LE INNOVAZIONI RELATIVE AI PROCEDIMENTI POSSESSORI ... · anche al procedimento possessorio...
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LE INNOVAZIONI RELATIVE AI PROCEDIMENTI POSSESSORI NUNCIATORI E AI
PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA
Antonello Cosentino
giudice del tribunale di Firenze
Il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, cosiddetto sulla competitività, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla legge di conversione 14 maggio 2005 n. 80, ha introdotto - con l'articolo
2, terzo comma, lettera e)bis, numeri 5,6,7 ed 8 - alcune significative innovazioni alla disciplina
codicistica:
a) dell’istruzione tecnica preventiva, mediante la modifica dell’articolo 696 cpc e
l’introduzione nel codice dell’articolo 696 bis cpc.
b) del procedimento possessorio, mediante la modifica degli articoli 703 e 704 cpc.
La legge 80/05 non ha recato modifiche agli articoli 688 e 691 cpc, ossia agli unici due articoli
che attualmente (dopo l’abrogazione degli articoli 689 e 690 cpc disposta dall’articolo 89, primo
comma, della legge 353 del 1990) compongono la sezione III, dedicata ai procedimenti di
denuncia di nuova opera e danno temuto, del capo III del libro IV del codice.
Anche i procedimenti nunciatori, tuttavia, risultano modificati a seguito dell’entrata in vigore della
legge 80/05, in quanto essi, per il disposto dell’articolo 669 quaterdecies, sono disciplinati dal rito
cautelare uniforme e, pertanto, risentono delle modifiche che detta legge ha recato a tale rito.
In particolare va sottolineato che i procedimenti nunciatori risultano espressamente indicati tra
quelli ai quali, per il disposto del nuovo sesto comma dell’articolo 669 octies, non si applicano le
disposizioni dello stesso articolo 669 octies e quelle di cui al primo comma dell’articolo 669 novies.
Pertanto il provvedimento con il quale il giudice abbia:
a) vietato o permesso la continuazione di una nuova opera, adottando le opportune cautele
(1171 cc)
b) provveduto ad ovviare ad un pericolo gravante da cosa a cosa (1172 cc)
non deve più contenere un termine per iniziare il giudizio di merito ed è destinato a mantenere la
sua efficacia a prescindere dalla introduzione di un giudizio di merito avente ad oggetto la tutela del
diritto o del possesso minacciati dalla nuova opera o dal pericolo denunciati.
Poiché la tematica della rottura del nesso di strumentalità tra provvedimenti nunciatori e giudizio di
merito non presenta caratteristiche specifiche rispetto al tema generale della rottura del nesso di
strumentalità tra provvedimenti cautelari e giudizio di merito non mi soffermerò sull’ argomento,
trattato dalla relazione sulle modifiche ai procedimenti cautelari.
Dobbiamo invece esaminare le modifiche recate alla disciplina dei procedimenti possessori e alla
disciplina del procedimento di istruzione tecnica preventiva.
Procedimenti possessori.
I procedimenti possessori sono stati modificati con le disposizioni di cui al n. 7 (modificativa
dell’articolo 703 cpc) e n. 8 (modificativa dell’art. 704 cpc) della lettera e bis del terzo comma
dell’articolo 2 l. 80/05
Tali disposizioni sono le seguenti.
7) all'articolo 703 sono apportate le seguenti modificazioni:
7.1) il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Il giudice provvede ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti, in quanto compatibili»;
7.2) sono aggiunti, infine, i seguenti commi:
«L'ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell'articolo 669-terdecies.
Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla
comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento
di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di
merito. Si applica l'articolo 669-novies, terzo comma»;
8) all'articolo 704, il secondo comma è sostituito dal seguente:
«La reintegrazione nel possesso può essere tuttavia domandata al giudice competente a norma
dell'articolo 703, il quale dà i provvedimenti temporanei indispensabili; ciascuna delle parti può
proseguire il giudizio dinanzi al giudice del petitorio, ai sensi dell'articolo 703»;
Come vedete si tratta di poche disposizioni che, tuttavia, meritano qualche riflessione perché vanno
ad incidere su un tema che è stato oggetto di un lungo e vivace dibattito dottrinario e
giurisprudenziale una decina di anni fa, in occasione della novellazione del codice di rito recata
dalla legge 353/90.
Naturalmente in questa sede non abbiamo il tempo per richiamare compiutamente i termini di quel
dibattito; tuttavia un minimo cenno alle problematiche che furono trattate su questo tema intorno
alla metà degli anni '90 dalla giurisprudenza dalla dottrina è indispensabile per cogliere il senso e la
portata delle modificazioni apportate agli articoli 703 e 704 del codice di procedura della legge
80/05.
Come ricorderete, prima della novella del ’90, il procedimento possessorio era disciplinato
mediante il richiamo al procedimento nuncitorio; il secondo comma dell'articolo 703 cpc
richiamava infatti, per l'azione di reintegra, gli articoli 689 e seguenti del codice e analoga
disciplina era dettata dal terzo comma dello stesso articolo 703 cpc per l'azione di manutenzione.
A propria volta l'articolo 689 cpc, poi abrogato dalla novella del '90, prevedeva che il pretore
adottasse i provvedimenti necessari con ordinanza resa nel contraddittorio delle parti
(eventualmente preceduta, in caso di urgenza, da decreto emesso inaudita altera parte) e quindi
procedesse, se competente, alla trattazione della causa, oppure rimettesse le parti davanti al
giudice competente.
Poiché le azioni possessorie rientravano, ai sensi dell'articolo 8 del codice, nella competenza per
materia del pretore, nei procedimenti possessori non poteva mai darsi luogo alla rimessione della
causa ad altro giudice e quindi in sostanza, dopo aver pronunciato i provvedimenti interinali con
ordinanza (eventualmente confermativa o modificativa o revocativa del decreto che fosse stato
emesso inaudita altera parte) il pretore procedeva alla cognizione piena sulla domanda
possessoria, definendo il giudizio con sentenza appellabile e idonea ad acquisire l'efficacia di
giudicato.
In definitiva quindi, sulla scorta del combinato disposto degli articoli 689 e 703 cpc il procedimento
possessorio:
- si articolava in due fasi, la prima sommaria e la seconda destinata a svolgersi nelle forme
del processo ordinario di cognizione;
- la domanda giudiziale idonea a sorreggere entrambe tali frasi era contenuta nel ricorso
introduttivo al pretore;
- la prima fase si concludeva con ordinanza resa in contraddittorio, destinata ad essere
assorbita dalla sentenza, revocabile o modificabile durante la seconda fase e la cui
efficacia veniva meno in caso di estinzione del giudizio durante la seconda fase.
