Le Piu Belle Poesie d Amore

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1 www.ilcrocevia.it >> LE PIU’ BELLE POESIE D’AMORE A cura di Benito Calonego L E P I Ù B E L L E P O E S I E D A M O R E D A T U T T O I L M O N D O (142 testi poetici) L’amore è una grazia. (Susanna Agnelli)

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INDICE Ho accolto tra le poesie alcuni testi di canzoni in rappresentanza di un immenso repertorio popolare che, nei modi e nelle forme che gli sono peculiari, dà una valida risposta al naturale e insopprimibile bisogno di poesia. Sono contrassegnate con un asterisco * i testi di immediata suggestione e presa emotiva. ANONIMO SUMERO Canto d’amore pag. 7 ANONIMO EGIZIO Lamento di Iside 9 ANONIMO EBREO La bellezza della sposa 10 SU WU *A sua moglie 12 SAFFO Un dio mi sembra l’uomo 13 *A Gòngila 14

Vorrei veramente essere morta 15 CATULLO *Viviamo mia Lesbia ed amiamo 17 Povero Catullo basta con le follie 18 Odio e amo 19 QAYS Risplendi o Laylà 20 WALLADA Torneremo insieme? 22 DANTE ALIGHIERI Tanto gentile 23 FRANCESCO PETRARCA Chiare fresche e dolci acque 24 LOUISE LABÉ Deh s’io potessi vivere 25 WILLIAM SHAKESPEARE Sonetto LXXV 26 ANTON MARIA LAMBERTI La biondina in gondoeta 27 ELIZABETH B. BROWNING È vero il grande amore 28 GIOSUE CARDUCCI I voti dell’amore 30

Panteismo 31 Qui regna amore 32 Primavera classica 33

ABORIGENI AUSTRALIANI Canto d’amore 35 INDIANI D’AMERICA *Risveglio 36 *Invito notturno 37

Bellezza della mia donna 39 DONNA PIGMEA *Compianto funebre 40 ANONIMO GIAPPONESE *Dolore 41 JOHANN WOLFGANG VON GOETHE Or quale amica sua ti vedo apparirmi 42

Faustina 43 Sempre tra le mie braccia 44

HEINRICH HEINE Lungi lungi 45 TAGORE *Il tuo amore 46

La storia dei nostri cuori 47 Un tocco fugace 48 I lacci della tua dolcezza 49

GABRIELE D’ANNUNZIO La figlia di Iorio (estratto) 50 EDGAR LEE MASTERS Paul McNeely 53 APOLLINAIRE Mia Lou stasera m'accuccerò

nelle trincee 54 Piccola Lou malgrado tutto conosco la tua dolcezza . 55

JUAN RAMON JIMENEZ Ti riconobbi, perché guardando l'orma 56 *Bacio d’amore 57 Taci! Gusta lo zenit 58

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Rampicanti pag. 59 Nel nostro amore, la pena e la gioia 60 Non spegnere la luce... 61

UMBERTO SABA Guarda là quella vezzosa 62 *Bocca 63

Ed amai nuovamente e fu di Lina 64 *Sovrumana dolcezza 65 Amore 66 L'autunno 67

VINCENZO CARDARELLI *Attesa 68 DIEGO VALERI *Milano 69

Che abbiamo fatto, amore? 70 Perché mi sei presso 71 Tu corpo senza peso paurosa dolcezza 72 Sequenza per un'ombra 73

(Grazie dei fior) 74 GIUSEPPE UNGARETTI Dove la luce 75 BIAGIO MARIN Passa pei vogi tovi 77 AHMAD ZAKI ABU SHADI Eterna unione 78 VLADIMIR MAJAKOVSKIJ Liliska! 79

Marina da guerra in amore 81 LOUIS ARAGON Le mani di Elsa 82 Elsa allo specchio 83 JACQUES PREVERT *I ragazzi che si amano 84

*Tre fiammiferi (Paris at night) 85 *Alicante 86 Il giardino 87 *Sabbie mobili 88 Per te amore mio 89 *Barbara 90 Prima colazione 92

NAZIM HIKMET *Anima mia 93 Benvenuta, donna mia 94 I tuoi occhi 9 5 Sono cent'anni 9 6 La mia donna è venuta con me 97

RAYMOND QUENEAU L’uomo del tramvai 98 (Rose rosse) 99 PABLO NERUDA Sonetto XI 100 Sonetto XII 101 Sonetto XLVII 102 Sonetto LXXXIX 103

*In te la terra 104 *Se tu mi dimentichi 105

WYSTAN H.. AUDEN Blues in memoria 107 ARSENIJ A. TARKOVSKIJ I primi incontri 108 CESARE PAVESE *You, wind of March 110

*La luce dei tuoi occhi 112 ATTILIO BERTOLUCCI La neve 113

La fidanzata 114 Le farfalle 115

ANNA MARIA ORTESE Mentre mio padre moriva ti vidi per la prima volta 117

PIERRE DELANOE *Et maintenant (E adesso) 118

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GEORGES BRASSENS Nell’acqua della chiara fontana pag. 119 MARGHERITA GUIDACCI *Prima del nostro incontro 120

*E’ come una mancanza di respiro 121 PINO RUFFO Natura morta 123 BLAGA DIMITROVA *Abbraccio 124

*Notti bianche 125 *Mattino 126 Senza amore 127

GERVASIO BELLINATO *Lettere alla moglie 128 WISLAWA SZIMBORSKA Accanto a un bicchiere di vino 130 AUTORE SCONOSCIUTO *Anello nuziale 131 GIORGIO CALABRESE *E se domani 132 ADONIS Uno specchio per Khàlida 133 ALDA MERINI Quando tu non ci sei 134

*Lettere 135 *Genesi 136

GINO PAOLI *Il cielo in una stanza 137 MUHAMMAD AL-MAGHUT Malinconia al chiaro di luna 138 MOGOL *Acqua azzurra acqua chiara 139 UNSI ‘L-HAGG Dialogo 141 BELLA ACHMADÙLINA *La tua casa 142

Io pensavo che tu eri il mio nemico 144 BIANCAMARIA FRABOTTA Quasi che il sonno l'uno all'altra 145 ELENA CLEMENTELLI Storia d'amore 146

Duello al tramonto 147 MOGOL *L’immensità 148 SEAMUS HEANEY Commiato 149 FABRIZIO DE ANDRÈ *Marinella 150 MARIANNA BUCCHICH L’intrusa 151 Il tempo dei desideri 152 VALERIO NEGRINI Infiniti noi 153 RENATO ZERO I migliori anni della nostra vita 154 ANTONIO GIAROLA Sei il mio fiore 155 MARIA TERESA MANCINI Ancora non ti conosco 156 Il sentiero del vento 157 Tremava l’ombra 158 CLAUDIO BAGLIONI *Questo piccolo grande amore 159 CARLA BARONI *XI Venere vedi come sei malvagia 161

XXI Sì fummo i soli esseri del tempo 162 XXIXIo ricordo che non ti dissi t'amo 163 L Mi son svegliata, ero nel mio letto. 164

ENRICO RUGGERI *Quello che le donne non dicono 165

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La felicità è amore, nient'altro. (Hermann Hesse)

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SPOSA SUMERA DEL 2000 a. C.

Con il canto di una sposa felice si aprono queste pagine di poesia d’amore. Per una fortunata coincidenza queste parole d'amore e di felicità si presentano agli esordi della civiltà quasi come un riflesso d'un amore coniugale quale dovette essere, se mai fu, quello di chi visse nell'Eden.

Fu cantato da una sposa per il proprio marito, il re Shu-Sin, che fu signore del paese di Sumer circa quattromila anni fa. Canto d'amore Sposo, caro al mio cuore, grande è la tua bellezza, dolce come il miele, leone1, caro al mio cuore, grande è la tua bellezza, dolce come il miele. Tu mi hai affascinata, lascia che io resti tremante davanti a te; sposo, io vorrei essere condotta da te nella camera da letto. Tu mi hai affascinata, lascia che io resti tremante davanti a te, leone, io vorrei essere condotta da te nella camera da letto. Sposo, lascia che ti accarezzi; la mia carezza sapiente è piú saporosa del miele, nella camera, colma di miele, godiamo della tua stupenda bellezza. Leone, lascia che ti accarezzi, la mia carezza sapiente è piú saporosa del miele. Sposo, tu hai preso piacere da me: dillo a mia madre, e lei ti offrirà leccornìe, dillo a mio padre e lui ti offrirà dei doni. La tua anima, io so dove allietare la tua anima; sposo, dormi nella nostra casa fino all'alba, il tuo cuore, io so dove rallegrare il tuo cuore; leone, dormi nella nostra casa fino all'alba. Tu, poiché mi ami, dammi, ti prego, le tue carezze,

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mio signore dio, mio signore protettore, mio Shu-Sin che rallegri il cuore di Enil, dammi, ti prego, le tue carezze.

1. Metafora: forte come un leone (Da CARLO LAPUCCI, CANZONIERE DELL’AMORE CONIUGALE, ED. CAPPELLI)

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ANONIMO EGIZIO DEL 1000 a. C.

(Testo rituale egizio che faceva parte della liturgia nella celebrazione del culto della dea Iside) LAMENTO DI ISIDE Vieni a casa tua, vieni a casa tua, o dio On !* Vieni a casa tua, tu che non hai nemici. O bel giovane vieni a casa tua per vedermi. Io sono la tua sorella che tu ami: tu non devi scostarti da me. O bel ragazzo, vieni a casa tua. Io non ti vedo ed i miei occhi ti desiderano. Vieni a quella che ti ama, Wennofre, tu beato ! Vieni alla tua sorella, vieni alla tua consorte, tu stanco di cuore. Vieni alla signora della tua casa. Io sono la tua sorella della tua stessa madre, tu non devi stare lontano da me. Gli dei e gli uomini hanno vòlto a te il loro viso e ti piangono insieme. Io ti chiamo e piango, che s'oda fino al cielo. Ma tu non odi la mia voce; eppure io sono la tua sorella che amavi sulla terra: tu non amavi nessuna all'infuori di me, fratello mio, fratello mio! *Osiride, marito della dea Iside (Da CARLO LAPUCCI, CANZONIERE DELL’AMORE CONIUGALE, ED. CAPPELLI)

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ANONIMO DELL’ANTICO TESTAMENTO

La bellezza della sposa LO SPOSO Bella, tutta sei bella, amica mia, non c'è difetto in te. Vieni con me dal Libano, sposa mia, vieni, vieni dal Libano. Scendi dalla vetta dell'Amana, dalle cime del Senir e dell'Hermon, dalle tane dei leoni, dai monti dei leopardi. Mi hai fatto impazzire, sposa mia, sorella, con un solo sguardo mi hai fatto impazzire, con una sola perla del tuo collo. Come è dolce il tuo amore, sposa mia, sorella, piú inebriante 'del vino è il tuo amore e la fragranza del tuo profumo il piú soave degli aromi. Stillano miele le tue labbra, sposa mia, miele e latte la tua lingua e profumo del Libano impregna le tue vesti. Tu sei un giardino recinto, sposa mia, sorella, una sorgente chiusa, una fonte sigillata. I tuoi germogli un orto di melograni, di alberi con frutti squisiti di fiori di Cipro, di nardo, nardo e croco, cannella e cinnamomo, di tutti gli alberi d'incenso, di mirra e d'aloè con gli aromi piú delicati.

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Una fontana di giardino, una polla d'acqua viva, un ruscello che scende dal Libano. LA SPOSA Levati aquilone1, vieni austro2, spira nel mio giardino, cola il tuo balsamo. Entri il mio amore nel suo giardino a gustare la delizia dei suoi frutti. (1 - 2 sono vènti.) (Dal CANTO DEI CANTICI, In <<CARLO LAPUCCI, CANZONIERE DELL’AMORE CONIUGALE, ED. CAPPELLI>>)

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SU WU (Poeta cinese vissuto tra il primo e il secondo secolo a.C.)

A sua moglie Dacché intrecciammo i capelli e fummo sposi Il nostro amore non fu spezzato da dubbi. Restiamo dunque allegri per questa notte tra feste e giochi; finché il buon tempo dura. A un tratto mi torna in mente la via da percorrere, balzo dal letto e m'affaccio sul davanzale. Le stelle e i pianeti sono tutti sbiaditi nel cielo, lunga, lunga è la strada – non posso restare. Vado a servire sul campo di battaglia senza sapere quando ritornerò. Ti tengo la mano; con solo un profondo sospiro - piú tardi il pianto – quando saremo divisi. Goditi intanto i fiori di primavera ma non scordare il nostro tempo d'amore. Sappi che se son vivo ritornerò, se muoio saremo ancor nel pensiero uniti. (Da CARLO LAPUCCI, CANZONIERE DELL’AMORE CONIUGALE, ED. CAPPELLI)

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SAFFO (poetessa greca del VII – VI sec. av. Cristo) Un dio mi sembra l’uomo Un dio mi sembra l’uomo che seduto di fronte a te t’ascolta già rapito mentre tu parli dolcemente, e ridi d’ugual dolcezza. Questo mi fa balzare in petto il cuore; così ogni volta che ti vedo , voce alle labbra non sale, ma la lingua ecco si spezza ed un fuoco sottile per la pelle serpeggia e d’improvviso più non vedo nulla cogli occhi, e paiono le orecchie sorde rombare, sudore freddo avvolge le mie membra, un tremito mi scuote, e più dell’erba verde divento, e non lungi da morte esser mi pare...

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SAFFO (poetessa greca del VII – VI sec. av. Cristo) A Gòngila O mia Gòngila, ti prego: metti la tunica bianchissima e vieni a me davanti: intorno a te muovi desiderio d'amore. Cosí adorna, fai tremare chi guarda; e io ne godo, perché la tua bellezza rimprovera Afrodite. (Da SALVATORE QUASIMODO, LIRICI GRECI, BMM MONDADORI)

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SAFFO (poetessa greca del VII – VI sec. av. Cristo) Vorrei veramente essere morta Vorrei veramente essere morta. Essa lasciandomi piangendo forte, mi disse: « Quanto ci è dato soffrire, o Saffo: contro mia voglia io devo abbandonarti. » « Allontanati felice » risposi « ma ricorda che fui di te sempre amorosa. Ma se tu dimenticherai (e tu dimentichi!) io, voglio ricordare i nostri celesti patimenti: le molte ghirlande di viole e rose che a me vicina, sul grembo intrecciasti col timo; i vezzi di leggiadre corolle che mi chiudesti intorno al delicato collo; e l'olio da re, forte di fiori, che la tua mano lisciava sulla lucida pelle; e i molli letti dove alle tenere fanciulle joniche nasceva amore della tua bellezza. Non un canto di coro, né sacro, né inno nuziale si levava senza le nostre voci; e non il bosco dove a primavera il suono... » (Da SALVATORE QUASIMODO, LIRICI GRECI, BMM MONDADORI)

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GAIO VALERIO CATULLO (87-54 a.C.)

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo, Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo, e ogni mormorio perfido dei vecchi valga per noi la più vile moneta. Il giorno può morire e poi risorgere, ma quando muore il nostro breve giorno, una notte infinita dormiremo. Tu dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille, e quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento. E quando poi saranno mille e mille, nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l’invidioso per un numero di baci così alto. (Da VALERIO CATULLO, CANTI, TRAD. SALVATORE QUASIMODO, ED. MONDADORI)

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GAIO VALERIO CATULLO (87-54 a.C.)

Povero Catullo, basta con le follie Povero Catullo, basta con le follie, ciò ch'è finito, convinciti, è finito! Un tempo brillarono per te limpidi giorni, quando correvi dove voleva la fanciulla da te amata come nessuna sarà mai amata. E là, quante dolcezze nei giochi d'amore, che tu volevi, allora, e lei non rifiutava. Davvero brillarono per te limpidi giorni! Ma ora non vuole piú, e tu cerca di vincerti, e mostrati indifferente come lei, e non seguire i suoi passi se ti fugge, e non tormentarti piú, ma, ostinato, resisti. Addio, fanciulla, ormai Catullo è deciso, non tornerà a cercarti, non ti vuole per forza. Ma tu soffrirai, se non sei desiderata. Ti pentirai, perfida! Che vita sarà la tua? Chi, ora, verrà da te? E per chi sarai bella? E chi amerai? E di chi si dirà che tu sei? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, ostinato, resisti. (Da VALERIO CATULLO, CANTI, TRAD. SALVATORE QUASIMODO, ED. MONDADORI)

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GAIO VALERIO CATULLO (87-54 a.C.)

