Le potenzialità delle IPAB italiane: due casi a confronto
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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea in Scienze Politiche
Elaborato in Macroeconomia
LE POTENZIALITÀ DELLE IPAB ITALIANE: DUE CASI A CONFRONTO
Candidato RelatoreChiar.mo Prof.
Stefano Esposito Anna Soci
Sessione IIAnno Accademico 2007/2008
Per qualsiasi comunicazione con l'autore, osservazioni e critiche, potete scrivere a: [email protected]
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Ecco la sintesi della licenza applicata a quest'opera:
Indice generale
Introduzione..........................................................................................................................................2
Capitolo 1 - La spesa pubblica in Italia: caratteristiche, vizi e virtù....................................................5
1.1 - Il debito pubblico.....................................................................................................................51.2 - La spesa Pubblica....................................................................................................................71.3 - Lo stivale imperfetto: differenze nel welfare tra Sud e Nord dell’Italia...............................12
Capitolo 2 - Una soluzione Pia...........................................................................................................15
2.1 - Breve storia dell'assistenza sociale in Italia...........................................................................152.2 - L'evoluzione legislativa ........................................................................................................172.3 - La legge Turco-Signorino e il decreto 207/2001: dalle IPAB alle ASP................................212.4 - Storie di ordinaria (in)competenza........................................................................................232.5 - Lo Stato sociale in Italia: le IPAB oggi.................................................................................232.6 - La gestione contabile delle ASP: una "soluzione pia"...........................................................25
Capitolo 3 - Le IPAB a Massa Lubrense: un caso esemplare di malgoverno.....................................31
Parte I........................................................................................................................................323.1 - 1885, il sottoprefetto scrive...................................................................................................323.2 - Conservatori, non Conventi...................................................................................................343.3 - Quell'assistenza non s'ha da fare...........................................................................................353.4 - La fusione del 1974: nasce l'“Ente Morale Conservatori Laicali Riuniti di Massa Lubrense”.......................................................................................................................................................363.5 - Dai bambini alle suore...........................................................................................................373.6 - L'ultima trasformazione: lo Statuto del 1999........................................................................39
Parte II.......................................................................................................................................403.7 - Conservatorio di S. Teresa.....................................................................................................403.8 - L'articolo che non c'è.............................................................................................................413.9 - Un patrimonio artistico non tutelato......................................................................................423.10 - La situazione attuale............................................................................................................463.11 - Conservatorio SS. Rosario...................................................................................................493.12 - Conservatorio Ave Gratia Plena..........................................................................................543.13 - La situazione attuale............................................................................................................57
Parte III.....................................................................................................................................583.14 - Il futuro dei Conservatori....................................................................................................583.15 - Chi controlla le IPAB?.........................................................................................................60Conclusione...................................................................................................................................61
Capitolo 4 - Un esempio virtuoso: il Condominio Solidale...............................................................63
4.1 - L'ASP "Circondario Imolese"................................................................................................634.1 - Nel condominio solidale........................................................................................................664.2 - Un condominio solidale.....anche con le casse pubbliche.....................................................67
Conclusioni.........................................................................................................................................69
Bibliografia.........................................................................................................................................75
Appendice documentale.....................................................................................................................78
1
Introduzione
La spesa pubblica in Italia è in linea con quella europea, ma il contesto macroeconomico del
paese, analizzato nel primo capitolo di questo elaborato, presenta alcune peculiarità da tenere in
stretta considerazione nella pianificazione delle politiche pubbliche: un elevatissimo debito statale e
una proporzionale spesa per interessi; un deficit finanziario difficile da contenere; un ritardo
strutturale e una difficoltà persistente nel sostenere la crescita economica. Le indicazioni
dell'Unione Europea invitano a rispettare i parametri di Maastricht sul debito e sul deficit,
riportando alla normalità il bilancio statale: ciò fa emergere regolarmente, all'interno del dibattito
politico, posizioni che puntano ad un taglio della spesa pubblica e di conseguenza ad una maggiore
privatizzazione dei servizi.
Per diminuire la spesa ci sono diverse strade, ma il rischio di una diminuzione dei servizi
pubblici essenziali ha da sempre sollevato immediate proteste sia dell’opinione pubblica, sia di un
trasversale ventaglio di rappresentanti politici, causando di fatto un persistente immobilismo
decisionale. La finanziaria 2007 è un esempio in tal senso: l’impopolarità delle misure a riduzione
del deficit/debito ha in parte contribuito al clima di instabilità e ingovernabilità, pur senza agire in
modo rilevante sul versante della spesa.
Rispetto a tale problema, va comunque sottolineato che, sia la Commissione tecnica per la
Finanza Pubblica, sia lo stesso Consiglio dei Ministri delle Finanze dell’Unione Europea, più che
diminuire l'impegno pubblico hanno invitato a “spendere meglio”, puntando al miglioramento
dell’efficienza. L’Italia infatti si trova agli ultimi posti in quanto a qualità della spesa.
In questa sede non si vogliono fare certo proposte su come diminuire la spesa o contribuire al
risanamento del debito. Lo scopo è solamente quello di attuare una riflessione su un possibile
intervento in un importante settore, quella per l’assistenza sociale, che assorbe però meno risorse in
Italia rispetto ad altri paesi europei come Francia e Germania. Si vuole dunque suggerire un modo
virtuoso per migliorare quantitativamente e qualitativamente i servizi sociali di assistenza al
cittadino, attivando risorse già presenti sul territorio e spesso inutilizzate, senza quindi pesare sulla
spesa dello Stato. Un intervento che è in linea con le prescrizioni dell’Unione Europea, con le
indicazioni dell’ECOFIN, nonché con le esigenze politiche, economiche e sociali del nostro paese.
2
La soluzione passa attraverso le IPAB, “Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza”, già
Opere Pie, ora diventate Aziende di Servizio alla Persona (ASP). Le IPAB sono enti pubblici
praticamente del tutto sconosciuti, ancora avvolti da una singolare aura di mistero che è oggi
diventata insostenibile. Basterà citare un rapporto ministeriale del 1999, in cui si rileva che
"L’opacità di queste strutture riflette un modello consolidato di rapporti tra enti locali e
amministrazioni delle IPAB fondato sul mutuo accomodamento”. Il secondo capitolo illustra la
storia di questi enti, inquadrandola in quella più ampia del sistema di assistenza sociale, e ne
riassume l'evoluzione legislativa dalla prima legge organica del 1890 ad oggi.
La poca considerazione riservata alle IPAB da amministratori, stampa e cittadini, non trova
giustificazione soprattutto se si considerano i loro immensi patrimoni, mai sanciti seriamente.
Secondo le più recenti stime questi sono costituiti da circa 4200 istituti in tutto il paese, e toccano
un valore che, al ribasso, è di 20 miliardi di euro, 53 miliardi secondo una stima più precisa; questo
senza tener conto dei patrimoni immobiliari, mobiliari e fondi rurali appartenenti alle ex-IPAB,
svendute, privatizzate e regalate a soggetti privati nel silenzio generale.
Secondo le più recenti disposizioni legislative in materia di assistenza sociale, le IPAB
dovrebbero partecipare, insieme a Comuni, Aziende Sanitarie Locali e Servizio Sanitario Nazionale,
all’erogazione di interventi e servizi nell’ambito di un sistema integrato, mantenendo
un’amministrazione pubblica ma gestendo il loro patrimonio in modo autonomo e sulla base di
criteri di efficienza ed economicità. Data la ricchezza degli enti, in molti casi questi potrebbero
offrire servizi gratuitamente o a costi molto competitivi, fornendo agevolazioni alle fasce sociali più
svantaggiate e bisognose di assistenza. In ogni caso, come chiarito nella legge 328/2000
sull’assistenza, vanno sempre esclusi "nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica",
punto di particolare interesse nell’ottica del bilancio statale.
In questo elaborato si propongono due casi studio: il principale riguarda un caso di
“malgoverno”, in un piccolo comune della Campania, Massa Lubrense, che però dispone di ben tre
edifici appartenenti ad un’unica IPAB, i cui patrimoni sono stati a lungo sottratti ai fini statutari
assistenza in una delle regioni più arretrate dal punto di vista dei servizi sociali e del welfare. La
complessa vicenda verrà analizzata nel terzo capitolo in modo approfondito, basandosi su fonti
documentali.
Il secondo caso, affrontato nel quarto capitolo, riguarda un esempio virtuoso dell'Emilia
Romagna, Regione in cui operano circa 200 ASP, offrendo servizi all’avanguardia ai cittadini di
concerto con i servizi pubblici già presenti. E' una testimonianza utile a comprendere il peso del
3
contributo che potrebbero fornire le IPAB ben utilizzate nel campo dell’assistenza sociale al
cittadino.
A tal proposito, la rassegna non può omettere una breve riflessione sulle già forti differenze in
materia di welfare tra Nord e Sud, e in particolare tra le due regioni prese ad esempio; i dati,
presentati nel primo capitolo, rendono ancora più grave la situazione di caos legislativo presente in
Campania, nonché esempi di trascuratezza come quello di Massa Lubrense, ed invitano ad una
decisa inversione di rotta.
4
Capitolo 1 - La spesa pubblica in Italia: caratteristiche, vizi e virtù
1.1 - Il debito pubblico
L’Italia del 2007 occupava la sesta posizione nella classifica delle nazioni del mondo col più
alto debito pubblico, preceduta solo da Giappone, Zimbabwe, Libano, Seychelles e Jamaica.1
E' dal 1991 che questo valore ha superato la soglia del 100% del PIL e non è mai più tornato
indietro, pur diminuendo costantemente dal 120% registrato nel 1993 e passando dal 106,5% del
2006 al 104% del 2007, a seguito di una ulteriore manovra finanziaria.2
Il debito pubblico è pari al valore nominale di tutte le passività lorde consolidate delle
amministrazioni pubbliche, quindi è uno stock che aumenta ogni qualvolta il bilancio dello Stato è
in disavanzo: vi è una certa quantità di denaro da spendere e questa viene chiesta in prestito ad altri
soggetti.
Per comprendere la criticità della situazione italiana, che ormai si tramanda di governo in
governo da più di un decennio, è sufficiente confrontare i dati nazionali con i requisiti che bisogna
rispettare secondo il Trattato di Maastricht dell'Unione Europea. Il Patto di stabilità e crescita,
entrato in vigore nel 1999, pone infatti due vincoli: il primo prescrive che il rapporto tra deficit
pubblico, cioè la differenza tra entrate e uscite totali, e il prodotto interno lordo (PIL), cioè il valore
dei beni e servizi finali prodotti in un anno, non deve superare la soglia del 3%, salvo casi
eccezionali e comunque temporanei; il secondo invece stabilisce che il rapporto tra il debito
pubblico e PIL non dovrebbe superare la soglia del 60%.3
Si riporta una tabella contenenti la serie storica del debito pubblico dal 1995 al 2007 per i 27
paesi europei, tratta dal documento dell'ISTAT "Conti ed aggregati economici delle
Amministrazioni Pubbliche 1980-2007".
1 C.I.A., The World Factbook: Rank Order Public debt - https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/rankorder/2186rank.html (ultimo accesso 16-11-2008)
2 Ministero dell’Economia e delle Finanze - Notifica del Deficit e del Debito Pubblico3 Trattato di Maastricht, PROTOCOLLO sulla procedura per i disavanzi eccessivi , art. 1
5
Nel 2007 il debito pubblico italiano è stato del 104%. Tradotto, vuol dire che il debito che il
nostro paese ha accumulato è pari all’intero PIL, cioè il valore totale dei beni e servizi per l'uso
finale prodotti in un anno (la spesa aggregata), più ulteriori 6,5 punti percentuali. Se dunque nel
2006 abbiamo prodotto 1.479.981 milioni di euro, il debito ammonta nello stesso anno a 1.575.630
milioni di euro, il 106,5%.4 E il Trattato di Maastricht impone di restare al di sotto del 60%.
La media dei 15 paesi dell'area euro è stata di 68,5% nel 2006 e 66,4% nel 2007. In quest'anno
nessun altro paese supera il 70% del PIL, eccetto l’Italia (104,0), il Belgio (84,9) e la Grecia (94,5).
Per avere un termine di paragone, la Francia è al 64,2%, la Germania al 65,0%, il Regno Unito al
43,8%, la Svezia al 40,6%.5
Il problema del debito non è legato alla sua sola esistenza. Come noto, non c’è debito senza
creditori. I tanti soggetti, individui, imprese, banche o stranieri, che detengono titoli del debito
4 ISTAT, Conti ed aggregati economici 1984-2007, pag.7 e pag. 125 ISTAT, Conti ed aggregati economici 1984-2007
6
italiano, hanno diritto al pagamento di interessi, una voce che nel bilancio statale prende il nome di
servizio del debito.
Il tasso di interesse dovuto viene definito dalle autorità monetarie, in particolare la Banca
d’Italia e la BCE, e nel 2006 è stato del 4%. Tenendo conto di questo dato, si calcola che l'Italia nel
2006 ha dovuto versare circa 66 miliardi di euro, pari al 4,6% del PIL, soltanto per ripagare gli
interessi dei creditori.6
Per diminuire il debito servono manovre finanziarie mirate e sostenute per anni; basti pensare
che il governo Prodi, con la finanziaria 2007, ha attuato una manovra del peso di circa 35 mld di
euro, diminuendo il rapporto debito/PIL di soli due punti percentuali, dal 106,5% al 104%. La
stampa riportava la notizia: "I conti pubblici italiani migliorano ancora, superando perfino le attese
del Governo, è quanto emerge dal Supplemento al Bollettino statistico diffuso oggi dalla Banca
d’Italia, secondo le ultime rilevazioni, riferite al 31 dicembre 2007, il debito delle amministrazioni
pubbliche si è attestato a 1.596.762 milioni, pari al 104% del PIL: oltre 2 punti e mezzo in meno
rispetto allo stesso periodo del 2006 (106,5%)".7
Varare una finanziaria del genere ha però comportato un'ondata di protesta dell’opinione
pubblica, che ha in parte contribuito all’instabilità della già precaria coalizione di governo, ed è
difficile immaginare che un qualsiasi governo possa sostenere tali costi politici varando una
manovra simile ogni anno. Dunque, pur essendo ottimisti, bisogna perlomeno ipotizzare tempi
molto lunghi per diminuire il rapporto debito/PIL e avviarsi a rispettare il valore del 60% richiesto
dai parametri di Maastricht.
L’Unione Europea richiama ormai regolarmente l’Italia invitandola a normalizzare questa
grave situazione economica, e fornisce la più classica delle ricette: controllare la spesa pubblica e
destinare parte delle risorse alla diminuzione del debito.
1.2 - La spesa Pubblica
Il “Libro verde sulla spesa pubblica: spendere meglio, alcune prime indicazioni” presentato a
Roma il 6 settembre 2007, curato dalla Commissione tecnica per la Finanza Pubblica, fornisce una
grande mole di informazioni per introdurre questo argomento, strettamente legato al debito.
6 Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2006, 31 maggio 2007 – Paragrafo 11 “La finanza pubblica”7 Diario del Web, "Conti pubblici: il debito cala oltre le previsioni", 11 marzo 2008
7
La spesa pubblica in Italia ha molte aree di inefficienza e non riesce a garantire al paese
uniformità ed efficacia negli interventi per le infrastrutture, la formazione e il lavoro, la ricerca, la
sanità: tale incompletezza mina la crescita e l’equità sociale e mette in discussione lo stesso
rapporto tra cittadino e Stato, fatto che genera sfiducia nelle istituzioni, evasione fiscale, e altre
conseguenze che hanno un notevole ruolo nell'attuale momento storico.
In Italia la spesa pubblica negli ultimi decenni, finanziata ricorrendo all’indebitamento, non si è
necessariamente tradotta in investimenti solidi e duraturi per il paese e le generazioni future, a cui
anzi si lascia una situazione quantomeno preoccupante. E’ ormai notizia quotidiana che alcuni dei
settori produttivi del paese lamentino carenza di mezzi e personale, chiedendo pertanto allo Stato di
aumentare la spesa. Ma a fronte di una crescita che stenta a consolidarsi, il ricorso all’indebitamento
pubblico non è più proponibile, e anzi necessita di un'immediata inversione di tendenza.
Secondo i dati riportati nel dossier, la spesa corrente primaria, al netto degli interessi pagati sul
debito, in Italia presenta una componente fortemente inerziale, che la porta ad espandersi
costantemente ad un ritmo medio annuo del 2%, salvo che nel periodo 1994-96. Va comunque
notato che il valore della spesa, che nel 2007 è stata pari al 43,5% del PIL, è sostanzialmente in
linea con quello della media dell’Europa a 158, che è del 43,3%.9
E' importante evidenziare che non esiste un valore ottimale di spesa correlato alla crescita, da
utilizzare come obiettivo o termine di paragone; vi sono infatti situazioni come quelle tipiche dei
paesi scandinavi che presentano una spesa pubblica superiore alla media e una crescita economica
anch'essa superiore; altri paesi invece, come la Gran Bretagna, a fronte di bassi livelli di spesa
pubblica hanno comunque una crescita sostenuta.
Il problema dunque sembra risiedere non nella quantità, ma nella qualità, la composizione e
l’efficienza nell’utilizzo delle risorse. Si osservi questa tabella:
8 L'indicatore comprende i 15 paesi dell'Unione Europea (su 27) che hanno adottato l'euro.9 ISTAT, Conti ed aggregati economici 1984-2007, pag. 9
8
Nel 2004 la spesa pubblica totale lorda in Italia è stata pari al 47,7% del PIL, di cui il 26,3%
dedicato alla spesa sociale: all'interno di tale voce poi il 6,7% delle risorse sono state utilizzate per
la spesa sanitaria, e il 4,9% per l’assistenza in genere (redistribuzione, etc...).10
Nonostante il livello di spesa totale sia sovrapponibile a quello dell’area euro (47,6%), in
prospettiva comparata emergono alcune problematiche peculiari del nostro paese. Innanzitutto,
come già anticipato, l’eccessiva spesa per interessi (4,7% del PIL contro il 2,8% della Germania e il
2,7% della Francia); in secondo luogo uno sbilanciamento a favore della spesa per pensioni, che
determina una spiccata carenza di risorse da destinare ad altre voci della spesa sociale come
l’assistenza e la redistribuzione (4,9% contro il 10,5% della Germania e il 12,2% della Francia).
Secondo la Commissione tecnica per la Finanza Pubblica, se la spesa per interessi e quella
pensionistica fossero in linea con le altre economie europee, l’Italia potrebbe disporre ogni anno di
circa 50-60 miliardi, il 4% del PIL, da destinare ad altri obiettivi, come il ripianamento del debito,
la riduzione del prelievo fiscale, investimenti in ricerca e sviluppo.
Un altro elemento problematico del nostro paese riguarda l’efficienza della spesa, definita
come rapporto tra risorse impiegate (input) e beni e servizi prodotti (output). Benché non esista una
metodologia di ricerca esente da difficoltà e limitazioni, diversi studi hanno cercato di misurare
l’efficienza e avanzare un confronto tra paesi diversi.
10 Commissione tecnica per la finanza pubblica, Libro verde sulla spesa pubblica, pag. 14
9
Nello studio di Andrea Montanino,11 ad esempio, risulta che l’Italia presenta la peggiore qualità
della spesa, insieme alla Grecia, tra i 15 paesi dell’Unione Europea prima dell'allargamento del
2005, mentre Finlandia, Germania e Svezia sono al vertice. Come mostrato in tabella 1.3, non vi è
tra l’altro una diretta correlazione positiva tra il valore della spesa primaria e la posizione occupata
dal paese in termini di “qualità” della spesa pubblica.
Si può fare il punto della situazione in base ai dati introdotti finora: l’Italia presenta il sesto
debito pubblico più alto del mondo e deve prima o poi rientrare tra i parametri di Maastricht, ha una
crescita bassa e non stabile (attualmente in recessione tecnica), ha una spesa pubblica in linea con la
media europea ma una qualità più bassa, necessita di risorse da impiegare in investimenti e altri
settori della vita sociale.
Si pongono quindi almeno due problemi da risolvere, con soluzioni in apparente contrasto tra
di loro: il primo è quello di ridurre il debito, con misure che secondo molti richiedono un taglio
della spesa pubblica; il secondo riguarda la necessità di aumentare la disponibilità di risorse, e
11 Consigliere Economico del Ministro dell'Economia e delle Finanze, precedentemente ha lavorato come economista alla Commissione Europea
10
quindi la spesa pubblica, da dedicare ad investimenti, infrastrutture e servizi al cittadino, carenti
soprattutto nel campo dell’assistenza.
La strada che concilierebbe le varie posizioni non va in direzione né di una diminuzione della
spesa, che resta in linea con quella europea, né verso un suo aumento, che in mancanza di altri
aggiustamenti strutturali e macroeconomici avrebbe effetti negativi sul debito e dubbi vantaggi
concreti.
La soluzione, secondo la Commissione autrice del dossier, consiste nello “spendere meglio”:
eliminare gli sprechi, incidere sulla riorganizzazione degli uffici e la gestione delle risorse
dell’Amministrazione pubblica, riconsiderare le priorità tra i vari settori di spesa. Insomma
riconquistare posizioni nella classifica dell'efficienza.
Anche i Ministri delle Finanze dell’Unione Europea, nel Consiglio informale ECOFIN12 di
Berlino del 20-21 Aprile 2007, hanno convenuto sul fatto che una delle sfide più pressanti nei paesi
membri è quella di accrescere l’efficienza della spesa, attraverso l'ottimizzazione delle attività del
settore pubblico e il raggiungimento di migliori risultati in rapporto alle risorse impiegate.
L’uso efficiente dei fondi non solo è indispensabile al perseguimento degli obiettivi di finanza
pubblica del Patto di stabilità, ma anche per stimolare la crescita economica. Inoltre, l'impegno in
tale direzione risponde alla crescente domanda da parte dei cittadini di una più alta qualità e una
miglior trasparenza nella gestione della cosa pubblica.
La sola diminuzione della spesa, quindi, oltre a non rappresentare un'indicazione da parte dei
suddetti organismi economico-finanziari, data la situazione italiana rischia di comportare un
peggioramento dei servizi pubblici, un aumento delle privatizzazioni e una maggiore difficoltà, per i
cittadini appartenenti a fasce sociali svantaggiate, a ricevere servizi efficienti, equi e accessibili.
