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di Biagio Coscia Q uando si pensa a un certo modo di cantare, a uno stile inconfondibile, i nomi che vengono in mente sono po- chi. Se poi uno degli elementi è il Golfo di Napoli, allora il primo nome che viene in mente è quello di Eduardo De Crescenzo. Incontriamo il cantante qualche settimana prima dell’atteso concerto del 9 aprile al Palapartenope dove si esibirà accom- pagnato da una band “all stars”. Partiamo dalla fine, se è d’accordo. Perché cantare il suo repertorio filtrandolo attraverso il jazz? La fine e l’inizio sono sempre sulla stessa linea di confine. Se la musica classica mi ha insegnato la grammatica e mi ha fatto capire cosa volevo fare, il jazz è la lingua musicale che mi ha fatto capire come lo volevo fare. Se la parte melodica della mia voce è tutta italiana, o greca, per andare tanto più indietro, fino al melos, la parte ritmica si è formata di sicuro ascoltando gli afro-americani. Con “Essenze Jazz” vado a rivivere proprio questa parte di me. Oggi, certo, non mi interessa  tanto la capacità tecnica di riuscire a riprodurre gli sche- mi che ci sono stati regalati e tramandati dai grandi neri d’America. Mi piace, piuttosto, sentire che cosa hanno prodotto in me. È la voce il suo strumento principale. Un’estensione e una timbrica decisamente Sonorità/1 L’artista Le Essenze Jazz di Eduardo De Crescenzo SUL PALCOSCENICO DEL PALAPARTENOPE ARRIVA LA MUSICA RICERCATA DEL CANTAUTORE PIÙ AMATO, IN TOURNÉE CON UNA BAND “STELLATA”.

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di biagio coscia

Q uando si pensa a un certo modo dicantare, a uno stile inconfondibile, inomi che vengono in mente sono po-

chi. Se poi uno degli elementi è il Golfo di Napoli,allora il primo nome che viene in mente è quellodi Eduardo De Crescenzo. Incontriamo il cantantequalche settimana prima dell’atteso concerto del9 aprile al palapartenope dove si esibirà accom-pagnato da una band “all stars”. partiamo dalla fine, se è d’accordo. perchécantare il suo repertorio filtrandolo attraversoil jazz?

La fine e l’inizio sono sempre sulla stessa linea diconfine. Se la musica classica mi ha insegnato lagrammatica e mi ha fatto capire cosa volevo fare,il jazz è la lingua musicale che mi ha fatto capirecome lo volevo fare. Se la parte melodica dellamia voce è tutta italiana, o greca, per andare tantopiù indietro, fino al melos, la parte ritmica si èformata di sicuro ascoltando gli afro-americani.Con “Essenze Jazz” vado a rivivere proprio questaparte di me. Oggi, certo, non mi interessa  tantola capacità tecnica di riuscire a riprodurre gli sche-mi che ci sono stati regalati e tramandati dai grandineri d’America. mi piace, piuttosto, sentire checosa hanno prodotto in me.È la voce il suo strumento principale.un’estensione e una timbrica decisamente

Sonorità/1 L’artista

Le Essenze Jazzdi Eduardo De CrescenzoSUL PALCOSCENICO DEL PALAPARTENOPE ARRIVA LA MUSICA RICERCATA DEL CANTAUTORE PIÙ AMATO, IN TOURNÉE CON UNA BAND “STELLATA”.

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originale nel panorama italiano. È stato unelemento caratterizzante quando ha scrittopersonalmente le sue canzoni? Dice bene se dice che la voce è uno strumento,ma è come dire che possiedi una bella chitarra.Non basta per essere un chitarrista. melodia, rit-mo, orchestrazione, fisarmonica, percorso classico,pop, jazz. Sono tutte componenti che posso rico-noscere in me ma non sono me.Se dovessi definire in una sola caratteristica il miomodo di fare musica, direi che l’aspetto essenzialeè tutto nell’esecuzione. molte mie composizionisono nate in diretta, proprio da un assolo estem-poraneo che si è verificato durante un concerto eche, successivamente, ritorna nella mente e chiededi essere rielaborato, definito.dal suo debutto a sanremo a oggi il mododi fruire la musica è cambiato con la rivolu-zione digitale. È una cosa che ha condizio-nato il suo modo di esprimersi?Non direi. Il mio linguaggio è sempre stato il con-certo. Dialogo da allora con un pubblico capacedi venirmi a cercare. qualunque supporto tecno-logico rimane solo un dettaglio per chi ha esigenzadi fare o ascoltare musica dal vivo. Sicuramenteil file mp3 che si usa oggi nei telefoni e in moltisistemi per ascoltare musica è un ostacolo da ag-girare con esperienza e cautela, perché in molti

