Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater...

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Bonvesin de la Riva Le meraviglie di Milano www.liberliber.it Bonvesin de la Riva Le meraviglie di Milano www.liberliber.it

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Bonvesin de la RivaLe meraviglie di Milano

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Le meraviglie di MilanoAUTORE: Bonvesin : de la RivaTRADUTTORE: Verga, EttoreCURATORE: NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito “Digitami” della BibliotecaComunale Sormani di Milano: http://www.digitami.it/opera.do?operaId=332

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Le meraviglie di Milano / Bonvesino dallaRiva ; traduzione dal testo latino, introduzione ecommenti del dott. Ettore Verga. - Milano : L. F.Cogliati, 1921. - LXII, 95 p. ; 17 cm..

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 6 marzo 2019

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TRATTO DA: Le meraviglie di Milano / Bonvesino dallaRiva ; traduzione dal testo latino, introduzione ecommenti del dott. Ettore Verga. - Milano : L. F.Cogliati, 1921. - LXII, 95 p. ; 17 cm..

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 6 marzo 2019

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / ClassiciHIS037010 STORIA / Medievale

DIGITALIZZAZIONE:Biblioteca Comunale Sormani di Milano, http://www.-digitami.it/Claudio Paganelli, [email protected]

REVISIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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SOGGETTO:FIC004000 FICTION / ClassiciHIS037010 STORIA / Medievale

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4SCRITTORI MILANESI...........................................6FRA BONVESINO DELLA RIVA............................7FRA BONVESINO.....................................................8

I...............................................................................8II...........................................................................15III..........................................................................54

NOTA BIBLIOGRAFICA........................................63LE MERAVIGLIE DI MILANO..............................68DIVISIONE DEL CAPITOLO PRIMO...................72DIVISIONE DEL CAPITOLO SECONDO.............75DIVISIONE DEL CAPITOLO TERZO...................83DIVISIONE DEL CAPITOLO QUARTO...............97DIVISIONE DEL CAPITOLO QUINTO...............116DIVISIONE DEL CAPITOLO SESTO.................142DIVISIONE DEL CAPITOLO SETTIMO............145DIVISIONE DEL.CAPITOLO OTTAVO..............147

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4SCRITTORI MILANESI...........................................6FRA BONVESINO DELLA RIVA............................7FRA BONVESINO.....................................................8

I...............................................................................8II...........................................................................15III..........................................................................54

NOTA BIBLIOGRAFICA........................................63LE MERAVIGLIE DI MILANO..............................68DIVISIONE DEL CAPITOLO PRIMO...................72DIVISIONE DEL CAPITOLO SECONDO.............75DIVISIONE DEL CAPITOLO TERZO...................83DIVISIONE DEL CAPITOLO QUARTO...............97DIVISIONE DEL CAPITOLO QUINTO...............116DIVISIONE DEL CAPITOLO SESTO.................142DIVISIONE DEL CAPITOLO SETTIMO............145DIVISIONE DEL.CAPITOLO OTTAVO..............147

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SCRITTORI MILANESI

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SCRITTORI MILANESI

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FRA BONVESINO DELLA RIVA

LE MERAVIGLIEDI MILANO

TRADUZIONE DAL TESTO LATINOINTRODUZIONE E COMMENTIDEL DOTT. ETTORE VERGA

CASA EDITRICE L. F. COGLIATI - MILANO1921

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FRA BONVESINO DELLA RIVA

LE MERAVIGLIEDI MILANO

TRADUZIONE DAL TESTO LATINOINTRODUZIONE E COMMENTIDEL DOTT. ETTORE VERGA

CASA EDITRICE L. F. COGLIATI - MILANO1921

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FRA BONVESINO

I.

Sulla vita dell'umile fraticello milanese benpoche notizie son giunte a noi; ma non v'è ra-gion di dolersene: egli è tutto ne' suoi scritti:quando avremo letto un saggio delle sue can-dide poesie e l'affettuoso elogio della sua città,lo avremo pienamente conosciuto e ce lo sen-tiremo vicino come un amico di cui ci siannoti e cari i più riposti sentimenti.

Fino allo scorcio del passato secolo le uni-che fonti per la sua biografia erano alcuni va-ghi accenni nelle cronache milanesi di Galva-no Fiamma, un epitaffio sulla sua tomba nellachiesa di S. Francesco in Milano, tramandato-ci da scrittori del secolo XVII che lo avevanopotuto leggere prima della sua dispersione av-venuta probabilmente nel 1698 quando lavecchia chiesa rovinò, e due cronache dei fratiUmiliati del secolo XV riferite dal Tiraboschi.

Il Fiamma, pur avendone saccheggiatol'operetta sulle grandezze di Milano, non sep-

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FRA BONVESINO

I.

Sulla vita dell'umile fraticello milanese benpoche notizie son giunte a noi; ma non v'è ra-gion di dolersene: egli è tutto ne' suoi scritti:quando avremo letto un saggio delle sue can-dide poesie e l'affettuoso elogio della sua città,lo avremo pienamente conosciuto e ce lo sen-tiremo vicino come un amico di cui ci siannoti e cari i più riposti sentimenti.

Fino allo scorcio del passato secolo le uni-che fonti per la sua biografia erano alcuni va-ghi accenni nelle cronache milanesi di Galva-no Fiamma, un epitaffio sulla sua tomba nellachiesa di S. Francesco in Milano, tramandato-ci da scrittori del secolo XVII che lo avevanopotuto leggere prima della sua dispersione av-venuta probabilmente nel 1698 quando lavecchia chiesa rovinò, e due cronache dei fratiUmiliati del secolo XV riferite dal Tiraboschi.

Il Fiamma, pur avendone saccheggiatol'operetta sulle grandezze di Milano, non sep-

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pe o non volle dir altro di lui se non che erafrater tertii Ordinis, senza neppur aggiungeredi qual Ordine monastico sia stato terziario.L'epitaffio suona così:

JOHANNES DE RIPA P. - HIC JACET - F. BONVICINUS DE

RIPA - DE ORDINE TERTIO HUMILIATORUM - DOCTOR IN

GRAMATICA - QUI CONSTRUXIT HOSPITALE DE LEGNIANO -QUI COMPOSUIT MULTA VULGARIA - QUI PRIMUS FECIT

PULSARE CAMPANAS AD AVE MARIA - MEDIOLANI ET IN

COMITATU - DICATUR AVE MARIA PRO ANIMA EIUS.Secondo questa iscrizione, posta sul sepol-

cro da quel Giovanni Riva, Bonvesino, dottorein grammatica, avrebbe appartenuto all'Ordi-ne degli Umiliati, avrebbe fondato l'ospedaledi S. Erasmo in Legnano, avrebbe pel primointrodotto nella città e nel contado di Milano ilsegnale dell'ave Maria dato dalle campane. Ledue cronache, in un rapido accenno, concor-dano coll'epitaffio chiamando Bonvesino fratedel terz'Ordine degli Umiliati.

Ma nel 1886 vennero in luce due suoi testa-menti i quali apportarono qualche notizianuova e precisa, offrirono argomenti per retti-ficare quelle tramandate dalle fonti anteriori,e delinearono in certo modo la figura moraledi lui: l'uno del 18 ottobre 1304, l'altro del 5gennaio 1313. Poichè in quest'ultimo Bonvesi-no, figlio di Pietro della Riva, si dice senex et

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pe o non volle dir altro di lui se non che erafrater tertii Ordinis, senza neppur aggiungeredi qual Ordine monastico sia stato terziario.L'epitaffio suona così:

JOHANNES DE RIPA P. - HIC JACET - F. BONVICINUS DE

RIPA - DE ORDINE TERTIO HUMILIATORUM - DOCTOR IN

GRAMATICA - QUI CONSTRUXIT HOSPITALE DE LEGNIANO -QUI COMPOSUIT MULTA VULGARIA - QUI PRIMUS FECIT

PULSARE CAMPANAS AD AVE MARIA - MEDIOLANI ET IN

COMITATU - DICATUR AVE MARIA PRO ANIMA EIUS.Secondo questa iscrizione, posta sul sepol-

cro da quel Giovanni Riva, Bonvesino, dottorein grammatica, avrebbe appartenuto all'Ordi-ne degli Umiliati, avrebbe fondato l'ospedaledi S. Erasmo in Legnano, avrebbe pel primointrodotto nella città e nel contado di Milano ilsegnale dell'ave Maria dato dalle campane. Ledue cronache, in un rapido accenno, concor-dano coll'epitaffio chiamando Bonvesino fratedel terz'Ordine degli Umiliati.

Ma nel 1886 vennero in luce due suoi testa-menti i quali apportarono qualche notizianuova e precisa, offrirono argomenti per retti-ficare quelle tramandate dalle fonti anteriori,e delinearono in certo modo la figura moraledi lui: l'uno del 18 ottobre 1304, l'altro del 5gennaio 1313. Poichè in quest'ultimo Bonvesi-no, figlio di Pietro della Riva, si dice senex et

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Page 10: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

aeger, vecchio ed ammalato, possiam suppor-re abbia allora avuto settant'anni, poco piùpoco meno, e, per conseguenza, sia nato in-torno al 1240. Si rileva inoltre che egli eramaestro (magister si chiama non doctor) digrammatica, che era frate terziario, di qualOrdine pur troppo non è detto, il che non gliimpedì d'ammogliarsi due volte, dapprima conmadonna Benghedisia, morta prima del 1304,poi con madonna Floramonte, morta sicura-mente prima del 1313; si rileva che dovevagodere d'una certa agiatezza possedendo unacasa in porta Ticinese nella parrocchia di S.Sisto, e tre fuori di porta Tosa nel luogo dettola Brera del Gallo; case per altro modestecome eran quasi tutte a quel tempo in Milano,dacchè una di queste ultime era affittata perquaranta soldi di terzoli all'anno1. Negli ultimianni dovette ritirarsi dall'insegnamento; infat-ti non son più menzionati nel secondo testa-mento la cattedra e i banchi ricordati nel pri-mo, nè i libri di sua proprietà che nel primoordinava si vendessero a profitto del conventodei frati minori (francescani) nè quelli lasciati-

1 La lira di terzuoli, secondo i calcoli del Martini, valeva, tra il 1240 e il1277 la metà della lira imperiale, la quale ragguagliata alla nostra monetasi può considerar pari a 12 lire italiane. Poi, dopo il 1277 e durante il sec.XIV il valore dell'una e dell'altra si ridusse quasi alla metà. Bisogna peròconsiderare che il denaro aveva allora molto maggior valore che in oggi.

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aeger, vecchio ed ammalato, possiam suppor-re abbia allora avuto settant'anni, poco piùpoco meno, e, per conseguenza, sia nato in-torno al 1240. Si rileva inoltre che egli eramaestro (magister si chiama non doctor) digrammatica, che era frate terziario, di qualOrdine pur troppo non è detto, il che non gliimpedì d'ammogliarsi due volte, dapprima conmadonna Benghedisia, morta prima del 1304,poi con madonna Floramonte, morta sicura-mente prima del 1313; si rileva che dovevagodere d'una certa agiatezza possedendo unacasa in porta Ticinese nella parrocchia di S.Sisto, e tre fuori di porta Tosa nel luogo dettola Brera del Gallo; case per altro modestecome eran quasi tutte a quel tempo in Milano,dacchè una di queste ultime era affittata perquaranta soldi di terzoli all'anno1. Negli ultimianni dovette ritirarsi dall'insegnamento; infat-ti non son più menzionati nel secondo testa-mento la cattedra e i banchi ricordati nel pri-mo, nè i libri di sua proprietà che nel primoordinava si vendessero a profitto del conventodei frati minori (francescani) nè quelli lasciati-

1 La lira di terzuoli, secondo i calcoli del Martini, valeva, tra il 1240 e il1277 la metà della lira imperiale, la quale ragguagliata alla nostra monetasi può considerar pari a 12 lire italiane. Poi, dopo il 1277 e durante il sec.XIV il valore dell'una e dell'altra si ridusse quasi alla metà. Bisogna peròconsiderare che il denaro aveva allora molto maggior valore che in oggi.

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gli in pegno da scolari in arretrato coi paga-menti, che destinava all'ospedale della Colom-betta insieme coi danari da quelli dovutigli.

Un istrumento del 1290, pubblicato insiemeai testamenti, dimostra come il nostro Bonve-sino godesse fama d'uomo devoto e generoso.I frati della Colombetta, non avendo denariper comperare un certo molino, ricorsero a luitamquam ad hominem devotum et spetialleamicum illius domus ed ebbero quanto loro oc-correva. Le sue disposizioni testamentarieconfermano questa fama. Egli lasciava erediuniversali de' suoi redditi i poverelli vergogno-si (pauperes verecundi), erogatari i frati dellaColombetta ai quali assegnava la proprietà deisuoi beni stabili. Destinava un legato di quin-dici lire di terzoli al convento de' frati minoridi S. Francesco, ed altri legati di venti soldifino a sette lire ai conventi dei Predicatori, de-gli Eremitani, di S. Maria del monte Carmelo,di S. Maria mater Domini, del terz'Ordine de-gli Umiliati in porta Comasina, dei frati dellaPenitenza, alle monache di S. Apollinare,all'ospedal nuovo dei frati di S. Maria, e alcappellano di S. Sisto in porta Ticinese, non-ché venti soldi all'anno agli Ordinari del duo-mo affinché facessero dire una messa in prodell'anima sua sull'altare della Vergine.

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gli in pegno da scolari in arretrato coi paga-menti, che destinava all'ospedale della Colom-betta insieme coi danari da quelli dovutigli.

Un istrumento del 1290, pubblicato insiemeai testamenti, dimostra come il nostro Bonve-sino godesse fama d'uomo devoto e generoso.I frati della Colombetta, non avendo denariper comperare un certo molino, ricorsero a luitamquam ad hominem devotum et spetialleamicum illius domus ed ebbero quanto loro oc-correva. Le sue disposizioni testamentarieconfermano questa fama. Egli lasciava erediuniversali de' suoi redditi i poverelli vergogno-si (pauperes verecundi), erogatari i frati dellaColombetta ai quali assegnava la proprietà deisuoi beni stabili. Destinava un legato di quin-dici lire di terzoli al convento de' frati minoridi S. Francesco, ed altri legati di venti soldifino a sette lire ai conventi dei Predicatori, de-gli Eremitani, di S. Maria del monte Carmelo,di S. Maria mater Domini, del terz'Ordine de-gli Umiliati in porta Comasina, dei frati dellaPenitenza, alle monache di S. Apollinare,all'ospedal nuovo dei frati di S. Maria, e alcappellano di S. Sisto in porta Ticinese, non-ché venti soldi all'anno agli Ordinari del duo-mo affinché facessero dire una messa in prodell'anima sua sull'altare della Vergine.

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Page 12: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Prescriveva infine che il suo corpo fosse se-polto nel monumento da lui stesso fatto erige-re nella casa dei frati minori ai quali assegna-va quindici lire per le spese de' suoi funerali.

Nel primo testamento Bonvesino ricorda unfitto pagatogli dai frati dell'ospedale di S. Era-smo in Legnano, parte in denaro, cinque liredi terzoli, parte in natura, due staia di noci,tre carri di vino e qualche altra cosa, e lo as-segna alla consorte Floramonte finché viva, ri-servando solo un carro di vino ai frati a com-penso d'una messa settimanale da dirsi perl'anima della sua prima consorte Benghedisia;nel secondo questo fitto appare consolidato incento soldi di terzoli e lo si lascia a quei fratiperché dicano una messa settimanale a suf-fragio dell'anima del testatore, colla riservache, non osservandosi quest'obbligo, il fittopassi alla Colombetta.

Qui taluno domanderà: come mai, avendofondato quell'ospedal di Legnano, Bonvesinolo esclude dai suoi lasciti e neppur gli condo-na senza condizioni il fitto di cui era credito-re? Già il Tiraboschi aveva espresso il dubbioche quell'ospedale potesse essere stato fonda-to da lui, avendone trovato menzione in docu-menti anteriori; ora i due testamenti autoriz-zano ad escluderlo in modo assoluto. Il buon

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Prescriveva infine che il suo corpo fosse se-polto nel monumento da lui stesso fatto erige-re nella casa dei frati minori ai quali assegna-va quindici lire per le spese de' suoi funerali.

Nel primo testamento Bonvesino ricorda unfitto pagatogli dai frati dell'ospedale di S. Era-smo in Legnano, parte in denaro, cinque liredi terzoli, parte in natura, due staia di noci,tre carri di vino e qualche altra cosa, e lo as-segna alla consorte Floramonte finché viva, ri-servando solo un carro di vino ai frati a com-penso d'una messa settimanale da dirsi perl'anima della sua prima consorte Benghedisia;nel secondo questo fitto appare consolidato incento soldi di terzoli e lo si lascia a quei fratiperché dicano una messa settimanale a suf-fragio dell'anima del testatore, colla riservache, non osservandosi quest'obbligo, il fittopassi alla Colombetta.

Qui taluno domanderà: come mai, avendofondato quell'ospedal di Legnano, Bonvesinolo esclude dai suoi lasciti e neppur gli condo-na senza condizioni il fitto di cui era credito-re? Già il Tiraboschi aveva espresso il dubbioche quell'ospedale potesse essere stato fonda-to da lui, avendone trovato menzione in docu-menti anteriori; ora i due testamenti autoriz-zano ad escluderlo in modo assoluto. Il buon

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Page 13: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

fraticello lo avrà sussidiato, come sussidiò nel1290 quello della Colombetta, o, se si vuoleinterpretare alla lettera la parola construxitdell'epitaffio, gli avrà fatto erigere a sue speseuna sede più comoda e decorosa.

Un'altra domanda si affaccia spontanea: seBonvesino apparteneva al terzo Ordine degliUmiliati, come sulla fede dell'epitaffio sonoandati ripetendo quanti han parlato di lui,perchè s'è fatto costrurre il sepolcro nellachiesa dei Francescani, mentre a Milano, lacittà classica degli Umiliati, eran diquest'Ordine cospicui conventi? La moncaespressione «tertii ordinis» di Galvano Fiamma,che ricorre tal quale nei testamenti, non po-trebbe riferirsi come espressione antonoma-stica al terz'Ordine di S. Francesco che era inauge a quei tempi mentre quello degli Umiliatiandava declinando? E meritano fede assolutale due cronache riferite dal Tiraboschi doveesplicitamente lo si dice degli Umiliati, crona-che posteriori a Bonvesino di quasi due secoli,quando ad esse si possono contrapporne duealtre, sia pur di minore autorità, conservatenelle biblioteche Trivulziana e Ambrosiana diMilano, dove è detto del terz'ordine fratrumminorum? Non si può dare una risposta deci-siva escludendo senz'altro che agli Umiliati

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fraticello lo avrà sussidiato, come sussidiò nel1290 quello della Colombetta, o, se si vuoleinterpretare alla lettera la parola construxitdell'epitaffio, gli avrà fatto erigere a sue speseuna sede più comoda e decorosa.

Un'altra domanda si affaccia spontanea: seBonvesino apparteneva al terzo Ordine degliUmiliati, come sulla fede dell'epitaffio sonoandati ripetendo quanti han parlato di lui,perchè s'è fatto costrurre il sepolcro nellachiesa dei Francescani, mentre a Milano, lacittà classica degli Umiliati, eran diquest'Ordine cospicui conventi? La moncaespressione «tertii ordinis» di Galvano Fiamma,che ricorre tal quale nei testamenti, non po-trebbe riferirsi come espressione antonoma-stica al terz'Ordine di S. Francesco che era inauge a quei tempi mentre quello degli Umiliatiandava declinando? E meritano fede assolutale due cronache riferite dal Tiraboschi doveesplicitamente lo si dice degli Umiliati, crona-che posteriori a Bonvesino di quasi due secoli,quando ad esse si possono contrapporne duealtre, sia pur di minore autorità, conservatenelle biblioteche Trivulziana e Ambrosiana diMilano, dove è detto del terz'ordine fratrumminorum? Non si può dare una risposta deci-siva escludendo senz'altro che agli Umiliati

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appartenesse, ma si può ragionevolmentesupporne che, pur essendo stato terziario diquell'Ordine, abbia poi trovato più confacenteal suo spirito veramente francescano la regoladei frati minori che non quella degli Umiliatidediti da gran tempo all'industria e al com-mercio della lana dove andavano accumulan-do ricchezze, e si sia fatto terziario di S. Fran-cesco.

Avveniva in questi tempi un singolare risve-glio della coscienza nazionale. Affascinatodall'ardente parola del fraticello d'Assisi, il lai-cato si andava in Italia infervorando alle operedi misericordia subentrando al troppo tepidoclero sia secolare che regolare, coi suoi con-sorzi, le sue confraternite, le sue associazionisoggette solo nelle forme esteriori alle discipli-ne ecclesiastiche, nel resto con piena libertàdi iniziativa e di movimento; così era sboccia-to il terz'Ordine francescano detto dei fratidella Penitenza, così un terz'Ordine era venu-to a rinsanguare la vecchia industriosa com-pagine degli Umiliati; niuna meraviglia cheBonvesino, così acceso di carità e di fede, siaccostasse a più d'uno di questi collegi di laicidevoti: e infatti s'ha notizia d'una terza asso-ciazione alla quale era inscritto, la confrater-nita dell'ospedale di S. Croce di Gerusalemme

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appartenesse, ma si può ragionevolmentesupporne che, pur essendo stato terziario diquell'Ordine, abbia poi trovato più confacenteal suo spirito veramente francescano la regoladei frati minori che non quella degli Umiliatidediti da gran tempo all'industria e al com-mercio della lana dove andavano accumulan-do ricchezze, e si sia fatto terziario di S. Fran-cesco.

Avveniva in questi tempi un singolare risve-glio della coscienza nazionale. Affascinatodall'ardente parola del fraticello d'Assisi, il lai-cato si andava in Italia infervorando alle operedi misericordia subentrando al troppo tepidoclero sia secolare che regolare, coi suoi con-sorzi, le sue confraternite, le sue associazionisoggette solo nelle forme esteriori alle discipli-ne ecclesiastiche, nel resto con piena libertàdi iniziativa e di movimento; così era sboccia-to il terz'Ordine francescano detto dei fratidella Penitenza, così un terz'Ordine era venu-to a rinsanguare la vecchia industriosa com-pagine degli Umiliati; niuna meraviglia cheBonvesino, così acceso di carità e di fede, siaccostasse a più d'uno di questi collegi di laicidevoti: e infatti s'ha notizia d'una terza asso-ciazione alla quale era inscritto, la confrater-nita dell'ospedale di S. Croce di Gerusalemme

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fuori di porta Romana, che solennemente loaccoglieva nel suo seno il 9 settembre del1296.

L'autorità dell'epitaffio è ormai molto sce-mata e si può concludere non esser esso con-temporaneo bensì collocato molto tempo dopola morte di Bonvesino da un lontano parente,quel Giovanni dalla Riva, molto lontano dac-chè non se ne parla nei testamenti; collocatoquando dell'essere di lui non si aveva più no-tizia sicura ed esatta. È infatti in tutto vago eimpreciso; non ricorda l'anno della nascita edella morte, dice che Bonvesino scrisse "multavulgaria" mentre ha scritto anche opere lati-ne. L'unica cosa di cui non poteva perdersi oconfondersi la memoria era l'uso di suonarl'Ave Maria, al quale doveva esser legato il suonome; e questa notizia possiamo tener per si-cura.

II.

Avviciniamoci ora all'arte ed alla scienza diBonvesino dalla Riva.

I poeti francesi e provenzali, che in gran nu-mero percorsero l'Italia nei secoli XII e XIV,

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fuori di porta Romana, che solennemente loaccoglieva nel suo seno il 9 settembre del1296.

L'autorità dell'epitaffio è ormai molto sce-mata e si può concludere non esser esso con-temporaneo bensì collocato molto tempo dopola morte di Bonvesino da un lontano parente,quel Giovanni dalla Riva, molto lontano dac-chè non se ne parla nei testamenti; collocatoquando dell'essere di lui non si aveva più no-tizia sicura ed esatta. È infatti in tutto vago eimpreciso; non ricorda l'anno della nascita edella morte, dice che Bonvesino scrisse "multavulgaria" mentre ha scritto anche opere lati-ne. L'unica cosa di cui non poteva perdersi oconfondersi la memoria era l'uso di suonarl'Ave Maria, al quale doveva esser legato il suonome; e questa notizia possiamo tener per si-cura.

II.

Avviciniamoci ora all'arte ed alla scienza diBonvesino dalla Riva.

I poeti francesi e provenzali, che in gran nu-mero percorsero l'Italia nei secoli XII e XIV,

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ebbero, a seconda dei luoghi, vicende diverse:attratti dallo splendore e dalla protezione del-la Corte di Sicilia, si fermaron colà fondandoviuna scuola nel cui seno sbocciò una poesiaindigena foggiata sui loro schemi, ma non pri-va di vita propria e adatta alla lingua paesanache allora cominciava ad assurgere alla digni-tà di lingua letteraria. Questa poesia preva-lentemente cavalleresca, signorile, cortigiana,irradiò ben presto dalla Sicilia e da Napolinella già colta Toscana e nell'Emilia. Nell'Italiasettentrionale, al di qua del Po, questi poetinon trovarono una reggia potente ove rag-grupparsi e ridurre a disciplina le loro crea-zioni, e andaron vagando di città in città, dicastello in castello cantando i provenzali versid'amore e di sdegno, i francesi le imprese glo-riose degli eroi carolingi, e trovaron seguaci eimitatori che, pur essendo quelle due lingueintese dal popolo, le modificaron talora, peresser meglio compresi, col patrio, ancora po-vero e rozzo vernacolo. Si tentò anche di rive-stire per intero degli idiomi paesani quei moti-vi poetici d'oltr'alpe, ma siffatto tentativo, cheebbe un esito trionfale negli idiomi più evolu-ti, più ricchi e più venusti della Sicilia e dellaToscana, qui non riuscì: i dialetti non rispon-devano e si ritornava per forza alle lingue

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ebbero, a seconda dei luoghi, vicende diverse:attratti dallo splendore e dalla protezione del-la Corte di Sicilia, si fermaron colà fondandoviuna scuola nel cui seno sbocciò una poesiaindigena foggiata sui loro schemi, ma non pri-va di vita propria e adatta alla lingua paesanache allora cominciava ad assurgere alla digni-tà di lingua letteraria. Questa poesia preva-lentemente cavalleresca, signorile, cortigiana,irradiò ben presto dalla Sicilia e da Napolinella già colta Toscana e nell'Emilia. Nell'Italiasettentrionale, al di qua del Po, questi poetinon trovarono una reggia potente ove rag-grupparsi e ridurre a disciplina le loro crea-zioni, e andaron vagando di città in città, dicastello in castello cantando i provenzali versid'amore e di sdegno, i francesi le imprese glo-riose degli eroi carolingi, e trovaron seguaci eimitatori che, pur essendo quelle due lingueintese dal popolo, le modificaron talora, peresser meglio compresi, col patrio, ancora po-vero e rozzo vernacolo. Si tentò anche di rive-stire per intero degli idiomi paesani quei moti-vi poetici d'oltr'alpe, ma siffatto tentativo, cheebbe un esito trionfale negli idiomi più evolu-ti, più ricchi e più venusti della Sicilia e dellaToscana, qui non riuscì: i dialetti non rispon-devano e si ritornava per forza alle lingue

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straniere.Ma altri ostacoli impedivano alla poesia

franco-provenzale di fruttificar fra noi: essaera avversata dai dotti, tenaci nella difesa dellatino, e dalla chiesa paurosa del sensualismoond'erano improntate le eleganti canzonid'amore e delle fantasiose leggende cavallere-sche così lontane dalla contemplazione dellecose spirituali. L'avversione della chiesa trovòalleati nel sentimento religioso, diffuso e pro-fondo in tutte le classi, e nel conflitto, alloramolto acido, fra Roma e gli Svevi: poichè lamaggior parte di que' poeti, vivendo intornoalla Corte Siciliana, eran naturalmente portatia sostener la causa ghibellina, lo spirito guel-fo prevalente in Lombardia era ostile all'arteloro e procurava di farla scadere nella estima-zione popolare.

Così avvenne che i girovaganti trovatori nel-la lingua d'oc ed in quella d'oil non fossero trai migliori che trovavano altrove più degne ac-coglienze e degenerassero in modi e in atteg-giamenti più da buffoni che da poeti: buffoniinfatti il popolo li chiamava, di che un dei piùautorevoli, Girard de Ricquier, lagnavasi nel1275 dicendo:

Hom les apel bufos

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straniere.Ma altri ostacoli impedivano alla poesia

franco-provenzale di fruttificar fra noi: essaera avversata dai dotti, tenaci nella difesa dellatino, e dalla chiesa paurosa del sensualismoond'erano improntate le eleganti canzonid'amore e delle fantasiose leggende cavallere-sche così lontane dalla contemplazione dellecose spirituali. L'avversione della chiesa trovòalleati nel sentimento religioso, diffuso e pro-fondo in tutte le classi, e nel conflitto, alloramolto acido, fra Roma e gli Svevi: poichè lamaggior parte di que' poeti, vivendo intornoalla Corte Siciliana, eran naturalmente portatia sostener la causa ghibellina, lo spirito guel-fo prevalente in Lombardia era ostile all'arteloro e procurava di farla scadere nella estima-zione popolare.

Così avvenne che i girovaganti trovatori nel-la lingua d'oc ed in quella d'oil non fossero trai migliori che trovavano altrove più degne ac-coglienze e degenerassero in modi e in atteg-giamenti più da buffoni che da poeti: buffoniinfatti il popolo li chiamava, di che un dei piùautorevoli, Girard de Ricquier, lagnavasi nel1275 dicendo:

Hom les apel bufos

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Co fa en Lombardia.

Frattanto col progressivo migliorare dellacondizione delle plebi, i dialetti indigeni s'era-no a poco a poco disimpacciati dagli involucridel latino, si erano lentamente affinati e pre-disposti a soppiantare la letteratura d'oltr'alpecercando di eliminare le differenze che distin-guevano l'un dall'altro per convenire in untipo in certo modo uniforme come uniformierano i sentimenti predominanti nell'animadel popolo dal Piemonte a Venezia, dalla Ligu-ria a Milano. Si formò così una lingua lettera-ria diversa dai dialetti parlati nei singoli terri-tori, con caratteri comuni quantunque in cer-te parti tenesse or dell'uno or dell'altro secon-do la patria dello scrittore.

Trovata la lingua sgorgò dal cuore del popo-lo una larga vena di poesia nuova, differentenon solo da quella cortigiana e cavalleresca,ma anche da quella popolare che anche in Si-cilia e in Toscana si faceva strada sempre in-spirandosi all'amore e ai piaceri: una poesiaprevalentemente religiosa e morale. E i poetifuron parecchi: un anonimo genovese volgevanel novello idioma le vite dei santi, fra Giaco-mino da Verona faceva una di quelle descri-zioni del paradiso e dell'inferno che tanto

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Co fa en Lombardia.

Frattanto col progressivo migliorare dellacondizione delle plebi, i dialetti indigeni s'era-no a poco a poco disimpacciati dagli involucridel latino, si erano lentamente affinati e pre-disposti a soppiantare la letteratura d'oltr'alpecercando di eliminare le differenze che distin-guevano l'un dall'altro per convenire in untipo in certo modo uniforme come uniformierano i sentimenti predominanti nell'animadel popolo dal Piemonte a Venezia, dalla Ligu-ria a Milano. Si formò così una lingua lettera-ria diversa dai dialetti parlati nei singoli terri-tori, con caratteri comuni quantunque in cer-te parti tenesse or dell'uno or dell'altro secon-do la patria dello scrittore.

Trovata la lingua sgorgò dal cuore del popo-lo una larga vena di poesia nuova, differentenon solo da quella cortigiana e cavalleresca,ma anche da quella popolare che anche in Si-cilia e in Toscana si faceva strada sempre in-spirandosi all'amore e ai piaceri: una poesiaprevalentemente religiosa e morale. E i poetifuron parecchi: un anonimo genovese volgevanel novello idioma le vite dei santi, fra Giaco-mino da Verona faceva una di quelle descri-zioni del paradiso e dell'inferno che tanto

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piacquero al medio evo, non priva di qualchebellezza, specialmente per l'avvicendarsi discene ora spaventose ora grottesche comequella, per esempio, dove son descritti i diavo-li occupati a martoriare i dannati:

Li cria li diavoli tutti a somma festa:«Astica, astica fogo! dolenti ki n'aspeta».Mo ben dové saver en que modo se deletali mise peccaor c'atendo cotal festa.

L'un diavolo cria, l'altro ge respondo,l'altro bato ferro e l'altro cola bronço,E altri astiça fogo et altri corro entornoPer dar al pecaor rea noite e reo çorno.

Un anonimo bergamasco versificava la salveregina e il decalogo:

In nomo sia de Crist ol dì presentDi des comandamet alegramet,I quai dà de pader onipotentA morsis (Mosè) per salvai la zet;Chi i des comandament observeràIn vita eterna cum Xrist andarà

El prim comandament ol dì: honorarSovra omnia cossa amà ol creatore,Chol anima e chol chor e cho la met

E in lu meter tutt ol nostre amore...

Gerardo Patecchio a Cremona, Uguccione aLodi, Cola di Perora a Bergamo, Arpino Brodaa Pavia seguivan tali esempi. A Milano, Pietro

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piacquero al medio evo, non priva di qualchebellezza, specialmente per l'avvicendarsi discene ora spaventose ora grottesche comequella, per esempio, dove son descritti i diavo-li occupati a martoriare i dannati:

Li cria li diavoli tutti a somma festa:«Astica, astica fogo! dolenti ki n'aspeta».Mo ben dové saver en que modo se deletali mise peccaor c'atendo cotal festa.

L'un diavolo cria, l'altro ge respondo,l'altro bato ferro e l'altro cola bronço,E altri astiça fogo et altri corro entornoPer dar al pecaor rea noite e reo çorno.

Un anonimo bergamasco versificava la salveregina e il decalogo:

In nomo sia de Crist ol dì presentDi des comandamet alegramet,I quai dà de pader onipotentA morsis (Mosè) per salvai la zet;Chi i des comandament observeràIn vita eterna cum Xrist andarà

El prim comandament ol dì: honorarSovra omnia cossa amà ol creatore,Chol anima e chol chor e cho la met

E in lu meter tutt ol nostre amore...

Gerardo Patecchio a Cremona, Uguccione aLodi, Cola di Perora a Bergamo, Arpino Brodaa Pavia seguivan tali esempi. A Milano, Pietro

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Page 20: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

da Bescapè nel 1274 componeva un poema dilunga lena in versi ora alessandrini, ora otto-nari, storia rimata del nuovo e del vecchio Te-stamento:

No è cosa in sto mundo - tal è la mia credençaKi se possa fenire se la no se comença,Petro da Bersegapè si vol acomençareE per raçon finire secondo k'el ge pare.

Ora omiunca homo intença e stia pur in paxSed kel ne ge plaxe audire d'un bello sermon verax;Cuntare eo se volio e tare per raxonUna istoria veraxe de libri e de sermon,In la qual se conten guangii (vangeli) e anche pisto-reE del novo e del vectre testamento de Criste.

Alto deo patre segniorDà a mi força e valor,Patre Deo segnior veraxeMandime la toa paxe...

E, dopo aver invocato Iddio e lo Spirito Santo,s'avvia a raccontare:

Come Deo a fato lo mondoE como de terra fo lo homo formo;Cum el descendè de cel in terraIn la Vergene regal polçella;E cum el sostene passionPer nostra grande salvation;E cum verà el dì de l'iraLà o serà la grande roina;

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da Bescapè nel 1274 componeva un poema dilunga lena in versi ora alessandrini, ora otto-nari, storia rimata del nuovo e del vecchio Te-stamento:

No è cosa in sto mundo - tal è la mia credençaKi se possa fenire se la no se comença,Petro da Bersegapè si vol acomençareE per raçon finire secondo k'el ge pare.

Ora omiunca homo intença e stia pur in paxSed kel ne ge plaxe audire d'un bello sermon verax;Cuntare eo se volio e tare per raxonUna istoria veraxe de libri e de sermon,In la qual se conten guangii (vangeli) e anche pisto-reE del novo e del vectre testamento de Criste.

Alto deo patre segniorDà a mi força e valor,Patre Deo segnior veraxeMandime la toa paxe...

E, dopo aver invocato Iddio e lo Spirito Santo,s'avvia a raccontare:

Come Deo a fato lo mondoE como de terra fo lo homo formo;Cum el descendè de cel in terraIn la Vergene regal polçella;E cum el sostene passionPer nostra grande salvation;E cum verà el dì de l'iraLà o serà la grande roina;

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Al peccatore darà grameça,Lo justo avrà grande alegreça...

Infatti, sulle traccie della Bibbia, ei tesse lapalingenesi dell'umanità; narra la creazionedell'universo e dell'uomo, il peccato originale ele sue conseguenze culminanti nella lottadell'anima colle passioni, passa in ordinatarassegna i sette vizi capitali: svolge quindi lastoria del riscatto divino con un succedersi discene che vanno dall'Annunciazione alla fugain Egitto e al ritorno in Nazaret dopo la stragedegli innocenti; quindi la vita e la passione diCristo intercalata di aneddoti e di episodi d'uningenuità sorprendente, la risurrezione,l'ascensione e le successive apparizioni agliapostoli: infine traccia un commovente qua-dro del Giudizio universale.

** *

Di tutti questi rimatori di gran lunga il mag-giore è Bonvesino. La sua produzione poetica,di circa ottomilacinquecento versi, chè tantine son giunti a noi, quantunque suffusa di undenso spirito di religione e di carità, non siispira solo all'ideale religioso o al fine di rac-

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Al peccatore darà grameça,Lo justo avrà grande alegreça...

Infatti, sulle traccie della Bibbia, ei tesse lapalingenesi dell'umanità; narra la creazionedell'universo e dell'uomo, il peccato originale ele sue conseguenze culminanti nella lottadell'anima colle passioni, passa in ordinatarassegna i sette vizi capitali: svolge quindi lastoria del riscatto divino con un succedersi discene che vanno dall'Annunciazione alla fugain Egitto e al ritorno in Nazaret dopo la stragedegli innocenti; quindi la vita e la passione diCristo intercalata di aneddoti e di episodi d'uningenuità sorprendente, la risurrezione,l'ascensione e le successive apparizioni agliapostoli: infine traccia un commovente qua-dro del Giudizio universale.

** *

Di tutti questi rimatori di gran lunga il mag-giore è Bonvesino. La sua produzione poetica,di circa ottomilacinquecento versi, chè tantine son giunti a noi, quantunque suffusa di undenso spirito di religione e di carità, non siispira solo all'ideale religioso o al fine di rac-

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cogliere i lettori o gli ascoltatori nella contem-plazione divina, ma persegue anche intentimorali ed educativi: in lui non parla solol'asceta, ma l'uomo pratico, l'osservatore at-tento che vive nel mondo e dal contrasto deivizi e delle virtù ricava e, con commovente in-genuità, esprime un alto ideale etico.

È per di più, a differenza degli altri, unuomo colto, conoscitore di quelle forme dipoesia che avevano avuto in passato molta ef-ficacia sul popolo, sicchè l'uso di quelle formeadattate a un contenuto nuovo, originale,dànno all'opera sua una varietà di temi,d'immagini, d'atteggiamenti che manca aglialtri. La coltura e la sensibilità artistica si fon-dono in quest'umile maestro di grammatica sìda farne il più cospicuo rappresentante dellaprimitiva letteratura volgare nell'Italia delnord.

Le sue composizioni poetiche così insolita-mente varie si possono dividere in due gruppi:le dialogiche, sul modello di quei contrasti cheper tutto il medio evo furon cari al popolo,dove due o più personaggi erano introdotti adisputare, e i volgari, poemetti dall'andaturapiù calma ed uniforme, di indole narrativa odidattica. Ma anche entro queste divisioni lamateria si atteggia in differenti modi.

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cogliere i lettori o gli ascoltatori nella contem-plazione divina, ma persegue anche intentimorali ed educativi: in lui non parla solol'asceta, ma l'uomo pratico, l'osservatore at-tento che vive nel mondo e dal contrasto deivizi e delle virtù ricava e, con commovente in-genuità, esprime un alto ideale etico.

È per di più, a differenza degli altri, unuomo colto, conoscitore di quelle forme dipoesia che avevano avuto in passato molta ef-ficacia sul popolo, sicchè l'uso di quelle formeadattate a un contenuto nuovo, originale,dànno all'opera sua una varietà di temi,d'immagini, d'atteggiamenti che manca aglialtri. La coltura e la sensibilità artistica si fon-dono in quest'umile maestro di grammatica sìda farne il più cospicuo rappresentante dellaprimitiva letteratura volgare nell'Italia delnord.

Le sue composizioni poetiche così insolita-mente varie si possono dividere in due gruppi:le dialogiche, sul modello di quei contrasti cheper tutto il medio evo furon cari al popolo,dove due o più personaggi erano introdotti adisputare, e i volgari, poemetti dall'andaturapiù calma ed uniforme, di indole narrativa odidattica. Ma anche entro queste divisioni lamateria si atteggia in differenti modi.

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Page 23: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Nel contrasto, o tenzone, che nei poeti pro-venzali si ispira sempre a soggetti amorosi,Bonvesino chiama a disputare le più svariatecose: l'uomo, la divinità, il demonio, gli ani-mali, le piante e perfino i mesi dell'anno; fattiper esser recitati nei trivii, questi poemettihanno in sè tutti gli elementi per interessare ecommuovere le credule plebi or raccogliendolein cupo terrore, or muovendole al riso.

Il più originale e drammatico è quello tra ildiavolo e la Vergine. Il diavolo si lamenta per-chè la Vergine lo perseguiti strappandogli lapreda dei peccatori:

Lo meo guadanio per forza me tolle a mal meograo.

Quand'eo me crego un misero haver aguadenao,Maria me tolle la predha; quella nom lassa in stao;da quella femena sola eo no posso esse aiao:oi guai a mi dolente, com sont vituperao.

La Madonna ribatte che ella non fa ingiusti-zia ma opera di misericordia, perchè il pecca-tore, quantunque traviato, è sempre figlio diDio:

Adonca s'eo te tolio l'hom k'è partio da deono tolio, segondo justisia, se no pur quel k'è meo...donca no te fazo eo torto, tu Satanax traitor,s'eo tro a penitentia quel miser peccaor..

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Nel contrasto, o tenzone, che nei poeti pro-venzali si ispira sempre a soggetti amorosi,Bonvesino chiama a disputare le più svariatecose: l'uomo, la divinità, il demonio, gli ani-mali, le piante e perfino i mesi dell'anno; fattiper esser recitati nei trivii, questi poemettihanno in sè tutti gli elementi per interessare ecommuovere le credule plebi or raccogliendolein cupo terrore, or muovendole al riso.

Il più originale e drammatico è quello tra ildiavolo e la Vergine. Il diavolo si lamenta per-chè la Vergine lo perseguiti strappandogli lapreda dei peccatori:

Lo meo guadanio per forza me tolle a mal meograo.

Quand'eo me crego un misero haver aguadenao,Maria me tolle la predha; quella nom lassa in stao;da quella femena sola eo no posso esse aiao:oi guai a mi dolente, com sont vituperao.

La Madonna ribatte che ella non fa ingiusti-zia ma opera di misericordia, perchè il pecca-tore, quantunque traviato, è sempre figlio diDio:

Adonca s'eo te tolio l'hom k'è partio da deono tolio, segondo justisia, se no pur quel k'è meo...donca no te fazo eo torto, tu Satanax traitor,s'eo tro a penitentia quel miser peccaor..

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Page 24: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Satanasso fa il loico svolgendo, per altro,una logica sì calda e appassionata da lasciartrasparire come un vago rammarico d'esserdannato, una vaga aspirazione allo stato dibeatitudine che il suo peccato gli ha fatto per-dere: anch'io, esclama, son creatura di Dio etu dovresti rispettarmi, per un peccato fuimaledetto in eterno mentre l'uomo, peccassemille volte, trova sempre il perdono:

anc'eo sont creatura del creator verax,tuto zò k'eo scapuzasse, tuta zò k'eo sia malvax,tu nom devrissi far guerra, ni far zò kem desplax.

Per un solengo peccao sont al postuto perdudho,ni posso fi recovrao, mi mixer confondudho,ma lo peccaor del mondo, ke tanto sia malastrudho,tu ge dè speranza e aidha, anc sia el desperao,e sì me tò per forza se ben eo l'ho acquistao...

non solo ma

lo peccaor del mondo plu t'ha offeso ka mi,per lu fo morto to fijo, ma no miga per mi...

«Va via punax, va via serpente antigo» rispon-de la Vergine, il tuo peccato fu sì iniquo chenon può trovar remissione: tu non fosti spintoda alcuno, ma per superbia offendesti Dio, eper sopraggiunta hai sempre continuato ad

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Satanasso fa il loico svolgendo, per altro,una logica sì calda e appassionata da lasciartrasparire come un vago rammarico d'esserdannato, una vaga aspirazione allo stato dibeatitudine che il suo peccato gli ha fatto per-dere: anch'io, esclama, son creatura di Dio etu dovresti rispettarmi, per un peccato fuimaledetto in eterno mentre l'uomo, peccassemille volte, trova sempre il perdono:

anc'eo sont creatura del creator verax,tuto zò k'eo scapuzasse, tuta zò k'eo sia malvax,tu nom devrissi far guerra, ni far zò kem desplax.

Per un solengo peccao sont al postuto perdudho,ni posso fi recovrao, mi mixer confondudho,ma lo peccaor del mondo, ke tanto sia malastrudho,tu ge dè speranza e aidha, anc sia el desperao,e sì me tò per forza se ben eo l'ho acquistao...

non solo ma

lo peccaor del mondo plu t'ha offeso ka mi,per lu fo morto to fijo, ma no miga per mi...

«Va via punax, va via serpente antigo» rispon-de la Vergine, il tuo peccato fu sì iniquo chenon può trovar remissione: tu non fosti spintoda alcuno, ma per superbia offendesti Dio, eper sopraggiunta hai sempre continuato ad

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Page 25: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

offenderlo; il peccatore invece è soggetto amille tentazioni, e innanzi tutto alla tua, èesposto a mille pericoli ed è giusto che il pen-timento lo redima: tu

sempre he menao orgojo e guerra e tradizon

ed è giusto altrettanto

ke vada de mal in pezo la toa dampnation.

E qui sentite un po' a quali argomenti ricor-re il loico: se io non avessi fatto mangiar ilpomo ad Adamo non esisterebbero i tanto date prediletti peccatori, nè Cristo sarebbe statoda te concepito perchè venisse al mondo asalvarli. Poi, vedendo che non riesce a spun-tarla, se la piglia con Dio, il vero colpevoleperchè non lo ha creato buono:

Deo è omnipoente e ben lo poeva fark'eo fosse creao sì sancto k'eo no poesse peccar,sì k'eo no havesse fagio fallo, ni mai poesse fallar,sì k'eo fosse coli boni angeli, o è bon habitar...a lu niente costava, a lu niente noseva...

Ma Dio, ribatte la Vergine, ti ha fatto bello ebuono al par degli altri angeli e ti ha datol'arbitrio sì che tu potessi scegliere, com'essihan fatto, tra il bene e il male, e tu solo hai

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offenderlo; il peccatore invece è soggetto amille tentazioni, e innanzi tutto alla tua, èesposto a mille pericoli ed è giusto che il pen-timento lo redima: tu

sempre he menao orgojo e guerra e tradizon

ed è giusto altrettanto

ke vada de mal in pezo la toa dampnation.

E qui sentite un po' a quali argomenti ricor-re il loico: se io non avessi fatto mangiar ilpomo ad Adamo non esisterebbero i tanto date prediletti peccatori, nè Cristo sarebbe statoda te concepito perchè venisse al mondo asalvarli. Poi, vedendo che non riesce a spun-tarla, se la piglia con Dio, il vero colpevoleperchè non lo ha creato buono:

Deo è omnipoente e ben lo poeva fark'eo fosse creao sì sancto k'eo no poesse peccar,sì k'eo no havesse fagio fallo, ni mai poesse fallar,sì k'eo fosse coli boni angeli, o è bon habitar...a lu niente costava, a lu niente noseva...

Ma Dio, ribatte la Vergine, ti ha fatto bello ebuono al par degli altri angeli e ti ha datol'arbitrio sì che tu potessi scegliere, com'essihan fatto, tra il bene e il male, e tu solo hai

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Page 26: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

peccato: come potrebbe esistere la gloria eter-na se uno, avendo la possibilità di far il bene,non avesse anche quella di far il male?

E l'altro: sta bene, mi ha dato l'arbitrio, maegli sapeva che avrei peccato e non dovevacrearmi.

Con questa convinzione impreca e giura chefarà sempre peggio. E Bonvesino conclude:non avendo potuto convincer la Vergine, «loSatanax»

no dorme dì ni noge, ni mai in un logo sta,e pusta al cor de l'homo o gran bataja ghe da...righinia e mostra li dingi com verro acanezao,rugisce e corre a le arme per fa k'el sia svengiao...

l'uomo che è «kativo e malo» non sa resistereal suo assalto e s'arrende,

Ma l'homo k'è pro e savio sempre guarnio staràe contra l'inimigo fortemente scombaterà.

Come si vede il Satana di Bonvesino è bendiverso da quello in cui la fantasia popolaredel medio evo aveva trasformato il superboangiolo rivale di Dio della poesia semitica, fa-cendone come il servitore dei maghi e dellestreghe, un personaggio per lo più grottesco estupidamente goffo, o, se pur talora terribile,

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peccato: come potrebbe esistere la gloria eter-na se uno, avendo la possibilità di far il bene,non avesse anche quella di far il male?

E l'altro: sta bene, mi ha dato l'arbitrio, maegli sapeva che avrei peccato e non dovevacrearmi.

Con questa convinzione impreca e giura chefarà sempre peggio. E Bonvesino conclude:non avendo potuto convincer la Vergine, «loSatanax»

no dorme dì ni noge, ni mai in un logo sta,e pusta al cor de l'homo o gran bataja ghe da...righinia e mostra li dingi com verro acanezao,rugisce e corre a le arme per fa k'el sia svengiao...

l'uomo che è «kativo e malo» non sa resistereal suo assalto e s'arrende,

Ma l'homo k'è pro e savio sempre guarnio staràe contra l'inimigo fortemente scombaterà.

Come si vede il Satana di Bonvesino è bendiverso da quello in cui la fantasia popolaredel medio evo aveva trasformato il superboangiolo rivale di Dio della poesia semitica, fa-cendone come il servitore dei maghi e dellestreghe, un personaggio per lo più grottesco estupidamente goffo, o, se pur talora terribile,

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Page 27: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

d'una terribilità volgente al ridicolo: Bonvesi-no, elevandosi al di sopra delle puerili conce-zioni de' suoi contemporanei, ne ha fatto unserio ragionatore, un logico inflessibile, gli hadato un senso di umanità che lo rende capacedi commuoversi e di deplorare la sua perdizio-ne: l'umile rimatore sapeva talora assurgereall'altezza di un vero poeta.

Alcuni degli argomenti sottili portati da Sa-tana in questo contrasto ricompaiono in quel-lo del peccatore e della Vergine. Al peccatorepentito che le si rivolge invocando pietà diceMaria:

com te debl'eo receve, ti miser mal pario?lo meo fiol dulcissimo si fo per ti tradhio,batudho et implagao, beffao et starschernio...

e ricorda i patimenti di Cristo e il proprio do-lore di madre. Ma l'altro la invita ad esser mi-sericordiosa dacchè è pentito e le ricorda do-ver ella ai peccatori se fu glorificata e sceltaper madre di Dio; e conchiude:

Tu he major servisij per mi aguadheniaoka tute quelle injurie dre que tu he parlao;adonca arregordate del ben tu he per mi trovao,apresso zò te dementega del mal k'è strapassao...

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d'una terribilità volgente al ridicolo: Bonvesi-no, elevandosi al di sopra delle puerili conce-zioni de' suoi contemporanei, ne ha fatto unserio ragionatore, un logico inflessibile, gli hadato un senso di umanità che lo rende capacedi commuoversi e di deplorare la sua perdizio-ne: l'umile rimatore sapeva talora assurgereall'altezza di un vero poeta.

Alcuni degli argomenti sottili portati da Sa-tana in questo contrasto ricompaiono in quel-lo del peccatore e della Vergine. Al peccatorepentito che le si rivolge invocando pietà diceMaria:

com te debl'eo receve, ti miser mal pario?lo meo fiol dulcissimo si fo per ti tradhio,batudho et implagao, beffao et starschernio...

e ricorda i patimenti di Cristo e il proprio do-lore di madre. Ma l'altro la invita ad esser mi-sericordiosa dacchè è pentito e le ricorda do-ver ella ai peccatori se fu glorificata e sceltaper madre di Dio; e conchiude:

Tu he major servisij per mi aguadheniaoka tute quelle injurie dre que tu he parlao;adonca arregordate del ben tu he per mi trovao,apresso zò te dementega del mal k'è strapassao...

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Page 28: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

La Vergine perdona; e il poeta continuasvolgendo per proprio conto gli argomenti delpeccatore pentito e le ragioni che inducon laMadonna ad arrendersi a chiunque disperatosinceramente la invochi; e racconta la novel-letta d'un contadino il quale, desolato perl'ingratitudine del figliuolo, invoca Satana per-chè lo aiuti a darsi la morte: Satana viene e loimpicca; ma, quando sente stringersi il collo,il misero pronuncia il nome di Maria: Satanafugge, la corda si spezza ed egli è salvo.

Fresco, originale, ed anche denso di pensie-ro, è il contrasto dell'anima col corpo. Il Crea-tore esorta l'anima ad essergli fedele; - macome lo poss'io, quella risponde, se il corpo mifa continua guerra?

