Le Strategie di Innovazione nelle Piccole Imprese: tra ... · ... l’ambiente strategico e le reti...

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1 Le Strategie di Innovazione nelle Piccole Imprese: tra Competenze e Relazioni Uno Schema di Analisi e Una Ricerca Empirica sulle PMI del Mezzogiorno beneficiarie della Sovvenzione Globale B.I.C.I.- Business Innovation and Cooperative Industries- Organismo Intermediario: SISTEMI FORMATIVI CONFINDUSTRIA

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Le Strategie di Innovazione nelle Piccole Imprese:tra Competenze e Relazion i

Uno Schema di Analisi eUna Ricerca Empirica sulle PMI del Mezzogiorno beneficiarie della Sovvenzione

Globale B.I.C.I.- Business Innovation and Cooperative Industries-Organismo Intermediario: SISTEMI FORMATIVI CONFINDUSTRIA

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L’autoreEmilio Belli ni (belli [email protected]) è uno degli undici componenti del Gruppo di Esperti dellaSegreteria Tecnica del MURST, nonchè ricercatore presso la Facoltà di Ingegneria dell ’Università delSannio. Dal 1994 svolge attività di ricerca nell ’ambito del raggruppamento di Ingegneria EconomicoGestionale. Dapprima ha insegnato, quale professore a contratto, Economia ed Organizzazione Aziendalepresso la Facoltà di Ingegneria dell ’Università di Napoli Federico II, successivamente ha conseguito ilDottorato di Ricerca in Ingegneria Economico Gestionale. E’ autore e coautore con i proff . Mario Raffa,Giuseppe Zollo e Guido Capaldo di diversi lavori nazionali ed internazionali sulla gestione strategicadell ’ innovazione nelle piccole imprese e sui problemi di trasferimento delle conoscenze dall ’Universitàalle imprese, con particolare attenzione agli spin off accademici. Ha coordinato, valutato e gestito diversiprogetti di ricerca e di trasferimento tecnologico per conto di enti pubblici e privati; in particolare è statotra i valutatori tecnici dei progetti presentati per la Sovvenzione Globale B.I.C.I..

SFC -Sistemi Formativi Confindustr iaLa società consortile SFC — Sistemi Formativi Confindustria- ha lo scopo di promuovere, coordinare e realizzare, atutti i livelli, strutture ed iniziative nel campo della formazione e dei servizi alle imprese.

Attraverso questa società Confindustria realizza interventi nel campo della formazione e del sostegno allo sviluppodel sistema di imprese, utilizzando, fra l’altro, le risorse dei Fondi strutturali.

SFC è stata riconosciuta Organismo Intermediario (O.I.) per la gestione della Sovvenzione Globale B.I.C.I.-Business Innovation and Cooperative Industries, forma di intervento prevista dal Regolamento base dei FondiStrutturali dell’Unione Europea. SFC è pertanto responsabile della gestione e del raggiungimento degli obiettiviprevisti dalla Sovvenzione Globale BICI nei confronti della UE e delle Amministrazioni nazionali competenti.

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INDICE

INTRODUZIONE pag. ...

Capitolo #1 Piccola Impresa e Strategia: la centrali tà dei sistemi relazionali§1.1. Quattro Scuole di pensiero sulla formulazione dellastrategia

pag. ...

§1.2. L’evoluzione degli studi strategici nell ’ambito delle teorieeconomiche§1.3. Il rapporto tra Planning School e piccola impresa§1.4. Il rapporto tra Learning School e piccola impresa§1.5. Il rapporto tra Entrepreneurial School e piccola impresa§1.6. Un elemento fondamentale: l’ambiente strategico e le retirelazionali della piccola impresa§1.7. Dalla formulazione ai contenuti: le opzioni strategichedelle piccole imprese§1.8. Osservazioni finali

Capitolo #2 – Risorse e Competenze nella gestione strategica§2.1. I fondamenti della resource based view§2.2. La gestione strategica secondo l’approccio resource-based§2.3. La Competence-Based School: il contributo fondamentaledi Prahalad e Hamel e il confronto con le Scuole precedenti§2.4. La Competence-Based School: il consolidamento teorico§2.5. Categorie di Risorse, Capacità e Competenze nellaCompetence-Based School§2.6. Osservazioni Finali

Capitolo #3 – Uno schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese basato suCompetenze e Relazioni

§3.1. Le strategie di innovazione: dall ’approccio tradizionaleall ’approccio dinamico§3.2. I percorsi strategici della piccola impresa in un’otticacompetence-based: il caso degli Spin Off Accademici§3.3. La Posizione ed i Processi nelle strategie di innovazionedelle piccole imprese§3.4. Lo schema di analisi delle strategie di innovazione dellepiccole imprese basato su Competenze e Relazioni§3.5. Casi Aziendali di Piccole Imprese del Mezzogiorno

3.5.1. Risultati della ricerca empirica sulle impreseconserviere

3.5.2. Risultati della ricerca empirica sulle imprese disoftware

Capitolo #4 – L ’ indagine empir ica sulla domanda di innovazione espressa dai 69 progett i approvatinell ’ambito della Sovvenzione Globale B.IC.I .-Business Innovation and Cooperative Industries;

§4.1. Indicatori descritti vi delle 67 imprese beneficiarie deiprogetti approvati

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§ 4.2. – Indicatori di valutazione dei Progetti Approvati§ 4.3. Le Strategie di Innovazione a partire dai Progetti Proposti§ 4.4. – Risorse e Capacità delle 67 Piccole Imprese4.4.1. Risorse e Capacità di Marketing4.4.2. Risorse Cognitive4.4.3. Risorse e Capacità Tecnologiche4.4.4. Risorse e Capacità Finanziarie4.4.5. Capacità Relazionali

Capitolo 5 – Conclusioni e Implicazioni Gestionali

§ 5.1. –L’Adozione di una prospettiva gestionale competence-based da parte delle piccole imprese operanti in aree in ritardo disviluppo§ 5.2. - L’evoluzione della politi ca nazionale della ricerca inun’ottica competence-based§ 5.3. Spunti di riflessione sul ruolo del sistema dei servizi perl’ innovazione nelle Piccole Imprese in un’ottica competence-based§ 5.4. – Strumenti per la gestione delle nuove imprese: ilcompetence-based business plan

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Questa ricerca si inserisce nel filone di analisi sul rapporto tra piccole imprese ed innovazionesviluppato, nell ’ambito delle pubblicazioni SIPI, dal volume “Road Map for Italy” (Annunziato eMontanino, 1999). Il volume contiene i risultati dell ’ indagine sui bisogni tecnologici delle PMI,promossa e coordinata dal MURST e realizzata dal Centro Studi di Confindustria con l’ausili o diquattro Unità di ricerca (Tecnopolis Bari, Università di Bologna, Scuola Superiore S. Anna di Pisa eCeris-CNR di Torino).

Rispetto a quella ricerca, avente carattere ben più organico, questo lavoro intende focalizzarel’attenzione sulla natura strategica delle scelte di innovazione perseguite dalla singola piccolaimpresa. Tale prospettiva di analisi è stata facilit ata dalla felice coincidenza tra:

i) alcune riflessioni sulla applicabilit à, anche alle piccole imprese, del quadro concettualesviluppato nell ’ambito delle teorie competence-based;

ii ) la disponibilit à di alcuni dati sulle opzioni strategiche formulate direttamente dallesingole imprese che hanno beneficiato dell ’approvazione di progetti di innovazionefinanziati dalla Sovvenzione Globale B.I.C.I. Business Innovation and CooperativeIndustries, gestita in qualità di Organismo Intermediario da SFC Sistemi FormativiConfindustria.

Coerentemente con l’obiettivo di analizzare le scelte di innovazione nella prospettiva strategicadella singola piccola impresa, la ricerca è sviluppata intorno ad uno schema di analisi delle strategiedi innovazione delle piccole imprese (Belli ni, 1999; 2000) definito a valle dell ’esamesull ’evoluzione teorica degli studi di strategia e, in particolare della rilevanza dei concetti dicompetenza e relazioni, per la comprensione del fenomeno innovativo nella piccola impresa.

La ricerca nasce da alcune considerazioni di natura teorica e metodologica:i) L’attualità nel dibattito scientifico sull ’analisi dell ’ innovazione sulla base di approcci

legati sia al ruolo della conoscenza (con particolare riferimento alla letteraturacompetence-based), sia al ruolo di sistemi e reti relazionali tra i diversi attori (conparticolare riferimento alla letteratura sulle reti di impresa e sui sistemi innovativiterr itoriali );

ii ) Il forte disalli neamento tra ricchezza dei lavori in chiave teorico-interpretativa,sull ’approccio competence-based, e pochezza delle corrispondenti ricerche empiriche, dapiù parti sottolineato (Sanchez e Heene, 1997; Mariotti, 1998);

iii ) Tale carenza è ancora più marcata per le strategie di innovazione delle piccole imprese:“…(concerning) the problems of managing innovation… the discussion of small firmswill necessarily be short, given the lack of systematic research on the majority of firmsthat are not particularly innovative, but which must necessarily cope with changingtechnology that impacts their business, as IT does today…” (Pavitt, Bessant, Tidd, 1997,pag. 70);

iv) Le diff icoltà di natura metodologica connesse alla esplicitazione delle variabili alla basedelle strategie e dei processi di innovazione derivante dalla natura tacita e firm specificdelle risorse e delle capacità delle piccole imprese (Raffa e Zollo, 1998).

A fronte di tali considerazioni risulta evidente l’ immediato interesse suscitato dalla disponibilit à dialcuni dati generali riguardanti la domanda di innovazione espressa dalle imprese meridionalinell ’ambito dei progetti presentati per l’accesso alle agevolazioni finanziarie previste dallaSovvenzione Globale B.I.C.I.-Business Innovation and Cooperative Industries- gestita nel periodo1999-2000 da Sistemi Formativi Confindustria. In particolare l’autore ha avuto, in qualità di

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valutatore di parte dei progetti, l’opportunità di accedere, oltre ai citati dati, all ’ interadocumentazione di progetto che ha permesso una più ampia lettura dei dati alla luce delledinamiche settoriali e territoriali e dei rapporti con i fornitori dei servizi oggetto delle domande difinanziamento.

E’ necessario anticipare alcuni vincoli di natura metodologica derivanti dalla mancata possibilit àdi progettare strumenti di ricerca specifici per la rilevazione delle variabili alla base dei processi diinnovazione delle piccole imprese e la conseguente necessità di fare riferimento alle seguentitipologie di dati disponibili per i 69 progetti approvati:

i) dati anagrafici;ii ) tipologia di innovazione (sulla base di una tassonomia prevista dal bando di

partecipazione);iii ) dati economico –finanziari;iv) contributo richiesto;v) punteggio di valutazione complessiva del progetto.

Comunque, vale la pena di sottolineare come la lettura del fenomeno innovativo, dal particolarepunto di vista delle scelte di investimento formulate dalla singola piccola impresa, possa offr irespunti interessanti ed originali sulle effettive motivazioni della piccola impresa ad intraprenderetransazioni con intermediari e fornitori di servizi di innovazione tecnologica. Infatti, la disponibilit àdi effettive scelte di innovazione, accompagnate dall ’ intenzione ad effettuare un investimento acopertura parziale dei relativi costi, permette di rovesciare la logica da una analisi sui bisognitecnologici potenzialmente percepiti dall ’ impresa e, comunque, formulati a partire dalle categorieconcettuali del ricercatore, ad una analisi delle effettive strategie di innovazione, magari menovicine alle definizioni della letteratura, ma comunque formulate con le categorie concettualidell ’ imprenditore e, soprattutto, inserite nel contesto dinamico della “storia strategica” dell ’ impresa,ovvero del percorso di graduale aff inamento delle conoscenze gestionali e tecnologiche chepermettono la nascita, lo sviluppo e la sopravvivenza della piccola impresa.

La ricerca si chiude con alcune implicazioni gestionali derivate dal confronto tra lo schema dianalisi e i dati provenienti dai progetti B.I.C.I., e formulate, coerentemente con l’ impostazionecomplessiva della ricerca, con l’ausili o degli strumenti concettuali competence-based:

i) nella prospettiva della singola piccola impresa, sempre più pressata ad adottare strumentiper la codifica e la gestione della conoscenza e delle relazioni;

ii ) nell ’ambito dello scenario della riforma delle politi che per la ricerca, con particolareriferimento alle recenti Linee Guida del Piano Nazionale della Ricerca sviluppate dalMinistero dell ’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, e recepite nel DPEF29.06.2000;

iii ) nella prospettiva degli attori impegnati nel sostegno all ’ innovazione nelle piccoleimprese operanti in aree in ritardo di sviluppo.

Ringraziamenti

La possibilit à di sviluppare con continuità esperienze di confronto tra riflessioni teoriche e aspettiapplicativi nel mondo delle imprese è derivata dalla profonda apertura culturale, gestionale einterdisciplinare che caratterizza la Facoltà di Ingegneria della Università del Sannio. In tal sensonessuna espressione riesce ad esprimere il debito nei confronti dei colleghi e del Preside, prof.Aniello Cimitile.

Le riflessioni teoriche alla base della definizione dello schema di analisi delle strategie diinnovazione delle piccole imprese sono state sviluppate fin dall ’ inizio del dottorato di ricercaconseguito sotto la continua e premurosa guida del tutor prof. Mario Raffa, Responsabile

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Scientifico di ODISSEO, l’Osservatorio sull ’organizzazione e l’ innovazione tecnologica delDipartimento di Informatica e Sistemistica dell ’Università di Napoli Federico II. L’autore habeneficiato, inoltre, dei preziosi consigli degli altri componenti di ODISSEO: i proff . GuidoCapaldo, Eugenio Corti, Emilio Esposito e Corrado lo Storto. L’autore desidera esprimere unringraziamento particolare al prof. Giuseppe Zollo per gli stimoli i niziali sui temi presentati inquesta ricerca.

Molte delle riflessioni presentate in questo lavoro hanno goduto di suggerimenti e stimoli raccoltinel corso di presentazioni di lavori in Convegni nazionali , in particolare i Workshop dell ’AIIGAssociazione Italiana di Ingegneria Gestionale, ed internazionali . Si ringraziano in particolare:Aime Heene (University of Ghent), Ron Sanchez (IMD Losanna), Bengt Johannisson (VaxioUniversity), Giuliano Mussati (Università Bocconi Milano), Umberto Bertelè e Paola Garrone(Politecnico di Milano), Vito Albino (Università della Basili cata).

Un ringraziamento sentito va ai componenti della Commissione di Valutazione dei progettiB.I.C.I., all ’ interno della quale sono state sviluppate molte delle considerazioni riportate nelcapitolo 4. Un ringraziamento particolare va ai colleghi valutatori tecnici dei progetti, i proff .Gennaro Olivieri e Stefano Di Palma, e agli amici di SFC Sistemi Formativi Confindustria, inparticolare a Massimo Buracchio e ad Alessandro De Bonis, senza la cui disponibilit à e pazienzaquesto lavoro non avrebbe visto compimento.

Il debito più rilevante è, però, per il tempo rubato a Giovanni Vietri e ad Ivano Boragine,rispettivamente presidente del CTS e Amministratore Delegato di SFC. Senza le lunghechiacchierate, non prive di serrati confronti sul piano concettuale, la personale distanza dell ’autoredalle atmosfere gestionali dell ’ impresa “vivente” sarebbe stata ancora più profonda di quanto nonsia ancora adesso.

Nessuna delle persone citate è in alcun modo responsabile per i giudizi e gli errori presenti neltesto.

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Capitolo #1Piccola Impresa e Strategia: la centrali tà dei sistemi relazionali

§1.1. QUATTRO SCUOLE DI PENSIERO SULL A FORMULAZIONE DELL A STRATEGIA

Lo studio della gestione strategica propone, fondamentalmente, due distinti piani di analisi: laformulazione, ovvero le logiche che sottendono alle modalità con cui le strategie si formano, e ilcontenuto, ovvero lo studio delle opzioni che permettono all ’ impresa di organizzare le risorsedetenute, al fine di realizzare i propri obiettivi chiave (Marchini, 1995b; Hofer e Schendel, 1978,Grant, 1991).

Coerentemente con tale impostazione viene presentata, nei primi sei paragrafi di questo capitolo,una ipotesi di sistematizzazione delle principali scuole sulle modalità di formazione delle strategie,e, successivamente nel paragrafo §1.7., la analisi delle principali opzioni a disposizione dellapiccola impresa nella fase di realizzazione della strategia.

Il problema strategico di ogni impresa è la ricerca del massimo livello di coerenza (consistency)fra tre componenti fondamentali: i ) l’Ambiente settoriale; ii) la Strategia; iii ) la ConfigurazioneInterna.

Data l’ impossibilit à di gestire contemporaneamente i tre li velli di analisi, gli studi sullaformazione delle strategie hanno, essenzialmente, oscill ato tra due opposte tendenze (vedi Figura1.1.):

i) Ricercare la coerenza assumendo “per dato” l’Ambiente e, quindi, quale punto dipartenza la analisi puntuale delle tendenze strutturali (Scenario, Settore, Concorrenti,Mercato) con un approccio che possiamo denominare “Approccio #1 Esterno-Interno” ;

ii ) Ricercare la coerenza assumendo “per data” la Configurazione e, quindi, quale punto dipartenza la analisi della dimensione interna (Organizzazione, Risorse, Sistemi, Valori)con un approccio che possiamo definire “Approccio #2 Interno-Esterno” .

Figura 1.1. I due Approcci Fondamentali agli Studi di Strategia

Tale dicotomia, per quanto fortemente sempli ficativa, è peraltro utili zzata, anche se conformulazioni diverse, in diversi studi sulla evoluzione del pensiero strategico, quali “opportunitydriven vs. technology driven” (Rispoli , 1998), “ rationalist strategy vs. incrementalist strategy”(Pavitt et al., 1997), “approccio contingente vs. approccio proattivo” (Azzone 1997), “Outside-In vs.Inside-Out” (Invernizzi, 1999), “concezione forte vs. concezione debole della strategia” (Faraci,1996). Nondimeno risulta evidente, in molti casi, il tentativo di armonizzare i due estremi,ipotizzando metodi di formulazione delle strategie intermedi, ovvero basati sull ’utili zzo congiunto

Ambiente(Macro e

Competitivo)

Strategia(Fit Impresa-Ambiente)

Approccio #1 Esterno-Interno

ConfigurazioneInterna

(Risorse e Sistemi)

Approccio #2 Interno-Esterno

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di concetti e tecniche provenienti dai due approcci indicati (Quinn, 1980; Grant, 1994). Anche inquesti casi si ritiene che, per quanto finalizzati a coniugare l’ “ottica obiettivo” con l’ “otticaprocesso” (Marchini, 1995b), anche tali contributi mostrino un grado di appartenenza più o menosfocato all ’uno piuttosto che all ’altro approccio. Anche se gran parte delle definizioni convergonosul concetto di strategia quale sintesi del rapporto tra l’ impresa e l’ambiente competitivo in cui essadinamicamente agisce, da un punto di vista concettuale è, quindi, possibile immaginare duedifferenti concezioni di strategia individuabili come due “poli estremi” di un “continuum” lungo ilquale si collocano le principali scuole di pensiero. Da un lato una concezione “meccanica” dellastrategia come set di analisi, obiettivi, decisioni, politi che e strumenti di controllo collegati in modosequenziale; dall ’altro una concezione “comportamentale” della strategia quale guida di fondo delledecisioni aziendali che evolve nel corso dell ’esistenza dell ’ impresa e che, perciò, non si traduce inuna sequenza di analisi-decisioni, ma piuttosto in una evoluzione complessa dell ’organizzazionedell ’ impresa e dei suoi meccanismi di apprendimento.

La Tabella 1.1. propone una classificazione dei principali contributi analizzati sulla evoluzione delpensiero strategico, nell ’ambito dei due Approcci “#1 Esterno-Interno” e “#2 Interno-Esterno” .

Tabella 1.1.- Gli elementi distintivi dei diversi approcci agli studi di strategiaApproccio #1 Esterno-Interno Approccio #2 Interno-Esterno

Focus/Inputiniziale dellastrategia

Opportunità e Minacce Esterne Risorse e Capacità Interne

Framework diriferimento

Struttura-Condotta-Performance(Bain, 1959)

Teorie Evolutive(Nelson e Winter, 1982)

Scuole Pure Planning School (Ansoff, 1965;Andrews, 1971;Hax & Majluf,1991)

Competence-Based School (Prahalad & Hamel, 1990,1994; Heene & Sanchez,1997)

Scuole Miste Learning School(Mintzberg, 1987,1990)

EntrepreneurialSchool (Norman, 1977)

Contributi-chiave Strategie Competitive (Porter, 1980) Incrementalismo Logico (Quinn, 1980)

Resource-based Strategies (Grant, 1994) Dynamic Capabiliti es (Teece, Pisano, 1994)

Concetti Chiave Planning School- Analisi di Settore- Strategie Corporatevs. Funzionali- Posizionamento

Learning School- Strategie Deliberatevs. Strategie emergenti- Try and Error

Entrepreneurial School- Business Idea- Vision & Relation

Competence-Based School- Path dependence- Strategic Intent- Stretch and Leverage dellerisorse

Fonte: Belli ni, 1999

L’evoluzione degli studi di strategia permette di identificare Quattro Scuole storiche, per le qualisi riportano solo alcuni riferimenti bibliografici fondamentali:

i) La Planning School (Ansoff , 1965; Andrews, 1971, Hofer e Schendel, 1978, Lorange1980);

ii ) La Entrepreneurial School (Norman, 1977, 1984);iii ) La Learning School (Mintzberg, 1987, 1990);iv) La Competence-Based School (Prahalad e Hamel, 1990, 1994; Sanchez e Heene, 1996,

1997).Le quattro scuole vengono distinte in “scuole pure”, in cui è esplicita la appartenenza all ’uno

piuttosto che all ’altro approccio e alle sottostanti teorie economiche di riferimento, e “scuole miste”in cui sono presenti elementi di integrazione tra i diversi approcci. In realtà i contributi che sibasano sul tentativo di contaminare elementi dell ’uno e dell ’altro approccio proponendo una dupliceattenzione all ’analisi dell ’ambiente esterno e alla rilevanza delle risorse-competenze interne sono

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notevoli; conseguentemente nella tabella vengono ricordati alcuni “Contributi Chiave” che hannofortemente influenzato gli studi di strategia pur senza caratterizzarsi, ad eccezione di Porter, per unapiena collocabilit à negli schemi delle quattro scuole individuate. Le interdipendenze tra i diversicontributi sono analizzate in dettaglio nei Capitoli #1 e #2; in particolare il confronto tra le quattroscuole è sviluppato, a valle dell ’esame della letteratura, nel paragrafo §2.3.. La Tabella riportaanche, per ciascuna delle quattro scuole, i concetti-chiave che hanno declinato in termini via via piùdettagliati le idee fondanti di ciascuna teoria.

La Planning School, sviluppatasi nell ’ambito della tradizione harvardiana, ha dominato la scenadell ’ insegnamento manageriale; essa propone un approccio deterministico e fortemente razionale incui, a partire dalla puntuale analisi di un ambiente esterno sostanzialmente prevedibile, vengonodefiniti i n primo luogo gli obiettivi e, successivamente, i diversi li velli di piani e programmi chesono valutati sulla base della diversa probabilit à di successo. Peraltro l’approccio “analiti co-razionalista” tiene conto dell ’ influenza della dimensione interna dal momento che essa poggia, daun lato, sulla attenzione al rapporto tra strategia e struttura (Chandler, 1962), dall ’altro, suifondamenti della contingency theory quali l e relazioni tra ambiente, profilo strategico econfigurazioni organizzative (Lawrence e Lorrsch, 1967; Mill er e Friesen, 1984).

Nell ’approccio “ imprenditoriale”, che ha nell ’opera di Norman la descrizione più completa, sirinuncia ad una analisi puntuale delle tendenze ambientali e delle opzioni strategiche e viene postaal centro dell ’analisi strategica la visione dell ’ imprenditore, ovvero la capacità di sfruttare almassimo le opportunità che provengono dall ’ambiente attraverso lo strumento di pianificazionedella business idea.

Nell ’approccio “emergente” di Mintzberg viene enfatizzato il ruolo dell ’apprendimento giàpresente nella Entrepreneurial School, identificando il processo di formazione della strategia comeuna serie di mosse apparentemente incoerenti tra di loro, ma in realtà guidate dalla combinazione trastrategie “deliberate” e strategie “emergenti” .

La Competence-Based School rinuncia definitivamente all ’enfasi sulla analisi dell ’ambienteesterno e propone il concetto di “ intento strategico” (strategic intent), quale energia emotiva edintellettuale che rompe di proposito la sintonia tra “risorse interne” e “ambiente”, focalizzandol’attenzione sulle modalità di “ tensionamento” (stretch) e “leva” (leverage) delle risorse e sulprocesso di sviluppo delle competenze interne.

Con riferimento alla sistematizzazione proposta nella Tabella 1.1. i paragrafi seguenti offrono unapanoramica sulla evoluzione delle teorie strategiche. Preliminarmente, nel § 1.2., viene individuatoil grado di appartenenza dei due approcci e degli specifici contributi analizzati ai framework teoricidi riferimento. Successivamente, nei paragrafi §1.3., 1.4. e 1.5., viene affrontato il rapporto trapiccola impresa e le prime tre scuole; data la centralità della quarta scuola rispetto agli obiettividella ricerca, l’analisi sui riferimenti teorici della resource based view e del competence-basedmanagement viene approfondita nell ’ intero Capitolo #2. La rilevanza della letteratura sulle relazionitra piccola impresa e ambiente esterno viene sottolineata nel paragrafo §1.6. Alla conclusione delcapitolo, il paragrafo §1.7. affronta il passaggio dalla prima dimensione della gestione strategica, laformulazione, alla seconda dimensione, ancor più rilevante nel caso della piccola impresa, ovvero icontenuti della strategia e le principali categorie di opzioni disponibili per la implementazione delpensiero strategico.

§1.2. L ’EVOLUZIONE DEGLI STUDI STRATEGICI NELL ’AMBITO DELLE TE ORIE ECONOMICHE

Come anticipato nella Tabella 1.1., appare fondamentale ricostruire il profondo legame tral’evoluzione del pensiero strategico e le corrispondenti matrici a li vello di teoria economica. Comeautorevolmente sottolineato (Winter, 1991), il ponte tra economisti e “gestionali ” va rafforzato, datala potenziale reciproca fecondità tra due discipline che partono da punti di vista diversi:

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l’economista è interessato alle risultanze del gioco competitivo tra le imprese, mentre il gestionaleguarda alle specifiche prestazioni della singola impresa. Nonostante tale differenza, la crescentevarietà tra imprese operanti nella stessa industria costringe ad una convergenza tra teorieeconomiche, che spiegano natura ed esistenza delle imprese, e modelli strategici. Questi ultimiutili zzano le teorie economiche come utensili concettuali , rilasciando risultati che possono aiutarnela verifica empirica. Infatti, l’eterogeneità tra le singole imprese, che va emergendo quale necessariaprecondizione per la validazione delle teorie dell ’ impresa, diventa terreno comune per economisti estudiosi di strategia (Knudsen, 1995).

Nella Tabella 1.1. è stato proposto un tentativo di collegare i due approcci e le quattro scuolefondamentali sulla gestione strategica alle principali teorie dell ’ impresa. Diversi autori hannoproposto classificazioni e comparazioni tra le diverse Scuole utili zzando criteri di analisi più o menoconfrontabili (ipotesi di razionalità, natura dell ’ impresa, confini dell ’ impresa, ecc.), senza peròtrovare accordo sul “numero” , e quindi sulla significatività, delle teorie esistenti. Kathleen Conner(1991) nell ’analizzare il consolidamento della “resource-based theory” , la confronta con cinquegrandi scuole di pensiero:i) Neoclassica;ii ) Industrial Organization;iii ) Schumpeter;iv) Scuola di Chicago;v) Costi di transazione.

Seth e Thomas (1994) giungono a sette teorie, aggiungendo e/o sostituendo alle precedenti,quattro ulteriori tipologie: Nuova Industrial Organization, Teoria Comportamentale, TeoriaManageriale, Teoria Principale-Agente. Knudsen (1995), utili zzando diverse dimensioni di analisi,va oltre ed identifica dieci teorie dell ’ impresa, aggiungendo a quelle già citate la teoriacostituzionalista, le teorie evolutive e la resource-based theory.

Una ulteriore chiave di lettura è quella che ricollega le teorie economiche ai “prestiti ” che esse, divolta in volta, hanno tratto dalla teoria dei sistemi. In tal senso è possibile distinguere (Faccipieri,1988, Di Bernardo 1987) tra: i) teoria dei sistemi cibernetici; ii ) teoria dei sistemi aperti; iii ) teoriadei sistemi autopoietici, iv) teoria dei sistemi complessi.

Nella classificazione utili zzata ai fini di questa ricerca si è ritenuto di poter procedere in manieradrastica, ricollegando i due approcci alla gestione strategica (#1 Esterno-Interno e #2 Interno-Esterno) a due Teorie dell ’ Impresa fondamentali: i ) la Industrial Organization con la relativacornice concettuale “Struttura-Condotta-Performance”; ii) le Teorie Evolutive con la relativaconcezione dinamica e complessa del rapporto impresa-ambiente.

L’ intimo legame tra Approccio #1 Esterno-Interno e Industrial Organization emerge conchiarezza: le prestazioni, in termini di eff icienza, sia statica che dinamica, sono ricondotte alledecisioni (di prodotto, di prezzo, di R&S, di differenziazione) dei singoli attori, le quali dipendonodalla struttura del settore (numero di imprese, grado di integrazione e differenziazione, barriere,struttura dei costi). In realtà la struttura non è del tutto esogena, ma è legata ad alcune sottostanti“condizioni di base” che riguardano sia l’offerta (tecnologia, materie prime, ecc.), sia la domanda(elasticità, sostituibilit à, tassi di crescita, tendenze). Inoltre il meccanismo non è del tutto lineare dalmomento che le relazioni tra struttura, condotta e performance sono condizionate da importantieffetti di retroazione. La scuola della “pianificazione strategica” si è sviluppata con direttoriferimento allo schema Struttura-Condotta-Performance, tanto da portare alcuni a parlare di un“Bain-Porter framework” (Mahoney e Pandian, 1992), che identifica quale fonte del vantaggiocompetitivo una condotta strategica della singola impresa adeguata al settore.

Altrettanto chiaro appare il l egame tra l’ Approccio #2 Interno-Esterno e le Teorie Evolutive chepoggiano sui cardini dell ’evoluzione biologica (Dosi e Nelson, 1994):

a. unità di selezione;b. meccanismo che unisce genotipi e fenotipi;

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c. meccanismo di interazione tra fenotipi (selezione ambientale);d. meccanismo di generazione della varietà.

La differenza tra i concetti fondamentali di “gene”, quale piccolissima quantità di ADN capace diautoduplicarsi, di mutare e di trasmettersi indefinitamente per eredità, e di “ fenotipo” , quale insiemedelle caratteristiche apparenti risultante dall ’ interazione tra genotipo e ambiente, chiarisce che pergli evoluzionisti l ’esistenza, la sopravvivenza e le prestazioni della singola impresa sonosostanzialmente legati alla endogeneità dei criteri di selezione. Analogamente nell ’Approccio #2Interno-Esterno alla formulazione strategica, i profitti differenziali di imprese operanti nelle stesseindustrie dipendono dalla natura distintiva nella costellazione di risorse e competenze interne,piuttosto che dal posizionamento competitivo rispetto all ’ambiente esterno.

Mentre il l egame tra i due approcci strategici proposti e le due teorie dell ’ impresa individuatesembra concettualmente verificato (Approccio #1Esterno-Interno e Industrial Organization;Approccio #2Interno-Esterno e Teorie Evolutive), non è possibile individuare una analogacorrispondenza tra le due scuole pure (Planning School e Competence-Based School) e le citateteorie economiche. Infatti entrambe le scuole, pur proponendo due opposte spiegazioni dei profittidifferenziali tra imprese (“ industry specific” per la prima, “ firm specific” per la seconda) sembranoavere entrambe una comune ispirazione per dottrina economica alla “Scuola di Chicago” e allaIndustrial Organization. Ci riferiamo in particolare all ’enfasi sulla struttura industriale,all ’approccio statico e di equili brio comunque proposto, alla performance come conseguenza didifferenti dotazioni di risorse, al riferimento prevalente alla grande impresa (Mariotti, 1998).

Un ulteriore elemento problematico del rapporto tra “Resource-Competence based strategicmanagement” e teorie economiche è rilevabile nel prestito implicito che viene operato rispetto allaTeoria dei Costi di Transazione, nella misura in cui vengono enfatizzati il ruolo delle risorse esterne(firm-addressable assets), la abilit à di networking dell ’ impresa, la variabilit à dei confinidell ’ impresa e, in definitiva il riferimento a forme di governo dell ’ impresa intermedie tra gerarchiae mercato. Infatti, può non essere del tutto coerente che mentre per giustificare la rilevanza dellecompetenze e dei meccanismi di apprendimento si sottintenda l’adesione alla prospettiva evolutiva,la necessità di far quadrare il cerchio con la rilevanza dei meccanismi di cooperazione, inparticolare nella R&S, è sostenuta da concetti propri di una opposta concettualizzazione: laprospettiva contrattualista in cui indubbiamente si colloca la teoria dei costi di transazione.

In realtà, come vedremo nel Capitolo #2, il processo graduale di sviluppo delle teorie strategiche ècaratterizzato da una integrazione tra concetti derivanti dai due approcci. Infatti, da un lato, laletteratura strategica ha largamente sottolineato la rilevanza della conoscenza quale risorsa chiaveper l’acquisizione e il sostenimento di vantaggi competitivi da parte della singola impresa (Prahalade Hamel, 1994; Grant, 1994; Sanchez et al., 1996). D’altro canto la letteratura sui Sistemi diImprese ha sottolineato come per la singola impresa, in particolare la piccola impresa, lo sviluppodell ’ innovazione sia legato profondamente alla sua capacità di gestire relazioni con il sistema localee territoriale (Dioguardi, 1995; Gottardi, 1997a; Petroni, 1997) e con i canali di circolazione dellatecnologia quali Università, imprese leader e clienti innovativi (Raffa e Zollo, 1998a; Albino,Garavelli , Schiuma, 1997; Acs e Audretsch, 1991). La supposta incongruenza nasce dallaconstatazione che l’uso congiunto dei due concetti citati, conoscenza e capacità relazionale,nasconde una contaminazione tra due quadri di riferimento piuttosto diversi:

i) l’attenzione ai processi di apprendimento e di gestione della conoscenza poggiafondamentalmente sulle “teorie evolutive” e “competence-based” (Nelson e Winter,1982; Foss, 1993);

ii ) l’enfasi sui processi relazionali e di “networking” nasce dall ’analisi delle forme digoverno delle transazioni intermedie tra mercato e gerarchia, sviluppate nell ’ambitodell ’approccio contrattualista e, in particolare, della teoria dei costi di transazione(Willi amson, 1975).

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Alcuni autori (Fransman, 1994; Gottardi, 1997b) hanno riscontrato caratteri di inconcili abilit à tral’approccio competence-based e quello contrattualista, derivanti dalla divaricazione di principi,concetti e interpretazioni sulla natura e sui confini dell ’ impresa. Nondimeno altri autori (Foss, 1996;Colombo, 1998, Campanini, 1998) hanno sostenuto l’ idea dell ’ integrazione tra le due teorie; taleintegrazione potrebbe derivare dalla considerazione che i due approcci trattano, in realtà, due aspetticomplementari: lo “scambio” nella teoria contrattuale, la “produzione” nella teoria dellecompetenze. Come sottolineato da Mariotti (1998) tale dialettica tra l’approccio competence-basede quello contrattualista apre un ponte verso la “business strategy” ; essa, infatti, nonostante ilpersistente ancoraggio allo schema Struttura-Condotta-Performance, potrebbe offrire supporti allosviluppo di ricerche empiriche sullo studio della varietà tra imprese operanti nelle stesse industrie.

Coerentemente con tali precisazioni e con gli spunti da essa derivanti, in questa ricerca verràsviluppato un tentativo di contribuire allo sviluppo di ricerche empiriche per la comprensione delledifferenze tra imprese operanti nella stessa industria a partire da una integrazione tra approcciocompetence-based e approcci relazionali allo studio delle strategie di innovazione nella piccolaimpresa.

§1.3. IL RAPPORTO TRA PLANNING SCHOOL E PICCOLA IMPRESA

Ai fini degli obiettivi della ricerca sembra utile analizzare il rapporto tra gli aspetti concettualidelle quattro scuole identificate nella Tabella 1.1, e le specificità dei processi organizzativi estrategici della piccola impresa.

La scuola della “pianificazione strategica” si è sviluppata, come anticipato precedentemente, condiretto riferimento allo schema Struttura-Condotta-Performance, tanto da portare alcuni a parlare diun “Bain-Porter framework” (Mahoney e Pandian, 1992) che identifica quale fonte del vantaggiocompetitivo una condotta strategica della singola impresa adeguata al settore. Per la singola impresatale approccio, largamente dominante nella letteratura degli ultimi due decenni grazie al suoorientamento a modelli di equili brio e di razionalità, richiede un poderoso apparato organizzativocapace di realizzare adeguate attività di analisi: dalle megatendenze a livello di scenario, alle cinqueforze competitive “di Porter” , alle evoluzioni dei comportamenti d’acquisto dei clienti.

E’ il caso di sottolineare la contraddittorietà tra tale approccio analiti co-formale e alcunecaratteristiche fondamentali dei processi della piccola impresa, quali:

la centralità del ruolo dell ’ imprenditore (Marchini, 1995a; Bull e Will ard, 1996); l’assenza di contrasto tra obiettivi personali dell ’ imprenditore e obiettivi dell ’organizzazione

(Gervais, 1978; Haahti, 1989; Boldizzoni, 1996); la natura adattiva e flessibile della piccola impresa derivante dalla velocità del processo

decisionale e dalla semplicità del modello organizzativo (MacMill an, 1975; Padroni, 1993;Amin, 1996);

l’ informalità dei processi nella piccola impresa (Stevenson, 1983; Pavitt et al., 1997); l’esistenza di barriere informative per la piccola impresa (Raffa e Zollo, 1988).

A conferma di tale contraddittorietà diverse ricerche empiriche hanno confermato la assenza diattività di pianificazione formale all ’ interno della maggior parte delle piccole imprese (Bamberger,1980; Robinson e Pearce, 1988; Baccarani, 1995).

