo della lesione. Al momento dellarimozione sia il tessuto devitalizzato che iltessuto di granulazione si staccherà con lamedicazione. Tecnica dolorosa.

• Ultrasuoni: si sfrutta l’azione degli ultra-suoni che vanno a staccare i frammenti difibrina e di tessuto devitalizzato associatoad un getto d’acqua regolabile.

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La cute perilesionale.

L’obiettivo generale del trattamento delle ulce-re cutanee, è quello di ripristinare rapidamen-te la vascolarizzazione sofferente e, contempo-raneamente, proteggere la cute da eventualiinsulti esterni.La cute perilesionale deve essere:

• Ben detersa, pulita; quando noi detergiamol’ulcera dobbiamo detergere in modo accu-rato la cute perilesionale evitando distribu-zione di batteri

• asciutta utilizzando presidi assorbenti perprevenire la macerazione

• deve essere mantenuta morbida , elastica eprotetta grazie all’applicazione di prodottiad effetto “barriera” in grado di esercitareun’azione emolliente e al contempo protet-tiva e non macerante.

Cosa possiamo utilizzare:• pomata a base di Ossido di Zinco ad effetto

“barriera”, quale Conveen Protact e CriticBarrier

• crema base• spray al silicone• crema e/o fluido a base di un composto lipi-

dico derivato dall’omento animale• gocce di gliceridi iperossidanti di acidi

grassi essenziali di palmitico

6.8 Medicazioni

• Films in poliuretano trasparente o

semimpermeabili: rivestiti di un adesivoacrilico ipoallergico, sono permeabili aivapori, mantengono un ambiente umido,fungono da barriera nei confronti dimicrorganismi esogeni.

• Idrocolloidi: medicazioni composte dacarbossimetilcellulosa , pectina e gelatina(disponibili nelle tradizionali versioni,quali Comfeel Plus Idrobenda, o nellenuove versioni arricchite con ioni argentoper la gestione della carica batterica, qualiContreet Idrocolloide), possono essereutilizzate per lesioni superficiali , comemedicazione primaria o come medicazionesecondaria nelle lesioni profonde.

• Schiume in poliuretano: medicazioni abase di schiuma di poliuretano che a secon-da della struttura offrono capacità di assor-bimento diverse, per la gestione di lesioni

essudanti ed iperessudanti. In particolare,la medicazione in schiuma di poliuretanoBiatain, grazie alla sua struttura alveolaretridimensionale, consente una gestioneottimale dell’essudato ed un assorbimentoverticale che riduce il rischio di macerazio-ne della cute perilesionale. Esistono ver-sioni con e senza bordo adesivo. Nella ver-sione adesiva di Biatain, l’adesivo è costi-tuito di idrocolloide con benefici aggiuntiviquali capacità di assorbimento e la riduzio-ne dei traumi da adesivo. Le nuove formu-lazioni, quali Contreet Schiuma, conte-nenti ioni d’argento consentono inoltre lagestione della carica batterica. Le schiumedi poliuretano hanno una buona conforma-bilità e non aderiscono al tessuto lesionatogarantendo sempre un ambiente umido.

• Alginati ed idrofibre: gli alginati sonoderivati dalle alghe marine, polimeri dell’a-cido alginico composti da fibre non tessutedi alginato tra loro legate da ioni di calcio ocalcio/sodio o zinco. Sono indicati per ulce-re molto essudanti e/o infette e per la gestio-ne di lesioni cavitarie, mentre non sonoindicati per la gestione di lesioni asciutte. Acontatto con l’essudato per scambio ionico,l’alginato assorbe l’acqua, siero e batteri,trasformandosi in gel. Le idrofibre sonoinvece fibre non tessute di carbossimetilcel-lulosa sodica in grado di assorbire rapida-mente e di trattenere liquidi. La medicazioneinteragisce subito con l’essudato con moda-lità simili a quelle dell’alginato e grazie allasua trasformazione in gel coesivo, si crea unambiente umido. Nuove formulazioni, qualiSeaSorb Soft, combinano i benefici dell’al-ginato con quelli delle idrofibre.

• Idrogels: sono in grado di reidratare i tes-suti necrotici , di attivare i processi di auto-lisi, di assorbire in parte l’essudato e di sti-molare contemporaneamente il tessuto digranulazione. Formulazioni quali Purilon

Gel hanno un contenuto di acqua superioreal 70% e contengono alginato per un miglio-re equilibrio idratazione/assorbimento.

• Collagene: promuovono la formazione edorganizzazione di nuove fibre. Sono dispo-nibili in pad, lamine trasparenti, polvere,pasta, gel.

• Acido jaluronico: medicazione assorbentein tessuto non tessuto interamente costituitadi HYAFF un derivato dell’acido jaluronico,componente essenziale della matrice extra-cellulare. La medicazione è disponibile in dueformati , esiste sia in falda che in granuli.

Il trattamento topico

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Il trattamento topico

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Capitolo 7

Il trattamento chirurgico ricostruttivo

Alessandro Scalise

Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva – Università Politecnica delle Marche – Ancona

Centro Ferite Difficili presso Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva – Università Politecnica

delle Marche – Ancona.

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7.1 Il trattamento chirurgico ricostruttivo

Premessa: Le ulcere croniche costituisconouna condizione comune, ricorrente e disabili-tante, che colpisce fino al 2% della popolazioneadulta. In particolare le ulcere croniche degli arti infe-riori vengono oggi trattate efficacemente conmedicazioni od approcci ben definiti all’internodi protocolli che variano in base alla loro ezio-logia. È abbastanza consueto che, per esempio,un’ulcera vascolare venosa su base cronicavenga affrontata con adeguate medicazioni,terapia elasto-compressiva e deambulazione.Sfortunatamente in molti casi di lesioni croni-che degli arti inferiori il trattamento di comuneapproccio fallisce, con ulcere che rimangonoaperte per mesi o anni. È cronaca quotidiana per il chirurgo plasticoscoprire che è assai meno consueto che un trat-tamento ricostruttivo chirurgico faccia parte diquesti protocolli di base o meglio detti “linee-guida” e ciò per molte ragioni. In molti casi,infatti, queste soluzioni di tipo chirurgico sonocorrelate da indicazioni e controindicazioni deltutto specialistiche ma, soprattutto, sono spessoassociate ad un alta percentuale di complicazio-ni. Tutto ciò rende “difficile” anche la gestionedel post-chirurgia ricostruttiva in mani nonesperte contribuendo, in definitiva, alla nonfacile fruibilità di questa tipologia di soluzioneper tutti i pazienti.

Introduzione ed indicazioni di utilizzo:

L’approccio chirurgico si utilizza, comunque,come buona regola, quando un’ulcera non tendealla riparazione con i comuni trattamenti, intesicome medicazioni avanzate, tecniche “ancillari”di preparazione del fondo della lesione (vediOssigeno Terapia Iperbarica oppure VacuumAssisted Closure Therapy), metodiche di radio-logia interventistica (vedi le Angioplastiche dis-tali di arto inferiore) o procedure di rivascola-rizzazione vascolare chirurgiche con by-pass. Èbene comunque subito ricordare che la chirur-gia ricostruttiva si può utilizzare solamente lad-dove sussistano le caratteristiche minime dibuona vascolarizzazione distale (ossimetriatranscutanea sopra ai 30mm Hg) o sempre come“adiuvante” per una più rapida riparazione inassociazione alle metodiche sopra ricordate.Per definire esattamente quando, come e perchétali metodiche debbano o possano essere utiliz-zate occorre tenere presenti alcuni criteri:

• Quando: È indispensabile tenere presente ilfattore tempo che risulta decisivo nel defi-nire la cronicizzazione della lesione omeno, con i relativi conseguenti diversiapprocci chirurgici. Ponendo in 60 giorni ilperiodo oltre il quale la lesione è definibilecronica sarà, per esempio, assolutamentepiù indicato optare per l’ingegneria dei tes-suti per la soluzione di lesioni di recente omedia insorgenza (fra i 60 ed i 120 giorni)piuttosto che per l’utilizzo di innesti olembi. Questi ultimi saranno riservati allelesione complicate e caratterizzate da trat-tamenti non efficaci, quadri di sofferenzadei tessuti di riparazione od infezioni edessudazioni generose sempre nel rispettodelle condizioni minime di vascolarizzazio-ne sopra menzionate.