Tu m'ha dao reo companion, da ki no m possopartire,

el me da tal batalia; el m'è sì forte guerrer,ke pur defende no m posso, sì com serave mester;dond'eo no ghe so consejo sed ello no ven da deo...

E il Signore: frenalo questo corpo e dirigilo;questa lotta ci vuole per guadagnare la ricom-pensa eterna:

scombate, no te lassa vence, lo volto ghe mostra ob-scuro,da ghe poco da spende, adovralo, no l lassa star se-

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La Vergine perdona; e il poeta continuasvolgendo per proprio conto gli argomenti delpeccatore pentito e le ragioni che inducon laMadonna ad arrendersi a chiunque disperatosinceramente la invochi; e racconta la novel-letta d'un contadino il quale, desolato perl'ingratitudine del figliuolo, invoca Satana per-chè lo aiuti a darsi la morte: Satana viene e loimpicca; ma, quando sente stringersi il collo,il misero pronuncia il nome di Maria: Satanafugge, la corda si spezza ed egli è salvo.

Fresco, originale, ed anche denso di pensie-ro, è il contrasto dell'anima col corpo. Il Crea-tore esorta l'anima ad essergli fedele; - macome lo poss'io, quella risponde, se il corpo mifa continua guerra?

Tu m'ha dao reo companion, da ki no m possopartire,

el me da tal batalia; el m'è sì forte guerrer,ke pur defende no m posso, sì com serave mester;dond'eo no ghe so consejo sed ello no ven da deo...

E il Signore: frenalo questo corpo e dirigilo;questa lotta ci vuole per guadagnare la ricom-pensa eterna:

scombate, no te lassa vence, lo volto ghe mostra ob-scuro,da ghe poco da spende, adovralo, no l lassa star se-

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curo...

L'anima confortata si rivolge al corpo:

Oi companion... tanfin tu è viventefacem li deo servisij concordievremente.

Refrena le membra toe ke se guarden de reeza,sì k'elle no fazan fallo per soa morbieza...vegia, zezuna, adovrate, no atende al Satanax...

Sta mondo e casto e honesto, cortese e vergonzo-so...

Ma io, protesta il corpo, son creato di terra «ein terra vojo mete cura»: la natura lui ha datole orecchie per udir belle canzoni,

i ogi m'en dai per vedher, la boca per mangiar,lo ventre per impir sì k'eo possa ingrassar...

Finalmente, stretto dalle argomentazioni e da-gli inviti ora affettuosi, or minacciosi dell'ani-ma raduna a consiglio le membra e a ciascu-no raccomanda di far giudizio:

el amonisce lo cor k' el faza bon penser...dapresso el dise ai ogi k' illi no sian barater,no sian boldi a vedher quel ke desplax a deo...

entrambe le orege el prende a amonirke le vanitae del mondo no se deblan da a odir...

la lengua et anc la boca el prend'a magistrar,k' in consolar la gola no se deblan delectar...

el amonisse le man k'elle no fazan rapina..,

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curo...

L'anima confortata si rivolge al corpo:

Oi companion... tanfin tu è viventefacem li deo servisij concordievremente.

Refrena le membra toe ke se guarden de reeza,sì k'elle no fazan fallo per soa morbieza...vegia, zezuna, adovrate, no atende al Satanax...

Sta mondo e casto e honesto, cortese e vergonzo-so...

Ma io, protesta il corpo, son creato di terra «ein terra vojo mete cura»: la natura lui ha datole orecchie per udir belle canzoni,

i ogi m'en dai per vedher, la boca per mangiar,lo ventre per impir sì k'eo possa ingrassar...

Finalmente, stretto dalle argomentazioni e da-gli inviti ora affettuosi, or minacciosi dell'ani-ma raduna a consiglio le membra e a ciascu-no raccomanda di far giudizio:

el amonisce lo cor k' el faza bon penser...dapresso el dise ai ogi k' illi no sian barater,no sian boldi a vedher quel ke desplax a deo...

entrambe le orege el prende a amonirke le vanitae del mondo no se deblan da a odir...

la lengua et anc la boca el prend'a magistrar,k' in consolar la gola no se deblan delectar...

el amonisse le man k'elle no fazan rapina..,

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el amonisce li pei ke se guardan da ruina....

Senonchè le membra dan la colpa dei loro tra-scorsi al cuore che le governa, il cuore la dàagli occhi, i quali scattano seguiti da tutti icompagni che s'accordan nel dargli addosso:

se l cor fisse ben corregio segondo ke l'anima vorezamai le oltre membre no haven fa ree ovre.

Come appendice a questo contrasto la visitadell'anima del peccatore e di quella del giustoai rispettivi corpi sepolti: la prima imprecacontro il «companion malvax» che l'ha perdutae data al demonio, e il corpo le risponde accu-sandola a sua volta di non essere stata abba-stanza energica per ritrarlo dal peccato, l'altraloda, benedice e ringrazia il proprio corpo chericambia i complimenti.

Meno filosofico ma pieno di leggiadria è ilcontrasto fra la rosa e la viola. La rosa super-ba, usurpando la priorità nel prender la paro-la che spetterebbe alla violetta, prima a fiori-re, decanta la sua beltà, il suo profumo, lasua maggior grandezza per contro la viola:

no sont per quel men bona anc sia eo picenetaben po sta grand tesoro in picenina archeta...

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el amonisce li pei ke se guardan da ruina....

Senonchè le membra dan la colpa dei loro tra-scorsi al cuore che le governa, il cuore la dàagli occhi, i quali scattano seguiti da tutti icompagni che s'accordan nel dargli addosso:

se l cor fisse ben corregio segondo ke l'anima vorezamai le oltre membre no haven fa ree ovre.

Come appendice a questo contrasto la visitadell'anima del peccatore e di quella del giustoai rispettivi corpi sepolti: la prima imprecacontro il «companion malvax» che l'ha perdutae data al demonio, e il corpo le risponde accu-sandola a sua volta di non essere stata abba-stanza energica per ritrarlo dal peccato, l'altraloda, benedice e ringrazia il proprio corpo chericambia i complimenti.

Meno filosofico ma pieno di leggiadria è ilcontrasto fra la rosa e la viola. La rosa super-ba, usurpando la priorità nel prender la paro-la che spetterebbe alla violetta, prima a fiori-re, decanta la sua beltà, il suo profumo, lasua maggior grandezza per contro la viola:

no sont per quel men bona anc sia eo picenetaben po sta grand tesoro in picenina archeta...

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e vanta il suo colore, il suo profumino gentilee la gioia che infonde negli animi al suo primoapparire.

«No sai que tu te dighi», zò disc la rosorina,«no è flor k' habia honor sor la rosa marina,in i orti et in li verzerij eo nasco so dra spina,olta da terra, e guardo inverse la corte divina,

Ma tu si nasci in le rive, tu nasci enti' i fossai»

E l'altra:...co sont tutta amorevre,

eo sont comuna a tugi, e larga e caritevre.S'alcun villan no m guarda et el me met sot pei,

s' el fa zo k'el no dè lo dexnor non è meo...Eo sto aprovo la terra, humel, no dexdeniosa,

ma tu ste olta in le rame, e bolda et orgojosa...

E così via a botta e risposta fino a che inter-viene il casto giglio a giudicar la contesa pro-clamando, non occorre dirlo, vittoriosa la vio-la. Bonvesino, d'accordo col giglio, ricava daldibattito la sua morale:

La violeta bella, la violeta puraalegra e confortosa sen va cola venzudha;ki vol esse cum viora e tra vita segurasia comun et humel et habia vita pura.

Quel è si com viora, lo qual no vol mete curad'orgojo ni d'avaritia, ni dra carnal sozura;ki pregarà l'altissimo e la regina puraper mi fra Bonvesin habia bona ventura.

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e vanta il suo colore, il suo profumino gentilee la gioia che infonde negli animi al suo primoapparire.

«No sai que tu te dighi», zò disc la rosorina,«no è flor k' habia honor sor la rosa marina,in i orti et in li verzerij eo nasco so dra spina,olta da terra, e guardo inverse la corte divina,

Ma tu si nasci in le rive, tu nasci enti' i fossai»

E l'altra:...co sont tutta amorevre,

eo sont comuna a tugi, e larga e caritevre.S'alcun villan no m guarda et el me met sot pei,

s' el fa zo k'el no dè lo dexnor non è meo...Eo sto aprovo la terra, humel, no dexdeniosa,

ma tu ste olta in le rame, e bolda et orgojosa...

E così via a botta e risposta fino a che inter-viene il casto giglio a giudicar la contesa pro-clamando, non occorre dirlo, vittoriosa la vio-la. Bonvesino, d'accordo col giglio, ricava daldibattito la sua morale:

La violeta bella, la violeta puraalegra e confortosa sen va cola venzudha;ki vol esse cum viora e tra vita segurasia comun et humel et habia vita pura.

Quel è si com viora, lo qual no vol mete curad'orgojo ni d'avaritia, ni dra carnal sozura;ki pregarà l'altissimo e la regina puraper mi fra Bonvesin habia bona ventura.

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Page 32: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Del medesimo tipo è il contrasto fra la mo-sca e la formica: anche qui nelle opposte ar-gomentazioni sono una varietà, una grazia eanche una significazione morale notevoli. Lamosca, dopo avere rimproverato alla formica ilsuo perenne travaglio e vantato i propri ozi,continua:

co sto su per li dischi per haver mejoramento,de molte guise condugi eo mangio al meo talento,

Eo vo suver le golte de le donne e de li segnor,al men deo quand'illi dormano de stae, quand'è localor,e sì ghe pegazo le golte e li mordo senza temor;da mi no se po guardar ni rex, ni imperador.

Eo sto in gran sozerno cole done e coli baron,co sto consego in camera, consego in soa mason.

E quando la formica le ha dimostrato la grandifferenza che passa tra il faticare e il non farnulla, «ma tu vivi di furto» esclama, al che laformichetta: Dio m'ha creata per servird'esempio all'uomo,

Eo sont predicadris, de zascun homo vivente.

ed è giusto che viva un poco a sue spese. Epoiché la mosca esalta le sue ali ed ha lasfrontatezza di simboleggiare in esse lo amor

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Del medesimo tipo è il contrasto fra la mo-sca e la formica: anche qui nelle opposte ar-gomentazioni sono una varietà, una grazia eanche una significazione morale notevoli. Lamosca, dopo avere rimproverato alla formica ilsuo perenne travaglio e vantato i propri ozi,continua:

co sto su per li dischi per haver mejoramento,de molte guise condugi eo mangio al meo talento,

Eo vo suver le golte de le donne e de li segnor,al men deo quand'illi dormano de stae, quand'è localor,e sì ghe pegazo le golte e li mordo senza temor;da mi no se po guardar ni rex, ni imperador.

Eo sto in gran sozerno cole done e coli baron,co sto consego in camera, consego in soa mason.

E quando la formica le ha dimostrato la grandifferenza che passa tra il faticare e il non farnulla, «ma tu vivi di furto» esclama, al che laformichetta: Dio m'ha creata per servird'esempio all'uomo,

Eo sont predicadris, de zascun homo vivente.

ed è giusto che viva un poco a sue spese. Epoiché la mosca esalta le sue ali ed ha lasfrontatezza di simboleggiare in esse lo amor

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Page 33: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

di Dio e del prossimo indispensabili all'uomoper montare in cielo, le rinfaccia l'adoperarquelle ali solo per dar fastidio al prossimo,quindi contrapponendo simbolo a simbolo:

eo lavorando fortemente sì do lox al segnor...… eo amo lo proximo et amo lo creator...

ancora eo lago sta l'ordio, e sì acolio del fromento,per lo formento s'intende lo novo testamentolà, o se conten la fè del nostro salvamento...

Il contrasto dei mesi, di cui Bonvesino la-sciò una doppia redazione, in volgare e in ver-si latini, è forse il notevole in quanto si ricon-nette a un genere di componimenti le cui ori-gini risalgono all'antichità e il cui soggetto,prima ancora che nella poesia, ebbe espres-sione nelle arti figurative in occidente e inoriente: simboli di stagioni e rappresentazionidi mesi trovansi persino nei monumenti egizî.Il medio evo elaborò gli antichi tipi di mesi se-condo il suo gusto, specialmente in Francia,in Inghilterra e in Italia e li disseminò in chie-se e in monumenti pubblici, come nella stu-penda fontana di Perugia, e nelle miniaturedei libri d'ore. Se ne impadronì poi la poesiapopolare: il conflictus veris et hiemis del IX se-colo, se non pur della fine dell'VIII, attribuitoa Beda, è un vero contrasto fra le due stagioni

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di Dio e del prossimo indispensabili all'uomoper montare in cielo, le rinfaccia l'adoperarquelle ali solo per dar fastidio al prossimo,quindi contrapponendo simbolo a simbolo:

eo lavorando fortemente sì do lox al segnor...… eo amo lo proximo et amo lo creator...

ancora eo lago sta l'ordio, e sì acolio del fromento,per lo formento s'intende lo novo testamentolà, o se conten la fè del nostro salvamento...

Il contrasto dei mesi, di cui Bonvesino la-sciò una doppia redazione, in volgare e in ver-si latini, è forse il notevole in quanto si ricon-nette a un genere di componimenti le cui ori-gini risalgono all'antichità e il cui soggetto,prima ancora che nella poesia, ebbe espres-sione nelle arti figurative in occidente e inoriente: simboli di stagioni e rappresentazionidi mesi trovansi persino nei monumenti egizî.Il medio evo elaborò gli antichi tipi di mesi se-condo il suo gusto, specialmente in Francia,in Inghilterra e in Italia e li disseminò in chie-se e in monumenti pubblici, come nella stu-penda fontana di Perugia, e nelle miniaturedei libri d'ore. Se ne impadronì poi la poesiapopolare: il conflictus veris et hiemis del IX se-colo, se non pur della fine dell'VIII, attribuitoa Beda, è un vero contrasto fra le due stagioni

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Page 34: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

che ebbe molte derivazioni nei secoli XIII eXIV nelle lingue romanze e anche in inglese ein tedesco. Analogamente alle stagioni si mi-sero in contrasto i mesi in numerosi poemettidestinati anch'essi alla recitazione in mezzo alpopolo come le bosinade lombarde, tra i qualiquesto di Bonvesino è forse il migliore.

I mesi riuniti e «in capitulo» cioè a dire aconsiglio, rinfacciano l'un dopo l'altro al gen-naio i suoi vizi e le sue colpe. Dice febbraio:

El fa tremer li poveri...Gran brega e gran fadiga Zenere m'à sempre dato,

lo zero k'el fa venir me strenze com un gato...molto ben zenere consente sol godando al bonfogo,

maron e pome e pere el manza con so cogo...de mi no à-l zà cura benchè sia presso al zogo...

ma io certo penso ke son de lui più degnoe squasso giaza e neve k'el me lasa per pegno...

E marzo:

Sempre el m'à tenuto com servo despresiado,con le me man podo le vide e multo li so ben tende

da le que in abundantia sì n'exe quel vin k'el spendee de ziò ni gra, ni gratia el no men vol pur rende...

Su questo metro l'un dopo l'altro, vantandoi propri meriti, danno a gennaio del fannullo-ne e dello sfruttatore, lo dichiarano indegno di

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che ebbe molte derivazioni nei secoli XIII eXIV nelle lingue romanze e anche in inglese ein tedesco. Analogamente alle stagioni si mi-sero in contrasto i mesi in numerosi poemettidestinati anch'essi alla recitazione in mezzo alpopolo come le bosinade lombarde, tra i qualiquesto di Bonvesino è forse il migliore.

I mesi riuniti e «in capitulo» cioè a dire aconsiglio, rinfacciano l'un dopo l'altro al gen-naio i suoi vizi e le sue colpe. Dice febbraio:

El fa tremer li poveri...Gran brega e gran fadiga Zenere m'à sempre dato,

lo zero k'el fa venir me strenze com un gato...molto ben zenere consente sol godando al bonfogo,

maron e pome e pere el manza con so cogo...de mi no à-l zà cura benchè sia presso al zogo...

ma io certo penso ke son de lui più degnoe squasso giaza e neve k'el me lasa per pegno...

E marzo:

Sempre el m'à tenuto com servo despresiado,con le me man podo le vide e multo li so ben tende

da le que in abundantia sì n'exe quel vin k'el spendee de ziò ni gra, ni gratia el no men vol pur rende...

Su questo metro l'un dopo l'altro, vantandoi propri meriti, danno a gennaio del fannullo-ne e dello sfruttatore, lo dichiarano indegno di

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stare alla testa dell'anno e deliberano di spo-destarlo. Già s'apprestano a effettuar il lorodivisamento e corrono alle armi: Bonvesino lipresenta proprio come il popolo era abituato avederli nelle pitture e nelle sculture: febbraiocon la forca, marzo colla tromba, aprile conun ramo fiorito, maggio armato a cavallo, giu-gno col falcetto,

con soa sapa lulio ven tuto polverento,avosto, mese infermizo, con so lomentamento

a piglià un baston ke ge dà sustentamento...

settembre ha la mazza con cui stringe le botti,ottobre la pertica delle castagne, novembre uncoltello da beccaio, dicembre la scure d'accia-io con cui spacca la legna. Gennaio li affrontatutti con una mazza in mano e, quando livede atterriti buttar le armi, si sfoga a ribatte-re tutte le accuse, ad una ad una, e decanta ipropri meriti, tra gli altri quello di combinarmatrimoni:

tuto zo ke no lavora intro lavor terren,e fazo grand ovramento segundo ke me porten,multi maridozi e fazo però ke apairo ben,

e son mulplicadore de quel ordine generaleziò è lo matrimonio k'à fagio lo re eternale...

I mesi, un po' persuasi, un po' impauriti, se

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stare alla testa dell'anno e deliberano di spo-destarlo. Già s'apprestano a effettuar il lorodivisamento e corrono alle armi: Bonvesino lipresenta proprio come il popolo era abituato avederli nelle pitture e nelle sculture: febbraiocon la forca, marzo colla tromba, aprile conun ramo fiorito, maggio armato a cavallo, giu-gno col falcetto,

con soa sapa lulio ven tuto polverento,avosto, mese infermizo, con so lomentamento

a piglià un baston ke ge dà sustentamento...

settembre ha la mazza con cui stringe le botti,ottobre la pertica delle castagne, novembre uncoltello da beccaio, dicembre la scure d'accia-io con cui spacca la legna. Gennaio li affrontatutti con una mazza in mano e, quando livede atterriti buttar le armi, si sfoga a ribatte-re tutte le accuse, ad una ad una, e decanta ipropri meriti, tra gli altri quello di combinarmatrimoni:

tuto zo ke no lavora intro lavor terren,e fazo grand ovramento segundo ke me porten,multi maridozi e fazo però ke apairo ben,

e son mulplicadore de quel ordine generaleziò è lo matrimonio k'à fagio lo re eternale...

I mesi, un po' persuasi, un po' impauriti, se

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Page 36: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

ne stan muti a testa bassa: finalmente apriles'avanza e invoca a nome di tutti il perdonodal calunniato signor dell'anno:

Segnor regal, dis quelo, intende-me s'el te piase,lo nostro prego è questo ke tu ne perdone in pase,se nu am fagio on digio cosa ke te despiase,nu vomo sta a mendare e fa tut ziò ke-t piase...

e seguita con paroline amabili si da intenerir-lo: il perdono è concesso e Bonvesino, al soli-to, ricava la sua morale:

l'ystoria de gli misi ki vor udì cuntarese dà sembianza a l'omo s'el vor grand'ovra fare,ke saviamente inanze si debia ben pensarecom el de trar a fin ziò k'el vol adovrare.

** *

I «volgari» sono o religiosi o morali o l'uno el'altro ad un tempo.Il poemetto delle lodi alla Vergine non è, comeavrebbe fatto un de' poeti minori di questascuola, una pura versificazione delle litanie,ma è anche intessuto di graziose narrazioni dimiracoli. Racconta Bonvesino di un castellanoche, circondato da una masnada di bricconi,ne fa d'ogni colore, pur avendo l'abitudine

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ne stan muti a testa bassa: finalmente apriles'avanza e invoca a nome di tutti il perdonodal calunniato signor dell'anno:

Segnor regal, dis quelo, intende-me s'el te piase,lo nostro prego è questo ke tu ne perdone in pase,se nu am fagio on digio cosa ke te despiase,nu vomo sta a mendare e fa tut ziò ke-t piase...

e seguita con paroline amabili si da intenerir-lo: il perdono è concesso e Bonvesino, al soli-to, ricava la sua morale:

l'ystoria de gli misi ki vor udì cuntarese dà sembianza a l'omo s'el vor grand'ovra fare,ke saviamente inanze si debia ben pensarecom el de trar a fin ziò k'el vol adovrare.

** *

I «volgari» sono o religiosi o morali o l'uno el'altro ad un tempo.Il poemetto delle lodi alla Vergine non è, comeavrebbe fatto un de' poeti minori di questascuola, una pura versificazione delle litanie,ma è anche intessuto di graziose narrazioni dimiracoli. Racconta Bonvesino di un castellanoche, circondato da una masnada di bricconi,ne fa d'ogni colore, pur avendo l'abitudine

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Page 37: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

d'invocar ogni giorno il nome di Maria e perquesto, senza saperlo, s'era tenuto per quat-tordici anni il diavolo in casa in funzione di«canaver» o cantiniere, impotente, in causa diquella invocazione, a farsi conoscere e perder-lo com'era sua intenzione; racconta d'un pira-ta che aveva pregato Maria di non farlo moriresenza confessione: travolto in un naufragio,quando già tutti i suoi compagni eran morti, ilsuo corpo fu interamente roso dai pesci, esolo la testa rimase intatta e viva galleggiandofino a che, passata vicino una nave ov'eranoalcuni frati minori, questi non la ebbero con-fessata; racconta con ingenuo garbo la dram-matica storia di Maria egiziaca, ed altre novel-le fra le quali è veramente ammirabile quelladi frate Ave Maria: un cavaliere va in un mo-nastero a far penitenza, ma il monaco datogliper istruirlo non riesce a fargli entrar nella te-sta che l'Ave Maria: null'altro egli sa dire nellalunga vicenda delle ore di preghiera. Dopo lasua morte ecco germogliare sulla sua tombauna pianta:

sover zascuna folia de quella pianta ornadhascrigio era ave Maria con letera sordoradha.

Accorrono i monaci stupiti e, datisi a cercarle radici della pianta, le trovano abbarbicate

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d'invocar ogni giorno il nome di Maria e perquesto, senza saperlo, s'era tenuto per quat-tordici anni il diavolo in casa in funzione di«canaver» o cantiniere, impotente, in causa diquella invocazione, a farsi conoscere e perder-lo com'era sua intenzione; racconta d'un pira-ta che aveva pregato Maria di non farlo moriresenza confessione: travolto in un naufragio,quando già tutti i suoi compagni eran morti, ilsuo corpo fu interamente roso dai pesci, esolo la testa rimase intatta e viva galleggiandofino a che, passata vicino una nave ov'eranoalcuni frati minori, questi non la ebbero con-fessata; racconta con ingenuo garbo la dram-matica storia di Maria egiziaca, ed altre novel-le fra le quali è veramente ammirabile quelladi frate Ave Maria: un cavaliere va in un mo-nastero a far penitenza, ma il monaco datogliper istruirlo non riesce a fargli entrar nella te-sta che l'Ave Maria: null'altro egli sa dire nellalunga vicenda delle ore di preghiera. Dopo lasua morte ecco germogliare sulla sua tombauna pianta:

sover zascuna folia de quella pianta ornadhascrigio era ave Maria con letera sordoradha.

Accorrono i monaci stupiti e, datisi a cercarle radici della pianta, le trovano abbarbicate

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Page 38: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

al cuore del defunto. Quanta poesia in questoparticolare!

La novella s'intreccia così al canto lirico egli dà novità e varietà. Quantunque eccellentenarratore, Bonvesino non ha certo inventatoqueste storie; in parte eran comprese nellevite dei santi, in parte s'erano andate forman-do nel più recente medio evo e correvano perle bocche del popolo; ma i suoi racconti, agiudicare da quelli di cui si conoscon le origi-ni, han sempre una freschezza e una schiet-tezza che li distinguono da tutte le altre reda-zioni.

Men varia è la vita di S. Alessio dove l'auto-re segue passo passo il testo in prosa che noileggiamo negli atti dei santi pubblicati daiBollandisti; ma di gran lunga a questa supe-riore, per varietà di motivi e forza drammati-ca, è il racconto della passione di Giobbe: coninnegabile senso di arte Bonvesino esprime ilgraduale precipitar del disgraziato di sventurain sventura sino all'estrema rovina e la suarassegnazione che di mano in mano si trasfor-ma in una vera voluttà del soffrire.

Pregi ben diversi che nelle pedestri rime delBescapè ha il poemetto sul giudizio universalepreceduto dalla descrizione dei quindici mira-coli destinati a prannunziarlo. Bonvesino ha

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al cuore del defunto. Quanta poesia in questoparticolare!

La novella s'intreccia così al canto lirico egli dà novità e varietà. Quantunque eccellentenarratore, Bonvesino non ha certo inventatoqueste storie; in parte eran comprese nellevite dei santi, in parte s'erano andate forman-do nel più recente medio evo e correvano perle bocche del popolo; ma i suoi racconti, agiudicare da quelli di cui si conoscon le origi-ni, han sempre una freschezza e una schiet-tezza che li distinguono da tutte le altre reda-zioni.

Men varia è la vita di S. Alessio dove l'auto-re segue passo passo il testo in prosa che noileggiamo negli atti dei santi pubblicati daiBollandisti; ma di gran lunga a questa supe-riore, per varietà di motivi e forza drammati-ca, è il racconto della passione di Giobbe: coninnegabile senso di arte Bonvesino esprime ilgraduale precipitar del disgraziato di sventurain sventura sino all'estrema rovina e la suarassegnazione che di mano in mano si trasfor-ma in una vera voluttà del soffrire.

Pregi ben diversi che nelle pedestri rime delBescapè ha il poemetto sul giudizio universalepreceduto dalla descrizione dei quindici mira-coli destinati a prannunziarlo. Bonvesino ha

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tocchi delicati là dove dipinge lo smarrimentodei peccatori davanti a Dio che sta per giudi-care: la loro pena non gli inspira un rudecompiacimento, ma un mite senso di pietà esi direbbe talora che egli soffra con loro:

oi, que faran li miseri ke così seran comprisi?illi no porran asconderse, no g'ha valer amisi,e trop g'ha esser greve illoga astar parisini ne porran fuzir, ni mai firàn defisi;

no g'ha valer amisi, parenti ni companion,ni filij, ni grange richeze, castelle ni dominion;staran stremidhi e grami in grand confusion.Oi grand confusion a li miseri peccaorstagando in tal vergonza, stagando a tal dexnor!li dengi g'han bate insema d'angosa e de tremor

illi han querir la morte, ni la porran trovar,diran a le montanie ke i deblan covergiar...illi odiran la vox: «partiven maledigi,partiven coli demonij entre l'infernai destrigi»...oi angoxosa angustia, oi spagurivri digidond'ha li descumiao li peccator affligi!...

Quindi, udita la condanna, ecco fra le turbeun tragico insorgere di recriminazioni, onde ilpoeta sa trarre efficaci contrasti: il padre inve-stirà il figliuolo maledicendo al troppo amorpaterno che lo ha indotto in peccato:

...mal habia l'ora ke tu fusi zenerao,per ti fu usurario, frodoso e renegao,perk'eo te vosse fa rico venu sont affollao...

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tocchi delicati là dove dipinge lo smarrimentodei peccatori davanti a Dio che sta per giudi-care: la loro pena non gli inspira un rudecompiacimento, ma un mite senso di pietà esi direbbe talora che egli soffra con loro:

oi, que faran li miseri ke così seran comprisi?illi no porran asconderse, no g'ha valer amisi,e trop g'ha esser greve illoga astar parisini ne porran fuzir, ni mai firàn defisi;

no g'ha valer amisi, parenti ni companion,ni filij, ni grange richeze, castelle ni dominion;staran stremidhi e grami in grand confusion.Oi grand confusion a li miseri peccaorstagando in tal vergonza, stagando a tal dexnor!li dengi g'han bate insema d'angosa e de tremor

illi han querir la morte, ni la porran trovar,diran a le montanie ke i deblan covergiar...illi odiran la vox: «partiven maledigi,partiven coli demonij entre l'infernai destrigi»...oi angoxosa angustia, oi spagurivri digidond'ha li descumiao li peccator affligi!...

Quindi, udita la condanna, ecco fra le turbeun tragico insorgere di recriminazioni, onde ilpoeta sa trarre efficaci contrasti: il padre inve-stirà il figliuolo maledicendo al troppo amorpaterno che lo ha indotto in peccato:

...mal habia l'ora ke tu fusi zenerao,per ti fu usurario, frodoso e renegao,perk'eo te vosse fa rico venu sont affollao...

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per to amor eo ardo entra preson fondadha,mato è ki per fiol ten l'arma impantanadha...

e il figlio si farà contro al padre:

mal habli tu, reo patre, por ti sont apenando...quando rezerme devivi, monir e castigar,

azò ke li peccai dovesse abandonar...lo patre col so fijo dolenti et angoxusi

se roeràn entrambi com have fa can rabiusi,blastemaran l'un l'oltro com homini 'maniusi...

lo stesso avverrà tra fratelli: tutti quanti furonfunestamente affratellati nel peccato si trove-ranno uniti e contrastanti nella pena.

Nel «volgare delle elemosine» il nostro poetainsegna che s'ha da fare per onorar Dio e sal-var l'anima; tre cose specialmente: amare laVergine, confessarsi spesso, far elemosina; mail soggetto predominante è quest'ultimo che sisvolge dal verso 105 al 1050. Anche qui, no-nostante quelle ripetizioni talora stucchevoliche ricorrono in tutte le sue composizioni, èvaria la vicenda degli argomenti, frequente ilsuccedersi di graziosi apologhi seguiti ciascu-no dalla consueta «moralità». L'elemosina vafatta con criterio, particolarmente ai religiosiche van per il mondo a predicare, ai poverifrati che vivono in contemplazione, ai proprivicini bisognosi:

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per to amor eo ardo entra preson fondadha,mato è ki per fiol ten l'arma impantanadha...

e il figlio si farà contro al padre:

mal habli tu, reo patre, por ti sont apenando...quando rezerme devivi, monir e castigar,

azò ke li peccai dovesse abandonar...lo patre col so fijo dolenti et angoxusi

se roeràn entrambi com have fa can rabiusi,blastemaran l'un l'oltro com homini 'maniusi...

lo stesso avverrà tra fratelli: tutti quanti furonfunestamente affratellati nel peccato si trove-ranno uniti e contrastanti nella pena.

Nel «volgare delle elemosine» il nostro poetainsegna che s'ha da fare per onorar Dio e sal-var l'anima; tre cose specialmente: amare laVergine, confessarsi spesso, far elemosina; mail soggetto predominante è quest'ultimo che sisvolge dal verso 105 al 1050. Anche qui, no-nostante quelle ripetizioni talora stucchevoliche ricorrono in tutte le sue composizioni, èvaria la vicenda degli argomenti, frequente ilsuccedersi di graziosi apologhi seguiti ciascu-no dalla consueta «moralità». L'elemosina vafatta con criterio, particolarmente ai religiosiche van per il mondo a predicare, ai poverifrati che vivono in contemplazione, ai proprivicini bisognosi:

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specialmente plu anche andar a reguerirquilli k'en infirmi o poveri ke no se pon mantenir...quest'è lemosina drigia ki vol ben implegar...

Nè s'ha da dar solo il savrabbondante:

multi homini fan a li poveri lemosine reçitaede quel mangià ke g'avanza, dre peze resmuliaepur quelle cosse solenghe k'en vile on rezitaevoler donar a Criste per soa brutedhae;

ma saplan ben per certo i avari descognoscentike pur a Jesu Crist si dex li belli presenti;e quilli ke 'l volen pasce de vili avanzamentimeten deo per negota, usar de schernimenti...

Benemerita elemosina è quella che si fa acerti ospedali dove i frati curano ammalati in-fetti, fuggiti dagli stessi lor cari che ne hannoschifo: in quegli asili del dolore

li infirmi vermenusi da li vermeni fin mondai,quilli k'han pustème on piaghe illò fin medicai,quellor ke se pegan soto, k'en fortemente amalai,a modho de fantin piceni sovenzo fin netezai...

Il poeta porta l'esempio di S. Gioachino chedava ai poveri i due terzi delle sue entrate,quello della donna caritatevole risuscitata daS. Pietro per ridonarla ai poveri, quello di S.Bonifacio fanciullo che vuotò il granaio per di-

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specialmente plu anche andar a reguerirquilli k'en infirmi o poveri ke no se pon mantenir...quest'è lemosina drigia ki vol ben implegar...

Nè s'ha da dar solo il savrabbondante:

multi homini fan a li poveri lemosine reçitaede quel mangià ke g'avanza, dre peze resmuliaepur quelle cosse solenghe k'en vile on rezitaevoler donar a Criste per soa brutedhae;

ma saplan ben per certo i avari descognoscentike pur a Jesu Crist si dex li belli presenti;e quilli ke 'l volen pasce de vili avanzamentimeten deo per negota, usar de schernimenti...

Benemerita elemosina è quella che si fa acerti ospedali dove i frati curano ammalati in-fetti, fuggiti dagli stessi lor cari che ne hannoschifo: in quegli asili del dolore

li infirmi vermenusi da li vermeni fin mondai,quilli k'han pustème on piaghe illò fin medicai,quellor ke se pegan soto, k'en fortemente amalai,a modho de fantin piceni sovenzo fin netezai...

Il poeta porta l'esempio di S. Gioachino chedava ai poveri i due terzi delle sue entrate,quello della donna caritatevole risuscitata daS. Pietro per ridonarla ai poveri, quello di S.Bonifacio fanciullo che vuotò il granaio per di-

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Page 42: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

stribuirne il grano ai poveri, e, quando vide lamadre per ciò desolata, pregò il Signore che laconsolasse, e d'un tratto il granaio si ritrovòcolmo come prima. Narra la leggenda di S.Donato bambino, fatto cuocere nel caldaio daldemonio e risuscitato da due angeli che sede-vano in veste di poverelli alla mensa ospitaledel padre del bimbo, e quella del re che ab-bracciava tutti quanti sapeva colpiti da ma-lanni e da miserie e, accortosi che tale abitu-dine spiaceva al fratel suo, mandò un giornoalla casa di lui il tubatore a suonar clamoro-samente come soleva fare coi condannati amorte; e, quando il fratello ebbe mandatomolti suoi amici a intercedere per lui, che,dopo tutto non aveva fatto nulla di male, glidisse: - tu hai mandato i tuoi amici a interce-dere perchè li risparmi la vita; io faccio lostesso: mi procuro molti amici perché interce-dano per me presso il Re del cielo: la differen-za sta in ciò, che tu ti preoccupi della vita cor-porale, io della celeste.

** *

Lo spirito pratico di Bonvesino e la suaesperienza della vita si rivelano nei tre poe-

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stribuirne il grano ai poveri, e, quando vide lamadre per ciò desolata, pregò il Signore che laconsolasse, e d'un tratto il granaio si ritrovòcolmo come prima. Narra la leggenda di S.Donato bambino, fatto cuocere nel caldaio daldemonio e risuscitato da due angeli che sede-vano in veste di poverelli alla mensa ospitaledel padre del bimbo, e quella del re che ab-bracciava tutti quanti sapeva colpiti da ma-lanni e da miserie e, accortosi che tale abitu-dine spiaceva al fratel suo, mandò un giornoalla casa di lui il tubatore a suonar clamoro-samente come soleva fare coi condannati amorte; e, quando il fratello ebbe mandatomolti suoi amici a intercedere per lui, che,dopo tutto non aveva fatto nulla di male, glidisse: - tu hai mandato i tuoi amici a interce-dere perchè li risparmi la vita; io faccio lostesso: mi procuro molti amici perché interce-dano per me presso il Re del cielo: la differen-za sta in ciò, che tu ti preoccupi della vita cor-porale, io della celeste.

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Lo spirito pratico di Bonvesino e la suaesperienza della vita si rivelano nei tre poe-

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Page 43: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

metti «della Vanità», delle «zinquanta cortesieda tavola», e della vita scolastica, quest'ultimoscritto in versi latini, ed anche nel volgarizza-mento dei distici di Catone sui costumi (demoribus), diffusissimi nelle scuole medioevali,che il buon maestro di grammatica aveva tra-dotto certo per uso de' suoi scolari e de' suoicolleghi.

Il volgare della vanità è un sermone in di-spregio delle vanità umane, tema comune allaletteratura medioevale, corredato dai due apo-loghi esopiani del cane che, rincorrendo lapropria ombra, lascia rimboscare la lepre, edell'altro cane che, specchiandosi alla fonta-na, si lascia cader la carne di bocca per ad-dentare quella della propria immagine.

Trattati sul modo di contenersi a tavola e inaltre contingenze furon frequenti nel medioevo e nell'età moderna; ve n'ha di latini, difrancesi, di tedeschi, d'italiani. Questo di Bon-vesino ha, come tutte le cose sue, una notafresca e originale e per di più ci presenta uninteressante documento dei costumi del tem-po. Infatti alcuni di que' consigli potrebberovalere tali e quali anche oggi, per esempio:

.. no sii trop prestode corre senza parolla per assetar al desco...s'alcun t'invidha a noze, anze ke tu sii assetao

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metti «della Vanità», delle «zinquanta cortesieda tavola», e della vita scolastica, quest'ultimoscritto in versi latini, ed anche nel volgarizza-mento dei distici di Catone sui costumi (demoribus), diffusissimi nelle scuole medioevali,che il buon maestro di grammatica aveva tra-dotto certo per uso de' suoi scolari e de' suoicolleghi.

Il volgare della vanità è un sermone in di-spregio delle vanità umane, tema comune allaletteratura medioevale, corredato dai due apo-loghi esopiani del cane che, rincorrendo lapropria ombra, lascia rimboscare la lepre, edell'altro cane che, specchiandosi alla fonta-na, si lascia cader la carne di bocca per ad-dentare quella della propria immagine.

Trattati sul modo di contenersi a tavola e inaltre contingenze furon frequenti nel medioevo e nell'età moderna; ve n'ha di latini, difrancesi, di tedeschi, d'italiani. Questo di Bon-vesino ha, come tutte le cose sue, una notafresca e originale e per di più ci presenta uninteressante documento dei costumi del tem-po. Infatti alcuni di que' consigli potrebberovalere tali e quali anche oggi, per esempio:

.. no sii trop prestode corre senza parolla per assetar al desco...s'alcun t'invidha a noze, anze ke tu sii assetao

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per ti no prende quel asio d'ond tu fizi descaçao......sta conzamente al desco,

cortese, adorno, alegro e confortoso e fresco;no di' sta cuintoroso, no gramo ni travaçao,ni cole gambe incrosae, ni torto ni apodiao...ki fa dra mensa podio, quel hom no è cortese,quanti el gh'apodia le gomedhe, on ghe ten le bracedestese...no trop impir la boca, ni trop mangiar in pressa...

...quand tu strainudhion k'el te prende la tosse, guarda com tu te lavori:in l'oltra parte, te volze...azò ke dra saliva no zese sor la mensa.

...quand l'homo se sente ben sanno faza, o k'el se sia, de companadegho pan...

...no biama li condugi,quand tu è a li convivij, ma dì ke illi en bon tugi;in questa rea usanza multi homini ho zà trovaodigando: «quest'è mal cogio, on quest'è mal salao»;

ma allorchè dice:

...quand tu dì prende la copacon due man la receve, e ben te furbe la boca;col'una conzamente no se po 'la ben receve;azò k'el vin no se spanda con due man semprebeve...

oppure...no di' mete pan in vin

se tego d'un napo medesmo bevesse fra Bonvesin......no mastruliar per tuto

com have esse carne, on ove, on semejant condugio;ki volze e ki mastrulia sor lo talier cercandoè bruto e fa fastidio al companion mangiando.

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per ti no prende quel asio d'ond tu fizi descaçao......sta conzamente al desco,

cortese, adorno, alegro e confortoso e fresco;no di' sta cuintoroso, no gramo ni travaçao,ni cole gambe incrosae, ni torto ni apodiao...ki fa dra mensa podio, quel hom no è cortese,quanti el gh'apodia le gomedhe, on ghe ten le bracedestese...no trop impir la boca, ni trop mangiar in pressa...

...quand tu strainudhion k'el te prende la tosse, guarda com tu te lavori:in l'oltra parte, te volze...azò ke dra saliva no zese sor la mensa.

...quand l'homo se sente ben sanno faza, o k'el se sia, de companadegho pan...

...no biama li condugi,quand tu è a li convivij, ma dì ke illi en bon tugi;in questa rea usanza multi homini ho zà trovaodigando: «quest'è mal cogio, on quest'è mal salao»;

ma allorchè dice:

...quand tu dì prende la copacon due man la receve, e ben te furbe la boca;col'una conzamente no se po 'la ben receve;azò k'el vin no se spanda con due man semprebeve...

oppure...no di' mete pan in vin

se tego d'un napo medesmo bevesse fra Bonvesin......no mastruliar per tuto

com have esse carne, on ove, on semejant condugio;ki volze e ki mastrulia sor lo talier cercandoè bruto e fa fastidio al companion mangiando.

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...tu no di' lenze le die,quel bom ke se caza in boca le die impastruliaele die non en plu nete, anze en plu brutezae...

ci presenta un caratteristico quadretto degliusi conviviali d'allora, quando uno stesso bic-chiere, naturalmente molto grande sì che oc-correva prenderlo con due mani, e un solpiatto servivano a due o più commensali cheal piatto comune attingevano colle mani nonessendovi allora forchette, ma solo cucchiaiper i cibi liquidi e il coltello con relativa guai-na; usi pittorescamente riprodotti anche inminiature del tempo.

Il poemetto «de vita scholastica» èanch'esso, in certo modo, un documento dicostumi. Bonvesino vuol offrire agli scolari «lecinque chiavi della sapienza» che sono: il ti-mor di Dio, l'onorar il maestro, l'assidua let-tura, il frequente domandare e l'esercizio dellamemoria. Ecco qualche esempio de' suoi inse-gnamenti: fuggire i cattivi pensieri, frenare lalingua, essere umile

...ad juga doctrinae qui se vult dedere rectein forman servi flectere colla paret;

essere casto, giacchè «doctrinae zelo carneusobstat amor», guardarsi dalla sodomia, frenar

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...tu no di' lenze le die,quel bom ke se caza in boca le die impastruliaele die non en plu nete, anze en plu brutezae...

ci presenta un caratteristico quadretto degliusi conviviali d'allora, quando uno stesso bic-chiere, naturalmente molto grande sì che oc-correva prenderlo con due mani, e un solpiatto servivano a due o più commensali cheal piatto comune attingevano colle mani nonessendovi allora forchette, ma solo cucchiaiper i cibi liquidi e il coltello con relativa guai-na; usi pittorescamente riprodotti anche inminiature del tempo.

Il poemetto «de vita scholastica» èanch'esso, in certo modo, un documento dicostumi. Bonvesino vuol offrire agli scolari «lecinque chiavi della sapienza» che sono: il ti-mor di Dio, l'onorar il maestro, l'assidua let-tura, il frequente domandare e l'esercizio dellamemoria. Ecco qualche esempio de' suoi inse-gnamenti: fuggire i cattivi pensieri, frenare lalingua, essere umile

...ad juga doctrinae qui se vult dedere rectein forman servi flectere colla paret;

essere casto, giacchè «doctrinae zelo carneusobstat amor», guardarsi dalla sodomia, frenar

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Page 46: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

la gola, astenersi dal giuoco, dai balli, evitar lemale compagnie, onorare i genitori, ascoltarfrequentemente la messa, distribuire savia-mente durante la giornata le preghiere, ono-rare il maestro, il che si può fare in diversimodi: tenendo nella scuola e fuori un conte-gno decoroso, offrendogli qualche volta fiori ofrutti, standogli, nell'accompagnarlo per via,un po' indietro, non mai a pari o davanti, stu-diando con tutte le forze per fare anche a luibuon nome, sopportando con pazienza le fru-state anche quando non sembrino giuste

est doctoris amor verus non parcere virgae,

pagandogli puntualmente la mercede per nonmetterlo nella necessità di espellerlo o diprendersi in pegno i libri dello scolaro moroso(il che lo stesso Bonvesino fu talora costrettoa fare come rilevasi dal suo testamento), fa-cendogli frequenti doni.

Allo stesso nodo che agli scolari, Bonvesinovuol offrir buoni consigli ai maestri cui spettadar in tutto il buon esempio: non portino vesticorte, come gli zerbinotti, ma lunghe e larghequali usan portare i chierici, non siano effe-minati nel modo di pettinarsi, non cedano aitrasporti dell'ira nel percuotere con la verga

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la gola, astenersi dal giuoco, dai balli, evitar lemale compagnie, onorare i genitori, ascoltarfrequentemente la messa, distribuire savia-mente durante la giornata le preghiere, ono-rare il maestro, il che si può fare in diversimodi: tenendo nella scuola e fuori un conte-gno decoroso, offrendogli qualche volta fiori ofrutti, standogli, nell'accompagnarlo per via,un po' indietro, non mai a pari o davanti, stu-diando con tutte le forze per fare anche a luibuon nome, sopportando con pazienza le fru-state anche quando non sembrino giuste

est doctoris amor verus non parcere virgae,

pagandogli puntualmente la mercede per nonmetterlo nella necessità di espellerlo o diprendersi in pegno i libri dello scolaro moroso(il che lo stesso Bonvesino fu talora costrettoa fare come rilevasi dal suo testamento), fa-cendogli frequenti doni.

Allo stesso nodo che agli scolari, Bonvesinovuol offrir buoni consigli ai maestri cui spettadar in tutto il buon esempio: non portino vesticorte, come gli zerbinotti, ma lunghe e larghequali usan portare i chierici, non siano effe-minati nel modo di pettinarsi, non cedano aitrasporti dell'ira nel percuotere con la verga

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Page 47: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

gli scolari disubbidienti, non ricettino nellascuola giovani tinti d'eresia (pullulavano aquel tempo, com'è noto, le sètte religiose),trattino con amorevolezza ed aiutino gli scola-ri che pagan la mercede e fan loro grati doni,ma non disprezzino i poveri incapaci a pagare,facciano un po' da padri a quelli che son lon-tani dai loro genitori, sian chiari e ordinatinelle lezioni, non gestiscano nè dimenino lapersona quando parlano alla scolaresca, par-lino sempre in latino e pretendano che altret-tanto facciano gli scolari...

** *

Quella che per molti rispetti può ritenersi laprincipale opera poetica di Bonvesino è venu-ta in luce per le stampe solo un vent'anni orsono. È il «libro delle tre scritture», la scritturarossa, la scrittura negra e la scrittura dorata,comprendente 596 stanze e 2384 versi; unatrilogia di cui la prima parte tratta della na-scita e della morte dell'uomo e delle dodicipene dell'inferno, la seconda della Passione diCristo e la terza della morte del giusto e deidodici gaudi del paradiso.L'uomo è generato in un intruglio

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gli scolari disubbidienti, non ricettino nellascuola giovani tinti d'eresia (pullulavano aquel tempo, com'è noto, le sètte religiose),trattino con amorevolezza ed aiutino gli scola-ri che pagan la mercede e fan loro grati doni,ma non disprezzino i poveri incapaci a pagare,facciano un po' da padri a quelli che son lon-tani dai loro genitori, sian chiari e ordinatinelle lezioni, non gestiscano nè dimenino lapersona quando parlano alla scolaresca, par-lino sempre in latino e pretendano che altret-tanto facciano gli scolari...

** *

Quella che per molti rispetti può ritenersi laprincipale opera poetica di Bonvesino è venu-ta in luce per le stampe solo un vent'anni orsono. È il «libro delle tre scritture», la scritturarossa, la scrittura negra e la scrittura dorata,comprendente 596 stanze e 2384 versi; unatrilogia di cui la prima parte tratta della na-scita e della morte dell'uomo e delle dodicipene dell'inferno, la seconda della Passione diCristo e la terza della morte del giusto e deidodici gaudi del paradiso.L'uomo è generato in un intruglio

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Page 48: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

de sangue che è mesgio de puza e de sozore,in bruta albergaria permane albergatore...;

nasce ignudo e debole, piccino dà fastidio achi deve curarlo, cresciuto, anche se bello difuori, di dentro è pien di sozzure:

fora per la bella boca se fa scharcalij e spudaper lo naso e per le oregie e per li ogi pur brutura...;

i più preziosi cibi ch'ei mangia, entrati nellostomaco, diventan marciume; brighe e trava-gli lo angustiano durante tutta la vita, quindila morte lo agguanta:

le membre si ge reciliano, le golte have sienele2 raxe,desfigurato e sozo lo corpo ge romaxe.

Ma l'uomo è giusto o peccatore: il poeta co-mincia da quest'ultimo e ne descrive la mortemiseranda coi diavoli in fianco in attesa diportarselo via. Spirato, eccolo all'inferno a su-bir le dodici pene, cioè: «la flama scura keabraxa in quella tana», «la puza grande ke lopeccatore circunda», «lo zelo fregissimo dequella terra inversa», «li vermi veninenti ke gestano con grande orgoio», «vedere le faze de limiseri ke stano in la cathena e dentro li dia-2 Parola che non s'incontra altrove: sarà forse da leggere: fievele = flosce.

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de sangue che è mesgio de puza e de sozore,in bruta albergaria permane albergatore...;

nasce ignudo e debole, piccino dà fastidio achi deve curarlo, cresciuto, anche se bello difuori, di dentro è pien di sozzure:

fora per la bella boca se fa scharcalij e spudaper lo naso e per le oregie e per li ogi pur brutura...;

i più preziosi cibi ch'ei mangia, entrati nellostomaco, diventan marciume; brighe e trava-gli lo angustiano durante tutta la vita, quindila morte lo agguanta:

le membre si ge reciliano, le golte have sienele2 raxe,desfigurato e sozo lo corpo ge romaxe.

Ma l'uomo è giusto o peccatore: il poeta co-mincia da quest'ultimo e ne descrive la mortemiseranda coi diavoli in fianco in attesa diportarselo via. Spirato, eccolo all'inferno a su-bir le dodici pene, cioè: «la flama scura keabraxa in quella tana», «la puza grande ke lopeccatore circunda», «lo zelo fregissimo dequella terra inversa», «li vermi veninenti ke gestano con grande orgoio», «vedere le faze de limiseri ke stano in la cathena e dentro li dia-2 Parola che non s'incontra altrove: sarà forse da leggere: fievele = flosce.

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Page 49: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

voli apresso», «le grame voxe, lo pianto e lo ru-more», gli strazi che i diavoli fanno dei pecca-tori, la fame e la sete, «la asperitate gravissi-ma de la vesta e del giaxere», la pestilenza eogni altro genere di malattie, «la grande gra-meza de zò kel ha perdudo», cioè le gioie delparadiso, la disperazione di non poter maiuscire.

Nel quadro mediano del trittico si svolge laPassione di Cristo dall'arresto fino al colpo dilancia vibrato da Longino. L'ultimo quadro èl'antitesi perfetta del primo: il giusto morendovede intorno sè gli angeli che ne aspettanl'anima e pregusta gli eterni gaudi. Eccolo inpardiso:

quella Città soprana si è pure de oro lucente;le piaze delectevole, le miura resplendente,li prati, li verzeri ornati e avenenti,de strabianchissimi lilij e de altri fiori olenti;

de prede pretiosissime le mure son lavorade,a zeme splendidissime e molte aprexiade,

le camere sono depente de strafino azuro,è facto lavore mirabile a oro lucente e puro...

Lassù il giusto gode dodici allegrezze perfet-tamente rispondenti alle dodici pene infernali:«la grande beltade de la terra de li viventi», «loodore soave»,«la grande richeza e lo honore», il«grande conforto d'essere uscito de la presone

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voli apresso», «le grame voxe, lo pianto e lo ru-more», gli strazi che i diavoli fanno dei pecca-tori, la fame e la sete, «la asperitate gravissi-ma de la vesta e del giaxere», la pestilenza eogni altro genere di malattie, «la grande gra-meza de zò kel ha perdudo», cioè le gioie delparadiso, la disperazione di non poter maiuscire.

Nel quadro mediano del trittico si svolge laPassione di Cristo dall'arresto fino al colpo dilancia vibrato da Longino. L'ultimo quadro èl'antitesi perfetta del primo: il giusto morendovede intorno sè gli angeli che ne aspettanl'anima e pregusta gli eterni gaudi. Eccolo inpardiso:

quella Città soprana si è pure de oro lucente;le piaze delectevole, le miura resplendente,li prati, li verzeri ornati e avenenti,de strabianchissimi lilij e de altri fiori olenti;

de prede pretiosissime le mure son lavorade,a zeme splendidissime e molte aprexiade,

le camere sono depente de strafino azuro,è facto lavore mirabile a oro lucente e puro...

Lassù il giusto gode dodici allegrezze perfet-tamente rispondenti alle dodici pene infernali:«la grande beltade de la terra de li viventi», «loodore soave»,«la grande richeza e lo honore», il«grande conforto d'essere uscito de la presone

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mondana», «remirare le faze de li angeli pla-centi», udire «li canti con dilectevole acordo»,essere serviti «de soa man» da Cristo, «i cibidelectabili», «le veste prezioxe», «la grande bel-lade, la spetie del justo, la pura claritate»,l'essere scampato dai grandi tormentidell'inferno, «la confermanza» ossia la certezzadi restar sempre in paradiso.