Odio e amo Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; non so, ma è proprio così, e mi tormento. (Da VALERIO CATULLO, CANTI, TRAD. SALVATORE QUASIMODO, ED. MONDADORI)

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QAYS (poeta arabo VII secolo)

<<La storia d'amore tra il poeta Qays e sua cugina Laylà è divenuta una leggenda tramandata nei secoli. II giovane Qays s'innamorò di sua cugina Laylà e incominciò a scriverle dei versi d'amore. Un giorno l'incauto innamorato, in preda all'entusiasmo della passione, annunciò pubblicamente l'identità della sua amata, trasgredendo così una norma di discrezione della società beduina che vietava l'ostentazione dei propri sentimenti in pubblico e la dichiarazione del nome della persona amata. La storia d'amore si mutò in tragedia: la dichiarazione di Qays compromise l'onore di Laylà, la quale venne ritenuta haràm, «proibita». Solo un altro uomo che, sposando legittimamente Laylà, l'avesse dichiarata pura, avrebbe potuto dissipare ogni sospetto sull'integrità della fanciulla. Laylà andò pertanto in sposa a un altro uomo, mentre il giovane Qays cominciò a errare nel deserto, conducendo una vita solitaria, e sfogò nella composizione di poesie la sua passione mai esaurita. >> Risplendi o Laylà Risplendi, o Laylà, quando ormai è l'ora che all'orizzonte già cala la luna. Sorgi, quando nel ciel tarda l'aurora: la luce e i raggi che il sole aduna splendono in te ma il sole non ricuce col filo dei tuoi denti il tuo sorriso. Di luna e sole insieme tu hai la luce, essi non hanno gli occhi che ha il tuo viso. Se hai tu della luna il bianco brillante, essa non ha il tuo collo né il tuo seno, e il sole mattiniero, sì splendente, non ha il tuo sguardo, di languore pieno. Donde esso mai potrebbe trarlo seco? donde trarrebbe la grazia infinita di Laylà, quando, il volto chino e sbieco, ha gli occhi di un'antilope impaurita? Non so se il suo sorriso non somigli di più, con i suoi bianchi denti ascosi,

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di GarWal-Muradayri' ai noti gigli 20 o a ricche perle, gioielli preziosi. Ed è tanto gentile la mia amica, sì delicata e dalle carni belle, che se solo la sfiora una formica le lascia impresso un segno sulla pelle. Ed è il suo incedere sì delicato, che con piccoli passi ella s'avanza, serrati che le si misura il fiato, graziosi che somigliano a una danza. Ed è sì debole che se si china, 30 ella, con grazia e tenerezza enorme, teme-che la sua taglia troppo fina dei fianchi lasci intraveder le forme. Mamma gazzella ormai più non si cura, ché al materno zelo non ritorna, del cucciolo dalla zampa insicura, che presso al-'Aqìqayn 2 vive e soggiorna. Ma del terreno umido ed ameno la primavera lo splendor ravviva, così da un nembo già carico e pieno la prima pioggia finalmente arriva. Nei pressi delle alture di Laylà, una sera facciamo sosta sulle lande riarse lì dove il suo accampamento era, ma le cui tracce sono ormai scomparse. La nuvola rigonfia d'acqua gronda due piogge sopra il campo abbandonato: la prima mattutina, e la seconda mentre partiamo, al suono di un boato. Sopra il prato di lavanda soffia la brezza, e sopra i fiori aulenti, e ovunque intorno, e sull'intera landa verdeggiano le foglie rilucenti. Già sul fare della sera sentiamo dei profumi in lontananza

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' Luogo rinomato per una sorgente d'acqua. che, poi che viene ormai la notte nera, si fondono in un'unica fragranza. Oscillano di Laylà gli occhi lassi, come chi con fatica passa un ponte: ella non sa se invertire i passi 60 o delle mandrie se seguir le impronte. Ma, devo dir, la cosa sua più bella, che più di tutto ispira in me il desio, è quando, nel durar del viaggio, ella si volta, ed il suo sguardo incrocia il mio e sul mio volto languido si posa ed i miei occhi piangono d'amore, dalle palpebre mie stillano a iosa lucide perle colme di languore. Sol la sua luce ho visto, solo questa, 70 solo il suo occhio luminoso e bruno, ma dell'accampamento ciò che resta non vidi, e ora non ho ricordo alcuno. Gli occhi incavati e la polvere in faccia, per darle aiuto ogni donna anziana solleva Laylà sulle proprie braccia per porla poi, piangente, in carovana. Sempre lodato son per la pazienza con cui sopporto questa sofferenza ma per la passione in me non v'è pazienza. (Trad. R. La Scaleia)

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WALLADA (poeta arabo, Cordova ? - 1091)

Torneremo insieme? Torneremo insieme dopo la separazione? Tutti gli innamorati piangono le loro pene! Le ore dell'incontro invernale veloci son passate, su ardenti braci di desiderio sono consumata! Altro non potrebbe essere: da te sono separata! Quel che temevo il rapido destino mi ha portato! Passano le notti, ma la separazione è infinita; schiava di passione neanche la pazienza mi ha liberata. Che Dio asperga la terra che ti ha rifugiato con piogge abbondanti e copiosamente versate! (Trad. L. Bariani)

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DANTE ALIGHIERI (1265-1321)

Tanto gentile e tanto onesta pare Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ’ntender no la può chi no la prova: e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d’amore, che va dicendo a l’anima: Sospira.

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FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)

Chiare, fresche e dolci acque Chiare, fresche e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; erba e fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udïenza insieme a le dolenti mie parole estreme. ................................................... Da' be' rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo; ed ella si sedea umile in tanta gloria, coverta già de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito e perle eran quel dí a vederle; qual si posava in terra, e qual su l'onde; qual con un vago errore girando parea dir: - Qui regna Amore. – ………………………………….

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LOUISE LABÉ (Poetessa francese 1524 – 1566)

Deh, s’io potessi vivere Deh, s’io potessi vivere fin da oggi, domani e sempre, tra le sole braccia dell’uomo amato, e s’egli mi dicesse stringendomi al suo petto: O amica cara, amiamoci fra noi, ben soddisfatti l’uno dell’altra, senza che più nulla possa in vita dividerci ; se, al colmo del possesso tra noi, mentre lo tengo stretto al pari dell’edera e del fusto, la morte invidiosa ci strappasse l’uno all’altra per sempre, allora, al colmo dei nostri amplessi, esalerei lo spirito mio sulle labbra sue, fino a morirne d’una felicità che non ha nome.

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WILLIAM SHAKESPEARE (1564-1616)

LXXV

Tu sei per i miei pensieri come il cibo per la vita,

o come per la terra le dolci piogge di primavera, e per amor tuo sostengo una lotta come l'avaro con le sue ricchezze: Ora orgoglioso possessore, e quindi affranto che i tempi ladri gli rubino il suo tesoro; ora contando solo di stare con te, e ora preferendo che anche altri partecipino delle mie conquiste; Qualche volta deliziato della tu vista, e poco dopo affamato di un tuo sguardo; non possedendo né cercando altra gioia che quella che tu dai o che da te io spero. E così, giorno dopo giorno, languisco e sono sazio, di tutto disponendo, e tutto desiderando.

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ANTON MARIA LAMBERTI (poeta veneziano 1757-1832)

La biondina in gondoeta La biondina in gondoeta l’altra sera gò menà, dal piasser la povareta la s’ha in boto indormensà. La dormiva su ‘sto brasso, mì ogni tanto la svegiava, mì ogni tanto la svegiava. E a barca che ninava la tornava a indormensar, e a barca che ninava la tornava a indormensar. Contemplando fisso, fisso, ‘e fatesse del mio ben, quel visetto cussì slisso, quea bocca e quel bel sen mi sentiva dentro al petto una smania, un missiamento, una smania, un missiamento. Una specie de contento che no' so come spiegar, una specie de contento che no' so come spiegar. Mò stufà, oh finalmente, de sto tanto so' dormir, e gò fato da insoente, no m' 'ò vudo da pentir. Perchè, Oddio, che bee cose ghe go dito e ghe go fato, ghe go dito e ghe go fato. No, mai più tanto beato ai me zorni no so stà. No, mai più tanto beato ai me zorni no so stà.

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ELIZABETH BARRETT BROWNING (Poetessa inglese 1806 – 1861)

È vero, il grande amore È vero, il grande amore che è mio vanto, dal petto risalendomi alla fronte, con un tale rubino mi incorona, che gli occhi degli uomini cattura, e misura l'intimo valore. Questo amore, unico mio pregio, non avrei, se l'esempio tu non mi avessi dato, insegnandomi come: quando il tuo schietto sguardo il mio ebbe incrociato e amore dall'amore ha chiamato. Non posso quindi dire che amore sia cosa mia; l'anima stanca e fragile hai rapita, posandola con te su un trono d'oro. E se amo, (oh, anima, umili siamo!) è per te solo, il solo che io amo.

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GIOSUE CARDUCCI (1835 – 1907)

Poesia giovanile, composta a soli 18 anni. I voti de l'amore Canto tirolese imitato in lingua toscana Ogni gioia per me nel mondo è morta poi che lontano dimoro allo mio amore. Se le potessi aprire il duol che porta, alcuna medicina avrebbe il cuore. Fortunato usignol che sai volare, ti piaccia di volerla salutare: voglile dire per tua cortesia che s’arricordi d'esser sempre mia. Orefice che stai a la finestra, lavora in oro schietto un anellino, in oro schietto color di ginestra che lo possa infilare un bel ditino, un bel ditino sottile sottile come gambo di mammola in aprile: con lacrime di doglia e di desio scrivici nel di dentro il nome mio. Se una chiave avessi io di diamante lo cor con quella chiave aprir vorria; e così aperto e nudo a te d’avante i’ lo vorrei portar, speranza mia. Tu ci vedresti un'immagine bella come la stella Diana tua sorella; un'immagine bella ci vedresti, ed io so, cara, che ne piangeresti. Se un uccellin fossi io della foresta andrei a posarmi in sur un arbor verde: vorrei cantare una canzone mesta come quel giorno che l'amor si perde. E quando avessi cantato a bastanza, a te vorrei volare, oh mia speranza; l'esser lontana non ti gioveria, ché volerei da te, speranza mia.

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O colombella che d’amor ti lagne prestami in cortesia quell'ali belle; di sopra valli, di sopra montagne voglio volare all'amor mio con quelle. Se lo mio amore non mi vuol parlare, fuggirò quanto un’ala può portare. Chissà dove anderò con l'ali tue, e il mio tesoro non mi vedrà piùe. (maggio ’53)

(Da GIOSUE CARDUCCI, TUTTE LE POESIE, NEWTON COMPTON EDITORI)

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GIOSUE CARDUCCI (1835 – 1907)

Panteismo Io non lo dissi a voi, vigili stelle, A te no ’l dissi, onniveggente sol: Il nome suo, fior de le cose belle, Nel mio tacito petto echeggiò sol. Pur l’una de le stelle a l’altra conta Il mio secreto ne la notte bruna, E ne sorride il sol, quando tramonta, Ne’ suoi colloqui con la bianca luna. Su i colli ombrosi e ne la piaggia lieta Ogni arbusto ne parla ad ogni fior: Cantan gli augelli a vol — Fósco poeta, Ti apprese al fine i dolci sogni amor. — Io mai no ’l dissi: e con divin fragore La terra e il ciel l’amato nome chiama, E tra gli effluvi de le acacie in fiore Mi mormora il gran tutto — Ella, ella t’ama. (aprile ‘72) (Da GIOSUE CARDUCCI, TUTTE LE POESIE, NEWTON COMPTON EDITORI)

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GIOSUE CARDUCCI (1835 – 1907)

Qui regna amore Ove sei? de’ sereni occhi ridenti A chi tempri il bel raggio, o donna mia? E l’intima del cor tuo melodia A chi armonizzi ne’ soavi accenti? Siedi tra l’erbe e i fiori e a’ freschi venti Dài la dolce e pensosa alma in balía? O le membra concesso hai de la pia Onda a gli amplessi di vigor frementi? Oh, dovunque tu sei, voluttuosa Se l’aura o l’onda con mormorio lento Ti sfiora il viso o a’ bianchi omeri posa, È l’amor mio che in ogni sentimento Vive e ti cerca in ogni bella cosa E ti cinge d’eterno abbracciamento. (agosto ‘72) (Da GIOSUE CARDUCCI, TUTTE LE POESIE, NEWTON COMPTON EDITORI)

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GIOSUE CARDUCCI (1835 – 1907)

Primavera classica Da i verdi umidi margini La violetta odora, Il mandorlo s'infiora, Trillan gli augelli a vol. Fresco ed azzurro l'aere Sorride in tutti i seni: Io chiedo a' tuoi sereni Occhi un piú caro sol. Che importa a me de gli aliti Di mammola non tócca? Ne la tua dolce bocca Fremeun piú vivo fior. Che importa a me del garrulo Di fronde e augei concento? Oh che divino accento Ha su' tuoi labbri amor! Auliscan pur le rosee Chiome de gli arboscelli: L'onda de' tuoi capelli, Cara, disciogli tu. M'asconda ella gl'inànimi Fiori del giovin anno: Essi ritorneranno, Tu non ritorni piú. Marzo 1873 (Da GIOSUE CARDUCCI, TUTTE LE POESIE, NEWTON COMPTON EDITORI)

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ABORIGENI AUSTRALIANI

Questo è un Canto d’amore tradizionale degli <<Uomini Formica–del miele>> per la conquisa di una donna. Un canto primitivo e ingenuo, pieno di fascino. *** Lentamente camminava, Danzando e saltellando Lei viaggiava. *** Riposava all'ombra, sedeva E dormiva. *** Amante, amante, Amante, preso al laccio, accalappiato.

Amante, preso al laccio, accalappiato. *** Ammirò le gambe ben tornite, Ammirò i fianchi e gli occhi della donna. *** Volse lo sguardo al visitatore, Malato d'amore. *** Le bellissime decorazioni sul mio corpo La condurranno verso di me.

*** Lei cercò, mentre era mezza addormentata, Lei guardò, cercò. *** L'uomo iniziato, Danzando, visitò lo spirito di lei. *** Essi si sedettero Come amici, stanchi. *** L'uomo cercò il sito sacro,

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In dubbio se prendere gli oggetti sacri oppure no. *** Si abbracciarono con tenerezza, I suoi pensieri colmi di lui. *** Pensieri colmi di lui, incantati, Intrappolati. *** L'uomo iniziato L'ha catturata per sempre. *** Si decorò per una cerimonia d’amore Mentre camminava, con le Croci di corda simili a orecchie di cane. (Da CANTI DEGLI ABORIGENI AUSTRALIANI, OSCAR MONDADORI)

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INDIANI D’AMERICA

Risveglio Svegliati! Fiore della foresta, cielo che cammina, uccello di pianura, creatura dagli occhi di cerbiatto, quando mi guardi io sono felice come un fiore che beve la rugiada, il tuo respiro è l'alito di fiori che si schiudono al mattino, di fiori che si chiudono alla sera contro una luna color di foglia morta. Non vedi il fiotto rosso del mio sangue correrti incontro come un torrente nel fitto della macchia in una notte magica di luna? Se mi sei accanto canta il mio cuore, e danza come un ramo scosso dallo Spirito del Vento, in una luna di fragole. Quando mi guardi severa nero mi si fa il cuore, come un fiume abbagliante che nubi di pioggia oscurano. Se mi sorridi, ecco che torna il sole, e sono un'increspatura disegnata sul viso dello stagno. Guardami, guarda il rosso tamburo del mio cuore. Ride la terra, il cielo assieme a lei: io non ricordo più come si ride se non mi sei vicina. Svegliati, amore, svegliati! (CANTO DEGLI INDIANI ALGONKIN CHIPPEWA) Il testo poetico indiano è tratto da “49 CANTI DEGLI INDIANI D’AMERICA” - I MITI POESIA - Mondadori

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INDIANI D’AMERICA

Invito notturno Vieni, amore mio, saliamo insieme il fianco ripido della montagna. Da lì guarderemo il tramonto e parleremo di foglie che cadono; e quando sarai mia sposa ci siederemo là finché la Bella Viaggiatrice della notte si fermerà a splendere proprio accanto alla cima. Guarderemo le stelle bambine seguire le più grandi, gli Astri del nord giocare a palla, il Fulmine farci cenno mentre accende la pipa, il remeggio potente dell'Uccello di Tuono, e la stirpe di Tornado e Tempesta. Aspetteremo finché tutto intorno sprofonderà nel sonno. Ma noi non dormiremo. Ci siederemo insieme sulla cima e non faremo caso al gufo che griderà: "È ora di dormire!». Guarderemo le stelle nel loro volo immemore nel cuore della notte. Ci stringeremo più vicini, con il pensiero rivolto a noi soltanto. E ancora il gufo griderà: "Tutti a dormire!" Ci si avvicinerà la Bella Viaggiatrice della notte

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per avvertirci che tutto, tranne noi, arà affondato in un suo sogno, e che le stelle bambine e perfino l'Uccello di Tuono avranno fermato il proprio volo. Ed è vero, il gufo è una saggia creatura, e al suo richiamo ogni giovane uomo, ogni fanciulla, dovrebbe ubbidire e rifugiarsi, a notte, tra le pareti della propria casa: non come noi, distratti da complici stelle. (CANTO DEGLI INDIANI ALGONKIN) Il testo poetico indiano è tratto da “49 CANTI DEGLI INDIANI D’AMERICA” - I MITI POESIA - Mondadori

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INDIANI D’AMERICA

Bellezza della mia donna Dalla mia casa, dalla mia donna, bellezza s'irradia e si espande. Dai quattro angoli della mia casa, dal cuore forte della mia compagna, bellezza s'irradia, ricopre le cose con un fascio di luce. (CANTO DEGLI INDIANI NAVAJO) Il testo poetico indiano è tratto da “57 CANTI NAVAJO” - I MITI POESIA - Mondadori

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DONNA PIGMEA DELL'AFRICA CENTRALE

Compianto funebre Non andrò più alla caccia né alla pesca, non coglierò dell'alta palma i grappoli, non cercherò miele nel bosco perché tu mi hai lasciata. Poiché non ci sei più non mangerò più carne né miele né radici o pesce. Ma perché sei scomparso, caro che amavo tanto? Voglio morire anch'io perché non ci sei più. (Canto di una donna pigmea dell'Africa Centrale)

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ANONIMO GIAPPONESE

Dolore Ritorno senza incontrarlo. Fonda notte nel cuore. Forse splende la luna, ma non vedo la strada. (Canto popolare giapponese)

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JOHANN WOLFGANG VON GOETHE (poeta tedesco 1749-1832)

Or quale amica sua ti vedo apparirmi

Or quale amica sua ti vedo apparirmi, […]per un festivo giorno. La copia dei suoi ricci mi trovo sul sen; la testina riposa e preme il braccio che al collo suo si presta. Oh qual dolce destarsi! serbate, o chete ore, il ricordo del piacere, che lieti cullando ci addormìa. Si muove ella nel sonno, s'abbassa sul largo del letto. svoltasi, ma pur sempre, ecco, la man mi tiene. Sincero amore ci lega e fedele desio, di variar soltanto si riserbò la brama. A una stretta di mano io veggo i begli occhi di nuovo aprirsi. Oh no! ch'io possa ancora un po' mirarla. Non vi aprite! voi ebbro, confuso mi fate; rubate del puro contemplare a me presto il diletto. O magnifiche forme! o come tornite le membra! Se Arianna, o Teseo, bella così dormìa. come fuggisti? Oh bacia, Teseo, queste labbra! poi vanne.