• Come: la scelta del come si rifà alle caratteri-stiche intrinseche ed alle indicazioni propriedegli innesti, dei lembi e dei sostituti cutaneidell’ingegneria di tessuti. Di questo parlere-mo in maniera particolareggiata dopo ma, ascopo puramente esemplificativo, gli innestisi potranno riservare ai casi di ulcere dell’ar-to inferiore in cui sia necessaria una soluzio-ne sicura, pratica, versatile che necessiti difacile esecuzione tecnica. La finalità saràesclusivamente riparativa ma non ricostrutti-va e l’obiettivo della funzione e dell’esteticanon saranno facili da ottenere con questapratica chirurgica. I lembi invece potrebberorisultare la scelta ideale perché hanno lecaratteristiche anatomo-biologiche (spesso-re, tipologia di cute vicina a quella da sosti-tuire, colore ed a volte funzione) e di vasco-larizzazione che consentono la vitalità ed ilritorno alla normale funzione dei tessuti divicinanza (osso, cartilagine esposti oltre che,naturalmente, derma e fascie muscolari).Gliinnesti di cute coltivati, autologhi o meno,rappresentano l’approccio più promettenteal momento perché sembrano essere unabuona sintesi fra lembi ed innesti tradiziona-li in termini di caratteristiche proprie e dipossibilità d’impiego.

• Perché: Il risultato che cercheremo saràinevitabilmente ed assolutamente inscindi-bile da una corretta valutazione generaledel paziente. Sarà quindi basilare, nellascelta del corretto trattamento, sapere sesono presenti altre patologie (arteriopatiaostruttiva periferica/AOP, diabete mellito,patologie osteo-articolari invalidanti,vasculiti, etc.) che influenzano negativa-

Il trattamento chirurgico ricostruttivo

58I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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mente il processo di guarigione ma soprat-tutto controproducenti per la vitalità di unlembo o di un innesto (ingegnerizzato omeno); Viceversa, se ci sono esposizioni distrutture funzionalmente importanti qualiossa, tendine, cartilagine, articolazione,nervo, vasi è spesso necessario utilizzare ilembi che hanno l’affidabilità vascolare diun peduncolo vascolare proprio e che pos-sono assicurare detersione, nutrizione edattività immunologica grazie all’apportodiretto delle elementi del sangue.

Gli innesti cutanei: Si intende per innesto iltrasferimento di una porzione di tessuto, priva-to di tutte le sue connessioni vascolari originali,da una sede donatrice ad un’altra ricevente. Itessuti trasferibili sono tanti (fascia muscolare,muscolo, tessuto adiposo, tendine, cartilagine,cristallino, cornea, osso) ma noi ci riferiamo,naturalmente, a quelli di cute e/o di suoi compo-nenti; tra questi gli innesti di epidermide ederma.Questi trapianti cutanei o di loro derivati pro-vengono o da individui della stessa specie(innesti omo-plastici od allo-plastici), o dasoggetti appartenenti a specie diverse (innestietero-plastici o xeno-plastici) o possono esse-re prelevati da zone con cute sana del pazien-te stesso (innesti autologhi tradizionali) oppu-re possono essere fatti crescere a partire dacellule cutanee proprie del paziente all'internodi una struttura preconfezionata definita “scaf-fold” (telaio) secondo tecniche appartenenti alavorazioni industriali di diversi materiali (tec-nologia dei filati od altre) (innesti autologhibio-ingegnerizzati).

• L’innesto omologo trova la sua indicazioneprincipale all’utilizzazione nei casi in cuialla necessità di fornire una tempestivacopertura biologica di aree esposte siaccompagna l’inopportunità di impiego dicute autologa (cioè dello stesso pazien-te);Le tipiche situazioni di utilizzo sono igrandi ustionati e le ulcere. Gli innestiomologhi attualmente più comuni sonoquelli provenienti dalle rete nazionale delle“banche di tessuti e cellule” dove, la cuteproveniente da donatori viventi o deceduti,viene crio-preservata o cito-protetta in gli-cerolo o dimetilsulfossido (DMSO). Il dona-tore è di solito il cadavere piuttosto che ilvivente (soprattutto stretti consanguinei dipiccoli pazienti ustionati), in ordine almigliore screening per le malattie trasmis-

sibili e per la tipizzazione antigenica. Il pre-lievo di questo tipo d’innesti, a differenza diquelli autologhi, è possibile solo nell’ambi-to di strutture che dispongono di un labo-ratorio immunologico ed è effettuabile soloda specialisti in chirurgia plastica o da chi-rurghi che lavorino da almeno 3 anni in unastruttura specialistica di chirurgia plastica.La conservazione di questi innesti puòessere effettuata solo in struttura autoriz-zata dal Ministero della Sanità e dallaRegione (Banca dei tessuti o della pelle),dotata di idoneo personale medico e para-medico e di opportune attrezzature per lostoccaggio e per la gestione dei dati. Gliscopi che si perseguono con l’uso di questiinnesti, sono: protezione delle superfici tes-sutali esposte da ulteriori traumi e dalleinfezioni, copertura e protezione delle ter-minazioni nervose a scopo analgesico, limi-tazione delle perdite plasmatiche ed emati-che, “accensione” dei processi di detersio-ne e riparazione del fondo delle lesioni.Occorre ricordare che in linea di massimaquesti innesti, soprattutto nei grandi ustio-nati, vanno rimossi precocemente in terzagiornata per evitare che si costituiscanoconnessioni vascolari tra ospite ed omoin-nesto alla scopo duplice di non far soppor-tare al paziente, in caso di grandi superficiesposte, i rischi del rigetto ed il riconosci-mento dell’antigene di superficie del dona-tore, perdendo così la possibilità di unaseconda serie di innesti omologhi.

• L’innesto eterologo o xenoplastico ha indi-cazioni d’utilizzo che sono sovrapponibili aquelle degli innesti omologhi ma con limita-zioni maggiori: trattamento dei grandiustionati ed ulcere. Gli animali che piùcomunemente venivano utilizzati erano ilvitello, il feto bovino, gli equini ed il maiale.Solo questi due ultimi vengono oggi in real-tà presi in considerazione a causa delle bennote controindicazioni sierologiche deibovini (malattia di Creutzfeld-Jacobs). Lavascolarizzazione dell’etero-innesto cuta-neo, benché evidenziabile sperimentalmen-te tra alcune specie (coniglio-ratto, maiale-ratto) non è mai stata dimostrata nell’uomoda nessuna specie animale. Ecco perchéoggi si preferiscono, per esempio nel maia-le, innesti con cellule della sottomucosadello stomaco, processate per rimuovere lasierosa, la muscolatura liscia, e gli strati dimucosa e che hanno già permesso clinica-

Il trattamento chirurgico ricostruttivo

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mente il rimodellamento riparativo di tes-suti vescicali, tendini e perdite di sostanzacutanee. I vantaggi sono quelli, non essen-doci una vera e propria reazione di rigettoma solo una reazione infiammatoria aspeci-fica, di poter restare in sede 2 settimanepermettendo per periodi più prolungati equindi efficaci le azioni di protezione,copertura ed attivazione del wound healingsopra riportate per gli omologhi. La funzio-ne è quindi di medicazione biologica e l’ap-plicazione può anche essere alternata con-temporeanemente con altri tipi di innesto.

• L’innesto autologo tradizionale è quello piùcomunemente utilizzato per la riparazione diulcere ed in generale nelle perdite di sostan-za non risolvibili mediante semplice avvici-namento dei margini cutanei. L’innesto èclassificabile per lo spessore (sottili/Tiersch-Ollier; a 1/3 di spessore/Blair-Brown; a 2/3 dispessore/Padgett; a tutto spessore/Wolfe-Krause) ma in realtà non è utile poiché lospessore della cute varia nelle varie sedi delcorpo da cui può essere prelevato;

Le aree maggiormente utilizzate per il prelievosono quelle che possono fornire la maggiorearea possibile e possono essere meglio celate:cosce, natiche per i piccoli e medi spessori epalpebra superiore, regione retroauricolare,regione sovraclaveare, piega del gomito, piegainguinale e piega del polso per gli innesti atutto spessore. È invece importante sapere chequanto più l’innesto è sottile, tanto più facile èil suo attecchimento ma peggiore sarà il risul-tato a distanza a causa della sua maggiore ten-denza a retrarsi ed alla tendenza a cambiarecolore, in modo simile al tessuto cicatriziale;Ecco quindi la sua utilità nelle situazioni ripa-rative “difficili” (ulcere per esempio), in casi divaste dimensioni da coprire, in urgenza.Quello a maggiore spessore avrà meno tenden-za ad attecchire ma migliore qualità in terminidi elasticità, mantenimento della funzione,risultato estetico.L’attecchimento dell’innesto è assicurato nelleprime 48 ore da fenomeni d’imbibizione sericadal fondo della lesione per osmosi e per per-meabilità vasale dall’innesto il che assicura lavitalità iniziale; la rivascolarizzazione cominciadapprima per connessione dirette casuali fravasi dell’ospite ed i vasi dell’innesto, poi verapropria neo-angiogenesi che porta ad una verae propria rete vascolare ex-novo già dalla terzagiornata post-operatoria. È così necessaria man-tenere l’immobilità assoluta dell’innesto per

almeno 3-4 giorni con tecniche di tie-over. Ilflusso ematico si regolarizza in 20 giorni, in 3mesi la re-innervazione e la rigenerazione quasitotale degli annessi (a parte le ghiandole sudori-pare che si riproducono a volte negli innesti atutto spessore).Nei casi che vi sia grande discrepanza fra areadonatrice ed area donatrice è possibile estende-re la cute prelevata con apposito strumentario(mesh-graft) che tramite piccole, regolari inci-sioni moltiplica come in una rete le superficiriparabili fino a 4-5 volte l’area prelevata; Laparte esposta tra le maglie della rete si epiteliz-za per migrazione ma con qualità non semprebuone.

