Lavoro Personale - Le Ricordanze Di Leopardi
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“Le Ricordanze” di LeopardiAnalisi filologica delle varianti d’autore
Lavoro personale di Yasmine Tonini
Corso “Il testo in movimento: casi esemplari di ‘filologia d’autore’” del prof. Danzi
UNIGE, Anno 2012/13
Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
IntroduzioneL’unico manoscritto autografo de Le ricordanze si trova attualmente custodito all’interno del
fondo leopardiano della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, a Napoli: da qui deriva – per
convenzione – la denominazione di manoscritto napoletano (AN). Si tratta di un quaderno, e “non
ve n’è forse un altro di tal bellezza”1, che contiene assieme all’autografo delle Ricordanze, testo
iniziale che occupa le prime nove pagine più la sedicesima, anche La quiete dopo la tempesta e Il
sabato del villaggio. Grazie alle annotazioni riportate su questo codice è possibile stabilire con
certezza che i tre componimenti furono composti a Recanati, richiedendo per la loro completa
stesura un mese di lavoro. In particolare, per Le ricordanze troviamo l’annotazione della data di
composizione: “26 Agosto – 12 Settembre 1829”.
Poche sono le testimonianze che ci possono aiutare a inquadrare in modo preciso lo stato
d’animo dell’autore e il contesto nel quale elaborò questi testi. Un’epistola, indirizzata a Carlo
Bunsen, il 5 settembre del medesimo anno, porta qualche luce sulla situazione in cui versava
Leopardi:
“Non solo i miei occhi, ma tutto il mio fisico, sono in istato peggiore che fosse
mai. Non posso nè scrivere, nè leggere, nè dettare, nè pensare. Questa lettera sinchè non
l'avrò terminata, sarà la mia sola occupazione, e con tutto ciò non potrò finirla se non fra tre
o quattro giorni. Condannato per mancanza di mezzi a quest'orribile e detestata dimora, e
già morto ad ogni godimento e ad ogni speranza, non vivo che per patire, e non invoco che
il riposo del sepolcro.”2
Un periodo quindi di sofferenza e difficoltà per il poeta, che faticava a sopportare l’ambiente
della dimora paterna e che anelava alla tranquillità, fosse anche attraverso la morte. Temi questi che
facilmente si reperiscono nei suoi scritti, in particolare durante l’ultima fase della sua riflessione,
votata ormai a un pessimismo cosmico.
L’autografo delle Ricordanze evidenzia la presenza di numerose annotazioni che
introducono varianti eterogenee (cassature, correzioni interlineari, postille a margine, ecc.),
testimoniando così le fasi diverse d’elaborazione, che convivono sulla stessa pagina.
Le stampe segnano invece un momento di svolta per quanto riguarda il tipo di correzione
che Leopardi appunta ai propri componimenti. Il testo edito rappresenta per il poeta un punto
d’arrivo ma anche un nuovo punto di partenza. Una cristallizzazione da cui partire per modellare il
1 DE ROBERTIS Giuseppe, Sull’autografo de “Le Ricordanze”, p. 297.2 LEOPARDI G., Epistolario, p. 700.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
proprio lavoro in modo diverso: non più correzioni indipendenti che riguardano il singolo testo, ma
piuttosto un lavoro sistematico che mira a comprendere tutta l’intertestualità.3
Dopo aver steso il canto Leopardi attese comunque circa due anni prima di pubblicarlo
all’interno nell’edizione fiorentina del 1831 (F31). Nel 1835 Le Ricordanze fu ripubblicato nella
stampa curata da Starita, a Napoli.
Contenuto della poesiaLe ricordanze si distingue dagli altri testi a livello di contenuto per la forte cifra
autobiografica, presente anche altrove nella raccolta dei Canti ma qui particolarmente evidente.
Tutto il componimento si basa su un movimento aleatorio tra passato e presente, dove i ricordi
ricorrono in modo ossessivo nella mente dell’io poetico, finendo per esser il centro tematico.
Attraverso l’evocazione di un passato, dominato dall’illusione della felicità, il poeta esprime la
propria personale filosofia, profondamente pessimistica e caratterizzata da uno sguardo disincantato
sul proprio destino come sulla vita che si è lasciato alle spalle.