casi appiattisce l’ascolto e taglia sfumature di suo-no importanti per la dinamica e l’espressività. que-sto però è un problema legato alla registrazione ealla diffusione, non ha a che fare con la creativitàe l’esecuzione.alcune sue canzoni sono diventate giusta-mente dei classici senza tempo. la mia per-sonale opinione è che se lei li scrivesse ecantasse oggi, per come è diventato freneticoe incontrollato il mercato, avrebbero unasorte diversa. Non sono d’accordo. Oggi, come allora, faccio lamusica che mi piace, non mi preoccupo prima dicosa potrebbe succedere dopo. Anche allora ilmercato non voleva. quando mattone girava conil provino di “Ancora” in cerca di contratti, si sen-tiva rispondere che: il cantante era bravo, la can-zone era bella ma che l’insieme era troppo sofisti-cato. quello “strano” modo di cantare che si iner-picava su note così complesse, quell’assolo jazzsul finale, quando il testo sparisce e la voce “suo-na”, erano veramente scoraggianti per i discograficidi allora. L’ascoltatore medio si sarebbe sentitoescluso, non avrebbe mai potuto canticchiare unacosa così complessa sotto la doccia. Se ci avessimocreduto non avremmo mai inciso quella canzone.ha uno stile decisamente personale. È pos-sibile “classificarlo” in qualche modo?  Io ho sempre cercato, almeno nelle intenzioni, diesprimere un mio stile personale. Le etichette sonoun vestito del mercato ma per un musicista sonosolo un’indicazione marginale. Se ad esempio, ascol-

la fine e l’inizio sono sempre sulla stessa linea di confine

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to ray Charles io posso dire con uguale sinceritàche è classico, jazz, pop, blues. Se canta “Georgia”o canta “’O sole mio” non ha molta importanza per-ché è lui che fa la differenza! È l’ascoltare che avolte è “impegnato”, a volte “di consumo”. L’ascol-tatore “impegnato” ha seguito un percorso culturaleche gli consente di comprendere un linguaggiocomplesso ed evoluto qual è quello della musica.L’ascoltatore “di consumo” accede solo emozional-mente, non può apprezzare una lingua che non co-nosce. Ho sempre avuto un pubblico eterogeneo,forse perché la voce umana è lo strumento che piùdi altri si presta a un accesso solo emozionale. Iosono sempre lo stesso, nella naturale evoluzionedel tempo ovviamente.  La differenza può esserenella percezione di chi ascolta.dal vivo e in studio è stato spesso seguito dagrossi turnisti e musicisti di fama. ora, a pro-posito del suo ultimo disco e tour, c’è unaband che arriva da un’area dichiaratamentediversa dal solito...

Oggi mi sentivo sopraffat-to dal rumore e dalla con-fusione che morde ogniaspetto della società, perme anche della musica.Volevo un suono “essen-

ziale”, pulito. Volevo un concerto capace di rac-cogliere tutta l’esperienza musicale vissuta. Ste-fano Sabatini al pianoforte, jazzista, una lungaesperienza in America. Collaborazioni importantiin quel “pop degli anni ’80” che sperava di por-tare alle masse una musica semplificata ma nonsempliciotta. Collabora con me fin dal 1983,conosce ogni anfratto della mia musica. È statonaturale avviare con lui il canovaccio degli ar-rangiamenti di questo progetto. Il contrabbassoraffinato di Enzo pietropaoli e la batteria di mar-cello Di Leonardo, un motore ritmico che avevosentito consono allo scopo. Il sassofono di Scan-napieco, salernitano, jazzista di nuova genera-zione e anima mediterranea. Il violoncello diLamberto Curtoni per quella “nota classica” cheè nelle radici della mia musica e che ancora amosentire. Il 9 aprile, con noi sul palco del pala-partenope anche Edmar Castaneda, arpista co-lombiano. Ha già incantato marcus miller, Wyn-ton marsalis, John patitucci. Una specie di fu-nambolo del suo strumento, colore jazz e latino.E poi Enrico rava, la tromba italiana più famosae amata nel mondo. Il suo suono profondo epoetico mi incanta e mi commuove.

in queste pagine a pagina 6: Eduardo De Crescenzo (photo © giovanni canitano); a pagina 7 e in alto: De Crescenzo durante il concerto a Ravello, Villa Rufolo, 2013 (photo © paola tufo)