Gli innesti autologhi coltivati di cute

(bio-ingegnerizzati): Si intende per innestoautologo coltivato di cute bio-ingegnerizzato iltrasferimento di una porzione di tessuto, pri-vato di tutte le sue connessioni vascolari origi-nali, da una sede donatrice ad un’altra rice-vente ma preventivamente coltivato in labora-torio separando i componenti dermici (fibro-blasti) ed epidermici (cheratinociti). A partireda una biopsia di 2 centimetri quadrati è pos-sibile ottenere fino a 70 centimetri quadrati diepidermide o di derma in circa 25 giorni. I van-taggi sono importanti già nella fase del prelie-vo che consente di essere effettuato inambiente ambulatoriale, in qualunque regionedonatrice e con residui cicatriziali minimi (2centimetri). La tecnica è facilmente replicabilee consente di gestire facilmente e con preci-sione il ricovero per il posizionamento del tes-suto bio-ingegnerizzato. Gli innesti di epider-mide e derma sono ordinabili per grandi quan-tità e ripetibili nel tempo fino a sei mesi. Leindicazioni principali per cui è stata creataquesta tecnologia, cioè le ustioni, si sono neltempo allargate fino al trattamento di lesioniulcerative croniche di eziologia varia (vascola-ri, diabetiche, su base immunologia, ecc.) edacute (post-traumatiche). La difficoltà maggio-re si ha nel corretto timing delle procedure, apartire dal favorire le naturali fasi di prepara-zione del fondo della lesione in armonia con itempi di preparazione in laboratorio degliinnesti stessi, alla corretta valutazione dellequantità di derma e/o di epidermide utili (inrapporto anche ai costi di questa tecnologia)ed infine al tempo del posizionamento da effet-tuarsi in ambiente chirurgico “protetto”;Ilpost-operatorio va condotto con estremo rigo-re valutando precocemente la tendenza all’in-fezione, variabili assai importante nella vitali-

Il trattamento chirurgico ricostruttivo

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tà, soprattutto degli innesti di cheratinociti.L’attecchimento dell’innesto è assicurato nelleprime 48 ore da fenomeni d’imbibizione sericadal fondo della lesione per osmosi e per per-meabilità vasale dall’innesto il che assicura lavitalità iniziale; la rivascolarizzazione comin-cia anche qui dall’imbibizione serica precoce epoi da una vera e propria rete vascolare ex-novo ma, a differenza degli innesti cutaneiautologhi tradizionali, la vitalità a distanza, ilcorretto cross-talking delle componenti cellu-lari della neo-pelle dipendono dal telaio (scaf-fold) costituito da derivati dell’acido ialuroni-co o da altri biomateriali. Sono questi bioma-teriali che hanno risolto, almeno in gran parte,la difficoltà all’attecchimento delle cellule col-tivate, causata spesso dalle infezioni. La cosiddetta pelle artificiale è così stata crea-ta ma necessita, nonostante gli enormi pro-gressi ottenuti nella sua ingegnerizzazione, didue tempi per il corretto sviluppo (derma e poiepidermide) e di attese prolungate (in certepatologie) in attesa del suo sviluppo in colti-vazione.

I lembi: per lembo cutaneo si intende il trasfe-rimento di una porzione di tessuti cutanei ofasciali o muscolari od ossei od in combinazionidi essi, conservando un peduncolo vascolareche ne consenta la sopravvivenza. L’integrità delpeduncolo può essere rispettata o ricreata tra-mite micro-anastomosi ad un sistema vascolarericevente a distanza.I lembi rappresentano una terapia efficacenella maggior parte delle tecniche ricostrutti-ve ed a differenza degli innesti cutanei dannospesso risultati eccellenti dal punto di vistafunzionale ed estetico. Sono indicati in casodelle ampie e profonde lesioni degli arti infe-riori e con qualunque eziologia, a patto chevengano rispettati i normali parametri di ossi-metria distale e ci sia condizioni vascolari,soprattutto arteriose, non a rischio. Vengonodi solito preparati su una “base” che ne rap-presenta il peduncolo e che, molto spesso, ècasuale (random); L’allestimento deve preve-dere il non superamento di particolari rappor-ti fra base ed altezza dello stesso, variabili inrapporto alla localizzazione anatomica ed altessuto preparato, ed al rispetto del peduncolovascolare evitando torsioni o stiramenti. Leindicazioni maggiori si hanno nelle ulcere didifficile riparazione in cui vi siano tendenzaall’infezione, tessuti ossei od articolari o tendi-nei esposti (dove l’innesto autologo tradizio-nale non attecchisce e quello ingegnerizzato

lo fa solo per piccole dimensioni) e necessitàfunzionali particolari (tessuti a funzione spe-ciale per il carico della pianta del piede,muscoli per la flessione delle articolazioni,tendini per lo scorrimento delle stesse o cutecon caratteristiche simili a quella mancante).Limiti all’utilizzo si possono avere quando l’artoha lesioni macroangiopatiche o microangiopati-che distali tali da non assicurare la vitalità dellostesso (vedi il diabete) od in lesioni ulcerativesu base radiodermitica dove la sclerosi vasalenon assicura una costanza dell’apporto vascola-re oppure in arti con pregresse lesioni cicatri-ziali che facciano sospettare l’interruzione diflussi vascolari.

Discussione e conclusioni L’approccio chirur-gico nelle lesioni ulcerative degli arti inferiorideve essere riservato ai casi in cui non si è otte-nuta con altri trattamenti più conservativi unatendenza alla riparazione. Rappresenta, d’al-tronde, un’indicazione assoluta nei casi in cui visia una ampia esposizione di tessuti profondiquali tendine, osso, articolazione. È comunqueinnegabile che la pratica quotidiana di questetecniche, ed in particolar modo di quelle deriva-te dalla bio-ingegneria dei tessuti, velocizzanotevolmente la copertura di lesioni spessoinveterate, croniche, “difficili” nel loro ambientetessutale e con una programmazione cellularealterata. L’indiscindibilità con la regole dellabuona valutazione complessiva del pazienteprima del suo trattamento in associazione allaconoscenza del come, quando e perché dellevarie possibilità ricostruttive rappresentanospesso la soluzione di casi complessi.

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Capitolo 8

Gli innesti cutanei

Vincenzo Mattaliano - Giovanni Mosti

Angiologia e Chirurgia Flebologica - Casa di Cura M.D. Barbantini Lucca

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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8.1 Gli innesti cutanei

Le ulcere vascolari croniche degli arti inferiorisono trattate, di solito in maniera efficace, conadeguate medicazioni, terapia elasto-compressi-va e deambulazione. In molti casi, tuttavia, taliulcere sono difficili da trattare(1,2): se di lungadurata, estese, secernenti, molto dolenti, o seinsieme alla insufficienza venosa cronica sonopresenti altre patologie (arteriopatia cronicaostruttiva, diabete mellito, patologie osteo-arti-colari invalidanti, vasculiti, etc.) che influenza-no negativamente il processo di guarigione(3,4).I pazienti affetti da tali ulcere beneficiano ditrattamenti alternativi tra i principali dei qualisi annoverano gli innesti cutanei. Questi posso-no essere autologhi, omologhi(5-11), eterolo-ghi(13,14) e quelli prodotti con tecniche di inge-gneria tissutale.L’innesto eterologo trova la sua indicazionenel trattamento dei grandi ustionati. Viene uti-lizzata cute liofilizzata animale, soprattuttosuina, non vitale con funzione di medicazionebiologica e viene applicata a strisce alternatecon altri tipi di innesto. I vantaggi sono quellidella medicazione biologica: azione efficace suldolore e sulla secrezione con buon effetto bar-riera. Ha come svantaggio una ridotta durata nelsito coperto. Dagli anni 80 si è sviluppato l’uso di innesti di

lamine epiteliali costituite da fibroblasti e

cheratinociti coltivati in vitro a partire daframmenti di cute prelevati dal paziente stesso(autoplastica) o da donatore (alloplastica) eseminati su matrice di acido ialuronico. I van-taggi di questa tecnica sono la ridotta invasivitàe i buoni successi sulla guarigione delle ulcere.Ma presenta una ridotta azione antalgica, riducepoco l’entità delle secrezioni e soprattutto ha,allo stato attuale, un costo di utilizzo molto alto.Si parla di autoinnesto o innesto autologo

quando la cute è prelevata dal paziente stessoche deve riceverla(13). La cute viene in genereprelevata mediante un dermotomo dalla coscia,dal braccio o dalla parete addominale, ma puòessere prelevata da qualsiasi altra parte delcorpo. L’autologo è quello che garantisce a pari-tà di condizioni la maggior percentuale di suc-cesso rispetto agli altri tipi di innesto. È peròuna tecnica invasiva, specie se si prelevanoampi lembi cutanei, ed a volte si può avere unadifficile guarigione della zona di prelievo. Gliinnesti autologhi possono essere distinti in:Lembi cutanei, Innesti alla Reverdin ed Innestiliberi dermo-epidermici.

