laura silvestri-Voci
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LAURA SILVESTRIVOCI
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Collisioni multiple / montaggi antinarrativi / un'opera oppositiva infunzionale inservibile – smaterializzazione della sostanza narrativa
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Vedrete il mio corpo andare in frantumi e ricomporsi sotto diecimila aspetti... allora gli insegnerete di nuovo a danzare all'inverso come nel delirio delle balene e questo inverso sarà il suo autentico luogo – spezzare il linguaggio per raggiungere la vita – e ve l'ho già detto: niente opera, niente lingua, niente parola, niente... allora tutto sarà giusto e non avrò più bisogno di parlare...
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Voce incarnata, voce fatta carne e fibre - transito - dismisura – porterò via, di ciò che risale e non può uscire – spaesamento – portarsi via del mondo, in estenuante disconoscere di sé – ciò che resta nel corpo se la gola si chiude, sigillo, l'impronunciabile perché a lungo scordato, anteriore – slittamento, relitti sonori, residui e acccordi dimenticati da un viaggio nel corpo/tempo, in viscere ed età millenarie, sono qui in questi giorni di dolore e presto nuovamente svaniranno – visitazione mormorante e prossimo sprofondamento – andare a svanire – il senzasuono voce grido animale che rimane in gola – dove si esiste anche se ormai immemori di sé
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Le due donne, separate da lunga distanza in epoche e vite vissute, avevano nella voce un tratto comune, di seduzione. Voce che cantava nel narrare, sollevandosi per poi ridiscendere al sussurro, in aspirazioni e schiocchi, e nuovamente sciogliersi in ridenti ritornelli, canzoncine dell'infanzia, quando si correva sul calesse per le vie del borgo, un fiocco azzurro e bianco nei capelli – il suono come fosse una linea morbida che sale e che scende, fa curve, sprofonda e poi lentamente prende il volo, m'interessa quella musica strana che le arriva dal petto e attraversa la gola - la donna era cresciuta dunque cantando, portando ovunque quel suo parlare tappezzato di pelle, la voce chiamava dalle stanze più lontane della casa, remoto era il fondo da cui proveniva, irripetibile assommarsi e coincidere – vuoti del corpo cavità contratte e percorse dal soffio e quella luce nei pomeriggi di giugno, sul legno del pavimento e tra le frange dei tappeti, dietro le persiane accostate, i mobili respirano dilatando le fessure, la voce che si leva e canta, vanno i piedi quasi senza peso – tracce svanenti di vita
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comme si elle avait le malheur d'etre encore en vie... se doucement désensourcelant
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disammaliarsi dal mondo, scordarne l'incanto e il sortilegio, delle cose a lungo nominate come se in quel dire ne potessimo esaurire la pasta e il tessuto – l'incanto che stringe le cose... la presenza delle cose prima che il mondo sia, il persistere di esse dopo che il mondo è scomparso – incorporandole nel loro durare oltre noi, evocandole ed accostandoci sempre più dappresso per via di vibrazione – Forse noi siamo qui per dire: casa, ponte, fontana, porta brocca, albero da frutto, finestra. E questa cose che vivon di morire, sanno che tu le celebri, passano ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più di tutto – e quelle ancor più arretrano rivelandosi prossime al nulla
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di quelle cose svuotarsi come un carico prezioso che all'improvviso si mostra fuggente come la voce che lo dice – vanishing trace – e incamminandoci al viaggio perderne il nome
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Essere la voce/Essere tutte le voci/Perdere la voce
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Alle altre donne che costellano i giorni
quella che si muove nelle stanze sotterranee e se parla è un canto che risale e attraversa pareti, con l'orecchio al pavimento la senti scivolare nella sua unica e irripetibile anima ventosa, come se a condurre il corpo fosse la musica di consonanti e vocali, il risuonare della carne profonda l'angelo dell'appartamento, la nostalgica decoratrice di pareti
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tout l'art de vivre, c'est de nous servir des personnes... comme d'un degré permettant d'accéder à sa forme divine et de peupler ainsi journellement notre vie de divinités
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quella che sul palco muove le gambe piccolissime e le mani, ma il canto possente ti investe e solo all'ultimo si scioglie in litania di soffi e respiri – che corro e suono perché la morte non mi prenda - che non ci si ostini ad appoggiare la testa alla sua porta, o a scrutarle la faccia, come in una dura preghiera
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Alcune parole venivano scomposte dalla voce, erano state afferrate così delicatamente che sbocciavano e non avevano più nulla a che vedere con la voce umana finché la voce pronunciava per forza qualche consonante aspra e posava in terra la parola e concludeva
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E questa voce che attraversa le viscere come da scaturigine buia, che si smarrisce nei filamenti urtati si sgrana lungo le carni percorse, materia sottile nata dal silenzio del corpo, là dove è custodita la memoria di ciò che la lingua non è ancora, dove si costeggia lo schianto del tronco e il verso acuto dell'uccello lanciato al volo, il guizzo della luce, il senza suono in/umano – questa voce, quando esce, luogo degli affetti e del toccarsi, è il tuo corpo che si trascrive e si diffonde sfiorando esseri e superfici, è il ronzare del tuo sangue oltre la pelle, fino a farsi mondo unico e sconvolgente.
