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LE INDAGINI DELLA P.G. E DELLA DIFESA: POTERI, CONDIZIONI E LIMITI Franco Morizio Vice Comandante del Corpo P.L. di Lecco SESSIONE ORDINARIA Venerdì 18 Settembre, pomeriggio

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LE INDAGINI DELLA P.G. E DELLA DIFESA:POTERI, CONDIZIONI E LIMITI

Franco MorizioVice Comandante del Corpo P.L. di Lecco

SESSIONE ORDINARIAVenerdì 18 Settembre, pomeriggio

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LE INDAGINI DELLA P.G. E DELLA DIFESA:POTERI, CONDIZIONI E LIMITI

Franco MorizioVice Comandante del Corpo P.L. di Lecco

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I SOGGETTI ABILITATI

La normativa vigente sulle investigazioni difensive attribuisce la titolarità del potere investigativo al difensore dell’indagato, o imputato, ai difensori degli altri soggetti processuali della parte civile, ovvero del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, della persona offesa, degli enti esponenziali.

Il requisito essenziale è il conferimento dell’incarico che deve essere necessariamente attribuito con atto scritto.

L’attività investigativa preventiva è, quindi, subordinata al conferimento ad hoc, rilasciato con sottoscrizione autenticata e contenente, oltre alla nomina del difensore, anche l’indicazione dei fatti in relazione ai quali si dovrà investigare.

L’art. 391 nonies c.p.p. sviluppa l’applicazione della fase pre-procedimentale precisando che anche il “difensore che ha ricevuto apposito mandato, per l’eventualità che s’instauri un procedimento penale”, può svolgere un’attività investigativa che si configura, in questo modo, come preventiva.

In tal modo, inoltre, è possibile assicurare un immediato esercizio del potere investigativo del difensore, in tutti i casi è prevista l’apertura di un procedimento penale.

La principale novità, nel tessuto codicistico, è quella riferita alla nuova disciplina organica delle modalità acquisitive di documentazione ed utilizzabilità del materiale probatorio ottenuto.

Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.

La suddetta facoltà può essere attribuita per l’esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione.

Tali attività possono essere svolte altresì su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici.

Quindi, l’azione investigativa spetta in primis al difensore, il quale a sua volta può delegare un sostituto e può inoltre avvalersi di investigatori privati, muniti dell’autorizzazione del Prefetto, che abbiano maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell’attività.

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IL COLLOQUIO NON DOCUMENTALE – LA DICHIARAZIONE SCRITTA LA RICHIESTA DI INFORMAZIONI

Innanzi tutto la Legge disciplina la possibilità per il difensore di acquisire notizie da “persone che sono in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa” (art. 391 bis c.p.p.).

Sono previste tre modalità di acquisizione delle notizie: il colloquio non documentale, finalizzato a verificare e constatare il grado di conoscenza della persona sentita, la richiesta di dichiarazione scritta, e per ultima, la richiesta di informazioni da documentare attraverso un regolare verbale, che dovrà essere redatto secondo le disposizioni e le modalità indicate nell’art. 391 ter c.p.p.

La dichiarazione sottoscritta dal dichiarante, è autenticata dal difensore o da un suo sostituto, che redige una relazione nella quale sono riportati: la data in cui ha ricevuto la dichiarazione, le proprie generalità e quelle della persona che ha rilasciato la dichiarazione, l’attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dal comma 3 dell’articolo 391-bis, i fatti sui quali verte la dichiarazione.

LE REGOLE DA OSSERVARE

In ogni caso, il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone in grado di riferire della propria qualità e dello scopo del colloquio, se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione, dell’obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione, del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla Polizia Giudiziaria o dal Pubblico Ministero e le risposte date, delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione.

Alle persone già sentite dalla Polizia Giudiziaria o dal Pubblico Ministero non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date.

Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, è dato avviso, almeno ventiquattro ore prima, al suo difensore la cui presenza è necessaria.

Se la persona è priva di difensore, il Giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di una difensore di ufficio ai sensi dell’articolo 97 c.p.p., riguardante la nomina del difensore d’ufficio.

La violazione, da parte dei soggetti legittimati all’attività investigativa, di alcune delle procedure sopra indicate, comporta non soltanto l’inutilizzabilità dal punto di vista processuale delle dichiarazioni ricevute e delle informazioni assunte, ma costituisce anche illecito sanzionabile sul piano disciplinare.

E’ bene precisare che all’assunzione delle informazioni non possono assistere né la persona sottoposta alle indagini, né la persona offesa e le altre parti private.

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E’ necessario evidenziare che non possono essere assunti come testimoni, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e tutti coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di Giudice, Pubblico Ministero o loro ausiliario, nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che, in tale ipotesi, hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte.

Per conferire, ricevere o assumere dichiarazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del Giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il Pubblico Ministero; prima dell’esercizio dell’azione penale l’autorizzazione è data dal Giudice per le indagini preliminari mentre durante l’esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza.

Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa esercita la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione, il Pubblico Ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l’audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima.

Tale disposizione non si applica nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento e nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate in un diverso procedimento nelle ipotesi previste dall’articolo 210 c.p.p., riguardante l’esame di persona imputata in un procedimento connesso.