Vanno ricordati, peraltro, alcuni autori a favore della pianificazione strategica nella piccolaimpresa che evidenziano la combinazione tra pianificazione strategica e gestione adattiva perpiccole imprese “emergenti” , nonché la positiva relazione tra adozione della pianificazione eprestazioni della piccola impresa (Marchini, 1989). D’altro canto è stato sottolineato come la naturadi formalizzazione scritta della pianificazione, quando corrispondente ai requisiti di semplicità esignificatività (es. check-list), possa comunque contribuire, ad aiutare l’ imprenditore sia neimomenti di riflessione solitaria (Golde, 1964), sia, se integrata con la rilevazione di dati economico-

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finanziari, nella interazione con consulenti esterni (Nagel, 1981). Anche in tempi più recenti unaricerca empirica su 800 piccole e medie imprese statunitensi ha mostrato come le prestazionieconomico-finanziarie possano essere influenzate positivamente dall ’adozione della pianificazionestrategica, i cui presupposti sono rappresentati dal li vello di istruzione e di esperienzadell ’ imprenditore e dalla percezione dell ’ incertezza ambientale (Hoon Lee e Matthews, 1999).

Nell ’ambito del complesso rapporto tra strategia e piccola impresa diversi autori hannopuntualizzato la differenza tra il concetto di pianificazione strategica e il concetto di pensierostrategico (strategic thinking); quest’ ultimo, identificato quale processo creativo e “divergente”(Heracleous, 1998), viene posto alla base delle prestazioni della piccola impresa (Lazenby, 1999).

Un ulteriore aspetto del rapporto tra pianificazione strategica e piccola impresa emerge dallaabbondante letteratura, spesso di derivazione consulenziale, sulla gestione strategica della impresanascente, ovvero sul c.d. business plan per una nuova impresa. Nonostante gli ampi riferimenti alconcetto di business idea, che formulato da Norman appartiene alla entrepreneurial schoolalternativa alla planning school, la maggior parte dei testi propone modelli di gestione della fase dicreazione di impresa fortemente ispirati alla logica della pianificazione strategica, che assumonocome punto di partenza della formulazione della strategia l’analisi dell ’ambiente esterno, del settoreindustriale, del segmento di mercato (Timmons, Dingee, Smaller, 1977, Parolini, 1991, Sciarelli ,1997). Recependo tali i ndicazioni gli operatori pubblici italiani hanno imposto quale standard per lepoliti che di creazione di nuove imprese (es. legge 44/1986, legge 236/93, leggi regionali come lalegge 28/92 in Campania), i modelli di business plan basati sull ’approccio planning. L’esempioapplicativo più consolidato è, indubbiamente, lo schema del business plan della Guida alla nuovalegge 44 (pubblicazione IG del giugno 1996).

In definitiva la analisi sulla letteratura relativa alla pianificazione strategica mantiene una suaimportanza storica per l’avvio di una riflessione sul tema, inizialmente dibattuto della presenza dellaformulazione strategica nella piccola impresa; d’altro canto emergono i limiti di naturainterpretativa di tale approccio che può essere considerato superato rispetto alla natura dei processistrategici della piccola impresa. Infatti, come sottolineato da Boldizzoni (1996) la strategia nellapiccola impresa non è tanto associabile all ’ idea di “progetto” , ma a qualcosa di reale ed emergenteche nasce dal processo di enactment, di attivazione dell ’ambiente. I successivi paragrafi sonodedicati all ’esame della Learning School e della Entrepreneurial School che appaiono sicuramentepiù vicine a tale prospettiva.

§1.4. IL RAPPORTO TRA LEARNING SCHOOL E PICCOLA IMPRESA

Sicuramente più aderenti alle specificità della piccola impresa sono stati gli approcci che,nell ’ambito della classificazione definita nella Tabella 1.1., hanno privilegiato gli aspetti legati aiprocessi di apprendimento (Learning School) e alle caratteristiche personali degli imprenditori(Entrepreneurial School). Entrambe le scuole, che mostrano inconfondibili similit udini concettualied interpretative, si sono sviluppate a seguito delle profonde criti che cui sono stati sottoposti,all ’ inizio degli anni ottanta, il professionismo manageriale americano e l’approccio analiti co-razionalistico (Hayes e Abernathy, 1980; Peters e Waterman, 1982).

La Learning School, sviluppatasi intorno alle opere di Mintzberg (1987, 1990, 1991), pone alcentro del processo di formulazione della strategia i processi di apprendimento sviluppati secondouna logica di tipo incrementale ed adattivo. Per questo autore esisterebbe, finanche, una profondaincompatibilit à tra pianificazione e strategia, in quanto la prima privilegia esclusivamente l’analisi,mentre la seconda è essenzialmente la sintesi di un processo di natura decisoria e comportamentale;tale sintesi genera una eff icace combinazione tra processi analiti co-razionali (strategie intenzionali edeliberate) e processi immaginativo-intuitivi (strategie emergenti). L’enfasi sui processi diorganizzativi conduce ad una concezione fisiologica dell ’ impresa come organizzazione tesaall ’apprendimento continuo; il contributo fondamentale di Senge (1990) ha sottolineato il passaggio

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dall ’apprendimento adattivo all ’apprendimento generativo o creativo. Alcuni autori, nel volersottolineare l’ influenza delle esperienze passate e della storia dell ’azienda e dei suoi uomini sonogiunti a definire la scuola di Mintzberg quale “existential school” (Bussolo e Zora, 1994; Lordi,1998).

La maggiore corrispondenza tra l’ impostazione della Learning School e le caratteristichestrutturali ed organizzative della piccola impresa, emerge con immediatezza. In primo luogo,coerentemente con gli approcci alla piccola impresa centrati sulla personalità (Gibb e Davies,1996), la strategia rappresenterebbe una proiezione degli obiettivi personali dell ’ imprenditore(Mintzberg e Waters, 1985). In secondo luogo la natura comportamentale del processo strategicodescrive con maggiore adeguatezza i processi decisionali della piccola impresa che si muove sullabase di atti creativi, di congetture, di intuizioni, di esperienza (Fazzi, 1982; Carrier, 1999). Di frontealla complessità degli eventi esterni provenienti dall ’ambiente e dal mercato la piccola impresatende a reagire sperimentando nuovi comportamenti attraverso la generazione di diversi tentativi(Raffa e Zollo, 1988). Il tentativo di coniugare l’eff icacia interpretativa della Learning School con ivincoli di una necessaria codificazione e formalizzazione di piani e programmi (Sciarelli , 1997) èstato riscontrato nel concetto di orientamento strategico di fondo (Coda, 1988), quale complesso divalori alla base dei comportamenti imprenditoriali . Un perfezionamento di tale approccio èpossibile introducendo anche nella piccola impresa gli elementi dell ’ incrementalismo logico(Quinn, 1980), per mezzo di una guida di fondo che colleghi le singole esperienze di apprendimentoalla visione dell ’ imprenditore (Marchini, 1995b). Il concetto di sapere imprenditoriale (Corno,1989), risultante dalla interconnessione tra consapevolezza dell ’ambiente, conoscenze specifiche ecapacità operative, risulta particolarmente adatto alla realtà della piccola impresa ma nongeneralizzabile dato il suo intimo legame con le esperienze preesistenti; tale approccio permette diricondurre ad unità la rilevanza dei processi creativi e la necessità di processi di trasferimento ecodificazione della conoscenza, attraverso tre vie conoscitive: la metafora, l’analogia il modello.

§1.5. IL RAPPORTO TRA ENTREPRENEURIAL SCHOOL E PICCOLA IMPRESA

Nel caso della Entrepreneurial School, sviluppatasi intorno agli studi di Normann (1977, 1984) eall ’esperienza svedese del SIAR – Scandinavian Institute for Administrative Research, al centro delprocesso di formulazione della strategia non c’è una analisi puntuale delle informazionisull ’ambiente esterno e dell ’ impatto delle diverse opzioni strategiche, bensì la visione del leader delgruppo imprenditoriale. Le distanze dalla Planning School appaiono ancora più marcate dalmomento che la formulazione della strategia non è più vista come un processo decisionale, in cui apartire dalla definizione degli obiettivi vengono analiti camente sviluppate le scelte tra le diversealternative. Viceversa essa viene descritta fondamentalmente come un processo di apprendimento incui l ’eff icacia della pianificazione dello sviluppo aziendale è intimamente legata alle teorieorganizzative. La business idea, la cui unicità conduce alla dominanza di nicchie di mercato, esaltagli aspetti di consonanza tra elementi dell ’ambiente esterno (il segmento di mercato) e laconfigurazione interna dell ’ impresa (sistema di prodotto e caratteristiche della strutturaorganizzativa dell ’ impresa). La visione, identificabile come la forma generica di una business ideapotenziale, esalta le capacità intuitive dell ’ imprenditore e permette di ottimizzare gli stati ditensione all ’ interno dell ’ impresa rispetto ai processi di apprendimento dell ’organizzazione.

La Entrepreneurial School ha generato diverse interpretazioni significative con riferimento allepiccole imprese. Fili on (1990), ill ustrando una ricerca su piccole e medie imprese operanti in diversipaesi, abbina al concetto di visione, che viene distinta in centrale, secondaria ed emergente, ilsistema di relazioni familiari, aziendali ed ambientali dell ’ imprenditore. Le prestazioni strategichedell ’ impresa vengono a dipendere dall ’eff icace combinazione tra visioni e relazioni, realizzataattraverso opportune attività di networking. Emerge così la centralità delle attività relazionali che,grazie a meccanismi di retroazione, realizzano e correggono la proiezione visionariadell ’ imprenditore. Una ulteriore applicazione alla piccola impresa dell ’approccio in questione è

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derivabile dall ’analisi del concetto di “Formula imprenditoriale” (Coda, 1994), che emerge dallacoerenza tra quattro elementi: Concorrenza, Mercato, Sistema di Prodotto e Struttura Aziendale.

La coerenza tra questi aspetti può essere data, nel caso della piccola impresa dalla consapevolezza(awareness) dell ’ imprenditore (Gibb e Scott, 1985), ovvero dalla sua abilit à nel valutare, ancheparzialmente, l’ impatto complessivo di ogni singola decisione strategica.

In tempi più recenti, a partire dalla business idea, è stato proposto, quale strumento applicativo perla gestione dei processi di creazione e valutazione di nuove imprese, il concetto di ideaimprenditoriale (Rea et al., 1999) che tenta di coniugare l’approccio planning con l’approccioentrpreneurial. L’autore ipotizza che il processo di business planning rappresenti una gradualechiarificazione della visione iniziale, capace di definire progressivamente i confini e i contenutidella nascente impresa.

Un potenziale limite dell ’approccio entrepreneurial è riscontrabile nella sua implicita visionedell ’ imprenditore quale “soggetto predestinato” grazie al possesso di caratteristiche strettamentepersonali . Tale possibilit à è confermata dallo stesso Normann il quale, sulla base di evidenzeempiriche, osserva come la genesi dell ’ impresa più che da un talento gestionale “generale” derivipiù spesso da imprenditori “speciali ” che sembrano predestinati ad imparare un tipo specifico dibusiness idea. Driessen e Zwart (1999) propongono, a riguardo, una puntuale rassegna dellarilevante letteratura sulle caratteristiche personali dell ’ imprenditore di successo, distinguendo trefattori primari (need for achievement, internal locus of control, risk propensity) e cinque fattorisecondari (need for autonomy, need for power, tolerance for ambiguity, need for affili ation,endurance) collegati alle prestazioni. D’altro canto solo in alcuni casi gli studi sulla piccola impresahanno riscontrato una correlazione altrettanto forte tra successo imprenditoriale e possesso di abilit àmanageriali , sia generali , sia nelle diverse aree funzionali (Bull e Will ard, 1996).

La Entrepreneurial School presenta notevoli punti di contatto con la Learning School, inparticolare per quanto attiene alla visione della formulazione strategica in un’ottica processo,piuttosto che in un’ottica obiettivo, e alla rilevanza dei processi di apprendimento. D’altro canto sene differenzia in quanto, attribuendo un minore incrementalismo alle scelte strategiche, identifica irisultati finali (la strategia realizzata) più come proiezioni, in qualche modo prefigurate se nonpreordinate, della visione, che non come esito, in qualche modo casuale, della interazione tradecisioni iniziali (le strategie deliberate) e influenze ambientali ed organizzative (le strategieemergenti).

Nei suoi sviluppi successivi Norman, trattando specificamente la gestione strategica delle impresedi servizi (1984), ha enfatizzato il ruolo fondamentale per l’efficienza a lungo termine svolto dallacultura; pur senza entrare nel dettaglio degli importanti contributi relativi alle relazioni tra cultura,gestione strategica e prestazioni (Alvesson e Berg, 1993; Peters e Waterman, 1982; Meek, 1989) èimportante rilevare come nel caso della piccola impresa il rapporto tra cultura e imprenditorialità siastrettamente legato al contesto locale (Johannisson, 1991, 1998).

La maggiore aderenza alla realtà della piccola impresa dei concetti derivanti dalla Learning e,ancor più dalla Entrepreneurial School, sembra evidenziare, in realtà come, per la piccola impresa,la analisi e la gestione della dimensione esterna del problema strategico (l’Ambiente) sia stataconsiderata prevalente rispetto alla dimensione interna (la Configurazione). Ciò dipenderebbe siadalle limitate capacità di analisi esterna della piccola impresa, sia dalla minore complessitàgestionale della dimensione interna. Tali aspetti fondamentali della piccola impresa, accompagnatidall ’affermarsi della teoria dei costi di transazione (Willi amson, 1975) e del modello dellaspecializzazione flessibile (Piore e Sabel, 1984) hanno alimentato una eccezionale produzionescientifica sulla rilevanza dell ’Ambiente Esterno rispetto all ’esistenza, alla natura e ai percorsi dellapiccola impresa. Tale letteratura sulla piccola impresa, sviluppatasi nei diversi filoni dei “distrettiindustriali ” (Becattini, 1987; Brusco, 1986), dei “sistemi di imprese” (Dioguardi, 1994; Gottardi,1997a), delle “ reti di imprese” (Lorenzoni, 1992; Fletcher, 1996), costituisce una base fondamentale

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per la comprensione del “campo di azione” strategico della piccola impresa. A tale argomento èdedicato il paragrafo seguente.

§1.6. UN ELEMENTO FONDAMENTALE : L ’AMBIENTE STRATEGICO E LE RETI RELAZIONALI DELL A

PICCOLA IMPRESA

Il rapporto tra ambiente esterno e piccola impresa presenta delle caratteristiche particolari, dalmomento che i limiti dimensionali ne determinano una sua maggiore dipendenza dall ’ambienteesterno. Infatti la piccola impresa è una entità incompleta, ovvero un sistema aperto. Essa nonpossiede al proprio interno le risorse per sostenere uno sviluppo interno di competenze in unorizzonte di lungo periodo (Huppert, 1981; Marc, 1982; Nagel, 1981), ha processi decisionalielementari, basati quasi esclusivamente sulle capacità del gruppo imprenditoriale (Padroni, 1993),non sviluppa attività strategiche quali formazione, marketing, R&S (Raffa e Zollo, 1998b), cerca diridurre al minimo i costi fissi e di utili zzare al massimo le risorse umane (Lassini, 1990).Conseguentemente la piccola impresa è costretta a concentrare i propri sforzi nella ricerca dicomplementarità con le risorse disponibili nell ’ambiente esterno (Dodgson, 1990; Oakey, 1984;Brown e Schwab, 1984).

La letteratura strategica distingue generalmente tra un macro ambiente, definito di volta in voltacome scenario o contesto generale, e un microambiente, definito anche come ambiente competitivo,ambiente transazionale o settore (Kotler, 1980; Sciarelli , 1997; Grant, 1994). La letteratura sullapiccola impresa tende a mantenere questa distinzione (Usai, 1981), anche se in realtà l’ambientesembra rappresentare “un continuum in cui la rilevanza delle componenti diventa una questione digrado” (Buttà, 1984). In tal senso appare chiaro come, l’ imprenditore non operi in un ambiente datocon caratteristiche oggettive e rigidi meccanismi di funzionamento, ma crei un suo specificoambiente scegliendo partner e controparti e stabilendo relazioni uniche con essi (Weick, 1979).Conseguentemente ciascuna impresa ha un suo particolare ambiente esterno che diventa parte dellaformulazione strategica, e qui il riferimento al concetto di “posizionamento” derivante dalla“planning school” emerge con forza, piuttosto che contesto del tutto esogeno in cui l ’ impresacompete (Abell , 1980). La natura fortemente adattiva della piccola impresa genera una tendenza acircoscrivere ulteriormente l’ambiente rilevante con strategie di nicchia (Marchini, 1995b).Risultano chiari, soprattutto nel medio-lungo periodo i pericoli di tale strategia quali l a mancatacomprensione dell ’ impatto delle variazioni ambientali , concorrenziali e di mercato sulla posizionecompetitiva detenuta dall ’ impresa (Raffa e Zollo, 1998b). In particolare la piccola impresa rischiadi non decodificare i “segnali deboli ” provenienti dall ’ambiente esterno, ovvero quei fatti parziali ,anticipatori di eventi che non si sono totalmente realizzati (Ansoff , 1984). Molteplici studi hannodimostrato come la piccola impresa possa compensare tale incapacità per mezzo di meccanismi diapprendimento collettivo nell ’ambito dei diversi sistemi relazionali cui essa partecipa (Grepme,1994; Lesca et al., 1999; Albino et al., 1997); tali meccanismi sono stati eff icacemente descrittiattraverso le metafore del laboratorio cognitivo (Becattini e Rullani; 1993) e del mili eu innovateur(Camagni, 1989).

In particolare quest’ultimo concetto conduce a quella che può essere considerata come ladimensione prevalente dell ’ambiente per la piccola impresa: il contesto territoriale in cui essa operae con il quale stabili sce una pluralità di rapporti economici e sociali . La letteratura sul rapporto trapiccola impresa e contesto territoriale ne ha evidenziato sia gli effetti positivi, che quelli negativi.

In primo luogo diversi autori hanno sottolineato l’ influenza favorevole dell ’ambiente localesull ’ imprenditorialità. Tale effetto, ampiamente documentato dagli studi sui contesti statunitensi diSili con Valley, Route 128 e Triangle Research in North Carolina, è osservabile sia nello stimolo delsistema territoriale alla nascita di nuove imprese (Varaldo, 1995; Johnstone e Kirby, 1999), sia nelruolo svolto dalla cultura collettiva (Bearse, 1982), sia nella prospettiva dei sistemi sociali (Van deVen, 1993). Questo autore ritiene che la maggior parte delle innovazioni imprenditoriali siano deitraguardi collettivi condivisi da molti soggetti pubblici e privati che sviluppano infrastrutture a

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supporto dell ’ imprenditorialità. Negli ultimi anni diversi autori hanno studiato il ruolo delleinfrastrutture a partire dalle eccellenti prestazioni delle infrastrutture collegate al MassachusettsInstitute of Technology e alla Stanford University. La creazione di nuove imprese strettamentelegate ai sistemi di innovazione locali è stata analizzata in diversi paesi europei, come nel caso dellaCambridge University in Gran Bretagna (Wickstead, 1985), dell ’ Università di Twente in Olanda(Kobus e Van Barneveld, 1994), della Chalmers University of Technology in Svezia (McQueen eWallmark, 1991; Belli ni et al., 1999), delle università finlandesi (Autio e Yli -Renko, 1998),portoghesi (Fontes e Coombs, 1995), spagnole (Sanchez e Tejedor, 1995) e italiane (Chiesa ePiccaluga, 1997, Lanzara e Piccaluga, 1997; Belli ni et al., 1998).

Altri autori hanno rilevato i condizionamenti negativi che l’ambiente locale può generare rispettoall ’organizzazione e alla crescita della piccola impresa. La condizione locale e regionaledell ’ambiente di riferimento spesso spinge, attraverso meccanismi di emulazione, ad unaomologazione delle principali scelte strategiche delle piccole imprese riguardanti il ti po di prodotto,la struttura organizzativa, i modelli di comportamento (Padroni, 1993). La letteratura sulle aree inritardo di sviluppo ha ulteriormente analizzato l’ incidenza negativa dell ’ambiente. A riguardo èpossibile individuare due orientamenti di fondo: da un lato la proposta di modelli di sviluppofondati sull 'iniziativa spontanea e sulle forze emergenti dell 'imprenditorialità locale (Lizzeri, 1983;Pontarollo, 1983), dall 'altro, il mantenimento della centralità del ruolo delle grandi imprese edell ’ intervento pubblico diretto rispetto alle forze spontanee del mercato (Del Monte e Giannola,1989, Del Monte, 1994).

Nel primo caso rientrano i modelli di sviluppo che vedono al centro le Pmi locali e le relazioniintercorrenti tra esse. In tale filone trovano collocazione numerosi sottomodelli che secondo unaschematizzazione proposta da Garofoli (1992) possono dar luogo alle seguenti tipologie diconcentrazioni territoriali di piccole imprese:

i) Aree di specializzazione produttiva, caratterizzate dalla prevalenza di piccole impreseattive nello stesso settore ed in concorrenza tra di loro. In queste aree si trovanosoprattutto imprese sub-fornitrici operanti in settori tradizionali;

ii ) Sistemi produttivi locali , concentrazioni di imprese appartenenti a settori diversi maverticalmente collegati e sottoposti a forme più o meno forti di coordinamento da partedi imprese-guida;

iii ) Aree-sistema, caratterizzate dalla prevalenza di piccole imprese, ma con un'elevataarticolazione produttiva e un'accentuata divisione del lavoro che le rende fortementeinterrelate sia a livello infrasettoriale che a livello intersettoriale.

I distretti industriali rappresenterebbero un caso speciale di area sistema, in quanto sommano allecaratteristiche delle aree-sistema i seguenti elementi:

� una spinta specializzazione produttiva;� un eff iciente sistema informativo di "area";� una diffusa professionalità dei lavoratori locali;� la diffusione di rapporti "faccia a faccia" tra gli operatori;� un'immagine unitaria, più o meno stereotipata, ma riconosciuta dagli attori del distretto

industriale.Il secondo orientamento, invece, non va inteso come un ritorno alla grande impresa verticalmente

integrata che opera isolatamente rispetto al territorio circostante, ma ad imprese di grandidimensioni che però abbiano avviato processi di ristrutturazione secondo il modello dellaproduzione flessibile, e si siano riorganizzate diversificandosi in unità specializzate autonome esemi-autonome, le quali stabili scono relazioni contrattuali con la casa madre e, al tempo stesso,avviano rapporti di fornitura indipendenti ad altre imprese del mercato. Di conseguenza anchenell 'ambito di un modello sviluppo basato sull 'incentivazione delle grandi imprese non viene arompersi l 'importante ruolo delle imprese di minori dimensioni che vengono a beneficiare delladomanda di servizi e prodotti indotti dalla grande impresa.

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In definitiva entrambi gli orientamenti affermano, dal punto di vista della gestione strategica dellasingola piccola impresa, la centralità del sistema relazionale con le risorse disponibili nell ’ambientelocale.

In realtà le risorse, pur presenti nell ’ambiente locale non si rendono disponibili se non si realizzauna particolare condizione ambientale, che Becattini ha efficacemente sintetizzato nel concetto di“atmosfera imprenditoriale” (Becattini, 1979), e, più recentemente, di “genuina partecipazione” deisingoli agenti in funzione della competitività del tessuto socio economico cui appartengono(Becattini, 1999). Nelle aree-sistema l’atmosfera imprenditoriale è già disponibile, come risultato diun processo di formazione storico, fatto di tradizioni imprenditoriali , di pratiche manageriali , divalori condivisi, di specializzazioni produttive, di manodopera specializzata, di mezzi finanziari, diorgani di tutela e promozione, di rapporti personali , di fiducia reciproca. Nella prospettiva dellagestione strategica della singola piccola impresa rispetto al contesto esterno appare necessario ilpassaggio del focus di analisi dalle relazioni organizzate in sistema alle relazioni organizzate inrete (Vaccà, 1989). Queste ultime, infatti, si caratterizzano per una maggiore coesione a sostegnodelle competenze aziendali dal momento che esse si basano su un comune linguaggio che rendeeff icaci le comunicazioni di esperienze specifiche e complementari.

L’ ipotesi della rete si traduce in una precisazione del rapporto tra piccola impresa ed ambiente:non più un rapporto generico tra la piccola impresa ed un ambiente circostante indifferenziato,anonimo ed estraneo, bensì un rapporto punto-punto, che collega tra loro soggetti ben individuati,che condividano in parte risorse, obiettivi e valori (Belli ni et al., 1996). L’ insieme dei rapportireticolari finirà per costituire l’ambiente di riferimento dell ’ impresa: un ambiente artificiale che inparte si intreccia con l’ambiente locale, ma in parte se ne rende autonomo, e quindi noncondizionabile negativamente da quest’ultimo in modo decisivo.

L’ampia letteratura sulla rilevanza dell ’ambiente esterno per la comprensione delle specificitàdella gestione strategica della piccola impresa invita, quindi, ad assumere la particolare lente delrapporto punto-punto tra piccola impresa e specifici attori dell ’ambiente di riferimento, perinterpretare tutti i contributi sviluppati negli studi strategici nati con riferimento alla realtà dellagrande impresa. Tale assunto assumerà particolare rilevanza nell ’analisi delle strategie diinnovazione, contenuta nel Capitolo 3, che costituirà il quadro di riferimento specifico dello schemadi analisi util izzato per la ricerca empirica.

§1.7. DALL A FORMULAZIONE AI CONTENUTI : LE OPZIONI STRATEGICHE DELLE PICCOLE IMPRESE

Passando dalla analisi delle modalità di formazione delle strategie nelle piccole imprese alla analisi delcontenuto delle strategie stesse, sembra utile prendere le mosse dalla classificazione delle opzionistrategiche delle piccole imprese proposta da Isa Marchini (1995b):

� Strategie competitive generiche;� Strategie di sviluppo;� Strategie di internazionalizzazione;� Strategie di turnaround;� Strategie di innovazione tecnologica.

A partire da tale classificazione questo paragrafo sviluppa una panoramica delle singole opzioni;come apparirà più chiaramente dai capitoli successivi l ’approccio competence-based conduce alsuperamento di alcune posizioni tradizionali e all ’affermazione della centralità delle strategie diinnovazione, il processo di analisi, scelta e organizzazione (Intelli gence- Selezione-Acquisizione eTiming) delle risorse aziendali al fine del miglioramento delle prestazioni e/o delle competenze.

Per quanto attiene alle strategie competitive le caratteristiche strutturali sembrano escludere lanecessità di distinguere un livello corporate da un livello business (Hofer e Schendel, 1978)nell ’ambito della gestione strategica della piccola impresa (Grant, 1991). Inoltre la prevalenza degli

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approcci “non planning” ha già dimostrato come nel caso della piccola impresa il contenuto dellastrategia corporate (la scelta delle aree di business in cui operare) non possa derivare dallavalutazione del “grado di attrattività del settore” (Porter, 1984); tale valutazione, infatti, richiedecospicue risorse manageriali e finanziarie per realizzare le tipiche analisi proposte dalla letteratura:SWOT Analysis (Andrews, 1971), modello delle cinque forze (Porter, 1980), matrici di portafoglio(Hedley, 1977; Hofer e Schendel, 1978). La presenza della piccola impresa in determinate aree dibusiness sembra, invece, dipendere più da componenti di natura soggettiva, come il percorsoprofessionale dell ’ imprenditore-fondatore (Roberts, 1991), e da componenti di natura ambientale,come le opportunità offerte da situazioni industry-specific (Barras, 1990) o country-specific1.

Viceversa le strategie competitive, intese quali comportamenti competitivi dell ’ impresa all ’ internodi un settore o di un mercato specifico, sembrano rappresentare il focus degli studi sulle opzionistrategiche delle piccole imprese; a riguardo sembra necessario rileggere in un’ottica small alcuniconcetti chiave.

Innanzitutto lo stesso concetto di vantaggio competitivo sostenibile (Porter, 1985) quale “base diuna prestazione a lungo termine superiore alla media del settore” va inteso nel caso della piccolaimpresa con riferimento a prestazioni/rendimenti soddisfacenti, piuttosto che superiori alla media(Marchini, 1995b).

Riguardo alle tipologie specifiche di Strategie Competitive, quali leadership di costo,differenziazione, focalizzazione (Porter, 1980) o segmentazione, indifferenziazione, focalizzazione(Abell , 1980, Chrisman et al., 1988) alcuni autori hanno escluso la possibilit à per la piccola impresadi perseguire strategie riferite ad ambiti competitivi allargati, restringendo, in tal modo, lapossibilit à di scelta della piccola impresa alle sole varianti della focalizzazione (Rugman e Verbeke,1988) e della strategia di nicchia. Tali conclusioni non sembrano generalizzabili dal momento chealcune evidenze empiriche hanno dimostrato come con riferimento a settori specifici (Audretsch,1994) o a fasi specifiche del ciclo di vita (Barras, 1990), la piccola impresa possa perseguirestrategie broad scope (su ambiti competitivi allargati) che giungono addirittura alla sfida di grandiimprese leader di mercato. Tale fenomeno è stato eff icacemente descritto da Pavitt (1997) che nellaormai consolidata tassonomia di piccole imprese innovativa propone la categoria delle “Superstar” ,ovvero piccole imprese che a partire dagli anni cinquanta hanno prodotto spettacolari trend dicrescita grazie all ’eff icace sfruttamento di innovazioni o di traiettorie tecnologiche (es. Sony, Intel,Microsoft, Benetton, ecc.).

Spostando l’analisi alla seconda categoria proposta da Isa Marchini, le Strategie di Sviluppo,appare necessaria la definizione preliminare della peculiarità del concetto di crescita nella piccolaimpresa. Una volta superata l’ idea della piccola impresa quale forma organizzativa embrionale,imperfetta e destinata a diventare grande impresa (Boldizzoni, 1996), è venuto meno anche iltradizionale approccio quantitativo al concetto di crescita, misurato dall ’aumento dei volumi divendita (Kotler, 1980), o delle combinazioni prodotti/mercati (Ansoff, 1965), o dei li velli diintegrazione e diversificazione produttiva (Sciarelli , 1988). Viceversa una abbondante letteraturasulla piccola impresa concorda sulla natura qualitativa della crescita della piccola impresa, vista divolta in volta quale momento di rilascio di energie imprenditoriali (Barras, 1990), di cambiamentogestionale (Gibb e Davies, 1990), di trasformazione organizzativa (Snuif e Zwart, 1994).

Rispetto ai tradizionali trade-off strategici “crescita/stabilit à”, “ rischio/redditività”, “obiettivi diprofitto/non di profitto” (Kotler, 1980), “crescita/mantenimento del controllo proprietario edorganizzativo” (Marchini, 1995a) una ulteriore, consolidata, letteratura sull ’ imprenditorialitàconcorda sulla tendenziale resistenza della piccola impresa alla crescita dimensionale. Talepropensione al mantenimento dimensionale viene, di volta in volta, ricondotta a motivazionifamiliari (Lansberg, 1983), gestionali e finanziarie (Rothwell e Zegveld, 1982), o alla preferenza

1 Per l’esame della letteratura sull’ influenza positiva del contesto territoriale sulla nascita di determinate tipologie di imprese sirinvia al precedente paragrafo §1.6.

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per ampliamenti dello spazio operativo per mezzo di li nee di crescita esterna derivanti dallapartecipazione a sistemi reticolari (Raffa e Zollo, 1998b).

In definitiva appare chiaro come la traiettoria di crescita della piccola impresa non è mai li neare,ma legata ad una successione qualitativa di critical event (Greiner, 1972; Kimberly e Miles, 1980),cui corrispondono differenti opzioni strategiche, organizzative e funzionali (Boldizzoni, 1985;Churchill e Lewis, 1983).

Tali consolidate posizioni teoriche sulla piccola impresa conducono alla impossibilit à dicategorizzare le relative Strategie di Sviluppo secondo i tradizionali modelli di crescita verticale,orizzontale e diversificata (Kotler, 1980). Viceversa sembra proponibile una sistematizzazione deicontributi citati che, incrociando le due variabili della “tipologia di comportamento imprenditoriale”(Stevenson, 1983; Marchini, 1995a) e del “grado di apertura organizzativa” (Raffa e Zollo, 1994)differenzia 4 possibili opzioni (Vedi Figura 1.2.):

i) strategie di stand by;iv) strategie di sviluppo naturale;v) strategie di crescita esterna;vi) strategie di specializzazione.

Fonte: Belli ni, 1999.

Nel primo caso il profilo “amministrativo/attuativo” dell ’ imprenditore “continuatore”, unito ad unbasso livello di interazione con le diverse componenti dell ’ambiente esterno, raccoglie tutti icomportamenti strategici tesi al mantenimento dimensionale.

Nel secondo caso il medesimo profilo imprenditoriale, tendenzialmente teso al consolidamento di“ routine” e alla minimizzazione del rischio, si abbina ad un certo grado di apertura esterna, spessoobbligato dalla evoluzione del settore industriale e della tecnologia, raccogliendo i diversi modellidi crescita per stadi.

Nel terzo e quarto caso il profilo “dinamico/creativo” dell ’ imprenditore “iniziatore” sembraraccogliere sia i modelli di “crescita a rete” della piccola impresa, sia i modelli di“superspecializzazione” (Saporta, 1986) che, pur non coincidendo con le strategie di nicchia e/o difocalizzazione, identificano tutti quei comportamenti finalizzati allo sviluppo qualitativo per mezzodella unicità e forte differenziazione dei prodotti offerti (es. subfornitori consolidati, alta moda).

ImprenditorialitàManageriale

ManagerialitàImprenditiva

Grado diApertura Basso

Strategiedi stand by

Figura 1.2.: Le Strategie di Sviluppo delle Piccole Imprese

Grado diApertura Alto

Strategiedi crescitanaturale

Strategiedi crescita

esterna

Strategiedi

specializzazione

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L’analisi della terza categoria di opzioni strategiche, le Strategie di Internazionalizzazione,evidenzia la necessità del superamento di alcuni limiti del quadro teorico tradizionale sul rapportotra piccola impresa e processi di internazionalizzazione 2:

il superamento della dicotomia “Impresa Esportatrice-Impresa Multinazionale”, alla luce dellavalenza strategica delle scelte di internazionalizzazione delle imprese;

la conseguente necessità di assumere come focus dell ’analisi il Processo diInternazionalizzazione, inteso come articolazione della scelta strategica per lo sfruttamento delvantaggio competitivo (Vernon, 1979, Porter, 1990);

il passaggio, coerentemente con l’ impostazione di questo volume, da approcci basati sulleuniformità a quelli basati sui comportamenti differenziati delle imprese finalizzati allacreazione e sfruttamento di fattori distintivi (Prahalad, Hamel, 1990; Porter, 1990);

il passaggio dai modelli del commercio internazionale basati sul free-trade ai modelli centratisulla eff icienza dei meccanismi di mercato come elemento per la ottimizzazione delletransazioni tra attori operanti in contesti internazionali (Willi amson, 1975; Teece, 1986);

La necessità di studiare i processi di internazionalizzazione alla luce dei nuovi organizationalpattern basati su relazioni cooperative (Mariotti, 1993; Grandinetti e Rullani, 1992).

Soprattutto la letteratura sottolinea il profondo legame tra strategie di innovazione tecnologica estrategie di internazionalizzazione (Vaccà e Rullani, 1983; Clark, 1987; Teece, 1987); altri autorihanno rilevato, nell ’ambito dalla teoria della internazionalizzazione per stadi la natura diinnovazione gestionale del processo di internazionalizzazione (Cavusgil , 1980; Anderson, 1993).

L’ultima categoria di opzioni strategiche prevista dalla tassonomia riguarda le strategie diturnaround3. Nonostante la rilevanza statistica dei processi di nati-mortalità della piccola impresa èstata rilevata una sostanziale scarsità di studi sul tema del il fronteggiamento delle crisi aziendali(Marchini, 1995b, Dioguardi, 1999). Anche in questo caso è stata sottolineata la specificità dellerisposte della piccola impresa che, data la dimensione già ridotta, non può realizzare la sequenza distadi “Ridimensionamento-Rilancio” tipica della grande impresa (Robbins e Pierce; 1992). Ai finidi questa ricerca sembra opportuno sottolineare come a partire dalla analisi delle cause di crisi siapossibile riscontrare la presenza di alcune problematiche legate alle risorse e alle competenzeinterne (es. limiti delle conoscenze detenute in funzioni-chiave, scarsa affidabilit à presso icreditori). Inoltre alcune delle principali ti pologie di risanamento aziendale hanno indubbiamenteuna natura innovativa (es. il riposizionamento di mercato, il riorientamento tecnologico) che rende,ancora una volata trasversali , le strategie di innovazione rispetto alle diverse opzioni strategichedella piccola impresa.

In definitiva appare evidente come l’affermarsi dei principi di competizione dinamica implichi lacentralità e trasversalità delle strategie di innovazione rispetto alle singole opzioni strategiche(Raffa e Zollo, 1988, 1998b; Bertelè, 1997; Corti, 1997). Ciò avviene a maggior ragione per lapiccola impresa (Bartezzaghi, Spina e Verganti, 1999; De Chiara, 1998), la cui competitività è erosasia dal basso (concorrenza dei paesi in via di sviluppo) sia dall ’alto (affermazione dei sistemiflessibili nelle grandi imprese).

§1.8. OSSERVAZIONI FINALI

2 Per una completa analisi del rapporto tra competenze manageriali e fattori di competitività internazionale della piccolaimpresa si rimanda al volume di Renato Passaro (1996) che propone un inquadramento teorico-interpretativo a partire dairisultati del Progetto Finalizzato Internazionalizzazione, condotto dal CNR a partire dai primi anni novanta.3 Per una analisi esaustiva del tema si rimanda a a Sciarelli (1995).

