Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

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1 TRENTINO SVILUPPO spa COMUN GENERAL DE FASCIA Riqualificarsi nella continuità: le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di Fassa. Inchiesta per l’elaborazione del documento preliminare di programmazione. settembre 2012 a cura di Sergio Remi

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TRENTINO SVILUPPO spa

COMUN GENERAL DE FASCIA

Riqualificarsi nella continuità:

le dinamiche evolutive del

distretto turistico della val di Fassa.

Inchiesta per l’elaborazione del documento preliminare di programmazione.

settembre 2012

a cura di Sergio Remi

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Sommario

1. Dalla quantità alla qualità: i nodi della transizione. ...................................................................................... 4

2. Ripensare il territorio .................................................................................................................................. 11

3. Le carenze d’infrastrutture e di servizi pubblici. ......................................................................................... 17

4. Le esigenze di riequilibrio della struttura ricettiva ...................................................................................... 26

5. La ricettività alberghiera: tra elementi di crisi ed esigenze di rinnovata competitività .............................. 31

6. Professionalità e imprenditorialità nel settore turistico ............................................................................. 41

7. L’offerta extralberghiera e la questione delle seconde case ....................................................................... 50

8. La casa per i residenti .................................................................................................................................. 58

9. Lo sci come motore dello sviluppo .............................................................................................................. 63

10. Il distretto turistico globale ....................................................................................................................... 73

11. La piattaforma turistica delle Dolomiti ...................................................................................................... 79

12. Un’offerta turistica global service ............................................................................................................. 93

13. Per una maggiore integrazione (e diversificazione) dell’economia locale .............................................. 106

13.1 Zootecnia e gestione del territorio .................................................................................................... 109

13.2 Artigianato ......................................................................................................................................... 119

14. Investire su persone, famiglie e comunità. ............................................................................................. 130

15. Quali possibili indirizzi per il Documento preliminare ............................................................................. 138

15.1 Le strategie vocazionali della Val di Fassa ......................................................................................... 138

15.2 Infrastrutture e mobilità .................................................................................................................... 139

15.3 Riqualificazione del patrimonio edilizio ............................................................................................ 140

15.3 La ricettività turistica extralberghiera ............................................................................................... 141

15.4 La prima casa per i residenti ............................................................................................................. 142

15.5. La valorizzazione dei paesi................................................................................................................ 143

15.6 Tutela e valorizzazione del territorio agricolo .................................................................................. 145

15.7 L’uso sostenibile delle risorse forestali e montane .......................................................................... 146

15.8 La competitività del sistema turistico ................................................................................................ 147

15.8.1 La piattaforma turistica delle Dolomiti e il riconoscimento dell’Unesco ................................... 148

15.8.2 La qualificazione dell’imprenditorialità turistica ....................................................................... 150

15.8.3 La diversificazione dell’offerta turistica ..................................................................................... 152

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15.9 Integrazione (e diversificazione) dell’economia locale ..................................................................... 154

15.9.1 La valorizzazione dell’agricoltura locale ..................................................................................... 155

15.9.2 Le politiche per l’artigianato ....................................................................................................... 156

15.10 Politiche temporali, nuove forme di mutualismo e welfare mix .................................................... 157

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1. Dalla quantità alla qualità: i nodi della transizione.

Circa sessanta mila posti letto da riempire – due terzi extralberghieri e un terzo negli alberghi- que-

sto è il dato da cui non si può prescindere per ragionare sulle prospettive di sviluppo della val di

Fassa. Nel contesto alpino pochi altri territori possono vantare un’analoga consistenza della struttu-

ra ricettiva.

La val di Fassa è per definizione un territorio a monocultura turistica. Il turismo in val di Fassa si

fonda, oltre che sulle bellezze naturali note in tutto il mondo, su impianti e piste per lo sci e attrez-

zature complementari di alto livello.1 Analogamente, la ricettività alberghiera ha visto un progressi-

vo miglioramento nel corso degli anni, fino a raggiungere in molti casi ottimi livelli qualitativi, sen-

za però mai superare la classificazione delle quattro stelle. Nel 2010 sono stati rilevati nel Comun

General de Fascia 291 alberghi, con complessivi 16.772 posti letto, pari al 30 % dei posti letto pre-

senti in valle. Il maggior numero di alberghi (58 %) e posti letto alberghieri (66 %) sono strutture a

tre stelle.

Attorno al turismo ruotano attività complementari di tipo commerciale e artigianale, in particolare

connesse all’attività edilizia. La componente industriale della Valle è rappresentata unicamente dal

settore degli impianti a fune che conta una quindicina di aziende con quasi 300 dipendenti. A fronte

del settore alberghiero e della ristorazione in cui si concentra il 52% degli addetti - dato che non si

verifica in nessun’altra valle del Trentino - il commercio occupa il 13,48 % degli occupati, mentre il

settore delle costruzioni dà lavoro al 9,64 % degli addetti operanti in Valle.

Il 28,7 % delle imprese artigiane (87 su 303) del Comun General de Fascia opera nel settore

dell’edilizia. Allo stesso settore di attività sono riconducibili anche le imprese operanti nel settore

dell’impiantistica (idraulici, elettricisti, ecc.) e del legno. Questi sono, dopo quello edile, i due setto-

ri maggiormente rappresentati nel Comun General, rispettivamente con il 16,8 % e il 15,2 % del to-

1 Le ski area in Val di Fassa sono sette (Belvedere, Col Rodella, Catinaccio, Aloch - Buffaure, Ciampac, Carezza,

Marmolada), sono inserite nel comprensorio sciistico del Dolomiti Superski e si dividono tra il comprensorio sciistico di

Fassa e quello di Carezza; Moena fa invece parte del comprensorio sciistico Trevalli (Lusia - Passo San Pellegrino -

Falcade). Il comprensorio Val di Fassa - Carezza si struttura in 90 impianti per un totale di oltre 200 km di piste da sci

oltre alla Ski Area Trevalli che offre altri 27 impianti e 100 km di piste da sci. Sono possibili collegamenti sciistici di-

retti verso altre vallate, quali la Val Gardena, Val Badia e Arabba, permettendo così di accedere, dai paesi di Campitello

e Canazei, al circuito del Sella Ronda. E' presente anche una funivia che consente di raggiungere il Sass Pordoi. Nume-

rosi anche i circuiti del fondo (Pozza di Fassa, Fontanazzo, Passo San Pellegrino, Alba di Canazei, Passo di Costalun-

ga). Ad Alba di Canazei sorge uno stadio del ghiaccio.

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tale delle imprese artigiane. È quindi possibile affermare che circa il 60 % delle imprese artigiane

del Comun General de Fascia opera, più o meno direttamente, nel settore dell’attività edilizia.

Ancor più ridotto è il contributo dell’agricoltura all’economia locale. Nel Comun General de Fascia

al 2010 erano presenti 115 aziende agricole, con un’incidenza percentuale sulla popolazione resi-

dente dell’1,17 %. Lo stesso dato riferito alla Provincia Autonoma di Trento nel 2010 era di circa

3,1 aziende agricole rilevate ogni 100 abitanti residenti. Il valore dell’indice relativo al Comun Ge-

neral de Fascia conferma il carattere residuale dell’attività agricola nel territorio considerato.

Dai dati schematici sopra riportati è evidente come il turismo sia l’unico motore di sviluppo su cui i

soggetti locali possono contare per mantenere i livelli di benessere raggiunti. Le tradizionali quanti-

tà di arrivi e presenze e i forti investimenti nel settore, sia privati, sia pubblici, fanno del turismo il

punto di forza dell’economia locale anche se, le esternalità negative generate dai flussi turistici e al-

cune carenze infrastrutturali potrebbero nel tempo minare le basi del vantaggio competitivo acquisi-

to. Le potenzialità dello sviluppo turistico appaiono inoltre essere limitate da una serie di cambia-

menti riconducibili: ai processi d’apertura dei mercati e l’emergere di nuove destinazioni, alla crisi

finanziaria globale, all’evolversi dei modelli di fruizione turistica e, non ultimo, ai cambiamenti

climatici.

Di tali fattori di rischio il contesto locale è perfettamente consapevole. A essere messo in discussio-

ne - praticamente da tutti gli attori intervistati nel corso della presente indagine - è il modello di cre-

scita quantitativa che negli ultimi quarant’anni ha caratterizzato lo sviluppo turistico della Valle. Al

termine di un ciclo fortemente espansivo, emerge la consapevolezza che il turismo ha in sé i germi

per il suo progressivo esaurimento e per la sua saturazione: ha una capacità intrinseca di livellare

progressivamente le diversità culturali e gli elementi di qualità ambientale che creano turismo. Per-

ché ciò non avvenga, sono tutti concordi sul fatto che bisogna intervenire attivamente per aumentare

la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del turismo, per poterlo far durare nel tempo, sen-

za diminuire, ma anzi incrementando, il suo livello qualitativo per residenti e ospiti.

La transizione da un modello di sviluppo quantitativo a un modello di sviluppo qualitativo è la

strategia perseguita dagli operatori locali, alla ricerca di soluzioni che riguardano, in modo parti-

colare:

• la qualificazione dei servizi pubblici e delle reti infrastrutturali;

• i margini di redditività dell’attività turistica e i pericoli di una deriva economica connessa alle

vendite low cost,

• la valorizzazione del contesto paesaggistico e dell’identità culturale;

• il governo dei flussi turistici e la diversificazione dell’offerta;

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• una maggiore integrazione dell’economia locale attraverso il rafforzamento di settori comple-

mentari al turismo;

• una maggiore attenzione al benessere e alla crescita socio-culturale della comunità locale.

Come tutti i sistemi locali a forte specializzazione economica - sia essa turistica o industriale – la

val di Fassa si trova però di fronte a delle rigidità strutturali, finanziarie e culturali che rendono

complesso un adeguamento dell’offerta locale alle mutevoli condizioni del contesto. A rendere dif-

ficile un processo di riconversione dell’offerta turistica locale sono una serie di fattori quali:

• la consistenza dell’offerta ricettiva;

• il diffuso stato d’indebitamento delle aziende;

• il carattere frammentato e famigliare della struttura imprenditoriale;

• la concorrenza dell’offerta ricettiva non imprenditoriale;

• la debolezza dei settori economici complementari;

• il sovraccarico delle infrastrutture nei periodi di maggiore afflusso turistico;

• gli alti livelli d’occupazione di suolo;

• lo stato di relativo abbandono di parte del patrimonio immobiliare costituito dalle seconde case

e da alberghi dismessi;

• la carenza di competenze e di manodopera locale.

L’industria del turismo, al pari degli altri settori, si deve fondare su adeguate economie di scala, è

quindi difficile avviare un processo di riconversione verso segmenti di fruizione turistica che non

abbiano la base numerica adeguata a sostenere i cospicui investimenti effettuati. Quantità e qualità

in Valle di Fassa devono necessariamente convivere e ci si chiede in che misura la qualificazione

e diversificazione dell’offerta possa essere remunerativa e incidere su flussi turistici in buona parte

massificati come quelli che, perlomeno nella stagione invernale, convergono in val di Fassa.

Il recente processo d’apertura dei mercati ha fatto della Valle di Fassa un “distretto turistico globa-

lizzato”, ponendola al centro di nuovi flussi turistici internazionali e in concorrenza con nuove de-

stinazioni, non necessariamente montane. La caratteristica dominante dei flussi turistici globali è

l’estrema variabilità: sono flussi itineranti, difficilmente fidelizzabili, che ricercano nella località

cose diverse e spesso non codificabili. Il turismo della neve è un settore maturo che già da diversi

anni ha manifestato un processo d’assestamento. I nuovi sciatori provenienti da paesi dell’Est non

sono considerati una clientela stabile e affidabile su cui costruire un nuovo e duraturo sistema

d’offerta. Come tutte le destinazioni turistiche, anche la Valle di Fassa ha segnato una progressiva

riduzione della permanenza media e ciò è causato: da un lato, dalla maggior ecletticità del turista,

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desideroso di concedersi vacanze in posti sempre diversi per periodi più brevi ma più frequenti

nell’anno; dall’altro, dalla scomparsa della villeggiatura montana estiva, che è stata di gran moda

negli anni Sessanta e Settanta e che ha determinato l’avvio dello sviluppo turistico di molte destina-

zioni di montagna. Perseguire una costante strategia d’adeguamento alla domanda al fine di renderla

fedele alla località - come fino ad oggi è stato fatto con la tradizionale clientela italiana e tedesca -

non appare più una scelta strategica.

La val di Fassa si trova oggi a dover fronteggiare una molteplicità di scenari competitivi riguardanti

sia i paesi di provenienza dei turisti, sia le motivazioni della vacanza. Plasmare il prodotto in fun-

zione di un generico “consumatore globale” oltre che difficile (vista la variabilità della domanda),

rischia di portare a un progressivo processo d’omologazione dell’offerta (un’offerta standardizzata

che può andare bene per chiunque). Il fenomeno della globalizzazione e il conseguente adeguamen-

to dell’offerta locale ai caratteri dell’international style tendono, infatti, ad appiattire le differenze e

a portare alla proposta di modelli mediani che non appartengono a nessuno e generano inevitabil-

mente mediocrità.

Di certo le Dolomiti continuano a essere un eccezionale fattore d’attrazione, come lo sono le struttu-

re sciistiche dell’area. Da più parti, però ci si chiede se l’attività sciistica, praticata in un contesto

ambientale unico al mondo, sia sufficiente a definire l’identità della località e continuare a garantire

i flussi turistici del passato. Le statistiche su arrivi e presenze in questo momento non aiutano a dare

una risposta a questi quesiti. I costanti trend di crescita dei decenni trascorsi, nell’ultima stagione

invernale hanno subito una battuta d’arresto. Gli attori locali s’interrogano (fornendo risposte diver-

se) se questo sia un dato contingente, dovuto alle condizioni climatiche e alla crisi finanziaria globa-

le, o se sia il segnale di un’inversione di tendenza.

Al di là del dato statistico, esiste comunque la percezione diffusa di una crescente difficoltà a stare

sul mercato con l’attuale modello d’offerta. L’esigenza di riempire le strutture per remunerare gli

investimenti e far fronte ai mutui bancari, impone alle aziende strategie d’offerta low cost e la ne-

cessità di affidarsi ad agenzie internazionali che organizzano l’incoming alberghiero trattenendo

consistenti quote di valore per l’intermediazione. Sono queste stesse agenzie che, per rendere anco-

ra più appetibile la vacanza ai turisti stranieri, abbinano al soggiorno in val di Fassa anche gite in

altre città come Milano e l'immancabile Venezia, contribuendo a diversificare il comportamento dei

turisti (non più dediti alla sola attività sciistica) e a dirottare risorse al di fuori dell’area. La concor-

renza delle vicine località altoatesine e austriache erodono quote di mercato, con particolare riferi-

mento ai flussi pregiati del turismo italiano e tedesco. Le imprese alberghiere locali stanno poi vi-

vendo un delicato momento di ricambio generazionale che ha già comportato la chiusura di alcune

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aziende o la loro cessione a operatori esterni alla valle. Tutto questo costituisce un serio motivo di

preoccupazione per gli operatori locali.

L’apertura al mercato globale - che per la Valle di Fassa ha significato l’apertura ai mercati extraeu-

ropei e un ruolo crescente svolto dai tour operator internazionali - impone oggi un cambio di passo,

un maggior protagonismo della società locale nel determinare e governare le proprie dinamiche di

sviluppo. Si sente l’esigenza:

• di aumentare la coesione interna alla Valle, superando la frammentazione degli interessi e le lo-

giche localistiche;

• di far crescere interessi economici fondati sulla qualità del bene territorio nelle sue diverse acce-

zioni, ambientale, culturale e produttiva, e aumentare di conseguenza l’autonoma capacità del

sistema di generare flussi turistici diversificati;

• di aumentare il livello d’integrazione tra le diverse attività presenti localmente (turismo, agricol-

tura, artigianato, servizi) al fine di proporre un’immagine unitaria e più articolata dell’offerta lo-

cale;

• di consolidare un sistema di reti infrastrutturali e di servizio (di livello locale, metropolitano e

globale) capaci di garantire la qualità della vita e una maggiore competitività del territorio in

un’economia fatta di flussi.

Nella competizione globale muta il ruolo economico del territorio e la sua capacità attrattiva. Quello

che conta nella nuova economia è l’offerta che il territorio è in grado di proporre in termini di cono-

scenze, reti e qualità ambientale. Nel mercato turistico globale cresce anche una domanda e

un’offerta di nuove soluzioni che vanno nella direzione della ricerca e della diffusione

dell’eccellenza, senza farne necessariamente un fenomeno di élite, ma proponendolo come fatto cul-

turale e, in quanto tale, universale.

Nel nuovo rapporto che con la globalizzazione si è venuto a creare tra luoghi e flussi è importante

affermare la propria diversità, identità e la specificità della propria offerta, unica e non replicabile in

altri contesti. Si sta nella globalizzazione se si hanno competenze distintive, riconoscibili e capaci di

produrre valore aggiunto nelle reti globali. Per far questo è necessario fare “rete corta di comunità

locale”, aumentando i livelli di coesione interna, a livello istituzionale, economico e sociale, per poi

fare “rete lunga di mercato” dotandosi delle competente necessarie per stare nelle reti globali. Fare

“rete lunga di mercato” per la Valle di Fassa significa anche ragionare sulla propria visibilità inter-

nazionale e sul suo spazio di posizione nell’ambito della piattaforma turistica delle Dolomiti.

In questo processo di transizione da un modello di sviluppo quantitativo a un modello di sviluppo

qualitativo grandi aspettative sono rivolte al ruolo che potrà essere svolto dal Comun General de

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Fascia, come soggetto istituzionale in grado di mediare e portare a sintesi l’articolato sistema

d’interessi locali e settoriali. Per la prima volta esiste l’opportunità di esprimere una programmazio-

ne socio-economica e urbanistica che consideri la Valle nella sua unitarietà.

Traendo le fila del discorso fatto finora, possiamo dire che l'economia fassana si trova oggi di fronte

ad una scelta che deve essere compiuta in modo chiaro e trasparente, dopo essere stata pubblica-

mente discussa. La scelta tra:

• un sentiero di evoluzione adattiva, che asseconda la congiuntura fino a oggi favorevole, prolun-

gandola il più possibile e rimandando a domani (se saranno necessarie) le trasformazioni di

maggiore impegno;

• e un sentiero d’iniziativa progettuale, che invece forza i tempi dell'evoluzione in corso, antici-

pando problemi e soluzioni, in modo da trarre il massimo vantaggio dai cambiamenti che stanno

maturando nei mercati esterni.

La prima opzione ha dalla sua le buone performance realizzate finora, sulla base di uno schema di

risposta adattiva ai problemi che di volta in volta si sono presentati e che sono stati superati anche

grazie al sostegno della politica pubblica locale. Ma la realtà attuale, se analizzata in profondità, dà

anche argomenti e ragioni per la seconda opzione, quella progettuale. In effetti, come abbiamo vi-

sto, sotto la superficie non si fatica a rintracciare criticità, problemi irrisolti, situazioni ambivalenti:

tutti indizi di fratture e discontinuità che possono trasformare in un difficile percorso a ostacoli

quella che oggi appare come una strategia di adattamento graduale ai cambiamenti in corso. Il sen-

tiero dell'iniziativa progettuale, certo, ha un costo per gli attori dell'economia locale. Un costo che

non deve essere sottovalutato. Infatti, per percorrerlo fino in fondo, occorre fissare delle priorità, es-

sere selettivi, non immaginare più lo sviluppo come un'espansione a macchia d'olio che dilata, e-

stensivamente, sempre le stesse formule imprenditoriali, sempre lo stesso tessuto di relazioni. Biso-

gna invece accettare di cambiare, di rischiare, di dipendere da altri attori secondo la logica dell'a-

zione di sistema e delle relazioni a rete.

Da quanto emerso dal percorso d’interviste agli attori locali emergono tre percorsi di pro-

grammazione socio economica e urbanistica che potremmo considerare prioritari.

La gestione quantitativa dei flussi rimane l’aspetto fondamentale all’interno delle problematiche

della località. In quest’ambito si tratta di attuare interventi - principalmente di carattere urbanistico -

che vadano a incidere, sia sugli aspetti d’organizzazione e maggiore efficienza del sistema infra-

strutturale, sia sugli squilibri oggi rilevabili nell’ambito d’offerta ricettiva. Emerge l’esigenza di una

programmazione che, attraverso il coinvolgimento degli operatori, sia un grado di perseguire un

corretto e indispensabile equilibrio tra potenzialità sciistiche, potenzialità ricettive e dotazione

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di servizi e infrastrutture. Il tutto in una logica di salvaguardia delle peculiarità ambientali e socia-

li del contesto e della qualità dell’offerta turistica.

Un secondo percorso riguarda la necessità di recuperare una forte dimensione identitaria. Anche

in questo caso ci troviamo di fronte a una duplice esigenza. Da un lato si tratta di recuperare e va-

lorizzare gli elementi distintivi (cultura, tradizioni, qualità sociale, paesaggio) che fanno della val

di Fassa (e delle Dolomiti) una destinazione unica nel quadro del turismo internazionale. L’esigenza

è sviluppare un sistema articolato ma integrato di offerte turistiche specializzate capaci di intercetta-

re una domanda sempre più segmentata e sempre più alla ricerca di elementi di autenticità.

Dall’altro lato si tratta di dare risposta a una crescente domanda di “normalità” negli assetti di

sviluppo economico e sociale. Decenni di sviluppo turistico intensivo hanno messo in secondo pia-

no la dimensione della comunità locale: oggi ci s’interroga sulla tenuta del tessuto sociale e sulla

continuità del modello imprenditoriale. Emergono i limiti di un’organizzazione sociale, territoria-

le e imprenditoriale costruita sui tempi e sulle stagionalità del turismo dove, al troppo pieno si alter-

na il troppo vuoto, ai periodi di stress e totale dedizione al turista si alternano periodi d’inattività e

caduta di senso. La comunità locale ha oggi bisogno di pensare maggiormente a se stessa ponendo i

propri bisogni al centro dell’azione di sviluppo. In tale ottica emerge anche l’opportunità di far cre-

scere settori economici complementari, quali l’agricoltura, l’artigianato, i servizi, che oltre a con-

tribuire a qualificare l’offerta turistica e ambientale della località, possono diversificare, e quindi

rendere più solide, l’economia locale e le stesse forme di convivenza sociale.

La terza esigenza è quella di darsi una struttura imprenditoriale adeguata a una competizione

che si è fatta globale. Con l’apertura dei mercati i flussi si sono fatti mobili, incostanti, addirittura

effimeri, la condizione dello spazio in cui si vive e si lavora è sempre più quella dell’incertezza. La

creazione del valore si sposta sulla dimensione dell’immateriale: non basta più offrire pasti e posti

letto, ma assume sempre più ruolo la capacità di produrre valore attraverso le conoscenze e le espe-

rienze offerte al visitatore. A fronte dei cambiamenti le imprese possono “resistere” riducendo i

prezzi, tagliando i costi all’osso o investendo in nuovi servizi (wellness, intrattenimento, ecc.) ma

alla fine c’è il rischio che strategie solamente difensive non riescano a raggiungere il traguardo di

consolidare relazioni di mercato che vanno comunque sfilacciandosi. Per reggere la sfida della glo-

balizzazione e della smaterializzazione le imprese devono oggi fare un investimento cognitivo nella

creazione di competenze distintive a carattere fortemente specializzato e un investimento relazio-

nale all’interno e all’esterno del sistema locale. La competizione in cui è inserita la val di Fassa è

ancora giocata tra localismi: trentini, altoatesini e veneti. Costruire un sistema di piattaforma territo-

riale in cui la rete degli operatori - e dei territori - converga verso un’azione promozionale congiun-

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ta (e adeguata alla dimensione del mercato turistico globale) può essere un importante obiettivo

strategico.

2. Ripensare il territorio

Alla base del processo di riconversione da un modello d’offerta quantitativa a un modello d’offerta

qualitativa c’è, prima di tutto, il territorio. Il famoso adagio heideggeriano secondo cui il territorio

prima si abita e si costruisce e poi si pensa, va oggi rovesciato. E’ in un’attenta e condivisa (e pen-

sata) strategia di gestione del territorio che vanno ricercati quei meccanismi d’integrazione capaci di

rafforzare i caratteri identitari, economici e sociali della Valle di Fassa e la sua competitività sui

mercati.

Lo sviluppo turistico dei decenni recenti ha profondamente modificato l’economia tradizionale e

l’assetto territoriale della Valle, inducendo crescita demografica e una poderosa produzione edilizia.

Il sistema insediativo tradizionale è stato modificato pesantemente, con l’abbandono delle attività

agricole e la crescita edilizia attorno ai vecchi centri, anche con iniziative di grande dimensione a-

vulse dal contesto locale. Nel fondo valle, lungo l’asse viario principale, si è creato un insediamento

lineare che rende irriconoscibili in molti casi i nuclei originari. Soraga, Vigo, Pozza e Pera, Mazzin,

Campestrin, Fontanazzo, Campitello, Canazei, Alba e Penia costituiscono un'unica conurbazione

che per numerosi mesi dell’anno appare disabitata. Solo alcuni nuclei minori come Pian e Tamion

sono riusciti a mantenere una loro identità insediativa. Ai complessi edilizi risalenti agli anni ’60 e

’70 si deve in gran parte l’enorme sproporzione oggi esistente tra gli alloggi dei censiti e le seconde

case.

Anche il restante territorio ha subito gli effetti della trasformazione. L’abbandono delle attività agri-

cole e della zootecnia, settore nel quale è oggi occupato solo il 3,2 % della popolazione, ha note-

volmente ridotto la frequentazione produttiva dei vasti alpeggi che ospitavano in passato sia le aree

pascolive di proprietà collettiva, sia gli appezzamenti falciabili proprietà di singoli individui. Tanto

i valichi alpini, quanto le valli laterali, su cui gravitava gran parte dell’economia tradizionale, sono

oggi per lo più riutilizzati - con rare eccezioni - come aree sciistiche servite da una fitta rete

d’impianti di risalita e dotate di moderne strutture di servizio in quota. Sui valichi di grande transito

lo sviluppo dell’industria turistica ha fatto sorgere dei veri e propri nuclei insediativi stabilmente a-

bitati, composti di rifugi, alberghi, negozi e ristoranti.

Salvo le fasce sacrificate per i tracciati sciistici, le superfici boscate, di per sé poco estese per la

conformazione stessa del territorio, appaiono oggi in espansione a discapito delle aree a prato e pa-

scolo. Ciò, sia per effetto del citato abbandono delle attività agropastorali, sia in virtù di una più ra-

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zionale gestione introdotta degli enti preposti, Comuni e ASBUC (Amministrazioni Separate Beni

di Uso Civico), che hanno posto dei limiti ragionevoli allo sfruttamento intensivo cui fino all’inizio

del ’900 erano state sottoposte essenzialmente per scopi edilizi e commerciali.

Tali dinamiche di trasformazione nei modelli d’uso del suolo e negli assetti socio economici sono

oggi al centro di un processo di ripensamento critico, che coinvolge praticamente tutti gli attori in-

tervistati.

“Bisogna innanzitutto chiedersi quali siano le ragioni di tali trasformazioni, partire da una rifles-

sione sul recente passato. La val di Fassa ha avuto nei decenni scorsi la grande opportunità di av-

viarsi verso una condizione di benessere diffuso che ha quasi eliminato l’emigrazione. Però oggi è

chiaro che questo processo ha accelerato a tal punto da incidere profondamente sia sull’immagine

della valle, sia sulle dinamiche economiche e sociali. Oggi siamo tutti consapevoli che in quegli

anni siano state fatte delle scelte molto discutibili, errate, che hanno portato a un’espansione stra-

ordinaria dell’urbanizzazione, delle seconde case, dei posti letto. Siamo stati tutti vittime dell’idea

della città diffusa lineare che doveva trasferirsi attraverso i comprensori nelle valli. Allora la stra-

da è diventata il fulcro dell’urbanizzazione, come la via Emilia. Ci sono ragioni storiche che hanno

determinato questo fenomeno: la parcellizzazione del suolo, l’assenza di grandi proprietà come il

maso chiuso di altre realtà che hanno consentito una minore penetrazione della speculazione edili-

zia. Questa è la zavorra che oggi ci portiamo dietro, che ha portato alle attuali situazioni di conge-

stione e che rende anche difficile ragionare su nuove ipotesi di futuro”. Fabio Chiocchetti Diretto-

re Istituto Cultura Ladina

“La valle di Fassa era poverissima, fino agli anni 70 si emigrava all’estero Poi è stata una corsa a

realizzare alberghi, appartamenti, seconde case. C’era una fonte di reddito nuova e tutti ne hanno

approfittato. Adesso siamo arrivati alla saturazione e si sta tornando indietro. Lo sviluppo è stato

fatto alla cieca, senza una proiezione futura mirata, è stato fatto tutto un po’ di conseguenza, uno fa

una cosa, uno fa l’altra, le strade, gli impianti, senza domandarti come sarebbe stata la valle in fu-

turo. Con gli alberghi e gli appartamenti siamo arrivati a saturazione, con 55mila posti letto che

sono diventati troppi per la domanda che abbiamo, salvo pochi periodi, venti giorni l’anno. Quindi

ora siamo sempre alla rincorsa per riempire i posti letto”. Enzo Iori Presidente APT

“I numeri del nostro sviluppo turistico derivano da una normale voglia di crescita economica negli

anni 70 e 80. Io non mi sento di criticare chi, avendo un pezzo di terreno edificabile se l’è costruito,

si è fatto quattro appartamenti da gestire. Perché mai dovremmo criminalizzare quest’aspetto,

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quando c’era l’opportunità di una crescita economica, quando si veniva comunque da decenni di

povertà, di stenti, di pastorizia e agricoltura misera. Oggi ci troviamo in un contesto di un turismo

maturo che in passato non è stato né pensato né pianificato. Negli anni in cui c’è stata

l’accelerazione del fenomeno del turismo in valle, i fassani che avevano la responsabilità di pro-

grammare e governare il territorio non avevano la preparazione per poter non solo decidere, ma

avere una visione del futuro. Oggi i nodi vengono al pettine. Abbiamo avuto uno sviluppo turistico

spontaneistico, non governato, non pianificato, che adesso mostra tutti i limiti e le crepe. Adesso

dovremmo fermarci a riflettere dove porta l’attuale situazione”. Daniele Dezulian Presidente del

Consorzio impianti a fune val di Fassa e Carezza

“Negli anni 70 e 80 gli amministratori hanno fatto grossi errori, hanno lasciato costruire dei con-

domini che hanno invaso il territorio senza portare alcun reale vantaggio. Oggi ci troviamo con dei

condomini costruiti per cento persone che a Natale si riempiono di trecento persone. I dati ufficiali

parlano di 60mila posti letto, ma sono convinto che arriviamo tranquillamente a 100mila. Ho visto

io appartamenti di 60-70 mq con dentro venti persone. Magari sono giovani, con gli amici, che per

una settimana vivono come in una tendopoli. E’ chiaro che questo tipo di turismo porta poco sul

piano economico e fa molti danni sul piano della congestione. Qualcuno dice che la Valle di Fassa

è diventata il dormitorio delle Dolomiti, perché ci sono troppi posti letto e si paga poco rispetto al-

le altre realtà delle Dolomiti”. Rinaldo De Berlol Insegnante e Ispettore VV.FF

La riflessione sugli errori del passato porta a interrogarsi sul futuro assetto della Valle alla ricerca di

una difficile mediazione tra una pur sempre necessaria gestione dei flussi quantitativi, che richiede

altri investimenti e trasformazioni territoriali, e una riqualificazione complessiva del sistema

d’offerta, che però al momento si presenta dagli esiti incerti. “Riqualificarsi nella continuità” ap-

pare essere la parola d’ordine su cui convergono le strategie degli attori locali, anche se non

mancano voci che esprimono preoccupazione sull’effettiva opportunità e possibilità di perseguire

un modello d’offerta fondato su ipotesi di crescita costante della domanda e sulla conseguente ne-

cessità di fare investimenti in infrastrutture di supporto.

“ Ci vorrebbe un processo di riqualificazione, se non addirittura di riconversione della nostra of-

ferta turistica. Fino ad oggi abbiamo puntato sui numeri, sull’alta ricettività, per cui un processo di

riconversione è difficile: come fai a dire a un operatore che ha fatto importanti investimenti che de-

ve ridurre il numero dei posti letto. Salvo che non sia costretto dal mercato. L’impressione è però

che i nostri operatori, per la stragrande maggioranza, continui a puntare su un modello di turismo

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industriale: i sessanta mila posti letto, gli impianti, i grandi caroselli sciistici. Il modello è questo,

abbiamo fatto gli investimenti, dobbiamo quindi guadagnare il massimo possibile. Specialmente in

un periodo di crisi come questo non possiamo rischiare in un processo di riconversione dagli esiti

incerti. Attualmente siamo appiattiti sulla domanda, se uno viene qua con un pacco di euro è chiaro

che gli dai quello che vuole, anche se magari centra poco con le nostre specificità ambientali e cul-

turali. Stiamo vivendo una situazione difficile per tutti, non è necessario vedere le statistiche, per

strada quest’inverno abbiamo visto meno pullman, meno sciatori, meno turisti, la crisi la percepisci

semplicemente girando per strada. In questo periodo è difficile parlare di prospettive di sviluppo.

Credo comunque che questa non sia una crisi di attraversamento, per cui le cose, una volta passata

la crisi ricominceranno come prima. In questa prospettiva penso che dovremmo rivedere la nostra

offerta. Ci vuole un ritorno a un’accoglienza più umana. Il nostro contesto, per le sue caratteristi-

che, non è adatto alle grandi strutture, al turismo massificato. Dobbiamo puntare sulla familiarità,

sul rapporto umano.” Bruno Sommariva Segretario CgF

“Quando si sbaglia a livello urbanistico, come noi abbiamo sbagliato negli anni ‘60 si sbaglia per

sempre. Il modello dei collegamenti impiantistici e delle infrastrutture è il proseguimento del mo-

dello che abbiamo impostato negli anni ’60. Fortunatamente, non si possono più costruire le se-

conde case. Tutta la domanda di sviluppo è orientata solo a riempire i sessantamila posti letto. Se

l’obiettivo è solo questo, non potremmo mai essere i protagonisti del nostro sviluppo, perché da soli

non ne abbiamo la forza. Dobbiamo affidarci alle grandi agenzie del turismo internazionale, ab-

bassare i prezzi e accettare chiunque venga. O si fa la scelta della qualità e di ridurre i numeri, co-

sa che comunque avverrà per dinamiche di mercato, oppure continuiamo su questo modello quanti-

tativo, ipotecando il nostro futuro per i prossimi vent’anni”. Luigi Casanova Cipra

“Dove andrà in futuro lo sviluppo della val di Fassa? Andrà ancora a pesare sulle famiglie che si

impegneranno, come si sono impegnate negli anni ’70. La val di Fassa negli anni ‘60-‘70 è stata

delle banche, le famiglie hanno rischiato molto, del proprio, hanno abbandonato una cultura che

era quella rurale per saltare a piè pari in quella alberghiera, che però adesso non si sa più se è al-

berghiera. Tutti parlano di alberghi quando invece il grosso numero di appartamenti fa a pugni

con la nostra economia. Oggi ognuno si arrangia, guardando ai propri debiti, alle proprie priorità,

siamo una comunità che non è un insieme, che non è riuscita a fare sistema. Già negli anni ‘70 si

parlava di Fassa 2000, una società di sviluppo che doveva andare ad acquisire le aziende che era-

no in difficoltà per non perdere il patrimonio. Purtroppo il patrimonio sta diventando di chi non a-

bita in val di Fassa: non solo le seconde case, negli ultimi anni sono stati venduti ventisette alber-

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ghi. Gli impegni delle famiglie che possiedono gli alberghi sono stati grossi, si sono buttati, ci han-

no creduto senza guardare ai bilanci economici. Abbiamo sconvolto una legge banale

dell’economia: tenere bassa l’offerta per tenere alti i prezzi. Noi abbiamo fatto il contrario: in val

di Fassa la mezza pensione costa trenta euro ma si dice che è arrivata anche a ventiquattro euro, il

noleggio di un paio di sci costa dieci euro a settimana, tre euro a metà settimana. Così continuere-

mo a rincorrere il turista, i grossi numeri. Finché continueremo a credere alle fate, continueremo

ad aumentare l’offerta e a credere che quella sia la soluzione, offriremo sempre più infrastrutture

pensate solo per i turisti, con costi per la società e la popolazione”. Elio Liberatore Presidente

APSP Fassa.

“Il futuro sicuramente non potrà più essere quello dei sessantamila mila posti letto. Attualmente

gran parte della nostra attenzione è concentrata sul problema della viabilità, che effettivamente è

un grosso problema, in stagione ci vuole più di un’ora per andare da Canazei a Pozza. Allora

stiamo pensando a costruire una valle fatta di tangenziali e circonvallazioni. Ma siamo sicuri che

questo serva? O fra dieci anni avremo un altro tipo di turismo? Credo che prima di decidere inve-

stimenti dovremmo porci queste domande.” Cesare Bernard Presidente Consei General

“Oggi in val di Fassa ci sono due esigenze contrastanti che però, in una programmazione di breve

e medio periodo, potrebbero trovare una loro logica di coerenza. L’obiettivo a breve termine è di

riempire i sessanta mila posti letto. In tale logica è chiaro che bisogna rendere appetibile l’offerta,

è necessario fare le circonvallazioni, gli impianti vanno potenziati sempre di più. Anche se non si

capisce bene dove si va a finire con questo sempre di più. Sul medio periodo c’è chi comincia a

pensare che bisogna incidere anche sulla consistenza dei posti letto mediante interventi tesi alla

decrescita. In Valle di Fassa le zone di espansione edilizia sono pressoché esaurite, restano gli im-

mobili esistenti, di cui un dieci per cento si sa benissimo che sono destinati a non essere più nel cir-

cuito produttivo alberghiero. Questi volumi dovrebbero poter essere recuperati per l’edilizia abita-

tiva dei residenti. Così forse qualcuno dei nostri giovani, delle nostre giovani coppie, anziché anda-

re a vivere a Ziano, che per altro è un bel posto, magari trovano casa qui. Alcuni immobili potreb-

bero anche benissimo essere rasi al suolo, aprire degli spazi di vita all’interno dei paesi. Mettia-

moci pure dei parcheggi interrati, ma in superficie c’è bisogno di spazi di vita, magari anche degli

orti, dei giardini. Nella mentalità dominante il metro cubo è un bene ineliminabile, non si sacrifica

un metro cubo, piuttosto se ne aggiunge mezzo. Allora aumentiamo pure le volumetrie dove ci sono

insediamenti di un certo tipo, dove c’è necessità di adeguamento di qualità degli alberghi, ma al-

trove si possono benissimo, con interventi mirati, senza accollare l’onere al singolo privato, attuare

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dei piani di acquisizione che potrebbe preludere anche a dei piani di riqualificazione dei centri sto-

rici. Cosa già tentata trent’anni fa ma che non è andata a buon fine come sappiamo. La qualità

dell’intervento di recupero deve giovare a migliorare l’aspetto esteriore e l’accoglienza. Si toglie il

traffico dal paese e creiamo dei centri storici pedonali”. Fabio Chiocchetti Direttore Istituto Cul-

tura Ladina

“Lo sviluppo turistico ha obbligato i Comuni a fare dei fortissimi investimenti per servizi e infra-

strutture che poi, di fatto, sono utilizzate per poche settimane l’anno. Nei picchi comunque c’è

l’affluenza e questo genera altri tipi di problemi: la viabilità, le strade, la necessità di fare le cir-

convallazioni. Un’analisi attenta sulle prospettive di sviluppo del territorio non può prescindere da

questi dati. Come in tutte le cose, dobbiamo fare un mix. Nel senso che per mantenere competitiva

della valle devi ammodernarla e devi creare, o quanto meno migliorare, le infrastrutture che ci so-

no. In una prospettiva di più lungo periodo bisogna invece pensare a una riconversione della no-

stra offerta turistica. La riconversione comunque va fatta in modo graduale. Se il clima lo permette,

dobbiamo rimanere attrattivi sull’offerta invernale per cui il sistema impiantistico è ancora molto

importante. In val di Fassa quello impiantistico è il settore più sviluppato, quindi da questo punto

di vista con due o tre interventi d’aggiustamento riusciamo ancora a essere competitivi. In

un’ottica di riconversione della nostra offerta, migliorare il tessuto urbanistico è sicuramente una

priorità. Se poi questo coincidesse anche con la riduzione dei posti letto, sarebbe il massimo. Non

c’è più spazio per nuovi insediamenti edilizi, io lavorerei per una riconversione delle brutture che

abbiamo sul territorio, se fosse per me i condomini degli anni 70-80, come il Fassa Laurino a Maz-

zin, andrebbero abbattuti e ricostruiti diversamente. Le stesse seconde case costruite sempre negli

anni 70, molto impattanti e decontestualizzate, andrebbero quantomeno ristrutturate” Riccardo

Franceschetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.

“In passato in val di Fassa abbiamo fatto scelte sbagliate. Le conseguenze le paghiamo ora. Prima

di tutto la scelta scellerata di destinare tanto territorio alle seconde case, fortunatamente la Legge

Gilmozzi ci ha messo una pezza, anche se tardiva. Non abbiamo mai avuto una pianificazione di

Valle, per cui i limiti sono dovuti a interventi frammentati senza una strategia in grado di pensare

in modo organico alla valle nella sua unicità. Hanno sempre prevalso i campanilismi e gli interessi

particolari. Le scelte le fanno le persone ed evidentemente in Valle non c’era una cultura adeguata

per fare certi ragionamenti. Paghiamo un dazio perché è mancata la coesione. Pensare oggi allo

sviluppo della Valle, significa riconoscere questi errori, per non ripeterli. In passato non c’erano

forse gli strumenti, non c’era la cultura, non c’erano degli enti in grado di fare programmazione di

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valle. E’ per questo, che oggi credo molto nel ruolo del Comun General. Quando ho sentito parlare

del Piano Territoriale della comunità ho pensato a una cosa molto difficile da fare, molto ambizio-

sa, ma sicuramente indispensabile. Mettersi a ragionare su tutta la valle, considerando tutti gli a-

spetti che riguardano la vita in questa valle, è una cosa che non è mai stata fatta e che non è facile

da fare. Lo dimostra il fatto che stiate partendo da un processo di ascolto del territorio”. Gianni

Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti Super Ski.

3. Le carenze d’infrastrutture e di servizi pubblici.

La qualificazione delle reti infrastrutturali dei servizi pubblici è al primo punto dell’agenda di

gran parte degli operatori locali, sia economici, sia istituzionali. Un sistema turistico efficiente

non si può basare esclusivamente sul settore dell’accoglienza e dell’intrattenimento. A corollario

del core business della località devono operare una serie di servizi e beni pubblici in grado di co-

struire un’offerta complessiva di sistema. Nelle aree turistiche, il settore pubblico ha una funzione

imprenditoriale non sostituibile, in quanto detiene e gestisce alcune componenti critiche dell’offerta:

l’urbanistica, il paesaggio, la sicurezza, la qualità ambientale, il sistema infrastrutturale, i beni cultu-

rali. La collaborazione pubblico-privato ha, in questo caso, una declinazione fortissima e specifica.

Uno dei grandi temi sollevati dagli interlocutori è quello dell’accessibilità alla Valle. La colloca-

zione periferica penalizza il sistema locale rispetto ai grandi flussi turistici internazionali. Efficienti

collegamenti con il sistema aeroportuale, (in particolare con l’aeroporto di Bolzano) e con il corri-

doio autostradale del Brennero, sono strategici per la competitività del sistema turistico locale. Tra

le reti infrastrutturali s’inserisce anche il trasporto su rotaia che però, da molti attori locali, è conce-

pito principalmente come un sistema di mobilità interna alla Valle. Il dibattito si articola su due

grandi progettualità di sistema: da una parte il Progetto Metroland, concepito dalla Provincia Au-

tonoma di Trento come sistema metropolitano provinciale che prevede la realizzazione di un colle-

gamento ferroviario Trento-Pergine-Borgo-Borgo-Cavalese-Soraga; dall’altro il Progetto Transdo-

lomites, promosso da un’associazione locale allo scopo di promuovere la progettazione e la realiz-

zazione della ferrovia che collega Trento alle valli di Fiemme e di Fassa attraverso la val di Cembra,

favorendo la mobilità locale all’interno di ciascuna valle.

“A una valle turistica servono servizi, in primo luogo l’accessibilità. Come raggiungo la Valle di

Fassa? Il nostro problema è che siamo decentrati, dobbiamo collegarci con l’asse del Brennero,

anche in relazione agli importanti investimenti fatti su quest’asse: il tunnel del Brennero e l’alta ve-

locità ferroviaria. L’accesso dagli aeroporti lo abbiamo a Treviso, Verona, Venezia, Bergamo. So-

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no tutti scali molto scomodi. Il trasferimento da qualsiasi aeroporto implica come minimo tre ore e

mezzo di viaggio. Noi riteniamo indispensabile ampliare l’aeroporto di Bolzano, ci permetterebbe

di arrivare in val di Fassa in quaranta minuti. C’è poi il tema dell’accessibilità su rotaia, Trento ha

il progetto Metroland, ma qui in val di Fassa si preferisce parlare di Transdolomites, e più adegua-

to alle nostre esigenze di mobilità interna e allo spostamento degli sciatori. Dobbiamo ridurre la

mobilità interna su gomma per raggiungere gli impianti”. Celestino Lasagna Presidente Associa-

zione Albergatori della val di Fassa

“Per quanto riguarda la mobilità, in valle siamo veramente carenti. Non solo per gli spostamenti

interni, ma anche per i collegamenti con le città maggiori, dove ci sono gli aeroporti. Un turista

che parte da Mosca non può impiegare quattro ore per arrivare a Venezia e sei ore da Venezia a

Canazei, è un controsenso. L’Austria ha l’aeroporto internazionale a Innsbruck e dopo un’ora sei

già sulle piste da sci. Se i numeri sono questi, è chiaro che non riusciremo mai a competere con le

località austriache. C’è poi il tema dell’accessibilità tramite ferrovia. La Provincia sta portando

avanti il progetto Metroland, la metropolitana di superficie, può essere un bel progetto, però biso-

gna considerare i tempi. Se dobbiamo aspettare vent’anni, non serve a risolvere i nostri attuali e

urgenti problemi di mobilità, sarebbe meglio qualcosa di più tempestivo. Sento parlare di questo

Transdolomite che potrebbe collegare la val di Fassa con Trento, potrebbe essere un’alternativa,

anche perché i costi sono nettamente inferiori ed è un progetto più fattibile”. Massimo De Bertol

Presidente Associazioni Artigiani della val di Fassa

“Sulla mobilità la maggior parte delle persone in Valle è contraria a Metroland, perché un colle-

gamento veloce che ci porta a Trento in quaranta minuti non ci serve. In Valle abbiamo bisogno di

un treno che faccia il servizio tra i comuni, tra le tre valli dell’Avisio, magari non le ventisei stazio-

ni previste da Transdolomites, possiamo anche ridurle, comunque il modello è quello. Abbiamo bi-

sogno di un treno di servizio alle valli, dobbiamo pensare a noi cittadini e ai turistici per deconge-

stionare le strade. A livello di arco alpino la risposta all’esigenza di una mobilità sostenibile è il

treno, tutti i Paesi moderni puntano sul treno. A livello di Dolomiti c’è la possibilità di avere il cir-

cuito della ferrovia delle dolomiti, collegando Feltre con Primolano, 18 Km, partiamo da Calalzo

di Cadore e arriviamo Dobbiaco e poi con il treno dell’Avisio, abbiamo chiuso l’anello delle Do-

lomiti. Sarebbe un ulteriore fattore d’immagine e promozione per le Dolomiti”. Luigi Casanova

Cipra

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“Metroland e Transdolomiti rispondono a due logiche diverse: una è quella del collegamento velo-

ce con la val d’Adige, l’altra è finalizzata a una mobilità più interna. Sono opzioni da approfondire

entrambe, finora non ci siamo fatti un’idea precisa. Lo stesso Comun general per ora non ha preso

posizione, sta valutando le prospettive. Personalmente ritengo che il collegamento veloce con Tren-

to sia secondario rispetto ai problemi di mobilità che abbiamo all’interno della valle, cioè la neces-

sità di creare un’alternativa al trasporto su gomma. Metroland risponde a una visione Trento cen-

trica. Ma qui in Valle non abbiamo flussi su Trento tali da giustificare l’investimento. Molti dei no-

stri flussi gravitano su Bolzano o anche Belluno. Per quanto riguarda l’accessibilità turistica per

noi sarebbe molto più utile avere un collegamento con l’aeroporto di Bolzano”. Francesco Dellan-

tonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga

“La mobilità per noi è un tema strategico, sento molti turisti lamentarsi dei collegamenti. Dobbia-

mo lavorare sui collegamenti degli impianti ma anche sulla viabilità e più in generale sulla mobili-

tà. Io vedrei molto positivamente un collegamento di superficie come un trenino che colleghi Moe-

na con Canazei. Dobbiamo creare un’alternativa all’auto. Metroland che ferma a Soraga non è la

soluzione. Se Metroland fa tre fermate a che cosa serve? Ci vuole un trenino di superficie che serve

la valle, che ferma in tutti i paesi. In modo che possa dire al mio cliente fatti un giro a Moena, vai

al centro salute a Canazei, ogni mezz’ora c’è il trenino”. Stefano Weiss giovani albergatori Vice-

presidente APT

Il forte sviluppo turistico del territorio ha messo in evidenza le numerose criticità dell’attuale rete

stradale, rese particolarmente evidenti dai fenomeni di congestione rilevabili nei periodi di maggior

afflusso. Traffico, inquinamento, scadimento della qualità della vita nei periodi d’alta stagione turi-

stica, diventano delle vere e proprie emergenze per una località di montagna che passa da 9.000 re-

sidenti a picchi di 18.000 arrivi il giorno. Tale situazione induce la maggior parte degli attori locali

intervistati a esprimere una domanda d’adeguamento delle reti viarie (circonvallazioni dei paesi e

parcheggi) e d’individuazione di modelli di mobilità sostenibile. In tale contesto s’inserisce anche

una domanda, in particolare da parte dei paesi della bassa e media valle, d’impianti di collegamento

ai principali caroselli sciistici.

“A fronte dello sviluppo urbanistico dei decenni scorsi, la valle è rimasta indietro

sull’infrastrutturazione pubblica. In stagione turistica passiamo da nove mila a settanta mila abi-

tanti e le infrastrutture sono inadeguate. Sul piano della viabilità gli interventi più urgenti sono le

tre varianti dei paesi, la circonvallazione di Canazei Campitello, lo snodo dell’area di Pozza, e

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quello di Soraga. C’è poi della mobilità vera e propria, l’esigenza di favorire un sistema di scam-

bio tra le zone, ma anche di collegamento tra le aree sciistiche esistenti. Attualmente abbiamo una

valle disomogenea: l’alta valle ha un’offerta impiantistica straordinaria, il centro valle più o meno

si sta arrangiando, la bassa valle è completamente tagliata fuori. Dal punto di vista della mobilità

l’idea che avevamo sviluppato era di mettere in connessione gli impianti di Buffaure, Pera, Gar-

deccia. C’è poi l’area di collegamento delle zone di Moena e Soraga che sono, di fatto, gli unici

due paesi in valle che non serviti da impianti a fune direttamente dal paese. Moena ha quasi undici

mila posti letto, Soraga ne ha quasi tre mila; sono quindi in totale quattordicimila persone obbliga-

te a spostarsi in auto per raggiungere gli impianti e questo è un limite sia per l’offerta turistica sia

per la vivibilità del territorio”. Riccardo Franceschetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, alber-

gatore.

“ Viabilità e mobilità sono le esigenze prioritarie di cui si parla da anni. Dobbiamo ridurre la mo-

bilità su gomma, anche se penso che la chiusura dei passi sia una cosa assurda. Una soluzione per

la mobilità sostenibile è data dal collegamento tra gli impianti. Abbiamo la possibilità con relative

poche spese di collegare dal Ciampac, Col de rossi, potremmo arrivare a Pera con il collegamento

del Ciampedie. Dal Ciampedie la possibilità di collegare Soraga. Soraga collegata con Moena e

Moena con Lusia. Questo potrebbe risolvere con basso impatto un problema di mobilità, sia in in-

verno sia in estate. Altro problema importante è quello dei parcheggi sia nei paesi, sia di testata

per gli impianti”. Celestino Lasagna Presidente Associazione Albergatori della val di Fassa.

“Non vi è dubbio che la questione infrastrutturale riguardi anche la creazione di nuovi impianti.

Moena non lavora perché non riesce ad offrire lo sci come collegamento diretto. Sono dell’idea che

non vanno coinvolte aree nuove, tempo fa si parlava del giro del Sasso Lungo, vedo però la neces-

sità di collegamento tra quello che abbiamo. Alcune operazioni migliorerebbero molto la nostra of-

ferta sciistica. Le aree di Vigo e di Buffaure sono in sofferenza, con un collegamento risolverebbero

i loro problemi e anche i problemi di viabilità su Meida, dove tutti convergono per andare al Buf-

faure. E’ chiaro che altre aree come la val S. Nicolò, la val Duron, Fuciade, la stessa Marmolada,

vanno invece tutelate” Gianni Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Do-

lomiti Super Ski

“La bassa valle, Moena in particolare, non ha i servizi adeguati per portare i propri turisti nelle

zone sciistiche. Ci vorrebbe un impianto di arroccamento che parta dal paese. Dal punto di vista

impiantistico c’è prima di tutto l’esigenza di migliorare la situazione di Moena. Mancano gli ar-

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roccamenti verso la zona del Lusia e verso il Passo Carezza. Verso il Lusia, dove siamo coinvolti

come SIC, abbiamo un interesse particolare. Il Comune sta cercando di definire delle priorità. La

prima cosa da fare e chiedere di inserire questi arroccamenti nel piano provinciale. Sono iter bu-

rocratici abbastanza lunghi e intanto si perde competitività”. Fiorenzo Peratoner SIC

“La qualità percepita dal turista è oggi bassissima, il traffico e i trasporti pubblici in Valle sono i

temi di lamentela più ricorrenti nelle caselle di posta elettronica nostre e dell’APT. Abbiamo un

servizio skibus che si stima soddisfi solo il trenta per cento dell’utenza che vuole spostarsi con i

mezzi pubblici, quindi con una percentuale molto bassa e anche una qualità decisamente bassa,

perché sono mezzi vecchi e fumosi. Sui temi della mobilità c’è un grande fermento d’idee da parte

dei comuni, del Comun general, dei comitati locali di mobilità, delle associazioni di albergatori,

che propongono le loro idee di mobilità: chi dice il trenino, chi la monorotaia sopraelevata, chi

l’impianto a fune che attraversa la valle. Tante idee, però alla fine bisogna fare delle scelte, avendo

presente che la mobilità costa. La mobilità è per definizione un servizio in perdita e allora bisogna

capire quali sono le soluzioni tecnico-economiche più idonee e in val di Fassa, su questo, abbiamo

ancora un po’ di confusione. Gli impianti possono svolgere un ruolo di mobilità alternativa, però

gli impianti non possono essere la risposta al problema della mobilità, che è un servizio pubblico.

Altrimenti rischiamo veramente di togliere risorse per quello che è lo sci: la gestione, il rinnova-

mento degli impianti, delle piste, degli impianti d’innevamento a monte. E’ questo il cuore della no-

stra attività, non possiamo diventare un servizio di mobilità pubblica. Qualcuno dice che gli im-

pianti a fune potrebbero fare impianti a valle pagati con lo skipass. Bellissimo, uno sale con il pro-

prio skipass in cabina, percorre tutta la valle e poi va a sciare. Però con quali risorse? L’impianto

di trasferimento in valle ha dei costi di gestione, se li paghiamo con lo skipass vuol dire togliere ri-

sorse per gli investimenti”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a fune val di Fas-

sa e Carezza

“La vera necessità è una viabilità alternativa per sollevare i paesi dal traffico. Negli ultimi quindi-

ci anni ci siamo talmente intasati di traffico per cui il turista non ritiene più appetibile stare nel

fondo valle. Dobbiamo portare il traffico di scorrimento fuori dai paesi. Il problema principale è il

flusso d’attraversamento. Le statiche ci dicono che siamo a quasi 18mila passaggi giornalieri sui

periodi di punta e questo va a discapito della qualità della vita, prima dei residenti e poi chiara-

mente dell’offerta turistica. Moena ha già la circonvallazione, Soraga, di cui sono amministratore,

la sta richiedendo con forza. Dobbiamo creare un collegamento tra la fine della circonvallazione di

Moena fino a Soraga nord. Moena e Soraga possono essere considerate un’unica zona urbana at-

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tualmente spaccata in due da questa mancata realizzazione della circonvallazione. Poi chiaramente

ci sono i nodi di Pozza, Campitello e Canazei. Mazzin si potrebbe sistemare un po’ meglio ma è un

comune un po’ più felice da questo punto di vista, perché seppur molto urbanizzato, è meno presen-

te sulla strada. A Vigo è già stata fatta e va bene”. Francesco Dellantonio Artigiano e ammini-

stratore del Comune di Soraga.

“Io penso che sia ormai improcrastinabile l’esigenza di trovare una soluzione per liberare i paesi

dal traffico e ridare ai nostri paesi quell’immagine di paesi di montagna che hanno perso nel tem-

po. Se non recuperi questa dimensione di paese di montagna, se non dai la sensazione a chi viene

da fuori di trovarsi in un’oasi di tranquillità, il tuo mercato andrà progressivamente a erodersi.

Oggi nei paesi, quando passi con il passeggino, hai le colonne di automobili che ti scaricano ad-

dosso i gas. È cruciale liberare il paese altrimenti si ha uno spreco di risorse incredibile. Si spende

un milione di euro ogni stagione per lo skibus gratuito per l’ospite, un bellissimo servizio che poi

dopo è rovinato, anche in modo irreparabile, a livello d’immagine, perché lo skibus non è puntuale,

non ha più orari a causa del traffico. Quindi anche quel servizio lì, oneroso per la valle e importan-

te per il turista, perde la sua potenzialità diventando un boomerang. Qualcosa sul fondovalle biso-

gna farlo e urgentemente, non è pensabile che ci impieghino vent’anni a fare una pista ciclabile che

non è ancora finita. I nostri Amministratori non possono tornare da Trento e dirci che la circonval-

lazione di Canazei la faranno nel 2017, poi nel 2025 quella di Pozza e nel 2030 quella di Soraga.