L’audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande.

IL POTERE DI SEGRETAZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO

Il compimento dell’attività investigativa della difesa può incorrere nella limitazione imposta dal cosiddetto potere di segretazione che la Legge attribuisce al Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 391 quinques c.p.p., il quale può vietare con decreto motivato che le persone sentite da lui o dalla Polizia Giudiziaria comunichino i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza, anche se soltanto per un periodo determinato non superiore a due mesi.

Il Pubblico Ministero, nel comunicare tale divieto alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all’indebita rivelazione delle notizie.

LA RICHIESTA DI DOCUMENTAZIONE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Rientra nella facoltà del difensore chiedere documenti in possesso della Pubblica Amministrazione, con la possibilità di estrarne copie a sue spese ai sensi dell’art. 391 quater c.p.p.

L’istanza dovrà essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente.

In caso di rifiuto da parte della Pubblica Amministrazione si applicano le disposizioni degli articoli 367 e 368 c.p.p. riguardanti il primo le memorie e richieste scritte dei difensori al Pubblico Ministero e il secondo i provvedimenti del Giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di sequestro.

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L’ACCESSO AI LUOGHI

Nell’ambito dell’attività investigativa della difesa, rientra anche il potere di accesso ai luoghi, sia pubblici che aperti al pubblico, sia luoghi privati, subordinati al consenso di chi ne ha la disponibilità o all’autorizzazione del Giudice, e di abitazioni e loro pertinenze ed è consentito esclusivamente se è necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato.

Se è necessario accedere a luoghi privati o non aperti al pubblico e non vi è il consenso di chi ne ha la disponibilità, l’accesso, su richiesta del difensore, è autorizzato dal Giudice, con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità.

L’accesso è consentito allo scopo di prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose ovvero per procedere alla loro descrizione o per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi, ai sensi dell’art. 391 sexies c.p.p. Il difensore, il sostituto e gli ausiliari, precedentemente indicati, possono redigere un verbale nel quale sono riportati la data ed il luogo dell’accesso, le proprie generalità e quelle delle persone intervenute, la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose, l’indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell’atto e sono allegati al medesimo; tale verbale verrà poi sottoscritto dalle persone intervenute.

LE DICHIARAZIONI - LE INFORMAZIONI LE ATTIVITÀ COMPIUTE IN OCCASIONE DELL’ACCESSO AI LUOGHI

Le dichiarazioni rilasciate da persone in grado di riferire circostanze utili, oltre ad essere sottoscritte dal dichiarante dovranno essere autenticate dal difensore, o da un suo sostituto, il quale ha l’onere di redigere una relazione nella quale devono essere riportate le informazioni elencate nell’art. 391 ter c.p.p.

Le informazioni raccolte dal difensore devono essere documentate attraverso un regolare verbale, che deve essere compilato secondo le regole generali dettate dal codice in materia di verbalizzazione e indicate nel titolo III, del libro II del c.p.p.

Le attività compiute in occasione dell’accesso ai luoghi devono essere documentate mediante verbale, nel quale i soggetti che hanno effettuato l’accesso devono riportare le proprie generalità, la data e il luogo di accesso, la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose e, infine, l’indicazione dei rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eventualmente eseguiti.

IL FASCICOLO DEL DIFENSORE

La documentazione degli atti di investigazione difensiva viene poi inserita, in originale o in copia, in un fascicolo del difensore, che viene conservato presso l’ufficio del Giudice delle indagini preliminari, a conclusione delle quali va a confluire nel fascicolo del Pubblico Ministero.

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Nel fascicolo del difensore, che rappresenta una delle novità più significative della disciplina, vengono, quindi, inseriti gli elementi di prova e gli elementi difensivi dichiarativi e documentali presentati dal difensore a favore del proprio assistito.

Inoltre, vi confluiscono anche i verbali degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore ai sensi dell’art. 360 c.p.p. e la documentazione relativa agli stessi, quando essi siano compiuti ai sensi dell’art. 391 decies, comma 2, c.p.p. ed il Pubblico Ministero abbia esercitato la facoltà di assistervi.

GLI ELEMENTI DI PROVA PRESENTATI DAL DIFENSORE

Nel corso delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare, quando il Giudice deve adottare una decisione con l’intervento della parte privata, il difensore può presentargli direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito.

In particolare, i dati acquisiti a seguito dell’investigazione difensiva possono essere presentati all’organo giurisdizionale in tutte le occasioni in cui, nel corso delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare, debba adottare una decisione con la partecipazione della parte privata, ad esempio durante il procedimento di riesame da parte del tribunale di un’ordinanza che disponga una misura coercitiva, oltreché nell’ipotesi in cui non sia prevista la partecipazione della parte assistita.

Ai sensi dell’art. 391 octies c.p.p. il Giudice deve tener conto degli elementi di prova e degli elementi difensivi dichiarativi e documentali presentati da parte del difensore.

Risulta, a tale proposito, rilevante che l’ordinanza che dispone una misura cautelare è nulla se non contiene anche una valutazione degli elementi a favore dell’indagato, che risultino dalle attività investigative del difensore ex art. 327 bis c.p.p. In quali termini, però, sono utilizzabili le investigazioni difensive nella fase dibattimentale?