In un sermone finale Bonvesino ribatte lefalse scuse addotte da coloro che perseveranonel male. Il poema è così essenzialmente di-dattico e profondamente morale dacchè miraalla perfezione dell'uomo. Come nel concettoispiratore, così è organico nella strutturaesterna in quanto applica quel principio ter-nario che era il simbolo della perfezione e ladivisione, come osservò il Bartholomaeis, nonè solo in senso orizzontale, ma anche in sensoverticale: prologo, poema, sermone finale, Cia-scuno dei tre poemetti, nero, rosso e dorato, èin tre parti con introduzione propria e unapropria chiusa, e di tre parti si compone pureciascuna delle rubriche trattanti delle pene edei gaudi, vale a dire di una descrizione, daun confronto «a fortiori» con un tormento o unpiacere terreno, e delle parole di dolore o digiubilo del peccatore o del giusto.

Pur non essendo facile definire le fonti di

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mondana», «remirare le faze de li angeli pla-centi», udire «li canti con dilectevole acordo»,essere serviti «de soa man» da Cristo, «i cibidelectabili», «le veste prezioxe», «la grande bel-lade, la spetie del justo, la pura claritate»,l'essere scampato dai grandi tormentidell'inferno, «la confermanza» ossia la certezzadi restar sempre in paradiso.

In un sermone finale Bonvesino ribatte lefalse scuse addotte da coloro che perseveranonel male. Il poema è così essenzialmente di-dattico e profondamente morale dacchè miraalla perfezione dell'uomo. Come nel concettoispiratore, così è organico nella strutturaesterna in quanto applica quel principio ter-nario che era il simbolo della perfezione e ladivisione, come osservò il Bartholomaeis, nonè solo in senso orizzontale, ma anche in sensoverticale: prologo, poema, sermone finale, Cia-scuno dei tre poemetti, nero, rosso e dorato, èin tre parti con introduzione propria e unapropria chiusa, e di tre parti si compone pureciascuna delle rubriche trattanti delle pene edei gaudi, vale a dire di una descrizione, daun confronto «a fortiori» con un tormento o unpiacere terreno, e delle parole di dolore o digiubilo del peccatore o del giusto.

Pur non essendo facile definire le fonti di

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Bonvesino, ben si vede non tutta la materia diquesto poema essere sua invenzione: nel de-scrivere il corso della vita umana egli hasfruttato il «de contemptu mundi» e forse haavuto sott'occhio il «fasciculus» di S. Bonaven-tura, raccolta di meditazioni sulla miseriadell'uomo, sulla morte, sulla Passione di Cri-sto, sull'inferno e sul paradiso; ma da questee da altre scritture congeneri si dilunga nelnumero delle pene e dei gaudi, e nella lorocontrapposizione che può avere attinto aqualcuna delle numerose descrizioni in voganel medio evo. Comunque il merito del nostropoeta è nell'averle integrate intramezzandolecolla Passione di Gesù e d'aver fuso il tutto inun'armonica unità. Bonvesino ci ha dato laprima trilogia veramente organica che abbiala letteratura italiana avanti la Divina Com-media. L'avere per la prima volta intercalatola descrizione delle pene dell'inferno e deigaudi del paradiso con un'altra occupantematerialmente il posto del purgatorio dante-sco, basterebbe già a dargli il diritto d'essereannoverato fra i precursori di Dante; ma pro-babilmente non è solo questa rispondenzamateriale che fa pensare al divino Poeta: l'ave-re introdotto nel trittico la Passione di Cristopuò non essere uno spediente adottato tanto

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Bonvesino, ben si vede non tutta la materia diquesto poema essere sua invenzione: nel de-scrivere il corso della vita umana egli hasfruttato il «de contemptu mundi» e forse haavuto sott'occhio il «fasciculus» di S. Bonaven-tura, raccolta di meditazioni sulla miseriadell'uomo, sulla morte, sulla Passione di Cri-sto, sull'inferno e sul paradiso; ma da questee da altre scritture congeneri si dilunga nelnumero delle pene e dei gaudi, e nella lorocontrapposizione che può avere attinto aqualcuna delle numerose descrizioni in voganel medio evo. Comunque il merito del nostropoeta è nell'averle integrate intramezzandolecolla Passione di Gesù e d'aver fuso il tutto inun'armonica unità. Bonvesino ci ha dato laprima trilogia veramente organica che abbiala letteratura italiana avanti la Divina Com-media. L'avere per la prima volta intercalatola descrizione delle pene dell'inferno e deigaudi del paradiso con un'altra occupantematerialmente il posto del purgatorio dante-sco, basterebbe già a dargli il diritto d'essereannoverato fra i precursori di Dante; ma pro-babilmente non è solo questa rispondenzamateriale che fa pensare al divino Poeta: l'ave-re introdotto nel trittico la Passione di Cristopuò non essere uno spediente adottato tanto

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per fare una trilogia; Bonvesino può averanch'egli pensato a descrivere il purgatorio edavervi rinunciato come tema scarso di conte-nuto poetico per una fantasia povera come lasua. Le pene infatti vi sono su per giù le stes-se dell'inferno, e la speranza, quasi la certezzadel loro fine è un motivo troppo astratto e me-tafisico perchè l'umile rimatore potesse con-cretarlo. Scelse così, ben argomenta il Salvio-ni, il Purgatorio di Cristo, quale è invero laPassione sostenuta per espiare le colpe degliuomini, ma non per questo è venuta a manca-re alla trilogia un'intima ideale unità.

** *

I poeti dell'Italia settentrionale, già lo avver-timmo, hanno adottato un tipo di lingua rela-tivamente uniforme e convenzionale. Erraronodi gran lunga quanti credettero ravvisare inBescapè e in Bonvesino i primi poeti meneghi-ni; altra cosa doveva essere il vero dialetto mi-lanese da essi adoperato nel quotidiano con-versare. La loro, al pari di quella di tutti gli al-tri, è una lingua illustre formatasi nell'altaItalia contemporaneamente alla illustre tosca-na e a quella dei poeti siciliani, lingua in cui

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per fare una trilogia; Bonvesino può averanch'egli pensato a descrivere il purgatorio edavervi rinunciato come tema scarso di conte-nuto poetico per una fantasia povera come lasua. Le pene infatti vi sono su per giù le stes-se dell'inferno, e la speranza, quasi la certezzadel loro fine è un motivo troppo astratto e me-tafisico perchè l'umile rimatore potesse con-cretarlo. Scelse così, ben argomenta il Salvio-ni, il Purgatorio di Cristo, quale è invero laPassione sostenuta per espiare le colpe degliuomini, ma non per questo è venuta a manca-re alla trilogia un'intima ideale unità.

** *

I poeti dell'Italia settentrionale, già lo avver-timmo, hanno adottato un tipo di lingua rela-tivamente uniforme e convenzionale. Erraronodi gran lunga quanti credettero ravvisare inBescapè e in Bonvesino i primi poeti meneghi-ni; altra cosa doveva essere il vero dialetto mi-lanese da essi adoperato nel quotidiano con-versare. La loro, al pari di quella di tutti gli al-tri, è una lingua illustre formatasi nell'altaItalia contemporaneamente alla illustre tosca-na e a quella dei poeti siciliani, lingua in cui

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confluivano elementi letterari tradizionali benantichi e comuni a tutta l'ltalia del nord, e inparte anche all'intera penisola, elementi dellatino, del francese, del provenzale, e, lo ripe-tiamo, elementi dei dialetti locali; e però il lin-guaggio di Bescapè e di Bonvesino è in tantomilanese in quanto elementi milanesi inter-vengono nella sua composizione; vale a dirparole e modi come: cadrega, ferguia, folcion,galon, magon, negota; far stragio per sprecare(trasà), molare per aguzzare, boconare permangiucchiare, calare per importare, sorareper raffreddarsi, stremiti e stremirsi per spa-vento e spaventarsi, sont per io sono, scosoper grembo, mantile per tovagliolo, in pressaper affrettatamente, rampéga per arrampica,ed altrettali.

Si è per qualche tempo creduto da studiosivalenti come il Biondelli, il Bartoli ed altri chequesto volgare letterario nella sua lenta elabo-razione sia andato uniformandosi a un tipocomune, il dialetto veneto: di ciò a prima ve-duta si ha senza dubbio la sensazione, e,d'altra parte, la congettura era verosimile dac-chè per una legge universale congenita a tuttele favelle, dopo il periodo del loro sviluppo,una finisce sempre a prevalere sulle altre,come avvenne del toscano impostosi a tutti i

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confluivano elementi letterari tradizionali benantichi e comuni a tutta l'ltalia del nord, e inparte anche all'intera penisola, elementi dellatino, del francese, del provenzale, e, lo ripe-tiamo, elementi dei dialetti locali; e però il lin-guaggio di Bescapè e di Bonvesino è in tantomilanese in quanto elementi milanesi inter-vengono nella sua composizione; vale a dirparole e modi come: cadrega, ferguia, folcion,galon, magon, negota; far stragio per sprecare(trasà), molare per aguzzare, boconare permangiucchiare, calare per importare, sorareper raffreddarsi, stremiti e stremirsi per spa-vento e spaventarsi, sont per io sono, scosoper grembo, mantile per tovagliolo, in pressaper affrettatamente, rampéga per arrampica,ed altrettali.

Si è per qualche tempo creduto da studiosivalenti come il Biondelli, il Bartoli ed altri chequesto volgare letterario nella sua lenta elabo-razione sia andato uniformandosi a un tipocomune, il dialetto veneto: di ciò a prima ve-duta si ha senza dubbio la sensazione, e,d'altra parte, la congettura era verosimile dac-chè per una legge universale congenita a tuttele favelle, dopo il periodo del loro sviluppo,una finisce sempre a prevalere sulle altre,come avvenne del toscano impostosi a tutti i

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Page 54: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

dialetti italiani. Ma l'Ascoli ha poi dimostratocome il basarsi sulla fisionomia attuale deidialetti possa indurre in errore poichè essanon dà la misura di quella d'una volta. Neidialetti settentrionali le forme che oggi si co-noscono come caratteristiche dell'uno odell'altro erano al principio più generali edesistevano accanto a forme differenti, cosic-chè lo scrittore poteva scegliere tra esse. Leforme di quelle poesie furon perciò realmenteparlate, senonchè col tempo sparirono, men-tre le altre rimasero nel dialetto. La scelta e lapreferenza di certe forme su altre è appuntola via per la quale rampolla quell'idioma lette-rario che sempre si forma quando si pone iniscritto il dialetto. Qui, secondo l'Ascoli, lanorma della scelta non era tanto il venezianoquanto il provenzale che esercitava dappertut-to grande influenza, e il francese: si preferiva-no quegli elementi dialettali che più s'avvici-navano ai due idiomi letterariamente formati.

III

Due cose Bonvesino amò sopra tutte, la Ma-donna e la sua Milano. Ei descrive da erudito

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dialetti italiani. Ma l'Ascoli ha poi dimostratocome il basarsi sulla fisionomia attuale deidialetti possa indurre in errore poichè essanon dà la misura di quella d'una volta. Neidialetti settentrionali le forme che oggi si co-noscono come caratteristiche dell'uno odell'altro erano al principio più generali edesistevano accanto a forme differenti, cosic-chè lo scrittore poteva scegliere tra esse. Leforme di quelle poesie furon perciò realmenteparlate, senonchè col tempo sparirono, men-tre le altre rimasero nel dialetto. La scelta e lapreferenza di certe forme su altre è appuntola via per la quale rampolla quell'idioma lette-rario che sempre si forma quando si pone iniscritto il dialetto. Qui, secondo l'Ascoli, lanorma della scelta non era tanto il venezianoquanto il provenzale che esercitava dappertut-to grande influenza, e il francese: si preferiva-no quegli elementi dialettali che più s'avvici-navano ai due idiomi letterariamente formati.

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Due cose Bonvesino amò sopra tutte, la Ma-donna e la sua Milano. Ei descrive da erudito

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Page 55: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

le grandezze della sua città collo stesso entu-siasmo e la stessa fede con cui da poeta cantale lodi della Vergine. L'opera storica di lui nonè diversa dalla poetica, bensì la integra; ne hai medesimi caratteri; come ai poetici «volgari»,pur trattando argomenti comuni al suo tem-po, seppe dar un'impronta originale che daglialtri li distingue, così in questa operetta, cheora per la prima volta si presenta tradotta initaliano, ha dato vita nuova a un genere lette-rario usato ed abusato da scrittori ben lontanidal possedere le sue doti di studioso e la suacoscienza di cittadino.

Gli elogi di città furon tema favoritonell'antichità, favoritissimo nel medio evo.Riavutesi dalle invasioni barbariche le cittàitaliane sentirono il bisogno di magnificare inprosa o in poesia gli sforzi fatti per cancellarele traccie di tante rovine: fin dall'Ottocento unanonimo chierico glorificava in un rozzo ritmolatino la magnificenza di Milano. Il Rinasci-mento non interruppe, anzi alimentò questatradizione, chè gli umanisti trovarono in que'soggetti un campo opportuno per sfoggiareeleganze di stile e argute, sottili argomentazio-ni. Ne nacquero componimenti pieni di venu-stà come le lodi di Firenze di Leonardo Bruni,ma poveri di contenuto. Altri, meno preoccu-

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le grandezze della sua città collo stesso entu-siasmo e la stessa fede con cui da poeta cantale lodi della Vergine. L'opera storica di lui nonè diversa dalla poetica, bensì la integra; ne hai medesimi caratteri; come ai poetici «volgari»,pur trattando argomenti comuni al suo tem-po, seppe dar un'impronta originale che daglialtri li distingue, così in questa operetta, cheora per la prima volta si presenta tradotta initaliano, ha dato vita nuova a un genere lette-rario usato ed abusato da scrittori ben lontanidal possedere le sue doti di studioso e la suacoscienza di cittadino.

Gli elogi di città furon tema favoritonell'antichità, favoritissimo nel medio evo.Riavutesi dalle invasioni barbariche le cittàitaliane sentirono il bisogno di magnificare inprosa o in poesia gli sforzi fatti per cancellarele traccie di tante rovine: fin dall'Ottocento unanonimo chierico glorificava in un rozzo ritmolatino la magnificenza di Milano. Il Rinasci-mento non interruppe, anzi alimentò questatradizione, chè gli umanisti trovarono in que'soggetti un campo opportuno per sfoggiareeleganze di stile e argute, sottili argomentazio-ni. Ne nacquero componimenti pieni di venu-stà come le lodi di Firenze di Leonardo Bruni,ma poveri di contenuto. Altri, meno preoccu-

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Page 56: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

pati della forma, si attennero ai modelli tra-mandati dal medio evo, solo sostituendo alvolgare il latino e preferendo la forma poetica,e non si accontentarono di decantare i solipregi e le bellezze materiali, ma vollero ancheillustrare le condizioni fisiche, economiche epolitiche; ciò non ostante tali scritture il piùdelle volte si riducono a indigesti zibaldoni.

L'operetta di Bonvesino, a malgrado di alcu-ni fronzoli, di qualche errore, di talune defi-cienze, e per copia e per varietà di notizie pre-cise, e per l'ordine che la informa, si differen-zia da quelle congeneri dei contemporanei edei tardi continuatori. Scritta nel 1288, essarispecchia uno dei momenti più solenni dellastoria milanese. È il periodo di transizione trail Comune e la Signoria: scampato dopo leguerre con Federigo II l'ultimo pericolo di di-venir preda dello straniero, si riaccendono gliodii di classe, e l'avvicendarsi di urti tra il po-polo e la nobiltà scrolla l'antica compagine re-pubblicana, il popolo, smanioso di conservarla supremazia, si stringe attorno ad un capoche ne difenda i diritti, e prepara la strada altiranno.

L'evoluzione per la quale un ordine nuovo,senza dubbio più progredito quantunque otte-nuto a prezzo della libertà, scaturì dal disordi-

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pati della forma, si attennero ai modelli tra-mandati dal medio evo, solo sostituendo alvolgare il latino e preferendo la forma poetica,e non si accontentarono di decantare i solipregi e le bellezze materiali, ma vollero ancheillustrare le condizioni fisiche, economiche epolitiche; ciò non ostante tali scritture il piùdelle volte si riducono a indigesti zibaldoni.

L'operetta di Bonvesino, a malgrado di alcu-ni fronzoli, di qualche errore, di talune defi-cienze, e per copia e per varietà di notizie pre-cise, e per l'ordine che la informa, si differen-zia da quelle congeneri dei contemporanei edei tardi continuatori. Scritta nel 1288, essarispecchia uno dei momenti più solenni dellastoria milanese. È il periodo di transizione trail Comune e la Signoria: scampato dopo leguerre con Federigo II l'ultimo pericolo di di-venir preda dello straniero, si riaccendono gliodii di classe, e l'avvicendarsi di urti tra il po-polo e la nobiltà scrolla l'antica compagine re-pubblicana, il popolo, smanioso di conservarla supremazia, si stringe attorno ad un capoche ne difenda i diritti, e prepara la strada altiranno.

L'evoluzione per la quale un ordine nuovo,senza dubbio più progredito quantunque otte-nuto a prezzo della libertà, scaturì dal disordi-

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Page 57: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

ne non è compiuta: le coscienze sono ancoraturbate ed incerte; freschi sono i ricordi delleguerre combattute per l'indipendenza e Bon-vesino si esalta narrandole, acri ancora le di-scordie tra i cittadini e Bonvesino si commuo-ve nel ricordarle e raccoglie tutto il suo spiritodi carità cristiana per ammonire i concittadiniche cessino di dilaniarsi a vicenda: le guaren-tigie della libertà comunale, già intaccate daiTorriani, stanno per essere cancellate dai pri-mi Visconti, Ottone e Matteo, per quanto ab-bian essi cura di mantener intatte le apparen-ze; e Bonvesino, ignaro della meta a cui sitende, si affanna a dichiarare che Milano èsempre stata gelosa della sua libertà e niuntiranno potrà mai soggiogarla, cosicchè il No-vati ha potuto domandarsi se egli parli dasenno e concludere che, nè cieco, nè sordo, sae vede molte cose, ma le tace per carità versola patria amareggiata.

Ciò io non credo: Bonvesino è disorientatocome i suoi concittadini: s'infiamma ai ricordidel passato e non s'accorge delle insidie na-scoste sotto la paterna protezione dei capi delpopolo, la quale invece, ben lontana dall'inso-spettirlo o disgustarlo, avviva il suo sogno disupremazia di Milano sulle altre città dellaLombardia.

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ne non è compiuta: le coscienze sono ancoraturbate ed incerte; freschi sono i ricordi delleguerre combattute per l'indipendenza e Bon-vesino si esalta narrandole, acri ancora le di-scordie tra i cittadini e Bonvesino si commuo-ve nel ricordarle e raccoglie tutto il suo spiritodi carità cristiana per ammonire i concittadiniche cessino di dilaniarsi a vicenda: le guaren-tigie della libertà comunale, già intaccate daiTorriani, stanno per essere cancellate dai pri-mi Visconti, Ottone e Matteo, per quanto ab-bian essi cura di mantener intatte le apparen-ze; e Bonvesino, ignaro della meta a cui sitende, si affanna a dichiarare che Milano èsempre stata gelosa della sua libertà e niuntiranno potrà mai soggiogarla, cosicchè il No-vati ha potuto domandarsi se egli parli dasenno e concludere che, nè cieco, nè sordo, sae vede molte cose, ma le tace per carità versola patria amareggiata.

Ciò io non credo: Bonvesino è disorientatocome i suoi concittadini: s'infiamma ai ricordidel passato e non s'accorge delle insidie na-scoste sotto la paterna protezione dei capi delpopolo, la quale invece, ben lontana dall'inso-spettirlo o disgustarlo, avviva il suo sogno disupremazia di Milano sulle altre città dellaLombardia.

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Nè ritengo per carità di patria abbia egliomesso di parlare degli ordinamenti civili epolitici della sua città, egli che con tanta sa-gacia ha pur raccolto sì numerose minuziosenotizie statistiche, quasi volesse tacere lostrazio che si andava facendo delle antiche li-bertà comunali: ma preferisco supporre ch'einon abbia voluto addentrarsi in un esame dif-ficile e mal sicuro giacchè nell'evolversi degliantichi ordinamenti verso la formazione di unpiù ordinato e più solido Stato monarchico,tutto era incerto e mutevole: gli organi antichisi dissolvevano, i nuovi non avevano ancorapreso forma decisa nè consistenza, e si vivevaalla giornata secondo le direttive imposte dal-la volontà più o meno larvata dei protettoridel popolo.

Nel De magnalibus civitatis Mediolani si di-stinguono due parti di diversa natura e di di-verso valore, una statistica e descrittiva e unastorica. In quest'ultima il fecondo autore di-mostra buon senso, retto criterio, amor delvero, coltura per il suo tempo notevole: avevaa sua disposizione una discreta libreria, losappiamo dal suo testamento, e conosceva lefonti migliori, se non forse per la storia roma-na, certo per quella dei tempi a lui più vicini,Paolo Diacono, Arnolfo, Landolfo, il Liber tri-

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Nè ritengo per carità di patria abbia egliomesso di parlare degli ordinamenti civili epolitici della sua città, egli che con tanta sa-gacia ha pur raccolto sì numerose minuziosenotizie statistiche, quasi volesse tacere lostrazio che si andava facendo delle antiche li-bertà comunali: ma preferisco supporre ch'einon abbia voluto addentrarsi in un esame dif-ficile e mal sicuro giacchè nell'evolversi degliantichi ordinamenti verso la formazione di unpiù ordinato e più solido Stato monarchico,tutto era incerto e mutevole: gli organi antichisi dissolvevano, i nuovi non avevano ancorapreso forma decisa nè consistenza, e si vivevaalla giornata secondo le direttive imposte dal-la volontà più o meno larvata dei protettoridel popolo.

Nel De magnalibus civitatis Mediolani si di-stinguono due parti di diversa natura e di di-verso valore, una statistica e descrittiva e unastorica. In quest'ultima il fecondo autore di-mostra buon senso, retto criterio, amor delvero, coltura per il suo tempo notevole: avevaa sua disposizione una discreta libreria, losappiamo dal suo testamento, e conosceva lefonti migliori, se non forse per la storia roma-na, certo per quella dei tempi a lui più vicini,Paolo Diacono, Arnolfo, Landolfo, il Liber tri-

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Page 59: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

stitiae et doloris dove son narrati i patimentidella patria oppressa dal Barbarossa, e, tra lestorie ecclesiastiche, il de situ urbis mediola-nensis e il cerimoniale di Beroldo, e il liber no-titiae sanctorum, di Goffredo da Bussero; e dàcosì al suo dire una impronta di verità. Laquale più acquista valore in quanto, a diffe-renza dei cronisti contemporanei, si astienedall'intercalar favole nel racconto: due solevolte indulge a tal costume, quando narra diViviano da Lecco e quando ricorda un favolo-so Lamberto che avrebbe soggiogato Milanoprima di Alboino. Nè come fole gli si possonrimproverare le strambe etimologie del nomedi Milano che la sapienza filologica del suotempo non andava più in là.

Tuttavia queste pagine di storia, se si eccet-tuino quelle dove narra le due spedizioni ten-tate da Federigo II contro Milano, inspirandosiprobabilmente a racconti di testimoni, hannoper noi minor importanza che non la partestatistica e la descrizione demografica, topo-grafica ed edilizia di Milano.

Qui Bonvesino non poleva far assegnamen-to su fonti scritte come per la storia volendodescrivere, come fece, con tanti particolari lasua situazione demografica, topografica e edi-lizia di Milano, il territorio palmo a palmo,

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stitiae et doloris dove son narrati i patimentidella patria oppressa dal Barbarossa, e, tra lestorie ecclesiastiche, il de situ urbis mediola-nensis e il cerimoniale di Beroldo, e il liber no-titiae sanctorum, di Goffredo da Bussero; e dàcosì al suo dire una impronta di verità. Laquale più acquista valore in quanto, a diffe-renza dei cronisti contemporanei, si astienedall'intercalar favole nel racconto: due solevolte indulge a tal costume, quando narra diViviano da Lecco e quando ricorda un favolo-so Lamberto che avrebbe soggiogato Milanoprima di Alboino. Nè come fole gli si possonrimproverare le strambe etimologie del nomedi Milano che la sapienza filologica del suotempo non andava più in là.

Tuttavia queste pagine di storia, se si eccet-tuino quelle dove narra le due spedizioni ten-tate da Federigo II contro Milano, inspirandosiprobabilmente a racconti di testimoni, hannoper noi minor importanza che non la partestatistica e la descrizione demografica, topo-grafica ed edilizia di Milano.

Qui Bonvesino non poleva far assegnamen-to su fonti scritte come per la storia volendodescrivere, come fece, con tanti particolari lasua situazione demografica, topografica e edi-lizia di Milano, il territorio palmo a palmo,

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enumerare i laghi, i fiumi, le ville, i castelli, levarietà dei prodotti, conteggiare il consumo divettovaglie, le professioni, i mestieri, bisogna-va affidarsi ad indagini personali, e ricorrereall'autorità altrui quando quelle risultasseroinsufficienti, scegliendo per altro con accura-tezza i propri informatori. Questo fece Bonve-sino e non manca di dichiararlo spesso comepreso dal timore che qualcuno non gli prestifede: o dice d'aver egli stesso verificati i fatti oaccenna alle persone che glieli hanno comuni-cati: così per sapere quante staia di sale e digrano si consumano in Milano s'e rivolto aipiù competenti quali potevano essere gli esat-tori dei dazi alle porte; ai beccai ed ai pescato-ri ha ricorso per consumo delle carni da ma-cello e della pescheria.

Certo l'essere egli addetto agli Umiliati do-vette facilitar di molto le sue ricerche, giacchèalla potente organizzazione di quei religiosipraticanti l'industria e il commercio, quasitutte le comunità lombarde addossavano, an-che per forza, gran parte dell'amministrazionede' pubblici affari. Sappiamo dal Giulini chein Milano il Podestà e il Comune li costringe-vano ad esigere i dazi, a pesare e misurarealle porte della città le farine e i grani sì cheInnocenzo IV nel 1251 intervenne a frenare

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enumerare i laghi, i fiumi, le ville, i castelli, levarietà dei prodotti, conteggiare il consumo divettovaglie, le professioni, i mestieri, bisogna-va affidarsi ad indagini personali, e ricorrereall'autorità altrui quando quelle risultasseroinsufficienti, scegliendo per altro con accura-tezza i propri informatori. Questo fece Bonve-sino e non manca di dichiararlo spesso comepreso dal timore che qualcuno non gli prestifede: o dice d'aver egli stesso verificati i fatti oaccenna alle persone che glieli hanno comuni-cati: così per sapere quante staia di sale e digrano si consumano in Milano s'e rivolto aipiù competenti quali potevano essere gli esat-tori dei dazi alle porte; ai beccai ed ai pescato-ri ha ricorso per consumo delle carni da ma-cello e della pescheria.

Certo l'essere egli addetto agli Umiliati do-vette facilitar di molto le sue ricerche, giacchèalla potente organizzazione di quei religiosipraticanti l'industria e il commercio, quasitutte le comunità lombarde addossavano, an-che per forza, gran parte dell'amministrazionede' pubblici affari. Sappiamo dal Giulini chein Milano il Podestà e il Comune li costringe-vano ad esigere i dazi, a pesare e misurarealle porte della città le farine e i grani sì cheInnocenzo IV nel 1251 intervenne a frenare

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Page 61: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

quello che oramai era divenuto un vero abu-so. Negli Umiliati, sia che egli fosse loro ter-ziario, sia che lo fosse dei francescani, trovòsenza dubbio informatori sagaci e fidati e,all'occorrenza, collaboratori animati da uncordiale spirito di colleganza.

Si può domandarsi se il desiderio di magni-ficare la propria città non abbia per avventuraindotto Bonvesino in qualche esagerazione.Ciò è certamente avvenuto nella valutazioneideale di alcuni fatti: tutto quanto egli crede didover ammirare dichiara esser unico al mon-do: richiama in ciò alla mente uno scrittoredistante di sei secoli da lui, straniero ma in-namorato quanto lui di Milano: Stendhal:questi conosceva il mondo assai più che nonlo conoscesse il povero fraticello del secolo XIII,non mai forse spintosi al là del borgo di Le-gnano, eppur fece altrettanto. Sono iperbolicomuni a temperamenti impressionabili e fa-cili all'entusiasmo. Ma che nei dati di fatto enelle cifre egli o i suoi informatori esagerasse-ro al punto di alterarne il significato non cre-do. Troppo è Bonvesino preoccupato di dire ilvero, troppo retta appare in ogni manifesta-zione la sua coscienza.

Tentò di screditarlo Pietro Verri, ma egli nonconosceva dell'operetta su le meraviglie di Mi-

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quello che oramai era divenuto un vero abu-so. Negli Umiliati, sia che egli fosse loro ter-ziario, sia che lo fosse dei francescani, trovòsenza dubbio informatori sagaci e fidati e,all'occorrenza, collaboratori animati da uncordiale spirito di colleganza.

Si può domandarsi se il desiderio di magni-ficare la propria città non abbia per avventuraindotto Bonvesino in qualche esagerazione.Ciò è certamente avvenuto nella valutazioneideale di alcuni fatti: tutto quanto egli crede didover ammirare dichiara esser unico al mon-do: richiama in ciò alla mente uno scrittoredistante di sei secoli da lui, straniero ma in-namorato quanto lui di Milano: Stendhal:questi conosceva il mondo assai più che nonlo conoscesse il povero fraticello del secolo XIII,non mai forse spintosi al là del borgo di Le-gnano, eppur fece altrettanto. Sono iperbolicomuni a temperamenti impressionabili e fa-cili all'entusiasmo. Ma che nei dati di fatto enelle cifre egli o i suoi informatori esagerasse-ro al punto di alterarne il significato non cre-do. Troppo è Bonvesino preoccupato di dire ilvero, troppo retta appare in ogni manifesta-zione la sua coscienza.

Tentò di screditarlo Pietro Verri, ma egli nonconosceva dell'operetta su le meraviglie di Mi-

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lano che i pochi brani tramandati da GalvanoFiamma il quale li inserì alla rinfusa nelle suefarraginose cronache, ne alterò il testo, sba-gliò le cifre e per di più disse corna dell'auto-re. Mal si raccomandava senza dubbio Bonve-sin dalla Riva alla fiducia dei posteri presen-tato da un cronista troppo spesso spacciatoredi inverosimili fole. Ma noi che, grazie al com-pianto Francesco Novati, possiam leggere iltesto integrale dell'opera sua, accettiamone idati pur giudicandone con qualche riserva gliapprezzamenti. Essa è senza dubbio alcunouna fonte di preziose notizie che invano sicercherebbero altrove.

ETTORE VERGA

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lano che i pochi brani tramandati da GalvanoFiamma il quale li inserì alla rinfusa nelle suefarraginose cronache, ne alterò il testo, sba-gliò le cifre e per di più disse corna dell'auto-re. Mal si raccomandava senza dubbio Bonve-sin dalla Riva alla fiducia dei posteri presen-tato da un cronista troppo spesso spacciatoredi inverosimili fole. Ma noi che, grazie al com-pianto Francesco Novati, possiam leggere iltesto integrale dell'opera sua, accettiamone idati pur giudicandone con qualche riserva gliapprezzamenti. Essa è senza dubbio alcunouna fonte di preziose notizie che invano sicercherebbero altrove.

ETTORE VERGA

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Fino alla metà del passato secolo delle ope-re di Bonvesin dalla Riva non era a stampache il poemetto in versi latini De vita schola-stica. Fu stampato la prima volta in Milano«per Dominicum de Vespolate et Jacobum deMarliano, 1479, die XXVI januarii», in 4°, 18fogli. Il Brunet accenna ad altre edizioni: diMilano, 1490; Parma, 1495; Venezia, 1496 e1507 per Melchior Sessa; Torino senz'anno,ma fine del sec. XV. Uscì ancora a Venezia nel1533, a Milano per G. A. da Borgo, nel 1532;col titolo De disciplinorum praeceptorumve mo-ribus, Opus metricum, a Brescia per LudovicoBritannico nel 1542. A giudicare dalle molteedizioni, il trattatello fu assai diffuso e ap-prezzato nello scuole.

La maggior parte dei «Volgari», circa 4500Versi, fu pubblicata per la prima volta daIMMANUEL BEKKER nei Monatsberichte über diezur Bekanntmachung geeigneten Verhandlun-gen der Kgl. Preussichen Akademie der Wis-senschaften zu Berlin, anni 1850 e 1851, daun codice del sec. XV, di buona lezione, ac-quistato allora dalla Biblioteca nazionale diBerlino, probabilmente quello stesso che già,

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Fino alla metà del passato secolo delle ope-re di Bonvesin dalla Riva non era a stampache il poemetto in versi latini De vita schola-stica. Fu stampato la prima volta in Milano«per Dominicum de Vespolate et Jacobum deMarliano, 1479, die XXVI januarii», in 4°, 18fogli. Il Brunet accenna ad altre edizioni: diMilano, 1490; Parma, 1495; Venezia, 1496 e1507 per Melchior Sessa; Torino senz'anno,ma fine del sec. XV. Uscì ancora a Venezia nel1533, a Milano per G. A. da Borgo, nel 1532;col titolo De disciplinorum praeceptorumve mo-ribus, Opus metricum, a Brescia per LudovicoBritannico nel 1542. A giudicare dalle molteedizioni, il trattatello fu assai diffuso e ap-prezzato nello scuole.

La maggior parte dei «Volgari», circa 4500Versi, fu pubblicata per la prima volta daIMMANUEL BEKKER nei Monatsberichte über diezur Bekanntmachung geeigneten Verhandlun-gen der Kgl. Preussichen Akademie der Wis-senschaften zu Berlin, anni 1850 e 1851, daun codice del sec. XV, di buona lezione, ac-quistato allora dalla Biblioteca nazionale diBerlino, probabilmente quello stesso che già,

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esisteva nella biblioteca del convento di S.Maria Incoronata in Milano dove fu veduto dalTiraboschi. La riproduzione del testo è moltocurata, ma è priva di commenti. I volgari vison così distribuiti: 1) disputa tra la Vergine eSatana, versi 396, I. 322; - 2) I quindici mira-coli precursori del dì del giudizio, v. 52, I. 379;- 3) il dì del giudizio, v. 396, I. 380; - 4) volga-re delle elemosine, v. 1053, I. 438; - 5) lodidella Vergine, v. 528, I. 478; - 6) contrasto del-la rosa e della viola, v. 248, II. 3; - 7) contrastodella mosca e della formica, v. 276, II. 9; - 8)Le cinquanta cortesie da tavola, v. 204, II. 85;- 9) contrasto del peccatore con la Vergine, v.144, II. 90; - 10) ragioni per le quali la Vergineama i peccatori, v. 124, II. 94; - 11) contrastodell'anima al corpo, v. 388, II. 132; - 12) Visitadell'anima al corpo, v. 144, II. 142; - 13) volga-re della passione di Giobbe, v. 324, II. 209; -14) vita di S. Alessio, v. 112, II. 217.

Il poemetto delle zinquanta cortesie da tavo-la, e una parte delle lodi della Vergine furonoripubblicati nel 1856 da BERNARDINO BIONDELLI,nel volume: Poesie lombarde inedite del secoloXIII, Milano, Bernardoni, insieme col poemet-to da noi ricordato di Pietro da Bescapè e colDecalogo d'un anonimo bergamasco. Soloqueste ultime composizioni erano inedite; il

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esisteva nella biblioteca del convento di S.Maria Incoronata in Milano dove fu veduto dalTiraboschi. La riproduzione del testo è moltocurata, ma è priva di commenti. I volgari vison così distribuiti: 1) disputa tra la Vergine eSatana, versi 396, I. 322; - 2) I quindici mira-coli precursori del dì del giudizio, v. 52, I. 379;- 3) il dì del giudizio, v. 396, I. 380; - 4) volga-re delle elemosine, v. 1053, I. 438; - 5) lodidella Vergine, v. 528, I. 478; - 6) contrasto del-la rosa e della viola, v. 248, II. 3; - 7) contrastodella mosca e della formica, v. 276, II. 9; - 8)Le cinquanta cortesie da tavola, v. 204, II. 85;- 9) contrasto del peccatore con la Vergine, v.144, II. 90; - 10) ragioni per le quali la Vergineama i peccatori, v. 124, II. 94; - 11) contrastodell'anima al corpo, v. 388, II. 132; - 12) Visitadell'anima al corpo, v. 144, II. 142; - 13) volga-re della passione di Giobbe, v. 324, II. 209; -14) vita di S. Alessio, v. 112, II. 217.

Il poemetto delle zinquanta cortesie da tavo-la, e una parte delle lodi della Vergine furonoripubblicati nel 1856 da BERNARDINO BIONDELLI,nel volume: Poesie lombarde inedite del secoloXIII, Milano, Bernardoni, insieme col poemet-to da noi ricordato di Pietro da Bescapè e colDecalogo d'un anonimo bergamasco. Soloqueste ultime composizioni erano inedite; il

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Biondelli non conosceva la pubblicazione delBekker. Egli desunse i due componimentibonvesiniani da un altro codice, conservatonella Biblioteca ambrosiana, pur del sec. XV,ma di gran lunga inferiore per correttezza aquello di Berlino. Corredò il tutto di una in-troduzione e di note.

Il Tractato dei mesi fu pubblicato in Bolognapresso E. Romagnoli, nel 1872, a cura delprofessore svedese EDUARDO LIDFORSS che lo sco-perse in un codice della Biblioteca capitolaredella cattedrale di Toledo. Il testo è seguito danote filologiche e da un glossarietto. Il poe-metto consta di 584 stanze di otto versi otto-nari ciascuna.

Il Libro delle tre scritture (versi alessandrini2396) e il Volgare delle vanità (versi 128) fu-ron pubblicati nel 1901, con una dotta intro-duzione e un glossario da V. DE BARTHOLOMAEIS,a cura della Società filologica romana. Quasicontemporaneamente li pubblicava con ampicommenti L. BIADENE, Pisa, Spoerri, 1902. En-trambe le pubblicazioni furon recensite in duenotevoli articoli del compianto prof. CARLO

SALVIONI, nel giornale La Perseveranza, 21 lu-glio 1902, e nel Giornale storico della letteratu-ra italiana, Torino, XLII, 1903.

Del volgarizzamento dei distici di Catone ha

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Biondelli non conosceva la pubblicazione delBekker. Egli desunse i due componimentibonvesiniani da un altro codice, conservatonella Biblioteca ambrosiana, pur del sec. XV,ma di gran lunga inferiore per correttezza aquello di Berlino. Corredò il tutto di una in-troduzione e di note.

Il Tractato dei mesi fu pubblicato in Bolognapresso E. Romagnoli, nel 1872, a cura delprofessore svedese EDUARDO LIDFORSS che lo sco-perse in un codice della Biblioteca capitolaredella cattedrale di Toledo. Il testo è seguito danote filologiche e da un glossarietto. Il poe-metto consta di 584 stanze di otto versi otto-nari ciascuna.

Il Libro delle tre scritture (versi alessandrini2396) e il Volgare delle vanità (versi 128) fu-ron pubblicati nel 1901, con una dotta intro-duzione e un glossario da V. DE BARTHOLOMAEIS,a cura della Società filologica romana. Quasicontemporaneamente li pubblicava con ampicommenti L. BIADENE, Pisa, Spoerri, 1902. En-trambe le pubblicazioni furon recensite in duenotevoli articoli del compianto prof. CARLO

SALVIONI, nel giornale La Perseveranza, 21 lu-glio 1902, e nel Giornale storico della letteratu-ra italiana, Torino, XLII, 1903.

Del volgarizzamento dei distici di Catone ha

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dato notizie ed estratti L. BIADENE: Un Volgareinedito di Bonvesin da la Riva e il codice che locontiene, Cividale, Stagni, 1910.

A facilitare l'intelligenza della lingua di Bon-vesino ha pensato E. SEIFERT, col suo Glossarzu den Gedichten des Bonvesino da Riva, Ber-lin, 1886.

Il testo integrale del De Magnalibus civitatisMediolani che prima, come s'è detto, non eraconosciuto se non da pochi brani riferiti ine-sattamente da Galvano Fiamma nelle sue cro-nache, fu scoperto nel 1895 da FRANCESCO

NOVATI nella Biblioteca nazionale di Madrid epubblicato con dotta introduzione e amplissi-me note nel Bollettino dell'Istituto storico italia-no, n. 20, 1898.

I due testamenti furono pubblicati da C.CANETTA nel Giornale storico della letteraturaitaliana, VII, 1886.

Su Bonvesino e la poesia del suo tempo sipuò consultare:

BARTOLI ADOLFO: I primi due secoli della lette-ratura italiana, Milano, Vallardi, 1880.

GASPARY ADOLFO: Storia della, letteratura ita-liana, Torino, 1887, vol. I.

RATTI ACHILLE: Bonvesin dalla Riva apparten-ne al terz'ordine degli Umiliati od al terzo ordi-ne di S. Francesco?, nei "Rendiconti del Regio

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dato notizie ed estratti L. BIADENE: Un Volgareinedito di Bonvesin da la Riva e il codice che locontiene, Cividale, Stagni, 1910.

A facilitare l'intelligenza della lingua di Bon-vesino ha pensato E. SEIFERT, col suo Glossarzu den Gedichten des Bonvesino da Riva, Ber-lin, 1886.

Il testo integrale del De Magnalibus civitatisMediolani che prima, come s'è detto, non eraconosciuto se non da pochi brani riferiti ine-sattamente da Galvano Fiamma nelle sue cro-nache, fu scoperto nel 1895 da FRANCESCO

NOVATI nella Biblioteca nazionale di Madrid epubblicato con dotta introduzione e amplissi-me note nel Bollettino dell'Istituto storico italia-no, n. 20, 1898.

I due testamenti furono pubblicati da C.CANETTA nel Giornale storico della letteraturaitaliana, VII, 1886.

Su Bonvesino e la poesia del suo tempo sipuò consultare:

BARTOLI ADOLFO: I primi due secoli della lette-ratura italiana, Milano, Vallardi, 1880.

GASPARY ADOLFO: Storia della, letteratura ita-liana, Torino, 1887, vol. I.

RATTI ACHILLE: Bonvesin dalla Riva apparten-ne al terz'ordine degli Umiliati od al terzo ordi-ne di S. Francesco?, nei "Rendiconti del Regio

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Istituto lombardo di scienza e lettere" XXXIV,1901.

SALVIONI CARLO: Briccihe Bonvesiniane, nella"Miscellanea di studi critici in onore di ArturoGraf", 1903.

NOVATI FRANCESCO: Poesia milanese dei vecchitempi, nella "Nuova Antologia", I° marzo, anno1909.

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Istituto lombardo di scienza e lettere" XXXIV,1901.

SALVIONI CARLO: Briccihe Bonvesiniane, nella"Miscellanea di studi critici in onore di ArturoGraf", 1903.

NOVATI FRANCESCO: Poesia milanese dei vecchitempi, nella "Nuova Antologia", I° marzo, anno1909.

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LE MERAVIGLIE DI MILANO

A chi vuol conoscere le meraviglie di Milanosarà guida sicura questo facile libro.

(Qui Mediolani magnalia nosse querit,Hoc libri plani lumine certus erit.)

** *

A tutti i credenti nella religione cattolicanelle cui mani perverrà questo libro, frateBonvesino dalla Riva augura salute e pace nelSignore; a tutti i traviati augura di raggiunge-re, colla grazia dell'Onnipotente, la via diritta.

Essendomi accorto che non solo gli stranie-ri, ma persino i miei concittadini, come ad-dormentati nel deserto dell'ignoranza, ignora-no la grandezza di Milano, stimai doversi ve-nir loro in aiuto, affinchè, svegliati, veggano ecomprendano quale, e di quanta ammirazionedegna, sia la nostra città.

E così, nell'anno della Natività di Nostro si-gnor Gesù Cristo 1288, ventesimo sesto diGoverno del Venerabile Padre Ottone Visconti,Arcivescovo della Chiesa milanese, essendoPodestà il Magnifico e potente cavaliere Giac-cone da Perugia, e il signor Matteo Visconti3

3 Le indicazioni cronologiche contenute in questo esordio lasciano intende-

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LE MERAVIGLIE DI MILANO

A chi vuol conoscere le meraviglie di Milanosarà guida sicura questo facile libro.

(Qui Mediolani magnalia nosse querit,Hoc libri plani lumine certus erit.)

** *

A tutti i credenti nella religione cattolicanelle cui mani perverrà questo libro, frateBonvesino dalla Riva augura salute e pace nelSignore; a tutti i traviati augura di raggiunge-re, colla grazia dell'Onnipotente, la via diritta.

Essendomi accorto che non solo gli stranie-ri, ma persino i miei concittadini, come ad-dormentati nel deserto dell'ignoranza, ignora-no la grandezza di Milano, stimai doversi ve-nir loro in aiuto, affinchè, svegliati, veggano ecomprendano quale, e di quanta ammirazionedegna, sia la nostra città.

E così, nell'anno della Natività di Nostro si-gnor Gesù Cristo 1288, ventesimo sesto diGoverno del Venerabile Padre Ottone Visconti,Arcivescovo della Chiesa milanese, essendoPodestà il Magnifico e potente cavaliere Giac-cone da Perugia, e il signor Matteo Visconti3

3 Le indicazioni cronologiche contenute in questo esordio lasciano intende-

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Capitano del popolo, ho composto questo li-bro; l'ho composto dopo avere con grande dili-genza e non poca fatica investigata la verità,spontaneamente, senza esservi da alcuno in-dotto, senza la minima speranza di lucro, ma,direi quasi, per ispirazione divina; affinchè,lette e comprese le lodi di Milano, inspiratealla più pura verità, tutti quanti senz'ombrad'invidia, la amano rendano grazie a Dio;gl'invidiosi o si convertano, o nella propria in-vidia si contristino e consumino; poi gli stra-nieri tutti, apprendendo la nobiltà e la dignitàde' milanesi, imparino a rispettarli e ad ono-rarli in qualsiasi luogo, ad amarli e protegger-li; infine i miei concittadini, considerando diqual patria sian figli, non degenerino mai dal-la sua nobiltà, non la disonorino con riprove-voli azioni.

Qui taluno dirà: «bada, chè, talora le buoneintenzioni possono produrre cattivi effetti:qualche tiranno straniero, nelle cui mani siaper avventura pervenuto questo libro, cono-sciuta la grandezza di Milano, potrebbe ine-briarsi al punto da concepire il disegno di ren-dersene padrone».

No, io rispondo: l'amore della libertà e la

re che Bonvesino incominciò quest'operetta dopo il febbraio del 1288 e lafinì sui primi del 1289.

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Capitano del popolo, ho composto questo li-bro; l'ho composto dopo avere con grande dili-genza e non poca fatica investigata la verità,spontaneamente, senza esservi da alcuno in-dotto, senza la minima speranza di lucro, ma,direi quasi, per ispirazione divina; affinchè,lette e comprese le lodi di Milano, inspiratealla più pura verità, tutti quanti senz'ombrad'invidia, la amano rendano grazie a Dio;gl'invidiosi o si convertano, o nella propria in-vidia si contristino e consumino; poi gli stra-nieri tutti, apprendendo la nobiltà e la dignitàde' milanesi, imparino a rispettarli e ad ono-rarli in qualsiasi luogo, ad amarli e protegger-li; infine i miei concittadini, considerando diqual patria sian figli, non degenerino mai dal-la sua nobiltà, non la disonorino con riprove-voli azioni.

Qui taluno dirà: «bada, chè, talora le buoneintenzioni possono produrre cattivi effetti:qualche tiranno straniero, nelle cui mani siaper avventura pervenuto questo libro, cono-sciuta la grandezza di Milano, potrebbe ine-briarsi al punto da concepire il disegno di ren-dersene padrone».

No, io rispondo: l'amore della libertà e la

re che Bonvesino incominciò quest'operetta dopo il febbraio del 1288 e lafinì sui primi del 1289.

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protezione dei corpi santi (giacenti sotto la no-stra terra) fanno sì che nessuna dominazionestraniera possa qui durare se non col consen-so de' cittadini: se n'è avuta la prova a' tempinostri. Niun tiranno presuma di apprestarsiqui una sede di dominio; sarebbe come se vo-lesse prender l'anguilla per la coda; quandobene credesse d'averla salda in mano, se lavedrebbe sfuggire d'un tratto.

Una fama universale esalta, fra tutti i paesidel mondo, la Lombardia, e per la sua posizio-ne, e per la frequenza dei luoghi abitati e ladensità degli abitanti, e per la bellezza e la fe-condità delle sue pianure; e fra le città diLombardia esalta Milano, come rosa o gigliotra' fiori, cedro nel Libano, leone tra i quadru-pedi, aquila tra gli uccelli; la esalta in tutte lelingue. Nè ciò deve far meraviglia, giacchèessa è invero superiore a tutte le altre città. Siconsiderino la posizione, la qualità e la quan-tità degli edifici e degli abitanti del suo estesocontado e della sua diocesi, e l'abbondanza ditutto quanto è necessario alla vita degli uomi-ni; si considerino la sua forza, la sua tenacefedeltà, la sua benedetta libertà, e la copiadelle dignità sue, ed essa, a confronto delle al-tre città, sarà come il sole tra i pianeti celesti.Che poi sia la più adatta come sede del Papa-

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protezione dei corpi santi (giacenti sotto la no-stra terra) fanno sì che nessuna dominazionestraniera possa qui durare se non col consen-so de' cittadini: se n'è avuta la prova a' tempinostri. Niun tiranno presuma di apprestarsiqui una sede di dominio; sarebbe come se vo-lesse prender l'anguilla per la coda; quandobene credesse d'averla salda in mano, se lavedrebbe sfuggire d'un tratto.

Una fama universale esalta, fra tutti i paesidel mondo, la Lombardia, e per la sua posizio-ne, e per la frequenza dei luoghi abitati e ladensità degli abitanti, e per la bellezza e la fe-condità delle sue pianure; e fra le città diLombardia esalta Milano, come rosa o gigliotra' fiori, cedro nel Libano, leone tra i quadru-pedi, aquila tra gli uccelli; la esalta in tutte lelingue. Nè ciò deve far meraviglia, giacchèessa è invero superiore a tutte le altre città. Siconsiderino la posizione, la qualità e la quan-tità degli edifici e degli abitanti del suo estesocontado e della sua diocesi, e l'abbondanza ditutto quanto è necessario alla vita degli uomi-ni; si considerino la sua forza, la sua tenacefedeltà, la sua benedetta libertà, e la copiadelle dignità sue, ed essa, a confronto delle al-tre città, sarà come il sole tra i pianeti celesti.Che poi sia la più adatta come sede del Papa-

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to, con buona pace dei Romani, dimostrerò asuo luogo.

Io mi accingo a dir cose stupefacenti sia pergli stranieri che per i cittadini; sì, anche perquesti, non faccia meraviglia, giacchè tale è lagrandezza di questa città che agli stessi suoifigli non sarà facil cosa comprenderla per in-tero.

Per farmi più facilmente intendere, distin-guerò subito i capitoli di questo libretto, chesono otto: il primo riguarderà la situazionedella città e del contado di Milano, il secondogli edifici, il terzo gli abitanti, il quarto la ferti-lità del suolo e l'abbondanza d'ogni ben diDio, il quinto la potenza, il sesto la tenace fe-deltà, il settimo la libertà, l'ottavo la dignità.

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to, con buona pace dei Romani, dimostrerò asuo luogo.

Io mi accingo a dir cose stupefacenti sia pergli stranieri che per i cittadini; sì, anche perquesti, non faccia meraviglia, giacchè tale è lagrandezza di questa città che agli stessi suoifigli non sarà facil cosa comprenderla per in-tero.

Per farmi più facilmente intendere, distin-guerò subito i capitoli di questo libretto, chesono otto: il primo riguarderà la situazionedella città e del contado di Milano, il secondogli edifici, il terzo gli abitanti, il quarto la ferti-lità del suolo e l'abbondanza d'ogni ben diDio, il quinto la potenza, il sesto la tenace fe-deltà, il settimo la libertà, l'ottavo la dignità.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO PRIMO

_____I. Del nome di Milano. - II. Del clima. - III.

Dell'abbondanza e dell'importanza delle ac-que.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA POSIZIONE

La fiorente nostra città, situata in una bel-la, fertilissima pianura, che gode d'un climamite e produce tutto quanto è alla vita neces-sario, tra due mirabili fiumi equidistanti, il Ti-cino e l'Adda, non senza ragione adottò ilnome di Mediolanum, che vorrebbe dire: "po-sta in mezzo a due fiumi (amnes)". Certuni,strano invero, sostengono che tal nome derividall'esservisi trovata una troia lanuta a mezzoil dorso4; in antico fu pur chiamata Alba per-chè meno macchiata di vizi, era la candida frale altre città.

I. - Come fosse fondata dai Galli è narratodalla Storia lombarda5; per il che a tutta la re-gione fu dato il nome di Gallia Cisalpina.

II. - Le stavan forse intorno paludi o putride

4 Per le etimologie del nome di Milano vedi le note 112 e 113.5 Allude alla "Storia dei Longobardi" di Paolo Diacono.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO PRIMO

_____I. Del nome di Milano. - II. Del clima. - III.

Dell'abbondanza e dell'importanza delle ac-que.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA POSIZIONE

La fiorente nostra città, situata in una bel-la, fertilissima pianura, che gode d'un climamite e produce tutto quanto è alla vita neces-sario, tra due mirabili fiumi equidistanti, il Ti-cino e l'Adda, non senza ragione adottò ilnome di Mediolanum, che vorrebbe dire: "po-sta in mezzo a due fiumi (amnes)". Certuni,strano invero, sostengono che tal nome derividall'esservisi trovata una troia lanuta a mezzoil dorso4; in antico fu pur chiamata Alba per-chè meno macchiata di vizi, era la candida frale altre città.