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La analisi svolta in questo capitolo permette di evidenziare alcune osservazioni rispetto agliobiettivi della ricerca:

� il superamento dei concetti legati alla “pianificazione strategica” nella piccola impresa;� la maggiore aderenza alle specificità della piccola impresa degli approcci legati alla Learning

School e alla Entrepreneurial School;� la individuazione di una interpretazione del concetto di vantaggio competitivo coerente con le

specificità della piccola impresa;� la disamina di ciascuna delle opzioni strategiche ha evidenziato la necessità del superamento di

alcune “visioni tradizionali ” sulla piccola impresa (es. parallelismo piccola impresa/narrowscope, crescita quantitativa della piccola impresa, dicotomia piccola impresaesportatrice/impresa multinazionale, ecc.);

� rispetto a tale esigenza i contributi teorici più recenti su ciascuna delle opzioni strategichesembrano proporre una risposta costante, ovvero la necessità per la piccola impresa di poggiarele proprie strategie su una consapevole e preordinata interazione con l’ambiente esterno e conle diverse reti in esso identificabili (di subfornitura, di innovazione, locali , ecc.);

� la preferenza, ai fini dell ’analisi strategica, di una prospettiva “punto-punto” , piuttosto che“singola impresa-scenario” , per la comprensione del rapporto tra piccola impresa e le diversereti e sistemi in cui essa è chiamata ad operare;

� in risposta alla crescente complessità esterna e interna della piccola impresa, molti deicontributi esaminati sembrano contenere, con diversi gradi di esplicitazione, alcuni concetti-chiave delll ’approccio competence-based, quale il ruolo della conoscenza, la rilevanza dellerisorse intangibili e, soprattutto delle risorse firm addressable, ovvero quelle risorse disponibilinell ’ambiente esterno che la piccola impresa può, grazie alla presenza di determinate capacitàorganizzative, util izzare e “indirizzare” rispetto ai propri obiettivi strategici.

Il capitolo seguente è, appunto, finalizzato ad una rassegna sui principali contributi alla base dellaevoluzione degli studi strategici verso la resource-based theory e, successivamente verso ilcompetence-based strategic management.

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Capitolo #2 –Risorse e Competenze nella gestione strategica

§2.1. I FONDAMENTI DELL A RESOURCE BASED VIEW

Il riferimento della resource based view (RBV) nell ’economia classica viene ritrovato in Ricardoche per primo afferma, con riferimento alla la maggiore fertilit à dei terreni, la possibilit à dimaggiori rendite di una attività economica, collegate a differenze nel rendimento dei fattoriproduttivi util izzati. Altri riferimenti sono stati riscontrati sia nell ’opera di John Stuart Mill cheincludeva tra i fattori rilevanti ai fini della produttività le abilit à e la conoscenza dei lavoratori, siain quella di Alfred Marshall che considerava l’organizzazione un fattore produttivo al pari di terra,lavoro e capitale.

Molti autori assegnano la prima concettualizzazione dell ’ impresa come collection of resources,frutto dell ’esperienza e della conoscenza accumulata, a Edith Penrose (1959). L’autrice evidenziacome le decisioni, da parte dell ’ impresa, circa l’offerta dei prodotti/servizi dipendanoessenzialmente dalla sua dotazione di risorse e dalla loro ridondanza (servizi produttivi inutili zzati).In realtà il precursore della RBV è Frank Knight, che, discutendo sull ’esistenza dell ’ impresa nellavoro seminale del 1921, identifica quale elemento determinante la “superiore capacità di giudizio”dell ’ imprenditore nell ’allocazione di risorse in contesti altamente incerti. L’autore, nel discuteresull ’evoluzione di una nuova idea imprenditoriale, giunge a definire un processo evolutivo di“cefalizzazione” che conduce dall ’ idea iniziale alla forma gerarchica dell ’ impresa, intesa comeforma organizzativa superiore.

La visione dell ’ impresa come “insieme di risorse produttive materiali e immateriali ” si caratterizzain modo radicale rispetto alle prospettive tradizionali (Conner, 1991) in cui l ’ impresa è vista, divolta in volta:

� come una funzione di produzione indifferenziata (nell ’economia neoclassica);� come un soggetto alla ricerca di posizioni monopolistiche per mezzo della dominanza dei

mercati (nella prospettiva struttura-condotta-performance);� come soggetto alla ricerca di posizioni monopolistiche temporanee per mezzo dell ’ innovazione

(nella prospettiva schumpeteriana);� come soggetto alla ricerca dell ’eff icienza produttiva e distributiva per mezzo della dimensione

(nella Scuola di Chicago).

In tutte queste prospettive l’ impresa è vista, quindi, come un “processore di informazioni” ; essa,operando in un regime di razionalità limitata, sia sostanziale che procedurale (Simon, 1978),fronteggia, comunque, problemi legati all ’ imperfezione e all ’asimmetria dell ’ informazione. In talevisione statica il processo di apprendimento, anche se ammesso, risulta automatico e senza costo dalmomento che esso riguarda l’assunzione di set di informazioni comunque dati e universalmenteuniformi (Marengo, 1994).

Se raffrontata alla prospettiva contrattualista-transazionista, in cui l ’ impresa appare come unaistituzione costituita da un insieme di contratti che economizza sui costi di transazione, appareancora più chiara la divaricazione nascente dalla RBV, che vede l’ impresa come una istituzione rentseeking, costituita da un insieme olistico di risorse e di capacità tenute assieme da routineidiosincratiche (Mariotti, 1998). Nella prima prospettiva, infatti, l’ impresa appare quale struttura diincentivi che tiene insieme gli agenti economici in risposta al fallimento del mercato;conseguentemente essa, non avendo una propria identità contingente e storica, non può essere

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considerata un’entità proattiva e dotata di strategia, ma una mera entità reattiva, tendente acomportamenti ottimizzanti (Foss, 1993).

In sintesi la RBV realizza tre fondamentali passaggi:i) lo spostamento dell ’analisi dall ’ informazione, intesa come insieme di dati riguardanti

stati del mondo e conseguenze da questi derivanti, e, quindi, essenzialmente statica edatomistica, alla conoscenza, intesa come informazione sviluppata all ’ interno della reteconcettuale e cognitiva dei soggetti e, quindi, essenzialmente dinamica e relazionale(Fransman, 1994; Rullani, 1994);

ii ) il passaggio da una visione statica ad una dinamica: l’ impresa viene analizzata in uncontesto in cui tecnologie e preferenze mutano: tramite l’apprendimento l’ impresaacquisisce nuove conoscenze e modifica quelle preesistenti in modo da adeguarsi alcambiamento (Dosi, 1982);

iii ) il passaggio da un concetto di apprendimento “meccanico” , visto come incrementodell ’ informazione disponibile in una logica probabili stica, ad un apprendimento“storico” , collettivo e path dependent, inscindibilmente legato all ’esperienza passatadell ’ impresa che ne determina gli schemi cognitivi, i sistemi di valori e i percorsievolutivi (Nelson, 1991; Levinthal e March, 1993; Nooteboom, 1992; Crèmer, 1993)

E’ infatti nell ’ambito del paradigma evolutivo (Nelson e Winter, 1982) che i diversi contributibasati sui concetti di conoscenza, risorse e competenze hanno trovato una più chiara e definitaautonomia (Campanini, 1998). Esso, infatti, ha fornito un quadro teorico alternativo che, a partiredalle influenze fondamentali di Schumpeter, Simon e della stessa Penrose, non solo ha rifondatoalcune ipotesi della teoria neoclassica, ma ha posto al centro dell ’analisi economica il cambiamentotecnologico, la capacità innovativa della singola impresa e la varietà delle singole imprese non solofra industrie diverse ma anche e soprattutto all ’ interno della stessa industria (Nelson, 1991). Ilconcetto-chiave che lega la RBV alle teorie evoluzioniste è quello di routine organizzativa, intesacome insieme di procedure depositarie di conoscenza organizzativa acquisita attraverso laconoscenza intesa come risultato di "problem solving" (Grant 1991; Nelson e Winter 1982).

Le routine organizzative vengono intese come espressione del sapere delle imprese e modalità diaccumulazione e rappresentazione della conoscenza dell'impresa che si rende evidente nell'attivitàquotidiana. Le routine rappresentano il modo in cui viene utili zzata la conoscenza cheun'organizzazione ha accumulato, memorizzato e diffuso. In particolare si tratta di conoscenzatacita (Nonaka e Takeuchi, 1995) quindi non dichiarata o esplicitata, ma più tipicamenteprocedurale e spesso neppure verbalizzabile.

Le routine organizzative permettono di spiegare i due meccanismi di base utili zzati dalla teoriaeconomica a partire dai cardini dell ’evoluzione biologica:

� la generazione della varietà, che viene spiegata dalla natura tacita, firm e agent-specific dellaconoscenza e dalla contemporanea presenza di elementi intenzionali (“ lamarckiani” ) estocastici (“darwiniani” ) nei comportamenti dell ’ impresa, secondo la sequenzareazione/esplorazione/creazione/apprendimento;

� la conservazione e trasmissione della varietà (presupposto per la selezione) che vengonospiegate dalla capacità delle routine di incapsulare le conoscenze tacite dei singoli e dei teamin contesti idiosincratici di impresa, e dalla loro possibilit à di essere replicate, a seconda delgrado di incapsulamento.

In campo strategico4 la RBV si è affermata nel corso degli anni Ottanta, come reazione allaconcezione dominante della strategia dell'impresa legata unicamente a fattori esterni ambientali 4 La rilevanza dell ’approccio RBV è rilevabile, inoltre, nella sua fecondità non solo rispetto agli studi strategici, ma ancherispetto a quelli organizzativi (per un inquadramento generale si rimanda a Bergami e Zanoni, 1997) e di manufacturing (perun inquadramento generale si rimanda a De Toni e Tonchia, 1998).

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quali opportunità e minacce di mercato. La rivalutazione dell ’ottica interna basata sulle risorse,rispetto a quella esterna basata sulle relazioni tra prodotti e mercati trae spunto, tra l’altro, dallarilevanza ai fini della crescita di fattori fissi quali il capitale umano e le immobili zzazioni tecniche(Rubin, 1973). In realtà l’autore che viene ritenuto il pioniere della RBV, Wernerfelt (1984), èancora fortemente legato al Bain-Porter framework. Egli , infatti, pur individuando una chiararelazione tra prestazioni delle imprese e eterogeneità delle risorse, definite quali assets legati inmodo semi-permanente all ’ impresa, non rinuncia a mutuare il modello delle cinque forze conparticolare riferimento alle barriere di posizione sulle risorse. Saranno poi i lavori successivi arealizzare il graduale distacco dall ’ impostazione porteriana, ribaltando la prospettiva sulle risorseinterne da vincolo alla strategia, analizzato attraverso la catena del valore, a fonte del vantaggiocompetitivo.

La RBV trova i suoi fondamenti teorici nelle caratteristiche specifiche delle singole risorse e nellerelative modalità di acquisizione e utili zzo:

� eterogeneità delle risorse (Penrose, 1959; Wernerfelt, 1984; Barney, 1986; Peteraf, 1993);� mobilit à imperfetta delle risorse (Dierickx e Cool, 1989, Peteraf, 1993);� possibile unicità ed irripetibilit à delle risorse derivante da “meccanismi di isolamento”

(Rumelt, 1984).In particolare la naturale propensione delle risorse a combinarsi in modo da generare capacità

strategiche/competenze distintive, permette all ’ impresa di conseguire posizioni di vantaggiocompetitivo che diviene rilevante quando è sostenibile.

A partire da tale fondamentale proprietà diversi autori hanno sviluppato la concettualizzazione,ormai consolidata, di gestione strategica secondo l’approccio resource-based che è presentata nelparagrafo seguente.

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§2.2. LA GESTIONE STRATEGICA SECONDO L ’APPROCCIO RESOURCE-BASED

La distinzione tra risorse/assets e capacità/competenze, con il conseguente impatto sullasostenibilit à del vantaggio competitivo5, rappresenta il tratto distintivo della gestione strategicasecondo l’approccio RBV. Saranno poi gli autori della Core Competence School a distinguereulteriormente le capacità dalle competenze, completando la divaricazione dall ’approccio esterno-interno alla gestione strategica.

In un articolo fondamentale Dierickx e Cool (1989) distinguono gli stock di assets dai flussi diinvestimenti che consentono all ’ impresa di costruire il vantaggio competitivo; gli stock siaccumulano nel tempo grazie ai flussi, facilmente modificabili al contrario dei primi. Gli autori,oltre a confermare la proprietà delle risorse, quali barriere all ’ ingresso da parte dei concorrenti(Wernerfelt, 1984), identificano le cause sottostanti la sostenibilit à di una posizione privilegiata: lacombinazione di diseconomie derivanti dalla compressione dei tempi, l’ interconnessione deglistock, l’erosione delle risorse e, soprattutto, la ambiguità causale, impediscono ai concorrenti diimitare i processi che conducono all ’efficienza produttiva.

Per Amit e Schoemaker (1993) le risorse sono costituite dall ’ insieme di fattori disponibiliposseduti o controllati dall ’ impresa, trasferibili o acquisibili dall ’esterno, mentre le capacitàriguardano l’abilit à delle imprese di “dispiegare” le risorse, generalmente in combinazione, rispettoa obiettivi desiderati. In realtà questi autori, nell ’attribuire rilevanza alla coincidenza tra “strategicassets” dell ’ impresa e “industry strategic factors” di settore propongono una lettura della RBVcomplementare all ’approccio “esterno-interno” , tentata, peraltro, dallo stesso Porter (1991).

In generale è possibile notare come i diversi approcci capabilit y (Amit e Schoemaker, 1993;Colli s, 1991, 1994; Grant, 1991, 1996; Leonard-Barton, 1992; Nelson, 1991) proponendo variazionisul tema del legame tra risorse e vantaggio competitivo, pongono in evidenza la naturaorganizzativa delle capacità/competenze che, peraltro, non vengono tra di loro distinte,

Le capacità distintive, infatti, sono sviluppate dalle imprese attraverso processi fondamentali ditrasformazione. Le risorse standard, disponibili nei mercati li beri (dove tutte le imprese possonoacquistarle), sono utili zzate e combinate, nel contesto organizzativo di ogni impresa, con routineorganizzative (Nelson e Winter, 1982, Winter, 1987, Cohen, 1991), al fine di produrre capacità.Queste ultime, a turno possono diventare distintive, e determinare quindi posizioni di vantaggiocompetitivo, se si realizzano determinate condizioni. Aff inché una risorsa abbia potenzialestrategico, ovvero sia in grado di contribuire alla sostenibilit à del vantaggio competitivo, essa devepossedere le seguenti caratteristiche:

� essere di valore, preziosa (valuable), ovvero deve fornire opportunità o neutralizzare minaccecompetitive dell 'ambiente (Barney, 1991);

� essere scarsa (rare), ossia il numero di imprese che la possiedono deve essere minore delnumero necessario per avere concorrenza perfetta tra le imprese (Hirshleifer, 1980);

� essere non imitabile perfettamente (imperfectly imitable), a causa delle condizioni uniche chedeterminano il suo processo di acquisizione e a causa dell ’ambiguità causale che c’è nellegame tra capacità e vantaggio competitivo sostenibile (Lippman e Rumelt 1982);

� essere non perfettamente sostituibili , ovvero non devono esistere risorse equivalenti, dal puntodi vista strategico, per ottenere gli stessi risultati (Barney, 1991; Amit e Schoemaker, 1993);

� presentare limitazioni ex ante (es. facilit à di accesso a determinate risorse nelle fasi iniziali diuna innovazione) o limitazioni ex post (riconducibili alle citate condizioni di imperfettaimitabilit à e sostituibilit à) (Peteraf, 1993).

5 Per alcune considerazioni sul concetto di vantaggio competitivo nella piccola impresa si rimanda al precedente paragrafo 1.6.

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Risorse e capacità rappresentano, dunque, nella prospettiva RBV, le componenti di base per lacostruzione delle strategie di successo. Tali strategie consistono nella ricerca del vantaggiocompetitivo, definito come una posizione unica che l'impresa acquisisce rispetto ai concorrenti(Hofer e Schendel, 1978) e rispetto ai quali essa è capace di creare condizioni di superiorità indeterminati mercati e settori industriali o la produzione di un valore che fornisca risultati superiorialla spesa sostenuta dall 'impresa per crearlo (Porter, 1987). La Tabella seguente sintetizza ledifferenze e le similit udini dei diversi autori analizzati, identificando per ciascuno sia i fattoriritenuti alla base del vantaggio competitivo, sia le proprietà di tali fattori, ovvero le relativecaratteristiche che ne determinano l’attitudine a contribuire alla costruzione graduale, e pathdependent, di meccanismi organizzativi in grado di garantire rendite economiche soddisfacenti.

Tabella 2.1. -Determinanti del vantaggio competitivo e loro proprietà

Autor i

Dierickx e

Cool (1989) Barney (1991) Grant (1991) Peteraf (1993)

Amit e

Schoemaker

(1993)

Andreu e

Ciborr a (1996)

Fattore

alla base

del

Vantaggio

Compet.vo

Risorse e

Capacità

Strategiche

Risorse

Strategiche

Risorse e

Competenze

(Routine

Organizzative)

Risorse

Strategiche

Strategic AssetsCapacità

Distintive

P

R

O

P

R

I

E

T

A'

- Non

acquisibilità

- Cumulabilit à

- Non imitabilit à

- Produzione di

valore

- Rarità

- Bassa

imitabilit à

- Bassa

sostituibilit à

- Difficile

acquisibilità

- Durevolezza

- Non

trasferibilit à

- Non

riproducibilit à

- Eterogeneità

- Limitazioni ex

post della

concorrenza

- Mobilità

- Imperfetta

- Limitazioni ex

ante della

concorrenza

- Complementari

- Scarsità

- Bassa

acquisibilità

- Inimitabilit à

- Bassa

Sostituibilità

- Appropriabilità

- Durevolezza

- Corr ispondenza

con i “ Fattori

strategici di

settore”

- Di valore

- Scarse

- Non imitabili

perfettamente

- Senza sostituti

equivalenti

Fonte: Belli ni, 1999.

Volendo analizzare più nel dettaglio le modalità di realizzazione del vantaggio competitivo daparte dell'impresa è necessario prendere in considerazione i modi in cui gruppi di risorseconcorrono alla creazione delle capacità.

A riguardo ricordiamo due diversi modelli di gestione strategica RBV:i) il modello di Grant (1991);ii ) il modello di Andreu e Ciborra (1996).

Il più consolidato è, probabilmente, quello di Grant (1991), che lega in modo sequenziale lerisorse alle competenze e queste ultime al vantaggio competitivo. L’autore, pur mantenendo unancoraggio ad alcuni concetti chiave del “Bain-Porter framework” , quali ad esempio la necessitàdell ’analisi settoriale e intrasettoriale, afferma la pienezza dell ’ “Approccio Interno-Esterno” alla

29

gestione strategica “…le risorse e le competenze dell'impresa possono essere considerate ifondamenti della strategia di lungo periodo principalmente perché il l oro ruolo è fondamentale nelladefinizione dell 'identità e delle finalità dell'impresa….quando le condizioni esterne cambiano,l'identità dell'impresa può essere definita sulla base delle risorse e competenze interne, elementimolto più stabili delle prime...” . Per Grant le competenze si formano attraverso il coordinamentodella interazione di risorse diverse, grazie alla presenza di routine organizzative (Nelson e Winter,1982) e alla presenza di un sistema di valori condivisi (Peters e Waterman, 1982) tra i membridell ’organizzazione.

Il secondo modello, meno noto, di Andreu e Ciborra (1996) schematizza le relazioni tra risorse,capacità e vantaggio competitivo per mezzo di quattro circuiti (“ loops”) di apprendimento cherealizzano il processo di conversione delle risorse in capacità strategiche:

i) Le pratiche e le routines (Organizational Learning Loop);ii ) Le Competenze/Capacità (Capabilit y Learning Loop);iii ) L’apprendimento strategico (Strategic Loop);iv) L’apprendimento contestuale (Organizational-Formative Loop).

Questo secondo modello spiega le relazioni tra risorse e capacità facendo riferimento, soprattutto,alla letteratura sui sistemi cognitivi che si è caratterizzata per una chiara focalizzazione sulla naturadella conoscenza organizzativa a partire dai lavori fondamentali di Polany (1966) sulla natura dellaconoscenza e di Argyris e Schon (1978) sui processi di apprendimento. L’approccio cognitivo diNonaka e Takeuchi (1995) analizza il processo di creazione della conoscenza organizzativa qualerisultante dell ’ interazione tra la componente tacita e la componente esplicita o codificata dellaconoscenza; esso descrive una “spirale di creazione della conoscenza organizzativa” derivante dalprocesso di conversione tra le due componenti. La prevalenza della dicotomia tacita-codificata nellateoria dell ’apprendimento organizzativo ha influenzato profondamente gli studi sulla gestionestrategica. La natura tacita della conoscenza è stata spesso indicata come una importante fonte divantaggi competitivi e di competenze non imitabili , mentre i vantaggi basati su conoscenze esplicitesono stati giudicati piuttosto instabili dal momento che essi possono essere facilmente compresi eriprodotti, eludendo così le citate proprietà fondamentali delle risorse e delle capacità strategiche(insostituibilità, inimitabilità, irriproducibilit à, ecc.).

§ 2.3. LA COMPETENCE-BASED SCHOOL: IL CONTRIBUTO FONDAMENTALE DI PRAHALAD E HAMEL E IL

CONFRONTO CON LE SCUOLE PRECEDENTI

Il necessario punto di avvio per la analisi degli autori ricompresi nella Competence- Based School(Prahalad e Hamel, Hamel e Heene, Sanchez e Heene) è rappresentato dall ’esame del concetto di“coreness” , ampiamente presente nella letteratura economica e strategica già prima degli anninovanta. Teece, Pisano e Shuen (1992) nel fondamentale lavoro sulle dynamic capabiliti es,distinguono con chiarezza i concetti di:

� competence - che emergono dall ’ assemblaggio delle risorse specifiche dell ’ impresa in clusterintegrati che attraversando le attività specifiche degli i ndividui e dei gruppi incidono sulleprestazioni dell ’ impresa-;

� core competence – quelle criti che per la sopravvivenza dell ’ impresa, rilevabili dal confrontocon le opportunità\minacce esterne6;

� distinctive competence – corrispondenti agli i nsiemi differenziati di skill , risorse e routineorganizzative che permettono all ’ impresa di coordinare le attività che forniscono la base per ilvantaggio competitivo in determinati segmenti di mercato-;

- 6 In questa definizione è riscontrabile una certa similit udine con i fattori critici di successo della scuola harvardiana(Hofer e Schendel, 1978);

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� dynamic capabiliti es – corrispondenti alla capacità dell ’ impresa di rinnovare, accrescere edadattare le proprie core competence nel corso del tempo, e, quindi, fortemente collegate allecompetence latenti.

Il concetto di “core business” rappresenta un utile contesto per spiegare lo sviluppo dellaletteratura strategica basata sulle capacità e sulle competenze; esso definisce le basi da cui l ’ impresapuò adattare ed estendere le sue operazioni in scenari competitivi incerti e, soprattutto, è costituitodall ’ insieme di competenze che definiscono il vantaggio distintivo dell ’ impresa (Teece, 1988). Apartire da tale concetto è chiaro che l’ impresa, nel selezionare e sviluppare nuove competenze,opera nell ’ambito di alcuni vincoli naturali , derivanti dai suoi confini (Leonard-Barton, 1992).

In realtà il primo autore che introduce il concetto di distinctive competence è stato Selznick (1957)che, pur non fornendone una definizione formalizzata, la descrive come un elemento costitutivodell ’organizzazione e, quindi, più come un vincolo che come una leva strategica o una proprietàdelle generiche competenze di impresa.

Anche diversi autori appartenenti alla scuola “harvardiana” hanno utili zzato il concetto didistinctive competence; Andrews (1971) la definisce genericamente come “... ciò cheun‘organizzazione sa fare particolarmente bene…”, mentre Hofer e Schendel (1978) definiscono inmodo più ampio le competencies come “le procedure con cui l ’ impresa dispiega le proprie risorse eskill i n modo da raggiungere i propri obiettivi” .

I concetti di “coreness” sono stati, inoltre sviluppati anche in discipline diverse dagli studistrategici. Nell ’ambito degli studi di “Manufacturing/Operation Management” , Hayes e Weelwright(1979) definiscono la competenza a partire dalla intersezione della matrice prodotti/processi e la“distinctive competence” quale caratteristica unica di ogni impresa capace di garantire vantaggicompetitivi sui concorrenti, mentre altri autori ritengono che il concetto di competence possarappresentare il l egame tra strategia e “production operations” (Skinner, 1969).

Nell ’ambito degli studi di Human Resource Management, Sparrow et al. (1994), nell ’enfatizzarela prospettiva comportamentale dei singoli componenti dell ’organizzazione, distinguono la“Competency (Competencies)” dalla “Competence (Competences)” ; le prime descrivono l’ insiemedi conoscenze, skill e attitudini corrispondenti alle posizioni organizzative (es. ruoli funzionali ,responsabilit à), mentre le seconde corrispondono ai repertori comportamentali che i singoliintroducono nel vissuto dei compiti , dei ruoli e dei contesti organizzativi. Per questi autori le corecompetencies, distinte dalle transitional competencies legate alla gestione corrente, sono quelle che,in definitiva, sono fondamentali per l’ impresa nell ’assicurare continuità alla conduzione strategica.

Anche se, come visto, il concetto di “coreness” appartiene ad un ampio e preesistente ventaglio diapprocci provenienti dai diversi campi dell ’economia e del management, Prahalad e Hamel hanno ilgrande merito di avviare una profonda riflessione negli studi strategici che, nel corso degli anninovanta, ha permesso di identificare una Competence- Based School (CBS) capace, da un lato, diaffermare una originale e completa formulazione della strategia basata su un approccio “ Interno-Esterno” , dall ’altro, di generare una spettacolare produzione di scritti sia di matrice accademica, siadi matrice “practitionner” .

Gli articoli i niziali pubblicati dai due autori su Harvard Business Review e su StrategicManagement Journal (Hamel, 1989; Prahalad e Hamel, 1990, Hamel, 1991; Prahalad e Hamel,1993) hanno, infatti, stimolato una eff icace proiezione dei concetti sviluppati nell ’ambito della RBVe delle dynamic capabiliti es, definendo un quadro teorico capace di completare alcune dimensioninon adeguatamente sviluppate da tali approcci. In particolare, a partire dalla conferenza di Genk(Belgio) del 1992, sponsorizzata dalla Strategic Management Society, un gruppo di ricercatori hasvolto un eff icace e coordinato lavoro di ricerca che è sfociato sia nella organizzazione di una“ International Conference on Competence-Based Management” a cadenza biennale, sia nellaproduzione di diversi testi che possono essere ricompresi nelle definizioni di Competence-Based

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Competition (Hamel e Heene, 1994; Sanchez Heene e Thomas, 1996) e, successivamente diCompetence-Based Strategic Management (Sanchez e Heene, 1997).

Coerentemente con tali coordinate presentiamo, dopo una premessa di carattere generale suilegami e sugli avanzamenti della Competence- Based School rispetto alla RBV e agli approccitradizionali , un breve richiamo alle due concettualizzazioni più significative:

i) Lo “Strategic Intent” di Prahalad e Hamel (1990, 1993, 1994) -la cui rilevanza rispettoagli obiettivi della ricerca sta nella netta chiarificazione dei concetti chiave dellagestione strategica core competence-based-;

ii ) Il modello dell ’ “ Impresa Sistema Aperto” di Sanchez e Heene (1995, 1997) –la cuirilevanza rispetto agli obiettivi della ricerca sta nello sforzo di costruire una teoriagenerale del competence-based strategic management e, soprattutto, nella generazione diun vocabolario condiviso.

La “immediata, elevata ed inusuale risonanza” (Rumelt, 1994) che la Competence- Based Schoolha ottenuto presso la comunità accademica e “practitioner” può essere spiegata dalla sua duplicecapacità di mantenere una forte coerenza con gli assunti della RBV e di completarne alcuni limitiderivabili dalla mancata autonomia concettuale rispetto al “Bain-Porter Framework” . InfattiWernerfelt (1995), commentando il modello di Prahalad e Hamel nell ’ambito dei diversi approccicompetence-based, non esita a definirlo quello più direttamente collegato alla RBV, giungendo adaffermare che

“ these authors were single-handedly responsible for diffusion of resource-based view intopractice” .

Per Prahalad e Hamel le core competence, intese come integrazioni di più tecnologie e più skillcapaci di offr ire un particolare beneficio al cliente, rappresentano il tessuto connettivo dei diversibusiness in cui opera l’azienda. Esse rappresentano, nella famosa metafora dell ’albero-impresa, leradici da cui nascono i core product (il tronco e i rami portanti), le business unit (i rami più piccoli )e i prodotti finali (foglie, fiori e frutti). Tipicamente le core competence, risultandodall ’apprendimento collettivo dell ’organizzazione, sono diff icili da imitare e da sostituire e, dunque,coerentemente con gli assunti teorici della RBV, tendono a fornire vantaggi competitivi sostenibili .

Nondimeno Prahalad e Hamel giungono ad un distacco completo dall ’approccio “esterno-interno”che pure in qualche forma è mantenuto dagli autori RBV, come ad esempio la rispondenza con glistrategic assets (Amit e Schoemaker, 1993) la rilevanza dell ’analisi di settore (Grant, 1991), ilconfronto con le minacce/opportunità esterne (Teece et al., 1992). Prahalad e Hamel non esitano adefinire la loro proposta come un “nuovo paradigma7 strategico” che, completando e/o ribaltandogli approcci precedenti “non solo” sia capace di recepire reattivamente alcuni concetti chiavematurati nelle diverse discipline manageriali , “ma anche” di estenderle proattivamente verso nuovedimensioni:

� temporali (dalla previsione/forecast alla preveggenza/foresight-);� settoriali (trasformare il settore; competere non per le quote di mercato, ma per le quote di

opportunità);� organizzative (dalla riprogettazione dei processi alla rigenerazione delle strategie).

In tal senso ci sembra che i principali tratti distintivi della Competence-Based School rispetto agliautori precedenti, possano essere così sintetizzati:

7 In realtà il paradigma è definito da Kuhn (1970) come “ insieme di leggi, teorie, applicazioni e strumenti che fornisconomodelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza; i paradigmi hanno unaconnotazione dinamica e dopo periodi di stabilit à (“di scienza normale”) sono destinati ad essere sostituiti attraverso le“rivoluzioni scientifiche”. Conseguentemente sembra preferibile utili zzare il termine di scuola che sembra, comunque capacedi descrivere la autonomia concettuale dei due autori rispetto alla evoluzione degli studi di gestione strategica.

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� estensione della tradizionale nozione di strategia come corrispondenza -“ fit” dellecaratteristiche dell ’ impresa con le tendenze dell ’ambiente esterno alla strategia cometensionamento -“stretch”- delle risorse rispetto alle aspirazioni dell ’ impresa, in modo daacquisire nuove competenze capaci di trasformare l’ambiente competitivo in suo favore(Hamel, 1994);

� il passaggio dalla strategia come “allocazione di risorse” alla strategia come “leverage” dellerisorse, moltiplicandone le possibilit à di impiego attraverso le diverse produzioni e le diverseunità dell ’ impresa;

� il superamento della dicotomia “orientamento alla tecnologia vs. orientamento al cliente”attraverso lo sviluppo di competenze tecnologiche capaci di portare benefici ai clienti nonancora immaginabili .

In particolare Prahalad e Hamel propongono un concetto più completo e, quindi, strategico di corecompetence capace di esprimerne:

� la valenza organizzativa (core competence come risultato dell ’apprendimento collettivo);� la valenza tecnologica (core competence come integrazione di più skill e più tecnologie);� la valenza competitiva (core competence come fonte estensibile di vantaggio competitivo oltre

i prodotti/mercati attuali );� la valenza di marketing (core competence come contributo alla creazione di benefici che

generano valore percepito dal cliente).

La possibilit à di assumere i contributi di Prahalad e Hamel come elementi fondanti dellaCompetence-Based School emerge dal confronto con le tre scuole precedenti analizzate nel Capitolo#1.

Con particolare riferimento al confronto con la planning school emergono alcune caratterizzazionifondamentali:

� il passaggio dal modello della “pianificazione strategica” finalizzato a obiettivi incrementali diquota e posizionamento e basato su processi analiti ci e formali , al modello della “architetturastrategica” finalizzato a obiettivi dinamici e discontinui di creazione di nuovi spazi competitivi,e basato su processi creativi e competence-based;

� il passaggio dalla visione dell ’ impresa come “portafoglio di prodotti” , con la conseguenteconfigurazione strategica in unità di business alla visione dell ’ impresa come “portafoglio dicompetenze”, con la conseguente prospettiva olistica sull ’ impresa come unità di analisiglobale;

� il deciso superamento della natura industry-specific della fonte della redditività con la criti ca almodello delle cinque forze e la riconduzione della redditività alla ridefinizione dei confini deisettori e dei rapporti tra prezzo e prestazioni;

� il superamento degli approcci tradizionali di marketing fondati sull ’analisi dei comportamentidi acquisto e dei segmenti di mercato con la proposta dell ’ expeditionary marketing (marketingda esploratore) fondato sul coinvolgimento del cliente nello sviluppo dei prodotti, attraversouna serie di incursioni sul mercato a intervalli ravvicinati e a basso costo, capaci di moltiplicarela velocità di iterazione e di graduale adattamento delle funzionalità.

Con particolare riferimento al rapporto con la Learning School emergono sia punti di contatto cheelementi di differenziazione:

� entrambe le scuole enfatizzano il ruolo dell ’apprendimento, ma mentre per Mintzbergl’apprendimento si fonda con la spontaneità nel definire i modelli strategici dei singolimanager, per Prahalad e Hamel l ’apprendimento organizzativo di tutti i componentidell ’ impresa genera intenzionalmente le core competence;

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� addirittura, con riferimento all ’ incidenza dell ’apprendimento sulla costruzione delle strutturemanageriali (managerial frames), i due autori giungono ad invocare la necessità di disimparareselettivamente, creando una “unlearning organization” , in modo da attivare, coerentemente coni meccanismi di attivazione della varietà genetica delle teorie evoluzioniste, nuoveconfigurazioni degli skill e degli asset;

� entrambe le scuole sono accomunate dalla forte criti ca alla Planning School e, quindi, dallaproposta della necessità di superare la separazione tra momento della formulazione e momentodella implementazione della strategia, ma , probabilmente, la Learning School sembra piùrivolta al passato, con l’attenzione alla progressiva storicizzazione incrementale delle strategieemergenti, mentre la Competence-Based School appare decisamente rivolta al futuro, con ilriferimento, forse eccessivo, alla necessità di realizzare, se pure attraverso unno sforzocostante, discontinuità radicali .

Anche con riferimento al rapporto con la Entrepreneurial School emergono sia punti di contattoche elementi di differenziazione:

� notevoli sono le aff inità tra la visione, come “idea intuitiva di possibili stati futuri deviantirispetto alla situazione attuale… capace di orientare l’apprendimento” (Norman, 1977), e lacapacità percettiva (foresight), quale “… intuizione precisa sulle future tendenze in campotecnologico, demografico, normativo…” che conduce alla leadership intellettuale e allacostruzione delle core competences (Prahalad e Hamel, 1993);

� tuttavia gli stessi autori tengono a precisare la distinzione tra vision e foresight, derivante dallamaggiore capacità delle percezioni di integrare creatività e concreta fattibilit à dal momento cheesse scaturiscono dalle attuali configurazioni di prodotti e mercati lette attraverso le lentiinnovative delle competenze, delle funzionalità, dell ’eclettismo;

� comunque, a nostro giudizio, appare forte il l egame tra la vision e lo strategic intent, intesoquale “…sogno energizzante … che fornisce l’energia di tipo emotivo ed intellettuale …chetende (stretch) l’azienda oltre le attuali risorse e capacità”; infatti lo stesso Norman non esita adescrivere le relazioni tra visione, tensioni, e sviluppo della conoscenza quali elementi dell ’ ideadi sviluppo dell ’ impresa;

� sicuramente profonda è la distanza tra il concetto fondamentale, nella “EntrepreneurialSchool” , di business idea, fondato sulla consonanza tra segmento di mercato, prodotto estruttura e l’ idea di “strategy as stretch and leverage” che propone una logica ribaltata fondatasulla distonia tra risorse ed obiettivi.

§2.4. LA COMPETENCE-BASED SCHOOL : IL CONSOLIDAMENTO TEORICO

La RBV, pur nella indubbia valenza teorica, ha generato una grandissima confusioneterminologica tra i diversi autori. Gli stessi Prahalad e Hamel non hanno contribuito, data la naturaseminale del loro lavoro, a dare una precisa sistemazione teorica ed una definizione univoca aidiversi concetti proposti. Conseguentemente la copiosa letteratura che si è sviluppata nel corso deglianni novanta ha utili zzato i concetti di Risorse, Conoscenze, Skill , Capacità, Competenze in modospesso vago e con significati sovrapposti.

A partire da tali limiti gli autori appartenenti al competence-based strategic management (Hameland Heene, 1994; Sanchez and Heene, 1997; Sanchez, Heene e Thomas, 1996), hanno perseguitol’ambizioso obiettivo di sviluppare i necessari avanzamenti per la costruzione di “una nuova teoriadello strategic management derivata dalla prospettiva core competence” e, soprattutto, hannodistinto le Capacità dalle Competenze, proponendo l’adozione di un vocabolario condiviso peridentificare i fenomeni competitivi e descrivere più precisamente possibile le relazioni sottostanti.

Conseguentemente la analisi di questi autori viene articolata su due punti fondamentali:

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� il contributo alla sistemazione teorica dei concetti derivanti dalla RBV e dai lavori di Prahalade Hamel;

� il contributo alla precisazione terminologica e alla proposta di adozione di un vocabolariocomune, necessario per l’avanzamento della teoria.

Il contributo teorico parte dalla constatazione di alcuni evidenti limiti di quella che gli autoridefiniscono come una current strategy theory che raggruppa RBV, industrial organization eprospettiva core competence:

� la scarsa attenzione all ’ influenza che le dinamiche ambientali e competitive esercitano suiprocessi di creazione e gestione delle organizational capabiliti es (Sanchez e Heene, 1997);

� un “ impasse epistemologico” , ascrivibile alla matrice positivistica e “non teleologica”, checonduce solo alla spiegazione teorica ex post delle dinamiche competitive e delle risorsestrategiche, ma risulta incapace di offrire elementi predittivi ex ante circa le risultanze delgioco competitivo (Gorman, Sanchez e Thomas, 1996);

� un problema tautologico derivante dalla circolarità della RBV8 secondo cui risorse strategichegenerano redditività, e la maggiore redditività permette lo sviluppo di risorse strategiche(Mosakowsky e McKelvey, 1997);

� la scarsa connessione tra teoria e pratica strategica, derivante dalla mancata messa adisposizione degli operatori di impresa di strumenti capaci di tradurre le intuizioni concettualiin processi gestionali ed organizzativi (Mahoney e Sanchez, 1997).

