ARIA, ACQUA, TERRA PER UNA POLITICA DELLA SOPRAVVIVENZA Sabato 26 Maggio dalle 9.00 alle 18.30,
Le Maschere della personalità e il Teatro della sopravvivenza - Donatella SALVA'
-
Upload
centro-studi-michel-hardy -
Category
Documents
-
view
217 -
download
0
description
Transcript of Le Maschere della personalità e il Teatro della sopravvivenza - Donatella SALVA'
LUMHLIBERA UNIVERSITÀ DI STUDI
PSICOLOGICI EMPIRICI MICHEL HARDY
LE MASCHERE DELLA PERSONALITA’ E IL TEATRO DELLA
SOPRAVVIVENZA: ISTRUZIONI PER L’USO IN CHIAVE EMPIRICA
TESI PER L’ESAME F.A.I.P.
DI
DONATELLA SALVA’
10/11 GIUGNO 2011
Castel SanPietro
Titolo professionale: Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche
INDICE
1.0LA VITA È UN TEATRO E IL TEATRO È CIÒ CHE LA VITA È pag. 31.1 Il teatro e il suo ruolo pag. 31.2 Il teatro della persona pag. 6
2.0CORPO E MENTE: “SENTIRE” LE EMOZIONI pag. 8
2.1 Supremazia della mente sul corpo? pag. 82.2 Gli indicatori emotivi e il perché delle nostre maschere pag. 92.3 L’approccio empirico pag.112.4 Integrazione tra corpo e mente pag.13
3.0 LA PSICOLOGIA EMPIRICA pag.17
3.1 Il sistema e l’ordine armonico/ esperienze di teatro pag. 172.2 I ruoli sistemici pag. 222.3 Il copione personale pag. 272.4 Codice yin e yang pag. 312.5 Il teatrino delle coppie pag. 37
4.0 IL DEBITO SISTEMICO: MASCHERE E PERSONALITA’ pag. 46
4.1 Il debito empirico pag. 474.2 Luce ed ombra: perché indossiamo le nostre maschere pag. 504.3 Le maschere della personalità: Il cavaliere dall’armatura arrugginita
pag. 535.0 L’ESPERIENZA DEL “TEATRO DEL SE’” pag. 64 6.0 ESPERIENZE DI LABORATORIO TEATRALE IN CHIAVE EMPIRICA
pag. 696.1 Il laboratorio teatrale pag. 696.2 il tema del viaggio pag. 716.3 Il mio viaggio pag. 736.4 Esperienze di laboratorio pag. 786.5 Lavoro sul Sé pag. 82Conclusioni pag.
3
BIBLIOGRAFIA (e WEBOGRAFIA) pag. 86
4
CAPITOLO 1
LA VITA È UN TEATRO E IL TEATRO È CIÒ CHE LA VITA È.
Ti criticheranno sempre,
parleranno male di te
e sarà difficile che incontri qualcuno
al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi,
fai quello che ti dice il cuore...
La vita è un’opera di teatro
che non ha prove iniziali.
Canta, ridi, balla, ama...
e vivi intensamente ogni momento
della tua vita...
prima che cali il sipario
e l’opera finisca senza applausi....
(Charlie Chaplin)
1.1 IL TEATRO E IL SUO RUOLO La teatralità, nell’accezione più ampia del termine, è per l’uomo un’esigenza primaria e
necessaria di espressione, non solo come spettatore.
L’immagine di sé, che si trasmette a chi ci sta vicino, è, adesso più che mai, idolatrata
e, per costruirla, l’uomo ha bisogno di figure di riferimento: i bambini imitano i propri
genitori, gli adolescenti imitano i propri amici e gli adulti imitano il modello irreale e
ideale di persona che hanno deciso di essere e di mostrare agli altri.
Il teatro è l’uomo che imita l’uomo, con le sue debolezze, i suoi sogni e le sue
fantasie: il teatro è vita, ma rappresenta CIO' CHE LA VITA E'.
Le rappresentazioni teatrali, come già nella pólis della Grecia classica, interpretano
le idee, le vittorie, i problemi, le frustrazioni e la vita politica della comunità che le
partorisce, per cui lo spettacolo teatrale non è semplicemente un’occasione di
5
divertimento e di evasione, ma anche un momento d’incontro, di apprendimento e di
approfondimento, per tutti coloro che vi partecipano.
A teatro allo spegnimento delle luci, si entra in uno stato alfa, ossia in uno stato di
rilassamento, quasi onirico, in cui l’inconscio esce fuori con i suoi simboli e “si sente”
cosa avviene dentro di sé.
Anche l’attore, come lo spettatore, man mano che i fari, che inizialmente accecano, si
abbassano, comincia ad intravedere i visi degli spettatori, perdendo quello stato beta, in
cui la mente è sempre vigile.
Infatti, quando scende il buio per la visione di uno spettacolo, si abbassano le
frequenze del cervello (come del resto avviene quando siamo davanti alla televisione
e, soprattutto, quando viene mandata in onda la pubblicità) ed è in quella solitudine,
in cui si perde quell’entità, spesso finta, che assumiamo nella vita quotidiana, che i
messaggi “veri” del teatro arrivano con tutta la loro pienezza.Al cinema si possono sperimentare le stesse sensazioni, ma mentre qui le figure
si muovono come “fantasmi”, che sono proiettate su uno schermo, nel teatro
c’è “un’anima” che vive e passa le sue emozioni: se queste sono sentite e profonde
e lo spettatore riesce a trovare risonanze con il suo mondo interiore, porterà con sé
un’esperienza che ricorderà nel tempo, anche se, spesso, non a livello cosciente.
L’arte del teatro, infatti, che vive di attimi e nel presente, ossia nel qui ed ora, se non
lascia qualcosa a chi la fruisce, rischia di perdere il suo reale valore.
In realtà il teatro non è inteso solo come spettacolo cui si assiste, ma anche come luogo
in cui si crea e a cui si partecipa attivamente, tanto da mettere in moto meccanismi
personali, spesso nascosti.
Il laboratorio teatrale, infatti, come lo psicodramma o, anche se in modo diverso, le
Costellazioni familiari, è una pratica creativa e stimolante rivolta alla conoscenza di se
stessi e al miglioramento della relazione con gli altri.
Il suo obiettivo consiste nel raggiungimento del benessere personale, attraverso la
scoperta del senso della propria storia e cambiamenti e trasformazioni si possono
attuare, grazie al potere catartico insito nella messa in scena di sé.
Il drammatizzare, quindi, diventa un modo per dare una risoluzione al conflitto psichico,
è una tecnica attiva, che ha una portata maggiore soprattutto con la presenza di un
gruppo, che, se ben “riscaldato”, supporta il singolo, facendo si che i confini dell’Io
si indeboliscano e che emerga quella realtà gruppale, capace di produrre quel
coinvolgimento comune, che poi crea il cambiamento.
6
Si instaura, infatti, una relazione interpersonale caratterizzata da una dimensione di
profonda comunione che la sorregge:
“L’incontro di due occhi negli occhi, viso a viso…. E quando tu sarai vicino scambierò
i tuoi occhi con i miei e viceversa, cosicchè io ti guarderò con i tuoi occhi e tu mi vedrai
con i miei” ( Moreno 1985)
Il teatro, quindi, può produrre cambiamenti ed è dunque terapeutico e potenzialmente
liberatorio, quando realmente esprime i bisogni e le emozioni delle persone e se
promuove non tanto la produzione artistica in sé, quanto l’atto creativo che la sottende.
“In questa nostra società, in cui tutte le cose vengono fatte velocemente, non importa se
male; in cui la lentezza, di cui necessita la scoperta e la cura dei fatti, è considerata un
approccio noioso e controproducente, abbiamo bisogno di fermare il tempo e trovare in
noi una prospettiva emozionata ed emozionante, che risvegli il senso della bellezza e la
poetica delle cose.
Il teatro è gioco, divertimento, ma anche uno strumento che ci permette di vedere
la realtà da prospettive diverse, portando alla nostra vita più fisicità, più azioni e un
patrimonio di nuove espressioni da mettere in gioco”
(Roberto Cajafa).
Il teatro, così insieme alla pratica-empirica di Michel Hardy, può diventare uno strumento
potente per un nuovo approccio alla persona, perché, in perfetta sinergia, questi due
modi di investigazione della realtà empirica, possono stare al servizio dell’espressività e
del suo palcoscenico eterno… la vita.
(Michel Hardy)
7
1.2 ”IL TEATRO DELLA PERSONA”.
“Il teatro è lo specchio della nostra anima e la nostra anima si rispecchia in ogni
cosa che facciamo o, ancor di più, che non facciamo”, ( Michel Hardy)
Questo modo di affrontare l’interazione tra ciò che siamo e ciò che in realtà mettiamo
in scena ogni giorno della nostra vita è la base del lavoro del seminario esperenziale,
all’interno del percorso della LUMH, “Il Teatro del Sé”, in quanto, Magister Michel
Hardy, parte dal presupposto che ognuno di noi, nel quotidiano, quindi in casa, al lavoro,
nel tempo libero, recita un ruolo cercando di interpretare quello che vorrebbe o non
vorrebbe essere, seguendo un copione, che ripete meccanicamente.
“Attraverso le dinamiche ed gli stimoli del Teatro del Sé possiamo entrare in contatto
con la nostra autenticità emotiva, relazionale ed espressiva, sperimentandoci nella “non
finzione”; facendo emergere i nostri “buchi emotivi”, lasciamo che il Sé riveli i suoi
segreti, per cui si possono svolgere indagini approfondite nell’ ambito del vissuto
individuale di ciascuno, per fare uscire poi i meccanismi di auto-boicottaggio che
utilizziamo nella vita, illuminando le strategie inconsapevoli e gli schemi mentali profondi
che ci impongono un ruolo da sostenere”
“Il "Teatro del Sé" apre il sipario del nostro palcoscenico privato, ci guida fuori
dalle "quinte", liberando il corpo dalle maschere e l'anima dalle corazze. Quando ci
sentiremo stanchi di dimostrare e preferiremo essere, il "Sé" illuminerà le nostre ombre.
Potremo così interpretarle, integrandole in quella parte sana e vitale di noi che è al
servizio dell'amore, della libertà e della conoscenza. (Michel Hardy)
8
L’esperienza diretta, così, permette all’individuo, grazie alla sua capacità di auto-
osservazione, di decentrare l’osservazione da quella parte dell’io che recita la scena,
facendogli prendere coscienza del suo modo di relazionarsi con se stesso e con gli altri.
Mettendosi in gioco, il protagonista si può liberare dalle sovrastrutture costruite nel corso
della sua vita, che hanno nascosto il suo mondo interiore, favorendo un incontro più
autentico con gli altri.
Inoltre, durante il succedersi delle scene, è possibile rivisitare la rappresentazione
interiore dei ruoli con figure significative della propria esistenza, prendendo coscienza
delle strategie di auto-boicottaggio che attuiamo nella vita di tutti i giorni.
La spontaneità è una possibile spinta verso la trasformazione ed è importante liberarla e
stimolarla, perché opera nel presente, nel qui e ora, che ripresenta inevitabilmente il “là e allora”, che scopre “imperativi antichi”, operanti sui comportamenti attuali, liberando
potenzialità nuove, che tendono a promuovere il cambiamento.
Attraverso la drammatizzazione si possono portare, quindi, nel presente, situazioni del
passato e diventa terapeutico non tanto ricalcare gli stessi sentimenti già provati, quanto
riviverli integrandoli nel presente.
Rimettendo in gioco complessi, inibizioni, conflitti, ce ne si può liberare, anche con
l’aiuto della dimensione “protetta” del gruppo, che permette ai soggetti di raggiungere un
grado profondo di esplorazione della verità: come la maieutica di Socrate, così anche il
teatro può fare accedere alla propria verità.
L’esperienza teatrale-empirica, come le costellazioni familiari, offre la rara possibilità
di rivivere drammaticamente scene di vita passate o presenti, di riaprire questioni
conflittuali mai risolte, che possono continuare ad influenzare inconsapevolmente il
nostro agire quotidiano.
9
Claude Monet Impression, soleil levant) (1872).
10
CAPITOLO 2
CORPO E MENTE: “SENTIRE” LE EMOZIONI
2.1 SUPREMAZIA DELLA MENTE SUL CORPO? La filosofia antica e moderna, l’epistemologia che ne è derivata e l’impianto dottrinale
del cristianesimo, che si fonda sull’antropologia dualistica, mutuata da questa eredità
filosofica, ci hanno abituati a pensare ad una supremazia della mente sul corpo e ad
una separazione tra la sfera della razionalità e del nostro approccio cognitivo al mondo
e la sfera del sentire.
Nonostante la filosofia contemporanea abbia superato ed invertito questa concezione,
tale eredità fa da sfondo al nostro modo di intendere la relazione tra pensare e sentire,
per cui la supremazia della mente sul corpo e del pensare sul sentire dipende da un
convinzione difficile da sradicare, perché prolungatasi nel tempo.
In realtà la mente non riesce ad andare oltre una certa soglia, che può essere superata
solo dal “sentire”, la cui disattenzione, però, ha portato all'assenza familiare e sociale
di una educazione sentimentale; alla convinzione culturale che i sentimenti abbiano una
loro spontanea naturalità, determinata dai legami biologici di sangue e parentela; alla
non considerazione del corpo come medium vivente nelle dinamiche relazionali.
L’emozione è un’improvvisa alterazione di uno stato affettivo, che costituisce una
risposta involontaria e reattiva a eventi o situazioni positive o negative; altera lo stato al
quale sopravviene, si fa notare da chi la vive, oltre che dagli altri.
Gli stati emotivi sono eventi che occupano il presente e la coscienza del soggetto che le
prova e si consumano nell’attualità.
Le emozioni hanno luogo nel teatro del corpo e, quando vengono registrate nel
cervello, si formano i sentimenti, componenti fondamentali della nostra mente, che
altro non sono che la percezione dello stato del corpo in un dato momento, unita alla
percezione di una particolare modalità di pensiero.
Non esiste quindi dicotomia tra mente e corpo, poiché la mente è fatta di immagini,
rappresentazioni o pensieri relativi alle parti del corpo, che agiscono spontaneamente o
subiscono modificazioni, indotte dall’ambiente.
La sfera del sentire non è una dimensione passiva ed ogni esperienza della nostra
11
vita si accompagna a un certo grado di emozione, sia negativa che positiva, che si
evidenzia, soprattutto, quando si presentano problemi personali e sociali importanti.
2.2 GLI INDICATORI EMOTIVI E LE NOSTRE MASCHERE Le emozioni sono, quindi, modi di comprendere il mondo e se stessi, perché è proprio nell’esperienza del sentire che l’essere di ciascuno si vive ed attiva una parte interna:
la sfera affettiva, infatti, è la sfera di esperienza dell’interiorità e della profondità della
persona o Sé.
Naturalmente, secondo questi assunti, assenza di sentire, a livello profondo,
significa assenza di vita personale, perché gli stati d’animo sono gli indicatori di ciò
di cui viviamo e ci orientano precisamente sul nostro stato empirico, anche se non ci
indicano chi siamo, ma solo come stiamo.
Questi indicatori sistemici, infatti, ci permettono di relazionarci agli altri, secondo
determinati parametri, per cui incontriamo e ci mettiamo in relazione spesso con chi fa
da specchio alla nostra ombra ed è portatore dei nostri stessi indicatori empirici.
L’eccesso o la mancanza di un’emozione, all’interno dell’assetto emotivo, mettono in
evidenza uno stato empirico preciso, attraverso l’indicatore attivo, in quanto possono
sia svelare situazioni che sono nascoste anche a chi le prova, sia il ruolo alterato che
si impersona, dando la possibilità di riavvicinarsi all’ordine armonico e di avvicinarsi al
proprio indicatore passivo, che è sempre vissuto con paura e rifiuto.
Ogni stato emotivo dà anche una segnalazione empirica sul debito accumulato, ma non
è in grado di intaccare l’anima e di coinvolgerla nelle sue dinamiche invadenti, perché
essa si rende disponibile solo per i moti d’amore.
In realtà se l’anima si distacca dal libero fluire, si ritira per potere sopportare il dolore
dato dall’infrazione sistemica, che diventa la normalità dell’agire di una persona e
mette in atto strategie di compensazione, facendo nascondere all’individuo il debito
accumulato, pur di non soffrire.
Solo nel momento in cui la qualità del debito diventa eccessiva e il singolo si rifiuta di
affrontarla, l’anima subisce un inquinamento tale, che si inaridisce, come un albero che
marcisce dalle proprie radici.
Il singolo fissa il dolore al livello della coscienza empirica e, così, non lo può riconoscere
come tale, anestetizzandosi e distaccandosi dal proprio sentire: ecco perché il sentire è
condizionato dal proprio debito.
Il sistema armonico, però, utilizza anche degli indicatori empirici, che crescono
12
nell’ombra della persona, a fin di bene, mentre la mente li nega e li rimuove.
Sono questi gli indicatori passivi, che affiancano quelli attivi ed incidono maggiormente
sulla personalità: nel momento in cui non possono essere più contenuti, la persona
si rende conto di quello che succede, perché non può aggirare gli impulsi emotivi
dell’indicatore.
Così l’individuo si rende conto che qualità ed atteggiamenti che gli sembravano
naturalmente parte del suo carattere, sono in realtà una copertura del suo distacco
empirico in quanto aggirando gli indicatori empirici, ci si allontana da ciò che più
spaventa, ossia la parte ombra.La paura è l’indicatore passivo che ci porta a far indossare una serie infinita di
maschere al nostro personaggio esteriore, in quanto lavoriamo instancabilmente per
tenere in piedi una facciata, che impedisca a chiunque di intuire quali siano i nostri
pensieri più nascosti, i desideri, gli impulsi e la storia di cui siamo fatti.
E’ l’ombra del nostro passato, che ci induce a creare l’immagine che mostriamo
all’esterno: la nostra personalità esteriore, infatti, non si è creata per caso, ma è il
frutto di un’elaborazione volta a mascherare quegli aspetti che riteniamo censurabili e a
compensare quelli che consideriamo come i nostri peggiori difetti.
Se i nostri genitori erano imprevedibili dal punto di vista emotivo, cosa che costituisce
una ferita profonda, cercheremo di rimandare un’immagine di calma ed autocontrollo; se
abbiamo avuto una madre che si lamenta sempre del suo stato di salute e di ciò che la
vita le ha rimandato, ci trasformeremo in persone sempre sorridenti, che portano avanti
la bandiera dello “sto sempre bene”.
Se il padre è una persona onesta, che vuole assolutamente stare nelle regole,
probabilmente faremo di tutto per andare contro i suoi principi.
Se consideriamo la nostra vita un fallimento, cerchiamo di sembrare l’opposto e così se,
tormentati da un senso profondo di insicurezza, sviluppiamo una personalità esterna
arrogante e saccente.
Queste maschere ci illudono di conoscerci a fondo e che siamo le persone che
l’immagine dello specchio ci rimanda, ma in realtà ci precludono altre possibilità, come
di sperimentare quello che “sentiamo” veramente e quello che potremmo essere e
diventare.
La mente non realizza minimamente che, molto spesso, ci relazioniamo con gli
altri, seguiamo i nostri desideri e finalizziamo il nostro operato soltanto mettendo su
un “palinsesto”, una messa in scena per non sentire ciò che realmente è.
L’immagine che ci siamo creati di noi stessi, infatti, spesso è molto diversa dalla nostra
13
vera personalità: la mente non fa altro che agevolare questo gioco d’ombra, creando
tutti gli argomenti necessari a trarci in inganno, mettendo in moto un meccanismo di
auto-depistaggio, atto ad eliminare ogni dubbio sulle sensazioni che, spesso, ci dicono
altro.
Il desiderio di prendere le distanze dalle emozioni indesiderate, ci spinge a trovare
qualcosa che ci possa fare stare meglio, così mettiamo in atto i nostri comportamenti
autodistruttivi.
Se, per esempio, lottiamo da anni con i chili di troppo, il vizio delle sigarette o dell’alcool,
lo shopping compulsivo e ci ritroviamo sempre allo stesso punto o in
condizioni peggiori, significa che non abbiamo saputo riconoscere le emozioni represse
e l’ombra nascosta e quindi la vera origine dei nostri problemi, senza potere sradicare
definitivamente il pattern comportamentale che ne consegue.1
Se i moti emotivi ci inducono ad una sensazione di disagio, interviene subito l’analisi
della mente logica, che ha la pretesa di dare una risoluzione immediata: in realtà la
causa empirica sfugge all’intelletto, soprattutto quando i debiti accumulati sono ingenti e
partono dall’infanzia.
Per essere certi che il nostro vero Sé, pieno di difetti ed imperfezioni, non possa essere
scoperto, sviluppiamo caratteristiche opposte a quelle che vogliamo nascondere,
depistando gli altri e noi stessi, sbarazzandoci delle sensazioni negative, legate agli
aspetti più inaccettabili della nostra personalità.
La mente, così, in mancanza di una consapevolezza, tenta di dare motivi ragionevoli
alla comparsa della paura, della rabbia o del senso di colpa, discostandosi quasi
sempre dalla vera causa empirica, cosa che crea una distorsione sulle ragioni dei propri
sintomi e malesseri, senza metterli in correlazione con l’ordine armonico.
Così è la maschera che ci siamo costruiti, che assume il controllo delle situazioni: solo
smettendo di fare finta di essere ciò che non siamo affatto, senza nascondere o iper-
compensare punti deboli e forti, avremo la libertà di esprimere il nostro Sé autentico,
senza avere più paura del giudizio nostro e degli altri: questa è la via per uscire dalla
trappola del nostro copione personale. 2.3 L’APPROCCIO EMPIRICONessuna emozione è infondata, ma aggiungendo l’ingrediente dell’auto-giudizio, ci
possono danneggiare tutte.2
Il senso di un approccio empirico sta nel fatto di portare la persona a comprendere la
1 The shadow effect2
14
propria realtà empirica attraverso l’accostamento ad i suoi indicatori passivi.
Il nostro corpo ha una grande apertura sul reale e la percezione, che passa attraverso
esso, assume il significato di un'esperienza primaria.
"Il corpo è il nostro mezzo generale di avere un mondo… Il mio corpo è il mio punto di
vista sul mondo”.
Ogni moto emotivo mette in moto dei meccanismi che coinvolgono l’essere umano a tre
livelli: psicologico, comportamentale, fisiologico.
Il cuore pulsa, le mani sudano, il respiro è affannoso, le gambe tremano…: sono eventi
fisiologici, sensazioni che accompagnano molte emozioni, piacevoli, come l’amore o
spiacevoli, come la paura.
L’emozione, soprattutto se profonda, provoca alterazioni somatiche, che coinvolgono il
sistema nervoso centrale, quello muscolare e quello endocrino.