Questa ricostruzione della disciplina processuale delle azioni possessorie fu rimessa in discussione
quando, con la novella del '90,
- fu introdotto il rito cautelare uniforme;
- furono abrogati gli articoli 689 e 690 cpc:
- i commi secondo e terzo dell'articolo 703 cpc vennero sostituiti con l'espressione: " il
giudice provvede ai sensi degli articoli 669 bis e seguenti ".
Emersero allora tre distinte ipotesi prospettive ricostruttive.
A) Secondo una prima ipotesi, il modello bifasico tradizionale doveva ritenersi invariato: il
procedimento si introduceva con ricorso, all'esito di una fase sommaria il giudice
pronunciava sull'istanza interdittale con ordinanza non reclamabile e, quindi, procedeva alla
trattazione del cosiddetto merito possessorio definendo il giudizio con sentenza appellabile.
Questo schema, recepito in giurisprudenza dal tribunale e dalla pretura di Roma, si
caratterizzava per un'assoluta fedeltà alla tradizione giurisprudenziale, ma si scontrava con
due difficoltà fondamentali:
a) per un verso, la mancanza di una disciplina codicistica del passaggio dalla fase
sommaria a quella ordinaria, con particolare riguardo al tema dell'operatività delle
preclusioni alla proposizione di domande, eccezioni ed istanze istruttorie;
b) per altro verso, la totale obliterazione del disposto degli articoli 669 setpties e octies
cpc. Tale obliterazione veniva peraltro giustificata con la considerazione della
natura non cautelare del procedimento possessorio, da cui sarebbe derivata la
necessità di interpretare il secondo comma del novellato l'articolo 703 cpc come teso
a disciplinare solo i poteri e le attribuzioni del giudice durante la fase sommaria,
dovendosi per altro verso ritenersi implicito, nel richiamo contenuto nel secondo
comma dell'articolo 703, il limite della compatibilità tra le norme di cui agli articoli
669 bis e seguenti cpc e il procedimento possessorio.
B) Secondo altra ipotesi, invece, il secco richiamo contenuto nel secondo comma dell'articolo
703 cpc agli articoli 669 bis e seguenti del codice di rito imponeva di ritenere applicabili
anche al procedimento possessorio l'intera disciplina del procedimento cautelare uniforme,
compresi gli articoli 669 septies e octies cpc. Si riteneva quindi che il procedimento
possessorio dovesse essere introdotto con ricorso; che il giudice si pronunciasse sulla
istanza di reintegrazione o manutenzione nel possesso con ordinanza emessa all'esito della
fase sommaria e soggetta reclamo; che, in caso di rigetto della domanda, detta ordinanza
pronunciasse anche sulle spese ai sensi dell'articolo 669 septies e definisse il procedimento;
per contro, in casa di accoglimento della domanda, detta ordinanza non contenesse alcuna
pronuncia sulle spese e assegnasse il termine per l'introduzione del giudizio di merito, salva
la perplessità in ordine e alla natura dell'atto ( ricorso o citazione ) con cui introdurre tale
giudizio.
C) Infine, secondo una terza ipotesi ( che si fondava sulla qualificazione dei procedimenti
possessori come processi sommari-semplificati-esecutivi a tutela di una situazione di
fatto di appartenenza giuridicamente rilevante solo in ipotesi di lesione, processi
insuscettibili di sfociare in provvedimenti di merito a cognizione piena con attitudine
al giudicato ) il procedimento possessorio veniva concepito come monofasico e
sommario, destinato a concludersi con ordinanza destinata a definire il procedimento senza
fissazione di alcun termine per l'instaurazione di un inesistente giudizio di merito a
cognizione piena. Ordinanza che in ogni caso regolava le spese, in base ai principi generali
di cui agli articoli 91 e segg. cpc, e poteva essere impugnata col mezzo del reclamo.
Ordinanza, infine, dotata di efficacia meramente esecutiva e dunque priva della efficacia di
accertamento caratteristica del giudicato, restando pertanto inidonea a dettare una
disciplina definitiva in ordine al godimento del bene.
Come già accennato non è possibile in questa sede dare conto delle ragioni e degli argomenti spesi a
sostegno di ciascuna di tali tesi.
È sufficiente ricordare che, dopo alcuni anni di forti incertezze interpretative sull'argomento, la
Cassazione a sezioni unite - con una pronuncia (n. 1984 del 24 febbraio '98) che non è andata
esente da censura da parte della dottrina ma che, tuttavia, ha avuto indubbiamente il merito di
mettere una parola chiara a conclusione del dibattito giurisprudenziale, in tal modo soddisfacendo
appieno la funzione nomofilattica - ha recepito la tesi tradizionale della struttura bifasica del
procedimento, che quindi:
- si introduce con ricorso idoneo a sorreggere sia la fase sommaria che quella a cognizione
piena;
- prevede una prima fase, sommaria, destinata a concludersi con ordinanza ( eventualmente
confermativa o modificativa o di revoca di provvedimenti adottati con decreto emesso
inaudita altera parte ) di accoglimento o rigetto della domanda interdettale, soggetta a
reclamo, che non contiene alcuna pronuncia sulle spese né definisce il procedimento, ma
fissa l'udienza per la trattazione del merito possessorio;
- prevede poi una seconda fase di merito possessorio destinata a concludersi con sentenza
soggetta all'appello e idonea ad acquisire l’ efficacia di accertamento proprio del giudicato
sostanziale.
Rispetto alla sistemazione della materia offerta dalla cassazione il legislatore del 2005 ha ritenuto di
intervenire con le modifiche sopra riportate, che ora è necessario esaminare.
1) La modifica del secondo comma dell'articolo 703, con l’aggiunta delle parole " in quanto
compatibili" e
2) l'inserimento nel medesimo articolo di un terzo comma che prevede espressamente la
reclamabilità della ordinanza che conclude la fase sommaria, accogliendo o respingendo la
domanda di reintegra o di manutenzione sono di poco momento: vengono infatti recepite
nel testo del codice acquisizioni giurisprudenziali ormai pacifiche (nel senso che il
richiamo del secondo comma dell'articolo 703 agli articoli 669 bis e seguenti soggiaccia, già
nel testo ancora in vigore, al limite implicito della compatibilità, vedi anche C. Cost. 19
giugno 2000 n. 220; “questa Corte ha già ritenuto come la tradizionale struttura bifasica di
detto giudizio non sia rimasta modificata a séguito della riforma del codice di procedura
civile, attuata con la legge 26 novembre 1990, n. 353, ed ha altresì rilevato il carattere
selettivo del richiamo al procedimento cautelare uniforme, contenuto nell'art. 703 cod.
proc. civ., vòlto a consentire l'applicabilità delle sole norme della novella compatibili con
le caratteristiche del procedimento possessorio (v. ordinanze n. 203 del 1996, n. 125 del
1997)”.
