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EURAC book 56 L’uomo nell’ecosistema: una relazione bilanciata?

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EURAC book 56

L’uomo nell’ecosistema: una relazione bilanciata?

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Direttore responsabile: Stephan Ortner

Curatori: Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Chiara Maria Stella

Foto e immagine inizio capitoli: Uta Schirpke, Roberta Bottarin

Coordinazione: Roberta Bottarin, Uta Schirpke

Stampa: Esperia srl, Lavis (TN)

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Istituto per l’Ambiente Alpino

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Si ringrazia la Provincia Autonoma di Bolzano -

Agenzia provinciale per l’Ambiente

per il contributo finanziario.

ISBN 978-88-88906-55-3

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L’uomo nell’ecosistema:

una relazione bilanciata?

XIX Congresso della Società Italiana di Ecologia

“Dalle vette alpine alle profondità marine”

Bolzano, 15-18 settembre 2009

Volume 1

Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Ulrike Tappeiner

in collaborazione con la Società Italiana di Ecologia

2010

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Contenuto

Editorial advisors 9

Prefazione 10

Introduzione 11

Tavole Rotonde 13

Ecosystem Services Partnership, verso la costituzione di un gruppo italiano (Alessandro Gretter) 15

Ecologia e produzione idroelettrica a confronto (Luca Dal Bello & Bruno Maiolini) 19

Pattern spaziali e processi ecologici 23

Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea: sinergia fra ricerche in campo ed analisi satellitari (Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola) 25

Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea: relazioni con alcune caratteristiche fogliari e con la qualità della lettiera (Anna De Marco et al.) 37

Late spring decomposition rates in a second order stream: assessing relationships among breakdown rates, decomposer diversity and substrate morphology (Gina Galante et al.) 45

An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain (Northern Italy) from land-cover cartography: preliminary results (Marta Maggi et al.) 59

Alpine-wide delineation of the potential treeline (Caroline Pecher et al.) 71

Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea sul processo di decomposizione fogliare in microcosmi di laboratorio: quanto contano realmente le specie? (Angela Pluchinotta et al.) 77

A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System to monitor climate aridity and drought in Mediterranean area (Luca Salvati et al.) 89

Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera: una metodologia basata su parere esperto e immagini LiDAR (Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato) 97

Premio Marchetti – Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park, Abruzzo (Azzurra Valerio et al.) 105

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Impatto antropico: effetto di disturbo o di controllo? 121

The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison

between Italy and Germany (Roberta Aretano et al.) 123

Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano:

nuove prospettive (Elisa Carraro et al.) 131

La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione

in ambito turistico (Valentina Castellani & Serenella Sala) 139

Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi

della Lombardia (Giulia Fiorese et al.) 149

La realtà dei commons in Trentino e Cumbria: Governance sostenibile

e resilienza dei sistemi socio-ecologici (Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi) 159

Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

(Rosalba Padula & Linda Cingolani) 169

Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato

(Lucia Porzio) 181

Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas

to quantify and monitor the human impact on biodiversity

(Francesco Rovero & Ruth DeFries) 189

The effectiveness of different management policy to support

the Natural Capital (Teodoro Semeraro et al.) 197

The integrated information system on water supply and wastewater

services: the Italian experience in the urban water survey

(Stefano Tersigni et al.) 205

The management of the marinas in the context of environmental security

(Donatella Valente et al.) 213

Come apprezzare i “servizi” offerti dagli ecosistemi? 221

Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali:

un caso di studio nel comune di Trento (Maria Giulia Cantiani et al.) 223

Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie

di sostenibilità (Maria Angela Cataldi et al.) 231

Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino,

caso della Val di Ledro (TN) (Alessandro Gretter et al.) 241

Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente

lagunare (mangrovieto) delle aree costiere tropicali di Veracruz, Messico

(Bruno Menale et al.) 249

Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici nel Parco Naturale

Regionale “Litorale di Ugento” (Lecce, Italia) (Nicola Zaccarelli et al.) 259

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7

Educazione ambientale oggi 269

Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze in ambiente mediterraneo (Lucia Fanini et al.) 271

Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici (Annastella Gambini et al.) 279

Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici (Annastella Gambini et al.) 289

Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto (Giovanna Ranci Ortigosa et al.) 297

Ecologia: raccontami la storia del mio futuro (Serenella Sala & Valentina Castellani) 307

Autori 315

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Editorial advisors

Marco Abbiati – Università di Bologna in RavennaAntonella Bachiorri – Università di ParmaAlberto Basset – Università del SalentoRoberto Bertoni – CNR sede di VerbaniaFerdinando Boero – Università del SalentoRoberta Bottarin – Accademia Europea di BolzanoSimona Castaldi – Seconda Università di NapoliRoberto Danovaro – Università Politecnica delle MarcheCarlo Gaggi – Università di SienaBruno Maiolini – Istituto Agrario San Michele all’AdigeAntonio Mazzola – Università di PalermoMarco Moretti – Swiss Federal Research InstituteRoland Psenner – Università di InnsbruckNico Salmaso – Istituto Agrario San Michele all’AdigeMassimo Tagliavini – Università di BolzanoUlrike Tappeiner – Accademia Europea di Bolzano/Università di InnsbruckPierluigi Viaroli – Università di ParmaVito Zingerle – Museo Scienze Naturali di BolzanoGiovanni Zurlini – Università del Salento

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Prefazione

Dr. Luigi Minach*

Lasciando ai ricercatori della Società Italiana di Ecologia, delle Università na-zionali ed estere, dei Centri di Ricerca e delle Agenzie per la protezione dell’ambien-te il compito di indagare, nel corso del XIX congresso della S.It.E, sull’inluenza del-le scale temporali e spaziali sugli ecosistemi, mi piace far notare come già la scelta di Bolzano quale luogo per il congresso sia la dimostrazione tangibile di come tempo, spazio, ecologia siano intrinsecamente collegati.

L’Alto Adige, terra di montagna, regione alpina, in epoche lontanissime era un grande mare: Le Dolomiti altro non sono infatti che barriere marine tropicali, te-stimonianza originale della presenza del mare in questa terra. Ma non solo le rocce testimoniano tale passato, anche la presenza di lora subtropicale in valli laterali della provincia lasciano immaginare climi e geograie diversi dagli attuali.

L’Alto Adige è inoltre dimostrazione “vivente” di come cambiamenti locali possano inluire a livello globale, penso ad esempio all’introduzione di tecniche co-struttive di risparmio energetico di casaclima, alle piccole centrali di teleriscaldamen-to a biomassa locale ino alla sensibilizzazione degli abitanti di questo piccolo territo-rio verso stili di vita che tengano conto della limitata capacità di carico degli ecosistemi alpini. Questi approcci locali, che per la loro limitata area d’inluenza po-trebbero apparire di scarsa eicacia in un’ottica globale, hanno invece attraversato i conini fondendosi e integrandosi con comportamenti e politiche ambientali virtuo-se di altre realtà.

Tenere insieme tempo, spazio, ecologia e sviluppo umano: una sida immane, da afrontare a piccoli passi (minime distanze), a lungo termine (ragionare e procede-re per tempi lunghi), con la conoscenza e rispetto di tutti gli ecosistemi interessati dai processi messi in atto dalla specie umana (sostenibilità da parte della terra nel tempo e nello spazio dell’umanità del Nord e del Sud).

Una sida non impossibile, anche il mare in Alto Adige in fondo sembrava impossibile! Come Agenzia provinciale per l’ambiente abbiamo fatto nostri nel tem-po questi compiti: conoscenza degli ecosistemi, monitoraggio dei parametri di qua-lità ambientali, misura dell’impatto delle attivita umane, ricerca ed adozione di mi-sure di riduzione di tali impatti, sensibilizzazione verso uno stile di vita sostenibile.