Per lembo cutaneo si intende una porzione dicute peduncolata da trasferire completa di epi-dermide, derma, ipoderma e a volte compren-dente fascia, muscolo ed osso(13). I lembi rap-presentano una terapia efficace in caso di ampielesioni post-traumatiche o di piaghe da decubitoma non trovano alcuna indicazione nel tratta-mento delle ulcere vascolari.Gli innesti d.e. liberi devono comprendere l’epi-telio e porzioni di derma più o meno completoma in modo tale da non superare mai 1,5 mm dispessore. A seconda della quantità di dermaincluso nel prelievo, si distinguono in:

• Innesto d.e. sottile sec. Ollier- Thiersch• Innesto d.e. a medio spessore sec. Blai-

Brown• Innesto d.e. a tutto spessore sec. Wolfe e

KrauseL’innesto d.e. sottile sec. Thiersch (split

skin grafts) deve comprendere l’epidermide el’apice delle papille dermiche ed è l’unico cheinteressa la nostra esperienza sulle ulcerevascolari. L’innesto può anche essere modellatoa rete (mesh-graft) con maglie di varia grandez-za (1,5:1 o 3:1) mediante l’uso dell’Ampligraf.L’innesto d.e. alla Reverdin rappresenta lapiù antica tecnica di innesto dell’era moderna.Reverdin la descrisse per la prima volta nel1869: le pastiglie di cute erano ottenute solle-vando a cono la cute con una pinzetta e decapi-tando con un bisturi l’apice del cono stesso. Idischetti di cute comprendevano l’epidermide euna zona centrale di derma. Questa è una delletecniche autologhe più usate nel trattamentodelle ulcere vascolari.Per innesto omologo o omotrapianto siintende l’innesto che utilizza cute prelevata daun donatore diverso dal ricevente ma della stes-sa specie. Gli innesti omologhi attualmente inuso sono quelli provenienti dalle banche di tes-suti e cellule dove, la cute proveniente da dona-tori viventi o deceduti, viene criopreservata oglicerolizzata. Questo tipo di trapianto, pratica-to sui grandi ustionati già da molti anni, è statosuccessivamente impiegato anche nel tratta-mento delle ulcere vascolari “difficili” degli artiinferiori e grazie allo sviluppo di queste banche,questa tecnica oggi può essere utilizzata piùestensivamente permettendoci di trapiantareporzioni di cute delle dimensioni desiderate.Indicazioni

Le indicazioni generali che hanno guidato ilnostro comportamento nell’uso degli innestisono: 1) Ulcere refrattarie 2) Ulcere dolorose 3)Ulcere estese e/o molto secernenti.

Gli innesti cutanei

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Le nostre indicazioni all’innesto autologo sonole seguenti: 1) Superficie minore di 200 cm? 2) Fondo ben

granuleggiante 3) Buone condizioni generaliQuelle all’innesto omologo sono le seguenti: 1) Superficie maggiore di 200 cm2 2) Fondo

anche con granulazione insufficiente ma

deterso 3) Nessuna controindicazione

Innesto autologo: nostra casistica

Nella nostra esperienza abbiamo trattato coninnesto autologo 28 pazienti (5 uomini e 22donne) di età media di aa. 71.1 (da 23 a 88 a.); 16pazienti erano affetti da insufficienza venosa, 3da arteriopatia obliterante cronica; 3 da eziolo-gia mista; 5 da altro (vasculite, microangiopatia,osteomielite); 1 post-traumatica; Quattro deipazienti trattati erano fumatori ed avevanocome patologia concomitante: 11 ipertensionearteriosa, 4 diabete mellito, 4 patologia ortope-dico-reumatologica, 4 ipercolesterolemia, 1 sin-drome depressiva. Le ulcere trattate nel periodoche va dal Settembre 2001 all’Agosto 2002 sonostate 61 ed erano tutte monolaterali. Le dimen-sioni erano di 79,6 cm2 di media con un range da5-500 cm2 e la comparsa dell’ulcera aveva unamedia di 25,6 mesi (range 2-240). Tutte eranorefrattarie ai precedenti trattamenti ed al ben-daggio, erano dolorose e secernenti.

Risultati

Abbiamo avuto la guarigione di 59 ulcere(96,7%) con un tempo di guarigione 36,5 gg(range 10-120) mentre 2 si erano ridotte di esten-sione (3,3 %). Riguardo all’azione sui sintomi cli-nici abbiamo avuto la completa scomparsa deldolore in tutti i pazienti mentre la secrezione èscomparsa in 24 pazienti e si è ridotta in 4. Ilfollw-up è stato di mesi 6,2 (range 1,5-12).

Innesto omologo: nostra casistica

Nella nostra esperienza la cute omologa tra-piantata risponde ai seguenti requisiti: il donato-re deve avere un’ età compresa tra 14 e 75 anni;l’espianto, in caso di donatore deceduto, deveessere il più possibile precoce e comunqueentro le 24 ore dal decesso.Il donatore non deve essere portatore di HIV,virus dell’epatite B e/o C, citomegalovirus, HTLVI/II e non deve essere affetto da lue.La cute espiantata deve essere negativa per micetia crescita lenta media e rapida e da patogeni aero-bi o anaerobi; essa viene sottoposta a trattamentocon penicillina 10.000 U; streptomicina 50.000 mg;gentamicina 150 mg ed amfotericina B 250 mg.Dopo tale trattamento la cute viene stoccataprevia crio-conservazione da –80° a – 196° C oglicerolizzazione a + 4°.

I materiali a disposizione sono costituiti da cutedello spessore da 300/500m fino a 2-3 mm o daderma de-epidermizzato entrambi sia crio-pre-servati che glicerolizzati.Criteri di inclusione: ulcere datanti da più di tremesi e refrattarie a precedenti trattamenti diriconosciuta efficacia; ulcere estese (diametromaggiore di cm. 14); ulcere intensamente dolen-ti tanto da richiedere una costante assunzione dianalgesici.Criteri di esclusione: nessuno.Dal settembre 2001 all’agosto 2002 abbiamotrattato 137 ulcere in 61 pazienti (20 uomini e 41donne) di età media di aa. 75.6 ± 10.2 (da 39 a92); 23 pazienti erano affetti da insufficienzavenosa (IVS 10; IVP 6; IVS+IVP 7), 19 da arterio-patia obliterante cronica (8 allo stadio di ische-mica critica); 10 da insufficienza venosa e arte-riopatia; 8 da vasculite; 1 da neuropatia; in 34casi coesisteva ipertensione arteriosa, in 17 casidiabete mellito; in 9 casi patologia ortopedica;in 4 casi cardiopatia ischemica; 18 pazientierano o erano stati fumatori. 26 pazienti eranoportatori di ulcere multiple; Le ulcere trattate avevano una superficie di cm2

158.3 ± 175.9 (da 1 a 1000) ed erano datanti damesi 36 ± 59 (da 1 a 300). Tutte erano refrattarieai precedenti trattamenti ed al bendaggio, eranomolto dolorose ed abbondantemente secernentitanto da richiedere medicazioni quotidiane;Abbiamo trattato 135 ulcere con materiale crio-preservato; 33 con materiale glicerolizzato. In 10pazienti il trapianto cutaneo è stato ripetuto,una volta “consumata” la cute omologa, per untotale di 168 procedure di trapianto.