Di notevolissimo rilievo, anche e soprattutto per le implicazioni teoriche che suggerisce, è invece
l'aggiunta di un quarto comma all'articolo 703 e, in particolare, del primo periodo di tale
comma, secondo il quale la prosecuzione del giudizio per la trattazione del merito possessorio
costituisce uno sviluppo non più necessario ma meramente eventuale, e rimesso alla richiesta
di ( almeno ) una delle parti, del procedimento.
In sostanza, secondo il nuovo quarto comma dell'articolo 703, qualora nessuna delle parti proponga
tempestivamente la richiesta di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, il
processo resta definito con la semplice ordinanza emessa all'esito della fase sommaria;
ordinanza dotata di una efficacia meramente esecutiva ma certamente inidonea ad assolvere ad
una qualunque funzione di accertamento in ordine alla disciplina del godimento del bene.
Sembra in sostanza che il legislatore abbia ritenuto di fare propria la sistemazione ricostruttiva
sopra riepilogato sub C) - che, come già notato, riconduceva il procedimento possessorio al
modello dei procedimenti sommari-semplificati-esecutivi - prevedendo la possibilità che il giudizio
possessorio si concluda con un provvedimento non destinato a soddisfare alcuna esigenza di
accertamento, bensì esclusivamente esigenze di materiale attribuzione del bene; vale a dire un
provvedimento con funzione meramente esecutiva, tendente a reprimere la violazione possessoria
con il ripristino dalla precedente situazione di fatto, cioè con l'attribuzione al possessore spogliato o
molestato di " tutto quello e proprio quello " espressamente garantitoli dalla disciplina sostanziale
di cui agli articoli 1168 e 1170 del codice civile.
E’ però da rimarcare che lo stesso legislatore, quasi spaventato del proprio coraggio (il professor
Proto Pisani ha parlato di “pavidità” del legislatore ), ha ritenuto di non poter portare fino in
fondo la propria scelta, tagliando il nodo e riponendo il merito possessorio nella soffitta del
diritto; si è infatti limitato a rimettere alla volontà delle parti la scelta sulla prosecuzione o
meno del giudizio possessorio, in una fase a cognizione piena destinata a concludersi con sentenza
idonea ad acquisire efficacia di cosa giudicata.
In tal modo mi pare che la sistemazione teorica del giudizio possessorio operata dalle sezioni
unite della cassazione risulti sostanzialmente confermata; permane cioè, ancora, la tradizionale
struttura bifasica del giudizio, destinato a concludersi con una pronuncia avente forma di
sentenza e attitudine al giudicato; con la differenza, rispetto al testo attuale del codice, che per lo
sviluppo della seconda fase è necessario un atto di impulso di almeno una delle parti.
In difetto di prosecuzione permane integra l'efficacia esecutiva dell'ordinanza interdettale,
Dobbiamo allora chiederci quale sia la ratio di questo intervento legislativo.
Escluso che il legislatore avesse ambizioni di sistemazione dogmatica della materia - e del resto,
ripeto, questo intervento non incide sull'impianto di fondo del giudizio possessorio definito dalle
sezioni unite - appare verosimile il che il legislatore sia stato mosso da una intenzione deflattiva,
evidentemente ipotizzando che una parte significativa dei giudizi possessori sia destinata a
concludersi dopo la pronuncia dell'ordinanza interdettale, con conseguente risparmio delle energie
attualmente destinate alla ( eventuale ) istruttoria di merito ed alla pronuncia della sentenza.
Se questa era l'intenzione del legislatore, nutro più di qualche dubbio sull'efficacia della
soluzione scelta per realizzarla.
Personalmente infatti condivido solo parzialmente l'opinione, largamente diffusa tra i primi
commentatori, secondo cui solo la parte che non abbia ottenuto la decisione che si attendeva
avrà verosimilmente interesse a presentare l’ istanza per la prosecuzione del giudizio.
A mio parere, infatti, questa previsione è corretta solo con riferimento ai casi di rigetto della
domanda interdettale, perché il ricorrente che non è riuscito a dimostrare le proprie ragioni nella
fase sommaria potrebbe confidare nel maggiore approfondimento istruttorio ottenibile nella fase di
cognizione piena.
In casa di accoglimento da domande interdettale, al contrario, anche il ricorrente vittorioso
potrebbe avere interesse a proseguire un giudizio di merito possessorio in cui può contare
sull'opinione a lui favorevole già manifestata dal giudicante ( soprattutto se confortata in sede di
reclamo ) e la cui pendenza ( fino al passaggio in giudicato della sentenza ) preclude al
convenuto il ricorso alla tutela petitoria, giusta il disposto del primo comma dell'articolo 705
cpc.
Qualche nota più strettamente procedurale sul quarto comma, primo periodo, del nuovo articolo 703
cpc.
A)
Il termine per presentare l'istanza di fissazione dell'udienza di prosecuzione del giudizio
(evidentemente da presentare con atto scritto da depositare in cancelleria, in calce al quale il
giudice fisserà la data dell’udienza di prosecuzione) è perentorio ed è di 60 giorni e decorre dalla
comunicazione del provvedimento che ha definito il reclamo o, in difetto di reclamo, dalla
comunicazione dell'ordinanza interdettale.