* Direttore di Ripartizione dell’Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano

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Introduzione

Roberta Bottarin*

I sistemi ecologici sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità sia spaziale che temporale. La scala temporale condiziona tutta l’ecologia, la descrizione dei suoi fenomeni, delle sue leggi, la vita delle specie. Il tempo va inteso, nel contesto ecolo-gico, come velocità di cambiamento: non è l’estinzione di una specie che ci dovrebbe preoccupare (le specie si sono sempre estinte…), ma la velocità con la quale essa av-viene. Non è la crescita di una popolazione di alghe che ci deve fare allarmare, ma la velocità con la quale queste si moltiplicano. Non è il cambiamento climatico che ci deve fare rilettere, ma il fatto che ciò si veriichi ad un ritmo incalzante.

L’incorporazione della scala spaziale e temporale nelle teorie, nei modelli e nei disegni di campionamento ci ha permesso negli anni di incrementare la nostra cono-scenza di come la dinamica delle popolazioni e le interrelazioni fra specie rispondono ai cambiamenti dell’ambiente, siano essi isici, quali la temperatura, o biologici, qua-li le relazioni preda-predatore.

I recenti passi avanti fatti in ambito tecnologico, software sempre più soisti-cati, tecniche analitiche sempre più speciiche hanno permesso di acquisire ed elabo-rare un numero sempre maggiore di dati, nonché di sviluppare modelli di processi ecologici a varie scale spaziali e temporali. Le interrelazioni fra scala spaziale e tem-porale e la loro scelta appropriata negli studi ecologici rimangono spesso una sida per gli ecologi.

Il XIX congresso nazionale della Società Italiana di Ecologia ha voluto mette-re in risalto l’importanza delle scale temporali e spaziali nell’ecologia e dimostrare come queste possano fornire informazioni utili per comprendere e migliorare la ge-stione degli ecosistemi nella loro complessità.

* Coordinatrice Istituto per l’Ambiente Alpino, EURAC

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Tavole Rotonde

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Ecosystem Services Partnership, verso la costituzione di un gruppo italiano

Alessandro Gretter

Hanno aderito circa 26 persone in rappresentanza di 11 diverse istituzioni (Università del Salento, EURAC research, Università degli Studi di Trento, Univer-sità di Salerno, Ökoinstitut Bolzano, Istituto Federale Svizzero WSL, University of Manitoba (Canada), IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach, Università di Urbino, Università di Milano Bicocca, Università de L’Aquila).

Rocco Scolozzi (IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Ed-mund Mach) fa un veloce excursus rispetto alle motivazioni che hanno portato alla creazione di questa tavola rotonda, nata come spunto dai partecipanti del corso “Conference on Modelling Ecosystem Service – MIMES” (www.mes2009.it) svolto-si ad Acaya (Lecce) nel maggio 2009.

Il prof. Giovanni Zurlini (Università del Salento) illustra la Ecosystem Servi-ces Partnership, di recente costituzione, ed il processo storico legato agli ecosystem services ed alle inalità che una loro identiicazione e valutazione possono avere in una prospettiva di conservazione degli ecosistemi stessi. La prospettiva attuale e fu-tura è di comprendere le interferenze e raggiungere un maggior dettaglio di accura-tezza anche nell’ottica di giungere ad una nuova elaborazione del Millennium Ecosy-

stem Assessment con un dettaglio di scala inferiore a quello globale dove si possano correggere i grossi limiti della precedente edizione. Per il contesto nazionale si auspi-ca un processo “top-down” che sia in grado di porre in evidenza le molteplici speci-icità caratterizzanti il territorio italiano. Viene poi visionato il sito uiciale della Ecosystem Services Partnership (www.es-partnership.org) del quale la Dr. Irene Petrosillo (Università del Salento) illustra alcune sezioni.

Il prof. Zurlini dichiara la disponibilità dell’Università del Salento a ricoprire il ruolo di “focal point” per l’Italia, con la possibilità di accedere ad una serie di dati condivisi, di fare circolare una newsletter attraverso l’iscrizione ad una mailing-list rivolta a chi darà una dimostrazione di interesse, eventualmente anche attraverso

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l’adesione diretta alla partnership internazionale. Il tutto in un’ottica di “valorizzare” le informazioni e i dati raccolti ed elaborati in Italia sul tema degli ecosystem servi-ces.

Viene fatto un breve giro di presentazione dei partecipanti alla tavola rotonda, mettendo in evidenza anche i temi di maggiore interesse e l’ambito spaziale di riferi-mento. Segue l’elenco dei partecipanti:

Cognome, nome Organizzazione Funzioni/Servizi ecosistemici di interesse

Aretano Roberta Università del Salento Mappatura della percezione dei servizi ecosistemici

Burlando Catie Università di Manitoba, Canada Biodiversità, CO2 sequestration, trade-ofs social-ecological systems, agricoltura sostenibile/agrobiodiversità, polices developmentt

Cantiani Maria Giulia Università di Trento – Dip di Ingegneria Civile ed Ambientale

Coscieme Luca Università degli studi de L’Aquila

Deutsch Nathan Università di Manitoba, Canada Carbon, biodiversity, common property, community-based management

Disabatino Antonio Università degli studi de L’Aquila – Dip. Scienze Ambientali

Acque interne

Ferrari Marika Università di Trento

Geneletti Davide Università di Trento Facoltà di Ingegneria

Applicazione alla Valutazione Ambientale Strategica e pianiicazione territoriale

Gerosa Giacome Università di Brescia

Goio Ilaria Università di Trento – Dip. di Economia

Funzione produttiva, protettiva, ricreativa culturale, ecologica

Gretter Alessandro IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach

Carbon, biodiversity, common property, community-based management

Ianni Elena Università di Trento Facoltà di Ingegneria

Approccio eco sistemico, patrimonio culturale, percezione, sostenibilità a livello di comunità

Moretti Marco Swiss Federal Research Institute WSL (Svizzera)

Qualità di vita, valore ecologico (habitat per specie), valore culturale

Notarnicola Claudia EURAC research, Bolzano, Istituto per Telerilevamento Applicato

Orsatti Cristina IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach

Social/Human systems

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Cognome, nome Organizzazione Funzioni/Servizi ecosistemici di interesse

Pecher Caroline EURAC research, Bolzano, Istituto per l’Ambiente Alpino

Petrosillo Irene Università del Salento Valutazioni del capitale naturale

Sala Serenella Università degli Studi di Milano Bicocca tutti

Santolini Riccardo Università di Urbino Bacini idrogeograici, boschi, zone umide

Schirpke Uta EURAC research, Bolzano, Istituto per l’Ambiente Alpino

Indicatori, cambiamenti ambientali e valutazione

Scolozzi Rocco IASMA Research and Innovation Centre Fondazione Edmund Mach

A scala di paesaggio, tutti

Semeraro Teodoro Università del Salento Mappatura dei servizi ecosistemici

Smiraglia Daniela Università di Salerno – Dip. di Scienze Economiche e Statistiche

Tappeiner Ulrike EURAC research, Bolzano, Istituto per l’Ambiente Alpino & Università di Innsbruck (Austria)

Production, recreation, provision, biodiversità, scale issues

Valente Donatella Università del Salento Analisi di rischio dei servizi ecosistemici

Vecchiotti Filippo Ökoinstitut Südtirol, Alto Adige Impronta ecologica di realtà aziendali, energie rinnovabili

Zaccarelli Nicola Università del Salento Supporting, cultural

Zubaryeva Alyona Università del Salento

Zurlini Giovanni Università del Salento Ecosystem services providers e disturbo nei sistemi socio-ecologici alle diverse scale

Viene data lettura del programma provvisorio del workshop sugli Ecosystem Services (intitolato “Solutions for sustaining Natural Capital and Ecosystem Ser-vices: Designino Socio-Ecological Institutions”) che si svolgerà a Salzau il 7-10 giu-gno 2010, cercando di evidenziare quale potrebbe essere il tema su cui presentare una proposta italiana collettiva. Rispetto al tema “Designing socio-ecological institu-tions” viene evidenziato che diviene necessario fornire degli strumenti a favore delle istituzioni. La pianiicazione è molto importante in quanto sono scelte che vengono prese e che hanno una valenza molto lunga; appare rilevante che bisogna pensare alla pianiicazione anche in un contesto globale di cambiamento. Una comprensione de-gli ecosystem services può rappresentare così una modalità per migliorare la comuni-cazione ed uno strumento di supporto fondamentale per la pianiicazione (planning

through Ecosystem Services). Dalla discussione emerge che deve essere raforzato il legame tra biodiversità,

funzioni ecosistemiche e servizi ecosistemici, una maggiore conoscenza appare neces-

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saria specialmente sul primo legame e diviene importante capire le percezioni delle popolazioni. Appare opportuno issare delle soglie, facendo divenire così rilevante il collegamento tra il capitale sociale ed il capitale naturale e la comprensione ed inclu-sione delle conoscenze indigene/locali. Un argomento sotteso ma cruciale che emer-ge relativamente agli Ecosystem Services è quello dell’individuazione dei c.d. provi-

ders, usualmente connessi alle tipologie di habitat.