I. - Come fosse fondata dai Galli è narratodalla Storia lombarda5; per il che a tutta la re-gione fu dato il nome di Gallia Cisalpina.

II. - Le stavan forse intorno paludi o putride

4 Per le etimologie del nome di Milano vedi le note 112 e 113.5 Allude alla "Storia dei Longobardi" di Paolo Diacono.

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Page 73: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

acque corrompenti l'aere con nebbie e fetori?No davvero, ma limpide sorgenti e fiumi fe-condatori. Posta nel mezzo di una pianura so-leggiata, ha l'aria mite e sana: non eccessivo ilfreddo d'inverno nè il caldo d'estate; non è vi-cina alle spiagge del mare dove d'estate il ca-lore è insopportabile dall'ora nona del giornofin verso la mezzanotte, quindi fin verso le trespira una fredda, e nociva brezza marina.

III. - Entro la città non sono cisterne nèlunghi condotti d'acqua; ma acque vive natu-rali, eccellenti a bere, salubri e così abbon-danti in tutte le stagioni che in ogni casa, ap-pena decente, si trova una fonte d'acqua vivachiamata pozzo. In seguito ad una indaginediligente, se pure non perfetta, ho potuto ac-certare che più di 6000 fonti vive fornisconoacqua ai cittadini6; tra le quali moltissime vene sono le cui acque hanno al gusto un gratosapore, e son sì sottili che, poste in recipientidi legno o in ampolle di vetro, in poco tempotutte le imbevono. A chi ne beva a sazietà essenon dànno alcun fastidio, ma per la loro leg-gerezza e sottigliezza subito penetrano attra-verso i pori e vengono digerite.

6 Poichè lo stesso Bonvesino dica più avanti che le case in Milano eran cir-ca 12.500, si può argomentare che una metà di esse non aveva pozzo, e siserviva dei pozzi pubblici.

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acque corrompenti l'aere con nebbie e fetori?No davvero, ma limpide sorgenti e fiumi fe-condatori. Posta nel mezzo di una pianura so-leggiata, ha l'aria mite e sana: non eccessivo ilfreddo d'inverno nè il caldo d'estate; non è vi-cina alle spiagge del mare dove d'estate il ca-lore è insopportabile dall'ora nona del giornofin verso la mezzanotte, quindi fin verso le trespira una fredda, e nociva brezza marina.

III. - Entro la città non sono cisterne nèlunghi condotti d'acqua; ma acque vive natu-rali, eccellenti a bere, salubri e così abbon-danti in tutte le stagioni che in ogni casa, ap-pena decente, si trova una fonte d'acqua vivachiamata pozzo. In seguito ad una indaginediligente, se pure non perfetta, ho potuto ac-certare che più di 6000 fonti vive fornisconoacqua ai cittadini6; tra le quali moltissime vene sono le cui acque hanno al gusto un gratosapore, e son sì sottili che, poste in recipientidi legno o in ampolle di vetro, in poco tempotutte le imbevono. A chi ne beva a sazietà essenon dànno alcun fastidio, ma per la loro leg-gerezza e sottigliezza subito penetrano attra-verso i pori e vengono digerite.

6 Poichè lo stesso Bonvesino dica più avanti che le case in Milano eran cir-ca 12.500, si può argomentare che una metà di esse non aveva pozzo, e siserviva dei pozzi pubblici.

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Anche nel contado sono fonti d'acque limpi-dissime e in alcuni luoghi così fredde che, senell'estate vi si pongono bottiglie di vino a rin-frescare, il freddo le fa crepare se non si riti-rano a tempo. Nessuna città del mondo è cosìricca d'acque: non esito a proclamare chequesto solo e sì copioso tesoro val più che tut-to il vino e l'acqua insieme di certe altre città.E, sicuro di non errare, aggiungo che moltecittà pagherebbero più di dugentomila marchid'argento per avere, se fosse possibile, tre soledelle nostre fonti.

Nel nostro territorio è, come ciascun vede,abbondanza di biade, di vino, di legumi, difrutta, d'alberi, di fieno e d'ogni bene. In con-clusione, e per il clima, e per le acque, e per labellezza e la fertilità della pianura, non po-trebbe Milano esser meglio situata: lo provanoall'evidenza e il gran numero di vecchi decre-piti che vi si incontrano, e, per grazia di Dio, ilcontinuo aumento delle nascite, della popola-zione e della prosperità.

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Anche nel contado sono fonti d'acque limpi-dissime e in alcuni luoghi così fredde che, senell'estate vi si pongono bottiglie di vino a rin-frescare, il freddo le fa crepare se non si riti-rano a tempo. Nessuna città del mondo è cosìricca d'acque: non esito a proclamare chequesto solo e sì copioso tesoro val più che tut-to il vino e l'acqua insieme di certe altre città.E, sicuro di non errare, aggiungo che moltecittà pagherebbero più di dugentomila marchid'argento per avere, se fosse possibile, tre soledelle nostre fonti.

Nel nostro territorio è, come ciascun vede,abbondanza di biade, di vino, di legumi, difrutta, d'alberi, di fieno e d'ogni bene. In con-clusione, e per il clima, e per le acque, e per labellezza e la fertilità della pianura, non po-trebbe Milano esser meglio situata: lo provanoall'evidenza e il gran numero di vecchi decre-piti che vi si incontrano, e, per grazia di Dio, ilcontinuo aumento delle nascite, della popola-zione e della prosperità.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO SECONDO

GLI EDIFICI DI MILANO.____

I. Numero delle case. II. Numero dei copertipubblici. - III. La Corte del Comune. - IV. For-ma della città. - V. Il fossato e i sobborghi. -VI. Porte principali e secondarie. - VII. Nume-ro delle chiese e degli altari. - VIII. Numerodelle chiese dedicate a S. Maria, dentro efuori. - IX. Numero dei campanili e delle cam-pane in città. - X. Numero e qualità dei bor-ghi.- XI. Numero delle chiese nel contado diMilano, ecc.

ELOGIO DI MILANO PEI SUOI EDIFICI

I. - Le vie urbane sono abbastanza larghe, vison bei palazzi e molte case private di decoro-so aspetto. Le case con ingresso dalla stradaammontano, come si è potuto accertare, a cir-ca 12.500, e tra queste ve ne son molte doveabitano parecchie famiglie con numerosa ser-vitù, il che dà un'idea delle densità della po-polazione.

II. I coperti, come volgarmente si chiamano,

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DIVISIONE DEL CAPITOLO SECONDO

GLI EDIFICI DI MILANO.____

I. Numero delle case. II. Numero dei copertipubblici. - III. La Corte del Comune. - IV. For-ma della città. - V. Il fossato e i sobborghi. -VI. Porte principali e secondarie. - VII. Nume-ro delle chiese e degli altari. - VIII. Numerodelle chiese dedicate a S. Maria, dentro efuori. - IX. Numero dei campanili e delle cam-pane in città. - X. Numero e qualità dei bor-ghi.- XI. Numero delle chiese nel contado diMilano, ecc.

ELOGIO DI MILANO PEI SUOI EDIFICI

I. - Le vie urbane sono abbastanza larghe, vison bei palazzi e molte case private di decoro-so aspetto. Le case con ingresso dalla stradaammontano, come si è potuto accertare, a cir-ca 12.500, e tra queste ve ne son molte doveabitano parecchie famiglie con numerosa ser-vitù, il che dà un'idea delle densità della po-polazione.

II. I coperti, come volgarmente si chiamano,

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nelle piazze pubbliche raggiungono il numerodi 607.

III. - La Corte del Comune, degna di sì gran-de città, ha una superficie di dieci pertiche.Per farmi meglio intendere, dirò che da orien-te a occidente misura 130 cúbiti, e da setten-trione a mezzodì 136. Vi sorge nel mezzo unmagnifico palazzo, e vi s'innalza una torre conquattro campane del Comune. Nel lato orien-tale è un altro palazzo, sede del Podestà e deigiudici, e alla estremità settentrionale del me-desimo è la cappella del Podestà, dedicata albeato Ambrogio, nostro Patrono. La piazza èchiusa da altri palazzi a settentrione e a occi-dente. Nel lato di mezzogiorno è un atrio dovesi proclamano al pubblico le sentenze dei con-

7 Questi coperti, caratteristici nell'edilizia medioevale, eran piazzette da-vanti alle case nobili con atrii o portici, d'onde il nome. Di parecchi ci hanconservato memoria le antiche carte. Un coperto dei Castani era sulla stra-da tra il Carrobio e il convento di Santa Marta; in Porta Romana era un co-perto di S. Vittore ed uno dei Baroni era in parrocchia di S. Giovanni inConca. Si ricordano anche i coperti di S. Fedele, degli Zavattari, di S. Se-bastiano (anno 1217), di San Marcellino (carta dello stesso anno). Sul cor-so di Porta Ticinese esisteva ancora nel 1470 un antichissimo coperto didiretto dominio dei parrocchiani di S. Sisto. Sull'ingresso della contradadei vairari (o lavoratori di vaio), presso il Broletto nuovo (piazza Mercan-ti), era molto frequentato il coperto dei Giordani. La maggior parte dovet-tero scomparire nel secolo XVI quando il governatore Ferrante Gonzagafece un repulisti dell'antica Milano. Il coperto dei Figini, in piazza delDuomo, fu l'ultimo a scomparire: fu abbattuto circa sessant'anni or sonoper far posto alla Galleria Vittorio Emanuele ed ai portici settentrionali.

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nelle piazze pubbliche raggiungono il numerodi 607.

III. - La Corte del Comune, degna di sì gran-de città, ha una superficie di dieci pertiche.Per farmi meglio intendere, dirò che da orien-te a occidente misura 130 cúbiti, e da setten-trione a mezzodì 136. Vi sorge nel mezzo unmagnifico palazzo, e vi s'innalza una torre conquattro campane del Comune. Nel lato orien-tale è un altro palazzo, sede del Podestà e deigiudici, e alla estremità settentrionale del me-desimo è la cappella del Podestà, dedicata albeato Ambrogio, nostro Patrono. La piazza èchiusa da altri palazzi a settentrione e a occi-dente. Nel lato di mezzogiorno è un atrio dovesi proclamano al pubblico le sentenze dei con-

7 Questi coperti, caratteristici nell'edilizia medioevale, eran piazzette da-vanti alle case nobili con atrii o portici, d'onde il nome. Di parecchi ci hanconservato memoria le antiche carte. Un coperto dei Castani era sulla stra-da tra il Carrobio e il convento di Santa Marta; in Porta Romana era un co-perto di S. Vittore ed uno dei Baroni era in parrocchia di S. Giovanni inConca. Si ricordano anche i coperti di S. Fedele, degli Zavattari, di S. Se-bastiano (anno 1217), di San Marcellino (carta dello stesso anno). Sul cor-so di Porta Ticinese esisteva ancora nel 1470 un antichissimo coperto didiretto dominio dei parrocchiani di S. Sisto. Sull'ingresso della contradadei vairari (o lavoratori di vaio), presso il Broletto nuovo (piazza Mercan-ti), era molto frequentato il coperto dei Giordani. La maggior parte dovet-tero scomparire nel secolo XVI quando il governatore Ferrante Gonzagafece un repulisti dell'antica Milano. Il coperto dei Figini, in piazza delDuomo, fu l'ultimo a scomparire: fu abbattuto circa sessant'anni or sonoper far posto alla Galleria Vittorio Emanuele ed ai portici settentrionali.

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dannati8.IV. - La città ha forma circolare: la sua ro-

tondità è simbolo della perfezione9.V. - Il fossato, bellissimo, molto largo, che la

circonda non è un padule nè un putrido sta-gno, ma è alimentato da fonti vive, popolato di8 Era costume delle città medioevali di concentrare le funzioni della vita

pubblica nella piazza principale. Milano, riavutasi dalla distruzione delBarbarossa, sentì il bisogno d'una più grande piazza che sostituisse quelladell'antico Arengo situato accanto al Duomo, e fosse il centro della vitacittadina, Corte del Comune, come la chiama Bonvesino, vita ora maicomplessa ed esuberante. Nel 1228 il Consiglio del Comune ne decretò lacostruzione nella località che prese più tardi, e tuttora conserva, il nome dipiazza dei mercanti.Sorse prima, 1228. il palazzo centrale, chiamato ai tempi no-

stri della Ragione, coll'ampio porticato sottostante compiuto nel1233, nel qual anno si mise mano alla costruzione del salonesuperiore ove ora ha sede l'Archivio notarile. Sorsero poitutt'intorno altri edifici in modo da formare quella piazza rettan-golare, chiusa, e comunicante coll'esterno per mezzo di cinqueporte corrispondenti alle cinque arterie della città; la qual piazzamantenne l'antico aspetto fino al suo malaugurato smembra-mento, cominciato fra il 1867 e il 1870.

Gli altri edifici furono costrutti in quest'ordine: nel 1251 lacasa per gli uffici e le carceri del Podestà, che occupò il lato ver-so la piazza del Duomo e parte dei due laterali e notizie date dal-lo storico Tristano Calco, del secolo xv, quantunque vaghe, la-sciano credere che il benemerito Podestà Riva, a cui si deve lasuddetta costruzione, promovesse anche quella di parte almenodei due lati verso S. Margherita e verso il Cordusio. Nel 1272sorse la torre fatta costrurre da Napoleone della Torre. Nel 1316fu riformata, per volere di Matteo Visconti, la loggia degli Osiidalla quale, come pur dice qui Bonvesino, si leggevano al pubbli-co i bandi e le sentenze. Nel 1336 Azzone Visconti fece compiereil lato verso via Orefici con un edificio a portici occupato più tar-di dalle Scuole Palatine.

All'infuori del citato accenno del Calco, nessuna notizia preci-

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dannati8.IV. - La città ha forma circolare: la sua ro-

tondità è simbolo della perfezione9.V. - Il fossato, bellissimo, molto largo, che la

circonda non è un padule nè un putrido sta-gno, ma è alimentato da fonti vive, popolato di8 Era costume delle città medioevali di concentrare le funzioni della vita

pubblica nella piazza principale. Milano, riavutasi dalla distruzione delBarbarossa, sentì il bisogno d'una più grande piazza che sostituisse quelladell'antico Arengo situato accanto al Duomo, e fosse il centro della vitacittadina, Corte del Comune, come la chiama Bonvesino, vita ora maicomplessa ed esuberante. Nel 1228 il Consiglio del Comune ne decretò lacostruzione nella località che prese più tardi, e tuttora conserva, il nome dipiazza dei mercanti.Sorse prima, 1228. il palazzo centrale, chiamato ai tempi no-

stri della Ragione, coll'ampio porticato sottostante compiuto nel1233, nel qual anno si mise mano alla costruzione del salonesuperiore ove ora ha sede l'Archivio notarile. Sorsero poitutt'intorno altri edifici in modo da formare quella piazza rettan-golare, chiusa, e comunicante coll'esterno per mezzo di cinqueporte corrispondenti alle cinque arterie della città; la qual piazzamantenne l'antico aspetto fino al suo malaugurato smembra-mento, cominciato fra il 1867 e il 1870.

Gli altri edifici furono costrutti in quest'ordine: nel 1251 lacasa per gli uffici e le carceri del Podestà, che occupò il lato ver-so la piazza del Duomo e parte dei due laterali e notizie date dal-lo storico Tristano Calco, del secolo xv, quantunque vaghe, la-sciano credere che il benemerito Podestà Riva, a cui si deve lasuddetta costruzione, promovesse anche quella di parte almenodei due lati verso S. Margherita e verso il Cordusio. Nel 1272sorse la torre fatta costrurre da Napoleone della Torre. Nel 1316fu riformata, per volere di Matteo Visconti, la loggia degli Osiidalla quale, come pur dice qui Bonvesino, si leggevano al pubbli-co i bandi e le sentenze. Nel 1336 Azzone Visconti fece compiereil lato verso via Orefici con un edificio a portici occupato più tar-di dalle Scuole Palatine.

All'infuori del citato accenno del Calco, nessuna notizia preci-

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pesci e granchi. È munito da un forte muro ilcui circuito, in seguito ad accurate misurazio-ni, è risultato essere di 10.141 cúbiti. La sualarghezza, durante tutto il percorso intornoalla città, di cúbiti 3810.

Al di là del muro del fossato si addensanotante abitazioni suburbane che esse sole ba-sterebbero a formare una città11. Ricordiamociche il cúbito, di cui ho parlato, misura duepiedi per lungo e due dita per largo d'unuomo di grande statura. Si visitino pure tuttele città del mondo: difficilmente si troverà

sa e sicura ci ha indicato in quali anni sia stato costrutto il latoverso S. Margherita, dall'una e dall'altra parte della torre, che fupoi riedificato di pianta nella forma attuale su piani dell'Archi-tetto Seregni, tra il 1564 e il 1654; ma questo prezioso passo diBonvesino ci lascia intendere che, quand'egli scriveva, nel 1288,quel lato era compiuto; e, poiché egli ci presenta già la piazzacome recinta da ogni lato da edifici, è pur lecito supporre che lacostruzione di Azzone Visconti, del 1336, sia stata piuttosto unariforma di edifici preesistenti.

Per maggiori notizie sulle vicende della piazza mercanti vedi ilmio volume: La Camera dei mercanti di Milano nei secoli passati,Milano, Allegretti, 1914.9 Meglio che circolare, la forma della città dopo la costruzione del fossato

di cinta scavato a mezzo il secolo XII, era ovale, come può vedersi dalleantiche piante topografiche.

10 Avverte il Novati che, essendo in questo punto il manoscritto guasto epressochè illeggibile, non ci permette di definire l'esatta misura del girodel fossato.

11 Non si tratta qui, avverte il Novati, degli antichi sobborghi, già da grantempo incorporati alla città, ma, bensì del circondario esterno, dei cosidettiCorpi Santi, che cominciavano allora a svilupparsi e formarono poi intor-no alla città undici gruppi di case.

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pesci e granchi. È munito da un forte muro ilcui circuito, in seguito ad accurate misurazio-ni, è risultato essere di 10.141 cúbiti. La sualarghezza, durante tutto il percorso intornoalla città, di cúbiti 3810.

Al di là del muro del fossato si addensanotante abitazioni suburbane che esse sole ba-sterebbero a formare una città11. Ricordiamociche il cúbito, di cui ho parlato, misura duepiedi per lungo e due dita per largo d'unuomo di grande statura. Si visitino pure tuttele città del mondo: difficilmente si troverà

sa e sicura ci ha indicato in quali anni sia stato costrutto il latoverso S. Margherita, dall'una e dall'altra parte della torre, che fupoi riedificato di pianta nella forma attuale su piani dell'Archi-tetto Seregni, tra il 1564 e il 1654; ma questo prezioso passo diBonvesino ci lascia intendere che, quand'egli scriveva, nel 1288,quel lato era compiuto; e, poiché egli ci presenta già la piazzacome recinta da ogni lato da edifici, è pur lecito supporre che lacostruzione di Azzone Visconti, del 1336, sia stata piuttosto unariforma di edifici preesistenti.

Per maggiori notizie sulle vicende della piazza mercanti vedi ilmio volume: La Camera dei mercanti di Milano nei secoli passati,Milano, Allegretti, 1914.9 Meglio che circolare, la forma della città dopo la costruzione del fossato

di cinta scavato a mezzo il secolo XII, era ovale, come può vedersi dalleantiche piante topografiche.

10 Avverte il Novati che, essendo in questo punto il manoscritto guasto epressochè illeggibile, non ci permette di definire l'esatta misura del girodel fossato.

11 Non si tratta qui, avverte il Novati, degli antichi sobborghi, già da grantempo incorporati alla città, ma, bensì del circondario esterno, dei cosidettiCorpi Santi, che cominciavano allora a svilupparsi e formarono poi intor-no alla città undici gruppi di case.

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Page 79: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

un'opera altrettanto mirabile.VI. - Le porte principali della città, bene

munite, son sei; dieci le secondarie, che sichiaman pusterle, tutte costruite su solidissi-me basi. Ciascuna delle principali ha due tor-ri, non però finite, basate anch'esse su fonda-menta fortissime.

VII. - Le chiese, appropriate alla magnificen-za della metropoli, sono, solo in città, circa200 con 480 altari. Chi vuol farsi un'idea delvero vada alla chiesa di S. Lorenzo che si dicesia stata costrutta da una regina, chiamataGalla Patrizia12, con 16 colonne all'esterno:tutte le altre non son meno ammirabili dentroe fuori, o non trovano, o trovano almeno bendi rado, le uguali nelle altre città. È poi singo-lare la venerazione in cui è tenuta nella no-stra città la Vergine Maria.

VIII. - Ad essa sola sono intitolati; 36 chiese

12 Qui Bonvesino storpia il nome di Galla Placidia, figlia di Teodosio ilGrande e madre di Valentiniano III. e le attribuisce la fondazione della Ba-silica di S. Lorenzo colle colonne, ancor oggi esistenti, mentre la tradizio-ne raccolta dal cronista di poco a lui posteriore, Galvano Fiamma, le attri-buisce solo la costruzione della edicola dove tuttora esiste la pretesa tombadi lei, e chiama S. Lorenzo un tempio d'Ercole fatto costrurre dall'impera-tore Massimiano. L'origine della basilica e la storia del bel colonnato sonoancora oggi problemi discussi: molti credono che la chiesa ottagona venis-se fondata utilizzando la grande sala centrale delle terme fatte costrurredall'imperatore Massimiano, del cui peristilio il colonnato sarebbe un resi-duo. Altri hanno preteso trattarsi d'un edificio eretto appositamente collacaratteristica forma poligonale bizantina com'è S. Vitale in Ravenna.

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un'opera altrettanto mirabile.VI. - Le porte principali della città, bene

munite, son sei; dieci le secondarie, che sichiaman pusterle, tutte costruite su solidissi-me basi. Ciascuna delle principali ha due tor-ri, non però finite, basate anch'esse su fonda-menta fortissime.

VII. - Le chiese, appropriate alla magnificen-za della metropoli, sono, solo in città, circa200 con 480 altari. Chi vuol farsi un'idea delvero vada alla chiesa di S. Lorenzo che si dicesia stata costrutta da una regina, chiamataGalla Patrizia12, con 16 colonne all'esterno:tutte le altre non son meno ammirabili dentroe fuori, o non trovano, o trovano almeno bendi rado, le uguali nelle altre città. È poi singo-lare la venerazione in cui è tenuta nella no-stra città la Vergine Maria.

VIII. - Ad essa sola sono intitolati; 36 chiese

12 Qui Bonvesino storpia il nome di Galla Placidia, figlia di Teodosio ilGrande e madre di Valentiniano III. e le attribuisce la fondazione della Ba-silica di S. Lorenzo colle colonne, ancor oggi esistenti, mentre la tradizio-ne raccolta dal cronista di poco a lui posteriore, Galvano Fiamma, le attri-buisce solo la costruzione della edicola dove tuttora esiste la pretesa tombadi lei, e chiama S. Lorenzo un tempio d'Ercole fatto costrurre dall'impera-tore Massimiano. L'origine della basilica e la storia del bel colonnato sonoancora oggi problemi discussi: molti credono che la chiesa ottagona venis-se fondata utilizzando la grande sala centrale delle terme fatte costrurredall'imperatore Massimiano, del cui peristilio il colonnato sarebbe un resi-duo. Altri hanno preteso trattarsi d'un edificio eretto appositamente collacaratteristica forma poligonale bizantina com'è S. Vitale in Ravenna.

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Page 80: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

in città, e certo più di 240 nel contado.IX. - S'innalzano in città fabbricati a mo' di

torri, circa 120 campanili con più di 200 cam-pane. Mi astengo dal precisare il numeroenorme degli uni e delle altre nel contado.

Se qualcuno infine volesse concedersi il pia-cere d'abbracciare con una occhiata la formadella città, la quantità e la bellezza dei palazzie delle case private, salga sulla torre della cor-te del Comune; di lassù, dovunque volga losguardo, vedrà stupefatto cose stupefacenti.

X. - Nel contado s'incontrano luoghi ameni,deliziosi e cinquanta fiorenti borghi tra i qualiè Monza, distante dieci miglia dalla metropoli,più degna del nome di città che di borgo.

Alla giurisdizione del nostro Comune sonsottoposte centocinquanta ville con castelli,delle quali molte son abitate da più che cin-quecento uomini atti alle armi. Nei borghicome nelle ville non risiedono solo contadinied artigiani, ma anche famiglie di eletta nobil-tà. Degli altri luoghi abitati, che si chiamanmolini o cassine, non è possibile calcolare ilnumero tanto esso è grande.

XI. - Son poi nelle campagne altri borghi eville e castelli dei quali alcuni son sottopostiall'Arcivescovo o ad altre Autorità ecclesiasti-che di Milano, altri sono sottratti alla giurisdi-

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in città, e certo più di 240 nel contado.IX. - S'innalzano in città fabbricati a mo' di

torri, circa 120 campanili con più di 200 cam-pane. Mi astengo dal precisare il numeroenorme degli uni e delle altre nel contado.

Se qualcuno infine volesse concedersi il pia-cere d'abbracciare con una occhiata la formadella città, la quantità e la bellezza dei palazzie delle case private, salga sulla torre della cor-te del Comune; di lassù, dovunque volga losguardo, vedrà stupefatto cose stupefacenti.

X. - Nel contado s'incontrano luoghi ameni,deliziosi e cinquanta fiorenti borghi tra i qualiè Monza, distante dieci miglia dalla metropoli,più degna del nome di città che di borgo.

Alla giurisdizione del nostro Comune sonsottoposte centocinquanta ville con castelli,delle quali molte son abitate da più che cin-quecento uomini atti alle armi. Nei borghicome nelle ville non risiedono solo contadinied artigiani, ma anche famiglie di eletta nobil-tà. Degli altri luoghi abitati, che si chiamanmolini o cassine, non è possibile calcolare ilnumero tanto esso è grande.

XI. - Son poi nelle campagne altri borghi eville e castelli dei quali alcuni son sottopostiall'Arcivescovo o ad altre Autorità ecclesiasti-che di Milano, altri sono sottratti alla giurisdi-

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zione di qualsiasi Comune, altri infine, per di-verse ragioni, non son compresi nel computofatto sopra. Così le pievi: di Porlezza con 62ville, Lania con circa altrettante, Valsassinacon 54; nove ville soggette al borgo di Lecco,23 a quel di Cannobio; la valle di S. Martinocon 25 ville, la Valsolda con 11, il Vergantecon 40, le due valli di Blenio e Leventina, en-tro la nostra diocesi, con circa 200 ville; inol-tre Tellio, Galliate, Trecate, e anche Campionesoggetto all'Abbadia di S. Ambrogio. Tuttequeste terre, compresi i borghi e le ville, am-montano a circa 600, e in esse abitano stabil-mente, credo di poterlo asserire, più di 30.000uomini atti alle armi. Vi sono altre ville anco-ra; ma, basti quanto ho detto13.

XII. - All'infuori della città, si contano nelladiocesi più di 2050 decorose chiese, con più13 Per meglio comprendere questo elenco delle terre che, sebbene facessero

parte del territorio milanese, non dipendevano dal Comune, ma erano sog-gette, temporalmente e spiritualmente, all'arcivescovado o ad altri Corpiecclesiastici, si ricordi: che Porlezza, Valsassina, Lecco, Valsolda, il Ver-gante erano feudi dell'arcivescovo di Milano; la valle di Blenio e la val Le-ventina appartenevano al clero della Chiesa milanese, Campione d'Intelvi,Limonta e Civenna costituivano un feudo del monastero di S. Ambrogio diMilano; la Valtellina, col capoluogo Tellio, faceva parte del territorio mila-nese come la valle di S. Martino in provincia di Bergamo; e ne facevanparte altre terre della odierna provincia di Novara, oltre Galliate e Trecateche qui Bonvesino rammenta le quali ultime eran soggette ai preti decuma-ni della Chiesa milanese; Cannobio, oggi compreso nella diocesi di Nova-ra, fino a tempi recenti fu sottoposto alla giurisdizione della Chiesa di Mi-lano.

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zione di qualsiasi Comune, altri infine, per di-verse ragioni, non son compresi nel computofatto sopra. Così le pievi: di Porlezza con 62ville, Lania con circa altrettante, Valsassinacon 54; nove ville soggette al borgo di Lecco,23 a quel di Cannobio; la valle di S. Martinocon 25 ville, la Valsolda con 11, il Vergantecon 40, le due valli di Blenio e Leventina, en-tro la nostra diocesi, con circa 200 ville; inol-tre Tellio, Galliate, Trecate, e anche Campionesoggetto all'Abbadia di S. Ambrogio. Tuttequeste terre, compresi i borghi e le ville, am-montano a circa 600, e in esse abitano stabil-mente, credo di poterlo asserire, più di 30.000uomini atti alle armi. Vi sono altre ville anco-ra; ma, basti quanto ho detto13.

XII. - All'infuori della città, si contano nelladiocesi più di 2050 decorose chiese, con più13 Per meglio comprendere questo elenco delle terre che, sebbene facessero

parte del territorio milanese, non dipendevano dal Comune, ma erano sog-gette, temporalmente e spiritualmente, all'arcivescovado o ad altri Corpiecclesiastici, si ricordi: che Porlezza, Valsassina, Lecco, Valsolda, il Ver-gante erano feudi dell'arcivescovo di Milano; la valle di Blenio e la val Le-ventina appartenevano al clero della Chiesa milanese, Campione d'Intelvi,Limonta e Civenna costituivano un feudo del monastero di S. Ambrogio diMilano; la Valtellina, col capoluogo Tellio, faceva parte del territorio mila-nese come la valle di S. Martino in provincia di Bergamo; e ne facevanparte altre terre della odierna provincia di Novara, oltre Galliate e Trecateche qui Bonvesino rammenta le quali ultime eran soggette ai preti decuma-ni della Chiesa milanese; Cannobio, oggi compreso nella diocesi di Nova-ra, fino a tempi recenti fu sottoposto alla giurisdizione della Chiesa di Mi-lano.

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di 2600 altari.È davvero ammirando lo spettacolo che of-

frono nella nostra grande città e nel suo con-tado le innumerevoli e belle case, le chiese de-vote, i borghi, le ville, i municipi, i molini, lecassine, le case religiose, le canoniche, e i mo-nasteri fra i quali s'impone all'ammirazioneuniversale quello di Chiaravalle14; e inoltre gliorti, i frutteti, i prati, le vigne, i pascoli, i bo-schi, i fiumi, le sorgenti, gli eremi.

Nel nostro contado non son paludi che infe-stino l'aria giacchè, per un tratto di cento mi-glia, il suolo è inclinato da settentrione a mez-zodì. Or dunque chi ben consideri tutte que-ste fortune non troverà, girasse il mondo inte-ro, un simile paradiso.

14 Il celebre monastero di S. Maria di Chiaravalle, dei frati Cistercensi, adia-cente a Milano, era stato fondato da S. Bernardo stesso nel 1135, secondola tradizione.

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di 2600 altari.È davvero ammirando lo spettacolo che of-

frono nella nostra grande città e nel suo con-tado le innumerevoli e belle case, le chiese de-vote, i borghi, le ville, i municipi, i molini, lecassine, le case religiose, le canoniche, e i mo-nasteri fra i quali s'impone all'ammirazioneuniversale quello di Chiaravalle14; e inoltre gliorti, i frutteti, i prati, le vigne, i pascoli, i bo-schi, i fiumi, le sorgenti, gli eremi.

Nel nostro contado non son paludi che infe-stino l'aria giacchè, per un tratto di cento mi-glia, il suolo è inclinato da settentrione a mez-zodì. Or dunque chi ben consideri tutte que-ste fortune non troverà, girasse il mondo inte-ro, un simile paradiso.

14 Il celebre monastero di S. Maria di Chiaravalle, dei frati Cistercensi, adia-cente a Milano, era stato fondato da S. Bernardo stesso nel 1135, secondola tradizione.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO TERZO

____

I. Qualità dei cittadini. - II. Numero degli uomi-ni secolari nella città e nel contado. - III. Nu-mero delle canoniche e delle Corti regolari. -IV. Numero delle cappelle. - V. Numero deiconventi. - VI. Numero degli ospedali. - VII.Numero delle case degli Umiliati. - VIII. Nu-mero dei monaci di S. Agostino. - IX. Numerodelle case dei poveri. - X. Numero dei fratiabitanti con la famiglia. - XI. Numero di tuttigli esclusi dal regime secolare. - XII. Numerodelle bocche in Milano e contado. - XIII. Nu-mero delle parrocchie della città.- XIV. Nume-ro di tutti gli abitanti della città. - XV. Nume-ro dei fanti nella città. - XVI. Numero dei ca-valieri nella città. - XVII. Numero dei leghistie decretisti. - XVIII. Numero dei notai. - XIX.Numero dei servitori. - XX. Numero dei trom-betti. - XXI. Numero dei medici detti fisici. -XXII. Numero dei chirurghi. - XXIII. Numerodei maestri di grammatica.- XXIV. Numerodei dottori in canto ambrosiano. XXV. Nume-ro dei maestri di leggere e scrivere. - XXVI.Numero dei scrivani. - XXVII. Numero dei for-

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DIVISIONE DEL CAPITOLO TERZO

____

I. Qualità dei cittadini. - II. Numero degli uomi-ni secolari nella città e nel contado. - III. Nu-mero delle canoniche e delle Corti regolari. -IV. Numero delle cappelle. - V. Numero deiconventi. - VI. Numero degli ospedali. - VII.Numero delle case degli Umiliati. - VIII. Nu-mero dei monaci di S. Agostino. - IX. Numerodelle case dei poveri. - X. Numero dei fratiabitanti con la famiglia. - XI. Numero di tuttigli esclusi dal regime secolare. - XII. Numerodelle bocche in Milano e contado. - XIII. Nu-mero delle parrocchie della città.- XIV. Nume-ro di tutti gli abitanti della città. - XV. Nume-ro dei fanti nella città. - XVI. Numero dei ca-valieri nella città. - XVII. Numero dei leghistie decretisti. - XVIII. Numero dei notai. - XIX.Numero dei servitori. - XX. Numero dei trom-betti. - XXI. Numero dei medici detti fisici. -XXII. Numero dei chirurghi. - XXIII. Numerodei maestri di grammatica.- XXIV. Numerodei dottori in canto ambrosiano. XXV. Nume-ro dei maestri di leggere e scrivere. - XXVI.Numero dei scrivani. - XXVII. Numero dei for-

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nai. - XXVIII. Numero dei tavernieri. - XXIX.Numero dei marinai. - XXX. Numero dei pe-scatori in laghi e fiumi. - XXXI. Numero deglialbergatori. - XXXII Numero dei fabbri ferrai.- XXXIII. Numero dei fabbricanti di sonagli. -XXXIV. Dei Capitani e Valsassori ed altri no-bili, e quanti vanno a caccia con astori e fal-coni. - XXXV. Numero delle lapidi sepolcrali

ELOGIO DI MILANO RIGUARDO ALLA POPOLAZIONE.I. Anche rispetto alla popolazione, Milano è

prima fra tutte le città del mondo. I nativid'ambo i sessi sono d'una statura piuttostoalta, ilari e benigni nell'aspetto; sono sinceri eincapaci di trattar con malizia i forestieri, per-ciò anche fra genti straniere sono più apprez-zati di altri. Vivono con decoro e con ordinatalarghezza. Vestono con eleganza; dovunque sitrovino, o in patria o fuori, sono abbastanzalarghi nello spendere, dignitosi, piacevoli nelloro tenor di vita.

In tanta varietà di linguaggi, il loro è tra ipiù facili ad essere parlato e ad esser compre-so. Così pure il loro aspetto basta a farli rico-noscere in mezzo a qualsiasi gente... Sono piùd'ogni altro popolo religiosi...15 Insomma, nonsono essi fra tutti i popoli i più degni di sti-

15 Lacune nel testo.

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nai. - XXVIII. Numero dei tavernieri. - XXIX.Numero dei marinai. - XXX. Numero dei pe-scatori in laghi e fiumi. - XXXI. Numero deglialbergatori. - XXXII Numero dei fabbri ferrai.- XXXIII. Numero dei fabbricanti di sonagli. -XXXIV. Dei Capitani e Valsassori ed altri no-bili, e quanti vanno a caccia con astori e fal-coni. - XXXV. Numero delle lapidi sepolcrali

ELOGIO DI MILANO RIGUARDO ALLA POPOLAZIONE.I. Anche rispetto alla popolazione, Milano è

prima fra tutte le città del mondo. I nativid'ambo i sessi sono d'una statura piuttostoalta, ilari e benigni nell'aspetto; sono sinceri eincapaci di trattar con malizia i forestieri, per-ciò anche fra genti straniere sono più apprez-zati di altri. Vivono con decoro e con ordinatalarghezza. Vestono con eleganza; dovunque sitrovino, o in patria o fuori, sono abbastanzalarghi nello spendere, dignitosi, piacevoli nelloro tenor di vita.

In tanta varietà di linguaggi, il loro è tra ipiù facili ad essere parlato e ad esser compre-so. Così pure il loro aspetto basta a farli rico-noscere in mezzo a qualsiasi gente... Sono piùd'ogni altro popolo religiosi...15 Insomma, nonsono essi fra tutti i popoli i più degni di sti-

15 Lacune nel testo.

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ma?A questo punto qualcuno domanderà: «per-

chè tanto esalti le doti dei milanesi? non è for-se a tutti noto come fra loro allignino gli odii, itradimenti, le discordie civili, le violenze? Tuhai torto». Ed io rispondo: questo argomentonon ha valore, come non lo avrebbequest'altro: – fra i dodici apostoli furon dis-sensi, fu il tradimento di Giuda, ci fu anchechi negò tre volte Cristo; - son forse per que-sto gli apostoli meno venerandi?

Qualcun altro domanderà ancora: «perchèmai, se i milanesi possiedono le qualità che tudecanti, la loro bontà non vale a reprimeretante nequizie?» Ed io rispondo: perchè troppospesso i figli delle tenebre sono nelle iniquitàpiù intelligenti e scaltri che i figli della luce,nelle buone opere. Lascio ora questo al vostrogiudizio e proseguo a trattare il mio tèma.

II. - Nella città e nel contado, o distretto chedir si voglia, ogni giorno la popolazione au-menta e i fabbricati si estendono. E come nondovrebbe la popolazione aumentare dove sivive tanto bene? Epperò, tra cittadini e forensid'ogni condizione, si contano complessiva-mente più di duecentomila uomini atti a com-battere in guerra. Sono da questo numeroesclusi gli individui di diverse qualità esenti

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ma?A questo punto qualcuno domanderà: «per-

chè tanto esalti le doti dei milanesi? non è for-se a tutti noto come fra loro allignino gli odii, itradimenti, le discordie civili, le violenze? Tuhai torto». Ed io rispondo: questo argomentonon ha valore, come non lo avrebbequest'altro: – fra i dodici apostoli furon dis-sensi, fu il tradimento di Giuda, ci fu anchechi negò tre volte Cristo; - son forse per que-sto gli apostoli meno venerandi?

Qualcun altro domanderà ancora: «perchèmai, se i milanesi possiedono le qualità che tudecanti, la loro bontà non vale a reprimeretante nequizie?» Ed io rispondo: perchè troppospesso i figli delle tenebre sono nelle iniquitàpiù intelligenti e scaltri che i figli della luce,nelle buone opere. Lascio ora questo al vostrogiudizio e proseguo a trattare il mio tèma.

II. - Nella città e nel contado, o distretto chedir si voglia, ogni giorno la popolazione au-menta e i fabbricati si estendono. E come nondovrebbe la popolazione aumentare dove sivive tanto bene? Epperò, tra cittadini e forensid'ogni condizione, si contano complessiva-mente più di duecentomila uomini atti a com-battere in guerra. Sono da questo numeroesclusi gli individui di diverse qualità esenti

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Page 86: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

dalla milizia: monaci, canonici ed altri eccle-siastici e religiosi, o professi o viventi nelleproprie case co' loro famigliari. E son tantiche basterebbero a formare una provincia an-che di molto estesa: dirò, per darne la prova,cose straordinarie, ma non lontane dal vero.

III. - Infatti nella città son dieci canoniche,esclusa quella della Cattedrale; nel contadosettanta, escluse le sette degli Umiliati, e ven-tuna curie regolari.

IV. - Inoltre, solo nella città, si trovan no-vantaquattro cappelle: quelle di fuori le contichi può e ne troverà più di settecento. Tuttequeste canoniche, curie regolari e cappellemantengono beneficiari con redditi adeguati.

V. - Sono entro la città sei conventi di frati,otto di monache: nel contado si contano, com-plessivamente, almeno cinquantaquattro con-venti d'entrambi i sessi, gran parte de' quali èprospera sia pel numero de' conventuali cheper l'abbondanza dei redditi.

VI. - Esistono nella città e nel suburbio, ilquale è sempre sottinteso quando si parla del-la città, dieci ospitali per malati, forniti di ren-dite discrete, tra i quali primeggia l'ospedaledel Brolio, ricco di cospicui possedimenti, fon-dato nel 1145 da Goffredo da Bussero, dove,secondo precise informazioni date dai frati e

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dalla milizia: monaci, canonici ed altri eccle-siastici e religiosi, o professi o viventi nelleproprie case co' loro famigliari. E son tantiche basterebbero a formare una provincia an-che di molto estesa: dirò, per darne la prova,cose straordinarie, ma non lontane dal vero.

III. - Infatti nella città son dieci canoniche,esclusa quella della Cattedrale; nel contadosettanta, escluse le sette degli Umiliati, e ven-tuna curie regolari.

IV. - Inoltre, solo nella città, si trovan no-vantaquattro cappelle: quelle di fuori le contichi può e ne troverà più di settecento. Tuttequeste canoniche, curie regolari e cappellemantengono beneficiari con redditi adeguati.

V. - Sono entro la città sei conventi di frati,otto di monache: nel contado si contano, com-plessivamente, almeno cinquantaquattro con-venti d'entrambi i sessi, gran parte de' quali èprospera sia pel numero de' conventuali cheper l'abbondanza dei redditi.

VI. - Esistono nella città e nel suburbio, ilquale è sempre sottinteso quando si parla del-la città, dieci ospitali per malati, forniti di ren-dite discrete, tra i quali primeggia l'ospedaledel Brolio, ricco di cospicui possedimenti, fon-dato nel 1145 da Goffredo da Bussero, dove,secondo precise informazioni date dai frati e

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decani ad esso addetti, trovansi talora, e spe-cialmente in quaresima, quando se ne fa larassegna16, più di cinquecento infermi a lettoe più che altrettanti non obbligati al letto.Questo ospedale provvede anche all'allatta-mento di trecentocinquanta, e più, bambiniaffidati fin dalla loro nascita ad apposite balie.Tutti gli infermi poveri, eccettuati i lebbrosi aiquali è destinato un altro ospedale17, vi trova-no letto, abbondante vitto e affettuose cure. Ipoveri che hanno bisogno di operazioni chi-rurgiche vi sono premurosamente curati datre chirurghi speciali, stipendiati dal Comune.Nessuno, in fine, che sia afflitto dalla miseria,batte invano alla porta del Brolio.

Gli ospedali del contado son circa quindici.VII. - Sono nella città e nel contado duecen-

toventi case di Umiliati del secondo ordined'ambo i sessi, dove moltissimi attendono, adun tempo, alle pratiche religiose e ai lavorimanuali. La principale è la casa di Brera18.16 Il testo dice "in carastii dies": che cosa questo carastii voglia dire neppure

Novati sa spiegare: si tratta forse di un errore del trascrittore. Il testo diBonvesino sembra dire che v'era una giornata dell'anno destinata a far larassegna dei malati, e che questo giorno cadesse in quaresima gli sembradi poterlo desumere dal nome di "hospitale sanctae quadragesimae" datotalvolta a quell'ospedale. Comunque sia, il testo lascia intendere che la ras-segna si faceva nel tempo in cui era massimo il concorso degli infermi.

17 Intende l'ospedale pei lebbrosi di S. Lazzaro, fuori di Porta Romana.18 La Società degli Umiliati si divideva in tre ordini dei quali il secondo qui

menzionato era il principale per dignità. La casa di Brera era stata eretta

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decani ad esso addetti, trovansi talora, e spe-cialmente in quaresima, quando se ne fa larassegna16, più di cinquecento infermi a lettoe più che altrettanti non obbligati al letto.Questo ospedale provvede anche all'allatta-mento di trecentocinquanta, e più, bambiniaffidati fin dalla loro nascita ad apposite balie.Tutti gli infermi poveri, eccettuati i lebbrosi aiquali è destinato un altro ospedale17, vi trova-no letto, abbondante vitto e affettuose cure. Ipoveri che hanno bisogno di operazioni chi-rurgiche vi sono premurosamente curati datre chirurghi speciali, stipendiati dal Comune.Nessuno, in fine, che sia afflitto dalla miseria,batte invano alla porta del Brolio.

Gli ospedali del contado son circa quindici.VII. - Sono nella città e nel contado duecen-

toventi case di Umiliati del secondo ordined'ambo i sessi, dove moltissimi attendono, adun tempo, alle pratiche religiose e ai lavorimanuali. La principale è la casa di Brera18.16 Il testo dice "in carastii dies": che cosa questo carastii voglia dire neppure

Novati sa spiegare: si tratta forse di un errore del trascrittore. Il testo diBonvesino sembra dire che v'era una giornata dell'anno destinata a far larassegna dei malati, e che questo giorno cadesse in quaresima gli sembradi poterlo desumere dal nome di "hospitale sanctae quadragesimae" datotalvolta a quell'ospedale. Comunque sia, il testo lascia intendere che la ras-segna si faceva nel tempo in cui era massimo il concorso degli infermi.

17 Intende l'ospedale pei lebbrosi di S. Lazzaro, fuori di Porta Romana.18 La Società degli Umiliati si divideva in tre ordini dei quali il secondo qui

menzionato era il principale per dignità. La casa di Brera era stata eretta

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Page 88: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Sette sono, come abbiam detto, le canonichedi quest'Ordine.

VIII. - Non meno di sessanta conventi perentrambi i sessi vi possiede l'Ordine del beatoAgostino, i quali dipendono direttamente dalPontefice o da commissari da esso delegati.

IX. - Abbondano anche i conventi di regolarivotati a povertà; il principale, per numero diconviventi, è quello dei Predicatori; vien poiquello dei Minori che ha alle sue dipendenzenove case nel contado: seguono gli Eremitanie i Carmelitani, ed altri diversi Ordini che ri-cettano più di quattrocento religiosi. Tutti vi-vono di elemosina19.

X. - Esistono anche alcuni monasteri didonne votate a povertà tra i quali quello di S.Apollinare, dell'Ordine francescano, si distin-gue per il numero, per la nobiltà, per l'onestae santa vita delle religiose.

Che dirò degli altri Ordini monastici comedei cavalieri di S. Maria, del terzo Ordine degliUmiliati, di quei della Penitenza, che vivon co'

avanti il 1159.19 I quattro Ordini principali stabiliti in Milano prima della nascita di Bonve-

sino sono: i Domenicani venuti nel 1221 a insediarsi nella basilica di S.Eustorgio, i Francescani, venuti pure nel 1221 in un convento, con annessachiesa, da loro fabbricato vicino alla basilica di S. Nabore, poi gli Eremita-ni o Agostiniani che iniziarono nel 1255 la costruzione della loro chiesa diS. Marco e dell'annesso convento, i Carmelitani cui fu assegnato nel 1268un luogo nel borgo degli Ortolani.

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Sette sono, come abbiam detto, le canonichedi quest'Ordine.

VIII. - Non meno di sessanta conventi perentrambi i sessi vi possiede l'Ordine del beatoAgostino, i quali dipendono direttamente dalPontefice o da commissari da esso delegati.

IX. - Abbondano anche i conventi di regolarivotati a povertà; il principale, per numero diconviventi, è quello dei Predicatori; vien poiquello dei Minori che ha alle sue dipendenzenove case nel contado: seguono gli Eremitanie i Carmelitani, ed altri diversi Ordini che ri-cettano più di quattrocento religiosi. Tutti vi-vono di elemosina19.

X. - Esistono anche alcuni monasteri didonne votate a povertà tra i quali quello di S.Apollinare, dell'Ordine francescano, si distin-gue per il numero, per la nobiltà, per l'onestae santa vita delle religiose.

Che dirò degli altri Ordini monastici comedei cavalieri di S. Maria, del terzo Ordine degliUmiliati, di quei della Penitenza, che vivon co'

avanti il 1159.19 I quattro Ordini principali stabiliti in Milano prima della nascita di Bonve-

sino sono: i Domenicani venuti nel 1221 a insediarsi nella basilica di S.Eustorgio, i Francescani, venuti pure nel 1221 in un convento, con annessachiesa, da loro fabbricato vicino alla basilica di S. Nabore, poi gli Eremita-ni o Agostiniani che iniziarono nel 1255 la costruzione della loro chiesa diS. Marco e dell'annesso convento, i Carmelitani cui fu assegnato nel 1268un luogo nel borgo degli Ortolani.

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Page 89: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

propri famigliari e, fra la città e il territorio,contano più di settecento affiliati? Tralascioanche di parlare del numero delle donneascritte a questi Ordini e di tutti gli altri chevestono abito religioso. Dei quali alcuni hannofatto dedizione di sè o dei propri beni a mona-steri, oppure con abito di conversi vi prestanoservizio; altri servono presso le chiese, altri vi-vono da eremiti o da reclusi, assistiti da con-versi, o in qualunque altro modo sono esclusidal ceto dei secolari. Di tutti costoro rinuncioa parlare specificatamente.

XI. - Questo però posso in generale e con si-curezza affermare che, entro la città e fuori,compresi i preti e chierici vestenti l'abito, piùdi diecimila religiosi, escluse le donne, vivonodi pane ambrosiano. Ai loro meriti e alle loropreghiere si deve l'aver Dio salvata la nostracittà da tanti pericoli.

XII. - Questo fiorir di comunità religiose èuna prova evidente della bontà dei cittadini.Ed ora che dirò della enorme popolazione diMilano e del suo contado?

Qui bisognerebbe tacere e lasciare che chi ècapace di contarla la conti. Ma io, perdonate-melo, qualche cosa vo' dire, giacché, secondoun mio calcolo (che molti asseriscono essereesatto), più di settecentomila bocche d'ambo i

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propri famigliari e, fra la città e il territorio,contano più di settecento affiliati? Tralascioanche di parlare del numero delle donneascritte a questi Ordini e di tutti gli altri chevestono abito religioso. Dei quali alcuni hannofatto dedizione di sè o dei propri beni a mona-steri, oppure con abito di conversi vi prestanoservizio; altri servono presso le chiese, altri vi-vono da eremiti o da reclusi, assistiti da con-versi, o in qualunque altro modo sono esclusidal ceto dei secolari. Di tutti costoro rinuncioa parlare specificatamente.

XI. - Questo però posso in generale e con si-curezza affermare che, entro la città e fuori,compresi i preti e chierici vestenti l'abito, piùdi diecimila religiosi, escluse le donne, vivonodi pane ambrosiano. Ai loro meriti e alle loropreghiere si deve l'aver Dio salvata la nostracittà da tanti pericoli.

XII. - Questo fiorir di comunità religiose èuna prova evidente della bontà dei cittadini.Ed ora che dirò della enorme popolazione diMilano e del suo contado?

Qui bisognerebbe tacere e lasciare che chi ècapace di contarla la conti. Ma io, perdonate-melo, qualche cosa vo' dire, giacché, secondoun mio calcolo (che molti asseriscono essereesatto), più di settecentomila bocche d'ambo i

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Page 90: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

sessi, contando anche i bambini, vivono sullasuperficie dell'ambrosiana terra cui Dio largi-sce ogni giorno (e pare un miracolo) ambro-siani alimenti.

XIII. Non sarà giusto il mio calcolo quandosolo nella popolosissima città son centoquin-dici parrocchie tra le quali ve n'ha sicurissi-mamente alcune che noverano più di cinque-cento Famiglie, ed altre che ne comprendonocirca mille?

XIV. - Del resto, ripeto, chi vuol contarequante bocche umane popolano sì grande cit-tà, lo faccia. E quando avrà esaurito il contoritengo per certo ne avrà trovate più di dugen-tomila giacché diligenti investigazioni hannoprovato che nella sola città si consumano,comprese le tempora, più di mille e dugentomoggia di grano come attestano gli esattoridei tributi pagati dai mulini sul grano maci-nato.

XV. - Chi vuol conoscere il numero dei com-battenti in tempo di guerra sappia che in Mi-lano vivon più di quarantamila persone atte amaneggiar contro il nemico la lancia o la spa-da.

XVI. - Se volete sapere quanti cavalieri lanostra città può mettere in campo, vi dirò cheda essa e dal contado si potrebbero levare, a

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sessi, contando anche i bambini, vivono sullasuperficie dell'ambrosiana terra cui Dio largi-sce ogni giorno (e pare un miracolo) ambro-siani alimenti.

XIII. Non sarà giusto il mio calcolo quandosolo nella popolosissima città son centoquin-dici parrocchie tra le quali ve n'ha sicurissi-mamente alcune che noverano più di cinque-cento Famiglie, ed altre che ne comprendonocirca mille?

XIV. - Del resto, ripeto, chi vuol contarequante bocche umane popolano sì grande cit-tà, lo faccia. E quando avrà esaurito il contoritengo per certo ne avrà trovate più di dugen-tomila giacché diligenti investigazioni hannoprovato che nella sola città si consumano,comprese le tempora, più di mille e dugentomoggia di grano come attestano gli esattoridei tributi pagati dai mulini sul grano maci-nato.