Nella prima parte del testo, versi 1-27, il poeta, che si ritrova nuovamente nella casa paterna
a Recanati, in una notte imprecisata, parlando con le stelle rievoca i ricordi della propria giovinezza;
anche allora aveva l’abitudine di uscire nel giardino di casa per contemplare il paesaggio. La
visione della Natura, dominata dai suoni che riecheggiavano nella campagna, spingeva il giovane
poeta a fantasticare su ciò che c’era oltre il piccolo mondo recanatese. In questo primo passaggio
domina il contrasto tra il presente, in cui l’io poetico spinge la propria mente a ritroso nella
memoria attraverso i ricordi, e il passato, in cui il giovane poeta guarda invece al futuro con fiducia
e speranza.
Nella seconda parte della poesia, versi 28-49, Leopardi descrive come, nel trascorrere la
propria giovinezza in un piccolo borgo, giudicato vile e selvaggio, il suo animo si sia inaridito. La
descrizione di Recanati, racchiusa nei versi 28-37, evidenzia il difficile rapporto tra il poeta,
emarginato e incompreso, e i suoi concittadini. Tale vita l’ha reso “sprezzator degli uomini”,
perdendo allo stesso tempo la possibilità di godere della propria giovinezza. Cadono così per lui
speranze e illusioni.
Nella terza parte delle Ricordanze, versi 50-76, viene articolato il rapporto tra i ricordi, il
presente e la visione filosofica della condizione umana. Inizialmente il poeta rievoca un’esperienza
infantile, grazie all’influsso sonoro del vento, da cui segue la riflessione sul proprio passato. Ogni
3 GAVAZZENI, Introduzione, in Canti, p. 7.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
cosa vista o sentita dal poeta lo riporta dolorosamente alla propria giovinezza. A causa di tale
meccanismo anche il paesaggio, descritto ai versi 61-64, lo spinge a ricordare quando da giovane
s’illudeva riguardo a un destino ricco di promesse. Ai versi 68-76 questa immagine si ripete; è,
infatti, descritto un paesaggio in cui un giovane (garzoncel), identificabile con Leopardi ma allo
stesso tempo assimilabile alla condizione umana nell’età giovanile, si apre alla vita pieno di
speranze e aspettative che verranno però presto disilluse.
La quarta parte del testo, versi 77-103, racchiude al suo interno il lamento del poeta di fronte
alla realtà che si è svelata con tutta la sua crudeltà. L’io poetico manifesta la sua ossessione verso il
passato. Il contrasto tra le speranze della gioventù e quella che invece è stata la sua vita, dominata
dal vuoto e dalla miseria, è per lui il motivo portante della propria sofferenza. Dal momento in cui il
velo delle illusioni è caduto, al poeta non resta che desiderare la morte, unica speranza e promessa
di pace. Ma anche in quell’estremo momento egli è cosciente che, vista l’impossibilità a
dimenticare, le speranze passate torneranno fino all’ultimo a perseguitarlo, ricordandogli come
abbia vissuto senza scopo.
Nel brano successivo, compreso tra i versi 104-118, si crea un legame tra la condizione
presente, descritta in precedenza, e la condizione giovanile. Già nel fiore degli anni, il poeta aveva
desiderato la morte, se pur in modo diverso: quando realmente la fine sembrava essere vicina, il
giovane piangeva, infatti, la vita e la propria giovinezza. In questi versi è quindi dominante il tema
del rimpianto.
Ai versi 119-135 il discorso si converte in una parabola universale, riferendosi alla
condizione di ogni uomo (il Chi del verso 119 manifesta la generalizzazione) che dalla prima età
giunge alla vecchiaia attraverso il disincanto. In questo brano abbiamo la descrizione di un mondo
che sembra accogliere l’uomo, promettendogli una vita felice e piena di piaceri; ma
immediatamente si manifesta un capovolgimento: la realtà sarà completamente diversa. Il poeta
s’interroga su come sia possibile continuare a essere felici, giacché la giovinezza con tutte le sue
promesse è trascorsa lasciando l’uomo privo d’ogni gioia.