Il riferimento testuale alla comunicazione (che, ai sensi dell'articolo 136 cpc, si effettua mediante
biglietto di cancelleria) impone le seguenti precisazioni:
a) Evidentemente il legislatore ha considerato solo l’ipotesi di provvedimento pronunciato
fuori dall’udienza (per il quale, appunto, è prevista la comunicazione a cura del cancelliere,
art. 134, secondo comma, cpc). Nel caso di provvedimento emesso in udienza, in cui non è
prevista alcuna comunicazione, non mi pare si possa dubitare che il termine decorra
dall’udienza stessa.
b) Nel caso in cui, prima della comunicazione effettuata dalla cancelleria, una parte abbia
provveduto a notificare all'altra l'ordinanza che ha definito il reclamo o l'ordinanza
interdettale, ci si può chiedere se il suddetto termine non debba farsi decorrere dalla data
della notificazione, mediante la quale la parte ha avuto piena conoscenza del
provvedimento, in forma anche più completa che non con la comunicazione ex articolo 136
cpc. A mio giudizio, trattandosi di un termine perentorio che pone una preclusione
all'esercizio del diritto processuale, è preferibile un'interpretazione restrittiva e quindi
ancorerei la decorrenza del termine esclusivamente all'evento processuale espressamente
menzionato dalla legge, vale a dire alla “comunicazione”. È peraltro da sottolineare che,
quale che sia l'opinione su questo argomento, non dovrebbero sorgere problemi di
coordinamento tra il quarto comma dell'articolo 703 e il primo comma dell'articolo
669 terdecies, poiché il termine previsto da quest'ultima disposizione per la presentazione
del reclamo è di quindici giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza, ovvero
dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore. Il termine di 60 giorni per la
presentazione dell'istanza di prosecuzione del giudizio possessorio è quindi comunque
destinato a spirare in epoca ampiamente successiva al momento di scadenza del termine per
la presentazione dell’eventuale reclamo avverso l'ordinanza che ha accolto o negato la
richiesta di tutela interdittale.
c) Nel caso che il resistente sia rimasto contumace nella fase interdettale, il termine di gg. 60
per la richiesta di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito decorre,
nei suoi confronti,
- dalla data dell’udienza, se l’ordinanza è stata pronunciata in udienza, o altrimenti dalla data
del deposito dell’ordinanza in cancelleria, con apposizione del visto del cancelliere sull’
originale (art. 292, secondo comma, cpc);
- o dalla data di notifica dell’ordinanza al contumace di persona, in applicazione analogica
del primo comma dell’articolo 292 cpc ?
B) La possibilità, ancorché eventuale, che l'ordinanza interdettale non sia seguita dalla prosecuzione
del giudizio nella fase cognizione piena rende a mio avviso inevitabile prevedere che in tale
ordinanza vengano regolate le spese maturate fino a quel momento.
Ciò può sostenersi in forza della diretta applicazione dell'articolo 669 septies, secondo comma, cpc
per quanto riguarda l'ordinanza di rigetto e in forza dei principi generali di cui agli articoli 91 e
seguenti cpc per quanto riguarda l'ordinanza di accoglimento. Una diversa l'opinione, del resto,
sarebbe in evidente contrasto con la ratio deflativa della disposizione in commento, riducendo
ulteriormente l'interesse della parte che sia risultata vittoriosa in fase sommaria a rinunciare alla
fase cognizione piena del giudizio.
Contro il capo di ordinanza relativo alle spese può ritenersi esperibile il rimedio di cui all’art. 669
septies, ancorando la decorrenza del termine di gg. 20 per la proposizione dell’esecuzione al
momento in cui sia inutilmente spirato il termine per chiedere la prosecuzione del giudizio per il
merito.
C)
Ci si può chiedere se nell'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione del giudizio di
merito sia ammessa la presentazione di domande od eccezioni non contenute negli atti
introduttivi. Al riguardo si è sostenuto che tale istanza non può avere altro contenuto che la
richiesta di provvedimento per far proseguire il giudizio, con la conseguenza che tutto il tema
del decidere resta fissato nel contenuto del ricorso introduttivo della comparsa di costituzione e
risposta.
Anche a me pare che l'istanza di cui al quarto comma dell'articolo 703 cpc non rappresenti la sede
per l'esercizio di poteri processuali di allegazione.
Resta semmai aperto il problema, che riguarda tutti i procedimenti che si articolano in una fase
sommaria ed una di merito, dell’individuazione del momento in cui scattano le preclusioni
connesse alla fase introduttiva ed alla fase di trattazione del processo.
Quanto alla fase introduttiva, una opinione dottrinaria (Cecchella) ha suggerito di applicare
analogicamente, nel rito possessorio, il meccanismo introdotto per i procedimenti di separazione
coniugale nel testo novellato dell’art. 709 cpc, con conseguente assegnazione alle parti, nel decreto
di fissazione dell’udienza di prosecuzione, di termini per integrare gli atti introduttivi e proporre,
per il convenuto, le domande riconvenzionali e le eccezioni non rilevabili di ufficio.
A me pare che - nonostante che il meccanismo di costituzione del contraddittorio nel procedimento
possessorio non garantisca al convenuto un termine per comparire predeterminato ex lege – sia
piuttosto arduo escludere l'operatività della previsione del nuovo testo dell'articolo 167, secondo
comma, cpc nel giudizio possessorio; anche in questo giudizio, quindi, penso che il convenuto abbia
l’onere di proporre già in comparsa di risposta le proprie eventuali domande riconvenzionali e
le eccezioni processuali o di merito non rilevabili di ufficio.
Ciò posto, si deve però rilevare che sicuramente nella fase di merito possessorio opera la disciplina
delle variazioni del tema di lite dettata dai commi quarto e quinto dell'articolo 183, nuovo
testo, cpc. Non vedo allora per quale ragione debba ritenersi preclusa alla parte la possibilità di
anticipare già nell'atto con cui presenta l'istanza di prosecuzione del giudizio difese che
avrebbe comunque la possibilità di svolgere nell'udienza di prosecuzione.
D)
Per il richiamo al rito cautelare uniforme contenuto nel secondo comma dell’articolo 703 cpc,
l’ordinanza che definisce la fase sommaria senza che ad essa faccia seguito la prosecuzione del
processo di merito possessorio avrà il medesimo regime di stabilità previsto per i provvedimenti
cautelari. Pertanto:
a) Le ordinanze di declaratoria di incompetenza non determineranno alcuna preclusione
alla riproposizione della domanda (art. 669 septies, prima parte del primo comma, cpc).
b) Le ordinanze di rigetto non precluderanno la proposizione della domanda alla luce di
nuove ragioni di fatto o di diritto (art. 669 septies, seconda parte del primo comma, cpc;
non mi pare, invece, utilmente richiamabile, in materia di procedimento possessorio,
l’ipotesi di “mutamenti delle circostanze”, pure prevista in tale disposizione, perché l’azione
possessoria costituisce una reazione contro fatti di molestia o spoglio compiutamente
individuati e fissati nel tempo nello spazio).
c) Le ordinanze di accoglimento dell’istanza di reintegra o manutenzione potranno essere
revocate o modificate dal giudice che le ha emesse secondo la disciplina dell’articolo 669
decies, secondo comma, cpc; vale a dire (ferma restando, per le ragioni sopra indicate, la
non riferibilità della ipotesi di “mutamenti delle circostanze” ai procedimenti possessori) in
caso di allegazioni di fatti anteriori conosciuti successivamente all’emissione del
provvedimento.
d) In ogni caso, per il disposto dell’ultimo comma dell’articolo 669 octies, l’autorità del
provvedimento interdettale non sarà invocabile in un altro processo.