XV. - Chi vuol conoscere il numero dei com-battenti in tempo di guerra sappia che in Mi-lano vivon più di quarantamila persone atte amaneggiar contro il nemico la lancia o la spa-da.

XVI. - Se volete sapere quanti cavalieri lanostra città può mettere in campo, vi dirò cheda essa e dal contado si potrebbero levare, a

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Page 91: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

un ordine del Comune, diecimila cavalli attialla guerra.

Ed ora, affinché la verità di quanto ho finqui affermato risulti evidente anche per altravia addurrò nuovi argomenti.

XVII. - Vivono nella sola città centoventidottori in ambe le leggi il cui Collegio, e pernumero e per sapienza, non si creda abbiapari nel mondo. Sempre essi son disposti adar consigli ai litiganti, e volentieri accettanoricompense in denaro.

XVIII. - Più di millecinquecento sono i nota-ri, e moltissimi sono ottimi estensori di con-tratti.

XIX. I messi del Comune, volgarmente dettiservitori, sono sicuramente seicento.

XX. - Il Comune mantiene sei tubatori prin-cipali, uomini egregi ed onorevoli, che, adonore della loro grande città, tengon cavalli econducono vita decorosa al pari dei nobili. Perla loro abilità si distinguono da tutti i tubatoridel mondo. Non si è mai, in tutto il mondo,sentita una fanfara così terribile e così appro-priata al tumulto della guerra come la loro, laquale esprime ad un tempo la grandezza ed ilvalore della nostra città.

XXI. - I medici, volgarmente detti fisici,sono ventotto.

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un ordine del Comune, diecimila cavalli attialla guerra.

Ed ora, affinché la verità di quanto ho finqui affermato risulti evidente anche per altravia addurrò nuovi argomenti.

XVII. - Vivono nella sola città centoventidottori in ambe le leggi il cui Collegio, e pernumero e per sapienza, non si creda abbiapari nel mondo. Sempre essi son disposti adar consigli ai litiganti, e volentieri accettanoricompense in denaro.

XVIII. - Più di millecinquecento sono i nota-ri, e moltissimi sono ottimi estensori di con-tratti.

XIX. I messi del Comune, volgarmente dettiservitori, sono sicuramente seicento.

XX. - Il Comune mantiene sei tubatori prin-cipali, uomini egregi ed onorevoli, che, adonore della loro grande città, tengon cavalli econducono vita decorosa al pari dei nobili. Perla loro abilità si distinguono da tutti i tubatoridel mondo. Non si è mai, in tutto il mondo,sentita una fanfara così terribile e così appro-priata al tumulto della guerra come la loro, laquale esprime ad un tempo la grandezza ed ilvalore della nostra città.

XXI. - I medici, volgarmente detti fisici,sono ventotto.

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Page 92: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

XXII.- I chirurghi, di varie specialità, più dicentocinquanta, dei quali molti, già essendoeccellenti medici, hanno appresa, la chirurgiaper antica tradizione di famiglia, e non si cre-de abbiano pari nelle altre città della Lombar-dia.

XXIII. - Otto sono i professori di grammaticae ciascuno ha sotto di sè una copiosa scolare-sca; e insegnano con grande studio e diligen-za; e superano (io stesso l'ho verificato) i mae-stri di altre città.

XXIV. - Ai quattordici espertissimi maestridi canto ambrosiano si deve se tanti chierici sitrovano nella nostra città.

XXV. - Più di settanta i maestri elementari.XXVI. - I copisti, quantunque in Milano non

esista una Università degli studi, superano iquaranta, e, trascrivendo ogni giorno libri col-le loro mani, si guadagnan la vita.

XXVII. - Trecento forni, come si sa dai regi-stri del Comune, cuociono in città il pane peril pubblico. Molti altri, credo più di cento,sono riservati ai monaci ed ai religiosi d'amboi sessi.

XXVIII. - Le botteghe dove si vende al minu-to un numero infinito di mercanzie sono certopiù di mille.

XXIX. - I macellai ammontano a più di

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XXII.- I chirurghi, di varie specialità, più dicentocinquanta, dei quali molti, già essendoeccellenti medici, hanno appresa, la chirurgiaper antica tradizione di famiglia, e non si cre-de abbiano pari nelle altre città della Lombar-dia.

XXIII. - Otto sono i professori di grammaticae ciascuno ha sotto di sè una copiosa scolare-sca; e insegnano con grande studio e diligen-za; e superano (io stesso l'ho verificato) i mae-stri di altre città.

XXIV. - Ai quattordici espertissimi maestridi canto ambrosiano si deve se tanti chierici sitrovano nella nostra città.

XXV. - Più di settanta i maestri elementari.XXVI. - I copisti, quantunque in Milano non

esista una Università degli studi, superano iquaranta, e, trascrivendo ogni giorno libri col-le loro mani, si guadagnan la vita.

XXVII. - Trecento forni, come si sa dai regi-stri del Comune, cuociono in città il pane peril pubblico. Molti altri, credo più di cento,sono riservati ai monaci ed ai religiosi d'amboi sessi.

XXVIII. - Le botteghe dove si vende al minu-to un numero infinito di mercanzie sono certopiù di mille.

XXIX. - I macellai ammontano a più di

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quattrocentoquaranta e ne' loro macelli sivendono copiosamente ottime carni d'ogni ge-nere di quadrupedi, conforme ai nostri gusti.

XXX. - Più di diciotto pescatori pescanoogni giorno nei laghi del nostro contado ognigenere di pesci, trote, dentici, capitoni, tinche,temoli, anguille, lamprede, granchi, infineogni qualità di pesce grosso e minuto; più disessanta pescan ne' fiumi; coloro poi che por-tarono alla città il pesce delle infinite acquecorrenti assicurano di essere più di quattro-cento.

XXXI. - Oltre centocinquanta sono gli alber-gatori.

XXXII. - Circa ottanta i maniscalchi, e que-sto numero dà un'idea della frequenza di ca-valli e cavalieri. Non starò a dirvi quanti sianoi fabbricanti di selle, di freni, di sproni e distaffe.

XXXIII. - Sono in Milano più di trenta fondi-tori di quelle campanelle dal suono dolce chesi appendono al collo dei cavalli, e non so chesi fabbrichino altrove, e ognuno ha sotto di sèmolti operai.

Credo che farei stupire i lettori se volessidescrivere il numero degli artefici d'ogni gene-re, dei tessitori di lana, di lino, di cotone e ditela, dei calzolai, dei lavoranti in pellami, dei

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quattrocentoquaranta e ne' loro macelli sivendono copiosamente ottime carni d'ogni ge-nere di quadrupedi, conforme ai nostri gusti.

XXX. - Più di diciotto pescatori pescanoogni giorno nei laghi del nostro contado ognigenere di pesci, trote, dentici, capitoni, tinche,temoli, anguille, lamprede, granchi, infineogni qualità di pesce grosso e minuto; più disessanta pescan ne' fiumi; coloro poi che por-tarono alla città il pesce delle infinite acquecorrenti assicurano di essere più di quattro-cento.

XXXI. - Oltre centocinquanta sono gli alber-gatori.

XXXII. - Circa ottanta i maniscalchi, e que-sto numero dà un'idea della frequenza di ca-valli e cavalieri. Non starò a dirvi quanti sianoi fabbricanti di selle, di freni, di sproni e distaffe.

XXXIII. - Sono in Milano più di trenta fondi-tori di quelle campanelle dal suono dolce chesi appendono al collo dei cavalli, e non so chesi fabbrichino altrove, e ognuno ha sotto di sèmolti operai.

Credo che farei stupire i lettori se volessidescrivere il numero degli artefici d'ogni gene-re, dei tessitori di lana, di lino, di cotone e ditela, dei calzolai, dei lavoranti in pellami, dei

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Page 94: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

sarti, dei fabbri d'ogni maniera; se volessi par-lar dei mercanti che percorrono pe' loro negoziogni regione del mondo e prendono parte rag-guardevole in tutte le fiere, e de' rivenditori, edei venditori all'incanto. Son queste cose tan-to note fra noi che basta averle accennate, ebastano a far comprendere la densità dellapopolazione e la folla dei forestieri accorrentialla nostra città20.

20 Il commercio milanese era già a questo tempo d'una attività sorprendente.I mercanti milanesi, e lombardi in genere, frequentavano, desiderati e ri-spettati, le principali città e le più cospicue fiere d'Europa. Documenti ciparlano della loro frequenza alle famosissime fiere di Champagne e diBrie, le quali decaddero quando essi le disertarono per preferire quellaLione. Nei principali centri commerciali stranieri tenevano loro rappresen-tanze. Documenti di questo periodo bonvesiniano menzionano, per esem-pio, un Alberto Medici, rappresentante, o Console, dei negozianti milanesialla fiera di Nîmes, nel 1277, e un Ruggero Casati, nel 1288, proprionell'anno in cui Bonvesino scriveva.La Corporazione dei nostri mercanti è tra le più antiche, se

non forse la più antica d'Italia; se ne ha notizia fin dal 1159, eprobabilmente erano organizzati anche prima. Essa ebbe unaparte preponderante nel promuovere la costruzione di grandistrade attraverso le Alpi. Quando Bonvesino scriveva era dapoco aperta, grazie specialmente all'attività dei milanesi che nefurono i principali organizzatori, la via del Sempione e resa sicu-ra ai nostri traffici da trattati colle Autorità del Vallese.

Della fama dei mercanti milanesi nelle grandi città europeerestano traccie anche oggi: una delle principali strade della Citya Londra conserva ancora il nome di Lombard Street; ad Ulma ètuttora una casa, chiamata in dem Mailand, una a Colonia e det-ta Meilan, e così sono appellate due a Basilea.

Per maggiori notizie su questo argomento vedi il mio volumecitato alla nota 6.

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sarti, dei fabbri d'ogni maniera; se volessi par-lar dei mercanti che percorrono pe' loro negoziogni regione del mondo e prendono parte rag-guardevole in tutte le fiere, e de' rivenditori, edei venditori all'incanto. Son queste cose tan-to note fra noi che basta averle accennate, ebastano a far comprendere la densità dellapopolazione e la folla dei forestieri accorrentialla nostra città20.

20 Il commercio milanese era già a questo tempo d'una attività sorprendente.I mercanti milanesi, e lombardi in genere, frequentavano, desiderati e ri-spettati, le principali città e le più cospicue fiere d'Europa. Documenti ciparlano della loro frequenza alle famosissime fiere di Champagne e diBrie, le quali decaddero quando essi le disertarono per preferire quellaLione. Nei principali centri commerciali stranieri tenevano loro rappresen-tanze. Documenti di questo periodo bonvesiniano menzionano, per esem-pio, un Alberto Medici, rappresentante, o Console, dei negozianti milanesialla fiera di Nîmes, nel 1277, e un Ruggero Casati, nel 1288, proprionell'anno in cui Bonvesino scriveva.La Corporazione dei nostri mercanti è tra le più antiche, se

non forse la più antica d'Italia; se ne ha notizia fin dal 1159, eprobabilmente erano organizzati anche prima. Essa ebbe unaparte preponderante nel promuovere la costruzione di grandistrade attraverso le Alpi. Quando Bonvesino scriveva era dapoco aperta, grazie specialmente all'attività dei milanesi che nefurono i principali organizzatori, la via del Sempione e resa sicu-ra ai nostri traffici da trattati colle Autorità del Vallese.

Della fama dei mercanti milanesi nelle grandi città europeerestano traccie anche oggi: una delle principali strade della Citya Londra conserva ancora il nome di Lombard Street; ad Ulma ètuttora una casa, chiamata in dem Mailand, una a Colonia e det-ta Meilan, e così sono appellate due a Basilea.

Per maggiori notizie su questo argomento vedi il mio volumecitato alla nota 6.

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Page 95: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

XXXIV. - Neppur vo' parlare delle diverseclassi che popolano il contado: quanti vi siannobili, di insigne prosapia, quanti dottori nellevarie arti, quanti medici, mercanti, agricoltorie artefici d'ogni genere: lo immagini chi può.Dirò una cosa sola, pur tacendo le altre: che,tanto nella città quanto nel contado, son mol-tissimi uomini d'alta nobiltà de' quali unagran parte chiamansi valvassori da valvae(porte), giacchè, quando gli Imperatori romanisi trovavano a dimorare nel pretorio ambro-siano, era proprio della dignità loro il far daportieri nella Curia imperiale. Altri, di maggiornobiltà, si chiamano Capitani, da capo, dac-chè eran capi delle pievi21. Oltre a, questi dueOrdini, altri molti ne esistono di nobili stirpi.Chi vuol meglio rendersi ragione della veritàsappia che fra i nobili della città e del contadove n'ha più di cento che allevano per loro sva-go astori e falconi. Innumerevoli sono poi glisparvieri riservati alla caccia22.21 A queste strane etimologie non è da prestar fede. I Capitani e i Valvassori

nulla hanno che fare col mondo romano; sono dignità feudali e quindid'origine germanica. I Capitani erano feudatari maggiori, che ricevevano ilfeudo o dal Re o da grandi dignitari; i Valvassori erano feudatari di gradoinferiore, per lo più vassalli degli altri.

22 La caccia cogli uccelli da rapina ammaestrati era, e fu per lungo tempo, losvago preferito dalla nobiltà milanese. Si comprende come i nobili faces-sero a gara nell'allevare il maggior numero di falconi e d'altri uccelli adatti,anche come ostentazione di lusso giacchè, come asserisce il Fiamma, illoro allevamento, a base di galline e di prelibata selvaggina, era costoso.

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XXXIV. - Neppur vo' parlare delle diverseclassi che popolano il contado: quanti vi siannobili, di insigne prosapia, quanti dottori nellevarie arti, quanti medici, mercanti, agricoltorie artefici d'ogni genere: lo immagini chi può.Dirò una cosa sola, pur tacendo le altre: che,tanto nella città quanto nel contado, son mol-tissimi uomini d'alta nobiltà de' quali unagran parte chiamansi valvassori da valvae(porte), giacchè, quando gli Imperatori romanisi trovavano a dimorare nel pretorio ambro-siano, era proprio della dignità loro il far daportieri nella Curia imperiale. Altri, di maggiornobiltà, si chiamano Capitani, da capo, dac-chè eran capi delle pievi21. Oltre a, questi dueOrdini, altri molti ne esistono di nobili stirpi.Chi vuol meglio rendersi ragione della veritàsappia che fra i nobili della città e del contadove n'ha più di cento che allevano per loro sva-go astori e falconi. Innumerevoli sono poi glisparvieri riservati alla caccia22.21 A queste strane etimologie non è da prestar fede. I Capitani e i Valvassori

nulla hanno che fare col mondo romano; sono dignità feudali e quindid'origine germanica. I Capitani erano feudatari maggiori, che ricevevano ilfeudo o dal Re o da grandi dignitari; i Valvassori erano feudatari di gradoinferiore, per lo più vassalli degli altri.

22 La caccia cogli uccelli da rapina ammaestrati era, e fu per lungo tempo, losvago preferito dalla nobiltà milanese. Si comprende come i nobili faces-sero a gara nell'allevare il maggior numero di falconi e d'altri uccelli adatti,anche come ostentazione di lusso giacchè, come asserisce il Fiamma, illoro allevamento, a base di galline e di prelibata selvaggina, era costoso.

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XXXV. - Prima di chiudere questo capitolodirò che i nostri concittadini come in vita cosìin morte mantengono alto il decoro, e si fannoseppellire con pompa. Fanno di ciò testimo-nianza le più di duemila urne, o di marmo, odi selce, o d'altra pietra, che si trovan nellasola città, così nelle chiese come negli annessicimiteri, urne con coperchi della medesimapietra, tutti d'un pezzo. Ve n'ha parecchie va-lutate oltre venti marche d'argento.

Abbiamo ormai descritto la grandezza di Mi-lano rispetto alla posizione, agli edifici e agliabitanti. Passiamo ora a trattare del resto.

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XXXV. - Prima di chiudere questo capitolodirò che i nostri concittadini come in vita cosìin morte mantengono alto il decoro, e si fannoseppellire con pompa. Fanno di ciò testimo-nianza le più di duemila urne, o di marmo, odi selce, o d'altra pietra, che si trovan nellasola città, così nelle chiese come negli annessicimiteri, urne con coperchi della medesimapietra, tutti d'un pezzo. Ve n'ha parecchie va-lutate oltre venti marche d'argento.

Abbiamo ormai descritto la grandezza di Mi-lano rispetto alla posizione, agli edifici e agliabitanti. Passiamo ora a trattare del resto.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO QUARTO

____

I. Quantità del grano e dei legumi e quantepaia di buoi lavorino i nostri territori. - II.Quantità degli alberi fruttiferi. - III. Quanticarri di ciliegie entrino talora in città, e deglialtri frutti. - IV. In quanti modi si confeziona-no le castagne. - V. Orti e verzieri. - VI. Deiprati e del raccolto del fieno. - VII. Delle vi-gne e del raccolto del vino. - VIII. Utili prodot-ti che si raccolgono presso le vigne. - IX. Del-le selve e de' boschi e della quantità di legnache ogni anno si consuma a Milano. - X. Al-cune facezie. - XI. Dell'abbondanza delle al-tre vettovaglie e prima dell'abbondanza dellecarni e quanti buoi si macellano in città. -XII. Quantità de' gamberi che si mangianosolo in città. - XIII. Quantità dei pesci. Nomide' nostri laghi e fiumi. - XIV. Quanti siano imolini e quante ruote contino. - XV. Degli al-tri fiumi e sorgenti. - XVI. Quantità mirabiledelle nostre acque. Quantità di altri generi; edel sale e del pepe. - XVII. I mercati. - XVIII.Fecondità della razza. - XIX. Abbondanzadei beni spirituali. - XX. Dei santi Barnaba,

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DIVISIONE DEL CAPITOLO QUARTO

____

I. Quantità del grano e dei legumi e quantepaia di buoi lavorino i nostri territori. - II.Quantità degli alberi fruttiferi. - III. Quanticarri di ciliegie entrino talora in città, e deglialtri frutti. - IV. In quanti modi si confeziona-no le castagne. - V. Orti e verzieri. - VI. Deiprati e del raccolto del fieno. - VII. Delle vi-gne e del raccolto del vino. - VIII. Utili prodot-ti che si raccolgono presso le vigne. - IX. Del-le selve e de' boschi e della quantità di legnache ogni anno si consuma a Milano. - X. Al-cune facezie. - XI. Dell'abbondanza delle al-tre vettovaglie e prima dell'abbondanza dellecarni e quanti buoi si macellano in città. -XII. Quantità de' gamberi che si mangianosolo in città. - XIII. Quantità dei pesci. Nomide' nostri laghi e fiumi. - XIV. Quanti siano imolini e quante ruote contino. - XV. Degli al-tri fiumi e sorgenti. - XVI. Quantità mirabiledelle nostre acque. Quantità di altri generi; edel sale e del pepe. - XVII. I mercati. - XVIII.Fecondità della razza. - XIX. Abbondanzadei beni spirituali. - XX. Dei santi Barnaba,

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Page 98: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Anatolone, Gaio e Ambrogio, arcivescovi diMilano. - XXI. Degli arcivescovi e loro succes-sori. - XXII. Dei frati predicatori e minori. -XXIII. Numero del corpi santi.

ELOGIO DI MILANO RIGUARDO ALLA FERTILITÀ EALL'ABBONDANZA D'OGNI GENERE.

L'eccellenza di Milano per la fecondità delterritorio e l'abbondanza d'ogni cosa utile agliuomini appare ormai chiara; ma la vogliospiegare in modo ancor più chiaro.

I. - I nostri fertili territori producono ognisorta di granaglie: grano, segale, miglio, pani-co, onde si intride il paniccio, ed ogni generedi eccellenti legumi da cuocere, fave, ceci, fa-giuoli, lupini, lenticchie, e il tutto in tanta co-pia che non solo basta a supplire al difetto divettovaglie di cui soffre Como23, ma ne avanzada mandare al di là delle alpi. Questa esporta-zione è stata da molti accertata, e nessunopotrà sospettare di essere ingannato quandopensi che più di trentamila paia di buoi sonoimpiegati nella coltivazione dei nostri territori.Si ricavan pure dai campi rape e navoni che

23 Osserva il Novati che l'inopia del territorio di Como doveva essere nelsec. XIII già da gran tempo proverbiale e cita un sonetto di Fazio degliUberti dove la si paragona all'opulenza milanese.

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Anatolone, Gaio e Ambrogio, arcivescovi diMilano. - XXI. Degli arcivescovi e loro succes-sori. - XXII. Dei frati predicatori e minori. -XXIII. Numero del corpi santi.

ELOGIO DI MILANO RIGUARDO ALLA FERTILITÀ EALL'ABBONDANZA D'OGNI GENERE.

L'eccellenza di Milano per la fecondità delterritorio e l'abbondanza d'ogni cosa utile agliuomini appare ormai chiara; ma la vogliospiegare in modo ancor più chiaro.

I. - I nostri fertili territori producono ognisorta di granaglie: grano, segale, miglio, pani-co, onde si intride il paniccio, ed ogni generedi eccellenti legumi da cuocere, fave, ceci, fa-giuoli, lupini, lenticchie, e il tutto in tanta co-pia che non solo basta a supplire al difetto divettovaglie di cui soffre Como23, ma ne avanzada mandare al di là delle alpi. Questa esporta-zione è stata da molti accertata, e nessunopotrà sospettare di essere ingannato quandopensi che più di trentamila paia di buoi sonoimpiegati nella coltivazione dei nostri territori.Si ricavan pure dai campi rape e navoni che

23 Osserva il Novati che l'inopia del territorio di Como doveva essere nelsec. XIII già da gran tempo proverbiale e cita un sonetto di Fazio degliUberti dove la si paragona all'opulenza milanese.

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Page 99: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

offrono un cibo molto utile a ricchi e a poveridurante l'inverno, e si raccoglie un'infinitaquantità di lino.

II - Dai frutteti, dagli orti, dai campi, dallevigne si raccolgono, a seconda delle stagioni,saporitissimi frutti d'ogni natura.

III. - Le ciliegie, così dolci come agiotte, edomestiche e silvestri, sono in tal copia che avolte se ne portano in città più di sessantacarri al giorno, e dalla metà di maggio fin qua-si a quella di luglio si vendono in città a qua-lunque ora. Altrettanto dicasi delle prugnebianche, gialle, scure, amoscine, che in quan-tità infinita son messe in vendita, mature, daiprimi di luglio sino ad ottobre. Quasi nel me-desimo tempo che le prugne, cominciano adapparire abbondanti le pere e le mele estive,le more e i fichi che si chiaman fiori; seguonle nocciuole domestiche, quindi le corne chepiù si confanno alle donne24, le giuggiole e lepèsche abbondantissime, fichi d'ogni qualitàed uve; un po' di mandorle, nocciuole silve-stri; di noci è un'abbondanza incredibile e icittadini, cui piacciono, ne fanno un uso con-tinuo durante tutto l'anno: le impastano tritu-rate con uova e cacio e pepe e ne fanno un ri-

24 È probabilmente questo uno scherzo licenzioso. Di tali bisticci compiace-vasi la letteratura popolare medioevale.

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offrono un cibo molto utile a ricchi e a poveridurante l'inverno, e si raccoglie un'infinitaquantità di lino.

II - Dai frutteti, dagli orti, dai campi, dallevigne si raccolgono, a seconda delle stagioni,saporitissimi frutti d'ogni natura.

III. - Le ciliegie, così dolci come agiotte, edomestiche e silvestri, sono in tal copia che avolte se ne portano in città più di sessantacarri al giorno, e dalla metà di maggio fin qua-si a quella di luglio si vendono in città a qua-lunque ora. Altrettanto dicasi delle prugnebianche, gialle, scure, amoscine, che in quan-tità infinita son messe in vendita, mature, daiprimi di luglio sino ad ottobre. Quasi nel me-desimo tempo che le prugne, cominciano adapparire abbondanti le pere e le mele estive,le more e i fichi che si chiaman fiori; seguonle nocciuole domestiche, quindi le corne chepiù si confanno alle donne24, le giuggiole e lepèsche abbondantissime, fichi d'ogni qualitàed uve; un po' di mandorle, nocciuole silve-stri; di noci è un'abbondanza incredibile e icittadini, cui piacciono, ne fanno un uso con-tinuo durante tutto l'anno: le impastano tritu-rate con uova e cacio e pepe e ne fanno un ri-

24 È probabilmente questo uno scherzo licenzioso. Di tali bisticci compiace-vasi la letteratura popolare medioevale.

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Page 100: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

pieno per le carni durante l'inverno; ne trag-gono un olio molto adoperato fra noi. Quinditornan le mele e le pere invernali, e le melecotogne di cui per tutto l'inverno ed oltre si ci-bano i nostri cittadini. E vengon le mele gra-nate buone per gli ammalati. Si raccolgonouve d'ogni qualità che son mature verso lametà di luglio e si vendono sino ai primi di di-cembre.

IV. - E ci son le castagne comuni e quellenobili, dette marroni, abbondantissime in tut-to l'anno, sufficienti ai cittadini e ai forestieri.

Le nostre famiglie le mangiano cucinate indiverse maniere: le fanno arrostire verdi sulfuoco por mangiarle in fin di tavola in luogo didatteri, e, così fatte, hanno, secondo me, unsapore più gradito dei datteri stessi; le fancuocere lesse e molti così le mangiano a cuc-chiaiate; oppure, così cotte, le fanno asciuga-re e le mangiano molto spesso in luogo delpane. Disseccate prima al sole e poi cotte afuoco lento, si danno agli ammalati.

In novembre compare una grande quantitàdi nespole, che spiacciono ai biscazzieri rovi-nati25. In parecchi luoghi del nostro territorio25 Nei componimenti popolari o giullareschi, che Bonvesino probabilmente

conosceva, torna sovente il motivo della nespola come cibo gradito ai si-gnori e odioso alla povera gente. In uno di questi cantari è detta "nimicadei ribaldi".

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pieno per le carni durante l'inverno; ne trag-gono un olio molto adoperato fra noi. Quinditornan le mele e le pere invernali, e le melecotogne di cui per tutto l'inverno ed oltre si ci-bano i nostri cittadini. E vengon le mele gra-nate buone per gli ammalati. Si raccolgonouve d'ogni qualità che son mature verso lametà di luglio e si vendono sino ai primi di di-cembre.

IV. - E ci son le castagne comuni e quellenobili, dette marroni, abbondantissime in tut-to l'anno, sufficienti ai cittadini e ai forestieri.

Le nostre famiglie le mangiano cucinate indiverse maniere: le fanno arrostire verdi sulfuoco por mangiarle in fin di tavola in luogo didatteri, e, così fatte, hanno, secondo me, unsapore più gradito dei datteri stessi; le fancuocere lesse e molti così le mangiano a cuc-chiaiate; oppure, così cotte, le fanno asciuga-re e le mangiano molto spesso in luogo delpane. Disseccate prima al sole e poi cotte afuoco lento, si danno agli ammalati.

In novembre compare una grande quantitàdi nespole, che spiacciono ai biscazzieri rovi-nati25. In parecchi luoghi del nostro territorio25 Nei componimenti popolari o giullareschi, che Bonvesino probabilmente

conosceva, torna sovente il motivo della nespola come cibo gradito ai si-gnori e odioso alla povera gente. In uno di questi cantari è detta "nimicadei ribaldi".

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Page 101: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

si raccoglie pure una discreta quantità di oli-ve; e si raccolgon bacche di lauro che col vinocaldo son buone per curare il mal di ventre.

Vi sono anche altre qualità di frutta, ma ba-sti quanto ho detto.

La nostra terra non produce datteri, nèpepe nè altri generi oltremarini; il che non midispiace giacchè questa roba non nasce senon in luoghi aridi e infuocati.

V. - Gli orti danno, a seconda delle stagioni,copiosi e svariati legumi, cioè, cavoli d'ogniqualità, bietole, lattughe, atrepici, sedani, spi-naci, prezzemolo, finocchio, aneto, cerfoglio,anice, nepitella, zucche d'ogni genere, d'orto esilvestri, aglio, porri, pastinace comuni, alfa-neria che è una specie di pastinaca della cuiradice si fa un ottimo e sano composto26; bor-raggine, senape, croco, liquerizia, erba cetri-na, peplide, papaveri, marrobbio, malvavi-schio, anagallide, o consolido più grande,enula, ruta, dragontea, latticrepolo (scorzone-ra) o enula spinosa che un po' triturata, fattacuocere e bevuta col vino, si dice sia ottimamedicina pel mal di ventre; issopo, che guari-sce le infiammazioni di petto, e molte altre

26 Di questa alfaneria il Novati non ha potuto trovar notizie negli scrittoriantichi, e pensa si tratti d'un errore di trascrizione che abbia così travisatoraphanos agria degli antichi.

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si raccoglie pure una discreta quantità di oli-ve; e si raccolgon bacche di lauro che col vinocaldo son buone per curare il mal di ventre.

Vi sono anche altre qualità di frutta, ma ba-sti quanto ho detto.

La nostra terra non produce datteri, nèpepe nè altri generi oltremarini; il che non midispiace giacchè questa roba non nasce senon in luoghi aridi e infuocati.

V. - Gli orti danno, a seconda delle stagioni,copiosi e svariati legumi, cioè, cavoli d'ogniqualità, bietole, lattughe, atrepici, sedani, spi-naci, prezzemolo, finocchio, aneto, cerfoglio,anice, nepitella, zucche d'ogni genere, d'orto esilvestri, aglio, porri, pastinace comuni, alfa-neria che è una specie di pastinaca della cuiradice si fa un ottimo e sano composto26; bor-raggine, senape, croco, liquerizia, erba cetri-na, peplide, papaveri, marrobbio, malvavi-schio, anagallide, o consolido più grande,enula, ruta, dragontea, latticrepolo (scorzone-ra) o enula spinosa che un po' triturata, fattacuocere e bevuta col vino, si dice sia ottimamedicina pel mal di ventre; issopo, che guari-sce le infiammazioni di petto, e molte altre

26 Di questa alfaneria il Novati non ha potuto trovar notizie negli scrittoriantichi, e pensa si tratti d'un errore di trascrizione che abbia così travisatoraphanos agria degli antichi.

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Page 102: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

erbe medicinali. Anche salvia, menta, basilico,santoreggia, maggiorana e altre erbe odorose.Nei giardini tra l'erbe e il trifoglio sboccianoviole, rose ed altri fiori che dilettano la vista esolleticano l'odorato: fra gli altri la viola mam-mola, nunzia della primavera, diverse qualitàdi rose, la malva marina, gli occhi di Cristo ealtri fiori variopinti. Vi abbonda la fragola dalbianco fiore e dal rosso frutto così gradita alnostro palato.

VI. - I prati irrigati da infiniti fiumi e ruscellifecondatori offrono fieno eccellente, e oltreogni credere copioso, a buoi, giumenti, cavalli,pecore e ad ogni altro genere di bestiame. Perdarne una prova porto un esempio che sem-brerà incredibile: il solo convento di Chiara-valle raccoglie ogni anno dalle sue prateriepiù di tremila carri di fieno, gli stessi monacime lo hanno assicurato. Un'altra cosa sem-brerà incredibile, ma, poichè risponde al vero,secondo le affermazioni di quegli stessi mona-ci, la voglio dire: nel contado di Milano sontanti prati da fornire ogni anno più di dugen-tomila carri; e, poichè di questo fieno si pa-scono buoi, cavalli, muli ed asini, ma non cer-to uomini nè cani, chi potrà mai immaginarel'infinito numero di quei quadrupedi? Nè disolo fieno si cibano, bensì son condotti a pa-

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erbe medicinali. Anche salvia, menta, basilico,santoreggia, maggiorana e altre erbe odorose.Nei giardini tra l'erbe e il trifoglio sboccianoviole, rose ed altri fiori che dilettano la vista esolleticano l'odorato: fra gli altri la viola mam-mola, nunzia della primavera, diverse qualitàdi rose, la malva marina, gli occhi di Cristo ealtri fiori variopinti. Vi abbonda la fragola dalbianco fiore e dal rosso frutto così gradita alnostro palato.

VI. - I prati irrigati da infiniti fiumi e ruscellifecondatori offrono fieno eccellente, e oltreogni credere copioso, a buoi, giumenti, cavalli,pecore e ad ogni altro genere di bestiame. Perdarne una prova porto un esempio che sem-brerà incredibile: il solo convento di Chiara-valle raccoglie ogni anno dalle sue prateriepiù di tremila carri di fieno, gli stessi monacime lo hanno assicurato. Un'altra cosa sem-brerà incredibile, ma, poichè risponde al vero,secondo le affermazioni di quegli stessi mona-ci, la voglio dire: nel contado di Milano sontanti prati da fornire ogni anno più di dugen-tomila carri; e, poichè di questo fieno si pa-scono buoi, cavalli, muli ed asini, ma non cer-to uomini nè cani, chi potrà mai immaginarel'infinito numero di quei quadrupedi? Nè disolo fieno si cibano, bensì son condotti a pa-

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scolare fra erbe fronde, gambi d'orzo, rape edaltro. Le ville poi nutrono bestie da ingrasso ealimentano copiosamente le mense cittadinedi latte, uova, miele ed altro ben di Dio. Forni-scono anche molta lana ordinaria: quella finasi fa venire da fuori27.

VII. - Le vigne numerose producono vinisvariati, sì dolci che aspri; vini salubri, sapo-riti, chiaretti, bianchi, gialli, rosei o colord'oro, e in tale abbondanza che una sola fami-glia può ogni anno raccoglierne più di millecarri, altre più di cinquecento, altre più dicento.

Anche questo parrà incredibile che nel con-tado di Milano, negli anni buoni, si imbottanopiù di seicentomila carri di vino: così assicu-rano parecchi che, fatte diligenti indagini,sono convinti di non sbagliare. Vi sono moltecittà, ne son sicuro, nei cui territori tutte leviti insieme anzichè produrre le vinaccie ondesi preme il nostro vino, non sarebbero in gra-do di dare neppur quello di cui si ubbriacanoi nostri beoni.

VIII. - E si noti che dalle nostre vigne si ri-cavano in un sol tempo, e in abbondanza,27 L'Italia non produceva lane fine, ma le importava dalla Germania e

dall'Inghilterra. In Lombardia questo commercio si faceva su larga scala,forse fin dal tempo in cui scriveva Bonvesino, certo nei primi decenni delsecolo XIV, della famiglia comasca dei Segazoni.

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scolare fra erbe fronde, gambi d'orzo, rape edaltro. Le ville poi nutrono bestie da ingrasso ealimentano copiosamente le mense cittadinedi latte, uova, miele ed altro ben di Dio. Forni-scono anche molta lana ordinaria: quella finasi fa venire da fuori27.

VII. - Le vigne numerose producono vinisvariati, sì dolci che aspri; vini salubri, sapo-riti, chiaretti, bianchi, gialli, rosei o colord'oro, e in tale abbondanza che una sola fami-glia può ogni anno raccoglierne più di millecarri, altre più di cinquecento, altre più dicento.

Anche questo parrà incredibile che nel con-tado di Milano, negli anni buoni, si imbottanopiù di seicentomila carri di vino: così assicu-rano parecchi che, fatte diligenti indagini,sono convinti di non sbagliare. Vi sono moltecittà, ne son sicuro, nei cui territori tutte leviti insieme anzichè produrre le vinaccie ondesi preme il nostro vino, non sarebbero in gra-do di dare neppur quello di cui si ubbriacanoi nostri beoni.

VIII. - E si noti che dalle nostre vigne si ri-cavano in un sol tempo, e in abbondanza,27 L'Italia non produceva lane fine, ma le importava dalla Germania e

dall'Inghilterra. In Lombardia questo commercio si faceva su larga scala,forse fin dal tempo in cui scriveva Bonvesino, certo nei primi decenni delsecolo XIV, della famiglia comasca dei Segazoni.

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quattro prodotti utili agli uomini: primo ilvino, secondo gli svariati frutti degli alberi aiquali vengono addossate le viti; terzo la legnada ardere che si raccoglie ogni anno colla po-tatura delle viti e degli alberi; quarto, il granoed altri cereali utili al nostro nutrimento chenascono sotto le viti e le piante.

IX. - Le selve, i boschi e le rive dei fiumiproducono legna di rovere per costruzioni eper molti altri usi, e legna da ardere in tantaabbondanza che, solo in città, se ne brucianoogni anno più di centocinquantamila carri.

X.28 - Vo' dire una cosa che, agli intelligentisembrerà un miracolo: l'olio, e anche quelloche abusivamente dicesi composito, in qual-che parte de' nostri campi si creano sopra lefave. Inoltre sotto i trepiedi e i piatti nasconole tovaglie e le portate di più qualità sopra lestesse tovaglie. Abbondante nasce l'olio colcui aiuto d'inverno si filan le tovaglie nel fuso,si riducon quindi nell'arcolaio, poi nel gomito-lo, quindi si tessono. Di tale verità io son per-suaso, quantunque sembri vagare per anfibo-

28 Per non sopprimere nulla del testo di Bonvesino ho tradotto anche questefacezie anfibologiche, quantunque io non le abbia capite, come non le hacapite il Novati, e sia persuaso che altri difficilmente potrà capirle. Era dimoda, a quel tempo, fra i grammatici di rallegrare ogni tanto i lettori conqualche facezia, anche scurrile. E Bonvesino sembra esservisi una voltatanto uniformato.

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quattro prodotti utili agli uomini: primo ilvino, secondo gli svariati frutti degli alberi aiquali vengono addossate le viti; terzo la legnada ardere che si raccoglie ogni anno colla po-tatura delle viti e degli alberi; quarto, il granoed altri cereali utili al nostro nutrimento chenascono sotto le viti e le piante.

IX. - Le selve, i boschi e le rive dei fiumiproducono legna di rovere per costruzioni eper molti altri usi, e legna da ardere in tantaabbondanza che, solo in città, se ne brucianoogni anno più di centocinquantamila carri.

X.28 - Vo' dire una cosa che, agli intelligentisembrerà un miracolo: l'olio, e anche quelloche abusivamente dicesi composito, in qual-che parte de' nostri campi si creano sopra lefave. Inoltre sotto i trepiedi e i piatti nasconole tovaglie e le portate di più qualità sopra lestesse tovaglie. Abbondante nasce l'olio colcui aiuto d'inverno si filan le tovaglie nel fuso,si riducon quindi nell'arcolaio, poi nel gomito-lo, quindi si tessono. Di tale verità io son per-suaso, quantunque sembri vagare per anfibo-

28 Per non sopprimere nulla del testo di Bonvesino ho tradotto anche questefacezie anfibologiche, quantunque io non le abbia capite, come non le hacapite il Novati, e sia persuaso che altri difficilmente potrà capirle. Era dimoda, a quel tempo, fra i grammatici di rallegrare ogni tanto i lettori conqualche facezia, anche scurrile. E Bonvesino sembra esservisi una voltatanto uniformato.

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logiche latèbre. Ho scritto così perchè i ciechinon vedan nulla e i perspicaci, ben rifletten-do, capiscano.

XI. - Affluiscono a Milano, come a un ricet-tacolo di tutti i beni temporali, pane, vino esaporite carni d'ogni qualità. Secondo un ac-curato calcolo da me fatto col concorso di al-cuni macellai, in ciascuno dei giorni in cui èpermesso ai cristiani mangiar di grasso si am-mazzano, nella sola città, settanta buoi.

Quanti maiali, quante pecore, quanti arietie agnelli e capretti e quadrupedi d'altro gene-re, o selvatici o domestici, ogni dì si sgozzinoio lo dirò a chi mi saprà contare il numerodelle foglie e dei fili d'erba. Abbondano ottimecarni di bipedi silvestri o domestici, capponi,galline, oche, anatre, pavoni, colombe, fagia-ni, ornici29, tortore, anatre selvatiche30, allodo-le, pernici, coturni, merli, che soddisfano amensa il nostro appetito.

XII. - Abbondano e miele e cera e latte egiuncate, e ricotte e burro e formaggio eduova. Abbondano in modo incredibile i gam-beri; i pescatori stessi, fatti esattissimi calcoli,dichiarano che, dalla quaresima a San Marti-29 Ornices: specie di uccelli che non saprei bene identificare. Forse coturni-

ci, o gallinacci.30 Il testo dice fiscedule, parola che non trovo nei glossari. Intendeva forse

indicare l'anatra guerguedula, detta in toscano fischione.

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logiche latèbre. Ho scritto così perchè i ciechinon vedan nulla e i perspicaci, ben rifletten-do, capiscano.

XI. - Affluiscono a Milano, come a un ricet-tacolo di tutti i beni temporali, pane, vino esaporite carni d'ogni qualità. Secondo un ac-curato calcolo da me fatto col concorso di al-cuni macellai, in ciascuno dei giorni in cui èpermesso ai cristiani mangiar di grasso si am-mazzano, nella sola città, settanta buoi.

Quanti maiali, quante pecore, quanti arietie agnelli e capretti e quadrupedi d'altro gene-re, o selvatici o domestici, ogni dì si sgozzinoio lo dirò a chi mi saprà contare il numerodelle foglie e dei fili d'erba. Abbondano ottimecarni di bipedi silvestri o domestici, capponi,galline, oche, anatre, pavoni, colombe, fagia-ni, ornici29, tortore, anatre selvatiche30, allodo-le, pernici, coturni, merli, che soddisfano amensa il nostro appetito.

XII. - Abbondano e miele e cera e latte egiuncate, e ricotte e burro e formaggio eduova. Abbondano in modo incredibile i gam-beri; i pescatori stessi, fatti esattissimi calcoli,dichiarano che, dalla quaresima a San Marti-29 Ornices: specie di uccelli che non saprei bene identificare. Forse coturni-

ci, o gallinacci.30 Il testo dice fiscedule, parola che non trovo nei glossari. Intendeva forse

indicare l'anatra guerguedula, detta in toscano fischione.

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no, se ne mangiano ogni giorno in Milano piùdi sette moggia, e perchè nessuno rimanga indubbio circa la portata del moggio, sappia cheesso da noi vale otto staia e corrisponde alpeso d'un uomo di grossa corporatura31.

XIII. - Aggiungi i pesci d'ogni genere che ciforniscono i seguenti laghi e fiumi del conta-do32: il lago Maggiore coi molti fiumi che nederivano, i laghi di Biandronno, di Bobbiate33,di Galliate, di Sartirano34, di Cadrezzate35, diLugano, di Cannobbio, di Monte Orfano36, di

31 Il moggio milanese per gli aridi era di otto staia, litri 146,234.32 Elencando i laghi, Bonvesino, preoccupato di amplificare le ricchezze del

milanese, ha tenuto conto anche di qualche stagno; e così per fiumi intendeanche le roggie e infimi corsi d'acqua. Inoltre, per questa stessa preoccupa-zione, non si appaga di citare una sola volta i due grandi laghi Maggiore edi Como, ma ne indica a parte varie porzioni come se si trattasse di altret-tanti laghi: così nomina un lago di Cannobio, uno di Garlate e uno di Man-dello che son parte il primo del Verbano, i due ultimi del Lario. Il Novati siè assunto la fatica di identificare i nomi di questo elenco che spesso appa-iono travisati nel manoscritto; e alle sue note attingiamo.

33 Non c'è un lago di Bobbiate: da questa terra, posta sur una collina, si do-mina il lago di Varese, che Bonvesino non menziona altrimenti. E può dar-si che a questo alluda.

34 È piuttosto uno stagno limaccioso vicino al paesello di Sartirana pressoBrivio, in Brianza.

35 Il testo dice "Caprizate" che farebbe pensare a Capriate d'Adda; ma vicinoa questo paese non è mai stato un lago. È più probabile si tratti di Cadrez-zate, nel mandamento d'Angera, situato sulla riva del piccolo lago di Mo-nate.

36 In provincia di Como. Il vicino paese porta ancora questo nome.

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no, se ne mangiano ogni giorno in Milano piùdi sette moggia, e perchè nessuno rimanga indubbio circa la portata del moggio, sappia cheesso da noi vale otto staia e corrisponde alpeso d'un uomo di grossa corporatura31.

XIII. - Aggiungi i pesci d'ogni genere che ciforniscono i seguenti laghi e fiumi del conta-do32: il lago Maggiore coi molti fiumi che nederivano, i laghi di Biandronno, di Bobbiate33,di Galliate, di Sartirano34, di Cadrezzate35, diLugano, di Cannobbio, di Monte Orfano36, di

31 Il moggio milanese per gli aridi era di otto staia, litri 146,234.32 Elencando i laghi, Bonvesino, preoccupato di amplificare le ricchezze del

milanese, ha tenuto conto anche di qualche stagno; e così per fiumi intendeanche le roggie e infimi corsi d'acqua. Inoltre, per questa stessa preoccupa-zione, non si appaga di citare una sola volta i due grandi laghi Maggiore edi Como, ma ne indica a parte varie porzioni come se si trattasse di altret-tanti laghi: così nomina un lago di Cannobio, uno di Garlate e uno di Man-dello che son parte il primo del Verbano, i due ultimi del Lario. Il Novati siè assunto la fatica di identificare i nomi di questo elenco che spesso appa-iono travisati nel manoscritto; e alle sue note attingiamo.

33 Non c'è un lago di Bobbiate: da questa terra, posta sur una collina, si do-mina il lago di Varese, che Bonvesino non menziona altrimenti. E può dar-si che a questo alluda.

34 È piuttosto uno stagno limaccioso vicino al paesello di Sartirana pressoBrivio, in Brianza.

35 Il testo dice "Caprizate" che farebbe pensare a Capriate d'Adda; ma vicinoa questo paese non è mai stato un lago. È più probabile si tratti di Cadrez-zate, nel mandamento d'Angera, situato sulla riva del piccolo lago di Mo-nate.

36 In provincia di Como. Il vicino paese porta ancora questo nome.

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Alserio37, di Pusiano, di Mairaga38, il lago diAnnone e quello di Santa Brigida39, da ciascu-no dei quali esce un fiume. Inoltre i laghi diSegrino, di Mandello, di Lecco. Da tutti que-sti, e da' loro fiumi, vengon pesci, in quaresi-ma, ad arricchire le nostre mense.

Ed ecco i nomi de' fiumi: Adda, Lambro,Spàrzola40, Muzza, Andamen,41, Molgora, Coi-rono42, Bevera, fiume di Cantone43, di Sartira-na, di S. Muzio44, di Lisigerolo45, fossato di Mi-lano, Trono46, Nirone, Vettabia, Ristocano [ilfontanile Ristocco], Olona, Olonella, Rifreddo,

37 Il testo dice lago "de Conserio" e non par dubbio si tratti di quello di Al-serio, altrimenti non menzionato. Conserio è tuttavia una terricciuola oggiscomparsa, che esisteva però al sec. XVII, onde al tempo di Bonvesino sisarà denominato il lago.

38 Non vi son laghi di questo nome. Presso il lago del Segrino, vicino a Can-zo, è il villaggio di Mariaga; e presso il lago di Pusiano è la cascina Maria-ga, di cui si trova menzione anche nel sec. XIV: "cassine de Mayraga"; ilNovati si domanda se all'uno o all'altro di questi laghi alluda l'autore. Macomunque sarebbe una ripetizione perchè li nomina entrambi.

39 Santa Brigida è un villaggio nella valle Averara in provincia di Bergamo,ma non ha vicino alcun lago. La valle è invece bagnata dal torrente Stabi-na.

40 Può essere la roggia Spazzola presso Lambrate.41 Non s'è trovata notizia di questo Andamen che probabilmente sarà stato

una roggia.42 Novati avverte che l'unica notizia da lui trovata di questo «Coironus» è in

un privilegio concesso da Federigo I ai pavesi, del 7 dicembre 1191.43 Nel territorio milanese non si trovano acque di questo nome. Solo in pro-

vincia di Bergamo è un Cantone sulla sinistra del Brembo.44 Neppur il Novati ha potuto identificarlo.45 E nemmen questo.46 Idem.

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Alserio37, di Pusiano, di Mairaga38, il lago diAnnone e quello di Santa Brigida39, da ciascu-no dei quali esce un fiume. Inoltre i laghi diSegrino, di Mandello, di Lecco. Da tutti que-sti, e da' loro fiumi, vengon pesci, in quaresi-ma, ad arricchire le nostre mense.

Ed ecco i nomi de' fiumi: Adda, Lambro,Spàrzola40, Muzza, Andamen,41, Molgora, Coi-rono42, Bevera, fiume di Cantone43, di Sartira-na, di S. Muzio44, di Lisigerolo45, fossato di Mi-lano, Trono46, Nirone, Vettabia, Ristocano [ilfontanile Ristocco], Olona, Olonella, Rifreddo,

37 Il testo dice lago "de Conserio" e non par dubbio si tratti di quello di Al-serio, altrimenti non menzionato. Conserio è tuttavia una terricciuola oggiscomparsa, che esisteva però al sec. XVII, onde al tempo di Bonvesino sisarà denominato il lago.

38 Non vi son laghi di questo nome. Presso il lago del Segrino, vicino a Can-zo, è il villaggio di Mariaga; e presso il lago di Pusiano è la cascina Maria-ga, di cui si trova menzione anche nel sec. XIV: "cassine de Mayraga"; ilNovati si domanda se all'uno o all'altro di questi laghi alluda l'autore. Macomunque sarebbe una ripetizione perchè li nomina entrambi.

39 Santa Brigida è un villaggio nella valle Averara in provincia di Bergamo,ma non ha vicino alcun lago. La valle è invece bagnata dal torrente Stabi-na.

40 Può essere la roggia Spazzola presso Lambrate.41 Non s'è trovata notizia di questo Andamen che probabilmente sarà stato

una roggia.42 Novati avverte che l'unica notizia da lui trovata di questo «Coironus» è in

un privilegio concesso da Federigo I ai pavesi, del 7 dicembre 1191.43 Nel territorio milanese non si trovano acque di questo nome. Solo in pro-

vincia di Bergamo è un Cantone sulla sinistra del Brembo.44 Neppur il Novati ha potuto identificarlo.45 E nemmen questo.46 Idem.

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Rifrigidetto47, Mischia, Lambro merdario [me-ridionale], fiume di Consiglio maggiore48, fiu-me della valle di Megiano49, Ticino, Ticinello50,Arno51, Marongia52, Strona, Oncia53, fiume diTravedona, di Ganimella54, fiume della valle diGemonio55, della valle di Cuvio, di Fromedo-na56, di Anza57, di Tresa, di Travaglia, dellavalle di Marchirolo, di Vall'Asca, di Liscate58,

47 Corso d'acqua che prese il nome da un villaggio detto "Rivo frigido" lun-go la via da Milano a Bergamo, scomparso. il Rifrigidetto sarà stato un ca-nale derivato da quello.

48 Forse il Liro che passa vicino al villaggio di Consiglio di Rumo nei montidi Gravedona.

49 Non potuto identificare.50 Il canale cominciato a derivare dal Ticino a Tornavento nel 1179 e condot-

to, in un primo stadio di lavori, fin presso Abbiategrasso. Ripreso nel 1257e condotto, per Gaggiano, a Milano. Oggi chiamato il Naviglio Grande.

51 Torrente che nasce dai monti del Varesotto e va a finire nella brughiera diGallarate.

52 Sarà il torrente Val Mara che scende dai monti della Val d'Intelvi; il nomebonvesiniano Marongia richiama il paese di Maroggia sulla riva destra dellago di Lugano.

53 Non potuto identificare.54 Idem.55 Dal paese di Gemonio presso Cuvio (Varese). Affluente del lago maggio-

re.56 Questo nome potrebb'essere uno storpiamento di Gravedona, la cittadina

lariana presso alla quale sbocca nel lago un torrente.57 Il Novati pensa al torrente Agno donde nel medioevo la valle si chiamava

Agnasca, ora Val d'Agno. O potrebb'essere un errore del copista per Verza-sca, valle percorsa da un torrente che si getta nel lago maggiore.

58 Il testo dice Lisca. Ricordando la caratteristica del dialetto milanese chetronca in à la desinenza ate dei nomi di luogo, Bollà, Novà, Osmà, ecc.,credo che possa trattarsi di Liscate, paese presso Melzo, menzionato nellecarte medioevali. Novati avanza pure l'ipotesi che si tratti d'un errore perLisia o Lixia = Lesa, capoluogo del Vergante, ma mi par meno probabile.

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Rifrigidetto47, Mischia, Lambro merdario [me-ridionale], fiume di Consiglio maggiore48, fiu-me della valle di Megiano49, Ticino, Ticinello50,Arno51, Marongia52, Strona, Oncia53, fiume diTravedona, di Ganimella54, fiume della valle diGemonio55, della valle di Cuvio, di Fromedo-na56, di Anza57, di Tresa, di Travaglia, dellavalle di Marchirolo, di Vall'Asca, di Liscate58,

47 Corso d'acqua che prese il nome da un villaggio detto "Rivo frigido" lun-go la via da Milano a Bergamo, scomparso. il Rifrigidetto sarà stato un ca-nale derivato da quello.

48 Forse il Liro che passa vicino al villaggio di Consiglio di Rumo nei montidi Gravedona.

49 Non potuto identificare.50 Il canale cominciato a derivare dal Ticino a Tornavento nel 1179 e condot-

to, in un primo stadio di lavori, fin presso Abbiategrasso. Ripreso nel 1257e condotto, per Gaggiano, a Milano. Oggi chiamato il Naviglio Grande.

51 Torrente che nasce dai monti del Varesotto e va a finire nella brughiera diGallarate.

52 Sarà il torrente Val Mara che scende dai monti della Val d'Intelvi; il nomebonvesiniano Marongia richiama il paese di Maroggia sulla riva destra dellago di Lugano.