Ma guardala! Si desta! — Per sempre or suo sarai.

Da JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, ELEGIE ROMANE- EPIGRAMMI VENENZIANI, ED. NEWTON

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JOHANN WOLFGANG VON GOETHE (poeta tedesco 1749-1832)

Faustina […] esacrabile affatto temer su la via de l'amore, serpi, e velen frammezzo le rose del piacere; se nel momento in cui più bella ti s'offre la gioia al tuo capo inclinato la sussurrante cura s'approssima. Per questo Faustina mi rende felice! Ella è fedele, e lieta partecipa al mio letto. L'alacre giovinezza d'intrighi si piaccia attraenti: un bel sicuro in pace amo io godermi a lungo. Qual voluttà, la nostra! noi baci sicuri scambiamo, ci suggiam confidenti alito e vita entrambi. Così l'intera notte si gode, e premendoci al seno, stiamo la pioggia a udire, il nembo, il temporale. Vien così l'alba, e l'ore ci recano fiori novelli, e adomanci ridendo festevolmente il giorno. Non mi portate invidia, Quiriti! un tal ben vi consenta, d'ogni bene del mondo primo ed ultimo, il nume.

Da JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, ELEGIE ROMANE- EPIGRAMMI VENENZIANI, ED. NEWTON

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JOHANN WOLFGANG VON GOETHE (poeta tedesco 1749-1832)

Sempre tra le mie braccia voglioso trattengo l’amata Sempre tra le mie braccia voglioso trattengo l’amata, sempre il mio cuore s'avvince con forza al suo seno, sempre il mio capo riposa sui suoi ginocchi: lo sguardo sollevo alla bocca ridente, ai suoi occhi. «Smidollato!». mi dicono, «così passi i tuoi giorni?» Ah, male li passo! Senti un po' che mi capita: ho voltato le spalle, ahimè, all'unica gioia della vita, la carrozza son già venti giorni che mi porta lontano. Vetturini che tengono d broncio, camerieri insinuanti, e il servo di piazza che inedita menzogna e raggiro. Se provo a evitarli, mi cattura il mastro di posta, chi comanda è il postiglione, e c'è pure la dogana! «Non ti capisco! Ti contraddici! Sembravi godertela come in Paradiso. in tutto. come Rinaldo, felice.» Ah, mi capisco io: è in viaggio il mio corpo, ma in grembo all'amata pur sempre lo spirito posa.

Da JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, ELEGIE ROMANE- EPIGRAMMI VENENZIANI, ED. NEWTON

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HEINRICH HEINE (poeta tedesco 1797-1856)

Lungi lungi Lungi lungi, su l'ali del canto di qui lungi recare io ti vo': là, nei campi fioriti del santo Gange, un luogo bellissimo io so. Ivi rosso un giardino risplende de la luna nel cheto chiaror: ivi il fiore del loto ti attende, o soave sorella de i fior. Le viole bisbiglian vezzose, guardan gli astri su alto passar; e tra loro si chinan le rose odorose novelle a contar. Salta e vien la gazzella, l'umano occhio volge, si ferma a sentir: cupa s'ode lontano lontano l'onda sacra del Gange fluir. Oh che sensi d'amore e di calma beveremo ne l'aure colà! Sogneremo, seduti a una palma, lunghi sogni di felicità. (Traduzione di Giosuè Carducci)

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RABINDRANATH TAGORE (Poeta indiano 1861 – 1941)

Il tuo amore Sì, lo so, non è nient'altro che il tuo amore questa luce dorata che danza sulle foglie, queste pigre nubi che veleggiano nel cielo, questa brezza che passa lasciando la sua freschezza sulla mia fronte. La luce del mattino m'ha inondato gli occhi: è questo il tuo messaggio al mio cuore. Chini il viso, i tuoi occhi fissano i miei occhi, e il mio cuore ha toccato i tuoi piedi. (Il testo è tratto da “TAGORE, POESIE: GITANJALI – IL GIARDINIERE, trad. Girolamo Mancuso, ED. NEWTON)”

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RABINDRANATH TAGORE (Poeta indiano 1861 – 1941)

La storia dei nostri cuori Le mani si stringono alle mani e gli occhi indugiano sugli occhi: così comincia la storia dei nostri cuori. E' la notte della luna di marzo; nell'aria un dolce profumo di henna; il mio flauto giace per terra e la tua ghirlanda di fiori non è terminata. Questo amore fra me e te è semplice come una canzone. Il tuo velo color zafferano inebria i miei occhi, la corona di gelsomini che tu intrecci mi commuove come una lode. E' un gioco di dare e trattenere, di svelare e di nuovo velare; di sorrisi e di timidezze, e di dolci inutili lotte. Questo amore fra te e me è semplice come una canzone. Nessun mistero al di là del presente; nessuna lotta per l'impossibile; nessuna ombra dietro l'incanto; nessuna ricerca nel buio. Questo amore fra te e me è semplice come una canzone. (Il testo è tratto da “TAGORE, POESIE: GITANJALI – IL GIARDINIERE, trad. Girolamo Mancuso, ED. NEWTON)”

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RABINDRANATH TAGORE (Poeta indiano 1861 – 1941)

Un tocco fugace Quando mi passò accanto con passi veloci, l'orlo della sua gonna mi sfiorò. Dall'ignota isola d'un cuore venne improvviso un caldo alito di primavera. Il tremito d'un tocco fugace mi sfiorò e svanì in un momento, come petalo d'un fiore reciso trasportato sull'ali della brezza. Si posò sul mio cuore come un sospiro del suo corpo e un sussurro del cuore. (Il testo è tratto da “TAGORE, POESIE: GITANJALI – IL GIARDINIERE, trad. Girolamo Mancuso, ED. NEWTON)”

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RABINDRANATH TAGORE (Poeta indiano 1861 – 1941)

I lacci della tua dolcezza Liberami dai lacci della tua dolcezza, amore mio! Non più questo vino di baci. Questa greve nebbia d'incenso fa soffocare il mio cuore. Apri le porte, fa entrare la luce del mattino. Sono perduto in te, prigioniero delle tue carezze. Liberami dai tuoi incantesimi, ridonami la forza d'offrirti il mio cuore liberato. (Il testo è tratto da “TAGORE, POESIE: GITANJALI – IL GIARDINIERE, trad. Girolamo Mancuso, ED. NEWTON)”

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GABRIELE D’ANNUNZIO (1863-1938)

Il brano, tratto dalla tragedia <<LA FIGLIA DI JORIO>>, è paragonabile all’Intermezzo della <<Cavalleria rusticana>>. Si colloca nel bel mezzo di un cupo dramma e rasserena gli animi con la poesia di un leggiadro e musicale “duetto” d’amore. Aligi è un giovane pastore e Mila una giovane donna dalla cattiva fama. Ha conosciuto Aligi quando si è rifugiata nella sua casa per sfuggire alle molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. La scena si svolge in una caverna pastorale, sui monti dell’Abruzzo. MILA Aligi, fratel mio! Dammi la mano. ALIGI Mila, il cammino è là, poco lontano. MILA Dammi la mano tua, ch'io te la baci. È il sorso che concedo alla mia sete. ALIGI Appressandosi. Mila, col tizzo io la volli bruciare. È quella mano trista che t'offese. MILA Non mi rammento. Io son la creatura che trovasti seduta su la pietra, che veniva chi sa da quali strade. ALIGI appressandosi ancora. Su la tua faccia il pianto non s'asciuga, creatura. Una lacrima ti resta nei cigli; trema, se parli; e non cade. MILA S'è fatto un gran silenzio. Aligi, ascolta. Non cantan più. Con l'erbe e con le nevi, siamo soli, fratello, siamo soli. ALIGI

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Mila, tu sei come la prima volta là su la pietra, quando sorridevi con gli occhi e avevi i piedi sanguinosi. MILA E tu, tu non sei quello inginocchiato che i fioretti di San Giovan Battista posò per terra? Ed una li raccolse e se li porta nello scapolare. ALIGI Mila, una risonanza nella voce hai, che mi consola e mi contrista come d'ottobre quando con le mandre si cammina cammina lungo il mare. MILA Camminare con te per monti e spiagge, vorrei che questa fosse la mia sorte. ALIGI O compagna, prepàrati al viaggio. Lungo è il cammino, ma l'amore è forte. MILA Aligi, passerei sul fuoco ardente, e che l'andare non avesse fine! ALIGI Pei monti coglierai le genzianelle e per le spiagge le stelle marine.

MILA Se dovessi pontare i miei ginocchi nelle tue péste, mi trascinerei. ALIGI Pensa ai riposi, quando farà notte La menta e il timo avrai per origlieri. MILA Non penso, no. Ma lascia, anche per questa notte, ch'io viva dove tu respiri, ch'io t'ascolti dormire anche una volta, che anch'io vegli per te come i tuoi cani!

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ALIGI Tu lo sai, tu lo sai quel che s'attende. Con te partisco l'acqua il pane e il sale. E così partirò la giacitura fino alla morte. Dammi le tue mani! Si prenderanno per le mani guardandosi fisamente. MILA Ah, si trema, si trema. Tu sei freddo, Aligi, tu ti sbianchi... Dove va il sangue del tuo viso che si perde? Ella si scioglierà e con le mani gli sfiorerà le gole. ALIGI O Mila, Mila, sento come un tuono... E tutta la montagna si sprofonda. Dove sei? dove sei? Tutto si perde. Anch'egli tenderà le mani verso di lei, come uno che brancoli. E si baceranno. Poi cadranno entrambi in ginocchio, l'uno di contro all'altra. MILA Misere di noi, vergine Santa! ALIGI Misere di noi, Cristo Gesù! Sarà grande silenzio. (Da GABRIELE D’ANNUNZIO, LA FIGLIA DI IORIO, ED. MONDADORI)

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EDGAR LEE MASTERS (1869-1950)

Paul McNeely Cara Jane! cara adorabile Jane! Come scivolavi nella stanza (dove giacevo così malato) con la tua cuffietta da infermiera e i polsini di lino, mi prendevi la mano e dicevi con un sorriso: «Non siete poi così malato — starete presto bene». E come il liquido pensiero dei tuoi occhi affondava nei miei, quale rugiada che penetra nel cuore di un fiore. Cara Jane! l'intera fortuna dei McNeely non avrebbe potuto comprare la tua cura di me, giorno e notte, notte e giorno; né pagare il tuo sorriso, né il calore della tua anima, nelle tue manine posate sulla mia fronte. Jane, fino a che la fiamma della vita scomparve nell'oscurità, oltre il disco della notte, anelai e sperai di guarire per adagiare il mio capo sui tuoi piccoli seni, e tenerti avvinghiata in una stretta d'amore — mio padre provvide per te alla sua morte, Jane, cara Jane? (Da EDGAR LEE MASTERS, ANTOLOGIA DI SPOON RIVER, TRAD. LETIZIA CIOTTI MILLER, ED.NEWTON)

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APOLLINAIRE (poeta francese 1880-1918)

Mia Lou stasera m'accuccerò nelle trincee Mia Lou stasera m'accuccerò nelle trincee Scavate vicino ai nostri cannoni Sono a dodici chilometri da qui Quei buchi dove avvolto nel mantello color orizzonte Scenderò mentre scoppiano le bombe Per viverci tra i nostri soldati trogloditi Il treno si è fermato a Mourmelon le Petit Sono arrivato contento com'ero partito Andremo subito alla nostra batteria Attualmente sono con la fanteria Fischiano proiettili nel cielo grigio del nord Nessuno per ora guarda in faccia la morte * E vivremo così nelle prime linee Canterò le tue braccia come i colli dei cigni Canterò i tuoi seni degni di una dea Il lillà sta per fiorire Canterò i tuoi occhi Dove danza tutto un coro di graziosi angioletti Il lillà sta per fiorire oh cupa primavera Il mio cuore arde per te come una cattedrale E suona l'adunata dell'immenso amore Povero cuore povero amore Dègnati di sentire il rantolo Che sale dalla mia vita alla tua gran bellezza T'invio un proiettile pieno di fedeltà E testimoni oh Lou l’esplosione del mio bacio.

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APOLLINAIRE (poeta francese1880-1918)

Piccola Lou malgrado tutto conosco la tua dolcezza Piccola Lou malgrado tutto conosco la tua dolcezza seguendo la Primavera ogni giorno sul sentiero E bagnandomi la fronte in quest'ombroso profumo Che mi giunge dai giardini dove ti rivedo tutta Così conquisterò il gran cuore profumato Dell'universo tiepido e dolce come la tua bocca E il suo tenero volto in questa metà di maggio Si offre a me tutt'a un tratto languido sul suo letto Di petali di iris di grappoli di lillà Piccola Lou d'Amore sento al mio collo le tue braccia rosa Quest'isola di corallo che esce dai tuoi occhi stanchi E che disponi sull'oceano dell'Amore.

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JUAN RAMON JIMENEZ (poeta spagnolo 1881-1958)

Ti riconobbi, perché guardando l'orma Ti riconobbi, perché guardando l'orma del tuo piede sul sentiero, sentii dolore al cuore che tu calpestasti. Corsi follemente; cercai per tutto il giorno, come un cane senza padrone. ...Te n'eri già andata! E il tuo piede calpestava il mio cuore, in una fuga senza fine, come se quello fosse il cammino che ti portava via per sempre... (DA JIMENEZ. POESIE D’AMORE, NEWTON)

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JUAN RAMON JIMENEZ (poeta spagnolo 1881-1958)

Bacio d’amore Lascia colare il tuo bacio - come una fonte - filo fresco nella tazza del mio cuore! Il mio cuore, poi, sognando, ti restituirà, doppia, l'acqua del tuo bacio, dal canale del sogno, da sotto la vita. E l'acqua del tuo bacio

- oh nuova aurora della fonte! sarà eterna e eterna, perché il mio amore sarà la sua sorgente. (DA JIMENEZ. POESIE D’AMORE, NEWTON)

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JUAN RAMON JIMENEZ (poeta spagnolo 1881-1958)

Taci! Gusta lo zenit Taci! Gusta lo zenit, ascolta il sole. Non parlarmi! Unisci, nel fiore permanente di un infinito amore, le tue mani alle mie, il tuo silenzio al mio. Taci! Aspira l'azzurro, ascolta l'oro. (DA JIMENEZ. POESIE D’AMORE, NEWTON)

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JUAN RAMON JIMENEZ (poeta spagnolo 1881-1958)

Rampicanti Sei come il fiore del ramo più alto del cielo. Il tuo profumo viene - che buono! — da tanto lontano come io ti reco, col ramo più profondo della terra, il mio bacio. (DA JIMENEZ. POESIE D’AMORE, NEWTON)

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JUAN RAMON JIMENEZ (poeta spagnolo 1881-1958)

Nel nostro amore, la pena e la gioia Nel nostro amore, la pena e la gioia si accendono e si spengono, come, a primavera, la mattina e la sera. Oh soave scontro dolce dell'ombra e della luce, della luce e dell'ombra — né luce del tutto, né ombra del tutto —, belle loro due, come quelle due; simulacro di lotte, uguali nella disfatta e nel trionfo! Amore; crepuscolo, aurora di primavera! (DA JIMENEZ. POESIE D’AMORE, NEWTON)

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JUAN RAMON JIMENEZ (poeta spagnolo 1881-1958)

Non spegnere la luce... Non spegnere la luce... Lasciar scorrere l'ora negativa, finché cada sola sotto l'acacia in fiore del sentimento, sotto il cielo stellato dell'idea. Nulla come la felicità di comprendersi, infine, a fronte aperta, a cuore aperto! Dopo, in un ritmo lento e sorridente, cominciare a coprire con l'anima in germoglio i solchi semiaperti, ammassare le rose dentro quelli - tutte, tutte le rose; l’anima ben potata, non smetterà di darle! - (DA JIMENEZ. POESIE D’AMORE, NEWTON)

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UMBERTO SABA (Trieste 1883 – 1957)

Guarda là quella vezzosa Guarda là quella vezzosa, guarda là quella smorfiosa. Si restringe nelle spalle, tiene il viso nello scialle. O qual mai castigo ha avuto? Nulla: Un bacio ha ricevuto. (Da UMBERTO SABA, ANTOLOGIA DEL CANZONIERE, ED. EINAUDI)

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UMBERTO SABA (Trieste 1883-1957)

Bocca La bocca che prima mise alle mie labbra il rosa dell'aurora, ancora in bei pensieri ne sconto il profumo.