Nelle attuali dinamiche di mercato, quindici anni sono pari a un’era geologica, tutto corre veloce-

mente e noi rischiamo di perdere quote di mercato. Dovremmo essere noi, come Valle, a trovare

degli strumenti per rimediare a questa situazione. Dobbiamo trovare noi stessi un modo di fare fi-

nanza di progetto, pensiamo a una vignetta per chi entra in val di Fassa, a un fondo vincolato e de-

stinato a fare queste benedette circonvallazioni. Sarebbe importante arrivare a un progetto vera-

mente completo per tutta la valle. Credo che il Comun General di Fassa sia veramente utile perché

può finalmente dare quella visione di sviluppo organico e complessivo della valle che è mancato fi-

no ad oggi“. Silvano Ploner giornalista

Lo stesso Comun General ritiene che gli interventi su tale tema siano d’importanza strategica per lo

sviluppo socio economico della Valle. Per questo ha ritenuto opportuno procedere

all’individuazione di alcuni obiettivi di carattere generale volti soprattutto a evidenziare problemi,

criticità e possibili soluzioni. Il documento elaborato dal Consei di ombolc su proposta della com-

missione mobilità, viabilità e trasporti del Comun General è stato sottoposto ai responsabili provin-

ciali ai lavori pubblici, infrastrutture stradali e trasporti della provincia di Trento. Si chiede la pro-

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gettazione della circonvallazione di Soraga, la variante all’abitato di Pozza, il termine della variante

di Vigo e la rotatoria a San Giovanni, l’inizio dei lavori della variante Campitello – Canazei, oltre a

interventi definitivi sulla strada del passo Fedaia, la sistemazione della strada dei passi Sella Costa-

lunga, il ponte di Pera. Poi una serie di parcheggi anche interrati in quasi tutti i paesi.

“A livello di Comunità di Valle la commissione mobilità ha indicato come soluzioni la tangenziale

nei paesi, che significa fare una tangenziale a Soraga, una tangenziale a Pozza e una tangenziale a

Canazei. Si tratta poi di creare zone a traffico limitato all’interno dei paesi con parcheggi di testata

per evitare che le auto entrino in paese. C’è poi la necessità di disegnare un sistema pubblico di

trasporto per collegare le aree e abbattere il transito automobilistico, in questo momento è stato

pensato su gomma perché non abbiamo chiaro quali siano le possibili alternative. Abbiamo svaria-

te ipotesi, però il territorio è quello che è, non abbiamo grandi spazi di manovra. C’è la Transdo-

lomite che spinge per il trenino, ma non è una soluzione perché ci vincolerebbe un territorio enor-

me. Sarebbe una barriera strutturale con un vincolo di venti metri per parte. Non è pensabile in

una Valle così stretta”.Fausto Castelnuovo, Sindaco di Mazzin e Assessore GgF

“Come Comun General abbiamo costituito una commissione sulla mobilità cui fanno parte alcuni

consiglieri, sindaci e imprenditori, stiamo per formalizzare tutte le richieste dei singoli comuni per

poterle poi portare a Trento e spiegare cosa vorremmo fare a livello di viabilità. La circonvallazio-

ne di Vigo dovrebbe essere pronta per la fine di dicembre, stanno progettando quella di Canazei,

dopodiché partirebbero quelle di Pozza e di Soraga. Il piano stralcio della viabilità della Provincia

dovrebbe prevedere soluzioni anche per le valli laterali, qui a Pozza c’è Gardeccia e Valsannicolò,

a Campitello c’è la Valduron. C’è poi la questione del transito sui passi, che deve trovare una so-

luzione a livello delle tre provincie interessate, perché non è ammissibile impiegare due ore per

scendere dal Pordoi per arrivare a Pozza, anche se per la verità, solo per pochi periodi l’anno. Pe-

rò dalle statistiche della Provincia risulta in valle il passaggio di quasi venti mila macchine al

giorno”. Tullio Dellagiacoma Sindaco di Pozza di Fassa e Assessore CgF

Il transito sui passi dolomitici è un'altra questione su cui si concentrano le riflessioni degli attori

locali, anche in considerazione del fatto che tale questione influenza in modo decisivo le politiche

di mobilità all’interno della Valle. La val di Fassa, oltre che essere una destinazione, è un’area di

transito d’intensi flussi turistici, anche giornalieri, diretti ai passi dolomitici. Secondo i dati del 2009

il Costalunga tra la val di Fassa e la val d’Ega è il passo più frequentato, con un transito giornaliero

medio di 2.560 veicoli. Al secondo e terzo posto due passi più “escursionistici”: il Pordoi, tra il

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gruppo del Sella e la Marmolada, con 1.578 veicoli, seguito dal Sella, fra val di Fassa e val Garde-

na, con 1.470 veicoli, media che sale a oltre 2.000 limitatamente al periodo primavera estate.

“E’ evidente che la situazione dell’accessibilità sui passi dolomitici è ai limiti di rottura. Non puoi

pensare di andare in agosto al passo Pordoi e trovarti su mille macchine parcheggiate sui prati

perché non ci sono i parcheggi. Oppure la strada del passo Sella, che non sai se arrivi in cima per-

ché frana, e continuano a passare pullman, moto e poi su non ci sono parcheggi neanche lì. La

stessa cosa vale per il Fedaia. Il pedaggio di per sé non risolve il problema, è dimostrato in tutto il

mondo. Il tema dei passi andrebbe affrontato con soluzioni miste: disincentivare l’utilizzo del mez-

zo privato a favore dei mezzi pubblici; con la valorizzazione degli impianti a fune esistenti laddove

arrivano in quota. Va poi affrontato il problema dei parcheggi in quota, trovare una formula per

limitare il numero delle macchine, magari facendo pagare i parcheggi in quota con delle politiche

tariffarie diverse, ma il pedaggio, di per se, è solo un modo di fare cassa. Può essere una delle so-

luzioni se servono risorse per fare gli investimenti sui passi, ma non per limitare il traffico”. Ric-

cardo Franceschetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.

“Bisogna premettere che i nostri passi sono punti di collegamento e non di arrivo. Il pedaggio viste

esperienze fatte altrove non serve a limitare il traffico, ma solo per incassare denaro. Sui passi so-

no insediate varie aziende, quindi chiudere i passi creerebbe una crisi di queste attività. Io vedrei

una regolamentazione dei parcheggi, evitare che auto e camper parcheggino sui prati e ad avere

dei punti panoramici ordinati. Si potrebbe introdurre il pagamento del parcheggio. Quando avremo

il parcheggio a Canazei di cinquecento posti macchina, magari ne discuteremo. Questo parcheggio

era partito prima dell’Accordo di programma tra il Comun General e la Provincia, in questi giorni

dovrebbero vedere il finanziamento. Il parcheggio a Canazei può aiutare a risolvere il problema

del traffico sui passi”. Mariano Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF

“E’ ovvio che un’importante mole di traffico sia anche causata dal trasferimento tra le valli. Biso-

gna capire quali sono i costi e i benefici di un’eventuale limitazione del traffico sui passi. È eviden-

te che tutto l’indotto localizzato in quota ne soffrirebbe molto, ma anche le aziende localizzate sul

fondo valle ne risentirebbero. Quando i passi sono chiusi per le gare ciclistiche, gli esercizi com-

merciali hanno un calo del 30%. Ho parlato più volte con il sindaco di Selva in val Gardena, il

quale dice che vorrebbe chiudere il passo in modo da essere la parte terminale della valle, nel sen-

so che il cliente che arriva da lui, non trova più traffico, rumore, inquinamento, anzi vorrebbe un

parco naturale per chiudere definitivamente il passo. Questa credo che sia una visione estrema e

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improponibile. Da quando hanno messo il ticket nei due passi in Alto Adige, il traffico è aumentato.

Non sono certamente i pochi euro di pedaggio che dissuadono i turisti dal fare il giro dei passi do-

lomitici. Se si vuole risolvere veramente il problema del traffico sui passi bisogna pensare ad al-

tro”. Franco Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF

“Nel piano stralcio sulla mobilità emergono esigenze abbastanza chiare per quanto riguarda la vi-

abilità, perlomeno per quelle che a nostro avviso sono le priorità. Siamo invece in ritardo

nell’elaborare un modello di mobilità alternativa. Si corre il rischio di inseguire delle soluzioni che

sono difficili da realizzare e ancora di più da sostenere nel tempo. Tutti ci sentiamo esperti di mobi-

lità, perché appare una cosa banale, mentre è una scienza complessa. In estate abbiamo almeno un

mese dove sull’asse di valle ci sono grossi problemi. A questo si lega la mobilità sui passi, una que-

stione che sfugge dalle nostre competenze specifiche e che limita il nostro piano d’azione, è una

questione di carattere sovra provinciale. Siamo in una fase, dove nessuno prende un’iniziativa o

una decisione forte. Sulla questione dei passi in realtà non si è ancora capito qual è l’obiettivo:

vogliamo fare cassa? Vogliamo limitare l’accesso, per renderli più attrattivi per altre forme di frui-

zione? L’obiettivo condiziona chiaramente la scelta della soluzione. Personalmente ritengo che la

chiusura dei passi in alcuni giorni, o periodi, consentirebbe d’incentivare una fruizione da parte

dei ciclisti, che sono tantissimi e possono essere una risorsa turistica enorme per la Valle di Fassa.

Lo vediamo quando facciamo il Sella Ronda Day a fine giugno”. Gianni Rasom Consigliere CgF e

responsabile informatica Consorzio Dolomiti Super Ski

Le esigenze d’infrastrutturazione pubblica non riguarda solo la rete stradale, ma si estendono anche

a una serie di dotazioni collettive a servizio dei turisti e della popolazione locale.

“Le grosse strutture sportive e ricreative in val di Fassa non sono pubbliche. Non abbiamo un pa-

lazzetto dello sport che secondo me sarebbe di grossa utilità, anche in chiave turistica, L’unica pi-

scina che abbiamo è a Canazei, è aperta al pubblico solo in stagione turistica ed è di una società

privata. Nella pianificazione urbanistica io inserirei un palazzetto dello sport, che dia un servizio

sovra comunale, ubicato nel centro valle è quindi comodo per tutti. Se ne parla da anni. In un pa-

lazzetto dello sport puoi svolgere tante attività, anche i congressi. Un grosso meeting, oggi non sai

dove organizzarlo, c’è il tendone di Pozza di Fassa che però non è il massimo. A Pozza ci sarebbe

spazio per questa infrastruttura”. Riccardo Franceschetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, al-

bergatore.

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“Gli albergatori hanno investito molto in qualità, ora questa qualità va portata al di fuori

dell’azienda, nei servizi sul territorio. Fuori dagli alberghi oggi non c’è niente. Se d’estate c’è

brutto tempo, il turista non sa dove andare. Bisogna creare punti d’aggregazione, spazi coperti,

centri commerciali, attrazioni dove la gente possa passare la giornata. Non abbiamo spazi in cui

organizzare eventi. Se va bene c’è qualche tendone, assolutamente inadeguato alle esigenze”. Cele-

stino Lasagna Presidente Associazione Albergatori della val di Fassa.

“Tutte le società sportive, in questo momento hanno grossissime difficoltà a organizzare le attività

per i giovani perché purtroppo le strutture sportive sono quelle che sono. Ci troviamo a dover com-

battere con gli orari, perché l’unica palestra è quella delle medie, che serve anche l’istituto d’arte e

il liceo, prima ci sono tutte le attività della scuola, poi ci sono i corsi che organizza il Comune, poi

entrano le società sportive”. Giorgio De Luca artigiano e responsabile Skiteam.

“Un problema in valle è l’assenza di servizi. Ad esempio, il sistema di taxi in centro Fassa. Se ho

necessità di andare a Bolzano con il taxi non ho questo servizio. Qui, su dieci aziende di trasporto

pubblico, tutti fanno o skibus o fanno servizio estivo su Gardeccia con il pulmino. Fai fatica a tro-

vare un’auto che ti porta da qualche parte. Non c’è un equilibrio, perché uno si compra il pulmino,

d’estate fa avanti e indietro a Gardeccia, d’inverno lo dà all’APT per fare skibus, ed è a posto. Ma

tu Comune dici, se tu vuoi avere una licenza a 360° all’interno di questo Comune, tu mi dai un ser-

vizio diverso, un notturno, un diurno, ecc. Questo è un discorso da fare a tutti i livelli, in tutti i set-

tori”. Claudio Bernard imprenditore, presidente consorzio impianti

4. Le esigenze di riequilibrio della struttura ricettiva

Il turismo invernale ha rappresentato dagli anni ’60 un potente motore per lo sviluppo

dell’economia fassana. Dopo una fase di avvio a destinazione quasi élitaria, lo sviluppo turistico ha

vissuto il suo massimo periodo di espansione attorno alla fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80,

quando diventa un prodotto turistico di massa. Il primo risultato di questo intenso processo di svi-

luppo è stato la crescita esponenziale della ricettività turistica della Valle: cresce la ricettività alber-

ghiera, che tende sempre più ad adeguarsi alle esigenze e ai ritmi della vacanza invernale, ma cre-

scono ancor di più la ricettività extralberghiera e, in particolare, le seconde case.

Nel 2010 sono stati rilevati nel Comun General de Fascia 291 alberghi, 142 esercizi complementari,

2.544 alloggi privati e 4.823 seconde case (per seconde case s’intendono le case di proprietà dei non

residenti). L’attuale ripartizione dei posti letto per tipologia di struttura ricettiva è rappresentata dal

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seguente grafico, da cui è evidente una netta predominanza della disponibilità di posti letto turistici

nelle seconde case e negli alloggi privati.

Figura 1 Ripartizione dei posti letto nelle strutture ricettive della Valle di Fassa

Se tale crescita della struttura ricettiva è stata per anni compatibile con l’andamento delle presenze

turistiche e comunque frutto di un processo spontaneo e non pianificato, oggi diversi interlocutori si

domandano se sia ancora coerente con un mercato che già, da alcuni anni, ha dato segnali

d’assestamento.

La disponibilità ricettiva da fattore di competitività sembra oggi tramutarsi in un limite allo

sviluppo della località. L’esigenza di riempire un cosi alto numero di posti letto, la frammentazio-

ne dell’offerta, una domanda con minore disponibilità di spesa, determina una concorrenza interna

al sistema locale. Gli operatori, sia delle strutture certificate, sia degli alloggi privati, rischiano di

innescare una pericolosa spirale competitiva fondata sulla riduzione dei prezzi e una conseguente

minore qualità dell’offerta. Per il bene delle attività esistenti e della redditività che l’intero sistema

economico fassano si aspetta dal turismo, andrebbe fatto qualche ragionamento di selettività e di

specializzazione dell’offerta.

“Negli anni 90 la politica d’incentivi della Provincia Autonoma di Trento favoriva l’insediamento

degli alberghi quattro stelle, pensando che sarebbe anche seguita una clientela quattro stelle, ma

non è stato così. Sono stati creati gli alberghi quattro stelle perché c’erano gli incentivi, però sono

stati creati in modo forzato. Abbiamo preso intere aree e abbiamo creato dei ghetti alberghieri:

dieci alberghi a quattro stelle, uno attaccato all’altro. In quest’ottica di massificazione, adesso

queste strutture, nei periodi di minore richiesta, competono soprattutto a livello di prezzo con le

strutture di categoria inferiore. Questo porta a uno svilimento dell’offerta e anche a una conflittua-

lità interna al sistema. Con tutti questi posti letto noi non siamo attualmente nella condizione di at-

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trarre un turismo elitario. Chiaramente le situazioni aziendali sono diversificate. La crisi è a mac-

chia di leopardo, gli imprenditori più accorti, capaci di investire non solo sulla struttura ma anche

sulle proprie competenze lavorano bene anche in una situazione di questo tipo. In altre situazioni ci

sono, invece, grosse carenze. Penso che in una pianificazione del turismo la qualità dell’ospitalità

alberghiera sia al centro di una politica di rilancio, dobbiamo lavorare su un turismo che chiede

qualità, anziché dare contributi agli ampliamenti, si cominciassero a dare contributi a chi da due

camere ne realizza una”. Andrea Weiss Direttore APT

“Un albergatore non rinuncerà mai ai suoi cinquanta posti letto per farne trenta di qualità superio-

re. Con la diffusione del turismo intermediato dalle agenzie il criterio ottimale di dimensionamento

dell’albergo è avere i posti letto sufficienti a dare ospitalità a un pullman di turisti, questo è il mas-

simo di visione strategica. Di certo il futuro deve andare verso una riqualificazione delle strutture.

Anche perché la competizione si è fatta dura, qualcuno non regge, c’è un problema di ricambio ge-

nerazionale. Perciò, nei fatti, c’è una selezione che verrà sempre più fatta dal mercato. Il futuro si-

curamente non può più essere giocato sull’offerta quantitativa di sessanta mila posti letto. Ce ne

vogliono meno e di maggiore qualità”. Cesare Bernard Presidente Consei General

“ E’ difficile pensare a una politica di riduzione dei posti letto. Anche se, secondo me, ci stiamo av-

viando a una riduzione fisiologia indotta dal mercato. A Canazei, in via Pareda, ci sono alberghi

chiusi da tre o quattro anni. La gestione di un albergo è sempre più complicata: la crisi, il ricambio

generazionale, i finanziamenti dalle banche, si sta proprio tornando indietro. Ci sono alberghi

chiusi che faranno fatica a riaprire perché non hanno avuto la continuità, non hanno fatto le ri-

strutturazioni che andavano fatte e ora si trovano con strutture vecchie che non vale la pena di ri-

mettere a posto. Negli anni passati hanno potuto trasformare gli alberghi in residence, a Pozza

hanno trasformato alcuni alberghi in seconde case. Oggi questo non è più possibile c’è il vincolo

alberghiero o al massimo di prima casa. Le stesse difficoltà le vedi anche con gli appartamenti, con

le seconde case di proprietà dei locali ma ancora di più degli esterni. Fanno fatica ad affittare per

cui o svendono o restano chiuse, se ne vedono molte in giro”. Enzo Iori Presidente APT

“Più o meno si condivide l’idea che in questo momento la val di Fassa ha un dato inconfutabile che

è quello di un numero di posti letto esageratamente alto per parlare di una destinazione modello.

Partendo da questo presupposto c’è la necessità di una politica urbanistica orientata al riequilibrio

del sistema in particolare per quanto riguarda il rapporto tra ricettività alberghiera ed extralber-

ghiera. Siamo tutti consapevoli che è difficile ridurre i posti letto, ma sarebbe già interessante cre-

are i presupposti affinché questi posti letto fossero innanzitutto riqualificati e maggiormente utiliz-

zati. Riqualificare i posti letto significa anzitutto rimettere il sistema al livello di uno standard me-

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dio, con spazi più ampi e luminosi, di maggior benessere. Far sì che i posti letto attuali abbiano la

possibilità di essere venduti meglio, più apprezzati. Nell’alberghiero questo processo è già in parte

avviato: ci sono comunque delle normative, la classificazione alberghiera prevede determinate me-

trature per ottenere uno standard minimo suddiviso per categorie. Una cosa del genere andrebbe

fatta anche nel residenziale. Ci sono tanti immobili fermi, utilizzati pochi mesi all’anno, magari di

proprietà di un’unica immobiliare a cui conviene la politica dei monolocali con sei persone allog-

giate in pochi metri quadri, anche per solo tre settimane all’anno”. Francesco Cocciardi Alberga-

tore Moena

“Gli alberghi vivono un momento delicato, i margini sono sempre più ridotti, gli investimenti effet-

tuati sono grossi. Non si riesce a chiedere il giusto valore. Non so se la colpa è di noi albergatori,

ma spesso siamo costretti a svendere. La domanda è inferiore all’offerta. Se fossimo capaci di valo-

rizzarli, di usarli bene, sessanta mila posti letto non sarebbero troppi. Ci dobbiamo chiedere se riu-

sciamo a sostenere certi numeri, e tutto dipende dalla disponibilità e qualità di servizi. Abbiamo

sessanta mila posti letto, ma non abbiamo i servizi adeguati a tale ricettività. Il turista di una volta

si accontentava, oggi sono molto più esigenti. Fai presto a perdere quote di mercato. Dobbiamo poi

tenere presente che la maggior parte dei posti letto sono nelle seconde case. Se noi fossimo capaci

di occupare queste seconde case, con una buona ricettività, con un turista che spende, credo che

anche il PIL della Valle ne guadagnerebbe. In alternativa bisognerebbe che la Provincia o il Co-

mun General cominciasse a fare politiche per riconvertire questo immerso patrimonio immobiliare

e immetterlo sul mercato della prima casa, per le giovani coppie. Di certo non possiamo più pensa-

re di continuare a costruire”. Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT

Il confronto con l’offerta ricettiva dei più diretti competitori, quali sono val Gardena e val Badia, è

inevitabile. Tali località sono indicate come un modello turistico da imitare per la capacità che han-

no avuto di contenere la proliferazione dell’offerta. In queste località il numero dei posti letto alber-

ghieri è decisamente superiore a quello dei posti extralberghieri, ma quello che più conta è che, at-

traverso vincoli urbanistici e misure fiscali di disincentivo, sono riusciti a contenere il numero di se-

conde case. La seguente tabella riporta il dato relativo alle seconde case e l’incidenza delle seconde

case sulla popolazione residente. Nel 2010 erano presenti nel Comun General de Fascia 4.823 se-

conde case di proprietà di non residenti e 7.768 seconde case totali. Nel 2008 nel comprensorio turi-

stico della val Gardena e nel comprensorio della val Badia erano presenti rispettivamente 1.505 e

1.053 seconde case totali.

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Tabella 1 Confronti con i comprensori turistici della val Gardena e della val Badia

Comun General

de Fascia

Val Gardena Val Badia

Popolazione 9.860 15.666 6.006

Seconde case* 7.768 1.505 1.053

Incidenza %

seconde case

78,78 9,61 17,53

* I dati per il Comun General si riferiscono al 2010, quelli per i territori della Provincia Autonoma di Bolzano al 2008

“La val Gardena e la val Badia, con più o meno la nostra stessa popolazione, hanno meno di venti

mila posti letto e prezzi molto più alti dei nostri. Dovremmo imparare da loro: dimezzare i posti let-

to e raddoppiare i costi. Ciò consentirebbe anche di qualificare l’offerta. Noi abbiamo sballato la

proporzione tra posti letto alberghieri ed extralberghieri. Una stazione turistica sta in piedi quando

le seconde case non superano il trenta per cento della ricettività. A Campitello abbiamo il sessanta

per cento di seconde case. E’ il settore alberghiero che produce reddito costante, la seconda casa

una volta costruita non produce più niente. Il calo dei posti letti dovrebbe essere fatto sull’extra al-

berghiero, ma tale obiettivo è difficilmente praticabile”. Renzo Valentini Sindaco di Campitello e

Assessore CgF

“Ci vorrebbe una politica urbanistica in grado di promuovere ristrutturazioni fondate sulla qualità

e non sulla quantità, fornendo standard minimi di qualità. Ce lo dimostrano i nostri cugini Garde-

nesi e Badiotti, loro, anche in questo periodo di crisi, vanno meglio di noi perché hanno impostato

il tutto su una politica di qualità e non di quantità. Comunque, credo che i posti letto in Valle di

Fassa non siano tanti in termini assoluti, perlomeno quelli alberghieri. Abbiamo risorse ambientali

uniche al mondo, i mercati da esplorare sono ancora molti, credo che lavorando bene si possano

attivare nuovi flussi turistici. I mercati inesplorati non sono solo geografici, ma anche motivaziona-

li. Tutti quando andiamo in vacanza cerchiamo emozioni nuove. Quindi anche noi dobbiamo impa-

rare a valorizzare e vendere le emozioni che si possono vivere in val di Fassa. E’ anche vero che è

difficile dare emozioni a sessanta mila persone in una settimana. Certamente dobbiamo investire in

una diversificazione della nostra offerta, avendo però presente che la sommatoria di tante nicchie

turistiche, non farà mai i numeri cui ci siamo abituati con lo sci. E’ un peccato che a livello alber-

ghiero non si sia lavorato in un certo modo, pensando a strutture di maggiore qualità, con spazi più

ampi e meno posti letto. Si è invece fatta la corsa a creare posti letto, sposando la causa della

quantità anziché quella della qualità. Non possiamo più permetterci dei quattro stelle con le came-

rette piccole”. Gianni Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti

Super Ski

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5. La ricettività alberghiera: tra elementi di crisi ed esigenze di rinnovata

competitività

L’offerta alberghiera in val di Fassa è ormai da alcuni anni caratterizzata da una certa stabilità. Dai

dati forniti dall’Apt risulta che nel 2000 i posti letto offerti negli alberghi di Fassa erano 16.658 e

sono scesi nel 2009 a 16.464 per risalire a 16.772 nel 2011. Tale stabilità di offerta nel numero dei

posti letto si è comunque accompagnata a investimenti finalizzati a ristrutturazioni, migliorie o ade-

guamenti alle normative in necessaria risposta alla qualità attesa dall’ospite in un panorama di offer-

ta di vacanza estremamente concorrenziale su scala mondiale.

I forti investimenti nel costante processo di qualificazione delle strutture alberghiere hanno indotto

una diffusa condizione d’indebitamento delle aziende che oggi sono alla ricerca di una redditività

degli investimenti, perseguendo (o subendo) anche i modelli d’offerta low cost. La piccola dimen-

sione di gran parte delle imprese alberghiere, gli alti investimenti che si sono resi necessari per of-

frire servizi di maggiore qualità e i minori margini di redditività, inducono uno stato di crisi del set-

tore cui si cerca di far fronte con proposte di creazione di reti d’impresa e di maggiore specializ-

zazione degli esercizi su flussi turistici diversificati. Diverse sono anche le situazioni di crisi azien-

dale conclamate per le quali ci si attende interventi istituzionali analoghi a quelli adottati, a livello

provinciale, per le industrie manifatturiere in crisi al fine di prevenire acquisizioni da parte di

soggetti economici esterni alla valle.

“ Il settore alberghiero è debole perché la concorrenza al suo interno è enorme, le gestioni sono

molto familiari con un grosso problema di ricambio generazionale. Siamo ancora alla proposta al-

berghiera degli anni 80-90. Solo alcuni riescono a fare una proposta di qualità alta e a essere

competitivi. Gli alberghi a conduzione familiare fanno oggi molta fatica a stare sul mercato, fanno

tutto loro, molti non possono permettersi il personale. Questo porta tante volte a dismettere gli al-

berghi, allora che si fa? Si vende, ma a chi? Anche questo è un grande problema, c’è un rischio di

acquisizioni esterne. Bisogna creare qualcosa che tenga le risorse e l’imprenditorialità in valle. Ci

vorrebbe una holding locale che riuscisse a gestire questo flusso di alberghi dismessi che purtrop-

po sta sempre più crescendo”. Cesare Bernard Presidente Consei General

“I figli d’albergatori non vogliono portare avanti l’azienda di famiglia. Gli alberghi si trasformano

in residence e questo per noi è un grosso pericolo. Oppure, quando non hanno più una continuità di

gestione, restano chiusi. Ci sono stati degli investitori russi che hanno comprato alberghi, hanno

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presentato in comune un progetto d’ampliamento di venti mila metri cubi. Il comune chiaramente si

è spaventato e ora anche i russi tentano di rivendere”. Fiorenzo Peratoner SIC

“Ormai ci sono alberghi di una certa caratura, con il centro benessere, il wellness. Secondo me

questo non è stato un grande business perché i costi di queste strutture sono oggi insostenibili. Sa-

rebbe stato meglio creare un unico centro wellness a servizio di tutto il paese dove ogni albergo si

poteva convenzionare. Eppure, per stare sulla breccia, l’albergatore ha dovuto fare questi investi-

menti, magari andando poi in bassa stagione a praticare dei prezzi scandalosi. Una pensione com-

pleta a trenta euro in un albergo tre stelle superiore non è possibile, questo sistema non da qualità

al nostro turismo. Quando dico queste cose ai miei amici albergatori, mi dicono: hai ragione, però

quando arriva la rata del mutuo e c’è da pagare il cuoco o il cameriere, come faccio. Purtroppo

stiamo anche vedendo parecchi alberghi che stanno chiudendo, in passato alcuni alberghi sono sta-

ti trasformati in appartamenti. In un periodo di crisi come questo è anche difficile trovare chi ti

compra l’albergo, quindi si tira avanti”. Tullio della Giacoma Sindaco di Pozza di Fassa e Asses-

sore CgF

“Non dobbiamo nasconderci che in questo momento tante aziende sono in difficoltà. E’ stato inve-

stito, però nella direzione sbagliata. Tantissime aziende hanno investito, hanno capito anche che

hanno sbagliato, ma non sono nelle condizioni di fare una riconversione: hanno debiti, il mercato

va male, c’è la stretta creditizia. E’ difficile dire all’albergatore punta sulla qualità, se ha i mutui

in scadenza e non lavora, non ti sta neanche ad ascoltare”. Gianni Rasom Consigliere CgF e re-

sponsabile informatica Consorzio Dolomiti Super Ski

“Sono pronto a scommettere che tra qualche anno avremo diverse aziende alberghiere che chiude-

ranno. Avremo questi grossi casermoni che non sapremo come utilizzare, anche perché oggi c’è il

vincolo di destinazione. Dovremo cominciare a ragionare su come riutilizzarli”. Celestino Lasagna

Presidente Associazione Albergatori della val di Fassa.

“Il turismo negli ultimi dieci anni si è trasformato, l’albergatore oggi è tutto un altro mestiere. E’

finita l’epoca in cui uno rimaneva al bar, rispondeva ogni tanto al telefono e riempiva l’albergo

ugualmente. Adesso la concorrenza è spietata, il mondo è più piccolo. C’è stata selezione, il busi-

ness turistico alberghiero in questo momento è caratterizzato da albergatori bravi che guadagnano,

ci sono gli albergatori che sopravvivono, poi ci sono quelli che stanno chiudendo perché non rie-

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scono più a stare sul mercato. Volendo fare delle percentuali; secondo me vive bene un 35%, so-

pravvive un 55% ed è in crisi un 10%”. Franco Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF

“C’è un fattore di crisi globale e ha colpito anche noi, il nostro sistema turistico sta vivendo un pe-

riodo di declino già evidente da cinque o sei anni. L’apertura dei mercati ha fatto emergere nuove

destinazioni ma soprattutto le ha rese accessibili a costi sempre inferiori, con i voli low cost. Noi

abbiamo avuto flussi sempre maggiori ma con margini progressivamente inferiori. Le imprese più

grosse hanno compensato con l’economia di scala, ma i piccoli sono andati in crisi.

Quell’imprenditore alberghiero diffuso che era venuto fuori con le politiche di Malossini, con tutto

questo stimolo all’imprenditoria alberghiera sta andando in crisi, non può più reinvestire, non ha

quelle dimensioni tali che gli consentono di essere abbastanza forte per offrire dei servizi, avere dei

margini sufficienti. C’è stato un equivoco di fondo molto grande, tra l’azienda a gestione familiare,

che era quella nata con Malossini, e l’azienda con clima familiare che è quella che noi cerchiamo

di mantenere, che è una nostra prerogativa. Nell’azienda familiare hai almeno quattro familiari

che lavorano: padre, madre, due figli, uno fa il cuoco, uno fa il cameriere, uno fa la reception e

aiuta dove serve. Era il classico modello degli anni 70-80, il modello che ha generato ricchezza, ma

che oggi è in crisi o non c’è più. Oggi i figli spesso fanno altro, rimangono i genitori che assumono

dipendenti stagionali, l’albergo diventa un’azienda vera e propria dove cerchi di mantenere un

clima familiare, ma è un clima che ti costa un sacco di soldi, è complicato da gestire in strutture

che per dimensioni sono totalmente sballate. Si cerca di compensare facendo investimenti sulla

struttura, offrendo agli ospiti servizi di qualità. Negli ultimi dieci anni sono stati fatti molti investi-

menti: chi li ha fatti entro una certa soglia, fino ai due milioni di euro d’indebitamento riesce a te-

nersi in piedi; tra i due e i tre milioni di euro si galleggia ancora; ma dai tre milioni in su si è

sull’orlo del baratro. Ci sono tanti alberghi che hanno fatto investimenti molto alti, sovradimensio-

nati rispetto alla dimensione d’impresa. Chi ha quaranta camere non riesce a rientrare da un inve-

stimento da tre milioni. Adesso stiamo cercando di affrontare la situazione, c’è una legge a cui

stiamo facendo riferimento, riguarda le reti d’imprese che è questo tentativo di ottimizzare le ge-

stioni avendo una dimensione critica sufficiente per proporre un servizio di un certo tipo con sere-

nità. Dobbiamo trovare il modo d’intercettare i diversi flussi turistici, specializzando le nostre im-

prese su offerte diversificate”. Francesco Cocciardi Albergatore Moena.

Da quanto emerge dal racconto dei testimoni privilegiati, il settore alberghiero locale soffre di alcu-

ne problematiche che incidono negativamente sulla tenuta del modello imprenditoriale:

• la frammentazione delle unità locali e la mancanza di una coesione interna al settore;

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• le imprese a prevalente carattere famigliare, con i membri della famiglia che coprono le posi-

zioni lavorative più disparate;

• le difficoltà di passaggio generazionale con le conseguenti dismissioni delle strutture;

• la carenza di figure professionali intermedie, a fronte di una buona disponibilità di figure pro-

fessionali per livelli più bassi e di laureati, che peraltro faticano a inserirsi in profili coerenti;

• l’elevato turn over del personale, con basso impiego di manodopera locale e un alto impiego di

manodopera immigrata.

Tali problematiche sono il frutto di uno sviluppo per certi versi impetuoso e spontaneistico che non

è stato accompagnato da un processo di adeguata professionalizzazione e crescita imprenditoriale

all’interno delle strutture. Formazione, successione imprenditoriale e competenze coinvolte nel

processo produttivo appaiono oggi i principali nodi evolutivi.

“Io ritengo che la valle sia proiettata in un ambito internazionale ma non sia cresciuta di pari pas-

so con quest’ambito. Il boom turistico è stato così veloce che non ha lasciato il tempo alla forma-

zione. Ci sono senz’altro persone molto valide, che hanno visione strategia, ma sono cresciute indi-

vidualmente, per proprie capacità e sensibilità personali, non c’è stata una crescita complessiva

del sistema. Abbiamo subito la modernizzazione più che governarla. Ci siamo ritrovati al centro del

mondo turistico senza sapere bene cosa questo comportasse. Adesso le persone sono un po’ più co-

scienti ma manca la preparazione. A noi manca la capacità di pensare a nuove idee, di metterci at-

torno a un tavolo e guardare al futuro. Abbiamo molte potenzialità, basta guardare alla natura, pe-

rò purtroppo non sappiamo gestirla. C’è un grosso bisogno di formazione, di sviluppare maggiori

capacità gestionali”. Cesare Bernard Presidente Consei General

“Una cosa strana è che in val di Fassa non si è sviluppata una formazione alta in campo turistico.

La scuola di Tesero in realtà non è molto frequentata dai fassani, c’è la scuola di Falcade lo sci

college, che però è più sul discorso sportivo. Vanno piuttosto a Merano. In val di Fassa ci vorrebbe

una cultura turistica diversa, più raffinata. E qui viene fuori il discorso della formazione, che negli

anni è molto migliorato, c’è molta più gente che fa studi universitari. C’è però la generazione dei

trenta quarantenni, anche figli di persone influenti della valle, che sono poco formati scolastica-

mente e culturalmente ed è la generazione che ora comincia prendere le decisioni sullo sviluppo di

questa valle. Dobbiamo sperare negli attuali ventenni che hanno fatto un maggiore investimento in

formazione”. Annalisa Zorzi Insegnante

Page 35: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

35

“Tra noi albergatori c’è molto individualismo, è difficile riuscire a collaborare. Quando come APT

o come Associazione Albergatori abbiamo proposto iniziative di formazione, anche gratuite, è sem-

pre stato un fallimento. Quello che secondo me oggi manca di più è un processo di specializzazione

delle strutture alberghiere. Sono pochi quelli che si specializzano, oggi ci dovrebbero essere gli al-

berghi per le famiglie, quelli per gli sportivi, quelli che valorizzano il wellness, quelli che puntano

sulla gastronomia. Molti si limitano ancora vendere la mezza pensione e questo non va più bene.

Non basta più dire che val di Fassa è bella per riempire gli alberghi. L’allungamento della stagio-

ne è un altro problema, bisognerebbe riuscire a convincere gli operatori a tenere aperto fuori sta-

gione. Una delle pecche più grosse che abbiamo è la conoscenza delle lingue. Io non sono andato

avanti con gli studi, però tutte le mie vacanze le facevo all’estero e ho imparato bene l’inglese e il

tedesco. Qui studiamo tedesco nella scuola dell’obbligo ma usciamo senza saperlo parlare, al mas-

simo siamo in grado si scrivere una lettera commerciale. Dovremo fare come in Gardena e Badia,

dove l’insegnamento delle materie lo fanno direttamente in tedesco e in inglese. Io sono albergato-

re per tradizioni di famiglia. Ho trentacinque anni e già da tre o quattro anni i miei genitori mi

hanno delegato molte responsabilità gestionali. C’è sempre mio padre, però lascia a me e a mia so-

rella la gestione di molti aspetti aziendali. In altre realtà vedo genitori che non mollano anche a ot-

tant’anni, per cui c’è un grosso problema di ricambio generazionale. All’ultima assemblea

dell’Associazione è venuto il Presidente degli albergatori dell’Alto Adige e ha detto chiaramente

che un padre deve lasciare la gestione dell’albergo al figlio entro i trentacinque anni. Se il passag-

gio avviene più tardi, il figlio comincia a pensare come il padre e questo significa una perdita

d’innovazione e di competitività. Questa frase mi è rimasta impressa. Vedo molti figli che a qua-

rant’anni non gestiscono niente. I figli devono potere sviluppare un’esperienza imprenditoriale,

imparare a gestire i rischi finanziari che un investimento sull’albergo comporta. Se ci arrivano do-

po i quarant’anni, senza fare esperienza diretta, senza fare formazione, o vivono di rendita, o fanno

pasticci". Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT

“Bisogna ripartire dal capitale umano. Sono convinto che non ci sia altra strada di sviluppo possi-

bile che non passi dalle persone. Nel turismo abbiamo un passaggio generazionale che per tante

aziende diventa un momento difficile, rischiano di chiudere. Secondo me in val di Fassa dobbiamo

puntare sulla formazione, aprire una scuola di alta formazione per il turismo. In Svizzera ci sono le

SHM, scuole di alta formazione turistica, in tutto e per tutto equiparate al diploma universitario,

non solo formano le persone che operano in quei luoghi, ma addirittura diventano centri di attra-

zione per un sacco di studenti che vendono da fuori. Ci sono tanti ragazzi che non vogliono più fare

gli albergatori, sono spaventati. Hanno vissuto l’esperienza dei loro genitori e non vogliono ripe-

Page 36: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

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terla. Io ho tanti coetanei che dicono: ma perché devo fare la vita dei miei genitori, sempre conti-

nuamente indebitati, con la preoccupazione di dover fare i lavori, di crescere, di adeguare le strut-

ture a nuove esigenze e alla fine non c’è mai pace. C’è una crisi di rigetto, famiglie per forza assen-

ti, sempre concentrate sull’albergo, perché comunque se non è la stagione, sono i lavori di ristrut-

turazione esterna, le camere, il wellness. C’è stata un’escalation qualitativa delle strutture vera-

mente importante, però questo, in tanti giovani, ha generato la volontà di prendere altre strade

perché non hanno avuto lo stimolo a voler fare la vita dei genitori”. Silvano Ploner, giornalista.

Il momento della successione nella proprietà e nella conduzione d’impresa rappresenta oggi una

fase cruciale nella vita delle imprese alberghiere fassane. Presso le giovani generazioni sembra farsi

strada una concezione dell’attività turistica come attività imprenditoriale di livello inferiore: servire

qualcuno non sarebbe ciò che definisce un’impresa a tutti gli effetti. Se la prima generazione non

trova una seconda pronta a rilevare l’attività si passa alle gestioni in affitto, che frenano qualsiasi

innovazione in termini di programmazione e investimento. Da qui, l’orientamento, da parte di alcu-

ni albergatori, di tentare altre strade per la conduzione aziendale, come ad esempio quella di un

manager (direttore) preposto alla gestione dell’azienda. Il punto però, è che le dimensioni ristrette

della ricettività alberghiera scoraggiano queste soluzioni che risultano di fatto antieconomiche. In

questo caso, l’immagine di attività imprenditoriale di livello inferiore non riguarda tanto l’idea che i

potenziali imprenditori si sono fatti del settore, ma proprio la difficoltà di creare un “prodotto indu-

striale” a tutti gli effetti.

In un contesto territoriale, caratterizzato da un tessuto diffuso di piccole e medie realtà alberghiere,

il passaggio di testimone al vertice di molte imprese assume valore in quanto fenomeno plurale, in

quanto avviene contestualmente in un elevato numero d’imprese. La successione generazionale

nelle imprese familiari di piccola dimensione, che ruotano attorno alla figura dell’imprenditore, e-

voca sempre preoccupazioni e tensioni. Le prime, tra i policy makers che temono che il sistema e-

conomico sia incapace di sopravvivere agli imprenditori di “prima generazione” che hanno fatto la

fortuna della Valle. Le seconde, tra le famiglie imprenditoriali che spesso caricano questo evento di

troppe aspettative, sia legate al business, che a questioni affettive o personali mai affrontate prima

per non entrare in conflitto con il leader. Tanto le prime quanto le seconde sono legittime, ma qual-

che volta sortiscono l’effetto di profezie che si auto avverano: se gli attori sociali che affrontano il

fenomeno della successione imprenditoriale la considerano un problema, adotteranno comporta-

menti e prenderanno decisioni che trasformano un evento naturale del ciclo di vita dell’impresa in

un vero e proprio problema.

Page 37: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

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Le implicazioni “di sistema” di tante successioni, e dell’avvicendamento di differenti generazioni

d’imprenditori in possesso di differenti dotazioni di risorse culturali, economiche, ma anche etiche,

rinviano alla trasformazione del tessuto imprenditoriale locale, secondo direttrici più o meno appro-

priate al cambiamento richiesto e imposto dall’evoluzione dei mercati e dell’ambiente competitivo.

In maniera speculare, trascinano con sé il rischio di un depauperamento delle risorse culturali e del-

le vocazioni etiche, riconosciute agli imprenditori di “prima generazione”. Poiché la generazione

d’imprenditori che ha portato lo sviluppo turistico in Valle ha già raggiunto o è prossimo all'età in

cui l’energia decresce e l'apertura al nuovo è meno spiccata, è richiesto un efficace passaggio di te-

stimone.

“Come dice il famoso detto: una generazione fa, l’altra mantiene e la terza disfa. Anche per questo

dobbiamo fare formazione, per capire e per affrontare le ragioni di un rifiuto, da parte di alcuni

giovani, di proseguire con l’attività imprenditoriale dei genitori. Di solito se ci sono più figli in una

famiglia, almeno uno porta avanti l’impresa, ma non sempre succede. Non è necessariamente per-

ché vogliono godersi la vita con i soldi di famiglia, spesso vogliono fare un lavoro diverso. Il setto-

re turistico in questo momento non garantisce grandi sicurezze, se vuoi una famiglia, è un lavoro

molto pesante, nell’alta stagione non riesci a respirare, poi c’è la crisi con la difficoltà di coprire i

posti letto, un lavoro sempre messo in forse dal tempo atmosferico, dalla presenza o meno della ne-

ve. Fare l’insegnante è molto più comodo, ha degli orari di lavoro e uno stipendio fisso. Bisogne-

rebbe poi che gli anziani si facessero da parte, perché soprattutto nelle aziende alberghiere c’è una

certa riluttanza da parte dei padri a lasciare l’azienda nelle mani dei giovani, perché loro l’hanno

costruita, hanno sofferto, mettersi da parte non è facile. Non è solo un problema culturale, ma an-

che giuridico, di gestione dell’eredità. Anche quando c’è un figlio a continuare l’attività, gli altri

figli pretendono la loro parte di capitale”. Cristina Donei Procuradora Comun General

“E’ un problema complesso perché il genitore realizza l’albergo, lo porta avanti, fa la famiglia con

tre o quattro figli. Al momento di dividere ogni figlio vuole la sua parte. Per anni un paio di figli

sembrano disinteressati, ma quando è ora di dividere si fanno avanti. Il figlio che inizialmente sem-

brava il più adatto e interessato, è sottoposto a una pressione economica non indifferente da parte

dei fratelli, e allora sorgono i dubbi sul da fare, se andare avanti, se vendere o meno. La successio-

ne imprenditoriale è un problema non soltanto culturale, ma anche di gestione giuridica finanzia-

ria”. Mariano Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF

Page 38: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

38

Il problema, in molti casi, è individuare a chi passare il testimone della gestione aziendale: le doti

dei fondatori non sono immediatamente trasmissibili ai figli, e una quota rilevante di questi ha altre

vocazioni o non è disponibile a replicare i sacrifici dei padri (in termini di dedizione al business). Al

contempo i rapporti con la generazione precedente non sono del tutto immuni da incomprensioni e

mancanza di reciproca fiducia: cosa che sembrerebbe ancora tributaria di una visione del tutto tradi-

zionale dei rapporti d’impresa, ma con cui in ogni caso bisogna fare i conti.

“La nostra valle è cresciuta troppo in fretta, la conseguenza di questo è che un ricambio genera-

zionale in questo momento è molto difficoltoso. Abbiamo imperi economici che non hanno seguito,

sono senza prospettiva. Abbiamo delle famiglie che in val di Fassa gestiscono mille posti letto, non

sono più delle aziende che possono essere pilotate a vista, ma che devono avere una certa pro-

grammazione. O i figli fanno altro, o non sono stati radicati per tempo nell’azienda. Abbiamo a-

ziende alberghiere gestite da ultraottantenni. E’ un problema che sta venendo a galla adesso, e non

è un problema da poco”. Claudio Bernard, imprenditore, presidente consorzio impianti

“ La generazione di oggi non ha più voglia d’impegnarsi, un albergatore non ha domeniche o sera-

te libere, soprattutto se è arrivato a trent’anni senza poter gestire direttamente lui l’albergo perché

ha dovuto rispettare i genitori. Mi sono sempre chiesto perché questi benedetti figli degli alberga-

tori non sono mandati fuori a imparare una lingua, a vedere come fanno gli altri, no, li tenevano lì

a fare i lavapiatti, i facchini, l’aiuto cuoco per risparmiare sul personale. Non vorrei sembrare

troppo polemico, però la nostra gioventù sta troppo bene, ha troppi soldi in tasca, ha troppe possi-

bilità di andare e fare quello che vuole. Il benessere ha appiattito la spinta all’imprenditorialità dei

giovani. E’ un meccanismo bloccato sulla rendita”. Tullio della Giacoma Sindaco di Pozza di

Fassa e Assessore CgF.

“Se vogliamo fare il bene alla comunità, dobbiamo affrontare il tema dei passaggi generazionali

nella gestione degli alberghi. Dobbiamo creare una cultura, risorse imprenditoriali valide, che

possano entrare con responsabilità all’età giusta, dai venticinque ai trentacinque anni. Se a

quell’età non hai ancora imparato a gestire l’albergo, nel momento del passaggio ti accorgerai che

forse è un po’ più complesso che quel sembrava quando c’era qualcuno alle spalle. In questa situa-

zione c’è anche chi dice: ma chi me lo fa fare? Ho un patrimonio di cinque milioni di euro, lo ven-

do per quattro milioni, e non ho più problemi”. Franco Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Asses-

sore CgF

Page 39: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

39

“I figli di albergatori abbandonano l’attività e questo è un grossissimo problema. Non vogliono

continuare l’attività dei genitori perché è un lavoro che comporta sacrificio e tanto impegno. Negli

anni si è visto diminuire il margine economico. Il margine che c’era negli anni ’80 oggi non c’è

più. Sono arrivate nuove normative, la sicurezza sul lavoro, altri costi, aumenti delle imposte.

Questi giovani preferiscono impegnarsi in altri lavori, avere la certezza di uno stipendio. C’è poca

imprenditorialità. Dagli anni ‘90 in poi, in val di Fassa si sono laureati molti giovani, eppure, an-

che per i posti di rilievo, nelle nostre aziende fatichiamo a trovare giovani che si vogliano mettere

in gioco. Tanti rimangono nell’università, proseguono la loro attività di ricerca, qualcuno fa anche

esperienze all’estero, e questo va bene. Non sarei comunque troppo pessimista siamo in un periodo

di transizione,magari fra tanti laureati, qualcuno tornerà dall’estero con un bagaglio di esperienze

utili. Non so se il Comun General o l’APT possano avere un ruolo di tutoraggio in questo senso,

cioè andare a rilevare le emergenze di un albergo che chiude perché i figli non vogliono andare

avanti, chiedere il perché dell’abbandono. Raccogliendo e canalizzando i problemi si possono dare

una serie di consigli, d’indirizzi, consigliare ad esempio un corso di marketing. Questo è un pro-

blema di cui la Comunità si dovrebbe far carico”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio im-

pianti a fune val di Fassa e Carezza

Da più parti emerge l’esigenza di un progetto capace di porre in termini innovativi il tema del-

la successione imprenditoriale nelle strutture alberghiere della valle, visto non in termini trau-

matici ma in termini di una dinamica evolutiva. Non è corretto drammatizzare un evento naturale. Il

rischio vero riguarda semmai il fatto che questo fenomeno riguarda un tessuto diffuso di piccole e

medie imprese. E’ quindi in una logica di sistema che bisogna intraprendere nei prossimi anni un

processo di cambiamento strategico e organizzativo, indipendentemente dall’età anagrafica dei fon-

datori delle imprese. Messa così, la questione del passaggio generazionale appare più

un’opportunità che una minaccia. La chiave di lettura deve essere quella dello sviluppo. La succes-

sione imprenditoriale può, infatti, alimentare un fecondo processo di sviluppo. I processi di transi-

zione imprenditoriale generano cambiamenti che spesso vanno nella direzione di un rafforzamento

della formula imprenditoriale originaria e di un consolidamento delle fonti di vantaggio competiti-

vo, agendo in particolare sulle leve della differenziazione della struttura dell’offerta e sullo sviluppo

selettivo di relazioni di partnership lungo l’intera rete del valore. L’ingresso delle nuove generazio-

ni, che in genere avviene attraverso fasi di affiancamento e addestramento sul campo più o meno

lunghi, è risultato spesso un importante momento di razionalizzazione degli assetti organizzativi e

di governance.

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La gestione efficace della transizione in azienda implica l’assunzione di una serie di decisioni di ca-

rattere strategico, necessarie a garantire la continuità del sistema e a porre le basi del suo futuro svi-

luppo. Questo importante passaggio deve essere adeguatamente preparato e vissuto con consapevo-

lezza dagli attori coinvolti, in quanto da esso può scaturire un forte impulso allo sviluppo

dell’impresa, ma anche una possibile involuzione, con ripercussioni negative sotto il profilo della

sopravvivenza del sistema aziendale. Il passaggio di mano significa quindi pianificare lo sviluppo

aziendale futuro, preparando l’inserimento dei nuovi soggetti in diretto riferimento ai fabbisogni

dell’impresa. E questo implica concepire la successione imprenditoriale come un processo che,

con l’obiettivo di garantire la continuità dell’impresa, pervenga al conferimento, totale o parziale,

della responsabilità attinente il ruolo imprenditoriale. Concepire la successione imprenditoriale co-

me un processo significa anche considerare l’intervento di “competenze” diverse da quelle richieste

nella fase di avvio dell’impresa. Mentre quest’ultima, infatti, ha richiesto intraprendenza individuale

e attitudine all’assunzione del rischio, la fase di passaggio ad altro assetto proprietario e gestionale

mobilita soprattutto caratteristiche di razionalità gestionale e di managerialità associate a una vi-

sione strategica, cioè di lungo periodo, dello sviluppo aziendale.

Una volta uscito dal chiuso della famiglia, il problema della successione diventa quello della conti-

nuità e assume una dimensione sociale. L’impresa appartiene certamente alla famiglia del fondato-

re, ma in senso lato appartiene anche a chi vi lavora, alla comunità che l’accoglie, a quelli che gli

anglosassoni chiamano gli stakeholder, i portatori d’interesse nei riguardi dei suoi destini e delle

sue prestazioni economiche e sociali. La sua continuità va vista anche nella prospettiva degli stake-

holder, che possono fornire idee e risorse e strumenti, anche quando la famiglia non sia più in grado

di assicurare alternative al fondatore. Alleanze tra imprese, scambio d’esperienze tra famiglie,

forme evolute di finanziamento, “patti di famiglia” per affrontare gli aspetti giuridici e finan-

ziari che la successione comporta, apertura alle competenze professionali esterne alla fami-

glia: sono gli strumenti che possono dare buoni risultati. A livello locale alcuni stakeholders

cominciano a porsi il problema e a proporre soluzioni.

“Io lavoro in Cassa rurale di Fiemme. Le Casse rurali si stanno ponendo il tema della continuità

imprenditoriale delle nostre aziende alberghiere. Il mondo del credito cooperativo ha fatto un ac-

cordo con la Società Scouting, stiamo raccogliendo dati per dare un riscontro agli alberghi di un

certo tipo, sulle scelte che fanno, sulle capacità gestionali, su questo tema del passaggio generazio-

nale. L’obiettivo è fornire consulenza e assistenza alle imprese. Il limite di Scouting è che fa una

consulenza tarata su aziende di grosse dimensioni, mentre qui da noi sono imprese di piccole di-

mensioni. In val di Fiemme questo discorso lo abbiamo iniziato. Non so se anche la Cassa rurale

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val di Fassa e Agordino abbia proposto alle aziende una consulenza di questo tipo. Di certo il tema

è d’importanza strategica”. Roberto Pellegrini Sindaco di Soraga e Assessore CdF

6. Professionalità e imprenditorialità nel settore turistico

Oltre alla successione imprenditoriale il tessuto alberghiero locale esprime anche un più generale

problema di competenze e disponibilità di manodopera qualificata. Nell’ultimo decennio il

mercato del lavoro nel settore turistico alberghiero sembra essersi caratterizzato per l’aggravarsi di

alcune problematiche, piuttosto che per una loro positiva soluzione, in particolare per quanto ri-

guarda l’impiego di manodopera. A essere entrato in crisi è un modello imprenditoriale a gestione

familiare in cui la divisione dei compiti aziendali è poco formalizzata e vede ancora i familiari im-

pegnati su più fronti in veste di factotum, chiamati a garantire il funzionamento complessivo della

struttura: dalla cucina alla manutenzione ordinaria, alla promozione.

La dinamica evolutiva dell’azienda a conduzione familiare evidenzia oggi la carenza di figure pro-

fessionali intermedie e specializzate, a fronte di una buona disponibilità di figure professionali per

livelli più bassi e di laureati, che peraltro faticano a inserirsi in profili coerenti nelle aziende alber-

ghiere e nel campo di servizi turistici innovativi. Il risultato di tale processo evolutivo è l’elevato

turnover del personale, con basso impiego di manodopera locale e un alto impiego di manodopera

immigrata. Alla crescente disaffezione delle giovani generazioni per l’attività turistica, si affianca la

crescente necessità di ricorrere a manodopera proveniente da fuori valle, chiamata spesso a svolgere

funzioni in rapporto diretto con l’utenza senza una specifica competenza su quelle che sono le pecu-

liarità del contesto locale. La quota elevata di lavoratori dipendenti di provenienza extraprovinciale

porta inevitabilmente con sé anche un livello di turnover molto elevato, che qualsiasi altro settore,

diverso da quello turistico, ben difficilmente potrebbe permettersi reggendo al contempo alle solle-

citazioni del mercato. Il settore turistico tiene ugualmente, nonostante questo handicap. Ma quali

prezzi si devono pagare sul versante del rapporto con l’ospite, la capacità di veicolare in modo ap-

propriato un territorio, i suoi prodotti, le sue specificità?

“Abbiamo circa 300 aziende alberghiere, quasi tutte mediamente sui 70-80 letti, quindi a gestione

familiare, con il supporto di personale esterno, per lo più immigrato. C’è un’enorme quantità

d’immigrati da fuori valle, in inverno sono circa quattromila persone. Molti si fermano. Del resto

noi diamo a queste persone la possibilità di un rapporto di lavoro più lungo, perché altrimenti si

corre il rischio che arrivino quattro mesi in inverno, quattro mesi in estate, poi se ne vanno quattro

mesi in disoccupazione, perché comunque ricevono i soldi, però la qualità professionale non cre-

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sce. Quando si sentono gli albergatori che devono affidare incarichi, anche di una certa delicatez-

za, e quindi non solo lavoro di cucina o le camere, a personale dell’Est, mi rendo conto che questa

situazione ci può rendere deboli, perché queste persone non hanno un’istruzione rispetto

all’identità culturale di minoranza, alle offerte del nostro territorio e qualche volta neanche una

preparazione professionale specifica alla nostra tipologia turistica estiva e invernale”. Alfredo

Weiss Consigliere CdF

“Gli imprenditori che ce la fanno sono quelli delle aziende familiari dove è passata l’idea della

formazione e della diversificazione delle mansioni, dove ognuno ha una competenza specifica in un

settore, quindi sono le aziende che ci fanno fare bella figura, che fanno buoni bilanci e che hanno

la prospettiva, la voglia di portare avanti il successo aziendale. Purtroppo non sono la maggioran-

za, questi sono forti in quanto nucleo familiare, hanno anche investito in capacità relazionale che

tanti dimenticano, ma che sono il primo valore d’ospitalità di una valle alpina. La gente viene qua

per avere relazioni umane, per acquisire le conoscenze che si accumulano a vivere qui: il sentiero,

la natura, la montagna, i profumi, i luoghi degli animali, ecc. Però adesso la situazione si è evoluta

in modo tale che il rapporto con l’ospite è spesso delegato a persone esterne, di buona volontà, che

magari vengono dalla Romania. Sono bravissime persone, seri lavoratori, ma non potranno mai

fornirti quelle conoscenze che diventano decisive per chi è interessato alla destinazione della val di

Fassa”. Andrea Weiss Direttore APT

“La settimana scorsa sono andato sciare a Lusia, entro nel rifugio e le uniche persone che incontro

dietro il bancone sono tre ragazze rumene, bellissime, bravissime, niente da dire. Però se io fossi il

padrone di un’azienda turistica a contatto con l’ospite metterei una persona che il territorio ce l’ha

dentro, che lo vive, che lo conosce, che lo sente suo. Solo in questo modo riesco a trasmettere

l’immagine di un’azienda davvero locale, che ha un radicamento territoriale. Oggi questo non av-

viene. In tutti i rifugi trovi la cameriera o la barista rumena, piuttosto che bulgara, polacca o russa.