La tavola rotonda si conclude con la proposta operativa di veriicare le tempi-stiche per la deinizione dei contenuti di Salzau 2010 e tra i partecipanti di visionare ed eventualmente proporre ulteriori o modiicare i temi contenuti nel primo draft di programma. Alla luce di quanto sopra si propone allora, come gruppo Italiano, di veriicare la possibilità di aggiungere una sessione per il Convegno di Salzau.

Per contatti ed informazioni: [email protected].

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Ecologia e produzione idroelettrica a confronto

Luca Dal Bello & Bruno Maiolini

Quanto mai attuale risulta l’importanza dell’energia idroelettrica e la sua spes-so contrastante posizione rispetto all’ecologia. Il rapporto tra l’utilizzo idroelettroe-nergetico della risorsa acqua e le ricadute in ambito ecosistemico di questa particola-re tipologia di gestione idrica, fonte energetica rinnovabile tanto importante quanto spesso sottovalutata sono state argomento centrale di una della tavole rotonde del congresso. Si tende infatti a dimenticare che, con una potenza idroelettrica di circa 17.623 MW distribuita tra 2.184 impianti, l’idroelettrico costituisce il 73,9 % di tutta la potenza rinnovabile oggi installata in Italia, collocando il nostro paese al ter-zo posto in Europa, dietro solo a Svezia e Francia, in termini di energia prodotta da idroelettrico. Gli impianti adibiti alla produzione idroelettrica sono ormai una realtà consolidata del territorio alpino costituendo oltre all’indubbia utilità quale riserva della risorsa acqua anche funzioni sociali e turistico-ricreative, sia a livello nazionale sia nei vari ambiti locali. I bacini artiiciali instaurano infatti complesse interrelazioni fra le speciiche e concrete esigenze antropiche per i quali questi sono richiesti, le ri-spettive scelte costruttive le diverse caratteristiche del territorio che li accoglie e le specie viventi che vi si devono adattare.

Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse ecologico e ad una crescente e difusa sensibilità per questi ecosistemi artiiciali interessati dalla iliera di produzione idroelettrica, la cui gestione è regolata da normative europee e locali e la cui fruizione ecologica e sociale è stata valorizzata da un crescente impegno che i vari soggetti (agenzie per l’ambiente, istituti di ricerca e gestori degli impianti) pongono nei confronti di questi sistemi idrici.

Il confronto tra le diverse esperienze singolarmente maturate nelle due Pro-vincie Autonome di Trento e Bolzano ha rimarcato l’esigenza di raccordare le rispet-tive conoscenze e ha evidenziato una debole interazione tra comunità scientiica da un lato e amministratori locali e gestori degli impianti dall’altro, sottolineando la ne-cessità di estendere la discussione su questi sistemi e di raccogliere suggerimenti ed informazioni in modo da poter comprendere maggiormente l’entità dell’ampio sce-nario di problematiche, inora accennate o afrontate in modo parziale.

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Per questi motivi la tavola rotonda ha posto in essere un utile occasione per illustrare e sintetizzare i risultati in qui raggiunti da diversi progetti di ricerca attua-ti nelle Province Autonome di Bolzano e di Trento e cercare quel dialogo tra realtà spesso erroneamente poste in contrapposizione: gli ecologi e i gestori della risorsa ac-qua. Un dialogo che, come ribadito nelle fasi introduttive dell’incontro, è “volto a conciliare la necessità di mantenere i beneici e beni derivanti dagli ecosistemi acqua-tici con l’opportunità socio-economica di produrre energia idroelettrica”.

Tra i partecipanti, oltre al gruppo di lavoro del dottor Bruno Maiolini, occor-re sottolineare la presenza dell’ing. Marina Maestri e dell’ing Stimpl dell’Azienda Elettrica Ae-Ew, responsabile degli impianti di Senales, Vernago e Tell, in veste di rappresentanti dei gestori degli impianti.

Per l’amministrazione provinciale di Bolzano erano presenti all’incontro la dott.ssa Alberta Stenico, direttrice d‘uicio del laboratorio biologico provinciale dell’Agenzia per l’ambiente e il p.i. Danilo Tait, sostituto direttore, nonché la dott.ssa Renate Alber e la dott.ssa Birgit Lösch. Per l’uicio tutela acque era presente la dott.ssa Barbara Vidoni. Gradita anche la presenza anche di rappresentanti della fon-dazione Edmund Mach, tra i quali occorre ricordare il dott. Andrea Zignin e la dott.ssa Monica Tolotti.

La tavola rotonda si è aperta con una relazione del dottor Luca Dal Bello che ha brevemente riassunto i risultati dei suoi studi condotti sui tre principali invasi ar-tiiciali della Provincia Autonoma di Bolzano (nello speciico gli invasi di Resia, Se-nales e Zoccolo), evidenziando come dal punto di vista limnologico, per gli invasi studiati in ambito altoatesino, le comunità biologiche presenti mostrino una mono-tonia minore diversità e una ridotta strutturazione rispetto ai corrispettivi laghi na-turali e che la gestione idraulica (di tipo idroelettrico) risulti per queste comunità relativamente ininluente in quanto il driver principale sembra essere la ricarica na-turale (piovosità) anziché il prelievo operato dalle aziende.

Risalto è stato dato alla normativa vigente (europea, nazionale e i vari recepi-menti in ambito locale) e alla necessità di ampliare gli studi di questi ambienti, non trascurando l’intero corpo lacustre, data la complessità intrinseca del sistema in og-getto, con immissari estendo provenienti anche daaltre vallate e con uscite collocate più a fondovalle dell’impianto.

Il successivo intervento del dottor Maiolini ha spostato l’interesse sui rilasci operati dalle centrali idroelettriche, illustrando il fenomeno dell’Hydropeaking a ca-rico delle centrali idroelettriche e sottolineando come gli obiettivi legati alla produ-

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zione di energia idroelettrica assumono una nuova rilevanza, soprattutto in questo momento di recepimento delle normative europee.

Sono stati proposti possibili scenari futuri e soluzioni a questo problema, come ad esempio l’utilizzo di canali dove far deluire l’acqua turbinata o la realizza-zione di opere di raccolta e successivamente di ripompaggio nel serbatoio recettore.

L’ultimo intervento è stato aidato all’ ing. Stimpl e alla ing. Maestri che, dopo una breve presentazione della società AE-EW e delle sue competenze, hanno esposto il loro punto di vista in qualità di amministratori di impianti idroelettrici, evidenziando come molti dei problemi che i gestori si trovano ad afrontare vengono spesso sottodimensionati o sono addirittura sconosciuti sia all’amministrazione pub-blica sia soprattutto alla comunità scientiica. In particolar modo è stato posto l’ac-cento su come il recepimento di alcune normative sia nazionali che locali vada ad inluire non solo sulla riduzione di produzione ma che il loro peso vada a ricadere inevitabilmente su tutta la collettività e sul consumatore in ultima istanza. Riferen-dosi ai rapporti con l’amministratore pubblico è stato espressa una richiesta di mag-gior chiarezza da parte degli organi istituzionali nel delineare il grado di responsabi-lità cui sono chiamati i gestori, che molte volte si sentono esclusi dalle decisioni prese in merito alla problematica idroelettrica. Inine è stato rimarcato l’indubbia competitività dell’idroelettrico quale fonte energetica rinnovabile, soprattutto nel contesto territoriale locale (Bolzano e Trento).