Qualora, per contro, il giudizio prosegua, riterrei in ogni caso applicabile, quale che sia il
contenuto dell’ordinanza interdettale, la disciplina dell’articolo 669 decies, primo comma, cpc.
Concludo con l'esame delle ultime due disposizioni introdotte dalla legge 80 in materia di giudizio
possessorio, ossia l'ultimo periodo del quarto comma dell'articolo 703 ( “si applica l'articolo 669
novies, terzo comma” ) e le variazioni apportate al secondo comma dell'articolo 704.
L'articolo 669 novies, terzo comma, cpc prevede la perdita di efficacia del provvedimento
cautelare in caso di mancato versamento della cauzione di cui all'articolo sui 669 undecies o nel
caso di dichiarata inesistenza del diritto a cautela nel quale il provvedimento stesso era stato
concesso.
Quanto alla cauzione ex art. 669 undecies, mi pare che nella prassi giurisprudenziale non venga
quasi mai disposta nei provvedimenti di reintegra o manutenzione del possesso, anche se non vi
sono ragioni per ritenere detto articolo incompatibile con il procedimento possessorio.
Quanto alla declaratoria di inesistenza del diritto, mi riesce abbastanza difficile coordinare tale
disposizione con un procedimento che ha ad oggetto la tutela di una situazione di fatto e non di un
diritto.
Vi sottopongo due diverse ipotesi intepretative:
a) La norma in commento tende a regolare la relazione tra interdetto possessorio e sentenza di
merito possessorio, assoggettandola al medesimo regime che regola la relazione tra
provvedimento cautelare e sentenza che definisce il giudizio di merito ai sensi del terzo
comma dell’articolo 669 novies; vale a dire, stabilendo la perdita di efficacia del
provvedimento di reintegra o manutenzione del possesso nei casi in cui, al termine del
giudizio di merito possessorio, non risulti accertato lo ius possessionis.
b) La norma in commento tende a regolare la relazione tra interdetto possessorio e sentenza
petitoria contenente l’accertamento negativo del diritto reale (ius possidendi)
corrispondente alla situazione possessoria tutelata con l’ordinanza interdettale.
Entrambi tali opzioni interpretative prestano il fianco a rilevanti obiezioni.
Contro la prima, militano gli argomenti che:
1) la lettera del terzo comma dell’articolo 669 novies parla esplicitamente di “diritto”,
cosicché appare una forzatura leggerla come riferibile al possesso;
2) Intesa in tal modo, la disposizione sarebbe inutile, perché in ogni caso l'ordinanza
interdittale viene superata dalla sentenza che definisce il giudizio di merito
possessorio e - accogliendo o respingendo la domanda di reintegra o manutenzione -
conferma o modifica o revoca (anche implicitamente) tale ordinanza, della quale
non vi sarebbe quindi ragione di prevedere la sopravvenuta inefficace.
Contro la seconda milita l’argomento dell’autonomia della tutela possessoria rispetto alla tutela
petitoria; autonomia ancora riaffermata dalla Cassazione nel 1998.
Consapevole della difficoltà del tema, ipotizzerei che con l'espresso richiamo all'articolo 669
novies il legislatore abbia inteso regolare i rapporti tra l’ ordinanza interdittale a cui non abbia
fatto seguito un giudizio di merito possessorio e l'eventuale decisione che accerti diritti reali o
personali relativi al medesimo bene oggetto della decisione interdettale.
In sostanza il sistema si ricomporrebbe nel senso di lasciare alla volontà delle parti la scelta tra una
tutela del possesso piena, con efficacia di accertamento, ed una tutela del possesso sommaria-
semplificata-esecutiva. Qualora la parti optino per questa ipotesi, non chiedendo la prosecuzione del
giudizio per il merito possessorio, il provvedimento di tutela interdettale del possessore sarà
destinato a cedere dinanzi ad un accertamento negativo, in sede petitoria, del suo ius possidendi.
La variazione del secondo comma dell'articolo 704 adatta la nuova disciplina dell'eventualità del
giudizio di merito possessorio alla ipotesi di domande possessorie nel corso di giudizio
petitorio. Qualora, per fatti avvenuti in pendenza di un giudizio petitorio, la parte abbia chiesto
tutela possessoria al giudice competente a norma dell’articolo 703 e quest’ultimo abbia dato i
provvedimenti indispensabili, la prosecuzione del giudizio possessorio davanti al giudice del
petitorio non avverrà più per la rimessione delle parti davanti al giudice del petitorio disposta
dal giudice del possessorio, ma avverrà in base all’iniziativa di una delle parti del giudizio
possessorio, che potrà riassumere il giudizio possessorio davanti al giudice del petitorio per la prima
udienza utile, verosimilmente senza necessità di apposita istanza di prosecuzione.
Procedimenti di istruzione tecnica preventiva
I numeri 5 e 6 della lettera e) bis del terzo comma dell’articolo 2 del decreto legge 35/05 hanno,
rispettivamente:
a) modificato il testo dell’articolo 696 cpc, che disciplina l’accertamento tecnico e l’ispezione
preventivi;
b) introdotto l’articolo 696 bis cpc, che introduce nel codice l’istituto della consulenza tecnica
preventiva ai fini della composizione della lite.
Le modifiche all’art. 696 cpc.
Le modifiche all’art. 696 cpc sono le seguenti:
1) Previsione della possibilità di chiedere l’accertamento e l’ispezione non più solo su
luoghi e cose ma anche sulla persona dell’istante, nonché sulla persona di colui nei
cui confronti l’istanza è proposta, se il medesimo vi consente. Ciò, peraltro, sempre
che ricorra il requisito dell’urgenza, espressamente - e, mi pare, superfluamente,
visto l’esordio del primo comma dell’articolo 696 (“chi ha urgenza…”) - ribadito
nel periodo aggiunto dalla novella a detto comma.
2) La previsione della possibilità che l’accertamento tecnico riguardi "anche
valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica".
Punto 1).