Si registrano variazioni significative nella produzione di adrenalina, lo stesso ormone
che si attiva, quale risposta allo stress.
Ci sono emozioni che possono essere espresse direttamente attraverso il corpo, in
quanto ogni emozione, per evidenziarsi, passa necessariamente da esso ed altre che,
per una qualche ragione, non trovano espressione diretta, ma rimangono ferme in parti
di esso.
La scelta tra ciò che diventa un pensiero o un’emozione espressa coscientemente e ciò
che si ferma, rimanendo qualcosa di non digerito e sepolto in qualche area del corpo,
viene mediata dallo stato empirico in cui ci troviamo.
Il ricordo ed il vissuto personale sono codificati ed immagazzinati e rimangono inconsci
fino a quando non viene riportato a coscienza attraverso una stimolazione delle parti di
noi sepolte e delle aree corporee correlate.
Ogni persona alterata sperimenta un moto emotivo predominante, che catalizza tutte
le sue sensazioni e percezioni.
Questi moti possono o segnalare la violazione dell’ordine e ci mettono in contatto con
quanto di doloroso e rimosso c’è nel nostro Sé, come la rabbia, la tristezza, lo stato
di angoscia e d’ansia; o il permanere della persona nel libero fluire, che diffondono
sensazioni positive.
Ogni indicatore empirico proviene, quindi, da una diversa qualità di debito, in grado di
cambiare le strategie vitali, cioè la personalità del suo portatore.
Il moto che, comunque, predomina nella nostra anima è sempre l’amore, anche se ci
sentiamo spaventati, depressi e rabbiosi.
15
Nei popoli occidentali è radicata l’idea che la passione coincida col "perdere la testa",
in quanto la passionalità, nella nostra cultura, è legata all'idea di un'eccitazione, che
annulla la capacità razionale di guidare le emozioni e ci spinge ad agire con l’impeto
del momento. Ecco quindi l’ambivalenza della passione: la negatività della perdita di
ragione contro la positività della liberazione delle proprie emozioni.
Esistono, però, fortunatamente, altre culture in cui quest’ambivalenza non esiste, dove
l'idea di passione, intesa come modo di subire gli eventi non è così traumatica, ma anzi
stimola il contatto con una realtà interiore profonda.
Nel Tantra, per esempio, si notano caratteristiche estranee alla nostra idea di
passione: nessuna rivincita dei sentimenti rispetto alla ragione, ma piuttosto una
sana collaborazione. La mente non è spazzata via dall'istinto, ma segue la corrente
emozionale, incanalandosi nel flusso, fino a confondersi col tutto e a sparire.
Per capire questa sensazione, così diversa dalla nostra, si può provare a guardare il
movimento dell'acqua che passa nel terreno; osservandola mentre riempie gli spazi,
aggira gli ostacoli, avanza e ritorna su se stessa e come conquista la discesa e colma la
salita. 3
2.3 INTEGRAZIONE TRA CORPO E MENTE Il termine “integrazione” viene ad indicare il momento in cui questi vissuti emotivi,
in quanto parti della persona, vengono reintegrati nel corpo attraverso un lavoro di
riappropriazione, con il risultato di una maggiore fluidità fisica e una conseguente
armonia psichica.
Chiudere la porta in faccia alle emozioni è pericoloso, dato che esse trovano sempre
una strada per farsi sentire, facendo danni incalcolabili.
Il debito empirico si propaga come un virus, portando a disconoscere le emozioni, che
si confondono una con l'altra ed infine perdono il loro nome proprio: così la tristezza
diventa ansia, la paura diventa rabbia ecc.
In realtà ogni effetto è legato alla causa, ma spesso ciò che noi riteniamo le cause dei
nostri malesseri, sono solo gli effetti.
Infatti, con l'abitudine a questi enigmi, non si sa più che pesci pigliare e il moto emotivo
non ha più voce: l'energia trova comunque un viottolo per uscire allo scoperto, facendo
passare la fame, facendo venire il prurito, la gastrite, il mal di testa e così via.
Quando finalmente elaboriamo le ferite del passato, la carica emotiva cambia: così la
3 Corpo, anima e cervello: Emozioni di Linda Scotti
16
malinconia si trasforma in slancio vitale, la rabbia lascia il posto all’ auto valorizzazione
ecc. modificando, praticamente, il carattere delle persone.
Non si tratta di un cambiamento della natura profonda, ma di un maturazione del loro
modo di esprimersi, basato su una nuova libertà, cioè quella di potere essere finalmente
autentici.Quanta fatica gettata al vento nell'idea fissa di controllare e di gestire le emozioni: non
sarebbe molto più semplice lasciare che ci aiutino a raggiungere i nostri desideri, dato
che sono segnali di qualcosa che accade nel corpo e indicano la direzione da prendere,
sapendo qual è il nostro bene…… molto meglio di noi!
Il corpo è, dunque, il vero rivelatore del nostro stato empirico, mentre la mente……mente fondamentalmente.
ESPERIENZA PERSONALEA questo proposito vorrei dire della mia esperienza al seminario “Il digiuno
dell’anima”: uno dei primi giorni di attività ( se si può chiamare così in un seminario
in cui finisce per prevalere la lentezza e l’abbandono di ogni resistenza fisica!) ci è
stato data la possibilità di sperimentarci, buttandosi all’indietro, ad angelo, dal ciglio
della piscina, cosa che rappresentava metaforicamente “l’abbandono” al libero fluire e
il “lasciare andare”.
Vedendo i miei compagni che eseguivano l’esperienza, mi sono detta di come fosse
facile, che sarei stata “brava”, che il mio corpo, da siciliana abituata all’acqua del mare,
che io considero elemento primario nella mia vita, non avrebbe avuto alcuna difficoltà.
Mi sono anche permessa di notare, tra me e me, come alcuni non riuscissero a
17
mantenere il corpo dritto, nel buttarsi e di quante resistenze incontrassero in questo
abbandonarsi, segno di tutte le loro alterazioni empiriche.
Arrivato il mio turno, sono andata spedita, sicura del mio “successo”.
Mi sono messa con un profondo respiro di spalle all’acqua e mi sono lanciata convinta.
Quale è stato il mio stupore nell’accorgermi che il mio corpo se ne è assolutamente
infischiato della mente e, nel momento stesso in cui era in diagonale con l’acqua, le
gambe si sono piegate, la schiena si è inarcata, dalla mia bocca è uscito un urlo di
terrore, facendomi rovinosamente cadere in acqua come un “baccalà”, con il risultato di
bere e di farmi sentire tutta la “sconfitta” della mia mente.
Questa, per me, è stata la prova evidente di quanto uno “se la racconti”!
Esaminiamo, ora, più approfonditamente, la filosofia psicologica-empirica del Prof.
Hardy, che parte dalla concezione di un sistema, che sta alla base del divenire delle
cose.
Questa parte sarà esemplificata da esperienze di lavoro su due temi, datici durante la
mia esperienza laboratoriale di teatro, che sarà elaborata nell’apposito capitolo.
Il primo itinerario di scena era quello di descrivere una parabola, evocando dentro di sé
un viaggio, con delle tappe ben definite: la nascita, la fanciullezza, le prime disillusioni,
la maturità ed infine la vecchiaia, che poteva comprendere il decadimento fisico o anche
la morte.
Il secondo, lo sviluppo della seguente frase: “Negli smisurati ampi spazi, negli sterminati tempi, nell’immagine del mondo, nel profondo del tuo cuore, solvi al grande enigma il mondo”L’unica regola da seguire era quella di tirare fuori le sensazioni senza paura, in quanto
l’unico errore sulla scena e, direi, nella vita, è rappresentare e non vivere.L’ambiente è protetto, non c’è giudizio da parte di nessuno, l’importante, soprattutto, è
non auto-flaggellarsi!
Il desiderio, infatti, di prendere le distanze dalle emozioni non desiderate, ci spinge a
trovare qualcosa che ci possa far stare meglio…….ecco il perché, paradossalmente, dei
nostri comportamenti auto-distruttivi.
Tutte le nostre emozioni sono valide, ma se inseriamo l’auto-giudizio, diventano tutte
negative, danneggiandoci.
“Buttando fuori”, si ha la possibilità di conoscere parti di sé, su cui si può lavorare
facendo l’attore, ma questo avviene non solo in teatro, ma anche nella vita
18
interpersonale, dato che i nostri percorsi di solitudine, se si incontrano con quelli degli
altri, saltano subito, se non conosciamo le dinamiche di fondo.
Questo è stato, quindi, un lavoro di apertura, dato che ci è servito a capire, sulla scena,
dove andare a “pescare” le nostre emozioni, in un viaggio libero da coordinate temporali
o spaziali, attraverso visioni fantastiche e universi inesplorati.
I nomi dei protagonisti sono inventati.
Jan Vermeer, Ragazza col turbante
CAPITOLO 3
LA PSICOLOGIA EMPIRICA
19
3.1IL SISTEMA E L’ORDINE ARMONICO/ ESPERIENZE DI TEATRO Alla base della psicologia empirica vi è l’esistenza di un sistema, che è al di sopra di
tutto quello che siamo e che contiene modelli di comportamento che vanno al di là delle
regole che l’uomo si dà.
Nella sua unicità, non ha né inizio, né fine ed è quel contenitore arcaico che contiene le
matrici di eccellenza, cioè i principi attivi, i diritti e gli obblighi dello Yin e dello Yang,
ossia dei ruoli empirici d’eccellenza.
Esso è l’artefice dei moti empirici, che sono sinuosi e morbidi e costituiscono il
movimento di fondo, che sta alla base di ogni emozione o sensazione.
Tali moti conoscono solo un comune denominatore: il proprio essere e le sue
innumerevoli dinamiche vitali. I moti, infatti, creano delle traiettorie sulle quali si formano
i vari ruoli empirici, che il singolo impersonerà, esprimendo il suo principio vitale.
Il sistema non è Dio, non ha implicazione religiose, né segue le impostazioni sociali
e di vita che l’uomo si è dato nel corso dei secoli, sfugge alla comprensione a prima
vista ed è governato dal solo principio di causa ed effetto, dando così origine all’ordine armonico.
“Il rapporto tra l’ordine e il sistema si può paragonare tra quello che esiste tra una
persona e il suo corpo, che sono interdipendenti, dato che l’uno è contenuto nell’altro
essendone la sua manifestazione visibile.
Il sistema corrisponde alla persona, l’ordine costituisce il suo corpo, il suo fare ed il
suo manifestarsi. Poiché le due cose interagiscono continuamente, non si possono
distinguere nettamente, (fare ed essere si fanno da specchio), ma è proprio questo che
permette all’individuo di vivere ed esprimersi.”
(Michel Hardy)
ESPERIENZA DI TEATRO
Poiché durante la rappresentazione degli stati d’animo riguardo il secondo tema del
laboratorio, molti di noi non sono riusciti a tirare fuori l’emozione, troppo compressa nel
corpo, il regista ha fatto eseguire, ove il caso lo richiedesse, questo esercizio: una
20
persona viene sollevata e tenuta stretta ai quattro arti, da altrettanti uomini, che non le
permettono i movimenti.
Chi blocca si concentra sul non farsi sfuggire il “pazzo” che ha tra le mani, per chi è
bloccato sarà il raggiungimento della catarsi, della liberazione e della trasformazione.
Lo scopo, per gli uni, è quello di “contenere”, per il protagonista è quello di permettere al
corpo di divincolarsi, nonostante la paralisi forzata e, quindi, simbolicamente, di liberarsi
da tutte le sovrastrutture accumulate nel corso della vita..
Se non si rompe il muro dell’esteriorità, scavando interiormente e “sentendo”
l’emozione, soprattutto raggiungendone gli apici, non si può contattare la propria ombra.
E visivamente ed emotivamente, si viene coinvolti in questa catarsi, che si è svolta
davanti ad i nostri occhi, anche come “pubblico”.
In realtà ho trovato molta affinità, nel corso della sezione “individuale” del laboratorio
teatrale, con le esperienze sull’esternare, per esempio, la rabbia verso il padre o la
madre o comunque con buona parte degli esercizi che tanto valore empirico hanno nei
seminari del percorso LUMH.
L’ordine armonico lascia l’uomo libero di sbagliare e di compiere atti contro-sistemici,
senza giudicarlo e senza punirlo, ma lo avverte dell’entità del suo debito e della
sua violazione, obbligandolo a prendersi responsabilità precise del suo fare; non lo
prevarica, perché non ha una personalità o un ego da difendere, dato che il suo unico
fine è quello di cautelare se stesso.
Solo nell’ordine armonico, ossia nell’assenza di debito, l’anima può scoprire uno stato di
pace sul piano del sentire, dato che solo in questa condizione l’individuo sperimenta uno
stato di chiarezza e serenità ed un equilibrio interiore.
Fino a quando l’individuo ne rimane collegato, si immerge nel libero fluire, che dà la
sensazione di pienezza e di gioia di vivere.Seguendo binari empirici precisi, l’ordine non viene violato perché si è sintonia con il
sistema in modo profondo, essendo in contatto con il suo moto principale: l’amore.La vita affettiva, l’auto-realizzazione sono piene e, a prescindere dalle condizioni
esterne, che possono contrastare o meno, si sperimenta uno stato luminoso e fluttuante,
perché si è in grado di rimanere nel proprio equilibrio, essendo in condizione di apertura, di disponibilità e di flessibilità. ESPERIENZA DI TEATRO
21
Eliade, donna finta Yin, è, apparentemente, molto morbida ed ha capito perfettamente
come condurre la sua introspezione: il corpo si lascia andare, si culla, ride si canta la
ninna nanna, in un delicatissimo dondolio .
Il pianto e la disperazione poi la portano a rannicchiarsi in se stessa, in una ricerca della
verità molto approfondita.
Si è quindi abbandonata al libero fluire, senza inibizioni e senza l’intervento della mente.
Quando l’uomo si allontana da questo stato, si genera un conflitto empirico, in cui la
volontà del singolo si contrappone alle leggi dell’ordine (la causa del disagio dipende
dall’incompatibilità tra gli schemi personali e i moti genuini dell’ordine), l’anima si ritira dal moto dell’amore chiudendosi in se stessa, perché questa è l’unica azione di cui è
capace, nel momento in cui il dolore da sopportare diventa troppo forte, generando da
qui in poi al massimo stati di co-dipendenza con gli altri.
Il sistema, però, si limita a segnalare l’infrazione, ad assecondare le scelte individuali
a prescindere dalla loro qualità empirica, perché è sempre il libero arbitrio dell’uomo,
l’istanza suprema all’interno del sistema.
Così ogni debito, escludendo il singolo dal libero fluire, influisce sulla sua qualità della
vita.
ESPERIENZA DI TEATRO
Dario esegue un racconto corporeo con dovizia di particolari: tenta di alzarsi, ma non
riesce, accasciandosi su se stesso.
La sua tenacia lo porta con profondo dolore, a superare il suo limite e con rabbia e sfida,
una volta in piedi, guarda intorno a sé, mettendosi a camminare.
Infine sopraffatto dal dolore ricade, piangendo come un bambino.
Il suo percorso era lineare e ben raccontato, ma troppo studiato, troppo mentale, cosa
che gli ha fatto perdere la possibilità di lasciarsi sorprendere dalle cose che succedono
nel qui ed ora, senza avere una struttura di narrazione ben definita.
Il mettersi in gioco, il lasciarsi andare e superare gli schemi prefissati sono essenziali in
questo percorso, per conoscere parti di noi nascoste.
La natura dell’uomo sarebbe in grado di avvertire l’ordine armonico, attraverso i moti
della coscienza, ma la mente arrogante si oppone spesso alle sue rivelazioni profonde,
perché riconosce solo le proprie convinzioni e le certezze acquisite.
Il sistema, allora, ricorre alla legge della compensazione empirica, intervenendo dove
22
l’uomo non sa creare equilibrio consapevole, ma così egli si trova in una condizione di
cui non conosce lo scompenso.
La legge emprica della compensazione sta alla base di ogni assetto emotivo: più una
ragazza vuole mostrarsi come brava bambina, evidenziando l propria innocenza, più
questo è una copertura che compensa la paura imperante del lato ombra; più qualcuno
ha atteggiamenti aggressivi ed invadenti, più ci sono ferite profonde che rinnega; più
una persona racconta sempre barzellette e fa il clown, più vuole esorcizzare la sua
tristezza e malinconia; più l’uomo si pone come macho, più ha una paura profonda del
femminile, soprattutto del proprio lato yin
Questo processo è volto al recupero del proprio sentire, per controbilanciare la mente,
che, nel suo delirio di onnipotenza e nella sua arroganza, allontana l’uomo dalla sua
vera essenza.
La paura di sentire fa commettere un’infrazione ai fini dell’ordine, per cui bisogna
non eliminare la mente, ma ridimensionarla nella sua presenza assillante, per farla
equilibrare con le altre parti del pianeta-uomo, aggirandone il controllo.
ESPERIENZA DI TEATRO:
Federica, tipicamente Finta Yin, è una donna molto contenuta, cosa che si denota dagli
atteggiamenti del corpo, che dimostrano quanto sia ritratta in se stessa e paurosa di
mettersi in discussione, per non essere giudicata.
Seduta in modo conserto, tutta raggomitolata, nell’evidente sforzo di trovare qualcosa
dentro di sé, alza il viso rassegnata dicendo che non ce la fa.
Pensa troppo e questo non le ha permesso di alleggerire il suo corpo e di liberarlo.
Interessante l’esercizio in cui il regista la impegna: le fa inscenare cercandola e, infine,
trovandola dentro di sé, una risata isterica, per farla sbloccare e la vera Federica
stavolta, “esce fuori” con tutto il suo dolore, esasperando lo stato d’animo trovato.
A questo proposito cito una frase di Giuseppe Pontiggia, (da “Le sabbie immobili”, 1991)
che dice: “Ridere per non piangere. La radice tragica del comico”.
La risata, infatti, può essere molto più tragica sul palcoscenico, di un pianto, in quanto lo
spettatore si immedesima molto di più nella rappresentazione
“La vita è una farsa dove tutti abbiamo una parte.." diceva Arthur Rimbaud
Spesso i desideri personali, le ambizioni e le aspettative non collimano con quelli
dell’ordine, per cui si rivelano disarmonici.
Ogni violazione delle leggi del sistema porta un aumento della tensione emotiva, anche
23
se avviene in modo nascosto e subdolo. Un aumento di stress in un dato momento è
solo la punta dell’iceberg, in quanto è la parte evidente di un arretrato sistemico.
Tutto questo genera un conflitto empirico, in cui la volontà del singolo si contrappone
alle leggi dell’ordine.
Il sistema, però, si limita a segnalare l’infrazione, ad assecondare le scelte individuali
a prescindere dalla loro qualità empirica, perché è sempre il libero arbitrio dell’uomo,
l’istanza suprema all’interno del sistema.
Non solo lo stress, ma anche l’invecchiamento precoce o le malattie rendono necessari
un’indagine empirica su se stessi, per eliminare i conflitti con l’ordine.
Fino a quando non si ha un processo di risoluzione empirica, la persona avverte la
presenza del debito attraverso apposite segnalazioni emotive: gli indicatori empirici.La presenza di un moto empirico dominante segnala sempre la presenza di un debito,
ed è proprio con l’apparizione di un indicatore che l’ordine tenta il salvataggio a
fin di bene, incentivando l’individuo a riequilibrare lo scompenso. Non è un atto di punizione, ma un meccanismo di salvaguardia atto a cautelare ogni moto di vita,
perché l’ordine spinge il singolo, per ripristinare il fluire armonico, a risalire a quanto
rimosso, dato che ogni debito trattiene dolore non evaso.Solo la paura di quel dolore tiene lontano dal proprio arretrato, non facendo prendere
le proprie responsabilità, le uniche che l’ordine considera.
ESPERIENZA DI TEATRO
Angelica gira a lungo per lo spazio, fermandosi poi davanti a noi pubblico, osservando,
ma chiaramente sta facendo spazio, dentro di sé, all’emozione da far uscire.
E’ chiaro che nemmeno lei sa dove la porterà questa ricerca.
Il miracolo di questo esercizio è che la ragazza, finta yang, esplode in un “NO” urlato
decine di volte in modo allucinato, persistente, ossessivo, fino alla stasi finale, perché
stavolta era importante raggiungere l’apice di un’emozione, per poi lasciarla andare.
Questa donna ha un’apparenza sicura e determinata, con un carattere forte, anche se in
fondo si sente vittima e bambina fragile, proteggendosi attraverso la sua “scorza dura”.
Vittima rabbiosa, ha sempre esigenza di innocenza, pur non ammettendo questo suo
bisogno, ma questo suo ” No”, che è un grido che viene dal suo essere profondo,
per tutto quello che ha subito nella sua vita, probabilmente, è rivolto a tutte le scelte
obbligate fatte nel passato, che l’hanno portata al disincanto e non credere più alle cose
che riteneva giuste.
La sua grande rabbia si è data finalmente il permesso di venir fuori: non ne può più e lei
24
stessa si è lasciata sorprendere dalla sua reazione.
In realtà, in questo caso soprattutto, si è creato un rapporto emozionale tra noi spettatori
e lei “attrice”, che dà la misura della riuscita dello spettacolo, in quanto l’emozione da lei
suscitataci è rimasta nell’aria, in modo palpabile.
E per lei è stata un’esperienza catartica, in quanto l’ha messa in contatto con la sua
ombra.
3.2I RUOLI SISTEMICI
Il concetto di “ruolo”, deriva dal latino “rotulos”, cioè il copione che gli attori del teatro
recitavano per inscenare un personaggio.
La nostra capacità espressiva all’interno del sistema è infinita, così ognuno di noi, nella
propria vita e soprattutto nel vivere quotidiano, è portato a creare rapporti molteplici, che
sono espressione della nostra poliedricità empirica.
L’uomo, in quanto animale sociale, progetta e scandisce tutta la sua vita in gruppo e
il suo sviluppo evolutivo si snoda intorno a questo, perché ogni tipologia di rapporto
possibile ed immaginabile fa parte di una matrice naturale dell’ordine, che ci permette
di adottare un’illimitata scelta di ruoli per rapportarsi agli altri individui, ma anche a noi
stessi e al mondo circostante.
Tutti i ruoli traggono la loro legittimazione dal fatto che ognuno può fare esprimere
un’inedita sfaccettatura della capacità espressiva dell’uomo.
Il ruolo, infatti, può essere considerato l’anello di congiunzione tra il mondo interno, la
struttura della personalità e l’ambiente circostante.
Ci sono ruoli che ci accompagnano per molto tempo, come quello di studente, di
lavoratore, di figlio ed altri più brevi e marginali, come può essere quello di turista o
dell’acquirente.