O bocca fanciullesca, bocca cara, che dicevi parole ardite ed eri cosi dolce a baciare. (Da UMBERTO SABA, ANTOLOGIA DEL CANZONIERE, ED. EINAUDI)

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UMBERTO SABA (Trieste 1883-1957)

Ed amai nuovamente e fu di Lina Ed amai nuovamente; e fu di Lina dal rosso scialle il piú della mia vita. Quella che cresce accanto a noi, bambina dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita. Trieste è la città, la donna è Lina, per cui scrissi il mio libro di piú ardita sincerità; né dalla sua fu fin' ad oggi mai l'anima mia partita. Ogni altro conobbi umano amore; ma per Lina torrei di nuovo un'altra vita, di nuovo vorrei cominciare. Per l'altezze l'amai del suo dolore; perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra, e tutto seppe, e non se stessa, amare. (Da UMBERTO SABA, ANTOLOGIA DEL CANZONIERE, ED. EINAUDI)

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UMBERTO SABA (Trieste 1883 – 1957)

Sovrumana dolcezza Sovrumana dolcezza io so, che ti farà i begli occhi chiudere come la morte. Se tutti i succhi del la primavera fossero entrati nel mio vecchio tronco, per farlo rifiorire anche una volta, non tutto il bene sentirei che sento solo a guardarti, ad aver te vicina, a seguire ogni tuo gesto, ogni modo tuo di essere, ogni tuo piccolo atto. E se vicina non t'ho, se a te in alta solitudine penso, piú infuocato serpeggia nelle mie vene il pensiero della carne, il presagio dell'amara dolcezza, che so che ti farà i begli occhi chiudere come la morte. (Da UMBERTO SABA, ANTOLOGIA DEL CANZONIERE, ED. EINAUDI)

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UMBERTO SABA (Trieste 1883-1957)

Il titolo della poesia lascia intendere che tra i due uccelli sono in ballo non soltanto pulsioni di natura istintuale funzionali alla procreazione, ma anche emozioni e sentimenti. (Vedi in questa stessa raccolta la poesia <<Le farfalle>> di Attilio Bertolucci.) Amore Questa mattina, e come li portavo alla finestra, ebbi sorpresa lieta. Si scambiavano in becco il cibo, oggetto, ieri ancora, di tanta lite. È il modo – il loro – di baciarsi e dirsi grati l'uno all'altro di esistere. È già il nido. (Da UMBERTO SABA, ANTOLOGIA DEL CANZONIERE, ED. EINAUDI)

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UMBERTO SABA (Trieste 1883-1957)

L'autunno Che succede di te. della tua vita, mio solo amico, mia pallida sposa La tua bellezza si fa dolorosa, e più non assomigli a Carmencita. Dici: "E' l'autunno. è la stagione in vista sì ridente, che fa male al mio cuore". Bici - e ad un noto incanto mi conquista la tua voce --Non vedi là in giardino quell'albero che tutto ancor non muore, dove ogni foglia che resta è un rubino? Per una donna, amico mio. che schiant l'autunno ! Ad ogni suo ritorno sai che sempre, fino da bambina. ho pianto" Altro non dici a chi ti vive accanto, a chi vive di te, del tuo dolore che gli ascondi; e si chiede se più mai, anima, e dove e a che, rifiorirai. (Da UMBERTO SABA, ANTOLOGIA DEL CANZONIERE, ED. EINAUDI)

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VINCENZO CARDARELLI (1887-1959)

Attesa Oggi che t'aspettavo non sei venuta. E la tua assenza so quel che mi dice, la tua assenza che tumultuava, nel vuoto che hai lasciato, come una stella. Dice che non vuoi amarmi. Quale un estivo temporale s'annuncia e poi s'allontana, cosí ti sei negata alla mia sete. L'amore, sul nascere, ha di quest'improvvisi pentimenti. Silenziosamente ci siamo intesi. Amore, amore, come sempre, vorrei coprirti di fiori e d'insulti. (Da VINCENZO CARDARELLI, POESIE, OSCAR MONDADORI)

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DIEGO VALERI (Poeta veneto 1887 – 1976)

Milano Corso Venezia rombava e cantava come un giovane fiume a primavera. Noi due, sperduti, s’andava s’andava, tra la folla ubriaca della sera. Ti guardavo nel viso a quando a quando: eri un aperto luminoso fiore. Poi ti prendevo la mano tremando; e mi pareva di prenderti il cuore. (Da DIEGO VALERI, POESIE SCELTE, OSCAR MONDADORI)

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DIEGO VALERI (Poeta veneto 1887 – 1976)

« Che abbiamo fatto, amore? » trasognato chiedevo « Che abbiamo fatto, amore? » trasognato chiedevo Dori sorrise: « Abbiamo fatto l'amore, amore ». (Da DIEGO VALERI, POESIE SCELTE, OSCAR MONDADORI)

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DIEGO VALERI (Poeta veneto 1887 – 1976)

Perché mi sei presso coi tuoi chiari incanti Perché mi sei presso coi tuoi chiari incanti, con la tua pace di umano fiore, queti mi stanno sul cuore, ad ali chiuse, i miei muti canti. (Da DIEGO VALERI, POESIE SCELTE, OSCAR MONDADORI)

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DIEGO VALERI (Poeta veneto 1887 – 1976)

Il poeta, per sottrarsi alla persecuzione nazifascista, è riparato in Svizzera. Alle sofferenze dell’esilio, si aggiunge lo sconforto per il triste destino della donna amata colpita da una malattia incurabile. Tu corpo senza peso paurosa dolcezza Tu, corpo senza peso, paurosa dolcezza di braccia come ali, di mani come fiori, tremar di palpebre basse, tenere labbra incolori, capelli come un'erba bionda di sole e d'altezza. Tu da così lontana lontananza venuta, coi tuoi piccoli passi di smarrita fanciulla, dentro la notte immensa e chiusa come il nulla, a posar sul mio petto quest'angoscia tua muta. Poi lenta levi il capo, e mi fissi negli occhi gli occhi tuoi nudi, fondi, innamorati dentro, e allora mi travolge la rapina d'un vento di luce, e mi consuma come nuvola a fiocchi.

(Da DIEGO VALERI, POESIE SCELTE, OSCAR MONDADORI)

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DIEGO VALERI (Poeta veneto 1887 – 1976)

Il poeta rivive la morte della donna amata con accenti sofferti, in cui il mistero della morte si accompagna ad una tenera e commossa pietà per la creatura che <<sola con l'ombra della sua vita, della sua morte >> sta per varcare l’estremo confine della vita. Sequenza per un'ombra ………………………………………………... La casa verde era chiusa nell'ombra, tra i fiumi erranti del bianco mattino. Tu stavi ritta presso la casa, sola nel sole, al confine dell'ombra: ferma in quel moto di spazi confusi, piccola forma opaca, che rompe il sole, che fa la sua macchia d'ombra. Sola eri e ferma, senza sorriso, ferma nel sole, sola con l'ombra della tua vita, della tua morte. Tu porti nelle braccia il mio dolore come una creatura: dolce lo chiudi sopra il dolce petto, il tuo caro dolore. Dove vai? dove sei? Già ti allontani da memorie e speranze, dai segreti nostri pensieri, dal dolce dolore, che fu nostro, di vivere. Ti perdi nell'ombra dei tuoi occhi: sconfinata ombra sul mondo. Sei già d'altri, o solo tua. Non ti vedo più. Sento, non vedo, il sole di settembre sul mio volto. ……………………………………………………………. (Da DIEGO VALERI, POESIE SCELTE, ED. OSCAR MONDADORI)

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GIUSEPPE UNGARETTI

Il poeta vuole fuggire dalla realtà quotidiana insieme alla sua donna, in un mondo sereno, di sogno. Non pensa a un luogo reale, ma ad un luogo della fantasia, del sentimento. Un luogo incantato. Un luogo in cui le mattine non sono ripetitive ma sempre <nuove>, dove le colline sono <d'oro>, dove ci si sente <liberi> dalla fretta e dagli impegni quotidiani, dove l'amore è gioia costante. La poesia è giocata soprattutto sul piano semantico, grazie ad un lessico fortemente connotativo e ad una rete fittissima di figure semantiche (similitudine, metafora, metonimia, ecc...). Non è immediatamente comprensibile, ma richiede un intenso lavoro di decifrazione e di interpretazione, per essere compresa La donna del poeta è invitata a venire da lui/con lui come una <allodola ondosa>, cioè con la leggerezza aerea del suo corpo snello. La meta del viaggio sono le colline d'oro, dove la luce non muove più le foglie, la sera è posata, l'ora è costante e le mattine sono nuove. Il motivo del viaggio, in negativo è dato dal desiderio di scordare la vita quotidiana (quaggiù), con le sue sofferenze, i suoi sensi di colpa, i suoi sogni e i suoi crucci, in positivo dall'aspirazione alla serenità e ad un rapporto d'amore interamente appagante, sul piano affettivo e sul piano sensuale. Da notare la potente carica connotativa delle parole e delle espressioni seguenti: <ondosa>, <quaggiù>, <male>, <cielo>, <rossori>, <mattine nuove>, <altre rive>, <posata sera>, <colline d'oro>, <ora costante>, <liberi d'età>, <perduto nimbo>. Numerosissime le metafore: <allodola ondosa>, <vento lieto>, <le braccia ti sanno leggera>, <sangue rapido alla guerra>, <non muove foglia più la luce>, <sogni e crucci passati>, <posata sera>, <colline d'oro>, <ora costante>, <liberi d'età>, <perduto nimbo>, <sarà nostro lenzuolo>. Una metafora è incastonata in una similitudine : <come allodola ondosa ...vieni>. Numerose le metonimie: <quaggiù>, <del male e del cielo>, <sangue rapido alla guerra>, <altre rive>, una sineddoche < lenzuolo>, alcune delle quali nel contesto di una metafora. Tutte insieme le figure richiamate rendono il tessuto testuale quanto mai suggestivo e allusivo, trasfigurano la realtà in un mondo incantato. Dove la luce Come allodola ondosa Nel vento lieto sui giovani prati, Le braccia ti sanno leggera, vieni. Ci scorderemo di quaggiù, E del male e del cielo,

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E del mio sangue rapido alla guerra, Di passi d'ombre memori Entro rossori di mattine nuove. Dove non muove foglia più la luce, Sogni e crucci passati ad altre rive, Dov'è posata sera, Vieni ti porterò Alle colline d'oro. L'ora costante, liberi d'età, Nel suo perduto nimbo Sarà nostro lenzuolo. 1930 (Da GIUSEPPE UNGARETTI, VITA DI UN UOMO - TUTTE LE POESIE, MONDADORI) Dove la luce (G. Ungaretti)

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BIAGIO MARIN (GRADO 1891 – 1985)

Passa pei vogi tovi Passa pei vogi tovi inprovisi riflessi de lavanda, in me, la meravegia granda per quî to sieli novi. A volte un'ametista trascolora comò in sieli serali: ma la dolsessa de l'ultima ora un ultimo suspiro dei maestrali. Geme 'l mar su le spiase se perde 'l cuor fra luse inserte, le to pupi le grande e verte dise l'ultima frase. Passano per i tuoi occhi improvvisi riflessi di lavanda, in me, la meravig l ia grande per quei tuoi c ie l i nuovi . A vo l te un'ametista trascolora come in cieli serali : ma la dolcezza del l 'ultima ora, un ultimo sospiro dei maestral i . Geme i l mare sulle spiagge il cuore si perde fra luci incerte, le tue pupille grandi e aperte dicono l'ultima frase. (Versione in italiano di Edda Serra) (Da BIAGIO MARIN, POESIE, GLI ELEFANTI POESIA GARZANTI)

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AHMAD ZAKI ABU SHADI (poeta egiziano 1892-1955)

Eterna unione Pensano sia possibile che da te io mi separi e anelo all'infinito la tua grazia Dolce e onesta fragranza sparsa tra le tue chiome ogni respiro carezza le tue labbra impresse sulle mie Per vero, ovunque tu sia speme e vita dal mio cuore non chiedo altro che te, soltanto te E se divento polvere non morirò del tutto; passa la vita ma la polvere conserva il tuo ricordo (Trad. F M. Corrao)

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VLADIMIR MAJAKOVSKIJ (poeta russo morto suicida 1893-1930)

Liliska! (In luogo di una lettera) Un fumo di tabacco ha divorato l'aria. La stanza è un capitolo dell'inferno di Krucenych.1 Ricordati proprio a questa finestra per la prima volta estasiato accarezzavo le tue mani. Eccoti oggi seduta, il cuore chiuso dentro una corazza. Ancora un giorno e poi mi scaccerai magari anche imprecando alle mie spalle. Nella buia anticamera la mano nella manica più non stenterà a entrare disfatta dal tremore. Correrò via e getterò il mio corpo sulla strada. Selvatico animale impazzirò sotto una sferza di disperazione. Ma così non si deve, mia cara, mia diletta, meglio lasciarci ora. Non importa il mio amore è un pesante macigno che incombe su di te ovunque tu possa fuggirmi. Lascia in un grido estremo che si sfoghi l'amarezza dei lamenti e del rancore. Quando anche un bue è disfatto di fatica lui pure andrà a gettarsi in fredde acque in cerca di ristoro. Ma altro mare non c'è per me tranne il tuo amore, né tregua c'è in amore anche nel pianto. Se un elefante stanco vorrà pace si stenderà maestoso sull'infocata sabbia.