L’evento ha permesso un primo incontro tra soggetti che raramente hanno la possibilità di confrontarsi direttamente Vi è stata un’ampia condivisione nel ritenere che la tematica in questione necessiti di un maggior impegno da parte di tutti i sog-getti interessati e nella necessità di porre in essere, a breve termine, nuove forme di cooperazione in modo da poter intraprendere un processo di perfezionamento e di sintesi della rispettive esperienze maturate. La necessità di ampliare il bagaglio cono-scitivo relativo a questi sistemi idrici permetterebbe un vantaggio in previsione anche di futuri aggiornamenti normativi, favorendo una riqualiicazione di questa forma energetica, che ancora risulta la più competitiva (anche in termini ecosistemici) ri-spetto a nuove forme di energie rinnovabili che attualmente non sono ancora in gra-do di fornire il necessario contributo in termini di potenza erogata o che sono anco-ra in una fase di post-sperimentazione.

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Pattern spaziali

e processi ecologici

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Analisi della biodiversità nell’Ecoregione mediterranea: sinergia fra

ricerche in campo ed analisi satellitari

Biodiversity analysis in the Mediterranean Eco-region: synergy of

ground and satellite monitoring

Roberto Cazzolla1* & Claudia Notarnicola2

1 WWF (Fondo mondiale per la Natura) Italia, IUCN (Unione mondiale per la conservazione della Natura), via Marconi 4, 70023 Gioia del Colle (BA)

2 Istituto di Telerilevamento Applicato, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano *[email protected]

Abstract

Questo lavoro presenta i risultati preliminari dell’analisi fra la biodiversità rilevata al suolo e le caratteristiche del territorio in termini di uso del suolo (Land cover) e relative variazioni temporali (Land change). L’area oggetto di studio copre una supericie di circa 400 km2 ed appartiene all’Ecoregione Mediterraneo Centrale (Puglia), costituita da aree boschive principalmente formate da boschi di latifoglie (querce) in forme strutturali diferenti, da quella complessa (vegetazione arborea ed arbustiva) a quella di pascolo arborato. Vi è, inoltre, una notevole estensione di macchia mediterranea, con prevalenza di arbusti e garìga, con cespugli spesso isolati. Eccezionale in queste aree è la ioritura di Orchidee. All’analisi tramite rilievi al suolo (ricerche in campo, accompagnate da analisi di laboratorio) che hanno anche previsto l’uso della tecnologia GPS per la georeferenzia-zione dei punti (hot spots) e dei transetti, è stato unito un monitoraggio efettuato con dati satellitari ottici (immagini LANDSAT) per la valutazione dell’evoluzione e del cambiamento dell’uso del suolo nell’arco degli ultimi 30 anni.

Introduzione

Questo lavoro di ricerca si inserisce all’interno dello studio quadro sulle 200 Ecoregioni della Terra ed, in scala nazionale (Bulgarini, 2007), sull’Ecoregione medi-terranea (ERC Med). L’Ecoregione mediterranea è stata individuata tra i Global 200

come una delle aree a maggiore presenza di biodiversità (Purvis & Hector, 2007).

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Roberto Cazzolla & Claudia Notarnicola

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All’interno del territorio italiano, il WWF ha individuato le Aree Prioritarie di Con-servazione di habitat naturali meritevoli di particolari tutele. Tra queste aree è stata individuata la macroarea delle Murge e Valli luviali lucane (Provincia di Taranto, Bari e Potenza).

L’area prioritaria, in territorio pugliese, si estende nelle due province di Bari e Taranto, occupando i tavolati carbonatici e le aree collinari di Minervino Murge, Gioia del Colle (De Libero, 1997), Martina Franca e Mottola. L’area delle Murge ospita una ricca fauna entomologica legata agli ambienti aridi (Cazzolla, 2007), non-ché moltissime specie ornitiche di interesse europeo, tra cui: Grillaio, Capovaccaio, Nibbio reale, Occhione, e molti passeriformi. I principali fattori di interferenza con la biodiversità sono l’inquinamento delle acque dei corpi idrici dell’area, i fenomeni di erosione costiera nell’ambito dell’arco ionico, il rischio desertiicazione in vaste aree della Puglia e della Basilicata a causa di fattori diversi, tra i quali deforestazione, lo sfruttamento intensivo del terreno e delle risorse idriche e l’applicazione di prati-che agropastorali improprie, con conseguente degradazione e perdita di fertilità del suolo ed il rischio incendi boschivi che contribuisce all’accelerazione della desertii-cazione. In questo contesto, appare evidente come la rilevazione al suolo delle biodi-versità delle specie deve essere accompagnata da uno strumento, come il dato satelli-tare (Corsi, 2004), che possa fornire una visione sinottica nello spazio e nel tempo del territorio. A questo scopo, sono realizzate mappe dettagliate di copertura del suo-lo e di relativi cambiamenti negli anni per le principali classi vegetazionali presenti sul territorio. I dati satellitari utilizzati in questo lavoro coprono l’arco degli ultimi 30 anni e sono stati acquisiti dai sensori multispettrali montati a bordo dei satelliti LANDSAT che presentano una risoluzione variabile fra 60 m e 30 m.

L’obiettivo primario della ricerca è di individuare gli indicatori legati alla di-versità biologica, con l’uso sinergico di immagini satellitari, in termini di uso del suolo e rispettive variazioni temporali e rilievi in campo. Partendo da questo obietti-vo, uno dei primi risultati è stato il calcolo di un indice di rarità delle varie classi di uso del suolo e di correlarlo alle specie rare rilevate al suolo. É stata altresì realizzata una possibile mappa di corridoi ecologici necessari per riconnettere i diferenti bio-mi. Ulteriori analisi dei hanno portato a redigere checklist della biodiversità; indivi-duare gli areali di distribuzione e gli habitat; scoprire specie ritenute localmente estinte e fortemente minacciate; rilevare i cambiamenti stagionali e temporali della diversità speciica ed ecosistemica, rispettivamente; fornire una guida per le politiche di conservazione del territorio (Cazzolla, 2009).

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L’approccio presentato per la valutazione della biodiversità si presta ad essere estesa ad altre aree dell’ERC Mediterraneo.

Area di studio e metodologia

L’area oggetto di questo studio interessa i territori che dal centro focale indivi-duato nel Comune di Gioia del Colle (BA) si espandono verso Turi, Acquaviva e Sammichele a nord, Putignano e Noci (BA) ad est, Laterza, Castellaneta e Mottola (TA) a sud e Matera e Santeramo (BA) ad ovest ed è stata individuata come area campione per l’applicazione delle tecniche sperimentali, utilizzate in questa ricerca.

Le attività di ricerca sono state suddivise in 5 fasi, per una durata di quasi tre anni:

Fase 1_ Sono state sfruttate le informazioni derivanti da immagini satellitari LANDSAT ad alta risoluzione (da 60 m a 30 m di risoluzione) in combinazione con ortofoto (0,5 m di risoluzione) per individuare i siti che sarebbero poi diventati i luoghi per le analisi in campo. In questa fase iniziale, le immagini e le ortofoto sono state utilizzate principalmente per individuare le aree dei rilievi in base all’uso del suolo. Sono state selezionate aree boschive, di macchia mediterranea, di pascolo step-pico, di murgia e di garìga che garantissero una discreta conservazione in termini biologici ed, allo stesso tempo, fossero rappresentative dei vari biomi che compongo-no il mosaico di paesaggi che contraddistingue il territorio oggetto di studio.

Fase 2_ Sono state realizzate 3 campagne di ricerca per ogni luogo individua-to, al ine di rilevare i mutamenti degli ambienti e le variazioni della biodiversità du-rante ogni stagione dell’anno. Si è individuato un transetto in base al metodo dei quadrati casuali di Pielou (Pielou’s pooled-quadrat) e durante la fase di campagna sono stati identiicati e catalogati tutti i dati biologici (lora, fauna, distribuzione del-le specie, indicatori di qualità, minacce, ecc.), biometrici, geologici e geomorfologici (Ivone, 2002) che caratterizzavano l’area oggetto di studio mediante rilevo diretto, con determinazione acustico-visiva delle specie da parte di esperti ed indiretto me-diante l’utilizzo di fototrappole, trappole ad esca, riconoscimento delle tracce (fatte, borre, ossa, orme, ecc.). Sono stati prelevati campioni biologici e geologici per la suc-cessiva fase di laboratorio. Sono state realizzate, inoltre, campagne sperimentali not-turne per lo studio degli animali con abitudini crepuscolari. È stata utilizzata l’inno-vativa tecnica di fotograia digitale a distanza, nota col nome di Fototrappolaggio,

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che prevede l’utilizzo di uno strumento dotato di sensore termico IR in grado di at-tivare una fotocamera al passaggio di un corpo caldo. Tale apparecchio permette non solo di identiicare le specie, ma anche di studiarne i comportamenti e le abitudini.