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di francesca scognamiglio petino e brunella fiscone

E duardo De Crescenzo, artista e uomoche il cambio generazionale non haeliminato dalle hit dei cantautori ita-

liani più amati. Anzi, sembra che spontanea-mente sia riuscito a fare un viaggio nel tempodal 1981, con il suo primo lavoro discografico“Ancora” al 2013 quando arrivano le “EssenzeJazz”, sopravvivendo alle mode e agli stili cheintanto si sono affacciati nel panorama italiano.E il suo successo, c’è da starne sicuri, non è le-gato solo alla straordinaria capacità emotiva eemozionale delle sue composizioni ma al suomodo di essere nella vita di tutti i giorni.

qui, cari lettori de l’Espresso napoletano, ne tro-vate un ritratto umano.gli artisti hanno una particolare sensibilità.riescono a cogliere le sfumature del mondo.com’è quello in cui viviamo oggi? L’arte usa il talento per leggere le emozioni degliuomini del suo tempo. Non coglie le sfumature,coglie l’essenza. Il mondo in cui viviamo oggi è unmondo decadente, o almeno, lo è la civiltà occi-dentale tutta. Guardando indietro, nella storiadell’umanità, altre grandi civiltà hanno dovuto ce-dere il passo al futuro.troppa distanza tra le persone. colpa solodei social network? e quale può essere, se-condo lei, il modo per ristabilire l’equilibriodei sentimenti? Se guardo gli agglomerati delle case, le discoteche,gli aeroporti non vedo che le persone sono distanti,

“IL PALCO È UN PRIVILEGIO CHE LA VITA MI HACONCESSO, UN DONO COSÌ GENEROSO NON POTEVO TENERLO SOLO PER ME”.

Sonorità/2 L’uomo

Eduardo De Crescenzo. Dentro di sé le storie “della ferrovia”

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anzi, nessun secolo è mai stato tanto affollato! Ve-do piuttosto persone che hanno preso distanza dasé, da quella parte di sé che ha bisogno di spaziovuoto, di silenzio per potersi ascoltare. prima dipensare a come ristabilire l’ordine dei sentimentibisogna imparare a riconoscerli. Non c’è la possi-bilità di una scorciatoia. Se i social network sonospesso privi di contenuti interessanti non possiamopensare che la colpa sia del computer.oggi la cosa più complicata sembra amarsi.non esistono quasi più le coppie che invec-chiano insieme. quali sono, secondo lei, isegreti per diventare l’eccezione? È pericoloso ridurre il concetto di amore solo allacoppia. Ci impoverisce in partenza. L’amore è unsentimento direttamente proporzionale alla co-scienza di un individuo, alla sua capacità di per-cepire l’altro. prima ognuno per proprio conto. poisi può anche invecchiare insieme.per cosa vale veramente la pena lottare? La prima cosa che facciamo quando arriviamo nelmondo è lottare per conquistare il primo respiro.La vita è lotta, a ognuno quella che più gli aggrada.quando non lottiamo, o stiamo dormendo o stiamovegetando.

quanto la cultura può rendere migliore lanostra vita? più che “quanto” direi che “solo” la cultura puòmigliorare la nostra vita. lei è un artista che tra i tanti impegni pro-fessionali ha anche e sempre trovato spazioper l’impegno sociale. cosa significa per leil’impegno sociale ? Il palco per me è innanzitutto il piacere di fare mu-sica, ma l’ho sempre sentito un privilegio che la vitami ha concesso, un dono così generoso che non po-tevo tenere solo per me. Vengo da un quartiere po-polare, la ferrovia. Ho avuto la fortuna di avere unpadre che ha capito quale poteva essere la mia stradae mi ha avviato da piccolissimo, a soli cinque anni,agli studi di musica classica. ma io nel quartiereero un’eccezione, per molti non è andata così. queimolti per me non sono numeri statistici, sono per-sone, hanno facce, nomi. Di molti di loro conoscole storie personali, i talenti che non hanno avuto lapossibilità di coltivare e di esprimere. magari non èvero, ma spesso sento che devo qualcosa anche aloro. Essere disponibile, se mi è possibile, è un do-vere che sento molto sinceramente.un progetto che ha amato più di altri?Tutte le iniziative di solidarietà sociale sono lo-devoli, ci mettono in contatto con la parte mi-gliore dell’umanità, ci aiutano a stimarci, a col-tivare fiducia. Alcune iniziative mi hanno toccatopiù di altre perché hanno toccato ferite antiche.“La città invisibile” nel 1994, nel Carcere dipoggioreale che si trova a poca distanza dallacasa dove sono nato e vissuto fino a trent’anni.Entrare in quel carcere per me ha significatoentrare nella pancia del mostro che aveva in-ghiottito tanti  “ragazzi della ferrovia”.  In quel-