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Ma altro sole non c'è per me tranne il tuo amore, anche se non so tu dove o con chi sei. Se così se ne fosse tormentato dell'amore — un poeta in soldi e gloria l'avrebbe mutato, ma altro suono non c'è che mi dia gioia tranne che il suono del tuo nome beato. E non mi getterò giù nella tromba delle scale e non berrò il veleno né premerò il grilletto dell'arma sulla tempia. E non c'è lama di coltello che abbia su me potere tranne che sia la lama del tuo sguardo. Tu scorderai domani che io t'incoronavo, che d'un ardente amore l'anima ti bruciavo, e un carnevale effimero di frenetici giorni disperderà le pagine dei miei piccoli libri... Le secche foglie delle mie parole potranno mai indurre uno a sostare, a respirare con avidità? Almeno lascia che un'estrema tenerezza copra l'allontanarsi dei tuoi passi. (26 maggio 1916, Pietrogrado) Traduzione di Giovanni Giudici

1. Allude al poema <Gioco all’inferno> scritto a quattro mani dai futuristi Chlebnikov e Krucenich nel 1912. (Da V. MAJAKOVSKIJ, POESIE, ED. MONDADORI)

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VLADIMIR MAJAKOVSKIJ (poeta russo morto suicida 1893-1930)

Una poesia d’amore scherzosamente fantasiosa, dal trasparente significato antimili- tarista. Marina da guerra in amore Van sui mari scherzando in crociera il torpediniero e la torpediniera. E come la vespa s'attacca col miele, così la torpediniera fedele. E per il torpediniero, infinita è la felicità della vita. Ma li scoprì con gli occhiali sul naso un riflettore pedante, per caso. Una sirena fece la spia, denunziandone a tutti la scia. Fuggì via la torpediniera, come al vento della bufera. Ma il torpediniero ormai stanco, poverino, fu colto nel fianco. Sull'oceano ora va la preghiera della vedova torpediniera. Dava forse agli uomini noia quella loro semplice gioia? (1915) Trad. di R. Poggioli (Da V. MAJAKOVSKIJ, POESIE, ED. MONDADORI)

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LOUIS ARAGON (poeta francese 1897-1982)

Le mani di Elsa Dammi le tue mani per l'inquietudine Dammi le tue mani che tanto ho sognato Che tanto ho sognato nella mia solitudine Dammi le tue mani perch'io venga salvato Quando le prendo nella mia povera stretta Di palmo e di paura di turbamento e fretta Quando le prendo come neve disfatta Che mi sfugge dappertutto attraverso le dita Potrai mai sapere ciò che mi trapassa Ciò che mi sconvolge e che m’invade Potrai mai sapere ciò che mi trafigge E che ho tradito col mio trasalire Ciò che in tal modo dice il linguaggio profondo Questo muto parlare dei sensi animali Senza bocca e senz'occhi specchio senza immagine Questo fremito d'amore che non dice parole Potrai mai sapere ciò che le dita pensano D'una preda tra esse per un istante tenuta Potrai mai sapere ciò che il loro silenzio Un lampo avrà d'insaputo1 saputo Dammi le tue mani ché il mio cuore vi si conformi Taccia il mondo per un attimo almeno Dammi le tue mani ché la mia anima vi s'addormenti Ché la mia anima vi s'addormenti per l'eternità

(Trad. F. Bruno)

1. Di cosa non saputa, non conosciuta

(Da POESIA STRANIERA - FRANCESE, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO)

(Da

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LOUIS ARAGON (poeta francese 1897-1982)

Elsa allo specchio Eravamo nel pieno della nostra tragedia E per tutto un lungo giorno seduta allo specchio Pettinava i suoi capelli d'oro Io credevo di vedere Le sue mani pazienti domare un incendio Eravamo nel pieno della nostra tragedia E per tutto un lungo giorno seduta allo specchio Pettinava i suoi capelli d'oro e avrei detto Eravamo nel pieno della nostra tragedia Che suonasse un pezzo per arpa ma senza convinzione Per tutto quel lungo giorno seduta allo specchio Pettinava i suoi capelli d'oro e avrei detto Che straziasse a non finire la sua stessa memoria Per tutto quel lungo giorno seduta allo specchio A ravvivare i fiori dell'incendio infiniti Senza dire ciò che un'altra al suo posto avrebbe detto Straziava a non finire la sua stessa memoria Eravamo nel pieno della nostra tragedia Il mondo somigliava a quello specchio maledetto II pettine separava i fuochi di quel marezzo1 E quei fuochi rischiaravano gli angoli della mia memoria Eravamo nel pieno della nostra tragedia Come in mezzo alla settimana s'accampa il giovedì E per un lungo giorno seduta alla sua memoria Vedeva morire lontano nel suo specchio (Trad. F. Bruno)

1. Fitte striature

(Da POESIA STRANIERA - FRANCESE, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO)

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

I ragazzi che si amano I ragazzi che si amano si abbracciano ritti Contro le porte della notte E i passanti che passano li segnano a dito Ma i ragazzi che si amano Non sono là per nessuno Ed è la loro ombra soltanto Che trema nella notte Stimolando la rabbia dei passanti La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia I ragazzi che si amano non sono là per nessuno Essi sono altrove molto più lontano della notte Molto più in alto del giorno Nell'abbagliante splendore del loro primo amore. (Testo tradotto da Gian Domenico Giagni e letto, insieme a molte altri, da Achille Millo per il bellissimo disco FONIT in vinile (non datato): MILLO DICE PREVERT.)

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Tre fiammiferi (Paris at night) Tre fiammiferi un dopo l’altro accesi nella notte Il primo per vedere il volto tuo Il secondo per vedere gli occhi tuoi L'ultimo per vedere la tua bocca E l’oscurità completa per ricordarmi queste immagini Mentre ti stringo a me tra le mie braccia.

(Testo tradotto da Gian Domenico Giagni e letto, insieme a molte altri, da Achille Millo per il bellissimo disco FONIT in vinile (non datato): MILLO DICE PREVERT.)

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Alicante Un'arancia sul tavolo Il tuo vestito sul tappeto E nel mio letto tu Dolce dono del presente Frescura della notte Calore di mia vita. (Testo tradotto da Gian Domenico Giagni e letto, insieme a molte altri, da Achille Millo per il bellissimo disco FONIT in vinile (non datato): MILLO DICE PREVERT.)

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Il giardino Migliaia e migliaia d’anni Non basterebbero a dire Il minuscolo secondo d’eternità In cui tu mi hai abbracciato In cui io ti ho abbracciata Un mattino tra la luce dell’inverno Al parco Montsouris a Parigi A Parigi sulla Terra Sulla Terra che è un astro.

(Testo tradotto da Gian Domenico Giagni e letto, insieme a molte altri, da Achille Millo per il bellissimo disco FONIT in vinile (non datato): MILLO DICE PREVERT.)

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Sabbie mobili Demoni e meraviglie Venti e maree S’è ritirato già il mare in lontananza E tu Come alga dolcemente dal vento accarezzata Nelle sabbie del letto ti agiti sognando Demoni e meraviglie Venti e maree il mare s’è ritirato già in lontananza Ma nei tuoi occhi socchiusi Due piccole onde son rimaste Demoni e meraviglie Venti e maree Due piccole onde per farmi annegare. (Testo tradotto da Gian Domenico Giagni e letto, insieme a molte altri, da Achille Millo per il bellissimo disco FONIT in vinile (non datato): MILLO DICE PREVERT.)

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Per te amore mio Sono andato al mercato degli uccelli E ho comprato uccelli Per te Amor mio Sono andato al mercato dei fiori E ho comprato fiori Per te amor mio Sono andato al mercato di ferraglia E ho comprato catene Pesanti catene Per te Amor mio E poi sono andato al mercato degli schiavi E t'ho cercata Ma non ti ho trovata Amore mio.

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Barbara Ricordati Barbara Pioveva senza sosta quel giorno su Brest E tu camminavi sorridente Serena rapita grondante Sotto la pioggia Ricordati Barbara Come pioveva su Brest E io ti ho incontrata a rue de Siam Tu sorridevi Ed anch'io sorridevo Ricordati Barbara Tu che io non conoscevo Tu che non mi conoscevi Ricordati Ricordati quel giorno ad ogni costo Non lo dimenticare Un uomo s'era rifugiato sotto un portico E ha gridato il tuo nome Barbara E sei corsa verso di lui sotto la pioggia Grondante rapita rasserenata E ti sei gettata tra le sue braccia Ricordati questo Barbara E non mi rimproverare di darti del tu lo dico tu a tutti quelli che amo Anche se una sola volta li ho veduti Io dico tu a tutti quelli che si amano Anche se non li conosco Ricordati Barbara Non dimenticare Questa pioggia buona e felice sul tuo volto felice Su questa città felice Questa pioggia sul mare Sull'arsenale Sul battello d'Ouessant Oh Barbara

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Che coglionata la guerra Che ne è di te ora Sotto questa pioggia di ferro Di fuoco d'acciaio di sangue E l'uomo che ti stringeva tra le braccia Amorosamente è morto disperso o è ancora vivo Oh Barbara Piove senza sosta su Brest Come pioveva allora Ma non è più la stessa cosa e tutto è crollato E' una pioggia di lutti terribili e desolata Non c'è nemmeno più la tempesta Di ferro d'acciaio e di sangue Soltanto di nuvole Che crepano come cani Come i cani che spariscono Sul filo dell'acqua a Brest E vanno ad imputridire lontano Lontano molto lontano da Brest Dove non vi è piú nulla.

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JACQUES PREVERT (Poeta francese 1900 – 1977)

Prima colazione Lui ha messo Il caffè nella tazza Lui ha messo il latte nel caffè Lui ha messo Lo zucchero nel caffelatte Ha girato Il cucchiaino Ha bevuto il caffelatte Ha posato la tazza Senza parlarmi S'è acceso Una sigaretta Ha fatto Dei cerchi di fumo Ha messo la cenere Nel portacenere Senza parlarmi Senza guardarmi S'è alzato S'è messo Sulla testa il cappello S'è messo L'ímpermeabile Perché pioveva E se n'è andato Sotto la pioggia Senza parlare Senza guardarmi E io mi son presa La testa fra le mani E ho pianto. (Trad. M. Cucchie e G. Raboni)

(Da POESIA STRANIERA - FRANCESE, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO)

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NAZIM HIKMET (Poeta turco 1902 – 1963)

POESIE DAL CARCERE Anima mia Anima mia chiudi gli occhi piano piano e come s'affonda nell'acqua immergiti nel sonno nuda e vestita di bianco il più bello dei sogni ti accoglierà anima mia chiudi gli occhi piano piano abbandonati come nell'arco delle mie braccia nel tuo sonno non dimenticarmi chiudi gli occhi pian piano i tuoi occhi marroni dove brucia una fiamma verde anima mia. 1948 (Da NAZIM HIKMET, POESIE, ED. MONDADORI)

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NAZIM HIKMET (Poeta turco 1902 – 1963)

POESIE DAL CARCERE Benvenuta, donna mia Benvenuta, donna mia, benvenuta! certo sei stanca come potrò lavarti i piedi non ho acqua di rose né catino d'argento certo avrai sete non ho una bevanda fresca da offrirti certo avrai fame e io non posso apparecchiare una tavola con lino candido la mia stanza è povera e prigioniera come il nostro paese. Benvenuta, donna mia, benvenuta! hai posato il piede nella mia cella e il cemento è divenuto prato hai riso e rose hanno fiorito le sbarre hai pianto e perle son rotolate sulle mie palme ricca come il mio cuore cara come la libertà è adesso questa prigione. Benvenuta, donna mia, benvenuta! 1948 (Da NAZIM HIKMET, POESIE, ED. MONDADORI)

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NAZIM HIKMET (Poeta turco 1902 – 1963)

POESIE DAL CARCERE I tuoi occhi I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi che tu venga all'ospedale o in prigione nei tuoi occhi porti sempre il sole. I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya, sono così, le spighe, di primo mattino i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi quante volte hanno pianto davanti a me son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi, nudi e immensi come gli occhi di un bimbo ma non un giorno han perso il loro sole; i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti: allora saprò far echeggiare il mondo del mio amore. I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi così sono d'autunno i castagneti di Bursa le foglie dopo la pioggia e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi verrà giorno, mia rosa, verrà giorno che gli uomini si guarderanno l'un l'altro fraternamente con i tuoi occhi, amor mio, si guarderanno con i tuoi occhi. 1948 (Da NAZIM HIKMET, POESIE, ED. MONDADORI)

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NAZIM HIKMET (Poeta turco 1902 – 1963)

POESIE DALL’ESILIO Sono cent'anni Sono cent'anni che non ho visto il suo viso che non ho passato il braccio attorno alla sua vita che non mi son fermato nei suoi occhi che non ho interrogato la chiarità del suo pensiero che non ho toccato il calore del suo ventre eravamo sullo stesso ramo insieme eravamo sullo stesso ramo caduti dallo stesso ramo ci siamo separati e tra noi il tempo è di cent'anni di cent'anni la strada e da cent'anni nella penombra corro dietro a te. (Da NAZIM HIKMET, POESIE, ED. MONDADORI)

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NAZIM HIKMET (Poeta turco 1902 – 1963)

POESIE DALL’ESILIO La mia donna è venuta con me La mia donna è venuta con me fino a Brest è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede si è fatta più piccola più piccola più piccola un seme di grano nell'azzurro infinito poi, eccetto i binari, non ho visto più niente. E poi mi ha chiamato, dalla terra polacca non potevo rispondere non potevo chiederle dove sei, mia rosa, dove sei mi ha detto vieni ma non potevo andare da lei il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più soffocavo dalla tristezza. E poi sulla terra i pezzi di neve si scioglievano e a un tratto ho capito che la mia donna mi vedeva mi chiedeva mi pensi ancora mi pensi ancora mentre la primavera camminava coi nudi piedi fangosi sul cielo e le stelle scendevano a posarsi sui fili del telegrafo e l'oscurità batteva come pioggia sul treno la mia donna restava in piedi sui pali del telegrafo il suo cuore batteva — tac tac — come se stesse fra le mie braccia i pali si muovevano e passavano ma lei non si muoveva da lì il treno correva come se non dovesse fermarsi mai più soffocavo dalla tristezza. E poi ho capito che da anni da lunghi anni stavo in quel treno ma come l'ho capito e perché mi stupisce ancora come cantando la grande canzone della speranza m'allontano dalle città dalle donne amate porto la nostalgia di loro come ferita che non rimargina nella mia carne ma cammino sempre per avvicinarmi in qualche luogo a qualcosa. Varsavia, 1960 (Da NAZIM HIKMET, POESIE, ED. MONDADORI)

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RAYMOND QUENEAU (poeta francese 1903-1976)

L'uomo del tranvai Quest'uomo che cammina sul quai1 di notte lungo la Senna tra Asnières e Courbevoie quest'uomo la cui ombra ad ogni istante svanisce diritto prosegue il cammino la sua curva strada quest'uomo ha male ai piedi — miseria e fatica gli legano le spalle quest'uomo danza ognuno dei suoi passi lunghi come notti d'inverno da un'ora il tram non passa più quest'uomo misura chilometri con lo spessore delle sue suole cammina nella notte in questa strada l'attende la sua amante donna da quattro soldi che vive nella strada e di rifiuti si ciba e misura il suo tempo nella stanza insaziabile che adesso alloggia un uomo del tramvai deve fuggire al mattino con gli occhi gonfi di sonno e ritornare verso la rimessa sonora e mentre la sua bella nel letto dorme ancora egli sospira che è dolce sentirsi amati (Trad. A. Vizioli e F. De Poli) 1. Strada parigina che costeggia la Senna

(Da POESIA STRANIERA - FRANCESE, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, GRUPPO

EDITORIALE L’ESPRESSO)

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PABLO NERUDA (poeta cileno 1904-1973)

XI Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso, non mi sostiene il pane, l'alba mi sconvolge, cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno. Sono affamato del tuo riso che scorre, delle tue mani color di furioso granaio, ho fame della pallida pietra delle tue unghie, voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta. Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza, il naso sovrano dell'aitante volto, voglio mangiare l'ombra fugace delle tue ciglia e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo, cercandoti, cercando il tuo cuore caldo come un puma nella solitudine di Quitratúe. Da <<CENTO SONETTI D’AMORE>> (In PABLO NERUDA, POESIE D’AMORE, ED. NEWTON)

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PABLO NERUDA (poeta cileno 1904-1973)

XII Donna completa, mela carnale, luna calda, denso aroma d'alghe, fango e luce pestati , quale oscura chiarità s'apre tra le tue colonne? Quale antica notte tocca l'uomo con i suoi sensi? Ahi, amare è tiri viaggio con acqua e con stelle, con aria soffocata e brusche tempeste di farina: amare è un combattimento di lampi e due corpi da un solo miele sconfitti. Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito, i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi villaggi rninuscoli, e il fuoco genitale trasformato in delizia corre per i sottili cammini (lei sangue fino a precipitarsi come un garofano notturno, fino a essere e non essere che un lampo nell'ombra. Da <<CENTO SONETTI D’AMORE>> (In PABLO NERUDA, POESIE D’AMORE, ED. NEWTON)

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PABLO NERUDA (poeta cileno 1904-1973)

XLVII Dietro di me sul ramo voglio vederti. A poco a poco ti trasformasti in frutto. Non ti costò salir dalle radici cantando con la tua sillaba di linfa. E qui sarai dapprima in fior fragrante, nella statua d'un bacio trasformata, fino a che sole e terra, sangue e cielo, ti daran la delizia e la dolcezza. Vedrò sul ramo la tua capigliatura, il tuo segno che matura nel fogliame, che avvicina le foglie alla mia sete, la mia bocca empirà la tua sostanza, il bacio che ascese dalla terra col tuo sangue di frutto innamorato. Da <<CENTO SONETTI D’AMORE>> (In PABLO NERUDA, POESIE D’AMORE, ED. NEWTON)

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PABLO NERUDA (poeta cileno 1904-1973)

LXXXIX Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi: voglio che la luce e il frumento delle tue mani amate passino una volta ancora su di me la loro freschezza: sentire la soavità che cambiò il mio destino. Voglio Che tu viva mentr'io, addormentato, t'attendo, voglio che le tue orecchie continuino a udire il vento, che fiuti l'aroma del mare che amammo uniti e che continui a calpestare l'arena che calpestammo. Voglio che ciò che amo continui a esser vivo e te amai e cantai sopra tutte le cose, per questo continua a fiorire, fiorita, perché raggiunga tutto ciò che il mio amore ti ordina, perché la mia ombra passeggi per la tua chioma, perché così conoscano la ragione del mio canto. Da <<CENTO SONETTI D’AMORE>> (In PABLO NERUDA, POESIE D’AMORE, ED. NEWTON)

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PABLO NERUDA (poeta cileno 1904-1973)

In te la terra Piccola rosa, rosa piccolina, a volte, minuta e nuda, sembra che tu mi stia in una mano, che possa rinchiuderti in essa e portarti alla bocca, ma d'improvviso i miei piedi toccano i tuoi piedi e la mia bocca le tue labbra, sei cresciuta, le tue spalle salgono come due colline, i tuoi seni si muovono sul mio petto, il mio braccio riesce appena a circondare la sottile linea di luna nuova che ha la tua cintura: nell'amore come acqua di mare ti sei scatenata: misuro appena gli occhi più ampi del cielo e mi chino sulla tua bocca per baciare la terra.