Altri ancora si avvicinano di più al polo psicologico, come quello dell’amico, mentre altri
sono più impersonali, come la cassiera ecc.
Comunque ognuno di noi ha a suo carico, consapevolmente o no, un ventaglio di ruoli
che mette in atto al momento giusto, in modo da risultare adeguato al proprio gruppo di
appartenenza.
Tutto questo però, ci può allontanare dal libero fluire e crea debito, se non è
consapevole e non c’è un riconoscimento dei moti alla base dei ruoli che recitiamo.
25
ESPERIENZA DI TEATRO.
Davide, seduto con la schiena al pubblico, sospira, poi si tiene la testa, si accascia e
piange accoratamente, riflettendo uno stato di assoluta solitudine. ( “Il comico è il tragico visto di spalle”. Gérard Genette, Palinsesti, 1982)
Il suo disperarsi è sempre più accentuato, fino a quando non sfocia in una risata sempre
più allarmante, che nei più del pubblico provoca ilarità, ma che, in effetti, è sempre più
tragica.
Adesso ha anche indossato un cappuccio, sempre mai rivolgere il viso, si mette in piedi,
concludendo, così, il suo esercizio, che risulta perfettamente riuscito.
“Non c’è niente di più comico dell’infelicità”, (Samuel Beckett, Finale di partita, 1957)
in quanto dietro ogni tragedia, in realtà, c’è una grande comicità e se solo sapessimo
cogliere il lato divertente, senza sentirci in colpa, potremmo fare una bella risata
liberatoria.
Nel teatro, l’attore è portato ad enfatizzare i suoi stati d’animo, non a minimizzarli, ecco
perché esso è terapeutico sia per lui stesso, che per gli spettatori.
Pensiamo a grandi attori come Charlie Chaplin o Totò, con la sua “Preghiera del clown”,
che, con i loro personaggi, spesso sono stati molto più introspettivi, che se avessero
inscenato pianti e disperazione.
Preghiera del clown (Totò Dal film:"Il più comico spettacolo del mondo)
Noi ti ringraziamo nostro buon Protettore per averci dato anche oggi la forza di fare il più
bello spettacolo del mondo. Tu che proteggi uomini, animali e baracconi, tu che rendi i
26
leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni, tu che ogni sera presti
agli acrobati le ali degli angeli, fa' che sulla nostra mensa non venga mai a mancare
pane ed applausi. Noi ti chiediamo protezione, ma se non ne fossimo degni, se qualche
disgrazia dovesse accaderci, fa che avvenga dopo lo spettacolo e, in ogni caso, ricordati
di salvare prima le bestie e i bambini. Tu che permetti ai nani e ai giganti di essere
ugualmente felici, tu che sei la vera, l'unica rete dei nostri pericolosi esercizi, fa' che in
nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore.
Guardaci dalle unghie delle nostre donne, ché da quelle delle tigri ci guardiamo
noi, dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro
assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più
gli uomini si divertono, ma non importa, io li perdono, un pò perchè essi non sanno, un
pò per amor Tuo, e un pò perchè hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono
ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a
portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità,
noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace
di far ridere me come io faccio ridere gli altri.
In realtà, cosa c’è dietro le maschere che l’uomo indossa ogni giorno e cosa rimane
della persona al di là del suo ruolo?
E se il ruolo è un adeguamento ad un modello, quanto ci allontaniamo dal nostro vero
ruolo empirico?
Quando noi siamo la somma di tutti i ruoli assunti per rispondere alle richieste sociali, la
nostra parte più profonda può entrare in conflitto, perché non approva un determinato
ruolo o non è consono alle sue inclinazioni profonde, allontanandolo dall’ordine
armonico.
27
La mente ci dà l’idea di una realtà fittizia, mentre è il corpo il termometro del nostro
essere.
L’elemento fondamentale del ruolo è il sistema di aspettative che lo accompagna, che è
legato al contesto nel quale ci si esprime: così è la famiglia che rappresenta l’unità micro
sociale, nella quale gli individui apprendono i primi ruoli ed imparano a sperimentarli
(consegna familiare).
ESPERIENZA DI TEATRO
Ciccio è il più giovane del gruppo,inizia il suo percorso emozionale sdraiato a terra, ma
poi si alza, seguendo un itinerario ben preciso, che indica come la sua vita segua binari
prestabiliti.
Lasciando libero il suo corpo, però, comincia a correre, sbattendo contro tutte le pareti,
come se si sentisse in gabbia e volesse sfondare i muri di paura che lo intrappolano.
Dopo essersi liberato, si ferma e cammina per lo spazio, molto lentamente, come a
volere metabolizzare ciò che le sue emozioni gli hanno rivelato: stremato da quello che
ha provato, cade a terra, rigirandosi su se stesso ed acquisendo una posizione fetale.
L’attore ha bisogno di curare, far crescere e fiorire una parte di sé proprio dalla ricerca
della verità, ecco perché è necessario non affibbiarsi delle maschere, ma anzi, imparare
a gestirle, scoprendo cosa nascondono.
Lasciarsi andare, equivale ad essere.
La necessità interiore di rispondere alle aspettative altrui, porta il soggetto ad essere
prigioniero dei propri ruoli, facendolo perdere nel suo personaggio, pur di farsi accettare
nel gruppo, quasi fosse un meccanismo di sopravvivenza della specie: ecco perché
è attraverso un ruolo, o più ruoli, che l’uomo esprime se stesso o l’alterazione di se
stesso, nel mondo.
ESPERIENZA DI TEATRO
Gustavo gira per lo spazio, saltellando, in modo ansioso, come inseguito dal tempo,
perché cerca un’emozione che non riesce a trovare.
La rabbia, a poco a poco, gli sale da dentro, si denota in ogni movimento del suo corpo,
fino a fargli urlare un’imprecazione.
Finalmente liberato, si accascia su se stesso.
E’ riuscito a lasciarsi andare, senza inibizioni, e l’indicatore della rabbia, che
evidentemente è il moto che lui cerca di reprimere, si è fatto sentire.
28
Il regista gli raccomanda di non dimenticare mai l’esperienza fatta sulla scena, in quanto
lo ha messo in contatto con una parte di sé, che lui vuole rimuovere
L’assunzione di un ruolo, però, non concede al soggetto di prendersi alcuna libertà,
perché è strutturato e definito, invece il “gioco” del ruolo, ossia la creazione di esso,
lascia ampio margine alle sue iniziative personali.
“Il giocare un ruolo viene prima dell’emergere del sé. Il ruolo non emerge dal sé,
ma il sé emerge dai ruoli…” (Moreno 1946).
Il sistema prevede i diversi ruoli, in quanto funzionali all’evoluzione della specie, alla sua
salvaguardia ed alla sua libera espressione: donna, uomo, madre, padre, figlio, moglie,
marito ecc., ma anche leader, eroe, carnefice, seguono tutti una loro matrice sistemica,
come quello della vittima e del traditore, del santo e del salvatore.
Al loro interno sono previste sia le espressioni più sane e funzionali, che le dinamiche
più morbose e patologiche.
L’ordine prevede tutte le espressioni possibili, senza giudicarle e senza alcuna censura,
mettendole a disposizione del singolo, assicurando così il libero arbitrio come scelta
finale.
Ogni ruolo ha dei diritti sistemici, all’interno di un’apposita matrice empirica, sia essa
maschile o femminile, che ha un preciso modello comportamentale di riferimento: più
ruoli sistemici l’individuo sperimenta, più ha un appagamento profondo verso la vita,
dato che ha assimilato tutte le sue espressioni possibili.
Per capire perché in alcune aree della nostra vita abbiamo la massima libertà, mentre
in altre ci comportiamo come dei “robot”, bisogna scoprire quali aspetti abbiamo
imparato a reprimere ed è questo che la psicologia empirica, attraverso il “sentire”,
cioè coinvolgendo il partecipante con esperienze sul campo, fa individuare, riportando
l’individuo al copione di eccellenza, di cui è portatore naturale, ma che ha sostituito con
comportamenti contro sistemici, costituiti da schemi personali, acquisiti nel corso degli
anni e sedimentati sotto forma di strategie del proprio carattere.
Questo processo di consapevolezza può avvenire solo sul piano sensoriale, mentre la
mente lo può elaborare solo in un secondo momento: così l’approccio empirico con la
propria paura, la rabbia ed il senso di colpa possono portare in evidenza atteggiamenti
di auto-boicottaggio, ossia violazioni avvenute ai fini sistemici, che la mente non è in
grado di individuare.
ESPERIENZA DI TEATRO
29
Davide salta, rotea, dice che fa così quando si sente bene, continuando ossessivamente
a parlare, nel suo tentativo di liberazione, di stanchezza, di sorrisi di circostanza, di
senso di vuoto, che non gli permette di credere in un tutto quello che lo fa gioire, in un
delirio di parole difficile da seguire.
Per lui, tirare fuori le emozioni risulta difficile, perché ha un blocco enorme.
La sua fiducia riposta negli altri, dice, molto spesso non è stata ricambiata, cosa che lo
ha portato ad isolarsi come un autistico, nonostante la sua apparenza esteriore mostri
l’esatto contrario.
In realtà parla a se stesso, ma non si rende conto che butta sul mondo esterno tutte
le sue insicurezze: infatti, a volte, tendiamo a pensare di essere il bersaglio, le vittime
dell’accanimento altrui, mentre, in realtà, se solo riuscissimo a cambiare il nostro
punto di vista, ci potremmo rendere conto di quello che i nostri stessi comportamenti
provocano negli altri e quindi le loro reazioni su di noi.
Ognuno, durante l’evolversi della vita, per potersi sentire appagato, ha bisogno
di incarnare più ruoli sistemici possibili, all’interno di un ciclo naturale, previsto
dall’ordine, che, seguendo un suo programma empirico, attribuisce i ruoli di base
in modo progressivo, accedendo anche ai sotto-ruoli, tutti strettamente dipendenti
dall’acquisizione di quelli basilari.
Così l’individuo passa dal ruolo base del figlio/a, a quello dell’adulto e solo in un terzo
momento può entrare in quello della saggezza, che lo porta fino al suo esaurimento
biologico.
L’unica eccezione è quella del proprio sesso biologico, che si acquisisce come primo
ruolo empirico sin nel ventre materno e rimane invariato sempre, anche se ciò non
implica che il ruolo del maschile o del femminile siano essere uomo o donna, ruoli che si
incarnano solo nell’età adulta.
Solo a partire dalla piena maturità l’individuo è in grado di sostenere una moltitudine di
sotto-ruoli contemporaneamente, che possano rendere la sua esperienza appagante,
perché essi traggono forza e legittimazione dal ruolo di base (essere donna o uomo),
pur seguendo matrici sistemiche diverse e spesso in contrasto fra loro, perché ognuno
di essi appartiene ad una matrice di eccellenza autonoma.
Ogni ruolo base ha diritti diversi, che, se non vengono utilizzati appieno, generano debiti
sistemici : se, per esempio, l’individuo salta un passaggio di consegna previsto, come
il bambino prodigio o l’uomo Peter pan, come il figlio che fa da padre o madre ai propri
genitori, si trova in uno stato anti-sistemico.
30
Il sistema, nella distribuzione dei ruoli, segue il criterio della massima funzionalità delle
cose, perché essi garantiscono una corretta evoluzione della specie, per questo l’ordine
non prevede i sotto-ruoli del padre e della madre associati a quello di figlio, cioè prima
che la persona sia entrata nel ruolo d’adulto.
Solo affrontando il dolore, anche se enorme, la persona può entrare nel libero fluire,
portando pace ed ordine nella sua vita, così, chi è arenato nel ruolo di bambino, avverte
il passaggio alla maturità come angosciante perchè ogni debito arretrato del
ruolo “figlio”, che si tratti responsabilità attive o passive non evase, tiene lontani dal
ruolo empirico dell’adulto, fino alla sua risoluzione.
3.3 IL COPIONE PERSONALE.Nessuno di noi può mostrare interamente se stesso perché quasi nessuno si accetta
interamente per cui, tutti in maniera più o meno evidente, sviluppiamo delle “maschere”
che fungono sia da copertura, che da protezione.
Esse nascono dal fatto che, fin da piccoli, siamo chiamati ad intrecciare complicatissimi
rapporti tra la nostra coscienza individuale, la famiglia e la società: è chiaro che le
esigenze ed i bisogni personali non sempre possono collimare con ciò che ci viene
richiesto dall’esterno, per cui siamo costretti a forgiare delle maschere che, se da un lato
ci aiutano a relazionarci con il mondo evitando di sentirci troppo spesso “nudi e senza
difesa”, dall’altro, soprattutto quando sono troppo rigide,ci spingono a nascondere la
nostra vera natura, fino al punto di sviluppare un falso Sé.
ESPERIENZA DI TEATRO
Francesco e Marco, due Finti yin, vittime rabbiose, hanno delle reazioni molto
simili: uno dopo essere rimasto seduto per diverso tempo, si alza di scatto e urla a
squarciagola, l’altro, dopo avere camminato avanti e indietro a lungo, si inginocchia e
piange, disperandosi come un bambino.
In realtà questi due individui hanno dentro una rabbia che vorrebbero tirare fuori, ma
le impalcature della loro vita non glielo permettono:l’uno viene sopraffatto dalla rabbia,
l’altro dalla disperazione, che sono i loro indicatori empirici.
Lo stesso dicasi per Gennaro, che ha “rappresentato”, senza vivere l’emozione: lui
stesso dice che nella vita è costretto ad indossare una maschera per non fare uscire il
suo vero io.
Infatti le mete che gli altri hanno per noi (la famiglia d’origine, la scuola, i partner ecc.)
che non hanno nulla a che fare con le nostre vere aspirazioni, ci comprimono, ma
31
bisogna trovare la strada per andare oltre alla ricerca del nostro vero Sé.
Ecco perché alla fine Gennaro urla un’imprecazione contro il mondo: non è capace di
ribellarsi, se non a parole, dato che probabilmente non ha gli strumenti per farlo, a tutto
quello che lo opprime.
Le maschere, tuttavia, sono necessarie e ci possono aiutare ad entrare ed uscire dai
vari ruoli a cui la società ci chiama: ci sono ambienti dove dobbiamo mimetizzarci di più
ed altri dove possiamo respirare, perché possiamo lasciarci andare ed essere più veri e
spontanei.
In genere, se l’educazione ricevuta è stata sana, noi entriamo ed usciamo dalle varie
maschere, senza per questo sentirci defraudati della nostra personalità; se invece
abbiamo avuto grandi difficoltà a riconoscere la nostra vera natura, le maschere
diventano come dei “calchi di gesso”, modellati sulla nostra faccia, ma molto più difficili
da togliere e mettere a nostro piacimento.
“Ho seguito tutte le strade indicate da mio padre, ma non ci camminavo: mi fermavo
e giravo intorno ad ogni sassolino che incontravo, mentre gli altri non si accorgevano,
passandomi accanto, di quel sassolino, che intanto era diventato una montagna
insormontabile, un mondo in cui si poteva, ormai, anche domiciliare….
In fondo anche loro, pur essendo arrivati, con la faccia di bravi bambini, alla fine della
strada, avevano trovato il loro “carro”, a cui erano stati attaccati e che ora si tiravano
dietro. Al contrario io non ho carri, né paraocchi, ma non so dove andare…
( “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello)
La maschera che indossiamo è importantissima, perché contribuisce alla nostra
visione del mondo: se è positiva, ci può aiutare a rispondere a canoni esterni e a
modelli interiorizzati, se è negativa favorisce una visione cupa del mondo, cosa
che può condurre a disprezzare la vita, gli altri e se stessi; se è di “inadeguatezza”,
favorirà insicurezza, senso di difficoltà, paura, svalutazione e diffidenza nei confronti
dell’esterno; se è troppo rigida può portare a regressioni, vero pericolo per la psiche,
che si trova a non avere un sufficiente spazio per crescere.
Queste corazze, anche se non corrispondono alla vera identità del soggetto, che
avrà ovviamente anche altre qualità, faranno sì che questi venga percepito come una
persona di cui “diffidare”, in quanto piena di difficoltà e di difese che non stimolano
fiducia negli altri.
32
E’ qui che la maschera – il nostro falso Sé – si impadronisce della nostra vera essenza
e non ci permette di contattarla, ma finisce, anzi, per produrre pensieri e comportamenti,
che attraggono esattamente l’uguale all’esterno.
Quanto più aumentano la qualità e la quantità delle infrazioni empiriche, tanto più
l’anima si distacca dal libero fluire, rimanendo in questo stato di auto-protezione
fino alla risoluzione del conflitto, che sarà superato quando la carica del dolore, fino ad
adesso insopportabile, non si abbassa.
In questo modo si evidenzia una separazione tra la persona e le sue qualità empiriche
YIN o Yang, che sfalza la gamma degli atteggiamenti e delle strategie vitali del proprio
codice di appartenenza e dissociando l’individuo dai valori dell’ordine.
E’ per questo che molte persone considerano la loro maschera e, quindi, la loro
condizione alterata, come uno stato normale, abituati, sin da piccoli, a non sapere
decifrare che uno stato emotivo eccessivo, come rabbia, paura, senso di colpa, sfiducia,
deriva dallo stato empirico dei loro genitori e dalle proprie responsabilità mancate: si
preferisce attribuire queste condizioni ad eventi esterni, che prescindono dal proprio
volere, scaricando le responsabilità sugli altri, non essendo in grado di sostenerle e per
sentirsi “innocenti”.
ESPERIENZA DI TEATRO
Gilda decide di recitare un testo su Desdemona. In passato lei ha avuto esperienze
teatrali , perché ha seguito delle scuole apposite, per cui dal punto di vista della dizione
e del parlato risulta più accurata , rispetto a molti altri .
Purtroppo, però, il suo corpo è sempre statico, non trasmette nessuna emozione, anche
se la sua voce vorrebbe “interpretare”.
In realtà lei è come se parlasse in terza persona, recitando in modo asettico, sul
palcoscenico,dove, però, non si può “raccontare”, ma vivere in prima persona: non il
personaggio “disse”, ma “io dico”, cioè tutto ha da nascere da un’esigenza interiore.
Il regista, per farla uscire da questa “impasse”, decide di farle inscenare una “pietà”,
con le che , come la madre di Cristo, tiene tra le braccia il figlio, inveendo contro una
ipotetica donna che lo ha ucciso, distruggendo anche la sua vita.
Gilda ha bisogno di perdersi in questa prefica, trovando uno stato d’animo devastante,
che le possa anche trasfigurare il viso.
Purtroppo lei si perde sempre nella sua facciata da vittima, senza, però, riuscire né ad
arrabbiarsi, né a rendere visibile il suo dolore: si sente troppo “innocente”, e pur volendo
entrare in contatto con queste sue emozioni, non riesce a superare la soglia della
33
finzione. Non è capace di dare se stessa ed ha toccato con mano i suoi limiti.
La tecnica che lei ha acquisito nei suoi corsi, non è riuscita a supportarla, per darle la
consapevolezza del fare una determinata azione in quel momento, perché le manca,
fondamentalmente, la coscienza di sé.
E’ quindi importantissimo cercare di capire bene quali sono le maschere che abbiamo
dovuto indossare, in modo da utilizzarle al meglio per sviluppare le qualità e capacità
intrinseche, che possono poi guidarci alla costruzione della reale identità dell’Io.
Tutti i ruoli che noi impersoniamo nella metamorfosi empirica, non sono altro che la
dimostrazione che le maschere che ci costruiamo sono frutto del nostro stato sistemico,
ossia dell’aumento o della diminuzione dei moti della rabbia e della paura, che si
compensano a vicenda .e che indicano, quindi, il debito di cui siamo portatori, che
possiamo, in parte, colmare prendendo coscienza del lato luce e ombra che ci portiamo
dentro .
È sorprendente come l'essere umano sia disposto a tutto pur di non mostrarsi, cercando
di compensare per non far vedere, come se fosse pericoloso rivelare ciò che si è
realmente.
Le maschere imprimono un fortissimo impatto sul mondo, che a sua volta produce una
serie di comportamenti e di pregiudizi in grado di attrarre anche nel mondo ciò che è in
linea con la nostra visione.
Nel gioco dei ruoli che la società ci impone, tutti indossiamo una maschera (… e il
mondo intero è una ribalta, diceva Shakespeare), specialmente nei ruoli ufficializzati,
tipo il poliziotto quando scruta la folla manifestante, o l’insegnante nei confronti
dell’allievo o del politico nel momento declamatorio oppure del medico col paziente; gli
esempi sono davvero tanti.
3.4 CODICE YIN E YANG
Il codice yin e yang, che sono le matrici di eccellenza dell’essere uomo o donna, stanno alla base di tutti questi ruoli, perché sono il trampolino di lancio per ogni evoluzione.Ogni individuo è formato da un carica primaria e da una carica secondaria, che hanno
bisogno di controbilanciarsi: nell'uomo la carica primaria è data dallo yang, per cui ogni
uomo ha in sé anche una parte femminile, mentre nella donna dalla carica yin, quindi
ogni donna ha in sé anche una parte maschile.
34
Se non ci sono alterazioni, l'uomo rimane radicato nel proprio yang e, nel tempo,
acquisisce ed integra anche i principi yin, viceversa per la donna.
L'acquisizione della carica primaria avviene sempre nel grembo materno, al momento
del concepimento, poichè ogni nascituro è portatore di una matrice d'eccellenza, che lo
dota di tutti i parametri più appropriati per sviluppare i moti empirici genuini e di tutta la
saggezza dell'universo.
Durante la fase dell'attivazione, la matrice si inquina e la consegna familiare si
sovrappone alla matrice d'eccellenza, attivando soltanto i principi sistemici previsti
dal copione familiare, tralasciando tutti gli altri, per cui il contenuto disarmonico
sovrasta la carica genuina del figlio e i valori deformati sostituiscono quelli della matrice
d'eccellenza .
L'attivazione della carica primaria avviene durante l'infanzia, attraverso il genitore
del proprio sesso biologico, per cui se il padre o la madre sono mancanti o portatori
di una carica debole, il bambino non riesce a radicarsi nel proprio sesso biologico,
predisponendosi per un ruolo alterato.
Nel momento in cui la qualità della consegna risulta scarsa o insufficiente, il figlio non
riesce ad attivare le potenzialità empiriche e i principi guida, poiché neanche il genitore
è un “portatore sano” e il bambino rimarrà relegato nel ruolo del piccolo, anche quando
avrà già superato l'età biologica adeguata, perché egli assimila la stessa qualità e
quantità di carica e i debiti empirici non evasi dal genitore.