Le ricordanze si conclude, ai versi 136-173, con l’emergere della figura di Nerina. Questa
giovane ragazza, riconoscibile con Teresa Fattorini4, evocata anche in A Silvia e morta in giovane
età, diventa simbolo delle illusioni e delle speranze infrante. Tutto il passaggio è caratterizzato
dall’altalenare del ricordo tra un passato in cui Nerina era in vita e un presente marcato dalla sua
assenza. Soprattutto verso la parte finale del componimento il poeta insiste sull’impossibilità per la
ragazza, ormai morta, di gioire delle piccole cose del mondo. L’anafora ai versi 160, 164 e 168
della formula Dico: o Nerina, che riprende il vocativo del verso 136 (O Nerina!), caratterizza il
4 LEOPARDI Giacomo, Canti, Franco Gavazzeni, 2011, p. 429.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
finale come una sorta di canto funebre, di litania. È, infatti, espresso qui il rimpianto verso i defunti,
toccati dalla condizione definitiva e irreparabile della morte, dopo la quale non esiste più nulla e da
cui quindi deriva la sofferenza di chi resta in vita. Nello Zibaldone possiamo leggere a questo
proposito: “Dunque noi non crediamo naturalmente all’immortalità dell’animo: anzi crediamo che i
morti sieno morti veramente e non vivi; e che colui ch’è morto, non sia più. Ma se crediamo
questo, perché lo piangiamo? Che compassione può cadere sopra uno che non è più? – Noi
piangiamo i morti, non come morti, ma come stati vivi[…]”5.
Il manoscritto napoletanoNell’introduzione si è già accennato all’autografo napoletano, contenente Le ricordanze.
Prima di analizzare le direzioni correttorie che il poeta sperimenta, vale la pena soffermarsi sul
manoscritto, poiché vi si trovano le tracce del processo di composizione leopardiano.
La situazione generale dei manoscritti leopardiani è molto particolare: essi non testimoniano
abbozzi delle poesie, bensì testi che hanno già conosciuto stesure andate perse e che qui appaiono in
bella copia. A partire da queste copie quasi sempre ‘in pulito’, Leopardi attua poi altri interventi sul
testo. Gavazzeni descrive in modo molto efficace il metodo leopardiano: “[…] Leopardi, dopo aver
esemplato quella che riteneva la lezione ultima a quell’altezza cronologica, continua a copiare da
una fonte – un dossier di carte non pervenutoci – che, oltre a consentirgli di ricavare il testo
provvisoriamente ultimo, anche gli offriva i dati genetici dell’elaborazione, insieme alle probabili
varianti alternative. Varianti genetiche, varianti alternative e altro ancora, vengono così a costituire
quella varia lectio cui l’autore ricorre, subito per le correzioni che interlinea, e poi, più raramente,
in occasione delle modifiche attestate nelle stampe successive alla princeps.”6
Confrontando i vari manoscritti si può riconoscere un’evoluzione nel modo di inserire le
modifiche da parte del poeta7. Sotto quest’aspetto l’autografo napoletano AN in particolare segna
un punto di svolta. Per ciò che attiene il testo de Le ricordanze si osserva come le varianti, scritte
nei margini per i componimenti precedenti, appaiono qui integrate nel testo; a distinguerle dal
contesto viene utilizzato il segno grafico delle parentesi, nella prima parte quadre, nella seconda
tonde. In questo modo era più efficace e rapido individuare a quali parole le varianti si riferivano,
essendo poste a stretto contatto con la lezione definitiva (accanto o sotto di essa). 8
5 LEOPARDI Giacomo, Zibaldone di pensieri, p.4278.6 GAVAZZENI Franco, Come copiava e correggeva Leopardi, pp. 410-411.7 Cfr. LEOPARDI Giacomo, Canti, Franco Gavazzeni, 2011, p. XII.8 LEOPARDI Giacomo, Canti, Moroncini, 1961, p. XLVI.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
A tale innovazione se ne aggiunge un’altra che fa de Le ricordanze un caso eccezionale. È
interessante osservare, e la spiegazione sarà data in modo approfondito all’interno della sezione
dedicata all’analisi dell’elaborazione testuale, come la redazione di AN sia più lunga di quella delle
stampe. Nel codice autografo il testo si distende su 184 versi, mentre nelle stampe ne conta 173.
Legato a quest’aspetto si trova il fatto che,
come è stato detto in precedenza, Le
ricordanze occupano le prime nove carte
del quaderno più la sedicesima. La ragione
è semplice: la sedicesima carta ospita due
frammenti di testo che si ricollegano alle
Ricordanze e che quindi devono essere
rintegrati nonostante la loro dislocazione
nel manoscritto. Come è possibile
osservare dalla riproduzione a fianco si
nota la presenza nella sedicesima carta di
due giunte, affiancate entrambe da un
simbolo simile a una piccola croce. Questo
segno si ritroverà, accompagnato dalla nota
“v. in fine”, a margine nel luogo in cui i
versi aggiuntivi devono essere integrati al testo. Resta un’ultima giunta, che non troviamo inserita
nella sedicesima carta come queste due, bensì scritta in verticale a margine nella prima carta,
sempre con il medesimo simbolo, a indicare il luogo preciso d’integrazione.