A quel punto mi sembra di vivere un luogo totalmente spersonalizzato”. Silvano Ploner giornalista

“Gran parte dell’ospitalità, del contatto diretto con il cliente, è oggi affidata a persone che vengono

da fuori. Con tutto il rispetto per queste persone che sono qui per lavorare, ma non ha senso la ca-

meriera rumena con il vestito tipico ladino. Potrebbe avere un senso se sapesse spiegare perché lo

sta portando. Stessa cosa se a portare quel vestito e una persona del posto e non sa come si chia-

ma. Come qualcuno ha detto di recente forse la cultura non porta soldi, ma porta identità, autosti-

ma, orgoglio per il proprio territorio”. Rasom Sabrina responsabile progetti culturali del com-

prensorio ladino Fassa

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43

Un carattere che tende a qualificare il settore turistico in termini più negativi rispetto a quanto si

possa affermare per altri comparti riguarda la stagionalità e la bassa qualificazione che accomuna

gran parte delle mansioni tipiche delle attività in esso rientranti. Sotto quest’aspetto, effettiva-

mente, il turismo si distingue per una considerevole richiesta di figure professionali di livello me-

dio/basso, che non richiedono una formazione pre lavorativa particolarmente articolata, anche se il

discorso non può essere esteso a tutte le mansioni richieste. In particolare, le strutture alberghiere di

maggiori dimensioni, e soprattutto dotate di un maggior numero di servizi e standard di servizio più

elevati, implicano una diversa organizzazione del lavoro, un’accresciuta divisione di ruoli e la con-

seguente necessità di dotarsi di un numero crescente di personale dipendente qualificato, senza che

peraltro venga meno la presenza di personale familiare impiegato. L’esigenza di personale e servi-

zi qualificati si manifesta anche all’esterno dell’azienda alberghiera e coinvolge l’intero setto-

re turistico della valle.

“Il tema delle competenze nel turismo è fondamentale. Per le fasce professionali medio basse

l’accesso al lavoro è ampissimo, per le fasce alte sta diventando un problema. Ci sono alcuni buoni

alberghi che su questo tema hanno investito, hanno fatto crescere risorse interne o ricorrono a fi-

gure specializzate esterne, come ad esempio i sommelier con cui organizzano eventi, degustazioni

per i turisti. Anche i cuochi sono in buona parte di provenienza locale, anche perché sono pagati

bene: un cuoco di un albergo importante arriva a guadagnare cinque o sei mila euro il mese. Al di

fuori dei casi d’eccellenza, c’è un grosso problema di competenze e una carenza di figure profes-

sionali qualificate. Il problema non si pone invece sui livelli professionali più generici, camerieri,

sottocuochi, addetti alle camere. Queste funzioni sono coperte per lo più da personale immigrato.

Noi portiamo in valle circa cinque mila persone a lavorare dall’esterno, una volta c’erano tanti

sardi, oggi sono quasi tutti stranieri, sono impiegati in tutto quello che è trasversalmente la gestio-

ne alberghiera. Da noi in questo momento si stanno formando molti laureati che hanno enormi dif-

ficoltà a trovare posti qualificati se non all’interno dell’amministrazione che è ormai satura. Do-

vremmo riuscire a trovare dei posti di lavoro a tutti questi giovani competenti, da dargli la possibi-

lità di rimanere, di vivere e di arricchire la valle. Un turismo meglio organizzato potrebbe offrire

molte opportunità ai nostri giovani laureati. Ad esempio, tutto l’aspetto del marketing, credo che se

facciamo una valutazione di tutti gli alberghi in val di Fassa, su 350 siti web degli alberghi 300 so-

no gestiti da società estranee alla valle. Ogni albergo spende 1500-2000-2500 euro all’anno nella

gestione del proprio sito con la sua software house. Se effettivamente ci fosse una maggior cultura

da parte nostra per un approfondimento in questo senso, sarebbe un ambito interessante. Se si riu-

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scisse a creare queste strutture nel terziario innovativo a servizio del turismo, ci sarebbe uno spa-

zio importante. Tantissimi servizi legati al turismo in questo momento sono gestiti da operatori e-

sterni alla comunità, in particolare penso alla commercializzazione, all’organizzazione di eventi. Io

credo che lì ci siano spazi enormi d’occupazione per i nostri giovani e di creazione di reddito. Par-

lo in particolare del terziario, del marketing, della comunicazione, della commercializzazione, dei

servizi ricreativi e di tutto l’ambito vicino all’ambiente”. Franco Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa

e Assessore CgF

“Da noi c’è il problema dei laureati che non trovano opportunità di lavoro in Valle. E’ facile dire

che i giovani non si adattano, che hanno aspettative troppo elevate ma quante nostre aziende pun-

tano su competenze alte? Quando un’azienda ha bisogno di competenze qualificate, le va a cercare

fuori Valle, come nel caso dell’informatica, non fanno crescere competenze interne all’azienda o al

territorio. Secondo me in valle di Fassa c’è spazio per sviluppare un’economia dei servizi, legati al

turismo ma non solo. Perso ad esempio al web. Ogni hotel ha il suo portale, prima gli sviluppatori

di siti web venivano tutti da fuori valle, oggi ci sono aziende di giovani fassani, che possono svilup-

parsi anche al di fuori del mercato turistico. La capacità di comunicare la nostra identità è la vera

sfida, verso il turista, ma anche verso le persone che vengono qui a lavorare”. Teresa Lorenz Re-

ferente giovani

“La val di Fassa sconta un’incapacità di governo delle proprie dinamiche economiche. Il turismo

è trainante ma crea poca professionalità. Nel turismo non siamo noi gli artefici, ci manca una ca-

pacità manageriale. Da qui nascono tutti i problemi: i giovani laureati che non trovano lavoro,

l’agricoltura che è marginale e frazionata, la mancata diversificazione e integrazione

dell’economia locale. Abbiamo un sistema ambientale eccezionale, flussi turistici che producono

ricchezza, quello che ci manca sono una cultura imprenditoriale capace di valorizzare questo im-

menso patrimonio e la capacità di costruire un sistema di gestione integrato. Abbiamo una Ferrari

e ci manca la benzina. La benzina che ci manca è la cultura e l’imprenditorialità. Abbiamo risorse

geologiche e naturalistiche che noi stessi non conosciamo. Spesso sono i turisti a farci vedere le

nostre potenzialità: i fiori, la geologia, la fauna, le nostre tradizioni culturali. I nostri giovani lau-

reati sono costretti a trovare lavoro fuori dalla valle, mentre potrebbero benissimo lavorare nel tu-

rismo, nell’artigianato, nell’agricoltura, nelle proposte culturali, nella divulgazione scientifica,

nella valorizzazione dei prodotti locali, nel marketing territoriale. Chi ha detto che un laureato non

può gestire un agriturismo? La mia generazione ha costruito, ma non ha più la capacità di vedere i

nuovi modelli. Fare sviluppo per noi significa creare un progetto di ricambio generazionale, valo-

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rizzare l’eredità imprenditoriale, creare nuova imprenditorialità in settori nuovi, collaterali

all’offerta turistica”. Renzo Valentini Sindaco di Campitello e Assessore CgF

“Noi importiamo tanta manodopera, i primi sono arrivati dal Veneto, dalla provincia di Belluno,

poi è arrivata la stagione dei sardi e dei pugliesi, poi sono arrivati i rumeni, poi gli ucraini. Le pro-

fessionalità alte come il cuoco, il maitre, sono ancora italiane. Con gli ammortizzatori sociali che

abbiamo c’è spazio per i giovani. Anche se sono lavori stagionali, nei quattro mesi che stanno a ca-

sa prendono la disoccupazione, che è quasi come lo stipendio. Penso che due mila euro il mese un

laureato fatichi a guadagnarli, mentre un cameriere li prende netti, con vitto e alloggio. Spesso so-

no le stesse famiglie che allontanano i giovani, come dire: ti ho fatto studiare tanto non vorrai mica

rimanere in albergo a portare i piatti. Non si considera che se un laureato torna a lavorare

nell’azienda alberghiera di famiglia è un valore aggiunto per l’azienda. Anche perché in giro non

ci sono alternative. In APT fino a quindici anni fa non trovavi il personale, oggi sono tutti laureati

che vengono a fare il segretario, a dare informazioni. Ci sarebbe un grande spazio per investire in

valle, anche per dare sbocchi professionali diversi soprattutto ai nostri giovani, in professionalità

di animazione culturale. Un grande spazio lo potrebbe avere una società di animazione che forma

animatori locali. Per l’animazione degli alberghi abbiamo scimmiottato la riviera romagnola. Gli

animatori che abbiamo in inverno sono gli stessi che d’estate lavorano a Rimini”. Riccardo Fran-

ceschetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.

La dispersione delle risorse umane locali in settori non attinenti l’offerta turistica in senso stretto è

una tendenza che in val di Fassa deve essere invertita, anche se è verosimile affermare che l’appeal

di professioni tipicamente stagionali e generalmente poco qualificate tenda a essere sempre meno

convincente nei confronti della forza lavoro giovanile che punta certamente a un’occupazione stabi-

le, garantita e maggiormente qualificata. Di contro va anche evidenziato come il turismo, proprio

per il suo carattere immateriale e simbolico, richieda professionalità sempre più complesse e quali-

ficate fondate sulla comunicazione, il marketing a livello internazionale, l’intrattenimento, la gene-

razione di esperienze ed emozioni. Si tratta di un mercato fatto di cultura e creatività in cui i giovani

possono trovare qualificate occasioni d’occupazione e auto imprenditorialità. La gestione del siste-

ma turistico, culturale, ambientale ha bisogno di nuove professionalità: organizzatori di eventi, a-

nimatori turistici, operatori culturali, divulgatori scientifici, esperti di marketing, accompagnatori di

territorio, istruttori sportivi, operatori del wellness, ristoratori di alto livello, agricoltori e artigiani

capaci di valorizzare e reinterpretare le produzioni locali.

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46

“La val di Fassa attualmente non è capace di tenersi i suoi giovani preparati e questo è motivo di

grande preoccupazione. Se uno si accontenta di un lavoro manuale, lo trova abbastanza facilmente,

ma se invece vuole il lavoro per cui ha studiato, bisogna capire cosa offre il territorio. Noi stiamo

avviando un progetto che mette in connessione i percorsi formativi dei giovani con il mondo del la-

voro locale. Chiediamo ai giovani di fornirci le loro credenziali, di descriverci le loro competenze,

le loro ambizioni, i loro percorsi formativi e li mettiamo a disposizione nel mondo del lavoro. Ma

anche per fare imprenditoria. Vogliamo iniziare una sorta di formazione per i giovani affinché pos-

sano essere imprenditori loro stessi. A quelli che escono dal liceo e iniziano un percorso universi-

tario, cerchiamo di fornire degli indirizzi che gli permettono di trovare lavoro in Valle. Ci sono del-

le richieste dal settore degli impiantisti, non solo operai, ma anche tecnici qualificati, che attual-

mente mancano. Poi ci saranno sempre più esigenze nella ristorazione, nel mondo del turismo. C’è

tutto il terziario di servizio che da noi deve ancora svilupparsi, dal marketing turistico, alle agenzie

pubblicitarie, tutti settori che hanno bisogno di figure professionali qualificate. Una grande preoc-

cupazione viene dal mondo degli artigiani ed è per questo abbiamo avviato da statuto il Consiglio

della formazione, fatto dalla scuola, dai genitori e soprattutto dal mondo del lavoro, per capire an-

che quali sono le esigenze di formazione. Adesso stiamo raccogliendo tutte le schede di adesione, le

mandiamo a tutte le famiglie, a tutti ragazzi che sono alla fine delle superiori o del percorso uni-

versitario, in modo da capire che offerta di lavoro c’è. Dal punto di vista della domanda abbiamo

invece avviato degli incontri con le varie categorie”. Cristina Donei Procuradora CdF

“Come APT quest’anno partiamo con un nuovo progetto per supportare e mettere in rete le profes-

sionalità turistiche che si occupano d’intrattenimento. Abbiamo creato tre centri di coordinamento

per professionalità turistiche estive: guide alpine, accompagnatori di territorio, istruttori di

mountain bike, istruttori di parapendio, quelli che fanno rafting, i maneggi. Siamo riusciti a metter-

li assieme, molti sono giovani, gli paghiamo l’ufficio, la segreteria, loro devono mettere solo la loro

professionalità. Sull’estate è un progetto fondamentale, perché valorizzi professionalità locali e di-

versifichi l’offerta turistica”. Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT

“Tutti gli animatori che attualmente lavorano negli alberghi vengono da fuori, non c’è

un’associazione locale di animazione. La figura dell’animatore non è ancora vista come mestiere,

ma più come un lavoretto occasionale. So che c’è un animatore in un albergo che in inverno lavora

qui, mentre in estate va di solito a Zanzibar nei villaggi turistici. A Canazei abbiamo due discote-

che storiche, appartengono al Gruppo Union Hotel e anche queste sono gestite da romagnoli. Da

noi ancora manca una cultura mirata all’intrattenimento. Quest’anno c’è stata un’iniziativa im-

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prenditoriale interessante: una ragazza laureata di Vigo di Fassa ha cercato di riunire le iscrizioni

a determinati eventi, come l’iscrizione alle gite in mountain bike, l’escursione con le guide alpine,

ecc., centralizzati su un ufficio, un check point. E’ venuta su a Canazei e ha preso un ufficio vicino

all’APT in piazza. Si è inventata un servizio al turismo. Non organizza gli eventi, ma ha fatto rete

tra gli eventi esistenti, le associazioni versano una quota. Quest’anno come comune l’abbiamo aiu-

tata, perché l’abbiamo considerata un’iniziativa importante”. Mariano Cloch Sindaco Canazei

Vice Procurador CgF

“La nostra gente è molto introversa, non abbiamo una cultura dell’intrattenimento come possono

avere sulla riviera romagnola. Tutte le discoteche della valle sono in mano a emiliani. Oggi sono

un po’ in crisi. Oggi va di moda l’après ski. A Canazei ce ne sono due o tre e sono in mano ad ope-

ratori locali. In un’ottica di allungamento della stagione e di diversificazione dell’offerta turistica

ci sarebbe l’opportunità per nuove professioni. In autunno abbiamo un importante flusso di delta-

planisti. Rodella è un punto che si presta molto bene. C’è poi il mercato primaverile delle mountain

bike che è molto importante”. Fiorenzo Peratore SIC

“Dobbiamo qualificare la nostra offerta, non solo in termini di strutture, ma di ospitalità, di atten-

zione al cliente, oggi il turista ricerca rapporti veri con le persone, con l’ambiente, con la cultura

del luogo. Nel mio agriturismo si sono trasferite persone che prima andavano in un albergo a quat-

tro stelle, avevano tutto, piscina, massaggi e nonostante questo hanno preferito trasferirsi in un a-

griturismo. Mi hanno detto che negli alberghi si sentivano dei numeri; oggi i turisti vogliono essere

trattati da persone e non semplicemente come dei numeri che consentono di fare fatturato. La gente

non vuole l’animazione dell’albergo, ma vuole il rapporto vero con la gente del posto. Ho avuto dei

tedeschi che mi hanno chiesto di andare a fare un giro con le ciaspole. Io non potevo e ho chiamato

un amico che è un bravissimo, accompagnatore di territorio, è stato un successo. I turisti erano fe-

lici perché gli ha raccontato delle storie, la montagna, la natura in inverno, per loro è stato un ar-

ricchimento culturale. E’ venuta voglia anche a me di fare il corso d’accompagnatore di territo-

rio”. Monica Weiss titolare agriturismo

“Il problema è che oggi cultura, turismo ed economia vanno ognuna per la sua strada, questo di-

stacco tra cultura e realtà è frutto di un’evoluzione recente, in cui la valle ha avuto bisogno di mo-

dernizzarsi. C’era il bisogno fortissimo e perfettamente comprensibile di passare dalle stalle alle

stelle degli alberghi. Oggi la situazione è diversa. In questo momento è necessario rendere consa-

pevole la gente della propria ricchezza culturale. Oggi abbiamo i mezzi economici per poterci fer-

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mare e riflettere. Se prima non c’era la preparazione per comprendere i propri errori, oggi nelle

giovani generazioni c’è una maggiore consapevolezza e un maggiore approccio critico. I giovani

hanno viaggiato, sono andati fuori a studiare, hanno imparato a guardare da fuori il proprio terri-

torio e a confrontare le situazioni. Anche tra gli albergatori e i commercianti c’è oggi gente prepa-

rata in grado di confrontarsi con il turista, cosa che non c’era nel momento in cui c’è stato il pas-

saggio da un’economia agricola marginale a un’economia turistica. Oggi è il momento giusto, an-

che politicamente, con l’istituzione del Comun General, di aprire una riflessione sulla nostra iden-

tità. Certo, permangono ancora delle difficoltà legate al fatto che è difficile fermare la macchina

che sta seguendo l’onda, senza avere il tempo di fermarsi a riflettere. Comunque alcune cose sul

territorio si stanno muovendo. Una di queste è l’Associazione Ladin Hotel, nata all’interno di una

serie manifestazioni identitarie di scambio d’esperienze con la Catalogna. I giovani albergatori

hanno capito che l’identità di un territorio e di un popolo è uno strumento importante per sfuggire

a un processo d’omologazione dell’offerta turistica. L’Associazione è costituita da ormai da due

anni, si tratta in prevalenza di giovani albergatori che nei loro alberghi mettono dei segni identita-

ri. C’è anche un giovane ragazzo di Canazei, si chiama Alessandro Anesi, che ha creato una linea

di Design che si chiama Ladin Style, di abbigliamento, occhiali da sci, tutto è esposto al Museo La-

dino di Fassa. Altre iniziative le abbiamo fatte con gli artigiani. Si sa che dal punto di vista lessica-

le nelle generazioni si perdono tanti nomi di lavori, negozi, attività. Abbiamo quindi fatto dei gran-

di adesivi da piazzare sui mezzi degli artigiani con il nome del mestiere in ladino: l’idraulico, il

carpentiere, il lattoniere. Gli stessi artigiani non sapevano il nome ladino della loro attività, anche

se in famiglia parlano ladino. E’ una cosa che incuriosisce, ci sono state molte adesioni, ci sono

stati anche problemi perché i nuovi mestieri si sono sentiti esclusi, come si dice antennista o bru-

ciatorista in ladino? Noi chiaramente avevamo fatto quelli più tradizionali. Poi sono arrivati i con-

tadini e gli allevatori a lamentarsi che li avevamo esclusi. I commercianti hanno fatto la stessa cosa

con le insegne. Sono quei piccoli passi che consentono di sensibilizzare e rafforzare l’identità. Ab-

biamo dato un nome alle cose”. Sabrina Rasom responsabile progetti culturali del comprensorio

ladino Fassa

Come ben evidenziato in quest’ultima citazione, i temi della cultura e dell’identità di un territorio

hanno assunto oggi il ruolo strategico di “fattori di produzione” capaci di valorizzare e qualificare

le economie di un territorio. La cultura, che una volta costituiva un universo alto, separato ed elita-

rio, è diventata una merce fondamentale all’interno del nuovo ciclo produttivo, in cui a contare sono

i contenuti d’innovazione, i valori simbolici e immateriali inglobati nei prodotti e nei servizi. Ciò

che differenzia i nostri prodotti e le nostre offerte turistiche da quelle provenienti da paesi emergenti

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a minore costo del lavoro, sono gli aspetti legati alla qualità, al legame con il territorio, allo stile di

vita, al paesaggio, alla storia, ai valori estetici che danno senso alle nostre produzioni. Sempre più

nella nuova “economia della conoscenza” cultura ed economia si contamineranno a vicenda. La

creatività è divenuta una risorsa competitiva fondamentale. Il rapporto tra cultura, produzione, ser-

vizi, la valorizzazione delle professioni creative, la competizione culturale tra territori, sono diven-

tati temi strategici delle politiche di sviluppo di un territorio.

Sia le problematiche relative alla successione imprenditoriale nelle strutture alberghiere, sia quelle

relative alla necessità di sviluppare un adeguato sistema di servizi innovativi nel turismo, impongo-

no in val di Fassa l’attivazione di un programma d’interventi volti a sostenere la creatività e

l’imprenditorialità giovanile. I giovani devono - già oggi - confrontarsi con un altro tipo di lavo-

ro: il lavoro immateriale, ricco d’idee, competenze, creatività, imprenditorialità. E’ dovere di una

società responsabile preparare i giovani a questo nuovo modo di produrre. Eliminare la dispersione

scolastica, innalzare il tasso dei diplomati e dei laureati o il numero di giovani che partecipano agli

scambi internazionali, sono obiettivi fondamentali. La responsabilità di preparare i giovani alla

nuova dimensione dell’economia, non può essere delegata alle sole istituzioni formative, è una re-

sponsabilità che riguarda la società intera e, in particolare, le politiche culturali portate avanti

dalle istituzioni. Le politiche culturali sono il mezzo attraverso cui i giovani possono trovare nuovi

stimoli, occasioni d’incontro e di scambio di esperienze, ambiti di sperimentazione di propri inte-

ressi e passioni che contribuiscono a rafforzare la loro identità e che, magari, in futuro possono tra-

dursi in professione e nuove forme d’impresa.

Nella nuova economia assumono rilevanza crescente i prodotti e i servizi "immateriali" (musica, te-

atro, grafica, arte, moda, design, multimedialità, comunicazione, net-economy, ambiente, gastrono-

mia, intrattenimento) che sono rivolti, in particolare, ai giovani in qualità di consumatori, ma questi

ultimi rimangono spesso ai margini di tale processo. In altre parole, i giovani producono "nuova e-

conomia" (innovazioni, gusti, mode, tendenze) ma, raramente, rientrano nei circuiti ufficiali del

processo di creazione del valore. Bisogna rendere i giovani protagonisti dei processi di produzione

culturale, valorizzando la loro voglia di partecipazione, il loro spirito d’iniziativa, la loro creatività.

Per far ciò bisogna tenere presente che la creatività non è solo una questione di talenti individua-

li, ma è anche un elemento culturale che caratterizza i contesti sociali e territoriali: troviamo

creatività nelle nostre produzioni artigiane, nella capacità di reinterpretare le nostre tradizioni ga-

stronomiche, nelle nuove forme d’intrattenimento offerte ai turisti, ma anche nella nostra capacità di

rispondere, in modo creativo, all’emergere di nuovi bisogni sociali. I saperi contestuali che caratte-

rizzano i territori e i sistemi produttivi locali sono fondamentali per lo sviluppo della creatività.

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Politiche culturali, politiche per i giovani, politiche per le imprese si devono intrecciare. L’intreccio

di tali politiche ha un duplice vantaggio: preparare i giovani al futuro che li aspetta e aiutare le im-

prese a sviluppare quei contenuti immateriali d’innovazione e creatività che sempre più ruolo hanno

nel rafforzare la loro competitività. Tra queste politiche un ruolo fondamentale è svolto dalle politi-

che di promozione di nuove imprese. Oggi stiamo vivendo un processo di “imprenditorializzazio-

ne del lavoro” che costituisce uno dei temi chiave di trasformazione delle moderne economie. Sem-

pre più, l’investimento a rischio sulle proprie capacità professionali è oggi una pratica necessaria

per accedere al mercato del lavoro, a tutti i livelli dell’organizzazione sociale. Per affrontare questa

dimensione del rischio è necessaria l’attivazione di politiche istituzionali che promuovano la cultura

d’impresa come strumento d’inclusione sociale. Ciò è particolarmente necessario per le giovani ge-

nerazioni, per le quali, anche a seguito delle crescenti difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro,

sembrano essere tramontati gli stereotipi precedenti.

7. L’offerta extralberghiera e la questione delle seconde case

Al 2010 sono stati rilevati nel Comun General de Fascia 2.544 alloggi privati a uso turistico e 4.823

seconde case di proprietà di non residenti. Rispetto al 1987 il numero degli alberghi e degli esercizi

complementari è diminuito, mentre il numero degli alloggi privati a uso turistico è aumentato del

71,8 % e quello delle seconde case del 116%. In val di Fassa vi è in pratica una seconda casa ogni

due abitanti residenti.

La dotazione del patrimonio abitativo è sovradimensionata, soprattutto nelle località turistiche più

specializzate. Mazzin, dove è presente una struttura residenziale privata di tipo collettivo

(residence), registra i valori più elevati, anche rispetto al contesto provinciale: il numero delle abita-

zioni non occupate risulta sei volte superiore al numero di quelle occupate. Anche gli altri comuni

in ogni caso presentano valori elevati nel rapporto tra abitazioni occupate e non occupate e, tra que-

ste ultime, incidono in modo significativo quelle fornite solo di angolo cottura e/o cucinino. La ten-

denza nell’ultimo decennio in tutti i comuni è stata quella di un incremento più che proporzionale

degli alloggi rispetto alla variazione della popolazione, con conseguente aumento delle abitazioni

non occupate.

Page 51: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

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Figura 2 Seconde case per comune

Il tasso elevato di seconde case costituisce nel contesto locale un fattore rilevante d’alterazione

sia del mercato turistico, sia del mercato immobiliare. Rispetto al mercato turistico ha indotto

uno sbilanciamento verso la ricettività non imprenditoriale, con un decadimento qualitativo

dell’offerta e la conseguente necessita di politiche di riqualificazione dell’ospitalità extralberghiera.

Sul piano prettamente urbanistico l’elevato numero di seconde case determina problematiche ine-

renti: la dotazione di servizi e infrastrutture; la difficoltà per i residenti di accedere al mercato della

prima casa; le necessità di riqualificazione di un patrimonio edilizio che versa in uno stato

d’abbandono. A quest’ultimo problema può essere anche ricondotta la necessità d’individuare nuo-

ve destinazioni d’uso per gli insediamenti alberghieri dismessi che, in virtù della Legge Gilmozzi,

non potranno più essere trasformati in residence.

Nello stesso racconto fatto dai testimoni intervistati, tutte queste problematiche s’intrecciamo e si

evidenzia come questo complesso tema delle seconde case possa essere affrontata solo con inter-

venti capaci d’integrare: azioni di riqualificazione dell’offerta extralberghiera, politiche di re-

golazione del mercato immobiliare e interventi di riqualificazione urbanistica.

Sul piano della regolazione del mercato immobiliare turistico un fondamentale contributo – anche

se da molti attori giudicato tardivo – è costituito dalla Legge Gilmozzi che introduce una distinzione

dell'edilizia residenziale in due categorie d'uso: alloggi destinati a residenza ordinaria e alloggi per

il tempo libero e vacanze. Con questa legge la Giunta provinciale fissa per ciascun comune trentino

la percentuale massima dei nuovi alloggi da realizzare per il tempo libero e vacanze rispetto a quelli

destinati a residenza ordinaria, tenendo conto della popolazione residente. La norma regola il feno-

meno dell’espansione di nuove residenze turistiche ma non si applica comunque al patrimonio edi-

Seconde case per comune

438; 9%

953; 20%

1069; 22%939; 19%

785; 16%

177; 4%

462; 10%Campitello di Fassa

Canazei

Mazzin

Moena

Pozza di Fassa

Soraga

Vigo di Fassa

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lizio esistente, se non in merito ai cambi di destinazione da non residenziale a residenziale. Rimane

quindi aperta la questione della gestione del consistente patrimonio edilizio turistico attualmente

presente in valle.

“Abbiamo tantissime seconde case che sono aperte pochissimo: se va bene quindici giorni l’anno.

E’ un patrimonio edilizio sotto utilizzato, ma anche in condizioni di degrado. Nel momento in cui

passa l’entusiasmo della casetta in montagna e bisogna cominciare a pensare a una ristrutturazio-

ne, nessuno tira fuori un soldo, perché tanto ci si va una volta l’anno. Per i turisti è stato comunque

un grande investimento perché da allora il valore d’acquisto è quadruplicato se non quintuplicato.

Chi ci ha rimesso sono i residenti: ci ha rimesso il territorio e ora ci rimettiamo in qualità

dell’immagine turistica. C’è stata poca lungimiranza, sia da parte nostra, sia da parte della Pro-

vincia. Fin dagli anni ’80 ci voleva una normativa come quella della Provincia di Bolzano che vin-

colava un certo numero di alloggi ai residenti. La Legge Gilmozzi è arrivata troppo tardi e tra

l’altro in Valle è stata molto contestata. Io nel passato ho sempre combattuto le seconde case e per

questo sono sempre stata attaccata. C’era assolutamente bisogno di quella legge, ma è arrivata con

vent’anni di ritardo, abbiamo chiuso la stalla quando i buoi erano già scappati. Oggi una casa in

val di Fassa costa come minimo 300mila euro. E’ un problema che va assolutamente affrontato se

non vogliamo fare la fine di Cortina dove i cortinesi vanno ad abitare lungo la valle e Cortina è a-

bitata solamente dai turisti. Corriamo il rischio di spopolare la valle”. Cristina Donei Procurado-

ra Comun General

“Paradossalmente gli ospiti più affezionati della valle, quelli che potevano essere i migliori clienti

degli alberghi, sono diventati nostri compaesani, perché si sono comprati la seconda casa, e questo

dovrebbe darci l’idea degli errori che abbiamo fatto. Questo ha portato a un depauperamento nella

ricchezza dei fassani, anche perché le persone che hanno acquistato le seconde case negli anni 80 e

90 sono diventati dei nostri competitori, affittano o prestano la propria casa in montagna a cono-

scenti e amici, togliendo risorse al mercato locale, in particolare a quello alberghiero”. Alfredo

Weiss Consigliere CdF

“La vera piaga della val di Fassa sono i 35mila posti letto in appartamenti che sono sfitti per la

maggior parte dell’anno, che sono affittati per cinque mesi l’anno e che sono vissuti dai proprietari

solo per un paio di settimane l’anno. Sono posti letto che non creano nessun reddito interno alla

val di Fassa che non aumentano il nostro PIL, ma il PIL dei milanesi, dei proprietari delle topaie

che hanno comprato negli anni ‘70 con il TFR. Adesso ai figli di queste case non gli frega più nien-

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te, le danno in mano all’agenzia, le affittano, creano costi per servizi, allacciamenti, fognature, e

poi non lasciano niente sul territorio”. Silvano Ploner Giornalista

Per le amministrazioni locali, la diffusione della seconda residenza ha comportato e comporta tutto-

ra oneri notevoli, che raramente sono compensati dai vantaggi diretti conseguibili dagli operatori

economici locali. Basti pensare alle opere di urbanizzazione, a carico dei proprietari nella fase

d’installazione e per poco o nulla in quelli di gestione; senza valutare tutta una serie di servizi – dal-

la nettezza urbana, ai servizi tecnologici, alla sicurezza, alle strutture per attività ricreative, sportive

e culturali – che s’integrano con le esigenze della popolazione residente. L’intervento pubblico si

deve misurare soprattutto con l’infrastrutturazione territoriale da garantire ai residenti secondari so-

lo per brevissimi periodi: la rete stradale e dei trasporti, i servizi pubblici, le infrastrutture idriche,

elettriche, di comunicazione, gli interventi idrogeologici. La forte pressione indotta dalla presenza

turistica mostra i limiti commessi alla disponibilità di risorse, non solo economiche, ma anche am-

bientali.

“In Valle sarebbe ad esempio molto importante un piano di gestione della risorsa idrica che, anche

qui da noi, non è una risorsa infinita. Le seconde case, gli alberghi, le piscine, i centri benessere, in

stagione hanno consumi idrici altissimi e non so se i comuni abbiano un piano di gestione, di utiliz-

zazione razionale di quest’acqua. Bisognerebbe investire su vasconi o riserve idriche per i comuni.

Qualche anno fa a Natale ci sono state delle emergenze idriche perché l’autunno era stato siccito-

so. Immagini cosa significa la mancanza d’acqua a Natale quando siamo strapieni di turisti: alle

17.00 tutti si fanno la doccia e non c’è più acqua. Sembra una cosa banale ma non lo è. Non è am-

missibile che una località turistica di montagna si trovi a dover centellinare l’acqua. Va fatto un

piano di gestione di questa risorsa, facciamo riserva, riciclo, utilizziamo le acque piovane per i

servizi igienici. Gli impianti d’innevamento sono indubbiamente dei grossi consumatori d’acqua.

Abbiamo delle concessioni, con dei quantitativi assegnati ma quest’anno, a causa dell’autunno cal-

do, abbiamo avuto delle criticità, con poche giornate propizie per fare neve. Dobbiamo attrezzarci

con bacini artificiali o chiedendo alla Provincia un aumento temporaneo di queste concessioni sal-

vaguardando ovviamente l’aspetto idrografico ittico dei corsi d’acqua. Quest’anno si è vista la

mancata apertura di Sant’Ambrogio in parte dovuta anche al fatto che non avevamo l’acqua imme-

diatamente disponibile quando è arrivato il freddo”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio

impianti a fune val di Fassa e Carezza

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“Anche a livello urbanistico dobbiamo imparare a fare un discorso di Valle, non so se il Comun

General sarà in grado di fare un discorso comune e togliere competenze ai comuni. Sarebbe impor-

tante unificare i regolamenti edilizi, tutelare l’uso del suolo, valorizzare l’esistente. Lei pensi che in

val di Fassa abbiamo sette diverse tariffe per le immondizie”. Celestino Lasagna Presidente Asso-

ciazione Albergatori della val di Fassa

Dopo gli anni della corsa all’investimento immobiliare, oggi si sta diffondendo una certa disaffe-

zione tra i proprietari di alloggi turistici che, in virtù di tasse, condoni, manutenzioni e costi energe-

tici, vedono complicarsi la gestione della seconda casa. La diffusione di inediti modelli di compor-

tamento turistico, i mutamenti del ciclo di vita della famiglia che acquista la seconda casa – le cui

necessità e le aspettative cambiano in relazione diversi fattori (età dei figli, lavoro, pensionamento,

ecc.) – e la disaffezione verso i luoghi che hanno ormai perso molta della loro attrattiva originaria,

spingono i proprietari di seconde residenze ad utilizzarle sempre meno. Ed è proprio questa, un’altra

questione di rilievo, in quanto evidenzia un uso non ottimale, se non addirittura uno spreco

d’investimenti fissi, quali quelli relativi alle abitazioni esistenti, utilizzate in misura molto ridotta.

Su questa situazione s’innesta lo sfruttamento intensivo degli operatori specializzati (agenzie di af-

fittanza) che spesso commercializzano l’offerta senza particolare attenzione alla qualità degli allog-

gi. In tale segmento d’offerta sopravvive una mentalità orientata al prodotto, con scarsa attenzione

alla domanda. La ricerca di nuova clientela è perseguita prevalentemente con azioni di riduzione di

prezzo.

Tali dinamiche fanno oggi temere che in valle di Fassa ci si stia avvicinando a quella soglia critica

che sancisce l’obsolescenza di gran parte dell’offerta disponibile e, quindi, l’avvio di un circolo vi-

zioso così articolato:

1. Standard di offerta trascurati: l’abbassamento della qualità dell’offerta di alloggi turistici, oltre

che dalla disaffezione dei proprietari, spesso è causato anche dalla tendenza delle organizzazioni

specializzate nella commercializzazione (agenzie viaggi, agenzie immobiliari, agenzie di affittanza,

etc.) a limitare le prestazioni di servizio per non figurare come imprenditori. L’obiettivo è restare

“mediatori”.

2. Abbassamento dei prezzi: nei momenti di debolezza, la tendenza degli operatori è quella di a-

dottare politiche commerciali aggressive, con prezzi ribassati (e scarsamente remunerativi per gli

stessi proprietari). Per inseguire il mass-market si genera una svendita generalizzata delle località

più ricche di appartamenti.

3. Degrado e insoddisfazione: a ogni affittanza l’appartamento deperisce. La crescita del degrado

degli alloggi (pochi ricavi = pochi investimenti) provoca l’insoddisfazione sia da parte della cliente-

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la, sia da parte dei residenti. Nell’offerta sommersa, inoltre, le azioni di “pirateria” (prenotazioni

non garantite, prezzi discordanti da quelli indicati in un primo tempo, alloggi non corrispondenti al-

la descrizione, servizi assenti) diventano più frequenti.

4. Caduta d’immagine della località: peggiora il servizio e la qualità delle unità (scarsa manuten-

zione, poche riparazioni, rare tinteggiature, nessun rimpiazzo d’inventario, ecc.). La presenza di

un’enorme “offerta sommersa” nel comparto degli alloggi privati in affitto aiuta a eludere qualsiasi

forma di controllo statistico e amministrativo. In particolare, è difficile verificare da parte delle

amministrazioni locali lo stato e le condizioni igieniche delle unità abitative utilizzate a fini turistici.

Non sono infrequenti, infatti, situazioni limite nelle quali l’igiene e il decoro degli alloggi sono de-

cisamente scadenti. Queste situazioni provocano effetti negativi sull’immagine complessiva delle

località.

5. Perdita della clientela migliore: la caduta dell’immagine complessiva della località porta con sé

l’abbandono della zona da parte della clientela migliore, quella con maggiore disponibilità di spesa,

che non cerca un semplice prodotto turistico, ma anche un comfort superiore alla media. Gli opera-

tori e i proprietari sono costretti a rastrellare target di clientela sempre più marginali.

6. Perdita di valore degli immobili: la conseguenza dei punti precedenti è lo svilimento dei valori

patrimoniali per i numerosi investitori che possiedono uno o più alloggi turistici. Senza amore del

proprietario, le unità immobiliari soffrono.

7. Declino: è l’ultima fase del ciclo di vita del prodotto turistico, dalla quale si può uscire o con la

morte definitiva del prodotto, o con un rilancio, attraverso azioni di rivitalizzazione, riconversione e

diversificazione che portano alla nascita di un migliore prodotto turistico.

Senza adeguate politiche di governo della residenzialità turistica e di riqualificazione dell’offerta

extra alberghiera è inevitabile che in breve tempo una quota rilevante di alloggi vada fuori mercato,

a meno che essi non siano offerti a una clientela marginale, poco esigente e di basso profilo econo-

mico. Per affrontare tali problematiche è necessario un ruolo attivo dei soggetti locali che

hanno responsabilità amministrative e promozionali e che possono intervenire con azioni volte

all’emersione dell’offerta di posti letto nell’extralberghiero e con politiche di carattere urba-

nistico e di fiscalità locale.

“Per l’extra alberghiero necessita un processo di profonda riqualificazione, che deve partire dalla

trasparenza dell’offerta. Bisogna introdurre elementi di competizione che facciano uscire progres-

sivamente dal mercato i soggetti meno attrezzati, quelli che sopravvivono solo perché oggi il mer-

cato è opaco, per non dire addirittura sommerso. Ancora oggi è difficilissimo sapere quali sono le

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caratteristiche degli appartamenti, i prezzi praticati. In nome di un malinteso senso d’equità gli uf-

fici turistici ti danno la lista di tutti quelli che affittano un appartamento. Il povero turista è ancora

costretto a fare come si faceva trent’anni fa: prendersi una giornata per venire da Milano e andare

a fare la questua, a chiedere di visitare gli appartamenti, a chiedere i prezzi porta a porta, a con-

frontare le diverse offerte. Ora Trentino Marketing ha proposto il progetto Genziane ed è già qual-

cosa. Il progetto tende a classificare l’offerta extralberghiera attribuendo delle genziane in base

agli standard degli appartamenti. Il limite del progetto è che si basa sull’autocertificazione, quindi

si spera che l’informazione fornita corrisponda all’effettiva offerta. Anche dal punto di vista della

promozione dell’offerta extralberghiera bisognerebbe partire sempre dal fatto che è la domanda

che deve essere privilegiata. Cosa vuole la domanda? Cosa vogliono i turisti? Vogliono

un’informazione che sia trasparente: “chi non mi garantisce un’informazione trasparente per me

non esiste”, afferma un turista evoluto. Se fornisco alla domanda un’informazione opaca, tutta la

destinazione ne riceve un danno. E’ per questo che l’intera destinazione, i Comuni, le Apt, devono

svolgere un’azione di controllo e di selezione. L’essere soci paganti di un’Apt non significa avere

una corsia privilegiata. Teoricamente i soci dell’Apt dovrebbero essere gli operatori migliori, i se-

lezionati, quelli che esprimono il top della destinazione. Finalmente dopo tanta insistenza in questi

anni, abbiamo acquisito anche tra gli operatori che l’informazione è un bene pubblico; se ragioni

dal punto di vista della domanda, tutti quanti hanno diritto all’informazione corretta. Un comune o

un’Apt devono anche poter dire all’operatore: tu non hai degli standard minimi per garantire a chi

viene in vacanza di avere le stesse comodità che ha lasciato a casa sua. L’extralberghiero è un set-

tore importante, specialmente in una realtà come la val di Fassa, dove operano pochissimi Bed &

Breakfast, Agritur e malghe che fanno ricettività, a fronte di una presenza enorme di alloggi privati

destinati alla ricettività turistica e a seconde case. In particolare per gli agriturismi e le malghe,

cui si lega l’alpeggio, pur riconoscendo che negli ultimi anni grazie a qualche giovane si è assistito

ad una certa ripresa d’interesse verso l’agricoltura di montagna, paradossalmente hai una realtà

montana stupenda che non comunica questa sua specificità. Per cui è molto elevato il rischio di

comunicare Fassaland”. Gianfranco Betta Osservatorio Provinciale del Turismo

“Oggi i due terzi dei posti letto della valle sono nell’extra alberghiero ma solo una parte minima è

di proprietà dei residenti che lo usano più come integrazione del reddito familiare che come una

vera e propria attività imprenditoriale. L’extra alberghiero di proprietà dei residenti non è in rete e

non è venduto in modo ottimale, per cui ha delle percentuali di occupazione molto basse. Su questo

ci sono margini d’intervento per mettere in rete e riqualificare l’offerta. Poi c’è la parte di proprie-

tà dei turisti che è quella più problematica, che resta chiusa per gran parte dell’anno. Per fare e-

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mergere quest’offerta si potrebbe intervenire sulla fiscalità, ma se poi non riqualificano o non ven-

dono, ti rimane comunque l’immobile vuoto e fatiscente. Forse è più proficuo intervenire con politi-

che urbanistiche finalizzate a incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente puntando sul-

la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica”. Riccardo Franceschetti Sindaco di Moena,

Assessore CdF, albergatore.

“ La fiscalità municipale è un’arma a doppio taglio perché dovresti diversificare tra seconde case

dei residenti e le seconde case dei turisti. Teniamo presente che i controlli dell’Agenzia delle entra-

te sulle seconde case dei residenti in val di Fassa sono frequenti. I residenti che affittano apparta-

menti dichiarato minimo cinque mila euro l’anno e di conseguenza ci pagano le tasse. Sulla secon-

da casa del veneziano o del milanese i controlli sono più difficili, se affittano per periodi inferiori

ai sette giorni, non devono fare nemmeno il contratto. Forse si potrebbero gestire le tariffe in modo

diverso”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga

“C’è un mercato turistico degli appartamenti privati, dei fassani, di chi ha costruito una casetta

negli anni 80 realizzando un appartamento per se e altri due appartamenti da affittare ai turisti.

Anche questo modello d’offerta è stato fortemente messo in discussione da forme imprenditoriali

come i residence e i condomini, che hanno tutta un’altra capacità commerciale rispetto alla signo-

ra Maria che risponde al telefono. Nel settore extra alberghiero la proprietà è molto polverizzata, e

più è polverizzata più ci sono difficoltà a proporre serie strategie di carattere commerciale. Ag-

giungiamo poi il problema della mentalità del reddito nero, che spero questo Governo faccia supe-

rare. Fare emergere questo tipo d’offerta vuol dire ufficializzare in rapporto commerciale che fino

a ieri era in parte sommerso. Molta gente pur di non avere problemi di carattere fiscale preferisce

non affittare e questo significa ulteriori appartamenti chiusi e inutilizzati”. Alfredo Weiss Consi-

gliere CdF

Il problema di una migliore gestione del patrimonio immobiliare non si limita alle sole seconde case

ma chiama in causa anche la gestione di altri manufatti edilizi in attesa di riconversione o riqualifi-

cazione, come gli insediamenti alberghieri dismessi o l’importante patrimonio di edifici rustici.

Baite, malghe e fienili di montagna disseminati su tutte le superfici destinate all’alpeggio che sono

spesso abbandonati e cadenti nelle aree marginali, mentre nelle zone più accessibili sono spesso re-

cuperati dai singoli proprietari e ristrutturati come moderni “chalet” per proprio svago o per scopi

turistici.

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“Più che ridurre i posti letto nell’alberghiero o nell’extralberghiero, io vedo la necessità di riquali-

ficare il patrimonio edilizio che caratterizza la nostra offerta turistica. Prima di tutto c’è la necessi-

tà d’impedire la trasformazione degli alberghi in appartamenti turistici. Poi vedo la necessità di

uno studio mirato sulle opportunità di recupero dell’esistente che tira dentro un po’ tutto, le secon-

de case, ma anche un piano baite, perché incontrare una baita crollata a terra rappresenta un ulte-

riore aspetto dell’abbandono e del degrado del territorio”. Claudio Bernard, imprenditore, presi-

dente consorzio impianti

“È pur vero che siamo cresciuti negli anni 60 anche noi con la speculazione, però poi ci siamo

fermati. La precedente amministrazione ha voluto tutelare il territorio inserendo tutto quello che

c’era attorno al centro abitato in zona agricola secondaria e qualcosa limitato a zona agricola

primaria. In questo modo si è smesso con i condomini e la mercificazione del territorio. Io ho fatto

solo una variante normativa al piano regolatore generale, di adeguamento alla Gilmozzi, per chia-

rire alcune cose e soprattutto regolare bene il nostro alpeggio, perché ci sono una trentina di baite

che potevano essere oggetto di speculazione aggressiva. Siamo nella famosa conca di Fuchade, una

realtà unica a cui teniamo molto, dove ci son baite di proprietà di residenti, eccetto alcune di pro-

prietà di terzi. Pur consentendo ai nostri censiti di realizzare il bagno, i pannelli fotovoltaici per la

corrente, quello che abbiamo voluto evitare è la trasformazione in residenza, e allora abbiamo in-

dicato sul nostro PRG riparo temporaneo preferibilmente diurno. Questo consente di vivere e man-

tenere queste strutture evitando al contempo trasformazioni che sarebbero improprie”.Roberto

Pellegrini Sindaco di Soraga e Assessore CdF.

8. La casa per i residenti

Al momento, al centro delle politiche delle Amministrazioni locali vi è la necessità di dare concrete

risposte ai bisogni dei propri censiti rispetto al problema dell’accesso al mercato della prima casa

reso particolarmente difficile dai proibitivi costi di terreni e immobili che finiscono con il concorre-

re all’espulsione di popolazione locale dai centri della Valle.

“Turismo e edilizia sono due settori che hanno sempre proceduto assieme. A Canazei negli anni

’70 c’è stato l’assalto delle seconde case, ora fortunatamente c’è stato un forte ridimensionamento.

Da quando è entrato in vigore il piano regolatore, quindici anni fa, c’è stata una serrata sulle se-

conde case, ancora prima della legge Gilmozzi. Le nostre politiche insediative sono ora orientate

alla prima casa. Si destinano i terreni con il vincolo per la prima casa, ma il Comune finora non ha

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realizzato alcun intervento in prima persona per poi distribuire le case. Oggi anche la trasforma-

zione degli alberghi deve essere sempre finalizzata alla realizzazione delle prime case. I prezzi sono

comunque sempre piuttosto alti, si va sui 4.000 euro al mq. Ultimamente hanno terminato una co-

struzione, che ai tempi era per seconde case, dove hanno pagato anche 8-10mila euro al mq. I gio-

vani che hanno il problema dell’acquisto della casa per gli alti costi, di solito si organizzano in co-

operative edilizie. Credo che un esperimento interessante sia stato fatto ultimamente a Mazzin, po-

trebbe essere anche proposto in altri comuni della valle. Un’altra opportunità d’intervento è la tra-

sformazione dei vecchi fienili, sempre per la realizzazione di prime case. Rispetto alla riqualifica-

zione dell’esistente la gente del posto comincia ad avere una certa sensibilità sui temi del risparmio

energetico e della certificazione Casaclima. Questa sensibilità non la troviamo nei condomini di

seconde case anche perché da parecchi anni sono usati sempre meno. Nei centri storici andrebbero

superati alcuni limiti normativi, come il divieto di realizzare cappotti esterni sugli edifici in mura-

tura”. Mariano Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF

“A Mazzin abbiamo vincolato due terreni per le prime case. Abbiamo contattato le aziende e gli

abbiamo fatto fare l’acquisto chiavi in mano, quindi acquisto garantito. È importante il discorso

delle chiavi in mano perché le cooperative nate hanno tutte sforato il prezzo, e allora la gente ha

paura. Uno dei problemi di queste cooperative è che partivano con prezzi di 300mila euro per poi

finire a 800mila euro. Perché purtroppo i giovani entrano con l’idea che la casa gliela prepari co-

me la vogliono loro, però io penso che se uno ha bisogno della prima casa non deve farsi l’dea del-

la reggia, e invece questi cominciano ad allargarsi facendo tante modifiche in corso d’opera, e al-

lora pagano più del doppio. Alla fine abbiamo realizzato dieci appartamenti: quattro da 120 mq

con un interrato di 70 mq, posto auto interno ed esterno, e sei appartamenti da 80 mq con 40 mq di

cantina, posto auto interno ed esterno. Io avevo dato i prezzi: 250mila euro gli 80 mq e 320mila eu-

ro i 120 mq. Gli ho fatto fare il contratto chiavi in mano compreso notaio, frazionamento, tutto.

Con i sessantamila euro di contributo a fondo perduto da parte della Provincia, c’è chi si porta via

l’appartamento di 120 mq a 260mila euro. Adesso mi cercano tutti per chiedermi se c’è la possibili-

tà di entrare in cooperativa”. Fausto Castelnuovo, Sindaco di Mazzin e Assessore GgF

“Nella nostra comunità, non si possono costruire altre case, al di là della prima casa, quindi si è

bloccata l’espansione edilizia. E’ chiaro che se io ho un appartamento di 100 mq a Pozza di Fassa,

lo devo vendere come minimo a 500-600-700mila euro, e chi me lo compra per farsi una prima ca-

sa? E’ un tema molto sentito per le giovani coppie. Qui stanno vendendo appartamenti costruiti

dalle immobiliari a 7-800mila euro, un posto auto coperto a 50mila euro. Nell’ultima variante che

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abbiamo fatto, abbiamo avuto richieste di prime case che sono state concesse, faremo un’altra va-

riante per dare altre prime case a chi ne ha bisogno, però chi non ha il terreno in proprietà non ce

la farà mai. C’è l’opportunità dei vecchi fienili e delle case abbandonate che si possono recuperare

e messe sul mercato della prima casa. Questa è una sfida che il nuovo piano territoriale dovrebbe

affrontare. Comunque si tratta di proprietà private che vanno acquisite a prezzo di mercato ed è

difficile che un privato si restauri la casa per poi metterla a disposizione con un affitto calmierato.

Ci vorrebbero incentivi da parte della Provincia o da parte del comune, per restaurare la casa con-

sentendo un aumento del 10-20% del volume com’è previsto del resto nei centri storici. In cambio il

proprietario dovrebbe mettere a disposizione una parte della casa per appartamenti ad affitto cal-

mierato”. Tullio della Giacoma Sindaco di Pozza di Fassa e Assessore CgF

“Il problema della prima casa è pressante, la gestione del patrimonio immobiliare e dei bisogni a-

bitativi è molto complicata perché è molto onerosa. Una giovane coppia fassana deve avere almeno

300mila euro per acquistare un appartamento di 80 mq. E’ difficile poter disporre di questa cifra a

vent’anni e non tutti genitori sono nella condizione di potere aiutare i figli, per cui i giovani sono

costretti a fare mutui da 2mila euro al mese.. Sta avvenendo un processo d’espulsione dei residenti,

come a Cortina d’Ampezzo dove a causa dei costi dell’abitazione, non abitano più gli ampezzani.

La nostra programmazione urbanistica dovrà tenere in grossa considerazione queste problemati-

che. Dobbiamo mettere delle aree a disposizione delle cooperative edilizie di residenti. Gli stessi

interventi di Social housing potrebbero essere una soluzione, capendo bene quali categorie servire

e con quali modalità. A Vigo stiamo modificando il PRG cercando di valorizzare, per quanto possi-

bile, il patrimonio esistente. Abbiamo concesso incrementi volumetrici sulle ristrutturazioni, sulle

mansarde, perché le case sono quasi tutte di proprietà dei locali, sorte immediatamente dopo gli

anni 60, fino agli anni 80. Crediamo in questo modo di dare una risposta al discorso prima casa

per le giovani coppie, ti lasciamo ampliare il sottotetto per rispondere a questa esigenza”. Franco

Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF

“La prima casa per i giovani in Valle è un problema molto importante, anche se a Campitello per il

momento non lo sentiamo tanto. Case nuove in vendita comunque non ce ne sono e l’usato viaggia

dai due ai seimila euro a mq. Stiamo valutando l’opportunità di una piccola espansione urbanistica

di prima casa. Abbiamo un bel patrimonio da ristrutturare per prima casa. Abbiamo poi

l’opportunità di valorizzare il centro storico. Campitello è un paese piccolo di 750 abitanti, che ha

mantenuto le sue tradizioni ladine e un suo stile di vita. Il centro storico è molto vissuto, organiz-

ziamo eventi turistici. La stessa piazza centrale è ancora un luogo di ritrovo per i residenti. Adesso

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la Scuola d’arte ci sta studiando un progetto di valorizzazione urbanistica della piazza”. Renzo

Valentini Sindaco di Campitello e Assessore CgF.

L’integrazione tra edilizia e turismo ha, fino ad oggi, rappresentato la principale fonte di reddito e

occupazione a livello locale. In quest’ambito la domanda di loisir e di accesso ad amenities paesag-

gistiche e ambientali si è intrecciata con le opportunità d’investimento in un bene immobiliare. Ciò

ha determinato un aumento del consumo di suolo in aree ambientali di pregio, un aumento dei valo-

ri immobiliari con conseguenti difficoltà di accesso al mercato da parte della popolazione residente,

uno snaturamento di luoghi e comunità caratterizzati da specifici valori identitari, che sono la base

stessa dell’attrattività turistica della località. I crescenti livelli di consumo di suolo rappresentano

oggi una delle principali problematiche per la programmazione urbanistica. Tali problemati-

che sono particolarmente evidenti in un territorio montano come quello fassano, dove la scarsità di

suolo edificabile nei fondovalle produce conflittualità tra i diversi modelli d’uso del territorio: agri-

coltura, residenza, turismo, infrastrutture, insediamenti produttivi.

Ancora oggi, in un contesto di profondi mutamenti socio economici (che, hanno coinvolto la produ-

zione, il lavoro, il welfare) l’offerta del “bene casa” continua a rimanere ancorata ai vecchi schemi

dell’abitazione di proprietà, della rendita immobiliare, di offerte abitative relativamente standardiz-

zate. L’attuale crisi ha evidenziato alcune criticità di questo modello d’offerta, come la mancanza di

fiducia nel mercato, una frenata nei consumi per le famiglie e la difficoltà di accesso al credito. Ma

la crisi è anche una grande opportunità per riconfigurare il rapporto tra domanda e offerta nel

settore dell’abitazione, sia turistica, sia residenziale. Il settore è, infatti, sempre più esposto a una

pressione competitiva e a una domanda che dall’esterno lo sollecita all’evoluzione, chiedendogli di

fornire prodotti dotati di prestazioni nuove, di funzionalità migliori, di maggiore valore. Lo stesso

settore delle costruzioni presente in Valle, può dare all’innovazione contributi rilevanti, se lo si con-

cepisce come catalizzatore di una serie d’innovazioni per la casa, per l’ambiente, per la persona; è

un settore a potenziale alto tasso d’innovazione se solo si pensa alle questioni dei nuovi materiali,

della personalizzazione, dell’abitazione come servizio, della gestione dei mercati immobiliari e fi-

nanziari di tipo più evoluto. L’investimento immobiliare si avvicinerà sempre di più a una logica di

tipo reddituale e non più patrimoniale, come accadeva in passato.

Come già evidenziato in apertura di paragrafo, dalle interviste emerge chiaramente la com-

plessità del problema della residenzialità in Valle. Un problema che può essere affrontata solo

con interventi capaci d’integrare azioni di riqualificazione dell’offerta extralberghiera, politi-

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che di regolazione del mercato immobiliare e interventi di riqualificazione edilizia e urbanisti-

ca.

L’idea motrice che emerge da molteplici attori intervistati, è quella d’impostare le politiche urbani-

stiche della Valle sulla valorizzazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, uni-

tamente ad un investimento sui temi della sostenibilità ambientale e sociale dell'abitare. L'in-

tervento sul patrimonio esistente, relativo sia al consistente patrimonio di edilizia turistico residen-

ziale in cattivo stato di conservazione, sia alla riconversione di strutture alberghiere dismesse, si do-

vrà imporre, nei prossimi anni, come un mercato di riferimento importante.

I campi in cui si esercitano le funzioni regolative dell’Ente locale sono molteplici, ma lo spazio oggi

più importante è occupato proprio dall’insieme d’interventi sul patrimonio fisico esistente, riassu-

mibile nella nozione di riqualificazione urbana, in particolare riguardante gli insediamenti turisti-

ci di scarsa qualità edilizia realizzati negli anni ’60 e ’70, e il recupero dei centri e dei nuclei storici

e a una loro valorizzazione sul piano abitativo, commerciale (i centri commerciali naturali) e della

fruizione turistica culturale. E’ in questo contesto di rinnovo urbano che trova collocazione uno dei

principali motori della ripresa, ovvero la riqualificazione del patrimonio abitativo esistente.

Molti analisti del settore delle costruzioni individuano per la riqualificazione un ruolo di traino nel

nuovo ciclo edilizio. La domanda che si rivolge al settore delle costruzioni si è progressivamente

orientata su una richiesta crescente di attività di manutenzione, sia ordinaria, sia straordinaria,

che ha, negli ultimi anni, superato il livello della nuova produzione e rispetto al quale serve una ri-

definizione di modelli di offerta innovativi come il facility management e global service che incre-

menterà i settori delle manutenzioni e delle installazioni che coinvolgono in particolare la piccola

impresa.

Oggi comincia a profilarsi una domanda di residenzialità profondamente diversa rispetto agli stan-

dard consolidati che hanno caratterizzato i precedenti cicli edilizi. E’ proprio in aree come la val di

Fassa che può prendere progressivamente forma una rinnovata cultura della manutenzione (centri

storici, vecchi nuclei, paesaggi) e nuove forme di ospitalità turistica diffusa capaci di rispondere a

una rinnovata domanda di fruizione e residenzialità turistica più consapevole e attenta ai valori am-

bientali, culturali dei territori visitati. La qualità del costruito, sia come recupero di valori architet-

tonici, storici, urbanistici, sia come nuove realizzazioni capaci di inserirsi nel contesto, è parte inte-

grante di questa nuova offerta turistica.

I driver del cambiamento su cui puntare nei prossimi anni per ridisegnare il mercato delle abita-

zioni turistiche e residenziali in val di Fassa, sono:

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• la sostenibilità sociale: una fascia di popolazione giovane sempre più ampia, non è in grado di

accedere all’attuale offerta del mercato e origina una domanda di social housing, a cui il mercato

delle costruzioni deve dare risposta secondo logiche di collaborazione tra pubblico e privato;

• la sostenibilità ambientale: l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale sono i nuovi e-

lementi innovativi a cui il mercato della casa deve rispondere nel breve termine;

• il nodo delle risorse: il mercato evolve sempre più rapidamente verso modelli di partenariato

pubblico-privato, sviluppando forme d’investimento integrate che richiedono nuove conoscenze

economiche e finanziarie: gli operatori del settore delle costruzioni dovranno essere in grado di

portare capacità ideativa, tecnica, finanziaria e gestionale dialogando con interlocutori pubblici

in grado di crescere sullo stesso piano;

• l'intreccio tra costruzioni e servizi: l'attenzione del mercato si sposta progressivamente dal me-

ro piano della costruzione a quello della manutenzione e della gestione: la filiera delle costruzio-

ni e quella dei servizi dovranno crescere in maniera integrata, grazie agli strumenti del facility

management e del global service, che negli ultimi anni hanno già portato notevoli vantaggi al si-

stema delle imprese edili.