La modifica di cui al punto 1) recepisce le conclusioni cui era giunta la Corte Costituzionale con
le sentenze 22.10.90 n. 471 (È costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli art. 13, 24 e
32 cost. - l'art. 696 comma 1 c.p.c., nella parte in cui non consente di disporre accertamento
tecnico o ispezione giudiziale sulla persona dell'istante) e 19.7.96 n. 257 (È costituzionalmente
illegittimo l'art. 696, comma 1, c.p.c., che, relativamente all'ispezione giudiziale e all'accertamento
tecnico in sede di istruzione preventiva, non prevede che tali misure possano essere disposte nei
confronti della controparte, purché questa consenta di sottoporvisi).
A proposito della istanza di ispezione o accertamento sulla persona altrui vanno sottolineati due
punti problematici:
a) Il nuovo testo del primo comma dell’art. 696 cpc non detta alcuna disposizione in ordine alle
forma con le quali deve venir acquisito il consenso di colui sulla cui persona si richiede
l’ispezione o l’accertamento. In proposito si deve tenere presente che la giurisprudenza
costituzionale formatasi sul vecchio testo dell’articolo 696 aveva espressamente precisato
che “Il consenso liberamente manifestato rispetto a questo atto di istruzione sulla persona,
deve essere quindi acquisito dal giudice prima dell'emissione del provvedimento,
condizionandone l'adozione e non la sola esecuzione” (così C. Cost. 257/96, cit.).
Penso che tale principio debba guidare anche l’interpretazione del nuovo testo dell’articolo
696, con la conseguenza che la sussistenza del consenso della persona su cui deve effettuarsi
l’ispezione o l’accertamento costituisce presupposto della stessa emissione del
provvedimento di accoglimento dell’istanza.
Resta tuttavia una dubbio; il consenso del destinatario della domanda di istruzione
preventiva deve essere manifestato nell’ambito del procedimento, vale a dire mediante una
dichiarazione resa in udienza o in un atto defensionale, o può essere manifestato
stragiudizialmente, salvo l’onere del ricorrente di offrire in giudizio la prova di tale
manifestazione ? E’ chiaro che:
- Se si aderisce alla prima ipotesi, il provvedimento che ordina l’ispezione o l’accertamento
tecnico sulla persona del destinatario dell’istanza non potrà essere emesso inaudita altera
parte, e non potrà essere emesso nemmeno qualora il destinatario della domanda non si
costituisca o non compaia personalmente in giudizio.
- Se, viceversa, si aderisce alla seconda ipotesi, dovrebbe ritenersi possibile concedere il
provvedimento
1) inaudita altera parte, ove la manifestazione stragiudiziale di consenso venga
documentata con un atto pubblico o con una scrittura privata autenticata;
2) dopo la celebrazione dell’udienza di comparizione delle parti, ma anche se a tale
udienza nessuno compaia per il destinatario della domanda, ove la manifestazione
stragiudiziale di consenso venga documentata mediante una scrittura privata ritualmente
prodotta in giudizio e dunque da aversi per riconosciuta ex art. 215 cpc.
Personalmente non vedo ragioni per escludere la seconda opzione interpretativa, soprattutto
perché non mi pare che dalla emissione del provvedimento che - sulla scorta di una
documentata manifestazione stragiudiziale di consenso - ordini l’ispezione o l’ATP sulla
persona del destinatario della domanda di istruzione preventiva possano a quest’ultimo
derivare conseguente pregiudizievoli.
Infatti è in ogni caso esclusa una esecuzione coattiva del provvedimento, il che vale a dire
che il consenso del destinatario della domanda deve permanere fino all’esecuzione del
provvedimento; ciò implica che colui sulla cui persona viene chiesta una ispezione o un
accertamento può sempre paralizzare la pretesa istruttoria del ricorrente, rifiutando di
assoggettarsi all’esecuzione dell’ordine giudiziale di ispezione o ATP e, in tale modo,
revocando (esplicitamente o implicitamente) il consenso antecedentemente prestato.
b) Il nuovo testo del primo comma dell’art. 696 cpc non collega alcuna conseguenza
processuale all’eventuale rifiuto di sottoporsi ad accertamento o ispezione che venga
opposto dalla persona nei cui confronti l’istanza è proposta; anche in ciò il legislatore del
2005 si è conformato alla giurisprudenza costituzionale, che aveva espressamente precisato,
nella già richiamata sentenza 257/96, che “Il consenso liberamente manifestato rispetto a
questo atto di istruzione sulla persona, deve essere quindi acquisito dal giudice prima
dell'emissione del provvedimento, condizionandone l'adozione e non la sola esecuzione,
sicché dall'eventuale diniego, manifestato in questa fase cautelare ed anticipata rispetto
all'eventuale giudizio, non può essere tratto alcun elemento di valutazione probatoria”.
Resta quindi tuttora irrisolto, nonostante la novella del 2005, il nodo dell’asimmetria tra le
conseguenze del rifiuto di sottoporsi ad ispezione o accertamento tecnico
- in sede di istruzione preventiva (nella quale tale rifiuto non ha alcun effetto processuale);
- in sede di giudizio ordinario (nel quale da tale rifiuto, se non sorretto da giusto motivo, il
giudice può desumere argomenti di prova ex artt. 116, secondo comma, e 118, secondo
comma, cpc).
Punto 2).
La modifica di cui al punto 2) supera la tradizionale concezione dell’ATP come mera “fotografia”
(verifica dello stato o della qualità o della condizione) di luoghi e cose introducendo la possibilità,
in sede di accertamento preventivo, di assumere "valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi
all'oggetto della verifica".
Anche sotto questo aspetto il legislatore del 2005 si è collocato in un solco già tracciato dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, ma l’innovazione introdotta
con la previsione che la possibilità che l’accertamento tecnico riguardi "anche valutazioni in
ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica" supera le acquisizioni della
giurisprudenza.
Sull’argomento la Corte Costituzionale era intervenuta con due sentenze interpretative di rigetto,
la 20.2.97 n. 46 e la 22.10.99 n. 388.