In primo luogo è necessario ricordare che il fascicolo del difensore è inserito nel fascicolo del Pubblico Ministero al termine delle indagini preliminari.

Con l’art. 391 decies c.p.p., il legislatore ha, poi, espressamente riconosciuto l’utilizzabilità delle dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore ex artt. 500, 512 e 513 c.p.p., equiparandole a quelle raccolte dal Pubblico Ministero.

Le dichiarazioni possono essere poi utilizzate, ai fini delle contestazioni, nell’esame testimoniale e per effettuarne la lettura nelle ipotesi in cui ne sia divenuta impossibile la ripetizione.

E’ previsto, inoltre, l’inserimento nel fascicolo del dibattimento della documentazione degli atti cosiddetti irripetibili compiuti dal difensore in occasione dell’accesso ai luoghi e attinenti a situazioni obiettive suscettibili, per la loro natura, di subire modificazioni.

La restante documentazione presentata dalla difesa può, infine, essere qualificata ed acquisita nel dibattimento come prova documentale ex art. 234 c.p.p.

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CONCLUSIONI

A questo punto viene spontanea una domanda: la difesa ha pari dignità e pari poteri rispetto alla pubblica accusa nella raccolta delle prove?

Personalmente vorrei evidenziare alcune mie perplessità rappresentate dal limitato tipo di prove che il difensore può assumere in quanto, ad esempio, non può chiedere intercettazioni telefoniche, dalla limitatezza degli atti di indagine posti a sua disposizione, quasi sempre subordinati al consenso degli interessati o all’autorizzazione del Magistrato e dai difficili rapporti con la Pubblica Amministrazione per l’acquisizione dei documenti, a causa di resistenze burocratiche della stessa e della necessità di superare il silenzio della P.A. soltanto rivolgendosi al Pubblico Ministero, affinché eserciti i suoi poteri coercitivi. Almeno in linea di principio, il Giudice è obbligato a tener conto, nelle proprie decisioni, non soltanto degli atti del Pubblico Ministero, ma anche degli elementi di prova raccolti dal difensore nell’ambito della propria attività investigativa; il difensore, infatti, non deve più necessariamente limitarsi alla scoperta degli elementi favorevoli al proprio assistito, mediante investigazioni meramente esplorative o conferendo con persone in grado di fornire informazioni, ma condivide con il Pubblico Ministero la diretta acquisizione dei dati probatori.

L’intero intervento normativo sembra essersi mosso sullo sfondo dei poteri assegnati alla pubblica accusa, attribuendone la titolarità anche al difensore.

D’altra parte, il legislatore ha fatto salvo uno dei principi informatori del codice di procedura penale, ossia il principio del libero convincimento del Giudice, inteso come libertà del Giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente apprezzamento, con l’obbligo di dar conto in motivazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti.

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LA POLIZIA GIUDIZIARIA E L’ASSICURAZIONE DELLE FONTI DI PROVA

Parliamo delle principali funzioni della Polizia Giudiziaria sancite dall’art. 55 c.p.p., nella fattispecie dell’assicurazione delle fonti di prova.

Le cosiddette prove sono insufficienti quando, durante le fasi del giudizio, l’accusa non è in grado di dimostrare la colpevolezza dell’imputato, rendendo concreto così uno standard probatorio e di giudizio che riconduce alla sussistenza del “ragionevole dubbio”.

L’art. 530 c.p.p. evidenzia che se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.

Inoltre, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria “la prova” che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.

Con il termine “consenso della comunità scientifica” intendiamo il riconoscimento di credibilità di una tesi sostenuta, di un’opinione espressa o di una linea difensiva od accusatoria seguita, dovuto al fatto che la comunità scientifica ha avvalorato ciò che si sta cercando di affermare e dimostrare nel dibattimento.

Per “criterio di affidabilità della prova scientifica” intenderemo invece il consenso diffuso della comunità scientifica, del supporto empirico, della pubblicazione su riviste scientifiche con revisione dei pari, dell’esplicitazione del tasso di errore e della pertinenza della prova al caso.

Il raggiungimento alla condanna dell’imputato, da parte del giudice deve essere fondato, su una convinzione incrollabile, una certezza schiacciante, con il giusto convincimento di colpevolezza, proprio mediante “le prove”.

Le scienze forensi rappresentano l’applicazione della scienza al diritto, con l’impiego delle conoscenze scientifiche e tecnologiche a fini processuali, attraverso l’analisi della scena del crimine, quale fonte primaria di informazioni scientifiche necessarie per la costruzione delle prove in dibattimento.

Dopo un’attenta lettura dell’art. 55 c.p.p. dobbiamo affermare che la Polizia Giudiziaria ha un obbligo ben preciso (la norma, denota carattere di obbligatorietà, è perentoria e non dice “ha facoltà, può”); deve anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale, precisando che il Pubblico Ministero dirige le indagini e dispone direttamente della Polizia Giudiziaria.

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Ricordo inoltre che, a norma dell’art. 327 c.p.p., la Polizia Giudiziaria, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa.