9. Lo sci come motore dello sviluppo

Il turismo della neve è senz'altro un segmento di giovane età nel più grande settore dell'industria le-

gata al tempo libero. Malgrado la giovane età, il settore è considerato dagli analisti un settore matu-

ro. Un settore che ha assunto una sua prima configurazione tra gli anni '50 e '60, che si è fortemente

sviluppato negli anni '70 e '80 mostrando un vero e proprio boom ma la cui crescita ha cominciato a

mostrare evidenti segni di rallentamento già nel corso degli anni '90.

In gran parte delle località sciistiche, nel corso dell’ultimo decennio, si è manifestata una crescita

non superiore all'uno o due per cento l'anno e le previsioni degli esperti indicano per i prossimi anni

una stagnazione della domanda. Peraltro le dimensioni di tale mercato sono divenute assai rilevanti.

Pur non essendoci statistiche ufficiali e precise sul settore, si stima che le attività collegate agli sport

invernali muovano annualmente in Europa un business di circa venti miliardi di euro con un'offerta

che riguarda dieci Paesi e oltre mille stazioni che dispongono di qualcosa come 10-11 milioni di let-

ti turistici, con quattro Paesi leader (Francia, Austria, Svizzera e Italia). Dal lato della domanda, es-

sa a livello europeo interessa in modo significativo quindici Paesi (cui stanno aggiungendosi da

qualche stagione alcune nuove realtà, soprattutto provenienti dai Paesi dell'Est) da cui si muovono

annualmente tra i 35 e i 40 milioni tra sciatori, snowborder e, in minima parte, accompagnatori non

sciatori. Questo quadro evidenzia dunque un settore che si trova all'apice del suo ciclo di vita, in

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fase di piena maturità e che al suo interno nei prossimi anni vivrà quei processi tipici di tutti i settori

che si trovano in tale fase.

In primis, su mercati di grandi dimensioni, ma a crescita pressoché ferma, tende a incrementarsi con

vigore la concorrenza: le imprese, infatti, sono fatte per crescere e crescere in un mercato fermo si-

gnifica dover sottrarre clientela e quota di mercato ai propri concorrenti. L'esito di tale ina-

sprimento della concorrenza porterà con sé vincitori e vinti con la conseguenza probabile di vedere

sparire, nei prossimi 10-20 anni, molti degli attuali competitor.

Un secondo effetto, in parte legato al primo, sarà l'aumento delle dimensioni medie delle imprese

del settore. Ciò non significa aumento delle dimensioni dei domaines skiables; significa che assiste-

remo a forme di concentrazione dell'offerta, che si produrrà attraverso processi d’integrazione o-

rizzontale tra imprese che gestiscono stazioni mediante joint-ventures, fusioni e acquisizioni tra

di esse. Il tutto per raggiungere quelle dimensioni in grado di consentire quelle economie di scala

necessarie ad affrontare in modo più idoneo le sfide competitive di cui si parlava innanzi.

Un terzo processo importante si verifica dal lato dell'offerta del prodotto. Le stazioni sciistiche non

possono più giocare, per essere competitive, soltanto la carta della qualità delle piste e degli impian-

ti di risalita. La clientela, sempre più internazionale, confronta il mix complessivo di servizi che è

messo a sua disposizione dalla località nel pre-sci (accessibilità, accoglienza, ricettività) e nel dopo-

sci e sceglierà. Ciò comporta, in Europa, una grande capacità del management delle imprese che ge-

stiscono i comprensori sciistici, di fare intreccio e integrazione con le altre componenti dell'of-

ferta delle località, assumendosi, ove necessario, ruoli di leadership nella gestione strategica

della destinazione.

Un quarto processo che, di fatto, ha già mostrato i suoi effetti nel corso dell'ultimo decennio, è la

netta divaricazione tra offerta di stazioni di carattere esclusivamente locale (in generale di pic-

cole dimensioni) e stazioni operanti sul mercato globale. Le prime sono probabilmente destinate a

specializzarsi su poche e precise funzioni (per esempio la formazione di base dei piccoli sciatori),

badando all'equilibrio economico di gestione e ricorrendo a forme di partnership con le ammini-

strazioni pubbliche locali per quanto attiene al finanziamento degli investimenti.

Per le altre - quelle esposte alla concorrenza internazionale - il successo o per lo meno la tenuta sa-

ranno sanciti dal mercato, dall’abilità di mettere a frutto i propri vantaggi competitivi, dalla capacità

di anticipare i concorrenti, comprendendo in anticipo i processi di trasformazione a cui complessi-

vamente va incontro il settore.

Si tratta di trasformazioni estremamente rilevanti che sono in larga parte da far risalire a fattori e-

sterni al settore turistico e che possono essere riassunte nei seguenti principali fenomeni:

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• Il clima sta mostrando significative evoluzioni. Nessuno ormai nega che ciò sia il problema di

prospettiva. Gli investimenti nell'innevamento programmato, iniziati timidamente negli anni '80,

oggi sono determinanti per la sopravvivenza economica di una stazione di dimensioni medio

grandi. Ma, se anni or sono gli impianti per produrre neve difficilmente arrivavano ai 2000 me-

tri oggi sono realizzati, in certi casi, anche al di sopra dei 2500 metri. Inoltre, tali apparecchiatu-

re garantiscono la produzione di neve solo a partire da certe temperature. Se oltre a non nevicare

aumenterà progressivamente la temperatura dell'aria, anche tale rimedio rischierà di essere

un'arma spuntata. E stazioni con poca neve o con neve di scarsa qualità saranno abbandonate

dalla clientela perché in difetto proprio della materia prima.

• Le modificazioni di gusti e di abitudini tra i consumatori sono un altro fattore di trasforma-

zione. Vacanze più brevi, ancorché più frequenti e con più qualità intrinseca, sono un elemento

che deve indurre a ripensare offerta e organizzazione della stazione. Se le settimane bianche so-

no in calo e sono in crescita i tre o quattro giorni, bisogna adeguare a questo i prodotti, i servizi

e le tariffe. Se nella settimana di vacanza si riduce lo spazio di domanda dell'attività sciistico

sportiva a vantaggio di altre (la visita dei luoghi, della loro offerta culturale, gastronomica o

quant'altro) vanno progettate e offerte nuove soluzioni che di tutto ciò tengano conto. Non farlo

significa consegnare parte dei propri clienti a chi lo farà.

• Connessa alle modificazioni delle abitudini non va dimenticata la concorrenza oggi esercitata

sulla domanda dai viaggi invernali nei paesi caldi. E' una concorrenza significativa che gioca,

oltre che sul fascino del viaggio e dell'esotico, anche su aspetti di competitività economica. Ai

tropici paghi il pacchetto organizzato e puoi partire con una modesta borsa da viaggio. Per la

settimana di sci (oltre all'incognita meteo che ai tropici di norma è assente) devi essere equipag-

giato con un costoso abbigliamento tecnico sportivo e con tutti gli accessori del caso (guanti,

occhiali, doposci, ecc.). Per una famiglia media con due bambini e che non scia che una setti-

mana l'anno, ciò può significare un costo che, comparato a quello della vacanza inverno al sole,

è insostenibile. Anche per questo si adeguerà forse l'offerta di servizi: il noleggio sci e scarponi

si potenzierà, si qualificherà e probabilmente si svilupperanno forme di noleggio dell'abbiglia-

mento tecnico (tute, pantaloni, giacche a vento, guanti).

• Un'ulteriore variabile esogena al settore da non trascurare è l'andamento demografico nei pae-

si europei. Dai dati Eurostat emerge in tutta la sua chiarezza (e in parte problematicità) il pro-

gressivo invecchiamento della popolazione. In Europa, nell’arco di venti anni (1990-2010) la

quota di persone oltre i 65 anni ha fatto un balzo dal 13,7% al 17,4%. In particolare il numero

delle persone di età compresa fra 65 e 79 anni è aumentato significativamente dal 2000 in avanti

e il trend rimarrà tale fin verso il 2060, quadro si prevede che gli over 65 costituiranno il 30%

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della popolazione europea. Il dato è ancora più forte se si scinde il saldo demografico in naturale

e migratorio. Si può verificare come il saldo totale positivo - ma di per sé già insufficiente - è ta-

le solo in quanto fortemente sostenuto dal fenomeno migratorio. E’ comunque difficile ritenere

che per cultura, tradizioni, interessi e livello di consumi, tra gli immigrati vi possa essere la stes-

sa aliquota di potenziali sciatori che c'è tra gli autoctoni.

• Altra importante variabile esterna è data dallo sviluppo accelerato delle nuove tecnologie

dell'informazione e della comunicazione. Straordinarie potenzialità si offrono alle imprese tu-

ristiche per comunicare e per gestire i rapporti con la clientela ma al tempo stesso la vetrina

dell'offerta mondiale si spalanca nelle case di tutti i potenziali clienti. Confronto tra tariffe, tra

comprensori, informazioni in tempo reale su innevamento e condizioni meteo (le già mitiche

web-cam, telecamere costantemente collegate dalle quali vedere, via internet e in tempo reale, la

situazione della stazione), servizi di prenotazione e vendita. Non esserci su questa svolta tecnica

e culturale rischia di significare la marginalizzazione di una stazione seppur dotata di un buon

comprensorio e di una certa notorietà.

La val di Fassa ha tutte le caratteristiche per ambire a restare, nel medio e lungo termine, nel club

delle migliori destinazioni alpine per lo sci. Ciò però potrà avvenire se la Valle avrà la capacità di

interpretare e adeguarsi tempestivamente i grandi processi di cambiamento in essere, sia dal lato

della domanda, sia da quello dell'offerta. Splendidi comprensori, con innovativi impianti di risalita

ed eccellenti piste da discesa purtroppo non garantiscono la sopravvivenza. Sono condizioni neces-

sarie ma non sufficienti.

“Per il momento lo sci funziona ma temo che non darà grandi prospettive di crescita nel futuro. In

Europa, già prima della caduta del muro di Berlino, c’era già un calo di circa il 20% di sciatori

all’interno della Comunità europea. Successivamente abbiamo avuto un grosso incremento da par-

te di polacchi, cechi, ungheresi, molti russi nell’alta valle. Per cui, questi nuovi flussi sono riusciti

a compensare il calo che abbiamo avuto di sciatori italiani e tedeschi, però per il futuro non si sa.

Ho sentito dire che in Polonia e in Cecoslovacchia si stanno organizzando per creare un loro cir-

cuito sciistico. E’ evidente che noi abbiamo un valore aggiunto rispetto all’Est, abbiamo innanzitut-

to le bellezze naturali. I monti Tatra non hanno gli stessi paesaggi delle Dolomiti e poi non hanno il

sole che abbiamo noi, e questo li attrae molto, perché sciare a febbraio da noi con giornate piene

di sole, non si può comparare. Rispetto ai competitori interni c’è da dire che noi non abbiamo la

stessa copertura rispetto la val Badia e la val Gardena, soprattutto perché loro hanno meno posti

letto, poi hanno una tradizione di marketing sciistico molto più forte del nostro, con le coppe del

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mondo di sci, quindi il loro marchio è molto più incisivo rispetto al nostro e questo ci ha lasciato

un po’ indietro. Abbiamo la Marcialonga, che è nata da noi, non ce l’ha portata nessuno, ma nel

complesso abbiamo meno eventi rispetto ad altre località. Siamo un po’ la cenerentola e l’abbiamo

fatto presente nell’accordo di programma con la Provincia. C’è poi da sottolineare i cambiamenti

nei modelli di fruizione. Sull’offerta invernale, a Natale il 30% scia, l’altro 70% gira per il paese,

oppure fa escursioni. Con le settimane bianche, il rapporto s’inverte. C’è anche un innalzamento

dell’età della popolazione, per cui dobbiamo cercare di creare una montagna attrattiva indipen-

dentemente dallo sci. L’aria è buona, ci sono dei bei paesaggi, si mangia bene, si fa wellness.

Dobbiamo pensare in quest’ottica d’evoluzione e bisogna organizzare l’offerta sul territorio. Co-

munque c’è già l’APT, i maestri di sci stessi organizzano anche altre cose, ci sono gli accompagna-

tori di territorio, qualcosa si sta muovendo”. Cristina Donei Procuradora CgF

“Il comprensorio dolomitico è stato creato dagli esercenti più di trent’anni fa. Gli esercenti si ren-

devano conto che gli sciatori non si accontentava più di una valle. Il biglietto unico era considerato

il sistema migliore per togliere i confini e far spaziare gli sciatori tra le diverse valli dolomitiche.

All’inizio è stato facile perché alla costituzione di Dolomiti Superski è seguito un periodo di svilup-

po molto forte, era il periodo di boom dello sci, a cui sono seguiti periodi più difficili, come quello

attuale. Le prime difficoltà si sono manifestate già alla fine degli anni 80 con i periodi di carenza di

neve che ci hanno costretto ad attrezzarci con gli impianti d’innevamento. Questo ha scardinato i

bilanci. Per mantenere i ricavi abbiamo dovuto investire molto di più e gestirci la produzione di

neve che è molto costosa. C’è circa un 30% di differenza. Il principale fattore di difficoltà è da ri-

condurre senz’altro alle condizioni climatiche. Noi non abbiamo paura di perdere innevamento nel

breve periodo, certo dobbiamo puntare di più sull’innevamento artificiale e sulle aree in quota. Bi-

sogna fare la neve in poco tempo. Oggi, se c’è una settimana di freddo, dobbiamo usare quella,

perché non sappiamo se le condizioni climatiche adatte all’innevamento si ripeteranno nel corso

della stagione. E questo aumenta fortemente i costi. In un anno difficile come questo, gli stessi al-

bergatori hanno riconosciuto che più di quello che abbiamo fatto non potevamo fare, abbiamo sal-

vato l’inizio stagione facendo le acrobazie con la produzione di neve e siamo riusciti ad aprire la

stagione sciistica per tempo. Se non aprivamo, non veniva nessuno. Finito il boom degli anni ‘80, il

numero degli sciatori si è stabilizzato. E’ stato però necessario cominciare a fare del marketing.

Una volta il cliente ci cadeva in braccio, adesso non è più così. Si sono sviluppate altre zone e c’è

una concorrenza molto maggiore. Le attività di promozione, che una volta non esistevano, oggi so-

no assolutamente necessarie. Il settore dello sci continua a tirare, di questo ne siamo tutti convinti,

lo sciatore continua a spendere per farsi una bella vacanza sulla neve. Certo oggi i consumatori

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sono molto più attenti. La diffusione di previsioni meteo sempre più attendibili fa in modo che la

gente non rischia più. Se decide spendere lo fa avendo la certezza di avere piste praticali e in buone

condizioni. Per questo noi dobbiamo essere affidabili sul servizio che diamo. Il fatto che lo sci con-

tinua a tirare è confermato dal fatto che dove c’è la neve è stata fatta una buona stagione. A Nord

delle Alpi hanno avuto una buona stagione, la stessa Val d’Aosta ha avuto neve e una buona sta-

gione. Al fattore climatico si è poi sovrapposta la crisi mondiale. La sentiamo più quest’anno, che

non gli anni passati. I turisti non rinunciano alla vacanza sugli sci, magari risparmiano sui costi

del ristorante, ma la passione per lo sci continua a essere forte. Quest’anno la gente è chiaramente

un po’ spaventata e cerca di spendere il meno possibile. Non abbiamo ancora i dati stagionali defi-

nitivi e spero che quelli provvisori siano modificati nel periodo di Pasqua. Posso antipare che

all’interno del comprensorio Super Ski Dolomiti, ci sono forti differenze tra una zona e l’altra. Il

fattore meteo incide comunque senz’altro più della crisi. Questo dimostra che lo sci rimane il moto-

re della vacanza invernale, non è con le ciaspole che si riempiono gli alberghi, neanche con lo sci

da fondo. Poi i congressi non esistono più, quindi lo sci rimane l’unica motivazione. Se l’anno

prossimo ci sarà più neve, senz’altro ci sarà anche una ripresa”. Sandro Lazzeri Presidente Do-

lomiti Superski

“Quest’inverno per la prima volta i conti sono in rosso. L’anno scorso è stato un gran bell’inverno,

a gennaio abbiamo fatto + 8% rispetto all’anno precedente. Quest’anno abbiamo fatto -4% rispetto

lo scorso anno. L’estate scorsa è stata positiva, è stata una buona estate, nonostante fossimo già in

piena crisi finanziaria globale. Quest’anno paghiamo una serie di fattori, prima di tutto il meteo,

ha nevicato in tutta Italia tranne che qua, poi l’incertezza delle misure introdotte dal Governo

Monti. Si è trattato di una serie di fattori che hanno inciso negativamente sulla stagione invernale.

In inverno abbiamo differenziato molto la clientela. Quest’anno abbiamo un aumento ulteriore de-

gli stranieri, l’anno scorso erano il 32% sul totale, penso che quest’anno arriveremo sicuramente

anche oltre al 35% di stranieri, i russi sono in continua crescita, anche i polacchi, un po’ incre-

mentano anche i tedeschi, questo ci da una mano a differenziare l’offerta. L’inverno scorso il 18%

erano i polacchi, il 16% i russi e il 15% i tedeschi: si è quindi stravolta la leadership tedesca.

Quest’anno prevarranno i russi. Il calo dei tedeschi un po’ è dovuto a problemi economici, una

volta con il marco avevano un cambio molto favorevole. I clienti che venivano per due settimane

adesso ne fanno una. Dalla Germania vengono a fare anche il week end lungo, prima non esisteva.

Gli stranieri vengono molto anche per le nostre bellezze naturali, perché se hanno scelto per le loro

vacanze invernali la val di Fassa che è il loro primo mercato europeo, evidentemente gli piace co-

me location. Poi è chiaro che se riesci a far conoscere anche l’ospitalità, la qualità enogastronomi-

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ca, il wellness, probabilmente fidelizzi anche loro. Bisogna stare attenti al mercato, alla richiesta

delle famiglie alle bellezze naturali che non ci mancano, nell’ottica generale di riuscire a comple-

tare un po’ tutte le opere che ci mancano, che danno sicuramente qualità, le circonvallazioni a-

vremmo dovuto già terminarle, però bisogna guardare a un discorso di qualità dell’offerta turisti-

ca, vivibilità della valle, sostenibilità”. Enzo Iori Presidente APT

“Fino a quindici anni fa c’erano due mercati, l’Italia e la Germania, gli stranieri erano i tedeschi.

Si è esaurito un po’ il fenomeno della motivazione forte dello sci in Germania, al tempo stesso

nell’Est e nel Nord Europa lo sci è diventato di tendenza. Così abbiamo cercato di coltivare questa

tendenza, siamo arrivati primi sul mercato russo. Ci siamo avvicinati ai russi quando nessuno pen-

sava a questo tipo di flusso turistico. Come Dolomiti Superski siamo andati in Russia sedici anni fa

a proporre le nostre montagne. La val di Fassa ha saputo curare meglio degli altri le relazioni con

i tour operator, da due siamo passati a quindici tour operator operanti in val di Fassa. Fino a

qualche anno fa, sul tavolo del marketing di Dolomiti Superski, quando con la val Gardena e la val

Badia parlavamo di polacchi, cechi e russi, loro non ne volevano sapere di questi flussi, perché

pensavano gli rovinassero la clientela tedesca, oggi non gli bastano più i tedeschi e hanno anche

loro un turismo dai paesi dell’Est. Anche sul mercato russo c’è stata un’evoluzione. I primi anni le

provenienze erano solo dalle grandi città, Mosca, San Pietroburgo, e con una clientela di alto livel-

lo, solo quattro stelle. Adesso con il proliferare dell’intermediazione e di internet anche il mercato

russo si è massificato, tutto il paese ha più opportunità, anche a livello più basso, ti arrivano anche

dalla Siberia. Una delle cose negative di questi flussi dell’Est è la mancanza di una forte motiva-

zione per lo sci. Questi fanno migliaia di chilometri per venire qua e nel giro di una settimana, un

giorno lo passano a Venezia, un giorno in via Montenapoleone a Milano, un giorno a Bolzano o a

Innsbruck, non è più il cliente top per investire sullo sci. L’idea di essere così vicini a Venezia, li

attira. E questo, rispetto a un indirizzo d’offerta che preveda un ritorno degli investimenti, porta

qualche scompenso. Il mercato russo penso che durerà ancora nel medio lungo termine. Chiara-

mente ai russi è difficile parlare della cultura ladina, loro hanno dei modelli preconcetti sull’Italia.

Quando vanno al ristorante, difficilmente il maitre è capace di proporgli il Teroldego, per il solo

fatto che siamo in Tentino, loro conoscono il Barolo, il Chianti, guardano il prezzo e lo ordinano

perché si sentono rassicurati dal nome conosciuto e dall’alto costo. Sembrano quasi dei luoghi co-

muni, però sono fatti così. Cambiando i flussi turistici, sono cambiate anche le motivazioni della

vacanza. Per adesso siamo ancora ancorati a un modello di offerta sciistica, perché abbiamo inve-

stito molto, d’altra parte ci chiediamo quanto durerà questa grande attrazione. Il sistema rigido

d’offerta sta già mostrando alcune crepe: penso al sistema skipass, al pagamento anticipato delle

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giornate sciistiche, alle settimane bianche che vanno dal sabato al sabato successivo. E’ un sistema

che fino ad oggi ha avuto successo, che ha dato la possibilità di fare gli investimenti. Però la socie-

tà sta cambiando e anche il nostro modello d’offerta dovrebbe adeguarsi. Abbiamo avuto un gran-

de successo e oggi facciamo fatica a proporre una carta valore diversa, con cui uno può scegliere

quando andare a sciare, senza vincoli. Non c’è flessibilità si fa fatica a pensare ad altre soluzioni,

che possono coprire comunque i posti letto”. Andrea Weiss Direttore ApT

“A prescindere dalla crisi, il vero dato è che in inverno abbiamo perso gli italiani. Se andiamo a

vedere i dati di Canazei ci accorgiamo che il mercato per quasi il 70% è fatto di stranieri, quando

fino a dieci anni fa gli stranieri erano tra il 15-20%. Se però allo stesso tempo faccio un giro in Au-

stria, vedo che ci sono tanti sciatori italiani, quindi non è la crisi che blocca gli italiani, fanno altre

scelte perché hanno altre esigenze, che evidentemente noi non siamo più in grado di soddisfare”.

Silvano Ploner Giornalista

“Il futuro impiantistico della Valle di Fassa è conseguente a una visione di strategia turistica di ca-

rattere generale. Sono preoccupato per il futuro del turismo in val di Fassa, perché vediamo che i

mercati tradizionali europei che sono stati i nostri partner commerciali per decenni, in particolare i

tedeschi, incominciano a non andare più a sciare. Hanno trovato altre forme di turismo. Di conse-

guenza abbiamo dovuto andare a trovarci clientela altrove e si tratta di una clientela che non si af-

feziona alla località, è una clientela che viene per curiosità per un anno e poi non la vediamo più.

Mentre la clientela tedesca e italiana era una clientela fidelizzata, che dava certezze. Questa volati-

lità dei mercati è per noi una grossa preoccupazione: ora abbiamo i cechi, i polacchi, i russi,

quando questi mercati saranno esauriti dove andiamo a cercarci altra clientela? Cina, India? Io ho

parlato con esperti del mercato cinese: in primo luogo è troppo lontano, poi le abitudini dei cinesi

sono talmente diverse dalle nostre che bisogna trovare il modo per organizzargli tutto. E’ come se

noi andassimo in Cina, se non troviamo qualcuno che ci organizza tutto, siamo spaesati. Può darsi

che la Cina sia un mercato per il futuro, ma è un mercato molto diverso da quello a cui siamo abi-

tuati, in cui ci vogliono agenzie internazionali che organizzano il flusso nei minimi dettagli. I russi,

da parte loro, stanno sviluppando diverse località sciistiche nel Caucaso, oltre a tutto con le Olim-

piadi che avranno un altr’anno, è ipotizzabile un calo dei russi nel medio periodo. Il russo è un cli-

ente che viene più che altro per curiosità, per vedere le Dolomiti, per vedere come si scia, ma non è

un cliente che si affeziona alla località. Io ho passato tutta l’evoluzione dello sci, dagli anni 60 in

poi. Sono stato due volte in Giappone, nel 75 e nel 79, avevano venti milioni di sciatori, adesso gli

sciatori giapponesi si sono ridotti a meno di dieci milioni. Sono stato anche negli Stati Uniti con

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l’Alitalia per fare promozione alle Dolomiti. Abbiamo avuto un flusso turistico dall’America, ma

adesso sono quasi spariti. I francesi sono talmente nazionalistici che non si può fare affidamento,

gli olandesi sono una buona clientela solo che numericamente non sono tanti, stessa cosa gli scan-

dinavi. Gli inglesi sono un problema, perché spesso sono giovani spacca tutto. Sono pessimista sul

futuro del turismo invernale. Le alternative dello sci da fondo o delle ciaspole sono nicchie di mer-

cato che non riusciranno a riempire i nostri 60 mila posti letto”. Fiorenzo Peratoner SIC

“I turisti tedeschi sono diminuiti perché in parte in Germania non scia più nessuno, non hanno at-

leti di punta e questo è sintomatico. Se andassimo a fare delle indagini uscirebbe che i tedeschi che

sciano oggi, rispetto agli anni 70, sono drasticamente diminuiti. Poi comunque tutto l’arco alpino

va a fare promozione in Germania perché sono quelli che hanno più soldi. Nell’arco degli ultimi

vent’anni le località che fanno offerta turistica invernale sono decuplicate, creando una grande

concorrenza. Poi i flussi turistici tedeschi sono molto canalizzati perché i grossi tour operator tede-

schi hanno fatto fortissimi investimenti in giro per il mondo e quindi la clientela tedesca la portano

a Sharm el sheik. Sono invece cresciuti i turisti dell’est, in particolare i polacchi che sono venuti

perché era una domanda in espansione e perché da noi hanno trovato un buon rapporto qualità

prezzo. Costiamo un po’ meno della val Gardena e delle altre località top, dell’Austria, e anche

della Svizzera. Mentre fino a cinque anni fa chi comprava lo skipass doveva sciare dieci ore al

giorno, oggi non lo fanno più perché gli impianti sono più veloci e non ci sono più code. Arrivati

alle 13.00, sono stanchi quindi ci si mette a far qualcos’altro. Poi magari non si compra più tanto il

settimanale ma il giornaliero, in modo che se un giorno non va di sciare si va a fare una gita, c’è

già questa tendenza. Quindi all’interno di questi ragionamenti, più sviluppi proposte alternative più

hai spazio, le ciaspole, lo shopping, gli aspetti naturalistici, l’enogastronomia”. Riccardo France-

schetti Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.

“Da qualche stagione il settore degli impianti a fune vive un momento abbastanza difficile. Fatta

eccezione per la società che è attestata sul carosello sciistico Sella Ronda, le altre società fanno fa-

tica, non tanto a gestire l’ordinarietà, ma a vedersi in prospettiva. Che cosa faremo in futuro? Do-

vremo fare rinnovi tecnici degli impianti, dovremo proporre all’ospite un prodotto nuovo, periodi-

camente dovremo offrire un servizio nuovo per rimanere competitivi. Una volta eravamo in pochi,

c’erano le Dolomiti, la val di Fassa, la val Gardena, la val Badia, e poi sono arrivate stazioni pic-

cole che però si sono attrezzate con l’innevamento artificiale, o nuove stazioni sorte dal nulla che

hanno un altro target, propongono la settimana bianca a basso costo e intercettano una fascia im-

portante di ospiti. Dobbiamo stare attenti a non sederci sugli allori pensando che la val di Fassa

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sarà l’ultima ad andare in crisi, per le tante specificità, per l’appeal naturalistico eccezionale.

Dobbiamo stare attenti ad altri concorrenti che magari non offrono gli stessi scenari, però offrono

lo skipass a dieci euro, il settimanale a cinquanta euro con la colazione e il posto letto. Se

l’obiettivo è sciare ci dobbiamo confrontare con tante condizioni. C’è stato poi un accorciamento

del periodo di vacanza, il giornaliero e lo skipass di sei giorni che erano i nostri cavalli di battaglia

hanno avuto una contrazione. Mentre ha avuto un’espansione lo skipass da tre o quattro giorni, il

week end lungo. Evidentemente tanta gente si prende il giovedì e il venerdì e riparte la domenica,

vuoi per ragioni economiche, anche di lavoro, di tempo, di famiglia. Quest’inverno ci siamo accorti

che qualche conto non tornava, nel senso che arrivava un gruppo con 300 russi e compravano 150

skipass. E gli altri, magari anziani che non sciano, affittano il pullman per andare a Venezia o a

Bolzano. E’ un fenomeno che quest’anno si è verificato, non è da vedere in assoluto come fenomeno

negativo, però bisogna chiedersi come mai se una volta la motivazione di vacanza al 95% era lo

sci, ora è forse all’80%. Ci sono altre attività, il nordic walking, le ciaspole su cui dobbiamo lavo-

rare”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a fune val di Fassa e Carezza

“Lo sci ha avuto il boom con i grossi campioni, da Thoeni a Tomba. Siccome lo sci è molto influen-

zato da chi eccelle, se noi abbiamo dei discreti atleti sono convinto che lo sci può ancora attrarre.

Con questo non voglio dire che se non avessimo gli atleti, lo sci crollerebbe. Guai se non fosse così

perché il nostro turismo di peso è quello invernale legato allo sci. Ho visto che a Moena, a Lusia

stanno allestendo una pista per il solo snowboard che è un’attività sportiva sempre in crescita, co-

me in estate prende molto piede la mountain bike. A Pozza abbiamo un piccolo centro fondo, è poi

il caso di prevedere dei percorsi per le ciaspole. L’APT va spesso all’estero a fare promozione e di

questo sono convinto che ne beneficiano un po’tutti. Se una volta si prenotava da una stagione

all’altra, oggi grazie a internet prenoti da un giorno all’altro, puoi cogliere le opportunità de last

minute, hai la possibilità di vedere e controllare tutto, quindi anche i periodi di vacanza sulla neve

si sono fatti più frammentati, è difficile sapere in anticipo come andrà la stagione”. Tullio della

Giacoma Sindaco di Pozza di Fassa e Assessore CgF

“Quando noi abbiamo cominciato ad analizzare l’intensità di sciata, è stato curioso scoprire che

l’italiano ha una intensità di sciata pari a circa quattro ore, che vuol dire 9 o 10 piste. Anche lo

sciatore tedesco ha un comportamento simile all’italiano, magari a metà pista si ferma a prendere

il sole. Il turista dell’est ha un’intensità molto più alta e scia sfruttando lo skipass per tutto il gior-

no, dall’apertura alla chiusura degli impianti. E’ evidente che dal punto di vista degli impianti è la

stessa cosa, perché tanto uno spende per il giornaliero lo stesso importo anche se scia in modo più

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o meno blando, ma dal punto di vista di tutto quello che c’è di contorno, a cominciare dalla risto-

razione, il target degli italiani e dei tedeschi è molto più interessante perché sulle piste spende di

più per tutta una serie di servizi. Il dato invernale ci dice che la Russia è al terzo posto con il 10%

di arrivi, che è tantissimo rispetto a una zona che non ne ha mai avuti, però non puoi dire che sono

tutti russi, gli italiani sono 7 su 10. Quindi secondo me il fatto che ci sia questa necessità di dover

sempre andare a cercare chissà quali mercati e chissà dove, invece di curarti il tuo mercato di

prossimità, tra l’altro ricco, non è giustificata. Noi dobbiamo guardare a un’area ricca, qual è

quella del Nord Italia e della Baviera, fino alla zona sopra Stoccarda. Il problema è che rispetto a

questo target, da tre o quattro anni, noi siamo battuti dall’Alto Adige. Io comincerei a chiedermi se

tutta la promozione fatta nei paesi dell’Est abbia un senso e se non sia invece il caso di investire

per recuperare quote sul mercato di prossimità. E’ difficile fidelizzare un russo, non è detto che

venga tutti gli anni, solitamente provano una volta, poi vanno da un’altra parte. Oggi dire di anda-

re a fare promozione a Milano, sembra quasi una bestemmia. Se non vuoi andare a mettere un ga-

zebo in Piazza Duomo perché può sembrare superato, lavora con il web, trova altre forme intelli-

genti di promozione. Ma anche su questo siamo impreparati. C’è una sorta di sudditanza culturale

rispetto a operatori che gestiscono le prenotazioni on line, penso a Booking.com. I nostri alberga-

tori non si rendono conto che affidandosi a questi operatori stanno introducendo un cavallo di Tro-

ia nelle loro aziende. Questi operatori fanno accordi gratuiti con gli alberghi perché, per loro il

business viene dopo, nel momento delle provvigioni. Secondo me dobbiamo lavorare molto sui mer-

cati di prossimità e sulla capacità degli albergatori e delle Apt di gestire in proprio il web marke-

ting comprese le prenotazioni on line e i social network. L’altro tema è la gestione del marchio, sia

la val Fassa, sia il Garda, in virtù del fatto che sono i marchi più forti del turismo Trentino, hanno

questa tendenza a giocare da soli. Ma più vai lontano sui mercati, più è sensato fare un gioco di

squadra con la tua destinazione di appartenenza, oppure mettiti a giocare seriamente con l’Alto

Adige, valorizzando le Dolomiti”. Gianfranco Betta Osservatorio Provinciale sul Turismo.

10. Il distretto turistico globale

Il processo d’apertura dei mercati ha fatto della Valle di Fassa un distretto turistico globale in for-

te competizione con altre destinazioni turistiche, non solo alpine. Globalizzazione, per la val di Fas-

sa, ha significato l’apertura ai mercati extraeuropei e un ruolo crescente svolto dai tour operator in-

ternazionali. Tale processo ha però anche evidenziato un problema irrisolto di governo dei flussi

turistici.

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Come sottolineato dalle citazioni riportate nel precedente capitolo, la caratteristica dominante dei

nuovi flussi turistici provenienti dall’Est è l’estrema variabilità: sono flussi itineranti, difficilmente

fidelizzabili, che ricercano nella località cose diverse e difficilmente codificabili. L’identità della

valle e l’attività sciistica perdono la loro specificità per diluirsi in un ambito più vasto in cui, le Do-

lomiti, Venezia, lo shopping della moda milanese, il sole, i marchi affermati dell’enogastronomia

nazionale, divengono un unico grande fattore d’attrazione, all’interno della destinazione Italia. Con

l’apertura dei mercati i flussi si sono fatti mobili, incostanti, addirittura effimeri, la condizione dello

spazio in cui si vive e si lavora è sempre più quello dell’incertezza. I nuovi sciatori provenienti da

paesi dell’Est non sono considerati una clientela stabile e affidabile su cui costruire un nuovo e du-

raturo sistema locale d’offerta. Perseguire una strategia d’adeguamento dell’offerta alla domanda al

fine di renderla fedele alla località - come fino ad oggi è stato fatto con la tradizionale clientela ita-

liana e tedesca - non appare più un’opzione strategica.

Allo stato attuale in val di Fassa coesistono molteplici canali promozionali e di penetrazione dei

mercati esteri e tutti gli attori, chi più chi meno, sono in grado di sfruttarli. Alcuni (rari) grossi o-

peratori riescono a costruire strategie comunicative complesse, riuscendo in questo modo ad affer-

mare i propri marchi aziendali sul mercato internazionale. I moltissimi operatori più piccoli cercano

di massimizzare risorse scarse, ma non sempre riescono a costruire una strategia matura in grado di

portare a risultati soddisfacenti.

L’allungamento delle reti di mercato e il venir meno di un rapporto di fidelizzazione tra l’operatore

e il turista ha indotto, in molte strutture, un crescente ricorso all’intermediazione come strumento

in grado di attivare significativi flussi turistici, ma che, di fatto, ha spostato al di fuori dell’area - a

livello internazionale - il baricentro della creazione del valore e del controllo del mercato. Nei nuovi

modelli di business del turismo internazionale, le imprese di piccola e media dimensione come

quelle della val di Fassa, fanno fatica a presidiare il processo di produzione del valore all’interno di

filiere che, essendo diventate globali, si estendono molto al di là del loro controllo diretto, mettendo

quasi sempre in campo operatori di grande dimensione, dotati di un potere contrattuale non confron-

tabile con il nostro.

Il ricorso all’intermediazione dei grandi tour operator internazionali ha degli indubbi vantaggi. In

primo luogo il vantaggio promozionale costituito dalla diffusione dell’offerta attraverso le agenzie

dettaglianti sparse nel mondo. Spesso il cliente straniero si sente maggiormente tutelato nel prenota-

re tramite la propria agenzia di fiducia. In alcuni casi i tour operator che dispongono anche della

proprietà degli aerei possono proporre dei pacchetti, comprensivi di tranfert, molto convenienti. Nel

caso dei turisti russi è necessario ottenere dei visti turistici che sono rilasciati dalle ambasciate tra-

mite gli stessi tour operator.

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D’altro canto i più importanti tour operator che operano a livello mondiale sono in grado

d’orientare i flussi di domanda su alcuni mercati anziché su altri, escludendo di fatto alcune zone

dai propri circuiti. Non sempre è possibile superare questa difficoltà recuperando un contatto diretto

con il consumatore finale. Anche nel mercato mondiale dell’intermediazione turistica si assiste oggi

a significativi processi di concentrazione che nei fatti creano regimi di monopolio, come il caso di

Hotelplan Holding che ha acquistato nel 2007 il tour operator Ascent Travel, leader in Russia per i

viaggi turistici invernali, con una quota di mercato del 20%.

Gli stessi contratti di allotment mettono l’albergatore - già impegnato a pagare significative provvi-

gioni - in situazioni di debolezza contrattuale. A fronte dell’obbligo dell’albergatore di vincolare le

camere, non esiste alcuna garanzia di vendita da parte del tour operator. Raramente vengono versati

degli acconti. L’albergatore rientra nella disponibilità delle camere non occupate dal tour operator

(la cosiddetta release) con scadenza a ridosso della data d’arrivo ed è quindi impossibilitato a ricol-

locare le camere sul mercato. Nel caso di annullamenti delle prenotazioni gli indennizzi sono ridotti

o inesistenti. In caso di necessità di camere da parte dell’albergatore, il blocco di vendita, anche se

comunicato con il dovuto anticipo, difficilmente è accettato dal tour operator.

Il necessario e crescente ricorso all’intermediazione richiede quindi che i singoli operatori non siano

lasciati soli, ma che vi sia un ruolo degli attori collettivi, in primo luogo l’Associazione albergatori

e l’Apt, nell’assistere i piccoli e medi operatori nella negoziazione con i tour operator e nella defi-

nizione di linee guida contrattuali in grado di tutelarli maggiormente. Inoltre, in un periodo di crisi

come quello attuale, il ricorso all’intermediazione, richiede ai piccoli operatori, un’approfondita co-

noscenza delle dinamiche del mercato turistico internazionale, spesso caratterizzato da situazioni di

crisi o addirittura fallimento dei principali operatori dell’intermediazione.

I grandi numeri del turismo fassano sono fatti da una moltitudine di medi e piccoli operatori. Questi,

pur non avendo le risorse e le conoscenze sufficienti per operare una strategia comunicativa com-

piuta ed efficace, costituiscono un’importante massa critica d’offerta. Questa massa critica va oggi

maggiormente organizzata. E’ oggi necessario fornire agli operatori risorse comunicativa alte, strut-

ture e strumenti di direct marketing, adeguate a un mercato che si è fatto globale e a cui questi ope-

ratori oggi non possono o non sono in grado d’accedere.

“Io credo che in questo momento in valle, il 98% delle transazioni commerciali attraverso internet,

con le relative provvigioni, sia in mano a operatori esterni, per cui agenzie di viaggi, tour operator,

operatori internet. Se è vero che le provvigioni variano dal 18 al 25% del valore della prenotazio-

ne, possiamo capire quale sia la forza economica che esce da questo tipo di gestione. Allora, io ca-

pisco che siamo in un mondo globale e che un’azienda come booking.com non sarà mai creata da

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un imprenditore della val di Fassa, ma forse potremmo mettere in piedi dei sistemi di filtraggio che

ci possono fare risparmiare 3 punti su quei 25, che si trasformano poi in milioni di euro”. Franco

Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF

“Molta clientela è oggi mediata dalle agenzie. Le agenzie quando gestiscono mille posti letto, tre-

mila persone in una stagione invernale, chiaramente t’impongono le loro condizioni. L’agenzia

chiede la scontistica sia agli alberghi, sia agli impianti, dal 15 al 25% agli alberghi, dall’8 al 10%

agli impianti. Quindi anche questi buchi che ora ci troviamo sono dati dalla presenza di una forte

intermediazione turistica, che va bene perché in un certo senso è comoda, senza troppa fatica si

riesce a riempire migliaia di posti letto, però la componente intermediata è ballerina, se l’anno

prossimo in un'altra destinazione gli fanno una condizione appena migliore spostano in blocco mil-

le posti letto. Un anno portano i turisti in val di Fassa, un anno a Campiglio, un altr’anno chissà

dove. Cosa che succede molto meno in Val Badia dove c’è più un orientamento alla gestione indivi-

duale dell’ospite, quindi l’albergatore contatta direttamente l’ospite, lo lega e lo fidelizza. Da noi

ci sono anche alcuni albergatori che prendono valigetta e depliant e promuovono per conto proprio

la loro struttura, però sono casi rari. Un grosso ruolo l’ha avuto l’APT con il mercato russo che

dopo la Germania è il mercato più forte, e questo si è concretizzato con un’operazione di marketing

a cura dell’APT che è andata direttamente sul posto”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio

impianti a fune Val di Fassa e Carezza

“L’unica struttura imprenditoriale fassana che ha una strategia propria di penetrazione dei merca-

ti internazionali è la Unionhotels. E’ una catena d’alberghi gestita da due sorelle e un fratello, tutti

laureati. Hanno fatto un discorso molto forte d’internazionalizzazione, sulla Russia oltre che in al-

tre zone. Si tratta di una gestione molto improntata alla managerialità. Chiaramente è un modello

più industriale che famigliare, in questo si differenziano molto dal resto dell’offerta alberghiera

della val di Fassa”. Mariano Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF

“Imprenditori fassani che si occupano d’intermediazione non ce ne sono. Ci sono stati in passato,

fino a inizio 2000, dei consorzi. A Moena avevamo la Moena Welcome, che riuniva albergatori, im-

piantisti, maestri di sci. Andavamo a cercarci la clientela in giro per il mondo nelle varie fiere. Il

problema è che i costi della commercializzazione sono altissimi. Siamo stati in piedi per una decina

di anni, abbiamo avuto anche dei risultati mediamente positivi, poi la situazione è diventata eco-

nomicamente insostenibile. L’intermediazione turistica è un mercato difficile, sono saltati una ma-

rea di tour operator, si salva solo chi lavora sulle nicchie. C’è Eden Viaggi che ha una struttura

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enorme e credo Alpitour, ma gli altri sono satelliti che durano pochi anni e rischiano di lasciare

dei buchi. O magari ci sono quelli che stanno in piedi a danno degli albergatori, con delle tariffe

insostenibili. Ti propongono un albergo a tre stelle a trenta euro al giorno per la mezza pensione.

Potrebbe andare bene per un albergo che ha cento camere, che le gestisce in parte direttamente e

in parte con un’offerta low cost, ma le nostre aziende con le trenta camere, non possono fare questo

tipo di discorso”.Enzo Cocciardi Albergatore Moena

“ Il tema dell’intermediazione turistica è un altro tema grosso e delicato che tendiamo a subire e

non a governare, come tante altre località turistiche. Quando si muove un tour operator e riesce a

fare determinati numeri subisci le sue scelte. La debolezza è che tu devi riempire i 60 mila posti let-

to e quindi non hai strumenti di negoziazione. Ho sentito degli operatori dell’alta valle che mi han-

no detto: quest’inverno è andata veramente male, ci sono due agenzie russe che mi fanno il filo da

due o tre anni, ho sempre resistito, l’anno prossimo gli do l’albergo e ci pensano loro a riempirme-

lo. Stiamo già subendo l’offerta delle agenzie e se l’economia continua ad andare male la subiremo

sempre di più”. Gianni Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti

Super Ski.

“I flussi turistici della val di Fassa ormai sono gestiti dalle agenzie, dai grandi tour operator inter-

nazionali, noi riusciamo a incidere su questi flussi in minima parte, con attività promozionali istitu-

zionali o dei singoli operatori con internet. Negli ’60 e ’70 c’era una maggiore capacità di gestione

dei flussi, ma le cose erano più semplici, i flussi erano più contenuti, non avevi bisogno di riempire

le grandi strutture, quindi bastava partecipare alle fiere in Germania o in Italia per portare turisti

tedeschi e italiani, che sono i migliori, convivono bene assieme. Oggi la situazione è molto più

complessa, la dimensione è diventata industriale, quindi hai bisogno di intermediari”. Renzo Va-

lentini Sindaco di Campitello e Assessore CgF

“I nostri albergatori erano abituati a gestirsi la propria clientela al di fuori delle agenzie di viag-

gio, poi hanno dovuto per forza affidarsi alle agenzie internazionali, perché gran parte di quelli che

vengono da lontano, lo fanno attraverso le agenzie. Ormai i nostri albergatori hanno questo pro-

blema di dover dare una consistente percentuale per l’intermediazione a questi tour operator inter-

nazionali. Si tratta di agenzie polacche, ceche, danesi. C’è un’agenzia danese molto forte in alta

val di Fassa. Il problema è anche che queste agenzie che portano una consistente fetta di clientela,

hanno bisogno di servizi in loco, come gli ski bus per trasferire gli sciatori e su questi servizi siamo

molto carenti. Fiorenzo Peratoner SIC

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“Molti alberghi si affidano alle agenzie d’intermediazione, specialmente con i russi anche per un

discorso di transfert, di permessi di soggiorno, di visti. Gli alberghi che si rivolgono alle agenzie

sono soprattutto quelli più grandi perché pensano di avere maggiori garanzie di copertura. Non

tutti possono permettersi di lavorare solo con i clienti privati, senza commissioni. Governare in

proprio i flussi turistici sarebbe comunque difficile, perché devi essere radicato nei mercati, in Rus-

sia, in Polonia, in Danimarca. Dovresti avere gli uffici a Copenaghen o a San Pietroburgo. Negli

anni ‘80, tramite Dolomiti Superski si era provato ad aprire una specie di grosso tour operator lo-

cale che si chiamava Dolomiti Supertour, era andato anche a New York, ma non ha funzionato.

Qualche anno fa era stato aperto un ufficio anche a Milano ma ha chiuso, perché sono costi enor-

mi. Non dico che va bene tutto, però in materia di flussi turistici devi adattarti e prendere quello

che viene. Anche perché, con i posti letto che abbiamo, non ci si può permettere di scartare qualcu-

no. Adesso per l’estate faremo una grossa promozione sulla Germania, un bell’investimento anche

legato ai giocatori del Bayern, della Baviera. Sulla Russia e sulla Danimarca non abbiamo fatto

grossi investimenti. Abbiamo sempre speso di più per la Germania e per l’Italia”. Enzo Iori Presi-

dente APT

“Noi i flussi turistici internazionali attualmente li subiamo, non siamo in grado di determinarli.

Anni fa diversi consorzi di albergatori della valle avevano provato a fare iniziative promozionali e

d’incoming, ma è stato un fallimento. Quando è sorta l’APT, io ho fatto una grossa battaglia per-

ché fosse una struttura d’organizzazione, promozione e vendita, ma i risultati sono stati parziali.

Oggi siamo costretti a subire i flussi a trenta euro che ci vengono imposti dalle agenzie”. Celestino

Lasagna Presidente Associazione Albergatori della val di Fassa

“La qualificazione della clientela è un obiettivo importante, perché una clientela qualificata è an-

che più stabile. Però il problema è che i flussi turistici non si governano, possiamo solo attrezzarci

al meglio per riceverli. In questo momento non possiamo permetterci di fare gli schizzinosi, biso-

gna accogliere tutti. C’è chiaramente da parte nostra una strategia di promozione. Abbiamo dovuto

imparare a fare marketing, una volta non lo facevamo, ci abbiamo messo tempo, non era il nostro

mestiere, non ne eravamo capaci. Dolomiti Superski faceva al massimo qualche inserzione pubbli-

citaria, adesso abbiamo un ufficio marketing, abbiamo un bel sito con la visione in 3D del nostro

comprensorio. Stiamo investendo sul mobile e sui social network. Inoltre, ogni valle del compren-

sorio ha un suo orticello, sia nazionale, sia estero, e quindi ogni valle fa il suo marketing, con la

sua APT. Dolomiti Superski fa marketing generale, in modo tale da servire a tutti, senza privilegia-

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re alcuna specifica realtà. In collaborazione con i consorzi turistici locali organizziamo anche mis-

sioni all’estero, eventi promozionali. Ci abbiamo messo molto a costruire questa collaborazione

con i vari consorzi turistici locali, ma è stato necessario. Anche perché Dolomiti Superski cosa

vende? Lo sciatore non deve prenotare lo skipass, viene qua e se lo compra. L’unica cosa che pos-

siamo vendere è l’immagine, il marchio di un territorio. Come Dolomiti Superski non possiamo

vendere pacchetti, vendere le camere e i posti letto. Quando andavamo fuori da soli a fare promo-

zioni, spesso i buyers internazionali ci chiedevano le camere, noi rispondevamo che non potevamo

venderle. Allora ci dicevano, ma cosa siete venuti a fare?” Sandro Lazzeri Presidente Dolomiti

Superski

Nessuno al momento appare in grado di definire con forza un brand di territorio in grado di

stare al passo con una competizione che si è fatta globale. Un prodotto turistico - per quanto qua-

lificato come quello della val di Fassa - non necessariamente costituisce un brand riconosciuto a li-

vello globale. Un brand è un prodotto riconosciuto come leader a livello del proprio mercato inter-

nazionale di riferimento. Sono brand globali la Sicilia, la Toscana, le Dolomiti, il Garda, Roma,

Venezia, la lirica, molti vini e prodotti gastronomici del made in Italy. La strategia competitiva in

cui è inserita la val di Fassa è ancora giocata tra localismi: trentini, altoatesini e veneti. Costruire

un sistema di piattaforma territoriale in cui la rete degli operatori - e dei territori - converga

verso un’azione promozionale congiunta su unico brand effettivamente riconosciuto sul mer-

cato turistico globale, - qual è quello delle Dolomiti - potrebbe essere un importante obiettivo

strategico. In tal senso sono già emerse alcune opportunità e strategie, anche se il percorso si

presenta ancora problematico e irto d’ostacoli.

11. La piattaforma turistica delle Dolomiti

Come in tutti i sistemi locali fondati sulla piccola dimensione d’impresa - che caratterizzano

l’economia distrettuale del nostro Paese - anche in val di Fassa le imprese sono proliferate in modo

spontaneo, approfittando (gratuitamente) dei fattori territoriali che ne garantivano la competitività

(qualità paesaggio, saperi contestuali che si andavano lentamente formando, reti di collaborazione

più o meno formalizzate, flussi turistici spontanei). Il sistema locale è cresciuto su legami “deboli”

lasciando spazio alle singole imprenditorialità. Nella nuova economia globale tutti questi fattori - di

crescita imprenditoriale e di competizione sul mercato - non sono più sufficienti.

Il sistema d’offerta locale deve fare, e rapidamente, i conti con il gap di competitività che ha accu-

mulato negli ultimi dieci anni, soprattutto a causa della presenza, sempre più estesa e agguerrita, dei

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80

tanti competitori low cost che fanno parte del nostro mondo di oggi e che faranno inevitabilmente

parte del nostro mondo di domani. Per fare questo, la gratuità dei fattori competitivi territoriali non

basta più. Per reggere la sfida della globalizzazione, le imprese devono oggi effettuare un investi-

mento cognitivo nella creazione di nuove competenze distintive a carattere fortemente specializzato

e un investimento relazionale all’interno e all’esterno del sistema locale. Si tratta di situazioni che

suggeriscono il delinearsi di un’impresa turistica che gioca il proprio ruolo nella modernizzazione

su tre dimensione: comunità, territorio e mondo. Un’impresa che, appunto, incorpora nuove forme

di responsabilità verso la comunità locale, che punta a competere valorizzando gli elementi materia-

li e immateriali di un territorio, che incorpora simboli e visioni culturali capaci di essere riconosciu-

ti nell’economia mondo. In questo contesto, la crescita delle reti, intese come forme stabili di col-

laborazione tra attori economici dotati di competenze diverse e complementari, è una tendenza

destinata ad affermarsi sempre di più, trasformando i modelli di business delle imprese e sollecitan-

do i territori a valorizzare le proprie vocazioni e specializzazioni nel contesto della concorrenza

globale, sempre più presente e pressante.

La competizione nella globalizzazione non si gioca tra singole imprese, ma tra territori orga-

nizzati in reti. Il territorio - specialmente nel settore turistico - rappresenta l’ambiente strategico,

dove le imprese selezionano le risorse che gli servono per competere, sia interne, sia esterne, al ci-

clo produttivo. Il territorio, la sua immagine sul mercato internazionale, l’efficienza delle sue infra-

strutture, dei suoi servizi, ma ancor più le sue relazioni sociali (la fiducia tra gli attori, le competen-

ze disponibili a livello locale, i rapporti di fornitura e di cooperazione) sono oggi importanti fattori

di produzione, alla stessa stregua del capitale e del lavoro.

Le piccole imprese turistiche (ma anche artigiane, agricole, di servizio) che caratterizzano

l’economia della val di Fassa possono operare in modo moderno e competitivo nella misura in cui

trovano il modo di partecipare a reti territoriali più grandi, evitando di rimanere isolate. In tal sen-

so, le imprese hanno un grande bisogno di essere "messe in rete" da qualche meta-

organizzatore, (amministrazioni locali, associazioni di categoria, autonomie funzionali, soggetti che

gestiscono le reti materiali e immateriali, enti di formazione, centri servizi, agenzie di promozio-

ne),ossia da soggetti che ordinano l'ambiente in cui operano le imprese, rendendolo adatto alle loro

esigenze. C’è bisogno di soggetti che costruiscono le reti di filiera, le reti territoriali, le reti di pro-

mozione e marketing, le reti di sperimentazione e propagazione di nuovi modi di produrre e di ven-

dere.

I territori che cercano di attrarre e condizionare i flussi turistici si trovano a essere in concorrenza

tra loro. Una concorrenza che è più forte e drammatica di quella che riguarda le imprese manifattu-

riere che con un po’ d’ingegno possono sempre spostarsi andando a scegliere i luoghi e i flussi che

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81

li collegano con lo sviluppo. Ma i territori – e le economie turistiche a essi collegate – non possono

farlo. Gli attori collettivi che rappresentano il territorio e le istituzioni che lo governano non

possono sottrarsi alla responsabilità di affrontare la concorrenza tra territori portando avanti

un proprio disegno pro-attivo, che valorizza gli interessi e la capacità differenziali delle co-

munità rappresentate.

“ In val di Fassa non siamo ancora riusciti a fare un tavolo di lavoro, di confronto fra tutte le strut-

ture più importanti della valle: gli albergatori, l’APT, la banca, gli impianti a fune, il caseificio, il

consorzio elettrico, la cooperativa, ecc. Quando ci troviamo, nascono degli spunti, delle belle idee,

ma poi ci perdiamo e ognuno di noi va per la sua strada. Dobbiamo fare un tavolo di lavoro per-

manente per pensare al futuro della Valle, per lavorare tutti insieme nella stessa direzione. Se non

facciamo questo, ognuno farà il proprio pezzo senza coordinarsi con gli altri, di conseguenza ci

troviamo spiazzati. Se invece riuscissimo a creare un coordinamento tra le società radicate e im-

portanti che ci sono sul territorio, sarebbe più facile riuscire a coinvolgere tutta comunità in pro-

getti condivisi di sviluppo. Dovrebbe essere il Comun general a convocare e coordinare questo ta-

volo di lavoro e quest’intervista capita a proposito per sollecitare un’iniziativa in tale direzione”.

Luca Giongo Direttore Fassa Coop

“Il problema della val di Fassa sta nella mancanza d’unione, c’è poca coesione. Siamo la realtà

economica più grande del Trentino ma siamo fatti di singoli pezzi d’interessi frammentati. Basti

pensare che noi siamo, o almeno eravamo, il più grande comprensorio sciistico ma non abbiamo la

coppa del mondo, e se ne parlava già dieci anni fa quando io ero nel consiglio di amministrazione

dell’APT. Dove c’è da unirsi noi ci separiamo, questo è un segnale d’allarme per dire che c’è un

malessere di fondo, dovuto alla mancanza di una guida”. Elio Liberatore Presidente APSP Fassa.

La ragione per cui è bene che un’amministrazione locale – assieme agli altri attori collettivi - si oc-

cupi attivamente di reti d’imprese, rimanda alla nuova identità del territorio che si è venuta a creare

nel rapporto tra luoghi e flussi. Oggi la competizione si gioca nel rapporto tra luoghi (i nostri ter-

ritori, le nostre comunità, le nostre economie) e i flussi della globalizzazione (di persone, di merci,

d’investimenti, d’informazioni, di culture). L’esigenza è guardare verso un modello di sviluppo in

cui appare necessario l’accompagnamento del territorio dalla dimensione locale a quella globale,

mitigando contemporaneamente l’impatto dell’economia dei flussi sui luoghi e sul loro capitale na-

turale, umano, tecnico, sociale e simbolico. In questo senso, anche la politica si deve mettere in gio-

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82

co: è evidente, infatti, la necessità di andare oltre alle consuete forme di governo del territorio e del-

lo sviluppo per meglio potersi confrontare con le nuove sfide e i nuovi obiettivi del territorio.

Nella globalizzazione, oltre che le specificità del contesto locale, assumono un ruolo centrale i sog-

getti che governano i flussi, trasferendoli da un luogo all’altro del pianeta, oppure creando quelle

“porte di sistema” che collegano l’economia del luogo con l’economia dei flussi. Oggi in val di

Fassa il rapporto con la globalizzazione – il rapporto tra la località e i flussi turistici internazionali –

è fortemente mediato dalle agenzie d’intermediazione – che trasferiscono i flussi turistici da un luo-

go all’altro del pianeta - mentre ancora deboli, o comunque scarsamente strutturate, sono le “porte

di sistema" che partendo dal locale lo collegano con il globale.

Il nostro “capitalismo di territorio” fatto di tanti piccoli imprenditori, ha bisogno di fare alleanza

con il moderno “capitalismo delle reti” costituito da quegli tutti quegli attori locali che producono

e gestiscono i beni competitivi del territorio e, in quanto tali, sono in grado di connettere

l’economia locale alla simultaneità del globale.