Inoltre va evidenziato che non c’è consenso sulla necessità di adottare un modello che preveda una
bassa spesa pubblica come quello inglese piuttosto che un modello basato su una forte spesa
pubblica come quello svedese, e non è possibile stabilire oggettivamente quale sia il migliore.
Discutere delle soluzioni a questi problemi, oltre ad essere un compito non facile, esula da
questo elaborato. Ciò che invece si vuole tentare è una più modesta proposta che va in direzione di
un’ottimizzazione delle risorse esistenti, in particolare per quanto riguarda un settore importante
12 Consiglio Economia e Finanza, che riunisce i Ministri dell'Economia e delle Finanze dei 27 stati membri dell'Unione Europea in seno al Consiglio dell'Unione Europea. L'ECOFIN si riunisce una volta al mese a Bruxelles o a Lussemburgo e ha il compito di preparare e adottare ogni anno, insieme al Parlamento europeo, il bilancio dell'Unione europea.
11
della spesa pubblica, quella per i servizi socio-assistenziali e sanitari. Nel successivo capitolo verrà
presentato un patrimonio pubblico, ai più sconosciuto, che permetterebbe di conseguire tale
obiettivo in modo virtuoso, senza gravare sulla spesa dello Stato; in linea quindi con le prescrizioni
dell’Unione Europea e con le esigenze politiche e sociali del nostro paese che, come si vedrà nel
prossimo paragrafo, sono stringenti e difformi.
1.3 - Lo stivale imperfetto: differenze nel welfare tra Sud e Nord dell’Italia
L’Associazione Nuovo Welfare13 nel 2006 ha pubblicato uno studio, Il Bollino Blu: analisi
comparativa dei sistemi di welfare regionali, in cui ha stilato una classifica delle regioni italiane in
base all’offerta di servizi sociali, prendendo in considerazione dati come la quantità dell’offerta
locale, gli strumenti messi in campo, le strutture disponibili sul territorio. Le aree analizzate sono
cinque: protezione ambientale, assistenza sociale, sanità, cultura e tempo libero, formazione e
lavoro, e per ognuna di esse è stato calcolato un punteggio da 1 a 100.
Pubblicazioni come questa sono inevitabilmente incomplete a causa dell’assenza di
informazioni omogenee per ogni regione, ma forniscono comunque preziose indicazioni generali.
La difficoltà ad inquadrare problemi di questo tipo si riflette nella mancanza sia di un’attività di
monitoraggio dei servizi sia di piani regionali per allineare la domanda con l’offerta.
I risultati dell’indagine14 rivelano un evidente legame tra posizione geografica e servizi sociali
offerti, con un netto declino che procede progressivamente man mano che si passa dalle regioni del
Nord a quelle del Sud. In testa troviamo il Trentino Alto Adige (78 punti), regione a cui
l’Associazione assegna il “Bollino Blu”, eccellenza in tutte le aree analizzate, seguita dalla Toscana
(75), dalla Valle d’Aosta e dall’Emilia Romagna a pari merito (73), e dal Veneto e Friuli Venezia
Giulia, entrambe a 69 punti.
Con l’Abruzzo (41 punti) emergono i primi problemi, ancora pochi se confrontati con le
pessime posizioni di tutte le regioni del Sud, come Calabria (31), Campania (21), Puglia (16) e
Sicilia (15). Bollino nero, nerissimo.
13 Associazione formata da ricercatori, esperti e operatori, docenti universitari, economisti e sociologi, parlamentari e amministratori pubblici. L'obiettivo principale è di fornire indagini e proposte al fine di promuovere e valorizzare proposte innovative di protezione sociale.
14 Associazione Nuovo Welfare, Il Bollino Blu, febbraio 2006.
12
Intuire dai numeri le conseguenze concrete sulla vita del cittadino non è semplice: si immagini
solamente che se il Trentino offre un livello di protezione ambientale, assistenza sociale e sanitaria,
proposte culturali e di formazione pari a 78, la Campania ha un livello di 21, circa 3 volte inferiore.
Se si analizza la classifica relativa alla sola area dell'assistenza sociale, la Campania risulta
addirittura ultima, con un punteggio di 12 contro il 70 del Trentino.
13
La spesa pubblica italiana dunque, oltre a presentare i problemi prima analizzati, si distingue
per un'altra caratteristica che è la forte disomogeneità nel livello di servizi sociali offerti nelle varie
regioni italiane, e in particolare la netta differenza tra Nord e Sud del paese.
Tutto ciò rende anche più grave la situazione che verrà descritta nel terzo capitolo
dell'elaborato, poiché riguarda proprio la Campania, una delle regioni da bollino nero che dovrebbe
impiegare gli sforzi maggiori nell'ottimizzazione della spesa sociale e delle risorse esistenti sul
territorio.
14
Capitolo 2 - Una soluzione Pia
Il nostro paese possiede un patrimonio immobiliare misterioso, regolato per decenni da una
sconosciuta disciplina legislativa, in gran parte svenduto e tuttora spesso inutilizzato: sono le II. PP.
A. B., Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza. E' indispensabile ricostruire le origini
dell'assistenza sociale in Italia, seguirne l'evoluzione sia dal punto di vista storico che quello
legislativo, per capire cosa sono questi enti e cosa dovrebbero fare; e, soprattutto, in che modo
possono costituire una soluzione virtuosa da considerare nel momento in cui si debba pianificare un
sistema di servizi mantenendo sotto controllo la spesa pubblica. L’assistenza sociale, insieme a
quella previdenziale e sanitaria, fa oggi parte del sistema di sicurezza sociale garantito, più o meno
bene come si è visto, dallo Stato a tutti i cittadini.
Doverose alcune premesse sulla terminologia usata: un'Opera Pia è un termine che indica
antiche istituzioni, sia laiche sia religiose. Quelle laiche vengono inquadrate giuridicamente dalla
legge Crispi nel 1890, che le definisce come istituzioni di beneficenza col fine di "prestare
assistenza ai poveri, tanto in stato di sanità quanto di malattia, di procurarne l'educazione,
l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il
miglioramento morale ed economico".15 Ente Morale è invece la vecchia denominazione, ormai in
disuso, delle persone giuridiche, e può assumere natura sia privata che pubblica.
2.1 - Breve storia dell'assistenza sociale in Italia
Un primo modello di sistema assistenziale ha origine nel 1600 e vede un sostanziale monopolio
della Chiesa, che creò le prime congregazioni per assistere orfani, ammalati, e altre categorie
svantaggiate. Si trattava dunque di un’assistenza caratterizzata non dall’universalismo moderno, ma
dal paternalismo a carattere religioso e individuale.
A partire dal 1800 a questo tipo di intervento prettamente caritatevole si aggiunge quello
dedicato all'educazione e alla formazione. In questo periodo anche borghesi e aristocratici filantropi
iniziano a contribuire personalmente alla beneficenza facendo confluire un flusso ingente di
15 Legge 6972/1890, art. 1
15
finanziamenti e di lasciti patrimoniali sulle Opere Pie. In Italia la legge 753 del 1862 definisce tali
istituzioni come enti morali col fine di "soccorrere le classi meno agiate, (...) prestare loro
assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione". Le Opere Pie restano però ancora
senza una qualificazione giuridica precisa: la loro struttura e la loro attività sono regolate in parte
dal diritto comune e in parte dal diritto pubblico, e le risorse finanziarie di cui dispongono
provengono sia da rendite private sia da sussidi pubblici. Lo Stato non ha ancora costituito un
proprio sistema pubblico di assistenza.
In questo periodo la Chiesa e le Opere Pie hanno il monopolio in questo campo e sono
praticamente indipendenti dal potere civile: l’assistenza punta più a redimere lo spirito che i bisogni
dei poveri.
Questo equilibrio viene scosso con l'unificazione e la costituzione dello Stato liberale; durante
il secondo ministero Ricasoli il Parlamento vota varie leggi ispirate alla politica ecclesiastica già
perseguita da Cavour: con la legge n. 3036 del 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle
Corporazioni religiose, e la n. 3848 del 15 agosto 1867 per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico,
lo Stato italiano toglie il riconoscimento di «ente morale» a tutti gli ordini, corporazioni e
congregazioni di carattere religioso, incamerando al Demanio tutti i beni ecclesiastici e trasferendo
la proprietà a Comuni e Province, imponendo un vincolo di utilità pubblica. Sono le cosiddette
"leggi eversive", che aggravano la frattura tra Stato e Chiesa, ricomposta, in parte, solo in seguito al
Concordato del 1929 che previde una modalità di rimborso denominata "congrua", una sorta di
stipendio per il personale religioso, e la restituzione dei luoghi di culto16. Dal 31 dicembre 1986
l'assegno di congrua è stato sostituito con il sistema dell'otto per mille.
Se "historia magistra vitae"17, non apparirà fuori luogo soffermarsi su un aspetto delle leggi
eversive che, pur risalendo a tempi remoti, fornisce interessanti spunti e rievoca una questione
ancora oggi attuale.
Nel capitolo 1 è stata approfondita la situazione economica dello stato italiano oggi, e si è
descritto in particolare il problema del debito pubblico; nel periodo delle leggi 3036 e 3848 l'Italia
attraversava una grave crisi finanziaria, causata in gran parte dalla terza guerra d'indipendenza, che
aveva fatto crescere il debito a 721 milioni. Per fronteggiarla si sceglie di fare uno dei primi
interventi diretti sull'economia togliendo, come visto, il riconoscimento di «ente morale» a tutti gli
ordini, corporazioni e congregazioni di carattere religioso e concedendo i beni ai Comuni e alle
Province, previa richiesta di utilizzo per pubblica utilità. Gli enormi patrimoni composti da terreni
16 Con luoghi di culto si intendono Chiese e pertinenze, come sagrestie e matronei17 Historia magistra vitae, è un'espressione latina di Cicerone.
16
ed immobili finiscono sul mercato e vengono in gran parte venduti ai creditori dello Stato in cambio
dei loro titoli del debito pubblico. In questo modo l'intenzione iniziale di incamerare beni per
alleviare i problemi della crisi finanziaria, finisce per avvantaggiare fasce sociali già ricche, come la
vecchia nobiltà, l'alta borghesia e gli alti funzionari statali.
La situazione socio-economica rende comunque indispensabile migliorare in qualche modo le
condizioni delle plebi contadine, e lo Stato decide di approntare il riordino di tutti quegli enti
fondati da laici allo scopo di offrire sostegno e beneficenza ai bisognosi.
Nel 1880 parte una prima inchiesta sulle Opere Pie di origine laica, per censirne il numero, il
patrimonio, il totale degli assistiti e le prestazioni offerte. Gli amministratori vengono invitati ad
esibire le tavole di fondazione e, in seguito alle verifiche, le istituzioni che soddisfacevano i
requisiti sono confermate da Decreto reale su parere del Consiglio di Stato, rese pubbliche e poste
sotto il controllo statale. I risultati della Commissione Reale d’indagine calcolano 21.819 Opere Pie
presenti in Italia tra il 1880 e il 1888. Queste comprendono istituzioni dedicate al culto, 2445
conservatori, ritiri, ospedali, scuole, asili infantili, ospizi di maternità, manicomi, case di
rieducazione per minorenni “traviati’’, Monti, proto-istituti di credito.
Partendo da una grave crisi finanziaria, dunque, all'epoca derivò la necessità di riordinare un
settore in cui ingenti patrimoni non erano utilizzati al meglio. Procedendo nella ricostruzione storica
si noteranno gli interessanti e numerosi parallelismi con la situazione odierna delle IPAB e della
finanza pubblica.
2.2 - L'evoluzione legislativa
Le Opere Pie confermate vengono disciplinate dalla prima legge organica rilevante, cioè la n.
6972 del 17 luglio 1890, ”Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza’’, detta
legge Crispi e rimasta in vigore fino ad anni recenti. Nascono le “Istituzioni Pubbliche di
Beneficenza”, IPB, costituite da tutte le opere pie ed enti morali che hanno come fine statutario il
compito di “prestare assistenza ai poveri” e “procurarne l’educazione, l’istruzione, l’avviamento a
qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed
economico.”18
I patrimoni di origini private vengono sottoposti ad una gestione pubblica, che assume un
18 Legge 6972/1890, art. 1
17
carattere laico e rivolto a tutti, “senza distinzione di culto religioso o di opinioni politiche”.19 Con la
"legge Crispi" le opere pie (ospedali, ospizi, orfanotrofi, asili d'infanzia, scuole gratuite, monti
frumentari, confraternite, cappelle laicali, ecc.) furono ricondotte pienamente nell'ambito del diritto
pubblico,
Nel testo vengono puntualmente disciplinati tutti i casi di incompatibilità e conflitto di interessi
degli amministratori, che in caso di reato incorrono “in una penalità pecuniaria dalle 50 alle 1000
lire”. La vigilanza viene affidata alla Sottoprefettura e alla Giunta provinciale amministrativa20,
mentre “Al Ministro dell’interno spetta l’alta sorveglianza sulla pubblica beneficenza”21.
Le innovazioni introdotte a livello legislativo sottintendono ad un importante cambio di
paradigma: la beneficenza viene ora concepita e definita non più per redimere lo spirito dei
diseredati, ma per alleviare concretamente i loro bisogni.
La seconda tappa dell’evoluzione giunge nel 1904, con la legge Giolitti, che va a integrare e
completare la precedente legge Crispi. Con una forte spinta al decentramento, vengono istituite le
Commissioni Provinciali di Assistenza e Beneficenza, che operano nel territorio di competenza, e
un Consiglio Superiore che si occupa del problema a livello nazionale. L’azione privata delle IPB
viene dunque controllata, coordinata ed integrata con il sistema assistenziale pubblico. Si consolida
ancora la concezione di assistenza, che è ora considerata sempre più un diritto sociale del povero e
un dovere da parte dello Stato.
Nel 1923 il regime fascista abroga la legge Giolitti, poiché in contrasto sia con l’opera di
accentramento amministrativo, sia con un’idea di assistenza che si basa sulle donne e sul modello
idealizzato di famiglia. Per quanto riguarda la terminologia, il regio decreto 30 dicembre 1923, n.
2841, trasforma le IPB, “istituzioni pubbliche di beneficenza” in IPAB, “Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza”. Nel 1927 il controllo passa dalle Sottoprefetture alle Prefetture.
Con la Costituzione dello Stato repubblicano del 1948 si conferma definitivamente l’idea di
assistenza come diritto sociale universale e quindi riconosciuto a tutti. Tale principio fondamentale
è impresso in particolare negli articoli 2 e 3 del dettato costituzionale mentre il diritto a ricevere
assistenza sociale si concreta nell'art. 38:“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi
19 Legge 6972/1890, art. 7820 Legge 6972/1890, artt. 2 e 3521 Legge 6972/1890, art. 44
18
necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. [...] Ai compiti previsti in
questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza
privata è libera”.22 Nell’art. 117 viene affidato alle Regioni il potere di legiferare in materia di
“Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; Istruzione artigiana e professionale
e assistenza scolastica’’.
Nei primi decenni della Repubblica l’assistenza resta in gran parte un monopolio di enti e
istituzioni pubbliche e private sovvenzionate dallo Stato, pratica che favorisce la costruzione di
sistemi clientelari basati sulla commistione tra politici e amministratori. Non è quindi solo un caso
che il periodo denominato Tangentopoli inizi nel 1992 dopo l’arresto di Mario Chiesa, presidente
proprio di un'IPAB, il Pio Albergo Trivulzio di Milano.
Il decreto del Presidente della Repubblica del 15 gennaio 1972 n. 9, trasferisce alle Regioni le
funzioni concernenti "le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza previste dalla legge 17
luglio 1890, n. 6972 e successive modificazioni e integrazioni che operano nel territorio regionale",
tra cui quelle di controllo e vigilanza "sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
(IPAB)".23
Un ulteriore atto normativo si registra il 24 luglio 1977 con il decreto 616, che ridefinisce
l’ambito di intervento della beneficenza, comprendendo “tutte le attività che attengono, nel quadro
della sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o di
prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di gruppi, qualunque sia
il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza
a categorie determinate” ed escludendo le “funzioni relative alle prestazioni economiche di natura
previdenziale’’.
Intanto le IPAB continuano ad essere disciplinate dalla legge Crispi del 1890, che ha resistito
sia al fascismo sia alla Prima Repubblica. La prima modifica giunge a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale n. 396 del 24 marzo 1988, chiamata ad esprimersi sul caso regione Emilia
Romagna e Comune di Bologna contro Opera Pia Ospizio di S.Anna. Quest’ultima pone la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge Crispi “perché esso, riconducendo
22 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3823 Decreto del Presidente della Repubblica, 15 gennaio 1972, n. 9
19
nell’ambito degli enti pubblici tutte le istituzioni di assistenza e beneficenza (IPAB), sarebbe in
contrasto con l’art. 38, ultimo comma, Costituzione, che tutela la libertà dell’assistenza privata.” e
la Corte si pronuncia dichiarando "l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890
n. 6972 («Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza») nella parte in cui non
prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la
personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione
privata."24
La lettura di questa sentenza, il cui testo è ricco di spunti e informazioni per chi voglia
approfondire la storia delle IPAB, aiuta a capire meglio una delle principali caratteristiche di questi
enti; secondo la Corte "la legge del 1890 n. 6972 (Crispi, nda), avendo disciplinato una serie di
istituzioni aventi uno «spessore storico» del tutto peculiare, era ispirata a due principi
fondamentali, quali il rispetto della volontà dei fondatori e i controlli giustificati dal fine pubblico
dell'attività svolta in situazione di autonomia." Ciò che la Corte sottolinea è il carattere
ambivalente e peculiare di tali enti, il cui regime giuridico è caratterizzato "dall'intrecciarsi di una
disciplina pubblicistica in funzione di controllo, con una notevole permanenza di elementi
privatistici". Le IPAB si possono dunque considerare come "istituzioni pubbliche che [...] sono per
lo più il prodotto del riconoscimento di iniziative private, sia inter vivos che mortis causa."
Questa sentenza non fu priva di forti conseguenze; secondo la rivista di settore "Prospettive
Assistenziali", infatti, molti patrimoni, si parla di circa 30-40 mila miliardi, "sono stati dati a titolo
gratuito ai privati che in qualche modo si sono dichiarati i rappresentanti dell’ente, magari
costituito alcune centinaia di anni prima. E, in buona sostanza, i beni continuano ad essere regalati
ai privati, ai quali non si chiede neppure di continuare a destinare ai poveri né i patrimoni né i
relativi redditi".25
L'inderogabile riordino della normativa riguardante le IPAB si è concretizzato, dopo diverse
bozze e discussioni, con la legge 328 dell'8 novembre 2000, "Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali".
Una precisazione: nel linguaggio comune si tende a considerare la 328 come una norma che
sostituisce la 6972 del 1890; in realtà non è del tutto corretto poiché la disposizione del 2000,
24 Sentenza Corte Costituzionale n. 396/198825 Prospettive assistenziali, n. 121, gennaio-marzo 1998
20
infatti, disciplina l'intera materia assistenziale, mentre la legge Crispi si limitava alle sole IPAB.
2.3 - La legge Turco-Signorino e il decreto 207/2001: dalle IPAB alle ASP
La 328/2000 introduce il concetto di sistema integrato di interventi e servizi sociali, chiarendo
che esso si realizza sia "mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita
sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche", sia
attraverso "la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia delle risorse, impedire
sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte"26 Rappresenta dunque un modo
per coordinare al meglio l'offerta di servizi in base al fabbisogno.
Che ruolo è previsto per le IPAB in questo sistema? Per rispondere a questa domanda si
analizza l'articolo 10, che è dedicato esclusivamente a questi enti. Al comma 1 prevede che "Il
Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, un decreto legislativo recante una nuova disciplina delle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza (IPAB) di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive
modificazioni, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi.27
Il decreto legislativo n. 207 arriva il 4 maggio 2001 e con esso nasce una nuova sigla che
sostituisce quella precedente: dalle IPAB alle ASP - Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona. Le
IPAB che "svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali sono tenute a
trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona"28
Il testo contiene tutti i dettagli per inquadrare i nuovi enti e fissare dei paletti affinché non vi
sia eccessiva disomogeneità tra le disposizioni delle varie Regioni italiane.
L'art. 12 ricorda che, nel passaggio da IPAB ad ASP, restano ferme le originarie finalità
previste dagli statuti, adeguati ai tempi e alla trasformazione, previa approvazione degli organi
regionali competenti29. Inoltre, "le istituzioni riordinate in aziende di servizi o in persone giuridiche
private a norma del presente decreto legislativo conservano i diritti e gli obblighi anteriori al
26 Legge 328/2000 art.2227 Legge 328/2000 art. 10 comma 128 Legge 328/2000 art.5 comma 129 DL 207/2001 art. 12 comma 1
21
riordino. Esse subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi delle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, dalle quali derivano".30
In base al decreto dunque le ex-IPAB che diventano ASP devono essere "inserite nel sistema
integrato di interventi e servizi sociali di cui all'articolo 22 della legge (328/2000, nda), nel
rispetto delle loro finalità e specificità statutarie".31 Nell'ambito di quella che si può considerare una
modernizzazione, è apprezzato il richiamo al rispetto sia delle finalità originarie previste dagli
statuti, sia implicitamente dei tanti filantropi che hanno donato i loro beni a scopo di beneficenza.
Le regole per la trasformazione delle vecchie IPAB sono puntualmente precisate. Il decreto
prevede che le IPAB possono trasformarsi o in Aziende pubbliche di Servizi alla Persona o in
Persone Giuridiche private a seconda del tipo di requisiti soddisfatti. Nei prossimi capitoli vedremo
in che modo ciò si applica ai due casi presi in esame.
Con ciò Lo Stato centrale ha svolto il suo ruolo: dopo aver varato il decreto 207, come era stato
anticipato nella legge 328 Turco-Signorino, tocca ora alle Regioni adeguare "la propria disciplina
ai principi del decreto legislativo di cui al comma 1 (cioè il 207/2001, nda) entro centottanta giorni
dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo." 32
E' interessante notare come il caso che andremo ad analizzare nel prossimo capitolo è relativo
alla Regione Campania, che al momento è una delle ultime Regioni italiane a non aver ancora
legiferato in materia, di fatto mantenendo le IPAB ancora sottoposte alle regole della Legge Crispi.