Proprio dopo questa attenta lettura dell’art. 55 c.p.p. possiamo sostenere che per attività di informazione della Polizia Giudiziaria intendiamo l’acquisizione e la comunicazione della notizia di reato al Pubblico Ministero, per attività di investigazione la ricerca delle fonti di prova, per attività di assicurazione mantenere le fonti di prova, per attività esecutiva e strumentale assicurare lo svolgimento dei compiti di Polizia Giudiziaria e attuare quindi i provvedimenti adottati dall’Autorità Giudiziaria.

Ai sensi dell’art. 187 c.p.p. sono “oggetto della prova” i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza.

Per “mezzi di prova” si intendono i confronti, i documenti, l’esame delle parti, gli esperimenti giudiziali, la perizia, le ricognizioni e la testimonianza.

Alla Polizia Giudiziara è consentita, ai sensi dell’art. 234 c.p.p., l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.

I “mezzi di ricerca” delle prove vengono individuati nelle intercettazioni, nelle ispezioni, nelle perquisizioni, nei sequestri.

La redazione della documentazione della Polizia Giudiziaria è un obbligo previsto dall’art. 357 comma 2/e c.p.p.

La Polizia Giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova.

La Polizia Giudiziaria dovrà procedere, inoltre, alla redazione dei seguenti atti:

a) denunce, querele e istanze presentate oralmente;

b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini;

c) informazioni assunte, a norma dell'articolo 351;

d) perquisizioni e sequestri;

e) operazioni e accertamenti previsti dagli articoli 349, 353 e 354;

f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il Pubblico Ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini.

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Tale documentazione dovrà essere posta a disposizione del Pubblico Ministero, ai sensi degli artt. 357 comma 4.

Infine, la documentazione citata, dovrà essere depositata in copia agli atti della Polizia Giudiziaria a norma dell’art. 115 delle norme di attuazione del c.p.p.

L’inizio dell’attività a iniziativa della Polizia Giudiziaria coincide con l’acquisizione della notizia di reato.

La Polizia Giudiziaria “senza ritardo” dovrà riferire al Pubblico Ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali dovrà trasmettere la relativa documentazione; nei casi d’urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente al Pubblico Ministero, anche in forma orale.

Alla comunicazione orale dovrà seguire, senza ritardo, quella scritta, corredata della documentazione.

Nella notizia di reato, quando è possibile, dovranno essere precisate le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell'atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari.

Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la Polizia Giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell'articolo 55 c.p.p. raccogliendo, nella fattispecie, ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole.

Contestualmente procederà mediante alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi, alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti

Nell’ipotesi di compimento di atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, la Polizia Giudiziaria, che opera di propria iniziativa o a seguito di delega del Pubblico Ministero, potrà avvalersi di persone idonee, che non possono rifiutare la propria opera.

La Polizia Giudiziaria dovrà procedere alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti a norma dell’art. 349 c.p.p..

Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti (se tali accertamenti comportano il prelievo di

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capelli o saliva e manca il consenso dell'interessato, la Polizia Giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del Pubblico Ministero- art. 349 2- bis c.p.p. ).

La persona accompagnata presso gli uffici della Polizia Giudiziaria potrà essere trattenuta per il tempo strettamente necessario per l’identificazione e comunque non oltre le dodici ore, previo avviso anche orale al Pubblico Ministero; non oltre le ventiquattro ore, nel caso in cui l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra, nel caso specifico, l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare oppure un convivente.

Dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è stato compiuto è data immediata notizia al Pubblico Ministero il quale, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste, ordina il rilascio della persona accompagnata.

Al Pubblico Ministero è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell'ora in cui esso è avvenuto.

Gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria, inoltre, assumono sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto o di fermo a norma dell'articolo 384 c.p.p.; prima di assumere le sommarie informazioni, la Polizia Giudiziaria dovrà invitare la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, provvederà a norma dell'articolo 97 comma 3.

Tali sommarie informazioni saranno assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la Polizia Giudiziaria dovrà dare tempestivo avviso; nella citata ipotesi il difensore avrà l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto (se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la Polizia Giudiziaria richiede al Pubblico Ministero di provvedere a norma dell'articolo 97, comma 4).

Ricordo che, sul luogo o nell'immediatezza del fatto, gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o fermata a norma dell'articolo 384 c.p.p., notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini (delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto, a norma del comma 5 dell’art. 350 c.p.p., è vietata ogni documentazione e utilizzazione).

La Polizia Giudiziaria potrà altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall'articolo 503 comma 3 c.p.p.).

Inoltre, la Polizia Giudiziaria potrà assumere sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini.

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Gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria, nella flagranza del reato o nel caso di evasione, procederanno a perquisizione personale o locale quando hanno fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse, ovvero che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l'evaso.

La Polizia Giudiziaria trasmette senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al Pubblico Ministero del luogo dove la perquisizione è stata eseguita il verbale delle operazioni compiute.

Il Pubblico Ministero, se ne ricorrono i presupposti, nelle quarantotto ore successive, convaliderà la perquisizione.

Gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del Pubblico Ministero.

Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose, procedendo, ove occorra o si rendesse necessario, mediante il sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti.