Figura 3 Esemplificazione schematica del rapporto esistente tra i luoghi, il capitalismo di territo-

rio, il capitalismo delle reti e lo spazio competitivo globale

Le reti e le funzioni pregiate che danno competitività al territorio sono come ovvio le reti fisiche: le

infrastrutture dei trasporti, le utilities come energia, acqua e servizi di trasporto, le fiere dove si rap-

presentano i territori e le loro qualità produttive, le reti digitali e satellitari. Si tratta però anche di

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reti immateriali, come le fabbriche del capitale umano e della conoscenza, le istituzioni formative;

i servizi collettivi, compresi quelli pubblici, le reti della creatività, del linguaggio e della comunica-

zione al servizio dell’impresa; le reti della finanza e dell’intermediazione di denaro; i brand territo-

riali che danno identità e personalità alle offerte locali.

Il concetto di “capitalismo delle reti” si affianca al concetto di “piattaforma territoriale” che in-

tende alludere a un significato spaziale che vada oltre il paradigma del glocale. Tra locale e globale

prendono forma spazi intermedi in cui si sperimentano accordi e alleanze territoriali finalizzate

a realizzare economie di scala nella produzione di servizi e beni competitivi comuni. La piatta-

forma territoriale è, in estrema sintesi, un sistema economico che pur connettendosi alla rete dei

flussi globali mantiene nel contempo una dimensione locale che investe in genere un’area territoria-

le di raggio relativamente ampio, nella quale convergono diverse soggettività titolari di funzioni

pregiate. In realtà, la piattaforma è da concepire come un’entità territoriale che più delle dimensioni

fisico-geografiche considera le funzioni strategiche legate alla conoscenza come condizione della

nuova economia. La piattaforma, in sostanza, ricerca complementarietà che non derivano da inter-

dipendenze legate alla compresenza fisica delle imprese su un’area territoriale relativamente circo-

scritta; le complementarietà derivano piuttosto da specializzazioni che si avvalgono del più elevato

contenuto di conoscenza che è richiesto alle nuove produzioni per competere nello scenario interna-

zionale. Sono quindi complementarietà tutte da ricercare, e – perché no – anche da costruire,

nient’affatto scontate né tanto meno date fin dall’inizio.

Il mutato scenario competitivo globale impone nuove logiche di organizzazione dello spazio sociale

ed economico tali da mettere in discussione il significato tradizionalmente attribuito al concetto

d’identità territoriale, non più frutto soltanto di processi di radicamento locale, ma legata a uno

spazio di rappresentazione i cui confini tendono a diluirsi e dilatarsi in una dimensione più ampia.

Questo significa, in altre parole, che la struttura sociale di un territorio non è più incentrata sul-

la comunità naturale locale bensì sulla geocomunità territoriale, ossia su quella dimensione dello

spazio sociale che è consapevolmente perseguita, “voluta” dagli attori socioeconomici e politici di

un territorio.

“Noi dovremmo riuscire a mettere insieme un’idea di destinazione dolomitica, che attualmente non

esiste, perché attorno alle Dolomiti siamo competitori. Questo modello bisogna costruirlo perché

non nascerà da solo. Dobbiamo mettere in campo progetti e alleanze, costruire qualcosa insieme,

se vogliamo che nasca questa idea. Esperienze come Dolomiti Superski dimostrano che qualche

volta siamo capaci di fare rete, quando c’è reciprocità di convenienza”. Andrea Weiss Direttore

ApT

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84

A livello locale già si sente l’esigenza di costruire una strategia d’area vasta finalizzata a rafforzare i

fattori di competitività all’interno del comprensorio dolomitico. In tale direzione può, infatti, essere

ricondotto il confronto che si è aperto tra territori trentini nell’ambito della “Rete Dolomitica”.

Comun General de Fascia, Comunità territoriale della val di Fiemme e Comunità di Primiero rap-

presentano, insieme, una parte importante del Trentino dolomitico nord orientale. Sono realtà istitu-

zionali (politiche, amministrative) che hanno avviato un processo "costituente" e stanno raggiun-

gendo gradualmente obiettivi significativi. Con la “Rete dolomitica” queste tre Comunità vogliono

sperimentare una nuova modalità di lavoro, di partecipazione e di progettazione. Si tratta di un pro-

getto che avrà un'articolazione di carattere pluriennale, valorizzando le peculiarità, le esperienze e le

risorse che ogni territorio vorrà mettere a fattor comune.

“L’idea della Rete dolomitica è stata concepita delle tre Comunità di Fassa Fiemme e Primiero. E’

importante fare vedere alle nostre popolazioni che si lavora in rete, con la possibilità di confron-

tarsi e anche di trasferire tra di noi delle buone prassi. Abbiamo intenzione di fare incontri periodi-

ci, fare question time di confronto con la popolazione, senza cose troppo istituzionali che la gente

non capirebbe. Il progetto è finalizzato a cercare di fare sintesi su temi e sfide che l’attuazione del-

la Riforma istituzionale propone a ciascun territorio, individuando approcci condivisi a problemi

che spesso necessitano di soluzioni originali. Abbiamo condiviso che la prima grande sfida è di tipo

culturale e si traduce nella necessità di promuovere nei nostri territori la conoscenza della storia e

dell’ambiente, intesi come elementi indispensabili per rafforzare il senso d’appartenenza e in defi-

nitiva l’identità propria di ciascuna valle. E’ nata così l’iniziativa Incontri tra comunità organizza-

ta con il supporto del Museo storico del Trentino. Le tre Comunità stanno oggi meditando di trova-

re altri temi in cui condividere metodi e percorsi”. Cristina Donei Procuradora CgF

Il recente riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità, da parte dell’Unesco, è

in grado di rafforzare questa strategia comunicativa, allargando la rete a livello sovra provinciale.

La sfida consiste nel mettere in campo azioni per la valorizzazione della natura e della salvaguardia

delle Dolomiti attivando ogni forma e opportunità di turismo e di sviluppo responsabile. Essere tito-

lari del marchio Unesco permetterà anche di valorizzare ulteriormente le eccellenze della zona che

sono l'ospitalità, la gastronomia e i servizi per il turista.

“Il riconoscimento Unesco è un rafforzamento molto importante in termini d’immagine e attrattivi-

tà turistica, che ci obbliga a ragionare di contenuti. Non possiamo essere riconosciuti come patri-

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monio dell’umanità e poi proporre ai turisti la viabilità intasata, le code agli impianti, la mancanza

d’identità. Bisogna riempire di contenuti il marchio Unesco. Dobbiamo essere consapevoli che og-

gi più di ieri, il brand per competere sui mercati turistici internazionali è quello delle Dolomiti, è

inutile pensare di vendere la val di Fassa o Pozza di Fassa. A livello internazionale o si vendono le

Dolomiti o niente. In parte è già così, perché il turismo invernale è tutto guidato da Dolomiti Su-

perski, il resto è contorno. Il mio auspicio, è che la filosofia di rete che è stata alla base di Dolomiti

Superski, ma anche la sua capacità di organizzazione, possa finalmente trasferirsi anche su un pia-

no che non è semplicemente quello economico, ma in una logica di sistema che coinvolga vari a-

spetti della realtà sociale ed economica al di sopra dei confini di provincie e regioni”. Fabio

Chiocchetti Direttore Istituto Cultura Ladina

“Qui in Trentino con l’importante intuizione della Rete dolomitica siamo riusciti a costruire questa

piccola rete tra Fiemme, Fassa, Primiero. Ora dobbiamo uscire dai confini provinciali e allargare

l’alleanza all’intero comprensorio dolomitico. Il riconoscimento dell’Unesco è in tal senso una

grossa opportunità. La strategia di un’identità comune possiamo costruirla con la rete delle riserve

naturali, con un modello di mobilità sostenibile su ferrovia, anche Confindustria di Belluno sta

scegliendo questo percorso. La mobilità sostenibile è un ancoraggio forte per l’identità dolomitica,

anche in termini d’immagine e promozione turistica. C’è l’esigenza di mettere in comune dei servi-

zi, ma non solo con i comuni confinanti, dobbiamo coinvolgere anche lo Zoldano che non confina

con noi. Se mi perdo lo Zoldano con Pieve di Cadore, mi perdo i centri culturali. Il problema è che

all’interno di Dolomiti ci sono territori con esigenze e strategie di sviluppo molto diverse: ci sono

territori dotati di autonomia, altri no; ci sono offerte turistiche differenti; ci sono aree forti e aree

marginali. Abbiamo la val Gardena e la val Badia in cui è possibile fare turismo di qualità, la val

di Fassa che è costretta a competere sulla quantità, poi abbiamo il Bellunese con Cortina e con il

resto del territorio abbandonato da Venezia. Il problema è che abbiamo una Provincia di Belluno

commissariata e una Regione Veneto con cui non si riesce a discutere di montagna. Trento e Bol-

zano, in virtù della loro autonomia continueranno a essere lette dagli altri territori, come le aree

del privilegio. Noi dobbiamo costruire un’autonomia della solidarietà tra i territori alpini. Se Do-

lomiti Superski può essere il motore turistico ed economico che tiene assieme questo territorio, ab-

biamo anche bisogno di un motore politico. Trento e Bolzano non possono guardare solo a Nord, ci

devono essere reti e strategie trasversali tra territori alpini. La stessa Fondazione Dolomiti Unesco

si scontra con difficoltà legate alla partecipazione. Qui non abbiamo una popolazione abituata alla

partecipazione. La Provincia di Belluno, quando è partito il progetto Dolomiti Unesco, ha coinvol-

to tutti i 36 comuni, 34 erano favorevoli e 2 contrari. Sempre in provincia di Belluno il CAI ha

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promosso una serie d’incontri che hanno coinvolto più di tre mila persone. La voglia di capire le

specificità dei vari territori, il bellunese la dimostra qui, invece, non riusciamo ad attivare questo

interesse, da noi nessun Comune ha discusso di quest’opportunità, abbiamo fatto solo qualche con-

vegno sul paesaggio. Abbiamo bisogno di spiegare alla gente le opportunità culturali di Dolomiti

Unesco. Alla prossima riunione dei soci sostenitori dobbiamo aprire alla partecipazione, recupe-

rando quello che non è stato fatto negli ultimi due o tre anni. Se non apri alla partecipazione, coin-

volgendo anche gli operatori turistici, Dolomiti Unesco resterà solo un logo sulla carta intestata di

qualche albergo”. Luigi Casanova Cipra

“L’Unesco deve diventare veramente un veicolo di promozione delle Dolomiti. Questo però si scon-

tra con i localismi. Quando è venuto il giornalista Francesco Marino della RAI di Torino, alla se-

rata organizzata nell’ambito della Rete Dolomitica, lo ha detto chiaramente: guardate che noi non

veniamo a sciare in val di Fassa o in Primiero, ma veniamo a sciare nelle Dolomiti. Dovremo tro-

vare il modo di valorizzare al massimo la vetrina globale fornita dall’Unesco. Questo non significa

non poter valorizzare le diversità all’interno del contesto dolomitico: Cortina è diversa dalla val di

Fassa, le dolomiti di Pordenone o di Belluno sono diverse dalle dolomiti del Brenta. Già quando

lavoravo alla Magnifica Comunità di Fiemme mi sarebbe piaciuto creare un percorso partendo da

queste realtà di comunità storiche, ritornare a essere viandanti attraverso le magnifiche comunità,

le regole cadorine e ampezzane. Sono nostre specificità che possono essere apprezzate e che vanno

fatte conoscere. Ci sono delle cose di cui noi stessi non conosciamo il valore e che persone che

vengono da altri mondi sono in grado di apprezzare. Questo servirebbe anche a noi, per rafforzare

l’identità ladina, il nostro essere comunità dolomitica. Nei secoli scorsi le comunità delle Alpi era-

no tutte uguali, che si chiamassero Consortele, Regole, Magnifiche Comunità. I paesi e i localismi

turistici sono venuti dopo. Sarebbe bello poter recuperare queste dimensioni trasversali in nome

della difesa del territorio e dell’identità delle popolazioni di montagna. La magnifica Comunità di

Fiemme che è un patrimonio inalienabile, indivisibile, imprescrittibile ha consentito di preservare

il nostro patrimonio ambientale. La legge degli usi civici del ’27 mirava a eliminare tutte queste

cose, l’avevano fatta guardando al modello dell’Agro Pontino, alle bonifiche di Mussolini. Queste

proprietà indivise e molto estese ostacolavano la lottizzazione e la speculazione. Qui siamo riusciti

a mantenere queste proprietà collettive. Dobbiamo recuperare questo valore, farlo percepire prima

di tutto alla popolazione locale. Dobbiamo capire che non possiamo omologare la nostra offerta,

non possiamo essere uguali a Rimini, alle Canarie o alle Maldive. Vedere i gonfiabili sulle piste

non è ammissibile in un ambiente come il nostro. Purtroppo, attualmente il discorso Unesco è avul-

so dalla popolazione, non abbiamo ancora capito quali ricadute può avere questo discorso. Quan-

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87

do è venuto il verificatore è rimasto favorevolmente impressionato dal fatto che la gente vive in

questi ambienti. Bisogna anche quindi capire cosa significa tutela, se è solo vincolo significa impe-

dire alla gente di vivere in questi ambienti. E’ da poco che è stata costituita la Fondazione Dolomi-

ti Unesco, immagino che tra qualche tempo ci verranno a proporre qualcosa. Non so se noi siamo

in grado di proporre una strategia. Abbiamo difficoltà tra comuni, figuriamoci tra provincie”.

Bruno Sommariva Segretario CgF

“Su Dolomiti Unesco ne sappiamo poco, potrebbe essere un’importante bandiera di promozione, in

fondo se siamo conosciuti nel mondo, è merito delle Dolomiti. Ma anche su questo vedo che c’è

molto snobismo, ad esempio nel confronto del Bellunese che è la zona dolomitica più grande e forse

anche la più bella. Sono considerati un po’ come i parenti poveri. Ci invidiano perché non hanno i

nostri mezzi di promozione turistica. In questo, c’è un dato culturale, una voglia di chiusura locali-

stica, un’incapacità di condivisione. Siamo molto filo tedeschi, ammiriamo la Gardena, la Badia, e

prestiamo poca attenzione al Bellunese. E’ anche un dato storico, fino agli anni ’60 e ’70, nono-

stante la val di Fassa fosse un’area povera, dal bellunese venivano da noi a lavorare a segare i bo-

schi, erano più poveri di noi. Li chiamavano Canalin, perché venivano da Canale d’Agordo. Era

un modo per dire sei un poveraccio. A nostra volta noi emigravamo nel Tirolo tedesco, a Merano,

dove andavamo a fare i muratori e gli imbianchini. Sono retaggi culturali che rimangono, anche se

oggi le cose sono cambiate. Credo che comunque con l’area dolomitica dovremmo fare un discorso

comune di promozione turistica. La stessa cosa dovremmo farla con Venezia, che è la porta turisti-

ca più importante. Anche per l’aeroporto con cui non siamo collegati”. Annalisa Zorzi Insegnante

“ Attorno alle Dolomiti c’è anche un problema di rapporto tra comunità ladine. La comunità ladi-

na rivolta a Bolzano è diventata Sud tirolese, la parte ladina rivolta a Trento, ovvero noi, non sa

bene dove stare. I ladini del Sella, trentini e veneti, sono considerati dai ladini altoatesini come dei

ladini di serie B, perché hanno un’identità annacquata, si sono lasciati troppo influenzare

dall’Italia. In realtà si tratta di un pregiudizio antistorico perché il ladino è una lingua latina. E’

semmai vero il contrario: è il ladino gardenese e badiotto a essersi contaminato con la lingua tede-

sca. Sulle comunità ladine c’è stato storicamente un dividi et impera che ha funzionato, non c’è

un’identità politica e amministrativa. La Provincia di Trento perlomeno ha avuto la capacità di

guardare alle comunità del Sella, ha pensato a tutelare questa lingua, perlomeno nella sua forma

scritta. A livello culturale ci sono stati momenti abbastanza difficili, si litigava a chi era più ladino

degli altri, succede ancora, anche tra istituti ladini. Poi c’è questa Istituzione che è l’Unione Gene-

rale dei ladini delle Dolomiti che dovrebbe raccogliere tutti i ladini. Politicamente non ne è in gra-

do perché a livello amministrativo le provincie di Trento e di Bolzano si avvicinano in modo diver-

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88

so alle minoranze ladine: la Provincia di Trento ha rispetto della minoranza e non la politicizza, la

provincia di Bolzano rende politico ciò che dovrebbe essere culturale e quindi impedisce il contatto

e la condivisione con le altre comunità. I ladini altoatesini pensano di bastare a se stessi. La nor-

mativa più lungimirante e di avanguardia in tema di minoranze è quella trentina. Un’alleanza sulle

strategie economiche, turistiche, promozionali, potrebbe essere la strada giusta per superare le

tensioni che attualmente ci sono a livello culturale, facendo rete economica. Se in fondo guardiamo

bene, l’unica realtà sovra locale che fa rete tra le comunità latine è una rete economica: Dolomiti

Superski. Se riuscissimo ad avere una gestione della cultura ladina, nel senso di tutto il Sella, come

quella del Dolomiti Superski, avremmo risolto molti nostri problemi. Il problema è che la cultura

nell’immediato non porta soldi e quindi non aggrega. Forse bisognerebbe convincere Dolomiti Su-

perski a mettere la bandiera ladina nel suo logo”. Sabrina Rasom responsabile progetti culturali

del comprensorio ladino Fassa

“Bisogna capire se, con l’opportunità del marchio Unesco, tra le varie comunità ladine, tra i loca-

lismi turistici, ci sarà l’interesse a promuovere le Dolomiti come marchio di destinazione turistica.

Attualmente non mi pare. Noi abbiamo la farfalla, gli altoatesini hanno la coccinella, ognuno va

sul mercato internazionale per proprio conto. L’identità ladina non è in grado di tenere assieme

una comunità al di là dei confini provinciali. Le quattro valli ladine sono uniche al mondo per pa-

trimonio ambientale e per identità, ma economicamente e amministrativamente sono divise, se non

addirittura in concorrenza tra loro. Non dobbiamo rinunciare alla nostra identità e ai nostri inte-

ressi di fassani, ma dobbiamo aprirci. Il nuovo turista russo ha una domanda se vogliamo standar-

dizzata, lui non viene in val di Fassa, viene in Italia, viene sulle Dolomiti, per lui la val di Fassa, le

Dolomiti e Venezia fanno parte di un’unica immagine. Sta a noi mostrargli le nostre specificità.

Siamo noi a fare la differenza, a caratterizzare la nostra offerta, è importante che ognuno di noi si

senta parte di questo territorio”. Teresa Lorenz Referente giovani

“Le Dolomiti sono state riconosciute patrimonio dell’umanità, non per la loro bellezza, ma per mo-

tivi geologici. Partendo da questo dato, la SIC ha investito in un progetto importante chiedendo a

dei geologi di fare delle iniziative con della cartellonistica, serate informative e dei corsi di forma-

zione sulla geologia. D'altronde qui il turismo nasce nell’800, grazie ai geologi, il primo turismo è

geologico, gli alpinisti sono arrivati dopo. Nel 1819 si è tenuto un convegno a Predazzo con gli in-

terventi dei più grandi geologi europei”. Cesare Bernard Presidente Consei General

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Come sottolineato in diverse interviste, Dolomiti Superski è attualmente l’unica realtà economica

capace di fare rete all’interno del comprensorio dolomitico. Dolomiti Superski è oggi il consorzio

più imitato - senza successo - da altre località sciistiche. I complessi austriaci hanno cercato di co-

piare questo sistema, ma risultano essere soltanto una somma di località. Il successo del consorzio è

tale da avere indotto -come in tanti altri casi d’eccellenza aziendale- un processo d’identificazione

tra il brand aziendale e quello del prodotto (in questo caso della località).

“Dolomiti Superski ha ormai 38 anni e penso sia ancora il futuro dello sviluppo turistico della zo-

na. E stato un modello di successo che molti, in altre aree, cercano di copiare. A volte capita che ci

siano giornalisti che ci telefonano per parlare di Dolomiti. Non sanno neppure che Dolomiti Super-

ski è un consorzio d’impiantisti. Noi rappresentiamo le Dolomiti per interposta persona. Questa è

una semplificazione eccessiva, perché la nostra è una realtà turistica complessa, fatta di tanti enti e

di tanti operatori”. Sandro Lazzeri Presidente Dolomiti Superski.

Dolomiti Superski rappresenta attualmente l’unica “porta di sistema”, espressione della co-

munità dolomitica, capace di collegare le economie locali ai flussi turistici globali. E’ proprio il

successo dimostrato da questo modello di rete a livello sovra locale a indurre diversi interlocutori a

portare Dolomiti Superski come esempio per l’attuazione di strategie coalizionali più vaste

nell’ambito del comprensorio dolomitico.

“Questo momento di crisi ci deve servire per fare alleanze, sinergie, consorzi, perché quando vedi

che far promozione costa, se ci si mette insieme, si può fare meglio. Sicuramente è più riconoscibile

il marchio Dolomiti rispetto ai singoli paesi o alle singole valli. Già lo vediamo a livello di Dolomi-

ti Superski con gli spot che fanno per promuovere Dolomiti patrimonio dell’Unesco”. Giorgio De

Luca artigiano e responsabile Skiteam

“Dolomiti Superski è stata una grande innovazione, è stata l’unica vera alleanza interladina che si

sia mai creata. Perché hanno capito che o si guadagna tutti o si perde tutti. Per tutto il resto non è

così. Gli enti e gli operatori devono capire che la collaborazione è uno snodo fondamentale del no-

stro sviluppo e si devono muovere di conseguenza”. Silvano Ploner Giornalista

“Dolomiti Superski è il modello su cui dobbiamo lavorare. Sono tre regioni, cinque provincie, 130

società consorziate in 12 consorzi di Valle. Al di sopra c’è il Feder Consorzio, la cui missione è

vendere uno skipass univoco e gestire le problematiche che ci sono sui dodici consorzi relativamen-

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te all’offerta sciistica. Già oggi Dolomiti Superski fa un’importante azione di marketing sui mercati

internazionale e il marchio veicolato non è la val di Fassa, ma sono le Dolomiti. Chi ha disegnato

questa struttura già nel 1974, è stato molto lungimirante. E’ un modello che andrebbe il più possi-

bile valorizzato. E’ la dimostrazione che facendo rete, facendo sistema, le cose funzionano.”Gianni

Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti Superski.

“Dolomiti Superski è al momento l’unica struttura che tiene assieme le valli ladine e la realtà do-

lomitica, potrebbe essere un’importante strumento per promuovere le località delle Dolomiti a li-

vello internazionale. Il problema è che il Trentino non lo vuole. Il Trentino vuole valorizzare solo il

Trentino. Noi lo diciamo spesso all’Assessore: dobbiamo promuovere le Dolomiti che sono un pa-

trimonio unico. Il marchio Trentino vuole prevalere su tutti. Se andassimo fuori con il marchio Do-

lomiti superski ci sarebbero grossi vantaggi, promuovendo chiaramente anche il marchio val di

Fassa che ha un suo appeal importante”. Celestino Lasagna Presidente Associazione Albergatori

della val di Fassa

Dolomiti Superski deve la sua fortuna alla connettività d’impianti e piste, resa possibile dalle carat-

teristiche naturali della zona. La gestione di questa complementarità “naturale” diventa il core busi-

ness della rete costruita sotto forma di una federazione che raggruppa 12 consorzi di valle, anche se

gli investimenti negli impianti continuano a essere decisi direttamente dai diversi partner della rete.

Dolomiti Superski presenta una struttura a rete perché, anche se la forma è consortile, il servizio al

cliente e il tipo di rapporto con il mercato sono diversi: ciascun socio aggiunge qualcosa in più al

proprio servizio, ed esiste una vivace concorrenza tra vicini. I servizi offerti dagli impiantisti asso-

ciati a Dolomiti Superski sono più complementari che concorrenti, ma la forte concorrenza sulla

qualità del servizio rappresenta un fattore molto positivo in quanto aumenta la qualità generale e

contribuisce a essere più appetibili per i clienti. Dolomiti Superski non assicura alla rete una regia

dirigistica, ma fornisce un servizio ai soci che ne ricavano vantaggi, potendo sfruttare la comple-

mentarità dei diversi tratti della rete di sciovie collegate: i ricavi (come i biglietti) affluiscono al

centro della rete e poi vengono ripartiti con vari criteri. E questo consente alla Federazione e ai con-

sorzi di esercitare un’opera d’indirizzo e di moral suasion, nei confronti dei singoli nodi della rete,

senza minacciare la loro autonomia.

L’intuizione da cui nasce la rete è l’aver adottato il punto di vista del cliente finale - lo sciatore - che

apprezza molto di più la sua esperienza sportiva o paesaggistica se riesce a muoversi nell’ambiente

alpino passando da una pista all’altra, senza interruzioni e senza ripetizioni. Per ottenere questo ri-

sultato è stato necessario unire in una trama unitaria un insieme d’impianti di risalita e trasferimento

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91

che erano nati separatamente, fornendo un servizio unitario allo sciatore con una serie d’iniziative

che derivano dall’esistenza della rete: il biglietto unico; l’allungamento del periodo di validità; il

completamento dei collegamenti tra una pista e l’altra, prevedendo anche nuove piste di discesa e

nuovi impianti di risalita nei diversi versanti della stessa montagna. Oggi con un unico skipass è

possibile utilizzare 460 impianti di risalita dislocati in 12 valli che consentono di percorrere 1.200

chilometri di piste.

Come evidenziato nei precedenti capitoli, la forza propulsiva del modello di business adottato ini-

zialmente dalla rete sta comunque diminuendo. Per due ragioni: lo sfruttamento delle complementa-

rità (tra le piste) disponibili è andato abbastanza avanti da realizzare tutte le opere più facilmente

operabili; i concorrenti si stanno attrezzando per vendere la stessa formula o anche per sottrarre gli

users allo sci, dirottandoli verso altre mete (i mari del Sud, altri sport, altri modi di usare il tempo

libero ecc.). Il gruppo dirigente del Consorzio è cosciente di essere arrivato a un momento difficile

nel ciclo di vita della rete. In questi casi, si cerca – com’è ovvio – di razionalizzare il modello di bu-

siness esistente, eliminando alcuni degli inconvenienti registrati sin qui (tecnologia degli impianti,

riduzione delle code, garanzie d’innevamento, ecc.), o allargando il servizio a bisogni potenziali an-

cora poco serviti (passeggiate in quota in estate, attrazioni a valle per chi non scia e per la famiglia

dello sciatore).

Tuttavia, concentrare l’attenzione sulla manutenzione dell’esistente può in qualche caso allontanare

una prospettiva più ambiziosa: quella di far ripartire il ciclo cambiando qualche elemento sostanzia-

le del modello di business. E re-inventando in questo modo la rete. Ad esempio, si può pensare di

spostare il focus dell’attenzione dallo sciatore (user obbligato per chi gestisce un impianto di risali-

ta), alla sua famiglia (che comprende familiari e bambini che magari non sciano); e da questa a un

pubblico che frequenta la montagna per motivi che solo marginalmente hanno a che fare con lo sci.

Naturalmente, questo pubblico è interessato più che alle piste da sci ai servizi e divertimenti che si

possono trovare in fondovalle, presso gli alberghi e nelle comunità di montagna, d’inverno e

d’estate, senza distinzione. Ovviamente si tratta di un campo diverso da quello tipico fino ad oggi

del consorzio per cui, fino ad oggi, è apparso saggio mantenere una rigida divisione dei ruoli e delle

competenze all’interno della filiera turistica. Impiantisti, albergatori, ristoratori, commercianti, isti-

tuzioni del fondovalle svolgono - più o meno bene - il loro ruolo senza interferire nelle competenze

degli altri soggetti che compongono la filiera. Il risultato è che il collegamento tra impianti e alber-

ghi è stato fino a oggi semplicemente di posizione. Anche se non esiste un legame diretto, gli alber-

gatori hanno comunque interesse che la zona in cui si trova l’albergo migliori la sua attrattiva: è la

somma delle professionalità di tutti, a favorire il successo dell’area. Se gli albergatori tengono basso

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92

il livello delle loro strutture non riempiono gli alberghi e anche gli impiantisti sono danneggiati; vi-

ceversa, se i gestori degli impianti trascurano la qualità delle piste, gli alberghi non si riempiono.

Per il futuro, la logica della rete suggerisce una risposta diversa: se il cliente ha un bisogno com-

plesso, che fa capo ad attività differenti ma interdipendenti, la risposta da dare è quella del global

service. Si uniscono le competenze (ecco la rete più vasta) fino a poter offrire al cliente un prodot-

to/servizio complesso, portatore di significati condivisi, che la rete gli può offrire grazie alla com-

plementarità delle competenze coinvolte.

E’ a questo punto che la rete - nata dagli impianti di risalita - può incontrare un’idea motrice (la

nuova fruizione turistica dell’ambiente montano) assai più grande, che può fornirgli le eccedenze

cognitive necessarie per andare oltre l’orizzonte delle preesistenze. E’ un processo difficile, ma for-

se qualcosa s’innescherà su questo terreno: la cosa dipende anche, in qualche misura,

dall’attenzione che il soggetto pubblico vorrà prestare a temi del genere.

“La definizione si rete ben si adatta a Dolomiti Superski. Essere una rete, non significa solo essere

la sommatoria di tante piccole realtà locali, ma è il nostro vero fattore competitivo. Il turismo è una

filiera: gli impiantisti s’interessano degli impianti, gli albergatori degli alberghi, i commercianti

fanno il loro lavoro. Sono attività complementari in cui un settore tira l’altro, creando un circolo

virtuoso, il cliente è di tutti e tutti insieme gestiamo il cliente. In questa filiera turistica noi siamo

l’impresa motivante, quella trainante, perché i turisti in inverno vengono qua per sciare. Però non

abbiamo la leadership della filiera, gli alberghi muovono un giro d’affari molto più grosso del no-

stro. Se andiamo in crisi noi, va in crisi tutto il sistema, cosi come se non funziona tutta la filiera, ci

rimettiamo anche noi. L’offerta di servizi di maggiore qualità è un compito che spetta a tutti gli o-

peratori. Questo è un compito che noi impiantisti abbiamo affrontato eliminando le code, aumen-

tando il confort degli impianti, garantendo l’innevamento, il resto lo devono fare gli alberghi, i

commercianti, le amministrazioni locali, i paesi. Noi abbiamo ancora i paesi, a differenza di alcune

stazioni francesi che sono tutte artificiali. Il turista apprezza i paesi: il centro storico, l’arredo ur-

bano, il commercio, hanno una loro funzione attrattiva molto importante. Noi, come Dolomiti Su-

perski, dobbiamo fare bene il nostro lavoro d’impiantisti, essere appetibili per il servizio che of-

friamo, poi ogni operatore presidia il proprio settore e nessuno si sogna d’interferire. Chiaramente

c’è collaborazione anche perché mangiamo tutti lo stesso pane. A volte però questa collaborazione

purtroppo viene meno, come nei periodi di fine stagione, perché gli alberghi chiudono prima degli

impianti e questo è un problema. E’ stata una soddisfazione avere il riconoscimento Unesco, anche

se è sempre difficile trovare un equilibrio. Alcuni operatori temono nuovi vincoli, probabilmente si

riuscirà a trovare un compromesso. Al momento non siamo ancora riusciti a utilizzare il marchio

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93

Dolomiti Unesco come uno strumento di promozione e di marketing. Le diverse realtà del compren-

sorio fanno ancora fatica a riconoscersi sotto un unico marchio Dolomiti“. Sandro Lazzeri Presi-

dente Dolomiti Superski

“Penso che difficilmente Dolomiti Superski possa essere il soggetto di promozione turistica della

piattaforma dolomitica. Abbiamo tentato più volte di farlo, ma gli albergatori, non vogliono essere

gestiti da Dolomiti Superski. Il settore degli alberghi è numericamente e economicamente molto più

forte di quello impiantistico. Superski Dolomiti gestisce 300 milioni di euro, ma se mettiamo insie-

me tutti gli alberghi delle Dolomiti, il giro d’affari è almeno cinque volte superiore. Abbiamo speso

un sacco di soldi in attività promozionali. Avevamo fatto anche un sito internet in cui c’era la pos-

sibilità di acquistare direttamente i posti letto, ma il presidente degli albergatori dell’Alto Adige mi

aveva fatto una telefonata arrabbiatissimo dicendomi: voi pensate agli impianti che agli alberghi ci

pensiamo noi. Questo è successo quindici anni fa, ora vanno tutti su booking.com. Evidentemente

preferiscono farsi gestire i flussi da un tour operator straniero, piuttosto che da noi. Dolomiti Su-

perski ha già un bel budget pubblicitario che è attorno a due milioni e 300 mila euro, che sommato

alle contribuzioni delle APT fa una bella base promozionale. Però anche con queste cifre non si ar-

riva dappertutto. Presentarsi sul mercato tedesco con 500 mila euro non è niente. Ce lo dicono loro

stessi, è inutile che veniate qua a proporre un’azione promozionale con gli spiccioli, o venite qua

con un investimento di alcuni milioni di euro, oppure è inutile. Abbiamo fatto alcune azioni promo-

zionali con la provincia di Trento e con quella di Bolzano, meno con il Veneto perché non ci veniva

dietro. Siamo andati assieme sui diversi mercati, abbiamo contributo finanziariamente a diverse a-

zioni promozionali con buon esito, ma non è un’azione globale. Il problema è anche politico, le

provincie di Trento, Bolzano e Belluno sono state in grado di mettere in piedi la Fondazione Dolo-

miti Unesco, però il passo successivo, che è quello promozionale, non riescono a farlo, hanno giu-

sto messo i cartelloni. Poi abbiamo due provincie autonome forti che economicamente stanno bene,

Belluno sta molto peggio. Quando si tratta di spartirsi gli oneri diventa un problema. C’è una di-

versità di vedute tra Trento, Bolzano e Belluno. Dove andiamo a cercare la clientela? Su quali

mercati spingere? L’Alto Adige spinge sul mercato tedesco, Trento è d’accordo ,mentre Belluno

punta sul mercato italiano”. Fiorenzo Peratoner SIC

12. Un’offerta turistica global service

L’apertura dei mercati ha portato con sé una maggiore articolazione dei comportamenti e delle

attese dei turisti, rispetto ai quali il contesto locale cerca di reagire con strategie di adeguamento

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dell’offerta, non ancora pienamente compiute. Se i fattori che determinano l’attrattività del contesto

possono rimanere costanti – in particolare l’attività sciistica svolta in un contesto di grande pregio

paesaggistico - la mutazione dell’ambiente competitivo impone alla località una strategia di destina-

tion management che aiuti ad affrontare il cambiamento, in particolare per quanto riguarda la cre-

scente segmentazione della domanda turistica. Dal racconto fatto dai testimoni privilegiati, emergo-

no diverse direzioni d’evoluzione della domanda turistica. Chiaramente le stagioni, invernale ed e-

stiva, presentano caratteristiche diverse, anche se attualmente è la domanda invernale a definire il

modello organizzativo della destinazione.

Come abbiamo già avuto l’opportunità di sottolineare, la domanda invernale è caratterizzata dalla

significativa presenza di turisti stranieri con un crescente ruolo dei paesi dell’Est: è una domanda

abbastanza codificata (la motivazione è lo sci) che presta un’attenzione marginale alle altre peculia-

rità del contesto locale (ambiente, cultura, gastronomia, tradizioni). E’ una domanda itinerante e

non fidelizzata (secondo alcuni non fidelizzabile), che concepisce la destinazione montana inserita

nel contesto Italia (si viene perché c’è il sole, si fa visita a Venezia o sul Garda, si fa shopping nei

negozi della moda a Milano). A prevalere, oltre all’attività sportiva, è la voglia di svago e di diver-

timento (a volte con degli eccessi). E’ una domanda fatta di numeri (gli unici in grado di riempire i

60mila posti letto) quindi abbastanza massificata e più facilmente organizzabile sugli standard omo-

logati del turismo internazionale. Gli operatori locali sono consapevoli dei rischi connessi a questo

turismo di massa, in particolare per ciò che concerne l’abbassamento dei prezzi per mantenere co-

stanti i livelli di arrivi e presenze. La strategia auspicata sarebbe quella di rendere più esclusiva la

località, puntando su flussi di maggiore qualità, ma tale strategia si scontra con la necessità di riem-

pire i 60mila posti letto esistenti e con una carenza di servizi pubblici e reti infrastrutturali.

Diverso è il caso del turismo estivo, dove a prevalere sono i tradizionali ospiti italiani e tedeschi.

L’approccio del turista alla località è, in questo caso, molto più personalizzato. E’ un turista che ge-

neralmente rifugge l’offerta standardizzata e massificata e che va alla ricerca di esperienze date dal

rapporto con la natura, la cultura, la gastronomia. Il relax, il benessere e l’attività sportiva nella na-

tura, sono le principali motivazioni della vacanza. E’ un turismo fatto in buona parte di nicchie, ed è

in tale ambito che cominciano a svilupparsi iniziative di diversificazione dell’offerta turistica (agri-

turismo, gastronomia, esperienze nella natura, offerte culturali) in grado di intercettare diversi seg-

menti di domanda e valorizzare ulteriori competenze distintive del contesto locale. Il filo conduttore

che unisce e qualifica queste iniziative di diversificazione dell’offerta turistica è la valorizzazione

della qualità e della diversità a fronte di processi di omologazione. Se da un lato, infatti, il fe-

nomeno della globalizzazione e dell’adeguamento dell’offerta locale ai caratteri di una domanda in-

ternazionale tende ad appiattire le differenze, proponendo modelli mediani che non appartengono a

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95

nessuno e generano inevitabilmente mediocrità, dall’altro lato si va diffondendo una domanda e

un’offerta di nuove soluzioni che vanno nella direzione della ricerca e della diffusione

dell’eccellenza, senza farne necessariamente un fenomeno di élite, ma proponendolo come fatto cul-

turale e in quanto tale universale. Il cliente è oggi sempre più alla ricerca di sensazioni, emozioni,

relazioni umane, esperienze sul piano culturale. Ecco che allora affermare le proprie tradizioni, riaf-

fermare la propria identità locale e qualità ambientale è il mezzo che consente al territorio di trovare

un corretto spazio in una dimensione turistica che non sia omologata (nei confronti del turista, del

visitatore, del consumatore) e omologante (nei confronti della comunità locale).

L’offerta turistica della val di Fassa si trova oggi nella necessità, solo apparentemente con-

traddittoria, di fare un “passo avanti” e di fare “un passo indietro”:

• Il passo avanti riguarda la necessità di strutturare la propria offerta entro i canoni degli standard

internazionali, adeguando la propria dotazione d’infrastrutture e servizi, riqualificando la pro-

pria offerta ricettiva e dotandosi di quegli strumenti di marketing oggi necessari per competere

sul mercato globale.

• Il passo indentro riguarda la necessità di recuperare la dimensione identitaria di territorio. La

sfida che oggi attende il territorio è davvero quella di “ricordare il futuro”. Si tratta di valoriz-

zare quelle competenze distintive e originali che sempre più ruolo ha nell’intercettare una do-

manda nuova e diversamente segmentata, i cui flussi sono sempre più influenzati da fattori ine-

renti alla qualità e dagli elementi di ordine culturale, edonistico e ambientale. La vacanza tende

sempre più a essere coniugata con qualche forma di impegno, sia esso intellettuale, culturale,

sportivo, formativo, etc.

Se la domanda del turista (non importa se invernale o estivo) si fa sempre più complessa e diversifi-

cata, è l’offerta che deve essere in grado di recepire e tradurre questa complessità in prodotti e ser-

vizi che appaghino quanto possibile questi bisogni e desideri. L’obiettivo è unire e integrare di-

verse competenze per offrire al cliente un prodotto complesso, concepito in una logica di glo-

bal service. Chiusa l’era dell’egemonia del turismo di massa, generalista e monoculturale, si apre

una fase nuova, non di transizione al post-industriale, ma di reinvenzione di un’economia del terzia-

rio del turismo, da intendersi nel senso più ampio. In una parola, non più il turismo ma i turismi.

I turisti, lungi dall’essere folla indifferenziata, tendono, infatti, ad aggregarsi per stili e gusti corri-

spondenti ad altrettanti flussi culturali, dotati di senso e significato, che consentono il reciproco ri-

conoscimento come parte della medesima comunità (del sentire, del gusto, dello sport, della natura,

della cultura, del benessere, ecc.). Il cliente non è più solo un fruitore di servizi

d’intrattenimento, ma è anche un produttore di segnali e di tendenze di consumo che vanno

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96

colte e trattate come informazioni strategiche da immettere nel sistema dell’offerta. È eviden-

te come un simile paradigma porti verso la progressiva segmentazione di un “mercato di massa”, in

una “massa di mercati” composta da una moltitudine di nicchie. Da ultimo anello della catena del

valore, l’utente-cliente, con la sua domanda eterogenea e diversificata, si colloca oggi a monte

della nuova filiera produttiva. I suoi desideri, i suoi bisogni, (non solo materiali), generano una

ragnatela del valore che incorpora a sé una molteplicità di nuove funzioni e specializzazioni che

scoprano questi bisogni, li analizzino, li codifichino e, infine, li soddisfino.

“La val di Fassa in questi anni ha vissuto su uno sviluppo turistico prettamente invernale. La com-

ponente estiva è un completamento, ma il vero core business è sempre stato la stagione invernale.

Sicuramente penso che in futuro vada potenziata di più l’offerta estiva anche per valorizzare i con-

tenuti del patrimonio dell’Unesco. Dovremmo forse ripensare a una forma di turismo più rivolta ad

accompagnare l’ospite verso le bellezze naturali che la val di Fassa può offrire, fare da mediatore

culturale. La potenzialità estiva è sotto gli occhi di tutti, si tratta di capire dove vogliamo andare,

cosa vogliamo iniziare a sviluppare, i temi geologici, la flora, la fauna, le escursioni. Senza dimen-

ticare l’aspetto invernale che ovviamente è determinante. Ci sono anche opportunità che riguarda-

no il termalismo: c’è l’Antico bagno di Pozza, ci sono un paio di fonti a Canazei ma di portata mo-

desta, poi c’è una fonte termale con acque sulfuree al Contrin, in Marmolada, in un contesto am-

bientale bellissimo. Il termalismo consentirebbe di destagionalizzare la nostra offerta turistica”.

Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a fune val di Fassa e Carezza

“Dobbiamo costruire un turismo più forte, capace di rispondere alle utenze turistiche più esigenti.

Dobbiamo anche diversificare la nostra offerta turistica e di territorio, quindi va benissimo investi-

re sulle nostre tradizioni, sulle nostre specificità ambientali, su una gastronomia di qualità sui no-

stri prodotti tipici. Per far questo dobbiamo avere la capacità di fare sistema, cosa che attualmente

non abbiamo”. Luigi Casanova Cipra

Una politica di valorizzazione dell’offerta turistica passa attraverso un processo d’integrazione, in

sostanza, il territorio deve iniziare a promuovere se stesso nella sua complessità: il territorio, il pro-

dotto tipico locale, il ristorante, l’albergo, l’artigianato tradizionale, l’offerta culturale, la pratica

sportiva, la manutenzione e la fruizione dell’ambiente, sono un unico prodotto e come tale va ven-

duto. Allo stesso modo, l’integrazione dell’offerta deve essere accompagnata da un’integrazione tra

funzioni, infittendo e dando forma organizzata alla divisione del lavoro tra attori locali e loro inter-

locutori esterni. L’obiettivo strategico è quello di rispondere alla complessità del mercato turistico,

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97

in modo da soddisfare le aspettative e le esigenze di diversi segmenti di turisti e al contempo le di-

verse richieste formulate dal turista fidelizzato, che ricerca esperienze sempre nuove.

Leggendo la situazione in chiave di marketing strategico, si può affermare che la destinazione si

trova in una situazione in cui la possibilità di rivitalizzare l’offerta dipende dalla capacità di svi-

luppare un’offerta complementare a quella esistente. È necessario, quindi, un ampliamento del

portafoglio prodotti che consenta di affiancare a quelli tradizionali, frutto di un processo path de-

pendance, prodotti innovativi in grado di suscitare l’interesse – e la disponibilità alla spesa – del

mercato tradizionale di riferimento, e di nuovi segmenti di domanda.

“La val di Fassa deve lavorare per ideare nuove offerte turistiche capaci di soddisfare diverse tipo-

logie di turisti. Qui siamo abituati troppo bene con lo sci e non facciamo grandi sforzi di creatività.

La tendenza è avere sempre più gente che non scia, c’è un processo di diversificazione della do-

manda turistica: una volta si viene per sciare, un’altra volta per camminare, anche in inverno. Si

cerca di più il relax, il rapporto con la montagna. Comunque qualche offerta alternativa comincia

a vedersi. Ad esempio, alla malga San Nicolò d’inverno fanno ristorazione, si sale con le ciaspole e

poi si può scendere con lo slittino, sono esperienze molto apprezzare dal turista, la possibilità di fa-

re qualcosa di diverso. Nel mio albergo siamo riusciti a destagionalizzare: a Giugno e Luglio, or-

mai da quindici anni ho molti inglesi che vengono qua per le farfalle. Anch’io non lo sapevo, me

l’hanno spiegato questi turisti inglesi, ma le Dolomiti sono uno dei posti migliori al mondo per ve-

dere le farfalle, ci sono 250 tipi diversi di farfalle. Questi turisti inglesi si portano la trappola e al

mattino alle 6.30 sono lì a vedere quello che hanno catturato, poi la sera fanno il meeting per con-

frontare le diverse tipologie di farfalle che hanno visto. Questi inglesi stanno da me almeno un paio

di settimane. E’ un turismo molto specializzato, intermediato da un tour operator che si chiama Na-

tur Trek, con numeri ridotti, ma per il mio piccolo albergo vanno bene. E’ vero che il turismo è og-

gi fatto di nicchie, dovresti avere la capacità d’intercettare le nicchie più grosse come la mountain

bike, il trekking”. Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT

“Quando parliamo di riequilibrio dell’offerta turistica, parliamo di due aspetti: c’è un aspetto le-

gato alla modernità dei servizi e accanto, ma non è in contrapposizione, c’è la valorizzazione della

storia, della cultura, attraverso il bello che abbiamo e che va tutelato. Modernità dei servizi e valo-

rizzazione dell’identità sono le due cose vanno portate avanti insieme. Dobbiamo lavorare sia con i

russi che vengono qua per sciare, sia con gli inglesi che vengono qua per vedere le farfalle. Abbia-

mo la possibilità di farlo, con gli uni e con gli altri. Dobbiamo farlo attraverso una maggiore spe-

cializzazione delle strutture ricettive. Ma prima ancora, dobbiamo lavorare sulla qualità del siste-

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ma complessivo, poi l’imprenditore in base alla sua sensibilità si specializzerà su una cosa o

sull’altra”. Francesco Cocciardi Albergatore di Moena

A fronte di una domanda turistica sempre più esigente, anche in val di Fassa cominciano a svilup-

parsi iniziative di diversificazione dell’offerta in grado d’intercettare diversi segmenti di domanda

puntando sulla valorizzazione di beni locali non riproducibili ma quotabili nell’economia mondo

come tipicità del made in Italy. E’ ad esempio il caso dell’agriturismo e dell’offerta gastronomica

in cui si sono fatte strada risorse di professionalità prima sconosciute. Certo, le dimensioni

dell’offerta sono ancora ridotte, ma intanto insieme al flusso turistico anche l’offerta si è evoluta nel

senso della diversificazione e dell’affinamento.

“Fino ad oggi siamo uno dei pochi agriturismi della val di Fassa, adesso ne stanno aprendo altri.

Nell’attività sono coinvolte anche le mie due figlie oltre al marito che gestisce l’attività zootecnica.

Per gestire l’agriturismo ho fatto molti corsi: con Accademia d’impresa ho fatto corsi di marketing

turistico, con San Michele corsi sulle erbe officinali, ora ho l’autorizzazione per la preparazione e

vendita di tisane. Poi ho fatto corsi di cucina con l’associazione Agritur, anche se devo dire che su

questo sono assistita da mio fratello che è uno chef stellato. Ho fatto corsi di marketing di prodotti

tipici con Sant’Orsola. Per fare un agriturismo non ci si può improvvisare. All’inizio è stato diffici-

le, eravamo circondati dall’incomprensione ma oggi siamo molto soddisfatti. La banca è stata la

prima a prenderci per matti. Dopo un anno sono però venuti a farci i complimenti perché non si

aspettavano un risultato del genere. Oggi siamo alla terza stagione. Abbiamo impostato tutto sul

biologico, anche la casa è realizzata in legno con criteri di sostenibilità edilizia. Gli ospiti apprez-

zano molto il fatto di abitare in una casa in legno, ha un’abitabilità eccezionale ed è molto confor-

tevole. Inoltre abbiamo molti vantaggi sul risparmio energetico e questo ci consente di tenere aper-

to tutto l’anno. Abbiamo otto camere aperte tutto l’anno. La gente si stupisce del fatto che siamo

aperti anche fuori stagione, ma possiamo farlo perché abbiamo bassi costi di gestione. A settembre

e ottobre arrivano americani, inglesi, spagnoli, tedeschi. Anche a novembre nei week end riusciamo

a riempire almeno cinque camere. Nonostante la crisi e la mancanza di neve quest’inverno io ho

avuto l’agriturismo pieno e questo perché cerco sempre di offrirgli un’alternativa. La gente oggi

vuole cose semplici e genuine. Io gli presento sempre i prodotti e piatti, gli illustro formaggi del ca-

seificio e tutti i nostri ospiti prima di andarsene passano al caseificio a comprare i formaggi. Ab-

biamo una clientela ormai affezionata, dicono che sentono l’esigenza di venire da noi per rigene-

rarsi e questo fa piacere. Abbiamo fatto anche un piccolo centro wellness con sauna, bagno turco,

centro relax. Gli accendo le candele profumate, gli offro le tisane che facciamo. C’è poi l’attività

zootecnica con venticinque mucche, conferiamo il latte al caseificio di Pera. Abbiamo pecore di

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razza tingola, tipica di questa zona. Abbiamo cavalli e asini. I maiali, per cui offriamo la nostra

carne ai turisti, il macellaio di Vigo ci fa lo speck e le luganighe. Abbiamo galline e tacchini coni-

gli. Abbiamo un grosso orto, qualche albero da frutto. Facciamo le nostre marmellate. Prendiamo

il burro di malga. Con la sola agricoltura non potremmo vivere, per cui l’agriturismo è

un’importante integrazione. Da noi manca una vera integrazione tra agricoltura e turismo. Io cre-

do che anche in val di Fassa ci sia spazio per un turismo diverso, legato all’agricoltura,

all’ambiente, alle tradizioni. Noi lavoriamo divinamente con i tedeschi che apprezzano queste cose.

Il turista tedesco, se sta bene, si affeziona e ritorna sempre. Ho già prenotazioni per tutta l’estate, a

partire da giugno e sono quasi tutti tedeschi. La val di Fassa dovrebbe ricominciare a investire sul

turista tedesco. Su un turista di qualità. Non possiamo continuare a cercare la quantità svendendo

le nostre strutture. Io non mi sono mai dovuta svendere, e vi assicuro che non faccio prezzi bassi”.

Monica Weiss titolare agriturismo

“ In val di Fassa stanno nascendo iniziative molto importanti, che nessuno conosce. Si sta creando

un’economia nuova attorno ai temi dell’agricoltura, al circuito di produzione agroalimentare, che

è anche abbastanza esclusiva, per via della qualità dei prodotti e chiaramente anche del prezzo. I

prodotti tipici potrebbero essere una strada importante per lo sviluppo della val di Fassa. Solo che

la gente del posto ci crede ancora poco. Questa scarsa attenzione per i prodotti tipici è frutto della

nostra storia recente. Prima anche da noi ogni famiglia aveva un paio di vacche il maiale, l’orto,

poi, negli anni ‘60 sono state sfasciate tutte le stalle per creare alberghi, l’agricoltura è stata com-

pletamente abbandonata e tutti si sono buttati sul turismo. Oggi fortunatamente vedo un ritorno

all’agricoltura, ci sono giovani, che fanno cose molto interessanti. Con il mio ristorante lavoro

molto bene con questi ragazzi che mi portano di tutto: il latte fresco, i conigli, mi allevano dei vitel-

li, gli agnelli, i capretti, mi fanno le forme di formaggio direttamente loro. Ci sono poi gli ortaggi,

tutti da agricoltura biologica. Noi stessi, come ristorante ci coltiviamo un orto per avere sempre

prodotti freschi e di qualità. Poi naturalmente lavoro anche con la val di Gresta, ma sempre con

prodotti biologici. Con alcuni di questi ragazzi stiamo proponendo piatti fatti con i prodotti del bo-

sco: dai piccoli frutti, ai funghi, ma anche i muschi, i licheni, i fiori, le erbe, le radici che crescono

nei nostri boschi. Una volta nei boschi si raccoglieva di tutto, questa è una cultura che è andata

persa e che noi stiamo recuperando. Facciamo incontri con i botanici per capire quali erbe posso-

no essere valorizzate in cucina. Portiamo nel piatto cose che sono nostre e devo dire che tra i miei

clienti sono molto apprezzate. In Trentino c’è tutto un movimento di persone che sta proponendo

un’offerta gastronomica nuova e originale, fatta con prodotti della montagna che sono di nicchia o

completamente sconosciuti. Io le conosco tutte perché partecipiamo assieme a eventi a livello na-

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100

zionale, come “Identità golose” che si fa a Milano. Tutte le realtà trentine che fanno gastronomia

di qualità si muovono assieme alle varie manifestazioni, c’è Alessandro Gilmozzi del ristorante al

Molin di Cavalese, c’è Noris Cunaccia di Primitivizia, c’e Mieli di Thun, qui in Valle c’è Stefano

Ghetta dell’Hotel Gran Mugon, è un giovane albergatore locale che si è messo a fare alta ristora-

zione. Si cerca di lavorare e fare le cose assieme. Io sono spesso in giro per presentare la mia cuci-

na. Alla fine di marzo faremo una rassegna gastronomica in cui quattro ristoranti collegati a Slow

Food presentano la cucina delle Valli Ladine. Sono manifestazioni che portano molta gente da fuo-

ri. Sempre alla fine di marzo sarò a Vinitaly con Alessandro Gilmozzi. Ad aprile faremo una mani-

festazione a Trento con i vignaioli trentini, dove faremo show cooking. Sarebbe molto importante

creare eventi gastronomici qui in Valle. Le risorse ci sarebbero. Pensa che nel ‘95 abbiamo avuto

una recensione sull’Herald Tribune di San Francisco perché a Moena, paese di duemila abitanti,

c’erano due ristoranti con la stella Michelin: eravamo noi e il ristorante Sanoalce che poi ha chiu-

so. Dobbiamo renderci tutti conto che oggi i turisti cercano esperienze nuove e autentiche e la cu-

cina è un mezzo che ti consente di imparare cose nuove. Purtroppo da noi le offerte sono ancora in

gran parte costruite, omologate. Tra gli alberghi c’è oggi una concorrenza spietata, tutta giocata

sul prezzo, non hanno i margini per produrre una ristorazione tipica, originale. Abbiamo perso i

nostri valori. Oggi i turisti preferiscono andare a mangiare in una malga vera, con a fianco la

mucca, piuttosto che nel super ristorante che trovano anche a Milano. Ci vuole un po’ più di vita

vera.” Paolo Donei Ristorante Malga Panna

Come tutti sappiamo, le produzioni agroalimentari rivestono un ruolo di particolare rilievo per il

nostro Paese, non solo dal punto di vista economico. Secondo comparto, dopo il metalmeccanico,

per entità del valore aggiunto, l’agroalimentare contribuisce in modo determinante a definire

l’immagine del Made in Italy nel mondo, con crescenti sinergie con lo sviluppo turistico, e ben rap-

presenta il mosaico delle molteplici realtà territoriali che compongono l’identità culturale nazionale.

Il radicamento nel territorio costituisce l’elemento distintivo nella varietà della produzione alimen-

tare italiana e al tempo stesso la più importante risorsa per fronteggiare, con la qualità e la specifici-

tà della gamma, la crescente globalizzazione dei mercati che ci vedrebbe senz’altro soccombere in

materia di costi. Il 70 per cento delle produzioni agroalimentari tradizionali italiane è espressione

di sistemi territoriali marginali – in particolare montani e collinari – dove svolge un ruolo insostitu-

ibile di presidio del territorio a partire da un bacino di conoscenze e di varietà produttive che costi-

tuisce, in questi ambiti, una parte di assoluto rilievo dell’identità delle comunità locali. Conservare e

valorizzare le metodiche tradizionali di lavorazione significa disegnare un futuro per quei contesti

locali di grande pregio.

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Un’offerta fortemente caratterizzata sul fronte della tipicità è del resto in grado di rispondere più ef-

ficacemente alle tendenze emergenti nel consumo che premiano la ricerca del gusto, della genui-

nità, del valore nutrizionale. Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi sono almeno tre

milioni e mezzo all’anno in Italia le presenze straniere determinate dal turismo eno-gastronomico,

un flusso di fascia alta che potrebbe essere maggiormente attirato nelle aree oggi a rischio di abban-

dono, con ricadute di grande rilievo per la qualità dello sviluppo locale. Sempre secondo una recen-

te indagine di Coldiretti, il souvenir enogastronomico tipico del luogo di vacanza è il preferito dai

quindici milioni di italiani e dagli stranieri che hanno trascorso le festività natalizie del 2009 in Ita-

lia. Una tendenza in rapido sviluppo favorita – si legge nell’indagine Coldiretti – dal moltiplicarsi

delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si è verificata nei principali luoghi di villeg-

giatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, feste e mercatini di ogni tipo. Il turismo eno-

gastronomico vale, infatti, – continua la Coldiretti – cinque miliardi di euro e si conferma il vero

motore della vacanza made in Italy. Su tali tendenze la val di Fassa comincia solo ora a investire:

significativi, e in tendenziale crescita, appaiono i flussi di turisti che acquistato direttamente i pro-

dotti caseari locali presso gli spacci dei locali caseifici.