Come è possibile osservare
dalle due riproduzioni dell’autografo9,
le giunte sono manifestamente estese,
ciò ci spiega perché il componimento
nell’autografo conta numerosi versi in
più. In seguito, nel passaggio dal
manoscritto alla stampa, Leopardi
ridimensionerà il testo apportando dei tagli: di queste tre giunte, infatti, l’unica realmente integrata
alla poesia sarà quella della prima carta. Sul tema delle giunte e delle riduzioni ritornerò in seguito,
prendendo spunto dalle suggestioni di De Robertis.
9 Riproduzione fotografica in Canti, a cura di Domenico De Robertis, pp. 429-430.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
Analizzerò ora due correzioni interne al manoscritto che sembrano ubbidire a una regola
più generale che governa il passaggio tra autografo e stampa. Si tratta dell’eliminazione di termini
che appaiono ripetutamente nel raggio di pochi versi. Nella sesta carta del codice è possibile trovare
due esempi molto ravvicinati, come appare dalla riproduzione fotografica di AN e dalla trascrizione
a lato dei versi 107-11410:
esserL’avere i giorni miei vissuto indarno, e la dolcezzaDel dì fatal tempererà d’affanno.E già nel primo giovanil tumulto angosceDi contenti, d’affanni e di disio,
Morte chiamai più volte, e fiso il guardo lungamente
Mi sedetti colà su la fontana,
Pensoso di cessar (fuggir) dentro quell’acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per lungo lento cieco
Il primo caso riguarda il termine affanni presente ai versi 108 e 110 (sotto cassatura). È
evidente che l’intero verso 108 è stato inserito in un secondo momento, dopo la prima stesura: ciò
appare dalla posizione che riduce lo spazio interlineare tra i versi. Il testo dunque si presenta privo
del verso 108 e senza la variante sovrapposta ad affanni al verso 110. L’aggiunta del verso portò
alla ripetizione di un medesimo termine a distanza di soli due versi e un simile raddoppiamento
dovette indubbiamente disturbare il poeta, che cassò la seconda occorrenza sostituendo affanni con
angosce.
Il secondo caso riguarda l’avverbio lungamente del verso 111 e il termine lungo al verso
114 (sotto cassatura). La prima correzione concerne il verso 111, nel quale in luogo di fiso il guardo
viene inserito l’avverbio lungamente. La correzione pare alleggerire la dimensione più fisica
suggerita dal sintagma cassato, con una più indeterminata e legata alla durata grazie all’avverbio. Al
contempo, la correzione ne implica un’altra poiché la nuova lezione entra in conflitto con lungo: la
parola viene così cassata e Leopardi ricerca un sostituto, passando inizialmente per lento e
giungendo poi al definitivo cieco. Questo termine si ritrova altrove nella poesia dei Canti: ne Il
sogno, per esempio, appare ai vv. 36-37 cieco/dolor, sintagma che appare molto vicino a quello de
Le ricordanze che s’inserisce così all’interno di un lessico ricorrente nell’intertestualità.
È interessante dunque osservare il metodo correttorio del poeta sia nell’autografo sia, in
seguito, nel passaggio alla stampa. Vediamo qui il manifestarsi di una legge precisa, di cui si parlerà
10 Riproduzione fotografica in Canti, a cura di Domenico De Robertis, p. 426.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
in modo approfondito nel corso del lavoro d’analisi, e allo stesso tempo il realizzarsi del concetto di
‘implicazione’ espresso da Contini. Infatti, non solo si osserva una regola precisa che fa delle
correzioni un sistema, ma allo stesso tempo questo lavoro di correzione ha delle implicazioni
continue sul testo, per cui a una modifica ne consegue naturalmente un’altra.
Analisi filologica delle variantiL’analisi filologica delle varianti procederà considerando quanto suggerito, e già anticipato
in precedenza, nel saggio Implicazioni leopardiane di Contini. Egli difatti, prendendo le mosse da
un altro scritto di De Robertis, formula un metodo di lavoro sull’analisi delle varianti che si basa
sull’ipotesi secondo la quale il processo correttorio di Leopardi ha carattere di “sistema”. Più
precisamente, Contini ritiene che nell’elaborazione del testo il poeta tenga presente una serie di
regole che assieme costituiscono un sistema e in base alle quali egli apporta le sue modifiche. Da
qui l’idea di ‘implicazione’ nel senso che ogni correzione non è di per sé indipendente, bensì
implicata con il resto del testo. I tipi d’implicazione distinti da Contini sono tre: al primo livello
troviamo l’intratestualità, quindi il rapporto tra correzione e contesto in cui è inserito; al secondo
livello il filologo pone l’intertestualità, cioè i legami che vengono a crearsi con altri testi del poeta,
siano essi nei Canti o nella restante produzione poetica; infine all’ultimo livello si trova
l’extratestualità, rappresentata da fonti esterne e dalla cultura in cui il poeta e inserito, tutto ciò
quindi che dall’esterno può avere ripercussioni sul testo medesimo da lui prodotto11.