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Mondo sonoro che penetra rimbalza o colpisce, punge. L'irripetibile che abbiamo amato perfino oltre il volto – esplodo fuori della /scabra pelle tenace e/croccante – la voce che come strumento percosso assaliva e poi sprofondava, le voci d'acqua, le prosciugate e secche, quelle che squarciavano, voci/sibilanti iubilo grido d'avvoltoio che si abbatte sulla preda, o immature per confusione di intenti.
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Ciò che a lungo tenteremo di rammentare – perfino oltre il volto, più ancora dell'occhio – in nostalgie dei tempi, del soffio che agitava la luce nelle stanze.
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Gesto.Grafia del corpo.
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Armand Robin, figlio di contadini bretoni, io ascoltatore di trasmissioni radio dai luoghi d'europa e del mondo,. Per il ministero dell'informazione. Anarchico viaggiatore vissuto come avessi quaranta vite- je n'était pas l° et donc on ne pouvait obtenir de nouvelle de moi
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si può smarrire il fondo di sé e disperdersi in infinite strade laterali, malati per troppo sentire – J'y parle la non-langue de la neige, du vent et des torrents. Très longues dialogues – solidarietà eccessiva con gli esseri disseminati, da viverne in perpetua allucinazione uditiva, in soprassalti, quelle tracce di vita e inconsolabili paesaggi di rovine o sovraccariche distese di luci, quale rimedio trovare, antidoto al delirio sonoro, forse solo il fumo acre di olio d'ambra piume e cuoio bruciati, per spurgare i vapori che assediavano la mente
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je suis un fellagha resistente clandestino, errante in prolungato stato d'insurrezone, autore di lettere indesiderabili – alla Gestapo, Avenue Foch, Paris – conoscitore di molteplici linguaggi, risalendo lungo le epoche e poi più lontanpo alla Cina alla Russia di parole fresche, violente, di tenera barbarie a decifrare tracce accadiche sumere
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si approda infine là dove si entra per grida e colpi non temendo se il soffio è residuo di voci di dei, ombra di una lingua antichissima e inconcepibile
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parola che parla a prescindere da ogni potere di rappresentare e significare, il canto di Orfeo, il linguaggio che non respinge l'inferno ma vi penetra, parla al livello dell'abisso e così gli dà parola
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si può all'improvviso così scivolare a ritroso, come un violino percosso disseppellire un lontano sogno di altre vite, e scorribande nomadi inverni di terra gelata azzurrina abiti di lana che indossavamo sulla pelle impallidita, le musiche correvano come il vento formando cerchi sull'erba indurita, inseguimenti e abbracci di selvatica stretta – dove sono stata nel tempo che non ricordo terre che mi hanno attraversato voci soffiate di altre lingue nell'invito o nel comando danze remote come in una marcia un'avanzata lenta che si fa nei tempi prima ancora che nei corpi – sono ritorni che impongono obbedienza, la devozione che si porta a uno stato d'infanzia che risorge là dove tutto all'apparenza taceva
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percepivo i suoni slavi come parti di una lingua che mi riguardava da vicino, in maniera inspiegabile – without thinking we can tell what is being said without understanding it
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Accogliere come una grazia rischiosa il mormorio delle cose
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una sera, semiaddormentato sul sedile di un bar, cercavo di censire tutti i linguaggi che entravano nel mio ascolto: musiche, conversazioni, rumori di sedie, di bicchieri, tutta una stereofonia... questa parola detta “interiore” somigliava molto al rumore della piazza... io stesso ero un luogo pubblico, un souk; passavano in me le parole, i sintagmi minuti, mozziconi di formule, e non si formava nessuna frase, come se fosse stata la legge di quel linguaggio...il suo flusso apparente, un discontinuo definitivo: questa non-frase non era affatto qualcosa che non avesse il potere di accedere alla frase, che fosse prima della frase; era: ciò che eternamente, superbamente, è fuori della frase
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trascinato al Commissariato di Rue de Bourgogne e da lì all'Infermeria Speciale, la colpa?, aver lasciato i miei versi sui tavolini dei déhors disturbando, diceva il padrone del caffè di Rue Fabert, i clienti e ancor più i passanti che mi credevano un barbone, con le tasche piene di fogli già pronti per il dono
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o miei così oscuri per restare presso di voi – alberi cavalli miserabili uomini – mi ci vorrebbero per tutta la vita meno parole vivere nel sogno notturno non essere più nella vita del giorno
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in soffi e respiri, in una litania di accenti e tonfi. Tracce di vita, inconsolabili paesaggi di rovine o sovraccariche distese di luci
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Potrò mai incontrare qualcuno che dimentica la parola, e dialogare con lui?
