Lavoro di tesi

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 1 Introduzione Ho svolto il mio ultimo periodo di pratica professionale presso il Centro psico-educativo (CPE) di Stabio. Le situazioni da me affrontate mi sono parse da subito complesse, connotate da un alto livello di aggressi vità da parte di taluni bambini e - più in gene rale - da un alto grado di difficoltà da parte degli operatori nella gestione di gruppi di bambini non numerosi, ma particolarmente disinibiti nel destrutturare le attività programmate nel centro. I bambini a cui farò riferimento rientrano in una fascia d’età che va dai sette ai dieci anni e che nello specifico fanno parte del gruppo “Grandi” all’interno del Centro. Trovare una mia collocazione è stato alquanto difficoltoso anche a causa del numero di bambini che frequentano CPE in maniera sporadica, dell’alto numero di colleghi e dell’eterogeneità delle attività proposte. Ancor prima di iniziare il mio ultimo periodo di pratica professionale presso CPE mi avevano affascinato le teorie relative ai “fenomeni transizionali” 1 di D.W. Winnicott 2 che meglio descriverò nel punto 4.1.1 e ho co iniziato il mio stage con un occhio particolarmente vigile rispetto alle dinamiche di gioco nei bambini. Mi sono da subito accorto che vi erano elementi disfunzionali durante i momenti di pausa e - più o meno indirettamente - anche nei passaggi da uno spazio con un alto grado di libertà (ricreazioni, levata, …) ad uno maggiormente strutturato (scuola, atelier, …). Si tratta dei momenti di passaggio, così citerò nel testo quelle situazioni che fanno riferimento al passaggio da un’attività di gioco libero ad una maggiormente strutturata. In questi frangenti ho osservato - e vissuto personalmente - quali siano le complessità che bambini e operatori si trovano ad af fr ontare. Dalle mi e os servazioni sono emer se in particol ar modo at tit udini di indisciplina e aggressività che hanno destabilizzato il lavoro degli operatori e che mi hanno portato a delle riflessioni sulle modalità di gestione di tali spazi. È interessante fare una premessa generale sul mio lavoro, ho di fatto iniziato a strutturare la mia tesi sul tema dei momenti di passaggio ma ho in seguito percepito che andava svolta una riflessione su ciò che accadeva “a monte” rispetto a questi cambi di attività. Sono infatti le occasioni duranti le quali i bambini godono d’un alto grado di libertà d’azione (come le ricreazioni, pause, momenti interstiziali,…) che destabilizzano le situazioni di 1 Termine introdotto da D.W. Winnicott, derivato da quello di “oggetto transizionale” che indica un oggetto materi ale che il bambino tra i quattro e i dodici mesi tiene press o di sé per addormentars i. Un fenomeno normale che consente al bambino di passare dalla prima relazione con la madre alla relazione oggettuale. L’o gget to transizion ale , pur costituen do un momento di pass agg io ver so la per cez ione di un ogge tto nettament e separato dal soggetto, non perde la sua fun zio ne nel peri odo successivo, dove riappare speci almente in occasione di fasi depressive. Appartie ne pertant o al campo intermedio dell’esp erienza del bambino e il suo protrarsi nell’età adulta è alla base della successiva vita immaginativa. I fenomeni transizionali nel bambino mantengono il loro carattere di mediatori tra la realtà interna ed esterna del soggetto ma variano nell’espressione, se il neonato utilizzava un pupazzo, il bambino di sei anni vive i “fenomeni transizionali” tramite lo spazio illusorio del gioco e l’adulto tramite l’arte o la religione. Tratto da: GALIMBERTI Umberto, Psicologia, “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006, p. 708. 2 W. Donald Winnicott (Plymouth, Devon 1896 – Londra 1971): psicanalista ingelse. Medico specializzato in pediatria si acccostò alla psicanalisi nel 1923. Studiò soprattutto i rapporti oggettuali primari, la formazione del Sé, la costituzione dell’Io e l’approccio col mondo esterno. Winnicott considera il gioco come il luogo paradi gmatic o del rapport o terapeu tico. Tratto da: GALIMBERTI Umberto, Psicologia , “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006, p. 1084.

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Introduzione

Ho svolto il mio ultimo periodo di pratica professionale presso il Centro psico-educativo

(CPE) di Stabio. Le situazioni da me affrontate mi sono parse da subito complesse,

connotate da un alto livello di aggressività da parte di taluni bambini e - più in generale -

da un alto grado di difficoltà da parte degli operatori nella gestione di gruppi di bambini non

numerosi, ma particolarmente disinibiti nel destrutturare le attività programmate nel centro.

I bambini a cui farò riferimento rientrano in una fascia d’età che va dai sette ai dieci anni e

che nello specifico fanno parte del gruppo “Grandi” all’interno del Centro. Trovare una mia

collocazione è stato alquanto difficoltoso anche a causa del numero di bambini che

frequentano CPE in maniera sporadica, dell’alto numero di colleghi e dell’eterogeneità

delle attività proposte.

Ancor prima di iniziare il mio ultimo periodo di pratica professionale presso CPE mi

avevano affascinato le teorie relative ai “fenomeni transizionali”1 di D.W. Winnicott2 che

meglio descriverò nel punto 4.1.1 e ho così iniziato il mio stage con un occhio

particolarmente vigile rispetto alle dinamiche di gioco nei bambini. Mi sono da subito

accorto che vi erano elementi disfunzionali durante i momenti di pausa e - più o meno

indirettamente - anche nei passaggi da uno spazio con un alto grado di libertà (ricreazioni,

levata, …) ad uno maggiormente strutturato (scuola, atelier, …). Si tratta dei momenti di

passaggio, così citerò nel testo quelle situazioni che fanno riferimento al passaggio da

un’attività di gioco libero ad una maggiormente strutturata. In questi frangenti ho osservato

- e vissuto personalmente - quali siano le complessità che bambini e operatori si trovanoad affrontare. Dalle mie osservazioni sono emerse in particolar modo attitudini di

indisciplina e aggressività che hanno destabilizzato il lavoro degli operatori e che mi hanno

portato a delle riflessioni sulle modalità di gestione di tali spazi.

È interessante fare una premessa generale sul mio lavoro, ho di fatto iniziato a strutturare

la mia tesi sul tema dei momenti di passaggio ma ho in seguito percepito che andava

svolta una riflessione su ciò che accadeva “a monte” rispetto a questi cambi di attività.

Sono infatti le occasioni duranti le quali i bambini godono d’un alto grado di libertà d’azione

(come le ricreazioni, pause, momenti interstiziali,…) che destabilizzano le situazioni di

1 Termine introdotto da D.W. Winnicott, derivato da quello di “oggetto transizionale” che indica un oggettomateriale che il bambino tra i quattro e i dodici mesi tiene presso di sé per addormentarsi. Un fenomenonormale che consente al bambino di passare dalla prima relazione con la madre alla relazione oggettuale.L’oggetto transizionale, pur costituendo un momento di passaggio verso la percezione di un oggettonettamente separato dal soggetto, non perde la sua funzione nel periodo successivo, dove riapparespecialmente in occasione di fasi depressive. Appartiene pertanto al campo intermedio dell’esperienza delbambino e il suo protrarsi nell’età adulta è alla base della successiva vita immaginativa. I fenomenitransizionali nel bambino mantengono il loro carattere di mediatori tra la realtà interna ed esterna delsoggetto ma variano nell’espressione, se il neonato utilizzava un pupazzo, il bambino di sei anni vive i“fenomeni transizionali” tramite lo spazio illusorio del gioco e l’adulto tramite l’arte o la religione. Tratto da:

GALIMBERTI Umberto, Psicologia, “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006, p. 708.2 W. Donald Winnicott (Plymouth, Devon 1896 – Londra 1971): psicanalista ingelse. Medico specializzato inpediatria si acccostò alla psicanalisi nel 1923. Studiò soprattutto i rapporti oggettuali primari, la formazionedel Sé, la costituzione dell’Io e l’approccio col mondo esterno. Winnicott considera il gioco come il luogoparadigmatico del rapporto terapeutico. Tratto da: GALIMBERTI Umberto, Psicologia, “Le Garzantine”,Garzanti, Torino, 2006, p. 1084.

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passaggio. È durante le ricreazioni e negli spazi con un maggior grado di autonomia che i

bambini iniziano a destabilizzarsi rischiando poi di portare le loro difficoltà anche nel

momento del distacco da questa attività, così come nella successiva.

Come ci segnala una delle principali regole della sistemica, quella della totalità, ogni

cambiamento di una singola parte interessa le altre, le influenza e influenza tutto il

sistema. Se questa regola ha valore nella comunicazione umana penso che la si possa

traslare anche nel contesto delle attività svolte nell’arco di una giornata. Ognuna di loro ha

un filo conduttore che non le suddivide in compartimenti stagni.

Ho così iniziato focalizzando il mio lavoro sull’agito degli operatori in questi frangenti (lo si

potrà ben notare dalle tabelle osservative allegate) ma ho presto compreso che quello che

più mi interessava - per strutturare un intervento strategico - non era tanto il partire dalle

pecche degli operatori quanto riflettere sulle difficoltà riscontrate dai bambini e ragionare

sul come poter strutturare questi momenti in modo da anticipare i loro momenti di difficoltà.

Per questo, in un ottica preventiva, ho optato per un’analisi delle loro difficoltà per 

arrivare a chiedermi cosa potesse essere utile fare nel concreto durante i momenti che

precedono il passaggio dal gioco libero ad un’attività maggiormente strutturata, come

pensare altrimenti spazi quali le pause, le ricreazioni e tutti quei momenti che concedono

un maggior grado di libertà a questi bambini pur restando sotto la supervisione degli

operatori. La mia ipotesi verte sul fatto che - nonostante questi bambini abbiano la

necessità di sfogare tutto quanto ritenuto nel corso delle attività maggiormente strutturate -

essi non siano ancora in grado di autogestire uno spazio tanto delicato e pertanto siamonoi operatori a dover intervenire tramite una sua strutturazione.

Identificherò nel mio scritto questi spazi di gioco “libero” come “spazi transizionali” -

tema che meglio descriverò nel capito 4.1.1 - descritti dallo psicanalista D. W. Winnicott

nei suoi testi che come vedremo fanno capo al contesto del gioco, attività che i bambini

prediligono in questi frangenti.

“Se pensiamo, per esempio, alla quantità di angoscia, frustrazione e potenziale

aggressività che il processo di risveglio comporta per i bambini disturbati e nel passaggio

dal mondo dei sogni a quello di una realtà a cui si ribellano, come per esempio una

lezione in una materia in cui si sentono poco sicuri, possiamo capire quale immane lavoro

di terapia d’appoggio ci attende se vogliamo cercare di far fronte ai problemi dei momenti 

di passaggio. (…) Per fare un esempio concreto, in certi casi la resistenza dei nostri 

bambini ad andare a letto non derivava dall’opposizione ribelle alle richieste dell’adulto,

bensì dalla riluttanza ad abbandonare una situazione felice di gioco…” 3

L’intento del mio lavoro non è certamente quello di giudicare l’operato dell’équipe del CPE

né tanto meno fornire una soluzione esaustiva del problema qui riportato: io mi prefiggo di

raggiungere l’elaborazione di ipotesi di intervento - teoriche e in parte già sperimentate

3 REDL Fritz e WINEMAN David, “Bambini che odiano, Tecniche di trattamento del bambino aggressivo”,Vol. 2, Boringhieri Editore, Torino, 1974, p. 148-149.

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nella pratica lavorativa - che potrebbero fungere da spunto di riflessione sulla

rappresentazione e la possibile strutturazione degli spazi di gioco.

Relazione tra le varie parti del lavoro

Nella parte introduttiva si vuole presentare in modo conciso i principali temi che il lettoretroverà nel testo. Seguirà una descrizione della struttura nella quale si è svolto il mio

periodo di pratica e nel quale ho raccolto osservazioni e interviste utili al mio scritto. Nella

presentazione della tematica esporrò le motivazioni e gli scopi che stanno alla base del

mio lavoro, nonché la metodologia utilizzata per raccogliere e analizzarne i contenuti. La

dissertazione è invece suddivisa in una parte teorico-metodologica e una parte analitica.

La prima fa emergere le teorie e gli approcci ai quali ho fatto riferimento. In buona

sostanza il mio ragionamento verte sulle funzioni del gioco nel bambino, sull’interrogativo

del come strutturare tali spazi e sulla funzione dell’operatore all’interno di essi. La secondaparte presenta dapprima un’analisi di quanto raccolto tramite interviste e osservazioni

unitamente alle mie ipotesi di intervento. In questa sezione sottolineo come e perché ho

modificato il mio focus iniziale e quali sono i punti nodali sui quali credo sia utile ragionare

al fine di prevenire situazioni poco auspicabili per i fini terapeutico-educativi che il Centro

si prefigge. Infine le conclusioni con le riflessioni personali legate ai miei vissuti e a quanto

ho appreso da questa esperienza in connessione al ruolo di educatore sociale.

Breve descrizione del contesto lavorativoHo effettuato questo periodo di stage presso il Centro psico-educativo (CPE) di Stabio. In

Ticino vi sono altre due sedi (Lugano e Gerra Piano). Anche queste ultime - come per 

quella di Stabio - sono raggruppate sotto il cappello dell’Organizzazione socio psichiatrica

cantonale (OSC). I CPE sono nati negli anni ’60-’70, fanno parte del Servizio medico-

psicologico (SMP, un servizio cantonale per la salute mentale infantile con il quali i CPE

collaborano) e sono delle strutture semi-residenziali dedicate alla cura del disagio psichico

dei bambini come delle loro famiglie. I centri psico-educativi forniscono una risposta

educativa e terapeutica più adeguata rispetto al passato (per alcuni rappresentatadall’Ospedale Psichiatrico) a bambini di età pre-scolare e scolare con problematiche

psicopatologiche gravi o intermedie. Vi è una chiara divisione in due gruppi: il gruppo

“piccoli” - che va dai tre ai sei-sette anni (scuola dell’infanzia) - e quello “grandi” dai sette

ai dodici anni (scuole elementari e oltre). Tra le prestazioni fornite figura anche la scuola

speciale. La presa a carico è erogata peraltro da un’équipe multidisciplinare comprendente

medici specialisti, psicoterapeuti, psicologi, educatori e docenti. Gli stagiaire presenti sono

psicologi ed educatori in formazione.

Nonostante la maggior parte dell’équipe sia costituita da psicologi la presa a carico si basa

sul modello bio-psico-sociale, per il quale le malattie e i disturbi psichici sono influenzati da

aspetti biologici, psicologici e socioculturali. Per trattarli si interviene in uno spazio legato

alla milieu-thérapie - detta anche “terapia d’ambiente” - può essere definita come segue:

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“…un tipo di modello psicoterapico nel quale l’ambiente è utilizzato per trattare il disagio

mentale o comportamentale. L’accento viene posto sul fornire un piacevole ambiente

fisico, attività strutturate e uno stabile ambiente sociale dove i cambiamenti 

comportamentali e la crescita personale sono promossi tramite una interazione paziente-

gruppo e il supporto dell’équipe.” 4  Un ambiente avvolgente ma al contempo equilibrato trai bisogni esterni (integrazione scolastica) e quelli interni (terapia d’ambiente).