53 Non potuto identificare.54 Idem.55 Dal paese di Gemonio presso Cuvio (Varese). Affluente del lago maggio-

re.56 Questo nome potrebb'essere uno storpiamento di Gravedona, la cittadina

lariana presso alla quale sbocca nel lago un torrente.57 Il Novati pensa al torrente Agno donde nel medioevo la valle si chiamava

Agnasca, ora Val d'Agno. O potrebb'essere un errore del copista per Verza-sca, valle percorsa da un torrente che si getta nel lago maggiore.

58 Il testo dice Lisca. Ricordando la caratteristica del dialetto milanese chetronca in à la desinenza ate dei nomi di luogo, Bollà, Novà, Osmà, ecc.,credo che possa trattarsi di Liscate, paese presso Melzo, menzionato nellecarte medioevali. Novati avanza pure l'ipotesi che si tratti d'un errore perLisia o Lixia = Lesa, capoluogo del Vergante, ma mi par meno probabile.

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di Bienate59, di Cunasino60, Senaqua61, fiumedi Anza, di Benca62, di Barasso63, Scairana64 emolti altri ricchi di pesci e gamberi.

La quantità dei pesci ho saputo da personeche sicuramente sono in grado di conoscere ilvero: esse dicono che più di quattro some dipesci grossi freschi e più di quattro staia dipiccoli si portano ogni giorno, feriale o festivo,in città e sappiate che per soma si intende ilpeso che può portare un cavallo od un mulo.

XIV. - I suddetti fiumi non danno solo pescie [coll'irrigazione] abbondante fieno, ma coiloro novecento e più mulini che contano [oltretremila ruote], alimentano non solo gli ambro-siani... ma anche più di centomila...65.

59 Il testo dice Biana. Per la suddetta regione accetterei, senza le riserve delNovati, l'identificazione di questo Biana con Bienate, a cui dialettalmentebene risponde, e Bianà si legge negli Statuti del 1346. Bonvesino avrà vo-luto indicare qualche torrentello passante per di là.

60 Non potuto identificare.61 Potrebb'essere uno dei torrentelli che raccolgono le acque delle Groane

nel territorio di Senago presso Bollate.62 Non potute identificare.63 Accanto a Barasso passa la Guisa che va nel lago di Varese.64 Una località Scairana si trova in Brianza vicino a Canzo. Ma, quanto ad

acque, non è inverosimile l'identificazione colla Scarena, un corso d'acquaoggi ignoto, ma menzionato insieme col nostro Nirone in un documentodel 1275 pubblicato dall'Osio.

65 Qui son lacune nel testo. Quale ne sia il contenuto si può ricavare, comeha fatto il Novati, dagli estratti che ne dà Galvano Fiamma nelle sue Cro-nache, e dai riassunti di alcuni capitoli esistenti in un codice della Bibliote-ca Ambrosiana, gli uni e gli altri dipendenti da manoscritti differenti, oggiperduti. Si sa così da queste fonti che a tremila ammontavano le ruote dei

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di Bienate59, di Cunasino60, Senaqua61, fiumedi Anza, di Benca62, di Barasso63, Scairana64 emolti altri ricchi di pesci e gamberi.

La quantità dei pesci ho saputo da personeche sicuramente sono in grado di conoscere ilvero: esse dicono che più di quattro some dipesci grossi freschi e più di quattro staia dipiccoli si portano ogni giorno, feriale o festivo,in città e sappiate che per soma si intende ilpeso che può portare un cavallo od un mulo.

XIV. - I suddetti fiumi non danno solo pescie [coll'irrigazione] abbondante fieno, ma coiloro novecento e più mulini che contano [oltretremila ruote], alimentano non solo gli ambro-siani... ma anche più di centomila...65.

59 Il testo dice Biana. Per la suddetta regione accetterei, senza le riserve delNovati, l'identificazione di questo Biana con Bienate, a cui dialettalmentebene risponde, e Bianà si legge negli Statuti del 1346. Bonvesino avrà vo-luto indicare qualche torrentello passante per di là.

60 Non potuto identificare.61 Potrebb'essere uno dei torrentelli che raccolgono le acque delle Groane

nel territorio di Senago presso Bollate.62 Non potute identificare.63 Accanto a Barasso passa la Guisa che va nel lago di Varese.64 Una località Scairana si trova in Brianza vicino a Canzo. Ma, quanto ad

acque, non è inverosimile l'identificazione colla Scarena, un corso d'acquaoggi ignoto, ma menzionato insieme col nostro Nirone in un documentodel 1275 pubblicato dall'Osio.

65 Qui son lacune nel testo. Quale ne sia il contenuto si può ricavare, comeha fatto il Novati, dagli estratti che ne dà Galvano Fiamma nelle sue Cro-nache, e dai riassunti di alcuni capitoli esistenti in un codice della Bibliote-ca Ambrosiana, gli uni e gli altri dipendenti da manoscritti differenti, oggiperduti. Si sa così da queste fonti che a tremila ammontavano le ruote dei

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È noto che una sola ruota di mulino diconopossa macinare ogni giorno tanto grano dadar pane abbondante a quattrocento bocche.Faccia quindi il conto chi vuol sapere a quan-te bocche ambrosiane Nostro Signor GesùCristo largisce il pane quotidiano.

Sono senza dubbio in Italia molte città dovegli abitanti d'ambo i sessi non consumanotanto pane quanto se ne divora a Milano daisoli cani66. E qui bisogna ricordare che i sud-detti mulini non basterebbero se molti nonmangiassero castagne, panico e fagiuoli inluogo di pane. E non crediate che i molini e leruote di cui ho parlato siano tutti: ve ne sonomolti altri de' quali non mi è possibile accerta-re il numero.

XV. - Oltre i già nominati esistono molti al-tri fiumi e ruscelli; ma non so dire quanti sia-no.

XVI. - La fecondità delle nostre acque e del-la nostra terra è tanta che se, per modo didire, in qualche parte del nostro territorio siformasse un nuovo lago con acque nuove, lo

novecento molini, che ogni giorno si consumavano mille e duecento mog-gia di farina, che le bestie da soma impiegate a trasportare dalla campagnain città la farina erano più di seimila.

66 Galvano Fiamma accenna a statistiche di cani in Milano e dice che n'era-no stati contati 6149 i quali divoravano giornalmente più pane che tutti in-sieme i cittadini di Lodi.

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È noto che una sola ruota di mulino diconopossa macinare ogni giorno tanto grano dadar pane abbondante a quattrocento bocche.Faccia quindi il conto chi vuol sapere a quan-te bocche ambrosiane Nostro Signor GesùCristo largisce il pane quotidiano.

Sono senza dubbio in Italia molte città dovegli abitanti d'ambo i sessi non consumanotanto pane quanto se ne divora a Milano daisoli cani66. E qui bisogna ricordare che i sud-detti mulini non basterebbero se molti nonmangiassero castagne, panico e fagiuoli inluogo di pane. E non crediate che i molini e leruote di cui ho parlato siano tutti: ve ne sonomolti altri de' quali non mi è possibile accerta-re il numero.

XV. - Oltre i già nominati esistono molti al-tri fiumi e ruscelli; ma non so dire quanti sia-no.

XVI. - La fecondità delle nostre acque e del-la nostra terra è tanta che se, per modo didire, in qualche parte del nostro territorio siformasse un nuovo lago con acque nuove, lo

novecento molini, che ogni giorno si consumavano mille e duecento mog-gia di farina, che le bestie da soma impiegate a trasportare dalla campagnain città la farina erano più di seimila.

66 Galvano Fiamma accenna a statistiche di cani in Milano e dice che n'era-no stati contati 6149 i quali divoravano giornalmente più pane che tutti in-sieme i cittadini di Lodi.

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si vedrebbe, cosa invero miracolosa, lo si ve-drebbe in poco tempo popolarsi da sè di pesci.Si portano poi da lontano pesci in salamoia didiverse qualità. Si portano lane, lino, seta, co-tone e panni preziosi d'ogni genere. I mercantiimportano pure sale, pepe e altre spezie oltre-marine e gran copia di tutte le merci atte asoddisfare o il bisogno o il piacere degli uomi-ni. E la nostra fortunatissima città, quasi for-masse per sè un mondo separato dall'orbe, di-stribuisce questa roba ad altre città vicine elontane.

Quanto al sale, i dazieri incaricati di riscuo-terne il tributo, fatte diligenti indagini, assicu-rano che se ne portano in Milano ogni annocirca cinquantacinquemilaottocentotrentastaia delle quali circa una metà rimane dentrole mura a condir le vivande dei cittadini. Laquantità di pepe che si consuma da noi è in-calcolabile, ma si dice, e comunemente si cre-de, che Milano ne consumi continuamentetanto quanto due città insieme al di qua delmare67.67 Il sale veniva da Venezia, colla quale Milano aveva convenzioni speciali

per questo commercio. Il più antico trattato tra il Comune di Milano equella repubblica, a noi noto, è del 1268, abbastanza recente quando Bon-vesino scriveva. Il pepe, caro e ricercatissimo, formò la delizia dei palatimedioevali. Rappresentava una vera ricchezza e teneva talora persinol'ufficio di moneta. Era infatti costume nel medioevo di assicurarsi permezzo dei propri fittabili o livellari la provvista di quelle derrate e di quel-

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si vedrebbe, cosa invero miracolosa, lo si ve-drebbe in poco tempo popolarsi da sè di pesci.Si portano poi da lontano pesci in salamoia didiverse qualità. Si portano lane, lino, seta, co-tone e panni preziosi d'ogni genere. I mercantiimportano pure sale, pepe e altre spezie oltre-marine e gran copia di tutte le merci atte asoddisfare o il bisogno o il piacere degli uomi-ni. E la nostra fortunatissima città, quasi for-masse per sè un mondo separato dall'orbe, di-stribuisce questa roba ad altre città vicine elontane.

Quanto al sale, i dazieri incaricati di riscuo-terne il tributo, fatte diligenti indagini, assicu-rano che se ne portano in Milano ogni annocirca cinquantacinquemilaottocentotrentastaia delle quali circa una metà rimane dentrole mura a condir le vivande dei cittadini. Laquantità di pepe che si consuma da noi è in-calcolabile, ma si dice, e comunemente si cre-de, che Milano ne consumi continuamentetanto quanto due città insieme al di qua delmare67.67 Il sale veniva da Venezia, colla quale Milano aveva convenzioni speciali

per questo commercio. Il più antico trattato tra il Comune di Milano equella repubblica, a noi noto, è del 1268, abbastanza recente quando Bon-vesino scriveva. Il pepe, caro e ricercatissimo, formò la delizia dei palatimedioevali. Rappresentava una vera ricchezza e teneva talora persinol'ufficio di moneta. Era infatti costume nel medioevo di assicurarsi permezzo dei propri fittabili o livellari la provvista di quelle derrate e di quel-

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XVII. - In Milano si tengono ogni anno quat-tro mercati generali: il dì dell'ordinazione delbeato Ambrogio; il dì di S. Lorenzo; quellodell'Ascensione di Maria Vergine e quello di S.Bartolomeo: ad essi conviene una folla incal-colabile di venditori e di compratori. Si tengo-no poi altri mercati in diverse parti della cittàdue volte la settimana, il venerdì e il sabato.Del resto, quello che più conta, ogni giorno,non in luoghi determinati, ma in tutte le piaz-ze si vendono clamorosamente quasi tutte lecose necessarie alla vita. Molte fiere si tengo-no ogni anno, in giorni fissi, nei borghi e nelleville del contado. In parecchi luoghi si tengo-no fiere settimanali con grande concorso dimercanti e di popolo. È perciò chiaro che nel-la nostra città chi è fornito di quattrini viveottimamente, avendo sotto mano tutto quantopuò desiderare.

XVIII. - Ma è anche chiaro che qui qualun-que uomo sano, che non sia un buono a nul-

le merci delle quali meno agevole poteva rendersi l'acquisto sul luogo diconsumo. Tra queste erano il pepe e l'incenso, spezie che venivano dal Le-vante; e così, per esempio, nel marzo del 1134 il monastero di S. Gallo fa-ceva una concessione livellaria a Guido Visconti di Milano, col patto chequesti gli corrispondesse ogni anno, a titolo di censo, un marco e mezzod'argento, 12 libbre di pepe e 12 d'incenso. E nel 1313 una signora milane-se dava in affitto livellario a un Airoldi una casa pel canone annuo di L. 15e sei once di piperata, la quale era una miscela di pepe, zafferano e altrespezie, allora in gran voga.

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XVII. - In Milano si tengono ogni anno quat-tro mercati generali: il dì dell'ordinazione delbeato Ambrogio; il dì di S. Lorenzo; quellodell'Ascensione di Maria Vergine e quello di S.Bartolomeo: ad essi conviene una folla incal-colabile di venditori e di compratori. Si tengo-no poi altri mercati in diverse parti della cittàdue volte la settimana, il venerdì e il sabato.Del resto, quello che più conta, ogni giorno,non in luoghi determinati, ma in tutte le piaz-ze si vendono clamorosamente quasi tutte lecose necessarie alla vita. Molte fiere si tengo-no ogni anno, in giorni fissi, nei borghi e nelleville del contado. In parecchi luoghi si tengo-no fiere settimanali con grande concorso dimercanti e di popolo. È perciò chiaro che nel-la nostra città chi è fornito di quattrini viveottimamente, avendo sotto mano tutto quantopuò desiderare.

XVIII. - Ma è anche chiaro che qui qualun-que uomo sano, che non sia un buono a nul-

le merci delle quali meno agevole poteva rendersi l'acquisto sul luogo diconsumo. Tra queste erano il pepe e l'incenso, spezie che venivano dal Le-vante; e così, per esempio, nel marzo del 1134 il monastero di S. Gallo fa-ceva una concessione livellaria a Guido Visconti di Milano, col patto chequesti gli corrispondesse ogni anno, a titolo di censo, un marco e mezzod'argento, 12 libbre di pepe e 12 d'incenso. E nel 1313 una signora milane-se dava in affitto livellario a un Airoldi una casa pel canone annuo di L. 15e sei once di piperata, la quale era una miscela di pepe, zafferano e altrespezie, allora in gran voga.

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Page 113: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

la, può vivere bene e col decoro adeguato allasua condizione.

Si noti ancora che qui da noi, come abbon-dano tutti i beni temporali, così prospera lapopolazione. Bisogna vedere nei giorni di festala folla di nobili e di popolani che vanno aspasso, i chiassosi crocchi di fanciulli correntisenza posa di qua e di là, i gruppi di matronee di fanciulle, ornate come figlie di re, chepasseggiano o si trattengono a conversare da-vanti alle porte delle case. Chi può dire d'avertrovato al di qua o al di là del mare una gentealtrettanto amabile?

XIX. - Ma non meno dei beni temporali labontà dell'Onnipotente ci fu prodiga degli spi-rituali.

XX. - Che debbo dire? da un buon principioun buon seguito e un buon fine nel Signore. Evalga il vero. L'apostolo Barnaba somministròper primo la medicina spirituale a questa ter-ra e primo gettò il seme de' frutti spirituali.Barnaba, venuto, per divino volere, a Milanotredici anni dopo la passione del nostro Salva-tore, occupò pel primo la cattedra vescovile, latenne per sette anni e convertì i milanesi allareligione di Cristo. Quindi insediò al suo po-sto il beato Anatalone col grado di arcivesco-vo, conferendogli egli stesso la giurisdizione

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la, può vivere bene e col decoro adeguato allasua condizione.

Si noti ancora che qui da noi, come abbon-dano tutti i beni temporali, così prospera lapopolazione. Bisogna vedere nei giorni di festala folla di nobili e di popolani che vanno aspasso, i chiassosi crocchi di fanciulli correntisenza posa di qua e di là, i gruppi di matronee di fanciulle, ornate come figlie di re, chepasseggiano o si trattengono a conversare da-vanti alle porte delle case. Chi può dire d'avertrovato al di qua o al di là del mare una gentealtrettanto amabile?

XIX. - Ma non meno dei beni temporali labontà dell'Onnipotente ci fu prodiga degli spi-rituali.

XX. - Che debbo dire? da un buon principioun buon seguito e un buon fine nel Signore. Evalga il vero. L'apostolo Barnaba somministròper primo la medicina spirituale a questa ter-ra e primo gettò il seme de' frutti spirituali.Barnaba, venuto, per divino volere, a Milanotredici anni dopo la passione del nostro Salva-tore, occupò pel primo la cattedra vescovile, latenne per sette anni e convertì i milanesi allareligione di Cristo. Quindi insediò al suo po-sto il beato Anatalone col grado di arcivesco-vo, conferendogli egli stesso la giurisdizione

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Page 114: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

metropolitana; al quale successe il beatoGajo. Seguiron poi gli altri colle medesime di-gnità, fra i quali il beato Ambrogio, sommodottore della Chiesa, che fu, per divina Provvi-denza, il dodicesimo arcivescovo, nominatonell'anno 355 del Signore68. Questo grandePastore, con mirabile energia, purgò la cittàdalla perfidia degli Ariani.

XXI. - Seguirono fino ad oggi novantaduearcivescovi, tutti uomini d'impareggiabile bon-tà e sapienza, secondo l'ordine esposto nellaloro Cronaca69. La divina Provvidenza ha così,dalle origini fino ad ora, ottimamente provve-duto ai bisogni di questa terra.

XXII. - La medesima Provvidenza ha altresì,fin da quel tempo, condotti in Milano gli Ordi-ni dei predicatori e dei minori, che sono i dueprincipali luminari della fede cattolica, dome-nicani, francescani e anche molti frati deglialtri Ordini che ogni giorno, predicando, addi-tano le vie della salute, purgano la città dalleeresie, rinsaldano la fede cattolica nel cuoredel popolo, lo confortano coll'esempio e ne ac-crescono sempre la devozione. Che s'ha a dire

68 Qui Bonvesino non è esatto. La elezione di Ambrogio, secondo la data co-munemente accettata, è da porre al 374 anzichè al 355.

69 Allude ad uno degli antichi cataloghi dei Vescovi milanesi, che il Novaticrede di poter identificare nel celebre Codice di Beroldo, conservatonell'Archivio del Capitolo della Metropolitana.

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metropolitana; al quale successe il beatoGajo. Seguiron poi gli altri colle medesime di-gnità, fra i quali il beato Ambrogio, sommodottore della Chiesa, che fu, per divina Provvi-denza, il dodicesimo arcivescovo, nominatonell'anno 355 del Signore68. Questo grandePastore, con mirabile energia, purgò la cittàdalla perfidia degli Ariani.

XXI. - Seguirono fino ad oggi novantaduearcivescovi, tutti uomini d'impareggiabile bon-tà e sapienza, secondo l'ordine esposto nellaloro Cronaca69. La divina Provvidenza ha così,dalle origini fino ad ora, ottimamente provve-duto ai bisogni di questa terra.

XXII. - La medesima Provvidenza ha altresì,fin da quel tempo, condotti in Milano gli Ordi-ni dei predicatori e dei minori, che sono i dueprincipali luminari della fede cattolica, dome-nicani, francescani e anche molti frati deglialtri Ordini che ogni giorno, predicando, addi-tano le vie della salute, purgano la città dalleeresie, rinsaldano la fede cattolica nel cuoredel popolo, lo confortano coll'esempio e ne ac-crescono sempre la devozione. Che s'ha a dire

68 Qui Bonvesino non è esatto. La elezione di Ambrogio, secondo la data co-munemente accettata, è da porre al 374 anzichè al 355.

69 Allude ad uno degli antichi cataloghi dei Vescovi milanesi, che il Novaticrede di poter identificare nel celebre Codice di Beroldo, conservatonell'Archivio del Capitolo della Metropolitana.

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Page 115: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

di più?XXIII. - Non parlo de' corpi dei santi, i quali,

come assicura il prete Goffredo da Bussero,venerabile cappellano della chiesa di Rodel-lo70, sono, fra città e contado, sessanta. Nonparlo degli infiniti martiri che, sotto Massi-miano ed altri imperatori, subirono qui ilmartirio. Ai loro meriti e alle loro preghiere sideve se la città fu liberata dal dominio di tanticrudeli tiranni. Di ciò abbiamo avute manife-ste prove anche ai nostri giorni.

70 Si riferisce al Liber Notitiae sanctorum di Milano del prete Goffredo daBussero (n. 1220 m. dopo il 1289) dove sono enumerati tutti i santi cheavevano chiese e altari in Milano e nella diocesi, con molte notizie sui me-desimi.

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di più?XXIII. - Non parlo de' corpi dei santi, i quali,

come assicura il prete Goffredo da Bussero,venerabile cappellano della chiesa di Rodel-lo70, sono, fra città e contado, sessanta. Nonparlo degli infiniti martiri che, sotto Massi-miano ed altri imperatori, subirono qui ilmartirio. Ai loro meriti e alle loro preghiere sideve se la città fu liberata dal dominio di tanticrudeli tiranni. Di ciò abbiamo avute manife-ste prove anche ai nostri giorni.

70 Si riferisce al Liber Notitiae sanctorum di Milano del prete Goffredo daBussero (n. 1220 m. dopo il 1289) dove sono enumerati tutti i santi cheavevano chiese e altari in Milano e nella diocesi, con molte notizie sui me-desimi.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO QUINTO

____

I. Quando e da chi fu fondata la città. - II. Del-la presa di Milano e di altre città fatta da At-tila e quante volte fu presa e distrutta Pavia.- III. Della presa di Milano fatta da re Lam-berto; IV. e da re Alboino; V. e dall'imperato-re Federigo I. - VI. In quale anno Federigo di-strusse Milano e della perdita dei tre Magi. -VII. Lamento sulla distruzione di Milano. -VIII. In quale anno rientrò il popolo in città equando cominciò a rifiorire. - IX. Della rottadi Federigo I fra Borsano e Legnano e dellamorte di lui. - X. Gesta de' milanesi contro ipavesi. - XI. Della rotta dell'imperatore Cor-rado che fu detto Conan. - XII. Guerre control'imperatore Federigo II e i suoi fautori. - XIII.Esercito mandato contro di lui presso Cam-porgnano. - XIV. Sua deposizione. - XV. Eser-cito mandatogli contro presso il Ticinello. -XVI. Assedio di Parma da lui fatto, in chemodo e in che anno fa battuto e sua morte. -XVII. Di Uberto della Croce e della sua fi-gliuola. - XVIII. Viviano. - XIX. Fortezzad'animo dei cittadini e saggezza del signor

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DIVISIONE DEL CAPITOLO QUINTO

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I. Quando e da chi fu fondata la città. - II. Del-la presa di Milano e di altre città fatta da At-tila e quante volte fu presa e distrutta Pavia.- III. Della presa di Milano fatta da re Lam-berto; IV. e da re Alboino; V. e dall'imperato-re Federigo I. - VI. In quale anno Federigo di-strusse Milano e della perdita dei tre Magi. -VII. Lamento sulla distruzione di Milano. -VIII. In quale anno rientrò il popolo in città equando cominciò a rifiorire. - IX. Della rottadi Federigo I fra Borsano e Legnano e dellamorte di lui. - X. Gesta de' milanesi contro ipavesi. - XI. Della rotta dell'imperatore Cor-rado che fu detto Conan. - XII. Guerre control'imperatore Federigo II e i suoi fautori. - XIII.Esercito mandato contro di lui presso Cam-porgnano. - XIV. Sua deposizione. - XV. Eser-cito mandatogli contro presso il Ticinello. -XVI. Assedio di Parma da lui fatto, in chemodo e in che anno fa battuto e sua morte. -XVII. Di Uberto della Croce e della sua fi-gliuola. - XVIII. Viviano. - XIX. Fortezzad'animo dei cittadini e saggezza del signor

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Guglielmo Pusterla. - XX. Le armi dei milane-si. - XXI. Numero dei fabbricanti di corazze. -XXII. Varie pitture sugli scudi e sulle bandie-re. - XXIII. La vipera dei Visconti. - XXIV. IlCarroccio del Comune di Milano e sue prero-gative. - XXV. Dei trombettieri.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA FORTEZZA.

I. - Facile sarà, discorrere della fortezza diMilano. Da quando fu fondata dai Galli, cioèdall'anno 502 avanti la Nascita di Cristo, cor-rispondente, come nei libri è scritto, all'anno200 dalla fondazione di Roma, fu moltissimevolte combattuta o colla violenza o coll'ingan-no e, ridotta alla fame e alla disperazione, fupresa talora, come dicono le storie, dai nemicie dovette sopportare inaudite calamità; eppu-re ha sempre opposto ai nemici una virile re-sistenza e ne ha trionfato.

II. - E infatti la nostra valorosa città fu pre-sa dal pessimo Attila, re degli Unni, che, dopolunga guerra, la invase con un immenso eser-cito, nell'anno del Signore 450, e la distrus-se71. Allo stesso modo egli soggiogò Pavia; laquale, sebbene voglia far credere di esseresempre rimasta immune, nell'anno 475, come71 La distruzione di Milano avvenne in realtà nel 452.

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Guglielmo Pusterla. - XX. Le armi dei milane-si. - XXI. Numero dei fabbricanti di corazze. -XXII. Varie pitture sugli scudi e sulle bandie-re. - XXIII. La vipera dei Visconti. - XXIV. IlCarroccio del Comune di Milano e sue prero-gative. - XXV. Dei trombettieri.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA FORTEZZA.

I. - Facile sarà, discorrere della fortezza diMilano. Da quando fu fondata dai Galli, cioèdall'anno 502 avanti la Nascita di Cristo, cor-rispondente, come nei libri è scritto, all'anno200 dalla fondazione di Roma, fu moltissimevolte combattuta o colla violenza o coll'ingan-no e, ridotta alla fame e alla disperazione, fupresa talora, come dicono le storie, dai nemicie dovette sopportare inaudite calamità; eppu-re ha sempre opposto ai nemici una virile re-sistenza e ne ha trionfato.

II. - E infatti la nostra valorosa città fu pre-sa dal pessimo Attila, re degli Unni, che, dopolunga guerra, la invase con un immenso eser-cito, nell'anno del Signore 450, e la distrus-se71. Allo stesso modo egli soggiogò Pavia; laquale, sebbene voglia far credere di esseresempre rimasta immune, nell'anno 475, come71 La distruzione di Milano avvenne in realtà nel 452.

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si legge nelle storie, fu messa a ferro e fuocoda Odoacre, poi un'altra volta dai Goti nel478; una terza volta fu espugnata da re Alboi-no, una quarta da re Carlo, nel 706, unaquinta dall'imperatore Enrico, nel 1001, chela incendiò72. Insomma essa fu sei volte espu-gnata e distrutta.

Nel medesimo tempo il tristissimo Attila oc-cupò Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza equasi tutte le città d'Italia, ma finalmente,così narran le storie, Giano, re di Padova, glife' tagliar la testa; e scontò in questo modo isuoi peccati. Le storie dicono ancora che lanostra città fu tre altre volte in poter dei ne-mici; una volta tuttavia non perchè sopraffat-ta, ma perchè ingannata da una falsa offertadi pace; un'altra volta per difetto di difesa; daultimo perchè stremata dalla mancanza di vi-veri e priva d'ogni speranza di poterne avere.

III. - E cioè: la prima volta fu presa da reLamberto, usurpatore del dominio d'Italia.Egli, nell'anno del Signore 570, col concorsodi tre re e di molti principi tedeschi, infame-mente assediò, per dieci anni, la città con unainfinita moltitudine di barbari. Finalmente,disperando di poterla soggiogare colla forza,

72 Le due date 706 e 1001 non sono esatte. La prima di queste due prese diPavia seguì nel 774 e la seconda nel 1004.

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si legge nelle storie, fu messa a ferro e fuocoda Odoacre, poi un'altra volta dai Goti nel478; una terza volta fu espugnata da re Alboi-no, una quarta da re Carlo, nel 706, unaquinta dall'imperatore Enrico, nel 1001, chela incendiò72. Insomma essa fu sei volte espu-gnata e distrutta.

Nel medesimo tempo il tristissimo Attila oc-cupò Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza equasi tutte le città d'Italia, ma finalmente,così narran le storie, Giano, re di Padova, glife' tagliar la testa; e scontò in questo modo isuoi peccati. Le storie dicono ancora che lanostra città fu tre altre volte in poter dei ne-mici; una volta tuttavia non perchè sopraffat-ta, ma perchè ingannata da una falsa offertadi pace; un'altra volta per difetto di difesa; daultimo perchè stremata dalla mancanza di vi-veri e priva d'ogni speranza di poterne avere.

III. - E cioè: la prima volta fu presa da reLamberto, usurpatore del dominio d'Italia.Egli, nell'anno del Signore 570, col concorsodi tre re e di molti principi tedeschi, infame-mente assediò, per dieci anni, la città con unainfinita moltitudine di barbari. Finalmente,disperando di poterla soggiogare colla forza,

72 Le due date 706 e 1001 non sono esatte. La prima di queste due prese diPavia seguì nel 774 e la seconda nel 1004.

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Page 119: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

conchiuse, dolosamente, coi cittadini unapace fittizia, cioè col patto che i milanesi glipermettessero di transitare per la cittàcoll'esercito. E così entrò nella città e, traditi ipatti, fece sguainare le spade contro i cittadinie distrusse le mura73. Ma anche in questa oc-casione, quantunque ingannati dalla falsitàdel re, i milanesi dimostrarono la loro fortez-za, e Lamberto, per giusto giudizio divino,ebbe la fine che si meritava: mentre dormivafu ammazzato come un cane da un figlio di Il-duino, servo di Dio, e il suo corpo fu dato inpasto agli uccelli.

IV. - Venne poi Alboino, re dei Longobardi,e, non avendo trovata alcuna resistenza per-chè i cittadini erano stati in gran numero uc-cisi da re Lamberto, si impadronì della nostracittà. Ed occupò anche Pavia e molte altre cit-tà. Ma poco dopo la moglie, fattolo massacra-re a tradimento, pose fine al suo furore.

V. - Infine lo scellerato imperatore FederigoI, ribelle alla Chiesa, raccolto, dopo la distru-zione di Spoleto, un grande esercito, tribolòper sette anni i milanesi74.

73 Qui è successa una confusione imputabile al cronista Landolfo al qualeBonvesino, in questo punto, ha attinto. Si trasporta nel sec. VI, poco primadella discesa d'Alboino, l'assedio che Milano soffrì nel sec. IX per opera diLamberto da Spoleto (anno 876).

74 È più esatto dire per nove anni.

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conchiuse, dolosamente, coi cittadini unapace fittizia, cioè col patto che i milanesi glipermettessero di transitare per la cittàcoll'esercito. E così entrò nella città e, traditi ipatti, fece sguainare le spade contro i cittadinie distrusse le mura73. Ma anche in questa oc-casione, quantunque ingannati dalla falsitàdel re, i milanesi dimostrarono la loro fortez-za, e Lamberto, per giusto giudizio divino,ebbe la fine che si meritava: mentre dormivafu ammazzato come un cane da un figlio di Il-duino, servo di Dio, e il suo corpo fu dato inpasto agli uccelli.

IV. - Venne poi Alboino, re dei Longobardi,e, non avendo trovata alcuna resistenza per-chè i cittadini erano stati in gran numero uc-cisi da re Lamberto, si impadronì della nostracittà. Ed occupò anche Pavia e molte altre cit-tà. Ma poco dopo la moglie, fattolo massacra-re a tradimento, pose fine al suo furore.

V. - Infine lo scellerato imperatore FederigoI, ribelle alla Chiesa, raccolto, dopo la distru-zione di Spoleto, un grande esercito, tribolòper sette anni i milanesi74.

73 Qui è successa una confusione imputabile al cronista Landolfo al qualeBonvesino, in questo punto, ha attinto. Si trasporta nel sec. VI, poco primadella discesa d'Alboino, l'assedio che Milano soffrì nel sec. IX per opera diLamberto da Spoleto (anno 876).

74 È più esatto dire per nove anni.

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VI. - Infine accampò presso la città colle suearmate composte di quindicimila cavalli e diun numero infinito di fanti, nelle quali eranorappresentate quasi tutte le città della Lom-bardia, e v'eran toscani mescolati ai tedeschi;v'erano il re di Boemia e moltissimi duchi,marchesi, conti, vescovi e abbati. La città fuda ogni parte circondata. I cittadini, fin chepoterono, accanitamente resistettero, ma lacruda fame, compagna di grandi sciagure, ca-pace di per sè di fiaccare, senz'altra lotta,guerrieri indomiti entro le mura delle fortezze,reclamò la resa. Costretti dalla mancanza divettovaglie, ottenuta da Federigo e da tutti iprincipi del suo seguito la promessa che lacittà non sarebbe distrutta, il primo marzodell'anno 116175 i cittadini si misero nellemani di Dio e dell'imperatore. Ma l'imperatoreinvece atterrò le mura altissime e gli edifici eper cinque anni continui angustiò i cittadini;inoltre, e questa fu per noi la più triste umi-liazione, il vescovo di Colonia ci rapì, permandarli ahimè! nella sua città, i corpi dei treRe Magi che nel 314 il beato Eustorgio avevamiracolosamente portato da Costantinopoli aMilano76. Sì, questa fu proprio la più triste no-

75 Non nel 1161 ma nell'anno seguente.76 Nella chiesa di S. Eustorgio esiste ancora l'urna marmorea che conteneva i

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VI. - Infine accampò presso la città colle suearmate composte di quindicimila cavalli e diun numero infinito di fanti, nelle quali eranorappresentate quasi tutte le città della Lom-bardia, e v'eran toscani mescolati ai tedeschi;v'erano il re di Boemia e moltissimi duchi,marchesi, conti, vescovi e abbati. La città fuda ogni parte circondata. I cittadini, fin chepoterono, accanitamente resistettero, ma lacruda fame, compagna di grandi sciagure, ca-pace di per sè di fiaccare, senz'altra lotta,guerrieri indomiti entro le mura delle fortezze,reclamò la resa. Costretti dalla mancanza divettovaglie, ottenuta da Federigo e da tutti iprincipi del suo seguito la promessa che lacittà non sarebbe distrutta, il primo marzodell'anno 116175 i cittadini si misero nellemani di Dio e dell'imperatore. Ma l'imperatoreinvece atterrò le mura altissime e gli edifici eper cinque anni continui angustiò i cittadini;inoltre, e questa fu per noi la più triste umi-liazione, il vescovo di Colonia ci rapì, permandarli ahimè! nella sua città, i corpi dei treRe Magi che nel 314 il beato Eustorgio avevamiracolosamente portato da Costantinopoli aMilano76. Sì, questa fu proprio la più triste no-

75 Non nel 1161 ma nell'anno seguente.76 Nella chiesa di S. Eustorgio esiste ancora l'urna marmorea che conteneva i

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stra umiliazione, perchè la città fu ricostruttameglio che prima non fosse, ma il tesoro di sìpreziose reliquie è sempre rimasto lontano danoi.

VII. - O Milano, o città insigne, irrorata dalsacro sangue di santi martiri, o Milano che,come leonessa, solevi avere la suprema gloriadi fortezza fra tutte le città della Lombardia,perchè giacesti oppressa in tanto obbrobrio dischiavitù? dove sono le alte e solide mura cheti cingevano? dove le superbe torri? dove leconsuete feste o i decantati trionfi? La tua ar-roganza è ora troncata alle radici. Dimmi, for-se, insuperbita per la tua immensa fama, nonriconoscesti essere la tua grandezza un donodi Gesù Cristo, o furono alcuni tuoi peccatiche indussero il Signore a prostrarti umiliata,oppure non a tua colpa va attribuita la tua di-sgrazia? Ma se questa tua immensa passione,questa tua caduta fossero gli effetti della lottada te valorosamente combattuta, contro i ri-belli della Chiesa, sarebbero per te un tal tito-lo da tramandare ai posteri la fama del tuovalore.

A rendere ancor più evidente la grandezzadella tua virtù valga il ricordo dei seguenti fat-ti.

pretesi corpi dei Re Magi.

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stra umiliazione, perchè la città fu ricostruttameglio che prima non fosse, ma il tesoro di sìpreziose reliquie è sempre rimasto lontano danoi.

VII. - O Milano, o città insigne, irrorata dalsacro sangue di santi martiri, o Milano che,come leonessa, solevi avere la suprema gloriadi fortezza fra tutte le città della Lombardia,perchè giacesti oppressa in tanto obbrobrio dischiavitù? dove sono le alte e solide mura cheti cingevano? dove le superbe torri? dove leconsuete feste o i decantati trionfi? La tua ar-roganza è ora troncata alle radici. Dimmi, for-se, insuperbita per la tua immensa fama, nonriconoscesti essere la tua grandezza un donodi Gesù Cristo, o furono alcuni tuoi peccatiche indussero il Signore a prostrarti umiliata,oppure non a tua colpa va attribuita la tua di-sgrazia? Ma se questa tua immensa passione,questa tua caduta fossero gli effetti della lottada te valorosamente combattuta, contro i ri-belli della Chiesa, sarebbero per te un tal tito-lo da tramandare ai posteri la fama del tuovalore.

A rendere ancor più evidente la grandezzadella tua virtù valga il ricordo dei seguenti fat-ti.

pretesi corpi dei Re Magi.

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VIII. - Liberata dalla schiavitù dopocinqu'anni dalla tua cattura, subito, quasinon avessi sentito gli effetti di tanta strage,cominciasti a rinnovarti, a rifiorire; ti affretta-sti a riordinare le tue milizie; poi, serenamen-te obliando i passati mali, con vigile curaprovvedesti ai bisogni presenti e volgesti secu-ramente lo sguardo all'avvenire. Come la spa-da fabbricata di saldo e puro metallo, se pie-gata con forza, riprende da sè, d'un balzo, lasua posizione naturale, così la città nostra,perchè il suo valore, messo alla prova, più lu-minoso apparisse, si curvò quasi fino a terra,ma, svanita la minaccia dell'imperatore, pernaturale impulso, balzò d'un tratto in piedi. Einfatti l'anno dopo, 1168, ricuperò le terreperdute e le costrinse a giurare obbedienza aisuoi ordini; e, riparate le sue forze, cominciò acombattere aspramente la prepotenza del me-desimo imperatore, e con indomita costanzadifese l'italiana città di Alessandria da luistretta con accanito assedio.

IX. - Nel 1176, il giorno di sabato 29 mag-gio, il medesimo imperatore invaso furiosa-mente col suo esercito il contado di Milano,col proposito di distruggere un'altra volta lacittà, s'accampò a Cairate; ma i milanesi conestremo impeto lo affrontarono tra Borsano e

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VIII. - Liberata dalla schiavitù dopocinqu'anni dalla tua cattura, subito, quasinon avessi sentito gli effetti di tanta strage,cominciasti a rinnovarti, a rifiorire; ti affretta-sti a riordinare le tue milizie; poi, serenamen-te obliando i passati mali, con vigile curaprovvedesti ai bisogni presenti e volgesti secu-ramente lo sguardo all'avvenire. Come la spa-da fabbricata di saldo e puro metallo, se pie-gata con forza, riprende da sè, d'un balzo, lasua posizione naturale, così la città nostra,perchè il suo valore, messo alla prova, più lu-minoso apparisse, si curvò quasi fino a terra,ma, svanita la minaccia dell'imperatore, pernaturale impulso, balzò d'un tratto in piedi. Einfatti l'anno dopo, 1168, ricuperò le terreperdute e le costrinse a giurare obbedienza aisuoi ordini; e, riparate le sue forze, cominciò acombattere aspramente la prepotenza del me-desimo imperatore, e con indomita costanzadifese l'italiana città di Alessandria da luistretta con accanito assedio.

IX. - Nel 1176, il giorno di sabato 29 mag-gio, il medesimo imperatore invaso furiosa-mente col suo esercito il contado di Milano,col proposito di distruggere un'altra volta lacittà, s'accampò a Cairate; ma i milanesi conestremo impeto lo affrontarono tra Borsano e

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Page 123: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Legnano, lo misero in fuga col suo esercitodopo aver uccisi, feriti o fatti prigionieri grannumero di tedeschi o d'alleati. E fu quella unameravigliosa, memoranda lotta. Inoltre, comeraccontano le patrie istorie, con immensa,gloriosa fatica, resistettero a lui e ai suoi fau-tori, dovunque pugnando come leoni77.

L'imperatore finalmente, nell'anno 1192,trovandosi in Armenia, cadde in un fiumiciat-tolo e vi trovò, per giudizio divino, la morte78

X - Narrar tutte le gloriose imprese compiu-te già prima dai milanesi richiederebbe un di-scorso troppo lungo. Basterà esporne breve-mente alcune.

Nel 1109 i milanesi combatterono contro ipavesi quella guerra che oggi chiamasi laguerra di campo79 e li batterono facendo pri-gioniero persino il loro vescovo. E di nuovo libatterono presso Martinengo80 facendo prigio-niera quasi tutta la fanteria. E di nuovo nel1154, a dispetto dei pavesi e dei loro fautoriche combattevano pel trionfo dell'imperatore,riedificaron Tortona da Federico distrutta.77 Qui Bonvesino sbaglia. Dopo la battaglia di Legnano, l'imperatore e i mi-

lanesi non ebbero più a contendere. Furono invece in buona amicizia.78 L'annegamento di Federigo avvenne due anni prima.79 Anche questa data è sbagliata. La battaglia di Campomorto fra milanesi e

pavesi ebbe luogo il 23 o 24 maggio del 1061.80 Questo Martinengo è un'alterazione di «Marcinago», oggi Marcignano,

dove fu combattuta questa battaglia nel 1132.

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Legnano, lo misero in fuga col suo esercitodopo aver uccisi, feriti o fatti prigionieri grannumero di tedeschi o d'alleati. E fu quella unameravigliosa, memoranda lotta. Inoltre, comeraccontano le patrie istorie, con immensa,gloriosa fatica, resistettero a lui e ai suoi fau-tori, dovunque pugnando come leoni77.

L'imperatore finalmente, nell'anno 1192,trovandosi in Armenia, cadde in un fiumiciat-tolo e vi trovò, per giudizio divino, la morte78

X - Narrar tutte le gloriose imprese compiu-te già prima dai milanesi richiederebbe un di-scorso troppo lungo. Basterà esporne breve-mente alcune.

Nel 1109 i milanesi combatterono contro ipavesi quella guerra che oggi chiamasi laguerra di campo79 e li batterono facendo pri-gioniero persino il loro vescovo. E di nuovo libatterono presso Martinengo80 facendo prigio-niera quasi tutta la fanteria. E di nuovo nel1154, a dispetto dei pavesi e dei loro fautoriche combattevano pel trionfo dell'imperatore,riedificaron Tortona da Federico distrutta.77 Qui Bonvesino sbaglia. Dopo la battaglia di Legnano, l'imperatore e i mi-

lanesi non ebbero più a contendere. Furono invece in buona amicizia.78 L'annegamento di Federigo avvenne due anni prima.79 Anche questa data è sbagliata. La battaglia di Campomorto fra milanesi e

pavesi ebbe luogo il 23 o 24 maggio del 1061.80 Questo Martinengo è un'alterazione di «Marcinago», oggi Marcignano,

dove fu combattuta questa battaglia nel 1132.

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Espugnarono poi Cerano, e poco dopo, rotti ipavesi nei sobborghi stessi di Pavia, ne getta-ron buon numero in carcere. L'anno dopo as-sediarono il bello e fortissimo borgo di Vigeva-no e, battuti valorosamente i pavesi, se ne im-padronirono e lo sottomisero. E già prima ave-vano disfatti i lodigiani81 e avevano distruttoComo, e sgominati i cremonesi e trattine moltiprigionieri: e a Carcano messo in rotta contutto il suo esercito l'imperatore ribelle allaChiesa romana.

XI. - E bisogna ricordare che prima ancora,cioè al tempo di Eriberto, Arcivescovo dellanostra città, l'imperatore Corrado Conan,come si legge nel libro delle imprese de' mila-nesi82, a capo di un immenso esercito, avevaposto il campo a tre miglia dalla città e s'eraspinto ad incendiare i sobborghi; ma i milane-si gli inflissero tali danni che, stanco e scor-nato, dovette ritirarsi a Pavia, quindi, incam-minatosi per la Germania, fu colto da un ma-lore e si spense83.

Queste e molte altre imprese ampiamente,81 Allude alla terribile rotta inflitta dai milanesi ai lodigiani nel maggio del

1111, seguìta dalla completa distruzione dell'antica città di Lodi (Lodi vec-chio).

82 È la nota opera di Arnolfo. 83 La battaglia data dai milanesi a Corrado fu il 19 agosto del 1037. Ma

l'imperatore non si incamminò per la Germania prima del 1038, dopo esserstato a Roma e nel mezzogiorno d'Italia.

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Espugnarono poi Cerano, e poco dopo, rotti ipavesi nei sobborghi stessi di Pavia, ne getta-ron buon numero in carcere. L'anno dopo as-sediarono il bello e fortissimo borgo di Vigeva-no e, battuti valorosamente i pavesi, se ne im-padronirono e lo sottomisero. E già prima ave-vano disfatti i lodigiani81 e avevano distruttoComo, e sgominati i cremonesi e trattine moltiprigionieri: e a Carcano messo in rotta contutto il suo esercito l'imperatore ribelle allaChiesa romana.

XI. - E bisogna ricordare che prima ancora,cioè al tempo di Eriberto, Arcivescovo dellanostra città, l'imperatore Corrado Conan,come si legge nel libro delle imprese de' mila-nesi82, a capo di un immenso esercito, avevaposto il campo a tre miglia dalla città e s'eraspinto ad incendiare i sobborghi; ma i milane-si gli inflissero tali danni che, stanco e scor-nato, dovette ritirarsi a Pavia, quindi, incam-minatosi per la Germania, fu colto da un ma-lore e si spense83.

Queste e molte altre imprese ampiamente,81 Allude alla terribile rotta inflitta dai milanesi ai lodigiani nel maggio del

1111, seguìta dalla completa distruzione dell'antica città di Lodi (Lodi vec-chio).

82 È la nota opera di Arnolfo. 83 La battaglia data dai milanesi a Corrado fu il 19 agosto del 1037. Ma

l'imperatore non si incamminò per la Germania prima del 1038, dopo esserstato a Roma e nel mezzogiorno d'Italia.

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descrivono le patrie storie. Da Adamo fino ainostri giorni, e son passati 6501 anni, nes-sun'altra città situata in pianura, ad ecceziondi Roma, la quale si sia trovata in tanti e cosìgravi frangenti e da tanti e sì protervi nemicisia stata combattuta, ha, per quanto ne so io,così strenuamente resistito come la nostra. Eanche maggiore è il suo merito perchè quasitutti gli stranieri contro i quali essa ha com-battuto, dalla fondazione della Chiesa romanafino ad oggi, erano nemici della Chiesa. Perquesto, appunto, come si legge nel primo libro«Della edificazione di Milano», anticamente gliimperatori romani, per segno d'amicizia e te-stimonio di nobiltà e di prodezza, mandavanoinnanzi alle milizie partenti per la guerra i mi-lanesi col vessillo di mezza lana84.

XII. - Nei tempi moderni Federico II, nel1218 coronato da papa Onorio III, ma, daquel perfido che era, allontanatosi poi da Dio,e ingolfatosi nell'errore fino a diventar nemicodella Chiesa e nostro, e amico dei nemici diCristo e della Chiesa, tentò con tutte le sueforze di distruggere la nostra città; fece quan-to potè, ma alla fine si ebbe quanto meritava.Perduta ogni speranza in Dio, sconfessato e

84 Il vessillo di mezza lana si connette probabilmente al mito della troia se-milanuta di cui alla nota 113.

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descrivono le patrie storie. Da Adamo fino ainostri giorni, e son passati 6501 anni, nes-sun'altra città situata in pianura, ad ecceziondi Roma, la quale si sia trovata in tanti e cosìgravi frangenti e da tanti e sì protervi nemicisia stata combattuta, ha, per quanto ne so io,così strenuamente resistito come la nostra. Eanche maggiore è il suo merito perchè quasitutti gli stranieri contro i quali essa ha com-battuto, dalla fondazione della Chiesa romanafino ad oggi, erano nemici della Chiesa. Perquesto, appunto, come si legge nel primo libro«Della edificazione di Milano», anticamente gliimperatori romani, per segno d'amicizia e te-stimonio di nobiltà e di prodezza, mandavanoinnanzi alle milizie partenti per la guerra i mi-lanesi col vessillo di mezza lana84.

XII. - Nei tempi moderni Federico II, nel1218 coronato da papa Onorio III, ma, daquel perfido che era, allontanatosi poi da Dio,e ingolfatosi nell'errore fino a diventar nemicodella Chiesa e nostro, e amico dei nemici diCristo e della Chiesa, tentò con tutte le sueforze di distruggere la nostra città; fece quan-to potè, ma alla fine si ebbe quanto meritava.Perduta ogni speranza in Dio, sconfessato e

84 Il vessillo di mezza lana si connette probabilmente al mito della troia se-milanuta di cui alla nota 113.

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Page 126: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

maledetto dalla Chiesa, colpito da un morboabominevole, un cancro, si dice finisse turpe-mente, come i suoi peccati esigevano85.

Sento in cuor mio il bisogno di descriverecon quanto sforzo e con quanto valore questacittà resistette al suddetto Federigo, dove equando con pochi armati, con sua grande glo-ria, ebbe ragione di immensi eserciti. Ma poi-chè sarebbe troppo lungo il raccontare tutti iparticolari, mi limiterò a ricordare brevementela devastazione e la sottomissione del Vesco-vado dei Cremonesi e dei loro fautori fatte daimilanesi nel 121786, e la guerra combattutacontro i medesimi nel 1234 a Genivolta, nellaquale i milanesi devastarono nuovamente tut-to il loro territorio87, e l'aver messo, nel 1239,a ferro e a fuoco i territori di Bergamo e diLodi, e la completa distruzione di Lodi vecchiodove le sole chiese furono risparmiate88. Tac-

85 Federigo II morì invece di dissenteria.86 Qui Bonvesino non accenna che alla prima parte, fortunata, della spedi-

zione dei milanesi contro Cremona, fatta nel 1217; e tace che, dopo il for-tunato saccheggio, i milanesi furono inseguiti sulla via del ritorno dai cre-monesi, i quali raggiuntili ad Azzanello li costrinsero a ritirarsi in gran di-sordine.

87 Anche qui non si tratta di una vera vittoria dei milanesi. La lunga battagliadi Genivolta, presso Soresina, rimase indecisa (giugno 1234).

88 Qui è un pasticcio cronologico. Una spedizione dei milanesi contro berga-maschi e lodigiani non è registrata da alcun cronista. La data può essere al-terata. Novati si domanda se il Nostro non alluda alle scorrerie dei milane-si ne' territori di Bergamo e di Lodi avvenute nel 1158 e nel 1193: può es-

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maledetto dalla Chiesa, colpito da un morboabominevole, un cancro, si dice finisse turpe-mente, come i suoi peccati esigevano85.

Sento in cuor mio il bisogno di descriverecon quanto sforzo e con quanto valore questacittà resistette al suddetto Federigo, dove equando con pochi armati, con sua grande glo-ria, ebbe ragione di immensi eserciti. Ma poi-chè sarebbe troppo lungo il raccontare tutti iparticolari, mi limiterò a ricordare brevementela devastazione e la sottomissione del Vesco-vado dei Cremonesi e dei loro fautori fatte daimilanesi nel 121786, e la guerra combattutacontro i medesimi nel 1234 a Genivolta, nellaquale i milanesi devastarono nuovamente tut-to il loro territorio87, e l'aver messo, nel 1239,a ferro e a fuoco i territori di Bergamo e diLodi, e la completa distruzione di Lodi vecchiodove le sole chiese furono risparmiate88. Tac-

85 Federigo II morì invece di dissenteria.86 Qui Bonvesino non accenna che alla prima parte, fortunata, della spedi-

zione dei milanesi contro Cremona, fatta nel 1217; e tace che, dopo il for-tunato saccheggio, i milanesi furono inseguiti sulla via del ritorno dai cre-monesi, i quali raggiuntili ad Azzanello li costrinsero a ritirarsi in gran di-sordine.

87 Anche qui non si tratta di una vera vittoria dei milanesi. La lunga battagliadi Genivolta, presso Soresina, rimase indecisa (giugno 1234).

88 Qui è un pasticcio cronologico. Una spedizione dei milanesi contro berga-maschi e lodigiani non è registrata da alcun cronista. La data può essere al-terata. Novati si domanda se il Nostro non alluda alle scorrerie dei milane-si ne' territori di Bergamo e di Lodi avvenute nel 1158 e nel 1193: può es-

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cio d'altre imprese e preferisco rammentarel'invasione del nostro territorio fatta nel 1239con un esercito di toscani, alemanni, pugliesi,saraceni da Federigo II il quale, distrutto ilborgo fortificato di Melegnano, pose gli ac-campamenti a Locate.

XIII. - L'esercito dei milanesi gli mosse in-contro fino alla villa di Camporgnano89 si ac-campò ad un miglio appena dal campo impe-riale. L'imperatore, dubitando del successod'uno scontro coi nostri, avanzò per quattromiglia verso le cascine di Scanasio e lì pose letende90.

I milanesi, sempre mantenendosi in posizio-ni tra la città e il campo nemico, si accampa-rono a Fontecchio decisi a difendere virilmen-te la patria e, deviate con somma abilità le ac-que dei fontanili verso l'esercito nemico, ne al-lagarono il campo, e lo costrinsero a ritirarsisulle posizioni di prima di contro alle quali sidisposero i nostri. E badate che l'esercito am-

sere dacchè fa menzione della distruzione di Lodi vecchio ancor più antica(cfr. nota 78).

Ben s'appone il Novati quando crede non casuale, bensì deliberato il silenzio diBonvesino circa il principal episodio della guerra di Milano contro Federi-go II, la battaglia di Cortenuova, 27 novembre 1217, la quale fu disastrosapei milanesi che vi perdettero persino il Carroccio.