Ricordo a tal proposito che nei casi di particolare necessità e urgenza, gli atti previsti dagli artt. 352 e 354 commi 2 e 3 c.p.p. (sequestro e perquisizione) possono essere compiuti anche dagli Agenti di Polizia Giudiziaria (Art.113 norme di attuazione c.p.p. -Accertamenti urgenti della polizia giudiziaria 1. Nei casi di particolare necessità e urgenza, gli atti previsti dagli artt. 352 e 354 commi 2 e 3 del Codice possono essere compiuti anche dagli agenti di polizia giudiziaria).

Tra gli obblighi della Polizia Giudiziaria troviamo il congelamento della scena del delitto, che viene attuato, in primo luogo, mediante l’isolamento della scena del crimine, impedendo l’accesso alle persone non autorizzate allo scopo di evitare possibili contaminazioni dell’area.

In questo casi è consigliabile nominare un responsabile, con compiti e funzioni di controllo della situazione, di collegamento tra i diversi soggetti e di costante verifica.

I rilievi sulla scena del delitto consistono in una serie di attività tecniche di diversa natura, classificabili in:

Rilievi descrittivi, che iniziano dall’individuazione dell’area d’interesse operativo dove sarà possibile individuare tracce (ad esempio: mozziconi di sigarette, impronte di pneumatici,…).

L’altro grosso filone d’attività facente parte dei rilievi descrittivi consiste dell’osservazione finalizzata all’individuazione degli elementi suscettibili di mutamento, dei quali si dovrà accuratamente prendere nota.

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In ambiente aperto si dovrà tenere conto delle condizioni atmosferiche, di visibilità e di traffico. In ambiente chiuso si dovrà tenere conto di odori particolari, pavimenti bagnati, posizione degli interruttori, finestre e persiane, porte e chiavi, cestini e pattumiere, asciugamani e cassetta della posta.

In un veicolo da rimuovere, ad esempio, si dovrà tenere conto dello stato del motore, della leva del cambio, del cronotachigrafo, dei dispositivi di illuminazione, della leva del freno e della presenza di tracce od oggetti a bordo del veicolo stesso.

L’osservazione deve avvenire in un determinato ordine e la descrizione deve essere effettuata secondo precise modalità.

Di ogni cosa presente dovranno, infine, rilevarsi le caratteristiche, lo stato di conservazione ed eventuali altre particolarità;

Rilievi fotografici, che dovranno effettuarsi, nell’immediato, nei casi più complessi, per fissare al meglio lo stato dei luoghi e visualizzare dove e come è stato commesso il reato.

La tecnica fotografica possiede un alto valore probatorio e consente eventuali ingrandimenti di dettagli sfuggiti ad una prima osservazione.

L’area interessata deve essere fotografata da più punti di osservazione, secondo una successione logica che consenta una ricostruzione di tipo panoramico dell’intera scena del crimine.

Naturalmente, le tecniche fotografiche sono differenti in funzioni dell’oggetto o del cadavere da fotografare.

Infine, può risultare utile la ripresa con una videocamera dell’intera scena del crimine per fornire una visione alternativa dello stato dei luoghi ed anche una documentazione delle modalità con cui si è operato.

Non bisogna mai dimenticare che i rilievi fotografici presentano spesso difficoltà di rapportare la dimensione di un oggetto o di una traccia: per questa ragione, specialmente di fronte a piccoli oggetti o piccole tracce, si è soliti posizionare un righello, in modo tale che sia visibile nella fotografia o nella ripresa;

Rilievi planimetrici, che seguono, nell’ordine, i precedenti rilievi e consistono nella riproduzione su supporto cartaceo di quanto precedentemente rilevato, ponendo gli oggetti e le tracce nell’esatta posizione rispetto alla scena del crimine, attraverso misurazioni secondo il sistema degli assi cartesiani od il sistema delle triangolazioni.

Sulla scena del crimine si è soliti prendere attentamente tutte le misure e riportarle sullo schizzo planimetrico definito schizzo speditivo che, successivamente, sarà sostituito graficamente con la planimetria finale;

Rilievi personali, che sono finalizzati ad individuare tracce od altri effetti che il reato ha lasciato sulla persona o che la persona ha lasciato sul luogo del reato.

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Dovendo trattare l’argomento concernente l’attività delegata da parte del Pubblico Ministero alla Polizia Giudiziaria è necessario obbligatoriamente fare riferimento all’art. 370 c.p.p. nel quale viene precisato che il Pubblico Ministero compie personalmente ogni attività di indagine e può avvalersi della Polizia Giudiziaria per l’esecuzione di attività specificatamente delegate.

In questo caso parliamo delle fattispecie rappresentate dall’art. 247 c.p.p., riguardante il caso e le forme delle perquisizioni, dove specificatamente ai commi 2 e 3, viene indicato che l’Autorità Giudiziaria può, con decreto motivato, procedere personalmente o avvalersi proprio dell’Ufficiale di Polizia Giudiziaria, appositamente delegato, per il compimento dell’atto.

Si precisa inoltre che, per quanto concerne il sequestro, potrà procedere personalmente il Pubblico Ministero ovvero un Ufficiale di Polizia Giudiziaria, delegato sempre mediante apposito decreto, a norma dell’art. 253 comma 3 c.p.p.