La sede di Stabio è l’unica a possedere un internato con circa cinque posti letto (tre dei

quali attualmente utilizzati). Questo servizio è previsto unicamente durante l’arco della

settimana, nei fine settimana i bambini rientrano infatti in famiglia o - in caso di bisogno -

vengono collocati in istituto. CPE segue il calendario scolastico e apre a dipendenza delle

richieste. Nei periodi di vacanza non è previsto l’internato ma sono comunque redatti dei

programmi individualizzati per ogni utente. Di norma le segnalazioni per un collocamento

(nel caso dell’internato) o di un esternato arrivano dai Servizi medico psicologico (SMP)oppure dal SOIC (Servizio ortopedagogico itinerante cantonale, che si occupa di bambini

in età prescolare) e la diagnosi clinica per l’ammissione deve corrispondere a determinate

tipologie di disturbo psichico5.

L’obiettivo ultimo del CPE è di permettere a questi ragazzi di essere reinseriti nel normale

circuito scolastico, a tale scopo sono selezionati unicamente soggetti la cui situazione

psichica non può essere definita già strutturata e che siano pertanto suscettibili di un

intervento riabilitativo. Essi sono peraltro inseriti all’esterno in una classe di Scuola

dell’Infanzia, di Scuola Elementare o di Scuola Speciale e con loro si tenta un inserimentograduale ma costante in stretta collaborazione con i docenti.

All’interno del Centro le attività sono strutturate e potrebbero essere suddivise in due

grandi categorie: la scuola e le attività ricreative/terapeutiche. Le mattinate sono dedicate

alle attività scolastiche nelle quali si tenta di risvegliare o consolidare l’interesse verso

l’apprendimento, la motivazione verso questo elemento centrale anche in relazione al

futuro di questi bambini. Le attività terapeutiche sono invece finalizzate a stimolare le

risorse che ogni bambino già possiede. L’operatore durante queste attività svolge la

funzione di Io ausiliario, sostenendo e al contempo contenendo i comportamenti delbambino. Vi sono differenti tipi di atelier: pittura, piscina, cucina, creta ed altri ancora.

Presentazione della tematica

La scelta del tema e lo scopo del lavoro

Come già menzionato nell’introduzione, la scelta del tema scaturisce dall’osservazione

delle difficoltà riscontrate dai colleghi - e da parte mia - durante i momenti di passaggio.

4 Traduzione dall’inglese del testo: http://www.planetpsych.com/zPsychology_101/milieu.htm5  Diagnosi cliniche per l’ammissione: disturbi pervasivi dello sviluppo, autismo infantile, psicosi infantile,disarmonie psicotiche, nevrosi, disturbi della personalità, disturbi dell’attività e dell’attenzione, disturbiaffettivo-relazionali.

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Una delle principali complessità verteva nell’approcciarsi ad un gruppo di bambini che a

volte remava all’unisono in senso contrario rispetto a quello di noi operatori.

Come aiutare i bambini a vivere meglio queste circostanze? Reagire o anticipare e

 prevenire? Queste erano le domande che mi sono sorte sin dai primi giorni di stage e a tali

quesiti non riuscivo a trovare nessuna risposta infallibile, nessun chiaro espediente per portare i bambini ad affrontare il distacco da un’attività per iniziarne una nuova. Come

spesso ripete una ormai mia ex collega “non esiste la bacchetta magica in campo

educativo” , ma nel contempo intuivo che era possibile modificare qualcosa del nostro

operato per rendere questi spazi meno traumatizzanti per i bambini e più facilmente

gestibili per gli operatori. Personalmente riuscivo unicamente ad intervenire quando uno

screzio era già iniziato e a cercare di volta in volta una nuova idea che mi potesse aiutare.

Mi sono così domandato se non fosse il caso di analizzare meglio questo tema nell’ottica

di un educatore sociale che vive la propria quotidianità attorniato da psicologi. A taleriguardo mi sono interrogato sulle possibili difficoltà che i bambini affrontano quando gli si

pone davanti un momento tanto delicato come quello del distacco. Scovarne i perché è di

fondamentale importanza - anche se potrebbe sembrare un compito che spetta in

particolar modo allo psicologo - in quanto è rilevante ragionare sul tema con un’ottica

finalizzata ad una migliore analisi del caso che permetta di fornire risposte educative

adatte al singolo utente e al gruppo.

In seguito all’elaborazione dell’intervista sottoposta agli operatori ho comunque riscontrato

che non ero l’unico a rilevare delle difficoltà nell’affrontare tali momenti e nemmeno l’unicoa porsi delle domande in merito. Ho così deciso di riflettere sull’impostazione metodologica

da dare al mio lavoro di tesi e mi è sembrato inizialmente opportuno focalizzarmi

sull’intervento degli operatori, sulle diverse declinazioni del loro agito in relazione alle

retroazioni scaturite nei bambini.

L’operatore influenza la relazione con il bambino - e con il gruppo di bambini - tramite i

suoi comportamenti. È pertanto possibile - perlomeno in parte - fare delle proposte

operative volte a lenire la frustrazione del bambino e a permettergli di vivere questi

frangenti in maniera più equilibrata. Anche in relazione alla realtà del contesto cheinevitabilmente incontrerà al di fuori del Centro psico-educativo sarà importante favorire

una sua acquisizione di ciò che comportano i momenti di distacco.

Ragionando sulle difficoltà che i bambini manifestavano durante questi momenti e sulle

riposte degli operatori mi sono però chiesto se non fosse il caso di fare un passo indietro e

riflettere su ciò che accadeva durante i momenti di gioco “libero”, gli “spazi transizionali”

prima citati. Essi mi sono apparsi come una delle principali fonti di difficoltà rispetto a ciò

che i bambini mettevano in atto in seguito, al momento del distacco da tale spazio. Si

tratta peraltro di un tema comune nella quasi totalità dei contesti lavorativi che fanno capoa questa fascia d’età e non solo. La destrutturazione di qualsiasi attività fornisce molti

spunti di riflessione sulla loro gestione e in particolar modo fa riflettere su quali siano le

nostre rappresentazioni su di essi.

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I concetti chiave

Farò inizialmente riferimento ai concetti di “spazio transizionale” riportati nel testo “Gioco e

Realtà” 6  di D. W. Winnicott per meglio comprendere le dinamiche insite nel gioco e andare

ad approfondire il carattere sociale ed evolutivo che questa attività comporta.

“Il gioco diventa un prezioso e insostituibile teatro delle passioni. (…) permette al bambino

di sperimentare il senso della propria potenza sugli oggetti e sulle situazioni che nella vita

di ogni giorno subisce e a cui deve adattarsi, sentendosi spesso inferiore e inadeguato.

Un’esperienza restauratrice che rafforza l’Io (…) è di per se una forma di auto-terapia:

attraverso la drammatizzazione dei conflitti e delle impressioni penose che il bambino

vive, può infatti liberarsene mettendole in scena fuori di sé.” 7 

Farò inoltre riferimento al socio-costruttivista Lev Vygotskij8 che definisce il gioco come

contenitore di tendenze evolutive in forma condensata, ed esso stesso una fonte

principale di sviluppo. Grazie ai parallelismi tra questo autore e Winnicott è stato

interessante sottolineare l’importanza del gioco sotto un profilo evolutivo e quale mezzo

per scaricare le tensioni accumulate.

Mi sono però da subito accorto che necessitavo anche di riferimenti più attinenti alla sfera

della pratica quotidiana. Gli elementi che il famoso psicanalista inglese riportava erano

senza dubbio interessanti ma sarebbero risultati poco utili nell’elaborazione di

un’eventuale proposta di intervento pratico. Ho così riscontrato che vi erano delle

connessioni con i testi di Fritz Redl e David Wineman9: “Bambini che odiano”, Volume 1 e

2 10 . Questi testi fanno direttamente riferimento ad un’esperienza in un contesto clinico

come quello di CPE e con bambini di età leggermente superiore a quella dei bambini da

me osservati (dai dieci ai tredici anni). Anche le patologie manifestate erano similari e tutte

quelle facenti riferimento a disturbi dell’adattamento sociale. L’esperienza di questi due

studiosi avvenne negli anni ’40 a Detroit, contesto spazio-temporale differente rispetto al

nostro ma ciononostante gli avvenimenti descritti nei due volumi mi sono da subito

sembrati evidenziare molte similitudini con quanto provato di persona in quel di Stabio.

6 WINNICOTT D. W, “Gioco e realtà”, Armando Armando Editore, Roma, 1974.7 BELLISARIO L., DEMETRIO D., MANTOVANI S., MARSICANO S., PICCININI F., RIVA M.G., ROVATTIP.A., VEGETTI M., VOLTOLIN A., a cura di MARSICANO Sergio, “Elementi di psicopedagogia”, Milano,1998, p. 167.8 Lëv Vygotskij (Gome 1896 – Mosca 1934): laureatosi a Mosca in giurisprudenza e filosofia insegnò poipsicologia sperimentale all’Università di Mosca. Al contrario di Jean Piaget ritiene che il linguaggio pur essendo basato su possibilità strutturali innate, nasce dalla interazione individuo-ambiente e solo in seguitodiviene linguaggio “interno” contribuendo alla strutturazione del pensiero. Tratto da: GALIMBERTI Umberto,Psicologia, “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006, p. 786.9 Fritz Redl (1902 Schladming, Austria - 1988 in North Adams, USA) emigra negli Stati Uniti nel 1936, nel1925 si laurea in filosofia e psicologia all’Università di Vienna, in seguito diventa psicanalista interessandosiprincipalmente al filone teorico della psicologia dell’Io (Hartmann fu uno dei suoi maestri). Anche professoredi scienze del comportamento all’Università di Detroit ha poi fondato e diretto diverse istituzioni terapeutiche

per il trattamento e il recupero di bambini affetti da gravi disturbi emotivi (Pioneer House, Detroit GroupProject, Detroit Group Project Summer Camp). David Wineman è stato professore di lavoro sociale allaWayne State University's School of Social Work di Detroit ha partecipato direttamente al progetto dellaPioneer House.Tratto da: REDL Fritz, “Il trattamento psicologico del bambino”, Boringhieri edizioni, Torino, 1977.10 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit..

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Entrambi gli studiosi fanno riferimento a quella che è definita “psicologia dell’Io”11. Si tratta

di una corrente di pensiero che si accosta in maniera particolarmente adeguata a quelle

che sono le dinamiche di integrazione professionale tra la figura dell’educatore e dello

psicologo all’interno di un CPE. Ho pertanto scorporato da questi testi l’impostazione

metodologica di ciò che è avvenuto con i “Pioneer” 12  e ho riscontrato una soddisfacenteformulazione teorica - comunque basata sulla pratica quotidiana - delle difficoltà che

emergevano dal fragile Io di questi ragazzi. In particolar modo questi ultimi elementi mi

sono stati utili per analizzare schematicamente quanto osservato durante il mio stage e -

partendo da questa osservazione empirica in connubio con le interviste sottoposte ai

colleghi - mi sono prefisso la formulazione di quattro proposte di intervento. Esse sono

volte a operare proprio negli “spazi transizionali”, momenti di gioco che si sono spesso

tramutati in disordine e difficoltà gestionali da parte degli operatori.

Metodologie e strumenti utilizzati

Sono partito da un’osservazione e dalla relativa analisi di tre momenti di passaggio per 

comprendere il perché di tante difficoltà riscontrate nei bambini in queste occasioni.

L’analisi ha infatti compendiato quanto precedentemente osservato tramite i diari di bordo

e quanto raccolto tramite intervista. Il prodotto di tale lavoro sono le quattro ipotesi di

intervento che propongo al termine del mio scritto. Nel particolare il mio lavoro verte sulle

seguenti domande:   perché questa tipologia di bambini riscontra particolari difficoltà

durante i momenti di passaggio? Quali le problematiche che più di altre emergono in tali contesti? Evitando di dover intervenire quando un problema è già affiorato, cosa possiamo

 proporre per prevenire tali difficoltà e i conseguenti screzi?  

Al fine di raccogliere dati qualitativi l’approccio da me utilizzato è di tipo induttivo. Come

vedremo nel seguente elenco sono partito da un’osservazione partecipante dalla quale ho

raccolto dati empirici. Utilizzerò spesso il pronome “noi” in quanto sono stato coinvolto in

prima persona nel contesto osservato. Le interviste mi hanno poi permesso di meglio

soffermarmi sugli aspetti rappresentativi che gli operatori hanno fatto emergere rispetto a

tali momenti. Ho infine elaborato alcune ipotesi di intervento a seguito dell’incrocio dei dati

raccolti. Durante il percorso intrapreso per questo lavoro di ricerca e di pratica riflessiva

posso infatti evidenziare i seguenti passaggi:

o osservazione partecipante al fine di raccogliere le strategie operative degli operatori

e le principali difficoltà riscontrate nei bambini. Nello specifico si tratta dei seguenti tre

momenti di passaggio:

11 Indirizzo psicanalitico che integra il modello intrapsichico di S. Freud, fondato sull’economia delle pulsionie delle fantasie inconsce, col modello culturalista e interpsichico che privilegia il mondo esterno e i relativi

problemi di adattamento a partire dalla biologia evoluzionistica di C. Darwin. Hartmann e Anna Freud sonotra i principali esponenti di tale teoria. Hartmann disse che la funzione dell’Io è quella di creare un equilibriotra organismo e ambiente, questa concezione teorica consente di innestare nel modello psicoanalitico ilmodello genetico cognitivista di J. Piaget e di ricollocare al centro delle dinamiche del soggetto la coscienzadell’Io. Tratto da: GALIMBERTI Umberto, Psicologia, “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006, p. 840.12 Diminutivo che veniva accostato ai ragazzi che frequentavano la Pioneer House di Detroit.

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• dalla ricreazione all’aula scolastica il lunedì pomeriggio, una pausa di

circa quindici minuti (14.45-15.00) effettuata nel parco giochi, o in caso di

cattivo tempo nella sala giochi interna al Centro. La presenza era di due

bambini;

• dalla levata all’aula scolastica il martedì mattina, una pausa di circa trentaminuti (08.00-08.30) vissuta all’interno degli appartamenti da parte di due

bambini che seguono l’internato;

• dalla ricreazione all’attività di piscina il mercoledì pomeriggio, una

pausa di circa un ora e mezza (12.50-14.20) effettuata nel parco giochi o in

caso di cattivo tempo nella sala giochi interna al Centro;

o ho proseguito con l’analisi di tali osservazioni che mi hanno portato a mettere in

evidenza gli elementi relativi alle strategie di intervento degli operatori che si ripetono

(ridondanze), con lo scopo di osservare la loro natura. A tal fine ho ritenuto utileriepilogare questi dati in una tabella riassuntiva che allego13;

o ho inoltre tratto dalle osservazioni importanti dati relativi ai comportamenti dei

bambini. Elementi che ho integrato a quanto emerso dalle interviste nel punto 4.2.1.

o l’intervista agli operatori coinvolti nelle osservazioni effettuate mi ha dato modo di

esplicitare i loro punti di vista, i metodi utilizzati e fornire ulteriori dati in relazione al

loro comportamento, a quello dei colleghi e ad approfondire quello dei bambini. Anche

questi elementi sono espressi nel punto 4.2.1.;

o infine ho ipotizzato quattro nuove strategie di intervento, una per ogni contestoosservato con l’aggiunta di un’ipotesi polifunzionale.