Come leggiamo infatti nel decreto 207/2001, "è abrogata la disciplina relativa alle IPAB prevista
dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (Legge Crispi, nda), e dai relativi provvedimenti di attuazione.
Nel periodo transitorio previsto per il riordino delle istituzioni, ad esse seguitano ad applicarsi le
disposizioni previgenti".33 Quanto durerà il periodo transitorio della Regione Campania? Non è dato
saperlo, né è possibile al momento sperare in una positiva risoluzione del problema. A
dimostrazione di una preoccupante imperizia vigente in Regione, un breve aneddoto.
30 DL 207/2001 art. 4 comma 131 DL 207/2001 art. 2 c.132 Legge 328/2000 art.10 c.333 D.Lgs 207/2001 art.6 c.1
22
2.4 - Storie di ordinaria (in)competenza
La legge 328 all'art.8 c.3, che non riguarda le IPAB ma il sistema integrato di servizi sociali,
dispone che le Regioni debbano "determinare, entro centottanta giorni, tramite le forme di
concertazione con gli enti locali interessati" ambiti territoriali, modalità e strumenti per la gestione
unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. Quindi organizzare in modo ottimale sul
territorio l'offerta di servizi per rispondere al fabbisogno. L'art. 10 c.3 invece dispone che le Regioni
debbano promulgare una legge regionale per inserire le IPAB nel suddetto sistema.
La Campania ha rispettato gli adempimenti dell'art. 8 ma non quelli dell'art. 10, e quindi le
IPAB restano ancora sottoposte alla vecchia legge Crispi del 1890, c.3.
Quando la Regione ha dato il via agli adempimenti dell'art. 8 che prevedevano la divisione dei
fondi disponibili, i rappresentanti delle IPAB non sono stati invitati. La dottoressa Maria Teresa
Morvillo, ex-presidente dell'IPAB "Istituti Riuniti di assistenza all'infanzia" del Comune di Massa
Lubrense (NA), in un'intervista racconta che, quando cercò di capire il motivo di tale mancanza, si
trovò di fronte ad un funzionario regionale che ignorava perfino cosa fosse una IPAB. Eppure la
sede della Regione Campania ospitava ben 5 uffici per le IPAB, con apposita targa in vista.
Vi è un altro preoccupante fenomeno legato alle IPAB che vengono privatizzate o spariscono
senza lasciare traccia. Due esempi sono stati denunciati dalla rivista Prospettive Assistenziali, e
riguardano due IPAB del Comune di Procida (NA): l'Opera pia Ospedale Civico Albano
Francescano" con un patrimonio di 20 miliardi e 294 milioni, e l'Opera pia Casa di riposo Nicolò
De Filippis, 4 miliardi e 190 milioni. La loro trasformazione in persona giuridica privata, richiesta e
ottenuta dai rispettivi presidenti, a causa della mancanza di norme di salvaguardia, non garantisce
più che gli ingenti patrimoni e relativi redditi siano posti a sostegno della fascia più debole della
popolazione. La rivista ritiene inoltre "che la privatizzazione sia stata disposta dalla Giunta della
Regione Campania secondo modalità che benevolmente possono essere definite disinvolte."34
2.5 - Lo Stato sociale in Italia: le IPAB oggi
L'assistenza sociale in Italia si è retta finora in buona parte sulle circa 4200 IPAB attive. I dati,
34 Prospettive Assistenziali, n. 110, aprile-giugno 1995
23
infatti, vedono lo Stato italiano agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda l'investimento di
risorse in campo sociale: mentre la spesa sociale complessiva nel 2004 è stata pari al 26,3%,
comunque inferiore al 29,9% della Germania e al 32,6% della Francia, nel dettaglio va notato che la
quota destinata all'assistenza è solo del 4,9%, contro il 10,5% della Germania e il 12,2% della
Francia.35
Alla luce delle attuali contingenze economiche mondiali e alle tradizionali posizioni politiche
assunte sinora, sembra improbabile che tali investimenti possano aumentare nei prossimi anni.
Eppure una risposta a questa mancanza potrebbe venire proprio da una più efficace ottimizzazione
delle risorse delle IPAB. Ma a quanto ammontano?
Ad oggi non si possiede un censimento definitivo di questi enti pubblici, che restano misteriosi.
Come già detto, un primo tentativo si ebbe nel 1888, quando una Commissione reale individuò
21.819 IPAB accendendo l'attenzione sulle "rendite colossali che si spendevano senza una vera
pratica utilità per la popolazione sofferente". La Legge Crispi nel 1890, per evitare derive,
prevedeva che "ogni anno il Ministro dell'interno deve presentare una relazione intorno ai
provvedimenti di concentramento, raggruppamento e trasformazione delle IPB", oltre ad un
"elenco delle amministrazioni disciolte, con l'indicazione dei motivi che avranno determinato lo
scioglimento"36. Una indicazione preziosa, che avrebbe permesso di tenere sotto controllo
privatizzazioni e svendite dei patrimoni. Ma dal 1890 questo articolo non è mai stato rispettato, ed è
anche per questo motivo che si possiedono così poche informazioni in merito.
Una commissione parlamentare del 1958 dichiarò che il numero delle IPAB era "inconoscibile
nella sua completezza", mentre una seconda, nel 1967, ne conteggiò 6.633 su tutto il territorio
nazionale.
Nel 1970 il Ministro degli interni segnala che le IPAB esistenti sono 9000, 12.819 in meno del
censimento del 1888; una notevole discrepanza, in merito alla quale però non viene fornita alcuna
spiegazione37. IPAB sparite, senza traccia.
L'ultimo rapporto, del 1999 a cura del Ministro della Solidarietà Sociale, stima in 4200 le IPAB
ancora funzionanti, con un patrimonio mobiliare e immobiliare di 37 mila miliardi di lire (circa 19
35 Libro verde sulla spesa pubblica, pag.14. Cifre confermate dal rapporto ISTAT36 Legge 6972/1890, Art. 10237 Si veda Breda M.G., Micucci D., Santanera F., [2001], pag. 166
24
miliardi di euro).
La legge 328/2000 si basa su questa stima per decidere come suddividere le "poche" risorse.
Ma vi sono alcune critiche verso la superficiale attenzione data al potenziale patrimoniale di questi
enti. Breda, Micucci e Santanera, autori di un volume di analisi sulla legge 328, sostengono che
l'errore consiste nel dimenticare (o ignorare volutamente) le IPAB inattive. Secondo la legge Crispi
6972/1890 queste dovevano essere infatti trasferite ad altre IPAB o ai Comuni. Il patrimonio delle
IPAB estinte è stimato in 40-50 mila miliardi di lire (20-30 miliardi di euro), risorse che restano
vincolate a fini di assistenza e beneficenza, ma che non sono menzionate nella legge 328, con la
conseguenza di fatto di sopprimere tale vincolo.
Stessa situazione per i patrimoni, stimabili in 30-40 mila miliardi di lire (15-20 miliardi di
euro), de-pubblicizzati e trasferiti ai privati a titolo gratuito, in seguito alla tanto discussa sentenza
della Corte Costituzionale 396 del 1988.
Quindi si hanno 37 mila miliardi di patrimoni per le 4200 IPAB attive, 40-50 miliardi per le
IPAB trasferite, e 30-40 miliardi per le IPAB regalate ai privati. Un patrimonio dunque che, secondo
la stima minima, ammonta a 107 mila miliardi di lire (53 miliardi di euro), giunto fino a noi grazie
alla legge Crispi, ma che rischia ora di essere svincolato dal suo fine originario di offrire assistenza
e beneficenza a poveri e bisognosi.
Come rilevato dal rapporto del 1999, «Il fatto che risultasse difficile anche solo precisare
quale fosse il numero di IPAB esistenti e che sia risultato impossibile risalire, dai dati delle
Regioni, al numero di IPAB effettivamente operanti, non può essere considerato semplicemente un
caso. L’opacità di queste strutture riflette un modello consolidato di rapporti tra enti locali e
amministrazioni delle IPAB fondato sul mutuo accomodamento». La conferma di tale situazione
risulta evidente nel caso che andremo ad esporre nel capitolo 3.
2.6 - La gestione contabile delle ASP: una "soluzione pia"
Sono state presentate le varie stime relative a patrimoni e numeri. Anche se ci si limitasse alle
cifre più prudenti, le IPAB presenti in Italia, se pienamente sfruttate rispettando le regolamentazioni
introdotte dalla legge 328 e dal decreto 207, potrebbero costituire una "soluzione pia" al problema
25
relativo alla necessità di aumentare l'assistenza sociale nel nostro paese in modo virtuoso e senza
gravare ulteriormente sulla già precaria finanza pubblica. Sono ancora il decreto 207/2001 e la
legge 328/2000, precedentemente menzionati, che approfondiscono l'aspetto contabile legato
all'impatto finanziario dell'integrazione delle ASP nel sistema sociale regionale.
L'articolo 10 della legge 328/2000 Turco-Signorino al comma 1 tra i principi e criteri direttivi
include un punto di grande importanza. La nuova legislazione in materia di Istituzioni Pubbliche di
Assistenza e Beneficenza, che il governo dovrà inquadrare tramite decreto, deve prevedere
l'"Esclusione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica".38
La trasformazione in ASP disciplinata dal decreto previsto dovrà inoltre garantire "l’obiettivo
di un’efficace ed efficiente gestione, assicurando autonomia statutaria, patrimoniale, contabile,
gestionale e tecnica compatibile con il mantenimento della personalità giuridica pubblica" 39
Come fanno le nuove ASP a prestare servizi assistenziali ed integrarsi nel sistema di servizi
sociali regionali? Attraverso i loro patrimoni, che secondo il decreto 207/2001 sono costituiti "da
tutti i beni mobili ed immobili ad esse (alle ASP, nda) appartenenti" e che "restano destinati alle
finalità stabilite dalle tavole di fondazione e dalle volontà dei fondatori",40 che consistono nel
prestare assistenza e beneficenza.
Il fatto che il patrimonio costituisca la principale e spesso unica fonte di finanziamento di
questi enti è richiamato, oltre che negli Statuti, in diversi passaggi delle norme emanate. Il decreto
207 prevede che le IPAB inserite nel sistema integrato siano quelle che "operano prevalentemente
nel campo socio assistenziale [...] con le rendite derivanti dalla gestione del loro patrimonio".41
Diventa dunque naturale per il legislatore sottolineare che la trasformazione delle IPAB in ASP
ha, tra i tanti scopi, quello di valorizzare al massimo i patrimoni. Ciò si riflette in parte anche nella
scelta linguistica del termine azienda, solitamente distante dal gergo pubblico e che rappresenta un
chiaro invito ad una gestione imprenditoriale, senza però in alcun modo intaccare la natura pubblica
e universalistica. Questa interpretazione viene confermata nell'articolo 6 c.1, dove vengono definite
le caratteristiche delle nuove ASP: "L'azienda pubblica di servizi alla persona non ha fini di lucro,
38 Legge 328/2000 art.10 c.139 Legge 328/2000 art.10 c.140 D.Lgs 207/2001 art.13 c.141 D.Lgs 207/2001art. 2 c.1
26
ha personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia statutaria, patrimoniale, contabile,
gestionale e tecnica ed opera con criteri imprenditoriali. Essa informa la propria attività di
gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di bilancio da
perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, in questi compresi i trasferimenti"42.
In caso di disavanzo di gestione, è la legge regionale a prevedere quali sono le modalità di
copertura dello stesso.
Nel decreto viene poi spiegato che se un'IPAB non possiede un patrimonio e rendite sufficienti
ad esercitare attività di assistenza, non viene sostenuta dallo Stato ma soppressa: "La
trasformazione in azienda pubblica di servizi alla persona e' esclusa: b) nel caso in cui l'entità del
patrimonio e il volume del bilancio siano insufficienti per la realizzazione delle finalità e dei servizi
previsti dallo statuto".43 Nel caso in cui una ASP in attività si ritrovi in una condizione economica di
grave dissesto, ogni Regione disciplina le procedure per la soppressione e la messa in
liquidazione.44
La contabilità delle ASP è totalmente pubblica e trasparente, in quanto le aziende hanno
"l'obbligo di rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie analisi dei costi, dei rendimenti
e dei risultati per centri di costo e responsabilità"45
Pertanto dalle normative emergono indicazioni chiare in merito sia all'impatto sulla finanza
pubblica, sia sui criteri di gestione dei patrimoni e della contabilità in generale. Per capire come
queste disposizioni sono state recepite dalle varie leggi regionali analizziamo quella della Regione
Emilia Romagna, di cui si riporta a scopo conoscitivo il censimento delle IPAB attive.
TABELLA: Censimento IPAB attive in Emilia Romagna in data 1 Gennaio 2004
42 D.Lgs 207/2001 art.6 c.143 D.Lgs 207/2001 art.5 c.244 D.Lgs 207/2001 art. 14 c.545 D.Lgs 207/2001 art. 14 c. 1 punto d
27
Questa Regione ha emanato la legge di riforma del sistema di welfare, la n.2 del 2003,
rispettando i tempi previsti e incorporando tutti i principi contenuti nella legge-quadro Turco-
Signorino e nel decreto 207/2001.
Le direttive regionali che disciplinano in particolare le IPAB-ASP inserendole in tale rete sono
due, la 623 e la 624 del 9 dicembre 2004, approvate durante la 284° seduta del Consiglio regionale.
Secondo l'assessore regionale alle politiche sociali, "la trasformazione delle IPAB in Aziende
pubbliche di servizi alla persona dovrà inserirsi nel processo di costruzione del sistema territoriale
dei servizi sociali e socio sanitari disciplinato dalla legge regionale n. 2 del 2003; un processo che
dovrà garantire sia una visione regionale del sistema e regole condivise, sia valorizzare il
protagonismo e la progettualità degli enti locali nell’ambito delle zone sociali." Il Presidente della
Regione introduce le due direttive evidenziando che "le IPAB della nostra Regione sono realtà
importanti, radicate nel territorio, con le quali abbiamo sempre costruito rapporti soddisfacenti;
sono state fondamentali nel costruire assieme agli enti locali quella rete di servizi per anziani,
minori, disabili, che ci viene riconosciuta - a livello nazionale ed europeo - fra le più importanti e
qualificate."46
Concludiamo questo paragrafo osservando più da vicino le due direttive e cercando di
evidenziare gli articoli relativi alla contabilità.
Con la Delibera del Consiglio regionale n. 624 "Definizione di norme e principi che regolano
l'autonomia statutaria, gestionale, patrimoniale, contabile e finanziaria delle aziende pubbliche di
servizi alla persona" si rispettano le indicazioni delle leggi-quadro sia in materia di autonomia
patrimoniale degli Enti, sia contabile e finanziaria.
Innanzitutto vengono fissati i requisiti patrimoniali per la trasformazione in ASP, che
46 Regione Emilia Romagna, "La trasformazione delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza: verso le Aziende pubbliche di servizi alla persona", pag. 3
28
prevedono un patrimonio minimo di 1.5 milioni di euro per il settore anziani, e di 750.000 euro per
il settore minori e altro, in modo da assicurare una certa autonomia.
Viene poi richiamata la natura delle ASP e i criteri economici a cui devono adeguarsi:
"L’Azienda ha personalità giuridica di diritto pubblico, è dotata di autonomia statutaria,
gestionale, patrimoniale, contabile e finanziaria, nell’ambito delle norme e dei principi stabiliti con
atto del Consiglio regionale, e non ha fini di lucro. L’Azienda svolge la propria attività secondo
criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di bilancio da perseguire
attraverso l’equilibrio dei costi e ricavi.47
Un ulteriore richiamo ad un comportamento più simile a quello di un attore di mercato, predispone
che l'Azienda preveda, "nell’ambito del piano programmatico, un piano di gestione e
valorizzazione del proprio patrimonio. Il piano di gestione e valorizzazione, per quanto riguarda il
patrimonio disponibile, deve assicurare, a conclusione del piano di trasformazione, una redditività
in linea con i valori di mercato."48
Ogni ASP dunque ha gli strumenti per offrire determinati servizi, sfruttando le entrate che sono
costituite da "risorse derivanti dai proventi dei servizi resi, dalle rendite del patrimonio e da altre
entrate."49
Nel caso in cui un'ASP abbia una gestione contabile particolarmente efficiente, e goda quindi
di eventuali avanzi di gestione, la normativa prevede che questi debbano essere utilizzati
"unicamente per lo sviluppo delle attività indicate dallo statuto, la riduzione dei costi delle
prestazioni e la conservazione del patrimonio."
Nel caso invece in cui si verifichi una situazione di deficit e quindi si abbia un disavanzo di
gestione, "il Consiglio di amministrazione propone all’Assemblea dei soci un piano di rientro,
secondo modalità stabilite dallo statuto; l’approvazione da parte della Assemblea dei soci
comporta l’assunzione a carico di ciascun socio della eventuale quota parte di disavanzo non
coperta dal piano di rientro.50
I soci, che nella maggior parte dei casi sono i Comuni, utilizzano i fondi ad essi assegnati,
senza dunque richiedere una copertura finanziaria aggiuntiva da parte dello Stato centrale.
47 delibera 624/2004, allegato, art.1 pag. 648 delibera 624/2004, allegato, art.3 pag. 1149 delibera 624/2004, allegato, art.4 pag. 1250 delibera 624/2004, allegato, art.4 pag. 13
29
La regione Emilia Romagna costituisce solo un esempio di come si debbano e si possano
valorizzare le IPAB, che si ricorda sono circa 4200 in tutta Italia, trasformandole in ASP ed
integrandole nella programmazione di zona per i servizi socio-assistenziali e sanitari,
razionalizzando dunque le risorse già esistenti sul territorio senza gravare sulla spesa pubblica. E
garantendo una base minima di assistenza alle fasce più deboli della popolazione, aspetto affatto
trascurabile in un periodo di crisi economica globale che rischia di ridimensionare ulteriormente la
già debole spesa sociale italiana.
Purtroppo c'è da rilevare che alcune regioni, come la Campania, sembrano voler rinunciare a
tale opportunità a causa del vuoto legislativo esistente. Il prossimo capitolo esaminerà un caso
relativo a questa regione.
30
Capitolo 3 - Le IPAB a Massa Lubrense: un caso esemplare di malgoverno
Massa Lubrense è un Comune in provincia di Napoli, con circa 13.000 abitanti su un territorio
ricco di oliveti, limoneti e...Conservatori: l'etimologia di questo termine, che significa custodire,
rivela che la loro funzione originaria era quella di ospitare, assistere ed educare orfani e poveri,
"conservandoli". Il significato attuale di questo termine, che indica gli istituti superiori di musica,
deriva infatti dall'istruzione in questa materia che veniva impartita ai ragazzi che possedevano una
naturale predisposizione. Gli antichi Conservatori di Massa Lubrense, “S. Teresa, SS. Rosario, Ave
Gratia Plena" , nate come 3 IPAB separate, nel 1974 vengono accorpati per fusione e con una nuovo
ed unico Statuto prendevano il nome di “Conservatori Laicali Riuniti – S. Teresa, SS. Rosario, Ave
Gratia Plena."
Il Conservatorio di Santa Teresa, edificato dal Parlamento di Massa Lubrense nel 1681, ha
un'origine piuttosto confusa che ha dato vita ad una serie di equivoci e va quindi subito chiarita. Nel
1673 viene fondato da Suor Serafina di Dio un primo convento intitolato a S. Teresa, destinato ad
accogliere oblate, converse51 e monache di clausura. L'edificio andò distrutto e, nel 1681, il
Parlamento di Massa deliberò la costruzione di un conservatorio, non un convento, chiamato
nuovamente S. Teresa. L'attuale edificio non è quindi il convento, ma il conservatorio.52 Oltre alla
storia vi sono altre conferme documentali: la prima è una delibera del 29 ottobre 1935
dell'amministrazione "del prefato Conservatorio" con cui viene ammessa "la giovinetta Lidia
Messina" per essere "ricoverata nel Conservatorio di S. Teresa a piazza gratuita".53 Un altro
documento è firmato dal Commissario straordinario dell'IPAB, Carlo Caracciolo, che il 16
settembre 1939 autorizza la suora direttrice "a dimettere da codesto Conservatorio l'orfana in
oggetto".54
Il secondo conservatorio di Massa Lubrense è intitolato "Santissimo Rosario", e fu fatto
costruire nel 1723 nella frazione di Monticchio dalla filantropa Maria Cristina Olivieri.
Il terzo fu fondato da un medico, Marco Cangiano, nella frazione di Santa Maria Annunziata, e
51 Religiose che, senza voti, si offrono per esercitare attività come l'assistenza ai poveri, l'insegnamento, etc..52 Filangieri [1910], pag. 67153 Morvillo [2007], pag.3154 Morvillo op. cit, pag.32
31
viene denominato conservatorio "Ave Gratia Plena".
Tutti e tre gli istituti vennero inclusi dalla legge Crispi, insieme alle Opere Pie e ad altri enti,
nella categoria delle Istituzioni Pubbliche di Beneficenza, IPB, poi IPAB nel 1923. I loro patrimoni
rientrano in quel genere di beni che, per volontà dei fondatori trasfusa nei rispettivi statuti, sono
sottratti all'ingerenza ecclesiastica e sono amministrati da laici. La legge 3 agosto 1862, n.753, che
precede la legge Crispi, aveva operato un primo riordino degli Enti di beneficenza prescrivendo che
questi venissero valutati e confermati con Regio Decreto e su parere del Consiglio di Stato, prima di
essere inclusi nelle IPB. I decreti confirmatori relativi ai 3 conservatori arrivarono il 20 aprile 1873
per il S. Teresa, il 22 dicembre 1875 per il SS Rosario e il 22 ottobre 1872 per l'Ave Gratia Plena, e
approvavano anche i rispettivi Statuti.
Data l'elevata complessità delle vicende, si è deciso di strutturare il capitolo in due parti: nella
prima si ricostruirà la storia in generale di tutti e 3 i patrimoni. Nella seconda verrà dedicata una
trattazione separata per ogni conservatorio.