Fase 3_ Dopo ogni campagna di ricerca tutti i dati raccolti ed i campioni pre-levati sono stati trasferiti in laboratorio, catalogati ed analizzati. Ogni scheda è stata sottoposta a controlli incrociati al ine di veriicare la correttezza della nomenclatura tassonomica e l’attinenza delle specie rilevate con le informazioni bibliograiche a di-sposizione e con gli areali di distribuzione delle specie.

I campioni animali, vegetali e minerali sono stati sottoposti ad analisi prelimi-nare ad occhio nudo, per poi essere analizzati con stereomicroscopio (20-40x). È stato creato un database fotograico georeferenziato, diferenziato per aree e per specie.

Fase 4_ Alla fase di rilievi al suolo è stata abbinata l’analisi delle immagini sa-tellitari per l’individuazione delle diverse tipologie di copertura vegetale legate ai siti di biomonitoraggio. Sono state realizzate mappe dettagliate di copertura del suolo e di relativi cambiamenti negli anni per ogni classe vegetazionale identiicata, tramite l’elaborazione di 5 immagini LANDSAT acquisite nel 1979, 1989, 1999, 2002 e 2007, di cui quella del 1979 con risoluzione 60 m e le altre con risoluzione 30 m. Per la procedura di classiicazione è stato adottato un approccio semi-automatico ba-sato sull’algoritmo di Massima Verosimiglianza (Schowengerdt, 1997). La nomen-clatura standard CORINE (EC, 1993) è stata solo in parte modiicata ed adattata alle caratteristiche dell’area, dominata oltre che da estese aree di seminativi, pascoli arborati, uliveti-mandorleti, anche da formazioni naturali quali il bosco, la macchia garìga ed il pascolo steppico (Ivone, 1997). L’accuratezza nella classiicazione delle immagini è superiore al 90 %, tranne nell’immagine del 1979, dove la risoluzione spaziale inferiore, 60 m, e la presenza di sole 4 bande rende diicoltosa l’identiica-zione delle diverse classi.

Fase 5_ Inine sono stati analizzati i risultati (Fowler & Cohen, 2002) e realiz-zato un database georeferenziato.

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Risultati e Discussione

Valutazione della diversità biologica

L’analisi della biodiversità ha portato ad individuare tre livelli principali di dif-ferenziazione: quello dei biomi, quello degli ecosistemi e quello delle specie (Owens, 1999).

Per il primo livello è stato possibile constatare come in un’area di dimensioni relativamente ridotte (circa 400 km2) come quella studiata, vi siano ben 5 diferenti biomi: il bosco di latifoglie, il bosco di conifere, la macchia mediterranea, la garìga ed il pascolo steppico-murgia. L’intero territorio è apparso ricco di habitat ed ecce-zionalmente forgiato dalle forze geologiche. È presente, infatti, un intricato reticolo idrograico al quale si associano cospicui fenomeni di carsismo con formazione di gravine, lame, grotte ed inghiottitoi. Oltre alla biodiversità a livello dei biomi, è stata realizzata un’analisi della diversità biologica a livello ecosistemico rilevando diferen-ti aspetti. La presenza di aree a boschi di latifoglie non ceduati garantisce la sopravvi-venza di comunità speciiche ben strutturate e favorisce la presenza di cenosi (come ad esempio quella tra Cerambice delle querce, Cerambix cerdo e Roverella, Quercus

pubescens) che favorisce a sua volta la diversiicazione delle nicchie ecologiche e, quindi, la presenza di un maggior numero di specie (Cazzolla, 2006). Si è potuto ipotizzare, grazie a questa ricerca, e per la prima volta, che una particolare cenosi (in-tesa come associazione tra specie che interagiscono tra loro) sia in grado di favorire la formazione di nuove nicchie ecologiche (intese come spazi multidimensionali, Hutchinson, 1954), utilizzabili da altre specie, che senza quella determinata nicchia non sarebbero presenti. Da qui, ci si propone di presentare la teoria di “nicchia di-

versità-dipendente”, volendo indicare con tale deinizione il processo che porta ad ottenere una correlazione positiva tra il numero presente di specie in una determina-ta area ed il numero di nuove nicchie disponibili. Si ipotizza, cioè, che mediante un processo ciclico ed iterativo, l’incremento del numero di specie permette la realizza-zione di nuove nicchie che, a sua volta, permette la colonizzazione di nuove specie (che mediante i processi di immigrazione-emigrazione possono imbattersi in una nicchia favorevole). Nel caso speciico, si è rilevato che la ceduazione, cioè il taglio periodico (in media ogni 15 anni) del bosco, inluisce negativamente sull’ecosistema (Tilman, 1982, 1996, 1997) alterando i cicli della materia (si è rilevata una minor presenza di biomassa al suolo ed una minor concentrazione di sostanza organica nei suoli ceduati) e modiicando la struttura delle comunità (non sono state rinvenute

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specie litoiliche, come Cerambicidi e Lucanidi, in nessuna delle aree sottoposte a ceduazione periodica). Sempre a livello ecosistemico si è potuto, inoltre, constatare, abbinando le analisi satellitari alle ricerche di campo, che la presenza di ecotoni tra due ecosistemi creando le condizioni favorevoli ad un aumento di biodiversità (Arm-strong & McGehee, 1980) e di specie rare(è stata rilevata, ad esempio, un maggior numero di specie di Orchidee). Ad ulteriore riprova, in una zona brulla sassosa mar-ginale tra un bosco di Roverella ed un pascolo steppico, si è rilevata la nidiicazione di tre coppie del raro e minacciato Occhione, Burhinus oedicnemus (Fig. 1), confer-mando l’importanza di quella zona ecotono per la sopravvivenza di una specie che altrimenti non avrebbe a disposizione un territorio in cui nidiicare.

OcchioneFigura 1:

A livello di diversità speciica è stata accertata, nell’area oggetto di studio, la presenza di numerose specie rare ritenute localmente estinte (per la zona delle Murge di sud-est) o in via di estinzione ed inserite negli elenchi delle Direttive Comunitarie “Habitat” 92/43/CEE ed “Uccelli” 79/409/CEE e nelle Liste Rosse IUCN (D’Anto-ni S., 2003), tra queste: il Cerambice delle querce (Cerambix cerdo), il Saga pedo, la Melanargia arge, la Coenargion mercuriale, l’Euplagia quadripunctaria, la Zerynthia

polixena (Fig. 2), il Rospo smeraldino (Bufo viridis), la Rana lessonae, la Testuggine di Hermann (Testudo hermanni hermanni), il Ramarro occidentale (Lacerta bilineata), la Lucertola campestre (Podarcis sicula), il Biacco (Coluber viridilavus), il Saettone (Elaphe longissima), il Colubro leopardino (Elaphe situla), l’Albanella pallida (Circus

macrourus), il Falco Grillaio (Falco naumanni), il Falco pellegrino (Falco peregrinus), il Gufo reale (Bubo bubo), il Nibbio reale (Milvus milvus), l’Occhione (Burhinus oe-

dicnemus, Fig. 1), il Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), il Rino-lofo di Mehely (Rhinolophus mehelyi), il Pipistrello di Savii (Hyspugo savii), il Pipi-strello nano (Pipistrellus pipistrellus), l’Istrice (Hystrix cristata); la Campanula

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pugliese (Asyneuma limonifolium) e la Dictamnus albus. Il rilievo di un così elevato numero di specie rare e minacciate in una ristretta porzione di territorio (area cam-pione) ha confermato l’utilità di inserire questi ecosistemi all’interno delle aree ad altissimo potenziale biologico dell’Ecoregione Mediterraneo centrale, tra le Global 200. Inoltre, sono state scoperte una nuova specie di orchidea, Ophrys rotundi (Caz-zolla, 2010, Fig. 3) e numerosi insetti per i quali si sta procedendo a determinazione, non appartenendo a nessuna specie già classiicata.