Le osservazioni sono state da me elaborate e catalogate in diari di bordo già predisposti

alla registrazione degli elementi specifici e necessari all’analisi che tale lavoro richiede: ho

omesso - per esempio - le motivazioni e le cause dei comportamenti non adeguati dei

bambini come anche le variabili che non si sono dimostrate rilevanti in questa mia ricerca

(vissuto dell’operatore e del bambino). A tal fine - trattandosi di un diario di bordo - ho

selezionato degli indicatori: alcuni relativi ai comportamenti dei bambini ed altri a quelli

degli operatori. In particolar modo per l’analisi ho fatto riferimento alle “tecniche per lamanipolazione antisettica del comportamento di superficie” tratte dal secondo volume del

libro “Bambini che odiano” di Fritz Redl e David Wineman che riporto nell’allegato numero

quattro. Queste ultime sono utilizzate al fine di intervenire e sostenere il bambino in

eventuali momenti di agitazione del gruppo o del singolo. Durante il lavoro ho compreso

che i comportamenti riscontrati dagli operatori erano solo uno dei punti nodali sui quali

focalizzare la mia osservazione. Le mie ipotesi di intervento sarebbero dovute infatti

scaturire soprattutto dall’analisi delle difficoltà riscontrate nei bambini. Per tale motivo gli

indicatori relativi ai comportamenti-retroazione dei bambini sono stati ripresi e rielaboratitramite gli elementi di fragilità dell’Io trattati da Fritz Redl e David Wineman nei volumi

13 Vedi allegati. Allegato 4: Tabella riassuntiva e analisi delle tecniche utilizzate dagli operatori.

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precedentemente menzionati. Essi sono meglio espressi al punto 4.1.2 e mi sono serviti

da base sulla quale programmare le mie proposte di intervento.

In seguito ho proposto un’intervista agli operatori coinvolti nelle situazioni osservate. Ho

svolto questo lavoro al fine di comprendere le singole impressioni su quanto analizzato dai

diari di bordo e, in particolar modo, per verificare le loro rappresentazioni sugli “spazi

transizionali”. Inizialmente avevo anche riflettuto sul fatto di porre delle domande anche ai

bambini coinvolti. Ho poi rinunciato questa mia idea preliminare in quanto si sarebbero

rivelati dati di difficile analisi viste le difficoltà espressive che i bambini evidenziavano.

DissertazioneAspetti teorici-metodologici

Lo spazio transizionale

Cenni storici

Parlando di “spazio transizionale” si fa spesso riferimento, soprattutto per bambini di

questa età, al gioco. Molti studiosi hanno analizzato questo tema, gli esempi sono svariati

e potrei partire menzionando Jean Piaget che ha utilizzato il gioco come strumento

privilegiato nello studio dei diversi stadi cognitivi. Freud ha invece iniziato descrivendo il

gioco del rocchetto nel bambino di diciotto mesi, Donald Winnicott dal canto suo si è

preoccupato di dimostrare il valore di interazione del gioco tra bambino e ambiente. Gioco

che si rivela quindi al centro dei “fenomeni transizionali” permettendo al piccolo di

esprimere la propria onnipotenza in un ambiente protetto. Questo porta il bambino verso

una graduale autonomia in particolar modo grazie al suo “oggetto transizionale”14.

A questo tema si collega quello della necessità della presenza di una madre

sufficientemente buona15 che permette al bambino di passare dal principio di piacere ad

un principio di realtà. L’oggetto transazionale rappresenta dunque la transizione di un

bambino da uno stato di essere fuso con la madre, ad uno stato di essere in rapporto con

la madre come qualcosa di esterno e separato. Questo è il graduale avvicinamento allo

svezzamento che necessita di un morigerato processo di disillusione che lo preceda.

Principi fondamentali

Gli “spazi transizionali” sono ben descritti in particolar modo in uno scritto di D. W.

Winnicott intitolato “Gioco e realtà”. Nel dettaglio egli sottolinea l’esistenza di una terza

parte della vita, un’area intermedia di esperienza a cui contribuiscono la realtà interna e la

vita esterna: “Sto pertanto studiando la sostanza della illusione, quella che viene concessa

al bambino e che, nella vita adulta, è parte intrinseca dell’arte e della religione,…” 16  

14

Esso è descritto da Winnicott come l’oggetto che prende il posto della mamma (dell’oggetto primario)nell’immaginario del bambino e precede lo stabilirsi della prova di realtà.15 Con questo termine si intende una madre che attivamente si adatta ai bisogni del bambino, adattamentoche diminuisce gradualmente a dipendenza delle capacità del bambino. Esso va di pari passo con il senso didevozione della madre che partendo da un adattamento quasi completo deve poi distaccarsi dal figlio.16 WINNICOTT D. W., Op. Cit., p. 26.

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Veniamo ora - nello specifico - alla descrizione del termine “fenomeni transizionali”. Come

visto durante il modulo di utenza specifica “Minorenni”, a parere dello studioso sopra

menzionato i “fenomeni transizionali” nel bambino iniziano a mostrarsi tra i quattro e i

dodici mesi, periodo durante il quale i bambini tendono a succhiare le dita e il pugno per 

stimolare la zona orale al fine di stabilire uno stato di quiete con se stessi. Esso sta infattiper il seno o per l’oggetto del primo rapporto e partendo da questo presupposto possiamo

dire che i termini “oggetti transizionali” e “fenomeni transizionali” designano un’area

intermedia di esperienza tramite la quale viene concessa un’illusione al bambino. Si tratta

dell’illusione di non distaccarsi totalmente dalla mamma, come quella di avere un luogo di

rifugio nel quale nascondersi ogni qual volta le proprie paure vengono a galla. L’oggetto

transizionale può essere pertanto un lembo della coperta o un pupazzo, che il bambino tra

i quattro e dodici mesi tiene presso di sé per addormentarsi. In condizioni di salute vi è un

graduale ampliamento del campo di interessi, mantenuto anche quando l’angoscia si faviva. Proprio ciò che accade in seguito nell’adulto: i “fenomeni transizionali” possono

essere infatti riscontrati nell’arte o nella religione (un esempio ne è la letteratura nella

quale l’immedesimazione in un personaggio è frequente o lo sport nel quale spesso allo

stadio si scaricano le proprie frustrazioni).

“Si prende qui per assunto che il compito di accettazione di realtà non è mai completato,

che nessun essere umano è libero della tensione di mettere in rapporto la realtà interna

con la realtà esterna, e che il sollievo da questa tensione è provveduto da un’area

intermedia di esperienza (cfr. Riviere, 1936) che non viene messa in dubbio (arte,religione, etc. ). Questa area intermedia è in diretta continuità con l’area del gioco del 

bambino piccolo, che è “perduto” nel gioco.” 17 

Interessante notare come lo psicanalista inglese sottolinei con il termine “perduto” il grado

di assuefazione del bambino nel gioco. Si tratta infatti di un momento privilegiato che tutti i

bambini - e come vedremo in particolare quelli che frequentano CPE - utilizzano come

mezzo di espressione e di sfogo delle dinamiche interne che stanno vivendo in quel

contesto spazio-temporale.

“Nei bambini prepsicotici la scena del gioco è ben presto invasa da temi di divoramento

aggressivo, distruzione, regressione osservabile pure nell’organizzazione stessa del 

gioco. Per alcuni di loro il gioco diviene ben presto l’equivalente del passaggio all’atto

 pulsionale.” 18  

Il fatto che i bambini utilizzino il gioco in maniera tanto frequente e appagante non deve

però indurci in errore su un tema che procede in parallelo a quest’ultimo. I bambini amano

infatti giocare ma non sempre sono in grado di auto-gestire la propria attività ludica e le

regole ad essa connesse. Come il confronto con la realtà esterna che citavo poc’anzi

anche queste ultime non sono totalmente automatiche e vengono apprese in gran parteper imitazione e tramite insegnamento. Ciò avviene soprattutto per il gioco simbolico o il

17 WINNICOTT D. W., Op. Cit., p. 41.18 MANZOCCHI Ornella, “L’operatore sociale e l’infanzia”, SUPSI/DSAS, Manno, 2009, p. 157.

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gioco con regole di fantasia (socio-drammatico) che ne è un suo derivato, svolti da

bambini di questa fascia d’età.

A proposito del tema delle regole - che è centrale nel contesto ludico - anche Vygotskij

faceva riferimento a ciò come un elemento gradualmente autoimposto, nel quale “una

norma diviene affetto”. Il rispetto delle regole e la rinuncia ad agire seguendo l’impulso

immediato sono la fonte del massimo piacere, perché la loro osservanza nella struttura

ludica promette un piacere maggiore di quello che si prova nel soddisfare un impulso

immediato19. Comprendiamo pertanto le difficoltà (e l’importanza a livello di crescita socio-

affettiva) insite nel gioco con regole, messo in atto dai bambini dalla fascia d’età

prescolare in poi. In particolar modo emergono le difficoltà che questi bambini riscontrano

nell’auto-gestione del gioco e di tutta quella che è la sua struttura regolamentativa. Anche

il gioco va di fatto istruito, sarà solo in seguito gradualmente necessario scemare l’apporto

dell’adulto per permettere un maggiore grado di autonomia nella sperimentazione:

“Essendo l’attività prediletta dei cuccioli di animali e dei piccoli d’uomo, è semplice cadere

nel tranello che il gioco sia un’attività spontanea, per la quale abbiamo competenze

innate. In realtà, il gioco comporta delle regole, implica il concepire che vi siano altre

 persone che giocano con noi e che per farlo al meglio ci si deve mettere d’accordo sui 

ruoli e su ciò che è bene fare e non fare. (…) In quanto formatori, non bisogna inoltre

scordarsi di trasmettere un altro aspetto fondamentale del gioco. Ai nostri allievi 

dobbiamo trasmettere il gusto del gioco, il piacere che da esso deriva e le possibilità di 

crescita che offre.” 20 

Il gioco dunque visto come momento difficoltoso nelle vesti di “fenomeno transizionale” ma

anche - e tengo a sottolinearlo - come bacino di grandi potenzialità evolutive. È ciò che

peraltro sottolinea Vygotskij che definisce il gioco come un contenitore di tendenze

evolutive in forma condensata, ed esso stesso fonte principale di sviluppo. Da quanto

appreso durante il modulo “L’agire professionale tra individualizzazione e management” mi

viene spontaneo il riferimento alla “zona prossimale di sviluppo” 21 teorizzata da questo

autore, concetto esprimibile da parte del bambino grazie alla presenza di un adulto

competente22.

Proprio per queste sue connotazioni viene richiesta - a mio parere - la mediazione di un

adulto al quale i bambini possano fare riferimento durante il loro momento regressivo-

evolutivo, che rievoca sentimenti contrastanti e che può essere utilizzato come spazio

19 VYGOTSKIJ Lëv, “Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino”, in: BRUNER, J. S., JOLLY, A.,SYLVA, K. (a cura di), “Ruolo e sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell'uomo”, Vol. 4,Armando Editore, Roma, 1981, p. 671.20 PENATI V., GIRARD A., FERRARI G., SINIBALDI F., “Il libro dei giochi psicologici”, volume 1, Ferrari

Sinibaldi Edizioni, Milano, 2009, p. 9.21 Lëv Vygotskij sostiene che un processo di insegnamento/apprendimento consiste nella formazione di una

zona prossimale di sviluppo. Essa è la distanza fra il livello di sviluppo attuale (quando svolge un compitoindividualmente) e il livello di sviluppo potenziale (quando sorretto da un adulto competente) di un individuo.22 Tratto dalla dispensa del modulo: “L’agire professionale tra individualizzazione e management”, SUPSI

DSAS, Manno, a.a. 2010/2011.

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terapeutico a tutti gli effetti. In esso è possibile sperimentare, con la presenza di un adulto-

mediatore, ciò che li attenderà al di fuori del Centro dove peraltro non sarà possibile

arrivare ad una tale densità di operatori per numero di bambini23.

È interessante qui sottolineare quanto siano sorprendenti le analogie che uniscono due

studiosi dai percorsi formativi e teorici molto differenti. Il socio-costruttivista Lëv Vygotskij

appare di fatto molto vicino al pensiero dello psicanalista Winnicott. Ecco qui di seguito un

passaggio che riassume il concetto di Vygotskij: “…nel passaggio dall’infanzia all’età

 prescolare, il gioco permette al bambino di affrontare la tensione tra i suoi desideri e

l’impossibilità di soddisfarli immediatamente: il bambino tende a non dilazionare le sue

esigenze, mentre con la crescita si rende conto che non sempre i desideri possono avere

nell’immediato la risposta attesa.” 24

È pur vero che i bambini da me osservati tendono a sviluppare forme di gioco di fantasia

con regole ma - richiamando la suddetta citazione - sembrano anche rievocare

frequentemente la necessità di soddisfare i propri impulsi nell’immediato. Questo dato è

visibile nei diari relativi alle osservazione dei martedì mattina durante i quali i bambini

svolgevano giochi di lotta con l’ausilio di personaggi-giocattolo. Tema peraltro strettamente

correlato con la patologia per la quale essi frequentano il Centro psico-educativo.

Sono di norma i bambini in età prescolare quelli che acquisiscono le competenze ludiche

tramite l’imitazione ma - come ho potuto osservare durante la mia pratica professionale -

questo necessario “movimento” dall’imitazione al gioco autogestito si rivela quanto mai

necessario anche nei giochi di fantasia con regole messi in scena nelle osservazioni

rilevate. I bambini in tali frangenti spesso non riuscivano ad auto-gestire un’attività ludica

in quanto le relative competenze non sembravano ancora totalmente acquisite e le

necessità di sfogare un disagio interiore sembravano superiori a quelle di trarre benefici

dal gioco sociale. È quanto descrivo nella parte di analisi nel capitolo 4.2.1 dove cito le

loro difficoltà nel fissare nella mente delle esperienze positive, per acquisire tali abilità

dovrebbero pertanto passare dall’imitazione di ciò che un adulto mette in atto.