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Venne il tempo dell'approssimazione, dell'impallidire appressandosi alla morte. Si svuotava il corpo, si prosciugavano le vene blu sotto la pelle trasparente, dagli angoli della stanza rimbalzavano minacce e desolazioni senza fine.
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Quella sonorità che ci cantava in gola sempre più spesso s'incrinava nell'impreco, preghiera rovesciata, che sprofondasse il mondo insieme a noi, che il buio coprisse i tetti e i giardini, le madri isterilissero i ventri, i figli interrompessero i loro cicalecci.
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Quale sia la lingua sgretolata, della passione dolorosa del corpo, della carne che si smembra, del precipitare nella ferita – oltre il midollo della carne che parla, e si silenzia – dello sprofondamento.
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Che cosa sia questo improvviso balbettio che allontana gli ultimi gridi, questo interludio, apprendistato feroce che insegna a disfarsi della parola mentre si sfalda, si raccoglie su sé il corpo.
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Il corpo-parola, incamminato al proprio esaurirsi, to bore one ole after another in it, ad ogni sforamento un nome sfumava nel sillabare, un ricordo s'inceppava in sonorità all'apparenza mai prodotte. Maniere del nulla, déchirure. Con sorpresa scoprimmo mano a mano di aver sempre conosciuto quest'arte delle rovine, questo approdare al brusio delle cose, là dove si salda la lingua del prima e del dopo, quella dell'origine e quella del lento venir meno
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frammenti di una voce antica in me, non la mia – ma saperlo rivelare no, se ci mancava passo passo il corrispondere e ci restava della parola solo voce sconnessa épuisée – questa voce che parla indifferente a quel che dice, e che si sa inutile, senza valore, che non si ascolta, attenta al silenzio che essa rompe, è proprio una voce? - soffio spossato poi silenzio
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folie - que de - que de – comment dire/what is the word – seeing – this this – this this here – all this this here/loin là là–bas à peine quoi/what is the word
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Era un intero paese da svuotare di libri e oggetti rimasti nelle case vuote. In solitudine inspiegabile, senza aiuto, trasportarli come reliquie in cima alla collina. Da noi si originava il silenzio, in noi tornava, e nelle cose non più nominabili
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Tutto dimenticato. Aprire le finestre. Vuotare la stanza. Il vento vi passa soffiando. Si vede soltanto il vuoto, si cerca in tutti gli angoli e non ci si ritrova
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Con spavento dapprima mettendoci in ascolto di ciò che al fondo restava da sempre oscuro, sottrazione che convocava ostinata al luogo dell'informe. Il disfarsi della carne si esponeva così, denudato, nelle parole che mancavano a se stesse o ancora per un breve tempo – così breve – raggrumandosi in resti di frasi, invocazioni inscritte nella remota memoria, bianchina-come-corri-leggera-strade-paese-fioccoazzurro,ma già presagendo il prossimo scollarsi, la fantasia di un tempo in cui si sarà fatto silenzioso... un resto di futuro memoriale per una perdita ancora di là da venire
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Perdere la voce ma continuare il racconto – se il linguaggio letterario non si lanciasse sempre in avanti, verso la propria morte, non sarebbe egli stesso possibile, perché è proprio questo movimento verso la propria impossibilità che costituisce la sua condizione e la fonda... è all'interno delle parole che deve tentarsi questo suicidio delle parole (Josefine cantante-topo che sa pigolare e fischiare – Credo di aver iniziato al momento giusto la mia ricerca sui versi degli animali – ora che ha dovuto rinunciare alla lingua della propria gente.