La maggior parte dei documenti e dei fatti riportati in questo capitolo provengono dal libro "I
Conservatori di Massa Lubrense": il merito di aver scoperto e ricostruito la storia dell'IPAB
massese, grazie ad un lungo e paziente lavoro di raccolta e studio di documenti storici e
amministrativi, va alla ex-amministratrice dell'IPAB, la dottoressa Maria Teresa Morvillo,
protagonista anch'essa di tale vicenda.
Per intraprendere la trattazione ci sembra importante presentare un documento che, oltre a
rivelarsi eccezionalmente attuale e utile per capire la situazione, possiede un notevole valore
storico.
Parte I
3.1 - 1885, il sottoprefetto scrive
Nel 1885 il sottoprefetto55 di Castellammare di Stabia, competente per la vigilanza sui
Conservatori già ‘confermati’, invia una lettera confidenziale all'allora sindaco di Massa Lubrense: i
contenuti del testo, di estrema lucidità, fanno emergere i primi elementi problematici relativi ai tre
55 La Prefettura (Ufficio Territoriale di Governo) è l'articolazione territoriale del Ministero dell'Interno e rappresenta il Governo in ambito locale. La sottoprefettura è ad un livello gerarchicamente inferiore.
32
conservatori massesi, già presenti più di cento anni fa. E' necessario e interessante riportare
integralmente alcuni passi della lettera, la cui copia dell'originale è allegata in appendice.
La lettera, i cui contenuti hanno riscosso la "piena soddisfazione dell'Ill.mo Sig. Prefetto",
descrive la delicata situazione dei tre conservatori, facendo subito emergere un primo problema:
"Questi istituti, fondati da cittadini filantropi a sollievo della miseria pubblica ed a vantaggio della
civiltà, furono per violenza dei tempi trasformati a Conventi di Monache".
La seconda preoccupazione è relativa alle colpe di chi avrebbe dovuto amministrare questi enti
pubblici garantendone la piena disponibilità per la cittadinanza, mentre invece il sottoprefetto fa
notare che "non sono bastate le leggi e gli statuti locali per restituire alla cittadinanza i
conservatori che ad essa appartengono, perchè non è stato possibile tradurre in atto la disposizione
transitoria della graduale trasformazione di essi". Il risultato finale è che "il patrimonio è tolto al
povero al quale appartiene; e, quello che è peggio, trovansi cittadini che si sobbarcano alla
gravissima responsabilità di simulare un Amministrazione"
Il sottoprefetto tocca anche un altro aspetto della vita dei conservatori, legato all'ospitalità di
oblate e converse previsto dagli statuti "finchè duri la loro vita". Il punto è che questa clausola è
facilmente aggirata, "perché fino a quando in ognuno di detti conventi esisterà una delle antiche
Monache si avrà sempre la forma del convento sottratto alla direzione ed amministrazione laica e
popolato di novelle monache, col pretesto di educande, inservienti, etc...". In breve si ipotizza un
continuo e inevitabile ricambio, un turn-over di nuove monache che sostituiranno coloro passate a
miglior vita.
A chi spetta il compito di controllare? La storia sembra ripetersi. Infatti, secondo l'autore non è
possibile "sperare nell'opera degli Amministratori, perché, quali che fossero sarebbero sempre
influenzati dai tanti elementi che si schierano sempre a proteggere questi Istituti". Le acute
osservazioni , come si è visto, non si fermano ad un livello burocratico e amministrativo, ma tramite
un approccio più realistico prendono in considerazione anche fattori socio-culturali, che svolgevano
e svolgono tutt'oggi un ruolo importante. L'opinione pubblica locale, infatti, da anni continua ad
identificare i conservatori col termine di conventi, dal momento che agli occhi di un qualsiasi
cittadino tali edifici sono abitati esclusivamente da monache. Già il sottoprefetto rilevava questa
distorsione: "In effetti gli stessi Conservatori sono nominati Monasteri" da quando "furono
trasformati arbitrariamente in Conventi". La presenza di personale religioso all'interno di un ente
pubblico non è però casuale o frutto di coincidenze, ma era previsto e disciplinato puntualmente
dalle norme statutarie. Nel prossimo paragrafo tale aspetto verrà approndito esaminando il caso del
33
Santa Teresa.
3.2 - Conservatori, non Conventi
Si è già accertato che i 3 edifici di Massa Lubrense sono conservatori, enti laici con propri
statuti confermati da decreti, che dal 1890 in poi entrano a far parte della famiglia delle IPB regolate
dalla Legge Crispi. Pertanto le oblate e monache presenti negli edifici sono ammesse in quanto
addette al servizio interno o amministratrici, sottoposte allo statuto e al regolamento interno di un
Istituzione destinata alla pubblica assistenza e beneficenza.
Ciò è confermato dallo statuto del S. Teresa del 1873, che a tal proposito è estremamente
chiaro: nell'art.36 spiega che le oblate e converse già presenti nel conservatorio "vi resteranno con
le stesse condizioni di stanza ed assegnamento finchè duri la loro vita". L'art. 37 prevede che, se gli
amministratori laici lo riterranno opportuno per particolari meriti o abilità, potranno assegnare le
religiose "agl'uffici interni del Conservatorio non escluso anche quello [il ruolo, nda] di
Direttrice". Infine, l'art. 33 disciplina proprio il rapporto tra direttrice, personale e organo di
amministrazione laico: "Tutte codeste persone addette al servizio sì dell'Amministrrazione che del
Conservatorio dipendono dalla Commissione che ha la suprema direzione dell'opera pia. La
direttrice [...] risponde del buon andamento di esso alla Commissione". In sintesi, la gestione dei
servizi offerti dai conservatori può essere affidata a religiose, che restano comunque alla dipendenza
degli amministratori nominati dal consiglio comunale56. Ulteriore conferma di questo tipo di
rapporto tra laici e religiosi proviene dal volume "Storia di Massa Lubrense", in cui lo storico
Riccardo Filangieri spiega che il compito degli amministratori era prevalentemente quello di
occuparsi di questioni burocratiche, mentre le suore provvedevano ai servizi diretti.
L'insieme di questi documenti dimostra che non è possibile definire questi edifici "conventi",
cioè luoghi che servono ad ospitare ordini e comunità religiose. Questo equivoco, tutt'altro che
insignificante, è però da tempo utilizzato da più parti per consolidare nell'opinione pubblica
determinate convinzioni, ormai ben sedimentate, che aiutano a perseguire interessi particolari
incompatibili col fine pubblico dell'ente, come emergerà nel corso della ricostruzione storica.
L'analisi del sottoprefetto si rivelerà, alla luce dei fatti successivi, una puntuale premonizione
di ciò che è accaduto ai tre conservatori da quegli anni fino ai giorni nostri. La sua conclusione è
diretta ed esplicita: "E' noto a tutti, né giova nasconderlo che i Conservatori in codesto Comune
56 Gli amministratori di un IPAB sono nominati, secondo lo Statuto, dal Consiglio Comunale.
34
hanno l'Amministratore civile unicamente per forma, come per forma si modellano i bilanci e i
conti consuntivi".
3.3 - Quell'assistenza non s'ha da fare
I primi anni dei conservatori dopo la conferma da parte dei decreti reali, e nonostante i
problemi strutturali descritti dal sottoprefetto, vedono un sostanziale rispetto degli statuti e
un'erogazione di servizi ad orfane/i e giovani poveri del comune, soprattutto in seguito alla riforma
della legge Crispi nel 1890 che li trasforma in Istituzioni Pubbliche di Beneficenza.
Gli anni '40 sono però quelli della svolta. Il Commissario Carlo Caracciolo, in carica fino agli
anni '30, è l'ultimo a svolgere il proprio ruolo nel rispetto delle normative vigenti, amministrando
laicamente un ente pubblico e mantenendo alle sue dipendenze anche personale religioso che
svolgeva funzioni interne ed era ospitato nel conservatorio, secondo le regole previste dagli Statuti
del 1870.
Il suo successore inizia a cedere spazi gestionali a favore delle suore, scontrandosi con gli
organi di controllo e vigilanza che all'epoca erano ancora la Prefettura e il Ministero dell'interno.
Secondo i fatti esposti dalla Morvillo, alle origini di questo processo vi sono anche le pressioni dei
vescovi di Sorrento e Castellammare, che chiedevano la cessione in uso alle suore di parte
dell'immobile, rischiando così di interrompere l'assistenza.57
Esaminando la fitta corrispondenza tra organi di controllo e il Commissario dell'IPAB massese,
si nota ad esempio che è proprio il Ministero, tra il 1939 e il 1942, ad annullare diverse delibere
chiarendo che non è possibile fare alcuna concessione alle suore, fatta eccezione al massimo per
alcuni locali non necessari al conservatorio e alle attività di assistenza ai bambini.58 Il commissario,
infatti, tenta più volte di concedere un diritto d'uso59 alle religiose, emanando diverse delibere
puntualmente bocciate dalla Prefettura (esempi: atto del 6 dicembre 1941 e del 20 gennaio 1941). Il
26 marzo 1942 la prefettura giunge al punto di diffidare il commissario dell'IPAB, scrivendo che
"non è dato all'Ufficio concedere ulteriori agevolazioni (alle suore, nda)"60
Nel 1972 il controllo e la vigilanza viene sottratta alle Prefetture e affidata alle regioni, in un
processo che vede un progressivo allentamento della sorveglianza esterna. Parallelamente a tale
57 Morvillo [2007], pag. 5158 Morvillo op. cit, pag. 51, nota ministeriale del 28 agosto 194159 Chi ha diritto d'uso di una cosa può servirsi di essa e può raccoglierne le eventuali rendite. Non diventa proprietario
del bene.60 Morvillo op. cit, pag. 52
35
evoluzione, l'amministrazione laica dell'IPAB si ritira sempre più fino a diventare una pura
formalità. La profezia scritta dal Sottoprefetto nel 1885 si concretizza in tutta la sua portata:
l'amministrazione civile perde ogni sua sostanza e "persiste unicamente per forma".
L'attività di assistenza e beneficenza inizia a diminuire negli anni '40 per poi cessare del tutto,
ai bambini viene precluso ogni spazio, e i cittadini massesi sprofondano ben presto in uno stato di
completa inconsapevolezza nei confronti di enti che ormai nell'immaginario collettivo si sono
trasformati in "Conventi di monache". I "bilanci e i conti consuntivi", come ricorda il sottoprefetto,
non verranno nemmeno modellati per forma, ma più semplicemente aboliti: dopo il 1942 scompare
la voce "assistenza orfane ricoverate", poi quella relativa alla gestione dell'asilo. E insieme ad esse
scompaiono anche gli orfani e i bambini assistiti di Massa Lubrense.
Appare evidente che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza le carenze dei nuovi organi di
vigilanza che progressivamente hanno sostituito le prefetture.
3.4 - La fusione del 1974: nasce l'“Ente Morale Conservatori Laicali Riuniti di Massa Lubrense”
Nel 1974 i tre conservatori vengono fusi con la delibera n. 11, approvata dalle tre
amministrazioni degli enti. Viene dunque scritto un nuovo Statuto organico unificato, che ricorda
sia le origini laiche dei conservatori, sia la volontà dei fondatori, riconfermandole nel rispetto della
legge Crispi: "I Conservatori laicali riuniti di Massa Lubrense hanno lo scopo di accogliere
fanciulle e fanciulli poveri del Comune per educarli ed istruirli in apposite scuole materne quando
vi sia la possibilità di mezzi, affinché tornino utili a se medesimi ed alla società."61
Si suffragano anche le misure che riducono al minimo l'impatto sulla spesa pubblica,
specificando che "i mezzi per sostenere la Pia Istituzione sono costituiti da beni patrimoniali di
fondi rustici ed urbani, nonché da titoli di rendita Pubblica".62 Il decreto di conferma della fusione
arriva dalla Prefettura di Napoli il 10 dicembre 1974.
La mancanza di attività assistenziali, previste sia dagli statuti precedenti sia dal nuovo, resta
però ancora un dato di fatto. Gli anni di silenzio hanno anzi portato ad una evoluzione della
situazione, come documenta una lettera di Madre Teresa Ribera, amministratrice dell'ordine
religioso "Carmelitane Scalze" che occupa il conservatorio di Santa Teresa, al presidente dell'IPAB:
61 Si veda in appendice: Statuto organico 1974, art. 162 Si veda in appendice: Statuto organico 1974, art. 2
36
nel testo si giunge a chiedere persino l'enfiteusi perpetua63, con la motivazione che "si possa
liberamente e nel modo più coerente esercitare le funzioni di stretta religiosità osservando
fedelmente lo spirito mistico claustrale del regolamento cui l'ordine è sottoposto"64, senza accennare
minimamente agli obblighi statutari di un ente pubblico a cui viene eloquentemente negata sia
l'esistenza sia ogni diritto sull'edificio, come vedremo.
In realtà va sottolineato che l'ente riacquista considerazione e diventa oggetto di attenzioni da
parte delle religiose nel momento in cui si necessita di contributi o lavori di manutenzione.
Interessante in tal senso un'altra lettera inviata dalle Carmelitane Scalze al presidente dell'IPAB, in
cui si chiedeva l'allacciamento della rete fognaria, "non potendo la nostra Comunità farsi carico
dell'onere relativo all'attuazione dei lavori.". Nella stessa si ammette l'esistenza di una foresteria65,
e si motivano i lavori in quanto i "gas maleodoranti" arrecano gravi danni "ai nostri ospiti che in
particolare sono numerosi in estate".66 Non sussiste alcun pericolo per gli inesistenti orfani e
bambini massesi.
Tutto ciò stride con le parole scritte dal presidente dell'ente nella delibera con la quale si chiede
la fusione dei tre Conservatori: “...nella bella sede del Conservatorio S. Teresa vi è la possibilità di
sviluppare tutta l’attività di assistenza e beneficenza cui i tre Enti sono preposti mediante la
educazione, istruzione ed assistenza di fanciulli poveri del Comune, anche in esecuzione delle
volontà testamentarie di diversi donatori di beni, donazioni fatte nei secoli passati”
3.5 - Dai bambini alle suore
Nel giugno 1995 il CORECO, organo di controllo della Regione, analizza il bilancio dell'IPAB
"Conservatori riuniti", e rileva che "dall'esame cognitivo delle spese correnti sostenuto nell'anno
1994 non si evincono gli obiettivi dell'attività dell'Ente conseguiti nel preindicato anno". E chiede
delucidazioni.
Il Consiglio di Amministrazione (CdA) dell'IPAB in carica risponde con motivazioni che,
perlomeno, impongono una riflessione personale: "col passare degli anni si è registrata una certa
evoluzione nell'attività degli Enti Morali. Infatti, dall'accoglienza ed istruzione dei bambini poveri
del Comune di Massa Lubrense, si è passati all'assistenza delle Suore Carmelitane Scalze di S.
63 L'Enfiteusi è un tipo particolare di contratto, e verrà analizzata nel paragrafo 3.1164 Morvillo [2007], pag. 48, lettera di Madre Teresa Ribera65 La foresteria è una parte dei conventi dedicata all'alloggio e la permanenza degli ospiti, detti per l'appunto forestieri.66 Morvillo op. cit, pag. 174, lettera di Madre Agnese Dini
37
Teresa".67
E' doveroso ricordare che lo Statuto del 1974 individua nei bambini gli unici ed esclusivi
beneficiari dell'assistenza e delle rendite patrimoniali, e che "I conservatori laicali riuniti di Massa
Lubrense hanno lo scopo di accogliere fanciulle e fanciulli poveri del Comune per educarli ed
istruirli."68 Quella "certa evoluzione" descritta dal CdA è quindi non solo contraria alle finalità
volute dai fondatori e trasfuse nei vari Statuti succedutisi, ma anche illegittima perché tenta di
modificare, tramite una procedura informale, lo Statuto di un ente pubblico che costituisce la sua
fonte normativa primaria.
Nonostante le palesi violazioni, il 28 luglio 1995 il CO.RE.CO ratifica le motivazioni del
presidente dell'IPAB, dimostrando in questo caso una capacità di controllo molto debole.
La situazione cambia radicalmente nel 1997, anno in cui viene nominato dal Consiglio
Comunale un nuovo Consiglio di amministrazione e un nuovo presidente, la dottoressa Maria
Teresa Morvillo. Come racconta nel suo libro, "a parte gli auguri di buon lavoro del Sindaco e una
copia dello Statuto, all'epoca vigente, non c'era molto che potesse servire da guida per l'avvio delle
attività dell'Ente. Un minuscolo ufficio privo di telefono, una vecchia Olivetti, pochissimi
documenti e tante cartelline vuote"69. Inizia un lungo lavoro di ricerca, studio, reperimento di
centinaia di documenti, per riprendere il controllo di un ente ormai svuotato di ogni funzione e
utilità pubblica. Punto di partenza è stata la ricostruzione della storia, premessa indispensabile per
operare in modo corretto e affrontare i problemi pre-esistenti; una storia che però, a causa della sua
grande complessità, resta ancora sconosciuta alla maggior parte della cittadinanza massese.
Con il reperimento dei primi documenti, viene coinvolta nella vicenda anche la Regione, che
non fa mancare la necessaria solidarietà. In una nota, datata 3 settembre 1997, il dirigente regionale
dell’Ufficio di settore, in risposta a quanto rappresentato dal Presidente del Consiglio di
Amministrazione dell’IPAB, scriveva a Suor Cristina Ribera, in quel momento Priora del
Monastero S.Teresa: “Pertanto si diffida dall’assumere iniziative rientranti nelle competenze
dell’organo di amministrazione dell’Ente di che trattasi”.70
67 Morvillo [2007], pag. 66, delibera del 18 luglio 199568 Si veda in appendice: Statuto 1974, art. 169 Morvillo op. cit, pag. 1970 Morvillo [2007], pag. 33, documento della Giunta Regionale della campania, prot. 10534
38
3.6 - L'ultima trasformazione: lo Statuto del 1999
Ricostruendo l'evoluzione legislativa delle IPAB nel capitolo 2, è stato citato il decreto del
Presidente della Repubblica del 15 gennaio 1972 n. 9, che trasferiva alle regioni le funzioni in
materia di controllo e vigilanza, sottraendole alle prefetture. Quando nel 1999 viene scritto il nuovo
Statuto dell'Ente è quindi la Giunta regionale della Campania ad approvarlo. La denominazione
assunta dall'IPAB, tutt'oggi in vigore, diventa "Istituti Riuniti di Assistenza all'Infanzia - S. Teresa,
SS. Rosario, Ave Gratia Plena". Anche questo documento è riportato integralmente in appendice.
I contenuti restano fondamentalmente uguali, ma vi sono diversi adattamenti alle mutate
condizioni storiche. L'Ente ora deve operare "nell'ambito degli indirizzi programmatici della
regione Campania e collabora con altri Enti aventi come fine l'educazione dei bambini e ragazzi
nella promozione e gestione dei servizi di supporto socio-psico-pedagogico".71
Si riconferma per l'ennesima volta che i destinatari dell'assistenza sono "bambini e ragazzi in
età di obbligo scolastico, compresi quelli frequentanti la Scuola Materna, residenti nel comune di
Massa Lubrense"72; ad essi vanno rivolte iniziative culturali, servizi per bambini in situazione di
svantaggio socio-culturale o di handicap, offerti mezzi e ambienti atti a favorire il processo di
socializzazione e prevenire il disagio giovanile.
Riguardo le risorse, viene posto un preciso vincolo: "Tutte le risorse dell'Ente devono essere
destinate direttamente o indirettamente al raggiungimento delle finalità istituzionali".73
Lo Statuto entra in vigore e viene avviata una progressiva riappropriazione dei compiti
spettanti ad un ente pubblico come le IPAB, nonostante le difficoltà legate alla realtà e alle
influenze socio-culturali del territorio, nonché alle resistenze di chi difende lo status quo agendo
anche per vie legali, come si vedrà. E' la stessa Morvillo a mettere per iscritto la volontà di
proseguire in un'opera considerata giusta: "Tutto questo - scrive - non è motivo di turbamento per
chi sa di fare il proprio dovere, con il rinforzo di chi della vera giustizia sociale, certamente si
intende."74
Parallelamente riprendono le attività di assistenza educativa, tramite convenzioni con le scuole
del Comune, e assistenziali, come comprovato dalle delibere emesse. Un positivo riscontro per la
ripresa dell'attività giunge nel 2000 da parte del Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco, che
scrive alla dott.ssa Morvillo: "leggo con grande attenzione e viva soddisfazione la testimonianza di
una preziosa esperienza e della costanza e serietà con le quali è possibile portare avanti il proprio
71 Si veda in appendice: Statuto 1999, art. 172 Statuto 1999, art. 473 Statuto 1999, art. 374 Morvillo [2007], pag. 82
39
mandato da parte di amministratori responsabili e dotati di grande sensibilità. Desidero pertanto
farLe giungere il mio più alto sentimento di stima e la condivisione per il Suo appassionato
impegno per "restituire ai bambini" un patrimonio destinato al loro benessere e a una migliore
qualità della loro vita"75. Il CdA viene riconfermato nel 2001 e resta in carica fino al 2005.
Ricostruita a grandi linee la storia generale dei 3 conservatori, nella seconda parte del
capitolo si dedicherà una trattazione separata ad ogni edificio, descrivendo anche la situazione
attuale e le vertenze giudiziarie ancora in corso: queste, insieme alle scelte dei nuovi amministratori,
saranno fondamentali per determinare il futuro dell'IPAB.
Parte II
3.7 - Conservatorio di S. Teresa
La storia del primo conservatorio, quello di Santa Teresa, è forse quella più ricca di
informazioni.
La ricostruzione parte dall'Archivio di Stato di Napoli, dove è possibile visionare lo Statuto del
1873, riportato in appendice, che fu confermato da decreto reale il 20 aprile dello stesso anno. Il
documento prevede che l'istituto continui ad onorare il fine per cui è stato fondato, cioè quello di
"accogliere gratuitamente oneste, povere e civili donzelle del Comune per sostenerle, educarle ed
istruirle sì nelle lettere che nei lavori donneschi, affinché tornino utili a se medesime ed alla civile
società".76
E' interessante notare, nell'articolo 3, come già all'epoca sia possibile rilevare un primitivo ma
efficace provvedimento relativo all'impatto sulla spesa pubblica: "i mezzi per sostenere il
conservatorio saranno cavati dal proprio patrimonio."