Il pensiero di chi invece predilige una rappresentazione del gioco unicamente come: “…

forma catartica e compensatoria (una valvola di sfogo rispetto alle tensioni e ai conflitti più 

 profondi) è vicino a quello del primo pensiero freudiano che ha comunque visto un suo

seguito (dalla teoria degli istinti a quelle imperniate sulle cosiddette relazioni oggettuali) ne

hanno messo in luce anche le funzioni di apprendimento, di conoscenza e di 

comprensione della realtà.” 25  Anche le teorie psicanalitiche si sono gradualmente spostate

da un gioco visto come valvola di sfogo a un gioco come funzione di apprendimento. Ciò

sottolinea ancora una volta, come se da una parte sia giusto teorizzare sulla funzione

catartica del gioco, dall’altra se ne sottolinei la valenza relativa alla comprensione e alla

23 All’interno di CPE si va da un minimo di un operatore per tre bambini a un massimo di un operatore per 

bambino. Nella scuola elementare cantonale le classi possono arrivare a 25 allievi per docente.24 BAUMGARTNER Emma, “Il gioco dei bambini”, Carocci Editore, Roma, 2002, p. 18.25 FREUD Anna, “Normalità e patologia del bambino”, Feltrinelli, Milano, 1969.

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gestione dei rapporti con la realtà esterna. Come descritto poc’anzi ciò passa anche

dall’acquisizione di modelli comportamentali e pratici da parte di un adulto competente.

La frustrazione e l’Io fragile

Principi fondamentali

Iniziamo col dire che buona parte delle difficoltà riscontrate da parte dei bambini fanno

capo al tema della frustrazione. Partendo dagli albori della vita si può affermare che le

prime avvisaglie di frustrazione sono già presenti nell’infanzia. Come abbiamo visto nel

modulo “Cicli di vita” D. W. Winnicott ha analizzato nel dettaglio questa tematica in

relazione alla dimensione esperienziale madre-figlio. Alla nascita di quest’ultimo la madre

entra in uno stato di preoccupazione nel quale si prodiga quasi totalmente per il benessere

del figlio. Gradualmente essa riconsidererà i propri desideri per allontanarsi dal bambino

permettendogli (tramite la frustrazione) di esprimere i propri bisogni, sviluppando così le

prime forme di pensiero. Passaggi che porteranno inoltre il bambino alla scoperta del

mondo esterno e dell’alterità26.

Questo per quel che riguarda il neonato ma anche per il bambino e per l’adulto la

frustrazione è uno dei principali motori evolutivi. Se affrontata in modo adeguato questa

può essere da stimolo per l’individuo, un vero e proprio motore motivazionale che ci porta

a raggiungere nuovi obiettivi. Ma vi è anche da sottolineare che un’assenza o una

presenza troppo prolungata possono portare a conseguenze nelle relazioni e nello

sviluppo del pensiero. L’universo legato alla frustrazione è ampio e ci accompagna per 

tutto il nostro ciclo vitale ma dopo questo inciso credo sia importante dare luce agli

elementi legati alla situazione in oggetto.

Elementi di fragilità nell’Io

Come preannunciato nella parte introduttiva di questo testo ho fatto riferimento ai due

volumi del libro “Bambini che odiano” di Fritz Redl e David Wineman per avere un pratico

strumento da utilizzare a fini osservativi. In particolare nel primo di questi due volumi

vengono trattate le funzioni che l’Io27  di questa tipologia di bambini non è in grado di

svolgere adeguatamente.Riporto qui di seguito una lista - direttamente tratta dal suddetto libro di Fritz Redl e David

Wineman - che in modo pratico e schematico descrive una panoramica delle funzioni

dell’Io che si rivelano maggiormente deficitarie in questi bambini. Si tratta delle cinque

funzioni dell’Io che sono emerse in maniera prevaricante rispetto ad altre durante le mie

osservazioni, quelle proposte dai due studiosi sono in realtà ventidue.

Tolleranza della frustrazione: non accetta la frustrazione, vuole liberare gli impulsi

immediatamente passando subito all’azione. Si tratta di un’incapacità nel fare fronte alle26 Tratto dalla dispensa dal modulo: “Cicli di vita”, SUPSI DSAS, Manno, a.a. 2008/200927 La parte della nostra personalità che ha essenzialmente due compiti da eseguire: stabilire un rapporto con

il mondo in cui viviamo e provvedere affinché ci comportiamo armonicamente con esso, senza un conflittointeriore troppo preoccupante. Tratto da: REDL Fritz e WINEMAN David, Op. Cit., Vol. 1, p. 10.

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emozioni e poi ai sentimenti che esse provocano, tutto passa all’azione. Difficoltà nel

vivere gli affetti che passano dal preconscio28  e bisognerebbe passare pertanto dalla

mediazione tra adulto e bambino di quelle che sono le sue difficoltà. Le conseguenze

possono essere il panico da frustrazione, aggressività e distruttività.

Eccitazione psicologica collettiva: si assiste a due situazioni che avvengono quasi

contemporaneamente. Vi è un innalzamento dell'intensità, dell'urgenza e della violenza

degli "impulsi", mentre le forze di controllo della personalità sembrano essere ridotte. La

banda permette di rinforzare i singoli che si permettono di fare cose che individualmente

non farebbero.

Instaurarsi spontaneo di controlli sostitutivi: a onor del vero neppure nei bambini

normali il sistema di controlli dell’Io è sempre in funzione in quanto per la maggior parte

del tempo la vigilanza e il controllo dell’Io possono essere lasciati al minimo, soprattutto

perché sono in funzione adeguate forze di controllo esterno da parte degli adulti.

Succede allora che la fine di un gioco e il passaggio al successivo diano luogo a

confusione ed eccessi maggiori del previsto se per qualche istante il controllo esterno da

parte dell’operatore di turno viene a mancare. Da quanto citato nei testi ai quali faccio

riferimento essa sembra una tra le ultime funzioni dell’Io ad essere acquisite e quando

questi bambini riescono ad instaurare un controllo sostitutivo a quello dell’adulto la durata

è di circa mezzora: “… è stato dimostrato infatti che, salvo, eccezioni, è proprio dopo venti 

minuti che l’attenzione inizia la sua parabola discendente.” 29

Tema che riprenderò nella dissertazione quando farò riferimento alla lunga ricreazione del

mercoledì pomeriggio.

Ricorso ad immagini precedentemente gratificanti di azioni/comportamenti: per 

evitare la rottura dell’Io davanti all’angoscia, alla noia, all’infelicità che sta provando il

bambino può far ricorso a pensieri che in precedenza gli hanno fatto provare piacere. La

stessa cosa vale per le attività. Se il bambino si trova in una situazione dove prova

angoscia si rifugia in un gioco o un’attività (es.: disegno) a lui congeniale. I bambini di cui

stiamo parlando difficilmente raccolgono dalla memoria queste immagini gratificanti.

Scarsa cognizione del tempo: due principali alterazioni nel funzionamento dell’Io sono la

difficoltà nell’operare la distinzione tra “l’esperienza soggettiva” del tempo e la sua “misura

oggettiva”. L’altro aspetto riguarda la grave alterazione del loro rapporto con il futuro,

compreso il loro futuro personale.

28  Termine utilizzato da S. Freud nel designare la prima topica dell’apparato psichico, esso è distinto

dall’inconscio e dalla coscienza. Il preconscio è separato dall’inconscio da una censura che cerca di interdireai contenuti inconsci l’accesso al preconscio, ed è separato dalla coscienza da un’altra censura il cui compitonon è di interdizione, ma di selezione che evita che giungano alla coscienza ricordi inconsci perturbanti.Tratto da: GALIMBERTI Umberto, Psicologia, “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006, p. 786.29 VEGETTI FINZI Silvia, BATTISTIN Anna Maria, “I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni” , Arnoldo Mondadori Editorire, Milano, 1996, p. 91.

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Analisi dell’esperienza

La situazione osservata e i suoi componenti

La disposizione di questa parte del testo segue la struttura dell’intervista svolta con gli

operatori. Le domande a loro poste saranno la scaletta con la quale analizzerò quanto

emerso tramite questo strumento integrandolo poi con le osservazioni raccolte.

Evidenzierò in grassetto gli elementi più salienti di questa analisi che riporterò poi

nell’elaborazione delle ipotesi di intervento.

Per giungere a delle proposte di strategie di intervento funzionali sul piano teorico - ma

specifiche per i casi evidenziati - mi sono avvalso di molteplici osservazioni raccolte

durante il periodo di stage e delle interviste effettuate a sei operatori, quelli coinvolti nelle

situazioni osservate. Il mio intento è quello di analizzare quanto raccolto mediante questi

due strumenti integrando: le difficoltà riscontrate con questa tipologia di bambini con

un Io particolarmente fragile, gli interventi apportati dagli operatori e la strutturazione

degli “spazi transizionali”.

Innanzitutto ritengo opportuno definire il problema  traendo spunto delle domande poste

agli operatori per comprendere le loro rappresentazioni, in particolare la definizione del

problema fa riferimento alle prime tre domande della mia intervista.

1) Quali sono a tuo parere le principali difficoltà che i bambini riscontrano

durante i momenti di passaggio? 

Questa prima domanda si baserà in particolar modo sulle caratteristiche dell’Io fragile neibambini che necessitano una frequenza in un ospedale di giorno raccolte da Fritz Redl e

David Wineman nel periodo a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 dello scorso secolo nella

Pioneer House di Detroit. Questo tema è stato trattato più nel dettaglio nel punto 4.1.2.2.

Considerando tutte le risposte ricevute e le osservazioni effettuate il maggiore problema in

questi frangenti sembra essere il sentimento relativo alla frustrazione che questi bambini

manifestano quando li si pone davanti agli elementi che andrò ad elencare qui sotto.

Si tratta infatti di momenti particolarmente difficili per questi bambini in quanto i fattori in

gioco sono svariati e contrastanti. I principali temi che emergono in relazione alla difficoltànel passaggio da un’attività ad un’altra sono i seguenti:

o in primo luogo credo sia importante premettere che in due dei tre contesti osservati i

bambini erano chiamati a dirigersi verso l’aula scolastica. Se è vero che anche nel

contesto di osservazione legato al passaggio dalla ricreazione all’attività di piscina del

mercoledì essi hanno comunque riscontrato delle difficoltà è pur vero che, consci del

piacere che provano i bambini nell’andare a nuotare, ci siamo addirittura permessi di

utilizzare la tecnica delle minacce rivolte alla fruizione dell’attività stessa dicendo: “se

non terminerete ora di giocare non andremo in piscina”. Se avessimo proposto questatecnica durante gli altri due momenti da me osservati avremmo probabilmente assistito

ad esclamazioni di gioia. Credo sia importante pertanto segnalare che nelle osservazioni

- come nelle interviste - è emersa la tematica di un contesto scolastico vissuto come

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minaccioso da parte dei bambini. Certo la maggior parte dei bambini preferisce la

piscina rispetto alla scuola ma quello che spesso emerge all’interno di CPE è a qualcosa

di più profondo rispetto a ciò, il termine minaccia credo sia appropriato in tal senso.

Vi è inoltre da sottolineare che questa difficoltà si manifesta spesso all’unisono con

quella del dover smettere un’attività a loro molto gradita: il gioco. È nel contesto di

gioco che essi sembrano stare più volentieri e sempre da questo contesto quello da cui

più difficilmente si staccano  come sottolineava Winnicott con il termine: “perduti nel

gioco”. A comprova di quanto sottolineo vi sono diversi eventi segnalati nei miei riscontri

osservativi come per esempio quello di martedì 24.05.2011 durante il quale i bambini -

nonostante le indicazioni di Nathan30 e il suo interessamento - non sembrano voler 

smettere di giocare. Solo in un successivo tentativo Nathan riesce a fargli riporre il gioco

in un cassetto. È anche il caso di mercoledì 25.05.2011 nel quale al richiamo di Raffaela,

Natale si rivolge ad Alfredo per dirgli di scavare più in un'altra zona della fossa con lasabbia squalificando il chiaro messaggio dell’operatrice.

Quanto descritto per questi due episodi rientra nella più ampia tematica relativa alla

scarsa tolleranza della frustrazione. Lo si è potuto inoltre osservare in maniera

sufficientemente chiara durante le osservazioni che facevano riferimento al martedì

mattina. Spesso i bambini si chiudevano quasi ermeticamente nel loro gioco ed è

capitato di doverli prendere per mano utilizzando la tecnica del “controllo con la vicinanza

e il contatto“ al fine di poterli distaccare dalla loro attività ludica.

“…patetico vedere quanto fosse impotente il loro Io anche di fronte a deboli quantità di 

aggressività o di paura provocate dalla frustrazione. (…) Ogni più piccola limitazione che

venisse loro imposta provocava accessi d’ira che in altri bambini si sarebbero verificati 

soltanto di fronte ad una minaccia gravissima o a seri maltrattamenti” .31

Uno dei casi più eclatanti in questo senso fa riferimento a quanto accaduto durante il

passaggio dalla ricreazione all’attività di piscina mercoledì 01.06.2011. In quella

circostanza Norberto - per non trascorrere un viaggio di cinque minuti in furgone su di un

seggiolino per bambini - ha aggredito Raffaela e si è fatto trascinare a forza da Angelo al

di fuori del furgone. Quest’ultimo caso fa riferimento a quanto emerso dall’intervista diNathan. Egli afferma infatti che ponendo un limite al bambino sale il livello di eccitazione,

che a volte può anche sfociare in aggressività (tra bambini e a volte verso gli adulti).

Questo avviene anche nelle dinamiche ludiche. Nell’osservazione raccolta martedì

24.05.2011 dopo il primo richiamo Alfredo cambia il tono di voce nel gioco e sembra

innervosirsi molto rispondendo con un secco “no” a Mauro che gli chiedeva di usare un

giocattolo (cosa che Mauro fino ad un minuto prima stava già facendo). Nathan riesce a

riprendere un discorso con Alfredo unicamente entrando nel gioco di Mauro tramite la

tecnica del “coinvolgimento in un rapporto basato sull’interessamento” e con quellarelativa all’ “aiuto per superare un ostacolo”. Non accettare la frustrazione significa

30 Tutti i nomi citati in questo testo e nei documenti allegati sono fittizi al fine di tutelarne la privacy.31 REDL Fritz e WINEMAN David, Op. Cit., Vol. 1, p. 93.

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dunque voler liberare gli impulsi immediatamente passando subito all’azione. In questo

stage ho spesso assistito all’incapacità nel fare fronte alle emozioni negative legate alle

frustrazioni e di conseguenza ai sentimenti che essa provoca. Come visto nel modulo di

utenza specifica “Minorenni” esistono difficoltà nel vivere gli affetti che passano dal

preconscio e bisognerebbe allora percorrere la via dalla mediazione adulto-bambino.Come abbiamo visto dagli esempi riportati poc’anzi le conseguenze sono il panico da

frustrazione (a volte si tratta del fatto stesso di ritrovare una situazione di frustrazione che

il bambino ha già vissuto e pertanto non viene accettata, rendendolo per esempio

incapace di stare in una relazione di dialogo), aggressività e distruttività.

o La scarsa cognizione del tempo, tema che sottolinea come esista una lotta col

tempo nella quale si diramano due principali alterazioni nel funzionamento dell’Io. La

prima verte sulla difficoltà nell’operare la distinzione tra “l’esperienza soggettiva” del

tempo e la sua “misura oggettiva”. L’altro aspetto riguarda la grave alterazione del lororapporto con il futuro, compreso il loro futuro personale.