Altra attività delegata, indicata al comma 1 dell’art. 370, è quella riferita all’interrogatorio, cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l’assistenza obbligatoria del difensore.

Con il termine di interrogatorio intendiamo “Un processo di valutazione di un sospetto, di una vittima o di un testimone, attraverso la proposta di opportune domande, al fine di trarre informazioni o correlare dati che possono essere utilizzati per la soluzione di un delitto”

(Picozzi e Zappalà)

“Gli elementi essenziali che devono emergere da un interrogatorio sono quelli finalizzati ad ottenere delle confessioni o delle prove riguardo al reato commesso e a riscontrare fatti emergenti da altre fonti di prova”

(Gaetano De Leo)

L’interrogatorio di Polizia, deve essere eseguito nel rispetto delle regole generali, in forma libera, cosciente e volontaria.

Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti.

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Il diritto alla difesa invece è sancito dall’art. 24 della Costituzione, il quale stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e che sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione; concetto ripreso nell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dove, nella fattispecie, si parla di diritto ad un processo equo e di diritto alla difesa.

L’art. 14 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici ribadisce i concetti di giusto processo, di diritto alla difesa e il diritto dell’indagato di non autoincriminarsi.

Quando parliamo di interrogatorio possiamo affermare quindi che lo stesso deve essere condotto secondo le regole sancite dall’art. 64 c.p.p. e cioè che la persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare o se detenuta per altra causa, interviene libera all’interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze previste dall’art. 474 c.p.p.; che non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti, meglio specificate nell’art. 188 c.p.p.; che, prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:

a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;

b) salvo quanto disposto dall’articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;

c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’articolo 197 e le garanzie di cui all’articolo 197-bis.

L’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b) appena citate, renderanno inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata.

In mancanza dell’avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l’ufficio di testimone.

Durante l’interrogatorio, a norma dell’art. 65 c.p.p., la Polizia Giudiziaria contesterà alla persona sottoposta alle indagini, in forma chiara e precisa il fatto che le è attribuito, rendendo noti gli elementi di prova esistenti contro la stessa e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, dovrà comunicarne le fonti, invitando, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa ponendole direttamente le domande.

Se la persona rifiuterà di rispondere, dovrà esserne fatta menzione nel verbale, a norma dell’art. 134 c.p.p; nel verbale dovrà essere fatta anche menzione, quando occorre, dei connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona.

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Dovranno essere inoltre rispettate le procedure concernenti la nomina e l’assistenza del difensore dettate dagli artt. 364 e 365 c.p.p.; la presenza del difensore all’interrogatorio delegato sarà quindi obbligatoria, pena la nullità dell’atto.

Per il corretto compimento degli atti, concernenti l’invito a presentarsi, ricordo che lo stesso dovrà essere notificato alla persona sottoposta alle indagini, almeno tre giorni prima della data prestabilita per l’interrogatorio; l’atto dovrà inoltre avere i requisiti di cui all’art. 375 c.p.p. e dovrà obbligatoriamente contenere le generalità o le altre indicazioni personali che valgono ad identificare la persona sottoposta alle indagini, oltre all’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo della presentazione, nonché l’autorità davanti alla quale la persona si dovrà presentare.

Inoltre, nell’atto dovranno essere indicate alcune precisazioni riguardanti: l’avvertimento che il Pubblico Ministero potrà disporre, a norma dell’art. 132 c.p.p., l’accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto un legittimo impedimento; la sommaria enunciazione del fatto, quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute, con specifica dei fatti contestati e dei reati commessi, comprese le aggravanti; l’avviso per l’indagato che lo stesso ha facoltà di presentarsi con una memoria scritta da allegare al verbale di interrogatorio: in tale caso si dovrà raccomandare di narrare i fatti con sintesi e in ordine cronologico precisando data, ora e luogo del fatto e di trascurare particolari inutili e di non usare termini generici come ingiurie, minacce, senza precisare ad esempio le parole offensive, le parole o i gesti di minaccia, gli artifici, i raggiri, precisando che l’indagato che voglia citare persone informate, debba presentarsi con l’elenco di tali persone, se conosciute, con le generalità usando una scrittura chiara, facilmente leggibile con l’utilizzo di fogli con ampi margini.

L’indagato verrà invitato ad esporre quanto ritenuto utile a propria difesa, con l’avvertenza che:

le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; salvo quanto disposto dall’art. 66/1° comma c.p.p., ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda; il procedimento seguirà il suo corso anche se si avvarrà della facoltà di non rispondere; se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la propria responsabilità non potrà assumere in ordine a tali fatti l’ufficio di testimone; se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’art. 197 c.p.p. nonché le garanzie di cui all’art. 197/bis c.p.p..

Per la redazione del relativo verbale di interrogatorio, da parte della Polizia Giudiziaria, dovranno essere rispettante le procedure indicate negli artt. 134 - 135 – 136 c.p.p. e le altre disposizioni contenute nel Titolo III del c.p.p.