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Fischio/canto/malattia
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Approssimazione. Comment -dire-comment-mal-dire
a voice speaks out / a loud speaker lauds a voice/ out of bounds from the picture / a hand enters the picture / a hand bearings tidings / within words speak voices / a voice peaks through a voice / a bare voice lies in the sand / a thousand grains of sand / a voice from the underground / a voice is losing ground / a voice is lost and found / barely a voice can be said to be heard – Mediations (towards a remake of soundings), come la parola si assottiglia, con le mani che gettano sabbia nella gola-altoparlante, non brillano più le voci nell'aria, si soffoca in questo deserto strozzato e opaco.
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Questa sabbia che chiude la bocca, queste vibrazioni che risprofondano in corpo. Questa acustica triste dello svanire – un silenzio più silenzioso del silenzio, una galleria scavata direttamente nel silenzio e che conduce ai suoi abissi più vertiginosi
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Not I. The face (pause) The face (pause) The face/No giving no words/deep sight, respiro di lontananza, quando l'immagine trovava il suo suono, unico, amabile, minimo appiglio al disordine del vivere – Is love the word? Is soul the word? Do we mean love, when we say love? Soul when we say soul? – le cose rispondevano al loro nome disponendosi negli scaffali, sui tavolini nella penombra delle stanze accanto alle vecchie fotografie della giovinezza luminosa, bastava cancellare la polvere del giorno - [The Auditor] is desperately needed as a witness – an actual and present human being who ought to be there when another human being is suffering - e tutto sostava nel suo ordine. Una disposizione assoluta, un governo sereno delle cose
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Ma, nell'appressarsi
osservando dalla penombra, dietro la grata corrosa, con quel gusto di sangue nella gola, la ruggine che si attacca alle dita – so no love... no love of any kind – il filo rosso che bagnava il collo, e il bacile già pronto per recare in dono il bellissimo capo – all that early April morning light... and she found herself in the... dark – sapere come accade, come il soffio s'ingolfa ed ogni parola si sfalda nel petto, solo arrivare a sapere
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indeed could not remember... off-hand... when she has suffered less... yes... all the time buzzing... in the ears... in the skull... couldn't make the sound... no screaming for help for example... for on that April morning... begging it all to stop... unanswered... prayer unanswered... or unheard... too faint... what she was trying... what to try... nothing but the larks
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di alcuni infine perdi parole oltremodo preziose/come tagliare/recidere a mezzo il viso separando le epoche/il prima-il dopo/del cancellare
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essendole stato insegnato a credere nella misericordia di Dio quando improvvisamente si rese conto che le parole stavano cosa? chi? no lei le parole stavano arrivando una voce che lei non riconobbe lì per lì era tanto tempo che non la sentiva poi alla fine dovette ammettere che non poteva essere che non poteva essere che la sua stessa voce
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E’ duro questo stare ad aspettare la morteAvevo preparato la valigia per quando muoio il tailleur di chanel grigio chiaro la sottoveste tutta di pizzoBisogna che prepari la valigia. Per andare dove? Già è vero. Ne parlo ma è doloroso, dire addio a tuttoSignore, liberami da questo sogno.Vado a dormire e penso mi sveglierò, sarò nello stesso posto?A chi non compatisceVorrei che tu provassi che ti frulla negli occhi nella testa
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La verità che mi raccontava con un linguaggio straziato che si sarebbe prestato solo all'irrisione
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Forse era per ascoltare ancora una volta il suono della propria voce, disposta tuttavia quando il tempo fosse arrivato alla cancellazione, e un' ultima traccia nel palinsesto ne avrebbe infine distrutto ogni possibile percorso.