Risultati

Il periodo necessario per la detersione dell’ulce-ra è stato di giorni 8.6 ± 6.2; i pazienti sono statidimessi 8.5 ± 5.2 giorni dopo il trapianto con unadurata complessiva della degenza di giorni 17 ±7.6; il follow up è stato di mesi 5.2 ± 2.8 (da 1.5a 12). 78 ulcere (46.4%) sono completamente guaritein giorni 55.7 ± 23.9 (da 20 a 120); 82 (48.8%) sisono ridotte del 50.4 ± 24.7% in 91.1 ± 46.8 gior-ni e sono in fase di guarigione; 7 (4.2%) sonorimaste invariate; 1 (0.6%) è peggiorata; que-st’ultima è stata reinnestata dopo ulterioreperiodo di detersione e stava migliorando quan-do la paziente è deceduta improvvisamente.Il dolore è scomparso in 73 casi (80.2%); si è dra-sticamente ridotto in 16 (17.6%) ed è rimastoinvariato in 2 (2.2%); la secrezione è cessata in43 casi (47.3%); si è ridotta in 47 (51.6%); è rima-sta invariata in 1 caso(1.1%).

Gli innesti cutanei

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Abbiamo avuto un caso di infezione locale (ilcaso inizialmente peggiorato) legato ad una nonbuona detersione del letto dell’ulcera in unapaziente arteriopatica e diabetica; nessun casodi rigetto o di reazione infiammatoria generale.Otto pazienti arteriopatici sono stati persi al fol-low up (3 deceduti; 4 amputati; 1 sottoposto arivascolarizzazione) e sono stati studiati finoall’uscita dallo studio.

Trattamento pre-operatorio

Successivamente all’arruolamento nello studioi pazienti sono stati ospedalizzati e sottoposti,giornalmente, a medicazioni in ambiente umidoe, con l’eccezione di quelli affetti da ischemicacritica, a bendaggio elastico a medio o cortoallungamento a seconda della loro capacitàdeambulatoria; si sono corretti i fattori dirischio e trattate le patologie concomitanti ovepossibile; i pazienti sono stati istruiti a deambu-lare frequentemente ed ad interrompere l’attivi-tà fisica con periodi di riposo supino; tale regi-me terapeutico è stato proseguito fino a com-pleta detersione del letto dell’ulcera ed allaeffettuazione del trapianto cutaneo.

Trattamento operatorio

Se è stato eseguito un innesto alla Reverdenabbiamo praticato il prelievo delle pastiglie dicute sulla faccia anteriore-laterale della cosciacontrolaterale alla lesione ulcerativa secondo latecnica descritta da Reverdin e applicato idischetti d.e. sul fondo dell’ulcera previa toilet-te del fondo con cucchiaio di Folkmann o lamadi bisturi. Quando abbiamo eseguito un innesto d.e sottilesec. Thiersch il prelievo è stato effettuatomediante dermotomo sulla faccia anteriore-late-rale della coscia controlaterale alla lesione ulce-rativa. Quando abbiamo eseguito un trapiantocon cute o derma deepidermizzato criopreser-vato o glicerolizzato abbiamo immerso il mate-riale in soluzione fisiologica tiepida per sconge-lare e allontanare il glicerolo. Sia in caso di inne-sto d.e sottile sia in caso di trapianto di DED ocute omologa abbiamo utilizzato la tecnica delmesh-graft a maglia 1.5:1 posizionando la cutesu bordi e fondo dell’ulcera; non abbiamo maieseguito il fissaggio della cute con punti di sutu-ra; è stata eseguita una medicazione con garzenon adesive alle quali sono state sovrappostegarze impregnate di soluzione antibiotica; l’artoè stato poi sottoposto a bendaggio elastico.

Trattamento post-operatorio

Dopo il trapianto cutaneo i pazienti sono statiallettati per due giorni e parzialmente mobiliz-

zati il terzo; in quarta giornata è stata loro con-sentita la ripresa della abituale attività; la primamedicazione dopo l’innesto è stata effettuata inquinta giornata; le successive ogni tre giorni finoalla dimissione; il bendaggio elastico è stato pro-seguito anche dopo la dimissione.Tutti i pazienti sono stati tenuti in osservazioneanche dopo la dimissione per studiare l’evolu-zione della lesione trofica.

Discussione e conclusioni

L’uso degli innesti cutanei nel trattamentodelle ulcere vascolari degli arti inferiori è unmetodo da sempre usato anche se non è possi-bile trovare in letteratura un giudizio univocosulla sua effettiva utilità. Una revisioneCochrane(15) mirata a valutare l’efficacia degliinnesti prendendo in esame solo studi control-lati e randomizzati ha identificato sette studiin sei dei quali i pazienti erano stati sottopostianche a terapia elastocompressiva. Due studivalutavano gli innesti autologhi di cute a tuttospessore, tre valutavano omoinnesti con che-ratinociti in coltura, uno confrontava un tessu-to cutaneo di bioingegneria (analoghi dellacute) con una medicazione ed era l’unico cheriportava una proporzione significativa piùalta di ulcere guarite con gli analoghi dellacute. Gli autori della revisione danno un giudi-zio di efficacia limitata sugli analoghi dellacute più elastocompressione rispetto alla solaelastocompressione. Mentre ritengono neces-sarie ulteriori ricerche per valutare se altreforme di innesto facilitino la guarigione delleulcere.Nella nostra casistica con gli innesti autologhiabbiamo avuto una guarigione nel 96,7%, datocomunque di significato relativo perché riferitosolo a casi selezionati anche se con caratteristi-che simili (vedi indicazioni specifiche).Significativi sono però la scomparsa completadel dolore dopo l’innesto e la notevole riduzionedella secrezione, effetti del resto già noti a chiha avuto l’opportunità di praticare innesti cuta-nei sulle ulcere vascolari. Una favorevole sorpresa ci ha invece destatol’uso del trapianto di cute da donatore che èrisultato un metodo efficace nel trattamentodelle ulcere vascolari croniche degli arti inferio-ri resistenti ai comuni trattamenti(5); la cute tra-piantata agisce essenzialmente attraverso unprocesso di stimolazione del tessuto di granula-zione del fondo dell’ulcera e di riepitelizzazionemediante scivolamento dei cheratinociti daibordi dell’ulcera(5); più raro è il processo diincorporazione nel letto dell’ulcera fungendo il

Gli innesti cutanei

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materiale trapiantato, in questo caso, da vera epropria matrice organica per la colonizzazioneda parte di neovasi, fibroblasti e cheratinociti; adistanza di tempo, comunque, nessuna parte deltessuto trapiantato persiste nel sito di innesto;in relazione a questi effetti il materiale crio-con-servato, sempre vitale, appare essere più attivorispetto a quello glicerolizzato.Il materiale crio-conservato e quello gliceroliz-zato agiscono, in maniera equivalente, comebarriera meccanica e biologica nella prevenzio-ne della perdita di acqua e proteine; hanno unsimile effetto analgesico indotto dalla coperturadelle terminazioni nervose nocicettive presentinel letto dell’ulcera; hanno un’azione antibatte-rica equivalente.L’effetto del trapianto di cute non è solo quellodi indurre la guarigione dell’ulcera che, nellanostra casistica si è verificata nel 46.4% deicasi in due mesi; due effetti ci sembrano alme-no altrettanto importanti: 1) l’azione analgesi-ca e 2) la riduzione della secrezione che siottengono in oltre il 95% dei casi e che assu-mono un ragguardevole significato nel miglio-ramento della qualità della vita: questi pazien-ti, dopo aver sperimentato un dolore talmenteintenso od una secrezione talmente abbondan-te da impedire una normale vita di relazione,non hanno più dolore o secrezione dopo pocheore dal trapianto; tutto ciò consente unagestione ambulatoriale dell’ulcera meno com-plessa, con accessi meno frequenti e medica-zioni più semplici.La tecnica del trapianto di cute omologa èindenne da reazioni negative avverse se sirispetta la metodologia sovra esposta specie inrelazione alla preparazione del letto dell’ulcera;non abbiamo osservato reazioni di rigetto masolo una reazione infettiva locale in una pazien-te arteriopatica e diabetica in cui non era stataottenuta una sufficiente sterilizzazione delfondo dell’ulcera.La coesistenza di arteriopatia critica e diabeterende meno efficace il trattamento con tra-pianto di cute; sette delle otto ulcere rimasteinvariate e quella peggiorata appartenevano asei pazienti di questo tipo; in questi pazienti iltrapianto cutaneo è stato effettuato con la spe-ranza di limitare almeno il dolore ma con unascarsa aspettativa di efficacia data la gravitàdel quadro clinico confermata dall’esito suc-cessivo: tre pazienti sono deceduti poco tempo(da uno a due mesi) dopo l’innesto per morteimprovvisa, ictus e infarto miocardico rispetti-vamente; due hanno subito una amputazionedi coscia; uno ha subito un’amputazione di