In risposta a tali limiti gli autori propongono il passaggio ad un “concetto multidimensionale dicompetenza” che ne incorpora le proprietà dinamiche, cognitive, olistiche e sistemiche (Sanchez,Heene, Thomas, 1996).

La dimensione dinamica permette di analizzare la co-evoluzione dei cambiamenti ambientali edorganizzativi, derivante dai diversi li velli di interazione dell ’ impresa con fonti esterne di risorse(Roehl, 1996), con i clienti (Lang, 1996), con altre imprese concorrenti (Amit e Rotem, 1997), conil territorio (Jensen, 1996).

La dimensione cognitiva, derivante dalla influenza delle cognizioni manageriali (assimilabili aimangerial frames di Prahalad e Hamel) sulla scelta degli obiettivi strategici e sugli effetti di“stretch” delle risorse, permette di passare da una osservazione “dall ’esterno” , tipica delle teoriepositivistiche ad una “dall ’ interno” capace di distinguere superiori prestazioni delle imprese da“colpi di fortuna” o da fattori stocastici (Barney, 1986; Mosakowsky e McKelvey, 1997).

La dimensione olistica conduce ad una visione dell ’ impresa come “sistema umano-socio-economico” , le cui prestazioni possono essere misurate con strumenti che vanno oltre i consolidatieffetti finanziari di redditività e di valore (Sanchez e Thomas, 1996) e che tengono conto dellaspecificità degli obiettivi (goals) della singola impresa, rafforzando l’ “ imperativo teleologico” diuna analisi “dall ’ interno” .

La dimensione sistemica, infine conduce al modello della “Firm as goal-seeking opeen system”che sintetizza i concetti-chiave della teorizzazione proposta dagli autori quale avanzamento eriordino della RBV e del contributo di Prahalad e Hamel.

L’ impresa sistema aperto persegue strategic goals che comprendono un insieme di obiettivispecifici di ogni singola impresa. Nel perseguire tali obiettivi ogni impresa segue una sua baserazionale (strategic logic) per definire li velli di raggiungimento degli obiettivi (goal attainment). Lastrategic logic di una organizzazione ne condiziona i processi gestionali (management process) chedeterminano le modalità con cui l ’ impresa identifica, acquisisce e usa le risorse. Le risorse utili zzatedall ’ impresa risiedono inevitabilmente sia all ’ interno (firm-specific resources) sia presso altre - 8 Tale circolarità rappresenta uno delle principali critiche alla RBV. Porter (1991) scrive “ …le imprese vincenti hannosuccesso perché detengono risorse uniche, per cui esse coltiverebbero risorse uniche per essere competitive…ma cos’è unarisorsa unica?…” .

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organizzazioni (firm-addressable resources). Conseguentemente l’ impresa funziona come unsistema aperto che deve continuamente completare gli stock di risorse tangibili e intangibili , permezzo di proprie interfacce con altre imprese e con i mercati. I cambiamenti strategici derivanodalla percezione, da parte dei decisori aziendali , di divari (strategic gap) tra lo stato desiderato e lostato effettivo delle risorse e dei processi all ’ interno dell ’ impresa. Le imprese sono costrette acompetere e a cooperare con altre imprese per ottenere i flussi e le risposte di mercato necessarie acolmare gli strategic gap che determinano i comportamenti produttivi (operations) e competitivi(product markets). I cambiamenti negli stock e nei flussi, sono gestiti all ’ interno dell ’ impresa permezzo di circuiti di retroazione (Control Loops) che sono soggetti ad una crescente ambiguitàcausale man mano che l’ impresa prova a monitorare e modificare gli elementi di sistema “di ordinesuperiore” (strategic logic e management processes). La complessità di tali cambiamenti èulteriormente accresciuta se si considera la dimensione temporale, ovvero la maggiore resistenzadegli elementi di ordine superiore nei confronti delle dinamiche ambientali ; in tal caso leprestazioni dell ’ impresa vengono a dipendere dalla flessibilit à strategica (Sanchez, 1995), risultantedal possesso di risorse flessibili (flexible resources) e di capacità di coordinamento flessibile(flexible coordination abiliti es).

Il modello proposto è stato applicato, con i necessari adattamenti, sfruttandone la validitàinterpretativa sia “all ’ interno” dell ’ impresa, come nel caso delle complementarità dinamiche alivello corporate (Christensen e Foss, 1997) e dei processi di sviluppo delle competenze (Black eBoal, 1997), sia nei rapporti tra l’ impresa e i suoi mercati (Walli n, 1997).

Il modello contiene senza dubbio espliciti riferimenti ad autori visti nei precedenti paragrafi, comenel caso della distinzione tra stock e flussi (Dierickx and Cool, 1989), dell ’ambiguità causale(Lippman e Rumelt, 1982), dei loops di controllo e apprendimento (Andreu e Ciborra, 1996), delledynamic capabiliti es (Teece et al., 1993). D’altro canto esso sembra evidenziare alcune risposte aicitati limiti dei contributi sulla gestione strategica RBV e “core competence”:

� il superamento di una spiegazione unidirezionale e riduzionista dei concetti-chiave dellagestione strategica, con l’ identificazione di una causalità multidirezionale, in cui mezzi e fini siconfondono, maggiormente capace di catturare la complessità e le interdipendenze tral’ impresa e i suoi contesti competitivi;

� la rilevanza, anche nell ’ambito della teoria strategica, della definizione dei confinidell ’ impresa, con l’ identificazione di unità di analisi che vanno oltre le definizioni giuridiche,sia in senso “micro “ (es. gruppi o processi interni all ’ impresa), sia in senso “macro” (es. reti diimprese o sistemi territoriali )

� la considerazione che la focalizzazione su singole determinate variabili (cinque forze, risorsestrategiche o core competence) rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente perspiegare le dinamiche competitive dell ’ impresa, dal momento che la natura sistemica dellecompetenze ne rende molto diff icoltosa la rilevazione.

In definitiva gli autori ritengono che non è possibile identificare realmente competenze “core” senon dopo aver definito un concetto complesso ma definito di “competenza per sé” ; in tal senso laprospettiva “core competence” non può prescindere dalla considerazione che ogni competenzarichiede una ragnatela di risorse e capacità, nessuna delle quali , presa da sola, è in grado di spiegarele dinamiche competitive. La definizione precisa delle differenze tra i concetti di risorse, capacità ecompetenze, diventa così il contributo fondamentale degli autori del competence based strategicmanagement. Ad esso è dedicato il paragrafo seguente.

§2.5. CATEGORIE DI RISORSE, CAPACITÀ E COMPETENZE NELL A “ COMPETENCE-BASED SCHOOL”

Rispetto agli obiettivi della ricerca è necessario partire da una chiarificazione rigorosa dei concettiutili zzati nella conduzione della ricerca empirica. Tale condizione preliminare è resa

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particolarmente diff icile nel caso delle teorie competence-based, che, come visto in precedenza,hanno generato un utili zzo spesso vago e disordinato della terminologia e degli approcci. Uno deicontributi fondamentali dei diversi autori del competence-based strategic management sta proprionella proposta di un vocabolario condiviso, ritenuto necessario sia per lo sviluppo di una teoriacompleta, sia per la conduzione di ricerche empiriche, al momento piuttosto limitate.

Una maggiore comprensione delle potenzialità e dei limiti dell ’approccio competence-basedpassa, quindi, attraverso un approfondimento delle diverse definizioni date in letteratura sui concettifondamentali di risorse, capacità e competenze.

Nella tabella seguente si riportano alcune delle definizioni di risorse, capacità e competenze chesono sembrate più significative. Esse vengono confrontate tra loro e con le definizioni che,coerentemente con le conclusioni del precedente paragrafo verranno adottate nel seguito dellaricerca (Sanchez, Heene e Thomas, 1996). Nella tabella vengono anche evidenziate alcune dellerelazioni individuate tra le definizioni dei vari autori.

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Un primo gruppo di autori presenta definizioni di risorse riconducibili t ra loro: le risorse sonodefinite come fattori di produzione in ingresso fissi e specifici di un'impresa (Nanda, 1996, Rubin1973), come stock di fattori disponibili che sono posseduti o controllati dall'impresa (Amit eSchoemaker, 1993) e infine come fattori produttivi identificabili specificatamente anche se nonnecessariamente separabili dal complesso aziendale (Buttignon, 1996). La definizione di Nandadistingue gli i nput fissi da quelli variabili . Una differenza con Amit e Schoemaker è riconoscibilenell 'identificazione delle risorse con i fattori di produzione di ingresso trasferibili e delle capacitàcon quelli fissi e specifici dell'impresa.

Le risorse generalmente vengono distinte in fisiche e intangibili: sono ad esempio intangibiliquelle basate sull'informazione (risorse invisibili secondo Itami, 1987), come la fiducia delconsumatore, l'immagine della marca, il controllo della distribuzione, la cultura corporativa, l'abilit àdi amministrazione. Una risorsa intangibile è resistente, contribuisce come un fattore di produzione,e si svaluta nel tempo (Dierickx e Cools, 1989). Le differenze principali tra i due tipi di risorse sonoda ricercare nel fatto che le seconde non hanno esistenza fisica e sono determinate dall'accumulo deirisultati dei processi di produzione dell 'impresa; nel flusso di produzione, per esempio, entrano ingioco: la conoscenza impiegata, la qualità del prodotto, il sapere organizzativo, il capitale umanodel lavoratore, il valore della marca.

Le capacità sono definite come applicazioni potenziali delle risorse (Nanda, 1996). Capacità erisorse sono termini strettamente collegati: l 'accesso ad una risorsa porta ad una capacità, unacapacità deriva dal possesso di una risorsa. Tale definizione di capacità è sostanzialmentecoincidente con quelle di Grant (1991) di capacità come insieme di risorse per realizzare qualchecompito o attività. Una capacità può includere una serie di risorse utili per realizzarle, e può talvoltaanche essere ricavata a partire da risorse diverse (risorse sostitutive). La definizione di Sanchez,Heene e Thomas (1996) include quelle precedenti, in particolare quella di Nanda (1996), in quantoquesti distingue capacità e competenze solo in base all ’ “ordine” più o meno elevato. Amit eSchoemaker (1993) definiscono le capacità pressappoco come le competenze di Sanchez, Heene eThomas (1996) e infine Buttignon (1996) identifica le capacità con le risorse.

Le competenze sono definite da Grant (1991) come interazioni di risorse diverse che lavoranocongiuntamente svolgendo compiti complementari come in una squadra. Esse rappresentano insostanza tutto ciò che l'impresa sa fare e le modalità di attuazione, cioè le capacità di far cooperare ecoordinare le risorse necessarie allo sviluppo delle routine organizzative, definite come i modelli diattività dal funzionamento regolare e prevedibile, costituito da una serie di azioni coordinate daisingoli (Nelson e Winter, 1982, Grant, 1991). Questa definizione è riconducibile a quella diSanchez, Heene e Thomas (1996), anche se quest'ultima è più specifica includendo tre condizioniaggiuntive, ed è più completa di quella di Nanda (1996) di competenze come procedure di ordinepiù elevato che sviluppano e configurano le risorse organizzative. Inoltre le definizioni di Grant(1991) e Nanda (1996) si collegano, nel concetto di routine organizzative, anche con le capacitàdefinite da Amit e Schoemaker (1993). Infine Buttignon (1996) collega strettamente risorse ecompetenze definite come risorse produttive di ordine superiore che contribuiscono ancheall 'accumulazione delle risorse specifiche necessarie a perseguire i progetti di sviluppo dell 'impresa;sussiste pertanto un collegamento con le competenze di Sanchez, Heene e Thomas (1996) inparticolare con le condizioni di intenzionalità e raggiungimento degli obiettivi.

Come già accennato nei paragrafi precedenti nel seguito del lavoro verranno utili zzate ledefinizioni proposte da Sanchez, Heene e Thomas (1996) che sembrano offr ire maggiori risposte aicitati limiti delle teorie competence based e alla necessità di adottare una prospettiva specifica pergli studi strategici, adottando un “vocabolario condiviso” che non può essere utile anche perl’applicazione dell ’approccio competence-based in altre discipline (es. organizzazione e gestionerisorse umane, manufacturing). Conseguentemente la tabella seguente, elaborata a partire da

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Sanchez, Heene e Thomas (1996), riprende la proposta di vocabolario condiviso degli autori delcompetence-based strategic management, che verrà utili zzato nel seguito della ricerca.

Tabella 2.3 I l vocabolario condiviso del competence-based strategic managementRISORSE (assets): tutto ciò di tangibile o intangibile che l’ impresa può usare nei suoi processi per creare, produrre, e/ooffrire i propri prodotti (beni o servizi) al mercato, ovvero utili per detenere una certa posizione o rispondere alle opportunitào alle minacce che si presentano sul mercato. Le risorse tangibili esistono fisicamente come gli impianti e le strutture. Quelleintangibili non hanno una consistenza fisica, ad es. la conoscenza (tacita e non), l’ informazione, la reputazione, i diritti diproprietà intellettuale. Le risorse di importanza strategica possono essere firm-specific o firm-addressable. Le prime sonoquelle che l’ impresa possiede o almeno controlla totalmente, mentre le seconde sono quelle disponibili nell ’ambiente esternocui l ’ impresa può accedere di volta in volta.

CAPACITA’ (capabiliti es): sono le procedure ripetibili di azione nell ’uso delle risorse per creare, produrre, e/o offrire iprodotti al mercato. Poiché le capacità sono risorse intangibili che determinano gli usi di altre risorse tangibili o non, essepossono essere considerate come una speciale categoria di risorse. Quindi le capacità enfatizzano la natura organizzativa eprocedurale delle risorse.

ABILITA’ (skil ls): è una speciale forma di capacità, con la connotazione di essere piuttosto specifica, usata in una situazionespeciale o relazionata all ’uso di una specifica risorsa. Per es. un’ impresa può avere una capacità nella efficiente manifatturache consiste in un certo numero di skill s specifiche, come mantenere l’assetto delle macchine, monitorare la conformità allespecifiche, ed altri compiti specifici.

COMPETENZA (competence): è un'abilit à a sostenere il coordinato impiego di risorse in modo tale da aiutare un’ impresa araggiungere i suoi obiettivi. La parola “ abilit à” è usata in senso ordinario con il significato di “ potere di fare qualcosa” . Peressere riconosciuta come una competenza, un’attività aziendale deve possedere unitamente le tre condizioni di organizzazione,intenzione, e raggiungimento di un obiettivo. Se le attività di un'impresa portano in qualche modo al raggiungimento di un obiettivo, ma le attività mancano dell ’elementodi intenzione implicita nell ’utili zzo delle risorse, o di organizzazione implicita nella coordinazione dell ’ impiego delle risorse,allora il raggiungimento di tale obiettivo da parte dell ’ impresa può essere considerato come una questione di fortuna (Barney1986), non come il risultato di una sua competenza. Similmente, se un’ impresa possiede intenzione e organizzazione nelcoordinare l’ impiego delle risorse, ma le sue attività non promettono né ottengono risultato in qualche misura orientato alperseguimento di un obiettivo, le sue attività non costituiscono competenze.In un ambiente dinamico, le competenze conservabili richiedono un adattamento continuo per mantenere un efficiente ecoordinato utili zzo delle risorse in presenza di condizioni mutevoli . Anche in un ambiente stabile, tali competenze per esserepreservate richiedono uno sforzo per superare la sistematica tendenza all ’entropia organizzativa (es., un graduale declinonella capacità di coordinare o nella chiarezza delle intenzioni che motivano un continuativo utili zzo delle risorse).

COMPETENCE BUILDING: è ogni processo con cui un’ impresa raggiunge cambiamenti qualitativi nel suo esistente stock dirisorse e capacità, incluse le nuove abilit à a coordinare e impiegare nuove o esistenti risorse e capacità in modo da aiutarel’ impresa a perseguire un suo obiettivo. La competence building crea in effetti nuove possibilit à per azioni future dell ’ impresafinalizzate a obiettivi stratgeici. Tali competenze si hanno quando l’ impresa acquista qualitativamente risorse differenti (peres. un nuovo tipo di macchina) che può usare unitamente alle già esistenti capacità, ma in genere la competence buildingdetermina la creazione o l’adozione di nuove capacità (nuove procedure d’azione) nell ’uso di nuove o preesistenti risorse.

COMPETENCE LEVERAGING: è l’applicazione di preesistenti capacità dell ’ impresa alle correnti o nuove opportunità dimercato in modo da non richiedere cambiamenti qualitativi nelle risorse o capacità dell ’ impresa. La competence leveragingpuò ottenersi usando stock di risorse e capacità preesistenti o può richiedere cambiamenti quantitativi di risorse e capacitàsimili a quelle che l’ impresa già usa. La competence leveraging è in pratica l’esercizio di una o più delle opportunità giàesistenti di un’ impresa per agire, creato dalla sua competence building; per es. usando le risorse e le capacità esistenti perprodurre e vendere i correnti prodotti è una forma di competence leveraging. Similmente aumentare i volumi aggiungendo unaseconda linea di produzione è ancora una competence leveraging perché si sta esercitando un’esistente opzione usandorisorse simili già impiegate dalle esistenti competenze. Aumentare la produzione sviluppando o producendo nuovi tipi diprodotti comunque richiederebbe competence building per creare nuove opzioni per l’azione che richiede qualitativamentedifferenti risorse e capacità.Fonte: elaborazione a partire da Sanchez, Heene e Thomas, 1996.

Generalmente le risorse vengono analizzate sulla base di raggruppamenti in categorie specifiche.L'elencazione dettagliata delle risorse di un'impresa, infatti, può risultare cosa estremamentediff icile: nella maggior parte delle imprese non esiste infatti un documento contabile o gestionaleche riporti un tale elenco. La tabella seguente mostra un esempio di classificazione di categorie di

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risorse a partire da quella proposta da Hofer e Schendel (1978) e ill ustrata da Grant (1991),identificando otto tipologie9.

Tabella 2.4. Classificazione delle risorseRisorseFisiche

Dimensione, localizzazione, sofisticazione tecnica e flessibili tà degli i mpianti e macchinari.Localizzazione e utili zzi alternativi di terreni e fabbricati. Riserve di materie prime.

RisorseTecnologiche

Dotazione di tecnologie proprietarie, brevetti, diritti di autore, segreti di fabbricazione e expertise nellaapplicazione della tecnologia (know-how). Risorse d’ innovazione: laboratori di ricerca, personaletecnico e scientifi co.

RisorseUmane

Grado di addestramento (training), esperienza (expertise), adattabilità, impegno e fedeltà deidipendenti che determinano le capacità di cui dispone l’ impresa e la possibili tà di mantenere posizionidi vantaggio competitivo.

RisorseOrganizzative

Struttura formale dei sistemi di reporting dell ’ impresa, modalità formali e informali di pianificazione econtrollo, sistemi di coordinamento, relazioni informali tra gruppi di persone nell ’ impresa e traimpresa e ambiente.

Risorsed’ immagine

Immagine esistente nell ’ impresa di efficienza, quali tà e affidabili tà

Risorse direputazione

Reputazione presso i clienti attraverso il possesso di marchi, relazioni durevoli , immagine di qualità eaffidabili tà di prodotti e servizi. Reputazione dell ’ impresa presso fornitori (di materiali, servizi eimmobili zzazioni), banche e altri finanziatori, personale attuale e potenziale, governi e comunità.

RisorseFinanziarie

Capacità di indebitamento e di autofinanziamento e i fondi generati internamente determinano lacapacità di investimento e di recupero ciclico delle risorse.

RisorseDistributive

Network distributivo. Fedeltà dei canali . Quota di mercato. Customer assets (reputazione,immagine/reputazione di prodotto. Fedeltà dei clienti. Notorietà di mercato. Network di servizio.

FONTE: Elaborazione da Grant (1991), Hofer & Schendel (1978), Vicari (1991).

Per poter utilmente classificare le capacità di un'impresa, è necessario in qualche modoindividuare le attività che le contraddistinguono. Nella tabella seguente tratta da Grant (1991) vieneriportata una semplice classificazione delle principali funzioni aziendali e relative capacità:

Tabella 2.5. Identificazione delle capacità di un' impresaArea funzionale Capacità

Direzione generale

Sistemi di controllo finanziari efficaci e Gestione delle acquisizioniCapacità nel controllo strategico di un'impresa diversificata Efficacia nel motivare ecoordinare la gestione di divisioni e unità operativeStile gestionale collaborativo e orientato al valore.

Ricerca e sviluppoCapacità nella ricerca di baseCapacità di sviluppare prodotti innovativiVelocità di sviluppo di nuovi prodotti

ProduzioneEfficienza nei volumi di produzioneCapacità di migliorare costantemente i processi di produzioneFlessibilit à e tempestività di rispostaCapacità di design

MarketingGestione e promozione del marchioComprensione di tendenze di mercato e reattività ai cambiamenti Promozione esfruttamento di reputazione di produttori di qualità

Vendite-DistribuzioneEfficacia nella promozione e nella conduzione delle vendite Efficienza e velocità didistribuzioneQuali tà ed efficacia del servizio ai clienti.

FONTE: Grant (1991): Classificazione delle funzioni aziendali e delle relative capacità.

§2.6. OSSERVAZIONI FINALI

La analisi svolta in questo capitolo permette di evidenziare alcune osservazioni rispetto agliobiettivi della ricerca:

� la necessità di rileggere in chiave dinamica e path dependent gli approcci legati alla LearningSchool e alla Entrepreneurial School;

� il consolidamento, nell ’ambito dei diversi approcci capabilit y, della identificazione di unarelazione fondamentale tra risorse, capacità e vantaggio competitivo;

9La identificazione delle categorie specifiche di risorse e di capacità utili zzate nella ricerca empirica per l’analisi dellestrategie di innovazione delle piccole imprese, è presentata, a valle dell ’esame della letteratura, nel successivo paragrafo §3.2.

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� l’esistenza, in chiave strategica, di una fondamentale differenza tra i concetti di capacità,competenza e core competence;

� la necessità di una chiara e rigorosa identificazione, ai fini della conduzione di ricercheempiriche ispirate all ’approccio competence-based, dei diversi concetti chiave di risorse,conoscenza, competence building, competence leveraging;

� la necessità, ai fini della identificazione di effettive competenze alla base dell ’eff icacia dellestrategie di innovazione, di una preesistente intenzionalità nel perseguimento di determinatiobiettivi e di uno strategic intent nell ’uso delle risorse e delle capacità.

Inoltre sono state proposte alcune definizioni precise dei concetti chiave del competence-basedstrategic management che necessitano di un adattamento rispetto agli obiettivi della ricerca;conseguentemente la proposta di categorie di risorse e capacità che verranno utili zzate per laricerca empirica saranno definite a partire dalla analisi delle strategie di innovazione cui è dedicatoil prossimo capitolo.

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Capitolo #3 –Uno schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccoleimprese basato su Competenze e Relazioni

§3.1. LE STRATEGIE DI I NNOVAZIONE: DALL ’APPROCCIO TRADIZIONALE ALL ’APPROCCIO DINAMICO

I capitoli precedenti hanno evidenziato come, nell ’ambito della tassonomia di opzioni strategicheper le piccole imprese proposta da Isa Marchini (1995b), le strategie di innovazione rappresentino latipologia che riconduce ad unità i diversi avanzamenti teorici sviluppati nell ’ambito delle teorieresource-based e del competence-based strategic management. Coerentemente con gli obiettividella ricerca, in questo capitolo presenteremo, dopo una introduzione sulla evoluzione degli studisulle strategie di innovazione (SDI), alcune considerazioni sulle specificità del processo diinnovazione nelle piccole imprese, presentando una ipotesi di applicazione dell ’approcciocompetence-based e definendo le specifiche categorie di risorse e di capacità che verrannoutili zzate nello schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese.

Data la prospettiva strategica della ricerca, sembra utile premettere la angolazione da cui verrannoaffrontati tali argomenti. Il concetto di innovazione cui si farà riferimento sarà quello organizzativo-strategico-manageriale, che non rappresenta una elaborazione degli approcci neoclassici,“schumpeteriani” (“paleo” e “neo-schumpeteriani” ) e “neo-tecnologici” , ma fa riferimento astudiosi interessati all ’analisi del fenomeno innovativo all ’ interno della singola impresa, piuttostoche nel complesso dei sistemi economici10. Tale approccio pone l’accento sulla complessitàdell ’ innovazione non solo in senso verticale (ricerca di base- ricerca applicata- diffusione) ma anchein senso orizzontale rispetto alle funzioni della singola impresa (R&S, progettazione,approvvigionamenti, produzione, marketing). Conseguentemente la nozione di strategia diinnovazione cui facciamo riferimento sia nel presente capitolo, sia nella formulazione della ricercaempirica presentata nei capitoli successivi, è così ampia da inglobare il concetto di strategiatecnologica e le diverse terminologie di volta in volta utili zzate per definire il processo di analisi,scelta e organizzazione (Intelli gence- Selezione-Acquisizione e Timing) delle risorse aziendali alfine del miglioramento delle prestazioni e/o delle competenze11. E’ importante sottolineare come,coerentemente con gli obiettivi della ricerca, tale nozione estesa sia tra l’altro confermata dallaletteratura sulla piccola impresa (Raffa e Zollo, 1998a) che utili zza in modo indistinto i terministrategia di innovazione e strategia tecnologica quale componente complementare alla strategia dimercato per definire le prestazioni competitive.

Come nel caso del riordino delle teorie strategiche, anche sul tema specifico delle strategie diinnovazione è possibile identificare due approcci fondamentali:

� Un “approccio tradizionale”, chiaramente collegato ai fondamenti della Planning School, in cuila strategia di innovazione è considerata un elemento strumentale al servizio della strategia dicorporate e/o di business;

10 Un testo di base su tale approccio è “La sfida competitiva- Strategie per l’ Innovazione” curato nel 1987 da David Teece, cheraccoglie nove lectures tenute nel periodo 1984-1985 all ’Università di Berkeley da un gruppo quali ficato e abbastanzaconvergente di economisti e studiosi dell’organizzazione (oltre allo stesso Teece, M. E. Porter, S. G. Winter, K.E. Weick, K.Clark, R.P. Rumelt, J. Pfeffer, S.C. Wheelwright, P.R. Lawrence). I diversi contributi sottolineano, in una provocatoriaprospettiva interdisciplinare, i diversi l ivelli di complessità organizzativa, tecnologica e strategica dell ’ innovazione.11 Per una rigorosa distinzione dei concetti di innovazione, innovazione tecnologica, tecnologia, gestione strategica dellatecnologia, cambiamento tecnologico si rimanda al consistente glossario contenuto in “Gestione dell ’ Innovazione” di EugenioCorti, edito nel 1997 nella collana di Ingegneria Economico-Gestionale della ESI.

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� Un “approccio dinamico” , chiaramente collegato ai fondamenti della Competence-BasedSchool, in cui la strategia di innovazione è un elemento centrale della gestione strategicadell ’ impresa.

Nell ’approccio tradizionale la strategia di innovazione è essenzialmente una delle diverse strategiefunzionali . Hax e Majluf (1991) distinguono sei tipologie di strategie funzionali: strategiatecnologica, strategia finanziaria, strategia delle risorse umane, strategia degli acquisti, strategiaproduttiva, strategia di marketing. Sciarelli (1997) identifica sei tipologie di gestione operativadell ’ impresa industriale: gestione commerciale, gestione della produzione, gestione finanziaria,gestione industriale, gestione dell ’ innovazione, gestione delle risorse umane. Nell ’approcciotradizionale la tecnologia influenza la strategia secondo tre modalità prevalenti:

� la tecnologia può rappresentare uno strumento di differenziazione per la creazione didifferenziali competitivi (Porter, 1985, Faccipieri, 1990);

� l’evoluzione tecnologica del settore può rappresentare un vincolo al quale la strategia deveadattarsi (Hax e No, 1992);

� le innovazioni tecnologiche introdotte dai concorrenti possono rappresentare una minaccia allaquale la strategia deve reagire (Hofer e Schendel, 1978).

In definitiva l’ interazione tra strategia e tecnologia è statica e l’evoluzione del loro rapporto neltempo è inteso come sequenza di matching statici, ovvero la corrispondenza strategia-tecnologiaall ’ istante t non dipende dalla corrispondenza al tempo t-1 e non influenza la corrispondenza altempo t+1.

La introduzione della variabile tempo nei modelli di gestione strategica dell ’ innovazione è uno deipunti quali ficanti dei lavori di E.B. Roberts (1978, 1987) sulla “system dynamics” , che sono allabase del secondo approccio. L’autore descrive tre fasi dell ’evoluzione della gestione strategica chedapprima è incentrata sulla variabile finanziaria, successivamente su quella di mercato e infine suquella tecnologica. Quest’ultima, definita anche come “gestione strategica della tecnologia” ampliail campo di indagine dalla analisi degli effetti a quella delle cause dei fenomeni competitivi. Risultachiaro come nell ’approccio dinamico venga totalmente ribaltato il rapporto tra tecnologia e funzionidell ’ impresa; infatti la tecnologia non è più una delle funzioni, la cui importanza dipende da settorea settore, ma assume centralità strategica nella gestione. L’approccio dinamico tra strategia etecnologia può essere ulteriormente suddiviso in due tipologie (Itami e Numagami, 1992):

i) La strategia attuale come base della tecnologia futura (current strategy cultivating futuretechnology);

ii ) La tecnologia attuale come guida cognitiva della gestione strategica (current technologydrives cognition of strategy)

In entrambe le tipologie il matching tra strategia e tecnologia è dinamico, in quanto la rilevanzadei processi di apprendimento elimina la dipendenza delle scelte tecnologiche da opzioni di ordinesuperiore formulate ad un presunto livello strategico. Nel primo caso, però, persiste una separazionetra il processo di formulazione della strategia (attuale) e il processo di implementazione (latecnologia futura). Nel secondo caso esiste, invece, una totale sovrapposizione tra i due processi; inuna logica evoluzionista, infatti, la tecnologia posseduta dall ’ impresa determina il processocognitivo sotteso alla formulazione della strategia.

In definitiva è possibile affermare che le quattro categorie concettuali (Intelli gence- Selezione-Acquisizione e Timing) della strategia di innovazione rimangono le medesime anche nel casodell ’approccio dinamico; la differenza fondamentale sta piuttosto nel legame tra le categorie. Nelcaso dell ’approccio statico esse vengono analizzate ipotizzando un legame di sequenzialità; nel casodell ’approccio dinamico la natura path dependent dell ’apprendimento introduce una ipotesi diinterrelazione.

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La piena collocazione dell ’approccio dinamico alla strategia di innovazione nel quadro delcompetence-based strategic management è riscontrabile nell ’ampia letteratura sulla gestionedell ’ innovazione (Rothwell e Zegveld, 1982; Pavitt, 1991; Twiss, 1987; Utterback, 1994). Infattinel recente “Managing Innovation: Integrating technological, market and organizational change”,K. Pavitt, J. Bessant e J. Tidd (1997) non esitano a proporre, dopo una rassegna sulla evoluzionedelle teorie, quale framework teorico per i quattro capitoli dedicati alle SDI, il citato approccio delledynamic capabiliti es (Teece et al., 1992; Teece e Pisano, 1994) che integra le tre dimensionifondamentali della SDI: i mercati competitivi, le tecnologie firm-specific e l’organizzazione.Secondo tale approccio le prestazioni strategiche dell ’ impresa dipendono dalle caratteristicheorganizzative, piuttosto che dal possesso di tecnologie avanzate o dallo sfruttamento di unaparticolare innovazione. La reale forza è quella dell ’organizzazione che riesce ad esprimere dellepotenzialità dinamiche, in grado di innovare continuamente e di trarre sistematico vantaggio dalleinnovazioni stesse. Coerentemente con l’ impostazione della ricerca, nel prossimo paragrafoesaminiamo la specificità del processo di innovazione nella piccola impresa utili zzando le trecategorie fondamentali delle dynamic capabiliti es12:

i) il percorso strategico dell ’ impresa;ii ) la attuale posizione dell ’ impresa;iii ) i processi organizzativi e gestionali .

§3.2. I PERCORSI STRATEGICI DELL A PICCOLA IMPRESA IN UN’OTTICA COMPETENCE-BASED: IL CASO

DEGLI SPIN OFF ACCADEMICI

La prima dimensione proposta dall ’approccio dynamic capabiliti es per la analisi delle strategie diinnovazione è il percorso strategico dell ’ impresa, ovvero le modalità con cui le imprese realizzanoi fenomeni di path dependence che conducono allo sfruttamento e alla costruzione dellecompetenze.

A riguardo la letteratura sulle piccole imprese può essere sintetizzata con riferimento a tre filoniprincipali:

� l’approccio tipologico;� la applicazione della teoria delle configurazioni organizzative;� la creazione di nuove imprese a base tecnologica (NTBF New Technology-Based Firms).

Da un punto di vista metodologico l’approccio tipologico, ovvero l’ identificazione di tipi e lacostruzione di tipologie a partire da metodi di statistica multivariata o da osservazione di uniformitàpiù o meno ampie, ha trovato largo utili zzo nella ricerca sulla piccola impresa (Marchini, 1995a;Stratos, 1990; Boldizzoni, 1996). Nello specifico delle strategie di innovazione delle piccoleimprese le tipologie sono state, comunque, agganciate ai settori industriali (Rizzoni, 1988). Unaulteriore possibilit à di identificazione di tipologie di percorsi di sviluppo delle piccole imprese èofferta dalla applicazione della teoria delle configurazioni organizzative (Meyer, Tsui e Hinings,1993), definite come “sistemi interconnessi di parti che reagiscono come un tutto unico agli eventiesterni” . Utili zzando tale definizione è possibile applicare un approccio olistico che spiega leprestazioni delle imprese a partire dalla dotazione di risorse e capacità (Capaldo, Raffa e Zollo,1998). Nell ’ambito dell ’approccio tipologico vale la pena di ricordare la tassonomia proposta daPavitt (1984), che recentemente è stata utili zzata proprio per l’applicazione delle teorie competence-

12 La rilevanza dell ’approccio dynamic capabiliti es, quale strumento per l’analisi della dimensione strategica delle tecnologie,è confermato dal recente "L’Analisi Strategica” (1998) di M. Rispoli , Il Mulino. L’autore attribuisce una chiara rilevanzaall ’approccio competence-based, dedicando l’ intero capitolo 4 a “L’analisi strategica della tecnologia e delle risorse e dellecompetenze dell ’organizzazione”, con un riferimento puntale alle dynamic capabiliti es quale strumento per l’analisi dellerisorse e delle competenze.

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based alle strategie di innovazione delle piccole imprese (Autio e Yli Renko, 1998). La tassonomiaidentifica quattro tipologie di piccole imprese che innovano: i) “Superstars” ; ii) ”“ SupplierDominated” ; iii ) “Specialized Suppliers” , iv) “New Technology-Based Firms .

La quarta tipologia , le“New Technology-Based Firms”, identifica i percorsi delle imprese nuoveo nascenti con precise caratteristiche:

operano in settori science-based quali il software, le biotecnologie e alcuni compartidell ’elettronica;

la fonte dell ’ innovazione è spesso l’organizzazione di provenienza, università o funzione R&Sdi una grande impresa;

il dilemma strategico di fondo del percorso strategico è “Superstar o Specialized Supplier?” .

In tempi recenti la letteratura sulla piccola impresa si è caratterizzata per una forte presenza dilavori sui temi legati a tali caratteristiche13 ; in particolare è importante notare come unaintegrazione tra approccio competence-based e approccio relazionale sia stata utili zzata sia perimprese technology-based, come le piccole imprese di software (Capaldo e Fontes, 1999), sia perimprese operanti in settori tradizionali , come le imprese di costruzioni (Costantino e Sivo, 1998; ) odi conserve vegetali (Belli ni, 1999).

Gli Spin-Off Accademici rappresentano una particolare tipologia di NTBF che sembra offr ireparticolare attitudine alla applicazione dei concetti fondamentali delle teorie competence-based(Autio e Yli Renko, 1998, Pavitt, 1997, Chiesa e Piccaluga, 1997). Un esempio di tale applicazioneè mostrato nel modello di analisi del Campo di Azione delle piccole imprese innovative (Belli ni,Capaldo, Raffa e Zollo, 1998), definito sulla base di due dimensioni: la tipologia degli assetsprevalenti (firm-specific o firm-addressable) e le modalità ultime di impiego e rinnovo di assets ecapabiliti es (Competence Building o Competence Leveraging).

13 Ad esempio nella recente Conferenza Mondiale dell ’ International Council for Small Business “Economic Development: therole of SMEs” , svoltasi a Napoli nel Giugno 1999, su complessivi 261 paper il 12% ha riguardato “Creation and Start up ofNew Firms” , il 15% “The role of Research Instituion for SMEs Development” e il 10% “Knowledge-Based SMEs” .

Firm-SpecificAssets

CompetenceBuilding

CompetenceLeveraging

1Star ting/

Restar ting

2InternalGrowth

3ExternalGrowth

4Networking

cd

a

b

Figura 3.1.- I l “ Campo di Azione delle Piccole Impre Innovative

Fonte: Belli ni, Capaldo, Raffa, Zollo, 1997, 1998

Firm-AddressableAssets

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La Figura 3.1. ill ustra quattro situazioni:! La Situazione #1, definita “Start up/ Re-start up” (combinazione Competence Building/Firm

Specific Assets) è caratterizzata dallo sviluppo di nuove opzioni strategiche per mezzo delrinnovo qualitativo delle competences.

! La Situazione #2, definita “Crescita Interna” , (combinazione Competence Leveraging/FirmSpecific Assets) definisce una strategia di crescita per mezzo dell ’acquisizione di nuove risorsesimili alle precedenti.

! La Situazione #3, definita“Crescita Esterna” (combinazione Competence Leveraging /FirmAddressable Assets) definisce una strategia di crescita per mezzo delle relazioni con attoriesterni (consulenti, altre imprese, centri di servizi).

! La Situazione #4, definita “Networking” (combinazione Competence Building /FirmAddressable Assets) definisce una strategia di rinnovo qualitativo della dotazione di assets ecapabiliti es per mezzo di relazioni con attori esterni.