“…facevano riferimento al tempo soggettivo come se quello fosse l’unico tempo “reale”,

questo solo fatto bastava a creare confusione a non finire (…) e finiva per alimentare la

loro interpretazione paranoide della vita, che era un aspetto della loro patologia.” 32 

Tale difficoltà è riportata da Aurora33 nella risposta alla prima domanda ed è confermata

dalle retroazioni di diversi bambini come nel caso di Alfredo che dopo ulteriori cinque

minuti di gioco concessi si lamenta del fatto che il tempo trascorra troppo velocemente34.

o Vi è poi l’interessante tema della durata di questi momenti di libertà. Raffaela in

particolare sottolinea come dopo un certo lasso di tempo - quantificabile in circa trenta

minuti dalle mie esperienze - i bambini iniziano a far emergere delle difficoltà nella

gestione autonoma del gioco. Iniziano infatti i primi screzi, i bambini sembrano meno

disposti ad accettare frustrazioni come la sconfitta ed emergono elementi che rendono di

difficile gestione il gruppo. Questo momento in particolare - spesso emerso durante la

pausa del mercoledì pomeriggio - mi ha fatto riflettere. Come meglio spiegherò nelle

ipotesi di intervento abbiamo proposto un’attività più strutturata (una partita di calcio),

dove un arbitro ha fatto rispettare le regole e la presenza di adulti in ogni squadra hapermesso di mantenere il livello competitivo maggiormente gestibile35.

Questo tema fa riferimento a quello che viene definito l’instaurarsi spontaneo di

controlli sostitutivi. È proprio questo un punto nodale negli “spazi transizionali”, questi

bambini sono in grado di far fronte al venir meno di un controllo esterno per un tempo

limitato. Ne è l’esempio calzante la lunga ricreazione del mercoledì pomeriggio durante la

quale i bambini giungono spesso a momenti di bagarre e ad un difficoltoso

avvicinamento alla successiva attività di piscina. Ricordo infatti che siamo dovuti ricorrere

32 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 1, p. 144.33 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Aurora, domanda 1.34 Vedi allegati, Osservazioni raccolte, datata mercoledì 10 maggio 2011.35 Vedi allegati, Ipotesi di intervento, ipotesi del 18 maggio 2011.

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alla minaccia di annullare questa attività se i bambini non si fossero staccati dal loro

momento ludico.

“Il bambino normale, però, possiede delle riserve che gli permettono d’instaurare

rapidamente i controlli interni non appena quelli esterni si sono esauriti. Una sorta di 

serbatoio di emergenza a cui può attingere (…) Quella che potremmo chiamare la

“maturità organizzativa” è una delle ultime funzioni che l’Io apprende nel corso del 

trattamento. Questo vuol dire che si rendeva necessaria un’organizzazione

 particolarmente accurata della struttura di tutte le attività e che, anche quando tutto

andava bene, erano indispensabili la presenza e la disponibilità direttamente sul luogo di 

figure adulte.” 36 

Mi scuso per il lungo inciso ma credo che buona parte del mio lavoro di tesi sia

rappresentato in queste righe. Si tratta di un tema strettamente legato agli obiettivi

educativi che gli operatori dovrebbero tentare di portare al bambino. Quanto emerso in

queste righe è significativo: l’instaurarsi di un controllo sostitutivo a quello degli adulti è

un obiettivo di complicata esecuzione per il fragile Io del bambino e pertanto non gli si

può chiedere direttamente di essere in grado di organizzare le proprie attività

autonomamente o in gruppo. È necessaria una preliminare sperimentazione con un

adulto di ciò che significa organizzare un’attività e gestirla.

Pare di scorgere un’attinenza con quello che è uno dei maggiori paradossi

adolescenziali: il ragazzo deve diventare indipendente ma deve anche ricevere,

interiorizzare ed essere prima totalmente dipendente dall’altro. Significa diventareindipendente rispetto a colui con il quale ci si identifica e comporta la necessità di

interiorizzare almeno una parte delle sue qualità, di incorporare almeno una parte della

relazione che si è stabilita con lui.37

È un tema indirettamente emerso anche nell’intervista sottoposta a Nathan. Egli alla

domanda 8.a risponde rimarcando quanto le difficoltà di questi bambini non siano

unicamente attinenti alla sfera psichica ma anzi facciano fortemente riferimento a quella

delle sperimentazioni pratiche e relazionali più comuni. Egli asserisce che la gamma dei

giochi alla quale questi bambini attingono è nettamente più ristretta rispetto a quellache si può riscontrare nei bambini che normalmente si vedono giocare durante la

ricreazione in una qualsiasi scuola elementare. Io stesso ricordo che sono stati accolti

con grande eccitazione giochi come “Un due tre stella” e lo stesso “Nascondino” non era

certo tra i giochi che i bambini mettevano più spesso in atto. A tal proposito mi permetto

di riportare un interessante aneddoto vissuto durante un’attività nella quale era rimasto

del tempo per del gioco. Solitamente questo periodo era occupato da attività

maggiormente strutturata durante la quale i bambini svolgevano lavoretti manuali.

Abbiamo così proposto ai due bambini presenti (Natale e Mauro) di decidere insieme ungioco al quale avremmo partecipato anche noi adulti. Dopo pochi minuti Mauro si rivolge

36 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 1, p. 133-134.37 Tratto dal modulo “Minorenni”, SUPSI DSAS, Manno, a.a. 2010/2011.

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a noi in lacrime dicendo che non gli permettiamo di giocare a nient. Insistiamo così nel

proseguire questo tentativo ma senza ottenere alcuna proposta. Questo ci fa ben

comprendere quanto sia limitata la gamma di giochi ai quali fanno capo le fantasie dei

bambini, immaginiamoci quali possono essere le difficoltà di gestione del gioco se non

sono nemmeno in grado di proporre autonomamente un’attività ludica.

o Questo punto collima inoltre con quello della loro difficoltà nel far ricorso ad

immagini precedentemente gratificanti. Si tratta di bambini che spesso non riescono a

ricordare attività precedentemente effettuate e a rievocarle per inventarne di nuove:

“…a questi bambini mancava la capacità di fare uso, nei momenti in cui il loro Io si 

trovava in difficoltà, persino delle esperienze piacevoli che avevano avuto.” 38 

Capiamo da questa citazione quanto sia importante aiutare questi bambini a fissare nella

mente delle esperienze positive al fine di integrarsi con i coetanei. Ciò comporta il fare

dell’esperienza della relazione non unicamente un momento di sfogo ma anche una

circostanza di scambio di esperienze evolutive.

o Un ultimo tema emerso dalle interviste raccolte è quello relativo all’eccitazione

psicologica collettiva in quanto - di fronte ad una situazione a loro sgradita - i bambini

tendono a coalizzarsi e a diventare esuberanti come nel caso della fuga nel bosco già

citata39.

“… la regola sembra essere quella che l’esposizione a qualunque tipo di eccitazione, non

importa se simile o completamente estranea allo stato d’animo precedente, riesce“contagiosa”, e che anche un comportamento eccessivo impone l’imitazione, lasciando

così ben scarso margine alla libertà individuale.” 40 

La “banda” sembra infatti permettere di rinforzare i singoli che si permettono di fare cose

che individualmente non farebbero. Elemento che peraltro fa capo ad uno dei principali

esperimenti di psicologia sociale elaborato da Solomon Asch41 durante il quale si è

sperimentata la tendenza ad uniformarsi al gruppo42. A onor del vero la mia osservazione

ha sempre fatto riferimento a piccoli gruppi di bambini (due o tre al massimo) e pertanto

questo elemento non si è particolarmente messo in evidenza. Ma l’ho pienamente

riscontrato in altri frangenti con un numero maggiore di bambini come anche menzionato

nelle interviste di Aurora e di Angelo.

38 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 1, p. 139.39 Vedi allegati, osservazioni raccolte, datata lunedì 9 maggio 2011.40 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol.1, p. 110.41 Solomon Asch (1097-1996): psicologo statunitense di origine polacca. Personalità di primo piano nellapsicología sociale del dopoguerra: il celebre esperimento delle linee di Asch (consiste nel chiedere ad alcuni

soggetti di comparare la lunghezza di una línea con quella di altre tre) egli ha dimostrato come la pressionedel grupo riesca a influenzare i giudizi dei singoli individui, anche nei casi in cui l’evidenza percettivasmentisce l’opinione erronea della maggioranza. Tratto da: GALIMBERTI Umberto, “Psicologia” , LeGarzantine, Garzanti, Torino, 2006, p. 101.42 Tratto dalla dispensa del modulo “Nuovi territori dell’intervento sociale”, SUPSI DSAS, Manno, a.a.2010/2011.

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2) A tuo parere vi sono dei bambini che esprimono maggiori difficoltà rispetto

ad altri? Come motivi la tua risposta? 

Per quel che riguarda questa domanda si può asserire che il più chiamato in causa è

Alfredo. Si tratta infatti di un bambino che fa denotare forti elementi di interpretazione

paranoide della vita, anche la sua cartella clinica mette in particolare evidenza questo

elemento. Proprio in questi frangenti emergono le sue grandi difficoltà, sono momenti nei

quali si richiede un Io sufficientemente forte per far fronte alla frustrazione del distacco e

spesso gli capita di travisare una richiesta esterna come un attacco personale. Ciò rende

molto difficile l’affrontare il tema delle regole con lui ma anche con gli altri elementi del

gruppo dove si denota una particolare indicazione per dei “momenti transizionali”.

3) A tuo parere vi sono dei particolari momenti della settimana o nell’arco

dell’anno durante i quali questi momenti si rivelano particolarmente difficoltosi 

 per i bambini? Come motivi la tua risposta? 

Per quel che riguarda le concause temporali è ridondante l’elemento che riguarda il

termine di un periodo passato lontano dal Centro. Gli intervistati sottolineano

soprattutto la giornata del lunedì durante la quale emergono evidenti difficoltà dei bambini

a riprendere i ritmi del Centro e a staccarsi da quelli casalinghi spesso più accomodanti

rispetto ai loro desideri. Si può inoltre sottolineare che anche i periodi che seguono le

vacanze sono spesso motivo di evidenti difficoltà. Come appena detto si tratta di

riprendere quella che è la routine nel Centro psico-educativo e non tutti reagiscono senza

complicazioni a questo cambiamento.

Vi è poi il tema delle ansie legate al distacco da amici e operatori. Questo è stato messo

in evidenza da alcuni operatori sottoposti all’intervista che hanno sottolineato come vi sia

una maggiore difficoltà ad affrontare le giornate del venerdì da parte di molti bambini (in

particolare si faceva riferimento ai bambini dell’internato, l’enuresi di Natale e gli sfoghi di

aggressività di Norberto)43. Da parte mia durante le osservazioni ho avuto l’opportunità di

osservare il momento del lunedì pomeriggio e - come visto anche nell’intervista svolta con

Aurora - è emersa una grande difficoltà nell’accettazione delle seppur minime regole. Un

esempio calzante a mio parere si riferisce al diario di lunedì 09.05.2011 durante il qualedescrivo la fuga di due bambini nel bosco che sovrasta il parco giochi del Centro.

4) Nelle osservazioni raccolte e in quanto hai raccontato ho trovato degli elementi 

che si ripetono: C’è un motivo che ti porta ad utilizzare questa sequenza? 

È un tuo modo di agire spontaneo o è relativo ad una

  particolare metodologia? 

Riesci ad ottenere ciò che ti eri prefissato/a? 

Inizia ora la fascia di domande inerenti le tecniche utilizzate dagli operatori durante i

momenti di passaggio. Ho suddiviso il tema in quattro distinte domande che andassero a

toccare i suoi differenti aspetti. La numero quattro evidenzia le differenti tecniche utilizzate

43 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Raffaela, domanda 3.

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da ogni operatore, la cinque e la sei le rappresentazioni degli operatori sulle tecniche dei

colleghi e la sette verte sulle proprie rappresentazioni rispetto a questi particolari momenti.

Devo innanzitutto premettere che le sequenze utilizzate dagli operatori sono svariate e

sono state da me riassunte nella tabella che allego con i relativi commenti44. Questa parte

dello scritto mi è utile in particolar modo a sottolineare come le tecniche di intervento

preventive siano scarsamente utilizzate in questi frangenti. Per elaborare la mia

osservazione ho fatto riferimento alle “tecniche di manipolazione antisettica del

comportamento di superficie” tratte dal libro “Bambini che odiano, volume 2 ” che riassumo

nell’allegato numero quattro:

“…a colui che manipola il comportamento infantile a orientamento clinico interessa il 

quoziente di efficacia delle tecniche che possono essere usate per bloccare o indurre un

comportamento, ma si preoccuperà nella stessa misura che la tecnica a disposizione sia

quantomeno innocua per quel che riguarda i suoi effetti collaterali sulla finalità clinica di 

base.” 45  

Queste tecniche non hanno solo la finalità di ridurre ed eliminare il comportamento nocivo,

permettono nel contempo di compiere un importante passo avanti nel lavoro terapeutico

diretto. Alla base sta la capacità di anticipare ciò che potrebbe avvenire, evitando di dover 

rincorrere l’ospite nell’applicare le misure che la realtà dei fatti ora impone. È tra l’altro

proprio a ciò che mira il mio lavoro di tesi, anticipare (quando possibile) le situazioni di crisi

nei bambini tramite un intervento mirato. Ci sono parecchie tecniche e strumenti che si

possono impiegare. In questa parte del mio lavoro elencherò quelle che più di frequente

ho riscontrato durante le mie osservazioni e le metterò a confronto con le risposte restituite

dalle interviste per la summenzionata domanda.

Credo sia doveroso sottolineare che la quasi totalità degli intervistati utilizza la tecnica

della segnalazione. Avvisarli cinque minuti prima appare quanto mai opportuno perché si

tratta di un lasso di tempo di gestione relativamente più semplice rispetto ad un periodo

più lungo e perché viene spesso descritto cosa si farà nella successiva attività proprio

durante la segnalazione stessa.

Esemplare è il commento di Angelo in merito a questa tecnica: “In particolare credo nel 

valore dell’anticipazione per questi bambini, essere a conoscenza del programma li 

rassicura e li porta a temere in maniera più adeguata il futuro che tende sempre ad essere

mal delineato ai loro occhi” 46 . In questo caso il riferimento ritorna alla lotta con il tempo già

descritta in una precedente parte del mio lavoro e alle modalità paraeccitanti insite in

questa tecnica.

Mi concedo un commento del tutto personale ma a mio parere fondamentale. La tecnica

della segnalazione è l’unica che si avvicina davvero al tema della prevenzione rispetto

alle situazioni di crisi del gruppo. Elemento da non trascurare anche in termini “economici”

44 Vedi allegati, allegato 4: Tabella riassuntiva e analisi delle tecniche utilizzate dagli operatori.45 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., p. 186.46 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Angelo, domanda 4 a.