Una modifica interessante riguarda il verso 96 che mostra un forte rimaneggiamento nel
passaggio da F31 a N35c. L’edizione del 31 in luogo di “E quando pur questa invocata morte/
sarammi allato, e sarà giunto il fine/ della sventura mia” legge: “E quando pur questa invocata
morte/ sarammi accanto, e fia venuto il fine/ della sventura mia”. Vediamo come le correzioni fatte
non apportino, nella semantica, dei cambiamenti; le ragioni di simili modifiche sono quindi da
ricercare altrove.
Innanzitutto, sono da notare due aspetti: il primo riguarda la presenza di sarammi a inizio
verso; il secondo invece riguarda il verso 98, dove ricompare la forma antica fia per il futuro del
verbo essere. È possibile trovare una spiegazione in relazione alla ricerca delle riprese più
appropriate. L’introduzione del verbo sarà da una parte crea un legame attraverso la ripresa del
medesimo verbo nel verso, dall’altra elimina il termine presente successivamente. La ripetizione
sarammi/sarà si riscrive all’interno di una struttura a chiasmo che comprende i versi 95-97, dove si 11 CONTINI Gianfranco, Implicazioni leopardiane, p. 42.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
osserva la disposizione soggetto - verbo – verbo - soggetto (morte - sarammi - sarà - il fine). Allo
stesso tempo il legame fra i vv. 96, 98 si attenua. La ripetizione in stretta vicinanza (solo un verso
separa le due occorrenze) disturbava sicuramente il poeta che decise di troncare il legame instaurato
tra i due versi. Una simile ipotesi trova conferma in altri casi dove Leopardi mostra di correggere il
testo proprio allo scopo di eliminare certe occorrenze (sia nell’autografo in precedenza analizzato,
sia in altre poesie). Giustificando una correzione leopardiana presente nell’autografo di A Silvia,
Contini scrive: “Mi par dunque evidente che la grande trovata di Leopardi s’innesti, quasi per
eterogenesi dei fini, su un movimento negativo: evitare la ripetizione, sia pure a qualche intervallo.
Anche questa è tecnica petrarchesca, e anche qui viene a mente D’Annunzio a Hérelle, la sua
impazienza delle ripetizioni perfino a distanza di pagine”12. Questa scelta può aver avuto delle
conseguenze sul precedente accanto, che viene mutato in conseguenza con allato, termine
fortemente più ricercato e letterario. Tale modifica permetteva al poeta di mantenere il registro
aulico del verso. Gavazzeni nella sua edizione critica13 richiama luoghi paralleli del Sogno:
“Stettemi allato e riguardommi in viso” (v.6) a cui possiamo anche aggiungere l’occorrenza al verso
27 del Pensiero dominante: “Allato a quella gioia”.
Resta da spiegare infine il passaggio da venuto a giunto e numerose possono esserne state le
ragioni. A livello semantico si percepisce fin dal principio, benché in modo sottile, una differenza
tra i verbi ‘venire’ e ‘giungere’: il primo, infatti, indica un movimento di avvicinamento e per
questo descrive una situazione dinamica, mentre il secondo corrisponde a un’azione di movimento
conclusa. Giunto, nel contesto, è più adatto poiché si avvicina all’idea di un capolinea, di una
situazione definitiva quale è la fine di ogni sofferenza. Oltre a ciò, tenendo presente la dimensione
extratestuale, si osserva che il sintagma giunto il fine è più felice proprio per le sue reminiscenze
letterarie (Pulci, Marino e Parini, ecc.14). A titolo esemplificativo si possono prendere due versi
della poesia CCLIV del Canzoniere: “i lunghi affanni/son giunti al fine”15.