L’ ipotesi base è che la piccola impresa innovativa, a causa della sua carenza di risorse finanziarie,tecnologiche e umane, non riesca ad occupare, nello stesso periodo, l’ intero Campo d’azione.Dunque essa è costretta ad oscill are tra attività di Competence Building e Competence Leveraging(dinamiche a e b nella Figura 1), e tra impiego prevalente di Assets Firm Addressable o FirmSpecific (dinamiche c e d nella Figura 1). Tali dinamiche conducono la piccola impresa a ridefinirele sue opzioni strategiche per il futuro e ad impiegare più efficacemente la sua dotazione di assets.

Dalla osservazione della sequenza delle dinamiche seguite da una singola piccola impresainnovativa è possibile ricostruire il suo percorso strategico.

In particolare le piccole imprese innovative (es. Spin Off Accademici) nascerebbero nellaSituazione #1, allorquando l’ imprenditore accademico ridefinisce gli obiettivi strategici della suapersonale attività; successivamente essi passerebbero alla Situazione #2 al fine di rafforzare lastrategia iniziale e migliorare i risultati commerciali per mezzo dello sfruttamento delle competenzeesistenti. L’ intensità dell ’ ” intento strategico”del gruppo imprenditoriale aprirebbe l’ impresa acollaborazioni con attori esterni (Situazioni #3 e #4) al fine di rafforzare e/o rinnovare la propriadotazione di assets e capabiliti es.

Il modello è stato applicato sia a casi italiani di imprese operanti nel settore del software (Belli ni,Capaldo, Raffa e Zollo, 1998), sia per la analisi comparativa tra casi di spin-off academici italiani ecasi svedesi (Belli ni et. al, 1999). Le ricerche empiriche hanno confermato la validità interpretativadelle categorie proposte dalle teorie competence-based; in particolare è emerso come la descrizionedi percorsi strategici delle piccole imprese innovative determini una prevalenza delle opzioni legateal competence building.

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§3.3. LA POSIZIONE ED I PROCESSI NELLE STRATEGIE DI I NNOVAZIONE DELLE PICCOLE IMPRESE

In questo paragrafo vengono analizzate le specificità del processo di innovazione nelle piccoleimprese con riferimento alle rimanenti due categorie dell ’approccio dynamic capabiliti es:

i) la attuale posizione dell ’ impresa;ii ) i processi organizzativi e gestionali .

L’analisi della posizione può essere svolta con riferimento sia al rapporto della singola impresacon i sistemi di innovazione di cui essa fa parte, sia alla posizione della piccola impresa rispetto alsettore industriale, con particolare riferimento ai concorrenti.

Coerentemente con la rilevanza dell ’ambiente esterno14, la letteratura sull ’ innovazione nellapiccola impresa ha largamente sottolineato l’ importanza dei rapporti con i sistemi nazionali eregionali di innovazione (Johannisson, 1991, 1998; Dioguardi, 1995; Petroni, 1997; Cooke, 1996;Albino et al., 1997; Kelley e Brooks, 1991). D’altro canto la letteratura sulle fonti dell ’ innovazioneper la piccola impresa ha evidenziato sia un minore uso di fonti esterne (es. R&S, brevetti e li cenze)derivante da una limitata capacità assorbitiva (Pavitt et al, 1997; Baldwin, 1994). L’apparentecontraddizione tra i due approcci può essere spiegata dalla prevalenza, nelle piccole imprese, diattività di innovazione e di R&S “ informali ” , “part-time” e “non misurate” (Lassini, 1990; Rothwelle Dodgson, 1993).Una ipotesi di integrazione tra i diversi approcci alle fonti dell ’ innovazione èfornito da Raffa e Zollo (1998a) che, con il supporto di diverse ricerche empiriche, ricostruisconotre filoni di studi che spiegano le differenze nella capacità innovativa della piccola impresa: gliincentivi strutturali , le risorse interne e le risorse di rete. Un altro filone fondamentale per lacomprensione delle fonti per la piccola impresa è quello che lega la capacità innovativa dellapiccola impresa ai suoi rapporti verticali l ungo la catena del valore, sia a monte nell ’ambito degliscambi con fornitori innovativi di impianti e materiali (von Hippel, 1989; ), sia a valle nell ’ambitodi rapporti evoluti di subfornitura con committenti innovativi (Lamming, 1993; Esposito, 1996) e dirapporti di mercato con clienti innovativi (Myers e Shaw, 1999).

Se spostiamo l’attenzione alla posizione rispetto al settore industriale di appartenenza vasottolineato, innanzitutto, il superamento della restrizione dello spazio competitivo delle piccoleimprese innovatrici ai soli settori fortemente innovativi (Abernathy e Utterback, 1978); secondoquesti autori gli spazi competitivi per la piccola impresa si andrebbero via via riducendo sia per latendenza alla standardizzazione dei prodotti, sia per il sopraggiungere di nuovi mutamentitecnologici. Tale rivalutazione, giustificata dalla rilevanza degli aspetti creativi dell ’attivitàinnovativa (Vaccà, 1989), è strettamente legata all ’affermarsi della teoria della specializzazioneflessibile (Piore e Sabel, 1987) e delle teorie settoriali che descrivono le relazioni tra strutturaindustriale, dimensione d’ impresa e attività innovativa (Pavitt, 1984; Nelson e Winter, 1986).Questi ultimi autori utilizzano il concetto di traiettoria tecnologica che spiega le differenzesettoriali , ipotizzando un vantaggio per le piccole imprese nei settori che presentano cumulativitàdelle conoscenze e una bassa appropriabilit à dei risultati dell ’ innovazione. L’approccio settorialepermette, comunque, di spiegare le differenze nei rapporti competitivi tra piccole imprese e grandiimprese; ad esempio nei settori dei semiconduttori e dei sistemi CAD le piccole imprese hannosvolto un importante ruolo di diffusori delle innovazioni realizzate presso grandi imprese, mentrenelle biotecnologie il rapporto è stato inverso, con le piccole imprese, nate come spin-off di centri diricerca, a svolgere attività di R&S per conto di grandi imprese impegnate sul business a valle

14 Si rimanda al paragrafo §1.6. in cui si evidenzia, nell’ambito della ricostruzione degli approcci “Esterno-Interno” e “ Interno-Esterno” agli studi strategici, la centralità dell’ambiente esterno, non solo competitivo, per l’analisi strategica della piccolaimpresa.

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(Rothwell e Dodgson, 1993). In ogni caso le numerose ricerche empiriche che hanno seguitol’approccio settoriale hanno condotto a risultati talora contrastanti (De Chiara, 1998).

In definitiva l’analisi della posizione della piccola impresa rispetto alle strategie di innovazionesembra caratterizzarsi per una chiara prevalenza delle complementarità dinamiche tra piccoleimprese e grandi imprese (Rothwell , 1974; Teece, 1987), dovuta sia alla elevata specializzazionetecnologica delle piccole imprese, sia alla scarsa dotazione di risorse interne, soprattutto finanziariee tecnologiche, necessarie alla gestione dei processi innovativi (Dodgson 1990; Pavitt, Robinson eTownsend, 1987).

Con riguardo alla terza dimesione di analisi delle strategie di innovazione proposta dalle dynamiccapabiliti es, i processi organizzativi, è importante sottolineare come, a differenza della grandeimpresa, la piccola impresa goda di una naturale propensione a realizzare uno degli aspettifondamentali dell ’approccio dinamico alle strategie di innovazione: la crescente attenzione ai fattoridi integrazione funzionale. La Tabella 3.2., che presenta un adattamento da Pavitt et al. (1997) ,sintetizza tali vantaggi organizzativi della piccola impresa.

Tabella 3.1. Differenze nei processi organizzativi per l’ innovazionetra grandi e piccole imprese

Compiti strategici (task) Grandi Imprese Piccole ImpreseIntegrazione fra tecnologia,produzione e marketing

- Progettazione organizzativa- Processi per la gestione della

conoscenza tra funzioni

- Responsabilità centralizzatadell ’ imprenditore-tecnico e/odel capo progetto

Monitoraggio e assorbimento dinuove conoscenze tecniche

- Bilanciamento tra R&S interna ealleanze esterne

- Riviste tecnichespecializzate

- Formazione degli addetti- Consulenti esterni- Fornitori e clienti

Valutazione dei benefici diapprendimento derivante dagliinvestimenti in tecnologia

- Criteri formali e procedure - Quali ficazione edesperienza dei responsabili

- Utili zzo misto di indicatorifinanziari, strategici ecognitivi

- Fonte: Adattamento da Pavitt, Bessant e Tidd (1997- pag. 156)

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Con riguardo ai processi organizzativi emerge un chiaro collegamento con la rilevanzadell ’ambiente esterno nei processi di innovazione della piccola impresa. Infatti da un punto di vistagestionale il problema chiave è quello di identificare appropriati modelli i nterpretativi capaci dispiegare le modalità con cui la piccola impresa organizza i suoi rapporti non commerciali conl’ambiente esterno, risolvendo in chiave dinamica la complessità delle attività cooperative incampo tecnologico (Dodgson, 1990) e delle alleanze strategiche (Fletcher, 1996). Coerentementecon gli obiettivi della ricerca viene proposta una rilettura in chiave competence-based di uno deimodelli organizzativi più consolidati sul rapporto tra piccola impresa innovativa e ambiente esterno:il citato modello dell ’organizzazione sfocata (Raffa e Zollo, 1988, 1994, 1998a). Il principioorganizzativo dell ’ impresa sfocata, derivante dal concetto di fuzziness sviluppato nell ’ambito dellafuzzy set theory, è stato definito a partire da evidenze empiriche sulla contemporanea presenza, nellepiccole imprese, di risorse con un differente “grado di appartenenza” e un differente “grado dicontrollo” (es. la crescente rilevanza di rapporti di lavoro atipici come i contratti di collaborazionecoordinata o gli stage). Tale varietà di rapporti impedisce di delineare una netta distinzione tra:

" risorse totalmente interne, su cui l ’ impresa esercita un grado di controllo totale;" risorse totalmente esterne, che l’ impresa può solo acquistare a titolo definitivo come “scatole

nere”;" risorse firm-addressable collocate sul confine sfocato, che l’ impresa controlla parzialmente

attraverso attività sperimentali e su progetti specifici definiti di volta in volta.

RisorseFirm -

Specific

RisorseFirm Addressable

Frontieradella certezza

Frontieradella Conoscenza

Nucleo

Alone

Figura 3.2. – Modello della Piccola Impresa dai confini sfocati

Fonte elaborazione da Raffa e Zollo (1994, 1998a)

50

§3.4. LO SCHEMA DI ANALISI DELLE STRATEGIE DI I NNOVAZIONE DELLE PICCOLE IMPRESE BASATO SU

COMPETENZE E RELAZIONI

In questo paragrafo viene proposto uno schema di analisi delle strategie di innovazione dellepiccole imprese, in cui i concetti fondamentali dell ’approccio competence-based sono tradotti invariabili rilevabili empiricamente nel corso di indagini, di sviluppo di casi aziendali , di processi diautovalutazione. Lo schema cerca di ricondurre ad unità alcune conclusioni derivate dall ’esame deicontributi teorici analizzati nei capitoli precedenti (tra parentesi il riferimento al paragrafospecifico):

# la necessità di assumere una , nella prospettiva della rete, una visione del rapporto piccolaimpresa-ambiente del tipo “punto-punto” in cui siano specificati gli attori ambientali cheposseggono risorse chiave per le strategie di innovazione (§1.5)

# il superamento dei concetti legati alla Planning School nella piccola impresa (§1.3.);# la necessità di rileggere in chiave dinamica e path dependent alcuni concetti-chiave della

Learning School (es. spontaneità delle strategie emergenti) e della Entrepreneurial School (es.concetto di visione) (§1.4.e §1.5.);

# la individuazione di una interpretazione del concetto di vantaggio competitivo coerente con lespecificità della piccola impresa (§1.7.);

# il consolidamento, nell ’ambito dei diversi approcci capabilit y, della identificazione di unarelazione fondamentale tra risorse, capacità e vantaggio competitivo (§2.2.);

# l’esistenza, in chiave strategica, di una fondamentale differenza tra i concetti di capacità,competenza e core competence (§2.4.);

# la necessità di una chiara e rigorosa identificazione, ai fini della conduzione di ricercheempiriche ispirate all ’approccio competence-based, dei diversi concetti chiave di risorse,conoscenza, competence building, competence leveraging (§2.5. e §3.2.);

# la maggiore appropriatezza del concetto di strategia di innovazione in chiave dinamica(current technology drives cognition of strategy) per lo studio della piccola impresa secondol’approccio competence-based (§3.1.);

# la prevalenza delle opzioni legate al competence building rispetto al competence leveraging,per spiegare l’eff icacia delle strategie di innovazione delle piccole imprese (§3.2.);

# la ricchezza interpretativa del concetto di confine sfocato della piccola impresa per lacomprensione dei legami tra relazioni esterne e eff icacia delle strategie di innovazione (§3.3.);

# la necessità, ai fini della identificazione di effettive competenze alla base dell ’eff icacia dellestrategie di innovazione, di una preesistente intenzionalità nel perseguimento di determinatiobiettivi e di uno strategic intent nell ’uso delle risorse e delle capacità (§ 2.4 e §3.2.).

51

Lo schema è stato definito sulla base della definizione di categorie specifiche, per la piccolaimpresa,di risorse e di capacità derivate a valle dell ’esame di analoghe tipizzazioni contenute inprecedenti lavori.

Come descritto nei capitoli precedenti la letteratura strategica propone diverse categorie eclassificazioni di risorse. In particolare, il capitolo #2 ha evidenziato come la resource-based view,pur nella indubbia valenza teorica, abbia generato una certa confusione terminologica; i concetti dirisorse, conoscenze, skill , capacità, competenze sono spesso usati in modo vago e con significatisovrapposti. Viceversa il contributo degli autori della competence-based strategic managementtheory ha enfatizzato la necessità, soprattutto per lo sviluppo teorico e la conduzione di ricercheempiriche, di adottare un vocabolario condiviso. Tale, rigoroso, vocabolario, permette didistinguere, da un lato, le risorse firm specific da quelle firm addressable, e, dall ’altro, le capacitàdalle competenze, richiamando, per queste ultime la necessità di tre requisiti fondamentali:l’ intenzionalità nell ’uso delle risorse, l’organizzazione nel dispiegamento di risorse e capacità, e ilraggiungimento degli obiettivi iniziali.

La Tabella 3.2. sintetizza le categorie di risorse identificate a valle dell ’esame di dieci contributiprovenienti dai diversi approcci riconducibili , con l’eccezione di Hofer e Schendel (1978), allaRBV e alla prospettiva core competence.

Tabella 3.2.. Categor ie di Risorse nella letteratura Resource e Competence-Based

Tipologie di Risorse Autor iFirm-Specific/Firm-Addressable Sanchez e Heene, 1997Tangibili/ Intangibili , Visibili/ Invisibil i, Materiali/ Immateriali Itami, 1987 Grant, 1991Fisiche, Finanziarie, Tecnologiche, Umane, Reputazione Grant, 1991Fisiche, Finanziarie, Tecnologiche, Umane, Organizzative Hofer e Schendel, 1978Tipologie di Risorse Intangibili : R. di Conoscenza/ R. di Fiducia Vicari, 1992Tipologie di Risorse Intangibili : R. di Conoscenza/ R. di Confine Nanda, 1993Tipologie di Risorse Intangibili : Conoscenza (tacita/esplicita), Capacità, Marchi Durand, 1997Tipologie di Risorse Tangibili: Umane, Finanziarie, TecnicheTipologie di Risorse Intangibili : Competenza, R. Informative, Cultura, Immagine, Fedeltà allaMarca

De Chiara, 1998

Imprenditoriali , Professionalità degli addetti, Struttura organizzativa, R. di Rete, R. diDimensione, R. Tecnologiche

Raffa e Zollo, 1998°

Fonte: Belli ni, 2000.

A valle dell ’esame circa la natura e la definizione di tali ti pologie, sembra ipotizzabile, conriferimento agli obiettivi del lavoro, individuare una categorizzazione delle diverse risorse chesostengono la strategia di innovazione della piccola impresa. In particolare, coerentemente conl’approccio competence-based, tale categorizzazione deve caratterizzarsi:

vii ) per una chiara distinzione tra risorse completamente (Risorse Firm- Specific) controllatedall ’ impresa e risorse parzialmente controllate (Risorse Firm- Addressable);

viii ) per la rilevanza delle risorse collegate al bagaglio conoscitivo e agli schemi cognitividegli i ndividui operanti nell ’ impresa.

A partire dalle tipizzazioni di risorse presentate in dieci contributi caratterizzati dall ’applicazionedella RBV alla gestione strategica (Belli ni, 1999), vengono proposte le seguenti categorie di Risorseper la analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese:

Risorse Firm- Specific1.a. Risorse Finanziarie1.b. Risorse Tecniche

52

1.c. Risorse Cognitive1.d. Risorse di ImmagineRisorse Firm- Addressable (che si traducono in Informazioni che alimentano le Conoscenze)2.a. Risorse attivabili presso Università e Centri di Ricerca2.b. Risorse attivabili presso Fornitori2.c. Risorse attivabili presso Committenti2.d. Risorse attivabili presso Clienti Innovativi2.e. Risorse attivabili presso Pubblica Amministrazione Locale2.f. Risorse attivabili presso Consorzi e Associazioni di settore.Con riferimento alla realtà della piccola impresa è sembrato poco significativo distinguere alcuni

tipi di risorse (es. immagine-reputazione-fiducia); le risorse riconducibili alle conoscenzeindividuali sono definite, coerentemente con alcuni autori che riconducono l’esistenza dell ’ impresaalle sue risorse immateriali di informazione e di conoscenza (Vicari, 1991), in un unico blocco qualirisorse cognitive.

Una particolare attenzione è dedicata alle risorse firm-addressable, ovvero a quelle risorsedisponibili nell ’ambiente esterno, in particolare quello locale, che l’ impresa riesce, di volta in volta,ad utili zzare grazie ad una eff icace capacità di interazione esterna. A differenza della grandeimpresa che basa la propria competitività essenzialmente sulle risorse firm-specific controllatecompletamente, la piccola impresa è costretta a sviluppare un efficace network esterno al fine dicompletare, in condizioni di massima economicità, la scarsa dotazione interna di risorse. Il principioorganizzativo del “confine sfocato” della piccola impresa (Raffa e Zollo, 1998a) identifica le risorsefirm-addressable disponibili , di volta in volta nell ’ambiente esterno, che l’ impresa controllaparzialmente attraverso attività sperimentali e su progetti specifici definiti di volta in volta.

Il concetto generale di ambiente viene ristretto, nel caso della piccola impresa, ad un più puntualeambiente di riferimento, che non è più lo scenario indistinto su cui l ’ impresa si muove, ma è creatodalla scelta di partner e controparti con cui essa stabili sce relazioni uniche (Weick, 1979).

Nello schema proposto viene ipotizzato un dettaglio degli attori che costituiscono l’ambiente diriferimento, in particolare locale, della piccola impresa; ciascuno di essi è potenzialmente undetentore di risorse firm-addressable che circolano nella rete locale e che la singola impresapotrebbe “intercettare” e integrare con le proprie risorse interne grazie alla capacità relazionale.

Nell ’ambito degli attori locali assumono una particolare rilevanza quei soggetti che detengonoinformazioni criti che per l’ impresa, intese quali componenti esplicite e codificate di conoscenza;infatti sono proprio tali i nformazioni, provenienti sia dall ’ambiente locale sia dai diversi contesti incui l ’ impresa opera, ad alimentare attraverso l’efficacia del filt ro della capacità relazionale, illi vello della conoscenza interna dell ’ impresa. La nuova conoscenza (Corti, 1997) viene ad esserequindi “una interpretazione originale di informazioni esistenti e nuove”. Tale conoscenza vieneassorbita per mezzo delle risorse cognitive, ovvero le strutture cognitive di tutti gli i ndividui che,lavorando per l’ impresa a vario titolo, contestualizzano la componente esplicita della conoscenzacon la componente tacita già presente nell ’ impresa. Appare chiaro come nello schema proposto sisia preferito, coerentemente con alcuni autori che riconducono l’esistenza dell ’ impresa alle suerisorse immateriali di informazione e di conoscenza (Vicari, 1991), definire quali risorse cognitivetutte le risorse fornite dal fattore produttivo lavoro.

Il secondo blocco di variabili è costituito dalle capacità, definite coerentemente con il vocabolariocondiviso proposto dal competence-based strategic management, come “schemi di azione ripetibilinell ’uso delle risorse e distinte dalle competenze, derivanti dalla presenza di tre condizioni:organizzazione, intenzionalità nell ’uso delle risorse (intention) e raggiungimento degli obiettivi(goal attainment).

53

La Tabella 3.3. sintetizza le categorie di capacità-competenze identificate a valle dell ’esame disette contributi che non distinguendo tra di loro i due concetti, propongono, prevalentemente, unatipizzazione su base funzionale.

Tabella 3.3. - Categor ie di Capacità nella letteratura Resource e Competence-Based

Tipologie di Capacità/Competenze Autor i- Aree Funzionali: Direzione Generale, R&S, Produzione, Design, Marketing, Vendite Grant, 1991- Riduzione ciclo di sviluppo nuovi prodotti, Trasferimento intra-organizzativo di conoscenze,R&S, coordinamento attività multinazionali, gestione del cambiamento

Colli s, 1996

- Stand Alone, Cognitive, Processi e routines, Struttura Organizzativa, Comportamenti eCultura

Durand, 1997

- Manageriali , di gestione degli input utili zzati di trasformazione, innovative, culturali,imprenditoriali

Lado e Wilson, 1994

- Cognitive, Innovative, di Flessibil ità De Chiara, 1998- Competitività tecnologica dell ’ impresa, prestazioni del prodotto, rapporti con il mercato,diversificazione, mix produttivo,

Raffa e Zollo, 1998a

- Tecniche (Technical Skill ) e Relazionali (Relational Skill ) Esposito, 1996Fonte: Belli ni, 2000

Nello schema proposto si è ritenuto di poter ricondurre le capacità alla base delle strategie diinnovazione della piccola impresa alle seguenti quattro categorie:

i) Capacità Finanziarieii ) Capacità Tecnologicheiii ) Capacità di Marketingiv) Capacità Relazionale.

Nel caso delle capacità finanziarie l’enfasi è, in particolare, sulla presenza nella piccola impresadi schemi di azione ripetibili per l’ottimizzazione e il bilanciamento delle fonti di copertura degliinvestimenti in innovazione, con particolare riguardo all ’utili zzo di fonti innovative (es. venturecapital) e di fonti agevolate (es. finanziamenti pubblici per l’ innovazione). Nel caso delle capacitàtecnologiche l’enfasi è, in particolare sulla presenza nella piccola impresa di schemi di azioneripetibili per l’utili zzo innovativo delle risorse tecniche (es. impianti e software) e delle tecniche diprogettazione. Nel caso delle capacità di marketing l’enfasi è, in particolare, sulla presenza dischemi di azione ripetibili nella gestione sia degli aspetti strategici (es. rapporti con clientiinnovativi, rafforzamento delle risorse di immagine), sia di quelli operativi (es. modalità innovativedi distribuzione e vendita, accordi commerciali ).

La quarta categoria è stata sviluppata coerentemente con i concetti sviluppati nel quadro diriferimento teorico e con particolare riferimento al principio organizzativo dell ’ impresa sfocata(Raffa e Zollo, 1998b) e al concetto di relational skill (Esposito, 1996). Infatti, la ripetibilit à nelleprocedure di gestione del confine sfocato della piccola impresa conduce alla capacità relazionaleche può essere la base delle prestazioni innovative. Essa va intesa come uno schema di azioneripetibile di integrazione di tutti i possibili rapporti con l’ambiente rilevante rispetto ad unpreordinato disegno strategico finalizzato allo sviluppo di determinate prestazioni, e sostenuto dallostrategic intent del gruppo imprenditoriale.

In altre parole, la capacità relazionale può consentire alla singola impresa di risolvere alcuni tipicitrade-off propri delle attività innovative, quali ad esempio: cooperazione-competizione conconcorrenti nelle fasi di ricerca pre-competitiva, partecipazione-non partecipazione a consorzi edassociazioni, ruolo di committente-ruolo di subfornitore in singoli progetti di R&S.

Coerentemente con gli obiettivi di questo lavoro la Figura ---propone uno schema di analisi dellestrategie di innovazione delle piccole imprese basato su tali definizioni.

Nello schema proposto si ipotizza che i differenziali nelle prestazioni delle piccole imprese nellestrategie di innovazione possono essere spiegati da: a) intensità dello strategic intent, b) differenziali

54

nella dotazione di risorse e capacità firm specific; c) differenziali nella capacità di utili zzare lerisorse firm addressable. L’efficacia della strategia di innovazione della piccola impresa siconcretizza o nel raggiungimento/rafforzamento di un vantaggio competitivo o nella costruzione dinuove competenze (competence building).

Fonte: Belli ni, 1999

L’eff icacia della strategia di innovazione della piccola impresa si concretizza o nelraggiungimento/rafforzamento di un vantaggio competitivo o nella costruzione di nuovecompetenze (competence building). Il concetto di vantaggio competitivo sostenibile (Porter, 1985)quale “base di una prestazione a lungo termine superiore alla media del settore” viene inteso nelcaso della piccola impresa con riferimento a prestazioni/rendimenti soddisfacenti piuttosto chesuperiori alla media (Marchini, 1995b). La competence building è intesa quale “raggiungimento dicambiamenti qualitativi nell ’esistente stock di risorse e capacità, incluse le nuove abilit à acoordinare e impiegare nuove o esistenti risorse e capacità in modo da aiutare l’ impresa aperseguire un suo obiettivo”

Nello schema proposto viene ipotizzato un dettaglio degli attori che costituiscono l’ambientelocale della piccola impresa; ciascuno di essi è potenzialmente un detentore di risorse firm-addressable che circolano nella rete locale e che la singola impresa potrebbe “intercettare” eintegrare con le proprie risorse interne grazie alla capacità relazionale.

Nell ’ambito degli attori locali assumono una particolare rilevanza quei soggetti che detengonoinformazioni criti che per l’ impresa, intese quali componenti esplicite e codificate di conoscenza;infatti sono proprio tali i nformazioni, provenienti sia dall ’ambiente locale sia dai diversi contesti incui l ’ impresa opera, ad alimentare attraverso l’efficacia del filt ro della capacità relazionale, illi vello della conoscenza interna dell ’ impresa. La nuova conoscenza (Corti, 1998) viene ad esserequindi “una interpretazione originale di informazioni esistenti e nuove”. Tale conoscenza vieneassorbita per mezzo delle risorse cognitive, ovvero le strutture cognitive di tutti gli i ndividui che,

Figura 3.3 -Schema di Analisi delle Strategie di Innovazione delle Piccole Imprese

Ambiente RilevanteVantaggioCompetitivo

CompetenceBuilding

Eff icacia Strategiadi Innovazione

CapacitàFinanziaria

CapacitàTecnologica

Capacitàdi Marketing

CapacitàRelazionale

Concorrenti

Fornitor i

Committenti

Clienti

Università

Enti Locali

Finanziator i

Informazioni

RisorseFinanziarie

RisorseFirm Addressable

RisorseTecniche

RisorseCognitive

Risorsedi Immagine

Conoscenze

ConfineSfocato

55

lavorando per l’ impresa a vario titolo, contestualizzano la componente esplicita della conoscenzacon la componente tacita già presente nell ’ impresa.

§3.5. CASI AZIENDALI DI PICCOLE IMPRESE DEL MEZZOGIORNO

Lo schema per la analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese, presentato nelparagrafo precedente, è stato utili zzato, con la metodologia del case study, per la ricerca empirica sudue campioni di imprese operanti nella Regione Campania:

v) nove imprese del settore della “conserve industriali alimentari e vegetali ” localizzatenella provincia di Salerno, da molti considerata come una potenziale “area-sistema”della produzione industriale di conserve di pomodoro (Belli ni, 1999; Belli ni e Sorgente,1999);

vi) cinque imprese di software localizzate nella provincia di Salerno, (Belli ni, 2000).

Nel corso delle ricerche empiriche le categorie di risorse e capacità identificate nel paragrafoprecedente sono state rilevate per mezzo di un questionario semi-strutturato, basato su variabili didettaglio definite a seconda del settore e delle relative conoscenze tecnologiche fondamentali . Inparticolare l’evoluzione in chiave dinamica di ciascuna categoria di risorse e capacità è statarilevata con riferimento ai periodi precedenti e successivi alla introduzione dell ’ innovazione piùrilevante realizzata nel corso della vita dell ’ impresa. La Tabella 3.4. riporta, a fini esempli ficativi, levariabili utili zzate per la ricerca empirica sulle piccole imprese di software.

Tabella 3.4a. Le Variabili Rilevate nel corso delle interviste: i dati strutturali

Dati Generali

$ Ragione Sociale$ Data costituzione$ Fatturato ultimi tre esercizi$ % Fatturato da produzione di Software$ Partecipazioni e Controlli

Gruppo Imprenditoriale

$ Composizione$ Titolo di studio$ Esperienza nel settore software$ Skill tecnologiche e Skill in aree gestionali$ Precedenti esperienze di lavoro

CombinazioniProdotti/Mercati/Tecnologie

$ Famiglie di prodotti e/o servizi$ Numero release, aggiornamenti e installazioni$ Livello Tecnologico$ Segmenti di Clientela$ Modalità di vendita$ Linguaggi e Ambienti di sviluppo

Evoluzione Organizzativa(a partire dagli EventiCritici)

$ Nascita dell ’ impresa$ Evoluzione struttura organizzativa$ Evoluzione conoscenze tecnologiche$ Evoluzione conoscenze gestionali$ Evoluzione Addetti

Strategie di Innovazione

$ Innovazioni di Prodotto$ Innovazioni di Processo$ Innovazioni Gestionali

Efficacia delle strategie diInnovazione

$ Livello di innovatività$ Motivazioni iniziali$ Impatto sul vantaggio competitivo$ Grado di raggiungimento degli obiettivi iniziali

56

Tabella 3.4b. Le Variabili -guida del questionario: la dinamica delle Risorse e delleCapacitàCategor ie di

RisorseVar iabili Rilevate Categor ie di

CapacitàVar iabili Rilevate

RisorseFinanziar ie

Composizione delle modalità dicopertura dell ’ investimento% % autofinanziamento% % credito ordinario a breve% % credito ordinario a m/l% % strumenti finanziari

innovativi% % Finanziamenti pubblici per

l’ innovazione

CapacitàFinanziar ie

% Conoscenza di strumenti finanziariinnovativi e pubblici

% Procedure per il controllo di gestione% Procedure per la gestione di rapporti

con banche e finanziatori% Procedure per la attivazione di

finanziamenti pubblici

Risorse diImmagine

% Grado di fedeltà dei clienti% Riconoscibilit à dei marchi% Merito di credito% Fiducia dei fornitori% Impatto sull ’efficacia delle

strategie di innovazione

Capacità diMarketing

% Procedure per la gestione delportafoglio clienti

% Procedure per la partecipazione a gare% Gestione dei marchi% Efficacia nella promozione e

conduzione delle vendite% Servizi accessori% Piani di comunicazione

RisorseTecniche

% Dotazione hardware% Impianti di rete% Dotazione software di base% Dotazione software applicativo% Sistemi operativi% Brevetti

CapacitàTecnologiche

% Procedure per acquisizione diinformazioni tecnologiche

% Strumenti di Project Management% Ambienti di sviluppo% Linguaggi e DBMS% Standard di produzione% Strumenti di ingegneria del software

RisorseCognitive

% Titoli di studio degli addetti% Skill s tecnologiche% Skils gestionali% Specializzazioni tecniche% Aggiornamento delle

professionalità

CapacitàRelazionali

% Partnership con Università e Centri diRicerca

% Partnership con Fornitori% Partnership con Clienti Innovativi% Partnership con subfornitori% Partnership Istituzioni locali% Partnership in Consorzi con altre

imprese di softwareRisorse Firm addressable (identiche per tutte le aziende analizzate, data la localizzazione nella stessa area)

% Infrastrutture fisiche e di rete% Università, Centr i di Ricerca

% Consulenti specialistici e Fornitor i strategici% Clienti Innovativi

% Sistemi di subfornitura% Istituzioni locali

& Finanziator i

§3.5.1. Risultati della ricerca empirica sulle imprese conserviere

Le nove imprese sono nate tra il 1932 e il 1991, spesso con iniziative a conduzione familiare, sottola spinta di elevate capacità tecniche legate soprattutto all ’ imprenditore-fondatore e ai suoidiscendenti delle generazioni successive.

Le imprese del campione realizzano all ’estero la metà del fatturato complessivo, sia su mercatitradizionali quali Inghilterra, Germania, Francia, USA e Canada, sia su alcuni mercati emergentiquali Giappone e Est Europa. Ciascuna impresa tende a non disperdere la propria attività su unnumero elevato di mercati; tale propensione, deriva dalla complessità della gestione dei rapporticommerciali con singoli mercati che presentano forti differenze per tipologie di prodotto richieste,qualità, prezzi e canali . Nel 1997 l’export ha segnato un incremento medio del 7% rispetto

57

all ’esercizio precedente, valore modesto se confrontato con gli i ncrementi a due cifre registrati neiprimi anni novanta.

Osservando la ripartizione percentuale del fatturato per tipologie di cliente, emerge una chiararilevanza della grande distribuzione (30%, prevalentemente con marchi dei distributori) e deigrossisti (26%, prevalentemente con marchi dei produttori); quote più basse riguardano lelavorazioni in conto terzi per altre imprese del settore (12%), il mercato più redditizio del catering(6%), e, con valori via via minori, il piccolo dettaglio e i consorzi per la commercializzazione.

Il portafoglio prodotti delle imprese del campione si caratterizza per una netta rilevanza delpomodoro (la c.d. “ linea rossa”), con alcuni casi di imprese monoprodotto. Nell ’ambito dei derivatidel pomodoro prevalgono i prodotti tradizionali quali pelati (48%) e concentrati (30%), rispetto aprodotti più innovativi come polpa e cubettato (12%), e a prodotti ad alto contenuto di “servizioincorporato” , quali passate (6%) e sughi arricchiti (3%). Le produzione di frutta conservata (la c.d.“ linea gialla” ) è costituita esclusivamente da frutta sciroppata e macedonia. Infine, le principaliconserve vegetali appartenenti alla c.d. “ linea verde” sono i legumi e gli ortaggi, in particolare,fagioli (25%), funghi (15%), piselli (10%), peperoni (5%) e altre varietà con percentuali minime(es. patate novelle, grano cotto, pasta in scatola).

Le imprese del campione, hanno mostrato una bassa propensione all ’ innovazione di prodotto.Infatti 3 imprese non hanno introdotto alcuna innovazione, producendo solo pelati. Peraltro le stesseinnovazioni di prodotto rilevate non hanno richiesto un elevato coinvolgimento organizzativo, comenel caso del cubettato, la cui adozione non presenta particolari problemi tecnici ed organizzativi.Casi più interessanti hanno riguardato l’ introduzione di nuovi packaging, pasta in scatola, sughipronti, sughi arricchiti , cubettato aromatizzato, passata, pomodorini di colli na. Per quanto attiene leinnovazioni di processo, prevalgono la selezionatrice ottica nelle fasi iniziali e finali del ciclo,l’ informatizzazione/ programmazione della gestione amministrativa e commerciale, il controlloautomatico. Altre tipologie hanno riguardato il confezionamento asettico (soprattutto per leconfezioni destinate al catering ed alla seconda trasformazione) e la pelatrice termofisica. Infine, leinnovazioni gestionali hanno riguardato soprattutto la penetrazione in mercati esteri, l’adeguamentoalla norma ISO 9002 e al sistema HACCP, e in misura marginale l’ avvio di consorzi e laesternalizzazione del controllo di qualità.

Coerentemente con la metodologia di ricerca prevista nello schema di analisi, per ciascuna delleimprese intervistate è stata individuata, nell ’ambito delle innovazioni introdotte, quella che, agiudizio del gruppo imprenditoriale, ha avuto il maggiore impatto sul vantaggio competitivo. Inrelazione alla definizione di competenza data nei paragrafi precedenti l ’ indagine empirica haapprofondito gli obiettivi iniziali alla base della motivazione ad innovare; infatti la costruzione dicompetenze è strettamente legata alla intenzionalità nell ’uso delle risorse e all ’effettivoraggiungimento degli obiettivi iniziali . Gli obiettivi principali sono risultati l ’acquisizione di nuovequote di mercato, il miglioramento della qualità dei prodotti, la riduzione dei costi fissi, e l’aumentoo mantenimento della propria quota di mercato. Sempre con riferimento all ’ innovazione indicata dalgruppo imprenditoriale, sono state formulate una serie di domande sulla dotazione di risorse,configurate secondo la tassonomia evidenziata in precedenza, e sulla loro evoluzione a seguitodell ’ innovazione realizzata., nonché alcune domande che hanno permesso di verificare come lesingole tipologie di risorse abbiano alimentato lo sviluppo delle capacità. Successivamente, in sededi analisi dei questionari, sono state individuate le risorse-chiave e le capacità-chiave di ciascunaimpresa analizzata, sia confrontando il dato della singola impresa con la media delle imprese delcampione, sia con l’ individuazione di specifiche opzioni strategiche formulate dalle singoleimprese. Per esigenze di brevità del lavoro si omettono i valori medi assunti dalle variabili utili zzateper valutare la dotazione delle singole risorse e capacità previste dallo “Schema di Analisi” ,deducibili peraltro dalla tabella analiti ca dei singoli casi, riportata alle pagine seguenti.