Zerynthia polixenaFigura 2:

La nuova specie di orchidea Figura 3: scoperta su Monte Rotondo Ophrys rotundi (Cazzolla R., 2010)

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La igura 4 riporta i siti dove sono state indivuate specie rare in correlazione alla classe di uso del suolo dove sono state rilevate.

Carta dell’area campione oggetto di studio con indicazione delle specie rare Figura 4: rinvenute durante i rilevi al suolo.

Risultati delle variazioni di uso del suolo rilevati da dati satellitari

Le analisi evidenziano come il territorio negli ultimi 30 anni non ha subito delle modiiche drastiche, a parte un aumento della supericie occupata da oliveti e mandorleti, o comunque da campi con estesa presenza di alberi. Per quanto riguarda le supericie boschive, si notano variazioni minime per le latifoglie e conifere, che possono essere considerate all’interno dell’accuratezza della classiicazione. Infatti nell’ambito di un’analisi multitemporale numerose possono essere le fonti di errore, tra cui la diferente fenologia durante le osservazione (le immagini analizzate appar-tengono a momenti fenologici diferenti, ad esempio maggio e settembre), il diverso angolo di vista del sensore e del sole e gli efetti atmosferici (Song et al., 2003).

Tali considerazioni sono anche in accordo con analisi storiche efettuate su tali classi. La supericie boschiva occupava nel 1911 circa il 14,6 % di quella agraria e si riduceva a 11,9 % nel 1939. L’immediato dopoguerra ha visto una notevole opera di rimboschimento che ha riportato la supericie boschiva a circa il 14,7 %. Attualmen-

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te in base a statistiche derivanti da CORINE 2000, nonché dall’analisi satellitare qui riportata, la supericie occupata da boschi di conifere e latifoglie si aggira intorno al 12-13 % della supericie analizzata. Una caratteristica peculiare è la variabilità nella età della vegetazione boschiva, infatti si incontrano non molto frequentemente pian-te ben sviluppate, a causa della ceduazione dei boschi. Per quanto riguarda il pascolo steppico si denota una diminuzione che porta la sua supericie da 4,4 % a circa 2,5 %, in quanto parte di esso risulta trasformato in seminativo.

Un discorso diferente merita la garìga/macchia. Questa classe globalmente è diminuita da circa 4,9 % a 2,7 % nell’arco di un intervallo temporale trentennale, dal 1979 al 2007. La garìga viene considerata uno stadio di degrado della macchia me-diterranea sottoposta a continuo pascolo e incendio, inoltre è estremamente difusa nelle situazioni pedologico-climatiche molto diicili, in cui altre piante non riescono ad insediarsi. È solitamente costituita da vegetazione arbustiva sempreverde che la-scia scoperte ampie porzioni del terreno. Infatti il rilevamento della stessa e la distin-zione rispetto al bosco di latifoglie dipende proprio dal fatto che la garìga lascia sco-perta una parte del suolo ed appare quindi spettralmente diferente dalle latifoglie che invece sono più dense. Nelle date analizzate la presenza della garìga è essenzial-mente localizzata all’interno delle aree boschive. Inine, si nota che nell’immagine del 2007 è rilevabile un’area boschiva che è stata investita da un notevole incendio nel luglio 2007 (classe in arancione nella Fig. 4).

Risultati preliminari sulla correlazione fra Land cover change e rilievi al

suolo delle specie rare

La mappa delle specie rare rinvenute sul territorio, così come riportata in i-gura 4, è stata posta in correlazione con l’indice di rarità dei principali ecosistemi rinvenuti tramite il calcolo dell’uso del suolo. L’indice di rarità si basa sulla percen-tuale delle aree di interesse (in questo caso le classi latifoglie, conifere, macchia garìga e pascolo steppico) rispetto all’area totale (400 km2) ed è stato calcolato per la mappa di uso del suolo del 1979 e quella del 2007 (Fig. 5) (Angelini et al., 2009). Su queste mappe sono stati sovrapposti i rilevamenti delle specie rare al ine di individuare come esse si collocano rispetto ai cambiamenti di uso del suolo. Per ogni punto di rilevamento è stato considerato un areale di 5x5 pixel (area 750 m2) ed individuata la classe di rarità alla quale essi appartengono. Come si nota dal graico in igura 6, i punti che nel 1979 si collocavano per la maggior parte in aree non considerate come rare in base alla scala stabilita, nel 2007 invece si collocano per il 20 % in classe 2 e

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per il 10 % in classe 4. Questa analisi preliminare indica come molte delle specie rare si collocano in aree che nel periodo dal 1979 al 2007 hanno subito notevoli diminu-zioni in percentuale sul territorio. Inoltre, considerando la igura 4, si nota la fram-mentazione degli ambienti che è spesso causa della perdita di strutturazione degli stessi (Pignatti, 2005) e quindi di impoverimento della comunità (Schulze & Moo-ney, 1993), poiché la barriera isica non permette il naturale avanzamento continua-tivo delle successioni ecologiche. L’interruzione della continuità degli ecosistemi con infrastrutture stradali, campi agricoli, aree industriali, ecc., crea le condizioni per l’isolamento delle comunità e l’impoverimento genetico delle specie, rendendole più vulnerabili alle variazioni dell’ambiente ed all’incrocio. Partendo dalla mappa in i-gura 4 si è realizzato un esempio di una mappa dei corridoi ecologici che permette-rebbero di ridurre la frammentazione (Fig. 7).

Mappe indicanti l’indice di rarità (a sinistra 1979, a destra 2007), ossia la percentuale Figura 5: di occupazione di ciascuna classe rispetto all’area totale di studio. Come riportato in legenda, minore è la percentuale di area occupata, maggiore è il valore associato all’indice di rarità.

Percentuali degli Figura 6: areali delle specie rare individuate al suolo, in relazione all’indice di rarità delle classi di uso del suolo indicato nelle mappe di figura 5.

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Carta dei Figura 7: corridoi ecologici, individuati come aree buffer delle differenti tipologie di suolo.

Conclusioni

Lo studio della biodiversità è ancora nella fase embrionale delle attività scien-tiiche, poiché solo negli ultimi tempi si sta ponendo l’accento sul valore della diver-sità biologica e sull’importanza che riveste, per l’uomo e l’intero pianeta, lo studio e la conservazione di tale diversità.

Il lavoro qui presentato, realizzato su un area campione dell’Ecoregione Medi-terraneo Centrale, vuole essere la proposta di un approccio per l’applicazione di un’analisi di tipo qualitativo e quantitativo della diversità a vari livelli. Tale modello può essere facilmente adattato agli studi su altre aree della stessa ecoregione o su altre ecoregioni della Terra. La facilità di adattamento del protocollo sperimentale ed i ri-sultati preliminari tramite la procedura con approccio top-down (da satellite con ve-riica al suolo) e bottom-up (dal suolo con veriica satellitare) consente di avere una visione il più dettagliata possibile delle risorse naturali di un territorio. La sperimen-tazione dell’analisi sinergica satellitare-al suolo per lo studio della biodiversità dell’Ecoregione mediterranea ha dato risultati ben superiori al previsto. Oltre alle speciiche analisi sui tre livelli di diversità biologica individuati (biomi, ecosistemi, specie) è stato possibile associare i dati rilevati da satellite alle indagini di campo e creare un database georeferenziato (ed informatizzato) della biodiversità che ben si presta ad ulteriori studi sul territorio.