La sostituzione del verbo ‘venire’ con un altro ci riporta a un caso analogo al verso 6. Nel
manoscritto napoletano si legge: “E delle gioie miei venni alla fine” in luogo del definitivo “E delle
gioie mie vidi la fine”. Anche in questo caso il verbo ‘venire’, indicatore di movimento, d’azione da
parte del poeta, non è adeguato in un contesto improntato alla riflessione e alla contemplazione. Il
verbo ‘vedere’ si riallaccia al senso di tutto il segmento iniziale, dove a dominare è la visione di un
paesaggio che stimola anche una ‘vista’ più metaforica, sul proprio destino.
12 Ibidem, p. 45.13 LEOPARDI Giacomo, Canti, Franco Gavazzeni, 2011, p. 423.14 Ibidem.15 PETRARCA Francesco, Canzoniere, M. Santagata, 1996, CCLIV, vv. 10-11.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
Al verso 120 si registra una correzione interessante, essendo un buon esempio di ricerca di
economicità: la lezione di F31 tempo giovanil, che serve a descrivere un unico elemento, cioè l’età
della giovinezza, viene sostituita con entrar di giovinezza, che reca un termine nuovo e quindi
produce un’aggiunta semantica. Viene in questo modo sottolineato il concetto d’essere agli esordi
dell’età più felice; questo primo affacciarsi alla vita esprime l’idea dell’entrata nell’età giovanile. In
confronto tempo giovanil risulta sintagma più generico mentre giovinezza pare termine più
economico e lascia spazio a un incremento semantico pur mantenendo la stessa quantità sillabica.
Al verso 126 si può osservare la presenza di una modifica apparentemente minima:
maraviglia era, nell’edizione fiorentina del ’31, meraviglia. Il ritorno alla lezione originale
dell’autografo (anche AN infatti registra maraviglia) può essere dovuto a due ragioni: la prima è la
volontà del poeta di uniformarsi al lessico della raccolta, dove per maraviglia si registrano quattro
occorrenze oltre alle Ricordanze (Risorgimento v. 148, Sopra un bassorilievo antico v. 46,
Palinodia al Marchese Gino Capponi v. 7), mentre meraviglia non si trova in nessuna delle poesie
leopardiane; la seconda ragione risiede nel fatto che maraviglia è forma toscana e più letteraria.
Questa variante ci permette di riallacciarci a quanto detto da Gavazzeni nell’introduzione alla
propria edizione: “La principes dei Canti (F31) realizza l’unione di almeno tre esperienze di
linguaggio diverse, vale a dire quella delle canzoni di B24, quella degli idilli di NR25-26 – che dal
punto di vista genetico s’intrecciano alla canzone al Mai -, e infine quella dei canti pisani e
recanatesi. Ragioni non solo e non tanto cronologiche, ma soprattutto ragioni poetiche e stilistiche,
inerenti alla ricerca di omogeneità linguistica, nel contatto che si produce tra canzoni e idilli,
indirizzano la relativa variantistica nel senso pressoché unico di un’influenza di questi su quelle”16.
Leopardi cerca quindi di raggiungere una certa omogeneità linguistica scegliendo formule comuni a
tutti i componimenti della raccolta a scapito invece di quelle che manifestano uno scarto con
l’intertestualità. Normalmente sarebbero gli ultimi componimenti a indirizzare le modifiche sui
primi, ma in alcuni rari casi è possibile individuare anche correzioni in senso inverso.
Si passerà ora ad analizzare alcune varianti interessanti soprattutto per le correzioni che
importano nel passaggio tra l’autografo napoletano e le due edizioni. Si osserva, infatti, in AN un
forte lavoro di elaborazione che prevede anche la riduzione di numerosi versi, a questo proposito De
Robertis scrive: “ [le] Ricordanze […] offrono “casi tipici”, primo fra tutti quello delle giunte, delle
inserzioni d’una durata che non ha riscontri negli altri canti; a cui corrisponde l’altro del ridurre
(versi e versi, con una decisione estrema), a far più veloci i trapassi, specie nelle parti elegiache (qui
più veloci, come lì, per le inserzioni dette, più vivi, più colmi).”17 Due movimenti opposti dunque
16 LEOPARDI Giacomo, Canti, Franco Gavazzeni, 2011, p. 12.17 DE ROBERTIS Giuseppe, Sull’autografo de “Le Ricordanze”, p. 299.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
nel lavoro di correzione del poeta: da una parte le ‘giunte’, vere e proprie masse di versi che sono
reintegrate in un secondo momento nel testo, dall’altra le ‘riduzioni’, di cui vedremo ora due esempi
ravvicinati.