Con la sentenza 46/97 si stabiliva che : “La q.l.c. dell'art. 696 comma 1 c.p.c. - proposta sotto il
profilo che la norma, nel prevedere che chi ha urgenza di far accertare lo stato dei luoghi o la
condizione di cose può chiedere un accertamento tecnico preventivo, non consentirebbe di
accertare la causa e l'entità dei danni, in vista di un giudizio di risarcimento, e quindi violerebbe il
principio di uguaglianza e il diritto di agire in giudizio - è inammissibile in riferimento all'art. 3
cost. (in quanto il giudice remittente assume come termine di comparazione una situazione che egli
stesso considera patologica nel processo, in quanto determinata dalla violazione del limite che si
vuole rimuovere) e non è fondata in riferimento all'art. 24 cost. (in quanto la norma deve essere
interpretata nel senso che l'accertamento tecnico comprende tutti gli elementi conoscitivi ritenuti
necessari per le valutazioni che dovranno essere effettuate nel giudizio di merito, e include quindi
ogni acquisizione preordinata alla successiva valutazione, anche tecnica, che in quel giudizio si
dovrà esprimere per determinare la causa del danno e l'entità di esso).
Con la sentenza 388/99 la Corte richiama espressamente la sentenza 46/97 e precisa che
l’interpretazione dell’articolo 696 indicata in tale ultima sentenza - in quanto idonea a consentire
“l'anticipata e tempestiva raccolta di ogni elemento di fatto necessario per il giudizio, anche in
vista della quantificazione del danno” - è sufficiente a salvaguardare l’esigenza costituzionale di
garantire il potere di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e aggiunge: “Nel processo civile
rispondono anche a questa esigenza i procedimenti sommari di istruzione preventiva, diretti a
raccogliere, ancor prima che sia instaurato un giudizio, gli elementi necessari per la formazione
della prova; ciò al fine di evitare che la modifica delle situazioni o gli eventi che si possono
verificare impediscano, poi, la formazione e l'acquisizione della prova nel giudizio di merito. Ma
l'accertamento tecnico preventivo, giustificato da questa finalità cautelare, non deve
necessariamente trasformarsi, perché si realizzi la garanzia del diritto ad ottenere in tempi
ragionevoli una decisione di merito, da atto di istruzione preventiva in sostanziale anticipazione
del giudizio, che verrebbe così ricondotto sino ad esaurirsi nella fase del procedimento sommario.
La Corte di Cassazione, a propria volta, aveva manifestato un indirizzo favorevole alla
conservazione degli accertamenti svolti in sede di ATP, purché risulti rispettato il contraddittorio,
affermando, sulla scorta del principio generale espresso dall’articolo 157 cpc , che eventuali
valutazioni espresse in sede di ATP sull'individuazione delle cause e dell'entità dei danni oggetto di
accertamento devono ritenersi utilizzabili nel giudizio di merito se non sia stata sollevata tempestiva
eccezione di parte. In proposito, tra le altre, vedi Cass. 1.4.04 n. 6390:
“In sede di accertamento tecnico preventivo l'individuazione delle cause e dell'entità del danno
lamentato, disposta "contra legem" dal giudice o effettuata d'iniziativa del consulente, deve
considerarsi "tamquam non esset", poiché, pure in mancanza di specifiche norme sanzionatorie,
siffatto sconfinamento integra una violazione del principio del contraddittorio, sicché una
sanatoria di tale trasgressione è configurabile soltanto quando l'estensione delle indagini sia
avvenuta nel rispetto di quel principio (per il che non è sufficiente la sola notifica di cui all'art. 697
c.p.c., ma è necessaria l'effettiva partecipazione delle parti per un reale e concreto contraddittorio),
ovvero allorché la relazione del consulente sia stata ritualmente acquisita agli atti senza
opposizione delle parti. E’ ritualmente acquisita la relazione rispetto alla quale la parte interessata
non abbia immediatamente eccepito la nullità, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., nella prima istanza
successiva al provvedimento dell'istruttore che ha dichiarato ammissibile il mezzo istruttorio, con
la conseguenza che detta nullità non può essere fatta valere in sede di impugnazione, neppure dalla
parte contumace nel precedente giudizio, atteso che il contumace non è ammesso a compiere
attività oramai precluse, tra le quali rientra l'estinzione per decorso del termine del potere di
deduzione della nullità.
La novella del 2005, codificando il principio della possibilità che il consulente esprima valutazioni
in ordine alle causa e ai danni, rappresenta dunque l’approdo di un processo evolutivo che era già
evidentemente in atto e tendeva a valorizzare, in una prospettiva deflattiva, un istituto che
originariamente non aveva funzioni deflattive, ma strettamente cautelari.
L’introduzione dell’ articolo 696 bis cpc
La legge 80 del 2005 ha introdotto nell'ordinamento l'istituto della consulenza tecnica preventiva ai
fini della composizione della lite.
E’ stato rilevato che, ancorché inserito nel capo terzo del quarto libro del codice, ossia nel capo che
tratta dei procedimenti cautelari, l’istituto in esame non assolve ad una funzione cautelare ma
esclusivamente deflattiva.
Non si richiede infatti, a differenza da quanto previsto nell’articolo 696 cpc, la sussistenza di
ragioni di urgenza. Si tratta dunque di un istituto che tende:
a) o ad evitare una causa, consentendo alle parti di pervenire alla conciliazione della lite
giovandosi della valutazione tecnica di un soggetto qualificato ed imparziale, in quanto
nominato dal giudice nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 191-197 cpc,
espressamente richiamate dall’ultimo comma dell’articolo 696 bis cpc;
b) o - in caso di mancato raggiungimento della conciliazione - ad alleggerire l’istruttoria della
futura causa, la quale sarà introdotta quando sulle questioni di fatto controverse saranno già
state acquisite le necessarie valutazioni tecniche.
Passando all’analisi delle possibili questioni interpretative, vanno evidenziati i seguenti punti.
Punto 1).
L'ambito applicazione dell’istituto è limitato a "l'accertamento e relativa determinazione dei crediti
derivanti dalla mancata esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito".
Non avrei dubbi nell’interpretare l’espressione “crediti derivanti dalla mancata esecuzione di
obbligazioni contrattuali” in senso estensivo, comprendendovi cioè anche i crediti derivanti da
inesatta (e non soltanto “mancata”) esecuzione di obbligazioni contrattuali.
E’ dunque certamente compresa l’intera area dei crediti aventi ad oggetto il risarcimento di danni,
sia in relazione a danni da illecito extracontrattuale che in relazione a danni da illecito
contrattuale; inoltre è compresa l’aera dei crediti che possono formare oggetto di azioni di
adempimento contrattuale e dunque i crediti di prestazioni formanti oggetto di obbligazioni
contrattuali non (o non esattamente) eseguite.