89 Terricciuola presso Chiaravalle, ora scomparsa.90 Osserva il Novati che se l'imperatore avesse paventato uno scontro coi mi-

lanesi, non avrebbe avanzato verso Milano portandosi a Cassino Scanasio.

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cio d'altre imprese e preferisco rammentarel'invasione del nostro territorio fatta nel 1239con un esercito di toscani, alemanni, pugliesi,saraceni da Federigo II il quale, distrutto ilborgo fortificato di Melegnano, pose gli ac-campamenti a Locate.

XIII. - L'esercito dei milanesi gli mosse in-contro fino alla villa di Camporgnano89 si ac-campò ad un miglio appena dal campo impe-riale. L'imperatore, dubitando del successod'uno scontro coi nostri, avanzò per quattromiglia verso le cascine di Scanasio e lì pose letende90.

I milanesi, sempre mantenendosi in posizio-ni tra la città e il campo nemico, si accampa-rono a Fontecchio decisi a difendere virilmen-te la patria e, deviate con somma abilità le ac-que dei fontanili verso l'esercito nemico, ne al-lagarono il campo, e lo costrinsero a ritirarsisulle posizioni di prima di contro alle quali sidisposero i nostri. E badate che l'esercito am-

sere dacchè fa menzione della distruzione di Lodi vecchio ancor più antica(cfr. nota 78).

Ben s'appone il Novati quando crede non casuale, bensì deliberato il silenzio diBonvesino circa il principal episodio della guerra di Milano contro Federi-go II, la battaglia di Cortenuova, 27 novembre 1217, la quale fu disastrosapei milanesi che vi perdettero persino il Carroccio.

89 Terricciuola presso Chiaravalle, ora scomparsa.90 Osserva il Novati che se l'imperatore avesse paventato uno scontro coi mi-

lanesi, non avrebbe avanzato verso Milano portandosi a Cassino Scanasio.

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brosiano era di gran lunga inferiore a quellodell'imperatore la cui sola cavalleria contavapiù uomini che presso di noi la cavalleria e lafanteria insieme.

Eppure l'imperatore, dopo aver passato nelnostro contado trentaquattro giorni, sbigottitodalla audacia e dalla costanza dei milanesi, especialmente della Compagnia dei forti, cheerano fanti scelti fra i più robusti ed agguerri-ti, sprezzanti d'ogni pericolo, perfettamentearmati, e avevan giurato di non risparmiareun sol nemico, se ne partì rattristato per lavanità del suo sforzo. I milanesi, esultanti,tornarono alle loro case.

XIV. - Nei due seguenti anni distrusseromolti villaggi del Comasco, e si spinsero, tuttoincendiando e devastando, fino alle porte diComo. Ma, più mi preme ricordare chequell'imperatore, nemico della Chiesa e no-stro, fu dal papa Innocenzo IV scomunicato eprivato della dignità imperiale, e da allora inpoi i fedeli cristiani non lo chiamarono piùimperatore ma il deposto.

XV. Cionondimeno egli, nell'anno medesi-mo, raccolto un immenso esercito, invaseun'altra volta il contado di Milano91 fermando-

91 La causa di questa seconda campagna del 1245 contro Milano fu l'atteg-giamento dei milanesi dopo che papa Innocenzo IV, nel Concilio di Lione,

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brosiano era di gran lunga inferiore a quellodell'imperatore la cui sola cavalleria contavapiù uomini che presso di noi la cavalleria e lafanteria insieme.

Eppure l'imperatore, dopo aver passato nelnostro contado trentaquattro giorni, sbigottitodalla audacia e dalla costanza dei milanesi, especialmente della Compagnia dei forti, cheerano fanti scelti fra i più robusti ed agguerri-ti, sprezzanti d'ogni pericolo, perfettamentearmati, e avevan giurato di non risparmiareun sol nemico, se ne partì rattristato per lavanità del suo sforzo. I milanesi, esultanti,tornarono alle loro case.

XIV. - Nei due seguenti anni distrusseromolti villaggi del Comasco, e si spinsero, tuttoincendiando e devastando, fino alle porte diComo. Ma, più mi preme ricordare chequell'imperatore, nemico della Chiesa e no-stro, fu dal papa Innocenzo IV scomunicato eprivato della dignità imperiale, e da allora inpoi i fedeli cristiani non lo chiamarono piùimperatore ma il deposto.

XV. Cionondimeno egli, nell'anno medesi-mo, raccolto un immenso esercito, invaseun'altra volta il contado di Milano91 fermando-

91 La causa di questa seconda campagna del 1245 contro Milano fu l'atteg-giamento dei milanesi dopo che papa Innocenzo IV, nel Concilio di Lione,

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si sulla riva del Ticinello, disposto a passare ilfiume per distruggere dalle fondamenta la no-stra città. Subito i milanesi posero le tendesulla riva opposta e, dovunque egli lo tentas-se, gli contrastarono il passo. Finalmente, di-sperando di raggiungere il suo scopo, divisel'esercito in due parti: tenne con sè la maggio-re, e l'altra, composta di cremonesi, pavesi ebergamaschi, mandò, sotto il comando diEnzo, suo figlio naturale, ad Abignano, nellaparte opposta del contado, perchè varcassel'Adda nuova [Muzza].

Mossero contro quest'ultimo due Porte dellanostra città, la Comasina e l'Orientale92, coicontadini dei borghi e delle ville della Marte-sana, sino a quel fiume, e si accamparono difronte ai nemici.

Re Enzo, vedendo che non c'era nulla dafare, una certa notte con tutta la sua cavalle-ria passò segretamente l'Adda al guado diCassano, e, aggredite le scarse schiere dei mi-

ebbe deposto Federigo (17 luglio 1245). Avuta questa notizia, i milanesiavevano mandato ambasciatori in Germania ad Enrico Langravio di Turin-gia, per invitarlo a combattere lo Svevo.

92 Come è noto la città era divisa in sei regioni, quante erano le Porte princi-pali. Formatosi il Comune, la milizia, necessaria per difenderlo fu divisa insei legioni, ciascuna comprendente cittadini abitanti nella rispettiva Porta,della quale portava il nome. L'intero corpo, al comando del Podestà, uscivaa combattere quando e dove ce ne fosse il bisogno. Ma quando ad un im-presa bastasse una parte dell'esercito, si estraevano a sorte coi dadi quellao quelle Porte che vi dovessero partecipare.

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si sulla riva del Ticinello, disposto a passare ilfiume per distruggere dalle fondamenta la no-stra città. Subito i milanesi posero le tendesulla riva opposta e, dovunque egli lo tentas-se, gli contrastarono il passo. Finalmente, di-sperando di raggiungere il suo scopo, divisel'esercito in due parti: tenne con sè la maggio-re, e l'altra, composta di cremonesi, pavesi ebergamaschi, mandò, sotto il comando diEnzo, suo figlio naturale, ad Abignano, nellaparte opposta del contado, perchè varcassel'Adda nuova [Muzza].

Mossero contro quest'ultimo due Porte dellanostra città, la Comasina e l'Orientale92, coicontadini dei borghi e delle ville della Marte-sana, sino a quel fiume, e si accamparono difronte ai nemici.

Re Enzo, vedendo che non c'era nulla dafare, una certa notte con tutta la sua cavalle-ria passò segretamente l'Adda al guado diCassano, e, aggredite le scarse schiere dei mi-

ebbe deposto Federigo (17 luglio 1245). Avuta questa notizia, i milanesiavevano mandato ambasciatori in Germania ad Enrico Langravio di Turin-gia, per invitarlo a combattere lo Svevo.

92 Come è noto la città era divisa in sei regioni, quante erano le Porte princi-pali. Formatosi il Comune, la milizia, necessaria per difenderlo fu divisa insei legioni, ciascuna comprendente cittadini abitanti nella rispettiva Porta,della quale portava il nome. L'intero corpo, al comando del Podestà, uscivaa combattere quando e dove ce ne fosse il bisogno. Ma quando ad un im-presa bastasse una parte dell'esercito, si estraevano a sorte coi dadi quellao quelle Porte che vi dovessero partecipare.

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lanesi, fece molti prigionieri. Ma, preso eglistesso dal nostro Capitano, Simone da Locar-no, fu rinchiuso nel campanile di Gorgonzola,e dovette patteggiare la sua liberazione collapromessa di rilasciare tutti i nostri prigionieri:rilasciato, a questo patto, fu rimandato al suoesercito, e diede subito ordine di liberare i pri-gionieri; ma i cremonesi e l'esercito intero sirifiutarono di ubbidire. Quindi si partì collesue genti. E Federigo, dopo trenta giorni, giu-dicando impossibile effettuare il suo orgoglio-so disegno, deluso e triste, levò il campo.

XVI. - Tre anni dopo assediò Parma [1247],ponendo ogni sua cura nel rafforzare l'eserci-to, e fondò, laddove si era accampato, unanuova città chiamata Vittoria. Ma Parma eravalorosamente difesa da seicento milanesi eda trecento piacentini col legato apostolicoGregorio da Montelungo. Finalmente,coll'assistenza di Dio e il costante aiuto de'milanesi, si riuscì a battere le truppe di Fede-rigo, moltissimi de' suoi soldati furono uccisi,moltissimi fatti prigionieri. Il carro dei Cremo-nesi detto Carroccio fu portato dagli stessi mi-lanesi in Parma; fu presa la città di Vittoria,spogliata del tesoro di Federigo e di tutti glialtri beni, quindi da cima a fondo distrutta.Federigo, vergognosamente vinto, perduti tutti

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lanesi, fece molti prigionieri. Ma, preso eglistesso dal nostro Capitano, Simone da Locar-no, fu rinchiuso nel campanile di Gorgonzola,e dovette patteggiare la sua liberazione collapromessa di rilasciare tutti i nostri prigionieri:rilasciato, a questo patto, fu rimandato al suoesercito, e diede subito ordine di liberare i pri-gionieri; ma i cremonesi e l'esercito intero sirifiutarono di ubbidire. Quindi si partì collesue genti. E Federigo, dopo trenta giorni, giu-dicando impossibile effettuare il suo orgoglio-so disegno, deluso e triste, levò il campo.

XVI. - Tre anni dopo assediò Parma [1247],ponendo ogni sua cura nel rafforzare l'eserci-to, e fondò, laddove si era accampato, unanuova città chiamata Vittoria. Ma Parma eravalorosamente difesa da seicento milanesi eda trecento piacentini col legato apostolicoGregorio da Montelungo. Finalmente,coll'assistenza di Dio e il costante aiuto de'milanesi, si riuscì a battere le truppe di Fede-rigo, moltissimi de' suoi soldati furono uccisi,moltissimi fatti prigionieri. Il carro dei Cremo-nesi detto Carroccio fu portato dagli stessi mi-lanesi in Parma; fu presa la città di Vittoria,spogliata del tesoro di Federigo e di tutti glialtri beni, quindi da cima a fondo distrutta.Federigo, vergognosamente vinto, perduti tutti

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i suoi beni, riparò in Puglia, dove nel 1250,colpito da grave malattia, disperato, scomuni-cato, privo dei sacramenti, finì la sua vita,commutando, come dice la Cronaca93, la suamorte carnale nella morte eterna.

Solo alcune, non tutte, le valorose gesta deimilanesi ho brevemente narrate. Chi desiderasaperne di più legga le storie ambrosiane.

Ma perchè nessuno creda che io abbia deli-beratamente taciuto le vergogne e i danni sof-ferti dalla nostra città, sappia, e creda, sevuole, che, avendo io letto, o udito raccontarele imprese guerresche dei milanesi, quantun-que abbia avuto notizia di molte avversità,non ho mai letto o inteso che, quando si sontrovati a combattere in pari condizioni coi ne-mici, siano mai fuggiti, nè che alcun popoloabbia su di loro riportata vittoria. Confesso diaver letto che molte volte la sorte fu loro con-traria; ma non c'è da meravigliarsene: qualealtra città, sbattuta da tanti e sì impetuosiventi, non ha subito danni? La stessa Roma,pur essendo densa di popolo, di tutto fornita,pur essendo per la sua potenza temuta da ree popoli e famosa in ogni parte del mondo, haavuto le sue avversità, le sue fughe e ha dovu-to soffrire da parte dei nemici catture, ferite,

93 Pare alluda alla Cronaca di Martin Polono.

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i suoi beni, riparò in Puglia, dove nel 1250,colpito da grave malattia, disperato, scomuni-cato, privo dei sacramenti, finì la sua vita,commutando, come dice la Cronaca93, la suamorte carnale nella morte eterna.

Solo alcune, non tutte, le valorose gesta deimilanesi ho brevemente narrate. Chi desiderasaperne di più legga le storie ambrosiane.

Ma perchè nessuno creda che io abbia deli-beratamente taciuto le vergogne e i danni sof-ferti dalla nostra città, sappia, e creda, sevuole, che, avendo io letto, o udito raccontarele imprese guerresche dei milanesi, quantun-que abbia avuto notizia di molte avversità,non ho mai letto o inteso che, quando si sontrovati a combattere in pari condizioni coi ne-mici, siano mai fuggiti, nè che alcun popoloabbia su di loro riportata vittoria. Confesso diaver letto che molte volte la sorte fu loro con-traria; ma non c'è da meravigliarsene: qualealtra città, sbattuta da tanti e sì impetuosiventi, non ha subito danni? La stessa Roma,pur essendo densa di popolo, di tutto fornita,pur essendo per la sua potenza temuta da ree popoli e famosa in ogni parte del mondo, haavuto le sue avversità, le sue fughe e ha dovu-to soffrire da parte dei nemici catture, ferite,

93 Pare alluda alla Cronaca di Martin Polono.

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uccisioni e altre offese.E basta di questo argomento.Fu detto con quanto valore abbia un tempo

combattuto contro i nemici la nostra città.Ora, essendo più ricca di popolazione, di edifi-ci, di vettovaglie, quali re, quali tiranni, qualpopolo potranno mai soggiogarla? Nessuno sei cittadini, volgendo a' propri danni le spade,non vorranno scannarsi a vicenda.

XVII. - A questo punto non so rinunziare aparlar d'un fenomeno meraviglioso. Molti deimiei concittadini d'ambo i sessi, ormai decre-piti, ricordano un nobilissimo uomo, Ubertodella Croce, figlio della nostra terra, la cui for-za non ha mai trovato l'uguale nel mondo. Diquesta forza voglio dare brevemente le provein tutto conformi alla verità. Era uomo di illu-stre e potente stirpe, ma la sua maggior po-tenza stava nella sua vigoria dacchè gli atletidelle altre città appetto a lui erano come fan-ciulletti di fronte ad uomini fatti. Egli fermavacolle braccia cavalli in corsa, e li forzava a re-stare immobili: portava, su per le scale fino aipiani superiori giumente di mugnai ben cari-che di farina o di frumento; stando egli fermosur un piede, l'altro levato in aria, senza ap-poggio, nessuno, così dicono, per quanta forzaavesse, riusciva a smuoverlo; legato l'un brac-

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uccisioni e altre offese.E basta di questo argomento.Fu detto con quanto valore abbia un tempo

combattuto contro i nemici la nostra città.Ora, essendo più ricca di popolazione, di edifi-ci, di vettovaglie, quali re, quali tiranni, qualpopolo potranno mai soggiogarla? Nessuno sei cittadini, volgendo a' propri danni le spade,non vorranno scannarsi a vicenda.

XVII. - A questo punto non so rinunziare aparlar d'un fenomeno meraviglioso. Molti deimiei concittadini d'ambo i sessi, ormai decre-piti, ricordano un nobilissimo uomo, Ubertodella Croce, figlio della nostra terra, la cui for-za non ha mai trovato l'uguale nel mondo. Diquesta forza voglio dare brevemente le provein tutto conformi alla verità. Era uomo di illu-stre e potente stirpe, ma la sua maggior po-tenza stava nella sua vigoria dacchè gli atletidelle altre città appetto a lui erano come fan-ciulletti di fronte ad uomini fatti. Egli fermavacolle braccia cavalli in corsa, e li forzava a re-stare immobili: portava, su per le scale fino aipiani superiori giumente di mugnai ben cari-che di farina o di frumento; stando egli fermosur un piede, l'altro levato in aria, senza ap-poggio, nessuno, così dicono, per quanta forzaavesse, riusciva a smuoverlo; legato l'un brac-

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cio e l'altro presso le articolazioni delle mani,e sei uomini a destra e sei a sinistra tirando,co' piedi ben puntati a terra, le funi, ei riusci-va a portare con ambe le mani il cibo alla boc-ca; in una certa battaglia, trovatosi solo, ac-cerchiato da una densa turba di pavesi, collasua terribile clava la mise in fuga. La sua sta-tura era tale che se uno lo guardava davantiparevagli pendesse all'indietro e viceversa.

Era un gran mangiatore: divorava pasti ba-stevoli per quattro uomini; era capace di man-giare in una sola volta, e con molto pane, al-meno trentadue uova fritte in padella. Rara-mente fece pompa in pubblico della sua forzasenza una giusta causa, mai si dice ne abu-sasse per recar danno altrui; era con tutticortese. Fioriva costui nel 1215. Ebbe da unaconcubina una figlia così vigorosa che levavada terra un grande vaso contenente tre staiadi vino, al cui peso non avrebbe resistito unuomo, e ne beveva come uno farebbe da unbicchiere.

XVIII. - Si raccontano cose miracolose an-che di Viviano nato nel nostro contado, vicinoal bel borgo di Lecco94. E si dice che in Milano94 Il Novati sospetta che questo lombardo Viviano di cui non si ha nessuna

notizia, non sia altri che quel Viviano, protagonista della Chevalerie Vi-vien, che i cantori francesi avevano reso popolare anche in Italia. Il muta-mento in lombardo non farà meraviglia quando si ricordi che Orlando fu

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cio e l'altro presso le articolazioni delle mani,e sei uomini a destra e sei a sinistra tirando,co' piedi ben puntati a terra, le funi, ei riusci-va a portare con ambe le mani il cibo alla boc-ca; in una certa battaglia, trovatosi solo, ac-cerchiato da una densa turba di pavesi, collasua terribile clava la mise in fuga. La sua sta-tura era tale che se uno lo guardava davantiparevagli pendesse all'indietro e viceversa.

Era un gran mangiatore: divorava pasti ba-stevoli per quattro uomini; era capace di man-giare in una sola volta, e con molto pane, al-meno trentadue uova fritte in padella. Rara-mente fece pompa in pubblico della sua forzasenza una giusta causa, mai si dice ne abu-sasse per recar danno altrui; era con tutticortese. Fioriva costui nel 1215. Ebbe da unaconcubina una figlia così vigorosa che levavada terra un grande vaso contenente tre staiadi vino, al cui peso non avrebbe resistito unuomo, e ne beveva come uno farebbe da unbicchiere.

XVIII. - Si raccontano cose miracolose an-che di Viviano nato nel nostro contado, vicinoal bel borgo di Lecco94. E si dice che in Milano94 Il Novati sospetta che questo lombardo Viviano di cui non si ha nessuna

notizia, non sia altri che quel Viviano, protagonista della Chevalerie Vi-vien, che i cantori francesi avevano reso popolare anche in Italia. Il muta-mento in lombardo non farà meraviglia quando si ricordi che Orlando fu

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sian nati molti altri uomini senza pari al mon-do, ma a parlarne rinuncio.

Che dirò della forza d'animo dei nostri con-cittadini d'un tempo? quanti e quali martiridiedero alla fede di Cristo che nella nostra cit-tà e altrove riportarono gloriose vittorie? Vita-le, nostro concittadino, e Sebastiano che pre-dicarono la fede cattolica, quegli a Ravenna,questi a Roma, meritarono in queste città lacorona del martirio. Protasio e Gervasio, figlidi Vitale, predicanti a Milano, patirono pure ilmartirio per la fede di Cristo. Maurilio, vesco-vo, predicò nell'Anjou, Simpliciano, nostro ar-civescovo, colle sue prediche a Roma reintegròla Chiesa romana, che era divisa da molteeresie, e molti convertì alla fede. Gajo, fustiga-to, fu da qui mandato in esilio. Castriziano,milite novizio nel campo della religione, otten-ne molte conversioni. E Calimero, per averpredicato e convertito infedeli, fu accecato,per la sua fede, flagellato, condannato all'esi-lio, gettato in un pozzo col capo all'ingiù, edebbe infine la corona del martirio. Il beatoMaterno, cacciati da Tortona gli idolatri, vipredicò, e sostenne per la religione molte av-versità. Il beato Dionigi, arcivescovo di Mila-no, esiliato, gettato in un orrido carcere, fu al-

immaginato Conte d'Angera dai genealogisti viscontei.

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sian nati molti altri uomini senza pari al mon-do, ma a parlarne rinuncio.

Che dirò della forza d'animo dei nostri con-cittadini d'un tempo? quanti e quali martiridiedero alla fede di Cristo che nella nostra cit-tà e altrove riportarono gloriose vittorie? Vita-le, nostro concittadino, e Sebastiano che pre-dicarono la fede cattolica, quegli a Ravenna,questi a Roma, meritarono in queste città lacorona del martirio. Protasio e Gervasio, figlidi Vitale, predicanti a Milano, patirono pure ilmartirio per la fede di Cristo. Maurilio, vesco-vo, predicò nell'Anjou, Simpliciano, nostro ar-civescovo, colle sue prediche a Roma reintegròla Chiesa romana, che era divisa da molteeresie, e molti convertì alla fede. Gajo, fustiga-to, fu da qui mandato in esilio. Castriziano,milite novizio nel campo della religione, otten-ne molte conversioni. E Calimero, per averpredicato e convertito infedeli, fu accecato,per la sua fede, flagellato, condannato all'esi-lio, gettato in un pozzo col capo all'ingiù, edebbe infine la corona del martirio. Il beatoMaterno, cacciati da Tortona gli idolatri, vipredicò, e sostenne per la religione molte av-versità. Il beato Dionigi, arcivescovo di Mila-no, esiliato, gettato in un orrido carcere, fu al-

immaginato Conte d'Angera dai genealogisti viscontei.

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Page 135: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

fine per la fede di Cristo consacrato al marti-rio. E il beato Ambrogio, uno dei quattro dot-tori della Chiesa, ridusse molti sperduti sullavia della verità, convertì il beato Agostino e li-berò la nostra città dagli Ariani. Il beato Sena-tore predicò la religione Cristiana in Oriente.Ambrogio centurione, nostro concittadino, fumartirizzato a Ferentino95. La beata Sofia,oriunda della nostra città, e le sue tre figliuolefurono in Roma così insigni predicatrici daconvertire più di sedicimila persone d'ambo isessi. Tutti questi atleti della religione furonnostri concittadini. E ve ne furono tanti altriche se volessi, ad uno ad uno, ricordarli dareinoia ai leggitori.

XIX. - Ma non credo si debba tacere che lanostra città generò non solo uomini di singo-lar forza e valore, ma anche uomini dotati dal-la natura di rara saggezza. Tra questi ultimi,che son moltissimi, ne ricorderò uno solo, ilnobilissimo cavaliere, nostro concittadino,Guglielmo Pusterla, che molte persone oggiancora viventi conobbero, il quale, senza averstudiato, ne sapeva più di tutti, dotti e indotti.Quasi tutto quello che un uomo senza studipuò conoscere egli conobbe. Non si credevache nei nostri paesi alcuno gli fosse pari in

95 Bonvesino dice a Firenze, ma equivoca con Ferentino.

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fine per la fede di Cristo consacrato al marti-rio. E il beato Ambrogio, uno dei quattro dot-tori della Chiesa, ridusse molti sperduti sullavia della verità, convertì il beato Agostino e li-berò la nostra città dagli Ariani. Il beato Sena-tore predicò la religione Cristiana in Oriente.Ambrogio centurione, nostro concittadino, fumartirizzato a Ferentino95. La beata Sofia,oriunda della nostra città, e le sue tre figliuolefurono in Roma così insigni predicatrici daconvertire più di sedicimila persone d'ambo isessi. Tutti questi atleti della religione furonnostri concittadini. E ve ne furono tanti altriche se volessi, ad uno ad uno, ricordarli dareinoia ai leggitori.

XIX. - Ma non credo si debba tacere che lanostra città generò non solo uomini di singo-lar forza e valore, ma anche uomini dotati dal-la natura di rara saggezza. Tra questi ultimi,che son moltissimi, ne ricorderò uno solo, ilnobilissimo cavaliere, nostro concittadino,Guglielmo Pusterla, che molte persone oggiancora viventi conobbero, il quale, senza averstudiato, ne sapeva più di tutti, dotti e indotti.Quasi tutto quello che un uomo senza studipuò conoscere egli conobbe. Non si credevache nei nostri paesi alcuno gli fosse pari in

95 Bonvesino dice a Firenze, ma equivoca con Ferentino.

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sapienza, tanto che, quando era Podestà diBologna, accanto a dottori di leggi, questi, ve-dendo un uomo illetterato saper tante cose, lochiamavano per antonomasia "il sapiente de'laici"96. E altrettanto, se volessi andar per lelunghe, potrei dir di molti altri letterati o illet-terati.

XX. - Descritte le virtù militari dei milanesi,vediamo ora la magnificenza delle armi e deiguerreschi ornamenti che portano nelle lorospedizioni. In qual mai città del mondo si puòtrovare un popolo così decorosamente armatodi ferro? Non lo si troverà mai, o ben di rado.Non solo di cavalieri, ma anche di fanti tu ve-dresti in guerra magnifiche schiere, vestite diarmi corrusche; loriche, corazze, lamiere, ce-late, elmi, elmetti; guanti d'acciaio, collari,gambali, femorali e ginocchiali; fanti muniti dilancie, aste, spade, pugnali, clave, scudi luc-cicanti; vedresti le schiere di cavalieri splen-denti da capo a piedi pel fulgor delle armi; el'ondeggiar de' cavalli coperti di splendidi fini-menti; tutti guerrieri senza pari, non solo pernobiltà di stirpe, ma anche per dignità di co-stumi e perizia dell'armi, quali invero si con-96 Guglielmo Pusterla, cittadino veramente insigne di quel tempo, fu Podestà

sedici volte in nove Comuni, dal 1190 al 1224, e a Bologna ebbe rinnovataquattro volte la carica. Ne parla il Litta, nelle sue Famiglie celebri: Pu-sterla.

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sapienza, tanto che, quando era Podestà diBologna, accanto a dottori di leggi, questi, ve-dendo un uomo illetterato saper tante cose, lochiamavano per antonomasia "il sapiente de'laici"96. E altrettanto, se volessi andar per lelunghe, potrei dir di molti altri letterati o illet-terati.

XX. - Descritte le virtù militari dei milanesi,vediamo ora la magnificenza delle armi e deiguerreschi ornamenti che portano nelle lorospedizioni. In qual mai città del mondo si puòtrovare un popolo così decorosamente armatodi ferro? Non lo si troverà mai, o ben di rado.Non solo di cavalieri, ma anche di fanti tu ve-dresti in guerra magnifiche schiere, vestite diarmi corrusche; loriche, corazze, lamiere, ce-late, elmi, elmetti; guanti d'acciaio, collari,gambali, femorali e ginocchiali; fanti muniti dilancie, aste, spade, pugnali, clave, scudi luc-cicanti; vedresti le schiere di cavalieri splen-denti da capo a piedi pel fulgor delle armi; el'ondeggiar de' cavalli coperti di splendidi fini-menti; tutti guerrieri senza pari, non solo pernobiltà di stirpe, ma anche per dignità di co-stumi e perizia dell'armi, quali invero si con-96 Guglielmo Pusterla, cittadino veramente insigne di quel tempo, fu Podestà

sedici volte in nove Comuni, dal 1190 al 1224, e a Bologna ebbe rinnovataquattro volte la carica. Ne parla il Litta, nelle sue Famiglie celebri: Pu-sterla.

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vengono a così grande ed insigne città. Nè ciòfa meraviglia, perché i nostri cittadini, onore-voli uomini, superano tutte le altre genti perciviltà e larghezza e, in tempo di guerra, ama-no le belle armi e i superbi destrieri e piùd'ogni altro bramano possederli. Dov'è un va-lor naturale, a tempo opportuno si palesa.

Inoltre nella nostra città e nel contado è ab-bondanza d'armaiuoli che fabbricano senzatregua armature d'ogni foggia, che poi i mer-canti portano a vendere, in numero infinito,nelle città vicine e nelle lontane.

XXI. - E infatti i fabbricanti di corazze sonpiù di cento, e ciascuno tien sotto di sè mol-tissimi operai intenti al mirabile artificio delle«macchie». Innumerevoli sono quelli che fannoscudi ed armi d'altro genere97.

XXII. - Scudi e vessilli portano dipinte inse-gne diverse secondo le sei porte principali del-la città. La porta Orientale ha lo scudo biancocon leone dipinto in nero; la Nuova ha quattro

97 Le fabbriche d'armi di Milano erano già famose al principio di questo se-colo e lo furono per gran tempo. Milano era il centro di questa splendidaindustria in Italia: delle nostre armi son piene, nel medioevo, le tariffe do-ganali di tutta la Germania carichi enormi di armature passavano con gran-de frequenza le Alpi. Le «macchie» son quelle parti delle armi che, essen-do destinate a ricevere gli ornamenti e le figure per mezzo del bulino e del-la azzimina, non erano tirate a pulimento come si soleva fare per il restoche era ridotto terso e lucente. E i nostri artefici erano famosi nel coprirledi mirabili figure.

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vengono a così grande ed insigne città. Nè ciòfa meraviglia, perché i nostri cittadini, onore-voli uomini, superano tutte le altre genti perciviltà e larghezza e, in tempo di guerra, ama-no le belle armi e i superbi destrieri e piùd'ogni altro bramano possederli. Dov'è un va-lor naturale, a tempo opportuno si palesa.

Inoltre nella nostra città e nel contado è ab-bondanza d'armaiuoli che fabbricano senzatregua armature d'ogni foggia, che poi i mer-canti portano a vendere, in numero infinito,nelle città vicine e nelle lontane.

XXI. - E infatti i fabbricanti di corazze sonpiù di cento, e ciascuno tien sotto di sè mol-tissimi operai intenti al mirabile artificio delle«macchie». Innumerevoli sono quelli che fannoscudi ed armi d'altro genere97.

XXII. - Scudi e vessilli portano dipinte inse-gne diverse secondo le sei porte principali del-la città. La porta Orientale ha lo scudo biancocon leone dipinto in nero; la Nuova ha quattro

97 Le fabbriche d'armi di Milano erano già famose al principio di questo se-colo e lo furono per gran tempo. Milano era il centro di questa splendidaindustria in Italia: delle nostre armi son piene, nel medioevo, le tariffe do-ganali di tutta la Germania carichi enormi di armature passavano con gran-de frequenza le Alpi. Le «macchie» son quelle parti delle armi che, essen-do destinate a ricevere gli ornamenti e le figure per mezzo del bulino e del-la azzimina, non erano tirate a pulimento come si soleva fare per il restoche era ridotto terso e lucente. E i nostri artefici erano famosi nel coprirledi mirabili figure.

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Page 138: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

quadratelli bianchi e neri: nero il superiore asinistra e l'inferiore a destra, bianchi gli altridue. La Comasina quadratelli alternati bian-chi e rossi [scacchiera]. La Vercellina ha loscudo bipartito, rosso in alto, bianco in basso.La Ticinese tutto bianco, la Romana tutto ros-so.

Altrettanta varietà d'insegne hanno le portenei loro vessilli, oltre ai quali, quando si radu-na l'esercito, altri ne vengono dati dal Comu-ne a ciascuna Porta con croci rosse in campobianco.

XXIII. - Dal Comune stesso viene offerto aduno della nobilissima stirpe dei Visconti chene sembri il più degno, un vessillo con una bi-scia dipinta in azzurro che inghiotte un sara-ceno rosso; e questo vessillo si porta innanziad ogni altro; e il nostro esercito non si ac-campa mai se prima non vede sventolare daun'antenna l'insegna della biscia. Questo pri-vilegio si dice concesso a quella famiglia inconsiderazione delle vittoriose imprese com-piute in Oriente contro i Saraceni da un Otto-ne Visconti, valorosissimo uomo98.

98 Ricordiamo il verso di Dante (Purgatorio VIII-80) che accenna a questausanza:

La vipera che il melanese accampa,

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quadratelli bianchi e neri: nero il superiore asinistra e l'inferiore a destra, bianchi gli altridue. La Comasina quadratelli alternati bian-chi e rossi [scacchiera]. La Vercellina ha loscudo bipartito, rosso in alto, bianco in basso.La Ticinese tutto bianco, la Romana tutto ros-so.

Altrettanta varietà d'insegne hanno le portenei loro vessilli, oltre ai quali, quando si radu-na l'esercito, altri ne vengono dati dal Comu-ne a ciascuna Porta con croci rosse in campobianco.

XXIII. - Dal Comune stesso viene offerto aduno della nobilissima stirpe dei Visconti chene sembri il più degno, un vessillo con una bi-scia dipinta in azzurro che inghiotte un sara-ceno rosso; e questo vessillo si porta innanziad ogni altro; e il nostro esercito non si ac-campa mai se prima non vede sventolare daun'antenna l'insegna della biscia. Questo pri-vilegio si dice concesso a quella famiglia inconsiderazione delle vittoriose imprese com-piute in Oriente contro i Saraceni da un Otto-ne Visconti, valorosissimo uomo98.

98 Ricordiamo il verso di Dante (Purgatorio VIII-80) che accenna a questausanza:

La vipera che il melanese accampa,

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XXIV. - Quando l'esercito intiero muove incampo, è portato fuori un carro da tutti am-mirato, il cosidetto Carroccio, coperto da ogniparte di scarlatto e ricco di ornamenti, tiratoda tre paia di grandi e robusti buoi coperti digualdrappe bianche segnate di croci rosse.

Queste notizie sono molto importanti perché, contrariamentealla leggenda divulgata poco più tardi da Galvano Fiamma, la-sciano intendere che la famosa insegna della biscia visconteanon ha origini gentilizie quale stemma araldico della potente fa-miglia Visconti, ma, prima di esser tale, fu una insegna comuna-le offerta dal Comune stesso ripetutamente, in determinate cir-costanze, a un membro di quella famiglia, in memoria di impre-se compiute contro i Saraceni da un antenato della Casata, im-prese ricordate da Bonvesino con un accenno generico.

Galvano Fiamma volle specificare parlando di un Ottone Vi-sconti che avrebbe valorosamente ucciso un Saraceno portantecome distintivo una vipera attorcigliata che egli avrebbe fattoproprio; e in memoria di questo fatto le Autorità milanesi avreb-bero concesso il suddetto privilegio. Così la tradizione venne aperdere in verosimiglianza essendo un episodio come quellotroppo comune per giustificare così singolare provvedimento; eGalvano svisò la origine dell'insegna facendola diventare un di-stintivo di famiglia, adottato poi dal Comune, mentre dalle sem-plici parole di Bonvesino appare il contrario.

E Bonvesino dice anche un'altra cosa importante: che la bi-scia teneva in bocca un saraceno rosso, mentre la tradizionalebiscia viscontea, nelle rappresentazioni posteriori, inghiottisceun fanciullo.

Gli elementi forniti da Bonvesino hanno indotto un valentestudioso milanese, il sac. E. Galli, ad approfondire l'argomentoin modo da dare di quella tradizione una interpretazione nuova emolto interessante. Secondo il Galli, il saraceno rosso riporta ve-ramente l'insegna alla prima vittoriosa crociata. (1096-1099) allaquale parteciparono largamente le milizie milanesi comandateda Giovanni da Rho, che pel primo piantò sugli spalti della con-

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XXIV. - Quando l'esercito intiero muove incampo, è portato fuori un carro da tutti am-mirato, il cosidetto Carroccio, coperto da ogniparte di scarlatto e ricco di ornamenti, tiratoda tre paia di grandi e robusti buoi coperti digualdrappe bianche segnate di croci rosse.

Queste notizie sono molto importanti perché, contrariamentealla leggenda divulgata poco più tardi da Galvano Fiamma, la-sciano intendere che la famosa insegna della biscia visconteanon ha origini gentilizie quale stemma araldico della potente fa-miglia Visconti, ma, prima di esser tale, fu una insegna comuna-le offerta dal Comune stesso ripetutamente, in determinate cir-costanze, a un membro di quella famiglia, in memoria di impre-se compiute contro i Saraceni da un antenato della Casata, im-prese ricordate da Bonvesino con un accenno generico.

Galvano Fiamma volle specificare parlando di un Ottone Vi-sconti che avrebbe valorosamente ucciso un Saraceno portantecome distintivo una vipera attorcigliata che egli avrebbe fattoproprio; e in memoria di questo fatto le Autorità milanesi avreb-bero concesso il suddetto privilegio. Così la tradizione venne aperdere in verosimiglianza essendo un episodio come quellotroppo comune per giustificare così singolare provvedimento; eGalvano svisò la origine dell'insegna facendola diventare un di-stintivo di famiglia, adottato poi dal Comune, mentre dalle sem-plici parole di Bonvesino appare il contrario.

E Bonvesino dice anche un'altra cosa importante: che la bi-scia teneva in bocca un saraceno rosso, mentre la tradizionalebiscia viscontea, nelle rappresentazioni posteriori, inghiottisceun fanciullo.

Gli elementi forniti da Bonvesino hanno indotto un valentestudioso milanese, il sac. E. Galli, ad approfondire l'argomentoin modo da dare di quella tradizione una interpretazione nuova emolto interessante. Secondo il Galli, il saraceno rosso riporta ve-ramente l'insegna alla prima vittoriosa crociata. (1096-1099) allaquale parteciparono largamente le milizie milanesi comandateda Giovanni da Rho, che pel primo piantò sugli spalti della con-

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Dal mezzo di esso si erge un'alta, diritta e bel-lissima antenna, del peso di quattro uomini,portante sulla cima una croce dorata. Da que-sta antenna pende, tremolando all'aria, ungrandissimo, candido vessillo con la crocerossa i cui bracci raggiungono le quattro

quistata Gerusalemme il vessillo dei crociati, già, fatto propriodal Comune di Milano. Dopo quella vittoria generale e questaprodezza singolare d'un milanese, una vipera in atto di inghiotti-re un saraceno poteva in certo modo simboleggiare il lombardoche ha annientato gli infedeli.

Ma, pensa il Galli, questa figurazione non dovette nascered'un getto al termine della crociata, bensì essere lo sviluppo ul-teriore di una insegna preesistente: la vipera; le cui origini pos-sono trovarsi in quel serpente di bronzo, creduto lo stesso innal-zato da Mosè, per ordine di Dio, nel campo degli israeliti in mez-zo al deserto, che l'arcivescovo di Milano Arnolfo II riportò nel1002 dalla sua ambasceria a Costantinopoli fatta, a nome di Ot-tone III, all'Imperatore, e solennemente fece erigere sopra unacolonna nella basilica di S. Ambrogio dove è tuttora.

Intorno a questo segno, ritenuto la miracolosa reliquia mosai-ca, sorse un culto superstizioso da parte dei milanesi, che eraancor vivo ai tempi di S. Carlo: e non è inverosimile che, parten-do nel 1096 per recarsi a combattere in quegli stessi paesid'Oriente, essi abbian preso come insegna augurale il serpenteche ai tempi di Mosè vi aveva operato strepitosi miracoli. Non èinverosimile che l'arcivescovo Arnolfo II desse, al momento dellapartenza, al Capitano generale dei milanesi, Giovanni da Rho, lostendardo benedetto del Comune, e al luogotenente, Vice ConteOttone, affidasse un altro vessillo benedetto coll'insegna del ser-pente tanto venerato nella basilica Ambrosiana: la prima, inse-gna dell'assalto, l'altra quella degli attendamenti. I Visconti (chepresero appunto il nome dalla carica originaria nella loro fami-glia di Vice Conti dell'Arcivescovado di Milano) adottarono poil'insegna, che il Comune dava per tradizione a uno di loro, comeproprio stemma araldico quando, conseguito il dominio di Mila-

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Dal mezzo di esso si erge un'alta, diritta e bel-lissima antenna, del peso di quattro uomini,portante sulla cima una croce dorata. Da que-sta antenna pende, tremolando all'aria, ungrandissimo, candido vessillo con la crocerossa i cui bracci raggiungono le quattro

quistata Gerusalemme il vessillo dei crociati, già, fatto propriodal Comune di Milano. Dopo quella vittoria generale e questaprodezza singolare d'un milanese, una vipera in atto di inghiotti-re un saraceno poteva in certo modo simboleggiare il lombardoche ha annientato gli infedeli.

Ma, pensa il Galli, questa figurazione non dovette nascered'un getto al termine della crociata, bensì essere lo sviluppo ul-teriore di una insegna preesistente: la vipera; le cui origini pos-sono trovarsi in quel serpente di bronzo, creduto lo stesso innal-zato da Mosè, per ordine di Dio, nel campo degli israeliti in mez-zo al deserto, che l'arcivescovo di Milano Arnolfo II riportò nel1002 dalla sua ambasceria a Costantinopoli fatta, a nome di Ot-tone III, all'Imperatore, e solennemente fece erigere sopra unacolonna nella basilica di S. Ambrogio dove è tuttora.

Intorno a questo segno, ritenuto la miracolosa reliquia mosai-ca, sorse un culto superstizioso da parte dei milanesi, che eraancor vivo ai tempi di S. Carlo: e non è inverosimile che, parten-do nel 1096 per recarsi a combattere in quegli stessi paesid'Oriente, essi abbian preso come insegna augurale il serpenteche ai tempi di Mosè vi aveva operato strepitosi miracoli. Non èinverosimile che l'arcivescovo Arnolfo II desse, al momento dellapartenza, al Capitano generale dei milanesi, Giovanni da Rho, lostendardo benedetto del Comune, e al luogotenente, Vice ConteOttone, affidasse un altro vessillo benedetto coll'insegna del ser-pente tanto venerato nella basilica Ambrosiana: la prima, inse-gna dell'assalto, l'altra quella degli attendamenti. I Visconti (chepresero appunto il nome dalla carica originaria nella loro fami-glia di Vice Conti dell'Arcivescovado di Milano) adottarono poil'insegna, che il Comune dava per tradizione a uno di loro, comeproprio stemma araldico quando, conseguito il dominio di Mila-

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estremità. Molti uomini da ogni parte con funimantengono diritta l'antenna. Il Maestro delCarroccio, onorevole personaggio, cui spettaper tradizione di famiglia questo privilegio,ogni volta che esce dalla città contro i nemiciviene così ricompensato: il Comune gli dà su-bito una corazza e una magnifica spada, poiotto soldi di nostra moneta per ogni giorno disua permanenza al campo. Il Comune eleggepure e ricompensa un cappellano che ognigiorno celebra, presso al Carroccio, la messa.

XXV. - Il Podestà che governa il nostro Co-mune è sempre seguìto da sei tubatori di ono-revole condizione, ciascuno dei quali ha dalComune o quattro, o tre, o almeno due caval-li: essi non adempiono solo l'ufficio di tubabo-ri e banditori, ma, quando sia necessario, an-che quello di prodi cavalieri ad onor della pa-tria. Due di costoro hanno lo speciale incaricodi distribuire le tende all'esercito, e ricevonodal Comune un decoroso stipendio.

Della fortezza della nostra ammiranda cittàho detto abbastanza. Più non dico per non te-diarvi. Ora passerò a dimostrare la sua co-stante fedeltà.

no, assunsero tutti i poteri del Comune.

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estremità. Molti uomini da ogni parte con funimantengono diritta l'antenna. Il Maestro delCarroccio, onorevole personaggio, cui spettaper tradizione di famiglia questo privilegio,ogni volta che esce dalla città contro i nemiciviene così ricompensato: il Comune gli dà su-bito una corazza e una magnifica spada, poiotto soldi di nostra moneta per ogni giorno disua permanenza al campo. Il Comune eleggepure e ricompensa un cappellano che ognigiorno celebra, presso al Carroccio, la messa.

XXV. - Il Podestà che governa il nostro Co-mune è sempre seguìto da sei tubatori di ono-revole condizione, ciascuno dei quali ha dalComune o quattro, o tre, o almeno due caval-li: essi non adempiono solo l'ufficio di tubabo-ri e banditori, ma, quando sia necessario, an-che quello di prodi cavalieri ad onor della pa-tria. Due di costoro hanno lo speciale incaricodi distribuire le tende all'esercito, e ricevonodal Comune un decoroso stipendio.

Della fortezza della nostra ammiranda cittàho detto abbastanza. Più non dico per non te-diarvi. Ora passerò a dimostrare la sua co-stante fedeltà.

no, assunsero tutti i poteri del Comune.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO SESTO

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I. Patimenti sofferti per amor della Chiesa. - II.Perdita dei corpi dei tre Re Magi.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA COSTANTE FEDELTÀ.

I. - Di qual mai città s'è sentito dire che tan-to sia stata fedele alla Chiesa romana? Non fuforse per questo che Milano, stretta alla Chie-sa romana come la carne all'unghia, ostacoloperenne ai nemici di essa, spessissimo espo-sta ad assalti formidabili, sopportò la fame, lasete, il freddo, il caldo, fatiche, veglie, ferite,morti, lagrime e lutti, distruzioni, catture,carceri, tormenti, spese, miseria, fughe, in-cendi, devastazioni, rovine in più luoghi, e lastessa sua rovina? Eppure, tante volte marti-re, nulla mai valse a farle ripudiare la suafede. Mentre quasi tutte le città della Lombar-dia, come si vide chiaro al tempo dell'impera-tore Federigo, hanno qualche volta abbando-nato la Chiesa, la nostra sola sempre la inco-raggiò e la difese.

Nè mai ho letto, o sentito dire che sia stata

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DIVISIONE DEL CAPITOLO SESTO

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I. Patimenti sofferti per amor della Chiesa. - II.Perdita dei corpi dei tre Re Magi.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA COSTANTE FEDELTÀ.

I. - Di qual mai città s'è sentito dire che tan-to sia stata fedele alla Chiesa romana? Non fuforse per questo che Milano, stretta alla Chie-sa romana come la carne all'unghia, ostacoloperenne ai nemici di essa, spessissimo espo-sta ad assalti formidabili, sopportò la fame, lasete, il freddo, il caldo, fatiche, veglie, ferite,morti, lagrime e lutti, distruzioni, catture,carceri, tormenti, spese, miseria, fughe, in-cendi, devastazioni, rovine in più luoghi, e lastessa sua rovina? Eppure, tante volte marti-re, nulla mai valse a farle ripudiare la suafede. Mentre quasi tutte le città della Lombar-dia, come si vide chiaro al tempo dell'impera-tore Federigo, hanno qualche volta abbando-nato la Chiesa, la nostra sola sempre la inco-raggiò e la difese.

Nè mai ho letto, o sentito dire che sia stata

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in alcun tempo ribelle alla Chiesa di Roma;ma le fu sempre amica e, fin dove potè, fautri-ce. E per questo fu in antico chiamata «secon-da Roma», come nell'epigramma:

«Viatore, giunto al varco della porta urbana,esclama: - Vale, o seconda Roma, vanto e de-coro dell'Impero! O città veneranda, ricolma diricchezze, te i popoli temono, davanti a te ipotenti si inchinano, tu vinci Tebe nel valorguerriero e vinci nel senno Atene!».

Dunque per la fedeltà la nostra Milano me-rita le più grandi lodi.

II. - Ma ahimè! ahimè! come per questa fe-deltà le furon diroccate le mura da Federigo I,così, non per altra ragione, i nemici dellaChiesa le rubarono i corpi dei Re Magi chenell'anno 314 il beato Eustorgio aveva portatofra noi. Questa fu la ricompensa del nostrotravaglio, la perdita di tanto tesoro per avercombattuto costantemente i ribelli della Chie-sa! Guai ai figli della nostra terra se, spogliatidi sì preziose reliquie, vorranno danneggiarsia vicenda anzichè cercare il modo di rivendi-care, in forza del diritto ecclesiastico, e conloro grande gloria, quelle divine spoglie. Sefosse a me lecito affrontare i miei superiori, iPastori che governano la mia città, direi: -guai ai metropolitani che hanno trascurato

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in alcun tempo ribelle alla Chiesa di Roma;ma le fu sempre amica e, fin dove potè, fautri-ce. E per questo fu in antico chiamata «secon-da Roma», come nell'epigramma:

«Viatore, giunto al varco della porta urbana,esclama: - Vale, o seconda Roma, vanto e de-coro dell'Impero! O città veneranda, ricolma diricchezze, te i popoli temono, davanti a te ipotenti si inchinano, tu vinci Tebe nel valorguerriero e vinci nel senno Atene!».

Dunque per la fedeltà la nostra Milano me-rita le più grandi lodi.

II. - Ma ahimè! ahimè! come per questa fe-deltà le furon diroccate le mura da Federigo I,così, non per altra ragione, i nemici dellaChiesa le rubarono i corpi dei Re Magi chenell'anno 314 il beato Eustorgio aveva portatofra noi. Questa fu la ricompensa del nostrotravaglio, la perdita di tanto tesoro per avercombattuto costantemente i ribelli della Chie-sa! Guai ai figli della nostra terra se, spogliatidi sì preziose reliquie, vorranno danneggiarsia vicenda anzichè cercare il modo di rivendi-care, in forza del diritto ecclesiastico, e conloro grande gloria, quelle divine spoglie. Sefosse a me lecito affrontare i miei superiori, iPastori che governano la mia città, direi: -guai ai metropolitani che hanno trascurato

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d'invocare il braccio spirituale per esigere larestituzione di reliquie perdute non per colpadei cittadini, ma per la loro indefessa opera afavore della Chiesa!99.

Dacchè la nostra città fu fondata, cioèdall'anno 504 avanti la nascita del Salvatore,e 200, come ci insegna la storia, dalla fonda-zione di Roma, io credo che Milano non ebbemai a soffrire più grande jattura.

99 Quasi quattro secoli dacché Bonvesino scriveva, l'arcivescovo cardinaleAlfonso Litta (1652-1679) avviò pratiche per riavere i corpi venerati, ma ilNunzio apostolico gli tolse ogni speranza. Questi, in una sua lettera, al no-stro Bosca, ricordata dal Novati, dava interessanti particolari sul cultoonde a Colonia erano oggetto quei corpi: ogni sette anni dal fondodell'Ungheria venivano a quella città per venerarli circa cinquemila perso-ne.

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d'invocare il braccio spirituale per esigere larestituzione di reliquie perdute non per colpadei cittadini, ma per la loro indefessa opera afavore della Chiesa!99.

Dacchè la nostra città fu fondata, cioèdall'anno 504 avanti la nascita del Salvatore,e 200, come ci insegna la storia, dalla fonda-zione di Roma, io credo che Milano non ebbemai a soffrire più grande jattura.

99 Quasi quattro secoli dacché Bonvesino scriveva, l'arcivescovo cardinaleAlfonso Litta (1652-1679) avviò pratiche per riavere i corpi venerati, ma ilNunzio apostolico gli tolse ogni speranza. Questi, in una sua lettera, al no-stro Bosca, ricordata dal Novati, dava interessanti particolari sul cultoonde a Colonia erano oggetto quei corpi: ogni sette anni dal fondodell'Ungheria venivano a quella città per venerarli circa cinquemila perso-ne.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO SETTIMO

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I. Vani sforzi dei tiranni per possedere Milano.- II. Libertà del Metropolitano.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA LIBERTÀ.

Non c'è bisogno di un lungo discorso per di-mostrare che questa città va lodata pel suoamore della libertà.

È una cosa che sanno tutti. Dacchè si affer-mò la Chiesa di Dio, Milano non volle mai es-ser soggetta ad alcuno se non a quella. E ser-vir la Chiesa vuol dire esser liberi.

I. - Tentarono, è vero, non pochi tiranni distabilir qui il loro dominio, ma la bontà divi-na, col soccorso di Maria Vergine alla qualeson dedicate, oltre la cattedrale, più di dugen-tottanta chiese in città e nel territorio,coll'intercessione del beato Ambrogio e di altrisanti i cui corpi, in numero di sessanta, ripo-sano sotto la nostra terra, dei monaci e dellemonache abitanti, in gran numero, la città e ilcontado, fu spesse volte difesa dalla tirannicarabbia.

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DIVISIONE DEL CAPITOLO SETTIMO

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I. Vani sforzi dei tiranni per possedere Milano.- II. Libertà del Metropolitano.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA LIBERTÀ.

Non c'è bisogno di un lungo discorso per di-mostrare che questa città va lodata pel suoamore della libertà.

È una cosa che sanno tutti. Dacchè si affer-mò la Chiesa di Dio, Milano non volle mai es-ser soggetta ad alcuno se non a quella. E ser-vir la Chiesa vuol dire esser liberi.

I. - Tentarono, è vero, non pochi tiranni distabilir qui il loro dominio, ma la bontà divi-na, col soccorso di Maria Vergine alla qualeson dedicate, oltre la cattedrale, più di dugen-tottanta chiese in città e nel territorio,coll'intercessione del beato Ambrogio e di altrisanti i cui corpi, in numero di sessanta, ripo-sano sotto la nostra terra, dei monaci e dellemonache abitanti, in gran numero, la città e ilcontado, fu spesse volte difesa dalla tirannicarabbia.

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II. - Il nostro Metropolitano, che è il primofra tutti gli arcivescovi, non è soggetto nè alPatriarca, nè ad altri Primati. E i decreti ci in-segnano che il Capo della Chiesa milanese e ilPatriarca d'Aquileja potevano consacrarsi l'unl'altro100.

100 Allude al Decreto di Graziano, parte II, causa XXIV, questione I, capo 32.

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II. - Il nostro Metropolitano, che è il primofra tutti gli arcivescovi, non è soggetto nè alPatriarca, nè ad altri Primati. E i decreti ci in-segnano che il Capo della Chiesa milanese e ilPatriarca d'Aquileja potevano consacrarsi l'unl'altro100.