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Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea:

relazioni con alcune caratteristiche fogliari e con la qualità della lettiera

Litter decomposition of four species of Mediterranean Maquis: relationships

with leaf traits and litter quality

Anna De Marco*, Carmen Arena, Angela Meola, Maria Giordano & Amalia Virzo De Santo

Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II, Via Cinthia 4, 80126 Napoli

*[email protected]

Abstract

La velocità di decomposizione della lettiera di quattro specie tipiche della Macchia Mediterranea, Q. ilex, P. angustifolia, P. lentiscus e Cistus sp., è stata misurata dopo circa tre, sei e tredici mesi di incubazione in situ nella Riserva Naturale di Castel Volturno (Caserta). Sono state valutate le relazioni tra velocità di decomposizione e 1) indice di area fogliare speciica (SLA), 2) densità dei tessuti fogliari (LDMC), 3) grado di scleroillia (GS), 4) contenuto in N, C e lignina e rapporto C/N della lettiera. Queste caratteristiche possono inluenzare la colonizzazione e la utilizzazione della lettiera da parte dei microrganismi e, di conseguenza, la sua resistenza alla decomposizione. Dopo poco più di un anno la perdita di peso della lettiera era circa 50 % in cisto, 41 % in illirea e 32 % in leccio e lentisco. Nei primi tre mesi di incubazione la velocità di decomposizione della lettiera è tanto maggiore quanto più alto è il valore di SLA e diminuisce con l’aumento del valore di LDMC e GS. La correlazione decomposi-zione – SLA e decomposizione – GS è statisticamente signiicativa solo se si esclude la illirea, che ha caratteristiche fogliari simili a quelle di leccio e lentisco (spiccata scleroillia) ma contenuto di lignina più basso non solo rispetto alle altre due specie scleroille, ma anche rispetto al cisto (che ha caratteristiche mesoile). La velocità di decomposizione è correlata negativamente al contenuto di lignina e al rapporto lignina/N quando vengono considerate le quattro specie; se invece si considerano solo illirea e cisto la correlazione diventa positiva. I risultati mostrano che la decompo-sizione della lettiera è la risultante degli efetti congiunti delle caratteristiche fogliari e della composizione chimica della lettiera.

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Anna De Marco et al.

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Introduzione

La decomposizione è un processo fondamentale per il funzionamento di un ecosistema poiché restituisce in forma inorganica i nutrienti, rendendoli nuovamen-te utilizzabili dalle piante, e contribuisce all’accumulo di materia organica nel suolo. La velocità di decomposizione della lettiera è inluenzata dalla sua composizione chi-mica iniziale, ed in particolare dal contenuto in azoto (Berg, 2000) e nutrienti, dalle concentrazioni di lignina e di cellulosa (Herman et al., 2008) e dai rapporti C/N e lignina/N della lettiera (Berg & McClaughlerty, 2008).

Anche la struttura della foglia può inluenzare la velocità di decomposizione della lettiera limitando la colonizzazione da parte dei microrganismi decompositori a causa della elevata resistenza meccanica e/o dell’abbondanza di tessuti meccanici (Cornelissen & hompson, 1997; Dahlgren et al., 2006). Alcune caratteristiche strutturali delle foglie, come grado di scleroillia (GS), spessore fogliare, area fogliare speciica (SLA) e densità dei tessuti fogliari (LDMC), sono stati proposti come indi-ci idonei per la predizione della velocità di decomposizione (Gallardo e Merino, 1993, Gillon et al., 1994, Perez Harguindeguy et al., 2000). È noto che una elevata area fogliare speciica e una bassa densità dei tessuti fogliari possono facilitare l’attac-co dei tessuti da parte degli organismi decompositori e la penetrazione delle ife fun-gine (Cornelissen & hompson, 1997; Kazakou et al., 2006; 2009).

In questo lavoro è stata valutata l’inluenza della struttura fogliare e della com-posizione chimica della lettiera sulla velocità di decomposizione di quattro specie tipiche della Macchia Mediterranea del sud Italia: Q. ilex, Ph. angustifolia, P. lentiscus e Cistus sp.. Come indici della struttura fogliare sono stati utilizzati l’area fogliare speciica (SLA), la densità dei tessuti fogliari (LDMC) ed il grado di scleroillia (GS). Come indici della qualità della lettiera sono stati utilizzati il contenuto di azoto (N), di lignina, di cellulosa, di sostanze solubili in detergenti acidi (ADSS), ed i rapporti C/N e Lignina/N. La velocità di decomposizione è stata misurata a 3, 6 e 13 mesi di incubazione ed è stata saggiata la correlazione con gli indici di struttura fogliare e di qualità della lettiera.

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Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea

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Materiali e metodi

L’area di studio è situata nella Riserva Naturale di Castel Volturno (CE) lungo la costa Tirrenica, a nord della Baia di Napoli. La Riserva, istituita nel 1977, si esten-de su una supericie totale di circa 268 ha, occupando una stretta fascia sabbiosa compresa tra la foce dei Regi Lagni a nord, la foce del Lago Patria a sud e la Statale Domitiana ad est. Nella Riserva sono presenti aree a macchia mediterranea domina-ta da: Quercus ilex L., Myrtus communis L., Arbutus unedo L., Pistacia lentiscus L., Phillyrea angustifolia L., Cistus spp., ed una pineta di impianto antropico (Pinus ha-

lepensis Miller, P. pinaster Aiton, P. pinea L.).Il terreno è un Calcaric Arenosol (FAO, 1998) tipicamente sabbioso e privo

di scheletro. Il clima è di tipo mediterraneo con temperature medie annuali di 16,8 °C

e precipitazioni di 609 mm (i dati si riferiscono alla Stazione di Castel Volturno a 26 m s.l.m. negli anni 2000-2006).

La raccolta della lettiera di Cistus sp., Phillyrea angustifolia, Pistacea lentiscus e Quercus ilex è stata realizzata nel periodo di massima caduta fogliare (tra maggio e luglio) nella macchia bassa della Riserva Naturale di Castel Volturno, collocando 25 reti sotto la chioma degli arbusti. In 8 siti diversi della stessa area di raccolta la de-composizione è stata studiata col metodo dei sacchetti di lettiera (Virzo et al., 1993). La perdita di peso misurata dopo 92, 188 e 403 giorni, è riportata in mg g-1 gg-1 per ciascuno dei tre periodi (0-92; 92-188; 188-403 giorni) assumendo una relazione li-neare tra perdita di peso e tempo nell’intervallo considerato.

Sulle lettiere prima dell’incubazione sono stati determinati: la concentrazione di N, il contenuto di ADSS (Sostanze Solubili in Detergenti Acidi), lignina e cellu-losa. Il contenuto di azoto delle lettiere è stato determinato con un analizzatore NCS (Elemental Analyser, Flash 112 Series EA) su campioni seccati a 75 °C e inemente polverizzati. Il contenuto di ADSS, lignina e cellulosa è stato determinato secondo il metodo di Goering & Van Soest (1970). Le caratteristiche fogliari (SLA, LDMC e GS) sono state determinate su foglie verdi non senescenti (in numero di 10 per cia-scuna specie in ogni sito) raccolte nella Riserva Naturale di Castel Volturno negli 8 siti di incubazione della lettiera. Le foglie prelevate erano di età comparabile, posi-zionate in piena luce e prive di evidenti danni creati da patogeni ed erbivori (Reich et al., 1992; Westoby, 1998; Weiher et al., 1999).

L’area fogliare speciica (SLA) è stata misurata come rapporto tra supericie fogliare e peso secco della foglia ed è stata espressa come cm2 g-1 peso secco. La den-

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Anna De Marco et al.

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sità dei tessuti fogliari (LDMC) è stata valutata come rapporto tra peso secco della foglia e peso fresco a saturazione ed è stata espressa come mg peso secco g-1 peso fre-sco. Il grado di scleroillia (GS) è stato espresso in g peso secco mm-2 di supericie fogliare.

La signiicatività delle diferenze è stata saggiata attraverso l’analisi della va-rianza (ANOVA ad una via) seguita dal test di Dunn o dal test di Tukey. Le correla-zioni lineari sono state determinate attraverso il coeiciente di Spearman.