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002

eH

AC

CP

- Pr

open

sion

eal

l’in

nova

zion

e di

pro

-do

tto

(var

iazi

oni s

ulpo

mod

oro

no a

mpl

ia-

men

to g

amm

a)

- P

oten

ziam

ento

della

clie

ntel

a g

razi

eal

la p

rom

ozio

nesu

peri

ore

alla

med

ia-

Quo

ta c

osta

nte

dies

port

azio

ne-

Cap

acità

di g

esti

redi

ffer

enti

tipo

logi

e di

clie

nti (

ingr

osso

, pic

-co

lo d

ett.,

con

sorz

i)

- C

orsi

di a

ggio

rna-

men

to e

form

azio

ne-

Rap

port

i sta

bili

con

con

sule

nti t

ecni

ci

#C2

Sele

zion

a-tr

ice

otti

ca-

Aut

ofin

anzi

amen

toto

tale

dell’

inve

sti

men

to

- Im

pian

ti m

atur

i-

A s

egui

tode

ll’in

nova

zion

e m

ode-

sto

mig

liora

men

to n

ello

sfru

ttam

ento

del

la c

apa-

cità

pro

dutti

va d

egli

im-

pian

ti-

Ges

tion

e bi

lanc

iata

di p

rodu

zion

e co

nm

arch

io p

ropr

io e

prod

uzio

ne se

nza

mar

chio

- In

crem

ento

di

com

pete

nze

amm

inis

trat

ive

ete

cnic

o/sc

ient

ific

he-

Per

sona

le c

on e

spe-

rien

za n

el s

etto

re su

pe-

rior

e al

la m

edia

- Pr

oces

so d

iin

nova

zion

e re

aliz

zato

da d

ipen

dent

i e g

rup

poim

pren

dito

rial

e-

Gru

ppo

impr

endi

tori

ale

plur

i-ge

nera

zion

ale

- In

vest

imen

tipu

bblic

itari

supe

rior

i alla

med

ia-

Quo

ta m

edia

di

expo

rt p

ari a

l 90%

del

lapr

oduz

ione

- B

assa

capa

cità

di

attiv

azio

ne d

ifi

nanz

iam

enti

agev

olat

i

- G

esti

one

dive

rsif

icat

a d

elpo

rtaf

oglio

del

la li

nea

pom

odor

o-

Sist

emi d

ico

ntro

llo a

utom

atic

o-

Cer

tifi

cazi

one

diqu

alità

ISO

900

2-

Bas

so li

vello

di

intr

oduz

ione

di

inno

vazi

oni d

i pro

dott

oe

proc

esso

risp

etto

alla

med

ia

- Po

tenz

iam

ento

della

clie

ntel

a in

segu

ito

all’

inno

vazi

one

di p

oco

supe

rior

e al

lam

edia

- C

lient

i pre

vale

nti:

ingr

osso

e g

ran

dedi

stri

buzi

one

- Pe

netr

azio

ne in

mer

cati

inte

rnaz

iona

li

- Pa

rtec

ipaz

ione

am

ostr

e e f

iere

- C

lient

i eco

mm

itten

ti co

invo

ltidi

retta

men

te n

elpr

oget

to d

i in

nova

-zi

one

- Pa

rtec

ipaz

ione

aco

nsor

zi-

Coo

pera

zion

e co

nU

nive

rsit

à e C

entr

i di

Ric

erca

#C3

Impi

anto

di

ster

ilizz

a-zi

one

a c

on-

trol

lo a

uto-

mat

ico

- C

redi

toor

dina

rio

ata

sso

age-

vola

to

- A

seg

uito

dell’

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vazi

one

mig

lio-

ram

ento

del

la c

apa

cità

prod

uttiv

a-

Ele

vata

inci

denz

ade

lla a

ttivi

tà d

itr

asfo

rmaz

ione

risp

etto

alla

com

mer

cial

izza

zion

e

- E

sper

ienz

a d

elpe

rson

ale

supe

rior

e al

lam

edia

- Pr

oces

so d

iin

nova

zion

e re

aliz

zato

dal g

rup

po im

-pr

endi

tori

ale

- G

rup

poim

pren

dito

rial

e co

nes

peri

enza

plu

ri-g

e-ne

razi

onal

e

- In

vest

imen

tipu

bblic

itari

supe

rior

i alla

med

ia-

Quo

ta d

i exp

ort

supe

rior

e al

la m

edia

del

sett

ore

(ing

ross

o)

- A

ltaca

paci

tà d

iat

tivaz

ione

di

fina

nzia

men

tiag

evol

ati

- L

’im

pres

a h

aco

nsol

idat

oco

mpe

tenz

e ne

llapr

oduz

ione

di v

eget

ali

con

una

quo

ta d

i pro

-d

uzio

ne p

iù a

lta d

elca

mpi

one

- In

trod

uzio

ne d

isi

stem

i di c

ontr

ollo

auto

mat

ico

- C

apac

ità d

i ges

tire

diff

eren

ti ti

polo

gie

dicl

ient

i (di

stri

buzi

one,

ingr

osso

, cat

erin

g, e

cc)

- C

osta

nte

aum

ento

del t

asso

di e

xpor

t del

fattu

rato

- Pa

rtec

ipaz

ione

am

ostr

e e f

iere

- Fo

rnit

ori d

iim

pian

ti co

invo

lti n

elpr

oget

to d

iin

nova

zion

e-

Acq

uisi

zion

e di

info

rmaz

ioni

dai

clie

nti

- Pa

rtec

ipaz

ione

aco

nsor

zi

#C4

Nuo

vo im

-pi

anto

per

cube

ttato

- A

utof

inan

ziam

ento

- Fi

nanz

iam

ento

pub

-

- Im

pian

ti co

nan

zian

ità

in m

edia

con

ilca

mpi

one

- A

seg

uito

- Pe

rcen

tual

e di

dipl

omat

i e la

urea

tisu

peri

ore

alla

med

ia-

Inno

vazi

one

- In

vest

imen

tipu

bblic

itari

supe

rior

i alla

med

ia so

prat

tutto

dop

ol’

inno

vazi

one

- A

cces

soa

font

i di

fina

nzia

men

topu

bblic

o

- E

leva

tobi

lanc

iam

ento

del

laca

paci

tà p

rodu

ttiva

(lin

ea ro

ssa

com

plet

a e

- Po

tenz

iam

ento

della

clie

ntel

a g

razi

eal

la p

rom

ozio

ne d

ipo

co s

uper

iore

alla

- Pa

rtec

ipaz

ione

am

ostr

e e f

iere

- Fo

rnit

ori d

iim

pian

ti co

invo

lti n

el

59

blic

ode

ll’in

nova

zion

e no

nau

men

ta lo

sfr

utta

men

tode

lla c

apac

ità

prod

uttiv

a-

Ele

vata

inci

denz

ade

lla a

ttivi

tà d

itr

asfo

rmaz

ione

risp

etto

alla

com

mer

cial

izza

zion

e

real

izza

ta so

lo in

pic

cola

part

e da

dip

ende

nti

inte

rni

- C

hiar

a st

rate

gia

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dive

rsif

icaz

ione

prod

uttiv

a-

Agg

iorn

amen

to c

onri

vist

e te

cnic

he

- Q

uota

di e

xpor

tin

feri

ore

alla

med

ia d

elca

mpi

one

- G

esti

one

della

tras

form

azio

ne e

conf

ezio

nam

ento

con

mar

chio

pro

prio

su-

peri

ore

alla

med

ia

frut

ta)

- Q

uota

di

prod

uzio

ne d

i fru

tta

supe

rior

e al

la m

edia

del c

ampi

one

- Il

n. d

i m

arch

ipr

opri

radd

oppi

ano

inse

guit

o al

l’in

nova

zion

e

med

ia-

Scar

sa sp

inta

all’

inte

rnaz

iona

lizza

zio

ne

prog

etto

di

inno

vazi

one

#C5

Impi

anto

aset

tico

- A

utof

inan

ziam

ento

tota

lede

ll’in

vest

im

ento

- Im

pian

ti m

atur

iri

spet

to a

lla m

edia

- A

seg

uito

dell’

inno

vazi

one

mig

lio-

ram

ento

sen

sibi

le n

ello

sfru

ttam

ento

del

la c

apa-

cità

pro

dutti

va-

Ele

vata

inci

denz

ade

lla a

ttivi

tà d

itr

asfo

rmaz

ione

risp

etto

alla

com

mer

cial

izza

zion

e

- In

crem

ento

espe

rien

za m

edia

del

pers

onal

e do

pol’

inno

vazi

one

- C

ompe

tenz

e te

c-ni

co/s

cien

tific

he su

pe-

rior

e al

la m

edia

- L

’in

nova

zion

e è

stat

a re

aliz

zata

dal

gru

ppo

impr

endi

tori

ale

- G

rup

poim

pren

dito

rial

e pl

uri-

ge-

nera

zion

ale

- Il

95%

del

lapr

oduz

ione

è tr

asfo

rmat

ae

conf

ezio

nata

senz

am

arch

io-

Prez

zi s

upe

rior

i ai

conc

orre

nti d

ell’

8%-

Quo

ta d

i exp

ort

infe

rior

e al

la m

edia

del

cam

pion

e

- B

assa

capa

cità

di

attiv

azio

ne d

ifi

nanz

iam

enti

agev

olat

i

- Im

pres

am

onop

rodo

tto c

onlin

ea p

omod

oro

dive

rsif

icat

a-

Tra

ttam

ento

del

pom

odor

o bi

olog

ico

- Po

pens

ione

all’

inno

vazi

one

di p

ro-

dott

o e

proc

esso

inm

edia

con

il c

ampi

one

- Po

tenz

iam

ento

della

clie

ntel

a g

razi

eal

la p

rom

ozio

ne d

el10

%-

Incr

emen

tode

ll’ex

port

ris

pett

oal

l’an

no p

rece

dent

e de

l50

% c

ostit

uito

inpr

eval

enza

da

gra

nde

dist

rib

uzio

ne e

cate

ring

- R

appo

rti c

on i

clie

nti

- R

appo

rti c

onim

pres

e st

esso

set

tore

- Pa

rtec

ipaz

ione

aco

nsor

zi

#C6

Impi

anto

di

ster

ilizz

a-zi

one

a c

on-

trol

lo a

uto-

mat

ico

- A

utof

inan

ziam

ento

tota

lede

ll’in

vest

im

ento

- Im

pian

ti re

cent

iri

spet

to a

lla m

edia

- T

asso

di r

inno

vode

gli i

mpi

anti

elev

ato

- In

seg

uito

all’

inno

vazi

one

si r

ea-

lizza

un

mig

liora

men

toco

nsis

tent

e ne

ll’ut

ilizz

ode

gli i

mpi

anti

esis

tent

i-

Inc

iden

za m

aggi

ore

della

tras

form

azio

ne

- D

otaz

ione

di

com

pete

nze

tecn

iche

ed

econ

omic

he a

l di s

otto

della

med

ia-

Il 5

0%de

ll’in

nova

zion

e è f

rutt

ode

l gru

ppo

im-

pren

dito

rial

e e d

ei d

ipen

-de

nti i

nter

ni-

Gru

ppo

impr

endi

tori

ale

prov

enie

nte

da e

spe-

rien

ze p

rofe

ssio

nali

inse

ttor

e co

llega

to

- E

quili

brio

tra

tras

form

azio

ne e

conf

ezio

nam

ento

con

ese

nza

mar

chio

- Pr

ezzi

su

peri

ori a

ico

ncor

rent

i del

5%

- In

vest

imen

ti in

pubb

licità

e pr

omoz

ione

in m

edia

con

il c

ampi

one

- Q

uota

di e

xpor

tsu

peri

ore

alla

med

ia d

elca

mpi

one

cost

ituita

da

ingr

osso

- B

assa

capa

cità

di

attiv

azio

ne d

ifi

nanz

iam

enti

agev

olat

i

- Po

rtaf

oglio

diff

eren

z.-

Quo

ta d

ipr

oduz

ione

di f

rutt

a al

di s

opra

del

la m

edia

del c

ampi

one

- C

erti

fica

zion

e di

qual

ità IS

O 9

002

- H

a in

trod

otto

sist

emi d

i con

trol

loau

tom

atic

o-

Prop

ensi

one

all’

inno

vazi

one

supe

-ri

ore

alla

med

ia

- Po

tenz

iam

ento

della

clie

ntel

a d

el10

%gr

azie

alla

prom

ozio

ne-

Pene

traz

ione

inm

erca

ti in

tern

azio

nali

- B

ilanc

iam

ento

nella

tipo

logi

a d

icl

ient

e (i

ngro

sso,

gran

de d

istr

ibuz

ione

,ca

teri

ng)

- Pa

rtec

ipaz

ione

am

ostr

e e f

iere

- R

appo

rti c

onpr

odut

tori

e/o

forn

itor

idi

im

pian

ti-

Rap

port

i con

icl

ient

i

#C7

Pene

traz

ione

in m

erca

tiin

tern

azio

nali

- A

utof

inan

ziam

ento

tota

lede

ll’in

vest

im

ento

- Im

pian

ti re

cent

iri

spet

to a

lla m

edia

del

cam

pion

e-

Ele

vata

inci

denz

ade

llaco

mm

erci

aliz

zazi

one

del

prod

otto

risp

etto

alla

tra-

sfor

maz

ione

- D

otaz

ione

di

com

pete

nze

tecn

iche

ed

econ

omic

he a

l di s

otto

della

med

ia-

Inno

vazi

one

real

izza

ta d

a g

rupp

oim

pren

dito

rial

e e c

entr

idi

ric

erca

pri

vati

- G

rup

poim

pren

dito

rial

epr

oven

ient

e da

esp

e-ri

enze

in s

etto

reco

llega

to

- Pr

ezzi

su

peri

ori a

ico

ncor

rent

i del

10%

- In

vest

imen

ti in

pubb

licità

e pr

omoz

ione

in m

edia

con

il c

ampi

one

- Q

uota

di e

xpor

tsu

peri

ore

alla

med

ia d

elca

mpi

one

rapp

rese

ntat

oda

terz

isti

e ca

teri

ng

- B

assa

capa

cità

di

attiv

azio

ne d

ifi

nanz

iam

enti

agev

olat

i

- Im

pres

am

onop

rodo

tto c

onsc

arsa

div

ersi

fica

zion

ede

lla li

nea

ross

a-

Bas

sa p

rope

nsio

neal

l’in

nova

zion

e ri

-sp

etto

alla

med

ia

- Po

tenz

iam

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della

clie

ntel

a d

el15

%a

segu

ito

dipr

omoz

ione

- G

esti

one

dise

gmen

ti di

mer

cato

diff

eren

ziat

i(c

omm

itten

ti c/

terz

i eca

teri

ng)

- Pa

rtec

ipaz

ione

am

ostr

e e f

iere

- R

appo

rti c

onU

nive

rsit

à/C

entr

i di

rice

rca

#C8

Pene

traz

ione

- A

utof

in-

Anz

iani

tà im

pian

ti-

Bas

sa d

otaz

ione

di

- L

’azi

enda

tras

form

a,-

Acc

esso

- D

iffer

enzi

azio

ne-

Pote

nzia

men

to-

Part

ecip

azio

ne a

60

in m

erca

tiin

tern

azio

nali

anzi

amen

to-

Fina

nzi

amen

to p

ub-

blic

o in

c/ca

pita

le

in m

edia

con

il c

ampi

one

- In

seg

uito

all’

inno

vazi

one

mig

lio-

ram

ento

nel

l’ut

ilizz

o de

-gl

i im

pian

ti es

iste

nti

- E

leva

ta in

cide

nza

della

atti

vità

di

tras

form

azio

ne

com

pete

nze

tecn

ico-

econ

omic

he e

tecn

ico-

scie

ntif

iche

- L

’in

nova

zion

e è

real

izza

ta d

al g

rup

poim

pren

dito

rial

e e d

aico

nsul

enti

- A

ggio

rnam

ento

con

rivi

ste

tecn

iche

conf

ezio

na, e

com

mer

-ci

aliz

za e

sclu

siva

men

teco

n m

arch

io p

ropr

io-

Dim

inuz

ione

gra

dodi

fed

eltà

dei

clie

nti

- In

vest

imen

tipr

omoz

iona

li al

di s

opra

della

med

ia-

Quo

ta d

i exp

ort a

l di

sott

o de

lla m

edia

sudd

i-vi

sa in

gra

nde

dist

ribu

-zi

one

e ing

ross

o

a fo

nti d

ifi

nanz

iam

ento

pubb

lico

della

pro

duz

ione

sudi

vers

e ti

polo

gie

dipr

odot

to-

Cer

tifi

cazi

one

ISO

900

2 e

HA

CC

P-

Intr

oduz

ione

sist

emi i

nfor

mat

ici

nella

pro

gram

maz

ione

e co

ntro

llo-

Prop

ensi

one

all’

inno

vazi

one

di p

ro-

dott

o (a

mpl

iam

ento

della

gam

ma)

della

clie

ntel

a d

el10

%gr

azie

all’

inno

vazi

one

- R

ipar

tizio

ne d

elfa

ttura

to p

er ti

polo

gia

di c

lient

e se

cond

o la

med

ia d

el c

ampi

one

mos

tre

e fie

re-

Rap

port

i con

cons

ulen

ti te

cnic

i

#C9

Sele

zion

a-tr

ice

otti

calin

ea ro

ssa

- A

utof

inan

ziam

ento

- Fi

nanz

iam

ento

pub

-bl

ico

inc/

capi

tale

- A

nzia

nità

impi

anti

di p

oco

supe

rior

e al

lam

edia

del

cam

pion

e-

In s

egui

toal

l’in

nova

zion

e si

rea

-liz

za u

n m

iglio

ram

ento

nell’

utili

zzo

degl

i im

-pi

anti

esis

tent

i sup

erio

real

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61

Coerentemente con lo schema di analisi adottato la tabella non contiene i dati sulle risorse firmaddressable, che, chiaramente, sono le medesime per tutte le aziende studiate. A partire dai risultatidella tabella precedente è stato possibile identificare per ciascuna impresa studiata la combinazionerisorse-chiave/capacità-chiave alla base dell ’efficacia dell ’ innovazione introdotta.

Tabella 3.6. –Risorse e Capacità-chiave nelle 9 impreseCasi Risorse-chiave Capacità-chiave#C1 Tecniche Marketing#C2 Cognitive Relazionali#C3 Cognitive Marketing#C4 Cognitive Tecnologiche#C5 Cognitive Marketing#C6 Immagine Relazionali#C7 Immagine Marketing#C8 Immagine Tecnologiche#C9 Cognitive Finanziarie

La maggior parte delle imprese studiate (Casi #C2, #C3, #C4, #C5 e #C9) alimenta le propriecapacità grazie ad una superiore dotazione di risorse cognitive. Questo dato sembra confermare chela competitività di imprese localizzate in territori caratterizzati da “effetti di sistema” è basata sulleconoscenze delle risorse umane, ovvero le competenze individuali sedimentate nel corso di ungraduale processo storico fondato su tradizioni imprenditoriali , rapporti personali , pratichemanageriali , fiducia reciproca, specializzazioni produttive, servizi specialistici. Peraltro in alcunicasi (#C1, #C4), le tradizionali competenze manifatturiere della manodopera sono state integratedall ’ ingresso di profili , spesso giovani e con titolo di studio, appartenenti all ’area amministrativo-commerciale. Appare molto bassa la propensione alla cooperazione delle imprese del campione;infatti solo in due casi (#C2 e #C6) la capacità chiave è risultata quella relazionale; peraltro irapporti con attori esterni delle imprese analizzate sono limitati, in genere, a tipologie cheprevedono un basso coinvolgimento organizzativo ed una limitata complessità tecnologica. Infattiprevalgono la partecipazione a mostre e fiere, i rapporti con fornitori di impianti e la partecipazionea consorzi per la sola commercializzazione. Per quanto riguarda le risorse è stata esclusa la tipologiarisorse finanziarie; tale scelta è derivata dalla bassa varianza nelle risposte ottenute. Infatti, tutte leimprese, grazie alla graduale patrimonializzazione garantita da passaggi generazionali successivi,hanno coperto l’ investimento in innovazione con autofinanziamento totale e parziale. Peraltro laconsistenza di tali risorse spiega probabilmente la scarsa rilevanza delle capacità finanziarie,testimoniata dalla bassa capacità di attivare le pur rilevanti opportunità di finanziamenti agevolatidisponibili per imprese operanti in aree in ritardo di sviluppo.

I dati sul rapporto tra le capacità dell ’ impresa e il raggiungimento degli obiettivi inizialidell ’ innovazione analizzata sembrano individuare due orientamenti prevalenti. Da un lato leimprese orientate alla produzione hanno mostrato una tendenza a conseguire riduzioni dei costi fissifacendo leva sulle capacità tecnologiche. Dall ’altro le imprese orientate all ’export hanno puntatomaggiormente alla differenziazione, facendo leva su configurazioni più complesse di risorse ecapacità.

§ 3.5.2 – Risultati della ricerca empirica sulle piccole imprese di software

Le cinque imprese operano tutte nel bacino della Campania Sud-Orientale che, nonostante siaclassificata nelle politi che regionali europee tra le aree in ritardo di sviluppo, si è caratterizzata dauna rilevante presenza di piccole imprese di software, nate e sviluppatesi fin dalla fine degli annisettanta, anche a seguito della quali ficata presenza universitaria: dal 1975 uno dei primi corsi dilaurea italiani in scienze dell ’ informazione presso l’Università di Salerno, dalla fine degli anniottanta il corso di laurea in ingegneria elettronica presso l’Università di Salerno e il corso di laureain ingegneria informatica presso l’Università del Sannio di Benevento. Negli anni più recenti

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l’ intera Regione Campania si sta, comunque, quali ficando come possibile polo italiano delletelecomunicazioni, sia per la presenza dell ’Authority nazionale, sia per la presenza di sediproduttive di diverse grandi imprese nazionali e multinazionali operanti nel settore, sia per alcunicasi aziendali di successo come testimoniato dalla recente quotazione in borsa del gruppoFinmatica.

La Tabella 3.7. sintetizza i risultati della ricerca empirica, condotta secondo la metodologiadescritta nei paragrafi precedenti. Per ciascun Caso è stata identificata l’ innovazione principalerealizzata nel corso della vita dell ’ impresa che, a giudizio dell ’ intervistato, rappresentava il focusdella strategia di innovazione in termini di rilevanza dell ’ investimento, di modifiche organizzative,di durata del processo di innovazione. Per tale innovazione è stato rilevato l’ impatto sullasostenibilit à del vantaggio competitivo e, soprattutto, il grado di ottenimento degli obiettivi iniziali .Utili zzando le categorie di risorse e di capacità definite nei paragrafi precedenti sono stateindividuate le tipologie ritenute fondamentali per l’ottenimento dei risultati e le dinamiche nel corsodel periodo successivo all ’ introduzione dell ’ innovazione. L’ultima colonna descrive le nuovecompetenze derivanti dalla strategia di ciascuna impresa.

Tabella 3.7. – Strategie di Innovazione delle Cinque Imprese

Caso Strategia diInnovazione

Impatto sulVantaggioCompetitivo

Grado digoalattainment

Risorse e Capacità allabase del goalattainment

Dinamiche delle Risorse e delleCapacità a seguito dellastrategia

Sviluppo di nuovecompetenze

#1 Ri-progettazione delPortafoglio Prodotti

Miglioramentovantaggio di costo

Alto Risorse CognitiveCapacità Tecnologiche

Cap. di Marketing

Attrazione di tecnici quali ficatiprovenienti da grandi imprese

Evoluzione del posizionamentoda “sub-fornitore” a “fornitorediretto”

Gestione di GrandiClienti

Gestione dipartnershiptecnologiche congrandi imprese

#2 Introduzione di nuoviservizi internet adalto valore aggiunto

Bassomiglioramento divantaggi dadifferenziazione

Scarso Ris. Tecnologiche

Ris. Finanziarie

Cap. Finanziarie

Uso innovativo della dotazionehardware e software esistente

Nuove politi che di vendita

Riduzione partnership

Da semplice

“ internet provider” a“ impresa di software eservizi avanzati”

#3 Nuovo prodotto peril controllo digestione

Miglioramento divantaggi dadifferenziazione

Totale Ris. di Immagine

Cap. di Marketing

Nuovi Marchi

Nuove tecnologie per svilupposoftware

Da “software house” a“ impresa di servizi perl’organizzazione el’ informazione”

#4 Progetto di R&S“Intranet/Extranetper imprese di servizimulti -sede”

Miglioramento divantaggi dadifferenziazione

Alto Ris. Firm Addressable

Ris.Cognitive

Cap.di Marketing

Leadership nella gestione dellepartnership tecnologiche

Rinnovo delle conoscenzetecniche interne

Gestione di progetticomplessi di R&S

#5 Transizione dallapiattaformatecnologica da UNIXa Windows

Miglioramento divantaggi dadifferenziazione

Alto Ris.Cognitive

Cap. Finanziarie

Flessibilit à del personale per ilrinnovo delle conoscenzetecniche

Sfruttamento dei finanziamentipubblici

Gestione dipiattaforme hardware esoftware avanzate

I risultati confermano la propensione delle piccole imprese di software a realizzare innovazioni dinatura incrementale (Torrisi, 1999). Per tutte le imprese l’energia emotiva ha inciso sul percorsostrategico: nel Caso #1 sostenendo la capacità dell ’ impresa di attrarre personale quali ficato in unafase di forti diff icoltà di reclutamento connesse al c.d. “skill shortage” , nel Caso #2 affrontando larivoluzione che ha colpito gli “ internet provider” di prima generazione (offerta gratuita degli accessiinternet di base, proli ferazione degli operatori, processi di deverticalizzazione, ecc.), nel Caso #3affrontando la fuoriuscita della metà del personale tecnico; nel Caso #4 coronando l’obiettivo di

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transitare dall ’attività di commercializzazione a quella di produzione software, nel Caso #5alimentando una deliberata strategia di crescita.

La maggior parte delle imprese (Casi #1, #4, #5) basa la propria competitività prevalentementesulle risorse cognitive. Il dato appare coerente con la natura knowledge-based del settore software econ la caratteristica della Campania quale area di specializzazione produttiva in tale settore. NelCaso #1 le tradizionali conoscenze tecniche iniziali sono state integrate con l’ introduzione di nuoveprofessionalità con conoscenze gestionali e di marketing. Nei Casi #4 e #5 le risorse cognitivesembrano alimentare due diverse capacità: nel primo caso quelle relazionali , nel secondo quellefinanziarie. Un discorso a parte meritano le capacità relazionali ; in generale i cinque casi, alcunidei quali caratterizzati da tassi di crescita elevati, sembrano mostrare una bassa propensioneall ’utili zzo di risorse firm-addressable; addirittura nel Caso #2 vi è un giudizio negativo sullainiziale strategia di forte apertura alla partnership con partecipazione in consorzi di ricercauniversitari e parchi scientifici. In generale sembra che le imprese, a fronte del pressante invitoall ’apertura ed alla cooperazione abbiano sviluppato una abilit à nel regolare l’ intensitàdell ’ investimento relazionale in funzione del li vello di codificabilit à delle conoscenze derivantidalle risorse firm-addressable. Infatti, nei Casi #1, #2 e #4 le imprese hanno gradualmente sostituitoa forme di cooperazione “ a distanza” con il mondo della ricerca (es. consorzi, formazione), forme“dirette” di acquisizione di conoscenze scientifiche fortemente tacite e altrimenti non assorbibili (es.sponsorizzazione di dottorati di ricerca, assunzione di ricercatori, avvio di spin off).

64

Capitolo #4 –L’ indagine empir ica sulla domanda di innovazione espressa dai 69progett i approvati nell ’ambito della Sovvenzione Globale B.IC.I .-Business Innovation and Cooperative Industries;

§ 4.1. INDICATORI DESCRITTIVI DELLE 67 IMPRESE BENEFECIARIE DEI PROGETTI APPROVATI

A partire dal quadro di riferimento teorico descritto nei capitoli precedenti e, in particolare, dalloschema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese, è stata condotta una primaanalisi dei dati provenienti dai 69 progetti approvati nell ’ambito della Sovvenzione Globale B.IC.I.-Business Innovation and Cooperative Industries.

Vale la pena di ricordare i vincoli di natura metodologica, derivanti dalla mancata possibilit à diprogettare strumenti di ricerca specifici per la rilevazione delle variabili alla base dei processi diinnovazione delle piccole imprese. Conseguentemente è stato necessario fare riferimentounicamente alle seguenti tipologie di dati disponibili per le 67 piccole imprese corrispondenti ai 69progetti approvati, dal momento che due imprese hanno beneficiato dell ’approvazione di dueprogetti ciascuna:

i) dati anagrafici;ii ) tipologia di innovazione (sulla base di una tassonomia prevista dal bando di

partecipazione);iii ) dati economico finanziari;iv) contributo richiesto;v) punteggio di valutazione complessiva del progetto.

Al fine di inquadrare i dati disponibili nell ’ambito delle dinamiche territoriali dei processi diinnovazione vengono presentate, innanzitutto, le provenienze regionali e provinciali dei progettiapprovati. La Tabella 4.1. descrive la distribuzione geografica dei progetti approvati, conl’aff iancamento ad alcune variabili macroeconomiche regionali , mentre la Figura 4.1. ne analizza ladimensione provinciale.

Tabella 4.1. Distr ibuzione Geografica dei Progett i ApprovatiRegione N. progett i approvati Var iabili Macroeconomiche Regionali

Popolazioneresidente

Densità(ab. per

km2)

PIL %su totale

Italia

V.A.industria %su tot. Italia

Spesa inR&S su

totale ItaliaCampania 32 5.630.280 417 6,9 4,1 3,6Puglia 13 4.031.885 209 5,1 3,4 1,4Basili cata* 9 2.680.731 100 2,8 1,3 0,6Sicili a 7 4.966.386 194 6,1 3,5 1,3Molise* 6 1.579.954 96 2,4 2,1 1,5Sardegna 2 1.648.248 69 2,2 1,5 0,7TOTALE 69* Variabili macroeconomiche riferite a Basili cata-Calabria e Molise-AbruzzoFonte: elaborazione dell ’autore a partire dal censimento ISTAT 1991

Dal confronto tra i dati sui progetti approvati e le variabili macroeconomiche emerge, da un lato,la conferma del potenziale innovativo delle province campane e pugliesi, dall ’altro una performacepiuttosto modesta delle province sicili ane. Il dato più significativo è, senza dubbio, rappresentatodalla Basili cata, la cui crescente vivacità, sicuramente spinta dall ’effetto “Sistema Melfi” , ètestimoniata dai recenti rilevanti tassi di crescita, ancor più significativi se rapportati allecaratteristiche strutturali e infrastrutturali dell ’economia e del territorio. I dati regionali sono,

65

comunque, condizionati dalla parziale copertura del bando che riservava l’accesso a “...aziendemanifatturiere e di servizio, aventi fino a 250 addetti e un fatturato compreso entro i 30 miliardi,con gli stabilimenti localizzati nelle province di Campobasso, Isernia, Potenza, Matera,Caltanissetta, Enna, Nuoro, Sassari, Bari, Foggia, Napoli , Avelli no, Oristano, Salerno, Caserta,Ragusa e la sede legale nel Mezzogiorno...” . Conseguentemente appare più indicativo il datorelativo alle province, sintetizzato in percentuale nella Figura 4.1., da cui emergono le eccellentiprestazioni di Napoli , Salerno e Potenza.

Figura 4.1. Ripar tizione percentuale delle province di provenienza dei progetti approvati

PZ13%

FG10%

BA9%

CB9%

SA16%

CL1%

RG7%

CE6%

EN1%

NA25%

SS3%

Assumendo il dato della approvazione dei progetti quale indicatore di propensione all ’ innovazionee di eff icacia della fase progettuale, le prevalenze territoriali sembrano confermare alcuneformulazioni sul dibattito relativo alle aree in ritardo di sviluppo che enfatizzano:

' le differenze “intra-territoriali ” (es. la distinzione tra fascia tirrenica e fascia adriatica, laconfigurazione a “macchia di leopardo” delle zone di sviluppo);

' il l egame tra la propensione ad innovare e i fenomeni di tipo distrettuale e cooperativo (es. leesperienze distrettuali pugliesi e lucane nei settori dell ’abbigliamento, del mobile imbottito,delle calzature);

' il l egame tra la propensione ad innovare e la presenza sul territorio di soggetti con competenzetecnologiche (es. Poli Universitari Campani di Napoli e Salerno, Politecnico di Bari, sedi digrandi imprese in settori tecnologici, come il Polo Aeronautico e il Polo Telecomunicazioni diNapoli , o il “Sistema Fiat” di Melfi).

La Figura 4.2. sintetizza la distribuzione delle imprese beneficiarie per classi di fatturato. Ladistribuzione vede concentrarsi le imprese su un fatturato compreso tra i 500 milioni e i 5 miliardi.Il dato conferma le conclusioni ormai consolidate sulla struttura industriale delle impresemeridionali . Utili zzando infatti le classificazioni legislative15 sulla “Piccola e Media Impresa” ,viene confermata la maggior appropriatezza del concetto di “Piccola Impresa” per la analisi del

15 * Ricordiamo che le PMI, nel D.M. 18/09/97 (in G.U. del 1/10/97, n. 299), sono definite come imprese:- aventi meno di 250 dipendenti; aventi o un fatturato annuo non superiore a 40 mili oni di ECU, o un totale di bilancio annuonon superiore a 27 mili oni di ECU; in possesso del requisito di indipendenza.Ove sia necessario distinguere tra una piccola e una media impresa, la "piccola impresa" è definita come un’ impresa:- avente meno di 50 dipendenti; avente o un fatturato annuo non superiore a 7 mili oni di ECU, o un totale di bilancio annuonon superiore a 5 mili oni di ECU; in possesso del requisito di indipendenza.

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fenomeno innovativo nelle aree in ritardo di sviluppo. In particolare, il confronto di tale dato con ilcampione individuato per l’ indagine sui bisogni tecnologici delle Pmi “Road Map for Italy”(Annunziato e Montanino, 1999) conferma la differenza tra la composizione del campione di Pmidelle regioni del Centro Nord (Emilia Romagna, Toscana e Piemonte), spostata verso le classi diaddetti più alte (20-49, 50-99, 100-250) e quella della regione del Sud (la Puglia), concentrata sullaclasse più bassa (10-19).

Figura 4.2.- Distribuzione dell e Imprese per Classi di Fatturato

0123456789

1011121314

da 0 a100

100-500

500-2.000

2.000-5.000

5.000-10.000

10.000-20.000

20.000-50.000

50.000-60.818

Classi di Fatturato (in mili oni di L.)

N. d

i Im

pres

e

La Figura 4.3. sintetizza la distribuzione percentuale delle 67 imprese per settori di attività definitisulla base della ormai consolidata tassonomia proposta da Pavitt nel 1984 (“Superstars” ; “SupplierDominated” ; “Specialized Suppliers” , “NTBF’s- New Technology-Based Firms”), più volteutili zzata per lo studio delle strategie di innovazione delle piccole imprese.

Figura 4.3. Distribuzione % delle Imprese per Settori

Supplier Dominated

57%

Specialized Supplier

27%

NTBFs16%

La distribuzione vede prevalere, come prevedibile, le imprese “Supplier Dominated” , con unaforte incidenza dei diversi comparti dell ’agroalimentare (lattiero-caseario, conserviero,ortofrutticolo) e del calzaturiero-abbigliamento; tra le imprese “Specialized Suppliers” si distingue

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la presenza di cantieristica specializzata e di lavorazioni meccaniche ad alta precisione. Menoscontata la discreta presenza di imprese configurabili quali NTBF’s, tra cui prevalgono le impresedi software e servizi internet oriented.

La Tabella 4.3. sintetizza i valori totale ed i valori medi degli i ndicatori economico-finanziaridisponibili a partire dalle richieste di finanziamento delle imprese.

Tabella 4.3. – Dati Generali sulle 67 Imprese Beneficiar ieIndicatori Valore Totale (in Lire) Valore Medio (in Lire)

Fatturato 660.702.104.596 10.164.647.763Risultato Operativo 33.585.189.003 516.695.215Capitale Investito 593.768.820.931 8.862.221.208Mezzi Propri 181.205.285.499 2.745.534.629Autonomia Finanziaria 33,89%ROI 6,14%Contributo richiesto / Fatturato 5,02%

Il Fatturato Medio delle 67 imprese è pari a L. 10.164.647.763; esso conferma la distanzastrutturale tra le imprese del campione e i parametri europei di Piccola e Media Impresa.

I dati disponibili sull ’andamento della gestione operativa delle 67 imprese del campione (ValoreMedio del ROI pari al 6,14 % e Valore Medio del Risultato Operativo pari a Lire 516.695.215) serapportati alle scelte di investimento in innovazione descritte nei progetti, lasciano ipotizzare che le67 imprese del campione, in gran parte operanti in settori tradizionali , siano caratterizzate da unadiscreta eff icienza nella gestione caratteristica. In realtà il ROI costruito sulla base del risultatooperativo, con l’esclusione di oneri finanziari e partite straordinarie, dovrebbe essere almeno ugualeal costo medio del denaro. Scomponendo il ROI nel prodotto tra Redditività delle Vendite(Risultato Operativo/Fatturato), pari a 0,05, e Tasso di Rotazione del Capitale (Fatturato/CapitaleInvestito), pari a 1,22, emerge come, in media, la redditività operativa sia alimentata da uneff iciente volume di utili zzo degli impianti, ovvero dalla consistenza delle operazioni di gestione inrapporto agli i nvestimenti effettuati. L’eff icienza della gestione operativa è probabilmente limitatada ineff icienze produttive ed organizzative derivanti dal basso grado di innovazione preesistenteall ’ intervento proposto (es. molte aziende hanno proposto progetti per l’ introduzione di semplicistrumenti di programmazione e controllo). In realtà una più attenta formulazione di tale ipotesinecessiterebbe della disponibilit à dei dati sulle variabili commerciali , di rigiro finanziario e diincidenza della gestione non caratteristica, sottostanti i risultati operativi. Le imprese mostrano, inmedia una struttura finanziaria abbastanza equili brata ( Valore Medio del Capitale Investito pari aLire 8.862.221.208, con un Valore Medio del Grado di Autonomia Finanziaria pari al 33,89%). Ildato, sicuramente al di sopra della media delle imprese operanti nel Mezzogiorno, può esserespiegato dalla presenza, tra i requisiti per l’approvazione del progetto, di un elevato grado dicomplessiva congruenza tra il Valore del Progetto Proposto (pari, in media, a Lire 109.012.550) e lastruttura finanziaria delle imprese proponenti (Rapporto Contributo Richiesto/Mezzi Propri pari, inmedia, al 5,02%).

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§ 4.2. – INDICATORI DI VALUTAZIONE DEI PROGETTI APPROVATI

La Tabella 4.4. sintetizza gli i ndicatori relativi alla valutazione dei progetti approvati, sulla basedei criteri e delle procedure previste dal bando.