piede; uno si è convinto a sottoporsi ad inter-vento di rivascolarizzazione per il quale erastata posta indicazione ma che era stato pre-cedentemente rifiutato. È evidente che astenersi dal trapiantare questipazienti, in cui vi è una indicazione estrema,migliorerebbe molto i risultati ma abbiamoritenuto non etico non ricorrere a questo ten-tativo terapeutico, non invasivo e di bassocosto, in questo gruppo di malati gravi chepossono giovarsi, anche se in misura ridotta,dell’azione antalgica e della riduzione dellasecrezione.Dobbiamo aggiungere che la completa assenzadi invasività rende la metodica ripetibile anchepiù volte se necessario; noi l’abbiamo ripetutain sette casi ed in uno di essi per tre volte; in 2di essi il secondo innesto ha portato a guari-gione le ulcere; in 1 paziente una su tre è gua-rita; negli altri casi se ne è ottenuta una ulte-riore riduzione. Infine non ci sembra trascurabile il bassocosto della cute omologa che è di 41 cent/cm2

con indubbi vantaggi in termini di farmacoe-conomia.Per quanto sovra esposto riteniamo il trapiantodi cute omologa un sistema terapeutico efficacesia nell’indurre la guarigione delle ulcere refrat-tarie sia nel migliorare sensibilmente la qualitàdella vita di pazienti che in moltissimi casi vivo-no in maniera drammatica.

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Capitolo 9

Analisi dei problemi nella gestione delle ulcere degli arti inferiori

Roberto Polignano

Ambulatorio di Angiologia - Ospedale Camerata, Azienda USL 10, Firenze

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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9.1 Introduzione

Quando si parla di ulcere degli arti inferiori si hala sensazione di affrontare un problema inelut-tabile che viene spesso scaricato sulla famigliadel paziente e su quei pochi servizi addetti allaloro cura. Sembra anche di parlare di una cene-rentola delle patologie che trova sempre pocospazio sia nei piani delle Aziende Sanitarie, sianei programmi di aggiornamento del personalemedico ed infermieristico.Eppure questa patologia colpisce, a secondadelle casistiche. Dallo 0,1 al 3% della popolazio-ne e, come vedremo, incide sulla spesa sanitariae sociale in modo pesante (1). È una patologiasoprattutto dell’anziano e ancora oggi porta tal-volta all’amputazione dell’arto e non è da sotto-valutare il grande disagio che tale patologia pro-voca al paziente e alla sua famiglia.La cura delle ulcere degli arti inferiori costitui-sce, inoltre, un grosso problema per il servizioinfermieristico territoriale. Tale attività occupafino al 60% del tempo degli infermieri (1,2) conun peso economico rilevante e con un decisospostamento di risorse infermieristiche, a sca-pito di altri problemi domiciliari. Nell’analisidei costi, oltre alle spese più evidenti legate almateriale per medicazione, ai tempi di traspor-to ed al personale medico ed infermieristico,andrebbero considerate altre spese sostenutedirettamente dai pazienti (sanità privata, curecoadiuvanti, elastocompressione, perdite digiornate lavorative, ecc.) spese indirette a cari-co del S.S.N. (ricoveri, interventi chirurgici,complicanze infettive, ecc.); il problema assu-me quindi dimensioni ancora più preoccupantinon solo dal punto di vista economico maanche sociale.Studi anglosassoni (3) sui costi annui per ilmateriale da medicazione per la cura delle ulce-re degli arti inferiori, indicano una spesa che siaggira nel Regno Unito tra i 367 ed i 733 milionidi sterline, circa il 2-3% del budget sanitarionazionale di poco inferiore alla spesa per malat-tie tabacco-correlate, mentre in Svezia (4) sispendono più di 120 milioni di sterline annuecorrispondenti a circa l’1% del budget sanitarionazionale. Mancano in Italia studi analoghi, main alcune rilevazioni indirette è stata ipotizzatauna spesa intermedia (5).Il costo per l’assistenza domiciliare di unpaziente con ulcera dell’arto non complicata siaggirerebbe su tre milioni annui, pari a quellaper l’assistenza di un Paziente diabetico di tipoI non complicato, e superiore a quella per un

Paziente con Diabete di tipo II (Studi prospet-tici DCCT e UKPDS). Nell’analisi di questicosti è stato tenuto conto dei tassi di guarigio-ne, del tipo di medicazione, del costo per ilpersonale sanitario, del costo per i trasporti,ma non di altri fattori quali le reazioni avverse,gli effetti a lunga scadenza e le eventuali speseospedaliere (6).La frequenza dei cambi delle medicazioni è unavariabile molto importante, come si evincedella formula proposta per la simulazione delpeso economico per ciascuna spesa terapeuti-ca: TCw = (M x L x T) x c [(costo totale

settimanale = costo per medicazione +

costo per il tempo della medicazione +

costo per i trasporti) x frequenza settima-

nale dei cambi delle medicazioni] (7). Il 70%del personale infermieristico cambia la medi-cazione più di una volta la settimana e preci-samente il 7% cambia la medicazione quotidia-namente, il 28% tre volte la settimana, il 35%due volte, il 27% una volta ed il 3% meno di unavolta la settimana (8).Meriterebbe poi un’altra considerazione l’aspet-to legato alla qualità della vita del paziente.Harding nota per tutti ha sottolineato comespesso l’end point della terapia delle ulcerenon dia necessariamente il tasso di guarigione,ma si debba tener conto di altri aspetti quali ilcontrollo del dolore, delle secrezioni, la pre-venzione di amputazioni maggiori nel pazientediabetico e tutto ciò che riguarda la vita rela-zionale del paziente, ma purtroppo questo èancora più difficile del calcolo dei tassi di gua-rigione (9).Altri studi internazionali (10,11) hannomostrato la superiorità dei trattamenti esegui-ta da personale specificatamente addestratonel trattamento delle ulcere croniche con unamaggiore percentuale di guarigioni. In questocaso, il costo iniziale, leggermente superiore,legato all’uso di bendaggi specifici e di medi-cazioni avanzate, viene progressivamentecompensato dalla minor frequenza delle medi-cazioni, della guarigione più rapida e dallariduzione dell’ospedalizzazione.Davanti a questi dati è naturale quindi chieder-si perché le ASL non procedano con sollecitu-dine all’aggiornamento del personale, inve-stendo a basso costo, e all’acquisto di medica-zioni avanzate e bendaggi adeguati che per-mettano medicazioni più diradate nel tempoed una guarigione più rapida; non si capisce,quindi, perché non vengano attualmente rim-borsati ai Pazienti con ulcere croniche.

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9.2 Analisi dei problemi e possibili soluzioni

a) Aggiornamento. Il primo problema è la scar-sa importanza data all’aggiornamento delpersonale medico ed infermieristico in que-sto campo. Non si vede perché si debbarinunciare al potenziamento della prepara-zione del personale infermieristico, sia concorsi di base, sia con aggiornamenti avanzatie costanti sui protocolli di cura, sui prodottia disposizione e sull’elastocompressione. Ciòpermetterebbe un più rapido e corretto inter-vento da parte di questo personale, che tal-volta deve gestire il paziente per moltotempo prima della consulenza specialistica.Ad esempio, con la misurazione dell’indicepressorio caviglia-braccio (indice di Winsor),utilizzando un semplice mini-doppler, sipotrebbe decidere immediatamente la sceltadel bendaggio più indicato, procedimentoindispensabile in molte ulcere degli arti infe-riori (ulcere venose, miste, linfatiche).

b) Materiali. Un altro problema è costituitodalla scarsa disponibilità in molte Aziende dipresidi per medicazioni avanzate e di prodot-ti per l’elastocompressione. Si nota spessoun distacco tra servizi farmaceutici e opera-tori sanitari. È raro il riscontro di una costan-te collaborazione nella scelta dei materiali espesso esiste una situazione diversa traOspedale e Territorio; l’irrazionalità di questasitazione risulta evidente se si pensa che spe-cialisti opedalieri vengono talvolta chiamatiper consulenze a pazienti curati a domicilio eprescrivono prodotti che l’Azienda non è ingrado di fornire o che il paziente non riesce areperire facilmente nelle farmacie.

c) Sede. Altro problema è la sede ideale nellaquale viene praticata la medicazione.Probabilmente riuscire con trasporti benorganizzati, a concentrare più pazienti inambulatori distrettuali, sarebbe utile per ilcontenimento dei costi: il tempo medio deltrasporto per un infermiere è di circa 20-25minuti e raddoppia il tempo totale dellamedicazione. Non scarterei la possibilità di procederenegli stessi spazi distrettuali sia alle medica-zioni sia ad altre terapie come ad esempiouna fisioterapia mirata.Abbiamo osservato anche un miglior utilizzodel materiale per medicazione, quando veni-

va utilizzato in un unico ambiente per piùpazienti.