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di energie a disposizione degli operatori e degli strascichi negativi sugli umori dei bambini.

Maggiore è la prevenzione e - perlomeno in teoria - minori saranno le problematiche che le

situazioni quotidiane potrebbero far scaturire.

Altre sono poi le tecniche utilizzate e che meglio ho analizzato nel quarto allegato. Mi

preme comunque sottolineare i punti salienti di queste tecniche. Credo sia infatti

importante far emergere un dato: nella maggioranza dei casi si tratta di tecniche di

intervento che vanno a “spegnere un incendio già divampato”. L’unica tecnica di

anticipazione è infatti quella della segnalazione del termine della pausa con cinque minuti

di anticipo. Se queste tecniche “da pompiere” sono certamente conseguenza delle

difficoltà insite nelle patologie dei bambini possiamo comunque asserire che - come visto

nel punto 4.1.2 facente riferimento alla teoria - il distacco da un momento come quello

degli “spazi transizionali” è di grande difficoltà per i bambini. Se non è sempre possibile

intervenire sul momento del distacco (che comunque è un utile criterio regolamentativoche i bambini devono imparare ad accettare), è allora possibile prevenire queste

difficoltà agendo sullo spazio di gioco che precede il distacco.

Le tecniche utilizzate una volta “incassata” la disapprovazione del bambino sono per 

esempio quella del controllo con la vicinanza e il contatto, tecnica spesso utilizzata a

detta degli operatori come una tra le ultime in ordine cronologico in quanto spesso sta a

significare che il canale verbale non ha avuto nessun riscontro.

Altra tecnica è quella dell’aiuto per superare un ostacolo che è utilizzata da due

operatori su sei ed è una di quelle che più si confà alla tematica dell’Io ausiliarionecessario a sostenere le carenze di questi bambini.

Vi è poi la tecnica del venir meno del controllo esterno, a differenza di altre tecniche

con quest’ultima viene riposta una parte delle responsabilità sul bambino che non è

continuamente assillato e soprattutto ausiliato della presenza dell’adulto. Una presa di

posizione che mobilita il grado di autonomia di ogni bambino e che quindi ha anche un

valore educativo.

Vi è poi la tecnica del richiamo alla realtà e l’appello alla ragione spesso utilizzata per 

rimarcare i paletti entro i quali non si può uscire. Non è un caso che tra le quattro tecnichepiù utilizzate ve ne siano tre che fanno riferimento ad un registro di approccio “morbido”

verso il bambino. Si tratta infatti di metodologie che tendono ad evitare il conflitto e

soprattutto ad evitare particolari escalation47. Non si impone nulla di particolare, si

rimarcano le regole ma il bambino sa che ha ancora un margine di manovra decisionale

dalla sua parte.

La tecnica del coinvolgimento basato su un rapporto di interessamento comporta che

l’adulto si interessi all’attività che il bambino sta svolgendo, non la banalizzi. Questa

tecnica fa particolare riferimento a quanto emerso dagli scritti di Winnicott, l’adultomediatore tra lo spazio illusorio del gioco e la realtà esterna. Non si impone unicamente

47 Escalation: aumento progressivo, in questo caso è inteso come un aumento dell’aggressività delbambino.

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una regola ma si entra parzialmente nel gioco del bambino, particolarmente efficace qui

l’intervento di Cristina48.

Le minacce e le punizioni - al contrario delle prime tecniche analizzate - non lasciano

grandi possibilità di manovra al bambino e sono state utilizzate in due situazioni estreme49.

Arriviamo ora alle tecniche meno utilizzate. Si tratta dell’introduzione di una situazione

competitiva, questa metodologia è stata utilizzata da Nathan che nell’intervista asserisce

di averla spesso utilizzata ma che sta tentando di farne scemare l’impiego in quanto alcuni

bambini ne fanno un uso scorretto. Per i dettagli di tale discorso si veda il relativo

allegato50. Si tratta pertanto di una tecnica efficace ma pericolosa a riguardo dell’antisepsi

che questi metodi dovrebbero sempre assicurare. Come per la tecnica del coinvolgimento

basato su un rapporto di interessamento anche qui si entra nel mondo illusorio del gioco

che permette di vivere in modo meno drastico il momento del distacco, una vera e propria

mediazione tra le regole e i desideri del bambino.Arriviamo così all’ultima tecnica, quella dell’uso della forza fisica che è stata utilizzata

una sola volta. Questa tecnica in particolare sarebbe da utilizzare unicamente al fine di

assicurare al resto del gruppo un ragionevole grado di vivibilità del contesto.

“Capimmo ben presto che solo in certi casi queste situazioni estreme erano il risultato di 

disattenzioni od omissioni da parte nostra” 51.

La maggior parte degli operatori asserisce che le tecniche utilizzate sono soggette alle

variabili del contesto e dei bambini, inoltre emerge dalle interviste che essi ritengono

necessario utilizzarle in modo elastico. Comunque vista la ridondanza di alcune tecnicheutilizzate penso sia stato utile elaborare questa parte del lavoro con la modalità

dell’osservazione.

5) Secondo te con qualche operatore i bambini si comportano in modo molto

differente? Per quale motivo secondo te? 

A questa domanda nessuno ha individuato particolari differenze anche se Aurora ha

sottolineato che a suo parere gli operatori che usufruiscono di uno spazio individuale con il

bambino (si tratta circa di un’ora alla settimana) possono vantare un rapporto di maggiore

pregnanza nei suoi confronti.

6) C’è qualcuno che gestisce i momenti di passaggio in modo diverso dal tuo? 

Quali sono le principali differenze che puoi evidenziare? 

Vista l’uniformità delle risposte sottolineo quella di Nathan che asserisce come nei casi

negativi i comportamenti degli operatori si livellano molto visto che in questi casi scaturisce

la patologia del singolo bambino52.

48 Vedi allegati, Osservazioni raccolte, datata 31 maggio 2011.

49 Vedi allegati, Osservazioni raccolte, datata 1 giugno 2011.50 Vedi allegati, Intervista agli operatori, Nathan, domanda 4.51 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 2, p. 256.52 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Nathan, domanda 6.

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In parte conferma quanto detto da Angelo quando menziona il fatto che si vada sempre

più verso un livellamento degli approcci in queste situazioni, in particolar modo si raccoglie

esperienza dal collega. L’importante è che vi sia coerenza e coordinazione negli

interventi53. A tale riguardo - ravvisato che dalle interviste non si evincono molti elementi

utili all’analisi del tema - credo sia bene soffermarsi su quanto emerge dalle osservazioniallegate e di conseguenza dalla tabella inerente le tecniche utilizzate dagli operatori. Quasi

la totalità di loro utilizza la tecnica della segnalazione - che è come già detto in precedenza

- una tecnica preventiva.

7) Prima di arrivare a questi momenti ti aspetti di riscontrare dei problemi? 

Non vi è una particolare ansia che precede i momenti di passaggio. Una testimonianza

che in particolare riassume i pensieri degli intervistati è quella di Cristina: “Sono idee

realistiche che vengono valutando cosa stanno facendo i bambini. Cerco di prevedere, di 

capire per poi adeguare anche il mio intervento”54.

8.1) Sono utili secondo te questi momenti di libertà vigilata tra un’attività e un’altra? 

Trattiamo ora l’ottava ed ultima domanda, suddivisa in quattro sottoinsiemi, che verte

sull’utilità di questi momenti di libertà concessi ai bambini. È proprio su questo quesito che

verte il mio lavoro di tesi e pertanto ho tentato di arrivare a questo tema dopo una buona

dose di domande perlustrative dei vissuti e delle modalità d’approccio a queste particolari

circostanze. Iniziamo col dire che la maggior parte degli operatori ammette una certa

ambivalenza a tale riguardo. Da una parte se ne avvalorano le qualità di contenitore nelquale scaricare quanto ritenuto in attività più strutturate, dall’altra se ne sottolinea il valore

educativo insito nell’intessere relazioni con i compagni e strutturare dei giochi

autonomamente. Particolarmente interessante è l’affermazione di Nathan: “… fanno parte

di un ciclo di liberazione delle pulsioni, uno sfogo naturale direi” 55 . Temi molto vicini a quelli

trattati nel punto 4.1.1.2 ripresi dagli scritti di Winnicott e Vygotskij nel quale si sottolinea

una possibile funzione del gioco come momento catartico ma al contempo se ne afferma il

valore di contenitore di potenzialità evolutive.

Dall’altra parte se ne ammette il carattere disgregativo che produce in alcuni bambini, si

assiste per esempio a delle liti e l’intervento degli operatori (come sottolineato nelle

risposte alla domanda seguente) è spesso quello di mediatore dei conflitti che ne

scaturiscono. Questo discorso inoltre andrebbe ampliato alla successiva attività nella

quale i bambini trasportano spesso gli umori di quanto stavano facendo in precedenza e -

come asserisce Aurora - arrivano a richiedere di portare in classe materiale direttamente

legato al gioco che stavano svolgendo qualche minuto prima 56. Su questo punto mi

soffermerò in particolare nella terza ipotesi di intervento al punto 4.2.2.3.

53 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Angelo, domanda 6.54 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Cristina, domanda 7.55 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Nathan, domanda 8 a.56 Vedi allegati, Interviste agli operatori, Aurora, domanda 8 a.

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In particolare Nathan sottolinea che è piuttosto evidente l’utilità di questi momenti ma che

è altresì importante sottolineare che la problematica nella maggior parte dei casi verte

sulla loro durata (gli esempi del mercoledì pomeriggio ne sono un’importante conferma).

Dopo circa trenta minuti scaturisce una forte difficoltà nell’auto-gestire l’attività da parte dei

bambini e si giunge così al momento della transizione con un carico di difficoltà enervosismo che si manifestano alla prima frustrazione derivante dai tre fondamentali fattori

analizzati al primo punto di questo capitolo: dover eseguire le indicazioni imposte da parte

degli adulti, dover smettere un’attività piacevole e dover intraprendere un’attività che a

volte nell’immaginario bambino non è gradevole. La domanda sembra pertanto essere,

dove sta il punto di equilibrio tra queste correnti? Lascerò questo tema per la fase

conclusiva del mio scritto.

8.2) Cosa si fa per gestirli? Perché? 

Emergono in particolare quattro temi. Il primo verte sulla sorveglianza. Quattro operatori

su sei dicono che buona parte della gestione di questi momenti sta nel sorvegliare.

Sempre quattro operatori su sei affermano che si svolge il ruolo di mediatori di conflitti,

confermando indirettamente che questi spazi sono propensi a far scaturire ostilità tra i

bambini. Tre operatori su sei vedono poi un ruolo vicino a quello del compagno di gioco,

sottolineando che ciò avviene se i bambini lo richiedono. Due operatori su sei affermano

che si tratta anche di un momento di osservazione privilegiato.

Credo che i tratti emersi possano esplicitare le rappresentazioni degli operatori verso

questi momenti e traccino un bilancio esaustivo di come essi vivano questa realtà durante

la quale i bambini sono chiamati ad auto-gestire uno spazio di libertà come questo.

Evidente è anche il fatto che questa impostazione dell’attività crei - oserei dire per 

“autocombustione” - delle situazioni in cui i bambini richiedano l’intervento di un adulto per 

la mediazione dei conflitti.

8.3) A tuo parere sarebbe una buona idea proporre attività maggiormente strutturate? 

Le risposte a questa domanda sono state piuttosto eterogenee. L’unico tratto comune è

insito nel fatto che la quasi totalità degli intervistati afferma che a priori non strutturerebbe

maggiormente tali attività, lascerebbe che fossero i bambini a chiederlo o la situazione ad

imporlo. Nathan suggerisce inoltre che è importante lasciare della libertà ai bambini nella

pausa che segue il pranzo (come per il mercoledì dalle 12.45 alle 13.15, la pausa poi

continuerà fino alle 14.20) in quanto durante il momento del pasto viene richiesto un alto

grado di auto-controllo. Aurora suggerisce una maggiore schematicità delle attività che

sarebbe utile a lenire le difficoltà che poi accorrono nel momento di passaggio. Gli

operatori in generale sembrano comunque richiedere uno schema flessibile  a dipendenza

del contesto, dello stato del gruppo e di quello dei singoli.

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Ipotesi di intervento strategico

Le ipotesi che mi sento di proporre non vogliono certo essere l’antidoto ad ogni male e

pertanto andrebbero plasmate ai bisogni e alle peculiarità di ogni tipo di utenza e di ogni

contesto. Per questo nei prossimi punti riporto quattro esempi, i primi tre relativi

rispettivamente ad uno specifico contesto da me osservato: passaggio dalla levata all’aula

scolastica, passaggio dalla ricreazione all’aula scolastica e passaggio dalla ricreazione

all’attività di piscina. Vi è inoltre una quarta ipotesi di intervento che è stata pensata per 

essere funzionale su un maggior numero di contesti e ha una valenza che è prettamente

strutturata per far fronte ai momenti di passaggio.

Al fine di ideare e impostare la mia ipotesi di intervento intendo iniziare riassumendo gli

elementi emersi dal punto 3.2.1 relativi alle difficoltà emerse da parte dei bambini durante i

momenti di passaggio congiunti con quanto emerso dalle interviste:

o Scarsa tolleranza alla frustrazione: caposaldo del paragrafo sopra menzionato la

tolleranza alla frustrazione è un tema sul quale è sempre necessario porre un occhio

di riguardo. Premettendo che non è possibile “occultare” tutte le frustrazioni presenti in

un’attività di gruppo penso sia molto importante organizzarla con il retro-pensiero,

soprattutto inizialmente, quando le frustrazioni dovranno essere del minor grado

possibile (es.: poche penitenze, alto grado di attenzione da parte di chi gestisce

l’attività nel disporre equamente risorse e compiti tra i bambini,…). In seguito, sempre

con la dovuta gradualità, il contesto potrà anche permettersi maggiori concessioni.

Uno degli elementi centrali nell’universo della frustrazione sarà il basso livello di

competizione in quanto l’accettazione della sconfitta è ancora di difficile attuazione per 

i bambini che ho incontrato nel mio stage (come già menzionato nel capitolo 4.1.2).

Una tematica da elaborare sarebbe quella dell’utilizzazione di questi momenti proprio

per allenare l’accettazione a questo tipo di frustrazione, dapprima con giochi a basso

livello di competizione poi con un livello gradualmente sempre più alto.

Altro tema legato alle frustrazioni è quello evidenziato nella quarta domanda

dell’intervista sottoposta agli operatori57. Si faceva riferimento alle complicazioni che

puntualmente emergono al termine di un periodo passato lontani dal Centro. Questotema è a mio parere strettamente legato alle difficoltà nell’accettazione dei limiti che

questa struttura educativa impone, limiti che spesso nell’ambiente casalingo vengono

a cadere. La frustrazione di non poter fare ciò che i bambini desiderano è per loro

molto forte soprattutto durante la prima giornata passata al Centro. È pertanto

auspicabile mantenere il grado di attenzione alto e non porre richieste troppo elevate il

lunedì o nei primi trenta minuti dopo un’attività che ha richiesto loro grandi capacità di

auto-gestione. Tema che coincide con quello del distacco dall’ambiente famigliare, un

momento che si rivela sempre difficoltoso per i bambini nonostante le rassicurazioni di

57 Vedi allegati, Intervista sottoposta agli operatori, domanda 3 e punto 3.2.1 del presente scritto.

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genitori e operatori. Momento quello del distacco che ripresenta i propri postumi anche

durante la prima giornata al CPE.