100 Allude al Decreto di Graziano, parte II, causa XXIV, questione I, capo 32.

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DIVISIONE DEL.CAPITOLO OTTAVO

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Dignità di Milano: I. Come sede dell'imperato-re. - II. Come luogo dove si incoronano gli im-peratori. - III. Per la loro presentazione fattadal nostro Arcivescovo. - IV. Per l'indipenden-za del medesimo. - V. Pel rito ambrosianoche Carlo tentò di abolire e per il carnevale. -VI. Per la penitenza. - VII. Per l'antichità del-la sede metropolitana e del rito ambrosiano.Quanti furono e quanti sono ora i vescovisoggetti al nostro Metropolitano. Numero de-gli Arcivescovi di Milano. - VIII. Per le grandidignità conferite ai nostri cittadini, ecclesia-stici e secolari. - IX. In quante prerogativeMilano supera tutte le altre città. - X. Due di-fetti di essa. - XI. Milano è gloriosa per suanatura. - XII. Significato del nome Mediola-num. - XIII. Qualità di quest'opera. XIV. Scu-se dell'autore. - XV. Invocazione a Milano eammonimento ai cittadini potenti.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA DIGNITÀ.

Che la nostra città sia gloriosa per la digni-

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DIVISIONE DEL.CAPITOLO OTTAVO

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Dignità di Milano: I. Come sede dell'imperato-re. - II. Come luogo dove si incoronano gli im-peratori. - III. Per la loro presentazione fattadal nostro Arcivescovo. - IV. Per l'indipenden-za del medesimo. - V. Pel rito ambrosianoche Carlo tentò di abolire e per il carnevale. -VI. Per la penitenza. - VII. Per l'antichità del-la sede metropolitana e del rito ambrosiano.Quanti furono e quanti sono ora i vescovisoggetti al nostro Metropolitano. Numero de-gli Arcivescovi di Milano. - VIII. Per le grandidignità conferite ai nostri cittadini, ecclesia-stici e secolari. - IX. In quante prerogativeMilano supera tutte le altre città. - X. Due di-fetti di essa. - XI. Milano è gloriosa per suanatura. - XII. Significato del nome Mediola-num. - XIII. Qualità di quest'opera. XIV. Scu-se dell'autore. - XV. Invocazione a Milano eammonimento ai cittadini potenti.

ELOGIO DI MILANO PER LA SUA DIGNITÀ.

Che la nostra città sia gloriosa per la digni-

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Page 148: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

tà sua procurerò di dimostrare con diversi ar-gomenti, seguendo la via della verità.

I. - Qui, come in una seconda Roma, spessorisiedettero gli imperatori, cioè Nerva, Traia-no, Adriano, Massimiano ed altri Gentili, iquali, prima che la Chiesa prosperasse, perse-guitavano i Cristiani. Essi, come si legge, am-pliarono e abbellirono la città. E in Milanospesse volte posero la loro residenza molti im-peratori cattolici dopo il trionfo della Chiesa,come Filippo, Costanzo III, Costante, Costan-tino, chiamato Gallo, Gioviniano, Valente, Va-lentiniano, Graziano e, ultimo, Teodosio.

II. - In Milano prendono la corona di red'Italia gli imperatori romani. Infatti, come sinarra in un libro intilotato «Copia di Arnol-fo»101, Corrado III fu unto, benedetto e corona-to della corona ferrea dall'Arcivescovo di Mila-no Anselmo da Pusterla, in Monza, dove que-sta corona si conserva, nella chiesa di SanMichele; quindi cinse nuovamente la corona aMilano nella basilica di S. Ambrogio.

All'Arcivescovo di Milano, quando si trovipresente (in Roma), spetta di presentare aSan Pietro e al suo Vicario il Re d'Italia desti-

101 Quanto Bonvesino scrive in questo punto è copiato letteralmentedall'Historia mediolanensis di Landolfo. Nel citare la fonte ha scambiato ilsuo autore con Arnolfo.

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tà sua procurerò di dimostrare con diversi ar-gomenti, seguendo la via della verità.

I. - Qui, come in una seconda Roma, spessorisiedettero gli imperatori, cioè Nerva, Traia-no, Adriano, Massimiano ed altri Gentili, iquali, prima che la Chiesa prosperasse, perse-guitavano i Cristiani. Essi, come si legge, am-pliarono e abbellirono la città. E in Milanospesse volte posero la loro residenza molti im-peratori cattolici dopo il trionfo della Chiesa,come Filippo, Costanzo III, Costante, Costan-tino, chiamato Gallo, Gioviniano, Valente, Va-lentiniano, Graziano e, ultimo, Teodosio.

II. - In Milano prendono la corona di red'Italia gli imperatori romani. Infatti, come sinarra in un libro intilotato «Copia di Arnol-fo»101, Corrado III fu unto, benedetto e corona-to della corona ferrea dall'Arcivescovo di Mila-no Anselmo da Pusterla, in Monza, dove que-sta corona si conserva, nella chiesa di SanMichele; quindi cinse nuovamente la corona aMilano nella basilica di S. Ambrogio.

All'Arcivescovo di Milano, quando si trovipresente (in Roma), spetta di presentare aSan Pietro e al suo Vicario il Re d'Italia desti-

101 Quanto Bonvesino scrive in questo punto è copiato letteralmentedall'Historia mediolanensis di Landolfo. Nel citare la fonte ha scambiato ilsuo autore con Arnolfo.

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Page 149: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

nato ad assumere l'Impero e accompagnarloin processione stando alla, sua sinistra. Silegge infatti nel libro di Benzo, già Arcivescovod'Alba102: da una parte il Pontefice e dall'altral'Arcivescovo ambrosiano accompagnano il Rein processione.

III. Mentre Corrado II, coronato dal nostroArcivescovo Eriberto, doveva essere per con-sacrazione apostolica sublimato alla dignitàimperiale, l'Arcivescovo di Ravenna, pur chia-mato Eriberto, violentando, con temerario ar-dire, la volontà del Re, tentò di usurpare quel-la insigne prerogativa. La sua condotta sde-gnò profondamente tutti i Presuli presenti. Nenacque non lieve susurro, cosicchè il Re, do-mandatane la causa e venuto a conoscenza,del vero, salì d'un tratto sul trono e così parlò:«Certo è, venerandi Padri, che, come la consa-crazione dell'Imperatore è privilegio della Sedeapostolica, così la elezione e la consacrazionedel Re lo è di quella ambrosiana. È quindi in-dubitato che la mano la quale benedice il Re eprima gli impone la corona sul capo, se è pre-sente, deve pure presentare il Re destinatoall'Impero a S. Pietro e al suo Vicario. Esigedunque il diritto che egli divenga Imperatorecoll'assistenza ambrosiana dacchè per ambro-

102 Allude all'opera di Benzo intitolata: Ad Henricum imperatorem, libri VIII.

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nato ad assumere l'Impero e accompagnarloin processione stando alla, sua sinistra. Silegge infatti nel libro di Benzo, già Arcivescovod'Alba102: da una parte il Pontefice e dall'altral'Arcivescovo ambrosiano accompagnano il Rein processione.

III. Mentre Corrado II, coronato dal nostroArcivescovo Eriberto, doveva essere per con-sacrazione apostolica sublimato alla dignitàimperiale, l'Arcivescovo di Ravenna, pur chia-mato Eriberto, violentando, con temerario ar-dire, la volontà del Re, tentò di usurpare quel-la insigne prerogativa. La sua condotta sde-gnò profondamente tutti i Presuli presenti. Nenacque non lieve susurro, cosicchè il Re, do-mandatane la causa e venuto a conoscenza,del vero, salì d'un tratto sul trono e così parlò:«Certo è, venerandi Padri, che, come la consa-crazione dell'Imperatore è privilegio della Sedeapostolica, così la elezione e la consacrazionedel Re lo è di quella ambrosiana. È quindi in-dubitato che la mano la quale benedice il Re eprima gli impone la corona sul capo, se è pre-sente, deve pure presentare il Re destinatoall'Impero a S. Pietro e al suo Vicario. Esigedunque il diritto che egli divenga Imperatorecoll'assistenza ambrosiana dacchè per ambro-

102 Allude all'opera di Benzo intitolata: Ad Henricum imperatorem, libri VIII.

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Page 150: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

siana consacrazione è divenuto Re».Dopo queste parole l'Arcivescovo di Raven-

na, che temerariamente aveva voluto usurpa-re il primo posto, ne fu, pieno di vergogna, al-lontanato perchè altri più degno lo occupasse.

Alquanti giorni dopo l'Autorità apostolicaconvocò una Sinodo nella quale fu decretatoche in tutti gli affari pontificali l'Arcivescovo diRavenna non potesse mai, in alcun modo, es-sere anteposto a quel di Milano: se lo avessetentato, dovesse subire la sanzione canonica.Per il che nella diciassettesima distinzione delDecreto si legge: «È pur da notare che in que-sto Concilio e in una Sinodo di Papa Simmacosi legge che il Vescovo di Milano ha sottoscrit-to e risposto prima di quel di Ravenna, ondeconsegue che il privilegio spettava alla Sede(milanese) prima che a lui»103. E Papa Gregoriodisse a Siagrio, vescovo di Autun: «Ordiniamoche i vescovi, sia nel sedere in Concilio, sianel sottoscrivere, e in qualunque azione, si103 Nel citato Decreto di Graziano, parte I, dist. XVII. e VI. Il passo del De-

creto di Graziano nel testo di Bonvesino, quale è riprodotto dal Novati,suona così: "Hoc quoque notandum est quod hoc in Concilio et in alia Si-nodo Simachi Papa ante Ravenatem episcopum nullum episcopum suscrip-sisse et respondisse legitur". Novati non s'é accorto che il detto passo vienea dire precisamente il contrario di quanto Bonvesino asserisce. Tutto è di-peso dall'aver letto "nullum episcopum" al posto di "mediolanensis episco-pus" Il sottoscrivere si riferisce alla firma dei decreti formulati nei Conciliie il rispondere al prender la parola alla discussione: e l'una e l'altra cosa ivescovi facevano seguendo l'ordine del loro grado.

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siana consacrazione è divenuto Re».Dopo queste parole l'Arcivescovo di Raven-

na, che temerariamente aveva voluto usurpa-re il primo posto, ne fu, pieno di vergogna, al-lontanato perchè altri più degno lo occupasse.

Alquanti giorni dopo l'Autorità apostolicaconvocò una Sinodo nella quale fu decretatoche in tutti gli affari pontificali l'Arcivescovo diRavenna non potesse mai, in alcun modo, es-sere anteposto a quel di Milano: se lo avessetentato, dovesse subire la sanzione canonica.Per il che nella diciassettesima distinzione delDecreto si legge: «È pur da notare che in que-sto Concilio e in una Sinodo di Papa Simmacosi legge che il Vescovo di Milano ha sottoscrit-to e risposto prima di quel di Ravenna, ondeconsegue che il privilegio spettava alla Sede(milanese) prima che a lui»103. E Papa Gregoriodisse a Siagrio, vescovo di Autun: «Ordiniamoche i vescovi, sia nel sedere in Concilio, sianel sottoscrivere, e in qualunque azione, si103 Nel citato Decreto di Graziano, parte I, dist. XVII. e VI. Il passo del De-

creto di Graziano nel testo di Bonvesino, quale è riprodotto dal Novati,suona così: "Hoc quoque notandum est quod hoc in Concilio et in alia Si-nodo Simachi Papa ante Ravenatem episcopum nullum episcopum suscrip-sisse et respondisse legitur". Novati non s'é accorto che il detto passo vienea dire precisamente il contrario di quanto Bonvesino asserisce. Tutto è di-peso dall'aver letto "nullum episcopum" al posto di "mediolanensis episco-pus" Il sottoscrivere si riferisce alla firma dei decreti formulati nei Conciliie il rispondere al prender la parola alla discussione: e l'una e l'altra cosa ivescovi facevano seguendo l'ordine del loro grado.

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Page 151: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

succedano secondo l'anzianità e si valganodelle prerogative spettanti al loro grado»104.

Non stabilì forse la sua sede in Milanol'apostolo Barnaba, primo nostro Pontefice, alquale successero tutti gli altri nostri arcive-scovi, mentre a Ravenna fu primo il beatoApollinare, non apostolo, ma solo discepolodegli apostoli? Non fu qui stabilita la Chiesacristiana prima che in qualunque altra cittàd'Italia? Non fu forse qui, per opera del beatoAmbrogio, oriundo di Roma, istituito il ritoambrosiano diverso dal rito di tutto il mondo?Non fu forse la nostra città sempre amica fe-delissima di Roma? Non sopportò per amordella Chiesa romana gravissime jatture ver-sando anche spesso il proprio sangue? Nessu-no merita maggior reverenza di chi ha consa-crato la propria anima agli amici. Dirò ancora:in che può Ravenna paragonarsi a Milano? Achi mi offrisse, quando fosse possibile, tuttaRavenna colla sua diocesi, io non darei incambio neppure il clima di Milano e le suepreziose acque.

IV. - Che altro potrei dire intorno alla mol-tissima dignità del nostro Metropolitano104 Questa lettera di papa Gregorio è riportata nel citato Decreto, luogo citato,

capo VII. La contesa di precedenza tra le due Chiese di Milano e di Ra-venna finì colla vittoria di quest'ultima. Ma gli scrittori milanesi evitano didirlo.

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succedano secondo l'anzianità e si valganodelle prerogative spettanti al loro grado»104.

Non stabilì forse la sua sede in Milanol'apostolo Barnaba, primo nostro Pontefice, alquale successero tutti gli altri nostri arcive-scovi, mentre a Ravenna fu primo il beatoApollinare, non apostolo, ma solo discepolodegli apostoli? Non fu qui stabilita la Chiesacristiana prima che in qualunque altra cittàd'Italia? Non fu forse qui, per opera del beatoAmbrogio, oriundo di Roma, istituito il ritoambrosiano diverso dal rito di tutto il mondo?Non fu forse la nostra città sempre amica fe-delissima di Roma? Non sopportò per amordella Chiesa romana gravissime jatture ver-sando anche spesso il proprio sangue? Nessu-no merita maggior reverenza di chi ha consa-crato la propria anima agli amici. Dirò ancora:in che può Ravenna paragonarsi a Milano? Achi mi offrisse, quando fosse possibile, tuttaRavenna colla sua diocesi, io non darei incambio neppure il clima di Milano e le suepreziose acque.

IV. - Che altro potrei dire intorno alla mol-tissima dignità del nostro Metropolitano104 Questa lettera di papa Gregorio è riportata nel citato Decreto, luogo citato,

capo VII. La contesa di precedenza tra le due Chiese di Milano e di Ra-venna finì colla vittoria di quest'ultima. Ma gli scrittori milanesi evitano didirlo.

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quando si sa che, dopo il Sommo Pontefice, è,fra tutti i Pontefici del mondo, come il più de-gno degli arcivescovi, primo e indipendente,non soggetto ad alcun Patriarca o ad altro Pri-mate, incorona in Milano i re dei Romani, e lipresenta, come ho detto, colla mano destra, aS. Pietro e al suo Vicario, e quando il Papaconvoca una Sinodo siede alla destra di Lui?

V. - Il capo del rito ambrosiano diverso daquello di tutto il mondo, è qui come un secon-do Papa. Questa liturgia, concessa alla Chiesamilanese per beneficio del nostro patrono S.Ambrogio105, ci fu conservata per un memo-rando miracolo divino. Si sa infatti che l'impe-ratore Carlo, figlio di Pipino re di Francia epadre di Carlomagno, voleva, in odio ai lom-bardi, consenziente Papa Adriano, abolire laliturgia ambrosiana106. Riuscito ad avere,

105 La credenza, annota il Novati, che qui Bonvesino esprime circa l'originedel rito ambrosiano, che cioè S. Ambrogio stesso ne sia stato il fondatoreera divulgata e indiscussa al suo tempo in Milano. Ma essa non risponde alvero, come non vi rispondono tutte le altre opinioni sostenute da scrittoriantichi e moderni, specialmente da quelli che vollero riallacciare la ambro-siana alle liturgie della Chiesa orientale. I competenti giudicano oggi cheessa altro non sia se non l'antichissima romana quale, nel primo secolodopo Cristo, fu portata da Roma a Milano da chi primo venne a predicarviil Vangelo.

106 Bonvesino confonde, attribuendo ad un Carlo, che dice figlio di Pipino epadre di Carlo Magno, l'ostilità contro il rito ambrosiano e che invece Lan-dolfo attribuisce a Carlo Magno. E che quest'ultimo tentasse di abolirlo èopinione accettata dagli storici più autorevoli.

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quando si sa che, dopo il Sommo Pontefice, è,fra tutti i Pontefici del mondo, come il più de-gno degli arcivescovi, primo e indipendente,non soggetto ad alcun Patriarca o ad altro Pri-mate, incorona in Milano i re dei Romani, e lipresenta, come ho detto, colla mano destra, aS. Pietro e al suo Vicario, e quando il Papaconvoca una Sinodo siede alla destra di Lui?

V. - Il capo del rito ambrosiano diverso daquello di tutto il mondo, è qui come un secon-do Papa. Questa liturgia, concessa alla Chiesamilanese per beneficio del nostro patrono S.Ambrogio105, ci fu conservata per un memo-rando miracolo divino. Si sa infatti che l'impe-ratore Carlo, figlio di Pipino re di Francia epadre di Carlomagno, voleva, in odio ai lom-bardi, consenziente Papa Adriano, abolire laliturgia ambrosiana106. Riuscito ad avere,

105 La credenza, annota il Novati, che qui Bonvesino esprime circa l'originedel rito ambrosiano, che cioè S. Ambrogio stesso ne sia stato il fondatoreera divulgata e indiscussa al suo tempo in Milano. Ma essa non risponde alvero, come non vi rispondono tutte le altre opinioni sostenute da scrittoriantichi e moderni, specialmente da quelli che vollero riallacciare la ambro-siana alle liturgie della Chiesa orientale. I competenti giudicano oggi cheessa altro non sia se non l'antichissima romana quale, nel primo secolodopo Cristo, fu portata da Roma a Milano da chi primo venne a predicarviil Vangelo.

106 Bonvesino confonde, attribuendo ad un Carlo, che dice figlio di Pipino epadre di Carlo Magno, l'ostilità contro il rito ambrosiano e che invece Lan-dolfo attribuisce a Carlo Magno. E che quest'ultimo tentasse di abolirlo èopinione accettata dagli storici più autorevoli.

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mentre era a Milano, o per dono, o per acqui-sto, tutti i libri sacri ambrosiani, parte ne fe'bruciare, parte portò con sè oltre i monti. Fi-nalmente, per miracoloso intervento della cle-menza divina, la Curia romana decretò chefosse consentito di celebrare in perpetuo il di-vino ministero istituito dalla devozione delbeato Ambrogio.

Tutti sanno ancora che, come noi godiamod'una liturgia speciale, così facciamo un car-nevale diverso da quello di tutti gli altri popo-li. Ed anche in questo si manifesta la gloria ela particolare dignità di Milano.

VI. - La qual dignità si appalesa anche inun altro modo: essendo cioè stato sempre am-messo, fin dal tempo degli antichi Padri, che imilanesi possano far penitenza dei loro pecca-ti senza uscir dalla diocesi, il che, se io nonerro, non avviene in alcun altro luogo.

VII. - Inoltre la nostra dignità è di tantomaggiore in quanto Milano ebbe prima diRoma e di tutte le altre città d'Italia la sedemetropolitana, gli uffici divini e i sacramentidella Chiesa. Infatti il beato apostolo Barna-ba, quattro anni prima che Pietro stabilisse inRoma la sua dimora, cioè tredici anni dopo laPassione di Cristo, fu creato Vescovo di Mila-no, e sette anni durò nel suo vescovado. Egli

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mentre era a Milano, o per dono, o per acqui-sto, tutti i libri sacri ambrosiani, parte ne fe'bruciare, parte portò con sè oltre i monti. Fi-nalmente, per miracoloso intervento della cle-menza divina, la Curia romana decretò chefosse consentito di celebrare in perpetuo il di-vino ministero istituito dalla devozione delbeato Ambrogio.

Tutti sanno ancora che, come noi godiamod'una liturgia speciale, così facciamo un car-nevale diverso da quello di tutti gli altri popo-li. Ed anche in questo si manifesta la gloria ela particolare dignità di Milano.

VI. - La qual dignità si appalesa anche inun altro modo: essendo cioè stato sempre am-messo, fin dal tempo degli antichi Padri, che imilanesi possano far penitenza dei loro pecca-ti senza uscir dalla diocesi, il che, se io nonerro, non avviene in alcun altro luogo.

VII. - Inoltre la nostra dignità è di tantomaggiore in quanto Milano ebbe prima diRoma e di tutte le altre città d'Italia la sedemetropolitana, gli uffici divini e i sacramentidella Chiesa. Infatti il beato apostolo Barna-ba, quattro anni prima che Pietro stabilisse inRoma la sua dimora, cioè tredici anni dopo laPassione di Cristo, fu creato Vescovo di Mila-no, e sette anni durò nel suo vescovado. Egli

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Page 154: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

elevò agli onori metropolitani i suoi santissimisuccessori e loro sottopose tutti i vescovi dellaLombardia. Furono così in antico molti suffra-ganei soggetti al nostro metropolitano, ma illoro numero andò scemando colla creazionedi altri metropolitani, cosicchè al tempodell'arcivescovo Giordano eran ridotti a solidiciotto. In seguito ne furono sottratti altriquattro ed ora ne rimangono quattordici107.

E sappiate che dall'apostolo Barnaba finoad oggi sedettero nella nostra città novantunvescovi, trentuno de' quali figurati nel numerodei santi confessori, insieme col beato Ambro-gio, dodicesimo arcivescovo, uno dei quattroprincipali dottori della Chiesa, superiore atutti per sapienza e virtù, che contribuì ad ac-crescere la dignità e il decoro della nostra cit-tà. Egli, come ho detto, compilò la liturgia am-brosiana ventidue anni prima della creazionedi quella romana.

VIII. - Per altre vie ancora si manifesta la di-gnità di Milano: tre dei nostri concittadini di-vennero sommi Pontefici, Alessandro II, dei

107 In realtà, il numero dei vescovi suffraganei della Chiesa milanese era ri-dotto a diciotto, e anche meno, già da gran tempo. Verso la fine del sec.XII erano i seguenti quattordici: Vercelli, Novara, Lodi, Tortona, Asti, To-rino, Acqui, Brescia, Bergamo, Cremona, Savona, Ivrea, Alba, Ventimi-glia. A questo tempo s'eran già staccati da Milano: Aosta e Coira, tra il1073 e il 1085. Genova nel 1132 e Albenga nel 1179.

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elevò agli onori metropolitani i suoi santissimisuccessori e loro sottopose tutti i vescovi dellaLombardia. Furono così in antico molti suffra-ganei soggetti al nostro metropolitano, ma illoro numero andò scemando colla creazionedi altri metropolitani, cosicchè al tempodell'arcivescovo Giordano eran ridotti a solidiciotto. In seguito ne furono sottratti altriquattro ed ora ne rimangono quattordici107.

E sappiate che dall'apostolo Barnaba finoad oggi sedettero nella nostra città novantunvescovi, trentuno de' quali figurati nel numerodei santi confessori, insieme col beato Ambro-gio, dodicesimo arcivescovo, uno dei quattroprincipali dottori della Chiesa, superiore atutti per sapienza e virtù, che contribuì ad ac-crescere la dignità e il decoro della nostra cit-tà. Egli, come ho detto, compilò la liturgia am-brosiana ventidue anni prima della creazionedi quella romana.

VIII. - Per altre vie ancora si manifesta la di-gnità di Milano: tre dei nostri concittadini di-vennero sommi Pontefici, Alessandro II, dei

107 In realtà, il numero dei vescovi suffraganei della Chiesa milanese era ri-dotto a diciotto, e anche meno, già da gran tempo. Verso la fine del sec.XII erano i seguenti quattordici: Vercelli, Novara, Lodi, Tortona, Asti, To-rino, Acqui, Brescia, Bergamo, Cremona, Savona, Ivrea, Alba, Ventimi-glia. A questo tempo s'eran già staccati da Milano: Aosta e Coira, tra il1073 e il 1085. Genova nel 1132 e Albenga nel 1179.

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Capitani di Baggio108; Celestino, dei Castiglio-ni109, e Urbano III, dei Crivelli110. E due impe-ratori romani, Valeriano e Galieno111. Van ri-cordati anche Pietro da Bussero che fu Legatodella Chiesa romana in Ungheria e i CardinaliPietro da Rho e Galdino da Sala, Uberto Piro-vano, Goffredo Castiglioni, Conte da Casate, ePietro dei Pietrigrossi la cui vita, dedita allascienza e alla virtù, il Signore conservi ognorpiù prospera, e, dopo la morte, ne sublimil'anima al cielo112.108 Anselmo da Baggio, già vescovo di Lucca, fu assunto al Pontificato col

nome di Alessandro II, 10 settembre 1061.109 Goffredo, che si crede della famiglia Castiglioni, nipote di Urbano III,

eletto papa col nome di Celestino IV il 23 settembre 1241.110 Uberto, o Lamberto, Crivelli, arcivescovo di Milano, fu eletto papa col

nome di Urbano III il 25 novembre 1185.111 Gli imperatori a cui allude Bonvesino, secondo l'ordine dei nomi, debbo-

no essere P. Aurelio Licinio Valerio Valeriano (253-259) e P. Licinio Gal-lieno suo figlio (259-268). Ma quanto a Valeriano, il Nostro, o la fonte acui ha attinto, debbono averlo confuso col figlio "Valeriano junore", osser-va il Novati, giacchè quello finì la vita schiavo del Re dei Persiani. L'averfatti milanesi questi rampolli della vetusta Casa romana dei Valeri, conti-nua sempre il Novati, deve dipendere da una erronea interpretazione deipassi di Trebellio e di Eutropio dove si narra come i due fratelli Valentinia-no e Gallieno avessero ugualmente incontrata la morte in vicinanza di Mi-lano (268).

112 I sei cardinali mentovati da Bonvesino sono: Pietro da Rho (a quantopare) di cui gli storici non sanno con precisione indicare l'età. Fiorì a ognimodo nella seconda metà del sec. XII. Galdino da Sala, personaggio illu-stre. L'8 maggio del 1166 fu creato arcivescovo di Milano. Morì in odoredi santità il 18 aprile 1176. Uberto Pirovano, arcivescovo dall'11 novem-bre 1206. Goffredo Castiglioni è il già menzionato papa Celestino IV.Conte da Casate, fu creato cardinale da Martino IV nel 1281: morì nel1287. Petrus Grossus, come Bonvesino lo chiama, appartenne alla fami-

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Capitani di Baggio108; Celestino, dei Castiglio-ni109, e Urbano III, dei Crivelli110. E due impe-ratori romani, Valeriano e Galieno111. Van ri-cordati anche Pietro da Bussero che fu Legatodella Chiesa romana in Ungheria e i CardinaliPietro da Rho e Galdino da Sala, Uberto Piro-vano, Goffredo Castiglioni, Conte da Casate, ePietro dei Pietrigrossi la cui vita, dedita allascienza e alla virtù, il Signore conservi ognorpiù prospera, e, dopo la morte, ne sublimil'anima al cielo112.108 Anselmo da Baggio, già vescovo di Lucca, fu assunto al Pontificato col

nome di Alessandro II, 10 settembre 1061.109 Goffredo, che si crede della famiglia Castiglioni, nipote di Urbano III,

eletto papa col nome di Celestino IV il 23 settembre 1241.110 Uberto, o Lamberto, Crivelli, arcivescovo di Milano, fu eletto papa col

nome di Urbano III il 25 novembre 1185.111 Gli imperatori a cui allude Bonvesino, secondo l'ordine dei nomi, debbo-

no essere P. Aurelio Licinio Valerio Valeriano (253-259) e P. Licinio Gal-lieno suo figlio (259-268). Ma quanto a Valeriano, il Nostro, o la fonte acui ha attinto, debbono averlo confuso col figlio "Valeriano junore", osser-va il Novati, giacchè quello finì la vita schiavo del Re dei Persiani. L'averfatti milanesi questi rampolli della vetusta Casa romana dei Valeri, conti-nua sempre il Novati, deve dipendere da una erronea interpretazione deipassi di Trebellio e di Eutropio dove si narra come i due fratelli Valentinia-no e Gallieno avessero ugualmente incontrata la morte in vicinanza di Mi-lano (268).

112 I sei cardinali mentovati da Bonvesino sono: Pietro da Rho (a quantopare) di cui gli storici non sanno con precisione indicare l'età. Fiorì a ognimodo nella seconda metà del sec. XII. Galdino da Sala, personaggio illu-stre. L'8 maggio del 1166 fu creato arcivescovo di Milano. Morì in odoredi santità il 18 aprile 1176. Uberto Pirovano, arcivescovo dall'11 novem-bre 1206. Goffredo Castiglioni è il già menzionato papa Celestino IV.Conte da Casate, fu creato cardinale da Martino IV nel 1281: morì nel1287. Petrus Grossus, come Bonvesino lo chiama, appartenne alla fami-

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Inoltre moltissimi furon chiamati a reggerediocesi straniere: e di questi nulla dirò. Viveancora il nobilissimo Patriarca di Aquileja,Raimondo della Torre, oriundo della nostracittà113. Che dirò dei tanti nostri eminenti con-cittadini secolari chiamati al governo di altriComuni? Ciò si comprende: di nobilissimarazza, i milanesi mostran dovunque i fruttidella loro nobiltà. Che avverrebbe se, dandotregua ai rancori, si amassero a vicenda econcordi provvedessero al bene della patria?Io sono convinto che facilmente potrebberogovernare tutta la Lombardia.

Avete ormai veduto le magnificenze di que-sta grande città che sempre avanza dal beneal meglio e più avanzerebbe se spontanea-mente non si lacerasse con rabbiosi denti.

IX. - Qui è bene dichiarare che, secondo ilparer mio, sei sono le particolari eccellenzeper le quali Milano va innanzi ad ogni altracittà: prima, l'abbondanza di ottime acque;

glia milanese Peregrossi o Petrigossi, creato cardinale nel 1288, proprioquando Bonvesino scriveva. Teologo e uomo politico valente.

113 Raimondo, della famiglia dei Torriani che tenne per molto tempo il domi-nio di Milano. Candidato all'arcivescovado nel 1259, non riuscì per intri-ghi di avversari che indussero papa Urbano IV a preferirgli Ottone Viscon-ti. Ebbe in compenso il vescovado di Como, quindi, per protezione di Gre-gorio X, il patriarcato d'Aquileja. Uomo valente e battagliero, ebbe moltaparte nella dura lotta che la famiglia sua sostenne contro i Visconti, i qualitrionfarono prima della sua morte.

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Inoltre moltissimi furon chiamati a reggerediocesi straniere: e di questi nulla dirò. Viveancora il nobilissimo Patriarca di Aquileja,Raimondo della Torre, oriundo della nostracittà113. Che dirò dei tanti nostri eminenti con-cittadini secolari chiamati al governo di altriComuni? Ciò si comprende: di nobilissimarazza, i milanesi mostran dovunque i fruttidella loro nobiltà. Che avverrebbe se, dandotregua ai rancori, si amassero a vicenda econcordi provvedessero al bene della patria?Io sono convinto che facilmente potrebberogovernare tutta la Lombardia.

Avete ormai veduto le magnificenze di que-sta grande città che sempre avanza dal beneal meglio e più avanzerebbe se spontanea-mente non si lacerasse con rabbiosi denti.

IX. - Qui è bene dichiarare che, secondo ilparer mio, sei sono le particolari eccellenzeper le quali Milano va innanzi ad ogni altracittà: prima, l'abbondanza di ottime acque;

glia milanese Peregrossi o Petrigossi, creato cardinale nel 1288, proprioquando Bonvesino scriveva. Teologo e uomo politico valente.

113 Raimondo, della famiglia dei Torriani che tenne per molto tempo il domi-nio di Milano. Candidato all'arcivescovado nel 1259, non riuscì per intri-ghi di avversari che indussero papa Urbano IV a preferirgli Ottone Viscon-ti. Ebbe in compenso il vescovado di Como, quindi, per protezione di Gre-gorio X, il patriarcato d'Aquileja. Uomo valente e battagliero, ebbe moltaparte nella dura lotta che la famiglia sua sostenne contro i Visconti, i qualitrionfarono prima della sua morte.

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seconda, il numero e l'onestà dei religiosi; ter-za, la quantità di sapienti inscritti al Collegiodei Giureconsulti; quarta, la liturgia distintada quella di tutte le altre città cristiane, e ilcarnevale; sesta, la fedeltà, non mai smentitaverso la Chiesa, quale risulta dalla descrizionedelle imprese da Milano compiute.

X. - E due sono, se mi è concesso di confes-sarli, i difetti peculiari alla nostra città: laconcordia civile e un porto che possa accoglie-re navi provenienti dal mare114. Se a questemancanze si potesse rimediare, ne consegui-rebbe il vantaggio d'una gloriosa prosperità. Ariparare la prima varranno, spero, i discorsidegli uomini assennati; la seconda facilmentesi colmerebbe se i potenti della nostra patriaconsacrassero alla esecuzione di quest'operaquell'energia che impiegano a distruggersi avicenda e ad estorcere ai loro concittadini de-nari per alimentare maligne imprese.

È ormai dimostrato che la nostra città nonha pari nel mondo: che è quasi un altro mon-do separato dal resto, che non solo merita diesser chiamata seconda Roma, ma, se mi per-mettete di dirlo senza presunzione, meritereb-114 Il sogno di Bonvesino, di una comunicazione per acqua con Venezia, do-

veva attendere la sua effettuazione fino al sec. XX. In questi ultimi anni s'èconcretato il progetto definitivo e sono già iniziati i lavori per collegare lanostra città al mare e dotarla di un porto adeguato.

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seconda, il numero e l'onestà dei religiosi; ter-za, la quantità di sapienti inscritti al Collegiodei Giureconsulti; quarta, la liturgia distintada quella di tutte le altre città cristiane, e ilcarnevale; sesta, la fedeltà, non mai smentitaverso la Chiesa, quale risulta dalla descrizionedelle imprese da Milano compiute.

X. - E due sono, se mi è concesso di confes-sarli, i difetti peculiari alla nostra città: laconcordia civile e un porto che possa accoglie-re navi provenienti dal mare114. Se a questemancanze si potesse rimediare, ne consegui-rebbe il vantaggio d'una gloriosa prosperità. Ariparare la prima varranno, spero, i discorsidegli uomini assennati; la seconda facilmentesi colmerebbe se i potenti della nostra patriaconsacrassero alla esecuzione di quest'operaquell'energia che impiegano a distruggersi avicenda e ad estorcere ai loro concittadini de-nari per alimentare maligne imprese.

È ormai dimostrato che la nostra città nonha pari nel mondo: che è quasi un altro mon-do separato dal resto, che non solo merita diesser chiamata seconda Roma, ma, se mi per-mettete di dirlo senza presunzione, meritereb-114 Il sogno di Bonvesino, di una comunicazione per acqua con Venezia, do-

veva attendere la sua effettuazione fino al sec. XX. In questi ultimi anni s'èconcretato il progetto definitivo e sono già iniziati i lavori per collegare lanostra città al mare e dotarla di un porto adeguato.

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be, a mio giudizio, di divenir la sede del Papa-to e di tutte le altre dignità.

XI. - Giacchè la nostra città è nobile per na-tura, mentre altre città non lo sono per sèstesse, ma traggono incremento e gloria dallafrequenza di stranieri, dal richiamo di studi od'altri allettamenti, senza di che rimarrebberooscure, come Parigi, Bologna ed altre doveesiste una Università di studi delle Arti libera-li. Queste circostanze io non deploro, anzi leapprezzo purchè per esse le donne non diven-gano impudiche e i mariti non abbiano amantenere figli altrui credendoli propri. Mamolto di più apprezzo la nostra Milano dacchènon per concorso di stranieri, ma per virtùpropria è prospera e grande. E tanto più lo èin quanto la sua natural vigoria contribuiscea far prosperare altre città straniere, qual'èComo, e fino al di là delle Alpi. Qui infatti ognigiorno s'accumula roba che viene in grandeabbondanza esportata altrove.

XII. - Del resto quel che sia la nostra città sirileva dallo stesso significato del suo nome.Infatti Mediolanum comincia con M e con Mfinisce: nel mezzo sono O ed L. L'M, che è lapiù larga lettera dell'alfabeto, significal'ampiezza della gloria di Milano diffusa pertutto il mondo. L'M, che sta, al principio ed

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be, a mio giudizio, di divenir la sede del Papa-to e di tutte le altre dignità.

XI. - Giacchè la nostra città è nobile per na-tura, mentre altre città non lo sono per sèstesse, ma traggono incremento e gloria dallafrequenza di stranieri, dal richiamo di studi od'altri allettamenti, senza di che rimarrebberooscure, come Parigi, Bologna ed altre doveesiste una Università di studi delle Arti libera-li. Queste circostanze io non deploro, anzi leapprezzo purchè per esse le donne non diven-gano impudiche e i mariti non abbiano amantenere figli altrui credendoli propri. Mamolto di più apprezzo la nostra Milano dacchènon per concorso di stranieri, ma per virtùpropria è prospera e grande. E tanto più lo èin quanto la sua natural vigoria contribuiscea far prosperare altre città straniere, qual'èComo, e fino al di là delle Alpi. Qui infatti ognigiorno s'accumula roba che viene in grandeabbondanza esportata altrove.

XII. - Del resto quel che sia la nostra città sirileva dallo stesso significato del suo nome.Infatti Mediolanum comincia con M e con Mfinisce: nel mezzo sono O ed L. L'M, che è lapiù larga lettera dell'alfabeto, significal'ampiezza della gloria di Milano diffusa pertutto il mondo. L'M, che sta, al principio ed

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alla fine, significa anche il numero mille al dilà del quale nessun numero è semplice e pre-sentabile con una parola sola. E questo nu-mero, perfetto nella sua semplicità, dà ad in-tendere che Milano dall'origine fino alla con-sumazione dei secoli è stata e sarà annovera-ta fra le città perfette. L'O, una delle due lette-re che stanno nel mezzo, rotonda e perfetta,la più degna e bella di tutte, significa la roton-dità, la bellezza, la dignità e la perfezione. Èinfatti la nostra città rotonda, come la lettera,più bella e più perfetta di altre consorelle. LaL simboleggia la lunghezze e anche l'altezzadella sua gloriosa nobiltà, giacchè per i meritie le preghiere della beata Vergine Maria, delbeato Ambrogio e dei santi de' quali qui ripo-san le ossa, e per bontà di Dio, la sua altagloriosa nobiltà durerà fino all'ultimo.

XIII. - Dobbiamo anche rilevare che in quelnome si trovano tutte le cinque vocali ripartitenelle singole sillabe, il che vuol dire che, comeil nome della nostra città non manca di alcu-na vocale, così la città non manca di alcunacosa necessaria ai cinque sensi dell'uomo. Esiccome i nomi delle altre città non possiedo-no il numero completo delle vocali, esse città,paragonate a Milano, mancano sempre diqualche cosa necessaria.

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alla fine, significa anche il numero mille al dilà del quale nessun numero è semplice e pre-sentabile con una parola sola. E questo nu-mero, perfetto nella sua semplicità, dà ad in-tendere che Milano dall'origine fino alla con-sumazione dei secoli è stata e sarà annovera-ta fra le città perfette. L'O, una delle due lette-re che stanno nel mezzo, rotonda e perfetta,la più degna e bella di tutte, significa la roton-dità, la bellezza, la dignità e la perfezione. Èinfatti la nostra città rotonda, come la lettera,più bella e più perfetta di altre consorelle. LaL simboleggia la lunghezze e anche l'altezzadella sua gloriosa nobiltà, giacchè per i meritie le preghiere della beata Vergine Maria, delbeato Ambrogio e dei santi de' quali qui ripo-san le ossa, e per bontà di Dio, la sua altagloriosa nobiltà durerà fino all'ultimo.

XIII. - Dobbiamo anche rilevare che in quelnome si trovano tutte le cinque vocali ripartitenelle singole sillabe, il che vuol dire che, comeil nome della nostra città non manca di alcu-na vocale, così la città non manca di alcunacosa necessaria ai cinque sensi dell'uomo. Esiccome i nomi delle altre città non possiedo-no il numero completo delle vocali, esse città,paragonate a Milano, mancano sempre diqualche cosa necessaria.

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Page 160: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Tale essendo, quale fu dimostrata, la gran-dezza di Milano, mi sembra giusto che chi hala fortuna di chiamarsi cittadino milanesepossa di ciò gloriarsi. A un patto però, chenon degeneri dalle virtù della stirpe, altrimen-ti non solo a sè, ma anche alla patria recheràvergogna. Imperocchè quanto più sono pernobiltà celebrate una famiglia o una città,tanto più spregevoli diventano quando si al-lontanino dalla probità degli avi.

XIV. - Tutto quanto ho detto in lode di Mila-no apparirà chiaro agli occhi di coloro chesanno vedere. Ma chi pensasse che nel tesse-re l'elogio di Milano io abbia sognato, o abbiascritto con leggerezza, o, per piacere ai leggi-tori, con malafede, sappia che ho attinto alla«Storia lombarda» e ad altri libri; e inoltre hocon non poca fatica indagato io stesso la veri-tà o l'ho dimandata a chi era in grado di cono-scerla. Molto potrei ancor dire intorno allagrandezza di Milano, ma sono stanco, ho altrecose da fare, e desidero fermarmi qui. Il dettobasti. Se qualcuno crederà che l'opera mianon sia in tutto perfetta mi sia indulgenteperchè l'urgenza di alcune mie occupazionim'ha costretto a pubblicarla prima di averlapotuta definitivamente correggere.

XV. - O Milano che nel linguaggio volgare

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Tale essendo, quale fu dimostrata, la gran-dezza di Milano, mi sembra giusto che chi hala fortuna di chiamarsi cittadino milanesepossa di ciò gloriarsi. A un patto però, chenon degeneri dalle virtù della stirpe, altrimen-ti non solo a sè, ma anche alla patria recheràvergogna. Imperocchè quanto più sono pernobiltà celebrate una famiglia o una città,tanto più spregevoli diventano quando si al-lontanino dalla probità degli avi.

XIV. - Tutto quanto ho detto in lode di Mila-no apparirà chiaro agli occhi di coloro chesanno vedere. Ma chi pensasse che nel tesse-re l'elogio di Milano io abbia sognato, o abbiascritto con leggerezza, o, per piacere ai leggi-tori, con malafede, sappia che ho attinto alla«Storia lombarda» e ad altri libri; e inoltre hocon non poca fatica indagato io stesso la veri-tà o l'ho dimandata a chi era in grado di cono-scerla. Molto potrei ancor dire intorno allagrandezza di Milano, ma sono stanco, ho altrecose da fare, e desidero fermarmi qui. Il dettobasti. Se qualcuno crederà che l'opera mianon sia in tutto perfetta mi sia indulgenteperchè l'urgenza di alcune mie occupazionim'ha costretto a pubblicarla prima di averlapotuta definitivamente correggere.

XV. - O Milano che nel linguaggio volgare

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Page 161: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

potresti anche essere chiamata Mirano da mi-rare115, chi pensa che tu da mirabile abbia adiventar miserabile, chi dovrà deplorare chetu coperta di lana sia dilaniata?...116. Tu nutri-sci nel tuo seno chi tenta dilaniarti con rab-biosi denti. Forse della tua turbolenza si com-piacciono le città sorelle per timore di doveresserti soggette, quando la pace accrescessela tua forza. Bramose di renderti loro tributa-ria, mentre ti vedono così ammalata, non sipéritano di minacciarti e istigarti, ti disprezza-no e della tua malattia pazzamente ridono.

O mirabil decoro del mondo, o città, ripienadi molteplici grazie, o città veneranda consa-crata dal sangue purissimo di tanti martiri,chi son che presumono di inquietarti se non115 Latino mirari, che vuol dire, non già mirare, guardare attentamente, ma

ammirare. Di queste strambe etimologie, come già abbiamo osservato, sicompiacevano i contemporanei di Bonvesino.

116 Allude al mito della troia coperta il corpo, per metà, di lana, che avrebbe-ro trovato sulla via i fondatori di Milano, onde il nome in medio lanae =Mediolanum. Stranissima etimologia al pari di molte altre. L'origine delnome Mediolanum, accertata dalla critica moderna, è la seguente: presso iGalli che, se non proprio fondarono la città, primi le diedero un'improntacome capitale della regione cisalpina da loro conquistata, ogni regioneaveva un centro politico e religioso chiamato il mezzo: midland = terra dimezzo. I romani, subentrati nel dominio gallico, sostituirono alla primaparte della parola la voce latina corrispondente: medio, e mantennero la se-conda latinizzandola nella desinenza: land = lanum.

La stessa sorte subirono gli altri midland dei paesi gallici, cosicchè si ebbe unMediolanun Eburovicun, = Milano degli Eburovici; un Mediolonum Se-quanorum o dei Sequani, che vanno assieme al nostro Mediolanum Insu-brum, o degli Insubri, chè così, in modo completo, si appellava.

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potresti anche essere chiamata Mirano da mi-rare115, chi pensa che tu da mirabile abbia adiventar miserabile, chi dovrà deplorare chetu coperta di lana sia dilaniata?...116. Tu nutri-sci nel tuo seno chi tenta dilaniarti con rab-biosi denti. Forse della tua turbolenza si com-piacciono le città sorelle per timore di doveresserti soggette, quando la pace accrescessela tua forza. Bramose di renderti loro tributa-ria, mentre ti vedono così ammalata, non sipéritano di minacciarti e istigarti, ti disprezza-no e della tua malattia pazzamente ridono.

O mirabil decoro del mondo, o città, ripienadi molteplici grazie, o città veneranda consa-crata dal sangue purissimo di tanti martiri,chi son che presumono di inquietarti se non115 Latino mirari, che vuol dire, non già mirare, guardare attentamente, ma

ammirare. Di queste strambe etimologie, come già abbiamo osservato, sicompiacevano i contemporanei di Bonvesino.

116 Allude al mito della troia coperta il corpo, per metà, di lana, che avrebbe-ro trovato sulla via i fondatori di Milano, onde il nome in medio lanae =Mediolanum. Stranissima etimologia al pari di molte altre. L'origine delnome Mediolanum, accertata dalla critica moderna, è la seguente: presso iGalli che, se non proprio fondarono la città, primi le diedero un'improntacome capitale della regione cisalpina da loro conquistata, ogni regioneaveva un centro politico e religioso chiamato il mezzo: midland = terra dimezzo. I romani, subentrati nel dominio gallico, sostituirono alla primaparte della parola la voce latina corrispondente: medio, e mantennero la se-conda latinizzandola nella desinenza: land = lanum.

La stessa sorte subirono gli altri midland dei paesi gallici, cosicchè si ebbe unMediolanun Eburovicun, = Milano degli Eburovici; un Mediolonum Se-quanorum o dei Sequani, che vanno assieme al nostro Mediolanum Insu-brum, o degli Insubri, chè così, in modo completo, si appellava.

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certi prepotenti tuoi cittadini che le dovizie ditutto il mondo non basterebbero saziare? Checosa può mai inspirar loro tanta presunzione?Dovrò io dire che è l'invidia che li corrode e liirrita e li stimola ad ogni scelleraggine, o do-vrò tacere? Silenzio. Spesso il tacere non famale. Ma questo dirò: che certi invidiosi diquesta terra, ignari di Dio e di sè stessi, han-no la perfida capacità di esercitare, a dannode' loro concittadini, astuzie e violenze e pre-feriscono collegarsi cogli stranieri, combatterfra loro con inique armi per tiranneggiare glialtri, a disdoro della patria, piuttosto che vive-re in pace, rispettandosi a vicenda, per favori-re il progresso della città, conseguire l'egemo-nia su tutti i lombardi e una gloria trionfale.Coloro che, mentre potrebbero dominare le al-tre città della Lombardia, si adoprano a di-struggere i concittadini per magnificare sèstessi, non tollerando che altri sia loro pari, eaddentano come cani la grandezza della lorocittà spingendola quasi a ridursi in vergogno-sa servitù, coloro, mi sia lecito dirlo, non sondegni neppure di pulire le scarpe ai milanesi.

Guai agli scellerati, che movendo sulle ormedi Lucifero, colla loro libidine di dominio ten-tano sconvolgere una sì grande città; guai aglialtri che, imitando gli spiriti perversi, fautori

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certi prepotenti tuoi cittadini che le dovizie ditutto il mondo non basterebbero saziare? Checosa può mai inspirar loro tanta presunzione?Dovrò io dire che è l'invidia che li corrode e liirrita e li stimola ad ogni scelleraggine, o do-vrò tacere? Silenzio. Spesso il tacere non famale. Ma questo dirò: che certi invidiosi diquesta terra, ignari di Dio e di sè stessi, han-no la perfida capacità di esercitare, a dannode' loro concittadini, astuzie e violenze e pre-feriscono collegarsi cogli stranieri, combatterfra loro con inique armi per tiranneggiare glialtri, a disdoro della patria, piuttosto che vive-re in pace, rispettandosi a vicenda, per favori-re il progresso della città, conseguire l'egemo-nia su tutti i lombardi e una gloria trionfale.Coloro che, mentre potrebbero dominare le al-tre città della Lombardia, si adoprano a di-struggere i concittadini per magnificare sèstessi, non tollerando che altri sia loro pari, eaddentano come cani la grandezza della lorocittà spingendola quasi a ridursi in vergogno-sa servitù, coloro, mi sia lecito dirlo, non sondegni neppure di pulire le scarpe ai milanesi.

Guai agli scellerati, che movendo sulle ormedi Lucifero, colla loro libidine di dominio ten-tano sconvolgere una sì grande città; guai aglialtri che, imitando gli spiriti perversi, fautori

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Page 163: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

di Lucifero, aderiscono alle fazioni e istiganogli empi capi a rovinar la patria.

Guai ai religiosi che nell'ombra, favorisconle sètte, e guai ai religiosi, indisciplinati favo-reggiatori di coloro che, vaghi di dominar suiconfratelli, quando fra essi trovano il male e sisentono incapaci a guarirlo, ricorrono ai po-tenti, al modo di Giuda Iscariota. Guai a colo-ro che volontieri apron le orecchie alle blandi-zie degli adulatori, benignamente li accolgono,e li secondano. Costoro sono autori di divisio-ne e di discordia, e, se prima non si converta-no al Signore, son degni di esser puniti come ifalsi angeli ed i demoni.

Preghiamo dunque il nostro Salvatore, il Si-gnor nostro Gesù Cristo, che si degni di ac-crescere la grandezza di questa città, manten-ga sulla retta via i cittadini disposti a percor-rerla e vi riconduca i traviati, benedica tuttigli stranieri che si compiacciono per la nostragrandezza, e gli invidiosi e i malevoli convertae riduca alla virtù della carità. Egli che vivecol Padre, col Figliuolo e collo Spirito Santo.Dio per infinita saecula saeculorum. Amen.

Deo gratias amen.______

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di Lucifero, aderiscono alle fazioni e istiganogli empi capi a rovinar la patria.

Guai ai religiosi che nell'ombra, favorisconle sètte, e guai ai religiosi, indisciplinati favo-reggiatori di coloro che, vaghi di dominar suiconfratelli, quando fra essi trovano il male e sisentono incapaci a guarirlo, ricorrono ai po-tenti, al modo di Giuda Iscariota. Guai a colo-ro che volontieri apron le orecchie alle blandi-zie degli adulatori, benignamente li accolgono,e li secondano. Costoro sono autori di divisio-ne e di discordia, e, se prima non si converta-no al Signore, son degni di esser puniti come ifalsi angeli ed i demoni.

Preghiamo dunque il nostro Salvatore, il Si-gnor nostro Gesù Cristo, che si degni di ac-crescere la grandezza di questa città, manten-ga sulla retta via i cittadini disposti a percor-rerla e vi riconduca i traviati, benedica tuttigli stranieri che si compiacciono per la nostragrandezza, e gli invidiosi e i malevoli convertae riduca alla virtù della carità. Egli che vivecol Padre, col Figliuolo e collo Spirito Santo.Dio per infinita saecula saeculorum. Amen.

Deo gratias amen.______

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Page 164: Le meraviglie di Milano - Liber Liber · pe o non volle dir altro di lui se non che era frater tertii Ordinis, senza neppur aggiungere di qual Ordine monastico sia stato terziario.

Scrivi Ger, poi va, poi sio e avrai nominatoquel Corio [che ha trascritto questo libro]117

117 Quel Gervasio Corio, che si annuncia con sì puerile bisticcio, è il copista acui dobbiamo la trascrizione del manoscritto di Bonvesino, cui toccò laventura di giungere intatto fino a noi. Copista invero non diligentissimo, elo seppe il povero Novati, sobbarcandosi a non lieve fatica per correggereparecchi suoi strafalcioni. Comunque, rendiamogli grazie; chè, senza dilui, non conosceremmo, nella sua integrità, il simpatico libretto bonvesi-niano.

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Scrivi Ger, poi va, poi sio e avrai nominatoquel Corio [che ha trascritto questo libro]117

117 Quel Gervasio Corio, che si annuncia con sì puerile bisticcio, è il copista acui dobbiamo la trascrizione del manoscritto di Bonvesino, cui toccò laventura di giungere intatto fino a noi. Copista invero non diligentissimo, elo seppe il povero Novati, sobbarcandosi a non lieve fatica per correggereparecchi suoi strafalcioni. Comunque, rendiamogli grazie; chè, senza dilui, non conosceremmo, nella sua integrità, il simpatico libretto bonvesi-niano.

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