UOMO YIN E DONNA YANGIn presenza di debito ingente, allora, l'individuo può sviluppare una carica
primaria “stretta” che il sistema riequilibra, per il principio della compensazione, con
una carica secondaria molto forte, che sovrasta l’altra parte, che non sa contenerla,
venendosi a creare, così, i ruoli dell’uomo Yin e della donna Yang, incapaci di
radicarsi nel loro maschile o femminile.
In entrambi i casi sono i principi guida del sesso opposto a prevalere e a determinare
quindi tutte le percezioni del singolo.
I RUOLI SISTEMICI ALTERATILa presenza di debiti ingenti fa generare i ruoli dell'uomo yang alterato e della donna yin alterata, che si sviluppano a seconda della presenza dominante di una carica
sull’altra: se quella primaria è troppo sviluppata e quella secondaria è insufficiente
o mancante, l'individuo percepisce il mondo ed agisce secondo i principi guida sì
35
appartenenti al proprio sesso biologico, ma in maniera alterata, in quanto manca un
argine naturale che gli faccia da contrappeso, da binario, da contenimento.
In realtà ambedue i gruppi, Yin e Yang, hanno sviluppato strategie compensatorie,
evidenziate dai relativi indicatori attivi.Quello Yang alterato bilancia il debito acquisito con strategie di eccesso yang, per cui
tende al ruolo del carnefice, usando la spinta rabbiosa come moto principale del suo
fare e del suo essere; quello Yin alterato eccede con moti Yin ed è incline al ruolo della vittima. L’eccesso di energia Yin si manifesta attraverso lo stato di inadeguatezza e la
mancanza di auto-valorizzazione, ossia come bassa autostima
Questo ruolo compensatorio si acquisisce a causa delle strategie di paura, che questi
individui mettono in atto, compromettendo la loro carica maschile, a prescindere dal
sesso biologico, per cui essi si barricano dietro la corazza alterata, che, per quanto sia
fonte di disagio, costituisce anche la loro sicurezza più grande, pur di evitare l’indicatore
passivo, che è la paura per il carnefice e la rabbia per la vittima.
Vittima e carnefice si aggrappano disperatamente al loro copione, bisogno profondo che
viene supportato da tutte le loro strategie vitali, basate sul debito acquisito.
ESPERIENZA DI TEATRO
Alfonza è una Yin alterata, di circa 55 anni, che vive l’angoscia del non sapersi imporre:
fino ad ora ha probabilmente utilizzato il “Si” automatico, come strategia di difesa e
vitale, per acquisire consensi, senza sentirsi “sbagliata”, evitando ogni opposizione/
scontro,rinunciando anche alle proprie convinzioni, pur di non entrare in contrasto
con nessuno, soprattutto con la forza yang, che teme, sia nelle sue manifestazioni
impetuose, sia nella sua spinta più genuina, subendo così anche la luce maschile, non
solo la sua ombra.
Alfonza, nella sua performance, segue un percorso molto interiore, con una lentezza
quasi esasperante ed emana una morbidezza ed una purezza, che però ingannano
solo a prima vista, perché non le sa sorreggere attraverso responsabilità ed azioni.
Nella prima parte dell’esercizio ha tirato fuori sensazioni e ricordi che hanno reso molto
partecipe il pubblico, ma nel proseguire il suo “racconto” corporeo, si accascia in se
stessa, senza riuscire a far esplodere uno stato d’animo.
Ha provato anche a dire un “NO”, ma senza quella rabbiosità ed amplificazione, che
richiedeva l’esercizio per definirsi riuscito.
Infatti ogni stato di innocenza rifiuta le proprie responsabilità empiriche, che
appartengono all’infanzia:l’ innocenza è dei piccoli, la purezza è degli adulti.
36
Così la Yin alterata confonde vittimismo ed impotenza con innocenza, senza approdare
alla purezza, che si sviluppa lentamente con l’avanzare dell’età biologica, richiedendo ,
però, consapevolezza e spazio interiore, che vanno sostenuti ogni giorno attraverso il
proprio fare ed essere, chiedendo alla donna Yin integrata di non farsi “inquinare” e di
salvaguardare il proprio mondo Yin..
La quotidianità ci ha insegnato ad essere pudichi, ma in questa messa in scena bisogna
essere spudorati, senza controllare quelle parti noi di follia, che sono proprio del teatro.
Esprimere i propri sentimenti significa non ammalarsi, dato che le cellule dentro di noi,
troppo sottoposte a compressione, finiscono per impazzire, dando luogo alle malattie e
a stati di sofferenza.
Tutto questo diventa quindi salutare ai fini della nostra stessa vita
VITTIMA RABBIOSA In mezzo a queste due coppie di ruoli, troviamo le varie espressioni di un altro ruolo,
quello della vittima rabbiosa, che oscilla tra la propria paura e la propria rabbia.
L 'uomo yin e la donna yin alterata sono ancora nel ruolo di vittime “semplici” ed
autentiche, che si confrontano con un alto livello di paura, che schiaccia la rabbia,
impedendole di essere un moto genuino che faccia da propulsore.
Con l'aumentare del dolore non evaso , ossia del debito, avanzano nella propria
metamorfosi empirica incrementando la loro rabbia e facendo loro sperimentare dei moti
rabbiosi sconosciuti e repressi e mai “presi in mano”.
Questa novità empirica manda in crisi la vittima autentica, che, ancora convinta di
essere “innocente”, pur di non guardarsela, perché le fa troppa paura e la fa sentire in
colpa, cerca di camuffare e nascondere la rabbia con moti compensatori.
In realtà la vittima rabbiosa è il portatore più pericoloso della rabbia repressa, perché
questa loro apparente docilità, con il tempo, viene scoperchiata, soprattutto in un
rapporto di coppia e giudizi, critiche, denigrazioni escono fuori, a poco a poco, secondo
una dinamica auto-rigenerante che si sviluppa nel tempo.
La rabbia, infatti, è il termometro del nostro stato empirico e si manifesta attraverso il
risentimento, il rancore ecc.
UOMO FINTO YIN E DONNA FINTA YIN.La vittima autentica, così, con l’aumentare della rabbia, si trasforma in “vittima
rabbiosa”, il cui primo stadio è dato dall' Uomo finto yin e dalla Donna finta yin, che
riescono a reprimere e a camuffare la propria rabbia ancora piuttosto bene, non
37
essendo ancora ” stati scoperti”. In un rapporto di coppia, scegliendo sempre compagni
con affinità alla propria ombra, detesteranno il compagno, proprio per averli guidati e si
vendicheranno per tutto quello che hanno “subito”, non ricordandosi che erano proprio
loro a volere questo.
L’energia principale è l’ansia che incombe e la paura di vivere li fa arretrare di
fronte agli ostacoli o fuggire nel passato, essendo legati al proprio dolore e al rimpianto
o nel futuro essendo preoccupati del domani: ciò significa che sono privi della forza di essere presenti
UOMO FINTO YANG E DONNA FINTA YANGCon l’andare avanti della metamorfosi empirica, in cui la rabbia aumenta sempre di più,
l'individuo non riesce più ad adottare le stesse strategie di prima, per cui la maschera
Yin, fatta di atteggiamenti docili e gentili, dietro cui nascondeva il proprio sentirsi vittima, apparentemente assecondando e dando importanza agli altri, prima che a se
stessi, viene sostituita dal ritrovato indicatore empirico della rabbia.
Da questo momento in poi la paura, funzionale e sana se riconosciuta e gestita
consapevolmente, viene rinnegata e questi individui coprono la loro fragilità con moti di
sfida e competizione spingendoli, talvolta, a rischiare pure la propria vita.
Qualità yin quali pudore, tatto, tristezza, pazienza e profondità vengono esorcizzate e
la vittima rabbiosa cambia il proprio stato energetico, assumendo i ruoli dell'uomo finto yang e della donna finta yang. Il loro “sentire” è alterato da una spinta vitale eccessiva ed è quindi contro-sistemico:
se la vittima rabbiosa Yin si difende con la propria paura e, nella metamorfosi empirica,
sperimenta una rabbia sempre più forte, quella Yang usa come bandiera la propria
rabbia, che da indicatore secondario è diventato primario e quindi evidente, mentre la
paura serpeggia sempre, anche se come
moto secondario.
Anche in questo caso è un moto a fin di bene, generato dal sistema per permettere al
singolo di raggiungere l'interezza e di integrare ciò che è stato represso.
Il singolo “finto yang” sperimenta così sempre più stati di ansia, paura, inadeguatezza,
tristezza, non si riconosce più, è spaventato e disorientato e si sforza così di coprire
tale moto indesiderato aumentando sempre più i moti aggressivi, sempre più sfida,
competizione, verso la vita, il mondo e soprattutto se stesso.
UOMO YANG ALTERATO E DONNA YANG AUTENTICA
38
Tutte le vittime rabbiose sono in preda ad un moto di rivalsa crescente verso il mondo e
verso se stessi, che, però, è ancora collegato solo ad una grande rabbia, perché non è
ancora presente l'odio, che invece compare nelle figure Yang alterate.L’Uomo yang alterato e donna yang autentica, interpretano un degrado più avanzato,
evoluzione diretta delle alterazioni precedenti.
Questi ruoli sono caratterizzati dalla presenza di un debito maggiore ormai irreversibile
e non c’è possibilità di tornare indietro o di poterlo recuperare, perché il moto
predominante della rabbia è affiancato in più dalla sete di vendetta e dalla assoluta
freddezza, essendo persone prive di scrupoliIl disagio, ormai, è talmente grande che rende la loro vita così difficoltosa e sofferta, da
far loro raggiungere il livello più estremo ed irreversibile: l’inquinamento dell’anima.In realtà la loro parte più agguerrita rimane spesso nascosta dietro atteggiamenti
diplomatici ed ammalianti, evidenziandosi solo al momento dell’apparente bisogno.
Non sono cattivi, ma è proprio il loro degrado empirico, ormai avanzato al punto tale
che rancore e risentimento sono diventati gli indicatori principali del loro mondo emotivo.Fino a che l'individuo si trova nello stadio della vittima rabbiosa yang, gli è
ancora possibile affrontare il proprio debito ed evaderlo, ma c'è un momento in cui
questo non è più possibile, ossia quando il dolore negato e le responsabilità mancate
acquisiscono un peso molto elevato, trascinando la persona nell’abisso e portandolo
al “distacco dell'anima” dal libero fluire, che il sistema prevede quando il debito è
diventato così forte da non riuscir ad essere più compensato e non è più rimandabile ad
un secondo momento nell'ambito della vita della persona.
L'individuo soccombe nel suo conflitto empirico, perché ormai qualcosa di devastante
è accaduto dentro l’anima, che si chiude, tentando di preservarsi da ogni altro dolore,
ma impedendole anche di accedere all’amore e costringendola ad accontentarsi di
surrogati.
Avendo rinunciato definitivamente ad ogni possibilità di risanamento, il debito in
questione viene dato in eredità alle generazioni successive al fine di potere essere visto,
evaso e lasciato andare, secondo il principio dell'inclusione.
39
Mister Hyde calpesta una bimba La matrigna del film “Come d’incanto”:
A proposito del film “Come d’incanto”, è indicativo come la matrigna cattiva, donna
Yang, al culmine della sua trasformazione empirica, rappresentata metaforicamente
come un drago, pronunci queste parole:” Spregevole, vendicativa, gigantesca, ma
pazza mai……”
3.5 IL TEATRINO DELLE COPPIE
“Un uomo onesto, un uomo probo, s'innamorò perdutamente
d'una che non lo amava niente.
Gli disse portami domani, il cuore di tua madre per i miei cani.
Lui dalla madre andò e l'uccise, dal petto il cuore le strappò e dal suo amore ritornò.
Non era il cuore, non era il cuore, non le bastava quell'orrore, voleva un'altra prova del
suo cieco amore. Gli disse amor se mi vuoi bene, tagliati dei polsi le quattro vene. Le
vene ai polsi lui si tagliò ,e come il sangue ne sgorgò, correndo come un pazzo da lei
tornò.
Gli disse lei ridendo forte, l'ultima tua prova sarà la morte.
E mentre il sangue lento usciva,
e ormai cambiava il suo colore, la vanità fredda gioiva, un uomo s'era ucciso per il suo
amore.
Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallaleru
40
ma lei fu presa da sgomento,
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato,
quando a lei niente era restato,
non il suo amore, non il suo bene,
ma solo il sangue secco delle sue vene.
(La ballata dell’amore cieco” Fabrizio De Andrè)
Questo brano, che trovo particolarmente significativo, oltre al fatto che la musica è stata
messa in modo azzeccato al testo, in quanto il divario tra la drammaticità delle parole e
il faceto della musica, jazz, quasi da banda, sottolinea la grandezza poetica di Fabrizio
De Andrè, lo “uso” nel contesto scolastico, per far comprendere ai ragazzi quanto
l’amore cieco possa portare anche all’auto-distruzione.
Spesso lo accompagno anche alle immagini o ai video di donne che hanno subito
violenza fisica o psicologica dai loro partner.
E’ vero che questo è un brano sulla vanità, ma ha un impatto così grande, nell’ orrore
del racconto, che serve a far prendere consapevolezza di alcune coordinate importanti
della nostra concezione dell’amore, che non è “ l’innamoramento”, ma quello che viene
dopo…….se viene!
Lei donna yang , ha perso qualunque senso della misura nella manifestazione del suo
Ego, l’odio è smisurato e farebbe di tutto per predominare sull’uomo, di cui ha una paura
enorme.
Lui, uomo finto yin, non trova di meglio, come affinità del dolore, che mettersi
letteralmente nelle mani di quella donna, che lo porterà alla distruzione ed alla morte,
dopo avergli fatto commettere delitti efferrati.
Da uomo onesto, però, ha finito la sua vita, almeno, perseguendo un ideale, cosa che
straluna tutte le convinzioni della donna, che, nel desiderio di soddisfare la sua vanità, si
accorge che a lei non è rimasto assolutamente nulla, mentre lui “muore contento”.
Se il nostro compagno/a non corrisponde alle proiezioni disarmoniche del nostro debito,
anche se assurde ed infondate, ci sentiamo traditi ed abbandonati.
Così se il partner non interpreta il copione alterato e non ci dà quell’amore cieco di cui
sentiamo il bisogno, ci sentiamo rifiutati ed abbandonati.
Se, per esempio, un uomo yang, con amore adulto e consapevole, si avvicinasse ad
una donna empiricamente alterata, questa, nel suo stato di deviazione empirica, non
si sentirebbe comunque soddisfatta, avanzando sempre nuove richieste, che, se il
41
compagno volesse esaudire, lo farebbero allontanare dalla sua posizione sana.
In realtà non supereremo mai la fase dell’amore cieco, concependo ogni relazione come
stato di dipendenza, fino a quando le aspettative, acquisite attraverso la famiglia, non
verranno dissipate. In ogni relazione alterata, si finisce per cercare, sempre, la figura del
padre o della madre, senza esserne consapevoli.
In ogni relazione alterata,infatti, si finisce per cercare, sempre, la figura del padre o della
madre, senza esserne consapevoli
L’iIIusione dell’Amore ci perseguiterà sempre, se non superiamo il ruolo del “piccolo”,
che ci impedisce di vedere l’altro per quello che è veramente e ci fa permanere nel
nostro stato di bisogno e di comodo in una relazione.
Ecco perché un alto livello di aspettative verso l’altro rivela la propria incapacità di
concepire l’amore, in quanto in una coppia ognuno di noi pensa di essere sempre colui
che dà di più.
L’assunzione delle proprie responsabilità, al fine di raggiungere la propria autenticità, si
può attuare attraverso il Si consapevole, ossia una scelta cosciente e non apparente,
che è invece necessaria a nascondere la paura di manifestarsi per quello che si è,
che normalmente si fa con il Si automatico, che nasce proprio dalla paura di perdere
l’amore, per quanto fittizio.
Il Si consapevole si basa sulla capacità iniziale di saper dire No a chi ci ama, anche
a costo di deluderlo, con scelte fatte con la forza del potere personale: questa è la
differenza tra”saper sostenere” e “dover subire”, che distingue una persona ben radicata
nei suoi principi guida, da una alterata, tra il ruolo empirico dell’adulto e quello del
bambino. Ognuno si affianca a partner che evidenziano un tipo di alterazione precisa,
che si costruisce intorno alle proprie strategie d’amore, che sono la parte centrale di
ogni consegna familiare, cosa che crea, in futuro, affinità solo con determinate persone.
Questo è il debito di base, che influenza anche lo sviluppo del corpo fisico e il suo
funzionamento, con strategie corporee che non possono essere riconosciute dall’altro,
in modo profondo.
D’altro canto attiriamo solo persone uguali a noi attraverso un processo di risonanza,
attraverso il loro ruolo speculare e non subiamo il fascino di partner al di fuori di tali ruoli.
Alla base di tutto questo c’è la forza della nostra carica primaria, Yin o Yang: chi ha
accumulato uno yang esuberante, ha bisogno di essere controbilanciato da uno yin di
uguale forza, cosa che avviene solo nelle Coppie integrate.
Ognuno si affianca a partner che evidenziano un tipo di alterazione precisa, che si
costruisce intorno alle proprie strategie d’amore, che sono la parte centrale di ogni
42
consegna familiare, cosa che crea, in futuro, affinità solo con determinate persone.
Questo è il debito di base, che influenza anche lo sviluppo del corpo fisico e il suo
funzionamento, con strategie corporee che non possono essere riconosciute dall’altro,
in modo profondo.
D’altro canto attiriamo solo persone uguali a noi attraverso un processo di risonanza,
attraverso il loro ruolo speculare e non subiamo il fascino di partner al di fuori di tali ruoli
Alla base di tutto questo c’è la forza della nostra carica primaria, Yin o Yang: chi ha
accumulato uno yang esuberante, ha bisogno di essere controbilanciato da uno yin di
uguale forza, cosa che avviene solo nelle Coppie integrate.
Uno yang alterato, attira sempre un yin alterato; un’energia maschile scarsa, come
quella dell’uomo finto yin, attira un femminile altrettanto debole, come quello della
donna finta yang: in entrambi i casi, questi individui compensano vicendevolmente
le mancanze del proprio compagno, avendo essi sviluppato i principi attivi del sesso
opposto e sviluppando, quindi, una relazione in cui non possono fare a meno l’uno
dell’altro.
Risulta impossibile che si possano innamorare di un ruolo empirico diverso, sano o
alterato che sia, perché ognuno si sente compreso e sostenuto, a livello profondo, solo
con coloro con cui sente un’affinità di debito.
L’avvicinamento al modello della coppia integrata può avvenire solo attraverso un
processo di Yinghizzazione o Yanghizzazione, in cui si possa migliorare la qualità
del proprio debito, viceversa si continueranno ad inseguire “felicità, equilibrio, amore”
illudendosi di poterle raggiungere.
Il “Principe azzurro e la sua Principessa” sono delle mete inesistenti, se ci si limita ad
individuare sempre partner con arretrati simili ai nostri, rispecchiandosi nella loro ombra:
essi sono piuttosto i nostri “principi assurdi e principesse sul pisello” con cui mai
potremo costruire legami genuini e duraturi.
Ricordiamo sempre, comunque, che la forza Yang è sostenuta dal diritto
dell’autorealizzazione, mentre quello yin dalla maternità, per cui la più alta
responsabilità per entrambi è proprio questa , qualunque cosa ne pensino
razionalmente i suoi protagonisti, poichè in caso contrario prevede l’acquisizione di un
debito ingente.
LA COPPIA INTEGRATAQuesto è l’unico modello relazione sano e genuino, punto di riferimento per ogni uomo o
donna, in cui l’uomo sa onorare la donna e lei sa sostenerlo.
43
I suoi protagonisti sono l’Uomo e la Donna integrati, che portano tutta la carica
genuina dei codici Yang e Yin, i soli in grado di generare una qualità di amore che vale
ai fini empirici, segno dell’acquisizione della coscienza empirica e dell’assenza di debito.
In questa coppia, nelle dinamiche del rapporto, domina sempre la donna, consapevole
del suo pieno potere, mentre l’uomo la compensa con la presa di potere all’ esterno.
La donna non sente il bisogno di competere con la forza maschile, sentendo la forza
incondizionata come potere assoluto e non come debolezza,
“ UN UOMO, UNA DONNA, LA COPPIA “ Micol Ferrea
Due teste diverse: Il Rotondo e Il Quadrato- Il Rosso e Il Verde che si intersecano negli
occhi e che solo con un impegno forte e una convinzione importante possono fondersi
mantenendo necessariamente la propria identità, sicuramente modificata, arricchita,
cresciuta, ma distinta. Contro l'erronea convinzione del Mondo che una Donna ed Un
Uomo debbano fondersi totalmente perdendo il proprio io. La Volontà di trasferire sulla
tela un messaggio di eternità assoluta di due identità distinte
Micol Ferrea
LA COPPIA ALTERATA
Questo modello è formato da un uomo Yang ed una donna Yin alterati, in cui la donna
ricopre il ruolo della vittima e l’uomo quello del carnefice, sviluppando una dinamica in
44
cui la prima si sottomette, subendo il maschile ed accumulando rabbia.
L’uomo è bisognoso di affetto e riconoscimento continui, la donna predomina nella
relazione, attraverso la propria paura e il senso d’inferiorità, comuni ad ambedue i
partner e che costituiscono l’affinità del debito. Infatti nessuno dei due si sente adeguato
nel suo essere maschile e femminile, in quanto la donna sfoggia un eccesso di Yin,
mentre l’uomo lo nasconde dietro una scorza dura.
Atteggiamenti duri e formali o violenti e sprezzanti, nascondono la stessa paura di non
essere virili, dato che questi uomini mancano della carica secondaria Yin e disprezzano
la donna proprio per timore della propria parte femminile.
Vittima dichiarata e dipendenza nella relazione, come darsi un tono non essendo in
grado di sostenere la parte da recitare, dimostrano la mancanza di un Animus forte
45
Nella donna che evidenzia una carica primaria che non sa sostenere per cui è
terrorizzata dal mondo maschile.
Queste strategie della coppia verranno tramandate ai figli come debito di base.
Ogni donna alterata cerca quanto più possibile di nascondere la rabbia ereditata dalla
madre, come l’uomo yang alterato è sempre convinto di non essere mai abbastanza
mascolino ed è attratto dall’apparente innocenza di lei, ma più la carica aggressiva della
donna si rivela, in quanto ella si sposta dal ruolo della brava bambina a quello della
vittima rabbiosa e più lui stesso vede crescere il suo livello di ansia, con l’incapacità
di dominare i propri moti rabbiosi, più si ritira dalla guida della coppia e lascia a lei più
spazio., anche perché lo yang femminile aumenta.