Nelle interviste (prima domanda) è emersa una difficoltà nel terminare un’attività a loro

gradita, anche qualora la successiva fosse altrettanto gradevole ai loro occhi. Questo

punto si collega al prossimo in quanto è importante circoscrivere il più possibile iltempo di una attività, ben delinearne i limiti temporali per non scontrarsi poi nella non

accettazione di un suo termine;

o Scarsa cognizione del tempo: impone attività di breve durata o perlomeno ben

delineata e monitorata nei tempi da chi la propone;

o Difficoltà nell’instaurare spontaneamente controlli sostitutivi (difficoltà che

aumentano in particolar modo dopo circa trenta minuti): durata dell’attività che non

superi i trenta minuti;

o Far ricorso a immagini precedentemente gratificanti: questo tema fa riferimentoin particolare alla scarsa gamma di giochi a loro conoscenza. Sarebbe utile proporre

gradualmente nuove forme ludiche che possano stimolarli ma che al contempo

forniscano delle esperienze da richiamare in futuro. Questo tema è correlato alle

difficoltà ad imparare dall’esperienza. Pare pertanto utile instaurare nuove forme di

gioco in modo graduale e ripetere le attività ad intervalli regolari, affinché i bambini

possano mantenere delle tracce mnestiche di quanto svolto;

o Eccitazione psicologica collettiva: proporre attività paraeccitanti, dove la

dimensione eccitativa non sia troppo marcata. Per esempio i giochi molto competitivinon sono inizialmente i più indicati in quanto non si è sicuri che i bambini conoscano e

sappiano rispettarne le regole. 

1.1.1.1. Prima ipotesi di intervento 

Passaggio dalla levata all’aula scolastica

Si tratta di una delle ipotesi per la quale ho potuto sperimentare una reale prova sul

campo, tentativo che ho peraltro riproposto negli allegati sotto forma di diario di bordo58. In

concreto si mira a proporre attività a carattere ludico ma che possano al contempo rivelarsi

educative.Il primo esempio è relativo al contesto del martedì mattino nel quale si svolge un

passaggio dalla levata all’aula scolastica del CPE. In questo spazio tratto il gioco del

Mikado59 del quale farò qui di seguito una connessione con i punti sopra menzionati per 

meglio comprendere come sono giunto alla mia scelta.

Sono presenti elementi a sostegno della tolleranza alla frustrazione come: un livello di

competizione non troppo elevato, regole del gioco già a conoscenza dei bambini (punto

rilevante in una fase iniziale), presenza di un arbitro esterno al gioco, durata circoscritta

(circa 10 minuti). Inoltre si tiene conto in questa attività della durata breve (vedi “lotta con il

58 Vedi allegati, Allegato 2, Ipotesi di intervento, datata 03.05.2011.59 Gioco di origine cinese (anche chiamato Shangai) nel quale bisogna raccogliere il maggior numero dibastoncini di legno senza però muoverne nessuno degli altri.

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tempo”) e del fatto che in una fase iniziale sia auspicabile proporre giochi a loro

conoscenza per consolidarne il loro utilizzo (in seguito le nuove proposte sono invece

essenziali), elemento che rievoca anche il punto inerente alle difficoltà nell’imparare

dall’esperienza e il ricorso a immagini precedentemente gratificanti già citati nel punto

4.2.2. Si tratta inoltre di un gioco che mette in difficoltà ogni evocazione di qualsivogliaeccitazione psicologica collettiva grazie alla sua turnistica, all’individualità richiesta dallo

schema di gioco e dal fatto che il gioco si svolge attorno ad un tavolo, un notevole

“contenitore” fisico rispetto ad un parco giochi, per esempio. Elemento fondamentale in

questo caso è il fatto che le tecniche di manipolazione antisettica del comportamento di

superficie non sono state quasi utilizzate, se non per la supervisione di un adulto che

fungeva da arbitro. Un gioco – questo - che potrebbe inoltre essere proposto quando

l’operatore denota particolari difficoltà nel gruppo, possibilmente anticipando gli screzi.

Infine vi è il particolare del contesto nel quale i bambini si muovono il martedì mattina.Quest’ultimo gli “appartiene” molto più di altri spazi all’interno del Centro. La loro

cameretta o il salotto sono luoghi nei quali utilizzano giocattoli di loro appartenenza ed

emergono particolari difficoltà nel distaccarli dalla loro attività ludica. È pertanto

fondamentale proporre un’attività che possa intrigarli al punto da non farsi distrarre dal

contesto fortemente intriso di stimoli.

A questo punto mi sembra doveroso esternare le mie sensazioni e rievocare quanto scritto

nel diario di bordo di questa attività presente negli allegati. In particolar modo ritengo

importante sottolineare come - segnalando cinque minuti al termine del gioco erincuorandoli sul fatto che avremmo avuto tutto il tempo per un ultimo giro di tavolo - non ci

sono stati particolari difficoltà durante il fatidico momento della transizione verso l’aula

scolastica. Quale giudice esterno ho svolto il ruolo senza problematicità evidenti e ciò che

è stato più intrigante è stato il fatto di come ogni qual volta si presentasse una situazione

dubbia i due mi guardassero per cercare un mio consenso, senza tentare di imporsi l’uno

sull’altro.

“Nel trattamento del bambino con alterazioni dell’Io rivestono la massima importanza

l’organizzazione delle attività ricreative e la loro attuazione. Le attività ricreative, nei loromolteplici aspetti, offrono al bambino un’occasione di scarica espressiva a un livello di 

organizzazione, di sublimazione, e di accettazione delle frustrazioni determinato e definito

dalla particolare disfunzione dell’Io da cui è affetto.” 60 

Come citerò in particolar modo nella prossima ipotesi anche in questo caso si tratta di

un’attività con regole ben definite. Essendo proposta il martedì vi sono delle possibilità che

esse siano accettate con minore difficoltà dai ragazzi rispetto a quanto avrebbero fatto il

lunedì dopo un fine settimana passato a casa.

1.1.1.2. Seconda ipotesi di interventoPassaggio dalla ricreazione all’attività di piscina

60 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 1, p. 43.

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Anche in questo caso ho potuto sperimentare questo tipo di intervento che riporto negli

allegati61 e che fa riferimento alla lunga pausa del mercoledì pomeriggio. Si tratta di

un’attività di carattere maggiormente libero e sportivo ma con una sua propria struttura e

delle chiare regole. La partita a calcio – svolta nel parco giochi – è stata proposta dopo

che gli animi si erano surriscaldati ed è l’esempio di come un’attività strutturata possarivelarsi una felice sorpresa nonostante qualche istante prima stesse facendo capolino un

momento di grande nervosismo.

Anche se non si può negare che il livello di competizione fosse piuttosto elevato - vista la

naturale logica di una partita a pallone - posso asserire che molti dei criteri riportati nel

punto 4.2.2 sono presenti. Di nuovo iniziando dal tema della scarsa tolleranza alla

frustrazione si può chiaramente notare che le regole del gioco erano già a conoscenza dei

bambini (punto rilevante in una fase iniziale), vi era la presenza di un arbitro esterno al

gioco e la durata era ben circoscritta anche se non breve (circa trenta minuti).   Comefaceva notare Nathan - nella risposta all’ottava domanda nel punto 4.2.1 - è importante

lasciare uno spazio di libertà ai bambini in questo contesto in quanto hanno pazientato per 

tutto il pranzo. L’attività di calcio è stata infatti proposta dopo circa quarantacinque minuti

di gioco libero, cosa che in realtà non si è rivelata ideale in quanto gli screzi sono nati

precedentemente. Sarebbe forse bastato anticipare di quindici minuti l’inizio della partita

per restare entro i fatidici trenta minuti dopo i quali i bambini iniziano a riscontrare

particolari difficoltà nell’auto-gestione del gioco.

Importante è inoltre, perlomeno in una fase iniziale, proporre giochi a loro conoscenza per consolidarne l’utilizzo (in seguito le nuove proposte sono invece essenziali), elemento che

rievoca anche il punto inerente alle difficoltà nell’imparare dall’esperienza e il ricorso a

immagini precedentemente gratificanti. Quanto menzionato per il precedente esempio in

merito all’eccitazione psicologica collettiva va a cadere ma ritengo comunque importante

dire che con un buon grado di sostegno (sintomatico ne è il fatto che siano state messe in

atto dagli operatori molte più tecniche di manipolazione) i bambini sono stati comunque in

grado di far fronte ad un’attività che poteva portare un maggiore grado di difficoltà rispetto

alla precedente.Ragionando in merito al fatto che i bambini riscontrano particolari difficoltà a riprendere i

ritmi del Centro - in particolar modo il lunedì - credo che questo tipo di attività in quel

contesto potrebbe riscontrare particolari problemi nell’accettazione delle regole insite nel

gioco. Ulteriore motivo per auspicarne l’utilizzo nel pomeriggio del mercoledì.

I punti emersi rispetto alle tecniche degli operatori sono stati di maggiore entità rispetto al

precedente esempio. La segnalazione è come sempre presente ed è di grande ausilio - a

mio parere - vista la durata della partita. Dopo aver lasciato perdere oculatamente e aver 

richiamato alla ragione i bambini tramite Raffaela abbiamo proposto una situazionecompetitiva (una partita di calcio). Questa tecnica - in particolare - si è rivelata quanto mai

efficace per distogliere i bambini da quanto stavano facendo, anche se come già

61 Vedi allegati, Allegato 2, Ipotesi di intervento, datata 18.05.2011.

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menzionato il grado di attenzione degli operatori in questi casi va sempre tenuto alto. Al

termine della partita - anche per stemperare gli animi degli sconfitti - io e Nathan

stringiamo la mano ai giocatori. I bambini reagiscono in modo tenero, sorridendo come se

non si aspettassero il nostro gesto tanto gentile in un momento nel quale – comunque - il

livello di adrenalina era alto.

1.1.1.3. Terza ipotesi di intervento

Passaggio dalla ricreazione alla scuola

Molto differente rispetto alla precedente, questa proposta è rivolta al contesto. Non è infatti

possibile estraniare l’attività dal contesto in cui viene svolta. La terza ipotesi di intervento

verte sulla strutturazione di un momento di pausa nello stesso contesto in cui i bambini

hanno trascorso la precedente attività. Trattandosi di un’area più circoscritta rispetto al

parco giochi immagino che le maggiori difficoltà saranno nella mancata scarica pulsionale

della quale tanto si è discusso nella prima domanda dell’intervista agli operatori. Viene

così richiesta una maggiore capacità nel sublimare62 quelli che sono i naturali impulsi in

attività che si svolgeranno tra le mura del Centro. Questa a mio parere è la maggiore

difficoltà del caso:

“…anche noi siamo d’accordo che è importante mettere in ogni momento degli stimoli a

disposizione della sublimazione, differiamo per quel che riguarda la fiducia ottimistica che

la semplice esposizione a stimoli alla sublimazione rappresenti una forza sufficiente a

spingere il bambino ad accettarli.” 63

Si tratta pertanto di elaborare una strutturazione di ambiente e di attività tale da rendere i

materiali e le attività proposte cariche di senso per i bambini. Oggettivamente mi sembra di

poter dire che si tratta di una strategia d’intervento maggiormente complessa da elaborare

rispetto alla precedente ma che potrebbe rivelarsi al contempo efficace.

Pensiamo di mantenere per esempio un gioco come quello del Mikado durante questa

attività dal contesto strutturato. Oltre agli elementi di efficacia menzionati prima vi sarebbe

da aggiungere l’elemento - non scontato - di un luogo che contenga i bambini e il fatto che

loro stessi potrebbero avvalorare le sfumature positive di questo spazio (in particolare

evoco il tanto denigrato spazio scolastico). Facendo così si andrebbe infatti a toccare un

elemento di quelli menzionati al punto 4.2.1 inerente alle particolari difficoltà nel

rappresentare mentalmente un ambiente scolastico come non unicamente negativo.

Questa ipotesi eliciterebbe una connotazione positiva dell’aula scolastica che potrebbe

diventare contenitore di schede d’esercizio come di un momento ludico.

“Se della necessità di predisporre i modi di far fronte ai postumi dell’attività precedente e

di offrire un sostegno nel passaggio da un modello di attività all’altro bisogna sempre

62 Indica il meccanismo responsabile dello spostamento di una pulsione sessuale o aggressiva verso unameta non sessuale e non aggressiva che trova una valorizzazione a livello sociale, come l’attività artistica ola ricerca intellettuale. Tratto da: GALIMBERTI Umberto, Psicologia, “Le Garzantine”, Garzanti, Torino, 2006,p. 1013.63 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 2, p. 112.

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tenere conto quando si formula un programma di attività, la cosa assume un’importanza

quasi vitale in quei settori della vita quotidiana o di un programma di attività verso i quali i 

bambini provano naturalmente delle resistenze o che costituiscono, a causa di traumi 

subiti in passato, delle aree conflittuali di per sé.” 64

Immagino per esempio uno scaffale nel quale riporre giochi e altro materiale utile solo in

questi momenti, come anche l’utilizzo della lavagna quale supporto visivo. Certo questo

tipo di assestamento dell’aula potrebbe essere anche controproducente in quanto è

proprio un punto nodale nelle difficoltà di questi bambini non saper scindere il gioco dai

doveri quotidiani. A mio parere si tratta soprattutto di schematizzare molto gli spazi e le

attività per poi essere in grado di dare un taglio a quello che è l’aspetto ludico, questo

sarebbe inoltre un ottimo obiettivo educativo per questi bambini che spesso si rendono

attenti a determinate regole unicamente dopo aver alzato la voce.

“In assenza di preparativi del genere se i bambini si trovano di fronte a una stanza vuota,

senza vedersi davanti agli occhi nulla che suggerisca loro le possibilità di soddisfazione

che li attendono, i problemi suscitati dalla transizione da un’attività all’altra porteranno

all’apatia, al disgusto o alla ribellione e all’aggressività”.65 

Sarebbe pertanto un buon esercizio di scissione tra queste due dimensioni e porterebbe i

bambini ad una maggiore consapevolezza delle regole che il contesto impone tramite lo

spazio di mediazione del gioco.

1.1.1.4. Quarta ipotesi di interventoCreare un “filo rosso” tra la pausa e la successiva attività

Si tratta di un’ipotesi molto incentrata sulle difficoltà che i singoli bambini riscontrano

durante il passaggio. Nello specifico si portano i bambini a non percepire il distacco come

tale, anche se indirettamente esso avviene, tramite un’attività che li porta direttamente alla

successiva a causa di un “filo rosso” precedentemente ideato. Si vuole fornire qualche

elemento di entrambe le situazioni durante il processo di transizione, la precedente e la

successiva. Trasformando per esempio il passaggio dal gioco alla lettura grazie al

mantenimento di un rapporto con i bambini, parlando con loro e lasciando che continuino a

discutere per del tempo.