A norma dell’art. 366 c.p.p., salvo quanto previsto da specifiche disposizioni, l’atto di interrogatorio compiuto dalla Polizia Giudiziaria, al quale il difensore ha diritto di assistere, viene depositato presso la segreteria del Pubblico Ministero entro il terzo

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giorno successivo al compimento dell’atto, con facoltà per il difensore di esaminarlo ed estrarne copia nei cinque giorni successivi.

A richiesta del difensore di fiducia e in caso di rinuncia al deposito, copia del verbale dell’interrogatorio potrà essere consegnata alla parte facendone espressa menzione nell’atto.

Durante l’interrogatorio potranno essere poste domande con una successione a tunnel, quando si vuole ottenere una risposta certa e non evasiva (un orario, una data, la conferma della presenza di determinate persone); ad imbuto, con una serie di domande consequenziali e restrittive sull’argomento trattato (dove si trovava a quell’ora, cosa ha visto, chi ha visto, dove di preciso lo ha visto); ad imbuto rovesciato, con una serie di domande dapprima chiuse e poi aperte (chi ha causato il maltrattamento, per quale motivo ha aggredito la persona, come mai si trovava alla stazione); a sequenza di domande aperte/chiuse, domande che hanno la finalità di verificare la prova delle difese della persona (per quale motivo ha maltrattato la persona, convive o meno con la persona maltrattata).

Voglio evidenziare anche che, per quanto precisato negli artt. 347 e 348 c.p.p., anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la Polizia Giudiziaria deve continuare a svolgere le funzioni indicate nell’art. 55 e cioè deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova a norma dell’art. 348 c.p.p. e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della Legge Penale secondo le disposizioni dell’art. 326 c.p.p., nel quale viene disposto che sia il Pubblico Ministero che la Polizia Giudiziaria svolgono, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole.

Per quanto indicato la Polizia Giudiziaria dovrà obbligatoriamente concorrere alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi e alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Dopo l'intervento del Pubblico Ministero, la Polizia Giudiziaria dovrà compiere gli atti ad essa specificamente delegati a norma dell'articolo 370 c.p.p., eseguire le direttive ed inoltre svolgere di propria iniziativa, informandone prontamente il Pubblico Ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati o elementi successivamente emersi, assicurandone le nuove fonti di prova.

La Polizia Giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del Pubblico Ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, potrà avvalersi, anche in questo caso, di persone idonee, le quali non potranno rifiutare la propria opera.

Il Pubblico Ministero potrà inoltre delegare all’Ufficiale di Polizia Giudiziaria le perquisizioni locali; all’atto di iniziare le operazioni, copia del decreto di perquisizione locale dovrà essere consegnata all’imputato, se presente, e a chi abbia l’attuale

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disponibilità del luogo, con l’avviso della facoltà di farsi rappresentare o assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma degli artt. 120 – 356 e 365 c.p.p..

Se mancano le persone sopra indicate la copia del decreto dovrà essere consegnata e l’avviso sarà rivolto ad un congiunto, ad un coabitante o ad un collaboratore ovvero in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci.

L’Autorità Giudiziaria, nel procedere alla perquisizione locale, potrà disporre con decreto motivato che siano perquisite, a norma dell’art. 247 c.p.p., le persone presenti o sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del reato o cose pertinenti al reato.

Può inoltre ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse.

L’oggetto e le formalità del sequestro, conseguente a perquisizione, sono specificati negli artt. 252 e 253 c.p.p., dove viene espressamente indicato che le cose rinvenute a seguito della perquisizione sono sottoposte a sequestro con l’osservanza delle prescrizioni degli artt. 259 e 260 c.p.p., concernenti la custodia e l’apposizione dei sigilli alle cose sequestrate e che l’Autorità Giudiziaria dispone con Decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti allo stesso, necessarie per l’accertamento dei fatti; sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo; al sequestro procede personalmente l’Autorità Giudiziaria ovvero un Ufficiale di Polizia Giudiziaria, delegato con lo stesso decreto, copia del quale dovrà essere consegnata all’interessato, se presente.

Una stretta sinergia, utile, necessaria e indispensabile; una cooperazione tra Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria che dovrà essere alla base dei procedimenti citati con lo scopo di compiere, alla presenza di certezza di reato, tutti gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della Legge penale.

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Prima di affrontare l’argomento concernente l’omissione o il ritardo, da parte della Polizia Giudiziaria, nel riferire all’Autorità Giudiziaria in merito ai reati di cui è venuta a conoscenza e delle conseguenti responsabilità penali e disciplinari dei pubblici Ufficiali, vorrei illustrare brevemente la differenziazione tra pubblici ufficiali, incaricati di un pubblico servizio e esercenti un servizio di pubblica necessità.

Agli effetti della legge penale, sono pubblici Ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

La nozione di pubblico ufficiale è ben definita nell’art. 357 c.p.

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

“La qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'art. 357 c.p. (come modificato dalle leggi 86/1990 e 181/92), deve esser riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, possono e debbono - quale che sia la loro posizione soggettiva - formare e manifestare, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, la volontà della p.a., ovvero esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati”. (Cassazione penale 7 giugno 2001)

“Un rapporto di subordinazione o di dipendenza con l’Ente pubblico non è conditio sine qua non per l'attribuzione dello status di pubblico ufficiale” (Cass. Pen., sez. II, 90/186992)

Sono invece incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.

Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

Sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi.

Dobbiamo allora affermare che, nella fattispecie per il combinato disposto degli artt. 334 c.p.p. (referto) e 365 c.p. (omissione di referto), chi ha l'obbligo del referto (colui che esercita una professione sanitaria), deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al Pubblico Ministero o a qualsiasi Ufficiale di Polizia Giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di Polizia Giudiziaria più vicino.

Nel referto deve essere indicata la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a

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identificarla nonchè il luogo, il tempo e le altre circostanze dell'intervento; devono inoltre essere indicate le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.

Ricordo che, chiunque nell’esercizio di una professione sanitaria, avendo prestato la propria assistenza od opera, in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361 c.p., è punito con la multa fino a euro 516,00.

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

Parimenti sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità anche i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della Pubblica Amministrazione.

Dopo aver sinteticamente evidenziato la diversificazione tra pubblici Ufficiali, incaricati di un pubblico servizio ed esercenti un servizio di pubblica necessità, oggi vorrei soffermarmi unicamente sui reati per i pubblici Ufficiali, previsti dal codice penale e dalle disposizioni di attuazione del c.p.p., riguardanti l’omissione o il ritardo nel riferire e trasmettere gli atti al Pubblico Ministero, l’omissione o ritardo nell’esecuzione di un ordine dell'Autorità Giudiziaria oppure l’eseguire soltanto in parte o negligentemente l’ordine dell’Autorità Giudiziaria, l’obbligo del segreto d’ufficio e la rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, la rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.

Dove troviamo l’obbligo di riferire all’autorità Giudiziaria?

L’obbligo di riferire la notizia di reato è sancito dall’art. 347 c.p.p. il quale prevede che, acquisita la notizia di reato, la Polizia Giudiziaria senza ritardo riferisce al Pubblico Ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione.

Il delitto di omessa denuncia di reato, da parte del pubblico ufficiale, è sancito dall’art. 361 c.p. il quale prevede per coloro i quali omettono o ritardano di denunciare all'Autorità Giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni è punito con la multa da 30 euro a 516 euro. La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di Polizia Giudiziaria, che hanno avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.

E’ necessario precisare che le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.

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Di tutt’altra specie è il reato di rifiuto di atti d’ufficio previsto dall’art. 328 c.p., così come modificato dall’art. 16 della Legge 26.04.1990, n. 86; il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032,00.

Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

“Il reato di omissione di atti di ufficio, punito dall'art. 328 comma 2 c.p. integra un delitto plurioffensivo, nel senso che lede, oltre all'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della p.a., anche il concorrente interesse del privato, leso dall'omissione o dal ritardo dell'atto amministrativo dovuto.

Tale norma, infatti, da un lato presuppone una richiesta presentata da un soggetto che vi abbia interesse, in quanto titolare di una situazione giuridica qualificata come diritto soggettivo o interesse legittimo e, dall'altro, tutela l'aspettativa dell'istante ad ottenere il provvedimento richiesto o in alternativa, la comunicazione dei motivi del ritardo o della mancata adozione del provvedimento.

Ne consegue che il richiedente interessato riveste la posizione di persona offesa dal reato, tutelata dalle garanzie procedimentali previste dagli art. 408-410 c.p.p”. (Cassazione 12 novembre 2002 n.5376)

A norma dell’art. 16 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., sono inoltre previste specifiche sanzioni disciplinari per gli Agenti e per gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria che, senza giustificato motivo, omettono di riferire, nel termine previsto, all'autorità giudiziaria la notizia del reato, che omettono o ritardano l'esecuzione di un ordine dell'autorità giudiziaria o lo eseguono soltanto in parte o negligentemente o comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all'esercizio delle funzioni di Polizia Giudiziaria; gli stessi sono soggetti alla sanzione disciplinare della censura e, nei casi più gravi, alla sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi.

Fuori dalle trasgressioni, meglio sopra indicate, gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dai propri ordinamenti.

L’art. 329 c.p.p. prevede l’obbligo del segreto; gli atti d'indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

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Come sopra indicato, anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto, il Pubblico Ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato:

a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone;

b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni.

Inoltre, quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il Pubblico Ministero può, in deroga a quanto previsto dall'art. 114 c.p.p, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi (art. 114 c.p.p. - Divieto di pubblicazione di atti e di immagini . È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto).

In tale ipotesi, gli atti pubblicati vengono depositati presso la segreteria del pubblico ministero.

L’art. 326 c.p. prevede specifiche sanzioni penali nei confronti del pubblico ufficiale o della persona incaricata di un pubblico servizio, inerenti la rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.

Tali soggetti che violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della loro qualità, rivelano notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevolano in qualsiasi modo la conoscenza, sono punite con la reclusione da sei mesi a tre anni (se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno).

Inoltre, nell’ipotesi che il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, la pena prevista è la reclusione da due a cinque anni (Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni).

Mentre l’art. 379-bis prevede le pene per coloro i quali commettono il reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale; salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno (la stessa pena si applica alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal Pubblico Ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies del codice di procedura penale).��