Quando l’uomo non può più sopportare le continue angherie e la donna stessa non
può più gestire la sua rabbia verso di lui, la coppia si disgrega ed è questo il momento
in cui lo yin alterato di lei, si trasforma in yang, in un processo senza ritorno che si
ritorce anche sui figli, perché ella vuole invertire anche i ruoli di padre e madre, essendo
detentrice ormai della maggiore carica rabbiosa.
Dal film “A letto con il nemico”
LA COPPIA CONGELATA.Quando la situazione descritta precedentamente si stabilizza, avviene un congelamento
dei partner nei loro debiti, intrappolati in una situazione di insofferenza e di
compensazione reciproca, e quindi di co-dipendenza.
Finta donna yin e finto uomo yang esprimono lo stato empirico della vittima rabbiosa,
che genera un tipo di rapporto basato su odio-amore, anche se non riescono a
46
separarsi, rimanendo insieme, nonostante la guerra fredda tra di loro. La donna sembra
sapere onorare il proprio uomo e lui venerare la sua compagna, ma in realtà non è così:
il processo di degrado all’interno della loro relazione si è solo rallentato o stabilizzato.
Altro esempio di coppia congelata, che ha come protagonisti un uomo ed una donna
Finti Yin, a cui, invece, la paura riesce a bloccare la spinta rabbiosa, può esemplificarsi
con casi in cui solo apparentemente uomo e donna si sostengono a vicenda, ma in
realtà sono in uno stato di dipendenza assoluta, perché la donna ha congelato la rabbia,
rimanendo nel ruolo empirico della madre solo come facciata e l’uomo ha una spiccata
dote femminile. Soffrendo ambedue di sindrome da abbandono, hanno una paura folle
di affrontare la vita da soli.
Da l film “Mariti e mogli” due finti yin
LA COPPIA GUERRIERAUn esempio lampante potrebbe essere quella del film “La guerra dei Roses”, dove
i due protagonisti finiscono per morire l’uno accanto all’altro, pur di non mollare,
metaforicamente, la casa e le cose comprate insieme
Dal film “La guerra dei Roses”
Lei , dopo la sua metamorfosi empirica, che l’ha portata da finta yin a finta yang, ricorre
47
sempre al cinismo, alle frecciate sprezzanti, al rinfacciamento continuo, lui, nonostante
senta ogni tanto qualche moto d’amore, naturalmente dettato dal “bisogno”, per lei, non
fa altro che lamentarsi, criticando ed accusando, ma nessuno dei due si prende le sue
responsabilità empiriche.
In questo modo, crescendo enormemente il loro debito, in questo processo, finiscono
per arrivare ambedue all’indurimento dell’anima, non riuscendo staccarsi da questo
rapporto morboso.
La stessa forza che da un lato li ha uniti, dall’altro li divide.
Lei pretenderebbe il potere all’interno della coppia, anche se si vorrebbe appoggiare
sul partner, ma solo quando lo vuole lei, mentre lui ha bisogno di sentirsi investito dal
potere-guida, chiedendo alla compagna l’amore incondizionato e totalizzante.
LA COPPIA SFORZATAI due partner, yin e yin alterata si attraggono per la loro paura, perché sono angosciati
dalla vita e soprattutto dall’altro sesso
In realtà questo tipo di coppia è molto frequente tra gli adolescenti, ancora “puri”, senza
esperienza, che non si compensano nella propria carica aggressiva, che è assente,
essendo l’indicatore passivo di entrambi. L’unico posto in cui si sentono al sicuro è
all’interno della coppia, trovando uno stato di risonanza profonda che scambiano per
amore, come due bambini che sentono di non meritare nulla, se non la felicità tra loro.
Uomo Yin e Donna Yin alterata dal film “Come d’incanto”
Una volta “scopertisi”, però, la loro unione degrada ed ognuno di loro cerca di uscire
48
dal disagio o tradendo il partner, senza però avere il coraggio di ammetterlo, o con il
contrasto e la critica, anche se morirebbero alla sola idea che l’altro se ne vada.
LA COPPIA INVERSAUomo yin e donna yang formano questo genere di coppia, che è quella più deviata tra
le relazioni alterate, dato che mentre nel caso degli alterati yin e yang questi hanno
conservato la loro carica primaria, questi ne sono completamente mancanti, al di fuori
dei parametri empirici. perché sostituiti con quelli del sesso opposto, che inquinano il
proprio codice.
Paradossalmente chi interpreta questi ruoli è convinto di essere un modello di coppia,
ma in realtà i due non sono capaci di amore sufficiente ai fini empirici e si scelgono
rispecchiandosi la loro coscienza personale, ciascuno con le proprie aspettative e
proiezioni alterate sull’altro.
Sylvester stallone e Brigitte Nielsen Carlo e Camilla
La donna yang esige un uomo romantico e sensibile che compensi se stessa, l’uomo
Yin si sente appagato solo da donne “con le palle”, con carattere forte e determinato, in
un gioco di parti in cui la rabbia rappresenta il gancio emotivo per entrambi.
Ma proprio questa rabbia, che aumenta in modo esponenziale, non permette a lui di fare
da guida, subendo la prevaricazione di lei, che al
la fine lo odierà per non avere la facoltà di appoggiarsi ad un uomo.
Questi “giochi” sono così sottili, che nessuno si rende conto di essere in un ruolo
deviato, anzi ognuno si sente portatore di un femminile e di un maschile evoluti, capaci
di sintetizzare le qualità di ambedue i sessi.
Alla fine però tutti sono insoddisfatti, perché anche se gli interpreti si illudono di stare
nei loro ruoli, in realtà non fanno altro che litigare relazionandosi con astio, mancando
completamente l’amorevolezza e il contatto fisico.
I figli, naturalmente, vivendo in questa atmosfera di debito familiare, riconoscono da
49
subito la violazione dei loro diritti empirici, rinunciando a ciò che spetta loro di diritto.
CAPITOLO 4 IL DEBITO SISTEMICO: PERCHÉ INDOSSIAMO LE NOSTRE MASCHERE
Io vivo nei panni di un alieno che non vola
Che non mi assomiglia ma…
Io vivo ai margini di una vita vera
E non mi riconosco
(Franco Battiato e Luca Madonia)
4.1 IL DEBITO EMPIRICO
Quando la persona è allineata con l’ordine armonico, cioè ha assenza di debito,
l’anima è in pace sul piano del sentire, ha un suo equilibrio interiore ed accede alla
gamma espressiva delle emozioni.
Così solo l’individuo sperimenta ogni livello del proprio sentire, senza la prevalenza
di un moto emotivo particolare: rabbia, paura, timidezza, senso di colpa, strategie di
amore, gioia di vivere fanno parte del proprio bagaglio empirico e, in questa dotazione
naturale, nessun ambito sovrasta o è assente.
50
In questa circostanza soltanto, in cui tutti gli ambiti emotivi sono a disposizione,
l’individuo reagisce liberamente ad ogni stimolo, senza dover aderire a binari emotivi obbligati.Se la carica empirica è bassa, anche la reazione è lieve, quando è alta, gli atteggiamenti
sono altrettanto carichi.
Ad ogni individuo, quindi, appartengono tutte le emozioni allo stesso modo, ma
quando qualcuno ha bisogno di interrompere una carica molto intensa, dimostra la
sua incapacità di contenere una data emozione e, allo stesso modo, chi rimane freddo
e distaccato nei momenti di carica più intima o, chi prende troppo alla leggera le
situazioni, significa che ha bisogno di prendere coscienza del suo stato empirico.
Solo colui che sa interpretare la carica empirica in modo adeguato, non si fa risucchiare
dalle emozioni ed si esprime, emotivamente, senza caderci dentro.Esiste quindi, un livello genuino di reattività, insita in ogni carica, ma in presenza
di un debito empirico arretrato e persistente, il singolo perde ogni tipo di libertà
e la carica ( rabbia, paura, senso di colpa ecc.) diventa l’indicatore sistemico che catalizza il suo sentire, dominando le sue reazioni e influendo su di lui al punto di fargli
credere che questo sia il suo stato naturale, facendogli perdere ogni contatto con la
realtà empirica.
Chi, per esempio, si arrabbia sempre, chi piange facilmente, chi non sa esprimere
le sue opinioni, chi percepisce di non meritare abbastanza, anche quando non
sembrerebbe necessario, si confronta con le situazioni in modo alterato.
Lo stato collerico e la percezione di essere sempre vittima, anche se sembrano opposti,
sono segni della stessa alterazione.
Il debito, che è sempre indicatore di ferite emotive, comporta schemi di difesa e solo
se la persona è libera, può aggirare i “trabocchetti” della mente, evitando la rabbia
costante, il senso di tristezza continuo, la diffidenza ecc.
Il nostro stato empirico condiziona il nostro fare e il nostro essere, dato che filtriamo il
mondo circostante attraverso le nostre ferite aperte, provenienti da un passato rimosso
e nascosto nell’inconscio. Siamo portatori di handicap empirici, di blocchi emotivi,
attraverso i quali tratteniamo la nostra rabbia, paura o colpa, reprimendoli con tutte le
nostre forze.
Siamo nello stesso tempo vittime e carnefici, facendo pagare agli altri ciò che noi
abbiamo subito.
51
Nella nostra vita produciamo quantità ingenti di debito e non lo estinguiamo mai,
convivendo con le nostre alterazioni, riconoscendole come stato “naturale” del nostro
carattere, identificandoci con queste “doti” personali, come se fossero espressione della
nostra personalità.
Solo quando tutte queste alterazioni diventano troppo ingombranti, incidendo in modo
pesante sulla nostra vita, ci accorgiamo di come sia importante “contro-sterzare”,
riconoscendo le nostre responsabilità non evase e facendoci rientrare
in un equilibrio genuino, unica condizione naturale che l’ordine armonico riconosce.
La base fondamentale di ogni debito è costituita dalla consegna familiare, in quanto
al bambino è richiesto di prendere in carico questa eredità, potendola riscattare solo
da grande, dato che, per evadere il proprio arretrato, ha bisogno prima di diventare
consapevole, permettendosi prima di accedere al dolore che esso comporta, per poi
trasformarlo, con tutte le difficoltà che tutto questo comporta.
La parte più importante di ogni integrazione è la fase dell’accettazione e
dell’approvazione del proprio debito, perché ogni individuo, in questa fase, soffre a
livello profondo, cosa che conferisce valore a tutto il processo.
Riscattare il debito personale significa anche riscattare il debito della propria stirpe,
cosa che diventa obbligo, perché altrimenti, nel tempo, il nostro dolore si manifesta
attraverso la rabbia.
La nostra cultura, altamente consumistica è basata sull’apparenza, sull’immagine,
sull’illusione ( vedi, per esempio, le pubblicità) e ci fa sentire non abbastanza bravi, belli,
all’altezza delle situazioni.
Vivendo una cultura di non accettazione verso la nostra realtà personale, compiamo sforzi immani per sostituire tutto ciò che ci sembra non all’altezza di questo ideale fittizio. Tutte le nostre strategie vitali sembrano volte alla sostituzione di quello che, nel reale,
non ci aggrada dal punto di vista fisico, con le persone intorno a noi, con il lavoro e ci
buttiamo nella sfida, nella competizione, nell’efficientismo, anche negli ambiti più intimi
della nostra vita.
La cultura della mente è stata portata all’eccesso e opportunismo, perfezionismo,
attivismo sfrenato, iper-criticità, giudicare tutto e tutti sembrano i soli modi per poterci
distinguere come cittadini responsabili ed evoluti: in realtà tutti questi comportamenti,
considerati normali nella nostra società, aprono debiti personali per chiunque vi rimanga
invischiato.
52
4.2 LUCE E OMBRA: IL PERCHÉ DELLE NOSTRE MASCHERE
“Ogni persona possiede tanta luce quanta è la sua ombra”: l’unico modo per avvicinarsi
ad un equilibrio vero è dato dall’integrazione delle due parti.
L’ordine colloca le strategie più propense alla vita, che si manifestano attraverso tutto
quello che l’individuo accetta e mostra di sé, nel lato luce, che è composto dai talenti
e dalle qualità empiriche vicine alla matrice di eccellenza, che derivano dal proprio
sesso biologico: l’assenza di luce si manifesta proprio attraverso la mancanza dei valori
genuini previsti dal codice Yin e Yang.
I principi dell’ombra, che si contrappongono a quelli del lato luce, l’individuo li rinnega e
li vuole nascondere, facendo riferimento ai suoi schemi mentali ed alle sue convinzioni:
più una persona vuole sembrare in una certa maniera, più tale parte costituisce solo
una maschera di copertura per le sue strategie d’ombra.
Dove manca l’emanazione di luce, l’ombra sovrasta l’esistenza.
Ogni debito appartiene alla parte ombra della persona, che è parte integrante
dell’essere umano ed esercita su di lui un fascino enorme. Tutti i moti che la
rappresentano convergono nella spinta verso il fulcro della vita, ossia la morte, che
è l’unico tabù reale ai fin empirici.
L’ombra si rivela spesso con strategie nascoste, che non sono sempre riconoscibili,
come il dolore fisico o con sindromi di abbandono, di tradimento e in tutti i momenti in
cui l’indicatore empirico principale è la sofferenza, oppure, in modo più evidente, con
moti che tendono alla morte e alla distruzione.
Dietro il sipario emotivo della bontà, della disponibilità e della generosità, in realtà
spesso si nascondono rabbia, paura e senso di inadeguatezza, come dietro la corazza
dell’ aggressività, si cela un nucleo percepito come troppo fragile.
53
Maggiore è la luce di una persona, il suo carisma, il suo modo di concepire la vita,
pensiamo per esempio ai Santi, più grande è l’ombra nascosta, che si manifesta
attraverso strategie molto più sofisticate e celate.
Quando la luce aumenta, l’ombra non sparisce, ma si struttura in modo diverso, perché
anche se l’uomo si liberasse da tutto il suo “arretrato”, rimarrebbe sempre portatore
sano di una parte d’ombra, sebbene equilibrata secondo i parametri sistemici.
L’ordine riconosce l’inclusione come unico principio vitale, per cui l’unico modo
per avvicinarsi ad un equilibrio reale ed oggettivo è dato dall’integrazione di lato luce
e di lato ombra, mentre ogni moto differente ( codificato come esclusone) si basa su
strategie di chiusura.
I moti di ombra e quelli di luce si danno stabilità a vicenda: nel momento in cui , però, si
accumula debito, gli indicatori segnalano l’arretrato e si rompe l’equilibrio naturale, cosa
che favorisce alcuni moti emotivi o ne accresce altri.
Espandendosi il lato ombra, la rabbia, il senso di colpa, la paura prevaricano su
qualunque altro moto naturale, ma allo stesso tempo, più si acquisisce debito, più il
lato luce ha bisogno di espandersi e di sviluppare dei moti contrapposti per mantenere
l’equilibrio.
Le infrazioni causate dal nostro operato e quelle ereditate dalla nostra
stirpe “personalizzano” il nostro lato ombra, diventando la nostra presentazione
all’esterno ed è proprio attraverso esse, attiriamo e siamo attratti da chi dimostra
un’affinità speculare con la nostra ombra.
La maggior parte degli individui, infatti, senza esserne cosciente, si fa guidare
dall’ombra, come moto principale, che nasce soprattutto da un debito di base,
ossia una qualità d’amore insufficiente, acquisito da piccoli.
Poiché la persona tiene lontana l’amore, lo sostituisce con valori personalizzati, contro-
armonici, che sembrano più affascinanti, ma in realtà dimostrano la sua incapacità
di aprirsi e la sua paura della luce. La separazione dal resto del mondo, diventa così
il catalizzatore per l’ombra, che così non permette all’individuo di avvicinarsi al moto
dell’amore, che, nonostante non se lo ammetta, è sempre la meta principale cui tende-
K. Jung, ha formulato due concetti:
persona=maschera, che è la parte esteriore di noi che usiamo quotidianamente con gli
altri nei rapporti sociali ed ha una funzione difensiva.
54
La parola “persona” è stata presa in prestito dal latino e dal teatro dell’arte; gli antichi
attori, infatti, assumevano determinate caratteristiche identificandosi con la maschera
che indossavano e nascondendo il loro vero volto. Jung sostiene che la “persona”
è parte di un grande processo di civilizzazione che fa si che le parti più accettate
saranno quelle più cristallizzate nella maschera e, come tali, mostrate con più evidenza
all’esterno e al mondo.
Ombra che, come indica il nome stesso, e' la parte nascosta, quella piu' oscura di
noi, ma anche la piu' veritiera, che noi nascondiamo agli altri, ma anche a noi stessi.
Prendere coscienza dell'ombra non e' facile, ma e' un atto di coraggio necessario per
conoscersi e crescere.
Freud affermava che il male degli altri risveglia il male che sta in noi, Jung invece
afferma che solo conoscendo l'ombra possiamo controllarla e combatterla e solo da
questa consapevolezza, può nascere la forza di prendersi le proprie responsabilità e
vivere la vita da persone adulte, seguendo la propria via e non i richiami della società.
“La persona” se non è rigida , serve al mantenimento di un ideale favorendo una buona
immagine di sé, ma, quando non è flessibile, perde qualsiasi possibilità di adattamento,
55
fino ad ingabbiare la personalità limitandola e riducendola, favorendo la comparsa di
meccanismi di difesa, che tendono a mettere nell’ombra tutto ciò che non si conforma
ad essa.
Le maschere infatti, possono essere positive o negative: possiamo infatti tendere a
mostrare caratteristiche che riteniamo ideali, così come altre che ci fanno sembrare
delle “pecore nere” e questo dipenderà dalla nostra storia personale.
La persona ha necessità, quindi, di avvicinarsi al proprio lato ombra, nonostante ciò lo
spaventi terribilmente, perché solo così supererà il terrore dell’ignoto, togliendo potere a
ciò che prima lo ha bloccato.
Michelangelo Caravaggio – Narcissus
La luce, nei quadri di Caravaggio, nasce sempre dal buio. La luce penetra gli ambienti avvolti da profonde zone d'ombra, esaltando la tensione dei movimenti, rivelando i sentimenti delle figure umane, immersi in uno spazio non astratto, ma quotidiano. Luce che è, allo stesso tempo, reale e divina, che si sottrae e, sottraendosi, mostra nei corpi e nei volti un'umanità non fantastica e idealizzata, ma viva, e, dunque, tragica.La luce che rivela, fra gli strappi inconoscibili dell’ombra, uomini e santi impigliati in quel tragico scherzo che è il calcolo dell’ombra.
4.3 LE MASCHERE DELLA PERSONALITA’:
56
“IL CAVALIERE DALL’ARMATURA ARRUGGINITA”
L’urlo di E. Munch
Il libro “Il cavaliere con l’armatura arrugginita” di Robert Fisher è emblematico per capire
quanto le maschere che indossiamo condizionino la nostra vita.
Un uomo voleva essere il più grande Cavaliere di tutti i tempi, per cui affrontava
continuamente battaglie da vincere, draghi da uccidere e fanciulle da salvare.
Quando non era impegnato in qualche sua prodezza, passava il suo tempo provando
l’armatura ed ammirandone la brillantezza e, con il passare del tempo, si affezionò
talmente ad essa, che la indossò anche in casa, fino ad arrivare a non toglierla più.
Il Cavaliere aveva un figlio, che avrebbe voluto trasformare in un coraggioso prode
come lui ed una moglie, che, ad un certo punto, non ne poterono più di non vedere le
sue vere fattezze fisiche, ma solo di ricordale, per cui gli diedero l’out out: o l’armatura o
loro.
57
E’ vero che la maschera è l’abito che indossiamo con la duplice funzione di proteggerci
e di mostrarci agli altri, ma come ogni abito, è fatto anche per essere tolto nell’intimità
della nostra vita affettiva e nella sicurezza delle nostre mura domestiche cosa che lui
non aveva fatto.
L’uomo entrò in enorme confusione: come poteva la sua famiglia non capire che senza
quell’armatura lui non sarebbe più stato nessuno, dato che era quella che gli permetteva
di dimostrare a tutti di essere un cavaliere coraggioso, buono ed altruista.
In realtà il suo volersi distinguere nelle battaglie, a tutti i costi, il suo volere apparire per
sentirsi superiore agli altri, vincendo, gli era servito per camuffare la sua paura, il suo
senso profondo di non-esistenza.E lui, durante il suo viaggio spiega anche il perché: non sentiva di meritare l’amore in
quanto da piccolo una bambinaia gli aveva detto che era talmente brutto, che poteva
piacere solo a sua madre, cosa che lo aveva portato alla necessità di imporre la
sua “presenza”, per non sentire il senso di disgregazione nella sua vita.
Il senso di esistere, di meritare e di avere un posto è direttamente proporzionale
all’amore ricevuto da bambini, dato che amare ed essere amati significa “esistere”.
Ogni debito di base non riscattato, impedisce di instaurare relazioni d’amore, in quanto
permane il dolore provato in precedenza e si ha la paura di rivivere lo stesso abbandono
subito in passato.
Soltanto elaborando ed integrando le ferite del passato, l’individuo riesce ad
abbandonare la sua affinità all’ombra e il suo bisogno di dolore e si sentirà non più
attratto dal buio, ma dalla luce.
L’amore per la moglie ed il figlio, però, anche se con riluttanza, lo convinse a togliere
la sua corazza, ma per quanti sforzi fece, non riuscì a sfilarsela in nessuna maniera.
Nemmeno le martellate del fabbro riuscirono a romperla e, la cosa ancora più grave,
era che lui non riusciva nemmeno a sentirle, tanto si era anestetizzato contro il dolore:
l’armatura gli era servita proprio a questo e gli aveva anche fatto dimenticare come ci si
sentisse senza indossarla.
La maschera, non ufficializzata e più complessa, che lentamente ci costruiamo addosso
come la lumaca fa col suo guscio, serve a proteggere la parte più vulnerabile, che vive
al suo interno e al tempo stesso ne ricalca le forme nascoste. Anche la maschera, in
definitiva, serve a mostrare qualcosa di più intimo, pur continuando a fungere da scudo
alle avversità esterne.
Con questo presupposto, parlare di “viso aperto” non significa mettere a nudo (e quindi
a repentaglio) la propria intimità, piuttosto vuol dire mostrarsi con una maschera
58
aderente alla propria anima, quindi leale, veritiera e coerente con ciò che realmente
siamo.
L’infrazione sistemica, però, era diventata la normalità dell’ agire del Cavaliere: il fatto di
buttarsi sempre in nuove battaglie, freneticamente, indicava proprio la necessità di voler
coprire i suoi buchi emotivi, mettendo in atto strategie di compensazione per camuffare
ermeticamente il suo debito
A nulla servirono parole di negazione della sua colpa, dato che, secondo lui, il suo
comportamento era scaturito solo per aiutare gli altri, perché la moglie lo mise di fronte
alla verità: lui aveva delle precise responsabilità, perché tutto questo era stato fatto solo
per se stesso, usando gli altri come alibi.