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PABLO NERUDA (poeta cileno 1904-1973)

Se tu mi dimentichi Voglio che tu sappia una cosa. Tu sai com'è questa cosa: se guardo la luna di cristallo. il ramo rosso del lento autunno alla mia finestra. se tocco vicino al fuoco l'impalpabile cenere o il rugoso corpo della legna. tutto mi conduce a te, come se ciò che esiste, aromi. luce, metalli, fossero piccole navi che vanno verso le tue isole che m'attendono. Orbene. se a poco a poco cessi di amarmi cesserò d'amarti poco a poco. Se d'improvviso mi dimentichi. non cercarmi. ché già ti avrò dimenticata. Se consideri lungo e pazzo il vento di bandiere che passa per la mia vita e ti decidi a lasciarmi sulla riva del cuore in cui ho lé radici, pensa che in quel giorno, in quell'ora, leverò in alto le braccia e le mie radici usciranno a cercare altra terra.

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Ma se ogni giorno., ogni ora senti che a me sei destinata con dolcezza implacabile. Se ogni giorno sale alle tue labbra un fiore a cercarmi, ahi, amor mio, ahi mia, in me tutto quel fuoco si ripete, in me nulla si spegne né si dimentica, il mio amore si nutre del tuo amore, Amata, e finché tu vivrai starà tra le tue braccia senza uscire dalle mie.

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WYSTAN HUGH AUDEN (poeta inglese York 1907-1973)

Blues in memoria

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono, fate tacere il cane con un osso succulento, chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato portate fuori il feretro, si accostino i dolenti. Incrocino aeroplani lamentosi lassù e scrivano sul cielo il messaggio Lui è Morto, allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni, i vigili si mettano guanti di tela nera. Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest, la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica, il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto; pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto. Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte; imballate la luna, smontate pure il sole; svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco; perché ormai più nulla può giovare. (Da W.H. AUDEN, LA VERITÀ VI PREGO SULL’AMORE, ED. ADELPHI)

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ARSENIJ ALEXANDROVIC TARKOVSKIJ (poeta russo 1907-1989)

I primi incontri Ogni istante nei nostri incontri lo festeggiavamo come un'epifania, soli a questo mondo. Tu eri più ardita e lieve di un'ala di uccello, scendevi come una vertigine saltando gli scalini, e mi conducevi oltre l'umido lillà nei tuoi possedimenti al di là dello specchio. Quando giunse la notte mi fu fatta la grazia, le porte dell'iconostasi1 furono aperte, e nell'oscurità in cui luceva e lenta si chinava la nudità nel destarmi: «Tu sia benedetta», dissi, conscio di quanto irriverente fosse la mia benedizione: tu dormivi, e il lillà si tendeva dal tavolo a sfiorarti con l'azzurro della galassia le palpebre, e sfiorate dal l 'azzurro le palpebre stavano quiete, e la mano era calda. Nel cristallo pulsavano i fiumi, fumigavano i monti, rilucevano i mari, mentre assopita sul trono tenevi in mano la sfera di cristallo, e — Dio mio! — tu eri mia. Ti destasti e cangiasti il vocabolario quotidiano degli umani, e i discorsi s'empirono veramente di senso, e la parola tu svelò il proprio nuovo significato: zar.2 Alla luce tutto si trasfigurò, perfino gli oggetti più semplici — il catino, la brocca — quando, come a guardia, stava tra noi l'acqua ghiacciata, a strati. Fummo condotti chissà dove. Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi, città sorte per incantesimo, la menta si stendeva da sé sotto i piedi,

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gli uccelli c'erano compagni di strada, i pesci risalivano il fiume, il cielo si schiudeva al nostro sguardo... Quando il destino ci seguiva passo a passo, come un pazzo col rasoio in mano. (Traduzione di Gario Zappi) 1. Nelle chiese cristiane ortodosse l’iconostasi è un tramezzo che separa il presbiterio, cioè la parte riservata al clero, dalle navate in cui stanno i fedeli. È tutta adorna di immagini devozionali (icone). Per il poeta entrare nella camera della donna amata è come entrare in un luogo sacro. 2. Significò: mio re, mia regina. (Da ARSENIJ ALEXANDROVIC TARKOVSKIJ, POESIE SCELTE, LIBRI SCHEIWILLER)

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CESARE PAVESE (Torino 1908-1950)

You, wind of March Sei la vita e la morte. Sei venuta di marzo sulla terra nuda – il tuo brivido dura. Sangue di primavera – anemone o nube il tuo passo leggero ha violato la terra. Ricomincia il dolore Il tuo passo leggero ha riaperto il dolore. Era fredda la terra sotto povero cielo, era immobile e chiusa in un torpido sogno, come chi più non soffre. Anche il gelo era dolce dentro il cuore profondo. Tra la vita e la morte la speranza taceva. Ora ha una voce e un sangue ogni cosa che vive. Ora la terra e il cielo sono un brivido forte, la speranza li torce, li sconvolge il mattino, li sommerge il tuo passo, i l t uo f i a to d 'au r o ra Sangue di primavera, tutta la terra trema di un antico tremore. Hai riaperto il dolore. Sei la vita e la morte. Sopra la terra nuda sei passata leggera

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come rondine o nube. e il torrente del cuore si è ridestato e irrompe e si specchia nel cielo e rispecchia le cose - e le cose, nel cielo e nel cuore soffrono e si contorcono nell'attesa di te. È il mattino, è l'aurora, sangue di primavera, tu hai violato la terra. La speranza si torce, e ti attende ti chiama. Sei la vita e la morte Il tuo passo è leggero. da «CESARE PAVESE, POESIE. OSCAR MONDADORÌ)

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CESARE PAVESE ( 1908-1950)

La luce dei tuoi occhi I mattini passano chiari deserti. Così i tuoi occhi s'aprivano un tempo. Il mattino trascorreva lento. era un gorgo d'immobile luce. Taceva Tu v i v a t a ce v i ; l e co se vivevano sotto i tuoi occhi (non pena non febbre non ombra) come un mare al mattino, chiaro. Dove sei tu, luce. è il mattino. Tu eri la vita e le cose. In te desti respiravamo sotto il cielo che ancora è in noi. Non pena non febbre allora. non quest'ombra greve del giorno affollato e diverso o luce, chiarezza lontana, respiro affannoso, rivolgi gl i occhi immobili e chiari su noi. E' buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi. da «CESARE PAVESE, POESIE. OSCAR MONDADORÌ)

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ATTILIO BERTOLUCCI (1911-2000)

La neve Come pesa la neve su questi rami come pesano gli anni sulle spalle che ami. L'inverno è la stagione più cara, nelle sue luci mi sei venuta incontro da un sonno pomeridiano, un'amara ciocca di capelli sugli occhi. Gli anni della giovinezza sono anni lontani. (Da ATTILIO BERTOLUCCI, LE POESIE, ED. GARZANTI, COLLANA GLI ELEFANTI POESIA)

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ATTILIO BERTOLUCCI (1911-2000)

La fidanzata La pioggia batteva sui vetri veniva la sera tu eri la mia fidanzata e io ti tenevo stretta seduto vicino al fuoco. La fiamma pian piano ci addormentava, accendeva il tuo viso bruno che diveniva debole brace. Fuori v'erano alberi fermi e soavi nella luce del ciclo che schiariva. Uscimmo e camminammo in silenzio fra siepi lucide e gocciolanti alla cui ombra stavano garofani di campo bianchi e rosa bagnati dalla pioggia recente. (Da ATTILIO BERTOLUCCI, LE POESIE, ED. GARZANTI, COLLANA GLI ELEFANTI POESIA)

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ATTILIO BERTOLUCCI (1911-2000)

Per lo scienziato il canto degli uccelli ha lo scopo di segnare il territorio, per il poeta esprime la gioia di vivere, la felicità. Chi ha ragione?

Entrambi. Le due letture della realtà non sono alternative, ma si integrano, si completano.

Non possiamo concepire il mondo degli animali unicamente alla luce delle funzione biologica dei singoli comportamenti, delle singole manifestazioni della loro vita. Gli animali hanno una vita emotiva e affettiva che per certi aspetti somiglia alla nostra. Provano sentimenti, gioiscono e soffrono, hanno legami affettivi di coppia che in alcuni casi durano tutta la vita. Conoscono l’amore, anche se l’amore per essi assume modalità espressive diverse dalle nostre.

Le farfalle Perché le farfalle vanno sempre a due a due e se una si perde entro il cespo violetto delle settembrine l'altra non la lascia ma sta sopra e vola confusa che pare si sbatta contro i muri di un carcere mentre non è che questo oro del giorno già in via d'offuscarsi alle cinque del pomeriggio avvicinandosi ottobre? — Forse credevi d'averla perduta ma eccola ancora sospesa nell'aria riprendere l'irragionevole moto verso la plaghe che l'ombra più presto fa sue dei campi vendemmiati e arati della domenica: tu non hai che a seguirla incontro alla notte come l'attendesti nel lume inquieto del sole finché fu sazia del succo di quei fiori d'autunno. Per agevolare la comprensione del testo inserisco le virgole in corrispondenza delle pause. Perché le farfalle vanno sempre a due a due, e se una si perde entro il cespo violetto delle settembrine, l'altra non la lascia ma sta sopra, e vola confusa, che pare si sbatta contro i muri di un carcere, mentre non è che questo

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oro del giorno, già in via d'offuscarsi, alle cinque del pomeriggio, avvicinandosi ottobre? — Forse credevi d'averla perduta, ma eccola ancora sospesa nell'aria, riprendere l'irragionevole moto verso la plaghe che l'ombra più presto fa sue, dei campi vendemmiati e arati della domenica: tu non hai che a seguirla incontro alla notte , come l'attendesti nel lume inquieto del sole , finché fu sazia del succo di quei fiori d'autunno. (Da ATTILIO BERTOLUCCI, LE POESIE, ED. GARZANTI, COLLANA GLI ELEFANTI POESIA)

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ANNA MARIA ORTESE (Roma 1914-1998)

Mentre mio padre moriva ti vidi la prima volta Mentre mio padre moriva ti vidi la prima volta. Da quel tempo sempre stavo con te, ti cercavo, anche tu mi cercavi: in mezzo alla gente eravamo soli, trepido il tuo sguardo, triste — contento il mio. Il primo giorno dell'anno dovevi venire a una festa, io avevo al collo dei fiori di carta bianca, piansi quando vidi che erano le tre, e ancora il tuo volto caro non appariva. Ma il giorno secondo dell'anno — qualcuno ti aveva informato — corresti dalla piccola donna, e tutta la sera per lei come una luna splendesti. Dicesti dolci parole e non avevi chitarra, le dame che erano in sala si fecero tristi. «Bene, è ora di andare». Saliti in vettura, tu e io come ragazzi, mi guardavi: io non osavo muovermi. Mi accarezzasti la fronte. Piegando il viso, vergognandomi, carezzai la tua fronte. Nascondesti il tuo viso dietro il mio collo. La mano era ferma sul mio ginocchio. Pensavo: così fanno tutti, domani neppure si ricorderà. Ma sono passati due mesi e ogni sera c'incontriamo, il tuo cappotto è povero, non hai guanti né berretto, ma la tua fronte ogni sera è più chiara, i tuoi occhi più teneri e gravi, la mano che mi stringe più calda, più forte; trascorrono ore che paiono solo alcuni momenti. Al buio camminiamo, ed io poso la fronte ogni tanto con umiltà sul tuo petto. Passano case e strade, passano ponti e canali, passano muti giardini, cade tranquilla la neve. Le dita intrecciate, le tempie unite in un solo tepore, gli occhi vicino agli occhi, come una sola persona che all'anima sua mormori tenere cose, come la neve che scende e risale senza rumore né moto, leggero noi andiamo. (da Il mio paese è la notte In <<POESIE D’AMORE “IN SEGRETO E IN PASSIONE”

RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>)

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PIERRE DELANOË (Parigi 1918- 2006)

Et maintenant Et maintenant que vais-je faire de tout ce temps que sera ma vie de tous ces gens qui m'indiffèrent maintenant que tu es partie. Toutes ces nuite, pourquoi pour qui et ce matin qui revient pour rien ce coeur qui bat, pour qui, pour quoi qui bat trop fort, trop fort. Et maintenant que vais-je faire vers quel néant glissera ma vie tu m'as laissé la terre entière mais la terre sans toi c'est petit. Vous, mes amis, soyez gentils vous savez bien que l'on n'y peut rien même Paris crève d'ennui toutes ses rues me tuent. Et maintenant que vais-je faire je vais en rire pour ne plus pleurer je vais brûler des nuits entières au matin je te haïrai et puis un soir dans mon miroir je verrai bien la fin du chemin pas une fleur et pas de pleurs au moment de l'adieu Je n'ai vraiment plus rien à faire je n'ai vraiment plus rien........ E adesso E adesso cosa farò di tutto questo tempo che sarà la mia vita di tutte queste persone che mi sono indifferenti ora che sei partita. Tutte queste notti, perchè per chi e questo mattino che viene per niente

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questo cuore che batte, per chi, perchè che batte troppo forte, troppo forte . E ora cosa farò verso quale niente scivolerà la mia vita tu mi hai lasciato tutta la terra ma la terra senza di te è piccola. Voi, amici miei, siate gentili sapete bene che non si ci si può far nulla anche Parigi muore di noia tutte le strade mi uccidono E ora cosa farò riderò per non piangere brucerò notti intere al mattino ti odierò e poi una sera nel mio specchio vedrò la fine del mio cammino non un fiore e non una lacrima al momento dell'addio Non ho veramente più niente da fare Non ho veramente più niente...

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GEORGES BRASSENS (chansonnier e poeta francese 1921-1981)

Nell'acqua della chiara fontana Nell'acqua della chiara fontana, lei, tutta nuda, si bagnava, quando un soffio di tramontana le sue vesti in cielo portava; dal folto dei capelli mi chiese, per rivestirla, di cercare i rami di cento mimose e ramo con ramo intrecciare; volli coprire le sue spalle tutte di petali di rosa, ma il suo seno era così minuto che fu sufficiente una rosa; cercai ancora nella vigna, perché a metà non fosse spoglia, ma i suoi fianchi eran così minuti che fu sufficiente una foglia; le braccia lei mi tese allora, per ringraziarmi un po' stupita, io la presi con tanto ardore che lei fu di nuovo svestita; il gioco divertì la graziosa, che molto spesso alla fontana tornò a bagnarsi, pregando 1 Dio per un soffio di tramontana. (Trad. Fabrizio De André 1. Ringraziando

(Da POESIA STRANIERA - FRANCESE, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, GRUPPO

EDITORIALE L’ESPRESSO)

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MARGHERITA GUIDACCI (1921-1992)

Prima del nostro incontro Sottraggo i giorni ad uno, ad uno, li sigillo e metto via, quando sono compiuti, benedicendo il loro sole, la loro pioggia o qualunque sia stato il loro dono; benedicendo soprattutto la notte che, seppur lenta, li accolse alla fine. E prego quelli che ancora rimangono prima del nostro incontro (ed a contarli bastano ormai le dita di una mano) di non smarrirsi in cielo, ma procedere come i loro fratelli: un po’ più in fretta, se possono, ritmandosi sul vivo battito del mio cuore. E tuttavia, neppure troppo in fretta - perché ancora non so comprendere, adattarmi: temo il momento in cui sarò chiamata alla quasi insostenibile gioia. In <<POESIE D’AMORE “L’ASSENZA, IL DESIDERIO” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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MARGHERITA GUIDACCI (1921-1992)

E’ come una mancanza di respiro E’ come una mancanza di respiro ed un senso di morire, quando mi stringe improvviso il desiderio di te tanto lontano e nulla può calmarlo, altro pensiero non può occuparmi, tranne il Paradiso che sarebbe per me lo starti accanto. Ma poichè ciò m’è negato, più cara, molto più cara d’una fredda pace mi è la stretta indicibile quasi marchio di fuoco che proclami ancora e sempre quanto sono tua. A nessun costo vorrei separarmi da questo mio dolore. In <<POESIE D’AMORE “L’ASSENZA, IL DESIDERIO” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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PINO RUFFO (?)

Natura morta Sulla tovaglia bianca hai posato una tazza verde; una mela rossa e, in mezzo, un vaso con un fiore. Sulla tovaglia bianca non oso posare le mie mani. Non è morta questa natura se le hai dato vita e sentimento. Oltre la bianca tovaglia vedo il colore dei tuoi occhi e, attorno, aleggiare le tue mani. Non oso mordere quella mela, vuotare quella tazza, toccare quel fiore: non vorrei sciupare questa viva composizione del tuo amore.