“…il passaggio da un modello di attività all’altro rappresenta da solo nella vita dei bambini 

un problema non trascurabile. Molte volte i nostri programmi di attività esigono che tale

 passaggio avvenga con troppa rapidità, sicché alcuni comportamenti esibititi durante la

seconda attività possono in realtà essere considerati i postumi delle configurazioni di 

bisogni ed esigenze impulsive risvegliati durante l’attività precedente. (…) Diventa

indispensabile quindi che il clinico si preoccupi non solo del tipo di attività da scegliere, ma

64 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 2, p. 143.65 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 2, p. 150.

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anche delle condizioni in cui avviene il passaggio da un’attività all’altra e della relazione

intrinseca esistente tra tutta la serie di attività proposte.” 66 

Visto che non ho potuto attuare questa strategia durante il mio stage ne riporto negli

allegati un esempio pratico tratto dal libro “Bambini che odiano” dal quale peraltro ho tratto

l’idea di quest’ultima ipotesi di intervento67.

Riflessioni conclusive

In questo lavoro mi sono trovato spesso disorientato dal grande numero di variabili che

inficiavano la mia dissertazione. Come menzionato nel precedente punto è stato

difficoltoso barcamenarsi tra tutti gli elementi che costituivano le situazioni osservate,

temevo di far confusione e di distogliere la mia attenzione dal tema centrale. Una volta

raggiunto un buon grado di sicurezza - focalizzando i miei sforzi sui possibili interventi

preventivi - il lavoro è invece stato di grande appagamento per me. Non solo

soddisfacente per quel che riguarda questo lavoro di tesi ma anche nella pratica lavorativa

quotidiana nella quale ho potuto mettere in atto due delle quattro ipotesi di intervento che

propongo al punto 4.2.2. Vedere un pratico riscontro di quanto stessi elaborando a livello

teorico mi ha dato soddisfazione e mi ha permesso di ricaricare le batterie dopo lo stage

per concentrarmi su questo scritto.

È interessante poi notare come non del tutto consciamente ho unito due tematiche che mi

hanno affascinato più di altre durante gli studi. Per prima cosa il gioco del bambino, una

tematica sulla quale avevo già svolto una piccola indagine durante il modulo “Indagine di

campo e lavoro scientifico”. Questa è stata l’occasione per addentrarmi più nel dettaglio

nelle relative teorie. In secondo luogo la prevenzione, strumento (e atteggiamento) quanto

mai presente nello stage che ho svolto in Ecuador e che si è rivelato attuale anche con

questa tipologia di bambini.

Risposte agli interrogativi iniziali

Le domande sulle quali verte il mio lavoro di tesi si riferiscono principalmente alle

problematiche che sorgono tra i bambini durante i momenti di passaggio. In secondo luogovolevo indagare la possibilità di una diversa concezione degli “spazi transizionali”.

Le problematiche del fragile Io di questi bambini sono emerse dalle mie osservazioni e

dalle interviste che ho rielaborato nella parte di dissertazione. Per quel che riguarda una

differente concezione di “spazio transizionale” credo di poter affermare che sia possibile -

e auspicabile - confrontarsi con una differente strutturazione di tali spazi. Il fine ultimo di

tutto ciò è dare al bambino la possibilità di esternare le proprie dinamiche interne in

maniera catartica e all’unisono di farlo tramite uno spazio che le accolga e le gestisca.

Esse possono così essere catalizzate in un’attività più o meno strutturata che permetta insimultanea un’esperienza evolutiva, insita in quel che è l’essenza del gioco. La figura

66 REDL Fritz e WINEMAN David, op. cit., Vol. 2, p. 147-148.67 Vedi allegati, Allegato 2, quarta ipotesi di intervento.

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dell’adulto vista come figura di mediazione tra quelli che sono gli impulsi ad agire e quelle

che sono invece le regole che esistono nel gioco, come nell’esame di realtà che ci impone

la quotidianità. Mediazione tra mondo interno ed esterno (che il bambino vive spesso

come minaccioso) che non potrebbe trovare contesto migliore di quello dell’area

“transizionale” del gioco per esprimersi. Area nella quale le regole possono essere inseritegradualmente e essere accettate in maniera più spontanea rispetto a quelle imposte dal

contesto dell’aula scolastica o di altre attività terapeutiche.

In particolare l’auto-gestione del gioco dopo circa trenta minuti si rivela un carico troppo

oneroso per il fragile Io di questi bambini. Essi vanno a mio parere “allenati” e solamente

in seguito lasciati soli nel compito di integrare le proprie volontà con quelle di altri bambini.

Esulando da quanto avvenuto nella pratica quotidiana tengo a riportare i risultati di una

ricerca svolta da Anna Bondioli e descritta in un suo testo sul gioco e l’educazione:

“…l’evoluzione delle capacità ludiche è strettamente connessa alle condizioni e alle

circostanze dell’attività di gioco (sicurezza emotiva, occasioni di gioco, spazi, tempi,

materiali, possibilità di condividere il gioco con partner più competenti, apprezzamento da

 parte degli adulti) più che a fattori maturativi.” 68 

Posso comunque dire che - trascendendo dalle conclusioni del mio lavoro di tesi - è

essenziale che l’adulto si approcci al gioco del bambino (e a qualsiasi sua altra attività)

come a “una cosa seria”, tramite un atteggiamento empatico che avvalora questo spazio

nel quale il bambino esterna buona parte delle sue difficoltà ma anche delle sue

potenzialità.

Limiti e difficoltà

Mi sono confrontato soprattutto con la difficoltà di “incrociare” i molti dati raccolti. Si

trattava di indicatori qualitativi ed è stato particolarmente difficoltoso analizzarli e scremare

quelli che meno si confacevano ai fini del mio lavoro. Gli elementi in gioco erano svariati e

soprattutto dalle osservazioni è emersa una mole di dati superiore a ciò che mi aspettassi.

È stato comunque molto interessante tentare di scovare le connessioni tra i vari elementi e

le differenti parti del testo.

Altra difficoltà è insita nell’aver vissuto in prima persona queste situazioni: è evidente che

le mie prime rappresentazioni, come in parte è giusto che sia, hanno portato al mio lavoro

un taglio improntato verso la ricerca di quello che potesse essere un differente approccio

al tema dei momenti di gioco libero. Difficoltoso in tal senso è stato integrare ciò che gli

operatori portavano di positivo, quelle tecniche che più erano funzionali al superamento

dei momenti di frustrazione, anche perché il mio lavoro verte sulla prevenzione che non

collima sempre con quanto osservato.

Tutte queste difficoltà si sono convogliate sul tema della problematica, ho riscontrato infatti

molte complicazioni nella sua strutturazione e ne è la prova il fatto che solo in un secondo

tempo ho focalizzato i miei sforzi sullo spazio che precedeva i momenti di passaggio. Ero

68 BONDIOLI Anna, “Gioco e educazione”, Franco Angeli editore, Milano, 1996, p. 300.

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infatti partito ragionando sugli approcci degli operatori nei momenti di distacco da

un’attività. Non avevo pensato da subito che era possibile anticipare tali difficoltà con una

struttura che dirigesse il gioco dei bambini su binari maggiormente gestibili da parte degli

adulti. Devo però ammettere che una volta risolto il quesito della problematica il lavoro è

stato molto piacevole, sono stato catturato da questo tema che da un lato mi sembravaeffimero - in quanto non sempre riuscivo a delinearne gli elementi salienti - ma che si è poi

rivelato quanto mai appagante. L’incrocio dei dati è stato indicativo di molte sfumature che

in realtà vere e proprie sfumature non sono. Le rappresentazioni degli operatori sono da

subito sembrate rivelatrici di verità che andavano oltre il semplice sfogo pulsionale da

parte dei bambini e il fatto di problematizzare maggiormente il tema degli “spazi

transizionali” mi è sembrato una modalità d’approccio al problema che ancora in pochi

avevano fatto emergere nell’équipe. Certo approcciarsi al tema con tatto è stato un altro

elemento difficoltoso. Difficile non far risultare il mio lavoro di tesi come un giudizio versol’operato del Centro ma credo di aver perlomeno cercato un equilibrio tra quelli che sono i

miei pensieri e quello che viene svolto ora da parte degli operatori. Indubbiamente si tratta

di due posizioni che appaiono contrapposte ma in realtà ho riscontrato alcune aperture a

riguardo. La modifica di tali spazi non è certo quanto di più semplice si possa richiedere, in

quanto ognuno degli intervistati ha un diverso modo di approcciarsi ad essi. È anche vero

che molti sono i momenti di crisi emersi durante tali contingenze e pertanto la mia

impressione generale protende verso una loro differente rappresentazione e

strutturazione.Cosa ho imparato come educatore sociale

L’educatore sociale ha a mio parere un ruolo che implementa alcune nozioni fondamentali.

Vi è una interessante metafora che di tanto in tanto ricordo: “…qualcuno diceva che

bisogna sì sapere perché gli viene voglia di incendiare la casa, ma anche che cosa fare se

il ragazzo ci provasse; come si può impedire al giovane di compiere certi atti, senza

 pregiudicare il proprio rapporto con lui” 69. 

Questo è un punto a mio parere importante al fine di ricordare che uno dei fondamenti del

nostro lavoro è sapere nell’immediato come impedire alcuni atti sconsiderati senzarovinare le relazioni costruite con tanta fatica. E quale maniera migliore di impedirlo che

l’anticipazione, la prevenzione di ciò che potrebbe accadere.

“Il momento interpretativo ha un’efficacia del tutto secondaria rispetto alla capacità

contenitiva (Rosenfeld 1987 e Winnicott 1956) che permette al bambino di sperimentare

fiducia e sicurezza attraverso la stabilità e la prevedibilità del setting che gli consente di 

vivere un senso di accudimento primario che gli è stato negato.” 70 

A tal proposito sarà interessante andare a leggere il lavoro di tesi di una mia compagna di

classe sul tema delle differenze nell’approccio lavorativo tra psicologi ed educatori

69 LAVIZZARI Paolo, “Pensare i limiti, lavorare ai limiti - Una sfida per il lavoro sociale”, dispensa del modulo“Minorenni”, SUPSI DSAS, Manno, 2005, p. 18.70 MANZOCCHI Ornella, Op. Cit., p. 63.

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all’interno di CPE. La rilevanza del tema non è piccola cosa e la gestione di tali momenti

ne è a mio parere una delle conseguenze.

Mi sono inoltre reso conto che spesso si tende ad identificare nell’altro la causa del

problema senza curarsi di analizzare e ricercare nel nostro operato cosa può influire su di

esso. L’auto-osservazione deve pertanto restare un punto nodale nel lavoro dell’operatoresociale, per non invischiare le relazioni di rappresentazioni basate su un osservazione

superficiale di quelle che invece sono le complessità insite in questo incarico.

Come emerso da alcune risposte nelle interviste vi è da sottolineare l’elemento della

coerenza dell’équipe. Ho potuto notare che ognuno aveva una differente gestione e una

rappresentazione di tali spazi. Si presuppone una linea d’intervento comune che permetta

un sano margine di manovra ad ogni operatore, ma che al tempo stesso posizioni dei

paletti laddove le fragilità degli utenti emergano maggiormente. Fondamentale sottolineare

come questi momenti siano rappresentati dagli operatori in maniera eterogenea. Nelladomanda 8.2 sono emersi ruoli quale il mediatore di conflitti, il sorvegliante, il compagno di

gioco - se lo richiedono i bambini - e l’osservatore. Ruoli certamente integrabili ma che

fanno emergere una scarsa coesione nelle rappresentazioni e nella gestione di questi

spazi, cosa che difficilmente collima con l’auspicata linea di intervento comune. Ciò

potrebbe a mio parere suscitare incomprensioni nell’utente che ne sarebbe destabilizzato,

confuso o potrebbe utilizzare tale incongruenza a suo favore.

Nel contempo con questo presupposto non voglio certo interferire con le peculiarità che

ogni operatore porta al lavoro con i bambini. Le differenze dei singoli sono un’importantemezzo di arricchimento relazionale ed educativo che permette al bambino di allenarsi nel

difficile compito di relazionarsi con le figure che andrà ad incontrare all’esterno di CPE.

Credo comunque che vi siano differenti fattori che possano ulteriormente essere collegati

a tale argomento. Uno su tutti lo stress che può emergere in un contesto simile nel quale

ogni attività può concludersi o iniziare con momenti di grande agitazione. I momenti di

pausa dalle attività maggiormente strutturate sono circostanze vissute come tali da parte

di chi lavora nel Centro. Questo sarebbe un ulteriore tema da trattare. Non è un fattore di

poco conto il fatto che anche gli operatori - a metà mattinata o metà pomeriggio - abbiano

la necessità di “staccare” quindici minuti dai bambini per poter poi svolgere il loro lavoro

con la mente sgombra da tensioni. Ma cosa capita nei bambini? Se sono loro ad

alimentare tensioni che poi si ripercuoteranno anche sul lavoro svolto durante la

successiva attività cosa fare? Come anticipare? Gli argomenti restano aperti a nuove

interrogativi e credo sia giusto così anche in relazione alla complessità del tema e

dell’utenza che frequenta il Centro psico-educativo di Stabio.

Per concludere vorrei mettere in risalto l’importanza che questo lavoro ha avuto nella mia

crescita personale e professionale. Ho potuto osservare come a volte il nostro agito è

fondato su dei presupposti che - se non elaborati in équipe o interiormente - possono

rivelarsi un elemento tanto effimero per noi adulti (sempre intrapresi nel ragionare nella

quotidianità dei fatti) quanto di peso per la naturale sensibilità di un bambino. Essi

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sembrano infatti cogliere forse inconsciamente la seppur minima indecisione e incoerenza,

ma la intuiscono e spesso la fanno rientrare nelle dinamiche oppositive che sono una delle

più evidenti problematiche. Non è certo un caso se ciò avviene nella destrutturazione di

momenti ambigui a livello strutturale come gli “spazi transizionali” e nei momenti di

passaggio, in fondo tutti i nostri atteggiamenti sono in correlazione con quelli dei bambiniproprio come nella regola sistemica della totalità. In essa si sottolinea come ogni

cambiamento di una singola parte interessa le altre, le influenza e influenza tutto il

sistema.

“Così perfetta è la corrispondenza tra la nostra città e il cielo che ogni cambiamento

d’Andria comporta qualche novità tra le stelle. (…) ogni cambiamento implica una catena

d’altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città e il cielo non restano mai uguali.

Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in

se stessi e la prudenza. Convinti che ogni innovazione nella città influisca sul disegno del 

cielo, prima d’ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi per loro e per l’insieme della

città e dei mondi.” 71

71 CALVINO Italo, “Le città invisibili”, Mondadori Editore, Milano, 1993, p. 151.