Non sapendo più accedere alle qualità della sua anima, il cavaliere si era separato dai
suoi talenti empirici Yang, distacco che si era manifestato in tutto il suo agire, sfalsando
le sue strategie vitali e dissociandolo dall’ordine.
Nonostante egli fosse convinto di mettere in atto qualità assolute, invece di sostenere la
donna, la consumava, tanto che lei si rifugia nel vino; invece di chiedere, invadeva, tanto
da salvare anche fanciulle che non richiedevano per niente il suo aiuto; invece di offrirsi,
esigeva che la sua famiglia non lo disturbasse, essendo troppo preso dal suo sé.
Man mano che aumentavano la qualità e la quantità delle sue infrazioni empiriche,
infatti, la sua anima si distaccava sempre di più dal libero fluire, permanendo in questo
stato di auto-protezione fino a quando non avesse deciso di dare una risoluzione al suo
conflitto, cioè fino a che la carica del suo dolore non si fosse abbassata.
Come liberarsi adesso di questo scafandro-debito, soprattutto senza averne gli
strumenti!
La sua necessità di camuffare il debito lo aveva portato ad usare strategie di
compensazione, talmente ormai integrate nel suo bagaglio personale, che neanche lui
le poteva più individuare come tali. Esse erano talmente acquisite, che si confondevano
con il carattere e la personalità, formando un vero e proprio copione, una maschera
attraverso la quale affrontare il mondo, cioè un moto compensatorio.
La sua era una armatura visibile e dura, ma tutti, in fondo, ne indossiamo una: dipende
da quanto siamo disposti ad affrontare le nostre paure e soprattutto il nostro dolore;
da quanto vogliamo vedere tutta l’ombra che si nasconde nel nostro Io interiore, per
riuscire finalmente a risalire la china e ritrovare la nostra luce.
Ma ci chiediamo perché ci infiliamo dentro le nostre corazze?
59
Ci costruiamo delle barriere per proteggerci da ciò che pensiamo di essere, fino a
quando l’armatura ci rimane appiccicata addosso e non sappiamo più come fare per
disfarcene.
Solo un momento di disperazione, o una malattia, o un incidente o quando siamo
costretti dagli altri a darci degli interrogativi, possono darci la spinta ad aprire gli occhi.
La nostra saggezza e la nostra consapevolezza solo possono farci capire quando
stiamo rimanendo incastrati e quindi riprendere in mano la nostra vita senza
offuscamenti.
Fu così che il Cavaliere partì per un lungo viaggio: non conosceva la strada, non sapeva
neanche dopo quanto tempo e se sarebbe tornato e nemmeno se mai i suoi familiari
l’avrebbero più voluto.
•
• Certo il bosco di Mago Merlino, che il cavaliere aveva da esplorare, era molto grande e
nonostante egli si sentisse una persona molta colta, sopravvivere nel bosco era tutt’altra
cosa: l’ignoranza adesso imperava sovrana.
La mente, che tanto lo aveva sorretto sino ad ora, non poteva più contro il “sentire”.
Solo l’ambizione del cuore, adesso, che non entra in competizione con nessuno ed è
benefica per se stessi, poteva aiutarlo!
Si era perso, se provava a bere, rischiava di affogarsi, se mangiava una pianta, non sapeva
se fosse velenosa o meno: insomma, gli sembrava di giocare alla roulette russa.
Tutto questo suo girovagare durò mesi, chè non è facile trovare la strada della verità, ma
finalmente, incontrato Merlino, questi gli disse che era tempo di fermarsi un po’, in quanto
questo correre sul cavallo senza una meta precisa era adesso inutile, per la ricerca della
verità.
60
L’importanza alla sua corazza era data dal fatto di essere troppo spaventato e di non sapersi
godere ciò che la Vita aveva in serbo per lui.
Bere la vita significa sorseggiare prima i sorsi amari e poi quelli sempre più dolci,, in quanto
più si accetta quello che si beve, più diventa squisito.
E’ chiaro che l’avere indossato un’armatura per troppo tempo fa sì che disfarsene non
sia così facile, soprattutto se si cerca di darsi una spiegazione logica, con la ragione, che
sicuramente è limitata: è proprio il cervello, soprattutto se troppo intelligente che intrappola.
La paura di ferirsi, di morire, metaforicamente, affrontando il proprio dolore, fanno sì che,
nel desiderio spasmodico di dimostrare agli altri e a se stessi quanto si vale, socialmente
parlando, si dimentichi il proprio vero valore personale: che bisogno c’è di mostrare
all’esterno cosa si è veramente, se non la maschera che la società ci impone di essere?
Togliersi l’armatura significa non scappare dai problemi soccombendo in un sonno profondo
e cieco e sentire oltre che il proprio dolore, anche quello degli altri, che, spesso, non
consideriamo se non in relazione ad i nostri bisogni, visto che abbiamo la visiera abbassata.
Una volta accettate la cose come sono, diventando sensibili al punto di accettare che
esistono anche gli altri, le sensazioni vengono tradotte in parole e si crea quell’empatia
necessaria alla comunicazione.
Infatti, a questo punto, il cavaliere fu in grado prima di sentire gli animali, poi il dolore di chi
gli è stato vicino, in quanto la sua anima comincia ora ad accedere alle qualità armoniche,
imparando a sentire l’umiltà, ossia l’unica qualità empirica che può sovrastare l’IO dell’uomo
e la sua applicazione più diretta, ossia la compassione, che si acquisisce quando l’amore
tocca il dolore di qualcun altro, che equivale ad avere fatto spazio interiore.
La compassione è diversa dalla pietà, porta leggerezza e non drammaticità ed ha a che fare
con l’acquisizione dello spazio interiore.
Come si può pensare di creare rapporti stabili di coppia, o addirittura avere figli se prima non
si è capaci di prendersi cura di se stessi?
Come si può pensare di trovare il proprio equilibrio e la soluzione dei propri problemi
cercando l’amore romantico, mentre è solo “bisogno” personale, senza avere affrontato un
derby con se stessi?
Ogni portatore di debito usa strategie di compensazione, creando una corazza impenetrabile
per coprire le sue ferite, per cui dove regnano il bisogno e la dipendenza non esiste lo stato
d’amore.
Ci si illude di potervi accedere, ma solo chi entra in possesso del ruolo empirico dell’adulto,
lasciando quello di figlio, può sperimentare l’amore nella sua vera essenza.
61
L’amore si può conquistare solo da grandi, trasformando il proprio bisogno nella forza di potere stare al proprio posto.In realtà dare agli altri qualcosa di sé, è il dono più grande che si possa fare, ma le
nostre corazze sono così resistenti da rendere vani tutti i nostri tentativi e la cosa
peggiore è che ci sentiamo vittime, dando sempre le colpe agli altri dei nostri fallimenti.
Se incontriamo sempre la stessa tipologia di uomini/donne,
siamo sfortunati (non è che ci fermiamo a pensare sul perché scegliamo sempre lo
stesso genere di persona), se il lavoro non funziona, invece di considerare il fatto che
la vita ci risponde in relazione al nostro stato empirico, diciamo sempre che il torto è
di capi, dirigenti, colleghi, alunni ecc.; se gli amici ci tradiscono, siamo sventurati e le
persone sono pessime……..insomma potremmo fare mille esempi per giungere alla
stessa conclusione: se noi non togliamo il velo davanti ai nostri occhi, non riusciremo
mai a cambiare noi stessi e il mondo ci risponderà allo stesso modo.
Tutto nella vita prima o poi ritorna, è un ciclo che non si spegne mai, se noi faremo il
nostro viaggio per rovistare nel fondo del nostro armadio, per quanto troveremo pezze
vecchie, ammuffite e puzzolenti, le prenderemo, le laveremo o le butteremo, ma avremo
toccato con mano anche ciò che non ci piace.
“L’inverno è duro e rigido se il cuore è gelido e piccolo”
Quando il Cavaliere si ritrovò sul sentiero della verità, cosa di cui non si era nemmeno
accorto, come succede alla maggior parte della gente, che non vede le possibilità
che la vita offre, si trovò di fronte a due alternative: riprendere la vecchia strada, che
non lo avrebbe mai fatto disfare dalla sua armatura, facendolo probabilmente morire
solo e stanco, o percorrere quella su cui si trovava, anche se, questa, come scelta si
prospettava molto rischiosa.
Certo il sentiero della verità è sempre più difficoltoso man mano che ci si avvicina alla
vetta e magari sarebbe morto prima di arrivare alla cima, ma ormai per il cavaliere
combattere in battaglie non aveva più senso, in quanto aveva capito che, prima di
riscattare qualche principessa, doveva imparare a prendersi cura di se stesso.
Né era possibile prendere delle strade più brevi, aggirando gli ostacoli, poiché avrebbe
rischiato di perdersi.
Tre erano i castelli all’interno dei quali bisognava fermarsi: quello del Silenzio, quello
della Conoscenza e quello della Volontà e dell’Altruismo e solo entrando in tutti
avrebbe imparato a conoscere ed amare se stesso.
62
A questo punto non c’è più bisogno di spade e di cavalli, ma solo della
propria “presenza”, della volontà di andare avanti e di prendersi le proprie
responsabilità, risalendo alle aspettative e proiezioni che egli aveva su se stesso.
Tutto il suo volere essere perfetto, imponendosi un’immagine fittizia, era dovuta al suo
debito accumulato, facendogli scattare il meccanismo della critica e del giudizio su sé e
gli altri, allontanandolo da chi non corrispondeva alle sue richieste.
Entrato nel castello del Silenzio, si rese conto di quanto ci si possa sentire soli e con
una sensazione di vuoto assoluto, aspettando di trovare una porta che non si vede e
che possa condurre fuori: tutti capiscono cosa sia una battaglia, ma non tutti capiscono
cosa sia la Verità. E’ necessario stare soli per disfarsi della propria maschera, perché la presenza degli
altri aiuta a far uscire fuori la parte migliore di sé, impedendo di vedere ciò che si vuole
nascondere.
Tutto il nostro affannarsi a cercare qualcosa da fare, le nostre attività frenetiche, il
cercare sempre qualcuno per non stare in solitudine, non sono altro che strategie atte a
non incontrare noi stessi.
Così come il rifugiarsi nell’alcool, nel fumo, nelle droghe sono espedienti per non
scontrarci con il nostro dolore e comprimerlo per non “fare uscire fuori” cose che ci
spaventano terribilmente.
Perché, per esempio, nel seminario “Il potere in te”, abbiamo quella paura folle di
metterci davanti allo specchio e guardarci e parlarci?
Certo ritrovare il proprio viso, come estraneo, ci mette in soggezione, dato che spesso
non sappiamo nemmeno chi abbiamo davanti.
Spendiamo la nostra vita a parlare delle cose che abbiamo fatto e di quelle che faremo,
senza vivere nel momento il qui ed ora.Diamo per scontate che le cose che ci accadono, senza fare caso alla sincronicità
degli eventi, non ascoltiamo più la natura, i segnali del nostro corpo, né le persone che
ci circondano: quanto soli si sentono i nostri compagni/e, chiusi anche loro nelle loro
armature, incapaci come noi di abbandonare i loro ruoli alterati?
Il nostro vero IO, in realtà, ci dà dei segnali, ma il vero modo per ascoltarlo è quello di
fare stare in silenzio la mente, che ci dà un’idea falsata del nostro stato empirico.
La mente, che è molto complicata, per ambizione ci spinge a migliorare continuamente
rispetto a quello che siamo, perché tendiamo sempre ad essere anche migliori
degli altri. In fondo potremmo restare semplicemente individui coraggiosi, altruisti e
comprensivi, ma la sete di ricchezza ci spinge a primeggiare.
63
Anche i sogni simbolicamente ci mettono davanti tutte le nostre percezioni del mondo,
ma noi non siamo in grado di coglierle, quando siamo risucchiati nel vortice della paura.
Toccando il dolore e la sua solitudine, al Cavaliere cominciarono a scendere fiumi di
lacrime, cosa che non aveva mai potuto fare, perché i veri uomini, non piangono mai.
Solo così potè cominciare a perdere i pezzi della sua armatura, cosa che gli permise di
capire che stava cominciando a conoscere se stesso.
Le crepe nella corazza della coscienza personale indicano una consapevolezza
crescente, con il progressivo abbandono del proprio stato di innocenza, che fa risalire
alle proprie strategie di auto-boicottaggio.
Sbarazzandosi prima della visiera e poi dell’elmo, si sentiva libero, anche perché non
aveva più bisogno degli altri per mangiare, dato che addirittura prima inghiottiva il cibo
già masticato dagli altri .
Metaforicamente questo ci riporta allo zainetto che abbiamo sulle spalle tutti, che si
riempie, sempre di più, man mano che andiamo avanti con l’accumulo di debito.
Mastichiamo ciò che ci siamo abituati a fare sin da piccoli, portandoci dietro la consegna
familiare e sociale che ci hanno passato i nostri genitori.
Il cavaliere a questo punto del suo viaggio arriva al castello della Conoscenza, dove
trova queste due iscrizioni, in un’oscurità che lo fece rabbrividire:La conoscenza è la
luce attraverso cui riuscirai a trovare la tua strada.
Amore non va confuso con necessità.
E infatti quanto aveva avuto bisogno della moglie e del figlio, quanto gli erano stati utili
nella sua vita? Quanto aveva scaricato addosso a loro tutte le responsabilità di tutto,
compresa dell’armatura che portava?
E’ vero che li amava, ma non poteva fare a meno del loro amore perché non riusciva ad
amare abbastanza se stesso.
Quante lacrime adesso sgorgavano dai suoi occhi: ora conosceva la verità e la verità è
amore.
A questo punto una grande luce lo avvolse e, davanti ad uno specchio, riuscì a vedere
la sua immagine: non era più l’uomo con l’espressione triste, il naso enorme ed una
corazza che lo ricopriva dalla testa ai piedi, ma una persona affascinante, piena di vita,
con uno sguardo carico di amore e comprensione.
Non credendo ai suoi occhi, si rese conto, ascoltandosi, che quello era il suo vero sé,
potenzialmente bello , onesto e perfetto, che aveva messo un’armatura fra lui ed i suoi
sentimenti reali, sempre per la paura di non essere amato.
64
Solo ora si rese conto che aveva trascorso la sua vita cercando di piacere alla gente,
con le sue gesta gloriose.
Adesso lo guardavano la generosità, l’amore, la pietà, l’intelligenza e l’altruismo, qualità
che avrebbe adesso fatte sue.
L’ambizione del cuore, finalmente stava sopraffacendo quella della mente: se
contempliamo tutto ciò che ci è stato messo a disposizione, invece di andare in
giro senza meta cercando di avere tutto, sfrutteremo il nostro potenziale, anche per
soddisfare le esigenze degli altri.
Lo spazio interiore è diverso da quello della mente, perché è legato unicamente dal
proprio sentire e quindi viene attivato solo attraverso l’esperienza personale
La mente genera aspettative, proiezioni e resistenze, determinate dall’incapacità di
contenere il proprio dolore e da un IO distorto e disarmonico, troppo occupato con se
stesso.
Disporre di spazio interiore significa avere libertà di accedere in modo privilegiato alla
coscienza empirica.
Fuori dall’ultimo castello, quello della Volontà e dell’Altruismo si trovò ad affrontare,
stavolta senza la sua fida spada, un terribile drago, quello della Paura e del Dubbio,
proprio le sensazioni che lo avvolgevano con più intensità.
In realtà, dopo essere stato nel castello della Conoscenza, il cavaliere pensava di
essere ormai invincibile, ma questo stato viene solo dalla piena conoscenza di se stessi
e dal desiderio di mettersi alla prova.
La Verità fa più male di una spada ed alla prima avversità viene sempre voglia di
scappare: ma i draghi sono solo un’illusione, per cui è necessario non farsi assalire dai
dubbi e dalle paure ed affrontarli.
Anche se ai primi tentativi rimarremo “scottati” dalle fiamme, con il coraggio potremmo
contrastare le illusioni della mente: in fondo se combattiamo c’è la possibilità di
soccombere, ma se non lo facciamo, “moriremo” sicuramente!
I semi dello scetticismo, in fondo, si presentano sempre, ma man mano che diventiamo
più forti, quelli saranno sempre più deboli.
Finalmente, una volta eliminato il drago, il Cavaliere arrivò a vedere la cima della
Montagna della Verità, che cominciò a scalare aggrappandosi con le dita sulle rocce
scoscese, ma quando fu proprio vicino alla vetta, trovò un masso gigantesco con sopra
un’incisione:
Anche se l’Universo è mio, io non posseggo nulla, perché non posso conoscere l’ignoto,
se ignoro ciò che è già noto.
65
A questo punto il Cavaliere era veramente troppo stanco, gli sembrava impossibile
continuare a scalare la montagna e contemporaneamente decifrare il messaggio,
tantomeno i suoi amici animali vollero intervenire, sapendo quanto la comprensione
indebolisce gli esseri umani.
Ma ancora una volta egli non si perse d’animo e cominciò a pensare a tutte le cose
che aveva ignorato fino a quel momento: per prima cosa la sua vera identità, ciò che
pensava di essere e quello che pensava di non essere; poi le cose a cui credeva e
quelle a cui non credeva; infine i suoi giudizi sulle cose che credeva giuste e su quelle
che riteneva non giuste.
E proprio a questo punto si rese conto che anche la roccia che stava scalando era
qualcosa di noto: solo cadendo nell’abisso infinito dell’ignoto, avendo fede nella vita,
nella forza, nell’Universo si sarebbe potuto salvare.
Così, ormai convinto di morire, si lanciò nell’abisso dei suoi ricordi e così affiorarono
alla sua mente tutte le volte che aveva scaricato le responsabilità sui suoi genitori, su
sua moglie, sul figlio, sui suoi amici e tutti quelli che gli stavano intorno e si pentì di
tutte le sentenze sputate sugli altri , di tutti i suoi pregiudizi e di tutte le scuse che aveva
inventato per se stesso.
Vedendo in modo chiaro la sua vita, si assunse tutte le responsabilità della sua
esistenza: non avrebbe più accusato nessuno dei suoi difetti, dei suoi errori e delle sue
disgrazie.
Ora non si aspettava più niente dagli altri, aveva imparato ad accettare le cose, senza
immaginarle e senza pretendere più nulla.
Aveva finalmente imparato ad avere un approccio positivo con la vita e, accettando
la sua ombra con tutte le sue emanazioni, si era avvicinato alla nuda e cruda realtà
empirica, unica che genera lo stato di serenità e di pace, a prescindere dalle condizioni
esterne.
Con la capacità di inclusione, si acquista una profonda fiducia nel fluire della vita,
accostandosi prima ai tabù empirici, per poi allontanarsene ed entrare nel ruolo empirico
dell’adulto.
Ecco perché, adesso, in lui si sviluppò un senso di gratitudine e l’accettazione dei propri
limiti: non aveva più aspettative e così solo si può accedere al sentire assoluto.
Finalmente non aveva più paura e una nuova serenità si impossessò di lui, tanto che
cominciò inspiegabilmente a risalire l’abisso: ora si sentiva legato al centro della terra,
alla sua parte più profonda, ma continuava a salire sempre più in alto, consapevole di
essere in contatto con il Cielo e con la Terra.
66
Trovandosi all’improvviso sulla cima della montagna, aveva lasciato dietro si sé ogni
timore, che gli aveva inebetito i sensi: la sua volontà di lasciarsi andare all’ignoto, lo
aveva reso libero e solo adesso poteva godere dell’Universo che lo circondava e di
vivere tutto con lucidità.
Avvicinandosi al suo centro aveva finalmente acquisito uno spazio interiore maggiore, che gli permetteva di contenere il suo dolore, senza più bisogno di sfuggire
rinnegando i tabù sistemici e soprattutto si era avvicinato al tabù della morte.
Il suo cuore fu inondato dall’amore verso se stesso e tutti gli altri, tanto che sentì
la necessità di piangere lacrime che venivano dal cuore e talmente calde, che gli
squagliarono immediatamente il resto dell’armatura.
Adesso lo inondava una luce molto più forte di quella che emanava la sua armatura
lucidata: l’amore che sostiene e non copre.L’unica cosa che l’anima sa fare è essere e fluire all’interno dell’ordine armonico,
nutrendosi di un continuo moto d’amore, che è l’entità più misteriosa dell’uomo, che dà
una sensazione di pace profonda, che si riassume nella spinta verso la vita.
Il giardino dell'artista a Giverny
Claude Monet
67
CAPITOLO 5
L’ ESPERIENZA DEL TEATRO DEL SÈ
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
………
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te.
………..
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza. ……….
( da “La cura” di Franco Battiato”)
L’ esperienza del Teatro del sé mi ha colpito profondamente, poiché è arrivata, come
sempre nel corso della vita degli individui, al momento giusto.
Se è vero che nulla succede per caso, la sincronicità degli eventi, che mi ha portato a
seguire il seminario nel settembre 2010, ne è l’esempio lampante.
Certamente in altri periodi della mia vita, in cui ancora non si era aperto il sipario sul
divenire intorno a me ( certo ancora molta parte delle tende offusca la visione del
palcoscenico completo….diciamo che sono al proscenio! ) avrei dato per scontati molti
avvenimenti e non avrei potuto minimamente interpretare molti dettagli relativi al mio
stato empirico, come sono venuti fuori da questa esperienza.
68
Parole come:
“Il fare diventerà un agire davvero, non per dimostrare o per voler apparire, ma “semplicemente” per essere, rivelando se stessi attraverso la fiducia nelle proprie azioni, nel proprio corpo, nei propri sentimenti, nei propri istinti vincendo la timidezza, andando oltre le inibizioni: ripristinare il copione genetico personale attraverso l’esperienza della recitazione/non recitazione” ( Michel Hardy) non
avrebbero assolutamente avuto la portata comunicativa, che hanno avuto in quel
momento della mia vita.
Il teatro, dunque, è diventato un mezzo rivelatore, perché il copione che ci è stato dato
da recitare, anche se apparentemente non sembrava avere niente a che fare con la
nostra vita, è stato lo specchio della nostra vita emotiva.
“Un'occasione per conoscerci, incontrarci e ritrovarci. Per lasciar andare il vecchio ed
andare verso il nuovo”
Mi sono rimaste impresse le prime parole di Roberto Cajafa, il regista ed attore
milanese, che ha affiancato Michel in questa esperienza, che hanno sottolineato come
la capacità di un interprete sia quella di fare rinascere ogni volta la situazione, come se
accadesse per la prima volta, sul palcoscenico.
L’attore, infatti, ha la capacità di andare ad attingere ad ogni spettacolo, dalla sua
interiorità, gli stati d’animo da scandagliare e da mettere in scena.