“Il formaggio di punta del nostro caseificio è il Cuor di Fassa, poi facciamo il Grana trentino, di-

rettamente per i nostri negozi. Poi c’è il Mezzano trentino. Riguardo al Puzzone di Moena è stata

presentata la DOP al ministero, quando avremo il riconoscimento da Bruxelles potremo produrre

una percentuale di Puzzone, assieme a Fiemme e Primiero. Noi abbiamo ristrutturato un po’ tutto

l’impianto del caseificio, raccogliamo questi trenta mila quintali di latte che vengono trasformati in

formaggio. Per la commercializzazione abbiamo tre negozi in val di Fassa che commercializzano

direttamente una buona parte del prodotto, soprattutto nei mesi turistici, abbiamo poi il consorzio

di secondo grado, il Concast, che commercializza il resto. Quando saranno stati avviati tutti i ne-

gozi che abbiamo in programma, si pensa di poter arrivare a fornire quasi il 50% del fatturato dal

negozio, vendendo direttamente ai turisti. Gli alberghi della val di Fassa potrebbero usare un po’

di più i nostri prodotti. Come caseificio facciamo un fatturato di poco più di 2milioni e il fatturato

derivato direttamente dagli alberghi è circa il 3%. A noi basterebbe che l’albergo ci mandasse il

cliente. Abbiamo iniziato ad avere delle collaborazioni con alcuni alberghi, che ci mandano i turisti

allo spaccio, poi ci sono quelli che ti chiedono anche d’organizzare delle degustazioni da loro in

albergo. Gli alberghi quando fanno delle cene particolari, usano i nostri prodotti trentini. Adesso

abbiamo un progetto con il comune di Soraga per rimettere in piedi una malga e fare un po’ di tra-

sformazione, se non altro per un’immagine turistica, saranno 150 quintali di latte con cui fare lì il

burro di montagna e la tosella. Qui in val di Fassa dobbiamo imparare a promuovere maggiormen-

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te le nostre produzioni alimentari. A Cavalese, a Predazzo e in Primiero fanno delle manifestazioni

turistiche importanti legate alla zootecnia. Sono andato a vedere la desmontegada del Primiero e

sono rimasto veramente impressionato, era pieno di turisti. Dopo avere visto tutta la manifestazio-

ne, la sfilata, sono andato a fare un giro a Fiera di Primiero: non si poteva neanche entrare nei ne-

gozi, c’erano i banchetti dappertutto, un indotto incredibile”. Elio Brunel Allevatore

Il gusto e la ricerca della qualità e della tipicità sono solo un aspetto della ricerca di una migliore

qualità della vita e di una conseguente offerta turistica. L’attenzione per la buona tavola si allarga

alla qualità dell’accoglienza, dei servizi, del tessuto urbano, a valori culturali e ambientali, a ritmi di

vita più lenti e quindi più umani. Recuperare gli edifici e i centri storici, mantenere la qualità del

paesaggio agricolo, rivitalizzare le relazioni interpersonali di paese e di borgata, pedonalizzare i

centri storici, produrre alimenti senza l’apporto della chimica e dell’ingegneria genetica, salvaguar-

dare le tradizioni locali, valorizzare le botteghe artigiane e i ristoranti con prodotti e ricette del terri-

torio, riservare al turista un’ospitalità “calda” e diffusa, realizzare nelle scuole programmi di educa-

zione al gusto, all’estetica, all’ospitalità, sono tutte azioni essenziali se si vuole fondare la strategia

di sviluppo del territorio sulla valorizzazione delle differenze e della qualità della vita.

“Dovremmo avere una maggiore coscienza, un maggiore attaccamento alla nostra terra. Esserne

più orgogliosi. Dobbiamo recuperare la nostra identità. Nei paesi fanno i parcheggi e distruggono

gli orti. Può sembrare banale, ma i turisti apprezzano anche gli orti, i paesi più autentici e vivibili.

La valle dovrebbe cominciare a diversificare la propria offerta turistica, puntare maggiormente

sulla qualità, avere meno stanze e più servizi. Dovremmo anche diversificare la nostra economia,

investire ad esempio sulla zootecnia. Vedo che in Alto Adige continuano a permanere piccole attivi-

tà zootecniche, c’è un senso di maggiore autenticità della montagna, ma non so se da noi sia possi-

bile, se sia sostenibile sul piano economico. A molti sembrerebbe di tornare indietro. Non so se da

noi sia però possibile perseguire una strategia del piccolo è bello, nel tempo abbiamo fatto grossi

investimenti e oggi ci vogliono i flussi per sostenere questi investimenti. Le stesse aperture fuori

stagione devono comunque essere sostenute da flussi adeguati che ti consentono di coprire i costi di

gestione di queste grosse strutture. Per cui nei periodi di scarsa affluenza turistica tutti chiudono

ed è la morte civile. Bisognerebbe poi finire la ciclabile, non è un investimento eccessivo. Bisogne-

rebbe puntare maggiormente sull’arrampicata. Anche la geologia delle dolomiti la sfruttiamo poco,

culturalmente non sfruttiamo bene le nostre potenzialità”. Annalisa Zorzi Insegnante

“E’ vero che da noi c’è un turismo di massa, però è anche vero che negli ultimi anni c’è un turismo

sempre più acculturato, che chiede, che vuole conoscere. Il turista che viene in estate o in bassa

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stagione è molto diverso. E’ un turista attento. La crescita culturale sta diventando una delle moti-

vazioni delle vacanze, per cui sempre più i turisti chiedono, vogliono comprendere, vogliono cono-

scere, l’ambiente, il cibo, la storia. Questi turisti quando tornano da una passeggiata non guardano

la televisione, ma si siedono e vogliono parlare e tu, operatore o semplice abitante della valle, devi

fornirgli delle risposte, delle spiegazioni”. Sabrina Rasom responsabile progetti culturali del

comprensorio ladino Fassa

L’offerta culturale di una destinazione è diventata una variabile competitiva strategica, che pre-

suppone la capacità di coniugare arte e storia, e ambedue con le bellezze paesaggistiche e con tutte

le tipicità locali. Il marketing culturale è diventato un importante elemento di competizione tra lo-

calità turistiche ed emerge l’importanza di quelli che sono definiti, in senso lato, “eventi”, momenti

in grado di mixare sapientemente cultura e forme d’intrattenimento. Gli eventi, siano essi concerti,

mostre, festival, dibattiti culturali, manifestazioni sportive, o una contaminazione di tutte questi e-

lementi, riescono - seppure per un periodo limitato di tempo - a caratterizzare in maniera fortissima

una località. Riuscire a caratterizzare il proprio territorio per mezzo di alcuni grandi eventi sta di-

ventando sempre più importante. In un territorio, in cui le diverse località agiscono in un contesto di

collaborazione, riuscire a ospitare un evento dalla forte caratterizzazione potrebbe permettere di di-

ventare la località di successo della stagione.

“ Negli ultimi anni è cresciuto un grosso interesse alle forme d’offerta culturale. Bisognerebbe por-

tare in valle degli eventi culturali alti, non soltanto il coro alpino. Ci vorrebbe molta più regia in

valle e molto più coordinamento. Io ho visto che ogni comitato manifestazioni organizza il suo pro-

gramma, ma quando c’è da fare insieme c’è molta difficoltà. In ambito ecclesiale da due anni ab-

biamo organizzato una rassegna che si chiama Ispirazione d’estate, abbiamo organizzato dieci e-

venti di tipo culturale religioso, chiamando a parlare dei Cardinali. Quest’anno abbiamo fatto un

incontro sui cattolici e la politica con il Presidente Lorenzo Dellai e Padre Bartolomeo Sorge. La

cultura è oggi un importante fattore di richiamo, basta pensare a eventi come Cortina Incontra. Il

problema è che qui da noi tutto ciò che è cultura è lasciato al volontariato, ad eccezione

dell’Istituto culturale ladino. Tutto quello che è, ad esempio, la nostra cultura ladina dovrebbe es-

sere molto più evidenziato dalla nostra proposta turistica, è la nostra specificità che ci distingue

dalle altre destinazioni. Ci sono comunque dei progetti interessanti, come la passeggiata di Re

Laurino che è stata organizzata dalla zona del Gardeccia. Alcuni gestori dei rifugi si sono messi

assieme con l’Istituto culturale ladino per fare ogni settimana un’iniziativa che parte da Vigo, dal

museo, poi salgono con la funivia, fanno il sentiero delle leggende, dove c’è chi racconta le leggen-

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de, fondamentalmente ai ragazzi ma anche agli adulti, e poi arrivano a Gardeccia. E’ una sinergia

molto interessante. Queste sono le diversificazioni che dovremmo attuare, sul piano del turismo

culturale”. Cesare Bernard Presidente Consei General

“La nostra offerta culturale è molto carente, è indietro anche rispetto alle valli vicine, sia Fiemme,

sia Primiero, dove fanno delle stagioni musicali interessanti. Qui ci si accontenta di quello che ha

inventato brillantemente la Provincia con i Suoni delle Dolomiti, che è cosa buonissima, però tutto

sommato ci sarebbe una vasta fascia di potenzialità, dove poter presentare delle iniziative culturali,

degli eventi sia musicali, sia d’intrattenimento, per rendere vivibili e godibili questi luoghi. Abbia-

mo località stupende, dove poter organizzare eventi, come ad esempio la chiesa di Santa Giuliana

che è un posto d’incanto, per la musica sarebbe strepitoso: ci sono questi angeli musicanti sul sof-

fitto che sembra che suonino per te, c’è un affresco con un Padre Eterno con tre facce, che è visita-

ta da gente che viene apposta dalla Germania, perché è uno dei pochi casi sopravvissuti alla con-

troriforma. Al momento sono organizzate cose sporadiche, anche di pregio, che però a livello loca-

le non sono capite, non sono valorizzate. Due anni fa, ad esempio, è stato organizzato il Dolomiti

ski jazz. Credo che dopo Umbria Jazz, sia stata la seconda o la terza manifestazione in quanto a

prestigio. Sono venuti musicisti dal profilo nazionale e internazionale che si sono cimentati per uni-

re il jazz con le tematiche della cultura ladina, rivista in chiave critica, disincantata. E’ stato un

evento di una certa importanza, da cui la val Fassa si è poi tirata fuori, perché costava troppo.

Nell’offerta d’intrattenimento si è diffusa quest’abitudine di organizzare tutto dentro gli alberghi,

ma si tratta di roba a livello di karaoke. Questi alberghi diventano come i villaggi turistici da cui la

gente non esce, non dico per andare al concerto, ma neppure per bere una birra. Allora le piazze a

cosa servono?” Fabio Chiocchetti Direttore Istituto Cultura Ladina

La stessa economia della manutenzione diviene centrale per i territori che devono le potenzialità

del loro sviluppo al fatto di essere ecologicamente attrattivi. La capacità di produrre esperienze, par-

tendo dalle specificità locali, è un obiettivo che pone il territorio e la sua manutenzione al centro di

una sempre maggiore attenzione e che rimanda al ragionare su cosa significhi oggi l’agricoltura di

montagna e la dimensione ecologica del bene territorio. Recuperare gli elementi distintivi del terri-

torio significa anche valorizzare gli elementi caratteristici del paesaggio e sperimentare nuovi

modelli di turismo sostenibile. Su tali temi, le esperienze e il dibattito che si è sviluppato a livello

locale, riguardano in particolare due luoghi emblematici delle Dolomiti: la Marmolada e il Cati-

naccio. In entrambi gli ambiti è stato avviato un percorso si ripensamento critico sui modelli d’uso

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della montagna che vedono, ancora oggi, il contrapporsi delle esigenze di sviluppo degli impianti di

risalita e delle esigenze di tutela di eccellenze naturalistiche.

“Dal punto di vista del turismo naturalistico un esperimento importante sarebbe quello della Mar-

molada. Tra i luoghi da riqualificare, secondo me la Marmolada andrebbe rilanciata in maniera

alternativa. Sulla Marmolada c’è un progetto della Provincia con l’Università di Trento per un tu-

rismo di nicchia. La Marmolada è l’unica montagna che è conosciuta per il nome, non come Dolo-

miti, ma direttamente come Marmolada. E’ stata protagonista per la storia dell’alpinismo, della

prima guerra mondiale, per la geologia, per gli aspetti naturalistici è un ambiente unico. E per

questo la Marmolada dovrebbe essere il punto da cui ripartire per un ragionamento di turismo so-

stenibile”. Cesare Bernard Presidente Consei General

“La Marmolada è un contesto ambientale particolarmente delicato ed è un simbolo non opportu-

namente valorizzato. Su quest’area ci sono due strategie di sviluppo molto differenti. Io ritengo che

dovremmo garantire l’accesso ai piedi della Marmolada, ma da lì in poi l’approccio dovrebbe es-

sere di rispetto totale. Se vogliamo essere un po’ brutali, la montagna va vista a tre livelli, fino a

una certa quota deve poter arrivare chiunque, perché questo fa parte ormai del sistema turistico. Ai

piedi della montagna, o comunque sul passo devi permettere di fare avvicinare le persone nel mag-

gior numero possibile. Noi siamo particolarmente carenti su questo livello, perché l’unica modalità

d’accesso è attualmente l’auto. Poi c’è una mezza montagna che deve essere attrezzata perché pos-

sa essere usufruita dall’escursionista, da chi ha una media capacità, quindi puoi avere gli impianti

che esistono già, magari più leggeri. Poi c’è l’alta quota che deve essere libera, ci dovrebbe andare

solo chi ama veramente la montagna”. Francesco Cocciardi Albergatore Moena

“ La Cordanza del Ciadenac è stata un’importante esperienza di sviluppo dal basso che ha visto il

coinvolgimento di amministrazioni e operatori locali. Abbiamo fatto un percorso di partecipazione

simile a quello che il Comun General sta facendo per elaborare il piano territoriale. E’ stata elabo-

rata una strategia di sviluppo incentrata sulla manutenzione del patrimonio naturale e culturale

dell’area, sulla qualità dei servizi, su forme di turismo sostenibile, sul sostegno e l’inserimento di

nuove attività agricole. Ora questa esperienza coalizionale è ferma perché non c’è ancora stato un

suo riconoscimento istituzionale. L’ipotesi su cui stiamo lavorando con la Provincia è l’inserimento

dell’area nella rete delle riserve naturali, questo ci consentirebbe di portare avanti importanti pro-

gettualità. Al di la della forma giuridica che assumerà la Cordanza, il piano di sviluppo del Cati-

naccio dovrà poi essere integrato nei piani regolatori comunali di Vigo e di Pozza e nel Piano ter-

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ritoriale della Comunità. Nell’ultima riunione che abbiamo fatto con il dirigente della Provincia

che gestisce tutta la rete delle riserve e i parchi, ho detto che la Cordanza del Catinaccio, potrebbe

essere un modello di sviluppo partecipato valido anche per altre aree della val di Fassa. Penso alla

Marmolada e in particolare alla val San Nicolò che dal punto di vista delle bellezze e della geolo-

gia è in assoluto una delle valli più interessanti delle Dolomiti. Il problema è che, mentre nella

Cordanza del Catinaccio sono state coinvolte cinquanta persone, cioè le proprietà private, in val

San Nicolò gli operatori da coinvolgere saranno ottocento, con interessi molto diversi e contrastan-

ti. Per la Marmolada, la Provincia ha già fatto degli studi di progetto che hanno il limite di essere

calati dall’alto. Più di una volta ho suggerito al sindaco di Canazei di partire dal basso, di chiama-

te tutti gli operatori interessati al Passo Fedaia per vedere quali sono le oggettive esigenze di svi-

luppo. Personalmente ritengo che sia impensabile fare un mega impianto da 40 milioni di euro che

arriva in cima a Punta Rocca per una situazione di massimo 250 posti letto al Fedaia. Non credo

sia necessario un investimento così sproporzionato. Ma questo succede perché gli operatori non

hanno mai parlato tra di loro, si sono riuniti e ognuno si è limitato a chiedere il massimo, senza

chiarire chi metteva i soldi”. Andrea Weiss Consigliere CgF

13. Per una maggiore integrazione (e diversificazione) dell’economia loca-

le

L’esigenza d’elaborare un’offerta turistica diversificata si scontra con l’eccessivo grado di specia-

lizzazione dell’economia locale. Commercio, agricoltura, artigianato, per debolezze intrinseche o

per le caratteristiche del modello d’offerta turistica dominante (in quest’ambito le motivazioni forni-

te dagli attori intervistati divergono), difficilmente riescono a svolgere un ruolo complementare e

d’integrazione dell’offerta turistica. Secondo diversi attori intervistati, un’azione prioritaria dovreb-

be essere quella di promuovere una diversificazione dell’economia locale migliorando

l’integrazione tra il turismo e gli altri settori economici presenti in Valle.

“Un problema che in val di Fassa non è ancora stato affrontato è l’integrazione delle risorse che ci

sono sul territorio. Abbiamo investito in impianti, in infrastrutture, in alberghi, ma non abbiamo

investito nel mettere in rete i vari operatori del territorio: il contadino che gestisce il territorio, in-

teso come bene comune, l’artigiano che fa manutenzione. Abbiamo un’agricoltura che è povera, ma

è di grandissima qualità e sicuramente non è ancora opportunamente integrata nella valle. Ognuno

va per conto suo. Non riusciamo a offrire il territorio per quello che è, questo vale per

l’agricoltura, per l’artigianato, per la cultura, per l’arte, per tutte quelle cose che rimangono

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107

nell’emozione del turista. Una maggiore integrazione dell’economia locale è secondo me uno degli

obiettivi prioritari che dobbiamo porci”. Luciano Braito Direttore Cassa Rurale

Il circuito d’offerta turistica, in particolare nella sua versione invernale (che è quella detta l’assetto

organizzativo della località), si concentra nella ricettività, nell’attività sciistica, nella ristorazione e

in attività complementari (divertimento, wellness, ecc.) spesso svolte nell’ambito degli stessi alber-

ghi. Al di fuori del circuito alberghiero s’individua una carenza d’offerta territoriale che alcuni

attori attribuiscono a una specifica volontà di concentrazione dell’offerta – e quindi del business –

da parte degli albergatori e altri attori imputano a una carenza d’imprenditorialità nei settori com-

plementari.

“Sostenere che gli albergatori vogliono tenere i turisti dentro l’albergo è una critica miope. E’

chiaro che le cose nascono lì dove mancano. Se in una località ci fossero dei servizi di qualità, se ci

fosse il piacere degli ospiti a frequentarli, a quel punto chi ha un albergo non ha più nessun inte-

resse a dare quei servizi d’intrattenimento che l’ospite può trovare in paese. Ma quando l’ospite

questi servizi non li trova, si crea una sorta di compensazione che all’albergatore costa.

L’albergatore, non si diverte a farlo, anche se spesso si deve adeguare a un modello d’offerta do-

minante, in Alto Adige, vediamo strutture di un certo livello che garantiscono all’ospite una serie di

servizi. E’ il sistema turismo che adesso lo richiede, che poi ci siano degli eccessi è normale”.

Francesco Cocciardi Albergatore Moena

In particolare il commercio è accusato di non essere in grado di rivitalizzare i centri storici e di non

sapere intercettare i gusti del turismo affluente, sia per quanto riguarda l’offerta di prodotti locali,

(particolarmente apprezzati dalla clientela italiana), sia per quanto riguarda l’offerta dei marchi af-

fermati del Made in Italy, (particolarmente apprezzati dai turisti dell’Est).

“Nella nostra offerta commerciale non c’è fantasia, vendono tutti le stesse cose: attrezzature spor-

tive e scarponi. Ci mancano negozi di qualità, dove un turismo internazione con possibilità di spesa

potrebbe trovare i grandi marchi e le griffe del made in Italy. Io soffro quando vedo i clienti russi

che con i pullman me li portano a Milano o Venezia a far spese e tornano con borsoni di acquisti.

E’ tutta ricchezza che se ne va dalla Valle”. Celestino Lasagna Presidente Associazione Alberga-

tori della val di Fassa

Ancora deboli sono anche le integrazioni tra il settore primario e il settore turistico. Ciò è chia-

ramente da imputare alle debolezze intrinseche dell’agricoltura in Valle. Ma anche estendendo il

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108

bacino d’approvvigionamento a livello provinciale, gran parte dell’economia turistica locale - per

questioni di costo e di disponibilità di prodotti - predilige i canali di approvvigionamento Ho.re.ca.

(Hotel, Restaurant, Catering) a scapito della tipicità dell’offerta gastronomica trentina.

“Noi albergatori ci sforziamo, anche perché i prodotti trentini comportano una spesa più alta. Se io

vado a comprare i formaggi del Veneto spendo di meno. Comunque noi albergatori ci stiamo impe-

gnando per valorizzare le nostre tipicità locali e trentine. Attualmente siamo quaranta alberghi i-

scritti alla strada del formaggio della Valle di Fassa, ci siamo imposti un regolamento per cui sui

nostri vassoi ci sono almeno tre o quattro formaggi locali. Però nessuno ci viene incontro, la logica

è gli albergatori hanno i soldi e quindi li facciamo spendere, senza nessuna logica promozionale o

commerciale. Non capiscono che anche noi abbiamo dei problemi a far quadrare i conti. Se poi le

vai a vedere nei negozi trova miele del Veneto e carni della Lombardia. L’agricoltura è un settore

da rivitalizzare. Io sarei anche disponibile a riportare le vacche nei paesi, per questo tipo di di-

scorso siamo assolutamente aperti. Mi piacerebbe ad esempio vedere i distributori di latte fresco

nei paesi. Ci sono ottimi agricoltori che hanno fatto bellissimi agriturismi. Non è vero che gli agri-

turismi sono in concorrenza con gli alberghi, anzi per certi versi sono complementari. Le malghe

potrebbero essere una importante risorsa turistica”. Celestino Lasagna Presidente Associazione

Albergatori della val di Fassa

“Se la competizione si gioca al ribasso sul prezzo, devi andare necessariamente a comprare il pro-

dotto che costa meno, sei costretto in questa spirale. In Valle abbiamo comunque albergatori che

non solo comprano il formaggio locale che costa di più, ma fanno anche degustazioni, valorizzano

questa scelta a favore della qualità e dell’ospitalità. Quando mi confronto con gli albergatori, gli

dico che devono dire al turista che il prezzo che chiedono è dovuto alla qualità offerta, perché vo-

gliono far star bene l’ospite, mettergli nel piatto cose buone. C’è comunque una sperequazione tra i

numeri e i prodotti, come in tutto il Trentino, però qua è particolarmente evidente. Negli alberghi

non c’è il latte di produzione locale perché sarebbe ridicolo l’apporto di latte fresco rispetto ai

consumi. Il latte raccolto da noi va tutto al caseificio. Il latte fresco che compriamo in val di Fassa

è il latte Mila. Mi sembra anche un po’ forzato questo discorso dei prodotti trentini perché se an-

diamo a vedere l’offerta di prodotti in tutto il Trentino, se veramente si riuscisse a organizzare

un’ospitalità che preveda anche un utilizzo massiccio di prodotti trentini, saremmo in difficoltà,

perché non ne avremmo a sufficienza”. Andrea Weiss Consigliere CdF

Page 109: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

109

“Negli alberghi la ristorazione è migliorata molto, sono rimasti in pochi quelli che ti fanno le fet-

tuccine con i pomodori, si comincia a proporre i prodotti tipici trentini, il problema è che questi

prodotti non li trovi, devi andarteli a cercare. Non c’è uno dei nostri caseifici che passa negli al-

berghi a proporti i loro prodotti. Gli albergatori ormai sono abituati bene, con i fornitori che gli

portano le cose in albergo. Adesso uno dei caseifici ha fatto l’accordo con la FassaCoop. Gli stessi

prodotti trentini, fai fatica a trovarli, mentre i prodotti altoatesini hanno una rete di distribuzione

fantastica. Siamo più vicini a Bolzano che non a Trento e per gli altoatesini la val di Fassa è un

mercato molto appetibile. Il latte è quello della Mila, hanno una forte rete distributiva, quelli di

Latte Trento non li vedi. Il paradosso sono le mele che vengono dalla Spagna. Va un po’ meglio

con i vini trentini. D’altronde se gli alberghi sono costretti a fare certi prezzi non possono compra-

re cose che costano”. Stefano Weiss giovani albergatori Vicepresidente APT

“I prodotti locali interessano prevalente i turisti italiani e tedeschi, ai polacchi e ai russi non inte-

ressano. I turisti polacchi e russi funzionano sulla quantità perché gli piace mangiare e special-

mente bere, ma non sono molto attenti alla qualità. Vanno alla Fassa Coop e si comprano litri di

wodka, ma non comprano certo un pezzo di speck. Gli stessi spacci del caseificio lavorano preva-

lente in estate con i turisti italiani e tedeschi, in inverno lavorano poco. Avevo provato a mettere il

distributore di latte fresco a Fassa Coop, era stato molto apprezzato dai turisti, in luglio e agosto

arrivavo a vendere anche 100 litri al giorno, ma fuori stagione se vendevo 20 litri al giorno andava

bene, quindi non era sostenibile sul piano economico. Io produco anche miele e vedo un crescente

interesse degli alberghi per il mio prodotto locale. Ho iniziato una collaborazione con Fassa Coop

che fa per il mio miele delle etichette particolari, con saluti dall’albergo tal dei tali. Queste cose

sono apprezzate dai turisti”. Filippo Rasom giovane allevatore e apicoltore

13.1 Zootecnia e gestione del territorio

L’agricoltura è stata considerata per decenni il retaggio di un’economia di sussistenza che non po-

teva certo convivere con la modernità dell’emergente economia turistica. La domanda di aree edifi-

cabili ha portato alla contrazione dei terreni destinati all’agricoltura e a una rapida conversione delle

attività agricole in attività turistiche. Ancora oggi, la convivenza tra turismo e piccola attività

zootecnica presenta aspetti problematici. Le stalle vicino ai paesi e l’odore del letame distribuito

sui prati sono considerate incompatibili con un’offerta turistica di qualità.

“In realtà non è solo un problema di cattivi odori o d’ipotetico disturbo per i turisti, c’è anche una

questione d’interessi. Quando come Amministrazione cerchiamo di favorire l’insediamento di

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110

un’azienda agricola, ci troviamo spesso di fronte all’opposizione dei confinanti, perché chiaramen-

te l’azienda agricola va a condizionare il circostante. Chi ha terreni, che magari sono ancora agri-

coli, spera sempre che un domani possano diventare edificabili, quindi si preferisce non avere

l’azienda agricola intorno”. Roberto Pellegrini Sindaco di Soraga e Assessore CdF

E’ comunque nell’agricoltura, più che in altri settori, che cominciano a intravedersi i segnali

di una possibile diversificazione e maggiore integrazione dell’economia locale. A partire dal

2000 si rilevano nuovi investimenti da parte di giovani agricoltori. Aumenta la consapevolezza del

ruolo svolto dell’agricoltura nella valorizzazione dei prodotti locali. Crescono le interdipendenze tra

produzione primaria e offerta gastronomica di alta qualità. E’ ormai riconosciuto il ruolo che

l’agricoltura svolge nella manutenzione del territorio. Crescono le iniziative che portano il turista a

contatto con la natura e con l’agricoltura di montagna.

Il ricambio generazionale nel settore agricolo – e specificamente zootecnico- è stato fortemente

sostenuto dall’Amministrazione provinciale, sia attraverso l’erogazione di finanziamenti, sia tramite

il sostegno fornito allo sviluppo di attività complementari (agriturismo, ecc.) in grado d’integrare

significativamente il reddito d’impresa. In gran parte si tratta di giovani che recuperano tradizioni

famigliari, (in molte aziende c’è una convivenza generazionale), ma c’è stata anche qualche nuova

iniziativa imprenditoriale. Questo investimento di giovani nel settore: ha creato un nuovo clima im-

prenditoriale (gran parte di loro è diplomato all’istituto di San Michele); ha contribuito a rinnovare

l’immagine e il ruolo sociale dell’allevatore, (non più considerata una professione residuale e poco

attrattiva, come accadeva nel recente passato); ha contribuito a invertire il processo di progressivo

abbandono della zootecnia di montagna. La microimpresa agricola è oggi coinvolta in un processo

di modernizzazione che porta progressivamente l’agricoltura di montagna ad affrancarsi da

un’immagine di comparto marginale, dall’osservazione territoriale di quanto accade nel mondo del-

le microimprese agricole, se ne ricava un’immagine tutt’altro che statica o regressiva.

Le politiche finalizzate al rafforzamento delle reti dell’intraprendere non possono non riconoscere il

carattere multifunzionale svolto dall’attività agricola. Per la montagna si può fare politica di svi-

luppo solo integrando i diversi settori economici, riconoscendo il ruolo che l’agricoltura svolge nel-

la salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente rurale, promovendo le connessioni con il turismo,

l’integrazione con l’artigianato e il commercio. In questo contesto, particolare rilevanza assumono

le nuove funzioni dell’agricoltura, non più legate alle necessità di auto-approvvigionamento, ma alla

capacità di generare redditi nel complesso dell’economia e delle famiglie, nelle potenzialità specifi-

che del settore in termini di efficienza economica e nelle capacità di produzione di quei beni pubbli-

ci che sono sempre più richiesti.

Page 111: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

111

“Fino al 2000 in val di Fassa la zootecnia stava morendo, poi con le politiche dell’Unione Europe-

a, con i contributi per gli sfalci, con i compensativi, c’è stata una ripresa, con nuovi investimenti, le

stalle nuove e, ultimamente, anche il caseificio. Quindi, a partire dal 2000 ci siamo attivati nella

ristrutturazione di tutto il settore zootecnico della val di Fassa, ora bisogna fare un passo da gigan-

te per recuperare il tempo perso. Tutti gli investimenti fatti, e quelli in corso, sono in mano a dei

giovani, questo vuol dire avere il territorio curato per i prossimi trenta o quarant’anni. Oggi l’80%

del latte del caseificio è prodotto da aziende agricole di giovani. Sono 38 aziende con circa mille

capi da latte, poi c’è un’azienda agricola appena costruita, Malga Luc, è l’unica che fa carne che

usano per il loro agriturismo. Si ricominciano a vedere le malghe attive, le mucche al pascolo, i

prati ben falciati, e questo garantisce un’immagine del territorio curato, che porta il turismo e in-

dotto. Le nostre aziende sono tutte dimensionate su 40-45 uba però su 35 ettari di terreno, non co-

me in certe parti, dove succede che alcuni hanno 30 ettari e 200 vacche. Questo consente d’avere

un ottimo rapporto tra zootecnia e territorio”. Elio Brunel allevatore

“Io stesso ho cominciato da zero, ho fatto San Michele, poi ho lavorato al caseificio, nel 2006 ho

cominciato a fare progetti e nel 2008 ho aperto la stalla. Mio papa che lavorava sugli impianti, a-

veva dei terreni di mio nonno, è quindi saltata una generazione. Da li ho cominciato. Oggi ho una

stalla con una trentina di vacche da latte, più la rimonta e ho anche un’apicoltura con un’ottantina

di arnie. Quello di cui abbiamo bisogno in val di Fassa è una maggiore coesione tra settori econo-

mici. Se non c’è il turismo tutto si ferma, però è anche vero che il turismo ha bisogno

dell’artigianato e dell’agricoltura per fare manutenzione di tutto il sistema. Fino a poco tempo fa

l’agricoltura in val di Fassa non era molto considerata, era il retaggio di una vecchia economia,

assolutamente marginale, una cosa che allo sviluppo turistico non serviva, anzi in alcuni casi era

un impaccio allo sviluppo turistico, per la disponibilità di terreni, per lo smaltimento dei liquami,

gli odori. La gente del posto non è più abituata alla presenza dell’attività zootecnica, molti si la-

mentano dell’odore del letame. Lo smaltimento dei liquami, chi ha le vasche e riesce a passare

l’inverno lo fa due volte all’anno sui prati: in aprile e in ottobre. Ultimamente lo portiamo sulle pi-

ste da sci per l’inerbimento. Ci vorrebbero regole di convivenza. In Alto Adige in tutte le località la

zootecnia convive benissimo con il turismo. Anzi, la zootecnia fa parte del paesaggio e

dell’attrattività turistica di una località. L’APT organizza visite nella mia azienda con un accom-

pagnare di territorio che porta dei turisti: per i bambini vedere i vitelli e le vacche è una cosa bel-

lissima. Oggi, in val di Fassa le cose stanno cambiando, hanno capito che è l’agricoltura che fa

manutenzione del territorio. Si sono resi conto che non basta più offrire chilometri di piste, mega

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112

alberghi e posti letto, ma ci vuole un paesaggio e un ambiente attrattivo. Hanno sempre più impor-

tanza i prodotti locali, che differenziano la tua offerta da quelle di altre località turistiche. Fino al

2000 sembrava che l’agricoltura dovesse sparire dalla val di Fassa, oggi si è rimessa in moto, gra-

zie alla presenza di giovani e anche grazie agli incentivi della Provincia”. Filippo Rasom giovane

allevatore e apicoltore

“La val di Fassa è il territorio trentino in cui ci sono gli allevatori più giovani. Abbiamo 38 aziende

e 1050 capi. Negli ultimi anni il settore è cresciuto tanto. Sicuramente c’è ancora spazio per nuove

attività zootecniche, anche perché gli allevatori sono i primi custodi del territorio. Sarebbe impor-

tante recuperare tante aree al pascolo, che oggi sono fatte di bosco Si è persa l’usanza di tenere

una linea del bosco. Il bosco è ormai ai margini dei paesi, se noi andiamo a vedere delle fotografie

d’inizio 900, il bosco arrivava a mezza costa. Tenere una linea del bosco ti da un’immagine subito

diversa del paese, perché ti da aria, ti da respiro, un impatto esteticamente migliore rispetto a quel-

lo che si vede oggi. Già la val di Fassa è stretta, se lasci crescere il bosco fino agli argini

dell’Avisio non ti resta più niente. Questo ti consentirebbe anche di recuperare spazio per la fiena-

gione. Dire poi che le mucche in paese danno fastidio ai turisti è una stupidaggine colossale. Se-

condo me ogni albergatore, ogni affittacamere, dovrebbe comprare una mucca da regalare a un al-

levatore, tutti dovrebbero capire l’importanza di questo settore. Se tu arrivi a Corvara da Campo-

longo, la prima cosa che vedi sono le mucche al pascolo e questo ti da subito la sensazione di arri-

vare in un paese alpino. Se tu vai in Svizzera, è normale che le mucche siano in paese, invece da

noi d’estate dobbiamo nascondere le mucche a Ciampac o in val Giumella”. Silvano Ploner gior-

nalista

La quasi totalità delle aziende zootecniche è orientata verso la produzione di latte e il principale

introito deriva dalla vendita del latte vaccino. Il latte prodotto (compreso quello munto in periodo di

alpeggio) è conferita ai locali caseifici che producono formaggi freschi e stagionati. Questa specia-

lizzazione zootecnica dell’agricoltura locale è dovuta al fatto che gran parte del territorio giace tra i

1000 e i 2000 m. s.l.m., le colture praticabili sono quasi unicamente rappresentate dai prati e dai

pascoli e quindi l’allevamento del bestiame rappresenta la principale forma di sfruttamento econo-

mico razionale del territorio.

Il fondovalle, lasciato libero dalle edificazioni, presenta terreni fertili con superfici a prato, utiliz-

zate per produrre le scorte invernali di fieno dalle aziende zootecniche. Nelle superfici foraggere di

fondovalle il numero di tagli l’anno varia da uno a tre (in qualche caso, quattro), secondo

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113

l’andamento climatico e la tipologia di prato, così come molto variabile è la produttività in termini

qualitativi.

Risalendo di quota il pascolamento si estende all’interno di aree prevalentemente forestali in cui la

copertura erbacea e arborea possono essere compresenti in proporzioni diverse; i pascoli con sola

copertura erbacea tipicamente si localizzano alle quote maggiori. Tali pascoli di mezza montagna

sono quelli più soggetti a inselvatichimento e necessitano di azioni di manutenzione e di bonifica da

parte delle aziende zootecniche.

Alle quote maggiori si collocano gli alpeggi che potrebbero svolgere un ruolo maggiore nel sistema

economico e ambientale dell’area. Dal punto di vista ambientale i pascoli d’alpe sono degli ecosi-

stemi stabilizzati per l’instaurarsi di un equilibrio tra risorse naturali e presenza degli animali

d’allevamento nella stagione vegetativa, garantendo una serie di funzioni ambientali quali: la regi-

mazione delle acque, il contenimento dei rischi d’incendio e di valanghe e la salvaguardia della bio-

diversità. Con particolare riferimento alla biodiversità, la gestione a basso impatto dei terreni con-

tribuisce all’equilibrio, nel rapporto uomo-ambiente, in grado di garantire condizioni favorevoli alle

specie animali e vegetali tipiche della montagna alpina. Il pascolamento esplica, infatti, effetti favo-

revoli sia sulla fauna selvatica, che si avvantaggia della disponibilità di foraggio e dell’azione di

contenimento delle essenze arbustive, sia sulla flora attraverso l’attività di selezione tra le diverse

specie vegetali e la limitazione della flora invadente: rododendri, calluna e mirtilli. I rischi di de-

gradazione indotti dal pascolamento sono invece d’intensità leggera, anche se talora su porzioni di

superfici considerevoli. Soprattutto nelle aree pascolate a maggior pendenza, il sentieramento è evi-

dente ma in genere non è così intenso da alterare la produzione di biomassa in modo importante.

Sono invece presenti aree sottoutilizzate evidenziate dalla comparsa di copertura arbustiva che de-

notano una contrazione dei carichi di bestiame.

Nel corso dei primi anni ’90 si era evidenziata una significativa tendenza all’abbandono della prati-

ca dell’alpeggio, elemento tradizionalmente distintivo della zootecnia montana, che ha determinato

la dismissione di alcune malghe e la comparsa di segnali di compromissione dell’ambiente e del pa-

esaggio causati dall’incuria. Per far fronte all’emergere di queste problematiche l’amministrazione

provinciale di Trento ha attivato una serie di misure (finanziate con i Fondi Strutturali dell’U.E. at-

traverso il PSR) finalizzate a invertire tale tendenza. Gli interventi messi in atto dalla pubblica am-

ministrazione, insieme alle nuove opportunità di reddito legate allo sviluppo dell’agriturismo e della

vendita diretta dei prodotti, sembrano aver sortito l’effetto desiderato; nell’ultimo decennio il nume-

ro di capi monticati è in continua crescita. Le aziende locali hanno, infatti, nella monticazione estiva

uno dei fattori strategici di redditività.

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La razione invernale con cui sono alimentati gli animali è costituita sostanzialmente da fieno e da

mangimi, mentre nel periodo primaverile ed estivo il fieno è sostituito da erba verde (falciata o pa-

scolata). Generalmente gli animali sono lasciati pascolare, dopo aver fatto il primo taglio sui prati-

pascoli contigui al centro aziendale, prima del trasferimento in alpeggio e al ritorno dalle malghe

sulle stesse superfici se il ricaccio dopo l’ultimo taglio è sufficiente. Il pascolamento sulle superfici

foraggere aziendali, nel periodo post-alpeggio, consente sia il rinettamento del cotico prima del ri-

poso invernale che la concimazione attraverso la dispersione delle deiezioni. La fertilizzazione delle

foraggere è effettuata esclusivamente con l’impiego di concimi organici anche perché i costi per

l’acquisto non sarebbero compensati dall’aumento di produttività. Alcune aziende, considerata

l’esiguità delle superfici foraggere facilmente accessibili, non raggiungono l’autosufficienza ali-

mentare e acquista all’esterno una quota di foraggi (sostanzialmente fieno). Non manca chi, tra gli

intervistati, ha fatto notare come a causa dell’aumento del prezzo del fieno, negli ultimi due o tre

anni le aziende hanno ricominciato a usare con maggiore intensità i pascoli di mezza montagna.

Sempre di provenienza extra-aziendale sono gli alimenti semplici (mais, fiocchi di cereali, ecc.) e i

mangimi utilizzati per integrare la razione sia invernale, sia estiva.

Nel periodo estivo (orientativamente dal 15 giugno al 15 settembre) gli animali sono monticati in

malghe di alta quota; la durata del periodo d’alpeggio è ovviamente variabile e dipende

dall’andamento climatico dell’annata. Complessivamente gli alpeggi sono caricati per 80-110 giorni

l’anno non solo con vacche da latte, ma anche con altre tipologie di bestiame (bovini da carne, e-

quini e ovi-caprini). L’attività in alpeggio trova importanti connessioni con l’attività turistica, in

primo luogo attraverso forme di ospitalità rurale fatte prevalentemente di ristorazione e vendita di

prodotti locali.

“Io ricordo che negli anni 90 la zootecnia era ormai ridotta al lumicino. Invece ora abbiamo il

nuovo caseificio, con allevatori tutti giovani. Quindi c’è stato un ritorno, tra l’altro mi sembra che

buona parte di questi giovani non vengano neanche da famiglie di zootecnici. A me questo rende

orgoglioso. Mi ha reso veramente felice, perché rimanere soli non è bello. Sembra che quest’anno

costruiscano una nuova stalla, qui sotto il campo sportivo di Vigo di Fassa, con progetto approva-

to, un’altra qui a Tamion di Fassa. Da quasi zero si sta recuperando. Pensa che per tagliare i cam-

pi delle zone piane qui, prima di Campitello, venivano dall’Alto Adige. Quindi i prati, anche non di

pendio, erano abbandonati. Adesso la gente del posto si sta riprendendo il territorio. Noi in totale

abbiamo 140 animali, nella nostra zona siamo una delle stalle più grosse stalle. Abbiamo i prati,

una parte a Moena, una parte lungo la valle di San Pellegrino, poi facciamo una ventina di ettari

nella zona del passo San Pellegrino, lì facciamo il 60-65% della produzione di fieno, il resto lo

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compriamo fuori in pianura, soprattutto la medica che da noi manca. L’alpeggio lo facciamo da i-

nizio giugno fino a settembre, a 2000 metri, nella malga del comune di Moena dove facciamo anche

agriturismo. Non abbiamo camere, facciamo solo ristorazione e vendita di prodotti tipici. I nostri

clienti sono per lo più italiani, vendiamo un po’ di formaggio del nostro caseificio, il latte possiamo

somministrarlo al bicchiere. La zootecnia nel nostro territorio deve essere legata al turismo, non

possiamo pensare di fare competizione con la zootecnia di pianura, dobbiamo fare un prodotto di

nicchia che sia remunerato bene. Dai nostri formaggi dobbiamo ricavare molto di più. Una vera

sinergia tra turismo e agricoltura purtroppo da noi deve ancora arrivare. Si lamentano quando

vedono spargere il liquame sui prati, ma quando invece vedono un giovane che taglia tutti i pendii

impervi, che falcia tutti i prati, nessuno dice che fa un lavoro eccezionale, recuperando tutti quei

prati che erano stati abbandonati per anni”. Luigi De Francesco Allevatore.

“Le stalle grosse fanno un po’ di pascolo in fondovalle, da fine maggio a metà giugno, poi vanno in

montagna fino al 20 settembre, quando ritornano dall’alpeggio le manze e le vitelle si lasciano in

qualche prato fino ai Santi. Io sono fortunato perché ho una stalla con 10-12 ettari di terreno, pa-

recchi in proprietà, alcuni in affitto, e allora quando gli animali ritornano dall’alpeggio stanno sui

prati di fondovalle. Non tutti possono farlo perché come si sa in Trentino le proprietà sono molto

frammentate e allora molti hanno una stalla con pochi metri attorno. Io ho tutto il fieno che mi ser-

ve, chiaramente per integrare la razione devo comprare un po’ d’erba medica, ma è normale. Nel

caseificio produciamo circa l’80% del formaggio con foraggio locale e questo è importante perché

esprime dei sapori particolari. Questo è un territorio sfruttato forse al 60%, abbiamo dei prati au-

toctoni di erbe, magari in alcune parti sono seminati e concimati, però sempre con il letame, non

c’è apporto di chimica. In val di Fassa la maggior parte delle malghe sono di proprietà dei comuni

o delle Asuc. Molte malghe sono già state ristrutturate. In totale ci saranno una ventina di malghe,

tutte monticate. Una parte sono le bestie della valle, poi vengono anche animali dall’Alto Adige, lo-

ro hanno poche malghe e quindi le prendono in affitto da noi. Comunque spazio ce n’è. Nel fondo-

valle le stalle sono distribuite abbastanza bene. Non è come a Predazzo o a Tonadico, dove sono

tutte concentrate. Sono i comuni con gli albergatori che non vogliono più le stalle nei paesi, allora

le nuove strutture sono realizzate ai bordi dei paesi, dove c’è ancora territorio e non danno fastidio

a nessuno. Adesso si sta vedendo di fare un biodigestore, in modo di produrre un po’ di energia. Il

Comun General e l’Istituto agrario di San Michele hanno trovato in Austria un sistema che utilizza

solo il letame. All’inizio l’idea era di utilizzare anche i rifiuti organici dagli alberghi, ma per la ve-

rità sono stato io a frenare su questo, dicendo: cosa spargiamo poi sui prati, le immondizie? An-

diamo a rovinare tutto. Il biodigestore è considerato un’opportunità economica e poi consente di

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116

abbattere un po’ gli odori che si sviluppano, specialmente in primavera. Ci vorrebbe una migliore

gestione dei terreni di fondovalle e mezza montagna. Se lei guarda in certi paesi come Soraga, c’è

un bel territorio, con un bel rapporto con i contadini, è molto ben curato. Ci sono altri territori che

soffrono, con i boschi che avanzano, bisognerebbe consentire ai contadini di fare pulizia, di rimet-

tere a posto il territorio. Ci vuole un progetto, che consenta di superare il problema della frammen-

tazione delle proprietà, la possibilità di prendere in affitto i terreni, almeno per dieci anni, con con-

tributi per poterli sistemare e tenere falciati. Questo problema però sembra non tanto capito dalla

politica”. Elio Brunel Allevatore

“Tornando indietro, a dieci anni fa, nell’agricoltura sembrava la disfatta, poi ci sono stati gli in-

centivi, i ragazzi sono andati alla scuola agraria di San Michele, adesso abbiamo aziende giovani,

con tecnologie nuove, il caseificio. Questa è stata una volontà di non so chi, ci saranno state anche

agevolazioni, comunque è stato un ricambio generazionale completamente innovativo nell’arco di

dieci anni. Questi sono segnali positivi che vanno coordinati e su cui bisogna continuare a investi-

re. Ci vuole una politica di gestione del territorio, bisogna ripristinare i pascoli, da noi il bosco a-

vanza del 20% l’anno. Mettendo le bestie asciutte nel loro posto, le vacche da latte in malghe esi-

stenti, attualmente quasi tutte ristrutturate, la malga Giumella, la malga Monzoni, la malga Contri-

na, ecc. Io nel mio piccolo, sia per essere a capo di un impianto funiviario, sia come presidente di

usi civici di un paese che comprende tutta la zona del Catinaccio, Gardeccia, e la val Giumella,

presto grande attenzione nei confronti degli agricoltori. Facciamo portare il letame sulle piste da

sci per avere un riciclo delle sementi, per non avere un’erba artificiale ma sempre naturale. Stiamo

ripristinando una zona a Gardeccia, facciamo un cambio di coltura, è un progetto che gestiamo noi

proprietari Asuc, con un ragazzo che ha un’azienda agricola e la forestale che svolge un ruolo di

supporto tecnico”.Claudio Bernard imprenditore, presidente consorzio impianti

“Nel piccolo comune di Vigo abbiamo contato 230 orti. L’aspetto contadino deve avere sul territo-

rio una forte caratterizzazione. Ad esempio Gardeccia è riuscita a recuperare più cultura locale,

più identità da quando da due anni ci sono le vacche. Per quarant’anni non ci sono state né pecore

né mucche. Da due anni c’è questo contadino che chiede di poter pascolare le mucche e di potersi

fare un domani il suo agriturismo. Credo che dobbiamo spalancare queste strade”. Alfredo Weiss

Consigliere CdF

“Per questioni climatiche e d’altitudine la zootecnia è l’unica attività agricola sostenibile in val di

Fassa. Ci vogliono gli strumenti urbanistici per renderla più efficiente, coltivando i fondovalle. Ci

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117

vorrebbero più stalle, più piccole e più prati. Il piano urbanistico provinciale, con le aree agricole

di pregio un poco ci ha aiutato. La Forestale sta lavorando in questo senso. La linea è recuperare

più superfici prative possibili, che però vanno coltivate e non abbandonate ai noccioli. Abbiamo la

necessità di liberare i paesi dalle fasce boscate giovani che si sono formate di recente, ma qui il

problema è che queste aree sono quasi tutte private. Dobbiamo trovare strumenti urbanistici che

consentano alle Amministrazioni d’indurre i proprietari a intervenire dove è necessario, facendo

prativo. L’alleato migliore che possiamo avere è il contadino, che ha interesse ad avere superfici

foraggere, se però riusciamo a superare la logica del contadino industriale. La manutenzione del

bosco è un tema centrale. Noi abbiamo una struttura boschiva in continua mutazione, positiva. I

servizi forestali stanno rafforzando una struttura boschiva che abbiamo ereditato dall’Impero Au-

stroungarico che ci ha lasciato boschi deboli, magari belli, ma la natura non deve essere bella, de-

ve essere forte ed è forte più la si lascia evolvere autonomamente. I boschi vanno puliti dai rifiuti,

ma i residui naturali dei boschi non sono rifiuti, sono fertilità. Avendo boschi di conifere abbiamo

l’esigenza di far rimanere una buona parte della fertilità sul sedime. Anche in alta quota abbiamo

bisogno di un recupero intensivo dei pascoli. Qui c’è ancora qualche remora da parte della fore-

stale, sono ancora molto legati al vincolo idrogeologico del ’23, dove si sottolinea il ruolo che le

piante hanno nello stabilizzare il suolo, cosa giustissima, però oggi possiamo evolverci, non siamo

più nelle condizioni di rischio idrogeologico che sono state alla base dell’alluvione del ’66, il bosco

oggi si è evoluto ed è in grado di garantire la stabilità dei suoli. Oggi è necessario superare la con-

cezione del vincolo idrogeologico, lo manteniamo nelle aree che presentano situazioni di rischio,

però i pascoli d’alta quota vanno recuperati. E’ necessario non solo per le mucche che devono pa-

scolare, ma anche per la fauna selvatica: il capriolo, il gallo forcello, la pernice, ha bisogno di

spazi aperti. Gli stessi agricoltori dovrebbero estirpare le piantine che invadono il pascolo, ma

spesso non lo fanno. Attualmente c’è un uso dell’alpeggio anche con animali importati, in partico-

lare dalla provincia di Bolzano, una volta venivano anche i padovani, ma oggi si dirigono più verso

il Brenta e la zona del Chiese. Poi abbiamo bisogno di pascoli per cavalli, perché disturbano le

mucche, hanno esigenze di pascolamento diverse. Dobbiamo avere aree per le capre, per le manze

e per i cavalli, anche per evitare conflitti tra contadini. L’allevamento dei cavalli si sta diffondendo

molto, un po’ perché hanno i contributi per lo sfalcio, ma direi più per passione. Chi mette in piedi

un agriturismo, solitamente prende dei cavalli. La cosa si è sviluppata in val di Fiemme ma ora sta

prendendo piede anche in val di Fassa: a Vigo c’è una bella colonia di cavalli, a Soraga stanno av-

viando un agriturismo con dei cavalli. L’attività di trasformazione del latte di capra è ancora debo-

le, ma si sta riprendendo con una certa forza, anche qui ci sono dei giovani allevatori. In Fassa ci

sono circa 180 capre, mentre in Fiemme sono già 1.500. Sono piccoli contadini che tengono gruppi

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118

di dieci capre, fanno qualche capretto da carne, e poi il latte che portano al caseificio. Per me il

formaggio di capra di Campitello è più buono di quello di Cavalese, ma diciamo che è una questio-

ne di gusto personale”. Luigi Casanova Cipra

Nonostante, in val di Fassa vi sia una relativa scarsità di animali e una disponibilità teorica di pasco-

li, fattori quali la concentrazione delle stalle nei terreni di fondovalle, le difficoltà di accesso alle a-

ree foraggere economicamente sfruttabili e i problemi relativi allo smaltimento dei liquami zootec-

nici, evidenziano come - al di là del teorico equilibrio UBA/Ha – vi sia la necessità di una più ra-

zionale valorizzazione delle risorse foraggere della valle, perseguendo una più razionale di-

stribuzione dell’attività zootecnica sul territorio e incentivando le azioni di bonifica realizzate

dalle imprese in aree in cui sia possibile lo sfalcio meccanizzato.

“ Qua in val di Fassa potremmo puntare a una maggiore autosufficienza foraggera, ci sono tanti

territori che non sono utilizzati e andrebbero bonificati. Sotto Vigo ci sono dei prati impaludati su

cui basterebbe fare una semplice bonifica. L’alimentazione delle mie vacche la faccio con il forag-

gio dei miei prati, però non sono sufficienti, quindi importo erba medica da Verona. Abbiamo gli

alpeggi dove vanno le vacche in asciutta, le manze e le vitelle, poi ci sono alpeggi anche per le vac-

che da latte. Certi comuni hanno malghe belle con il pascolo ben tenuto. Qua a Vigo abbiamo

qualche problema sul pascolo che non è molto sicuro, è frammentato. Sul recupero del bosco, biso-

gna discutere con la forestale. Se un prato supera una certa percentuale di copertura, è immedia-

tamente classificato come bosco. In Trentino che comanda è la Forestale: sono loro che decidono

non i Sindaci. I pascoli sono di proprietà comunale e sono gestite dalla Società Malghe e Pascoli di

Vigo. La società è fatta dai contadini di Vigo. Su tutte e due le malghe abbiamo degli agriturismi, a

Costalunga e al Vaiel, con le stalle. Le strutture sono buone. Le attività agricole andrebbero mag-

giormente promosse, ma sull’insediamento di nuove aziende non c’è una linea chiara da parte delle

stesse Amministrazioni. Ogni comune ha il suo criterio: a Vigo per costruire una stalla c’è il lotto

minimo di 1500 mq di terreno disponibile, a Pozza di 15.000 mq. Vai da un’esagerazione all’altra.

In certi comuni lasciano che il contadino iscritto in seconda possa costruire, in altri comuni questo

non è possibile. In val di Fassa ci sono giovani che vorrebbero fare una stalla, ma non puoi certo

chiedergli di acquistare 15.000 mq di terreno. In fondo sarebbe anche abbastanza semplice, baste-

rebbe individuare aree agricole sui piani regolatori, non occorrono grandi estensioni, bisogna poi

far costruire vasche dei liquami, grandi abbastanza da passare l’inverno e l’estate e distribuire il

letame sui prati fuori stagione”. Filippo Rasom giovane allevatore e apicoltore

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13.2 Artigianato

A fine 2011 in val di Fassa erano attive 303 Imprese Artigiane (dati Albo) con una contrazione del

5% rispetto al dato 2008, preso a riferimento come anno in cui, anche a livello provinciale, si sono

registrati i primi segnali della crisi economica. Si tratta chiaramente di microimprese, con un nume-

ro medio di quasi tre addetti per impresa. A fine 2011 sono 899 gli addetti che operano

nell’artigianato fassano. Le maggiori concentrazioni d’imprese artigiane si rilevano dei comuni di

Pozza di Fassa e Moena.

Figura 4 Distribuzione territoriale delle imprese artigiane

Fonte: Rapporto 2011 sull’andamento dell’artigianato provinciale – Associazioni artigiani e piccole imprese della provincia di Trento

Come già riportato nel capitolo introduttivo, il 28,7 % delle imprese artigiane (87 su 303) del Co-

mun General de Fascia opera direttamente nel settore dell’edilizia. Allo stesso settore di attività so-

no riconducibili anche le imprese operanti nel settore dell’impiantistica (idraulici, elettricisti, ecc.) e

del legno. Questi sono, dopo quello edile, i due settori maggiormente rappresentati nel Comun Ge-

neral, rispettivamente con il 16,8 % e il 15,2 % del totale delle imprese artigiane. È quindi possibile

affermare che circa il 60 % delle imprese artigiane del Comun General de Fascia opera, più o meno

direttamente, nel settore dell’attività edilizia.

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Tabella 2: Imprese artigiane in val di Fassa

Fonte: Rapporto 2011 sull’andamento dell’artigianato provinciale – Associazioni artigiani e piccole imprese della provincia di Trento

Uno degli elementi di debolezza del comparto artigianale fassano è senz’altro la perifericità della

valle, che non consente significativi sbocchi al di fuori di un mercato prettamente locale, a cui si

aggiungono problematiche relative alla disponibilità di aree. E’ a fronte in tale contesto che si sono

sviluppate forti integrazioni con la vicina val di Fiemme, sia per quanto riguarda la localizzazione

d’imprese, sia per quanto riguarda la fornitura di servizi.

“E’ difficile immaginare una diversificazione della nostra economia nel settore manifatturiero. Tut-

te le attività artigianali hanno grosse difficoltà, anche perché siamo in fondo a una valle, le impre-

se non riescono a cercarsi mercati alternativi, per cui sono costrette a vivere di quel po’ di mercato

che gli dà la valle, e in particolare che gli dà il turismo. La val di Fiemme, che ha realtà imprendi-

toriali come Felicetti, Eurostandard, è già più vicina all’autostrada, da noi non potrebbero nascere

simili aziende. C’è qualche ditta un po’ grossa a Moena, ma salendo la valle è già difficile fare sta-

re in piedi una ditta da idraulico o elettricista”. Fiorenzo Peratoner SIC

“La val di Fassa e la val di Fiemme sono due realtà distanti solo venti chilometri ma se vai in val

di Fiemme, vedi che c’è un’economia molto più diversificata e integrata della nostra. Ci sono sette

o otto aziende di una certa dimensione, che esportano: la Sportiva, Eurostandard, Felicetti. Nono-

stante i costi che hanno per problemi di logistica, riescono a lavorare con l’esterno e mantengono

il legame con il loro territorio. La val di Fiemme è una realtà vicinissima alla nostra ma comple-

tamente diversa, perché loro vivono anche di turismo, mentre noi viviamo solo di turismo”. Clau-

dio Bernard imprenditore, presidente consorzio impianti

“Le imprese edili da noi sono piccole imprese artigiane. Molte vengono anche da fuori,in partico-

lare dalla valle di Fiemme. La mattina presto vedi le code dei furgoni degli artigiani che comincia-

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121

no a Predazzo e salgono in Valle, fanno manutenzioni, arredi, impianti”. Mariano Cloch Sindaco

Canazei Vice Procurador CgF

“Un’impresa artigiana in val di Fassa ha una serie di gap competitivi. Primo la logistica, il territo-

rio va preservato a scopi turistici, quindi hai difficoltà in termini di costi già per acquisire dei ter-

reni dove svolgere la tua attività. Gli stessi metri quadri di laboratorio ti costano tre volte tanto che

in altri territori. Ci sono i piani urbanistici che, giustamente, ti danno delle indicazioni di qualità

dell’edificato, per cui per lavorare non devi farti un capannone ma una casa. Rispetto ad un mio

concorrente della Valsugana ho un gap concorrenziale in termini di costi, estremamente difficolto-

so da colmare. In secondo luogo c’è la stagionalità. A differenza di altre zone, noi dobbiamo neces-

sariamente ragionare in termini di stagionalità, alla rovescia rispetto a quella turistica, quindi con

maggiori costi. Terzo il personale, quando hai i due terzi della popolazione impiegata nel settore

turistico, te ne rimane solo un terzo da cui attingere per il resto”. Francesco Dellantonio, artigia-

no e amministratore del Comune di Soraga

“Si fa fatica a ospitare attività artigianali di una certa dimensione, per un problema di disponibili-

tà di suolo. E’ per questo che le nostre imprese più importanti si portano verso la val di Fiemme:

Rasom, che è un’impresa della val di Fassa, ha dovuto spostarsi verso Fiemme per avere la logisti-

ca giusta e una centralità che gli consentisse di lavorare su tutta la provincia. Sembra che adesso a

Pozza si possa partire con un’area artigianale dove mettere dentro 10-12 artigiani, per cui andia-

mo a soddisfare abbastanza bene la richiesta che c’è attualmente in valle. A Vigo sembrava doves-

se partire un’area, però non si è riusciti a trovare il numero di artigiani sufficiente. E’ un periodo

in cui non tutti hanno il coraggio di fare certi tipi d’investimento”. Massimo De Bertol Presidente

Associazioni Artigiani della val di Fassa

Se la perifericità della Valle e le carenze logistiche possono spiegare la scarsa presenza di attività

manifatturiere, difficilmente tali dati possono giustificare la carenza di attività di servizio. Trovan-

doci in un comprensorio turistico appaiono inspiegabilmente contenute le attività artigianali in quei

settori che possono svolgere un importante ruolo di supporto all’economia turistica come ad esem-

pio: il settore alimentare (14 imprese), quello del benessere (28 imprese) e quello dei trasporti (18

imprese). Tali dati sottolineano, ancora una volta, la scarsa integrazione del tessuto economico loca-

le ed evidenziamo come l’artigianato, assieme ad altri comparti economici, rappresenti un settore di

risulta in un contesto tradizionalmente vocato al turismo.