La gestione viene affidata ad una commissione composta da tre membri nominati dal consiglio
comunale, pratica tutt'oggi in vigore.77
Le "oblate e converse" già presenti nell'istituto vengono lasciate al loro posto "finché duri la
loro vita"78, ma sottoposte a quelle regole esaminate nel precedente paragrafo. Il conservatorio
dunque, rispettando lo statuto, può prestare assistenza e svolgere un'utile funzione sociale.
75 Si veda in appendice: lettera di Livia Turco, 20 dicembre 200076 Si veda in appendice: Statuto 1873 del Conservatorio Santa Teresa, art. 377 Si veda in appendice: Statuto 1873 del Conservatorio Santa Teresa, art. 1378 Si veda in appendice: Statuto 1873 del Conservatorio Santa Teresa, art. 36
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3.8 - L'articolo che non c'è
I due conflitti mondiali lasciano le loro ferite di guerra anche sul territorio. Nel 1950 lo Stato
italiano promulga una sintetica legge, la numero 784, composta da due soli articoli, con lo scopo di
stanziare fondi pari a due miliardi di lire "per provvedere ai lavori da eseguirsi a totale carico dello
Stato per la riparazione e ricostruzione di edifici destinati ad uso di beneficenza o assistenza
danneggiati o distrutti da offese belliche".79 Tali finanziamenti sono destinati in particolare ad
edifici "direttamente adibiti a servizi assistenziali di proprietà di enti morali riconosciuti a termini
dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972 (cioè le IPB secondo la legge Crispi, nda) [...] purché
gli edifici riparati o ricostruiti siano vincolati ai fini della beneficenza o dell'assistenza per non
meno di venti anni dalla ultimazione dei lavori di ripristino”.80 Viene prevista dunque una esplicita
condizione necessaria ad ottenere i fondi, che si aggiunge ad un'altra altrettanto importante: nel
momento in cui si richiedono i fondi statali, gli amministratori sono tenuti a garantire che gli
immobili sono utilizzati direttamente per la beneficenza.
Come riferito nel libro "I Conservatori di Massa Lubrense", il 28 giugno 1982 alla
Soprintendenza per i Beni Culturali di Napoli viene recapitata una lettera, su carta intestata, a firma
dell'allora presidente dell'IPAB, Alfredo Caracciolo, che chiede un finanziamento per i lavori da
eseguire nell'edificio e contestualmente domanda "l'assentimento81 in concessione dei lavori ai
sensi dell'art. 6 della legge 784/1950 alla Madre Priora del Convento S. Teresa, Suor Teresa
Ribera.".82 Sorvolando sull'utilizzo disinvolto e inappropriato del termine "convento", il sottile ma
grave errore contenuto in questo documento viene ribadito anche nell'oggetto: "Assentimento
concessione lavori Convento S. Teresa - ai sensi art. 6 legge 10/8/1950 n. 784".
L'art. 6 di suddetta legge, che come si è visto è composta da soli 2 articoli, non esiste. La
Soprintendenza, forse frettolosamente, approva una richiesta che oltre a riferirsi ad un articolo di
legge inesistente, viola anche i requisiti disposti dalla 784. Infatti la parte dell'immobile per cui
venivano richiesti i fondi pubblici non era adibita ai servizi assistenziali come richiesto dall'art.2 e,
dopo i lavori, non è mai stata vincolata, nemmeno per un anno, "ai fini dell'assistenza e
beneficenza", previsti invece dalla legge per almeno un ventennio.
79 Legge 784/1950, art. 180 Legge 784/1950, art. 281 assentimento: consenso, assenso, approvazione82 Morvillo [2007], documento pag. 50, lettera del 28 giugno 1982 alla Soprintendenza per i beni culturali
41
Le famiglie e i bambini di Massa Lubrense, in teoria i principali beneficiari, nella pratica hanno
contribuito indirettamente tramite soldi pubblici al restauro di un edificio dall'alto valore storico e a
loro destinato; ma di cui ignoravano sia le origini sia la vocazione assistenziale.
Il procedere della vicenda mostra a quale grado di "svuotamento" di ogni potere era giunta
l'amministrazione dell'IPAB. Nonostante gli errori, la Soprintendenza risponde alla lettera
approvando la concessione e affida alla Priora Teresa Ribera la gestione del finanziamento e dei
lavori. Il 24 maggio 1984 esprime parere positivo sul progetto presentato dalla stessa nipote della
Priora, l'architetto Diana Ribera, nominata poi direttrice dei lavori.
Il presidente Caracciolo a questo punto intuisce, in conseguenza delle sue stesse richieste, di
non avere più il controllo della situazione e scrive al Provveditorato alle Opere Pubbliche
rivendicando il proprio ruolo nella vicenda: "la Chiesa ed il Convento", ricorda con inaspettata
lucidità, "sono di proprietà del Conservatorio di S. Teresa e vengono amministrati direttamente dal
CdA e dal Presidente. Per la manutenzione della Chiesa, questo Ente elargisce un contributo fisso
annuo [alle suore, nda] con mandato diretto. Pertanto il sottoscritto desidera che la corrispondenza
sia indirizzata al Presidente ed eventualmente inviata per conoscenza alla Comunità delle Suore.83
La replica del Provveditorato è decisa e respinge la legittima e naturale richiesta, da parte
dell'ente proprietario del bene, di avere copia della corrispondenza relativa ai lavori: l'ineccepibile
motivazione addotta, però, ribadisce che è stato lo stesso presidente Caracciolo ad aver chiesto
l'assentimento in concessione alla Priora, che ora può gestire senza vincoli i fondi e i lavori. Troppo
tardi.
Dall'esame dei documenti del libro di può giungere a considerare questo episodio al culmine di
un processo che, iniziato nel 1942, ha portato le IPAB massesi a perdere ogni loro residua parvenza
pubblica trasformandosi in "conventi di monache", mantenendo "l'Amministratore civile
unicamente per forma"84 e snaturando i fini statutari. La conseguenza sociale più grave però risiede
sicuramente nell'interruzione di ogni attività di assistenza e beneficenza prevista dai fondatori e
dagli statuti.
3.9 - Un patrimonio artistico non tutelato
Nel 1997 viene nominato dal Consiglio comunale il nuovo Consiglio di amministrazione
dell'IPAB, la cui presidente è la dottoressa Maria Teresa Morvillo. Tra le prime richieste effettuate
83 Morvillo [2007], documento pag. 74: lettera del 12 novembre 1984 al Provveditorato alle OO. PP.84 Si veda in appendice: lettera del Sottoprefetto di Castellammare di Stabia, 1885.
42
per riprendere le attività statutarie ormai ferme dal 1942, vi è quella di ripristinare lo stato dei
luoghi all'interno del conservatorio di Santa Teresa, eliminando alcuni interventi effettuati dalle
suore nel corso degli anni: assi che occludevano cinque finestroni sul chiostro, cinque porte ed una
finestra al primo piano interamente murate. I finestroni, oggetto di una controversia, hanno una
storia che va brevemente riassunta: occultati una prima volta negli anni '50, come documenta una
foto scattata ad un gruppo di suore, furono poi ripristinati in ferro e fotografati aperti nel 1982,
come documenta la foto contenuta nel suddetto progetto di restauro presentato dall'architetto
Ribera. L'ultima occlusione, tuttora presente, è stata eseguita dall'ente religioso utilizzando i fondi
della 784/50 e seguenti.
In questo periodo si inserisce nella storia dell'IPAB massese l'associazione "Italia Nostra", una
ONLUS che si occupa della tutela del patrimonio storico-artistico italiano. Il 30 gennaio 2001 il
presidente della sezione di Napoli, Guido Donatone, inoltra una lettera al Soprintendente ai Beni
Artistici e Culturali di Napoli, i cui contenuti poggiano su una tesi fondata su una serie di
inesattezze che meritano un approfondimento. Per una più agevole analisi si riporta copia del
documento, pubblicato nel libro:
43
Un primo errore, ormai chiaro, consiste nel confondere il convento religioso fondato nel
1673 con il conservatorio laico del 1681. Donatone infatti afferma che "il complesso, tenuto con
assidue cure dalle Suore dalla sua fondazione nel 1673 è pervenuto ai giorni nostri in ottime
condizioni...", ignorando che il convento a cui si riferisce è andato distrutto, e l'edificio attuale è
quello fondato dal Parlamento di Massa Lubrense nel 1681. Appare dunque più comprensibile la
posizione di Donatone quando considera illegittime le "incessanti e preoccupanti" iniziative
44
dell'IPAB Istituti Riuniti di Assistenza all'Infanzia, "tese ad impossessarsi del giardino del
complesso in oggetto". L'IPAB in effetti non dovrebbe impossessarsi di qualcosa che è già di sua
proprietà. Secondo Donatone invece l'IPAB presume i diritti di proprietà negando la storia di
fondazione del convento: la sua convinzione si basa su dichiarazioni dell'Ordine Carmelitano, che
non costituiscono alcuna prova oggettiva, e non emerge invece dallo studio dei documenti.
I diritti di proprietà dell'ente, come ricorda il presidente dell'IPAB Maria Teresa Morvillo in
una replica a Donatone, sono confermati dall'Agenzia del Territorio e dalla Conservatoria dei
Registri Immobiliari di Napoli 2 e 3. Altri documenti di conferma provengono dalla stessa
Soprintendenza, che nella nota prot. n. 3320/75 dichiara che "La proprietà dell'immobile è l'Ente
Morale Conservatorio S. Teresa"85 e nella nota prot. n. 15135/82 "si fa presente che l'immobile in
oggetto è di proprieta dell'Ente Conservatorio di S. Teresa che, in quanto ente morale, è parificato
ad Ente Pubblico".86 Si conferma la natura di conservatorio, non di convento, quindi di bene
pubblico appartenente ai cittadini e allo Stato.
Alla luce di questi documenti appare quantomeno preoccupante la presa di posizione del
Presidente di sezione di Italia Nostra, che tuttavia conclude la sua lettera con un'altra richiesta;
secondo Donatone la tutela necessaria al complesso e tesa ad evitare ogni manomissione o cattivo
uso "può essere assicurata solo dalla presenza delle Suore", e sulla base di questa sua opinione
personale chiede alla Soprintendenza di sottoporre il complesso di S. Teresa sia a vincolo di
destinazione d'uso sia a specifico vincolo monumentale.
Ciò che sfugge al presidente è che l'intervento di ripristino richiesto dall'IPAB è mirato per
l'appunto a garantire quel vincolo monumentale, accettato e condiviso anche dal CdA dell'ente; tale
vincolo, infatti, mal si concilia con gli interventi operati dalle suore che hanno precluso con assi di
legno cinque preziosi grandi archi che affacciavano sul chiostro interno e realizzato un altra
struttura nel giardino. Le pungenti parole del presidente dell'IPAB Morvillo, che risponde a
Donatone, chiariscono la natura di tale opera: "Considerato che anche il giardino adiacente il
monumento è nel Suo [di Donatone, nda] interesse, le inoltro una fotografia del pollaio che lo
adorna. Bisognerebbe provvedere a sottoporre a vincolo anche questo manufatto che io non ho
visto da vicino ma che, certamente, è fatto di pregevoli lamiere che, malgrado le cure assidue delle
Suore, hanno risentito delle insidie del tempo".87
La lettera di Donatone, insieme agli altri documenti precedentemente analizzati, costituisce
uno dei tanti esempi che collettivamente mostrano un preoccupante livello esistente di
85 Morvillo op. cit, pag. 46, Soprintendenza ai Monumenti della Campania, nota prot. n. 3320/7586 Morvillo op. cit, pag. 47, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, nota prot. n. 15135/8287 Morvillo op. cit, pag. 43
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disinformazione e imperizia, volontaria o meno, in merito a tali questioni; tutto ciò rende più
semplice capire perché in Italia tanti patrimoni pubblici appartenenti ad IPAB siano stati svenduti o
trasferiti a privati con motivazioni senza fondamento, come già ricordato nel capitolo 2 e come
denunciato dalle riviste di settore.
3.10 - La situazione attuale
Il Conservatorio di S. Teresa è stato oggetto di due ricorsi, oggi conclusi. Per comprenderne le
motivazioni bisogna tornare al periodo in cui il Commissario dell'IPAB, successore di Carlo
Caracciolo, tentava di concedere diverse agevolazioni alle suore e veniva puntualmente bocciato
dagli organi di controllo. In particolare, alle origini della contestazione si trova la delibera del 7
gennaio 1942, con cui l'IPAB decide di dare, testuali parole, "in uso alle suore Carmelitane la
rimanente porzione del fabbricato non ritenuta necessaria per l'asilo".
Nel 1999 la nuova amministrazione emette due delibere:
1) La n. 19 del 20 aprile 1999: il CdA revoca la determinazione del 7 gennaio 1942 "con la
quale si cedeva in uso alle suore, che gestivano l'orfanotrofio per conto del conservatorio, una
parte dello stabile omonimo"88. La motivazione alla base della decisione sta nel fatto che l'atto del
1942 ha perso efficacia quando i fini della cessione sono venuti a mancare, in conseguenza della
soppressione dell'orfanotrofio e quindi dell'assistenza.
2) La n. 20 del 11 maggio 1999: il CdA determina un canone di locazione da richiedere alle
Suore Carmelitane per l'occupazione del conservatorio.
Le "Carmelitane Scalze", rappresentate legalmente dagli avvocati Volpe e Ribera, parente di
Madre Teresa Ribera, nel luglio 1999 tentanto un primo Ricorso Straordinario al Presidente della
Repubblica89, in cui sostanzialmente:
➢ chiedono il riconoscimento della cessione in "uso perpetuo" riscontrabile, secondo il
ricorrente, nella delibera del 1942
➢ affermano che l'IPAB non avrebbe più ragioni di esistere, in seguito al provvedimento
della Giunta Regionale della Campania n. 2613 del 24 marzo 1981.
➢ contestano la legittimazione dell'IPAB ad agire quale proprietario degli immobili, che,
88 Si veda in appendice: Conservatori Riuniti, delibera n.19 del 20 aprile 199989 Questo tipo di ricorso viene prodotto da chi vuole tutelare un proprio diritto contro atti della pubblica
amministrazione, ed è presentato al Presidente della Repubblica Italiana. Benché formalmente riferito al Presidente, il ricorso è in verità deciso dal Consiglio di Stato.
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secondo il ricorrente, sono di proprietà delle Carmelitane Scalze soprattutto in seguito alla
cessione in uso perpetuo.
➢ di conseguenza, chiedono l'annullamento delle delibere n. 19 e 20
Riguardo il primo punto, il Consiglio di Stato90 osserva "che non risulta in alcun modo provata
l'esistenza di un uso perpetuo". La motivazione è piuttosto semplice, in quanto "il provvedimento
del 7 gennaio 1942 non contiene alcun riferimento ad un uso perpetuo" 91, come pertanto facilmente
riscontrabile dalla lettura dello stesso.
Riguardo il secondo punto, il C.d.S. fa notare che tale questione "è infondata (...) dal momento
che è proprio il provvedimento (...) della Giunta Regionale della Campania a confermare la
permanenza del Conservatorio come IPAB".92 Con tale atto, infatti, la regione sopprimeva alcune
IPAB e trasferiva i beni ai Comuni, ma le tre IPAB massesi sono state escluse dal trasferimento e
dovevano continuare ad operare come IPAB, soggette alla legge Crispi.
Come rilevato dal CdS, "appare, pertanto, evidente che l'effetto della deliberazione della
Giunta Regionale non è quello, come vorrebbe il Monastero ricorrente, di far venire meno l'IPAB
(...), ma, al contrario (...) di mantenere in vita il conservatorio come IPAB".
Riguardo la terza questione, "sembrano sussistere elementi documentali che inducano a
ritenere che, almeno dal 1942, la proprietà del complesso immobiliare non fosse" delle Carmelitane
Scalze, che invece avevano "ottenuto la detenzione dei beni dall'ente (l'IPAB), considerato come
proprietario."93
Riassumendo la posizione riguardo questi punti di doglianza, il Consiglio di Stato rileva che
"Nessuna estinzione del Conservatorio è, come si è visto, contenuta nella deliberazione del
Commissario (delibera del 1942, nda), e nessuna costituzione di diritti di uso perpetuo è
riconducibile ad essa. Con la deliberazione del 7 gennaio 1942 è stato posto in essere un rapporto
di mero uso, privo di contenuto reale, con le Suore Carmelitane (...)"94 di quella parte del fabbricato
"non ritenuta necessaria per l’asilo"
90 Il Consiglio di Stato è un organo di giurisdizione amministrativa ed è preposto alla tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei privati nei confronti della Pubblica Amministrazione.
91 Si veda in appendice: Consiglio di Stato, 21 febbraio 2001, pag.19 92 Si veda in appendice: Consiglio di Stato, 21 febbraio 2001, pag.1393 Si veda in appendice: Consiglio di Stato, 21 febbraio 2001, pag.1894 Si veda in appendice: Consiglio di Stato, 21 febbraio 2001, pag.21
47
Sul quarto punto, il CdS fa notare che le delibere dell'amministrazione Morvillo sono legittime
e giustificate dal fatto che la situazione attuale dell'edificio non assicura più lo svolgimento
dell'attività assistenziale. Conferma inoltre che la richiesta del canone di locazione è fondata.
La mancanza di fondamento "dei più generali profili di doglianza prospettati dal Monastero
ricorrente (..) esclude (..) la fondatezza anche del motivo di ricorso in esame. Per questo motivo, il
Cds esprime il parere che il ricorso straordinario debba essere respinto."95
Alla luce del materiale contenuto nel parere del Consiglio di Stato, sembra che il tentativo da
parte delle Carmelitane Scalze fosse stato quello di eliminare l'amministrazione dell'ente e la stessa
Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza, per trasformare a tutti gli effetti il conservatorio in
convento di suore, liberandosi dal vincolo di assistenza e beneficenza, che comunque non era
rispettato.
Le conseguenze di questa sentenza sono molto rilevanti: l'ordine delle Carmelitane Scalze non
ha più alcun titolo di cessione in uso dei locali del conservatorio e, pertanto, è definibile
tecnicamente come occupante senza alcun titolo. Inoltre, le delibere emanate per riconquistare un
patrimonio da destinare alla cittadinanza e a scopi sociali sono valide ed "immediatamente esecutive
a norma di legge"96.
Data la portata delle conseguenze per l'ordine delle Carmelitane, nel giugno 2002 i legali
presentano un secondo ricorso contro il precedente parere del Cd; il 16 ottobre 2002 il Consiglio di
Stato Sezione 3503/2002 "esprime il parere che (...) il ricorso venga dichiarato inammissibile"
perché "oggettivamente non prospetta alcun errore di fatto."97
I due corposi pareri vengono allegati in appendice poiché contengono una ricostruzione
puntuale di una parte della storia e costituiscono una ufficiale confutazione di molte teorie e
affermazioni avanzate da più parti. Implicitamente, inoltre, legittimano il lavoro e gli atti della
dottoressa Morvillo e del CdA.
I pareri emanati dal Consiglio di Stato su richiesta del Ministero dell'Interno, e firmati dal
Presidente della Repubblica, non hanno comunque portato le Carmelitane Scalze a rispettare
l'esecutività delle delibere dell'IPAB che, si ricorda, revocavano la cessione in uso perché non più
motivata e stipulavano un canone di locazione. Per questi motivi attualmente è aperto un nuovo
ricorso dell'IPAB contro l'ordine religioso per occupazione senza titolo.
95 Si veda in appendice: Consiglio di Stato, 21 febbraio 2001, pag.2396 Si veda in appendice: Conservatori Riuniti, delibera n.19 del 20 aprile 199997 Si veda in appendice: Consiglio di Stato, 16 ottobre 2002, pag. 4
48
3.11 - Conservatorio SS. Rosario
Nel villaggio di Monticchio, frazione del comune di Massa Lubrense, sorge il conservatorio del
Santissimo Rosario. Il regio decreto del 22 dicembre 1875 lo confermava e ne approvava lo statuto,
in cui se ne ricostruiscono le origini storiche.
Fu la filantropa Maria Cristina Olivieri nel 17° secolo che si recò a Monticchio e "vi costruì un
piccolo ritiro, o Conservatorio, che tutt’ora esiste sotto l’indicato titolo, destinato ad accogliere
donzelle del paese di Massa per accudirle ed educarle, se povere gratuitamente, se agiate a
pagamento."98 La fondatrice, oltre a prevedere il fine assistenziale e di beneficenza, vincolava anche
il patrimonio a mantenere lo status di conservatorio per sempre. "I beni e capitali che si aveva la
fondatrice li donò al pio Luogo con espresso patto e condizione che il Conservatorio debba essere
sempre ed in perpetuum mundo durante." Non vi è dunque alcuna ipotesi di dubbio riguardo la
natura laica di questo edificio.
La storia di questo conservatorio si intreccia per la prima volta con il mondo ecclesiastico
attraverso un contratto di cessione in enfiteusi, una disciplina giuridica su cui è necessario un
approfondimento. L'enfiteusi è un particolare e antico tipo di contratto che inizialmente prevedeva
la cessione di fondi rurali e, successivamente, anche di fondi urbani, ad un soggetto che acquista
l'utile dominio, cioè la facoltà di mettere a rendita il bene e di acquisirne i frutti liberamente, senza
altri vincoli.
I soli obblighi del contraente consistono nel pagamento di un canone annuo e in un piuttosto
vago "dovere di migliorare il fondo". Trascorsi 20 anni il contraente può decidere di affrancare il
bene, cioè acquisirne la proprietà, pagando una somma pari al canone annuo moltiplicato per 15.