Tabella 4.4. – Dati Generali sui 69 Progett i ApprovatiIndicatori Valore Totale Valore Medio

PUNTEGGIO SVP 3,17 Valore Totale del Progetto (in Euro) 3.884.720 56.300Valore Totale del Progetto (in LIRE) 7.521.865.944 109.012.550

Contributo Richiesto (in LIRE) 3.529.904.158 51.158.031

L’ indicatore “Punteggio SVP” è l’ indice globale di valutazione dei singoli progetti che varia dalminimo di 0 al massimo di 5; ai fini dell ’approvazione è stata fissata una soglia minima pari a 2,60.Il “Punteggio SVP” è la risultante di un algoritmo che sintetizza, secondo alcuni meccanismi diponderazione, i seguenti 4 criteri di valutazione:

( Criterio I “Valutazione Aziendale” , basato su indici economico-finanziari (ROI, Indice diautonomia finanziaria, rapporto tra contributo richiesto e fatturato);

( Criterio II “ Impatto dell ’ innovazione sullo sviluppo locale” (formulato dai rappresentanti localie centrali di Confindustria e dell ’Organismo Intermediario);

( Criterio II I “Coerenza tra obiettivi dell ’ impresa e processi di integrazione nello sviluppo”(formulato dai rappresentanti locali e centrali di Confindustria e dell ’OrganismoIntermediario);

( Criterio IV “Valutazione Tecnica” (formulato dal valutatore tecnico).

Nello svolgimento della valutazione tecnica, il criterio IV è stato declinato, dall ’autore, neiseguenti aspetti di dettaglio:

i) Connessione “problematiche aziendali -innovazione proposta”(formulazione del problema aziendale e analisi del legame funzionale tra il problema e

l’ innovazione proposta)ii ) Inerenza e Congruità del budget(legame funzionale tra i costi indicati, le attività previste e l’ innovazione proposta; corrispondenza

con valori di mercato dei parametri di costo proposti)iii ) Corrispondenza tra profilo del fornitore e contenuto tecnico della fornitura(completezza e articolazione della proposta; livello di esperienza del fornitore nelle tematiche

oggetto dell ’ intervento proposto).

Vale la pena di sottolineare l’elevato grado di corrispondenza tra i 4 Criteri di valutazione propostidalla Sovvenzione Globale e le conclusioni formulate nei precedenti paragrafi circa la rilevanza didue aspetti fondamentali nelle strategie di innovazione delle piccole imprese: l’ integrazioni conl’ambiente locale e le capacità interne di assorbire le conoscenze legate all ’ integrazione con fontiesterne di conoscenze.

Il dato medio dell ’ indice globale di valutazione-“Punteggio SVP” per i 69 progetti approvati èrisultato pari a 3,17; in generale il dato è stato trascinato verso il basso più dai risultati del CriterioIV che non da quelli riguardanti la struttura economico finanziaria delle imprese proponenti ed ili velli di integrazione locale. In generale i progetti presentavano un basso livello di esplicitazionedei problemi aziendali che l’ impresa intendeva affrontare per mezzo del progetto di innovazioneproposto. Spesso il problema aziendale veniva addirittura confuso con la soluzione proposta (es.

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“...il problema aziendale è dotarsi di strumenti di controllo di gestione...” ). Tale carenza impediva,in alcuni casi, di ricostruire un legame funzionale tra gli effetti dell ’ intervento proposto e laeventuale risoluzione del problema. Inoltre, in molti casi, la coincidenza dello stesso fornitore diservizi per gruppi di progetti proposti nella stessa area territoriale ha portato alla formulazione“standard” dello stesso problema (e della stessa soluzione) anche per imprese completamentediverse tra loro per dimensione, struttura finanziaria, traiettoria tecnologica, settore competitivo.Anche l’analisi di congruità dei costi è stata resa difficoltosa dalla tendenza di gran parte deiprogetti a sfruttare al massimo i coefficienti previsti dal bando. In particolare in molti casi è stataomessa una corretta descrizione analiti ca, sia qualitativa che quantitativa, dei giorni-uomo necessarialla realizzazione dei servizi proposti.

La media del Valore Totale del Progetto (in Euro), presentato ed approvato da parte della singolaimpresa, è risultata pari a • 56.300. Il Bando di gara per la raccolta delle proposte progettualiprevedeva che tale importo fosse compreso tra un minimo di • 20.000 ed un massimo di •200.000; conseguentemente il risultato medio finale è essenzialmente basso rispetto alle opportunitàdi finanziamento pubblico offerte dalla Sovvenzione Globale,dal momento che esso si posiziona suun valore pari al 31% del potenziale di finanziamento (Figura 4.4.).

Figura 4.4. - Valore Totale del Progetto (• )

20.000

56.300

200.000

0%

31%

100%

0 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000

Minimo

Valore Effettivo

Massimo

Tale dato non deve meravigliare dal momento che la valutazione complessiva che ha portato allaapprovazione dei 69 progetti è stata ispirata, come descritto in precedenza, ad una rigorosa logica dicoerenza complessiva della proposta progettuale e, soprattutto, ad una congruenza tra aspettieconomici, finanziari, tecnici e relazionali . Conseguentemente è risultata prevalente la caratura diprogetti gestibili , sulla base della struttura finanziaria delle imprese di dimensione piccola e micro,prevalenti nel campione analizzato.

Il Valore Medio del Contributo richiesto è risultato pari a Lire 51.158.031 che, rapportato alValore medio del Singolo progetto di Lire 109.012.550, evidenzia una percentuale di finanziamentopubblico pari al 46 % e corrispondente al massimo previsto dal bando. La corrispondenza tra i duedati sembra confermare un approccio opportunistico alla partecipazione delle imprese; infatti uneventuale valore al di sotto del massimo previsto avrebbe permesso di ipotizzare che gli i nterventidi innovazione proposti dalle singole imprese fossero già previsti dai programmi aziendali e, quindi,già parzialmente finanziati con coperture alternative nell ’ambito della complessiva strategia diinnovazione dell ’ impresa. Viceversa, il dato finale lascerebbe ipotizzare che l’ intervento propostosia stato programmato solo ed unicamente quale “tentativo” di attivazione delle opportunità difinanziamento. Una possibile conferma di tale ipotesi potrebbe essere offerta da una verifica acampione sui progetti non approvati, finalizzata a verificare quanti degli i nterventi proposti fosserocosì “strategici” da essere stati realizzati anche in assenza del finanziamento.

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La Figura 4.5., infine, aff ianca, per ciascuno dei tre settori di appartenenza delle imprese, il valoremedio dei progetti approvati e il relativo valore medio dell ’ indicatore “Punteggio SVP”. I duerisultati mostrano un andamento analogo, con una evidente preminenza delle imprese NTBF’s; ildato sembra essere coerente con la natura knowledge based di tale settore, mentre meno logicosembrerebbe la superiorità delle imprese Supplier Dominated, rispetto alle Specialized Supplier.

Figura 4.5. – Confronto tra i Settor i per valore e quali tà dei progett i

Valore Medio dei Progetti per Settore

•56.661,00

•43.688,00

•68.551,00

• -• 20.000,00• 40.000,00• 60.000,00• 80.000,00

SupplierDominated

SpecializedSupplier

NTBF's

Valore Medio dell 'Ind ice SVP per Settori

3,183,06

3,27

2,93

3,13,23,3

SupplierDominated

SpecializedSupplier

NTBF's

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§ 4.3. LE STRATEGIE DI INNOVAZIONE A PARTIRE DAI PROGETTI PROPOSTI

La tabella 4.5. e la Figura seguente che ne sintetizza i risultati percentuali , descrivono le tipologiedei progetti di innovazione approvati, secondo la classificazione proposta dal Bando.

Con riferimento alle diverse prospettive teoriche sul processo di innovazione nella piccolaimpresa, richiamate nel precedente Capitolo 3, appare chiaro come la tassonomia proposta dalbando sia riconducibile all ’ approccio tradizionale in cui la Strategia di Innovazione ha una naturaprevalentemente funzionale, collegata alle diverse tipologie di gestione operativa dell ’ impresaindustriale: gestione degli approvvigionamenti (NETWK Approvv e COLLAB), gestione dellaproduzione (Monitor PRODUZ, Certif AMB e QUAL), gestione commerciale (Nuovi MKT,MARCHI, COMUNICAZ), gestione finanziaria (CONTR GEST, Relazioni FINANZ), gestionedell ’ innovazione (R&S).

Tabella 4.5. Progetti Approvati per Tipologia di Innovazione

TIPOLOGIE DI INNOVAZIONE PREVISTE DAL BANDO ACRONIMO N. dei Progetti16

Accordi di collaborazione per acquisto/scambio servizi COLLAB 2

Acquisizione di nuovi segmenti di mercato Nuovi MKT 30

Certificazione qualità Certif QUAL 26

Monitoraggio produzione Monitor PRODUZ 12

Sviluppo progetti di ricerca R&S 7

Realizzazione di un sistema di controllo di gestione CONTR GEST 4

Rapporti con il sistema finanziario Relazioni FINANZ 3

Innovazioni relazionali (distretti, filiere, network, ecc.) NETWORKING 3

Certificazione ambientale Certif. AMB 2

Marchi di area o fra imprese MARCHI 2

Strategie di comunicazione innovative COMUNICAZ 1

Accordi di collaborazione per approvvigionamenti NETWK Approvv 1

Totale 93

16 Il totale è superiore a 69 (n. dei progetti approvati) dal momento che era possibile indicare più di una tipologia diinnovazione per ciascun progetto presentato.

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Figura 4.6. -Distribuzione % dei Progett i per Tipo log ia di Inno vazione

Monitor PRODUZ13%

CONTR GEST4%

Relazioni FINANZ3%

NETWORKING3%

Certif. AMB2%

NETWK Approvv1%

COMUNICAZ1%

R&S8%

MARCHI2%

Certif QUAL29%

Nuovi MKT34%

I dati evidenziano le due tipologie di innovazione largamente prevalenti tra i progetti approvati:l’Acquisizione di Nuovi Mercati (34%) e la Certificazione di Qualità (29%).

Tale dato conduce a diverse ipotesi formulabili a partire dallo Schema di Analisi delle Strategie diInnovazione descritto nel capitolo precedente.

In entrambi i casi sembra prevalere una logica di incremento dei ricavi come motivazione allabase della decisione di innovare. Tale ipotesi sembra escludere che la proposta del progetto diinnovazione sia funzionale alla implementazione di una più ampia strategia di innovazionedell ’ impresa finalizzata ad obiettivi di competence building, o allo sviluppo di conoscenzeall ’ interno dell ’ impresa, basate sull ’assorbimento e sull ’ integrazione di conoscenze provenientidall ’ambiente locale. Anche in termini di impatto sul Vantaggio Competitivo i dati sembranoconfermare una certa distanza tra gli i nterventi proposti ed un reale impatto su eventuali strategie di“differenziazione” (solo in alcuni progetti sono accennati legami tra R&S e differenziazione) o di“ leadership di costo” (con l’eccezione di alcuni progetti di “Monitoraggio Produzione” e di“Controllo di Gestione”).

Nel caso della Certificazione di Qualità la motivazione ad innovare sembra spesso legata alleopportunità, e in certi casi alla necessità, di dotarsi di uno strumento formale per l’accesso adeterminati segmenti di mercato (pubblica amministrazione e grandi committenti di produzioni inconto terzi). Tale ipotesi è rafforzata dalla lettura del contenuto dei progetti di certificazioneproposti che, spesso, propongono soluzioni simili e standardizzate per imprese molto diverse traloro, ignorando le specifiche organizzative della singola impresa, della traiettoria tecnologica edello spazio competitivo in cui essa si muove. In particolare gran parte dei progetti presentati nonha adeguatamente enfatizzato la base di risorse tecniche ed umane e di capacità organizzative capacidi assorbire ed implementare realmente le procedure, ma soprattutto la cultura, derivantidall ’ introduzione di sistemi di qualità. Spesso la prevalenza di tali ti pologie sembra essere legataalle competenze dei fornitori dei servizi, dai cui curricula, sembra emergere una esperienza limitataalla realizzazione di servizi fortemente routinizzabili (la certificazione), a limitata base tecnologica,legati a logiche settoriali (riproposizione di analisi di mercato e di manualistica di settore).

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I dati molto bassi sui progetti di collaborazione e di networking (3% di NETWORKING, 1% diNTWK per Appovig.) mostrano una limitata propensione alla cooperazione da parte delle imprese;infatti solo in quattro casi l ’ innovazione proposta è legata a espliciti obiettivi di rafforzamento dellacapacità relazionale. Peraltro i rapporti con attori esterni delle imprese analizzate sembrano limitati,in genere, a tipologie che prevedono un basso coinvolgimento organizzativo ed una limitatacomplessità tecnologica

Tale dato rappresenta, probabilmente, l’elemento di maggiore preoccupazione derivante dalconfronto tra gli orientamenti reali delle imprese e le linee di politi ca industriale orientati allapromozione di meccanismi cooperativi e di rete tra le piccole imprese, come testimoniato daivincoli imposti dalla stessa Sovvenzione Globale BICI.

Il dato è ancora più delicato se raffrontato con lo schema di analisi delle strategie di innovazionepresentato nel Capitolo 3 e, soprattutto con il “Modello dell ’ Impresa dai Confini Sfocati” ividescritto. Dai dati disponibili sembrerebbe addirittura che, in molti casi, la conoscenza del proprioambiente di riferimento da parte della piccola impresa sia limitata ai fornitori dei servizi finanziati.Nella quasi totalità dei progetti sono, infatti, totalmente ignorati tutti gli attori che alimentano lacapacità di innovazione della piccola impresa, offrendole quelle risorse strategiche complementaririspetto alla sua natura incompleta (Centri di Innovazione, Università, Grandi Imprese potenzialiCommittenti, Enti Locali , Clienti Innovativi, Infrastrutture tecnologiche).

§ 4.4. – RISORSE E CAPACITÀ STRATEGICHE DELLE 67 PICCOLE IMPRESE

La ricerca empirica sul fenomeno innovativo nella piccola impresa è caratterizzata dalla presenzadi numerosi limiti di natura metodologica, legati alla duplice complessità dell ’oggetto di studio,l’ innovazione, e dell ’unità di rilevazione, la piccola impresa. Uno dei maggiori limiti èrappresentato dalla opacità del concetto stesso di innovazione che si presta ad interpretazionidifferenti da parte del ricercatore, interessato alla rilevazione di aspetti coerenti con i frameworkteorici adottati, e dell ’ imprenditore, spesso poco interessato ad individuare operazioni aziendali erelativi investimenti caratterizzabili come innovazioni esplicite, codificabili secondo le categorie delricercatore.

Uno degli aspetti più significativi della ricerca presentata in questo lavoro è rappresentato, alcontrario, dall ’elevato grado di partecipazione dell ’ imprenditore, derivante dalla mobilit azione delcofinanziamento quale garanzia di una effettiva corresponsabili zzazione delle piccole impresebeneficiarie dei “credit” di innovazione. In secondo luogo la stessa Commissione UE, neidocumenti normativi e nei programmi orientati allo sviluppo endogeno, raccomanda il principio delbottom up ai fini di una corretta espressione dei fabbisogni di innovazione della piccola impresa. Interzo luogo la possibilit à di assumere le scelte operate nelle richieste di finanziamento qualiindicatori delle loro strategie di innovazione è rafforzata dalla natura dinamica del “credit diinnovazione”. Infatti, il "credit", neologismo coniato per ragioni di sintesi e già collaudato consuccesso in precedenti sovvenzioni globali - è inteso quale contributo concesso, a seguito dellastipula di apposito contratto, per il cofinanziamento di un'iniziativa d'innovazione aziendale attuatada una impresa localizzata in aree in ritardo di sviluppo. Il termine "credit di innovazione" èmutuato dalla terminologia utili zzata nei sistemi formativi, in cui le tappe di una progressivaformazione sono denominate "credit di formazione". Di conseguenza, non si fa riferimento ad unaterminologia bancaria, ma al cofinanziamento di un progetto che rappresenta una tappa di unpercorso aziendale di innovazione.

In definitiva, nonostante i vincoli metodologici esposti in precedenza, emerge una ulteriore chiavedi lettura dei dati provenienti dai progetti approvati, derivante da una analisi dei contenuti deiprogetti di innovazione proposti alla luce delle categorie di risorse e di capacità identificate nelloschema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese descritto nel Capitolo 3. In

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particolare, appare ragionevole ritenere che la libera scelta di allocazione di proprie risorse su una opiù delle diverse tipologie di innovazione previste dal bando possa essere indicativa delle tipologiedi risorse e di capacità ritenute strategiche da parte della singola impresa.

§ 4.4.1. Risorse e Capacità di Marketing

Nonostante la tipologia prevalente di innovazione sia rappresentata dalla “Acquisizione nuovisegmenti di mercato” , la gran parte dei progetti sembra più orientata al sostegno delle risorse,definite come qualsiasi input, sia tangibile che intangibile, che l’ impresa può utili zzare nei propriprocessi, che non allo sviluppo di capacità, intese quali procedure ripetibili nell ’uso delle risorsestesse.

La presenza di diversi progetti di marketing strategico (es. dalla analisi di mercato allaindividuazione e implementazione di piani di marketing aziendali ), pur se basati su logiche diintervento collocabili nell ’ambito dei tradizionali approcci della “Planning School” , è uno dei pochiindicatori della volontà da parte della piccola impresa di assorbire le competenze esterne, rendendostabile e, si spera, “ routinario” , l’uso di determinate conoscenze tecniche e dei relativi strumentigestionali .

Nell ’ambito della tipologia prevalente di innovazione “Acquisizione nuovi segmenti di mercato” 6progetti su 30 sono, in qualche modo, legati alla introduzione di metodi e tecniche connessi aInternet. In 2 casi si tratta specificamente di sistemi di commercio elettronico, mentre negli altri casiprevalgono strumenti meno innovativi quali siti web aziendali e sistemi on line di gestione;

Più interessante è il l egame funzionale, riscontrabile in diversi progetti, tra il miglioramento deiprodotti finali (es. certificazione dei prodotti, introduzione di nuove varianti di prodotti esistenti,allargamento della gamma) e gli obiettivi di acquisizione di nuovi segmenti di mercato.

Più preoccupante è la presenza di progetti esplicitamente limitati a interventi sulla gestione dellacomunicazione aziendale. In tali casi, anche se la natura innovativa era riconosciuta a monte daesplicite previsioni del bando, la presenza di un legame tra l’esecuzione del progetto e lo sviluppodi capacità di innovazione interne all ’ impresa si è rivelato molto basso.

Molto blando è risultato l’orientamento all ’export. Infatti, solo in 2 casi sono stati proposti progettidi innovazione strettamente finalizzati al miglioramento dei processi di internazionalizzazione delleimprese.

§ 4.4.2. – Risorse Cognitive

Generalmente il li vello delle conoscenze individuali dei soggetti coinvolti nella gestionedell ’ impresa viene descritto attraverso indicatori del li vello di istruzione (es. titolo di studio), diesperienza tecnica (es. skill tecnologiche e gestionali ), di formazione interna (es. aggiornamentoprofessionale). Ancora più rilevanti sembrano essere gli i ndicatori collegati alla rilevazione diprocessi di passaggio dalle conoscenze individuali alle conoscenze collettive che determinano lecapacità dell ’ impresa. Inoltre, come descritto nel capitolo 3, le risorse cognitive pervadono, allaluce delle teorie resource e competence based, tutti i processi di innovaizone dell ’ impresa, dalmomento che esse descrivono direttamente il li vello di conoscenze presenti e assorbibili i n futuroda parte dell ’ impresa. Conseguentemente appare chiaro come, nell ’ambito della tassonomia previstadal bando, le tipologie di innovazione maggiormente capaci di esprimere una strategia basata sullerisorse cognitive possano essere le “Certificazioni” . Tali procedure richiedono infatti un consistenteinvestimento in programmi di addestramento interno che coinvolgono le diverse categorie di addettisia nella fase di analisi e di riprogettazione dei processi dell ’ impresa, sia nella fase diimplementazione e testing delle procedure.

L’aspetto più confortante è legato, senza dubbio, alla diffusione di un generale orientamento delleimprese proponenti alla reale natura del Total Quali ty System, citato, anche se a volte in modo

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improprio, in quasi tutti i progetti, con un definitivo superamento di una concezione ristretta dellaqualità legata alle funzionalità tecniche dei prodotti.

Su 26 progetti 8 prevedono oltre alla ormai consolidata certificazione ISO 9000, anche lacertificazione ambientale, con specifico riferimento alle norme ISO 14001/96. In 3 casi, addirittura,i progetti prevedono una complessiva gestione della qualità che abbraccia le diverse gestioniaziendali , produttive, ambientali , organizzative e di sicurezza.

Non di meno emerge, in alcuni casi, la tendenza alla visione della qualità come strumento“burocratico” e “commerciale” per l’accesso a determinate categorie di clienti (es. pubblicaamministrazione o committenti di sistemi di subfornitura); addirittura in un caso l’ impresa proponela certificazione di qualità come progetto di “acquisizione di nuovi segmenti di mercato” .

L’aspetto più preoccupante, già sottolineato nel paragrafo precedente, è rappresentato, invece, dalrilevante livello di somiglianza dei progetti di “certificazione” presentati dai medesimi fornitori deiservizi. Va sottolineato, peraltro, come nell ’ambito dei curriculum dei fornitori di servizi, proprio lapresenza di rilevanti esperienze, sia qualitative che quantitative, di gestione della qualità harappresentato l’ indicatore più positivo di valutazione delle conoscenze e delle competenze delle“ fonti di innovazione” dei progetti approvati.

§ 4.4.3. – Risorse e Capacità Tecnologiche

Le Risorse Tecnologiche sono generalmente valutate sulla base di indicatori quantitativi (es.valore delle immobili zzazioni tecniche) e qualitativi (es. produttività e livello di obsolescenza degliimpianti). Nel caso della Sovvenzione Globale BICI gli i nvestimenti in immobil izzazioni materiali ,coerentemente con le finalità dell ’ intervento, sono stati fortemente limitati. Le CapacitàTecnologiche sono generalmente espresse sia dai tradizionali i ndicatori di input (es. investimenti inR&S) e di output (es. brevetti), sia da più complessi indicatori organizzativi (es. adozione distrumenti di project management, procedure per il monitoring tecnologico, documentazione diproduzione, ecc.). Nell ’ambito delle categorie previste dal bando e sulla base della analisi delladocumentazione di progetto due tipologie sembrano esprimere al meglio un orientamento delleimprese al sostegno delle Risorse e delle Capacità Tecnologiche: i progetti di “Monitoraggio dellaProduzione”, e quelli di “Sviluppo Progetti di Ricerca”

Nell ’ambito della tipologia “Monitoraggio della Produzione” sono risultati prevalenti i progettiorientati alla progettazione di sistemi informativi, peraltro limitati dalle condizioni poste dal bando,e alla introduzione di sistemi di controllo di gestione. Solo in 3 casi sono stati rilevati effettiviorientamenti alla introduzione di innovazioni di processo (es. reingegnerizzazione dei processi,quali ficazione dei processi produttivi).

Nell ’ambito dei progetti di “Sviluppo Progetti di Ricerca”, spiccano un progetto di riduzione deicosti energetici, 4 progetti finalizzati alla innovazione di prodotto, sviluppati in settori a bassaintensità di capitali , e alcuni progetti che abbracciano le diverse tipologie di innovazione diprodotto, di processo ed organizzative.

§ 4.4.4. – Risorse e Capacità Finanziarie

Sul piano delle metodologie di gestione finanziaria i progetti approvati presentano un livello diinnovatività piuttosto basso, nonostante il bando enfatizzasse l’ importanza di progetti capaci disintetizzare la natura innovativa dei contenuti (es. nuove metodologie di contabilit à industriale) e lacreazione di rapporti evoluti con il sistema finanziario per la realizzazione di strumenti di finanzainnovativa (es. fondi mobili ari chiusi, venture capital). Infatti, la quasi totalità dei progetti di“Controllo di Gestione” e “Rapporti con il sistema finanziario” propongono l’ implementazione disistemi di controllo di gestione basati su metodologie tradizionali , di stretta derivazione contabile,formulati con costante ripetiti vità delle medesime fasi standard, e, soprattutto, con eccessiva enfasi

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sulla implementazione di pacchetti software fortemente standardizzati. In definitiva emerge unavisione della gestione finanziaria limitata ad una funzione di supporto contabile-amministrativo,piuttosto che ad una funzione di supporto alle decisioni aziendali ritenute criti che dall ’ impresa.

Il dato è ancora più preoccupante se si considera che, generalmente, un indicatore della CapacitàFinanziaria della piccola impresa è rappresentato dalla presenza di procedure ripetibili per lagestione delle fonti di finanziamento, sia agevolate sia ordinarie. Infatti, dalla analisi delladocumentazione progettuale è emerso come, in molti casi, gran parte del processo che ha condottoalla presentazione delle proposte (ideazione, progettazione, scelta dei partner, budget, redazione deidocumenti, rapporti con l’Organismo Intermediario, ecc.) sia stato gestito esternamente all ’ impresadai fornitori dei servizi connessi ai singoli progetti. Ciò lascia ipotizzare come la partecipazione aprogrammi di finanziamento agevolato per l’ innovazione sia legata non tanto alla presenza dieffettive ed esplicite esigenze di innovazione con connessi programmi di investimento, quanto aduna visione “opportunistica”, alimentata da fornitori esterni, spesso non legati da rapporti dicontinuità professionali tali da garantire una graduale internalizzazione delle conoscenze e delleprocedure oggetto dell ’ intervento.

Le considerazioni precedenti sembrano confermare le conclusioni sul comportamento dellepiccole imprese nel finanziamento delle attività innovative, contenute nella citata ricerca “RoadMap for Italy” (Annunziato e Montanino, 1999); la ricerca ha sottolineato, infatti, uno scarsointeresse delle PMI per le opportunità di finanziamento all ’ innovazione, derivante sia dalla presenzadi consulenti definiti come “faccendieri-lobbysti” , sia dalle difficoltà di natura burocratica connessealla effettiva erogazione dei fondi.

§ 4.4.5. – Capacità Relazionali

Generalmente la Capacità Relazionale di una piccola impresa viene misurata attraverso lapresenza di efficaci procedure ripetibili per la gestione del “confine sfocato” , ovvero di tutti queirapporti, formali ed informali , con gli attori-chiave dell ’ambiente di riferimento dell ’ impresa. Comelargamente sottolineato in letteratura tali attori, che costituiscono il sistema territoriale diinnovazione di riferimento della piccola impresa, sono identificati, di volta in volta, nell ’ambito deicentri di innovazione, delle Università, di grandi imprese potenziali committenti, dei fornitori diservizi, di enti locali , di clienti innovativi, di altre piccole imprese, di infrastrutture tecnologiche.

La Sovvenzione Globale BICI ha ampiamente tradotto, in termini di policy, tale approcciofocalizzando l’ intervento, e la valutazione dei progetti proposti, sulle potenzialità di impatto localedell ’ iniziativa di innovazione e sulla la coerenza fra gli obiettivi del progetto aziendale e i processidi integrazione territoriale.

In particolare il bando ha esplicitato tale orientamento, prevedendo tre tipologie specifiche diinnovazione: i) Innovazioni relazionali distretti, fili ere, network (NETWORKING), ii ) Accordi dicollaborazione per acquisto/scambi di servizi (NTWK per Approvig); iii ) Marchi di area o traimprese (MARCHI).

Come già sottolineato nel paragrafo precedente tali ti pologie non superano complessivamente il4% dei progetti approvati; più in generale l’ampiezza dei rapporti tra le piccole imprese proponentie l’ambiente esterno è risultata limitata a pochi, spesso uno solo, fornitori dei servizi oggetto del“credit” , ignorando totalmente la potenziale ricchezza delle relazioni cooperative con gli altri attori.Infatti sia sul piano quantitativo, bassissimo numero di fornitori per singolo progetto, sia sul pianoqualitativo, larga prevalenza di fornitori locali di dimensioni ed esperienze limitate, i progettiapprovati sembrano mostrare una “delega”, da parte della piccola impresa, dei rapporti conl’ambiente esterno al fornitore dei servizi.

Nell ’ambito dei progetti approvati, spicca la proposta di costituzione di un marchio di area per unprodotto agricolo tipico delle produzioni locali . L’esempio dimostra come la propensione

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all ’ innovazione, e in particolare allo sviluppo di relazioni strategiche, possa svilupparsi anchenell ’ambito di settori tradizionali , a condizione di saper definire piattaforme progettuali cherealizzino uno scambio effettivo di valore tra i diversi partecipanti alla “rete”.

Nessuno dei progetti approvati propone relazioni strategiche né con Università, né con Agenzielocali di trasferimento tecnologico (Parchi Scientifici, Centri di Innovazione, ecc.). Il dato si prestaa diverse considerazioni con riferimento sia al tema dei rapporti tra piccole imprese e Università, siaal ruolo delle infrastrutture per il trasferimento della conoscenza.

Già la citata ricerca “Road Map for Italy” (Annunziato e Montanino, 1999), pur realizzata su uncampione di PMI non limitato alle aree in ritardo di sviluppo, ha registrato un livello“ insoddisfacente” dei rapporti tra Università e imprese intervistate; in particolare la ricerca hasottolineato la distanza tra problemi “ tecnici” delle imprese e conoscenze “scientifiche” deiricercatori, il problema della “segretezza” aziendale, e l’ importanza dei meccanismi di informazionedelle attività di ricerca condotte in ambito accademico.

La analisi delle barriere (vedi Tabella 4.6.) alla cooperazione tra Università e piccole imprese,localizzate in aree in ritardo di sviluppo è stata oggetto, tra l’altro, di precedenti ricerche empirichecondotte dall ’autore su novanta gruppi di ricerca della Università di Salerno (Belli ni, 1997; Belli ni eZollo, 1997), che hanno confermato le conclusioni di diversi autori (Varaldo e Piccaluga, 1994;Harmon et al., 1995; Sanchez and Tejedor, 1995), permettendo la classificazione delle barriere intre categorie: Culturali , Organizzative, Gestionali . La prima tipologia è particolarmente rilevantenelle aree in ritardo di sviluppo, la seconda caratterizza casi in cui la autonomia universitaria èmolto bassa, la terza emerge in casi in cui forme di cooperazione Università-Industria sono state giàsperimentate.

Tabella 4.6. - Barr iere alla cooperazione Università-Imprese

Barriere Culturali

) Divergenza delle rispettive Missioni) Diversità dei processi decisionali) Autoreferenzialità del sistema universitario

Barriere Organizzative

) Incompatibilit à dei tempi) Frammentazione disciplinare Università) Burocrazia universitaria) Aspetti legali (contrattualistica, protezione, garanzie per inadempimenti)

Barriere Gestionali

) Struttura e procedura delle attività congiunte) Problemi finanziari) Segretezza e sicurezza risultati di R&D

Fonte: Belli ni, 1997

La ricerca empirica ha mostrato come le barriere più importanti riguardino gli aspetti culturali . Unproblema chiave è derivato dal fatto che ricercatori e imprenditori usano differenti metodi ecategorie (linguaggi, categorie esplicative, percezioni, aspettative) nel processo di definizione dellerispettive valutazioni. In tali condizioni il processo di coordinamento delle azioni congiunte darealizzare diventa particolarmente difficoltoso. Il comportamento autoreferenziale del sistemauniversitario è mostrato chiaramente dal fatto che il gruppo di ricerca considera la comunitàscientifica, come un “cliente” pressoché esclusivo delle proprie attività.

Inoltre, dal punto di vista organizzativo, mentre l’ Industria è focalizzata dal “ time to market” , igruppi di ricerca sono ispirati dal “ time to novelty” , con la conseguenza che le scadenze deiprogrammi di ricerca divengono incompatibili con i progetti di innovazione delle imprese. Infine, èimportante sottolineare come la frammentazione delle discipline, la burocrazia universitaria e ilimiti giuridici influenzino negativamente lo sviluppo di relazioni eff icaci e si rivelino inadeguatiper la definizione di accordi strategici.

All ’ interno di tale contesto vincolante è molto facile intuire che i gruppi di ricerca possonoconsiderare le attività di consulenza e gli spin-off accademici come forme tra le più eff icaci diinterazione tra mondo della ricerca e ambiente economico. Infatti, gli spin-off accademici appaiono

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quali fenomeni capaci, da un lato, di massimizzare le motivazioni connesse alla “Didattica” e al“Sostegno all ’economia locale”, dall ’altro, di neutralizzare le più importanti barriere organizzative egestionali .

La stessa ricerca empirica ha permesso di individuare anche le motivazioni (vedi Tabella 4.7.) deigruppi di ricerca universitari a cooperare con l’ industria, ricondotte alle tre missioni fondamentalidel sistema universitario pubblico (Ricerca, Didattica, Servizio Pubblico). Una delle motivazionimaggiormente rilevate riguarda il reperimento di fondi per la ricerca. Tale motivazione,riconducibile alla progressiva riduzione dei finanziamenti pubblici, conferma risultati emersi instudi analoghi svolti i n contesti territoriali diversi, quali Aragona-Spagna (Sanchez, Tejedor, 1995),USA (Mian, 1994), Portogallo (Fontes, Coombs, 1995).

Tabella 4.7.- Le Motivazioni della Università a cooperare con le Imprese

Missione“Ricerca”

* Progressiva riduzione dei fondi pubblici per la ricerca* Spunti per la ricerca derivanti da problemi tecnici delle imprese* Necessità di partner industriali end-user per partecipazione a programmi diricerca

Missione“Didattica”

* Orientamento dei programmi di studio ai profili professionali richiesti dalleaziende (es. stage per iscritti ai Diplomi Universitari, dottorati di ricerca concoinvolgimento di imprese)* Miglioramento quali -quantitativo del placement dei neolaureati* Possibilità per gli studenti di uso imprenditoriale di idee innovativederivanti dalla ricerca

Missione“Servizio Pubblico

(sostegno all ’economia locale)”

* Rafforzamento legami con attori istituzionali locali* Rafforzamento tessuto economico locale con partecipazione diretta ainiziative di impresa* Attrazione di investimenti privati esterni all ’area

Fonte: Belli ni, 1997

La ricerca empirica ha permesso di rilevare come le altre motivazioni rivestano un ruolosecondario, anche se è’ importante sottolineare la sensibilit à dei docenti agli stimoli , provenienti daiprogrammi dell ’Unione Europea per il rafforzamento dei rapporti tra Università-Industria inrisposta al “paradosso europeo” (Libro Verde dell ’ Innovazione, 1995) caratterizzato da uno scartosignificativo tra il costante miglioramento delle prestazioni scientifiche e il progressivopeggioramento delle prestazioni tecnologiche, industriali e commerciali nei settori hi-tech. Talefenomeno sta alimentando la motivazione dell ’Università ad interagire con le imprese, dal momentoche la cooperazione tra ricercatori, tecnologi e end-user rappresenta il requisito essenziale per lapartecipazione a molteplici programmi. Le motivazioni connesse alle missioni “Didattica” e“Sostegno allo sviluppo locale”, meno sviluppate in passato, stanno assumendo una importanzacrescente a seguito della tendenza verso una maggiore autonomia delle istituzioni universitarie.Infatti, l’autonomia favorisce la competizione tra i singoli atenei rispetto alla attrazione di nuovistudenti, le cui scelte sono condizionate dalla qualità dei programmi e dalla probabilit à deglisbocchi occupazionali . I risultati descritti trovano conferma nel coinvolgimento diretto delleUniversità della Campania e di altre aree centro-meridionali nelle attività di strutture per lapromozione dell ’ innovazione (es. Parchi Scientifici, Consorzi misti Università-Industria, Enti per losviluppo di nuova imprenditorialità). E’ importante sottolineare come, a differenza di esperienzeprecedenti, le Università siano coinvolte quali i stituzioni e non solo per mezzo di incarichiprofessionali privati commissionati ai singoli ricercatori.

Tali esperienze confermano la generale impressione che, anche nelle aree in ritardo di sviluppo,l’Università si muova da un “Modello Mercantile” a un “Modello Leva” (Varaldo e Piccaluga,1994) che realizzi innovazione nei processi formativi, proattività nei rapporti con le imprese esostegno alla promozione degli spin-off accademici. Tali considerazioni confermano, comesottolineato anche dalla ricerca “Road Map for Italy” , come la scarsa rilevanza quantitativa direlazioni tra Università e piccole imprese non vada interpretato come un segno di debolezza delsistema italiano, vista la priorità strategica, per la competitività di lungo periodo del sistema paese,

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dell ’ impegno accademico su ambizioni programmi di ricerca internazionali e ad ampio spettroapplicativo.

Ben più grave è l’assenza nei progetti BICI di manifestazioni di interesse da parte delle piccoleimprese meridionali nei confronti delle locali i nfrastrutture per il trasferimento tecnologico(agenzie, parchi tecnologici, centri di innovazione, ecc.). Queste ultime, infatti, trovano unagiustificazione della loro esistenza, e dei rilevanti finanziamenti cui accedono, nella missione di“ponte” tra le imprese del territorio e le fonti delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Ilmancato riconoscimento di tale ruolo da parte delle piccole imprese meridionali suona come uncampanello di allarme circa la necessità di ampliare il ruolo di tali i nfrastrutture alla luce dellaevoluzione knowledge e competence based dell ’economia reale e dei sistemi competitivi. Infatti, inprevisione della graduale diminuzione dei finanziamenti pubblici straordinari per la fase del lorostart up, tali i nfrastrutture dovranno disegnare una loro strategia che ne permetta lo sviluppo, oalmeno la sopravvivenza, in un contesto competitivo in cui riuscire a conquistare la libera scelta dimercato delle piccole imprese locali . Anche questo dato trova conferma nei risultati della ricerca“Road Map for Italy” che ha sottolineato i pericoli competitivi per le agenzie di trasferimentotecnologico derivanti:

+ dallo scarso valore attribuito ai servizi delle agenzie da parte delle imprese (“ le impreseintendono le agenzie come strumenti messi al loro servizio, possibilmente a costo zero, ... lacui principale funzione sia quella di facilit are ìl reperimento dei finanziamenti, anzichècondurre un’attività di trasferimento dell ’ innovazione...” ;

+ dalla ambigua identità attribuita alle agenzie da parte delle imprese (“ ... le agenzie vengonoconfuse con l’Università, ... addirittura con l’ ICE...” );

+ dalla diff icoltà delle agenzie a sviluppare competenze di reale interesse per le imprese (“ ...alcune imprese suggeriscono alle agenzie di mettere in contatto imprese appartenenti alla stessafili era produttiva..., ... o imprese locali con operatori esteri...).