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Poteva essere pronta a un'ulteriore sosta sul confine. Sentendo ogni approdo allontanarsi, ascoltare di cosa è fatto il dorso delle cose, parlando tra sé in virtù della dimenticanza che vedeva avvicinarsi
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potrei perfino aspirare a qualche privilegio, come si deve a chi rimedia a mali sconosciuti, potreste almeno concedermi un’ultima veglia in cui le cose mi si mostrino come sono di notte o in nostra assenza
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e così apprendendo il cammino a ritroso – ricordo ma non so dire – verso una lingua inventata dal fiato – Ve l'ho già detto che non ho più la mia lingua, e non è una ragione perché perseveriate, vi ostiniate nella lingua... Ya menim / fra te sha / varile / la va vazile / tor menim / e inema imen – entrandovi per grida e colpi, per abrasioni costruzioni incerte su tracce cancellate
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Disassembled Polyptych-Al di là del bianco-Squadernare / Dichiaro di non essere E.I.-Ideologia della sopravvivenza / Swarmtexts
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lingua che va in rovina risalendo il tempo – asemic sybils – fissando con occhi spalancati l'ignoto, la grande lontananza in formulata
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Parola eolia... ciò che è estraneo a ogni possibilità di essere rappresentato, annunciata nel ramificato mormorio dell'albero. Voce libera dalla parola, dalla rappresentazione, libera in anticipo dal senso, annuncia una possibilità anteriore a ogni dire e persino a ogni possibilità di dire. La voce che parla senza parole, silenziosamente, attraverso il silenzio del grido... tende a non essere la voce di nessuno... fuggitiva, destinata all'oblio... scompare appena detta, sempre già destinata al silenzio, che contiene e da cui viene
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Ma alla fine il sollievo. Accettando quella condizione di spettro, sigillata nel tempo che ostinatamente sopravvive, mentre la carne si disfa e ne resta una sottile memoria – nachleben cenere che sulla parete testimonia il passaggio scrittura miniaturizzata che si fa quasi invisibile
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ma il mondo continua ad invadere il sentire, manda profumi e musiche, sapori di cibi, frescure, con una moltitudine di voci che premono alla gola, all'orecchio – dicono questo tutto il tempo... devo occuparmi principalmente delle mie voci
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e non è più l'obbligo del dire, nominare, soddisfatta del gorgoglio che ne resta
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E' qui che una lingua, gesticolando oltre se stessa in un discorso che non può dirsi tale, si apre alla non-lingua che la precede e la segue. E' qui, nell'emissione di quegli strani suoni che i parlanti si ritenevano incapaci di produrre, che una lingua si manifesta come una “esclamazione” nel senso letterale del termine: un “chiamare-fuori”, oltre e prima di sé, che essa non può né completamente ricordare né del tutto dimenticare
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anzi accelerando l'incursione
Verso la voce silenziosa intravista al fondo, voce senza suono che ci abitua al tenore dell'abisso, voce che chiama senza dire niente, χώρα, paese senza dolore in cui nessuna voce è proferita
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spezzare il linguaggio per raggiungere la vita / se il linguaggio è la morte, uscire dal linguaggio potrebbe riservarci qualche sorpresa
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Si può forse rallegrarsi di essere senza parola, di essere senza pensiero, là dove non si sente nulla, è là che sarebbe bello essere, là dove si è, davanti a un quadro interamente bianco che invita a innumerevoli percorsi – All white – a una musica che cancella le proprie tracce e si avventura nel silenzio tra i suoni del mondo – 4'33''
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From the perimeter of the room, located outside the windows, was the murmur of a man struggling to speak. Sounding like ordinary language and yet garbled beyond sense, this slow speech had the effect of transforming the empty warehouse into an otherworldly, mental space
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Ti dissolvi. Nel buio delle stanze gli oggetti sostano, ben più consapevoli di noi, delle menti umane impaurite
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ogni cosa, il più piccolo ninnolo, le cortine del letto, le babbucce ricamate a piè di questo, lo sgabello imbottito davanti alla toeletta, e cento altre, ogni cosa serbava viva la di lei impronta ed era rimasta, lo si vedeva bene, come quando ella aveva lasciato quel luogo l' ultima volta; e potevano essere passati tanti anni
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ci lasci il tuo canto dell'abisso, là dove sparisci consegnando a noi l'interrogazione
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Le sirene: sembra in effetti che cantassero, ma in un modo che non soddisfaceva, che lasciava solo intendere in quale direzione si aprivano le vere fonti e la vera felicità del canto. Tuttavia, con i loro canti imperfetti che non erano ancora un canto a venire, guidavano il navigatore verso uno spazio in cui il canto sarebbe iniziato veramente... uno spazio in cui la musica stessa sarebbe scomparsa
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Sleep... no more stories... no more words / Adastayfree
VOCIN.Balestrini A.Artaud Sabotaggio C.d.l. R.Barthes S. Beckett M.Blanchot R.M.Rilke G.Manganelli M.Proust F.Kafka C.Bologna J.Kristeva A.Rosselli A.Robin D.Heller Roazen E.Canetti J.Cage M.Foucault Zhuang-zi G.Agamben G.Hill A.Neher L.DI Ruscio
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E.Bloch B.Cepollaro E.Isgrò M.Giovenale R.Chair R.Walser M.Heidegger R.Cavallo R.Rauschenberg A.Hamilton T.Landolfi
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