Il primo caso si trova ai versi 133-135, a partire dall’edizione fiorentina del ’31 leggiamo:
133 Di sventura esser può, se a lui già scorsa
134 Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
135 Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
Mentre nel manoscritto si osservava uno sviluppo più ampio. A seguito riprodurremo i versi (in AN
138-144) attraverso una foto del manoscritto e la loro trascrizione a lato18:
Di sventura dirai, s’egli ha trascorsa (fornita)
Quella dolce (vaga) stagion, se pensa e sente
Quel ch’ei perdè, quel ch’altro bene (al mondo) in terra
Compensar non potria? poscia, mirando,
Sempre men lieti (peggiori) dì, sempre più vota
D’ogni piacer, più faticosa (fastidiosa) e trista (grave)
La sua futura età si vede innanzi?
In corsivo sono segnalate le parti del testo che sono modificate nell’edizione a stampa oppure che
sono completamente rimosse. Innanzitutto, vediamo come i versi 133-134 di F31 e N35 sono il
frutto di un rimodellamento dei versi 138-139 dell’autografo, poiché alcuni sintagmi restano
invariati nel passaggio dal manoscritto alla stampa. Invece, i versi 140-144 dell’autografo sono
ridotti in un unico verso a partire da F31.
Per la correzione dei primi due versi può essere utile una parafrasi: per F31 possiamo
interpretare nel seguente modo: “E quale mortale può essere ignaro della sventura del suo destino,
se è già passata la bella stagione (gioventù) per lui, se il suo tempo e la sua giovinezza, ahi
giovinezza, si sono spenti?”. In AN invece la parafrasi sarebbe: “E quale mortale dirai essere ignaro
della sventura, se lui pensa e sente quel che perse, quel che nessun altro bene nel mondo terreno è
possibile sostituire?”. Manifesta è la difficoltà nell’interpretare i versi dell’autografo, ciò a causa
soprattutto di una sintassi in cui è difficile individuare il soggetto del verbo dirai, alla seconda
18 Riproduzione fotografica in Canti, a cura di Domenico De Robertis, pp. 427-428.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
persona singolare, non identificabile quindi nell’ignaro mortal, essendo oltretutto quest’ultimo
ripreso con egli. Nella stampa l’ambiguità viene corretta attraverso l’inserimento del sintagma
verbale esser può, il cui soggetto è più facilmente identificabile nel mortal. La seconda parte del
verso viene alleggerita attraverso la rimozione del verbo ha trascorsa (avremmo altrimenti due
verbi a caricare un unico verso) inserendo l’aggettivo scorsa, riferito a stagion del verso successivo,
che è termine sufficiente per esprimere lo stesso concetto (il superamento e quindi la fine di una
stagione della vita).
Per quanto riguarda i versi seguenti presenti in AN, De Robertis suggerisce una spiegazione
alla riduzione di cinque versi a uno solo: “[è] ottenuto il fulmineo trapasso, e la potente unione a
prezzo di […] versi d’un tono medio votato stancamente in elegia […] così, al v. 134, tra “vaga
stagion” e “il suo buon tempo”, […] cinque versi e mezzo […] si sono consumati in quel grido tre
volte variato: …se il suo buon tempo,/Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?”19. Anche in questo
passaggio quindi la correzione è riconducibile a una ricerca di economicità e agilità poetica:
vengono rimossi dei versi dal tono malinconico, dovuto a una condizione di perdita e infelicità, che
nel loro complesso erano quindi troppo improntati al genere elegiaco. La soluzione finale esprime
lo stesso sentimento di sofferenza e rimpianto senza tuttavia dilungarsi per la misura di cinque versi.
Il secondo esempio di riduzione è rappresentato dai versi 156-158, nelle edizioni a stampa
possiamo leggere:
156 Di gioventù, quando spegneali il fato,
157 E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
158 L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Mentre il manoscritto mostra una situazione diversa. Segue la riproduzione fotografica e la
trascrizione a lato dei versi 165-169 (corrispondenti a 156-158 in F31 e N35) 20:
Di gioventù, quando spegneali il fato,
( Spegnea quegli occhi desiati e pianti),
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna,
Pur come ier da noi fossi partita,
19 DE ROBERTIS Giuseppe, Sull’autografo de “Le Ricordanze”, pp. 301-302.20 Riproduzione fotografica in Canti, a cura di Domenico De Robertis, p. 429.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
(L’immagin tua)(L’antico amor.) Se a feste anco talvolta,
In corsivo nella trascrizione si segnalano i frammenti di testo rimossi nel passaggio dall’autografo
alla stampa. Il processo di elaborazione che s’identifica nel manoscritto è molto complesso,
rivelando correzioni e ripensamenti da parte del poeta.