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BLAGA DIMITROVA - (Poetessa bulgara 1922-2003)

Abbraccio Cuore nel cuore. E respiro nel respiro. Così vicino a me, tanto da non vederti. Oltre la tua spalla guardavo in lontananza un monte oscuro. Ero protesa in uno slancio quasi a oltrepassarti. Sentivo battere il cuore impazzito delle stelle. Accoglievo il vento affannato, rivestito di foglie. Mi univo alle ombre dei boschi che venivano incontro e ai rami che si aprivano ad abbracciare la notte. La lontananza inspiravo in un sorso enorme. Premevo vento, nubi e stelle al mio petto. E nel cerchio stretto di un abbraccio ho rinchiuso l'infinito intero del mondo. (Da BLAGA DIMITROVA, SEGNALI (POESIE SCELTE 1937-1999, ED. FONDAZIONE PIAZZOLLA)

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BLAGA DIMITROVA - (Poetessa bulgara 1922-2003)

Notti bianche Fonte ignota di luce imbeve graniti e giardini. La Neva ha riversato in cielo rossori, il cielo nel fiume fremiti d'azzurro. E spalla a spalla due giovani vanno con passo cauto e lento - per non disperdere questa luce che da cuore a cuore trabocca. Blaga Dimitrova - 1947 (Da BLAGA DIMITROVA, SEGNALI (POESIE SCELTE 1937-1999, ED. FONDAZIONE PIAZZOLLA)

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BLAGA DIMITROVA - (Poetessa bulgara 1922-2003)

Mattino Era necessario un addio, perché capissi, che non c'è un addio per noi. Per sempre porterò in me quest'alba come segno di bruciatura. Alzàti sul far del giorno, partimmo verso l'aeroporto grigio ed eravamo contenti, perché era così lontano. La mia ultima parola fu un sorriso. E sopra di noi sorgeva con l'addio l'incontro vero e l'amore. Blaga Dimitrova - 1961 (Da BLAGA DIMITROVA, SEGNALI (POESIE SCELTE 1937-1999, ED. FONDAZIONE PIAZZOLLA)

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BLAGA DIMITROVA - (Poetessa bulgara 1922-2003)

Senza amore Da questo momento vivrò senza amore. Libera dal telefono e dal caso. Non soffrirò. Non avrò dolore né desiderio. Sarò vento imbrigliato, ruscello di ghiaccio. Non pallida per la notte insonne - ma non più ardente il mio volto. Non immersa in abissi di dolore - ma non più verso il cielo in volo. Non più cattiverie - ma nemmeno gesti di apertura infinita. Non più tenebre negli occhi, ma lontano per me non s'aprirà l'orizzonte intero. Non aspetterò più, sfinita, la sera - ma l'alba non sorgerà per me. Non mi inchioderà, gelida, una parola - ma il fuoco lento non mi arderà. Non piangerò sulla crudele spalla - ma non riderò più a cuore aperto. Non morrò solo per uno sguardo - ma non vivrò realmente mai più.

(1958)

(Da BLAGA DIMITROVA, SEGNALI (POESIE SCELTE 1937-1999, ED. FONDAZIONE PIAZZOLLA)

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GERVASIO BELLINATO (1922-1987)

Non sono i versi a fare una poesia, ma l’emozione e il sentimento espressi poeticamente.

Quelli che seguono non sono poesie in senso stretto, ma stralci di lettere. Li riporto perché sono pieni di poesia. Le lettere sono state spedite alla moglie dal caro amico e collega Gervasio Bellinato da Mussumeli in Sicilia, dove aveva preso servizio come direttore didattico.

Ancora ti stringo tra le braccia e non mi sento di lasciarti. Sento palpitare il tuo seno mentre i cuori si parlano. La penna è confusa e traduce male le concitate tenerissime parole che gli animi nostri nel silenzio si dicono. lo vorrei una trascrizione fedele del mio senti-mento, ma l'amore è molto più grande della mia povera parola. E così ti ascolta senza parlare o pronuncia confuso il noto saluto che per noi significa... baci, carezze e altre cose assai belle. L'ho già ripetuto mille volte stamattina questo saluto e sempre mi torna alle labbra: ciao Passerotto, ciao amore, ciao tesoro. È questa la nostra poesia, scritta ormai tanti anni fa, eppure sempre tanto bella.

Fra poco la reciteremo insieme, a due voci, pensando ai fiori campestri e ai freschi tramonti che l'hanno ispirata. Riandremo in quei luoghi tenendoci per mano per rivedere i meandri del fiume, per ascoltare la raganella che chiama la pioggia. E anche noi piangeremo di tenerezza ritrovando sempre verde il giardino dove sboccia il nostro affetto. Verrai? Ti porterò tra le braccia come allora per ripeterti ancora che ti amo tanto tanto.

* * *

Era proprio di questa stagione; c le erbe sull'Adige alitavano amore. Sono passati tanti giorni, tanti tanti da quel pomeriggio, eppure per noi quelle erbe hanno an-cora lo stesso respiro. Le senti? Ci dicono che attendono noi, prima che l'autunno mandi le nebbie a celarne i colori. Ma anche tra le nebbie noi sapremo scoprire il verde della nostra erba.

* * *

L'amore è un suggeritore assai monotono; sa dire solo poche parole, ma grandi come il mondo. Dicendo "amore mio, ti voglio tanto bene" infatti io evoco il so¬le della primavera, la rugiada dei fiori, la musica delle fronde, i colori dell'alba e mille altre cose ancora, tutte presenti nel ricordo dei tuoi occhi, nella freschezza del tuo sorriso.

Mandami tanti baci: baci appena sussurrati a fior di labbra; baci stimolati da misteriosi profumi; baci sereni nei quali l'amore si riposa e prende nuovo vigore. Baci baci baci, ed io mi sentirò ricco e fortunato più d'ogni altro uomo al mondo.

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WISLAWA SZIMBORSKA, (Poetessa polacca premio Nobel 1923 – 2012)

Accanto a un bicchiere di vino

Con uno sguardo mi ha reso più bella, e io questa bellezza l'ho fatta mia. Felice, ho inghiottito una stella. Ho lasciato che mi immaginasse a somiglianza del mio riflesso nei suoi occhi. Io ballo, io ballo nel battito di ali improvvise. […….…] Gli parlo di tutto ciò che vuole: delle formiche morenti d'amore sotto la costellazione del soffione. Gli giuro che una rosa bianca, se viene spruzzata di vino, canta. Mi metto a ridere, inclino il capo con prudenza, come per controllare un'invenzione. E ballo, ballo nella pelle stupita, nell'abbraccio che mi crea. [……….] Quando lui non mi guarda, cerco la mia immagine sul muro. E vedo solo un chiodo, senza il quadro. (Da WISLAWA SZYMBORSKA, ELOGIO DEI SOGNI, ED. ADELPHI)

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OTTAVIANO MENATO (Poeta veneto 1927-2010)

Il "sí" del matrimonio Prima di dire il "sì, dolcissimo mio futuro sposo, prendimi tra le tue braccia e stringimi nella tua musica. Non parlare, ferma il tempo, vestimi della dolcezza dei tuoi occhi e fammi sognare, fammi volare in alto, in alto! E sulla soglia dell'infinito azzurro, coprimi dei canti del cielo, dei canti del tuo grande amore, del tuo ardente cuore. Insieme danzeremo la gioia del nostro gioioso "sí", del nostro "sì" per sempre. (Da CANTO LA VITA, LA BELLEZZA, L’AMORE)

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AUTORE (A ME) SCONOSCIUTO

Anello nuziale Mentre lavoro, con l'anello d'oro puro tu mi stringi nel sangue del mio dito, che poi si fa con te, piacere per tutta la mia carne. Che felicità! Come le mie forti vene vanno, dolci, ubriacandosi di te, come di un celeste miele nella luce degli eterni calici! Il mio cuore intero passa, fiume impetuoso e nobile, sotto il soave anello che, per contenerlo, s'apre in infiniti circoli d'amore.

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GIORGIO CALABRESE (Genova 1929)

E se domani E se domani io non potessi rivedere te, mettiamo il caso che ti sentissi stanco di me. Quello che basta all'altra gente non mi darà nemmeno l'ombra della perduta felicità. E se domani e sottolineo "se" all'improvviso perdessi te, avrei perduto il mondo intero non solo te.

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ADONIS (poeta siriano-libanese 1930)

Uno specchio per Khàlida (1.L’onda) Khàlida Sul ramo tutto intorno germoglia la tristezza Khàlida Un viaggio annega i giorni nell'acqua dei tuoi occhi. Una onda mi ha insegnato che la luce delle stelle, che il volto delle nubi e il lamento della polvere sono un solo fiore... (Traduzione F. M. Corrao)

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ALDA MERINI (1931-2009)

Quando tu non ci sei a Michele Pierri Quando tu non ci sei, e l'aria non risuona dei tuoi richiami segreti allora l'ombra si stende come un manto, la sera diventa feroce

e gli uccelli mi cadono ai piedi stecchiti come percossi da una peste improvvisa, perché la mancanza di amore ahimè è la mia pestilenza. (In POESIE D’AMORE - L’ASSENZA, IL DESIDERIO – LE PIÙ IMPORTANTI POETESSE ITALIANE CONTEMPORANEE, ED. NEWTON)

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ALDA MERINI (1931-2009)

Lettere Rivedo le tue lettere di amore illuminata adesso dal distacco, senza quasi rancore... L'illusione era forte a sostenerci, ci reggevamo entrambi negli abbracci pregando che durassero gli intenti, ci promettemmo il «sempre degli amanti», certi nei nostri spiriti di iddii, E hai potuto lasciarmi! E hai potuto intuire un'altra luce che seguitasse dopo le mie spalle. Mi hai suscitata dalle scarse origini con richiami di musica divina, mi hai resa divergenza di dolore, spazio per la tua vita di ricerca per abitarmi il tempo di un errore e mi hai lasciato solo le tue lettere onde ne ribevessi la mia assenza. da La presenza di Orfeo (In POESIE D’AMORE - L’ASSENZA, IL DESIDERIO – LE PIÙ IMPORTANTI POETESSE ITALIANE CONTEMPORANEE, ED. NEWTON)

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ALDA MERINI (1931-2009)

Genesi Vorrei un figlio da te che sia una spada lucente, come un grido di alta grazia, che sia pietra, , che sia novello Adamo, lievito del mio sangue e che risolva più dolcemente questa nostra sete! Ah, se ti -amo, lo grido ad ogni vento gettando fiori da ogni scarso ramo e fiorita son tutta e di ogni velo vo' scerpando il mio lutto, perché genesi sei della mia carne. Ma il mio cuore, trafitto dall'amore ha desiderio di mondarsi, vivo, e perciò dammi un figlio delicato, un bellissimo vergine viticcio da allacciare al mio tronco e tu possente padre, tu olmo ricco di ogni forza antica mieterai dolci ombre alla mia luce. da Tu sei Pietro (In POESIE D’AMORE - L’ASSENZA, IL DESIDERIO – LE PIÙ IMPORTANTI POETESSE ITALIANE CONTEMPORANEE, ED. NEWTON)

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GINO PAOLI (1934)

Il cielo in una stanza Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti. Quando sei qui vicino a me questo soffitto viola no, non esiste più... Io vedo il cielo sopra noi che restiamo qui, abbandonati come se, se non ci fosse più niente, più niente al mondo. Suona un'armonica: mi sembra un organo che vibra per te e per me su nell'immensità del cielo . . . Suona un'armonica: mi sembra un organo che vibra per te e per me su nell'immensità del cielo Per te... e per me nel cielo.

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MUHAMMAD AL-MAGHUT (poesia araba 1934)

Malinconia al chiaro di luna Oh primavera che arrivi dai suoi occhi Oh passero che viaggi al chiaro di luna Portami da lei Versi di passione o fendente di lama io sono perduto, ferito Amo la pioggia e gemo per onde lontane mi desto da un sonno profondo ricordo il ginocchio di una donna amata, un giorno la vidi e nel vino e nei versi mi persi. Di' alla mia amata Laylà, dalla bocca ebbra e i piedi di seta, sono malato e il desiderio mi strugge colgo tracce di passi sul mio cuore Damasco, carro di rose per prigionieri, disteso nella mia stanza a scrivere, sognare e guardare i passanti dall'alto cuore del cielo ascolto il palpito della tua pelle nuda. Da vent'anni, bussiamo alle tue porte chiuse sui nostri abiti e sui figli la pioggia diluvia e i nostri volti feriti dalla tosse tagliente dolenti come il pallido addio della tisi e i selvaggi venti dei deserti recano i nostri lamenti ai vicoli, ai fornai e ai delatori e noi cavalli bradi ci avventiamo sulle pagine di storia piangiamo e tremiamo e dietro i nostri passi curvi passano i venti e spighe amaranto... Ci separammo una tempesta di stelle cadenti avanza nei tuoi gelidi occhi Eccola, corrucciata amante dal corpo ammantato di tosse e di gemme sei mia questo amante è per te, amata! Prima di partire, ho giaciuto con una donna e scritto versi d'amore alla notte, all'autunno alle nazioni umiliate. Nel giallo meriggiare del sole appoggiavo il capo tra le imposte delle finestre lasciavo brillare le lacrime come alba, come donna nuda Legato da un antico vincolo alla malinconia e alla devozione e in prossimità di silenziose nubi lontane

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apparivano a centinaia nudi laidi torsi immersi in un fiume di spine e una nube dai tristi occhi blu mi stringe alla storia adagiata sulle mie labbra. Oh lunghi sguardi di dolore oh macchioline di sangue, déstati io qui ti vedo su bandiere ammainate tra le pieghe di abiti setosi Sotto il tuo cielo terso avanzo tra la folla come tuono dorato avanzo piangendo patria mia Dove sono i vascelli colmi di spade e tabacco e la serva dai grandi occhi che ha conquistato un regno come due calde donne Sei come una lunga notte sul petto di donna, patria mia io spettro anonimo qui sono straniero

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MOGOL (1936)

Acqua azzurra acqua chiara Ogni notte ritornar per cercarla in qualche bar, domandare ciao che fai e poi uscire insieme a lei. Ma da quando ci sei tu tutto questo non c'e' piu'. Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere. Nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro, puro come il tuo amor. Ti telefono se vuoi non so ancora se c'e' lui ... accidenti che faro' quattro amici trovero'. Ma da quando ci sei tu tutto questo non c'e' piu'. Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere. Nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro, puro come il tuo amor Da quando ci sei tu tutto questo non c'e' piu'. Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere... Sono le quattro e mezza ormai non ho voglia di dormir a quest'ora, cosa vuoi, mi va bene pure lei. Ma da quando ci sei tu tutto questo non c'e' piu'. Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere Acqua azzurra, acqua chiara Nei tuoi occhi innocenti....

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UNSI ‘L-HAGG (poeta libanese 1937)

Dialogo Dimmi, mia amata, a cosa pensi? Penso al tuo sole che non mi illumina, amore mio. Dimmi, a cosa pensi? Penso a te, a come puoi resistere alla freschezza del mio cuore. Dimmi, a cosa pensi? Penso, amore mio, alla tua tirannia, a come ora m'ami mentre io non t'amo. (Traduzione M. Masullo)

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BELLA ACHMADÙLINA (poetessa russa 1937-2010)

La tua casa La tua casa, che non conosce le disgrazie, mi accoglieva e mi sbaciucchiava sulla guancia. Come un pesce dall'acqua il servizio faceva capolino dai vetri. Ed il cane mi veniva incontro saltellando come una cornacchia, piccolo, bagnato, e nella indifesa armatura stavano ritti i cactus alla finestra. Dalle discordia di tutta la terra io venivo come un infreddolito ambasciatore e la casa mi guardava negli occhi ed era buona e delicata. Sulla mia testa non attirò la vergogna, non si tradì. La casa mi giurava che mai aveva visto quella donna. Diceva: "Io sono vuota. lo sono vuota!" Io dicevo: "Da qualche parte, da qualche parte... Diceva: "Lascia stare. Lascia stare. Entra e dimenticatene." Oh, come temevo dapprima un fazzoletto o un altro oggetto, ma la casa ripeteva le sue parole, rimescolava gli oggetti. Faceva sparire le tracce di lei. Oh, come fingeva abilmente che qui non erano cadute lacrime, non si era appoggiato un gomito. Come una minuziosa risacca lavò tutto: e le impronte delle scarpe, e quell'oggetto abbandonato, ed il bottone di un guanto.