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“Il turismo fa da volano a tutta l’economia della valle. Tutti gli altri settori sono complementari

all’economia turistica. C’è quindi un problema di approccio culturale, gli artigiani, gli agricoltori,

i commercianti ne sono consapevoli, viceversa l’operatore turistico fa molta fatica a collocarsi

all’interno di un ragionamento complessivo di filiera economica di valle, perché giustamente ognu-

no guarda al proprio particolare. Quindi il discorso culturale è proprio far capire a chi sta

all’inizio della filiera l’importanza di chi sta dietro e svolge ruoli di servizio e fornitura. Dico que-

sto perché tutti i settori che stanno dietro all’economia turistica hanno molte difficoltà. Sembra

scontato che, essendo in una valle ricca, non ci sia difficoltà a lavorare. Questo può forse essere

vero per un impiantista: un idraulico possibilmente me lo trovo vicino casa. Per tutto l’altro mondo

dell’impresa, compreso quello agricolo, la difficoltà è che dovresti essere concorrenziale con il re-

sto del mondo, nonostante le difficoltà aggiunte che si hanno stando qui, in una valle periferica

come la nostra”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga

Ancora una volta la scarsa integrazione della filiera produttiva locale trova due contrapposti ele-

menti di spiegazione: da un lato la carenza di adeguati servizi (e in sostanza d’imprenditorialità) sul

territorio; dall’altra la scarsa propensione del settore turistico a fare filiera produttiva a livello loca-

le. Come avviene per i prodotti agro alimentari, le reti di fornitura di servizi alberghieri raramente

coinvolgono imprese locali per rivolgersi prevalentemente all’esterno dell’area, principalmente Alto

Adige e Veneto, ma anche la vicina val di Fiemme. Solo nel campo dei servizi informatici sono stati

segnalati casi di una timida crescita imprenditoriale a livello locale, dopo un lungo periodo in cui

anche questi servizi erano acquisiti all’esterno della Valle e dello stesso Trentino. Per servizi fon-

damentali come, ad esempio quelli di lavanderia per gli alberghi, la mancanza di un’adeguata offer-

ta locale costringe gli alberghi a rivolgersi alla vicina val di Fiemme. Manca anche un artigianato

artistico che, al pari della vicina val Gardena, sia in grado di arricchire l’offerta turistica locale.

“La nostra filiera turistica ha delle nicchie imprenditoriali che sono scoperte, per cui ci si rivolge

fuori valle. Questo avviene anche a livello artigiano, ad esempio, non abbiamo una lavanderia fino

a Cavalese, tutti i giorni vengono furgoni avanti e indietro per prendere la biancheria degli alber-

ghi”. Gianni Rasom Consigliere CgF e responsabile informatica Consorzio Dolomiti Super Ski.

“Quante pasticcerie di qualità ci sono in val di Fassa? Forse un paio. Questo non è normale in una

località che dovrebbe essere la culla dell’accoglienza turistica. Mancano gelaterie di un certo tipo,

dove ci si possa sedere per mangiare un buon gelato. Un cliente che va in un albergo a 4 stelle vuo-

le trovare altri locali dello stesso livello. Se un po’ alla volta l’offerta alberghiera cresce di qualità,

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123

anche le altre attività sul territorio lo devono fare. A Moena fino agli anni fine 70-80 c’erano i mi-

gliori locali, tutti locali di un certo livello che abbiamo perso. Oggi tutti pensano alla quantità e so-

lo pochi investono sulla qualità”. Francesco Cocciardi Albergatore Moena

“Qui in valle non esiste alcun laboratorio artigianale che faccia dei prodotti tipici. I prodotti che

sono venduti come tipici andiamo a prenderli in Lombardia, Piemonte, Veneto. Il turista sarebbe

assolutamente propenso a spendere un euro in più se sapesse che ciò che compra è un prodotto del-

la val di Fassa. Ma fino ad oggi non siamo riusciti a creare una filiera di prodotti locali”. Franco

Lorenz Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF

“Ho un’azienda dolciaria, qui in val di Fassa, d’estate produciamo pasticceria fresca che vendia-

mo nei nostri punti vendita, in inverno produciamo i grostoli che vendiamo in tutto il Nord Italia,

arriviamo a vendere fino alla Toscana. La quota di mercato a livello locale è di appena il 5%. Co-

me sempre, non si è mai profeti in patria”. Fausto Castelnuovo, Sindaco di Mazzin e Assessore

GgF

“Il nostro artigianato è a servizio delle imprese del turismo, ma si tratta essenzialmente d’imprese

edili che fanno manutenzioni negli alberghi, impiantisti. Una volta noi eravamo ricchi anche di la-

vorazione del legno, un artigianato artistico che abbiamo totalmente perso”. Alfredo Weiss Consi-

gliere CdF

“La soluzione non è quella di portare altra economia, ma imparare a valorizzare quello che ab-

biamo. In val Gardena hanno sviluppato l’economia della scultura in legno, perfettamente compa-

tibile con quella turistica. Noi ce la siamo fatta scappare perché forse non siamo stati furbi abba-

stanza. La val Gardena veniva in val di Fassa a comprare le sculture in legno per poi commerciar-

le da loro.” Cesare Bernard Presidente Consei General

“Anche fuori dalla gastronomia, nella nostra valle ci sono comunque artigiani che sono dei veri ar-

tisti, a cui dovremmo dare visibilità perché nessuno li conosce. C’è uno scultore a Moena che è

bravissimo, produce sculture in legno particolari, fa porta cote particolari, sono recipienti dove si

bagna la pietra per affilare la falce. Io le espongo nel mio ristorante, ora stiamo facendo una spe-

cie di catalogo, assieme a Felicetti, il pastificio della val di Fiemme. Dobbiamo fare sinergia tra tu-

rismo, ristoratori, artigiani locali, per valorizzare la nostra cultura. Le potenzialità sarebbero ve-

ramente molte.” Paolo Donei Malga Panna

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Nonostante la presenza d’imprese specializzate nella costruzione di case in legno come Rasom e

Pollam, e la presenza d’importanti risorse forestali, in val di Fassa non si è sviluppata una significa-

tiva filiera di valorizzazione della risorsa legno.

“Il nostro è un ottimo legno. Il più bello sarà quello della val di Fiemme, ma il legno della val di

Fassa ha la pasta migliore. Più si sale di quota più la pianta cresce lentamente e più la pasta è mi-

gliore. Il problema del nostro legno sono i nodi che lo rendono poco adatto ad alcune lavorazioni.

Noi come Asuc, il legno lo vendiamo abbastanza bene alle segherie che lo lavorano e poi lo vendo-

no. La vendita va ad annate. Quest’anno è andata molto bene, altre volte abbiamo fatto fatica per

la concorrenza del legname di provenienza dall’Austria e dalla Germania, dagli schianti ma anche

da piani di sfruttamento più ampi e vasti, perché loro hanno boschi dove possono entrate con i

macchinari, e invece di 110 euro al mc lo vendevano a 60-70 euro. Però il nostro legname è vendu-

to sempre molto bene”. Rinaldo De Berlol Insegnante e Ispettore VV.FF

“Sopra i 1000 metri, abbiamo un 70% di legno pregiato e 30% da imballo. Abbiamo delle segherie,

ma vendiamo tutto il segato all’esterno ad aziende in val di Fiemme e anche in val di Non. In valle

non ci sono delle produzioni di travi lamellari, ci sono aziende con lavorazioni come i balconi,

qualche mobilificio e abbiamo aziende che producono case in legno, come Pollam e come Rasom

che però adesso si è spostata in val di Fiemme. Sulla filiera del legno non ci possiamo sicuramente

confrontare con la parte bolzanina o con la stessa val di Fiemme”. Claudio Bernard imprenditore,

presidente consorzio impianti

L’unica vera e forte integrazione tra turismo e artigianato, la troviamo nel settore edile. Nel

recente passato il consistente afflusso di turisti nella località ha dato un forte impulso allo sviluppo

dell’edilizia turistica: alberghi, strutture commerciali, case per le vacanze. Oggi i ridotti livelli di

produzione edilizia, riconducibili a politiche urbanistiche provinciali e alla crisi finanziaria globale,

pongono importanti interrogativi sullo sviluppo del settore. L’edilizia è fortemente legata agli an-

damenti del settore turistico e questo sembra aver messo, (fino ad oggi), il settore edile al riparo dal-

la crisi, perlomeno per ciò che riguarda le piccole attività di manutenzione.

“Dai dati che abbiamo noi finora le imprese edili non hanno particolarmente sofferto la crisi, per-

ché da noi i lavori si trascinano tempo. Con la stagionalità turistica i lavori nell’edilizia durano più

di due anni, un albergo si ristruttura fuori stagione quindi è una cosa infinita. I lavori fino all’anno

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scorso ci sono stati. Il problema semmai lo vedo da qui in avanti perché purtroppo oggi non c’è

molto lavoro. Questo poi dipende dal tipo di lavorazioni, le nostre imprese edili sono piccole, sono

impegnate in attività di manutenzione e per queste il lavoro continua a esserci perché comunque,

sia le famiglie, sia gli alberghi, certi lavori continuano a farli. Quello che manca oggi è il grande

investimento da venti appartamenti o l’albergo da diecimila metri cubi o i due centri salute

all’anno che si facevano in passato. Però la manutenzione ordinaria e straordinaria continua a es-

serci e questo consente alle nostre piccole imprese di lavorare”. Luciano Braito Direttore Cassa

Rurale

“ Non ci lamentiamo, per certi aspetti la val di Fassa è un’isola felice. Io sono idraulico, ho una

ditta mia. Si sente un po’ la crisi però non più di tanto. La monocultura turistica ci ha portato tanto

benessere negli anni passati. La crisi che c’è adesso c’è stata anche nel periodo 85-89 in cui c’è

stato un crollo immobiliare. Queste crisi fanno anche un po’ di selezione, chi lavora bene non si

preoccupa. I nostri clienti sono un po’ tutti: gli alberghi, il privato, il pubblico. Per riuscire a lavo-

rare durante tutto l’arco dell’anno devi adattarti e fare un po’ di tutto. L’attività come la nostra

non ha la cassa edile, per cui devi aver da fare anche durante l’inverno e allora fai manutenzioni o

finisci dei lavori sospesi. Con gli alberghi fai lavori brevi fuori stagione, poi durante la stagione

devi fornire un servizio d’assistenza 24 ore su 24”. Giorgio De Luca Artigiano e responsabile Ski-

team

“Gli artigiani impiantisti hanno un loro mondo a parte perché con 60mila posti letto turistici c’è

sempre un gran lavoro d’assistenza, manutenzione, riqualificazione. In questo momento a soffrire

sono le aziende più grosse, perché si erano attrezzate con manodopera esterna, extracomunitaria,

si trovano in difficoltà perché la struttura organizzativa, era dimensionata per un certo tipo di la-

vori che oggi cominciano a calare”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Co-

mune di Soraga

“Se il turismo va bene, va bene anche l’artigianato. Difatti quest’anno abbiamo sentito un primo

sintomo di flessione proprio perché c’è stata la flessione nel turismo. Come pianificazione possia-

mo dire che ci associamo a quello che prevedono anche gli albergatori perché alla fine lavoriamo

con loro in sinergia, a differenza magari di qualche altro comprensorio dove l’artigianato lavora a

riflesso dell’industria. Siamo tra quei comprensori trentini in cui l’artigianato ha avvertito il calo,

ma non la crisi. Poi in realtà non si sa bene se questo calo nell’edilizia è dato dalla crisi o è

l’effetto della Legge Gilmozzi. Fino a Natale non si poteva parlare di sofferenza perché tutti lavo-

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ravano bene, le previsioni erano buone. Poi nel giro di due mesi si sono bloccate le lavorazioni

principali, gli investimenti più grossi. Dobbiamo vedere se dopo Pasqua la stagione avrà una ri-

presa”. Massimo De Bertol Presidente Associazioni Artigiani della val di Fassa

Se da un lato, la piccola dimensione d’impresa consente a gran parte delle imprese fassane di opera-

re con flessibilità sul mercato della manutenzione edilizia, lo stesso carattere dimensionale rap-

presenta un limite quando di tratta d’intercettare gli appalti e le commesse di maggiore di-

mensione. Anche la costituzione di reti o raggruppamenti temporanei d’impresa si presenta com-

plessa, per la mancanza di soggetti locali in grado d’assumere il ruolo di general contractor.

“Bisognerebbe rivedere il sistema degli appalti pubblici giocati sul massimo ribasso. Se c’è un can-

tiere grosso ti chiedono di fare l’offerta e t’impongono ribassi insostenibili. Le imprese che vengo-

no da fuori fanno questi ribassi ma poi non rispettano quello che c’è scritto sui capitolati. Il para-

dosso è che imprese esterne che hanno dei contenziosi con i comuni, vincono comunque nuovi ap-

palti”. Giorgio De Luca Artigiano e responsabile Skiteam

“Noi stiamo finendo una grossa piscina: abbiamo dovuto cercarci fuori le ditte capaci di gestire un

grosso appalto. Le nostre ditte locali sono piccole, possono quindi essere solo coinvolte solo come

subappaltatori di queste ditte esterne più grosse. Fiorenzo Peratoner SIC

“Da noi è piuttosto difficile creare consorzi e reti d’impresa per accedere agli appalti, perché ci

vuole necessariamente un capofila con la struttura che riesce a gestire i vari specialisti. Qui non

c’è nessun’impresa in grado di svolgere il ruolo di general contractor. Per piccole imprese come le

nostre è molto difficoltoso partecipare agli appalti, perché andare sulle offerte al massimo ribasso

si arriva sempre a casa con le ossa rotte. Il discorso dell’offerta più vantaggiosa ha dei costi pre-

paratori non sostenibili per aziende come le nostre, devi rischiare di spendere 20 o 30mila euro

presso dei tecnici per farti fare il fascicolo d’offerta. Comunque, mi sembra che ultimamente tra le

imprese ci sia una maggiore propensione a fare sistema e questo è senz’altro dovuto anche alla si-

tuazione di crisi. L’Ente pubblico dovrebbe incentivare la creazione di una rete tra le imprese loca-

li del settore”. Francesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga

Oltre al supporto alla creazione di reti d’impresa, l’idea, emersa da molteplici attori intervistati è

quella d’impostare la politica edilizia della Valle sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esi-

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stente, unitamente ad un investimento sui temi della sostenibilità ambientale e sociale dell'abita-

re.

“Bisogna sicuramente puntare innanzitutto sulla riqualificazione dell’esistente. In particolare, la

ristrutturazione e manutenzione delle aziende alberghiere è strategica per puntare a un turismo di

maggiore qualità. In tale ambito è anche fondamentale investire sui temi del risparmio energetico e

dell’edilizia sostenibile. Ci sono imprese come Pollam e Rasom che già investono su questi temi, so

che erano entrate anche nel progetto Sofie. C’è un’esigenza di formazione e sistemi di certificazio-

ne con protocolli più semplici per consentire la qualificazione anche del piccolo artigiano”. Fran-

cesco Dellantonio, artigiano e amministratore del Comune di Soraga

“Dobbiamo aiutare questa imprenditoria che opera in particolare nel settore edile, investendo su

un progetto forte di riqualificazione edilizia. Questo è un tema strategico per la Valle. Nel giro di

pochi anni dovremmo recuperare tutto il grande patrimonio delle seconde case costruite negli anni

60 e 70 che versa in gran parte in uno stato di degrado. Dobbiamo preparare le nostre imprese sui

temi della sostenibilità e del risparmio energetico. Gli stessi alberghi sono stati in gran parte rin-

novati, ma un albergatore non sta mai fermo, deve continuare a qualificare e innovare le proprie

strutture, e anche questo è un’importante ambito di specializzazione e qualificazione per le nostre

imprese artigiane”. Luigi Casanova Cipra

“Un progetto di riqualificazione del nostro patrimonio edilizio e alberghiero è oggi irrinunciabile.

Gli alberghi costruiti negli anni 70 sono un colabrodo in termini energetici, ma anche per ridare un

po’ d’impulso all’edilizia e al settore dell’artigianato. Questo progetto andrebbe però incentivato

anche con un po’ di contributi pubblici, perché tanti albergatori si trovano in difficoltà a ristruttu-

rare la propria azienda, hanno già mutui di 15-20 anni. Dovrebbe comunque essere sicuramente

una priorità del piano territoriale di Valle”. Daniele Dezulian Presidente del Consorzio impianti a

fune val di Fassa e Carezza

“Dobbiamo lavorare tanto sul recupero del patrimonio edilizio esistente, dal punto di vista urbani-

stico. Creando anche strutture compatibili con l’ambiente, in legno, di classe energetica migliora-

ta. Quello delle politiche che favoriscono la riqualificazione energetica delle grandi strutture sia

pubbliche, sia private è un discorso certamente proponibile. Oggi l’energia costa tanto, il riscal-

damento e l’energia sono i costi più alti che abbiamo come albergatori”. Riccardo Franceschetti

Sindaco di Moena, Assessore CdF, albergatore.

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“Nell’edilizia stiamo vivendo un momento un po’ particolare. Parlando con gli artigiani comincia-

no a emergere situazioni di sofferenza, cosa che non c’era mai stata in valle. L’edilizia ha

un’importanza enorme nella nostra economia locale e temo che avremo un ridimensionamento del

settore. Non è un momento facile. I temi della riqualificazione e dell’edilizia sostenibile sono

senz’altro una strategia per affrontare la crisi del settore. Ma anche alle imprese è richiesto un

maggiore impegno. Se guardi a imprese di successo come Rasom vedi che il discorso vincente non

è soltanto il fatto di fare un’edilizia sostenibile. Rasom non vende solo una casa, vende un prodotto

finito, completo d’impiantistica, di progettazione, di servizi di manutenzione. Penso che le nostre

aziende edili potrebbero riuscire a fare lo stesso nel mattone, consorziandosi, alleandosi, non ven-

dendo più solo i muri o l’impianto, ma riuscendo a vendere un prodotto, che è un prodotto innova-

tivo, certificato, qualificato, che se gestito bene da anche dei margini più alti.” Franco Lorenz

Sindaco di Vigo di Fassa e Assessore CgF

Lo slogan di una rinnovata politica edilizia in val di Fassa potrebbe essere “meno metri cubi co-

struiti ma più intelligenza per metro cubo costruito, o ancor meglio, recuperato”. La sostenibilità

edilizia, il risparmio energetico, la riqualificazione e manutenzione del patrimonio esistente,

s’imporranno, nei prossimi anni, come un mercato di riferimento importante, anche per un oggettivo

problema di contenimento del consumo di suoli che, in una realtà come quella della val di Fassa,

rappresenta un dato estremamente sensibile.

E’ proprio in territori come la val di Fassa che possono prendere progressivamente forma una rin-

novata cultura di gestione del territorio (centri storici, vecchi nuclei, paesaggi), e nuovi modelli di

ospitalità turistica capaci di rispondere a una rinnovata domanda di fruizione più consapevole e at-

tenta ai valori ambientali, culturali della località. La qualità del costruito, sia come recupero di valo-

ri architettonici, storici, urbanistici, sia come nuove realizzazioni capaci d’inserirsi nel contesto, è

parte integrante di una rinnovata offerta turistica. Non va, inoltre, trascurata una domanda di abita-

zioni da parte dei residenti, che non trova, al momento, risposte in un'offerta economicamente alla

loro portata. La qualità del processo e del prodotto edilizio in chiave di sostenibilità, sia am-

bientale, sia sociale, diventano le discriminanti del nuovo ciclo immobiliare, e quindi della

competitività delle imprese.

Alle imprese del settore è oggi chiesto un salto di qualità che va sostenuto dall’ente pubblico e dalle

rappresentanze del settore, promuovendo logiche di filiera, azioni formative, sistemi di certificazio-

ne delle imprese e dei prodotti edilizi. Le imprese devono superare il tradizionale modello “costrui-

sci, vendi e fuggi”, per elaborare modelli di business orientati a elaborare nuove soluzioni residen-

ziali e alla gestione degli edifici lungo tutto il loro ciclo di vita. Le prospettive di questo comparto

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129

sono potenzialmente enormi; è richiesto, tuttavia, un grande impegno sia agli imprenditori, chiamati

a gestire operazioni più complesse (anche dal punto di vista progettuale e finanziario), sia alle pub-

bliche amministrazioni, cui s’impone uno scatto in termini di semplificazione, di omogeneizzazione

dei regolamenti edilizi comunali, di rapidità decisionale.

L’Ente pubblico può svolgere un ruolo strategico nel consolidamento della filiera edile locale.

In un settore quale quello delle costruzioni, in cui il tessuto imprenditoriale è fortemente polverizza-

to, è l’Ente pubblico a svolgere il vero ruolo di capofila. E’, infatti, l’Ente pubblico che svolge il

ruolo di regolatore (attraverso la pianificazione urbanistica, le norme e la fiscalità locale), che con-

diziona lo sviluppo del mercato (nel suo ruolo di committente di opere pubbliche e di edilizia resi-

denziale convenzionata), che promuove l’innovazione nel settore (attraverso norme, incentivi, si-

stemi di certificazione e garanzia). Vista la crescente riduzione delle risorse di cui dispongono le

Amministrazioni pubbliche è, inoltre, evidente che il partenariato pubblico - privato rappresenti una

strada obbligata per promuovere operazioni di riqualificazione del tessuto edilizio e sociale. Gli

stessi processi di revisione del sistema degli appalti, sempre più orientati al superamento dei criteri

del massimo ribasso, prevedono da parte degli enti appaltanti la capacità di valutare l’offerta eco-

nomicamente più vantaggiosa con criteri di valutazione che riguardano il prezzo, ma anche la quali-

tà, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il servizio

post-vendita, l’assistenza tecnica, il costo di utilizzazione e manutenzione, il termine di consegna,

ecc. Vi è poi la necessità di alleggerire le imprese dagli oneri finanziari legati alla mancanza di li-

quidità conseguente ai ritardi di pagamento che si riflettono lungo tutta la catena del subappalto e

che determina una tendenza, negli appalti pubblici, di stipulare contratti separati per le diverse lavo-

razioni, forniture, installazioni, con singole imprese specializzate.

In edilizia il vero problema non è l’attitudine delle imprese a cooperare tra di loro – sui cantieri già

lo fanno - quanto piuttosto favorire una forma più strutturata delle reti d’impresa, in modo da

abilitare gli investimenti in beni collettivi, consentire l’accesso a commesse di maggiore entità, o

ancora di progettare operazioni di portata superiore a quelle normalmente condotte. La filiera edili-

zia oggi non può più essere ricondotta al semplice rapporto tra general contractor e imprese specia-

lizzate. Sono necessarie competenze capaci di affrontare un mercato in cui sono sempre più sfumati

confini tra pubblico e privato e tra lavori e servizi e in cui l’impresa di costruzione è sempre più

chiamata a svolgere un ruolo a monte – promozione, innovazione e finanzia - e a valle – servizio,

gestione e manutenzione – del processo edilizio. E per questo che un progetto di consolidamento

di una filiera locale delle costruzioni deve anche coinvolgere i progettisti locali che spingono le

imprese ad adottare nuove soluzioni abitative e tecnologiche. Il rapporto tra impresa di costruzione

e progettista è ancora troppo spesso limitato alla mera fornitura del progetto, ma la nuova articola-

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130

zione della domanda edilizia e la sempre maggiore assunzione di ruolo da parte dei committenti

stanno modificando anche il ruolo e la posizione dei progettisti. Da un lato, al progettista viene

sempre più chiesto di svolgere il ruolo d’integratore tra i saperi e le funzioni sempre più complesse

che caratterizzano il processo edilizio. Dall’altro lato, al progettista è sempre più chiesto di essere

interprete della domanda: di avere la capacità di cogliere i fenomeni emergenti espressi dalla società

e trasformarli in prodotti di architettura in grado di rispondere ai nuovi bisogni dell’abitare.

14. Investire su persone, famiglie e comunità.

I confini settoriali del turismo sono di difficile identificazione per il fatto che alcuni settori (com-

mercio, trasporti, intrattenimento, servizi sociali, ecc..), pur contribuendo in modo significativo al

prodotto turistico, sono rivolti anche alla comunità dei residenti. Da più parti si lamenta il fatto che,

durante il lungo periodo di crescita del fenomeno turistico, in val di Fassa si è forse troppo pensato

ai servizi per il turista e troppo poco a chi abita la Valle. La percezione non riguarda tanto i servizi

pubblici (scuola, sanità, assistenza sociale) il cui livello è dai più giudicato abbastanza soddisfacen-

te, ma la vita stessa della comunità. La stagionalità turistica con il suo alternarsi di periodi di apertu-

ra e periodi di chiusura dà origine a una sorta di “intermittenza esistenziale”: una costante e repenti-

na variazione del modello sociale di riferimento. Al troppo pieno si sostituisce il troppo vuoto (e vi-

ceversa), in un disequilibrio che non si manifesta solo nei modelli di fruizione del territorio (dalla

congestione, alla desertificazione) ma anche nei modelli di vita dei singoli e delle famiglie (stagio-

nalità del lavoro, occasioni di socialità, accessibilità ai servizi). Decenni di sviluppo turistico inten-

sivo hanno messo in secondo piano la dimensione della comunità e oggi ci s’interroga sulla tenuta

del tessuto sociale e sulla stessa continuità del modello imprenditoriale. Emerge forte una voglia

di “normalità” negli assetti di sviluppo economico e sociale: l’esigenza d’investire sulla comunità a

prescindere dal turismo.

“Dovremmo rivolgere una maggiore attenzione alla nostra comunità, non pensare solo al turismo.

Dobbiamo partire dal concetto che se tu stai bene, stanno bene anche i tuoi ospiti. Lo vediamo an-

che noi quando andiamo in giro: se una cosa è troppo artificiale, non ci piace e forse oggi la val di

Fassa è un po’ troppo artificiale. La monocultura turistica non fa bene alla convivenza sociale.

Tutto il lavoro è concentrato in pochi periodi dell’anno, nei periodi di scarsa presenza turistica c’è

poca socialità. Le famiglie hanno poca vita sociale o perché devono lavorare troppo in alcuni pe-

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131

riodi, o perché mancano occasioni di socialità in altri periodi. Quando chiudono gli alberghi, si ri-

trovano soli, poche amicizie, poca vita sociale, poco volontariato. I giovani sono trascurati, hanno

tanto benessere materiale, ma poche attenzioni. Questo provoca anche patologie sociali come l’uso

di alcol e di sostanze: c’è stato recentemente un episodio di violenza che ha avuto come protagoni-

sti ragazzi di ottime famiglie. Questi sono campanelli di allarme. Si tende a far finta di non vedere

certe problematiche. I genitori pensano che la scuola possa risolvere tutti i loro problemi, ma que-

sto non è possibile. Anche gli anziani hanno sempre meno ruolo nella famiglia. Tutti lavorano e

quindi c’è meno spazio per l’assistenza famigliare”. Annalisa Zorzi insegnante

“Da noi c’è una grande cultura del lavoro, facciamo tutti il doppio lavoro, l’albergatore è anche

maestro di sci. Per cui tutto questo impegno sul lavoro va a scapito della vita di comunità. Gli stes-

si giovani sono poco attratti dal volontariato e questo è colpa dei genitori, che spesso per primi non

partecipano alla vita della comunità. C’è stata una caduta di valori, di coesione sociale. Una volta

l’insegnante, il parroco, lo stesso sindaco, erano dei riferimenti per la comunità. Oggi non è più

cosi. La stessa Chiesa fa quello che può, se il parroco è giovane, riesce ancora ad aggregare i gio-

vani, se invece è anzianotto, come lo sono tanti, fa quello che può, e questa è una grande perdita di

valore comunitario”. Renzo Valentini Sindaco di Campitello

“I nostri giovani sono figli della loro epoca, vengono da una ricchezza eccessiva, non hanno dovu-

to fare fatica per ottenere qualcosa, soprattutto la generazione dai quarant’anni in giù. La nostra

economia è un tirare a campare. Tutti bene o male possono procurarsi un reddito, ma spesso sono

vite di basso profilo. Non voglio generalizzare, abbiamo tantissimi bravi giovani che studiano e

s’impegnano, però ci sono stati un paio d’eventi che danno da pensare: alcuni giovani che hanno

picchiato un turista inglese e poi una decina di ragazzi che hanno dato fuoco alla palestra di Cam-

pitello. L’alcol è una sostanza molto diffusa anche per una questione di legittimazione sociale. A

me fa paura vedere quanto bevono i giovani. Questi problemi esistono in Valle e sono dovuti alla

mancanza di punti di riferimento, di valori importanti per cui vale la pena d’impegnarsi. Sono po-

chi i giovani che si occupano di politica, di società, di volontariato e noi adulti non riusciamo a

proporre dei modelli positivi. Manca la generazione dei quarantenni che sia in grado di proporre

qualcosa ai ventenni, è un discorso a cascata. Fino a dieci anni fa il mondo del volontariato era il

nostro fiore all’occhiello, adesso è in enorme crisi, qualsiasi tipo di volontariato: ecclesiale, civile,

croce rossa, pompieri un po’ di meno, quello sportivo che regge solo quando c’è il premio. Io mi

accorgo che quando si parla di valori, per esempio sul mondo del volontariato, i giovani sono sen-

sibili, però vanno seguiti con una progettualità. Se c’è da impegnarsi su qualcosa per una stagione

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132

che dà il suo frutto, riesci a coinvolgerli. Però tutte le attività che richiedono un impegno costante,

quotidiano, come la Croce rossa o i pompieri sono in crisi. La stessa Chiesa fino a vent’anni fa era

un luogo d’aggregazione, poi sono nati altri luoghi di aggregazione legati più che altro ai Pub, a

compagnie strane. Forse sono troppo negativo nell’esporre la situazione, ma queste sono le cose

che più mi preme cambiare. In questo momento a Fassa manca la capacità di valorizzare le idee,

mancano persone che s’impegnano con i giovani, che siano capaci di porsi come punto di riferi-

mento. Io ho molta ammirazione per quel che ha fatto un mio collega insegnante di religione Mi-

chele Malfar che oggi è vicesindaco di Cavalese, lui è vent’anni che lavora sui giovani e le fami-

glie. Ha fatto un centro giovani, ha avviato importanti progetti. Da noi c’è Silvano Ploner, il gior-

nalista, che ha fatto un interessante progetto di giornalismo nella scuola. C’è Tomas Zulian, anche

lui insegnante, che ha fatto rinascere gli ultras del Fassa Hochey, la squadra in serie A che stava

scadendo, erano quattro ragazzini di 14 anni che urlavano e insultavano tutti. Lui si è preso

l’impegno e adesso c’è questo bel gruppo di 20 ragazzi in serie A. Abbiamo poche persone di que-

sto genere. Non per trovare scuse, dalle persone non dipende tutto, ma dalla rete delle persone sì, e

ci vogliono le persone che fanno le cose, che abbiano le idee. Poi c’è il livello istituzionale su cui

impegnarsi. Abbiamo la Consulta sulla famiglia che però è allo stato iniziale. Come Comun Gene-

ral abbiamo istituito un nuovo organismo, il Consei general per l’educazion e la formazion, fatto da

persone provenienti dalla scuola ma anche dal territorio che ha l’obiettivo di dire dove vogliamo

arrivare, su che tipo di formazione vogliamo puntare. Sono convinto che nella fase attuale siamo in

un guado importante, siamo in un momento in cui cominciano a manifestasi segnali di crisi sia a

livello economico, sia a livello sociale. E quindi importante fermarsi, riflettere e decidere come ri-

partire”. Cesare Bernard Presidente Consei General.

Considerando i dati a livello provinciale, le dotazioni funzionali relative al settore della pubblica

amministrazione appaiono, nel complesso, molto al di sotto della media: è presente solo una sede

periferica dell’Agenzia del lavoro a Pozza di Fassa. Per quanto riguarda il settore istruzione, la do-

tazione è inferiore alla media provinciale. Le scuole elementari risultano abbastanza diffuse (solo

Mazzin e Campitello gravitano sui comuni vicini), mentre la scuola media è presente a Moena, Poz-

za e Vigo di Fassa. L’offerta per la formazione secondaria si concentra invece a Pozza di Fassa, do-

ve sono presenti un centro di formazione professionale e un Istituto superiore d’arte, che ospita uno

Ski College. Anche il livello delle strutture sanitarie risulta inferiore alla media provinciale. I ser-

vizi presenti (punto prelievi e guardia medica) sono a Pozza di Fassa. Le farmacie risultano più dif-

fuse, mentre gli ambulatori di base si trovano a Canazei, Moena e Pozza. La dotazione di servizi

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133

culturali e del tempo libero è, nell’insieme, superiore alla media provinciale. Le strutture sono

prevalentemente presenti nei centri di Canazei, Moena e Vigo di Fassa.

“Tra Fiemme e Fassa, le scuole fortunatamente ci sono. Abbiamo però, bisogno di asili nido per-

ché oggi le famiglie per tirare avanti hanno bisogno di due stipendi e non riescono a tirare su un

figlio senza un minimo d’assistenza. Non riescono a comprarsi una casa, figurati se riescono ad al-

levare un figlio. Non si può sempre contare sui nonni. Abbiamo ancora la fortuna di essere una

piccola comunità dove ancora la famiglia è un sostegno importante, ma anche da noi sta entrando

in crisi, perché l’assistenza è tutta buttata sulle spalle delle famiglie. Una prima esigenza è quindi

aiutare le giovani coppie: c’è bisogno di servizi alla famiglia. C’è poi un discorso di tutela della

salute più efficiente di quella attuale. Abbiamo una popolazione sempre più anziana e un forte tasso

di traumatologia anche per il tipo di vita che si fa qui, molto sportiva e all’aperto. Bisogna chiude-

re la filiera dell’ortopedia, da pronto soccorso fino alla riabilitazione, se no le lungodegenze ven-

gono scaricate ancora una volta sulle famiglie. Nelle nostre strutture ospedaliere, penso a Cavale-

se, abbiamo un forte tourn over di medici che vengono da fuori e che va risolto. Sono bravi medici,

ma non hanno conoscenza del territorio, delle persone, manca il rapporto con i medici di base. Tut-

ta la questione sanitaria andrebbe rivista, con maggiore energia e anche con maggiore autonomia

di programmazione. Il dato dolente è l’assistenza sociale, ormai i nostri uffici non riescono più a

rispondere alle esigenze delle persone: mancano soldi e manca personale. Ci sono forme di disa-

gio, basta pensare all’alcolismo, ma anche al disagio psichico. Se ci facciamo dare i dati del disa-

gio psichico da centro d’igiene mentale di Cavalese, sia in Fiemme, sia in Fassa, abbiamo le più

alte percentuali del Trentino di ricoverati rispetto alla popolazione. Abbiamo gli stessi dati della

val di Sole, che non a caso è un’altra area periferica. Le persone che ricorrono al servizio sono

sempre di più e sempre più giovani. Dobbiamo quindi pensare a un piano di servizi per la gente del

posto, e non solo per i turisti. Fino ad oggi abbiamo pensano molto ai servizi per i turisti, trascu-

rando la gente del posto. Oggi la politica deve farsi carico di questo problema. Dobbiamo investire

sulla nostra popolazione se vogliamo impedire processi d’omologazione, d’abbandono, di fuga dei

giovani, se no finiremo con lo svendere il nostro territorio e lo stesso benessere costruito dalle ge-

nerazioni precedenti”. Luigi Casanova Cipra

“Gli asili nido sono senz’altro una forte esigenza della nostra comunità. Penso in particolare alle

tagesmutter che potrebbero essere un’efficiente soluzione ai problemi della Valle. A Canazei ab-

biamo una ragazza che gestisce un tagesmutter, laureata in pedagogia. Per l’apertura dei tage-

smutter abbiamo delle difficoltà, dobbiamo appoggiarci a una cooperativa di Trento, bisogna fare

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800 ore di formazione. Come Fassa e Fiemme abbiamo quindi chiesto di fare un corso qua, senza

dovere andare a Trento. C’è poi il problema degli anziani, non solo la casa di riposo, ma dei centri

di aggregazione che solo qualche comune possiede. I giovani fino ai diciott’anni, se vogliono impe-

gnarsi in qualche associazione di volontariato piuttosto che nello sport, non c’è che l’imbarazzo

della scelta. Le mamme si fanno in quattro per portare i figli a destra e sinistra, al calcio,

all’hochey, allo sci, alla danza. A Canazei c’è il cinema, anche a Moena ci sarà. Dopo i vent’anni,

molti studiano all’università fuori della Valle, però quando rientrano durante il fuori stagione per

loro, è un po’ dura. Solo a Moena c’è un bel centro giovani con un animatore in gamba”. Mariano

Cloch Sindaco Canazei Vice Procurador CgF

Nelle interviste realizzate sul territorio, il tema della coesione sociale è emerso trasversalmente in

tutte le considerazioni sui problemi e sulle opportunità di sviluppo della Valle. E’ stato evidenziato

come un accettabile grado di coesione sociale intesa come dotazione di beni relazionali, virtù

civiche, capacità di gestione e valorizzazione dei beni comuni, costituisce non solo un patrimo-

nio delle forme di convivenza, ma anche un fattore di competitività del tessuto economico.

Dalla coesione sociale dipende, infatti, un contesto particolarmente gradevole e accogliente, attratti-

vo per persone e investimenti. I meccanismi di coesione sociale, d’identità e di vivacità della cultura

locale, sono la precondizione essenziale per sviluppare offerte e competenze distintive e nel deter-

minare, di conseguenza, l’efficienza e lo sviluppo del sistema locale. Prendersi cura della propria

comunità significa anche impegnarsi affinché il territorio sia un posto dove vivere bene, dove trova-

re spazi, tempi di vita e servizi, adeguati alle esigenze delle persone (residenti e turisti) e alle emer-

genti necessità di una società in rapida trasformazione. Per far questo non è sufficiente intervenire

sui meccanismi di spesa e sull’organizzazione della domanda e dell’offerta di servizi sociali, ma bi-

sogna ricercare nuove forme di flessibilità nell’ambito di una visione più integrata e complessiva

che riguarda l’organizzazione sociale e il territorio.

Si sente forte l’esigenza di mettere al centro dell’azione politica della Comunità di Valle tre ri-

sorse che sono alla base dello sviluppo: le persone, le famiglie e la comunità. Sono queste le ri-

sorse su cui maggiormente si concentrano le contraddizioni di una modernizzazione incompiuta e

da cui ripartire per fare società adeguata ai tempi.

Le persone vivono oggi un diffuso senso d’insicurezza. Le trasformazioni sociali ed economiche

connesse alle incertezze dell’attuale fase di crisi hanno indebolito quelle sicurezze e quelle garanzie

che tutti davano per acquisite rispetto a temi fondamentali quali sono: il lavoro, il risparmio, il futu-

ro dei figli, la casa, le forme si convivenza. Specialmente in un settore come quello turistico,

l’attività economica propriamente intesa si confonde con la vita personale e da questa in certa misu-

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ra finisce per dipendere. In tale contesto il welfare assume la funzione di “risorsa abilitante” che

consente alle persone di rispondere efficacemente alle esigenze produttive perché i servizi di welfa-

re danno loro un retroterra adeguato alla copertura dei loro bisogni di base. La casa, la scuola, la

mobilità, la salute, la qualità della vita, la previdenza e l’assistenza, il rischio di un reddito che spes-

so non può essere dato per sicuro, ma che non può lasciare scoperta la famiglia che su di esso conta,

sono problemi che intersecano la vita lavorativa di ogni persona. Emergono nuove esigenze sociali

e si amplia la sfera d’azione del welfare arrivando a comprendere: le nuove forme dei lavori ancora

prive di tutele, le dimensioni d’impresa ancora prive di ammortizzatori sociali, ma anche le fasce

del ceto medio messe in difficoltà dagli andamenti del costo dei mutui, dai crescenti oneri familiari

per assistere gli anziani e i malati, dagli investimenti necessari per garantire un’adeguata istruzione

ai figli e dai tempi sempre più lunghi per l’inserimento di questi ultimi nel mondo del lavoro. La vi-

ta sociale trova sempre meno sponde su cui appoggiarsi per assorbire il rischio diffuso, che ciascuno

avverte come proprio e personale. Compito della politica è ricostruire queste sponde.

“Il problema è che siamo arrivati a un punto in cui, per parlare d’economia, bisogna prima di tutto

parlare della persona, perché senza le persone l’economia non va avanti. Il mondo economico è

sempre fatto di persone: è lo star bene delle persone che produce economia. La crisi del nostro

modello d’offerta dipende anche da questo. Siamo cresciuti su meccanismi di autosfruttamento e

questo produce patologie sociali. La val di Fassa si accende l’8 dicembre e si spegne a Pasqua, si

riaccende un po’in estate e si spegne di nuovo a settembre. Fuori stagione ognuno va a curarsi. I

medici di base ci dicono che a livello di adulti c’è un alto consumo di psicofarmaci. Basta guardare

il numero d’interventi presso il centro di salute mentale per capire che questa è una società in sof-

ferenza. Con i giovani c’è il problema dell’alcolismo: se a livello nazionale s’inizia a bere a 11-12

anni, in Trentino a 11, in val di Fassa s’inizia a 10 anni. Mi dicono che aumentano le separazioni,

le famiglie entrano in sofferenza. I giovani non ne vogliono sapere di portare avanti le aziende di

famiglia, cercano altri modelli. L’imprenditorialità è scesa a zero perché nessuno vuole più ri-

schiare. Tra i giovani c’è la rincorsa a un posto fisso che non esiste più, per cui ci si adatta. Fin

quando lo stipendio stagionale regge, il lavoro nero, l’assegno di disoccupazione, uno vive in pace,

pur di non dover combattere una vita con i propri genitori. Lo stesso anziano, oggi ha problemi

molto alti di salute, molto più gravi che in passato. Le cause sono lo stress, gli abusi di farmaci. Gli

anziani continuano a lavorare fino alla fine. Mio suocero, a settant’anni, si alza alle sette del mat-

tino e finisce di lavorare a mezzanotte. E non puoi fermarlo. Mia suocera che ha 78 anni,

quest’anno che sua figlia ha preso un rifugio, lavora in rifugio dalle sette del mattino alle diciotto.

Un anziano che lavora, non appena si ferma per qualche problema, scoppia. Ma è normale. C’è poi

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l’ipocrisia di non volere farsi aiutare, di nascondere i problemi. E allora si tende a tenere l’anziano

in casa fino all’ultimo momento, però quell’ultimo momento può provocare dei danni in famiglia.

Ricordo un mio coetaneo che diceva che non avrebbe mai portato sua madre alla casa di riposo,

però alla fine hanno dovuto ricoverare d’urgenza sua moglie con un grave esaurimento di depres-

sione. Per tanti anni ci sono stati tanti soldi per tutti, fino a quando l’economia cresceva, nessuno

badava a queste problematiche, ma ora ci si comincia a interrogare”. Elio Liberatore Presidente

APSP Fassa.

La rete parentale storicamente ha sopperito alle carenze del sistema pubblico, ricoprendo il ruolo di

risorsa implicita del welfare. Tuttavia, gli attuali processi demografici e sociali, indeboliscono que-

sto ruolo tradizionale della famiglia e rendono più urgenti misure politiche direttamente orientate al

nucleo familiare come tale. Nonostante il diffuso riconoscimento della famiglia quale valore da di-

fendere, l’istituzione familiare è raramente considerata come un soggetto sociale, diretto destinata-

rio (ma anche erogatore) di servizi di welfare. La stessa politica sociale per la famiglia è considerata

come un sottoprodotto delle altre politiche sociali. Lo scarso sviluppo delle politiche familiari è in

parte riconducibile all’ottimismo con cui si è sempre guardato alle reti di solidarietà familiare e ge-

nerazionale (in netta prevalenza femminili), che rappresentano ancora un puntello essenziale a so-

stegno dei compiti di riproduzione sociale e di cura svolti dalla famiglia. La maggiore partecipazio-

ne delle donne al mondo del lavoro consente oggi alle famiglie il cumulo di più redditi e quindi un

tenore di vita economicamente migliore, ma allo stesso tempo le donne continuano ad accollarsi le

maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari, indipendentemente dal regime di wel-

fare e dalle specifiche politiche familiari e per l’infanzia adottate a livello politico. L’esigenza è di

garantire la partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma perché ciò avvenga, è necessario un

progressivo avvicinamento tra politiche per il lavoro e quelle per la famiglia, partendo dal pre-

supposto che i livelli di offerta di lavoro sono direttamente influenzati dalle condizioni con cui sono

gestiti i rapporti familiari. La possibilità di trovare un equilibrio soddisfacente tra lavoro e famiglia

non dipende, infatti, solo dalle opportunità di accesso al mercato del lavoro: un ruolo altrettanto im-

portante assumono le politiche che, in diversa forma e misura, sono rivolte alle famiglie sia in quali-

tà di fruitori, sia di erogatori di servizi sociali.

Svariati processi di cambiamento sociale ed economico hanno, inoltre, portato alla (ri)scoperta della

comunità come luogo d’effettiva accumulazione di risorse (beni comuni) funzionali allo sviluppo

della stessa comunità. In val di Fassa, come nel resto delle valli trentine, lo sviluppo sociale ed eco-

nomico si è tradizionalmente fondato su meccanismi cooperativi e mutualistici di gestione dei beni

comuni, dove la manutenzione del territorio era garantita dalle antiche regole degli usi civici e dove

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l’economia era infrastrutturata da micro autonomie funzionali d’uso collettivo. Un’attitudine ad au-

to-organizzarsi attorno ai propri bisogni che dava luogo a istituzioni di comunità come sono ad e-

sempio, ancora oggi, i vigili del fuoco volontari o il consorzio elettrico comunale. Mutue, coopera-

tive, leghe e associazioni condividevano un obiettivo fondamentale: fornire beni e servizi al minor

costo possibile, per servire l’interesse reciproco dei membri della comunità e, in senso più ampio,

garantire un servizio d’interesse comune che lo Stato era ancora lungi dall’assicurare. Oggi, a fronte

della crisi del Welfare State e dei modelli fordisti di organizzazione del lavoro tali meccanismi ri-

tornano di grande attualità. Accanto alla tradizionale offerta di welfare pubblico - in parte depoten-

ziata – assumono un ruolo le proposte, le iniziative di altri modi di rispondere a vecchi e nuovi bi-

sogni sociali. Attraverso il mutualismo, le associazioni di volontariato, il terzo settore, le cooperati-

ve, le persone riscoprono l’esigenza di dare una risposta auto-organizzata ai propri bisogni. Il rin-

novato clima di coesione sociale ed economica, necessario per affrontare le sfide della modernità

sostenibile può nascere solo “dal basso” stimolando le energie creative e cooperative delle persone,

promuovendo l’integrazione tra welfare e imprenditorialità (tra comunità di cura e comunità opero-

se)2 e valorizzando le specificità dei territori. Allo stesso modo tornano ad assumere centralità – in

un’ottica di sviluppo locale - quelle risorse della comunità che generalmente sfuggono alla regola-

zione pubblica o del mercato. Tali beni comuni hanno natura diversa, ma tutti svolgono un ruolo

strategico nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Tra essi possiamo ricomprendere beni:

• di tipo ambientale, (aria, acqua, suolo, paesaggio, foreste, biodiversità….);

• di tipo territoriale (posizionamento, spazi e infrastrutture di tipo materiale e immateriale);

• di tipo culturale (tradizioni, patrimonio storico artistico, stili di vita, livelli di scolarizzazione…);

• di tipo economico (specializzazioni produttive, saperi contestuali, nuovi lavori, creatività, inno-

vazioni, reti e filiere);

• di tipo sociale (coesione, fiducia, identità, reputazione, sicurezza, servizi, associazionismo, vo-

lontariato, ecc.).

La sfida della programmazione nelle Comunità di Valle è la capacità di trasformare questi beni co-

muni in quelli che possono essere definiti beni competitivi territoriali, che la comunità locale ha a

disposizione per ridefinire le proprie dinamiche di sviluppo. Perché ciò avvenga, sono necessari

modelli di riproduzione e valorizzazione dei beni comuni fondati sull’intelligenza auto organizza-

trice dei diretti interessati, ovvero delle comunità che sono direttamente interessate al buon fun-

zionamento della risorsa e al suo miglioramento in quantità e qualità. E’ solo in tale ottica che è

perseguibile un modello di sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile (sul piano ambientale, so-

2 Aldo Bonomi “Sotto la pelle dello Stato: rancore, cura, operosità” Feltrinelli 2010

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138

ciale, economico) non nasce, infatti, da un limite esterno posto allo sviluppo, ma dalla capacità di

autoregolazione dello sviluppo stesso da parte dei soggetti che sono interessati a migliorare la pro-

pria qualità della vita e il proprio benessere.

15. Quali possibili indirizzi per il Documento preliminare

15.1 Le strategie vocazionali della Val di Fassa

Come sottolineato nell’allegato E al Piano Urbanistico provinciale le specifiche condizioni della

Valle di Fassa suggeriscono di porre particolare attenzione e di dare specifico impulso alle strategie

vocazionali orientate a:

• integrare le politiche di sviluppo turistico, legate in particolare ai poli sciistici, con gli altri setto-

ri economici, al fine di valorizzare le risorse culturali, ambientali e paesaggistiche secondo mo-

delli di allargamento delle stagioni turistiche;

• perseguire un uso sostenibile delle risorse forestali e montane, ricercando l'adeguata connessio-

ne tra attività produttive e territorio;

• perseguire lo sviluppo ordinato degli insediamenti, al fine del mantenimento dell'identità del ter-

ritorio;

• organizzare la gerarchia delle reti infrastrutturali, incrementando l'intermodalità e il potenzia-

mento del trasporto pubblico, per risolvere gli inconvenienti dovuti alle punte di flusso turistico;

• perseguire un’equilibrata ed efficiente distribuzione dei poli per servizi e terziario, per un'utenza

dimensionalmente variabile in relazioni ai flussi turistici.

Tali indirizzi e strategie vocazionali hanno trovato una conferma, e una più approfondita articola-

zione, in quanto emerso dal percorso di ricerca-azione svolto a livello locale. Un tentativo di sin-

tesi del racconto fatto dagli attori locali (integrato con alcuni documenti di programmazione già ela-

borati dal Comun General3) porta a individuare i temi (e possibili indirizzi di pianificazione) ripor-

3 - Criteri e indirizzi generali per la definizione delle politiche di bilancio, integrati con le linee programmatiche per i primi cinque anni del Comun General de Fascia (24/11/2010) - Piano Sociale di Comunità (26/03/2012) - “Fascia tel davegnir” Accordo di programma tra il Comun General de Fascia e la Provincia Autonoma di Trento

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139

tati nei seguenti paragrafi, che potranno essere posti alla base del documento preliminare di pro-

grammazione e del conseguente processo di concertazione e confronto pubblico.

15.2 Infrastrutture e mobilità

Il Comun General de Fascia, pur non avendo specifiche competenze in materia di viabilità e mobili-

tà, ritiene questa materia d’importanza strategicamente fondamentale per lo sviluppo socio econo-

mico della Valle. Per questo ha ritenuto opportuno procedere all’individuazione di alcuni obiettivi

di carattere generale volti soprattutto a evidenziare problemi, criticità e possibili soluzioni, da pro-

porre e concertare con la Provincia ma anche con gli enti territoriali confinati.

Per ciò che concerne la mobilità interna, sono già state messe in campo esperienze positive che il

Comun general s’impegna a valorizzare anche in futuro. Vanno citati in questo senso il sistema di

mobilità invernale (Skibus) e il progetto del Panoramapass (skipass e mezzi pubblici) molto apprez-

zati e in continua crescita.

Il sistema di collegamenti in, tra e fuori valle rappresenta una delle criticità e delle grandi sfide per

il futuro della val di Fassa. In questo contesto deve essere approfondito e studiato un sistema di mo-

bilità pubblica alternativa sull’asse di Valle implementando il servizio attuale e favorendo le con-

nessioni anche con la vicina Valle di Fiemme. Da questo punto di vista è importante condividere le

iniziative che stanno prendendo forma in Fiemme per l’avvento dei mondiali di sci nordico del

2013. Studiando soluzioni che favoriscano l’uso di mezzi sempre meno inquinanti e con nuove tec-

nologie (metano, elettrici e ibridi), favorendo anche la realizzazione di stazioni di approvvigiona-

mento con le nuove fonti energetiche.

Va posta molta attenzione alle iniziative di mobilità verso la valle di Fassa a partire dal progetto

“Metroland” della PAT che potrebbe dare importanti soluzioni. Anche il progetto dell’Associazione

“Transdolomites” va discusso e approfondito per capire se all’interno di entrambe le ipotesi vi sia

una reale possibilità di creare un collegamento ferroviario della val di Fassa con la città di Trento.

Nell’ottica della mobilità alternativa e della sostenibilità si ritiene che gli impianti a fune possano

giocare un ruolo di primaria importanza. I grossi investimenti realizzati dall’imprenditoria impianti-

stica della Valle sono una risorsa importante da mettere in gioco. E’ sempre più importante la fun-

zione degli impianti di risalita anche sotto il profilo della mobilità e degli accessi ai principali passi

dolomitici. Per questo si ritiene strategica la programmazione di queste infrastrutture non solo in

chiave turistica. Infine vanno coordinati gli interventi e favorita la connessione e il collegamento

Page 140: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

140

impiantistico tra le diverse zone della Valle (Alba – Belvedere; Buffaure – Catinaccio; Moena – So-

raga – Passo di Costalunga; Moena – San Pellegrino).

Altro tema molto discusso in questi ultimi anni è legato alla limitazione degli accessi sui passi do-

lomitici soprattutto dalla parte altoatesina. Si ritiene indispensabile giungere a una proposta con-

giunta tra le comunità ladine magari affrontando la questione anche all’interno del tavolo della “Lia

di Comuns Ladins”.

Sul piano della viabilità interna ed esterna alla Valle si sottolineano le seguenti esigenze:

• il necessario completamento delle varianti stradali ai paesi da Soraga a Canazei, dopo la positiva

esperienza di Moena va chiesto che esse siano programmate e inserite nel piano pluriennale del-

le opere stradali della PAT.

• la progettazione di una proposta congiunta a livello di valle per la viabilità delle vallate periferi-

che (Val Duron, Contrin, Monzoni – San Nicolò, Gardeccia, Fuchiade ecc.).

• attivarsi nelle sedi competenti per sollecitare opere di miglioramento della S.S. n. 241 che colle-

ga la val di Fassa con Bolzano e il potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico fra la val di

Fassa e il capoluogo altoatesino attraverso il Passo di Costalunga e la val d’Ega.

15.3 Riqualificazione del patrimonio edilizio

Lo sviluppo turistico dei decenni recenti ha profondamente modificato l’economia e l’assetto terri-

toriale della Valle, inducendo crescita demografica e una poderosa produzione edilizia. Il sistema

insediativo tradizionale è stato modificato pesantemente, con l’abbandono delle attività agricole e la

crescita dell’edificato attorno ai vecchi centri, anche con iniziative di grande dimensione avulse dal

contesto locale. Nel fondo valle, lungo l’asse viario principale, si è creata una conurbazione lineare

che, per numerosi mesi dell’anno, appare disabitata e che rende, in molti casi, irriconoscibili i nuclei

originari.

In particolare, è ai complessi edilizi risalenti agli anni ’60 e ’70 che si deve in gran parte l’enorme

sproporzione oggi esistente tra gli alloggi dei censiti e le seconde case. Il tasso elevato di seconde

case costituisce un fattore rilevante d’alterazione sia del mercato turistico (sbilanciamento verso una

ricettività non imprenditoriale, decadimento qualitativo dell’offerta turistica), sia del mercato im-

mobiliare (alti valori immobiliari, difficoltà per i residenti nell’accesso alla prima casa, alti costi di

realizzazione e gestione di servizi e infrastrutture).

Si tratta di un patrimonio edilizio non utilizzato per gran parte dell’anno e che spesso versa in stato

di degrado. Analoghe situazioni di abbandono e degrado sono rilevabili in diversi insediamenti al-

berghieri e residence che, in anni recenti, hanno cessato l’attività.

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141

A fronte di politiche provinciali che hanno posto un freno a un’ulteriore espansione della residen-

zialità turistica e che stanno fortemente incentivando i temi della sostenibilità ambientale e sociale

dell’abitare, a livello di Comun general si presenta l’opportunità di un ambizioso programma di ri-

qualificazione del tessuto urbano e adeguamento del consistente patrimonio edilizio esistente a cri-

teri di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica. I temi della riqualificazione, gestione e con-

duzione ecosostenibile del patrimonio edilizio stanno assumendo sempre di più il ruolo di priorità

dominante nel mercato immobiliare. Nei prossimi anni costituiranno il segmento più dinamico

dell’intero mercato edilizio.

L’Ente pubblico può incidere significativamente su tale mercato operando sulle leve a sua disposi-

zione: è, infatti, l’ente locale che svolge il ruolo di regolatore (attraverso la pianificazione urbanisti-

ca, le norme e i regolamenti edilizi comunali che vanno omogeneizzati e la fiscalità locale), che

condiziona lo sviluppo del mercato (nel suo ruolo di committente di opere pubbliche e di edilizia

residenziale convenzionata), che promuove l’innovazione nel settore edilizio e immobiliare (attra-

verso norme, incentivi, sistemi di certificazione e garanzia).

15.3 La ricettività turistica extralberghiera

Nel racconto fatto dai testimoni privilegiati intervistati, è stato evidenziato come, questo complesso

tema delle seconde case, possa essere affrontata solo con interventi capaci d’integrare: politiche di

regolazione del mercato immobiliare, interventi di riqualificazione urbanistica, ma anche azioni di

riqualificazione dell’offerta extralberghiera. Vi è, infatti, da evidenziare come una significativa quo-

ta di seconde case presenti in Valle sia di proprietà di residenti. Tali seconde case sono immesse sul

mercato turistico e costituisco un importante fonte d’integrazione del reddito per molte famiglie del-

la Valle. Sono circa 2.544 le seconde case dei residenti immesse sul mercato turistico e complessi-

vamente costituiscono circa il 20% dell’offerta di posti letto turistici a livello locale.

Come più volte evidenziato nel corso delle interviste, la forte disponibilità ricettiva presente in Val-

le da fattore di competitività sembra oggi tramutarsi in un limite allo sviluppo della località.