Sottolineo che, dovendo l’accertamento incidere su “crediti derivanti dalla mancata esecuzione di
obbligazioni contrattuali”, non sembrerebbe ammessa la consulenza preventiva per la
quantificazione di crediti contrattuali non ancora scaduti; non mi pare cioè possibile, ad esempio,
il ricorso alla consulenza preventiva per l’appaltatore che, ricevuta dal committente una denuncia
di vizi dell’opera, voglia far accertare il proprio credito per corrispettivo prima ancora della
scadenza del relativo termine di pagamento.
Sono poi esclusi i crediti che non abbiano fondamento né in un contratto, né in un fatto
illecito; si pensi, per fare qualche esempio, ai crediti derivanti da diritti reali, come il diritto del
condomino al rimborso delle spese anticipate perché urgenti (art. 1134), ai crediti derivanti da
status personali (si pensi al diritto dei figli al mantenimento), ai crediti aventi ad oggetto la
ripetizione dell’indebito (per esempio in materia di equo canone); pensando a questa casistica vien
fatto di dire che legislatore è stato forse un po’ “avaro” nella definizione dei limiti dalla consulenza
preventiva.
Punto 2).
Qualche problema nella ricostruzione dell’istituto della consulenza preventiva può sorgere dalla
duplice finalità dell’istituto stesso, che, come abbiamo visto, tende sia alla conciliazione della parti,
sia alla istruzione anticipata della causa che tra le stesse parti si possa instaurare.
A fini conciliativi può infatti essere necessario che il CTU affronti anche questioni di ordine non
esclusivamente tecnico ma anche questioni relative a fatti storici (si pensi alla prova della
tempestività della denuncia di un vizio) o, addirittura, questioni di diritto (si pensi alla validità di
una clausola che sollevi una parte da responsabilità risarcitorie).
A me pare che il Consulente non possa sottrarsi, nell’esperimento del tentativo di conciliazione,
dall’onere di affrontare, nel contraddittorio delle parti, anche tali profili; salvo però, verificato il
fallimento del tentativo di conciliazione, ricondurre l’oggetto della sua relazione alle questioni
meramente tecniche.
Punto 3).
Il procedimento della consulenza preventiva è fissato, tramite il richiamo al terzo comma
dell’articolo 696 cpc, negli artt. 694 e 695 cpc, relativi all’assunzione preventiva della prova
testimoniale.
Il mancato richiamo anche all’articolo 692 non mi pare impedisca di individuare nel primo comma
di quest’ultima disposizione, interpretata analogicamente, la regola attributiva della competenza
(giudice che sarebbe competente per la causa di merito).
Dalla mancata natura cautelare del procedimento discende che al giudice non compete alcuna
verifica in punto di fumus boni iuris, né in punto di periculum in mora.
In sostanza l’interesse alla consulenza tecnica preventiva deve ritenersi in re ipsa e il compito del
giudice mi pare limitato alla verifica della propria competenza, della sussistenza delle condizioni
generali dell’azione, dell’ integrità del contraddittorio e dell’ammissibilità del procedimento
sotto il profilo della sufficiente individuazione della domanda di merito e, quindi, della
riconducibilità di tale domanda nell’ambito di quelle concernenti "l'accertamento e relativa
determinazione dei crediti derivanti dalla mancata esecuzione di obbligazioni contrattuali o da
fatto illecito”.
Punto 4).
L’ultima parte del primo comma dell’articolo 696 bis cpc prevede che il CTU tenti la conciliazione
delle parti prima del deposito della consulenza (ma, evidentemente, dopo aver effettuato le
operazioni peritali, così da poter condurre il tentativo di conciliazione avendo già chiaro il quadro
della situazione).
Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale (sottoscritto dalle parti e dal Consulente, come
si argomenta dall’art. 199 cpc), al quale il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo
esecutivo "ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione
ipotecaria"; in tal modo viene estesa all’intera area della consulenza preventiva la disciplina che,
con riferimento alla CTU, opera soltanto per l’esame contabile (artt. 198 e 199 cpc).
L’espressa previsione della idoneità del verbale di conciliazione a fungere da titolo esecutivo anche
ai fini della esecuzione in forma specifica costituisce deroga alla lettera dell’articolo 612 cpc (che
si riferisce testualmente alla sola “sentenza”) e sostanzialmente codifica quanto già affermato dalla
Corte Costituzionale con la sentenza interpretativa di rigetto 12.7.02 n. 336: “Non è fondata, nei
sensi di cui in motivazione, la q.l.c. dell'art. 612 c.p.c., sollevata, in riferimento agli art. 3, 10, 24,
111 e 113 cost., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevede l'esecuzione degli obblighi
di fare e non fare sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale sotto il controllo del giudice
dell'esecuzione, in quanto - premesso che la conciliazione giudiziale è un istituto preordinato alla
definizione delle liti, che eventuali ragioni ostative all'esecuzione degli obblighi di cui all'art. 612
c.p.c. devono essere valutate non "ex post", e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse
preesistono, in sede di formazione dell'accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e
sotto la cui vigilanza può concludersi solo se la natura della causa lo consente, mentre eventuali
ragioni di ineseguibilità sopravvenute alla conciliazione giudiziale o preesistenti, nel caso di
conciliazione conclusesi al di fuori del controllo del giudice, possono essere oggetto di opposizione
- l'art. 612 c.p.c. può essere letto nel senso che esso consenta il procedimento di esecuzione
disciplinato dalle disposizioni che lo seguono anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale
di conciliazione; una diversa interpretazione negherebbe il valore di accelerazione della
definizione della controversia, che costituisce la principale caratteristica della conciliazione e
comporterebbe un irragionevole seppur parziale sacrificio del diritto di difesa, nonché una
protrazione altrettanto irragionevole dei tempi del processo.
L’esenzione del "processo verbale" di conciliazione dall’imposta di registro, prevista dal quarto
comma dell’articolo in commento, costituisce ulteriore dimostrazione della ratio deflattiva
dell’istituto.
Punto 5).
Il quinto comma dell’articolo 696 bis cpc attribuisce a ciascuna delle parti, in caso di mancata
conciliazione, la facoltà far l’acquisire la relazione del Consulente nel giudizio di merito.
Pur in mancanza di un espresso richiamo, non dubiterei che l’acquisizione della consulenza
preventiva ex art. 696 bis cpc soggiace pur essa alla disciplina dettata dal secondo comma
dell’articolo 698 cpc, con la conseguenza che il giudice del merito dovrà valutare l’ammissibilità e
rilevanza dell’indagine svolta alla luce delle domande effettivamente proposte dalle parti e potrà in
ogni caso disporre la rinnovazione della consulenza.