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Tutti si erano messi d'accordo: il cane dimenticò con chi giocava ed il piccolo chiodo non sapeva chi lo aveva dimenticato e mi dava una nebbiosa risposta. Gli specchi erano così vuoti, come se la neve vi fosse caduta e fermata. Non potevano ricordarsi i fiori chi li poneva nel bicchiere sfaccettato... Oh, casa altrui! Oh, cara casa! Addio! Ti domando una piccola cosa: non essere così buona. Non essere così buona. Non consolarmi con un inganno. 1959 (Da BELLA ACHMADÙLINA, POESIE SCELTE, FONDAZIONE PIAZZOLLA ROMA)

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BELLA ACHMADÙLINA (poetessa russa 1937-2010)

Io pensavo che tu eri il mio nemico Io pensavo che tu eri il mio nemico, la mia pesante sciagura, ma tu non sei un nemico, sei soltanto un contaballe e tutto il tuo gioco è da quattro soldi. Sulla piazza del Maneggio gettavi una moneta nella neve. Indovinavi dalla moneta se io ti amavo o no. E mi coprivi le gambe con lo scialle là, nel giardino di Alessandro, e mi scaldavi le mani, ma ingannavi sempre, pensavi sempre che anche io avrei mentito. Turbinavano sopra di me le menzogne, più somiglianti ad uno stormo di cornacchie. Ma ecco, per l'ultima volta mi dici addio, negli occhi né azzurro, né nero. Oh, vivrai ancora, non soffrirai, però, a me non importa assolutamente nulla. Ma come tutto è senza ragione, ma come tutto è assurdo. Tu devi andare a destra. Io devo andare a sinistra. 1957 (Da BELLA ACHMADÙLINA, POESIE SCELTE, FONDAZIONE PIAZZOLLA ROMA)

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BIANCAMARIA FRABOTTA (Roma 1946)

Quasi che il sonno l'uno all'altra

Quasi che il sonno l'uno all'altra h rapisse, nel buio intrecciando le dita si sfiorano con la punta del piede e pensano — gli estremi si toccano nel cuore della notte. Uno dei due già sogna anche per l'altro. E incline più al contagio che al presagio s'addormenta l'amore coniugale mano nella mano, la vita cinta come per la danza, mentre quell'altra vita preme ai cancelli del rimosso e li piega. Entrambi sul fianco sinistro. L’alba li sveglia un poco più fratelli. In <<POESIE D’AMORE “IN SEGRETO E IN PASSIONE” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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ELENA CLEMENTELLI (vivente)

Storia d'amore Ci scontrammo sulle piste del sangue. Imperativo, più che invito, il richiamo che fu comando ai sensi. Il sorriso d'un angelo apostatico accese un lampo nel meriggio e un fragore di tuono scosse l'attonita inerzia dei cuori. In cielo, la congiunzione degli astri avvolse i nostri segni: e fu consenso. Giro di giorni e d'anni lungo un fiume convulso di eventi. Poi, mano nella mano, mentre più chiara luce attenua, senza spegnerlo, il fuoco di quel primo bagliore, memoria e pace giacciono insieme. E così, insieme, i passi, nell'armonia dei ritmi costruiti battuta su battuta, fra allegro andante e scherzo, scandiscono i tempi d'una partitura in crescendo. da Il conto In <<POESIE D’AMORE “IN SEGRETO E IN PASSIONE” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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ELENA CLEMENTELLI (vivente)

Duello al tramonto

Non scagliamo parole attraverso il burrone dell'amore franato. Non costruirebbero un ponte. Ma muti volgiamo le spalle, contiamo i passi, secondo le leggi d'onore, sempre più a nord, sempre più a sud, fino a perdere il conto e la voglia di fermarci e sparare. da Così parlando onesto In <<POESIE D’AMORE “IN SEGRETO E IN PASSIONE” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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MOGOL (1936)

L’immensità Io son sicuro che, per ogni goccia per ogni goccia che cadrà un nuovo fiore nascerà e su quel fiore una farfalla volerà Io son sicuro che in questa grande immensità qualcuno pensa un poco a me e non mi scorderà Sì, io lo so, tutta la vita sempre solo non sarò e un giorno io saprò d'essere un piccolo pensiero nella più grande immensità..... di quel cielo. Sì, io lo so, tutta la vita sempre solo non sarò un giorno troverò un po' d'amore anche per me per me che sono nullità nell'immensità...

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SEAMUS HEANEY (poeta dell’Irlanda del Nord, 1939)

Commiato Signora dalla camicetta increspata E dalla semplice gonna scozzese, Da quando hai lasciato la casa Il suo vuoto ferisce Ogni pensiero. In tua presenza Passava in fretta il tempo, ancorato A un sorriso; ma l'assenza Ha sconvolto l'equilibrio dell'amore, ha tolto L'ormeggio ai giorni. Ed essi danno sgroppate, Rimbalzano e a testa bassa caricano Attraverso il calendario Scagliati dal suono quieto Della tua voce tenera di fiore. Sulla mia spiaggia si frange la tua assenza, Sei partita, ed io sono per mare. Finché non riprendi il comando L'io si ammutina.

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FABRIZIO DE ANDRÈ (1940-1999)

Marinella Questa di Marinella è la storia vera che scivolò nel fiume a primavera ma il vento che la vide così bella dal fiume la portò sopra a una stella sola senza il ricordo di un dolore vivevi senza il sogno di un amore ma un re senza corona e senza scorta bussò tre volte un giorno alla sua porta bianco come la luna il suo cappello come l'amore rosso il suo mantello tu lo seguisti senza una ragione come un ragazzo segue un aquilone e c'era il sole e avevi gli occhi belli lui ti baciò le labbra ed i capelli c'era la luna e avevi gli occhi stanchi lui pose la mano sui tuoi fianchi furono baci furono sorrisi poi furono soltanto i fiordalisi che videro con gli occhi delle stelle fremere al vento e ai baci la tua pelle dicono poi che mentre ritornavi nel fiume chissà come scivolavi e lui che non ti volle creder morta bussò cent'anni ancora alla tua porta questa è la tua canzone Marinella che sei volata in cielo su una stella e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno , come le rose e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno come le rose.

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MARIANNA BUCCHICH (vivente)

L'intrusa Vorrei lei non trovasse una traccia di te. Ti amo molto - non lo deve sapere questo voglio che sia solo per me e per te. Butterò le tue cicche perché non senta l'odore delle tue labbra, nasconderò i bicchieri cancellerò le orme dei tuoi piedi cambierò le lenzuola perché le tracce del nostra amore non suscitino la sua invidia. Resterà solo un odore di te nel mio cuore. Solleverò leggera la tua chitarra e la nasconderò... ma tutto resterà nella mia stanza che chiuderò a chiave e lascerò anche le lenzuola piene di fiori. Lascerò lei fuori dalla porta.

In <<POESIE D’AMORE “IN SEGRETO E IN PASSIONE” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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MARIANNA BUCCHICH (vivente)

Il tempo dei desideri Pareva un grande amore. Forse lo era. Non lo sappiamo. Saranno le stelle che brillano in questa sera a decretarne il destino. È una p ioggia di ste l le sulla mia testa, mandano strani bagliori messaggi indecifrabili come quell'amore che nacque fra noi una notte all'improvviso e improvvisamente mutò come il vento che si porta le cose belle non si da dove

se fra le foglie marcite dal tempo o sulla luna piena perché le conservi il tempo dei desideri. (Inediti) In <<POESIE D’AMORE “IN SEGRETO E IN PASSIONE” RACCOLTA DELLE PIÙ ”CELEBRI POETESSE DI OGGI, ED. NEWTON>>

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VALERIO NEGRINI (1946-2013)

Infiniti noi Che ti serve ormai tormentarti per capire il mondo farti soffiare dentro da ogni vento niente c'è che valga il tuo sgomento. Guarda invece noi piangi per l'amore se si perde odiami se sei messa da parte grida se l'amore grida forte. Perché noi qui, infiniti noi siamo il tempo innocente che nasce dal silenzio del mondo intorno a noi. Chi ti ascolta mai dolce e disperata tra la gente dove le tue mani son respinte ciò che non è tuo non vale niente. Perché noi qui, infiniti noi siamo il tempo innocente che nasce dal silenzio del mondo intorno a noi. Io ti ascolterò voce di stupito sentimento io sarò il tuo tempo in un momento con l'orgoglio di dormirti accanto. Guarda ancora noi piangi per l'amore se si perde odiami se sei messa da parte grida se l'amore grida forte.

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RENATO ZERO (Roma 1950)

I migliori anni della nostra vita Penso che ogni giorno sia come una pesca Miracolosa e che è bello pescare sospesi su di una soffice nuvola rosa. Io come un gentiluomo, e tu come una sposa Mentre fuori dalla finestra si alza in volo soltanto la polvere. C'è aria di tempesta! Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta. Ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta. Tutti vogliono tutto per poi accorgersi che è niente. Noi non faremo come l'altra gente, questi sono e resteranno per sempre... I migliori anni della nostra vita I migliori anni della nostra vita. Stringimi forte che nessuna notte è infinita I migliori anni della nostra vita Stringimi forte che nessuna notte è infinita. I migliori anni della nostra vita Penso che è stupendo restare al buio abbracciati e muti, come pugili dopo un incontro.

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ANTONIO GIAROLA (Poeta veneto vivente)

Sei il mio fiore Sorgi piano amore stamattina col vento che t'alita profumo tra i capelli già colmi di sole. Ed io ti vedrò per sempre ogni giorno così ed anche quando vincerà il tempo sarai il mio fiore. (Da ANTONIO GIAROLA, POESIE 1972-1989, ED- MG)

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MARIA TERESA MANCINI (vivente)

Ancora non conosco Ancora non conosco il linguaggio dei gesti dei tuoi pensieri nuovi né tu conosci il mio che pur traspare nella ricerca di segni antichi alfabeto già scritto nell'anello di luce che ci chiude. E il raggio che investe la cintura di nubi la siepe che risplende nel profondo del fiume è l'attimo che vivo chiaroscuro dell'anima aperta verso la tua. (Da MARIA TERESA MANCINI, NEL CUORE DEL VENTO, VENILIA EDITRICE)

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MARIA TERESA MANCINI (vivente)

Il sentiero del vento Lo chiamavamo il sentiero del vento erto tra le dune nell'intrico di more e biancospini. lo mi stancavo: «Aspetto qui su questo tronco di pino in vista del pontile». Tu proseguivi oltre le siepi: un lungo tratto sabbioso tutto in discesa sino al faro. Conoscevo la spiaggia solitaria dove la sterna nasconde il nido dietro una conchiglia. Sceglievi i tronchi che il mare respingeva: «Vedi, è una cosa bella, basta incidere qui, poi levigare: è il tuo viso, la bocca un po' imbronciata, i ca p e l l i l e gge r i co m e fo g l i e . . . » . Scandisce il tempo la clessidra. Sul sentiero del vento nel volo dei gabbiani si perde il mio richiamo. Al di là degli spazi la tua riva. So che risponderai. In questa breve radura accanto al pino reciso devo ancora aspettare. (Da MARIA TERESA MANCINI, NEL CUORE DEL VENTO, VENILIA EDITRICE)

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MARIA TERESA MANCINI (vivente)

Tremava l'ombra Tremava l 'ombra del faro a l c h i a r o d e l l a l u n a . Risalivano i flutti la scogliera. Rifugio improvvisato sulla spiaggia un capanno di legno abbandonato. Qualche bottiglia vuota oltre la soglia un piccolo gabbiano accovacciato. Come giunchi intrecciati le tue mani leggere cingevano il mio capo. - Saremo l 'o lmo e la v i te . Due vele affiancate sul mare. Frecce scagliate insieme verso l'infinito. - Nell'alba di madreperla radeva il vento le orme segnate sulla rena. Era l'ultima estate. Grumi d'alghe punteggiano la riva ride roco un gabbiano sulla diga. È onda franta il ricordo e la tua voce eco di mare dentro conchiglia vuota.

(Da MARIA TERESA MANCINI, NEL CUORE DEL VENTO, VENILIA EDITRICE)

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CLAUDIO BAGLIONI (1951)

Questo piccolo grande amore Quella sua maglietta fina tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto e quell'aria da bambina che non glielo detto mai ma io ci andavo matto e chiare sere d'estate il mare i giochi e le fate e la paura e la voglia di essere nudi un bacio a labbra salate il fuoco quattro risate e far l'amore giù al faro... ti amo davvero ti amo lo giuro...ti amo ti amo davvero! e lei lei mi guardava con sospetto poi mi sorrideva e mi teneva stretto stretto ed io io non ho mai capito niente visto che ora mai non me lo levo dalla mente che lei lei era un piccolo grande amore solo un piccolo grande amore niente più di questo niente più! mi manca da morire quel suo piccolo grande amore adesso che saprei cosa dire adesso che saprei cosa fare adesso che voglio un piccolo grande amore quella camminata strana pure in mezzo a chissacchè l'avrei riconosciuta mi diceva "sei una frana" ma io questa cosa qui mica l'ho mai creduta e lunghe corse affannate incontro a stelle cadute e mani sempre più ansiose di cose proibite e le canzoni stonate urlate al cielo lassù "chi arriva prima a quel muro..."

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non sono sicuro se ti amo davvero non sono...non sono sicuro... e lei tutto ad un tratto non parlava ma le si leggeva chiaro in faccia che soffriva ed io io non lo so quant'è che ha pianto solamente adesso me ne sto rendendo conto che lei lei era un piccolo grande amore solo un piccolo grande amore niente più di questo niente più mi manca da morire quel suo piccolo grande amore adesso che saprei cosa dire adesso che che saprei cosa fare adesso che voglio un piccolo grande amore...

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CARLA BARONI (È nata a Cologna Veneta e vive a Ferrara)

X . Venere vedi come sei malvagia Venere vedi come sei malvagia, colpisci coi tuoi dardi e poi ne ridi. Ridi delle frasi banali sempre uguali che gli amanti si scambiano tra loro, ridi dei baci, ridi alle carezze. Tu che conosci tutti gli artifici dell'umano piacere ti diverti a quel gioco sottile, alla partita che non lascia né vinti né vincenti. E il ripetersi uguale delle mosse nella grande scacchiera della vita muove il riso cosciente della beffa, ma le pedine questo non lo sanno. Regina e re, siano bianchi o neri si senton soli dentro all'universo. (Da CARLA BARONI, LO ZUFOLO DEL DIO SILVANO, SOVERA EDITORE)

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CARLA BARONI (È nata a Cologna Veneta e vive a Ferrara)

XXI. Sì fummo i soli esseri del tempo Sì fummo i soli esseri del tempo vibranti come corde di una cetra. Intorno a noi qual altra creatura avremmo mai supposto che esistesse? Noi eravamo gli unici viventi a respirare il soffio della terra. I primi e gli ultimi nel cerchio che si chiude e ripete per sempre il suo percorso, non spirale che evolve e s'allontana allargandosi dal punto di partenza ma un cerchio stretto, anello di catena che non si spezza nell'oblio dell'ora. (Da CARLA BARONI, LO ZUFOLO DEL DIO SILVANO, SOVERA EDITORE)

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CARLA BARONI (È nata a Cologna Veneta e vive a Ferrara)

X X I X Io ricordo che non ti dissi t'amo Io ricordo che non ti dissi t'amo. Ero tutta per te, tu lo sapevi. Ma ora lo sussurro dentro al vento, ora lo grido ai lati della valle e lo ripeto con convincimento in mille modi, in mille toni: t'amo. Cosa dirti di più mio Dio silvano. Tutti lo sanno del mio folle amore. Anche l'acqua che scorre piano, piano già mi rimanda come ecolalia1 il ritornello dolce: t'amo, t'amo.

1. Ripetizione meccanica dell’ultima parola o frase. (Da CARLA BARONI, LO ZUFOLO DEL DIO SILVANO, SOVERA EDITORE)

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CARLA BARONI (È nata a Cologna Veneta e vive a Ferrara)

L (Epilogo) - Mi son svegliata, ero nel mio letto Mi son svegliata, ero nel mio letto. Accanto a me giaceva il Dio silvano1, gli occhi azzurri colore di pervinca, aggrottata la fronte da un pensiero. «Hai delirato tutta notte sai. Mormoravi nel sonno di un tuo Dio e di un altro dal nome di Silvano» mi diceva con fare sospettoso. Io sorvolai con un sospiro lieve: «Ho fatto un sogno, un brutto sogno o forse era bello non so. Io ti cercavo tra prati e valli, tra montagne e colli io ti cercavo e tu non c'eri mai». Tra me pensavo: questo non fu sogno, fu la rivelazione, lo scavare nel mistero dell'uomo, alle radici di questo nostro essere imperfetto che ci rimanda all'involucro esterno e non rammenta mai da quale prodigioso germoglio siamo nati, e già smemora anche del suo ieri. E la misura ho avuto dell'intensa passione, il nodo che ci tiene avvinti. Noi siamo già vissuti nei primordi, siamo vissuti solo poco dopo che l'alga verde s'ancorasse al suolo. Siamo tornati dall'eternità. Il sole risplendeva nel querceto e il vento mi portava odor di bosco. Nella mattina fresca appena, appena quarto di luna sorrideva ancora.

1. Figura mitologica dell’uomo amato (Da CARLA BARONI, LO ZUFOLO DEL DIO SILVANO, SOVERA EDITORE)

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ENRICO RUGGERI (Milano 1957)

Quello che le donne non dicono Ci fanno compagnia certe lettere d'amore parole che restano con noi, e non andiamo via ma nascondiamo del dolore che scivola, lo sentiremo poi, abbiamo troppa fantasia, e se diciamo una bugia è una mancata verità che prima o poi succederà cambia il vento ma noi no e se ci trasformiamo un po' è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare a stare con noi, siamo così è difficile spiegare certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui, con le nostre notti bianche, ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si". In fretta vanno via della giornate senza fine, silenzi che familiarità, e lasciano una scia le frasi da bambine che tornano, ma chi le ascolterà... E dalle macchine per noi i complimenti dei playboy ma non li sentiamo più se c'è chi non ce li fa più cambia il vento ma noi no e se ci confondiamo un po' è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare ancora con noi. Siamo così, dolcemente complicate, sempre più emozionate, delicate , ma potrai trovarci ancora quì nelle sere tempestose portaci delle rose nuove cose e ti diremo ancora un altro "si", è difficile spiegare certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui, con le nostre notti bianche, ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si"