Anche intorno a questa materia esiste una giurisprudenza piuttosto confusa, poiché, come
rileva la Corte di Cassazione, "nel corso dei vari anni la Corte Costituzionale ha contribuito a
riscrivere la tormentata disciplina dell'enfiteusi".99
Due contratti di enfiteusi urbana hanno coinvolto i conservatori di Massa Lubrense: nel 1940
ne fu stipulato uno tra il conservatorio del SS. Rosario e la società anonima "Arorella Lourdes", e
nel 1959 tra il conservatorio Ave Gratia Plena e il sacro Ordine dei Frati Minimi di S. Francesco di
98 Si veda in appendice: Statuto del 1875 del SS Rosario, Cenni storici99 Corte di Cassazione, sentenza n. 13595 del 12 ottobre 2000
49
Paola.
E' importante sottolineare che per un ente come l'IPAB non è possibile stipulare contratti di
enfiteusi "puri", perché i patrimoni e le rendite sono vincolate per legge al fine diretto o indiretto di
assistenza ai beneficiari bisognosi, e quindi emergerebbe un'incompatibilità col tipo di rendita libera
prevista dall'enfiteusi. Il consiglio di amministrazione di un IPAB potrebbe in teoria stipulare tale
contratto, ma nessun organo di vigilanza, che svolga correttamente il proprio compito, lo
avallerebbe. La stipula corretta è possibile solo se nel contratto vengono previste disposizioni
particolari che correggono l'impostazione di base dell'enfiteusi.
Il Conservatorio SS. Rosario di Monticchio possedeva locali e spazio per soddisfare i fini della
fondatrice, ma era carente di personale esterno, in dotazione invece alla Società Arorella Lourdes.
La collaborazione era quasi scontata; in quel periodo il presidente era Carlo Caracciolo, che avendo
ancora ben chiari i compiti di amministratore di un bene pubblico, nel rispetto di tutte le normative
stipulò un contratto di enfiteusi che però prevedeva disposizioni particolari per preservare le
condizioni di IPAB e il rispetto dei fini statutari. La Prefettura approvò nel 1940.
Caracciolo fu molto preciso nel redigere il testo, che recitava: "volendo la costituita sig.na
Iodice Raffaella (amministratrice della Arorella Lourdes, nda) istituire in questo Comune un asilo
infantile con piccolo orfanotrofio femminile ed una scuola di lavori donneschi, il predetto
Commissario straordinario (Caracciolo, nda) tenuto presente lo scopo per cui i locali, chiesti in
enfiteusi, si sarebbero adibiti e considerato che con tale cessione non veniva per nulla a
modificarsi il fine del Conservatorio, cioè quello della pubblica beneficenza, unicamente per tale
ragione aderiva alla richiesta".100 Gli obblighi di assistenza vengono ribaditi chiaramente in diversi
passaggi, e resi vincolanti anche in caso di affranco: "qualora la Società Anonima per azioni
Arorella Lourdes volesse affrancare il canone enfiteutico si obbliga a mantenere in vita le
istituzioni di cui al n.2 dell'art 3, cioè di istituire un asilo infantile [...], una scuola di lavori
donneschi ed un orfanotrofio femminile".101
Trascorsi i 20 anni previsti dal contratto, Suor Salvatorina Cioffi, l'amministratrice della
congregazione religiosa, ora diventata "Figlie dell'Immacolata Vergine di Lourdes", richiede
l'affranco del bene. Il 24 luglio 1963 la Prefettura accetta la richiesta, ma il Comitato Provinciale di
Assistenza e Beneficenza rinvia la delibera,102 invitando a riscriverla correttamente inserendo la
reiterazione esplicita e formale dell'impegno previsto dalle clausole del contratto di enfiteusi
stipulato nel 1940 tra Caracciolo e la Arorella Lourdes: questo, come si è visto, prevedeva in caso di
100 Contratto di enfiteusi 1940101 Contratto di enfiteusi 1940102 Si veda in appendice: documento del C.P.A.B. del 25 marzo 1964
50
affranco la ferma continuità del fine di assistenza e delle "istituzioni di cui al n.2 dell'art. 3", per
sempre.
L'atto di affranco corretto, firmato il 29 settembre 1964 dal notaio Pietro Bianchi, ribadisce il
vincolo "ad osservare tutti gli altri obblighi di cui allo articolo 3 n.2 del più volte ripetuto atto
Notar Caracciolo 20 aprile 1940"103, cioè la costituzione di un asilo infantile, una scuola di lavori
donneschi ed un orfanotrofio femminile. La stessa congregazione religiosa conferma la sua volontà
di mantenere "pienamente in vita tutti gli altri obblighi nascenti dall'art.3 n.2".104
L'affranco viene dunque concluso e trascorrono altri 38 anni. Come dettagliatamente raccontato
nel libro "I Conservatori di Massa Lubrense", nel 2001 il Presidente dell'IPAB Maria Teresa
Morvillo avvia una ricognizione per verificare che gli impegni assunti siano ancora rispettati, sulla
base di voci che ipotizzano una destinazione d'uso diversa da quella originaria.105
Il 14 gennaio 2002 l'avvocato Antonio Volpe, per conto delle Figlie della Immacolata Vergine
di Lourdes, invia una lettera all'IPAB in cui brevemente ipotizza che tutti gli obblighi derivanti
dall'enfiteusi sono nulli. Così come già accaduto nel caso del presidente Donatone di Italia Nostra,
anche qui si possono rilevare una serie di inesattezze che contraddicono le prove documentali viste
finora, emanate da organi diversi come Prefettura, Comitato Provinciale, Notaio, Commissario
Straordinario, e confermate dalle stesse congregazioni religiose.
Innanzitutto nella lettera l'avvocato smentisce le stesse persone che difende, nel momento in
cui scrive che "la tardiva richiesta di codesto Ente (si riferisce alle richieste di controllo avanzate
dalla Morvillo, nda), afferente a pretese remote obbligazioni, estinte anche per gli effetti gius-
temporali del mancato e/o diverso esercizio [...] assume valenza di un inammissibile ingerenza".106
L'ipotesi di "mancato esercizio" sollevata dall'avvocato, infatti, accuserebbe di falso sia la
dichiarazione di Suor Salvatorina Cioffi, che nel 1964 scriveva nell'atto di affranco "dichiaro ove
diversamente non potrebbe essere, che con l'affrancazione del canone restano pienamente in vita
tutti gli altri obblighi nascenti dall'art.3 n. 2",107 sia quella dell'attuale amministratrice Suor Flavia
Gravina, che nel 2001 scrive che "quelli che erano obblighi assunti sono stati tutti adempiuti [...]
come d'altra parte era doveroso che avvenisse, in virtù degli obblighi, oltre che civili, anche e
soprattutto di natura religiosa e di cristiana ispirazione".108
L'attuale situazione in cui si trova il conservatorio è in contrasto con le norme contenute negli
103 Si veda in appendice: atto di affranco del notaio Pietro Bianchi, 29 settembre 1964104 Morvillo [2007], pag. 94: lettera di Suor Salvatorina Cioffi, 22 aprile 1964105 Morvillo op. cit, pag. 95106 Morvillo op. cit, pag. 96, raccomandata dello studio legale Volpe107 Morvillo op. cit, pag. 94: lettera di Suor Salvatorina Cioffi, 22 aprile 1964108 Si veda in appendice: lettera di Suor Flavia Gravina, 13 giugno 2001
51
statuti e negli impegni, sottoscritti nell'atto di affranco, confermati dalle religiose. Suor Flavia
Gravina nel 2001 scrive che "l'asilo infantile con refezione gratuita ai fanciulli poveri ha
conservato la sua funzione; la scuola di lavori donneschi ed un orfanotrofio Femminile...ha tuttora
vita...", affermando dunque che sono rispettati gli obblighi assunti dalla congregazione e derivanti
prima dal suddetto contratto del 1940 con Carlo Caracciolo, e dopo dall'atto di affranco del 1964.
In realtà, l'asilo è oggi una scuola materna paritaria, che secondo gli elenchi analizzati dalla
dottoressa Morvillo, accoglie un solo bambino gratuitamente. L'ente religioso Suore Vergine
Immacolata Lourdes "Ss. Rosario", che gestisce la scuola, si difende ricordando che a Massa
Lubrense non vengono più rilasciate tessere di povertà e quindi evidentemente mancano i poveri
bisognosi di assistenza109. Tali tessere però non esistono più, e sono oggi sostituite dalla
certificazione ISEE; come hanno dimostrato gli interventi svolti dal 1997 in poi, di famiglie
bisognose a Massa ve ne sono ancora. E' necessario inoltre ricordare che il regolamento interno,
imposto dallo statuto dell'IPAB, prevede diversi criteri per gli interventi di assistenza e beneficenza:
per quelli erogati a favore degli handicappati si prescinde dai limiti di reddito, e la stessa regola si
applica agli interventi di assistenza educativa erogati tramite convenzioni con gli istituti scolastici
(contributi per acquisto dei libri di testo, apparecchiature varie, attrezzature da laboratorio, etc...).
Per gli interventi invece richiesti dalle famiglie indigenti che hanno figli in età di obbligo
scolastico, l'erogazione è condizionata alla presentazione da parte degli interessati del certificato
ISEE. E' evidente che il problema non è nella scarsità di fasce sociali svantaggiate, ma nella diffusa
ignoranza dell'esistenza di un ente, l'IPAB, che esiste ed offre la possibilità di un sostegno concreto.
Per quanto riguarda la scuola di lavori donneschi invece, nella lettera la suora scrive che è
chiusa per mancanza di richieste. Nessun massese è però stato informato del fatto che in quel che si
crede essere un convento ci sarebbe la possibilità, per tante donne, di svolgere gratuitamente corsi
pratici utili ad accrescere le proprie competenze personali. Nessuna pubblicità è mai stata promossa
a tal fine.
Infine, per quanto riguarda l'orfanotrofio, secondo la suora questo accoglie un'anziana ex-
orfana e quattro ex-orfane, tutte convertitesi a vita religiosa e quindi membri della congregazione. Il
mancato rispetto dello statuto è rilevabile dalla violazione dell'art.6, che recita: "Giunte all’età di 21
anni compiti, le alunne tutte indistintamente debbono uscire dal Conservatorio per dar posto alle
altre."
Il risultato è che i bambini di Massa sono costretti a rivolgersi ad una struttura del vicino
109 Morvillo [2007] pag. 101, lettera di Suor Flavia Gravina, 5 dicembre 2001
52
comune Sorrento, e le tante persone interessate a corsi pratici devono frequentare gli affollati e
richiesti corsi della sede locale dell'Università delle Tre Età.
Una delle conclusioni deducibili da tali cronache è che forse i cittadini e gli indigenti di Massa
non sono degni di ricevere, come è loro diritto, assistenza e beneficenza di "cristiana ispirazione",
restando all'oscuro delle possibilità a loro riservate da un buon utilizzo di patrimoni a loro donati
nei secoli passati.
La storia, però non termina qui: nel 2002 circola un dépliant che pubblicizza la "Casa di
Accoglienza SS. Rosario", ipotizzando così la fine di ogni residua possibilità di mantenere in vita
quelle finalità sociali volute dalla fondatrice e presenti nello statuto. Il volantino informa che si
accolgono a pagamento "gruppi per giornate di spiritualità, famiglie e singoli per un soggiorno di
tranquilla parentesi di pace, serenità a beneficio spirituale." fornendo "camere con servizio
completo, cucina garantita sana semplice e genuina."110
Il 3 maggio 2002 l'ente religioso stipula un contratto con la società "Istituti di cura e Benessere
s.r.l.", in cui si prevede che "l'immobile viene locato esclusivamente per l'esercizio di attività
statutarie della società conduttrice". 111
A questo punto appare palese la situazione di illegalità derivante dalla violazione degli obblighi
assunti in atto di affranco, il già citato art.3 n.2, e legati all'edificio "in perpetuum mundo durante"
dalla fondatrice Cristina Oliviero, poi confermati dal contratto di enfiteusi di Carlo Caracciolo, dal
Comitato Provinciale di Assistenza e Beneficenza, dall'atto di affranco del notaio Pietro Bianchi,
nonché dagli impegni sottoscritti, su carta, dalle stesse religiose Suor Cioffi prima e Suor Gravina
dopo. Sembra superfluo far notare che il centro benessere non andrà a beneficio dei cittadini
massesi né rientra nel tipo di assistenza contemplata dal contratto.
Se è vero che, come scrive Suor Gravina, "la realtà socio-economica di quaranta-cinquanta
anni fa, rispetto ad oggi, è mutata" e quindi "quelli che erano indicati come fanciulli poveri [...]
oggi non trovano riscontro in quella definizione letterale, ma in altre realtà che, per un verso, non
possono essere codificate in un atto notarile", è anche vero che, come scrive la dottoressa Morvillo
in risposta, bisognerebbe "interpretare i bisogni emergenti per individuare nuove forme di
obbligazioni e nuove iniziative" e che "così come nel 1940, anche oggi è possibile individuare
prestazioni che soddisfino bisogni reali, basta ispirarsi a serietà ed onestà di intenti".112 Nel
Comune di Massa Lubrense, ad esempio, non esiste un asilo nido e i bambini hanno pochissimi
spazi di socializzazione.
110 Si veda in appendice: Dépliant casa di Accoglienza111 Morvillo [2007], pag. 103 prima pagina del contratto di locazione di immobile112 Si veda in appendice: lettera del presidente Morvillo a Suor Flavia Gravina, 3 gennaio 2002
53
La situazione odierna del Conservatorio SS Rosario appare, così come quella del S. Teresa, di
fatto bloccata. Il CdA dell'IPAB il il 3 gennaio 2002 invia una diffida ad adempiere, in cui si fa
presente che il contratto stipulato dalle religiose prevedeva una clausola risolutiva espressa:
"qualora la Società Anonima per azioni "Arorella Lourdes" .. dovesse mancare allo adempimento
di qualcuna delle obbligazioni contenute in questo contratto... l'enfiteusi si intenderà risoluta di
diritto". L'IPAB esprime inoltre l'intenzione di procedere con le pratiche di risoluzione in mancanza
di impegni chiari da parte dell'ente religioso. Attualmente, quindi, sono aperte due cause contro il
SS. Rosario, una per inadempimento contrattuale e una di reintegro nel possesso di una casa
colonica di cui si è appropriato, secondo l'ente, l'ordine religioso.
3.12 - Conservatorio Ave Gratia Plena
Il primo Statuto relativo al Conservatorio Ave Gratia Plena (A.G.P.) viene approvato nel 1872
con Regio Decreto e ne riassume le origini: "Marco Cangiano [...] lasciava i suoi beni per la
fondazione di un Conservatorio sotto la denominazione Ave Gratia Plena, allo scopo di ricoverare
nello stesso le donzelle orfane del suddetto Comune".113 In particolare, l'art. 1 individua tra i fini
quello di "accogliere donne povere ed oneste del detto Comune per istruirle ed educarle, affinché
possono procacciarsi da sé il sostentamento, preferendosi nelle ammissioni le orfane".
Viene istituita una scuola con programmi simili a quelli statali, per i soli cittadini di Massa
Lubrense, e la cui gestione può essere affidata ad ordini religiosi. Riguardo le religiose già presenti,
così come per il conservatorio S. Teresa, nell'art. 34 è previsto che "nulla sarà innovato intorno alle
oblate e donne di età maggiore che trovansi nel Conservatorio. Elleno vi rimarranno con le stesse
condizioni di stanza di assegnamento finché duri la loro vita, senza però che se ne possono
ammettere altre per oblarsi."114
Questo statuto resta in vigore fino agli anni '60, e viene poi sostituito da quello del 1974 che
riunisce i tre Conservatori nell'IPAB “Ente Morale Conservatori Laicali Riuniti di Massa
Lubrense”.
Nel 1955 il Conservatorio A.G. P. si trova nella stessa condizione relativa a quello di
Monticchio, disponendo infatti di abbondanti locali ma necessitando di personale per lo
svolgimento delle attività. Anche in questo caso, pertanto, si profila l'ipotesi di stipulare un contratto
113 Si veda in appendice: Statuto del 1872 dell'A.G.P., Prefazione114 Si veda in appendice: Statuto del 1872 dell'A.G.P., art. 34
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con una congregazione ecclesiastica. Sia l'ordine religioso dei "Servi di Maria" sia l'ordine dei
"Padri Minimi" chiedono di redigere un contratto di enfiteusi. Si procede con un'asta informale
definita "disdicevole"115 e "poco simpatica"116 dagli stessi partecipanti, che intanto però continuano
ad aumentare le offerte. L'interesse per l'affare è alto, così come la comune volontà cristiana di
creare una "Scuola a scopo benefico". I Servi di Maria si ritirano, e nel 1956 viene stipulata una
Convenzione con i Padri Minimi con cui vengono affidate le attività di assistenza di cui è titolare il
conservatorio.
Dopo qualche mese gli stessi chiedono di trasformare la Convenzione in contratto di enfiteusi
ma, come insegnano alcune teorie economiche, senza concorrenza diminuisce il potere di
contrattazione di chi offre. I padri, nella richiesta, rinnovano l'impegno all'assistenza. Nella delibera
di enfiteusi del 1 febbraio 1958, però, viene sottilmente cambiata la destinazione d'uso del
conservatorio: quella prevista dal suo generoso fondatore, cioè di assistenza e beneficenza pubblica,
sparisce dal testo e assume i connotati di un'"opera di carattere educativo-religioso".
Come già accaduto nel caso di Monticchio, la distrazione del presidente dell'IPAB viene però
censurata dall'organo di controllo della Prefettura, che puntualmente lo rinvia perché illegittimo e
chiede di riscrivere il testo rispettando lo Statuto e le leggi.117 Per capire la motivazione di tale
rinvio bisogna soffermarsi un attimo sulla differenza, spesso trascurata, tra "assistenza" ed
"educazione religiosa".
La prima, secondo la legge Crispi, prevede il compito di “prestare assistenza ai poveri” e
“procurarne l’educazione, l’istruzione, l’avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in
qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico.”118
Una scuola educativo-religiosa invece serve ad istruire i novizi con vocazione ed avviarli alla
professione religiosa. La distrazione del presidente nell'approvare la delibera avrebbe comportato
un'illegale quanto grave distorsione dei fini di assistenza previsti dal fondatore del Conservatorio.
Chiarito ciò, si può tornare alla storia. Il presidente dell'ente risponde alle censure della
Prefettura scrivendo che i Padri Minimi si impegnano a "impartire gratuitamente l'insegnamento a
n.10 ragazzi del luogo" e "corrispondere un canone enfiteutico annuo nella misura di Lire
150.000"119, rispettando quindi lo statuto del Conservatorio. Fa inoltre notare che l'enfiteusi avrebbe
liberato l'IPAB dalla necessità di riparare l'immobile, scaricando i costi sull'ordine religioso, con un
evidente vantaggio economico. La delibera stavolta viene approvata e il contratto assume validità.
115 Morvillo [2007], lettera 2 marzo 1955, pag. 121116 Morvillo op. cit, lettera 21 marzo 1955, pag. 122117 Morvillo op. cit, pag. 126, Prefettura di Napoli, 24 aprile 1958118 Legge Crispi 6972/1890, art. 1119 Morvillo [2007], pag. 127, raccomandata dell'IPAB alla Prefettura di Napoli, 23 luglio 1958
55
Nonostante ciò, si consolida quell'"amministrazione simulata" di un IPAB che ha ormai
assunto la "forma del convento sottratto alla direzione ed amministrazione laica", così come
ricordato dalle acute parole del Sottoprefetto nel 1885.
Ciò emerge chiaramente approfondendo la vicenda che riguarda i lavori di ristrutturazione. Si
ricordi che nel 1950 lo Stato stanziò fondi per la ristrutturazione delle IPAB che erano destinate
direttamente ad assistenza e beneficenza, a cui restavano vincolate per non meno di venti anni dopo
i lavori.120 Tale finanziamento fu reiterato nel 1953 con la legge 230. Così come accadde al S.
Teresa, anche il Conservatorio A.G.P. aveva ottenuto i fondi in base ad un progetto di restauro
presentato dal consiglio di amministrazione, approvato e finanziato da fondi statali. L'esecuzione
dei lavori fu però affidata ai Padri Minimi, rendendo dunque impossibile ogni forma di controllo da
parte del CdA, e rendendo inutile il progetto presentato. Nel 1957 i Padri Minimi iniziano i lavori
senza alcun vincolo. Solamente mettendo in ordine le date emerge l'illegittimità formale delle
procedure seguite:
➢ 1950, lo Stato stanzia i fondi per le IPAB, incluso il conservatorio A.G. P.
➢ 1957, i Padri Minimi iniziano i lavori di restauro con i fondi statali
➢ 23 luglio 1958, il presidente dell'IPAB, motivando la cessione in enfiteusi, scrive che
"l'ente non ha la possibilità di riattare l'immobile in rovina da molti anni".121
Il presidente dell'IPAB dunque, nel 1958, sta giustificando in parte l'enfiteusi affermando di
non avere risorse per ristrutturare, mentre invece erano già stati assegnati i fondi pubblici e i Padri
Minimi erano già al lavoro.
Questo è un altro chiaro esempio di confusione tra interessi pubblici e privati, ancora più grave
date le ripercussioni sui diritti di quelle fasce sociali più deboli.
Per completare il quadro però, è doveroso ricordare che il progetto di restauro avrebbe richiesto
l'approvazione del Ministero dei Beni Culturali122, riguardando esso un immobile di pregio storico. I
lavori dei Frati invece, senza alcuna autorizzazione ma finanziati dallo Stato, hanno comportato tra
l'altro la "demolizione dalle fondamenti e via distruggendo", "spianature, bitumazioni,
intonacature", l'utilizzo di un "piccone demolitore", col risultato che l'originario Conservatorio è
stato "per tre quarti demolito e ricostruito dalle fondamenta", come puntualmente descritto nel
Bollettino ufficiale dell'Ordine religioso123. Alcuni passaggi, se confrontati con la storia del
benefattore Marco Cangiano, appaiono quasi impietosi: "Destinato ormai a essere solo preda del
120 Legge 784/1950, artt.1-2121 Morvillo op. cit, pag. 127, raccomandata dell'IPAB alla Prefettura di Napoli, 23 luglio 1958122 Legge 1089/39 art. 4-11123 Morvillo [2007], pag. 130, Bollettino ufficiale dell'ordine, 1964, pag. 49
56
piccone demolitore, la fabbrica costituiva un imponente ammasso di macerie, che non avrebbe
resistito ancora a lungo se non nel ricordo dei Massesi, come un antico centro di vita religiosa,
voluto dalla carità di un munifico locale antenato"124
Lo scopo dei lavori "secondo le nuove moderne esigenze" diventa chiaro quando l'Arcivescovo
di Sorrento benediva "con effusione la nuova Scuola Apostolica dei Frati Minimi, dove troveranno
segna sede e condizione per un'ottima coltura le giovanissime vocazioni". In seguito alla complicità
del CdA, quindi, l'ordine religioso ha ignorato gli obblighi che prevedevano la creazione di una
scuola per accogliere ed educare "donne povere ed oneste", preferendo aprire invece una Scuola
Apostolica, dunque educativo-religiosa; demolendo, inoltre, un edificio di pregio, ignorando il
Ministero dei Beni Culturali e, il che è quasi ironico, utilizzando fondi statali pubblici.