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l’occasione conobbi Don Da-moli, un’amicizia cara che du-ra a tutt’oggi. Nel 2005, insieme con DonDamoli e con un’altra personastraordinaria che opera nellanostra città, Don Antonio Vi-tiello, abbiamo dato vita al pro-getto “Le mani”, uno sportellod’ascolto per il disagio che siraccoglie intorno alla ferroviadi Napoli, tutt’oggi curato daDon Vitiello e dal suo centro “La Tenda”. È statoun momento bello della città perchè per una nottehanno vissuto insieme il volontariato, le istituzioni,i cittadini. Tutti al concerto più emozionante dellamia vita. man mano che si snocciolava la scaletta,“I ragazzi della ferrovia”,  “Il treno”,  “Il raccontodella sera” diventavano l’album fotografico viventedi tutto il mio vissuto.curiosità. le sue letture e il suo cinema. La mia giornata è molto assorbita dalla musica, quel-la che faccio e quella che ascolto. Leggo ancora ilquotidiano, ci sono editoriali a cui sono affezionatoe mi piace ancora molto l’odore della stampa. pur-troppo non ho tempo di leggere più di tre o quattrolibri all’anno. A volte ritorno ai grandi classici chemi sono perso nel corso della vita, a volte mi fermoin libreria per gli appuntamenti di approfondimentocon i pensatori del nostro tempo. Il cinema, invece,è la mia grande passione di sempre. Vedo film quasiogni giorno, a casa e al cinema. Film del passato odel presente. mi piacciono Kubrick, Wenders, mo-nicelli, Tornatore, Almodovar. I film mi regalanotutte le vite che non posso vivere perché nella realtàce ne spetta una sola.se dovesse incontrare i giovani, senza un te-ma e fuori da ogni evento, come gli parle-rebbe? cosa direbbe loro? questa è una cosa che mi sono chiesto e che io hochiesto ai giovani, quando con il passare degli annie il succedersi delle generazioni li ho visti arrivareai miei concerti. Non saprei quali parole usare. perloro è sufficiente sentire la mia musica per comu-nicare. Anch’io riesco a comunicare con loro attra-verso la musica, non li sento diversi da me. Forse igiovani guardano al mondo degli adulti cercandoconferme d’impegno, coerenza nelle azioni reali dellavita, piuttosto che nelle prediche.

napoli, madre e matrigna. eppure opportu-nità ce ne sono. come coglierle? in che di-rezione guardare? magari solo Napoli fosse “madre e matrigna”! Ba-sterebbe trasferirsi o, per non cancellare le tradi-zioni, emigrare.cosa va difeso della nostra città e cosa vacambiato? A questa domanda avrei risposto con sicurezzafino a qualche anno fa. Oggi siamo costantementeconnessi con il mondo, non è più possibile affidarsisolo a una visione territoriale dei problemi. Di-fendere la bellezza del nostro patrimonio artisticoe paesaggistico: è una raccomandazione da faresolo ai napoletani? Combattere le povertà chestanno diventando insostenibili: è una raccoman-dazione da fare solo ai napoletani?i sogni e i progetti rendono l’uomo più ener-gico. gli conferiscono una grande linfa vi-tale. quali sono quelli di eduardo de cre-scenzo uomo, che poi inevitabilmente si in-trecciano con quelli dell’artista? Ho cominciato a suonare a tre anni, non ho maipercepito l’uomo e l’artista come due cose diverse.La musica che faccio è come io sono. Nella vita,come nella musica, mi impegno a non essere su-perficiale; in me e negli altri cerco la capacità diimpegnarsi. Nella musica come nella vita sono ir-retito dal dilettantismo. Lo scugnizzo che conservodentro di me non è uno “zotico felice” e inco-sciente, ma qualcuno che sa gioire degli attimibelli della vita, perché sa che sono rari ma saanche che un cuore educato li può trattenere persempre. Noi siamo quello che facciamo, sul palcoo tra le mura delle nostre case. Noi siamo i nostrisogni e i nostri progetti.

a pagina 9 Eduardo De Crescenzo in studio (photo © paola tufo); in queste pagine: De Crescenzo durante il concerto a Ravello, Villa Rufolo, 2013 (photo © paola tufo)

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