L’esigenza di riempire un cosi alto numero di posti letto, la frammentane dell’offerta, una domanda

con minore disponibilità di spesa, determinano una concorrenza interna al sistema locale. Gli opera-

tori, sia delle strutture certificate, sia degli alloggi privati, rischiano di innescare una pericolosa spi-

rale competitiva fondata sulla riduzione dei prezzi e una conseguente minore qualità dell’offerta.

Per il bene delle attività esistenti e della redditività che l’intero sistema economico fassano si aspet-

ta dal turismo, andrebbe fatto un ragionamento di selettività e di specializzazione dell’offerta, in

particolare nel settore extralberghiero. Tale segmento di offerta è molto importante per la val di

Fassa, già caratterizzata dalla carenza di modelli d’ospitalità diffusa quali sono gli agriturismi e i

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142

Bed & Breakfast. Ma è proprio la ricettività extralberghiera a soffrire maggiormente dell’aumentato

clima competitivo non disponendo di efficienti strumenti di qualificazione, promozione e commer-

cializzazione. A fronte delle crescenti difficoltà di riempire i propri posti letto, sono molte le struttu-

re private lasciate vuote, anche durante le stagioni turistiche, contribuendo a una generalizzata per-

cezione di abbandono. La minore redditività determina una contrazione degli investimenti e delle

stesse attività di manutenzione degli immobili. Gli operatori e i proprietari sono costretti a rastrella-

re target di clientela sempre più marginali e si dequalifica lo stesso rapporto con l’ospite: prenota-

zioni non garantite, prezzi discordanti da quelli indicati in un primo tempo, alloggi non corrispon-

denti alla descrizione, servizi assenti. Nel comparto degli alloggi privati cresce la quota di mercato

sommerso, al di fuori di qualsiasi forma di controllo statistico e amministrativo. In particolare, è dif-

ficile verificare da parte delle amministrazioni locali lo stato e le condizioni igieniche delle unità a-

bitative utilizzate a fini turistici.

Senza adeguate politiche di governo della residenzialità turistica e di riqualificazione dell’offerta

extra alberghiera è inevitabile che, in breve tempo, una quota rilevante di alloggi vada fuori merca-

to. Per affrontare tali problematiche è necessario un ruolo attivo dei soggetti locali che hanno re-

sponsabilità amministrative e promozionali e che possono intervenire con azioni volte all’emersione

dell’offerta nell’extralberghiero e con politiche di carattere urbanistico e di fiscalità locale. Bisogna

introdurre elementi di competizione che facciano uscire progressivamente dal mercato i soggetti

meno attrezzati, quelli che sopravvivono solo perché oggi il mercato si presenta opaco. Bisogna par-

tire dalla trasparenza dell’offerta e da sistemi di garanzia per il turista. Anche nel settore extralber-

ghiero, così com’è avvenuto nel settore alberghiero, vanno introdotti standard minimi di qualità e

garanzia, a tal fine uno strumento importante potrebbe essere il “Progetto Genziane” introdotto a li-

vello provinciale. Non ultima, è anche l’opportunità di immettere una quota di questo patrimonio

immobiliare sul mercato della prima casa.

15.4 La prima casa per i residenti

Lo sviluppo del settore turistico in val di Fassa ha coinciso - come in altre località turistiche - con lo

sviluppo del settore delle costruzioni: per i turisti la domanda di loisir e di accesso ad amenities pa-

esaggistiche e ambientali si è intrecciata con le opportunità d’investimento in un bene immobiliare.

Tale domanda turistica ha determinato un aumento del consumo di suolo in aree ambientali di pre-

gio e un aumento dei valori immobiliari con conseguenti difficoltà di accesso al mercato della casa

da parte della popolazione residente.

Come evidenziato dalle interviste, le amministrazioni locali hanno fino ad oggi affrontato il pro-

blema della prima casa destinando lotti di terreno a uso residenziale, favorendo la costituzione di

Page 143: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

143

cooperative edilizie e, dove possibile, promuovendo il riuso del patrimonio edilizio esistente vinco-

landolo a prima abitazione. Si tratta di politiche che, al momento, hanno consentito di fornire rispo-

ste puntuali e parziali, che però non sono state in grado d’incidere significativamente sui meccani-

smi di rendita immobiliare che ancora oggi limitano l’accesso alla prima casa.

La stessa edilizia residenziale pubblica è stata finora gestita della Provincia. Il trasferimento al Co-

mun general di tale competenza dovrà essere accompagnato dalla predisposizione di programmi

d’intervento e linee d’indirizzo per il dimensionamento dell’edilizia pubblica e agevolata. L’edilizia

pubblica residenziale rappresenta comunque anch’essa una risposta parziale al problema casa.

L’attuale situazione di crisi internazione - generata proprio dallo scoppio della bolla immobiliare -

unitamente a fattori di pressione sul fronte demografico, sociale ed economico sta oggi profonda-

mente modificando i termini del problema casa, dimostrando come la rigidità di un’offerta tutta ba-

sata sulla casa in proprietà, risulta accrescere le situazioni di disagio abitativo. Ancora oggi, in un

contesto di profondi mutamenti socio-economici (che, hanno coinvolto la produzione, il lavoro, il

welfare) l’offerta del “bene casa” continua a rimanere ancorata ai vecchi schemi dell’abitazione di

proprietà, della rendita immobiliare, di offerte abitative relativamente standardizzate. A fronte di ta-

le rigidità dell’offerta, si assiste oggi a un’evoluzione della domanda d’abitazione, espressa non solo

dalle fasce più deboli della popolazione, ma anche da una fascia sempre più vasta di ceto medio che

con la crisi si è impoverito e ha sempre maggiori difficoltà ad accedere al mercato della casa, senza

comunque possedere i parametri che consentono l’accesso ai programmi di edilizia pubblica resi-

denziale. Si pensi, ad esempio, alle giovani copie di lavoratori precari e alle loro famiglie che hanno

sempre maggiori difficoltà nel sostenerli nell’acquisto della prima casa.

Tali mutamenti socio-economici suggeriscono l’opportunità d’incentrare le politiche della casa

sull’affitto, piuttosto che sulla casa in proprietà, enfatizzando il ruolo dell’abitazione come servizio.

In tale direzione vanno ad esempio le recenti politiche di social housing - avviate anche a livello

provinciale - che in virtù della loro capacità d’integrare gli aspetti di sostenibilità ambientale, eco-

nomica e sociale possono rappresentare un’efficace risposta al problema della prima casa in aree a

forte tensione abitativa, qual è appunto la val di Fassa.

15.5. La valorizzazione dei paesi

Un processo di valorizzazione e diversificazione dell’offerta turistica in val di Fassa deve necessa-

riamente passare per un processo di riqualificazione, non solo del patrimonio edilizio esistente, ma

anche del tessuto urbano. Le interviste condotte nell’ambito della presente indagine hanno bene e-

videnziato come gli aspetti di vivibilità, di servizio e di percezione del tessuto urbano rappresentino

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144

oggi le principali problematiche della località. Nei periodi di maggior afflusso turistico gli ospiti ri-

trovano l’affollamento, il traffico, il rumore, l’inquinamento che hanno lasciato in città, in una sorta

di trasposizione dei modelli di vita cittadina in montagna.

La specializzazione spinta dell’offerta turistica sulla monocultura dello sci, in una logica che può

essere definita industriale - incentrata su una logistica spersonalizzata dei flussi turistici -, rischia di

livellare quegli elementi culturali e di qualità sociale e ambientale che creano turismo. Nel periodo

di forte crescita del fenomeno turistico tali aspetti sono stati in parte trascurati ma oggi vanno recu-

perati in considerazione del fatto che assumono un ruolo importate nel completamento delle offerte

della località e nel fornire risposta ai bisogni di un’importante quota di turisti non interessati alla

pratica dello sci. L’esigenza è sviluppare un sistema articolato ma integrato di offerte capaci

d’intercettare una domanda sempre più segmentata e sempre più alla ricerca di elementi di autentici-

tà, di quei ritmi di vita più lenti, e quindi più umani, che ci si attende dal soggiorno in una località di

montagna.

La qualità di vita nei paesi è un aspetto fondamentale dell’offerta turistica. La montagna è per defi-

nizione un luogo di soddisfacimento di bisogni post acquisitivi, di ambiente, di benessere, di cultu-

ra, di relazioni sociali. La montagna si presta a essere un luogo di produzione di cultura e socialità,

sia per la ricchezza di ambienti e contenitori che possono fare da scenario a questi eventi, (centri

storici, edifici di valore storico), sia per la ricchezza del tessuto di relazioni sociali. Ma l’offerta che

la montagna è in grado di produrre va infrastrutturata, articolata, integrata, confezionata, resa fruibi-

le al turista e a chi vive in questi luoghi. La qualità dei paesi, la rivitalizzazione delle relazioni so-

ciali, l’incremento di offerte di consumo culturale, l’accesso ai servizi, devono essere tra gli obietti-

vi primari del piano territoriale di comunità.

I progetti di circonvallazioni e parcheggi sono oggi un’importante occasione per togliere il traffico

dai paesi ma tali progetti devono essere integrati con una serie articolata d’interventi. Recuperare e

riservare ai pedoni i centri storici; curare l’arredo urbano; valorizzare elementi tipici della vita di

paese come possono essere gli orti e i giardini privati; valorizzare le botteghe artigiane, i negozi e i

ristoranti con i prodotti del territorio; valorizzare gli spazi pubblici, sia all’aperto, sia al chiuso; rea-

lizzare le piste ciclabili; ampliare gli orari d’apertura dei servizi commerciali, di musei e bibliote-

che; riservare al turismo un’ospitalità “calda”; realizzare nelle scuole programmi di educazione al

gusto, all’estetica e all’ospitalità; sono tutti programmi che le amministrazioni pubbliche devono at-

tuare se si vuole fondare la strategia di sviluppo del territorio sulla valorizzazione delle differenze e

della qualità.

Page 145: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

145

15.6 Tutela e valorizzazione del territorio agricolo

Gli alti livelli di consumo di suolo rappresentano oggi una delle principali problematiche per la pro-

grammazione urbanistica. Tali problematiche sono particolarmente evidenti in un territorio montano

come quello fassano, dove la scarsità di suolo edificabile nei fondovalle produce conflittualità tra i

diversi modelli d’uso del territorio: agricoltura, residenza, turismo, infrastrutture, insediamenti pro-

duttivi. Come evidenziato nei punti precedenti, le politiche edilizie in val di Fassa andrebbero indi-

rizzate alla riqualificazione e al riuso del consistente patrimonio edilizio esistente, riducendo al mi-

nimo le nuove espansioni urbanistiche e destinando i suoli di fondovalle all’attività agricola. Tale

politica trova quattro fondamentali motivazioni. La prima è l’effettiva carenza di suoli lasciati liberi

dalle urbanizzazioni. La seconda riguarda la percezione del contesto paesaggistico in un’area di

grande pregio ambientale e a forte vocazione turistica. La terza riguarda la valorizzazione

dell’attività agricola in un’ottica di diversificazione e maggiore integrazione dell’economia di Valle.

La quarta motivazione riguarda il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo che l’agricoltura

svolge nella manutenzione del territorio montano.

L’agricoltura in val di Fassa è stata considerata per decenni il retaggio di un’economia di sussisten-

za che non poteva certo convivere con la modernità dell’emergente economia turistica. La domanda

di aree edificabili ha portato alla contrazione dei terreni destinati all’agricoltura e a una rapida con-

versione delle attività agricole in attività turistiche. Nonostante ciò, a partire dal 2000, si rileva

un’inversione di tendenza, grazie a nuovi investimenti da parte di giovani agricoltori. Il ricambio

generazionale nel settore agricolo, specificamente zootecnico, è stato fortemente sostenuto

dall’Amministrazione provinciale, sia attraverso l’erogazione di finanziamenti, sia tramite il soste-

gno fornito allo sviluppo di attività complementari (agriturismo, ecc.) in grado d’integrare significa-

tivamente il reddito d’impresa. La specializzazione zootecnica dell’agricoltura locale è dovuta al

fatto che la gran parte del territorio giace tra i 1000 e i 2000 m. s.l.m., le colture praticabili sono

quasi unicamente rappresentate dai prati e dai pascoli e quindi l’allevamento del bestiame rappre-

senta la principale forma di sfruttamento economico razionale del territorio. Il fondovalle, lasciato

libero dalle edificazioni, presenta terreni fertili con superfici a prato, utilizzate per produrre le scorte

invernali di fieno dalle aziende zootecniche. Tali caratteri evidenziano l’opportunità di specifiche

politiche orientate al sostegno dell’attività zootecnica, in particolare rispetto alla valorizzazione e

gestione dei suoli nel fondovalle. In tale ottica le politiche territoriali del Comun general dovrebbe-

ro essere dirette a favorire l’insediamento di nuove aziende agricole, a perseguire una più razionale

sfruttamento delle risorse foraggere del territorio, a incentivare le azioni di bonifica realizzate dalle

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146

imprese in aree in cui sia possibile lo sfalcio meccanizzato e a perseguire una razionale distribuzio-

ne dei liquami sui terreni al di fuori dei periodi di maggiore presenza turistica.

15.7 L’uso sostenibile delle risorse forestali e montane

L’economia della manutenzione diviene centrale per i territori che devono le potenzialità del loro

sviluppo al fatto di essere ecologicamente attrattivi. La capacità di produrre turismo partendo dalle

specificità locali, è un obiettivo che pone il territorio e la sua manutenzione al centro di una sempre

maggiore attenzione e che rimanda al ragionare su cosa significhi oggi l’agricoltura di montagna e

la dimensione ecologica del bene territorio. Gli aspetti di gestione del territorio non riguardano solo

le aree di fondovalle, ma si allargano agli ambiti forestali e montani.

Anche rispetto a tali ambiti l’agricoltura svolge un essenziale ruolo di manutenzione del territorio.

Risalendo di quota il pascolamento si estende all’interno di aree prevalentemente forestali in cui la

copertura erbacea e arborea possono essere compresenti in proporzioni diverse. Tali pascoli di mez-

za montagna sono quelli più soggetti a inselvatichimento. La superficie forestale è estesa ed è rile-

vante la quota di proprietà privata. Negli ultimi decenni il bosco si è espanso arrivando a lambire le

aree di fondovalle, diversi attori nel corso delle interviste hanno sottolineato l’opportunità di ristabi-

lire la “linea del bosco” attraverso accordi con i proprietari dei terreni e l’azione di manutenzione e

di bonifica svolta delle aziende zootecniche locali. La stessa filiera foresta legno è debole e richiede

azioni forti di rilancio al fine di valorizzare le funzioni economiche ma anche il ruolo del bosco per

l’identità locale, la salvaguardia del paesaggio e dell’ecosistema, le funzioni turistiche.

Alle quote maggiori si collocano gli alpeggi che potrebbero svolgere un ruolo maggiore nel sistema

economico e ambientale dell’area. Dal punto di vista ambientale i pascoli d’alpe sono degli ecosi-

stemi stabilizzati per l’instaurarsi di un equilibrio tra risorse naturali e presenza degli animali

d’allevamento nella stagione vegetativa, garantendo una serie di funzioni ambientali quali: la regi-

mazione delle acque, il contenimento dei rischi d’incendio e di valanghe e la salvaguardia della bio-

diversità. Nel corso dei primi anni ’90 si era evidenziata una significativa tendenza all’abbandono

della pratica dell’alpeggio che ha determinato la dismissione di alcune malghe e la comparsa di se-

gnali di compromissione dell’ambiente e del paesaggio causati dall’incuria. Per far fronte

all’emergere di queste problematiche l’amministrazione provinciale di Trento ha attivato una serie

di misure (finanziate con i Fondi Strutturali dell’U.E. attraverso il PSR) finalizzate a invertire tale

tendenza. Gli interventi messi in atto dalla pubblica amministrazione, insieme alle nuove opportuni-

tà di reddito legate allo sviluppo dell’agriturismo e della vendita diretta dei prodotti dell’alpeggio,

sembrano aver sortito l’effetto desiderato: nell’ultimo decennio il numero di capi monticati è in con-

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147

tinua crescita dimostrando come le aziende zootecniche locali abbiano nella monticazione estiva

uno dei fattori strategici di redditività.

Chiaramente il tema della manutenzione del territorio non può essere totalmente delegato all’ancora

debole struttura agricola locale, ma chiama in causa interventi di più vasta portata. Recuperare gli

elementi distintivi del territorio significa anche valorizzare gli elementi caratteristici del paesaggio e

sperimentare nuovi modelli di turismo sostenibile. Su tali temi, le esperienze e il dibattito che si è

sviluppato a livello locale, riguardano in particolare due luoghi emblematici delle Dolomiti: la

Marmolada e il Catinaccio. In entrambi gli ambiti è stato avviato un percorso si ripensamento criti-

co sui modelli d’uso dell’alta montagna. E’ in particolare l’esperienza della Cordanza del Ciadenac

a costituire un modello di buone pratiche nella gestione delle terre alte, da replicare in altri contesti

d’analoga valenza ambientale.

Va infine citata l’opportunità costituita delle “Reti di Riserve” previste dalla Legge provinciale

11/07 per valorizzare al meglio il patrimonio provinciale di biodiversità attraverso una gestione de-

centrata, tramite le comunità locali. A seguito di specifici accordi di programma con la Provincia

autonoma di Trento i Comuni o le Comunità di Valle possono assumere la competenza gestionale

dei siti di Natura 2000 in ossequio al principio della “sussidiarietà responsabile”. Sotto la regia

complessiva della Provincia, che rimane garante della conservazione e dei processi autorizzativi nei

confronti dell’U.E., le Reti di riserve potranno più agevolmente elaborare piani di gestione integrati,

in cui le politiche di conservazione dialoghino con l’agricoltura e il turismo, attivando poi le azioni

di tutela attiva e i progetti di valorizzazione socio-economica compatibile basati sui servizi ecosi-

stemici di Natura 2000. A questo fine il progetto, tra le azioni dimostrative, contempla

l’elaborazione di specifici progetti di sviluppo locale integrato.

15.8 La competitività del sistema turistico

Il recente processo d’apertura dei mercati ha fatto della Valle di Fassa un “distretto turistico globa-

lizzato”, ponendola al centro di nuovi flussi turistici internazionali e in concorrenza con nuove de-

stinazioni, non necessariamente montane. La val di Fassa si trova oggi a dover fronteggiare una

molteplicità di scenari competitivi riguardanti sia i paesi di provenienza dei turisti, sia le motivazio-

ni della vacanza. Le Dolomiti continuano a essere un eccezionale fattore d’attrazione, come lo sono

le eccellenti strutture sciistiche dell’area. Da più parti però ci si chiede se l’attività sciistica, pratica-

ta in un contesto ambientale unico al mondo, sia sufficiente a definire l’identità della località e con-

tinuare a garantire i flussi turistici del passato. Le statistiche su arrivi e presenze in questo momento

non aiutano a dare una risposta a questi quesiti. I costanti trend di crescita dei decenni trascorsi,

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148

nell’ultima stagione invernale hanno subito una battuta d’arresto. Gli attori locali s’interrogano

(fornendo risposte diverse) se questo sia un dato contingente, dovuto alle condizioni climatiche e

alla crisi finanziaria globale, o se sia il segnale di un’inversione di tendenza. Al di là del dato stati-

stico, esiste comunque la percezione diffusa di una crescente difficoltà a stare sul mercato con

l’attuale modello d’offerta. L’esigenza di riempire il considerevole numero di posti letto, al fine di

remunerare gli investimenti effettuati e far fronte ai mutui bancari, impone alle aziende alberghiere

strategie d’offerta low cost e la necessità di affidarsi ad agenzie internazionali che organizzano

l’incoming alberghiero trattenendo consistenti quote di valore per l’intermediazione. La concorren-

za delle vicine località altoatesine e austriache erodono quote di mercato, con particolare riferimen-

to ai flussi pregiati del turismo italiano e tedesco. Le imprese alberghiere locali stanno poi vivendo

un delicato momento di ricambio generazionale che ha già comportato la chiusura di alcune aziende

o la loro cessione a operatori esterni alla valle. Tutto questo costituisce un serio motivo di preoccu-

pazione per gli operatori locali. La riflessione sugli errori del passato porta a interrogarsi sul futuro

assetto della Valle, alla ricerca di una difficile mediazione tra una pur sempre necessaria gestione

dei flussi quantitativi, (che richiede altri investimenti e trasformazioni territoriali), e una riqualifica-

zione e diversificazione del sistema d’offerta, che però al momento si presenta dagli esiti incerti.

“Riqualificare nella continuità” appare essere la parola d’ordine su cui convergono le strategie degli

attori locali. Emerge l’esigenza di una programmazione che, attraverso il coinvolgimento degli ope-

ratori, sia un grado di perseguire un corretto e indispensabile equilibrio tra potenzialità sciistiche,

potenzialità ricettive e dotazione di servizi e infrastrutture. Accanto a ciò emerge l’esigenza di avvi-

are un progressivo processo di diversificazione, sperimentando nuovi segmenti d’offerta turistica. Il

tutto in una logica di salvaguardia e valorizzazione delle peculiarità ambientali e sociali del contesto

e della qualità dell’offerta turistica.

15.8.1 La piattaforma turistica delle Dolomiti e il riconoscimento dell’Unesco

Globalizzazione, per la val di Fassa, ha significato l’apertura ai mercati extraeuropei e un ruolo cre-

scente svolto dai tour operator internazionali. Tale processo ha però anche evidenziato un problema

irrisolto di governo dei flussi turistici. Con l’apertura dei mercati i flussi si sono fatti mobili, inco-

stanti, addirittura effimeri, la condizione dello spazio in cui si vive e si lavora è sempre più quello

dell’incertezza. I nuovi sciatori provenienti da paesi dell’Est non sono considerati una clientela sta-

bile e affidabile su cui costruire un nuovo e duraturo sistema locale d’offerta. Perseguire una strate-

gia d’adeguamento dell’offerta alla domanda, al fine di renderla fedele alla località come fino ad

oggi è stato fatto con la tradizionale clientela italiana e tedesca, non appare più un’opzione strategi-

ca.

Page 149: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

149

Allo stato attuale in val di Fassa coesistono molteplici canali promozionali e di penetrazione dei

mercati esteri e tutti gli attori, chi più chi meno, sono in grado di sfruttarli. Alcuni (rari) grossi ope-

ratori riescono a costruire strategie comunicative complesse, riuscendo in questo modo ad affermare

i propri marchi aziendali sul mercato internazionale. I moltissimi operatori più piccoli cercano di

massimizzare risorse scarse, ma non sempre riescono a costruire una strategia matura in grado di

portare a risultati soddisfacenti.

L’allungamento delle reti di mercato e il venir meno di un rapporto di fidelizzazione tra l’operatore

e il turista ha indotto, in molte strutture, un crescente ricorso all’intermediazione come strumento in

grado di attivare significativi flussi turistici ma che, di fatto, ha spostato al di fuori dell’area - a li-

vello internazionale - il baricentro della creazione del valore e del controllo del mercato. Nei nuovi

modelli di business del turismo internazionale le imprese di piccola e media dimensione, come

quelle della val di Fassa, fanno fatica a presidiare il processo di produzione del valore all’interno di

filiere che, essendo diventate globali, si estendono molto al di là del loro controllo diretto, mettendo

quasi sempre in campo operatori di grande dimensione, dotati di un potere contrattuale non confron-

tabile con quello dei piccoli operatori locali. Il necessario e crescente ricorso all’intermediazione ri-

chiede quindi che i singoli operatori non siano lasciati soli, ma che vi sia un ruolo degli attori collet-

tivi, in primo luogo l’Associazione albergatori e l’Apt, nell’assistere i piccoli e medi operatori nella

negoziazione con i tour operator e nella definizione di linee guida contrattuali in grado di tutelarli

maggiormente. E’ oggi necessario fornire agli operatori risorse comunicativa alte, strutture e stru-

menti di direct marketing, adeguate a un mercato che si è fatto globale, e a cui questi operatori oggi

non possono o non sono in grado d’accedere.

Nessuna strategia promozionale al momento appare inoltre in grado di definire con forza un brand

di territorio capace di stare al passo con una competizione che si è fatta globale. Un prodotto turisti-

co - per quanto qualificato come quello della val di Fassa - non necessariamente costituisce un

brand riconosciuto a livello globale. La stessa strategia competitiva in cui è inserita la val di Fassa è

ancora oggi giocata tra localismi: trentini, altoatesini e veneti. A fronte di tale situazione, risulta og-

gi strategico costruire un sistema di “piattaforma territoriale” in cui la rete degli operatori e dei terri-

tori converga verso un’azione promozionale congiunta su l’unico brand effettivamente riconosciuto

sul mercato turistico globale, qual è quello delle Dolomiti.

A livello locale già si sente l’esigenza di costruire una strategia d’area vasta finalizzata a rafforzare i

fattori di competitività all’interno del comprensorio dolomitico. In tale direzione può, infatti, essere

ricondotto il confronto aperto tra territori trentini nell’ambito della “Rete Dolomitica”. Il recente ri-

conoscimento dell’Unesco delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità, è in grado di rafforzare

tale strategia comunicativa, allargando la rete degli operatori e dei territori a livello sovra provincia-

Page 150: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

150

le. La sfida consiste nel mettere in campo azioni per la valorizzazione della natura e della salva-

guardia delle Dolomiti attivando ogni forma e opportunità di turismo e di sviluppo responsabile.

L’opportunità costituta dal riconoscimento Unesco va in tal senso valorizzata, incrementando le ini-

ziative d’informazione e partecipazione della cittadinanza.

Le iniziative istituzionali, politiche e culturali volte a fare rete all’interno della piattaforma turistica

delle Dolomiti costituiscono comunque solo un tassello di una strategia comunicativa e promozio-

nale d’area vasta. Un’efficiente strategia di promozione a livello internazionale ha bisogno anche di

reti di carattere economico. Il nostro “capitalismo di territorio” fatto di tanti piccoli operatori ha bi-

sogno di fare alleanza con il moderno “capitalismo delle reti” capace di connettere l’economia loca-

le alla simultaneità del globale. Come sottolineato in diverse interviste, Dolomiti Superski è attual-

mente l’unica realtà economica capace di fare rete all’interno del comprensorio dolomitico. Se Do-

lomiti superski sia il soggetto adatto a svolgere un’azione promozionale di area vasta, in grado di

canalizzare e gestire i flussi turistici a livello locale, è ancora presto per dirlo. E’ comunque a tale

modello di rete economica, capace di tenere assieme e valorizzare i diversi localismi, che bisogna

fare riferimento per consentire alla località d’affrontare la complessità dei mercati globali.

15.8.2 La qualificazione dell’imprenditorialità turistica

I forti investimenti nel costante processo di qualificazione delle strutture alberghiere hanno indotto

una diffusa condizione d’indebitamento delle aziende che oggi sono alla ricerca di una redditività

degli investimenti, perseguendo (o subendo) anche i modelli d’offerta low cost. La piccola dimen-

sione di gran parte delle imprese alberghiere, gli alti investimenti che si sono resi necessari per of-

frire servizi di maggiore qualità e i minori margini di redditività, inducono uno stato di crisi del set-

tore cui si cerca di far fronte con proposte di creazione di reti d’impresa e di maggiore specializza-

zione degli esercizi su flussi turistici diversificati.

Diverse sono anche le situazioni di crisi aziendale conclamate per le quali ci si attende interventi i-

stituzionali analoghi a quelli adottati, a livello provinciale, per le industrie manifatturiere in crisi al

fine di prevenire acquisizioni da parte di soggetti economici esterni alla valle.

Tali problematiche sono il frutto di uno sviluppo per certi versi impetuoso e spontaneistico che,

all’interno di gran parte delle strutture, non è stato accompagnato da un processo di adeguata pro-

fessionalizzazione e crescita imprenditoriale. Formazione, successione imprenditoriale e competen-

ze coinvolte nel processo produttivo, appaiono oggi ulteriori nodi evolutivi del comparto e

dell’intera economia locale.

In particolare, il momento della successione nella proprietà e nella conduzione d’impresa rappresen-

ta oggi una fase cruciale nella vita delle imprese alberghiere fassane. Il problema in molti casi è in-

Page 151: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

151

dividuare a chi passare il testimone della gestione aziendale: le doti dei fondatori non sono imme-

diatamente trasmissibili ai figli, e una quota rilevante di questi ha altre vocazioni o non è disponibi-

le a replicare i sacrifici dei padri.

In un contesto territoriale, caratterizzato da un tessuto diffuso di piccole e medie realtà alberghiere,

il passaggio di testimone al vertice di molte imprese assume valore di fenomeno plurale, in quanto,

(dopo la fase di crescita che ha coinvolto la prima generazione d’imprenditori), avviene contestual-

mente in un elevato numero d’imprese. L’impresa appartiene certamente alla famiglia del fondatore,

ma in senso lato appartiene anche a chi vi lavora, alla comunità che l’accoglie, a quelli che gli an-

glosassoni chiamano gli stakeholder, i portatori d’interesse nei riguardi dei suoi destini e delle sue

prestazioni economiche e sociali. Una volta uscito dal chiuso della famiglia, il problema della suc-

cessione diventa quello della continuità di un modello imprenditoriale diffuso e assume una dimen-

sione sia economica, sia sociale, che interessa l’intera comunità. Da più parti emerge l’esigenza di

un progetto capace di porre in termini innovativi il tema della successione imprenditoriale nelle

strutture alberghiere della valle, visto non in termini traumatici, ma nei termini di una dinamica evo-

lutiva dell’economia locale. La continuità delle imprese va vista anche nella prospettiva degli attori

istituzionali ed economici della Valle che possono fornire idee e risorse e strumenti, anche quando

la famiglia non sia più in grado di assicurare alternative al fondatore. Alleanze tra imprese, scambio

d’esperienze tra famiglie, forme evolute di finanziamento, “patti di famiglia” per affrontare gli a-

spetti giuridici e finanziari che la successione comporta, apertura alle competenze professionali e-

sterne alla famiglia: sono tutti strumenti che possono in tal senso dare buoni risultati.

Oltre alla successione imprenditoriale il tessuto alberghiero locale esprime anche un più generale

problema di competenze e disponibilità di manodopera qualificata. Nell’ultimo decennio il mercato

del lavoro nel settore turistico alberghiero sembra essersi caratterizzato per l’aggravarsi di alcune

problematiche, in particolare per quanto riguarda l’impiego di manodopera. A essere entrato in crisi

è un modello imprenditoriale a gestione familiare in cui la divisione dei compiti aziendali è poco

formalizzata. Alla crescente disaffezione delle giovani generazioni per l’attività turistica, si affianca

la crescente necessità di ricorrere a manodopera proveniente da fuori valle, chiamata spesso a svol-

gere funzioni in rapporto diretto con l’utenza senza una specifica competenza su quelle che sono le

peculiarità del contesto locale. Il risultato di tale processo evolutivo è l’elevato turnover del perso-

nale, con basso impiego di manodopera locale specializzata e un alto impiego di manodopera immi-

grata a bassa qualificazione.

L’esigenza di personale e servizi qualificati si manifesta anche all’esterno dell’azienda alberghiera e

coinvolge l’intero settore turistico della valle. La dispersione delle risorse umane locali in settori

non attinenti l’offerta turistica è una tendenza che in val di Fassa deve essere invertita, anche se è

Page 152: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

152

verosimile affermare che l’appeal di professioni tipicamente stagionali e generalmente poco quali-

ficate tenda a essere sempre meno convincente nei confronti della forza lavoro giovanile che punta

certamente a un’occupazione stabile, garantita e maggiormente qualificata. Di contro va anche evi-

denziato come il turismo, proprio per il suo carattere immateriale e simbolico, richieda professiona-

lità sempre più complesse e qualificate fondate sulla comunicazione, il marketing a livello interna-

zionale, l’intrattenimento, la generazione di esperienze ed emozioni. Si tratta di un mercato fatto di

cultura e creatività in cui i giovani possono trovare qualificate occasioni d’occupazione e auto im-

prenditorialità. La gestione del sistema turistico, culturale, ambientale ha bisogno di nuove profes-

sionalità: organizzatori di eventi, animatori turistici, operatori culturali, divulgatori scientifici, e-

sperti di marketing, accompagnatori di territorio, istruttori sportivi, operatori del wellness, ristorato-

ri di alto livello, agricoltori e artigiani capaci di valorizzare e reinterpretare le produzioni locali. Sia

le problematiche relative alla successione imprenditoriale nelle strutture alberghiere, sia quelle rela-

tive alla necessità di sviluppare un adeguato sistema di servizi innovativi nel turismo, impongono

alle istituzioni e agli attori collettivi della val di Fassa l’attivazione di un programma d’interventi

volti a sostenere la creatività e l’imprenditorialità giovanile.

15.8.3 La diversificazione dell’offerta turistica

L’apertura dei mercati ha portato con sé una maggiore articolazione dei comportamenti e delle a-

spettative dei turisti, rispetto ai quali il contesto locale cerca di reagire con strategie di adeguamento

dell’offerta, non ancora pienamente compiute. Se i fattori che determinano l’attrattività del contesto

possono rimanere costanti – in particolare l’attività sciistica svolta in un contesto di grande pregio

paesaggistico - la mutazione dell’ambiente competitivo impone alla località una strategia di destina-

tion management che aiuti ad affrontare il cambiamento, in particolare per quanto riguarda la cre-

scente segmentazione della domanda turistica.

Al di la delle specificità del turismo invernale ed estivo, ben evidenziate nel racconto dei testimoni

intervistati, la vera sfida è avere la capacità di interpretare e anticipare i mutamenti della domanda.

Se la domanda del turista (non importa se invernale o estivo) si fa sempre più complessa e diversifi-

cata, è l’offerta che deve essere in grado di recepire e tradurre questa complessità in prodotti e ser-

vizi che appaghino per quanto possibile questi bisogni e desideri. I turisti, lungi dall’essere folla in-

differenziata, tendono ad aggregarsi per stili e gusti corrispondenti ad altrettanti flussi culturali, do-

tati di senso e significato, che consentono il reciproco riconoscimento come parte della medesima

comunità (del sentire, del gusto, dello sport, della natura, della cultura, del benessere, ecc.). Il clien-

Page 153: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

153

te non è più solo un fruitore di servizi d’intrattenimento, ma è anche un produttore di segnali e di

tendenze di consumo che vanno colte e trattate come informazioni strategiche da immettere nel si-

stema dell’offerta. Da ultimo anello della catena del valore, il cliente, con la sua domanda eteroge-

nea e diversificata, si colloca oggi a monte della nuova filiera produttiva. I suoi desideri, i suoi bi-

sogni, (non solo materiali), generano attorno ad esso una ragnatela del valore che incorpora a sé

una molteplicità di nuove funzioni e specializzazioni che scoprano questi bisogni, li analizzino, li

codifichino e, infine, li soddisfino. È evidente come un simile paradigma porti verso la progressiva

segmentazione di un “mercato di massa”, in una “massa di mercati” composta da una moltitudine di

nicchie. Leggendo la situazione in chiave di marketing strategico, si può affermare che la destina-

zione si trova oggi in una situazione in cui la possibilità di rivitalizzare l’offerta dipende dalla capa-

cità di sviluppare un’offerta complementare a quella esistente. È necessario, quindi, un ampliamen-

to del portafoglio prodotti che consenta di affiancare a quelli tradizionali, frutto di un processo path

dependance, prodotti innovativi in grado di suscitare l’interesse – e la disponibilità alla spesa – del

mercato tradizionale di riferimento, e di nuovi segmenti di domanda. Alcuni segnali in tal senso

cominciano a evidenziarsi nel contesto locale, in particolare nell’offerta gastronomica di qualità,

nello sviluppo di forme di turismo rurale, in nuovi modelli di fruizione sportiva e ambientale.

Il vero obiettivo per la località è superare un modello d’offerta codificata e relativamente standar-

dizzata (per lo meno per quanto riguarda l’offerta invernale) per unire e integrare diverse competen-

ze e per offrire al cliente un prodotto complesso, concepito in una logica di global service. Una po-

litica di valorizzazione dell’offerta turistica passa, infatti, attraverso un processo d’integrazione del-

le diverse offerte, in sostanza, il territorio deve iniziare a promuovere se stesso nella sua complessi-

tà: il territorio, il prodotto tipico locale, il ristorante, l’albergo, l’impianto di risalita, l’artigianato

tradizionale, l’offerta culturale, la pratica sportiva, la manutenzione e la fruizione dell’ambiente, so-

no un unico prodotto e come tale va venduto.

L’attenzione alle esigenze della domanda e la diversificazione e integrazione dell’offerta sono quin-

di le parole chiave su cui lavorare. Chiusa l’era dell’egemonia del turismo di massa, generalista e

monoculturale, si apre una fase nuova. Non di transizione al post-industriale, ma di reinvenzione di

un’economia del terziario del turismo, da intendersi nel senso più ampio. In una parola, non più il

turismo ma i turismi.

Da questo punto di vista l’offerta turistica della val di Fassa, così come emersa dal racconto dei

soggetti intervistati, si trova oggi nella necessità, solo apparentemente contraddittoria, di fare un

“passo avanti” e di fare “un passo indietro”. Il passo avanti riguarda la necessità di strutturare la

propria offerta entro i canoni del turismo internazionali, adeguando la propria dotazione

d’infrastrutture e servizi, riqualificando la propria offerta ricettiva su parametri di maggiore esclusi-

Page 154: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

154

vità, (quantomeno al pari dei più diretti concorrenti austriaci e altoatesini), e dotandosi di quegli

strumenti di marketing oggi necessari per competere sul mercato globale. Il passo indentro riguarda

la necessità di recuperare quella dimensione identitaria di territorio che rende unica e non riproduci-

bile l’offerta della località. La sfida che oggi attende il territorio è davvero quella di “ricordare il

futuro”. Si tratta di recuperare e valorizzare quelle competenze distintive e originali, di ordine socia-

le culturale ambientale, che sempre più ruolo hanno nell’intercettare una domanda nuova e diver-

samente segmentata, i cui flussi sono sempre più influenzati da fattori inerenti la qualità, la diversi-

tà, l’autenticità dell’offerta e dagli elementi di ordine culturale, edonistico e ambientale.

15.9 Integrazione (e diversificazione) dell’economia locale

Il processo d’integrazione di cui necessità la val di Fassa, non riguarda solo i diversi segmenti

dell’offerta turistica, ma anche quei settori economici complementari al turismo, quali sono

l’agricoltura, l’artigianato, i servizi, che oltre a contribuire a qualificare l’offerta turistica e ambien-

tale della località, possono diversificare, e quindi rendere più solide, l’economia locale e le stesse

forme di convivenza sociale.

L’esigenza d’elaborare un’offerta turistica più ricca e complessa si scontra con l’eccessivo grado di

specializzazione dell’economia locale. Commercio, agricoltura, artigianato, per debolezze intrinse-

che o per le caratteristiche del modello d’offerta turistica dominante (in quest’ambito le motivazioni

fornite dagli attori intervistati divergono), difficilmente riescono a svolgere un ruolo complementare

all’offerta turistica. Il circuito d’offerta turistica, in particolare nella sua versione invernale (che è

quella detta l’assetto organizzativo della località), si concentra nella ricettività, nell’attività sciistica,

nella ristorazione e in attività complementari (divertimento, wellness, ecc.), spesso svolte

nell’ambito degli stessi alberghi.

Al di fuori del circuito alberghiero, s’individua una carenza d’offerta territoriale che alcuni attori at-

tribuiscono a una specifica volontà di concentrazione dell’offerta – e quindi del business – da parte

delle strutture alberghiere più grosse, mentre altri attori imputano a una carenza d’imprenditorialità

nei settori complementari. Emblematico è il caso del commercio, accusato di non essere in grado di

rivitalizzare i centri storici e di non sapere intercettare i gusti del turismo affluente, sia per quanto

riguarda l’offerta di prodotti locali, (particolarmente apprezzati dalla clientela italiana), sia per

quanto riguarda l’offerta dei marchi affermati del Made in Italy, (particolarmente apprezzati dai tu-

risti dell’Est).

Deboli sono anche le integrazioni tra il settore primario e il settore turistico. Ciò è chiaramente im-

putabile alle debolezze intrinseche dell’agricoltura in Valle. Ma anche estendendo il bacino

Page 155: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

155

d’approvvigionamento a livello provinciale gran parte dell’economia turistica locale, stando al rac-

conto di molti testimoni privilegiati, per questioni di costo e di disponibilità di prodotti, predilige i

canali di approvvigionamento Ho.re.ca. (Hotel, Restaurant, Catering) a scapito della tipicità

dell’offerta gastronomica trentina.

Se la perifericità della Valle e le carenze logistiche possono spiegare la scarsa presenza di attività

manifatturiere, difficilmente tali dati possono giustificare la carenza di attività di servizio. Appaiono

inspiegabilmente contenute le attività artigianali in quei settori che possono svolgere un importante

ruolo di supporto all’economia turistica, come ad esempio: il settore alimentare, quello del benesse-

re e quello dei trasporti. Come avviene per i prodotti agro alimentari, le reti di fornitura di servizi

alberghieri raramente coinvolgo imprese locali per rivolgersi prevalentemente all’esterno dell’area,

principalmente Alto Adige e Veneto, ma anche la vicina val di Fiemme. La mancanza di

un’adeguata offerta locale di servizi essenziali, come ad esempio quelli di lavanderia, costringe gli

alberghi a rivolgersi alla vicina val di Fiemme. Carente è anche un artigianato artistico che, al pari

della vicina val Gardena, sia in grado di arricchire l’offerta turistica locale. Solo nel campo dei ser-

vizi informatici sono stati segnalati casi di una timida crescita imprenditoriale a livello locale, dopo

un lungo periodo in cui anche questi servizi erano acquisiti all’esterno della Valle e dello stesso

Trentino. Tali dati sottolineano, ancora una volta, la scarsa integrazione del tessuto economico loca-

le ed evidenziamo come lo stesso artigianato rappresenti un settore di risulta in un contesto tradi-

zionalmente vocato al turismo. Ancora una volta la scarsa integrazione della filiera produttiva locale

trova due contrapposti elementi di spiegazione: da un lato la carenza di adeguati servizi (e in so-

stanza d’imprenditorialità) sul territorio; dall’altra la scarsa propensione del settore turistico a fare

filiera produttiva a livello locale. L’unica vera e forte integrazione tra turismo e artigianato la tro-

viamo nel settore edile. L’edilizia è fortemente legata agli andamenti del settore turistico e questo

sembra aver messo, (fino ad oggi), il settore edile al riparo dalla crisi, perlomeno per ciò che riguar-

da le piccole attività di manutenzione. Gli attuali ridotti livelli di produzione edilizia, riconducibili a

politiche urbanistiche provinciali e alla crisi finanziaria globale, pongono comunque importanti in-

terrogativi sulla tenuta del settore delle costruzioni, in particolare per quanta riguarda le aziende di

maggiore dimensione. A fronte di tali situazioni, appare evidente come la crescita di settori econo-

mici complementari al turismo e una maggiore integrazione dell’economia locale debbano essere tra

gli obiettivi fondamentali del processo di programmazione socio economica della comunità.

15.9.1 La valorizzazione dell’agricoltura locale

Page 156: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

156

E’ nell’agricoltura, più che in altri settori, che cominciano a intravedersi i segnali di una possibile

diversificazione e maggiore integrazione dell’economia locale. Come già evidenziato nei precedenti

paragrafi da circa un decennio che si vede una crescita d’investimenti e quindi la possibilità di un

rilancio del settore zootecnico a livello locale. Tale rilancio è anche supportato dal rinnovato ruolo

d’infrastrutturazione economica svolto dai locali caseifici cooperativi e dagli investimenti nella va-

lorizzazione delle produzioni casearie locali: come il Cuor di Fassa, e il Puzzone di Moena di cui è

prossimo il riconoscimento della DOP. Sono le stesse strutture cooperative del settore commerciale

a svolgere un ruolo nella promozione di produzioni locali, anche di nicchia come ad esempio il mie-

le. Analogamente si vanno diffondendo iniziative come la “Strada del formaggio della val di Fassa”

che coinvolgono un crescente numero di albergatori impegnati a organizzare eventi gastronomici e

degustazioni di prodotti locali nelle loro strutture. Strategico è inoltre il ruolo di giovani chef, anche

stellati, impegnati a reinterpretare e promuovere all’esterno la gastronomia locale, strutturando an-

che reti di approvvigionamento a “chilometro zero”. In questo quadro d’assunzione di ruolo

dell’agricoltura nell’economia locale vanno sviluppare anche tutte le iniziative volte a riconoscere e

a promuovere la multifunzionalità dell’azienda agricola. Particolare rilevanza assumono, infatti, le

nuove funzioni dell’agricoltura, non più legate alle necessità di auto-approvvigionamento, ma alla

capacità di generare redditi nel complesso dell’economia e delle famiglie e nelle capacità di produ-

zione di quei “beni pubblici” che sono sempre più richiesti. Tra le forme d’integrazione multifun-

zionale dell’azienda agricola quella più consolidata è certamente l’agriturismo, che anche in val di

Fassa si va diffondendo con offerte di qualità. Come abbiamo già avuto modo d’evidenziare,

l’agricoltura assume un ruolo strategico di manutenzione del territorio, una funzione che in una re-

altà della val di Fassa può trovare varie forme di valorizzazione. Nell’ambito dei servizi sociali (e

turistici) possono diffondersi le iniziative dirette alle scuole e all’infanzia, come le fattorie didatti-

che o gli agri-asilo, così come le esperienze dirette a particolari categorie sociali svantaggiate che,

nel rapporto con la natura, gli animali presenti in azienda e le attività agricole, possono trovare un

importante supporto terapeutico e riabilitativo. Un’altra grande sottocategoria della multifunzionali-

tà su cui s’incominciano a intravedere iniziative da diffondere e valorizzare, è quella dell’impresa

agricola produttrice di energia da biomasse, le progettualità in essere per la realizzazione di un bio-

digestore s’inseriscono in tale funzione. E’ sul rafforzamento di tali realtà e iniziative che il piano

territoriale della Comunità deve ricercare una maggiore integrazione e diversificazione

dell’economia locale.

15.9.2 Le politiche per l’artigianato

Page 157: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

157

Oltre la già evidenziata esigenza di sviluppare l’artigianato di servizio e del settore artistico,

un’attenzione particolare va rivolta al settore edile, per il ruolo che questo settore svolge

nell’economia locale. Considerando anche i settori dell’impiantistica e del legno, circa il 60 % delle

imprese artigiane del Comun General de Fascia opera, più o meno direttamente, nel settore

dell’attività edilizia. Si tratta di un tessuto di microprese in gran parte impegnate in attività di manu-

tenzione a servizio delle strutture turistiche (sia alberghi, sia seconde case). La piccola dimensione

d’impresa ha consentito fino ad oggi, a gran parte delle imprese fassane, di operare con flessibilità

sul mercato della manutenzione edilizia, ma lo stesso carattere dimensionale ha da sempre rappre-

sentato un fattore di debolezza quando di tratta d’intercettare gli appalti e le commesse di maggiore

dimensione. Nel corso delle interviste è stato sottolineato come i maggiori appalti siano affidati a

imprese esterne all’area e come le imprese locali siano esclusivamente coinvolte in qualità di su-

bappaltatori. La costituzione di reti o raggruppamenti temporanei tra imprese locali si presenta

complessa anche per la mancanza di soggetti locali che, per dimensione e organizzazione, siano in

grado d’assumere il ruolo di general contractor all’interno di progetti complessi. Se si escludono

alcune (poche) imprese di maggiore dimensione, in particolare operanti nel settore delle costruzioni

in legno, gli stessi investimenti in innovazione e certificazione appaiono fino ad oggi carenti. Nono-

stante il settore abbia per il momento risentito marginalmente della crisi globale, cominciano a ma-

nifestarsi elementi di preoccupazione che spingono le imprese a esprimere rinnovate strategie di ag-

gregazione e d’integrazione della filiera e a manifestare esigenze di formazione e di specializzazio-

ne nei campi del risparmio energetico, dell’edilizia sostenibile, del recupero edilizio e della manu-

tenzione. Le opportunità, precedentemente evidenziate, di promuove in val di Fassa un vasto pro-

gramma di riqualificazione, manutenzione e riuso funzionale del consistente patrimonio edilizio esi-

stente e d’investire sui temi della sostenibilità ambientale e sociale dell’abitare, potrebbe costituire

un’importante leva di crescita del settore. L’evoluzione del settore della costruzione richiede oggi

alle imprese un importante salto di qualità, che va sostenuto dall’ente pubblico e dalle rappresentan-

ze del settore, promuovendo logiche di filiera, azioni formative, sistemi di certificazione delle im-

prese e dei prodotti edilizi. Si tratta di avviare un progetto di qualificazione e innovazione comples-

siva del settore che deve coinvolgere l’intera filiera del costruire, a partire dall’ente pubblico, e che

deve comprendere: le imprese edili tradizionali, le imprese specializzate nella costruzione di case in

legno (e componenti in legno), gli impiantisti, i progettisti, le società immobiliari, i tecnici degli uf-

fici comunali.

15.10 Politiche temporali, nuove forme di mutualismo e welfare mix

Page 158: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

158

Nel marzo del 2012 il Comun General del Fascia ha pubblicato il “Piano sociale di Comunità” frut-

to di un processo di confronto e consultazione con tutti i soggetti che in Valle hanno competenze in

tema di politiche sociali. Per scelta strategica del Tavolo di programmazione sociale, le politiche si

concentrano sull’area dei minori e delle famiglie, sull’area adulti e sull’area anziani. Si è in sostanza

ritenuto opportuno lavorare per “cicli di vita”, considerando le aree della disabilità e degli stranieri

quali trasversali alle precedenti. A tale documento si rimanda per una descrizione dello stato di fatto

e degli indirizzi definiti in materia di programmazione socio assistenziale.

Il contributo che la presente indagine può dare sul tema delle politiche sociali, riguarda le connes-

sioni che devono essere necessariamente create tra il Piano Sociale e il Piano territoriale di comuni-

tà, nella convinzione che la principale sfida che il piano territoriale di comunità dovrà affrontare è

l’integrazione tra le esigenze del sociale e le scelte di gestione del territorio e di organizzazione

dell’economia locale. Questa convinzione nasce dalla centralità che la dimensione del sociale, spe-

cialmente in una realtà come la val di Fassa, assume nelle dinamiche economiche e nei modelli di

gestione del territorio.

Dalle interviste condotte sul territorio sono emersi chiaramente tutti i limiti di un’organizzazione

sociale, territoriale e imprenditoriale costruita sui tempi e sulle stagionalità del turismo dove, al

troppo pieno si alterna il troppo vuoto, ai periodi di stress e totale dedizione al turista si alternano

periodi d’inattività e caduta di senso. Decenni di sviluppo turistico intensivo hanno messo in secon-

do piano la dimensione della comunità locale è oggi ci s’interroga sulla tenuta del tessuto sociale e

sulla continuità del modello imprenditoriale che sono alla base del modello di sviluppo della Valle.

Si rileva una crescente domanda di “normalità” negli assetti di sviluppo economico e sociale. La

comunità locale ha oggi bisogno di pensare maggiormente a se stessa ponendo i propri bisogni (e

non solo quelli dei turisti) al centro dell’azione di sviluppo.

L’emergere di tale domanda evidenzia come la dimensione del sociale non possa essere ricondotta

alla sola dimensione socio-assistenziale, di risposta alle varie forme di disagio. La programmazione

sociale svolge un ruolo centrale nell’interpretare le esigenze di benessere di una comunità, nel defi-

nire le forme di prevenzione del disagio sociale e nel garantire la qualità di vita delle persone. In tali

termini la dimensione del sociale deve assumere un ruolo centrale nella definizione delle scelte di

assetto territoriale. Uno strumento fondamentale in tal senso è l’adozione delle cosiddette “politiche

temporali”, che mirano a migliorare la qualità della vita, la vivibilità dei contesti locali, la qualità e

la fruibilità dei servizi sul territorio in un’ottica di sviluppo sostenibile. Tali interventi mirano a ga-

rantire:

• servizi pubblici (asili nido, strutture scolastiche, servizi sociosanitari, assistenza alle persone

non autosufficienti, …) e privati (es. esercizi commerciali, sportelli bancari, ecc.) razionalmente

Page 159: Le dinamiche evolutive del distretto turistico della val di fassa

159

distribuiti sul territorio, facilmente raggiungibili, e commisurati alle esigenze, anche con riferi-

mento agli orari di accesso, coordinati con gli orari di lavoro, di apertura degli esercizi commer-

ciali e dei trasporti pubblici;

• ammodernamento della pubblica amministrazione con erogazione di servizi in forma semplifi-

cata, diffusa sul territorio, in orari compatibili con gli impegni di lavoro, e utilizzando tecnolo-

gie innovative (servizi informatizzati disponibili via web: offerta d’informazioni ad esempio

sullo stato di avanzamento delle proprie richieste; servizi interattivi ad esempio per le domande

d’iscrizione ai servizi educativi, o per la comunicazione di date d’inizio e fine lavori per le pra-

tiche edilizie o creazione dello “sportello unico” per le imprese (un unico interlocutore per le

procedure di autorizzazione all’insediamento, ampliamento/ristrutturazione di unità produttive);

possibilità, infine, di dialogo con i cittadini, ecc.);

• flessibilità nell’erogazione delle prestazioni lavorative, per consentire la conciliazione

d’impegni professionali e familiari, evitando l’esclusione dal mercato del lavoro dei soggetti

storicamente più svantaggiati (donne, disabili, giovani), favorendo nel contempo il decongestio-

namento del traffico causato dalla coincidenza di orari;

• utilizzo del tempo in chiave di solidarietà (volontariato, banche del tempo);

• ricerca di una mobilità e di uno sviluppo economico sostenibili: considerare la crescente do-

manda di mobilità per l’accesso ai servizi (scuole, lavoro, impianti sportivi, ecc.) da conciliare

con l’esigenza di preservare l’ambiente; porre attenzione alle caratteristiche e alla collocazione

delle attività produttive sul territorio;

• valorizzazione degli spazi pubblici, sia all’aperto, sia al chiuso, utilizzabili per creare luoghi

d’incontro e socializzazione sicuri, adeguati alle diverse esigenze (associazioni, giovani, anzia-

ni, bambini) e facilmente accessibili: percorsi casa-scuola protetti, piste ciclabili, miglioramento

della viabilità pedonale anche per i disabili, luoghi d’aggregazione per i giovani e impianti spor-

tivi e d’intrattenimento facilmente accessibili e serviti dal trasporto pubblico, apertura in orari

serali di musei e biblioteche ecc..

Le politiche tradizionali di welfare hanno sempre assunto le politiche sociali come compensazione o

rimedio ai “guasti” provocati dal mercato. In questo modo “sociale” e “mercato” rappresentavano i

poli alternativi di un discorso pubblico entro cui ricercare solo una sorta di equilibrio tra dinamiche

fra loro antagoniste: da un lato, il mercato che avvantaggia pochi soggetti, destruttura il sistema di

relazioni sociali, dissolve appartenenze e identità; dall’altro, le politiche sociali che intervengono a

“ricomporre i cocci” con servizi di protezione, assistenza, recupero, in ogni caso, “dopo” che il tes-

suto sociale si è frantumato. Oggi, in realtà come la Valle dei Fassa, si evidenzia l’affermarsi di esi-

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genze che hanno a che fare con una più ampia concezione di welfare, che incrocia le tematiche dello

sviluppo economico e della coesione sociale in una prospettiva di sviluppo locale.

In tal senso, un ulteriore obiettivo della pianificazione sociale dovrà essere sostenere più alti livelli

di socialità avviando azioni di economia solidale che sappiano riconciliare i valori

dell’imprenditorialità e della solidarietà. Stiamo oggi assistendo a un processo di espansione di quel

campo d’attività che non appartiene né allo stato né al mercato e che ha come finalità ultima quella

di produrre coesione e inclusione sociale, senza trascurare aspetti come la competitività del sistema,

la razionalizzazione delle risorse e la messa a valore di ogni singolo aspetto della vita produttiva e

riproduttiva. Si tratta di avviare un “progetto per il sociale” non solo finalizzato a raccogliere le

“vittime della competitività”, ma orientato a ridurre le barriere tra risorse (finanziarie, umane, orga-

nizzative) per una progettualità sociale capace di valorizzare il ruolo e l’impegno del volontariato e

del terzo settore, che, unendo solidarietà e imprenditorialità, genera occasioni di lavoro e flessibili-

tà. Occorre, in sostanza, rovesciare l’ottica assistenzialistica e conciliare le politiche sociali con la

crescita. Per fare questo bisogna costruire nuove reti di coesione economica e sociale partendo dalle

persone, dai loro bisogni, dalla loro voglia di intraprendere, dalle loro relazioni sociali e familiari,

dalla loro capacità di essere comunità. La sfida del nuovo modello di welfare è restituire centralità

alla domanda, dando cioè la possibilità ai destinatari dei servizi di scegliere se acquistare il servizio

presso determinati enti o se optare, invece, per forme alternative di auto-organizzazione, e ciò in

piena coerenza con le proprie preferenze.

Accanto alla tradizionale offerta di welfare pubblico, vanno sviluppati altri modi di rispondere a

vecchi e nuovi bisogni sociali secondo logiche di welfare mix. Sempre più spesso, alla crisi del wel-

fare pubblico si risponde con risorse individuali per chi può (come ad esempio il sempre maggiore

ricorso alle badanti), ma anche con forme di welfare collettivo, attraverso l’azione del volontariato e

di una miriade d’imprese sociali (variamente intese) che assieme agli enti locali si occupano

d’infanzia, disabili, anziani, inserimento lavorativo di soggetti deboli. Attraverso il mutualismo, le

associazioni di volontariato, il terzo settore, le cooperative, l’impresa sociale, le persone riscoprono

l’esigenza di dare una risposta auto-organizzata ai propri bisogni.

In un settore delicato come il welfare non bisogna pensare a un arretramento del ruolo dell’Ente

pubblico quanto, piuttosto, a un ruolo pubblico che, oltre a garantire l’accesso universale a servizi

essenziali, svolga un ruolo d’organizzatore della domanda e dell’offerta di servizi sociali. Non si

tratta tanto di privatizzare, portando sul mercato gli attuali circuiti di previdenza, assistenza e di cu-

ra; quanto di dare un maggior potere di selezione e di spesa ai diretti interessati, stimolando e favo-

rendo le forme d’imprenditorialità sociale, di mutualismo e di condivisione che possono nascere

“dal basso”.

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La Comunità di Valle deve essere in grado di accompagnare in maniera dolce la transizione econo-

mica e sociale, consentendo alle persone di interpretare i propri bisogni, di fare scelte in un quadro

di regole certe e garanzie sociali che consentono di governare il rischio, di condividere progetti con

altri. Nell’attuale fase d’incertezza e transizione riemerge con forza una domanda di autorganizza-

zione dal basso che in economia si esprime nel consolidamento di reti d’imprese e filiere produttive

capaci di affrontare la complessità di mercati sempre più aperti, e nel sociale si esprime nella nasci-

ta di nuove forme di mutualismo, d’imprenditorialità sociale, di tutela e rappresentanza di bisogni

sociali. Il rinnovato clima di coesione sociale ed economica, necessario per affrontare le sfide della

modernità, può nascere solo “dal basso” liberando le energie creative e cooperative delle persone.