d) MMG. Un altro aspetto da perfezionare è quel-lo dei rapporti tra medici di medicina genera-le (MMG), infermieri del territorio e speciali-sti. I primi, oberati spesso da molti problemidi tipo burocratico, sembrano non poter sop-portare il carico di Pazienti con ulcere, circal’1% della popolazione (12) che, dopo aver ini-zialmente valutato, si appoggiano al personaleinfermieristico territoriale per la terapia loca-le. La profonda conoscenza dei problemi delpaziente fa del MMG l’unico in grado di deci-dere se il paziente possa essere affidato per unperiodo iniziale (1-2 mesi) alla sola cura loca-le o se necessiti rapidamente di una valutazio-ne specialistica vascolare o di altro tipo. Èlogico quindi che, in questi casi, l’interventodello specialista debba essere rapido e com-pleto, con l’eliminazione degli attuali tempid’attesa, troppo lunghi, e con una valutazioneche tenga presente i problemi sociali e logisti-ci del paziente.Anche il personale infermieristico ha talvoltabisogno di consulenze specifiche che il MMGnon è sempre in grado di dare e quindi diven-ta auspicabile un rapporto autonomo trainfermiere e specialista, che preveda natural-mente il tempestivo passaggio di informazio-ni al MMG.

e) Specializzazione. Uno dei problemi più sen-titi e meno risolti è l’identificazione di unafigura di riferimento tra gli specialisti ospe-dalieri.Questa è una nota dolente le cui origini risal-gono all’organizzazione degli studi universi-tari: non è prevista, infatti, una figura medicacon tale specialità e se ne fanno carico diver-si specialisti per loro competenze specifiche,talvolta per buona volontà o interesse scien-tifico specifico. Il dermatologo, l’angiologomedico, la cui specialità è stata purtroppocancellata dal panorama universitario italia-no, il chirurgo vascolare, il chirurgo plastico,il geriatra, partecipano alla gestione delleulcere con le rispettive competenze ed inbase a realtà territoriali diverse da zona azona. Penso tuttavia che si debba identifica-re all’interno di ogni Azienda un coordinato-re ed un gruppo di specialisti particolarmen-te interessati al problema e preparati ade-guatamente in modo da unificare i protocolliterapeutici e diagnostici per non disperdereinutilmente valide risorse umane e materiali.

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f) Qualità della vita. Un aspetto che non sidovrebbe mai dimenticare è l’impatto di talepatologia sulla vita del paziente. Purtroppo atal proposito pochi sono gli studi e pochi idati. In studi anglosassoni si è osservato che ilcirca il 42% dei Pazienti (di cui solo l’11% conproblemi deambulatori) la condizione dell’ul-cera interferiva severamente o mediamentecon l’attività lavorativa o ricreativa (13) e cheun terzo dei Pazienti colpiti da ulcera degli artiaccusava un dolore tale da condizionarne l’u-more per la maggior parte della giornata (14).Fino all’80% dei Pazienti con ulcere venosedegli arti può soffrire di un dolore importante.Non dimentichiamo mai questi aspetti nell’ap-proccio terapeutico dell’ulcera; è quindiimportante un approccio personalizzato alpaziente che sia il migliore possibile, attraver-so una sinergia che coinvolga di volta in voltail fisiatra, il terapeuta del dolore, il podologo espesso anche lo psicologo.

9.3 Conclusioni

Il nostro fine deve essere quindi quello di miglio-rare la qualità del servizio per la diagnosi e curadelle lesioni cutanee croniche degli arti: gliaspetti da considerare a questo scopo sono mol-teplici e non dipendono solo dal nostro giudizio,ma spesso da quello del paziente e della suafamiglia. Ecco quindi che l’adeguatezza, l’accet-tabilità e l’accessibilità al servizio andrannovalutati insieme al paziente, mentre efficacia edefficienza potranno essere analizzati solo graziead una corretta raccolta dati (15).L’ottimizzazione del servizio dipenderà dalla cre-scita della percentuale di guarigioni, dall’analisidei fattori che eventualmente le ritardano, dalbeneficio per la qualità di vita del paziente, dalrapporto costo/beneficio del servizio e della valu-tazione del grado di soddisfazione del paziente edella sua famiglia. Studi sul management delleulcere degli arti inferiori hanno confermato l’im-portante incremento della percentuale di guari-gioni quando la cura era affidata ad un serviziospecilistico (12), mentre la formazione specificadel personale riduce lo spreco di materiale emigliora l’efficienza del servizio (16).Le proposte operative che a conclusione ripor-to, sono finalizzate al contenimento dei costi ealla razionalizzazione della spesa, al potenzia-mento dell’efficacia e dell’efficienza del serviziocon particolare attenzione alla qualità di vita delpaziente.

9.4 Proposte operative

– Razionalizzare la scelta dei materiali permedicazioni e valorizzare l’elastocompres-sione come terapia di prima scelta nell ulce-re venose degli arti inferiori, se non con-troindicata.

– Organizzare la formazione e l’aggiornamentocostante del personale infermieristico, intro-durre l’uso di un mini-doppler per la misura-zione delle pressioni braccio-caviglia.L’aggiornamento dovrebbe essere mirato allascelta del materiale per le medicazioni, delbendaggio elastico e alla valutazione dell’e-voluzione dell’ulcera.

– Organizzare consulenze specialistiche solle-cite per un inquadramento eziologico dell’ul-cera, per un’indicazione adeguata all’inter-vento chirurgico e/o scleroterapico, con loscopo di ridurre i tempi di guarigione e lapercentuale di recidive.

– Tenere aggiornato il MMG sulle linee guidainternazionali e sui protocolli aziendali.

– Razionalizzare la scelta della sede dove pra-ticare le medicazioni: domicilio, distretto oambulatorio ospedaliero, programmando leforme di trasporto più idonee.

– Organizzare centri distrettuali per le medica-zioni di pazienti autosufficienti. Centri inte-rattivi con l’ospedale, sia per la possibileintercambiabilità del personale infermieristi-co, sia per la presenza dello specialista. Intali centri sarebbe auspicabile la concentra-zione di altre attività riabilitiative e sociali.

– Identificazione di una o più figure specialisti-che in ogni Azienda, che fungano da punto diriferimento sia per il MMG sia per il persona-le infermieristico territoriale.

– Uniformare i protocolli di diagnosi e cura traOspedale e Territorio.

– Organizzare programmi educativi per ipazienti ed i loro familiari al fine di miglio-rarne la qualità di vita.

Tutti ciò può apparire forse ovvio, ma vieneraramente realizzato in molte Aziende Sanitarie,lasciando spesso tutto in mano ai singoli opera-

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tori e alla loro buona volontà, senza tuttaviariconoscere loro una specifica professionalità.Talvolta la situazione è ancora peggiore e buonaparte di questi P deve rivolgersi a personale pri-vato o arrangiarsi in famiglia.Appare poi semplicistica l’affermazione di alcu-ni secondo cui il tempo dell’infermiere nonsarebbe una spesa da valutare nel computo,essendo già stipendiato dall’Azienda; pensiamosolo a quante altre attività utili ed indispensabi-li per i pazienti a domicilio egli potrebbe fare,dopo averlo alleggerito di migliaia di medicazio-ni inutili ogni anno.Le ulcere croniche degli arti inferiori costitui-scono una vera e propria malattia sociale cheandrebbe affrontata in maniera più seria e razio-nale, per il rispetto delle esigenze del paziente edella professionalità degli operatori.

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Capitolo 10

Casi clinici

Dott. Francesco Petrella

Ambulatorio di Chirurgia Generale e Diagnostica Vascolare

ASL Napoli 5 – Distretto Sanitario 81 – Portici

I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

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10.1 Casi clinici

Le ulcere cutanee che possono manifestarsi acarico degli arti inferiori riconoscono eziopato-genesi diverse e possono presentare, già dal loroprimo approccio, una serie di difficoltà che ilsanitario chiamato a trattarle deve tener contoda subito per non incorrere nel fallimento dellasua strategia terapeutica.Vi è quindi la necessità di un preciso inquadra-mento nosologico delle ulcere. che porti anchea valutare una serie complicanze concomitanti ea trattarle subitaneamente, adeguando la pro-pria strategia terapeutica alle necessita del caso.