3.13 - La situazione attuale
Nel 1999 i Padri Minimi presentano domanda di affranco del bene, come previsto dal contratto
di enfiteusi. La procedura viene avviata senza alcun controllo, e ciò è dimostrato dal modo in cui
viene calcolata la cifra di affranco: il canone annuo stabilito nel 1955, che ammontava a 150.000
lire, viene adeguato all'insolita cifra di 180.000 lire del 1998, e poi moltiplicato per 15: ciò vuol dire
che l'ordine religioso con soli 2 milioni 700 mila lire avrebbe potuto entrare in possesso di un
edificio di ventinove locali terranei, undici locali ammezzati, ventiquattro locali al primo piano,
sedici al secondo piano, due vani grandi e sei piccoli, in una delle più belle zone panoramiche del
comune, circondata dal verde, con vista Capri.
Nel 1999 il nuovo presidente dell'IPAB Maria Teresa Morvillo si accorge dell'incongruenza e
fa ricorso, bloccando tempestivamente l'affranco. Il giudice di Sorrento emana un'ordinanza
provvisoria di affranco che diventerebbe definitiva in caso di mancata opposizione entro 3 mesi. Il
CdA si oppone immediatamente e la pratica passa al tribunale di Torre Annunziata, che però
conferma la validità dell'offerta dei Padri. Il CdA fa nuovamente ricorso inviando la
documentazione più aggiornata in materia di enfiteusi, e la Corte d'Appello di Napoli accoglie il
ricorso nominando un CTU (Consulente Tecnico 'Ufficio). La più recente ordinanza del nuovo
giudice di appello della Sezione specializzata Agraria chiede al CTU il rispetto della legge 1138/70
e relative sentenze delle supreme corti, fornendo un'indicazione puntuale quando prevede la
valutazione del bene in coerenza con il valore di mercato.
La Corte d'Appello è attualmente impegnata a valutare il doppio ricorso dell'IPAB "Istituti
124 Morvillo op. cit, pag. 130, Bollettino ufficiale dell'ordine, 1964, pag. 55
57
Riuniti", che ha chiesto l'annullamento del contratto di enfiteusi per originaria simulazione e, in
subordine, la ridefinizione del canone annuo e del relativo capitale di affranco. La denuncia di
simulazione deriva dalla vicenda precedentemente descritta relativa alla costruzione della Scuola
Apostolica non prevista dal contratto di enfiteusi.
Parte III
3.14 - Il futuro dei Conservatori
Dopo aver presentato nel secondo capitolo la principale disciplina legislativa relativa alle
IPAB, e ricostruito una parte dei fatti storici riguardante i 3 conservatori massesi, si possiedono tutti
gli elementi per individuare il rischio a cui va incontro l'IPAB di Massa Lubrense
nell'inconsapevolezza generale di cittadinanza, stampa ed enti locali.
Abbiamo visto che le IPAB, in seguito alle recenti normative, possono trasformarsi o in
persone giuridiche private o in Aziende pubbliche di Servizi alla Persona (ASP).
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 1990, all'articolo 3 prevede
che: "Sono riconosciute di natura privata quelle istituzioni che continuino a perseguire le proprie
finalità nell'ambito dell'assistenza, in ordine alle quali sia alternativamente accertato:
a) il carattere associativo;
b) il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati;
c) l'ispirazione religiosa.125
L'IPAB di Massa non possiede nessuno di questi requisiti, ma al contrario rientra tra le
istituzioni di cui all’articolo 5 del Decreto Lgs n 207/2001 che prevede l’obbligo di trasformazione
in Aziende pubbliche di servizi alla persona per le Istituzioni che "svolgono direttamente attività di
erogazione di servizi assistenziali"126, con alcune eccezioni:
a) nel caso in cui le dimensioni dell'istituzione non giustifichino il mantenimento della
personalità' giuridica di diritto pubblico; non è questo il caso della IPAB di Massa Lubrense,
soprattutto dopo la fusione del 1974.
b) nel caso in cui l'entità del patrimonio e il volume del bilancio siano insufficienti per la
realizzazione delle finalità e dei servizi previsti dallo statuto; come dimostrato dall'attività degli
125 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 1990, art. 3126 Decreto Lgs. n. 207/2001, art. 5 commi 1-2
58
anni 1997-2005 nonché dalle planimetrie dei conservatori e dei fondi rustici, il patrimonio
dell’IPAB è di notevolissime dimensioni e permette di svolgere interventi assistenziali.
d) nel caso risultino esaurite o non siano più conseguibili le finalità previste nelle tavole di
fondazione o negli statuti. Lo Statuto, approvato dalla Giunta Regionale nel 1999, è adeguato ai
tempi e prevede finalità conseguibili.
c) nel caso di verificata inattività nel campo sociale da almeno due anni; tale clausola prevede
che se l’Ente non attua interventi di assistenza diretta rischia la soppressione anche in assenza di
altre condizioni negative. In tal caso “la Regione promuove lo scioglimento dell'istituzione
prevedendo la destinazione del patrimonio nel rispetto delle tavole di fondazione o, in mancanza di
disposizioni specifiche, prioritariamente in favore di altre istituzioni del territorio o dei comuni
territorialmente competenti, possibilmente aventi finalità identiche o analoghe."127
Ancora una volta, se la storia è maestra di vita, non si può che esprimere cautela nel valutare il
beneficio che ne ricaverebbe la collettività in caso di trasferimento a privati: è la storia, infatti, a
mostrare le enormi difficoltà che, già da ente pubblico, l'IPAB massese ha avuto nel far rispettare le
volontà dei fondatori e i fini statutari. In caso di perdita della personalità pubblica e trasferimento a
privati o agli stessi ordini religiosi, dati i precedenti, non si può che realisticamente prevedere
un'ulteriore peggioramento dell'attuale situazione, con la perdita di un ingente patrimonio pubblico
nato per esplicite finalità sociali.
Il punto di cui alla lettera c, presenta i maggiori elementi di rischio alla luce delle più recenti
cronache riguardanti l'IPAB massese e la sua nuova amministrazione, e in particolare una recente
delibera, la n.39 del 12 novembre 2007, "Acquisto pulmino per trasporto minori diversamente abili
- Impegno di spesa - Variazione di bilancio". Per reperire i fondi necessari all'acquisto del mezzo si
prevede una variazione di bilancio azzerando tutte le voci di spesa relative all'assistenza educativa
(Titolo 1 Cap. 2 e 3 art. 22 e 25) e alla beneficenza straordinaria (Titolo 1 Cap 3 art. 24),
prevedendo una somma complessiva, che impegna l'ente anche per il futuro, di 40.000 euro
nonostante il CdA ammetta di non avere ancora informazioni riguardanti "il tipo di automezzo, il
fornitore e l'impegno definitivo di spesa".
Tale procedura di acquisto, piuttosto singolare, profila un'interruzione dell'attività diretta di
erogazione di servizi assistenziali senza fornire motivazioni precise, paventando così il rischio di
perdere proprio quel requisito codificato dal comma 1 dell'art. 5 del decreto 207 ("svolgono
direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali") che obbliga le IPAB alla trasformazione
in ASP, per migliorare l'attività svolta ed integrarla correttamente nel sistema di rete regionale. Per
127 Decreto Lgs. n 207/2001, art. 5 comma 4
59
allontanare qualsiasi rischio, nell'interesse sia della cittadinanza di Massa Lubrense sia della finanza
pubblica generale, è necessario approfondire tale questione ed eventualmente richiamare
l'attenzione degli organi di vigilanza, in primis la Corte dei Conti, per evitare conseguenze negative.
Una certa confusione esistente in merito al controllo dell'attività delle IPAB, fa emergere un ultimo
interrogativo a cui è necessario dare risposta .
3.15 - Chi controlla le IPAB?
Si è già detto che la funzione di controllo e vigilanza, originariamente affidata al Sottoprefetto,
fu trasferita prima al Prefetto e successivamente alle Regioni nel 1972 con il D.P.R. n.9, e in
particolare al CO.RE.CO (Comitato regionale di controllo), che si esprimeva in riferimento alla
legittimità e al merito degli atti degli Enti Locali e, quindi, anche delle IPAB.
Con la successiva abrogazione della legge n. 130 della Costituzione i CORECO venivano
soppressi e iniziava una profonda trasformazione delle funzioni di controllo esercitate sugli Enti
Locali: mentre si riducevano progressivamente i controlli esterni, si rafforzavano e consolidavano
quelli interni.
Oggi gli Enti locali hanno l’obbligo di prevedere negli Statuti, che assumono una particolare
importanza, diversi tipi di controlli interni, che vanno dalla figura del difensore civico, alle
competenze dei revisori dei Conti, ai nuclei di valutazione (interni), fino a ricomprendere le regole
della trasparenza amministrativa che garantiscono la possibilità di accedere agli atti e quindi
permettere il controllo da parte dei cittadini e dell'opinione pubblica.
Per quanto riguarda la vigilanza esterna, spetta alla Corte dei Conti il controllo successivo
all'emanazione di un atto: la magistratura contabile verifica, tra l’altro, anche la validità dei controlli
interni previsti dagli Statuti. Come si applica questa disciplina alle IPAB?
Si è visto che il declino dei controlli preventivi esterni trova il suo contrappeso nei controlli
interni, che si inseriscono nel processo stesso di formazione dell’atto amministrativo e sono
valorizzati dall’autonomia statutaria e dal controllo della Corte dei Conti.
Lo Statuto dell’ Ente locale diventa, così, primaria normativa di riferimento, mentre la Corte
dei Conti verifica il corretto funzionamento degli organi di controllo interno; questi ultimi si
occupano, tra l’altro, di fornire:
1. il parere di regolarità amministrativa che viene espresso, con assunzione di
responsabilità, dal Segretario, quando così è previsto dallo Statuto dell’Ente;
60
2. il controllo di regolarità contabile, di competenza del responsabile finanziario.
Nell’attuale quadro normativo la risposta all’avvertita esigenza di garanzia di legalità viene
dalla legge 5 giugno 2003 n. 131 (“Disposizioni per l’adeguamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18.10.2001 n. 3”), che espressamente attribuisce all’autonomia statutaria degli enti
locali “ la potestà di individuare sistemi di controllo interno, al fine di garantire il funzionamento
dell’ente, secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa”.
Si hanno ora tutti gli elementi per individuare il garante della legittimità delle delibere delle
IPAB.
Per l'IPAB di Massa Lubrense bisogna interrogare lo Statuto vigente, quello del 1999, che
attribuisce al Segretario in particolare due funzioni:
1. verbalizzare le sedute, cioè redigere i verbali e firmarli insieme agli altri partecipanti.
Questa non è una funzione di controllo, ma di semplice stesura del testo. E' prevista
dall'art.9 dello statuto organico, che recita: "Alle sedute del Consiglio di amministrazione
partecipa il Segretario dell’Ente, con funzioni anche di segretario verbalizzante;”128
2. l'art. 10 individua una seconda e importante funzione del Segretario: "Ogni proposta di
deliberazione sottoposta al Consiglio deve essere corredata dal parere in ordine alla
regolarità tecnica, contabile e di legittimità da parte del Segretario dell’Ente”.
E' da questa sottoscrizione che deriva il ruolo di controllo del Segretario, il primo e più diretto
responsabile delle delibere approvate dall'IPAB.
Se il Segretario esprime il suo parere positivo e firma una delibera non legittima, la Corte dei
Conti può intervenire per verificare sia la correttezza dell'atto, sia l'efficacia dello stesso organo di
controllo interno.
In sintesi, l'IPAB ha due controlli: uno esterno, della Corte dei Conti, e uno interno, del
Segretario, che nel sottoscrivere una delibera esprime il suo parere in ordine alla regolarità tecnica,
contabile e di legittimità, assumendosene la piena responsabilità.
Conclusione
In questo capitolo si è cercato di ricostruire almeno in parte la complessa storia, i fatti più
rilevanti, e gli attori protagonisti delle cronache legate ai 3 conservatori di Massa Lubrense,
utilizzando solo una parte dei tanti documenti esistenti.
128 Si veda in appendice: Statuto organico 1999, art. 9
61
Non tutte le IPAB italiane sono oggi però in una condizione simile. Questi enti pubblici
esprimono ancora una grande potenzialità in campo sociale, e la loro importanza nel settore
assistenziale è stata ulteriormente riconfermata dalle recenti normative in materia.
La trasformazione in ASP e il loro inserimento nella rete regionale di servizi sociali integrati,
permette, se ben condotta, di portare ad un pieno sfruttamento dei patrimoni e delle rendite,
aggiornando e rendendo più efficaci quelle antiche disposizioni previste da fondatori e benefattori.
Per rendere palesi le potenzialità insite in un effettivo ed efficace utilizzo dei 3 conservatori
massesi, inseriti in un contesto del tutto carente di infrastrutture socio-assistenziali, si è deciso di
portare a confronto un caso virtuoso. Nel prossimo capitolo verrà presentato l'esempio dell'Azienda
di Servizi alla Persona "Circondario Imolese", attiva e operante nella regione Emilia Romagna in
provincia di Imola, e in particolare si approfondirà l'organizzazione di una sua struttura per anziani,
il "Condominio Solidale".
62
Capitolo 4 - Un esempio virtuoso: il Condominio Solidale
Imola è un comune di circa 67.000 abitanti, in provincia di Bologna. Nel 2007, insieme ad altri
10 Comuni dell'area ed enti pubblici,129 entra a far parte, come socio, della nuova ASP "Circondario
Imolese".
Nel secondo capitolo si è visto che la Regione Emilia Romagna ha varato la legge regionale del
12 marzo 2003, n. 2 contenente le "Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”; nel Titolo IV, in particolare, viene
disciplinato il “Riordino delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Aziende pubbliche
di servizi alla persona”, definendo i principi e le regole da seguire nella fase di trasformazione delle
IPAB in Aziende di Servizi alla Persona (ASP).130
Il 20 dicembre 2007 la Giunta regionale, in base alle normative previste, approva la delibera
n.2020, "Costituzione dell'ASP Azienda Servizi alla Persona Circondario Imolese", che sancisce la
nascita dell'ASP imolese, le sue caratteristiche, i soci, e ne approva lo Statuto.
L'Azienda diventa operativa il 1 gennaio 2008, e si costituisce in seguito alla trasformazione e
alla fusione di tre IPAB locali: “Casa di riposo per inabili al lavoro” di Imola, “Opera Pia S.Maria in
Tossignano” di Borgo Tossignano e “Istituzioni di assistenza riunite” di Medicina.131
4.1 - L'ASP "Circondario Imolese"
Lo Statuto dell'ente, accessibile sul sito internet http://www.circondarioimolese.bo.it,
rappresenta la fonte normativa primaria da analizzare per risalire alle caratteristiche dell'ente, alle
sue origini e agli scopi di fondazione.
Nel rispetto dei contenuti delle varie leggi-quadro, l'art. 3 definisce gli attributi del nuovo ente:
"L’ASP è dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, di autonomia statutaria, gestionale,
129 Imola, Medicina, Dozza, Castel S.Pietro, Borgo Tossignano, CasalFiumanese, Castel del Rio, Fontanelice, Mordano e la Comunità Valle del Santerno.
130 Legge regionale 2/2003131 Statuto dell'ASP "Circondario Imolese", art. 1 comma 1
63
patrimoniale, contabile e finanziaria, nell’ambito delle norme e dei principi stabiliti dalla legge
regionale e dalle successive indicazioni regionali, e non ha fini di lucro." 132
Per quanto riguarda gli obiettivi da perseguire, la varietà individuata permette di rivolgersi ad
un ampio spettro di soggetti: "L’ASP ha come finalità l’organizzazione e l’erogazione di interventi,
prestazioni, servizi sociali e socio-sanitari rivolti alle famiglie e alle persone, minori, adulte,
anziane, disabili, immigrate, compresi i relativi servizi accessori e funzionali." 133
Si ricordi che la legge Turco-Signorino del 2000 ha introdotto il concetto di "Sistema integrato
di interventi e servizi sociali", a cui devono partecipare anche le IPAB trasformate in ASP. Lo
Statuto esplicita l'inserimento dell'ASP imolese "nell’ambito del sistema locale di servizi sociali a
“rete” di cui all’art. 5 della legge regionale n. 2 del 2003, secondo le esigenze indicate dalla
pianificazione locale definita dal Piano di zona e nel rispetto degli indirizzi definiti dall’Assemblea
dei soci di cui all’articolo 10." 134
Il Piano sociale di zona è uno strumento fondamentale, introdotto dalla legge regionale
dell'Emilia Romagna, attraverso il quale i Comuni associati, di intesa con le aziende USL,
definiscono le politiche sociali e socio-sanitarie rivolte alla popolazione di un determinato territorio.
Ogni Piano deve essere coerente col più ampio Piano regionale degli interventi e servizi sociali,
proprio per rispondere a quella necessità di ottimizzare domanda e offerta, nonché di "spendere
meglio" le risorse esistenti sul territorio.
Gli attori che partecipano in tale Rete sono quelli istituzionali (Regione, Province, Comuni,
aziende USL) e quelli sociali come le IPAB, le associazioni di volontariato, le organizzazioni
sindacali.
Tornando allo Statuto dell'ASP imolese, per quanto riguarda le misure relative al suo impatto
sulla finanza pubblica135, troviamo alcune indicazioni precise: si conferma infatti la prescrizione a
svolgere "la propria attività secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità, nel rispetto
del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi." 136 A tutela di
una gestione contabile efficace, il Capo III, art. 31, prevede l'istituzione di un apposito Organo di
revisione che "esercita il controllo sulla regolarità contabile e vigila sulla correttezza della
gestione economico finanziaria dell’ASP" 137
132 Statuto dell'ASP "Circondario Imolese", art. 3 comma 2133 Statuto dell'ASP "Circondario Imolese", art. 4 comma 1134 Statuto dell'ASP "Circondario Imolese", art. 4 comma 1135 Si veda il capitolo 2 di questo elaborato136 Statuto dell'ASP "Circondario Imolese", art. 3 comma 3137 Statuto dell'ASP "Circondario Imolese", art. 31 comma 2
64
Forme di controllo esterne, come quella dell'opinione pubblica e della stampa, sono facilitate
dalla " trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa", prevista e garantita già a partire da un
sito internet ufficiale ricco di informazioni e documenti, su cui, ad esempio, è possibile visualizzare
tutti i regolamenti interni, le convenzioni stipulate, l'intero organigramma del personale impiegato.
L'amministrazione dell'ASP è affidata a tre organi principali:
➢ il Consiglio di amministrazione, composto da presidente, vicepresidente e tre
consiglieri; è l'organo responsabile dell'attuazione degli obiettivi programmatici e del
controllo gestionale dell'Ente.
➢ il Presidente; è il rappresentante istituzionale e legale dell'Ente, e attualmente è la
dottoressa Gigliola Poli.
➢ l'Assemblea dei soci, che ha compiti di indirizzo e di vigilanza sull’attività dell’ASP.
Si è visto come, nel caso dell'IPAB massese, uno dei problemi principali era costituto dalla
totale assenza di comunicazione tra ente e cittadinanza, inconsapevole persino della natura pubblica
dei tre "conventi". L'ASP imolese appare invece ben inserita nel tessuto cittadino, e ha all'attivo uno
Sportello sociale definito come "La porta di accesso ai Servizi", utile ad ottenere informazioni,
orientamento sui diversi servizi a disposizione, assistenza amministrativa per le procedure da
seguire, nonché per depositare eventuali segnalazioni e reclami.138
La società civile può anche partecipare direttamente alle attività svolte, sia attraverso il
volontariato, sia attraverso donazioni di singoli, aziende o enti, anch'esse previste e disciplinate
dallo Statuto per prevenire eventuali influenze esterne.
L'ASP imolese offre un ventaglio di servizi, gestiti in convenzione anche con altri enti,
suddivisi in base alla categoria di soggetti interessati:
➢ per famiglie e minori sono previsti spazi di aggregazione giovanile, interculturali,
educativi, pratiche di affido e adozione, integrazione dei minori immigrati.
➢ ad adulti disabili e immigrati sono rivolti centri diurni, occupazionali, appartamenti di
prima accoglienza, centri socio-riabilitativi.
➢ agli anziani, infine, sono dedicati centri diurni, assegni di cura, centri socio ricreativi,
servizi come il telesoccorso e la telecompagnia, strutture come il condominio solidale.
Parte di questi servizi è completamente gratuito, mentre per altri è richiesto il pagamento di una
138 http://www.aspcircondarioimolese.bo.it/CHI/CHISPORTELLOSOCIALE.htm
65
retta, con la possibilità di richiedere agevolazioni in base all'attestazione ISEE.
L'enorme disponibilità di locali e aree in dotazione ai tre conservatori massesi, attualmente
vuoti e occupati da un esiguo numero di religiose, lascia solo immaginare le vaste possibilità di
utilizzo esistenti: servizi e spazi da offrire ad associazioni locali, gruppi di cittadini, agli stessi enti
locali e alle scuole, che spesso lamentano mancanza di spazi ricreativi e di laboratorio. Pur senza
raggiungere la ricchezza e completezza dei servizi offerti da una ASP come quella imolese, è facile
ipotizzare il vantaggio sociale derivante da una effettiva utilizzazione dei patrimoni dell'IPAB
massese.