Osserviamo come già durante la stesura Leopardi avesse pensato di non inserire il verso 166
di AN, ragione che spiega l’inserimento tra parentesi (spesso nell’autografo fra parentesi non si
trovano delle varianti, ma piuttosto annotazioni che approfondiscono il significato di un verso, un
sintagma o un unico elemento). Infatti, se si rilegge il verso precedente, si nota come il sintagma
quando spegneali il fato è in stretta relazione con il verso 166, il quale ne sviluppa il significato ma
con una forte ridondanza, dovuta anche dall’uso dello stesso verbo. Tuttavia, vediamo che le
parentesi sono cassate, ciò significa che il poeta ebbe un ripensamento riguardo al possibile
reinserimento del verso nella poesia. In seguito, come rivela il confronto con le stampe, l’idea non
fu applicata. In questo primo caso non possiamo parlare dello stesso fenomeno di riduzione
registrato nei versi 133-135: vista la presenza delle parentesi, è probabile che non si trattasse di un
verso che inizialmente Leopardi considerava parte integrante della poesia, ma piuttosto di una sorta
di postilla. È comunque interessante osservare e studiare le annotazioni presenti nel manoscritto
perché sono testimonianze della “febbre del correggere, nell’atto che si fa”21 tipicamente
leopardiane.
Passiamo ora ai versi successivi, anche in questo caso le parentesi e i segni grafici giocano
un ruolo importante per la comprensione del lavoro correttorio del poeta. Per capire meglio i vari
passaggi di tale processo ci atterremo alla falsariga dell’analisi di De Robertis. Egli, infatti,
individua tre fasi distinte per la stesura dei suddetti versi:
- nella prima fase si leggeva “Ahi Nerina! In cor mi regna, / Pur come ier da noi fossi partita,
/L’immagin tua, l’antico amor”. (il filologo ritiene quindi che le parentesi siano subentrate
successivamente)
- in un secondo momento mise fra parentesi l’antico amor, estraendolo quindi dal verso. Questo
perché l’immagin tua si ricollegava meglio al verso precedente (in particolare al femminile di
partita).
- in seguito il poeta ebbe un ripensamento, cassò le parentesi in cui era chiuso il sintagma l’antico
amor, ed estrasse dal verso L’immagin tua, da cui consegue la correzione dell’articolo l’antico in
maiuscolo.
21 DE ROBERTIS Giuseppe, Sull’autografo de “Le Ricordanze”, p. 303.
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È probabile che da questa scelta derivi l’eliminazione del verso 168 “Pur come ier da noi fossi
partita”, che si legava all’immagin tua, in modo tale da avvicinare l’antico amor al verso 167, dove
esso diventa il soggetto di regna nel cuore del poeta. Si fa così “più attiva e toccante la gloria delle
due espressioni, così intimamente affini, così intense”22. Il presente esempio di riduzione si avvicina
quindi in qualità a quella precedentemente illustrata dei versi 133-135.
BibliografiaCONTINI Gianfranco, Implicazioni leopardiane, in Varianti e altra linguistica. Una
raccolta di saggi, Torino: Einaudi, 1970.
DE ROBERTIS Giuseppe, Sull’autografo de “Le Ricordanze”, in Saggio sul Leopardi,
Firenze: Vallecchi, 1960.
22 Ibidem, p. 302.
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Le Ricordanze di Leopardi Yasmine Tonini
GAVAZZENI Franco, Come copiava e correggeva Leopardi, in ID., Studi di critica e
filologia dell’Ottocento e il Novecento, Verona: Valdonega, 2006, pp. 409-430.
GAVAZZENI Franco, Postilla Leopardiana, in Stilistica e metrica italiana, I, 2001, pp.
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LEOPARDI Giacomo, Canti, ed. critica e autografi a cura di Domenico De Robertis, Milano
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LEOPARDI Giacomo, Canti, introduzione di Franco Gavazzeni, note di Franco Gavazzeni e
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LEOPARDI Giacomo, Canti, ed. critica dir. da Franco Gavazzeni , a cura di Cristiano
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LEOPARDI Giacomo, Epistolario, a cura di F. Moroncini e G. Ferretti, Firenze, Le
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PETRARCA Francesco, Canzoniere, a cura di M. Santagata, Mondadori, 1996.
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