CASO CLINICO 1

Paziente Femmina di 63 anni .DIAGNOSI: ulcera flebolinfatica (notevole lacompromissione del circolo linfatico – fig.1). ESAMI PRATICATI: Eco-doppler (Indice diWindsor), esami ematochimici di routine (emo-cromo, QPE, GOT,GPT, glicemia, azotemia,crea-tinemia, colesterolemia. e fibrinogeno), tampo-ne per esame culturale delle lesione (contamina-zione batterica da Pseudomonas aeruginosa).TERAPIA GENERALE:

antibiticoterapia parenterale.TERAPIA LOCALE:

disepitelizzazione chirurgica del margine perile-sionale pe sua epitelizzazione.Utilizzo di antisettici.Applicazione sull’ulcera di medicazione avanza-ta a basi di schiuma di poliuretanocon argento(Contreet), successiva applicazione di bendag-gio elesto-compressivo mobile, a con benda amedia estensibilità, previa l’applicazione di unsotto-bendaggio salvapelle.TEMPI:

valutato lo stato della lesione ogni 24 ore nelprima fase. Successivamente ogni 2 – 3 giorni.

DIFFICOLTA’:

Gestione dell’essudato che si accumulava aldisotto del bendaggio che poteva far aggravarel’infezione e riduzione della contaminazione bat-terica dell’ulcera (bendaggio mobile). Necessitàdi utilizzare tecniche di bendaggio che nonfacessero, attraverso la formazione di effetti lac-cio, peggiorare il linfedema. Difficile stabilire itempi nei cambi delle medicazioni.

CASO CLINICO 2

Paziente femmina di 65 anni . DIAGNOSI: Angiodermite necrotica (fig. 2)ESAMI PRATICATI: Ecodoppler (Indice diWindsor), ecocardiogramma, ECG, esami ema-tochimici di routine + ANA, AMA eCrioglobuline.(Anticorpi antinucleo – Presenti).TERAPIA GENERALE:

Cortisonici ad alte dosiTERAPIA LOCALE:

applicazione di medicazione avanzata in schiu-ma di poliuretano (Biatain) fissata con lievefasciatura. Non è stato effettuato bendaggio elesto-com-pressivo. Non sono stati utilizzati antisettici. Lalesione è stata detersa con Soluzione fisiologica.TEMPI:

la medicazione veniva effettuata ogni 2 - 3 giorni. DIFFICOLTA’:

È stato necessario sottoporre la paziente ad unaserie di valutazioni clinico-strumentali per effet-tuare diagnosi differenziale con altre forme diulcere vasculitiche e microangiopatiche.Controllo e valutazione degli effetti collateraliche possono determinarsi in seguito a terapiacortisonica ad alte dosi protratta nel tempo,È stato necessario ridurre un leggero edemapresente alla gamba. A tale scopo è stata utiliz-zata una calza elastica a 12 mmHg che venivarimossa durante il riposo notturno.

Casi clinici

76I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Figura 1

Figura 2

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Non si è preferito l’utilizzo del bendaggio elastocompressivo perché peggiorava lo stato dellacute perilesionale.

CASO CLINICO 3

Paziente femmina di 59 anni. DIAGNOSI: Ulcera venosa complicata da veri-coflebite e ipodermite (fig. 3)ESAMI PRATICATI:

Ecodoppler (Indice di Windsor), esami emato-chimici di routine +PT, PTT. Tampone per esame culturale (presen-za di stafilococco aureo)TERAPIA GENERALE:

antibioticoterpia parenterale. EBPM (a dositerapeutiche). Antiinfiammatori. TERAPIA LOCALE:

detersione con antisettici.Applicazione di medicazione avanzata in schiu-ma di poliuretano con argento (Contreet ).Confezionamento di bendaggio elasto-compres-sivo a doppio strato fisso (benda all’ossido dizinco + benda adesiva a corto allungamento).TEMPI:

il bendaggio è stato cambiato ogni 7 giorni.DIFFICOLTA’:

La presenza contemporanea di una lesione ulce-rativa contaminata, di varicoflebite e di unagrave forma di ipodermite, si è dovuta confron-tare con la necessità di una strategia terapeuticacomplessiva.Sicuramente il bendaggio fisso a doppio stratoin un paziente attivo, è stata la scelta più idonea.È necessario, in questi casi, valutare la compati-bilità di una bendaggio fisso, rimosso ogni 7giorni, con il grado di contaminazione battericadell’ulcera.Nelle ulcere infette (differenziare le ulcere infet-te da quelle contaminate) si sconsiglia di adope-rare bendaggi fissi, bensì mobili, perché l’essu-dato che si raccoglie al disotto del bendaggio

non è gestibile. Questo peggiora l’infezione dellalesione e macera la cute perilesionale

CASO CLINICO 4

Paziente femmina di 62 anni. DIAGNOSI: Ulcera venosa complicata da ecze-ma della cute perilesionale (fig. 4).ESAMI PRATICATI:

ecodoppler (indice di Windsor), esami emato-chimici di routine + PT,PTT.TERAPIA GENERALE:

fibrinolitici minori.TERAPIA LOCALE:

detersione con soluzione fisiologica.Protezione della cute perilesionale mediantel’applicazione di pasta all’ossido di zinco ad altaconcentrazione (fig.4 ).Applicazione sull’ulcera di una medicazione abase di schiuma di poliuretano (Biatain) e con-fezionamento di un bendaggio elasto-compressi-vo fisso a doppio strato (benda all’ossido dizinco + benda adesiva a corto allungamento).TEMPI:

il bendaggio è stato cambiato ogni 7 giorni.DIFFICOLTA’:

non danneggiare ulteriormente il margine e la

Casi clinici

77I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Figura 3

Figura 4

Figura 4A

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cute perilesionale, già effetti da una grave formadi eczema varicoso.Un ulteriore danno può essere determinato daun eccessiva raccolta di essudato che macera lacute perilesionale.L’utilizzo della schiuma di poliuretano è statofondamentale per la gestione dell’essudato.Nei bendaggi fissi non sempre, però, riusciamoa valutare i tempi di saturazione della schiumaed è per tale ragione che consiglio di proteggerela cute perilesionale con pasta all’ossido dizinco ad alte concentrazioni, per realizzare unavera barriera fisica.

CASO CLINICO 5

Paziente femmina 48 anni, diabetica . DIAGNOSI: Ulcera mista (microangiopatia).(fig.5 ).ESAMI PRATICATI:

Ecodoppler (indice di Windsor ), esami emato-chimici di routine + ANA, AMA e crioglobuline.Velocità di conduzione motorie e sensitiva(VCM, VCS ).Tmpone per esame culturale ella lesione (esitonegativo )TERAPIA GENERALE:

farmaci vaso attivi. EBPM (a dosi preventive)AntidolorificiTERAPIA LOCALE:

detersione con soluzione fisiologica.Applicazione di flim di poliuretano.DIFFICOLTA’:

il dolore.Questo è stato il problema principale che si èdovuto affrontare e che ha condizionato inmodo sostanziale le scelte diagnostiche e tera-peutica. Tutti gli esami praticati ha dato esitonegativo (solo IVC ). Il dolore che provocava la lesione era talmenteintenso che non ha consentito l’applicazione dibendaggi elastocompressivi o l’uso di calze ela-

stiche. Inoltre ha provocato il rigetto di diversitipi di medicazione.L’utilizzo di un film di poliuretano, tolleratodalla paziente, ha consentito il mantenimento diun ambiente umido che ha contribuito al ripara-zione della lesione con la progressiva riduzionedella sintomatologia dolorosaSi è rivelato, però fondamentale, il controllo far-macologico del dolore.

10.2 Considerazioni conclusive

Tre sono le regole che dobbiamo osservare nelcorso del trattamento delle ulcere degli arti infe-riori, oltre la scelte del tipo di bendaggio. Primo, valutare la conformazione anatomicadell’arto. In arti troppo grossi il bendaggio può determi-nare effetti laccio, mentre in quelli esile la com-pressione esercitata dal bendaggio non si distri-buisce uniformemente sulla circonferenzagambe per effetto della legge di Laplace, maesercita selettive compressione sulle prominen-ze osse (cresta tibiale) danneggiandole. Questoeffetto va ridotto applicando appositi dispositiviin gomma che aumentano il raggio di curvaturadella gamba.Secondo, valutare sempre il margine e la cuteperilesionale.Questi vanno protetti attraverso l’utilizzo diappositi sottobendaggi (salvapelle) e l’utilizzo dipasta all’ossido di zinco. La mancata protezionedetermina spesso la comparsa di ulcere iatroge-ne in altre sedi e l’estensione della lesione.Terzo, la gestione dell’essudato che si raccoglieal disotto del bendaggio.L’essudato può macerare la cute perilesionaleed essere causa di contaminazioni batteriche.L’utilizzo di schiume di poliuretano, per questoscopo, si è rivelato molto utile.

Casi clinici

78I quaderni di HELIOS • Le ulcere croniche degli arti inferiori

Figura 5

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Finito di stampare nel maggio 2003

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