4.1 - Nel condominio solidale
L'ASP imolese è una realtà attiva e operante, non un edificio occupato il cui accesso è impedito
anche agli stessi cittadini che ne hanno diritto, in nome, ad esempio, di una clausura da tutelare.139
Le telecamere di Report, un programma di inchiesta giornalistica in onda su Rai3, sono entrate
nell'ASP "Circondario Imolese", presentando una delle strutture più interessanti e innovative
dedicate agli anziani: il Condominio solidale. Il servizio è stato trasmesso il 7 aprile 2008 su Rai3.
Il Presidente dell'ASP imolese, Gigliola Poli, spiega in video che "questa è una struttura del
comune di Imola che è stata data in gestione al consorzio servizi sociali e che consente alle
persone di mantenere ancora la propria casa", con l'aggiunta di "tutta una serie di servizi
dall’assistenza domiciliare, all’assistenza infermieristica."
E' rivolta ad anziani con ridotta autonomia fisica, sufficiente capacità cognitiva, bisogni sanitari
gestibili a domicilio, e che non hanno supporto familiare sufficiente ad assicurarsi le cure
necessarie.
Soggetti di questo tipo sono solitamente affidati a case di riposo, ma le differenze sono
sostanziali: mentre in queste ultime l'anziano è confinato all'interno di una struttura di tipo
ospedaliero-residenziale, in molti casi senza nemmeno spazi verdi, nel condominio solidale ogni
persona ha un suo appartamento indipendente e può gestire la propria giornata in modo autonomo,
senza vincoli spaziali. L'obiettivo è di promuovere l'autogestione degli ospiti, da valorizzare in un
contesto condominiale assistito.
139 Tale motivazione è legata, ad esempio, ad un episodio qui non affrontato, che riguarda la richiesta (delibera n.5/1997) dell'IPAB massese di utilizzare il giardino del S. Teresa, occupato dall'ente religioso, come verde attrezzato per i bambini. Richiesta respinta al mittente con diverse motivazioni.
66
L'assistenza è garantita, grazie al personale che si occupa ad esempio di aiutare nelle faccende
domestiche; nel caso di Imola una delle assistenti è residente nella struttura insieme alla propria
famiglia, e svolge anche funzione di vigilanza notturna.
I servizi offerti vanno dall'assistenza di base a quella infermieristica e medica, dalla fornitura
pasti al servizio lavanderia, fino ad attività occupazionali e di riattivazione delle relazioni sociali,
aspetto molto importante per degli anziani soli.
All'assistenza fornita dell'ASP si affianca anche quella proveniente dal volontariato civile, con
persone che, ad esempio, consegnano la spesa alimentare a domicilio.
La permanenza nel Condominio Solidale è subordinata al pagamento di una retta mensile,
necessaria a contribuire al costo di servizio, pagata dall'anziano. In caso di reddito insufficiente, i
parenti obbligati al mantenimento possono chiedere agevolazioni in base all'attestazione ISEE.
4.2 - Un condominio solidale.....anche con le casse pubbliche
Vi è un ultimo aspetto da affrontare, che ruota intorno alla tesi centrale di questo elaborato, e
che riguarda l'impatto economico di tali strutture sulle casse pubbliche.
Nel secondo capitolo è già stato rilevato che le leggi-quadro nazionali escludono "nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica" 140, e invitano alla valorizzazione delle rendite e dei
patrimoni in nome di principi di "efficienza, efficacia ed economicità".
Nel primo capitolo erano già stati presentati alcuni documenti, tra cui il "Libro verde sulla
spesa pubblica" della Commissione tecnica per la Finanza Pubblica, che invitava a "spendere
meglio". Anche i Ministri delle Finanze dell’Unione Europea, nel Consiglio ECOFIN, suggerivano
ai paesi membri di accrescere l’efficienza della spesa, attraverso l'ottimizzazione delle attività del
settore pubblico e il raggiungimento di migliori risultati di output in base all'input.
Una piena e corretta valorizzazione dei patrimoni delle IPAB italiane risponde pienamente a tali
indicazioni. Anche nel caso del Condominio solidale dell'ASP imolese rileviamo una netto e
notevole risparmio a vantaggio della collettività: come spiegato dal presidente Gigliola Poli, in una
Casa di Riposo tradizionale un anziano costa alla collettività, compreso il contributo pagato
dall'assistito, circa 30 mila euro all'anno. Nel Condominio solidale, invece, la cifra è di 14 mila 795
euro, cioè poco meno della metà.
140 Legge 328/2000, art. 10
67
Dato il successo dell'iniziativa, il presidente ha espresso la volontà di realizzare altre
esperienze di "condominio solidale per persone diverse, per disabili adulti, e anche [...] per donne
sole con figli senza rete parentale. In modo da creare nel quartiere con le altre donne e con una
famiglia tutor, una rete di protezione forte in questa città."
Il finale del servizio, e di questo capitolo, è affidato ad una citazione di Milena Gabanelli,
conduttrice di Report, che ha concluso la puntata invitando altri comuni a seguire l'esempio di
Imola: "La medicina ha allungato la vita, ma anche situazioni come queste dei condomini solidali
ci pare che facciano sentire i nostri anziani un po’ più protetti e che riescano a sorridere di più .
Anche questo è un modo per allungare la vita. E poi, visto che i conti si fanno sempre con il
portafoglio, costano la metà. Allora andate e prolificate.".
68
Conclusioni
La società italiana è costantemente sottoposta a nuove sfide, come dimostrano recenti dossier
pubblicati da noti istituti di ricerca.
Il rapporto dell'OCSE141 "Growing Unequal?: Income Distribution and Poverty in OECD
Countries"142, pubblicato nel 2008, presenta l'Italia tra i paesi con le performance peggiori nel
campo della diseguaglianza sociale. In particolare, le conclusioni del documento rilevano che:
➢ Tra i 30 paesi OCSE oggi l’Italia si trova al sesto posto per quanto riguarda il divario
tra ricchi e poveri, preceduta solo da Messico, Turchia, Portogallo, Stati Uniti e Polonia.
➢ La disuguaglianza economica è cresciuta del 33% a partire dalla metà degli anni
Ottanta ad oggi, contro una media OCSEe del 12%.
➢ Il reddito medio del 10% degli Italiani più poveri, tenuto conto della parità del potere di
acquisto, é circa 5000 dollari (3770 euro). Si trova quindi sotto la media OCSE, che si
assesta su 7000 dollari (5280 euro). Contraria la situazione del reddito medio del 10% più
ricco: circa 55000 dollari (41.500 euro), superiore alla media OCSE.
➢ La ricchezza è distribuita in modo ancora più diseguale rispetto ai redditi: infatti in
Italia il 10 per cento dei più abbienti possiede il 42% della ricchezza totale ed il 28% delle
entrate globali.
➢ Sanità, educazione ed alloggi forniti dal settore pubblico riducono la disuguaglianza
nella distribuzione del reddito più che nella maggior parte dei paesi OCSE.
Osservando l'immagine seguente, il primo grafico evidenzia la crescita, sensibilmente
maggiore, della diseguaglianza in Italia rispetto a quella media dei paesi membri dell'OCSE143. Nel
secondo grafico viene tracciato il trend relativo al tasso di povertà, aumentato durante i primi anni
90 e poi diminuito restando comunque su livelli superiori alla media.
141 Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, promuove l'integrazione e la cooperazione economica e finanziaria tra 30 paesi economicamente sviluppati. (http://www.oecd.org)
142 Sintesi accessibile online: http://www.oecd.org/dataoecd/44/45/41524655.pdf143 Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia,
Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria
69
Per quanto riguarda i dati sulla povertà nel nostro paese, invece, è l'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ad aver pubblicato il rapporto relativo all'anno 2007, da cui si evincono
principalmente due fatti:
➢ In Italia, le famiglie che nel 2007 si trovano in condizioni di povertà relativa sono 2
milioni 653 mila e rappresentano l’11,1% delle famiglie residenti; i singoli individui in
condizioni di povertà sono invece 7 milioni 542 mila, il 12,8% dell’intera popolazione.
➢ La povertà è maggiormente diffusa nel Mezzogiorno: l'incidenza è quattro volte
superiore a quella del resto del Paese. Nel Sud è povero il 22,5% delle famiglie. Rispetto
all'intero Paese, nel Sud risiede il 65% di tutte le famiglie povere.
Nel primo capitolo di questo elaborato abbiamo presentato alcune caratteristiche relative alla
situazione macroeconomica e sociale del paese, sottolineando innanzitutto il problema legato
all'eccessivo debito pubblico, che nel 2007 ammontava al 104% contro la media del 66,4% per i 15
paesi che utilizzano l'Euro. Per quanto riguarda la spesa pubblica, invece, si è visto che il problema
non risiede tanto nella quantità di risorse spese, in linea con quella europea, ma in altri punti critici:
➢ scarsa attenzione dedicata alle voci dell'assistenza e la redistribuzione, che assorbono
solo il 4,9% della voce totale di spesa sociale, contro il 12,2% della Francia.
➢ bassa qualità della spesa: l'Italia è all'ultimo posto, tra i paesi europei, nella classifica
sull'efficienza della spesa pubblica.
Un altro aspetto presentato nel capitolo, infine, riguarda la forte discrepanza esistente nel paese
tra Regioni del Nord e del Sud, che emerge dalle netta differenze in termini di quantità e qualità dei
servizi sociali offerti, segnalati dallo studio dell'associazione Nuovo Welfare. Incrociando tale dato
70
con quello riguardante la maggiore povertà esistente nel mezzogiorno, si può intuire quanto sia
importante sopperire a tali mancanze soprattutto in queste Regioni più carenti.
E' probabile che l'insieme di tali problematiche sociali ed economiche, unite alla recente crisi
internazionale ancora in fase di sviluppo, rinforzerà nel prossimo futuro la richiesta di maggiori
risorse proveniente da molti e diversi settori produttivi del paese, pubblici e privati. Sarà necessario
anche garantire una maggiore mobilitazione di fondi in campo sociale per far fronte alla necessità di
assistenza, approntando soluzioni e obiettivi da seguire.
Nel giungere alla nostra proposta abbiamo sottolineato in particolare alcune premesse:
1. Diminuire la spesa pubblica non rientra tra le indicazioni contenute nelle pubblicazioni
di organismi come l'ECOFIN e la Commissione tecnica per la finanza pubblica144, che
invitano invece ad accrescere l'efficienza e a spendere meglio le risorse esistenti.
2. Un modello basato su una bassa spesa sociale come quello inglese non è a priori
preferibile ad uno basato su un'elevata spesa come quello svedese.
3. Agire nuovamente sulla leva del debito pubblico non è più proponibile, sia a causa del
gravoso servizio del debito, sia perchè la tendenza va invertita puntando all'obiettivo del
Patto di Stabilità che impone un tetto al debito pubblico del 60%.
Partendo da tali presupposti, abbiamo presentato le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza come una delle soluzioni virtuose da considerare nell'affrontare le sfide emergenti e,
nel corso della trattazione, sono emerse diverse forti motivazioni che ne giustificano la proposta.
Dal punto di vista patrimoniale, le IPAB contano circa 4200 istituti, con patrimoni immobiliari,
mobiliari e fondi completamente pubblici e che ammontano a circa 53 miliardi di euro secondo una
stima minima.
Le difficoltà a censire completamente queste strutture deriva, come rileva anche una
Commissione ministeriale d'indagine nel 1999, da un consolidato sistema di "rapporti tra enti
locali e amministrazioni delle IPAB fondato sul mutuo accomodamento". Un caso emblematico di
ciò è stato presentato nella parte centrale della tesi, e riguarda l'IPAB di Massa Lubrense.
Dal punto di vista della finanza pubblica, vi sono diversi elementi di importanza rilevante.
Innanzitutto, va evidenziato che le IPAB possiedono strutture già presenti sul territorio, sono dotate
di ingenti patrimoni e rendite, e quindi non richiedono un forte investimento iniziale da parte dello
Stato come invece accadrebbe per la costruzione ex-novo di strutture socio-assistenziali, spazi
144 cfr. Capitolo 1
71
verdi, locali attrezzati, etc...
Valorizzare le IPAB significa dunque valorizzare innanzitutto qualcosa che già esiste ed è
presente sul territorio; tale scelta va perfettamente incontro all'esigenza di "spendere meglio", di
ottimizzare l'efficienza della spesa, nonché rispondere alle necessità politiche e sociali del nostro
paese.
In secondo luogo la legislazione in materia, analizzata a fondo nel secondo capitolo paragrafo
2.6, è chiara nell'escludere "nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica", e prevedere
criteri di gestione imprenditoriali e basati su "efficienza, efficacia ed economicità".
A dimostrazione dell'impatto positivo che un pieno e corretto utilizzo delle IPAB può avere
sulle casse pubbliche, nel quarto capitolo è stato presentato il caso dell'ASP "Circondario Imolese".
Cifre alla mano, si evidenzia come un anziano curato in una Casa di riposo tradizionale costi circa
30 mila euro all'anno alla collettività, mentre in una struttura come quella del Condominio Solidale,
gestita dall'ASP, la cifra si dimezza a 14 mila 795 euro.
L'ASP imolese è un esempio di pieno e corretto utilizzo delle risorse esistenti, nasce dalla
fusione di tre conservatori, e attualmente offre servizi a diverse fasce sociali svantaggiate: anziani,
minori, immigrati e disabili. E' integrata nella rete regionale del welfare, secondo quanto prescritto
dalle leggi nazionali e trasfuso nella legislazione regionale dell'Emilia Romagna.
Il caso di malgoverno dell'IPAB massese "Istituti Riuniti di assistenza all'infanzia", riportato
nel terzo capitolo, è particolarmente rilevante perchè assume in sé e porta ad estreme conseguenza
diversi aspetti legati alle IPAB in generale.
Innanzitutto, le potenzialità insite in un pieno utilizzo di questi enti pubblici è ben
rappresentata, nel caso di Massa Lubrense, dall'imponente volumetria dei suoi patrimoni: tre
complessi monumentali composti da centinaia di locali, spazi verdi e fondi rurali.
In secondo luogo, l'ente si colloca in Campania, Regione che ha meritato il bollino nero e che
dovrebbe impiegare gli sforzi maggiori per ottimizzare la spesa sociale e le risorse esistenti sul
territorio. Massa Lubrense, ad esempio, non ha spazi sociali per i giovani né un asilo nido, pur
essendoci la possibilità di svolgere queste attività all'interno dei conservatori.
Nonostante le carenze diffuse nel sistema dei servizi ai cittadini, la Regione è una delle poche a
non aver ancora legiferato in materia di IPAB, enti che sembrano essere ancora sconosciuti a chi
dovrebbe occuparsene.
Infine, la lunga e travagliata storia dei 3 conservatori, tutt'altro che chiusa, permette di capire
concretamente i motivi alla base di quella opacità spesso rilevata da commissioni e riviste di settore.
72
Lo studio approfondito di tali vicende non può fare a meno di indurci ad alcune riflessioni
particolari:
➢ I fatti ricostruiti attraverso documenti ufficiali e informali ci ricorda quanto sia importante
nominare amministratori capaci e competenti, in grado di vigilare e gestire enti pubblici
garantendo esclusivamente l'interesse collettivo.
➢ In mancanza di suddetti amministratori, a causa della carenza di controlli esterni e di
quello, fondamentale, dell'opinione pubblica, è estremamente probabile e facile che un ente
pubblico di importanza strategica possa perdere ogni sua funzione e forma, restando inattivo e
rendendo il proprio patrimonio indisponibile e non valorizzato.
➢ Tale inattività incide indirettamente anche sulla finanza pubblica: l'esistenza di patrimoni
non utilizzati e non valorizzati secondo criteri di "economicità ed efficienza", costringe lo
Stato ad erogare risorse per sopperire a quei servizi necessari alla cittadinanza, non offerti ad
esempio dalle IPAB locali. La maggiore richiesta di fondi si traduce, tramite i meccanismi di
finanza pubblica, in debito o in tassazione, ricadendo sulle spalle di tutti i cittadini.
➢ In caso di svendita o estinzione delle IPAB, ingenti patrimoni vengono sottratti al tesoro
pubblico in cambio di cifre irrisorie (basti pensare all'offerta di affranco tentata dai Padri
Minimi per il conservatorio Ave Gratia Plena: nel 1998 ammontava a soli 2 milioni 700 mila
lire), o trasferite a privati senza rendere nulla. Questo meccanismo, secondo le stime
presentate nel capitolo due, negli anni ha già causato perdite di patrimoni pubblici pari a 35-45
miliardi di euro.
Sul caso massese sono in corso diversi ricorsi, come abbiamo visto, avviati dalla scorsa
amministrazione Morvillo e che richiedono la massima attenzione da parte dell'attuale Cda.
Data l'importanza patrimoniale e strategica dell'ente pubblico per il territorio, è indispensabile
che l'attuale amministrazione dell'IPAB, che avrà sicuramente ben chiari i compiti da svolgere e i
fini statutari da rispettare sia nell'interesse della cittadinanza di Massa Lubrense che della finanza
pubblica, agisca nel rispetto delle norme per rendere nuovamente fruibile un bene destinato ai
bisognosi.
Si rende comunque necessario approfondire tale questione ed eventualmente richiamare
l'attenzione degli organi di vigilanza, in primis la Corte dei Conti, per evitare conseguenze negative.
Le indicazioni relative a migliorare i conti pubblici, spendere meglio, ottimizzare le risose esistenti,
richiedono infatti non solo amministratori capaci e competenti, ma anche un controllo pubblico
costante ed efficace da parte dei cittadini e degli organi di informazione.
73
La conclusione di questo elaborato è affidata ad una citazione che, nella sua semplicità,
richiama a principi etici sicuramente condivisibili da credenti e non. Al convegno di Torino del 12
dicembre 1989 Monsignor Giovanni Nervo145, primo presidente nazionale della Caritas, nella
relazione "Principi etico-sociali sulla privatizzazione delle IPAB", affermava:
"Il primo principio etico, equivale per i credenti ad un Comandamento di Dio: non rubare. I
patrimoni delle IPAB sono stati donati da privati cittadini per i poveri. Prima che fossero donati
erano di proprietà dei privati, dopo che sono stati donati, sono diventati proprietà dei poveri.
Questo principio rimane, qualunque siano state le vicissitudini storiche e giuridiche."
145 Nominato da Pio VI, a quel tempo era anche Coordinatore della Conferenza Episcopale Italiana per i rapporti Chiesa-Territorio e Presidente della Fondazione Zancan
74
BibliografiaCapitolo I
C.I.A. (Central Intelligence Agency), The World Factbook, 2007Accessibile online: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/rankorder/2186rank.html
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Notifica del Deficit e del Debito Pubblico, inviata alla Commissione Europea ex Reg. CE 3605/93, così come modificato dal Reg. 2103/05
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Capitolo II
Legge 17 luglio 1890, n. 6972, "Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza".(Gazzetta Ufficiale n.171 del 22 luglio 1890)
Costituzione della Repubblica Italiana, 22 dicembre 1947, Roma.(G.U. n. 298, edizione straordinaria del 27 dicembre 1947)
Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9, "Trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di beneficenza pubblica e del relativo personale"(Gazzetta Ufficiale n. 030 Suppl.Ord. del 02/02/1972)
Corte Costituzionale, sentenza n. 396 decisa il 24 marzo 1988, depositata in Cancelleria il 7 aprile 1988.
75
Prospettive Assistenziali, "I patrimoni delle IPAB di Torino: un mistero poco chiaro", n. 121, gennaio-marzo 1998.
Legge 8 novembre 2000, n. 328, "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali"
Decreto Legislativo 4 maggio 2001, n. 207, "Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell'articolo 10 della legge 8 novembre 2000, n. 328"(Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1 giugno 2001)
Prospettive Assistenziali, "Gravi preoccupazioni per le IPAB privatizzate dalla Regione Campania", n. 110, aprile-giugno 1995.
Breda M.G., Mucicci D., Santanera F – [2001], La riforma dell'assistenza e dei servizi sociali, Torino, Utet libreria.
Regione Emilia Romagna, "La trasformazione delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza: verso le Aziende pubbliche di servizi alla persona", Gennaio 2005, Bologna.
Consiglio della Regione Emilia Romagna, 284° seduta della XVI legislatura, 624, allegato "Definizione di norme e principi che regolano l'autonomia statutaria, gestionale, patrimoniale, contabile e finanziaria delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona - primo provvedimento"
Consiglio della Regione Emilia Romagna, 284° seduta della XVI legislatura, 623, allegato "Direttiva per la trasformazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza in Aziende pubbliche di servizi alla persona ai sensi dell'articolo 23 della legge regionale 12 marzo 2003, n. 2"
Legge 27 dicembre 2006, n. 296, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)"
Capitolo III
Morvillo Maria Teresa [2007], I Conservatori di Massa Lubrense, Napoli, Nicola Longobardi Editore
Filangieri Riccardo [1910], Storia di Massa Lubrense, Napoli.
Legge 10 agosto 1950, n. 784, "Norme concernenti riparazioni degli edifici di culto e di quelli degli enti di beneficenza e di assistenza danneggiati o distrutti da offese belliche"
Corte di Cassazione, sentenza n. 13595 del 12 ottobre 2000.
Legge 18 dicembre 1970, n. 1138 "Nuove norme in materia di enfiteusi" (GU n. 011 del 15 gennaio 1971)
76
Legge 1 giugno 1939, n. 1089, "Tutela delle cose d'interesse artistico o storico".
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 1990, "Direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale ed infraregionale" (GU n. 45 del 23 febbraio 1990)
Capitolo IV
Legge regionale 12 marzo 2003, n. 2, "Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali"(Bollettino ufficiale regionale n. 32 del 13 marzo 2003)
Azienda Pubblica di Servizi alla Persona "Circondario Imolese", Statuto approvato con provvedimento della Giunta regionale n. 2020 del 20 dicembre 2007Accessibile online: http://www.aspcircondarioimolese.bo.it/ALLEGATI/Documenti%20ASP/statuto%20ASP%2007.11.2007.pdf
Sito internet ufficiale dell'ASP Circondario Imolese http://www.aspcircondarioimolese.bo.it/index.html
Giuliano Marrucci, Report, "Condominio solidale", servizio trasmesso il 7 aprile 2008, Rai Tre.Accessibile online: http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1078205,00.html
77
Appendice documentale
78