E’ proprio qua che sta la bravura, cioè l’attore diventa un “ginnasta dell’anima”, perché
sa trovare la giusta emozione ogni volta.
La nostra battuta è importante, ma dipende sempre da quella degli altri, per cui bisogna
ricreare sempre il percorso teatrale, momento per momento, attraverso la relazione con
gli altri attori, cosa che in realtà sarebbe opportuno che succedesse in qualunque tipo di
relazione.
Ok….allora iniziamo con la lettura del copione!
La prima sessione di lavoro prevedeva la messa in scena di parti significative
estrapolate da “Mariti e mogli” di Woody Allen ed ognuno aveva da scegliere la sua
parte e, chissà perché, poi, ognuno ha preferito quella che più poteva fargli da specchio!
Il testo, nonostante l’ironia di Woody Allen era sicuramente impegnativo, per cui, se non
è stato facile identificarsi in quei ruoli, non altrettanto lo è stato metterli “in opera”.
69
Diciamo che la bravura di Roberto Cajafa è stata proprio quella di far uscire da noi
l’emozione giusta, facendoci identificare con i personaggi, dicendoci passo passo quale
fosse il sentimento che muoveva, di volta in volta, lo svolgersi della scena e spronandoci
a non lasciarci sopraffare dalla tensione della “performance”.
Il copione in mano, all’inizio, ci è servito per far prendere al corpo confidenza con lo
spazio, ma poi è stata data via libera all’improvvisazione: l’importanza era capire il
senso del dialogo, da piegare sempre alla reazione di chi avevamo davanti.
Sicuramente questo è un buon esercizio, che bisognerebbe anche applicare alla vita di
tutti i giorni, per farci rendere conto di quanto ci discostiamo dalla realtà, senza metterci
veramente in relazione con l’altro, ma seguendo un nostro copione personale, spesso
avulso da ciò che realmente accade intorno a noi..
È qua che mi sono veramente resa conto di quanto il mo corpo fosse bloccato, della
rigidità e delle false pose e degli atteggiamenti di apertura o chiusura che, sempre, io
prendo nelle relazioni, di qualsiasi natura esse siano.
La brava bambina è il ruolo che più mi tormenta, perché, nel caso della
rappresentazione di “mariti e mogli”, è esploso tutto il mio sentirmi inadeguata, le mie
insicurezze, in quanto non potevo dimostrare di “essere brava” a recitare, perché
obiettivamente non lo sapevo (e non lo so) fare.
Le mie emozioni bloccate non riuscivano a farmi entrare nella parte della moglie
tormentata dal rapporto statico con il compagno, che pure sentivo, in quanto provate da
me in prima persona, nella mia vita.
Certo ora so che il recitare ha bisogno di nascere da un’emozione vera, da andare a
cercare dentro di sé, ma certo non è facile proiettarsi in una situazione fittizia, al centro
di un “palcoscenico” , quindi sotto gli occhi di tutti e mettersi a nudo.
Credo comunque che noi siamo i peggiori giudici di noi stessi, per cui tutte le
fustigazioni che ci diamo, gli altri nemmeno le vedono!
La verità è che io in questo ruolo non mi sentivo a mio agio, volevo scappare e non
stare più lì, ma sapevo che sperimentarmi era l’unico modo possibile per fare uscire
qualcosa, da questo mio corpo “malato”.
Non dimentichiamo che la rigidità, certe malattie, sono il frutto di emozioni bloccate nel
corpo ed istinti naturali repressi, come quello sessuale.
William Reich descriveva il corpo come una gabbia, che ci tiene stretti stretti e ci
soffoca..
Più veniamo castrati in età giovanile con senso di colpa, indignazione, castighi,
soppressione di energia sessuale, ecc... più ci troviamo la "gabbia" stretta finita la
70
pubertà, che e' un'età critica dell'essere umano, mentre lo e' ancor di piu il primo anno di
vita, soprattutto la fase di "mirroring".
In pochi mesi i progressi da me fatti a livello fisico/mentale/emozionale sono stati
notevoli, grazie anche alla continuazione del lavoro di teatro nella mia città, anche se
non credo che le emozioni bloccate siano del tutto svanite, ma di sicuro la "gabbia" si e'
allentata parecchio e, continuando a lavorarci, non ho idea di dove possa arrivare il mio
miglioramento!
E’ vero che il momento più difficile della recitazione è “la parola”, ossia il mezzo che
serve da tramite, oltre al corpo, per esprimere l’essenza di un personaggio ed è qui che
si mostra l’inadeguatezza delle persone che non hanno “fatto” teatro.
Ci vogliono infatti studi approfonditi, bisogna seguire delle Accademie, per arrivare alla
giusta unione tra linguaggi non verbali e verbali.
La cosa che stride maggiormente, in dilettanti, è proprio la dicotomia che si crea tra
il corpo, che “sente” e trasmette stati d’animo e la voce, che spesso segue un’altra
traiettoria, più mentale, che spesso blocca le dimensioni più interiori.
Esempio lampante è stata la messa in scena de “Il gatto e la volpe”, che il regista ha
deciso, con un’idea geniale, di farci recitare ognuno nel suo dialetto.
Il risultato finale è stato veramente entusiasmante, in quanto la lingua regionale è quella
che, essendo stata assimilata in modo quasi ancestrale, meglio permette di lasciarsi
andare completamente alla recitazione, poiché non si ha anche il problema di sentire la
cattiva pronuncia italiana e le varie inflessioni dialettali, cosa a che a me, per esempio,
blocca molto.
Tutto il mio parlare “aperto”, con le vocali esasperatamente non chiuse, mi inibiscono
nel confronto con il palcoscenico.
L’improvvisazione, anche qui, è stata elemento catalizzante, poiché la battuta veniva
piegata, sempre, alle esigenze della scena ed era sempre in rapporto diretto con la
reazione degli altri attori.
Qui è uscita fuori tutta la mia creatività, la mia esigenza di fare ridere, che è
caratteristica del mio modo di rapportarmi con le persone, in quanto, attraverso la risata,
io camuffo il mio sentirmi insicura e debole rispetto agli altri e tendo, con l’ironia, a
costruire spesso i miei rapporti interpersonali.
Le parole della mia amica “togliti quella risata stupida dalla faccia” mi hanno colpito
moltissimo, facendomi rendere conto di quanto il mio “Debito Empirico,” fosse
rappresentato proprio da quella maschera da Arlecchino.
In quel caso, però, ha avuto il duplice vantaggio da un lato di farmi talmente entrare
71
nella parte e di farmi divertire, da ottenere lo stesso risultato sugli spettatori, che sono
stati completamente coinvolti, dall’altro, di “toccare con mano” il perché di questo mio
atteggiamento nella vita
Direi che il risultato è stato veramente in linea con ciò a cui mirava il Seminario e direi
che ne è valsa veramente la pena!
Una volta messi in moto determinati meccanismi, il lavoro è stato affiancato da Michel
Hardy, che ci ha messo alla prova, ulteriormente, facendoci esternare tutto ciò che la
Piece aveva smosso dentro di noi, cioè tutto quel sentire che, grazie al lavoro teatrale, è
venuto a galla.
E così mi sono resa conto di quanto il teatro è gioco, divertimento, ma anche uno
strumento che ci permette di vedere la realtà da prospettive diverse, portando alla
nostra vita più fisicità, più azioni e un patrimonio di nuove espressioni da mettere in
gioco, trasformando in modo straordinario l'esperienza del vivere ordinario, perché ci fa
vedere e sentire il quotidiano in modo non scontato.
Ogni potere personale, quindi ogni palcoscenico, è internamente dominato dal conflitto
tra due espressioni opposte. Questo conflitto ci porta a ricordare alcune circostanze che
abbiamo vissuto, allora scritto nel copione della nostra vita e che scopriremo essere tra
loro collegate.
Il corpo necessita di emozioni, di sensazioni di stimoli, per cui è vero che la voce recita
un testo, ma è il corpo che “sente”, dato in realtà la bravura di un attore sta proprio
nell’entrare nella parte da recitare, come, nella vita, il rapporti interpersonali sono reali
senza l’uso delle maschere.
Quando una persona si relaziona con noi, siamo capaci di entrare empiricamente nel
suo stato d’animo, o finiamo per proiettare su di lei sempre le nostre emozioni e il nostro
vissuto?
Sicuramente se non siamo ben centrati, è questo il meccanismo che si attua, per cui
una persona può essere bella, brutta, simpatica o antipatica a seconda dei soggetti che
la guardano.
Qualunque situazione della vita, che ci sollecita emotivamente, è un termometro del
nostro stato sistemico, infatti, il viaggio che intraprendiamo all’interno del percorso
dell’Accademia del Sé, si svolge dentro e fuori di noi: dopo avere destrutturato tutta
l’impalcatura che ci siamo costruiti, entriamo in dinamica, cioè in una parabola legata al
dolore, in cui si sta male e non si vedono via d’uscita.
Si sente allora il bisogno di fare una scelta, perché si ricompatta qualcosa, dato che è
solo il dolore che può far uscire da questa strettoia.
72
Tutta quella “roba” che ci portiamo dietro da una vita, finalmente ce la guardiamo e
la affrontiamo, altrimenti rischiamo di rimanere sempre distaccati dalla nostra vera
essenza.
Il bagaglio che ci portiamo dietro è così pieno, che quando lo andiamo a guardare, in
realtà, sembra non sappiamo da quale parte cominciare a tirar fuori ed è questo, però,
che ci serve per mettere un po’ di ordine nella nostra vita e cominciare a vedere quali
sono le cause e non sempre e soltanto gli effetti.
73
CAPITOLO 6
ESPERIENZE DI LABORATORIO TEATRALE IN CHIAVE EMPIRICA
6.1 IL LABORATORIO TEATRALE
"Un popolo senza teatro è un popolo morto"
(Garcìa Lorca)
In seguito alla mia partecipazione al seminario “Il teatro del sé”, in cui ho capito che
l’unico mezzo per entrare in contatto con il mio dolore e, quindi, la chiave di volta per
riscattare parte del mio debito empirico stavano anche nel prendere contatto con il
mio corpo bloccato e rigido, ho deciso di seguire un laboratorio teatrale a Messina,
organizzato dal DAF, ossia IL TEATRO DELL’ESATTA FANTASIA, che ha come idea
di base quella di creare un’occasione di incontro e scambio per persone, che non
necessariamente siano aspiranti attori.
In particolare questo percorso laboratoriale ha preso il nome de “ Il gioco più serio” per
simboleggiare la possibilità di divertirsi, seguendo, però, regole precise.
Attraverso lo studio del proprio corpo e dei meccanismi di comunicazione teatrale, diviso
in Isole” (isola della Parola, del Pensiero, del Corpo e della Voce), con “incursioni” da
parte di registi, attori e musicisti, che sono stati, di volta in volta, chiamati per dare il loro
apporto professionale, il laboratorio si è posto come obiettivo un percorso di ricerca e di
studio incentrato sulla commedia dell’arte, usando il corpo come strumento espressivo a
360 gradi.
Il corpo, infatti, è la terra che abitiamo dalla nascita alla morte: la pelle ne è l'orizzonte e
il tramite, ma spesso noi lo ignoriamo, considerandolo un velo superficiale o al massimo
un abito da mantenere pulito e il più possibile in buono stato.
In realtà noi possiamo dar voce al nostro essere partendo proprio dal corpo, in quanto
esso è uno strumento dell'anima.
Ecco perché la maggior parte degli esercizi effettuati hanno avuto a che fare con
l’esperienza corporea, come mezzo per raggiungere consapevolezza di sé e per
creare l’empatia nel gruppo.
Il lavoro all’interno del laboratorio è diventato, quindi, una ricerca personale, ossia
rappresentare, interpretare la realtà oggettiva, fantastica o simbolica che ci circonda,
74
attraverso “giochi”, che in realtà sono esercizi (anche divertenti), che mirano alla ricerca
di ciò che si è, anche nei confronti del gruppo in cui si è inseriti.
Il teatro, così, è stato un atto espressivo semplice, che ha portato ad un mutamento di
ottica nei confronti delle persone e della realtà che ci sta intorno, in quanto si è posto
come una riscoperta del “fare attivo”, contro il “vedere passivo”, anche attraverso il
recupero dei linguaggi non verbali.
Il laboratorio prevede uno spettacolo finale, tratto liberamente dal “Pericle” di William
Shakespeare ed interamente riadattato sulla base delle esigenze e motivazioni dei
partecipanti, appositamente ridotto per mettersi in gioco in modo più profondo e parlare
di sè e della nostra città, tanto è vero che il testo è in siciliano.
Il tema fondamentale affrontato è quello del “viaggio”, quello intrapreso da questo eroe
positivo, sottoposto a dure prove da parte degli uomini e dalla Fortuna, prove intese
come confronto con desideri, bisogni e ostacoli che Pericle, nel suo girovagare per
il vasto mare, sa accettare. In realtà il testo diventa il mezzo per parlare di noi, delle
nostre aspettative, dei nostri stati d’animo, del nostro confrontarci col mondo, quindi
grande metafora dell’ “Essere uomo”: infatti in questa opera la semplicità della favola
arcaica si fonde in un sapiente gioco meta teatrale, capace di dar conto di tutte le
oscure contraddizioni dell’uomo.
Ci è stato chiesto di scrivere qualcosa di noi, che abbia a che fare con ciò che ci
aspettiamo da questo laboratorio, sul tema del “viaggio” e su tutte le tematiche che lo
accompagnano.
Naturalmente, metaforicamente, questa partenza rappresenta tutti i cambiamenti che il
nostro percorso di vita ci presenta e tutto ciò che ne consegue.
75
6.2 IL TEMA DEL VIAGGIO
Il laboratorio esperienziale è una occasione dove le idee di ciascuno contribuiscono allo
sviluppo di un tema dell'esistenza.
Ogni spazio, naturale o voluto dall'uomo, è carico di evocazioni, di immagini, di
espansioni per la coscienza e può essere un deposito di bellezza e stimolo alla
sensibilità e al bello: noi viviamo in luoghi, siamo parte dei luoghi e i luoghi ci abitano.
Ogni spazio porta in sé il fascino e l'orrore, tanto attira quanto allontana e di fronte ai
luoghi noi stessi diventiamo luoghi espressivi e la parola crea ponte di continuità tra il
dentro e il fuori.
Quali parole scaturiscono di fronte all'impatto con il mare, la terra, il cielo, le case, i
templi ecc.?
Quale è la forza di "quelle" parole?
76
I temi del laboratorio sono stati quelli del viaggio, la cui simbolicità è tanto cara a
Shakespeare, quanto quello della tempesta, della scoperta e dell’abbandono della
propria casa e ci siamo trovati naufraghi da una zona laboratoriale all’altra proprio per
sottolineare questo nostro girovagare, che sembra spezzarci, ma in realtà ci fortifica e ci
ritempra lo spirito.
Ci stiamo apprestando a lasciare il porto, siamo in partenza, alla scoperta di nuovi lidi,
altre emozioni, da condividere, per cui i temi fondamentali diventano:
1) la partenza e quindi l’abbandono, l’inevitabile separazione e quindi il lasciare
2) a bordo della nave, le speranze e i sogni di tutti, cosa vogliamo dire e scoprire di noi
e, per placare il buio e la paura di perdersi, raccontiamo una storia, che vinca sui timori
di tutti
3) l’incontro con l’altro a bordo della nave, che è prossima alla tempesta
4) la tempesta, che ci divide, che ci annienta perché rappresenta gli obblighi e i ruoli
di tutti i giorni, la realtà che ci travolge ed annienta la fantasia e ci porta lontano da noi
stessi
5) la solitudine della notte in cui ci ritroviamo soli con noi stessi
6) l’arrivo e l’incontro, quando il viaggio è finito e non è stato vano, perché è stato
importante perdersi e poi ritrovarsi, raccontarsi e scoprirsi diversi.
Importante è stata la compilazione di una serie di “ lassu”, (lascio) che ognuno di noi
aveva da scrivere, per mettere in luce alcuni eventi, negativi o positivi, da abbandonare
prima della partenza.
Particolare il fatto che questi “lassu” simbolicamente nel corso degli esercizi, venissero
affiancati o da un buttarsi al centro del cerchio formato da noi partecipanti, o da un
lanciare un indumento personale, in modo da unire l’intenzione del lasciare alla voce e
ad un gesto del corpo.
Sappiamo quanto sia proprio il corpo, infatti, a non dimenticare ciò che ci ha segnato
profondamente nella nostra esistenza, in quanto è quello che non dimentica, mentre la
mente, razionalmente, perdona.
Il tema del viaggio, particolarmente importante per me in questo momento, dato che
ho proprio intrapreso un lungo percorso alla ricerca del mio vero essere, ho deciso di
scriverlo sotto forma di lettera, liberamente tratta dal libro “La principessa che viveva
nelle favole”, che era una delle possibilità dateci dal regista-attore, che ho dedicato a
mia madre e che sintetizza l’ attuale mio “sentirmi”.
77
6.2 IL MIO VIAGGIO Mia cara mamma
Adesso che sto per allontanarmi da queste rive, che sono state la mia casa per
tutti questi anni, anche se tu non sei lì a salutarmi, sono certa comunque della
tua “presenza” e ho il desiderio di raccontarti una favola…una storia che mi piace
particolarmente.
E’ vero che tutte le storie, di solito, cominciano con “C’era una volta”, ma ti dirò che la
Principessa protagonista non “era” una volta, ma , in parte, lo “è” ancora e proprio il suo
essere la somma del passato, del presente e, perché no, di quello che sarà, le hanno
dato la carica e la forza di intraprendere il suo lungo viaggio.
La principessa Biancaluce viveva in un palazzo dove la vita scorreva tra i binari canonici
della vita di corte; bella bambina, giocosa al punto giusto, educata, sempre al suo posto,
mai una parola più del dovuto, brava a fare tutti i compiti che le erano assegnati, con un
talento pianistico notevole, sognava il principe azzurro,che sarebbe arrivato a corte per
lei…..insomma incarnava l’ideale di figlia, di cui i re e le regine sono orgogliosi.
La nostra protagonista aveva anche un’amichetta, con cui viveva in simbiosi, che non
lasciava mai, ma che, spesso, le faceva fare cose che mai lei avrebbe fatto, da sola:
rispondere male, non stare “al suo posto”, mille idee vulcaniche, urlare, giocare in modo
non adeguato, cercare non il principe “assurdo”, ma un Uomo, anche popolano.
Insomma l’amica diventava uno stimolo “negativo”, che le faceva perdere quelle
caratteristiche di “brava bambina”, cosa che la portava ad un conflitto con se stessa, con
i suoi genitori e con il mondo circostante.
Il nome della sua amica era Ombretta, che le procurava, come è facile immaginare, un
sacco di guai. Ombretta sapeva ballare, gioire, suonava esprimendo tutta se stessa,
aveva la capacità di abbracciare, di lasciarsi andare, di avere fiducia, tutte qualità che
nel palazzo e nella vita di corte erano viste come “riprovevoli”, non adatte al ruolo di una
principessa.
78
A Biancaluce piaceva indossare i bei vestiti che la sartoria dei sovrani le confezionava,
ma Ombretta preferiva provare abiti “diversi”, anche creati da lei; Biancaluce suonava
rigidamente i pezzi a lei assegnati dal maestro di Corte, ma Ombretta amava
improvvisare e riprodurre melodie di sua invenzione; Biancaluce eseguiva tutti gli
esercizi dei balli figurati, Ombretta, invece, roteava e danzava liberamente seguendo il
fluire della musica.
Se arrivava qualcuno che suscitava simpatia in Ombretta, lei subito si lanciava ad
abbracciarlo, ma subito Biancaluce la fermava, perché tale comportamento non era
degno di una principessa. Ombretta si arrabbiava, aveva paura, amava, piangeva,
urlava, rideva,emozioni che la portavano ad esternare tutto il suo mondo interiore,
ma Biancaluce la bloccava continuamente, perché sapeva che il re e la regina, che di
malocchio vedevano questa amicizia, prima o poi le avrebbero fatto lasciare l’amica
troppo spontanea .
I suoi sensi di colpa per quello che l’amica esternava, crescevano sempre di più, in
quanto non riusciva più a coniugare la forma e l’apparenza, che la vita di corte le
imponevano, con il vero essere di Ombretta, e così, a poco a poco, quando la presenza
di Ombretta diventò troppo “ingombrante”, Biancaluce si vide costretta , con enorme
sofferenza, ad abbandonare la sua amica, che relegò in un angolino della sua stanza,
dentro un armadio, al buio, fino a che, crescendo, giorno dopo giorno, se ne dimenticò.
Ma Ombretta continuava ad essere lì.
Biancaluce diventa una ragazza, poi una donna e, nel corso di questi anni, si diploma
in pianoforte, si dedica per un certo periodo all’attività concertistica, segue corsi
di perfezionamento in Italia ed all’estero, si laurea; nel frattempo diventa anche
insegnante, si dedica al volontariato, ma sempre con la sua valigia in mano per andare
alla ricerca di cose nuove che potessero arricchirla professionalmente, ma anche per
trovare qualcosa di nuovo da riportare indietro, nel suo baule, che nel frattempo diventa
sempre più pieno.
Sposa quel principe azzurro accettato a corte, ha una bellissima bambina : insomma la
principessa ormai aveva assolto tutti i compiti che ci si aspettava da lei ed era come “lo
specchio” fuori di lei la voleva.
Ma, paradossalmente, più si avvicinava al suo essere “vera principessa”, più il consenso
intorno a lei cresceva, più il suo senso di malessere aumentava e, ogni giorno di più,
c’era qualcosa che non riusciva a cogliere della sua vita, che la rendeva sempre più
triste, più arrabbiata, più paurosa.
79
Con chi parlare dei suoi malumori, delle sue insicurezze, dei suoi pensieri e delle sue
emozioni più intime? Con chi potere essere “veramente vera”???
Finalmente si ricordò di quell’amica, quella che era stata la sua compagna di giochi e
di vita, che, però, aveva relegato in un posto oscuro, pur di non scontentare chi le era
vicino e di farsi accettare come principessa.
Il suo pensiero cominciò ad andare, allora, sempre più spesso a quella cara Ombretta.
Come stava? Come poteva ancora sopravvivere , affamata, al buio, ferma e annichilita
nel fondo di quell’armadio?
L’avrebbe mai perdonata per quello che lei le aveva fatto?
Nonostante le mille domande che Biancaluce si poneva, il desiderio di rivedere l’amica
tanto amata si faceva ogni giorno più forte e più crescevano le sue fobie e il suo
disamorarsi della vita, più il richiamo del passato era insistente.