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Capitolo 5 –Conclusioni e Implicazioni Gestionali

§ 5.1. –L ’ADOZIONE DI UNA PROSPETTIVA GESTIONALE COMPETENCE-BASED DA PARTE DELLE

PICCOLE IMPRESE OPERANTI I N AREE IN RITARDO DI SVILUPPO

I capitoli precedenti hanno mostrato come l’evoluzione degli studi strategici sia in grado di offrirevalide chiavi di lettura del fenomeno innovativo nella piccola impresa alla luce dei concettifondamentali dell ’economia competence-based17. I dati disponibili nell ’ambito dei progettiapprovati dalla Sovvenzione Globale BICI, se pur caratterizzati da evidenti limi ti di naturametodologica, hanno avuto il pregio di offrire una visione del fenomeno direttamente dallaprospettiva della piccola impresa. Ciò grazie soprattutto al sicuro coinvolgimento degli imprenditoriderivante dal loro impegno a cofinanziare le strategie di innovazione collegate ai progetti presentati.Tale aspetto ha permesso, quanto meno, di limit are i problemi di interpretazione e di codifica delfenomeno innovativo tipici della ricerca empirica sulla piccola impresa, proponendo categorie delprocesso di innovazione, magari “semplici” , ma definite direttamente dagli imprenditori non ai finidi una intervista, ma nell ’ambito della effettiva gestione aziendale.

Lo schema di analisi delle strategie di innovazione della piccola impresa ha permesso diricostruire il l egame tra competitività dell ’ impresa e processi di competence building. In particolareil rigore terminologico alla base dello schema ha portato alla definizione di un più preciso legametra:

i) relazioni con le risorse firm-addressable disponibili nell ’ambiente esterno, e inparticolare con le informazioni da esse derivanti;

ii ) conoscenza, in particolare quella individuale incapsulata nelle risorse cognitive;iii ) risorse e capacità interne;iv) relativo impatto sulla posizione competitiva

Tali distinzioni fondamentali aiutano, probabilmente, a spiegare il basso livello di relazioni con gliattori locali , e in particolare con l’ambiente tecnologico, da parte delle piccole imprese. La piccolaimpresa è, per sua natura, caratterizzata da un comportamento erratico, in cui le relazioni sono, divolta in volta, più legate ad obiettivi tattici di breve periodo che non ad un preordinato disegno disviluppo delle conoscenze e delle competenze ritenute strategiche. Queste ultime, infatti, purrivestendo una importanza vitale, sono generalmente sviluppate dalla singola impresa in modoautonomo, a volte “segreto” , secondo percorsi caratterizzati da un elevato grado di informalità cheaccresce il carattere tacito delle conoscenze sviluppate.

Dal punto di vista delle policy emerge quindi, la necessità di aiutare la piccola impresa a scioglierealcuni equivoci, spesso generati dallo scarso rigore terminologico, che impediscono di cogliere lanatura strategica della relazione circolare tra relazioni-sviluppo di conoscenze-competence building-competitività.

Gli equivoci cui si fa riferimento sono costituiti da alcune percezioni di fondo che caratterizzano isistemi cognitivi della piccola impresa:

i) un legame diretto tra investimenti industriali (prevalentemente tangibili ) e competitività,come dimostrato dalla rilevante tendenza alla partecipazione a programmi di

17 Ricordiamo che, anche in questo capitolo conclusivo, i termini conoscenza, risorsa, capacità, competenza sono utilizzati allaluce delle distinzioni e delle definizioni riportate nei capitoli 2 e 3. In particolare il concetto di competenza viene utili zzatoquale risultante di operazioni aziendali caratterizzate da: intenzionalità nell ’uso delle risorse, organizzazione, raggiugnimentodegli obiettivi.

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finanziamento agevolato per tali i nvestimenti (es. Legge 488/92 e programmi regionaliper l’ industria);

ii ) un legame tra “segretezza e incapsulamento tacito” delle conoscenze nei componenti delgruppo imprenditoriale e difesa della competitività;

iii ) la tendenza ad investimenti “ relazionali ” legati ad obiettivi di natura commerciale e“politi ca” (es partecipazione ad organizzazioni rappresentative, o con potere di lobby).

Non è questa la sede per ripercorrere le cause socio-economiche di tali processi, legatiessenzialmente a meccanismi di costruzione della fiducia tra gli attori e ad alcuni fenomenidistorsivi della concorrenza, ma appare chiaro come l’adozione di una prospettiva di gestionecompetence-based da parte della piccola impresa passi attraverso un processo di interiorizzazione dialcune priorità strategiche:

i) la necessità di partecipare a sistemi relazionali per l’accesso a processi di sviluppo diconoscenza tacita altrimenti non raggiungibili;

ii ) la necessità di selezionare tra tutte le possibili relazioni quelle realmente strategicherispetto ai processi di sviluppo delle competenze strategiche, riducendo le relazioni consoggetti non in possesso di conoscenze e competenze complementari;

iii ) la necessità di procedere, laddove possibile, a processi di graduale esplicitazione eformalizzazione dei processi di sviluppo della conoscenza interna all ’ impresa (es.attività configurabili come progetti di R&S, procedure tecniche, curriculum tecnico,principali i nnovazioni realizzate, ecc), al fine di migliorare la gestione sia delleoperazioni interne, sia delle relazioni esterne con finanziatori e partner.

In termini più banali diventa fondamentale il superamento di una dicotomia spesso presente neisistemi percettivi delle piccole imprese operanti in aree deboli: i nvestimenti tangibili = redditivitàvs. investimenti intangibili = attività di R&S troppo lontana dal mercato e quindi estranea allapiccola impresa. L’elemento che potrebbe permettere la rottura di tale dicotomia è rappresentatoproprio dalla circolarità delle relazioni tra conoscenza che, come ben chiaro anche alla piccolaimpresa, rappresenta l’elemento di reale valore aggiunto che moltiplica il rendimento di tutti gliinvestimenti, relazioni e redditività.

Il concetto di circolarità è strettamente legato ad una lettura dei fenomeni aziendali nell ’otticadella teoria della complessità, basate sui concetti di razionalità strategico-progettuale, di entropia,di apprendimento. In particolare la complessità18 “si manifesta con la conoscenza e con essa finisceper identificarsi” . Dal punto di vista metodologico la teoria della complessità suggerisce lanecessità di una visione globale e di sintesi dei fenomeni, nonché l’ importanza della semplicità dellinguaggio, il cui uso non corretto può generare “complicazione” più che “complessità”. Il problemafondamentale sembra essere legato alla necessità di bilanciare la dimensione olistica e dinamica,che rende diff icoltosa la scomposizione dell ’ impresa in parti analizzabili i n termini statici, conl’esigenza di “operazionalizzare” i concetti, definendone tipologie e variabili specifiche rilevabilinel corso di ricerche empiriche.

Lo schema proposto nella Figura 5.1. tende a trovare un equili brio tra l’esigenza di scomposizionedei concetti ai fini della conduzione della ricerca empirica e l’esigenza di rispettare la dimensioneolistica e la causalità multidirezionale e circolare, proprie della teoria competence-based. Taleequili brio viene ricercato facendo riferimento a:

18 Dioguardi (2000) in Al di là del Disordine. Discorso sulla Complessità e sulla Impresa, richiama costantemente la necessitàdi un approccio olistico e spiega la nozione di complessità attraverso: a) la varietà di componenti di un sistema complesso; b)l’organizzazione di tali elementi per livelli gerarchici interni; c) la varietà e densità dei legami tra gli elementi; d) le interazioninon lineari tra gli elementi.

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i) i concetti di intenzionalità nell ’uso delle risorse e di goal attainment (raggiungimentodegli obiettivi) che identificano il passaggio dalle capacità alla costruzione di nuovecompetenze (competence building);

ii ) il l egame circolare tra nuove competenze e strutture cognitive del personale dell ’ impresaderivante dallo strategic intent, inteso quale energia emotiva e intuitiva che,dinamicamente, orienta e alimenta lo sviluppo e la gestione delle conoscenze nellapiccola impresa.

In particolare, per le piccole imprese l’elemento fondamentale di gestione strategica è dato dallegame tra sviluppo interno delle conoscenze e gestione dei confini e, quindi, delle relazioni conl’ambiente esterno. Tale gestione viene sostenuta dalle energie emotive ed intuitive della piccolaimpresa che appaiono assimilabili a concetti variamente definiti come vision (Norman, 1978; Fili on,1990), strategic intent (Prahalad e Hamel, 1994), intention e goal attainment (Sanchez e Heene,1997), tenacia (Dioguardi, 2000), entusiasmo imprenditoriale (Stacey, 1987). La possibilit à diassumere, in particolare per la piccola impresa, l’energia emotiva quale elemento capace diesprimere la dimensione olistica del rapporto tra conoscenze e relazioni emerge dal passaggio dallaprospettiva core competence al competence-based strategic management descritta nel Capitolo 3.

Sulla base delle considerazioni svolte nei capitoli precedenti è possibile derivare alcuni spunti diriflessione, con riferimento alle singole categorie di Risorse e di Capacità.

Un primo spunto riguarda la necessità di stimolare le piccole imprese nella definizione di unacomplessiva strategia di innovazione, se possibile autonoma e non condizionata dalle opportunità difinanziamento agevolato. Tale politi ca passa attraverso un processo capace di far “emergere” , comeavviene per le c.d. “attività in nero” , le attività di “R&S e Innovazione informali ” , che spesso lapiccola impresa realizza autonomamente, segretamente e, soprattutto, ricorrendo a forme diautofinanziamento.

Tale sostegno alla “Formalizzazione delle attività interne di R&S e Innovazione” permetterebbealla Piccola Impresa di:

, Legare i singoli i nterventi/progetti di innovazione ad una complessiva strategia orientata o almiglioramento del “Vantaggio Competitivo” , o alla “Costruzione di Nuove Competenze”

, Ottimizzare, in modo bilanciato, le diverse opportunità di finanziamento offerte da fondieuropei, nazionali e regionali sia per gli i nvestimenti direttamente industriali (es. L. 488Industria), sia per gli i nvestimenti in Ricerca e Innovazione (es. fondi MURST)

VantaggioCompetitivo

Capacità

Risorse Firm Specific Risorse Firm-Addressable

Confine Sfocato

Strategic Intent

Goal Attainment eIntenzionalità

CompetenceBuilding

Figura 5.1. – Strategic Intent e Piccola Impresa

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- Ottimizzare il rapporto con i fornitori di servizi, ribaltando i ruoli che sono emersi dai datianalizzati (fornitore come promotore del progetto basato sulle proprie competenze- piccolaimpresa destinataria passiva di un progetto “progettato dall ’esterno”).

Il sostegno a tale processo di formalizzazione passa attraverso una attenzione alla categoriafondamentale di risorse: le risorse cognitive della piccola impresa. In tal senso vanno sostenuteattività capaci di aiutare le piccole imprese a “codificare” i patrimoni di conoscenze tecniche,artigianali , progettuali , produttive, che spesso rappresentano la base fondamentale della lorosopravvivenza e del loro sviluppo.

Infatti, l'analisi dei processi produttivi di molti sistemi locali di successo italiani e, in particolaredel Mezzogiorno, (ad esempio: mobile imbottito, sartoria, calzatura, agro alimentare, ecc.), mostracome alla base del loro funzionamento insistano delle conoscenze di natura artigianale. Queste sipresentano come il risultato di una combinazione delle abilit à cognitive dei singoli i ndividui con unprocesso di costruzione sociale in uno specifico contesto culturale (Schiuma, 1999)19. Ne consegueche la conoscenza artigianale si presenta come idiosincratica al suo ambito di generazione, cioècome una risorsa “interna” agli i ndividui o alle dinamiche relazionali che tra loro si svolgono. Ciòrende la conoscenza una risorsa di diff icile gestione, poiché non neutra e soprattutto nonmanipolabile, se non attraverso una gestione degli i ndividui e delle loro dinamiche relazionali .Aff inchè la conoscenza possa essere gestita anche indipendentemente dall ’ individuo che l’hagenerata occorre che questa venga tradotta in un artefatto simbolico di rappresentazione.

Il processo che mira a formalizzare, cioè a definire, descrivere e rappresentare, una conoscenzatacita attraverso appropriati formalismi al fine di renderla oggetto concreto di analisi costituisce il“processo di codifica della conoscenza”.

Lo scopo del processo di codifica è quello di aumentare l’eff icacia e/o l’eff icienza dell ’ impiego,dell ’accessibilit à e dell ’applicabilit à di una data conoscenza. Alla base della codifica dellaconoscenza c’è l’ idea che una sua idonea rappresentazione e/o descrizione ne consenta una piùeff icace ed efficiente gestione. Infatti la possibilit à di rappresentare e descrivere la conoscenzaattraverso l’ impiego di opportuni codici informativi rende possibile l’attuazione di processi dicontrollo, di trasformazione, di combinazione e di trasferimento, conferendole il carattere di risorsatangibile.

L'implementazione di progetti di codifica delle conoscenze artigianali sembra essere alla base delmiglioramento delle performance produttive e dello sviluppo di processi innovativi. A tale scopooccorre definire i contenuti e le modalità operative per lo sviluppo di progetti di codifica dei saperiartigianali , declinati nei diversi aspetti che attengono alle tecnologie dell ’ informazione e dellacomunicazione, agli aspetti gestionali e alle metodologie di knowledge management.

Il processo di definizione di una complessiva strategia di innovazione, formalizzato ad esempioattraverso semplici strumenti di “gestione di un portafoglio di progetti di innovazione”,permetterebbero, inoltre, alla piccola impresa di ottimizzare l’allocazione delle diverse RisorseFinanziarie (proprie, di terzi, a breve, a lungo, bancarie, non bancarie, agevolate, ecc.) sulle diverseattività di innovazione. Tale gestione diventa fondamentale per la messa a punto di sistemi diamministrazione capaci di “ rendicontare” in modo ottimale le diverse spese sostenute rispetto alleopportunità di finanziamento agevolato disponibili .

§ 5.2. - L ’EVOLUZIONE DELL A POLITICA NAZIONALE DELL A RICERCA IN UN’OTTICA COMPETENCE-BASED20

19 Le considerazioni riportate di seguito sul processo di codifica della conoscenza derivano da riflessioni sviluppate conl’amico, e collega della Università della Basilicata, Giovanni Schiuma.20 Molti dei contenuti di questo paragrafo derivano da considerazioni sviluppate all’ interno della Segreteria Tecnica delMURST. L’autore intende qui ringraziare i colleghi di lavoro della Segreteria: i proff. Aldo Romano (Capo della Segreteria),Claudio Battistoni, Fabio Carassiti , Antonio Cavallaro, Giampietro Ravagnan, Gianluigi Rossi; Luigi Rossi, Nicola Rubino,

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La ricchezza interpretativa dei concetti fondamentali dell ’economia della conoscenza rappresentail tratto comune che lega non solo i diversi filoni teorici presentati nei primi tre capitoli allestrategie di innovazione delle piccole imprese, ma anche il riferimento più o meno esplicito dellaevoluzione in atto nella politi ca nazionale della ricerca.

Il D.Lgsl. 204/98 “Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione dellapoliti ca nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica” prevede il Programma Nazionaledella Ricerca, come punto quali ficante nella costruzione della nuova architettura istituzionale delsistema ricerca, volto alla realizzazione di un diverso ruolo della scienza nello sviluppo del Paese,

La necessità per l’ Italia di dotarsi di un effettivo strumento di programmazione dello sforzo inricerca e sviluppo è derivato dalla consapevolezza che, come in tutti gli altri contestieconomicamente e tecnologicamente avanzati, sia necessario raccordare le iniziativeautonomamente sviluppate dal sistema scientifico e dalle sue componenti con le esigenzecomplessive del sistema-paese che alla scienza, alla tecnologia e all ’ innovazione fanno riferimento.Lo strumento del Programma offre anche l’opportunità di raggiungere forme più evolute dicoordinamento e interscambio a diversi li velli:

i) coordinamento intersettoriale (tra i diversi soggetti istituzionali ),ii ) raggiungimento di masse criti che (tra differenti attori e sedi operative),iii ) incremento del grado di coerenza e complementarità (tra i momenti e gli obiettivi della

progettazione degli i nterventi e gli strumenti operativi) al fine di mobilit are risorsenascoste o sottoutili zzate.

Le recenti “Linee Guida del Programma Nazionale della Ricerca”(http://www.murst.it/Ricerca/PNR/2000), proposte del Ministro dell ’Università e della RicercaScientifica, accolte dal CIPE (25.05.2000) e recepite nel DPEF approvato dal Consiglio dei Ministriil 29.06.2000, costituiscono la base concettuale a partire dalla quale viene avviato un processo diadesione e convergenza della pluralità di soggetti coinvolti ai diversi li velli nella politi ca scientificae tecnologica nazionale.

Nell ’ambito di questo volume vale la pena di sottolineare due aspetti fondamentali:i) la chiara collocazione delle Linee Guida nell ’ambito della cornice concettuale

dell ’economia della conoscenza;ii ) le specifiche previsioni delle Linee Guida per il sostegno alle piccole imprese in

un’ottica competence based.Con riferimento al primo punto le Linee Guida sembrano delineare una vera e propria strategiacompetence-based per il sistema paese, incentrata su alcuni aspetti fondamentali:

i) la prospettiva di medio-lungo periodo per lo sviluppo del sistema paese fondato sull ’asset/risorsa conoscenza, in un’ottica di cooperazione/competizione;

ii ) la presenza di uno strategic intent proiettato a superare la attuale, preoccupante, derivacompetitiva del sistema paese, e ancor di più del Mezzogiorno, rispetto ai contestieuropei e internazionali;

iii ) l’ ispirazione ad una logica di discontinuità nell ’ economia/società della conoscenza,nella definizione degli obiettivi e delle priorità strategiche;

iv) la traduzione della logica di integrazione tra scienza, tecnologia e mercato in azionistrutturali , di breve periodo, trasversali .

La prospettiva di medio-lungo periodo, fondata sull ’asset/risorsa conoscenza, emerge fin dalladefinizione dell ’obiettivo generale del Programma Nazionale di Ricerca: “concorrere a costruire,nel medio lungo periodo, un diverso posizionamento del Paese nel contesto internazionale, facendo Alberto Silvani, Sergio Vetrella. Chiaramente, la responsabilit à per le considerazioni qui riportate è esclusivamentedell ’autore.

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leva su un asset finora poco utili zzato e che, viceversa, diviene l’elemento distintivo e quali ficantedello sviluppo”. Tale obiettivo nasce dalla preoccupazione che la definitiva estensione degli effettiderivanti dall ’affermazione dell ’economia della conoscenza, imporrà il superamento della“anomalia italiana” , un’anomalia di posizionamento, una non riproducibilit à (per il futuro) di unmodello di successo del passato, una “carenza di strategia ed organizzazione del sistema scientificonazionale”.

La chiara percezione della necessità di “ tendere” le risorse del paese verso una integrazione trascienza, tecnologia e mercato è chiaramente formulata nel quesito fondamentale:

“ ...Più in generale, siamo attrezzati per competere con successo nel nuovo ordine economicointernazionale dove la Ricerca, la Conoscenza, l’Alta Formazione rappresentano le Fonti Primarieper competere?...”

Rispetto a tale competizione le Linee Guida richiamano diversi indicatori, che esprimono ilconcreto pericolo di una deriva competitiva del sistema italiano. Già la posizione italiana in diversegraduatorie di competitività internazionale rappresenta un primo indicatore; l’I nstitute forManagement Development (IMD, World Competitiveness Scoreboard 1999) posiziona l’ Italia al30° posto su un totale di 47 Paesi nella sua graduatoria della competitività, mentre il WorldEconomic Forum, in una analoga graduatoria, ottenuta in base a criteri abbastanza differenti dalprimo, posiziona l’ Italia al 41° posto su un totale di 53 Paesi

Ancor più significativi appaiono gli Indici dell ’anomalia italiana, sintetizzati nella Tabella 5.1..

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Tabella 5.1. Indici “ dell’anomalia italiana”Nel periodo 1991-1995 la ricerca finanziata dallo Stato diminuisce in Italia con ritmi più sostenuti (-2,5%)

rispetto alla media U.E. (-1,7%), USA (-1,2%), media OCSE (-0,4%), Giappone (+6%).

Il numero dei ricercatori su 10.000 lavoratori è pari al 72% del valore medio dell ’U.E., al 60% del valore medioOCSE, al 45% del valore USA, al 41% del Giappone.

Il tasso di crescita annuo dei ricercatori, nel periodo 1991-’95, registra per l’ Italia il valore dello 0,2% aconfronto con 1,9% della media europea, 1,8% della media paesi OCSE, 3% per il Giappone.

Nel 1995 l’ incidenza della spesa in ricerca universitaria sul PIL risulta essere per l’ Italia pari allo 0,26% aconfronto con la media U.E. dello 0,39%, con la media dei Paesi OCSE 0,38%, USA 0,39%, Giappone 0,62%.

Nel decennio 1985-’95, la quota di valore aggiunto dei settori High-Tech regredisce in Italia dal 7,2% al 6,4%,mentre in Germania passa dal 10,6% all ’11%, in Inghilterra dal 13% al 13,9%, in Spagna dal 5,5% al 7,6%, in USA dal14,6% al 15,8%, nella Corea del Sud dal 10,9% al 15,7%.

Nel 1995 l’apporto dei settori High e medium High-Tech sul valore aggiunto complessivo del manifatturierorisulta essere per l’I talia pari a circa il 33% a confronto con il 40% della Francia, il 49% della Germania, il 38,7% dellaSpagna, il 44% della Corea, il 47% del Giappone, il 48% dell ’USA.

L’analisi settoriale deve tenere presente qual è incidenza dei diversi settori al prodotto interno lordo. L’I talia èparticolarmente sotto dimensionata nell ’ investimento in ricerca proprio in quei settori che sono vitali per il suo PIL e perla sua bilancia commerciale: si considera ad esempio il tessile-abbigliamento, il l egno e i prodotti del legno, l’ambientenei quali l e imprese italiane investono in ricerca percentuali i rrisorie proporzionalmente rispetto al valore aggiunto.

L’ incidenza dell ’export High-Tech sull ’export del manifatturiero si attesta per l’I talia nel 1997, sul valore del15% a confronto con il 31% della Francia, il 40% della Gran Bretagna, il 25% della Germania, il 62% dell ’ Irlanda, il44% dell ’USA, il 39% del Giappone.

L’ Italia esporta appena il 3,5% dei depositi brevettuali europei contro il 19,6% della Germania, il 6,9% della Francia e il4,8% della Gran Bretagna. La ripartizione dei brevetti per Paese di designazione colloca l’ Italia tra i primi posti con unapercentuale superiore al 90%.

Altri indicatori significativi riguardanti la valutazione delle Tecnologie dell ’ informazione sulla produttività dellavoro, contribuiscono a caratterizzare l’anomalia del Sistema-Italia. In Italia la spesa pro-capite risulta essere il 51% delvalore della Francia, il 49% della Germania, il 47% dell ’ Inghilterra, il 27% degli USA.

Il numero dei PC su 100 lavoratori in Italia ha valore pari al 67% di quello della Francia, al 65% dellaGermania, al 58% della Gran Bretagna, al 37% degli USA.

Il numero degli utenti Internet su 100 abitanti ha un valore pari al 34% della Germania, al 17% della GranBretagna, 8% del valore degli USA.

Una forte anomalia dell ’I tala riguarda anche la specializzazione dell ’economia dei servizi. L’ incidenza deisegmenti dei servizi finanziari, assicurativi, immobili ari e dei servizi alle imprese sul valore aggiunto complessivo delterziario è diminuita in Italia nel decennio 1985-’95 dal 10,3% al 9,7% mentre in Spagna si attesta nel 1995 sul valoredel 35%, in Francia del 45,7%, nella Corea del Sud del 42,7%, in Germania del 28,3%.

Un altro dato preoccupante riguarda i li velli di istruzione della popolazione e della forza lavoro nella fascia d’età25-64. Nel 1996 l’ incidenza di individui con livelli di istruzione secondaria superiore risulta essere pari al 30% aconfronto con il valore del 40% della media dei paesi OCSE, del 60% della Germania, del 42% della Corea del Sud, del55% dell ’ Inghilterra, del 41% della Francia.

In Italia su 100 individui di questa fascia d’età, 8 possiedono il li vello di istruzione universitaria, mentre i valoriper la media OCSE è di 13, per la Corea del Sud 19, per l’ Irlanda 11, per la Francia 10, per la Germania ed Inghilterra13.

Situazione analoga si registra per i li velli di istruzione della forza lavoro.

Fonte: “ L inee Guida del Programma Nazionale della Ricerca” (http://www.murst.it/Ricerca/PNR/2000).

Lo strategic intent, portare l’ indicatore-chiave “spesa in R&S sul PIL” dall ’attuale 1,03% (0,6% ildato del Mezzogiorno) al valore della media europea (1,9%), si inserisce nell ’ambito delle possibilitraiettorie di crescita economica nel nuovo ciclo economico basato sulla conoscenza (OCSEScience, Technology, Industry Outlook 1998). In particolare il PNR assume tali tendenze, quali“segnali manifesti del cambio di paradigma nella dinamica della crescita economica che gli studiosisolitamente definiscono come la terza ondata post-fordista e/o come società/economia dellaconoscenza caratterizzata da mutamenti strutturali ” :

. crescente complessità e specializzazione delle attività economiche;. accelerazione di processi convergenti verso assetti economici “knowledge and innovation

driver” ;. ampliamento dei confini territoriali delle imprese;. crescente interdipendenza di numerosi mercati di prodotti intermedi;. ruolo rilevante delle capacità tecnologiche e delle competenze umane (created asset) nei

processi di creazione del valore;. rapida evoluzione di nuove forme organizzative ed istituzionali .

Le Linee Guida prospettano tre indirizzi strategici che declinano, in termini di visioni strategichedel sistema paese, lo strategic intent descritto in precedenza:

1. Assumere il Sistema Scientifico Nazionale come “asset strategico” della Società dellaconoscenza e della Nuova Economia

riaffermando la centralità della Scienza e Tecnologia nelle politi che pubbliche nazionali eregionali del Paese, attraverso la creazione di un contesto che renda il Sistema Scientificocompetitivo e perciò capace di attrarre l’ interesse dei giovani per la ricerca;

2. Favor ire processi di uso intensivo della conoscenza nelle dinamiche del Sistema produtt ivonazionale

sostenendo il passaggio da un’economia basata prevalentemente su vantaggi di costo e su settoritecnologicamente non avanzati, verso una diversa specializzazione produttiva, una quali ficazionetecnologica dei settori e prodotti più tradizionali , la nascita di “ imprese di ricerca” competitive sulmercato internazionale.

3. Por re la Scienza e la Tecnologia a servizio della crescita civile della Societàsia attraverso il contributo scientifico alla soluzione delle problematiche di origine territoriale e

sociale, sia con una valorizzazione delle specificità e della potenzialità locali .

Le Linee Guida traducono tale impostazione strategica in azioni strutturali , di breve periodo,trasversali , tra le quali richiamiamo, in questa sede, quelle che più direttamente si riallacciano aduna visione competence-based del fenomeno innovativo nella piccola impresa.

L’ Intervento “2.3.2.1 – Spin-off e formazione imprenditoriale” propone la valorizzazione deirisultati della Ricerca Scientifica, lo Spin-off della Ricerca e la Formazione Superiore per generareimprenditori e manager in grado di creare valore economico e sociale attraverso la gestioneintegrata delle conoscenze e delle tecnologie. L’azione enfatizza i legami, descritti nei capitoliprecedenti, tra imprenditorialità, canali di circolazione della conoscenza tecnologica, risorse ecompetenze interne e competitività.

L’ Intervento “2.3.2.2 – Potenziamento tecnico-scientifico del sistema produttivo” propone Ilpotenziamento tecnologico nel breve-medio periodo, del sistema produttivo esistente, il sostegnoalla sua diversificazione ed allo sviluppo delle reti di piccole e medie imprese. L’azione è orientataalla ricerca di un giusto equili brio tra quali ficazione tecnologica dei settori produttivi tradizionali ,sviluppo di settori e di fili ere a più elevato contenuto tecnologico e rilancio e caratterizzazionedell ’economia meridionale. Una particolare attenzione è dedicata alla rigenerazione del vantaggiocompetitivo legato alla pluralità di specializzazioni territoriali dei sistemi di PMI (distretti

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industriali , sistemi produttivi territoriali ), attraverso reti che integrano i poli di eccellenza scientificae tecnologica insieme con i sistemi di produzione specializzati.

L’ Intervento “2.3.3.4 – Valorizzazione del decentramento del trasferimento tecnologico e delladiffusione dell ’ innovazione”, propone, infine, la Valorizzazione delle opportunità connesse alpassaggio delle competenze centro-periferia sulle materie del trasferimento tecnologico e diffusionedell ’ innovazione. Questo intervento persegue il disegno di sviluppare e consolidare ilcoordinamento tra Governo Nazionale e Governi Regionali , nel nuovo quadro costituito daldecentramento amministrativo di funzioni attinenti la valorizzazione della Scienza e dellaTecnologia in processi innovativi internazionali e del riordino del Sistema Scientifico Nazionale .Particolare attenzione è dedicata agli i nterventi di natura complementari rispetto a quelli nazionali ,principalmente indirizzati a sviluppare la capacità di apprendimento e di assorbimento collettivo diconoscenza.

Tali considerazioni conducono ad una migliore comprensione della necessità, ai fini di unaformulazione più coerente con i concetti fondamentali della economia della conoscenza, diprocedere ad una evoluzione del concetto di “ trasferimento tecnologico alle imprese” in“ trasformazione della conoscenza tecnologica in conoscenza organizzativa per i processi delleimprese” .

§ 5.3. SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL RUOLO DEL SISTEMA DEI SERVIZI PER L ’ INNOVAZIONE NELLE

PICCOLE IMPRESE IN UN’OTTICA COMPETENCE-BASED

Tale ultima evoluzione nasce dalla rilevanza della natura “tacita” della conoscenza e, quindi, dailimiti derivanti dal semplice trasferimento tecnologico che non può garantire un efficace“assorbimento” da parte delle imprese, soprattutto se piccole e localizzate in aree deboli .

Dal punto di vista applicativo il concetto di trasformazione della conoscenza implica:/ il coinvolgimento diretto dei detentori delle conoscenze (es. i ricercatori) nei processi di

impresa, con l’enfasi sui fenomeni di spin off;/ l’ integrazione tra le conoscenze tecnologiche e le conoscenze gestionali (es. organizzazione,

marketing, finanza):/ l’evoluzione dei servizi erogati dai sistemi locali di sostegno all ’ innovazione (società di

consulenza, agenzie per l’ innovazione, parchi tecnologici, sistemi associativi, ecc.) per uneff icace partecipazione ai processi avviati dalle evoluzioni politi che in atto.

In particolare appare chiaro, come emerso dai risultati della ricerca empirica, che taliorganizzazioni, coerentemente con gli assunti competence based, trovano un loro spaziocompetitivo nella misura in cui anch’esse costruiscono proprie competenze, se possibile, distintivea seconda del posizionamento assunto. I limiti emersi dalla ricerca empirica riguardano, infatti, siala generale confusione di ruoli dei diversi attori, derivante da una sovrapposizione relativa altentativo di ciascuno di accedere al ventaglio più ampio di finanziamenti pubblici, sia la scarsacomplessità delle competenze espresse. Tali competenze si esprimono nella fornitura di servizifortemente standardizzati, come nel caso della progettazione per l’accesso a finanziamenti pubblici,della gestione di manuali e certificazioni di qualità, della fornitura di soluzioni per l’automazionedei processi informativi.

Una maggiore comprensione dei profili di tali competenze deriva dalla gestione della CapacitàRelazionale della piccola impresa. Dalla ricerca è emerso, infatti, come l’ambiente locale non possaessere considerato uno sfondo indifferenziato ed anonimo su cui la piccola impresa si muove, madebba essere dettagliato in maniera specifica e se possibile “nominale” a seconda del settoreindustriale, delle traiettorie tecnologiche, delle conoscenze/competenze criti che e delle areeterritoriali i n cui l ’ impresa opera. Conseguentemente sembrano emergere alcuni spunti per gli attoriimpegnati in azioni di sostegno all ’ innovazione. In primo luogo vanno identificati con precisione gli

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specifici soggetti che nell ’ambito di ciascuna categoria di attore interessano da vicino le imprese delsettore; ad esempio tra i Concorrenti quelli con maggiori complementarità, tra i Dipartimentiuniversitari quelli im pegnati in ricerche connesse alle tecnologie di interesse della singola impresa,tra gli Enti Locali quegli uff ici (es. Assessorati) impegnati in attività di promozione e indirizzo. Insecondo luogo, per ciascuno dei soggetti identificati, va operata una precisa valutazione dellerisorse che essi potenzialmente detengono e di quelle che essi sono disposti a far circolarenell ’ambiente. Infine potrebbero essere progettate azioni capaci di rafforzare le capacità relazionalidelle imprese.

L’ intervento su tali aspetti deve necessariamente passare attraverso la individuazione di progetticapaci di rafforzare la creazione di una cultura condivisa (valori, linguaggi, categorie esplicative,ecc.) tra i diversi attori. Solo a seguito di tale rafforzamento sarà possibile individuare azionioperative, sia sul piano tecnologico (es. sviluppo di progetti di ricerca cooperativi, centri di serviziocomuni per le imprese, ecc.), sia sul piano commerciale (consorzi stabili perl’ internazionalizzazione, accordi per il rafforzamento della forza contrattuale nei confronti dellagrande distribuzione, ecc.). In tal senso sembrerebbe prioritaria una linea di intervento capace dirafforzare una combinazione bilanciata di risorse/capacità tecnologiche e risorse/capacità dimarketing. Solo così si avvierebbe quel processo di “ integrazione tra più tecnologie e più skill ” checonfigura la messa a punto e lo sviluppo di core competences.

Tali conclusioni permettono, inoltre, di definire un ruolo ancora più quali ficato per le piccolesocietà locali che forniscono servizi alle piccole imprese. Il loro ruolo diventa, infatti, strategiconella misura in cui esse garantiscano alle imprese ed ai finanziatori, un reale valore aggiunto nellarealizzazione dei processi descritti . Tale valore aggiunto non sta nella attività di promozione delleopportunità di finanziamento e nella sostituzione all ’ imprenditore nella formulazione della strategiadi innovazione. Al contrario esso deriva dallo sviluppo di competenze capaci di supportare ilgruppo imprenditoriale nel processo di definizione di metodi e processi “su misura” della singolaimpresa, sia nella fase di individuazione degli attori esterni, sia nella fase di gestione dei rapporti direte, sia nella fase di codifica della conoscenza e sviluppo di Risorse e Capacità interne, sia,soprattutto, nella fase di integrazione delle diverse tecnologie, e delle diverse conoscenze interne edesterne.

§ 5.4. – STRUMENTI PER LA GESTIONE DELL E NUOVE IMPRESE: IL COMPETENCE-BASED BUSINESS PLAN

Passando alle implicazioni sulle le politi che a sostegno della creazione di imprese basate sullaconoscenza, la ricerca ha messo in evidenza la minore validità dell ’approccio Esterno-Interno allagestione strategica della piccola impresa. In realtà è possibile osservare uno scarto tra ilsuperamento, a li vello teorico della logica alla base della planning school, e le politi che pubblicheche continuano a proporre quali strumenti di presentazione dell ’ impresa nascente, schemi dibusiness plan fortemente ancorati al concetto di business idea e all'analisi dell ’ambiente esterno, delsettore industriale, del segmento di mercato. In realtà l’affermarsi dell ’approccio competence-basedpotrebbe produrre, soprattutto per future imprese di settori innovativi, strumenti di gestionestrategica di nuove iniziative imprenditoriali per la ricerca delle relative fonti finanziarie siaagevolate (leggi per l’ imprenditoria giovanile), sia innovative (es. venture capital, fondi mobili arichiusi, ecc.), basati su un’opposta logica (es. competence and business preemption vs. businessplan) e caratterizzati dai seguenti punti

i) Descrizione dello strategic intent;ii ) Valutazione delle dinamiche di sviluppo delle competenze pregresse di tutte le risorse

umane coinvolte (non solo i componenti del gruppo imprenditoriale, ma anche idipendenti, i collaboratori e i consulenti);

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iii ) Valutazione del sistema di relazioni disponibile a livello finanziario, tecnologico,commerciale, territoriale, con identificazione nominativa dei diversi attori, delle risorsefirm-addressable e dell ’ intensità, stabilit à e prospettiva delle singole relazioni;

iv) Piani di sviluppo delle singole competenze individuali e della capacità relazionale;v) Progettazione organizzativa delle modalità di convergenza delle competenze individuali

in competenze organizzative corrispondenti ai processi chiave dell ’ impresa;vi) Individuazione trasversale dei diversi settori potenzialmente interessati da tali

competenze;vii ) Progettazione dettagliata di modalità di test di mercato diretti e a basso costo su clienti

pilota, nella logica dell ’expeditionary marketing marketing, fondato sul coinvolgimentodel cliente nello sviluppo dei prodotti, attraverso una serie di incursioni sul mercato aintervalli ravvicinati e a basso costo, capaci di moltiplicare la velocità di iterazione e digraduale adattamento delle funzionalità;

viii ) Individuazione di una prima configurazione della combinazione prodotti/mercati;ix) Pianificazione economico-finanziaria solo a breve termine, incentrata sulla stima del

valore.Chiaramente la sequenza proposta è densa di processi di retroazione, che, comunque, non

dovrebbero mettere in discussione la coerenza rispetto ai primi tre punti fondamentali: strategicintent, competenze strategiche, relazioni strategiche.

Il tema potrebbe, tra l’altro, essere oggetto di ulteriori approfondimenti nell ’ambito di una ricercaempirica sul tema della gestione strategica nella piccola impresa che spesso è resa problematicadalla scarsa disponibilit à di documenti formali e di dati quantitativi direttamente collegati allaformulazione e alla implementazione delle strategie. In tal senso una verifica empirica sull ’effettiva,quanto inconsapevole implementazione di approcci competence-based in contrasto con i pianiformali redatti secondo l’approccio planning è resa possibile dalla individuazione di un rarocampione di piccole imprese che, a causa di fattori contingenti, è forzata ad un certo grado diformalizzazione delle opzioni strategiche, quali l e imprese finanziate da politi che per lo sviluppodell ’ imprenditorialità giovanile. Conseguentemente la ricerca potrebbe esplorare un’ ipotesi difondo: “…Le prestazioni strategiche di successo delle piccole imprese nate sulla base di taliincentivi dipendono da una strategia “emergente” basata sulle competenze o, viceversa, dallacoerente implementazione delle strategie “deliberate” del business plan redatto secondo l’approcciotradizionale?” .

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