Così un giorno si prese di coraggio e ritornò nel palazzo dei suoi genitori, nella sua
stanza, per guardare cosa fosse rimasto, nell’armadio, della sua amica. Aprì con
grande cautela le ante, prima una e poi l’altra, stando attenta che la luce non entrasse
all’improvviso: stava con le orecchie tese, per sentire ogni minimo respiro, soffio, suono
o rumore che potesse venire da là dentro, ma all’inizio non sentiva nulla.
Troppo tempo era passato, forse Ombretta era andata via, forse aveva deciso di non
vivere più, forse….forse….forse….
Ma all’improvviso…ecco un gemito, un movimento, ecco due occhi sgranati che
risplendevano dal buio più profondo……Ombretta era ancora là.
Certo l’esser stata rinchiusa tutto quel tempo, aveva enormemente rallentato i suoi
riflessi, il suo essere ne era risultato decisamente mutilato, ma riuscì lentamente a
venire alla luce, con grande pazienza da parte delle due amiche.
Anche il suo corpo aveva risentito di quella lunga e forzata sedentarietà: era più
rigido, malaticcio, incapace di lasciarsi andare, ma con lavoro paziente le due amiche
riuscirono a reintegrarsi .
Con il tempo la principessa e la bambina ( ossia il nostro bambino interiore, che
abbiamo bisogno di reintegrare nella nostra vita) ritornarono a vibrare insieme,
sapevano di essere al sicuro, insieme, guardandosi negli occhi ogni mattina davanti
allo specchio o in tutti quei momenti della giornata in cui, stringendosi la mano, si
sostenevano a vicenda.
80
E sapevano che solo così avrebbero raggiunto il traguardo dell’essere donna integrata,
appagata ed accogliente, che si manifesta sia nella luce, che nell’ombra e che si libra
nel libero fluire delle cose. E più è autentica la persona, più riceve lo stesso segnale
dal mondo circostante, che non pretende più una perfezione apparente, ma l’essere
genuino e la “presenza” in tutte le sue manifestazioni.
Ora che ti ho raccontato questa favola, cara mamma, sto proprio lasciando quella
sponda, quella delle insicurezze, della paura di non essere accettata, del dovere
fare “la brava bambina” e mi accingo a mitigare tutte le mie alterazioni, per raggiungere
quella meta, che, ancora lontana all’orizzonte, so che vedrò nel mio viaggio in questo
mare aperto, azzurro e limpido, ma anche increspato e minaccioso.
Questa nave-laboratorio sarà uno dei miei strumenti, sarà lo specchio della mia anima,
che si rispecchia in ogni cosa che faccio e, ancor di più, che non faccio, soprattutto nel
mio vivere quotidiano, ma che posso sperimentare nel laboratorio-nave.
I miei compagni di viaggio, come me, ogni giorno, in casa, al lavoro, nel tempo libero,
quindi sulle terre che abbiamo lasciato, recitano un ruolo, cercando di interpretare quello
che vorrebbero o non vorrebbero essere, seguendo un copione, che meccanicamente
ripetono. Attraverso le dinamiche e gli stimoli che troviamo su questa nave, e grazie ai
suoi capitani, possiamo entrare in contatto con la nostra autenticità emotiva, relazionale
ed espressiva e, sperimentandoci nella “ non finzione”, possiamo scoprire il perché delle
nostre strategie emotive e degli schemi mentali profondi che ci impongono un ruolo da
sostenere.
Ed è là che potremo svolgere indagini approfondite, lasciando che il Sé di ognuno di noi
riveli i suoi segreti, i suoi raffinati meccanismi di auto-boicottaggio.In questo tortuoso
viaggio faremo, quindi, agiremo davvero e non per dimostrareo per voler apparire,
ma “semplicemente” per essere, attraverso la fiducia nelle nostre azioni, nel nostro
corpo, nei nostri sentimenti, nei nostri istinti.
Con l’esperienza del navigare, vinceremo la timidezza, andremo oltre le inibizioni
e ci esprimeremo liberamente, per rivelare, attraverso la scoperta del sé di ognuno, quel
nostro potenziale personale che rimane inespresso.
Il lavoro di squadra sarà quello che meglio ci supporterà in tutto questo viaggio, perché
attraverso gli altri vedremo la nostre debolezze, i nostri limiti, ma anche la nostra forza e
la capacità di metterci in gioco………….in “un gioco più serio”.
81
Adesso ti lascio….e mi lascio andare al dondolio di queste onde, che come una
ninna nanna mi cullano e mi danno coraggio, sapendo che, prima o poi arriverà la
tempesta, che sarò e saremo insieme capaci di dominare, guardando avanti, in fondo
all’orizzonte……….
Ciascuno implora Dio che dia luce al capitano.
Che dia luce alla notte che avanza.
82
Tempesta, tempesta a mai finiri,chi u cutturiàu ppi tutta a so esistenzafino a quannu u distinu paci ci detti,ma dopu tanta, troppa sofferenza.Ancora avemu a campari, puru senza ragioni,tiramu, tiramu pi drittue dduma a sirenasi non ni vonnu sèntiri! Donatella
83
6.4 ESPERIENZE DI LABORATORIO
L’incontro-tipo del laboratorio si basa, sempre, sul prendere coscienza che il corpo ha
un suo peso e si muove in rapporto ad uno spazio.
Importante è lavorare sull’intenzione del movimento , perché mai esso è gratuito ed è
necessario per capire come gestire i pesi diversi delle varie parti del corpo, per arrivare
ad un movimento vero e sincero.
Il rapporto tra movimento ed emozione nasce dal movimento stesso e il corpo è il punto,
quindi, da cui partire per una ricerca.
Il rilassamento iniziale ( almeno 15 minuti) è sempre stato l’elemento primario, per
eliminare lo stress della giornata appena passata e riprendere contatto con sé, troppo
ingoiato dalle attività giornaliere ed inquinato da emozioni che spesso ci allontanano dal
nostro vero IO.
Una volta in piedi, rinvigorire il corpo con massaggi energici e, sentendo il contatto con
il terreno, camminare per lo spazio, in modo da eliminare la mente e far cedere il corpo
alle emozioni, prima ognuno per sé e poi guardando il mondo circostante.
Ecco che diventa indispensabile l’incontro con gli occhi degli altri, da non mollare mai
sino a quando non sono scomparsi dal nostro raggio visivo.
La velocità varia continuamente, in modo da tenere desta sempre l’attenzione e che
il corpo non si abitui a schemi preordinati. Si può dire “ciao”, anche con toni diversi,
ridendo, arrabbiati, tristi … l’importante è non perdere mai la consapevolezza di sé in
mezzo agli altri.
Ogni nostro movimento andrà effettuato con “intenzione”, per trasmettere ciò che siamo
realmente in quel momento, in modo che gli altri sentano la nostra energia pulsante :
necessari gli esercizi per entrare in empatia con i compagni e con il movimento altrui.
Per questo sono stati fatti vari esercizi, come creare dei quadri in movimento, in cui
bisognava subentrare al movimento degli altri in successione, solo quando si “sentiva”
che era arrivato il proprio momento; oppure seguire qualcuno avanti a noi e cercare di
abbinare i propri movimenti del corpo, anche senza vedersi.
Il corpo, quindi, diventa il punto da cui partire per una ricerca personale perchè se le
parole possono mentire, quello dice sempre la verità.
La libertà linguistica è un altro tema del laboratorio, in quanto l’italiano è spesso una
lingua difficile, teatralmente parlando, perché obbliga ad una sorta di mediazione col
pensiero, che, invece, grazie al dialetto si riesce a tradurre in parola automaticamente.
84
Questo consente di essere più equilibrati e giusto nella chiarezza del pensiero e
dell’intenzione che si vuole trasmettere.
Le esperienze di teatro qui riportate, sono interpretate in chiave empirica, cosa che
naturalmente non è venuta fuori nel corso della messa in scena nel laboratorio, almeno
verbalmente e i nomi sono inventati.
ESPERIENZA DI TEATRO: messa in scena da parte di donna e uomo finti yin
Questa interpretazione viene fuori da una parte del Pericle in cui a Mitilene, in un
bordello, si trova la figlia dell’eroe, Marina, che riesce a conservare la sua verginità
convincendo gli uomini a perseguire la virtù e, successivamente, riesce ad affrancarsi
dal giogo vizioso diventando nota per la sua abilità nelle arti e nella musica.
Bisogna inscenare appunto il momento in cui la donna si sottrae alle proposte di un
nobile.
Poiché i due protagonisti, in scena, non riescono ad entrare nell’emozione, il regista
decide di far fare loro degli esercizi per stimolare la loro prestazione.
Francesca e Fernando hanno da rappresentare la vitalità maschile, dell’uomo che vuole
conquistare la donna e la vivacità femminile della donna, che non vuole cedere alle sue
avances.
Francesca, inizialmente, è rigida, non riesce ad entrare nella sua morbidezza, i suoi
movimenti sono bloccati dall’ansia della prestazione e dalla difficoltà dimettersi a nudo.
E’ una finta yin, con una rabbia trattenuta, che non permette alsuo corpo il esprimere il
suo potere liquido, l’arrendevolezza è pressata all’ansia di essere giudicata.
Non avendo una carica Yang appropriata, anche se secondaria, non sa sostenere
la sfida data dal personaggio che ha di fronte, ma è sopraffatta dalla vergogna, che
sviluppa ogni volta le viene chiesto di esporsi, di parlare a proprio sostegno e di farsi
valere, poiché ha paura di sfigurare, temendo il giudizio altrui.
La sua energia principale è l’ansia che incombe ( paura di vivere), che la fa arretrare di
fronte agli ostacoli ed è quindi priva della forza di essere presente, cosa che si vede
chiaramente dalla sua interpretazione….”tiepida”.
Fernando è un uomo Finto Yin, chiaramente con una carica yang molto bassa, si
distingue per i suoi modi gentili ed ha una sensibilità spiccata.
Il suo essere compagnone si dimostra con il buon umore, con il fatto che intrattiene
sempre tutti , ma si vede chiaramente che è una persona infuriata con il mondo, cosa
85
che nasconde per non essere smascherato.
Sulla scena, si muove con meno difficoltà della sua compagna, perché il suo corpo è
più portato al movimento ed è molto snodabile, ma, ancora, non preciso nell’esplicare i
principi yang da mettere in scena, anche perché ha bisogno di cercarli dentro di sé, dato
che sono offuscati dalla forte carica Yin.
Sono le parole da recitare che a poco fanno entrare nel personaggio Fernando, perché
il testo è fondato molto sulla pronuncia delle consonanti, come la p, la erre, la t, che per
loro natura portano alla terra, al contatto con le emozioni del I chakra.
Ecco allora che il suo testo viene pronunciato a voce alta per sottolineare la carica
Yang e man mano che procede con l’interpretazione, dall’iniziale tono piano e timoroso,
comincia a tirare fuori una voce forte e grave, accordata al personaggio.
Francesca recita il testo di una canzone che le è venuta in mente in quel
momento “Come fare, perché il fiume scorra ancora, come far perdere…il profumo a
questo fiore”, che di per sé esprime pienamente il senso dell’energia femminile da fare
uscire fuori in questo contesto.
Ma non riesce a sentirsi dentro, è priva della forza di vivere il presente.
Riesce ad ammorbidirsi all’entrata del regista, che con lei fa i movimenti e che stabilisce
un alternanza di parole tra lui e lei.
Ecco avvenire una metamorfosi: lei a poco apoco si lascia andare, dando un senso alla
coreografia e al gioco di coppia, dando spazio finalmente al libero fluire del suo corpo,
che si scioglie in questo gioco di energia Yin e yang.
All’uscita di scena del regista, la ragazza sembra di nuovo perdersi e irrigidirsi, ma
l’energia di Fernando, che nel frattempo diventa sempre più consapevole della sua
carica yang, la riattira, in un gioco in cui ognuno di loro prende a turno dall’energia
dell’altro.
Che bello vedere Fernando allinearsi con la morbidezza della donna e che bello vedere
Francesca seguire a tratti la forza maschile, senza però farsi risucchiare da essa, ma
mantenendo tutta la sua presenza femminile e il suo potere liquido.
Il risultato è completamente diverso dall’inizio: l’idea che viene data è quella di
una “coppia integrata”, in cui ognuno sa quale è il suo posto, nessuno invade il campo
dell’altro, in un gioco di dare e ricevere che solo due persone che sono entrate in
contatto con i loro principi guida sanno fare.
Il “dualismo dinamico”, in cui le due parti Yin e Yang si compensano, ha conferito la
massima espressione di forza ed equilibrio nella coppia.
Francesca emanava una accoglienza ed una morbidezza, che prima le erano
86
sconosciute, mentre Fernando ha fatto uscire fuori tutto il suo maschile, la spinta vitale
e la sua forza yang.
L’uomo è stato capace di far uscire fuori tutto il fuoco che lo ardeva, la donna la forza
liquida dell’acqua che integra.
Questo è stato possibile solo superando tutti i blocchi che la mente poneva loro: la
paura di essere giudicati, il non sentirsi all’altezza della situazione, i blocchi del corpo
ecc. e solo quando hanno raggiunto un livello di stanchezza mentale e corporea che li
ha riportati alla loro vera energia, facendo riacquistare la loro carica primaria.
Naturalmente, una volta usciti dalla scena, sono ritornati ai loro naturali ruoli alterati, ma,
sicuramente, questa esperienza avrà fatto loro prendere contatto con parti interiori forse
sconosciute.
Il “tirare fuori” insito nella messa in scena è un’esperienza molto pregnante, in quanto
abbiamo assistito, in pochi minuti, ad un processo di yanghizzazione ed yinghizzazione,
che nella vita reale, se abbiamo gli strumenti per farlo, avviene in anni di lavoro su se
stessi.
Esperienza: “ il non sapere ascoltare”.Un esercizio che mi ha colpito molto è stato quello in cui ognuno aveva da ripetere un
testo imparato a memoria, accompagnato dai movimenti delle sette parti del corpo, non
in contemporanea: testa, bacino, gomiti, mani, ginocchia, piedi, spalle.
In tre sulla scena, ognuno, a turno, chiamato dal regista ripeteva il suo testo, con i
movimenti, mentre gli altri stavano fermi.
Il gioco si faceva interessante quando ciascuno di noi aveva da dire il testo degli altri,
per cui a quel punto l’improvvisazione diveniva l’elemento dominante, dato che noi
riferivamo solo ciò che ci aveva colpito o quello che avevamo fatto nostro. Inutile ire,
che , spesso, il senso del discorso prendeva una piega completamente differente
dall’originale.
Proprio in questa rilettura dei testi, abbiamo inscenato una “storia”, in cui Andrea era
diventato il protagonista, che seguiva un suo percorso e seguendo le parole del regista,
trovava degli spazi, mentre noi cercavamo di creare un gruppo omogeneo. Il punto è
che proprio Andrea, ad un certo punto, è andato completamente per i fatti suoi, senza
creare l’amalgama, per cui era difficile stargli dietro.
In pratica non ha ascoltato nulla di ciò che avveniva intorno, seguendo un suo copione
personale, senza entrare in sintonia con gli altri, rompendo l’effetto scena che si voleva
87
creare.
Il regista lo ha ripreso, facendogli notare questo suo “espediente” e in realtà Andrea
88
stesso, in un momento di condivisione, ha ammesso che, nella vita, spesso non ascolta,
seguendo sempre il suo percorso, senza mettersi realmente in relazione con gli altri.
Bella consapevolezza gli è arrivata, ma quanto riuscirà a metterla in pratica senza un
lavoro su se stesso?
6.5 IL LAVORO SUL SE’Un altro tipo di lavoro è stato intrapreso con un regista e attore messinese, Giampiero
Cicciò, che ha dato un diverso taglio all’esperienza teatrale.
E qui abbiamo cominciato con il vero Teatro del sé, perché, tra l’altro, non è stato più
basato sulla coralità, ma sulla individualità.
Attraverso questo percorso abbiamo destrutturato le nostre sovrastrutture, approfondito
stati d’animo sepolti, al fine di contattare parti di noi nascoste, mentre l’utilizzo
di tematiche ben precise, ci ha permesso di rompere il diaframma che ci separa
dalla maschera che portiamo, che ci porta a “rappresentare” un’emozione e quella
più profonda, il nostro vero Sé, che invece ce la fa vivere ed esasperarla, come
fosse “Espressionismo”.
Il risvolto empirico di tutta questa attività è stato enorme, perché ciascuno di noi ha
veramente rappresentato tutti i suoi blocchi e il suo stato empirico, anche se, come è
chiaro, il nostro conduttore non era uno psicologo, ma un regista.
Eppure la sua sensibilità è stata in grado di far uscire parti di noi, che faticavano a venir
fuori, anche tramite esercizi appropriati ad ogni singolo individuo ed alle situazioni che
scaturivano dal lavoro sulla scena.
Il lavoro liberatorio nasceva dall’emozione che si andava a mettere in scena: per essere
veri attori, il sentimento non può essere descritto come in terza persona, ma vissuto nel qui ed ora sulla scena.
L’attore ha bisogno di vivere costantemente come un “ladro”, facendo man bassa di
verità, approfondendo gli stati d’animo, per contattare parti di sé nascoste: in realtà
questo “scavo” non serve solo nella finzione scenica, ma è necessario nelle relazioni
interpersonali e nel rapporto con se stessi.
Poiché le “corde” che vengono toccate in questo approfondimento, sono assolutamente
personali, non si sa, in verità, cosa possano fare scaturire, quali elementi possano
saltare fuori senza che noi siamo consapevoli, per cui spesso, nel lavoro sulla scena, si
può “meravigliosamente” andare fuori tema, a seconda del sentire del momento.
Quando il regista ci dice “non dimenticare il momento che hai vissuto”, significa che
89
sulla scena sono state toccate parti di sé sconosciute, uscite fuori senza la chiusura dell’
Ego.
Ecco perché la mente, a questo punto, ha bisogno di essere eliminata, individuando
in modo irrazionale l’emozione da mettere in scena: è chiaro che pensare prima a
cosa fare è inutile, perché passa automaticamente con il linguaggio del corpo quando
un’azione è voluta e invece, quando è “immediata” ed estemporanea.
La sintesi delle tematiche scelte,che andiamo a fare sulla scena, sintesi che non
rimpicciolimento, ma anzi ingrandimento e che prevede un’apice espressivo e poi una
discesa, esattamente come avviene nella vita, sarà affrontata con l’istinto del momento,
con l’esplosione dei propri moti interiori.
“Negli smisurati ampi spazi, negli sterminati tempi, nell’immagine del mondo, nel profondo del tuo cuore, solvi al grande enigma il mondo”Questo tema ha a che fare con i vari piani dell’esistenza: tempo spazio, l’incompatibilità
col mondo ( da Eschilo a Bechet), i bisogni ancestrali che sono dentro di noi e bisogna
trovare la serenità, la verità, l’equilibrio che nasce dalla soluzione del caos.
Anche qui non c’era uno schema fisso da seguire, l’importante era seguire l’emozione
del momento.
Le esternazioni sono state molto variegate e ho citato, nel corso di questa tesi, quelle
che mi sono sembrate più pregnanti.
L’unico momento in cui la fantasia da adulti, senza sovrastrutture, può andare a briglia
sciolta è quello del sogno, che è anche il momento più vero del nostro sé, in quanto
esso ci “aggredisce” e ci abbraccia senza la nostra volontà: ecco perché sulla scena è
necessario creare un ambiente semibuio, per favorire la concentrazione. (“Siamo fatti
della stessa sostanza dei sogni” William Shakespeare)
E parlando di universo onirico è sicuramente Federico Fellini, che, più di ogni altro, ha
saputo creare sul sogno una propria personalissima poetica.
Film come La città delle donne (1980) ci dimostrano come l’uomo viva di sogni e come
questi possano influenzare la realtà entrando a farne parte: non c’è distinzione tra reale
e immaginario, sonno e veglia nel mondo di Fellini.
Il grande potere del sogno sta proprio nella sua irrazionalità e al tempo stesso nella sua
individualità, nel suo appartenere alla sfera interiore di ogni singola persona fuggendo a
ogni possibilità di controllo.
“Appena ti fabbrichi un pensiero, rìdici sopra": queste parole di Laozi amava sempre
pronunciare Federico Fellini.
CONCLUSIONI
90
Questo lavoro è il frutto della mia esperienza nel percorso della LUMH, che frequento da
circa cinque anni e che mi ha permesso di contattare parti di me sconosciute.
Anche il seguire il laboratorio teatrale ha avuto una parte molto rilevante, perché è stato
molto variegato ed intenso ed aspetto l’ultima avventura della performance finale, che si
terrà a Luglio.
Vorrei dedicare questo mio scritto:
a tutte le donne che ogni giorno urlano in silenzio a quelle che non possono vivere la propria femminilità alle donne che dedicano la loro vita alla famiglia e alla cura degli altri alle donne tutte………..
e soprattutto a quella piccola donna che è la mia Giulia, che possa seguire la sua strada
con la facoltà di potere scegliere….senza maschere!!!
Vorrei fare un ringraziamento speciale a Michel Hardy, che stimola ed incoraggia questo
mio percorso di ricerca personale e a tutte le persone che ho conosciuto e mi
hanno sostenuto in questo “viaggio”.
91
BIBLIOGRAFIA (e WEBOGRAFIA)
• La Grammatica dell’essere Vol. 1 Il Paradigma Empirico di Michael F. Hardy2008• La Grammatica dell’essere Vol. 2 Il Debito Empirico di Michael F. Hardy. 2008• La Grammatica dell’essere Vol. 3 Il copione personale
I ruoli empirici di Michael F. Hardy. 2008• La Grammatica dell’essere Vol. 4 Dinamiche di Coppia di Michael F. Hardy 2009• La Grammatica dell’essere Vol. 5 Il Codice yin di Michael F. Hardy2010• La Grammatica dell’essere Vol. 6 Il Codice Yang di Michael F. Hardy2010
• Nulla succede per caso di Robert H- Hopcke- Oscar Mondadori
• Il cavaliere nell’armatura arrugginita, di Robert Fisher
• La principessa che credeva nelle favole, di Marcia Grad- Piemme
• Lo psicodramma di Raffaella Massagrandi – Xenia
• The shadow effect, di Deepak Chopra, Debbie Ford, Marianne Williamson
• Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, di Anthony De Mello- Piemme
• Uno, nessuno, centomila di Luigi Pirandello
• Pensare col corpo di Jader Tolja e Francesca Speciali- Zelig editore 2003
• Bourbeau L. (1987). Ascolta il tuo corpo. Edizioni “Amrita”, Torino
•
• Astromagazine
• “ Un uomo, una donna, la coppia “ Micol Ferrea
• Corpo, anima e cervello: emozioni di Linda Scotti•• Emozioni e corpo nelle dinamiche relazionali Reggello 7 marzo 2010
Elisabetta ZamarchiProgetti per il teatro di Roberto Cajafa
91