Risultati e discussione

In igura 1 è riportata la composizione chimica iniziale della lettiera relativa alle 4 specie studiate che rappresenta una misura della loro degradabilità (Gallardo & Merino, 1993; Virzo De Santo et al., 1993). In particolare, i valori più elevati di li-gnina si trovano in lentisco e leccio, mentre il contenuto maggiore di cellulosa è mi-surato in cisto e illirea. La lettiera di Cistus sp. è la più ricca di N mentre la più po-vera è la lettiera di leccio. Per le 4 diferenti lettiere sono stati considerati anche i rapporti C/N e lignina/N, che possono essere importanti indici dell’andamento de-compositivo; infatti quanto più bassi sono questi rapporti tanto più favorita sarà la crescita dei decompositori e quindi più veloce la decomposizione della lettiera (Me-lillo et al., 1982; Harmon et al., 1990). Tra le diverse lettiere, quella di cisto presenta il rapporto C/N più basso, mentre quelle di lentisco e leccio il rapporto lignina /N più elevato, indicando una maggiore recalcitranza alla decomposizione per queste due specie.

Per quanto riguarda le caratteristiche fogliari, Cistus sp. si distingue dalle altre specie per i valori più elevati di SLA e per i valori più bassi di LDMC e GS (Fig. 2). È noto che elevati valori di SLA e basso grado di scleroillia possono accelerare il pro-cesso di decomposizione, favorendo la colonizzazione dei tessuti da parte dei decom-positori (Hansen & Coleman, 1998). Inoltre il cisto presenta una maggiore ricchez-za in azoto rispetto alle altre tre specie e perciò sono attesi per questa specie tassi di decomposizione più elevati.

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Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea

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Cistus sp. (C) P. lentiscus (P) Ph. angustifolia (Ph) Q. ilex (Q)

Composizione chimica iniziale delle lettiere di Figura 1: Cistus sp., Phillyrea angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. prelevate nella Riserva Naturale di Castel Volturno.

Area fogliare specifica (SLA), densi-Figura 2: tà dei tessuti fogliari (LDMC) e grado di scle-rofillia (GS) delle foglie di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. prelevate nella Riserva Naturale di Ca-stel Volturno. Lettere diverse indicano diffe-renze statisticamente significative.

Velocità di decomposizione delle Figura 3: lettiere di Cistus sp., Phillyrea angustifolia L., Pistacea lentiscus L. e Quercus ilex L. in tre successivi periodi dall’incubazione nella Riserva Naturale di Castel Volturno. Lettere diverse indicano differenze statisticamente significative tra lettiere.

Cistus sp. (C) P. lentiscus (P) Ph. angustifolia (Ph) Q. ilex (Q)

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Anna De Marco et al.

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Nei primi 3 mesi, le lettiere di Cistus sp. e Ph. angustifolia presentano una ve-locità di decomposizione signiicativamente maggiore rispetto a quella delle lettiere di P. lentiscus e Q. ilex (Fig. 3). Nelle fasi più avanzate del processo si riduce la velo-cità di decomposizione e le diferenze tra specie si attenuano, ino a scomparire com-pletamente. La perdita di peso rilevata dopo 403 giorni raggiunge il 50 % in Cistus sp., il 41 % in Ph. angustifolia ed il 32 % in Q. ilex e P. lentiscus.

La decomposizione delle lettiere rilette le diferenze nella composizione chi-mica iniziale e nelle caratteristiche fogliari. Nella fase iniziale il tasso di decomposi-zione della lettiera è correlato positivamente con SLA e negativamente con LDMC e con GS (Fig. 4).

Relazioni tra la velocità di decomposizione delle lettiere di Figura 4: Cistus sp. (∆), Phillyrea angustifolia L. (◊), Pistacea lentiscus L. (M) e Quercus ilex L. () dopo 92 giorni di incubazione e le caratteristiche fogliari, la concentrazione iniziale di lignina ed il rapporto lignina/N delle lettiere. R2 è il coefficiente di correlazione di Spearman.* = P<0.05; ** = P<0.01; *** = P<0.001 .

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Decomposizione della lettiera di quattro specie della macchia mediterranea

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La relazione per SLA e GS è signiicativa solo se si esclude la lettiera di Ph. an-

gustifolia. Il tasso di decomposizione diminuisce signiicativamente con l’aumento del contenuto di lignina e del rapporto Lignina/N; considerando solo le lettiere di Cistus sp. e Ph. angustifolia si ottiene una relazione signiicativa di segno opposto. Non sono state riscontrate correlazioni signiicative della velocità di decomposizione con gli altri indici di qualità della lettiera. Con il procedere della degradazione delle lettiere, le relazioni tra la decomposizione e le caratteristiche fogliari come pure con la composizione chimica iniziale delle lettiere vengono perse, suggerendo che altri fattori assumono un ruolo importante nella regolazione del processo degradativo.

I dati indicano che la decomposizione della lettiera è la risultante degli efetti congiunti delle caratteristiche fogliari e della composizione chimica della lettiera. La lettiera di cisto, infatti, con un contenuto iniziale di N più elevato ed un rapporto lignina/N più basso rispetto alle altre specie studiate, nonché un indice di area speci-ica maggiore, si decompone più velocemente. La illirea, nonostante le caratteristi-che fogliari simili a quelle di leccio e lentisco (scleroillia più pronunciata), ha tassi di decomposizione comparabili a quelli di cisto, che mostra caratteristiche fogliari più mesoile ma contenuto di lignina più alto di illirea.

Ringraziamenti: Questa ricerca è stata realizzata con inanziamenti MIUR, PRIN 2005. Si ringrazia il Corpo Forestale dello Stato per l’assistenza logistica.

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Anna De Marco et al.

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Late spring decomposition rates in a second order stream: assessing relationships

among breakdown rates, decomposer diversity and substrate morphology

Tassi di decomposizione tardo primaverili in un fiume di secondo ordine:

studio delle relazioni tra decomposizione, biodiversità dei decompositori

e dimensione frattale del substrato

Gina Galante1*, Biancamaria Pietrangeli2, Oriana Maggi1, Rossana Cotroneo3, Silvia Panetta1, Domenico Davolos2 &

Edoardo Scepi1

1 Dept. of Plants Biology, University of Rome “Sapienza”, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Rome 2 ISPESL-DIPIA, Via Urbana 167, 00184 Rome

3 ISTAT, Environmental Dpt., Via Cesare Balbo 16, 00184 Rome*[email protected]

Abstract

Ecological processes are inluenced both by biotic and abiotic factors. Leaf litter breakdown in freshwater does not except this rule. Substrate morphology and characteristics may inluence benthic decomposers abundances and distribution. In fact, both substrate and macroinvertebrates follow a patchy distribution along stream’s ecological gradients. Abundances and diversity of decomposers directly afect leaf litter processing and decomposition rates linking biotic and abiotic factors to the ecological process of decomposition. Fractal dimension of substrates can give a measure of surfaces complexity and may be related both to water turbulence and macroinvertebrates clinging. In this study we have investigated the functional relationships between macroinvertebrates diversity and abundances, chemical and physical parameters, rocks, pebbles and stones numbers and dimension and fractal dimension of substrate.

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Gina Galante et al.

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Introduction

Decomposition of organic matter is a continuous process involving biotic (decomposers and detritivores) and abiotic factors such as physical abrasion, sub-strate characteristics, physical and chemical water conditions. herefore, these inter-acting factors inluence the distribution of benthic organisms and are indirectly related to decomposer diversity and abundances. Environmental heterogeneity (Wright & Li, 2002) at a variety of scales is often inluenced to a greater extent by local or small-scale heterogeneity (Archambault & Bourget, 1996; Bertness et al., 1996; Wright & Li, 2002), resulting in more patchy distributions of benthic macro fauna. Small-scale heterogeneity includes size, distribution and surface texture of substrates constituents (rocks, stones and pebbles), that can inluence both produc-tivity due to the availability of refuges and food and storage capacity of substrate (Jefries, 1993; Cardinale et al., 2002, 2006) and physical fragmentation of organic matter, because of the increment of water turbulence and oxygenation caused by its heterogeneous surfaces (Melillo et al., 2004) Fractal geometry is now generally used to describe the surface texture of substrates in freshwater benthic studies: therefore fractal methods were used to describe textural diferences in constructed substrates with a checkerboard arrangement of heights (Taniguchi & Tokeshi, 2004), to esti-mate the fractal dimension of riverbed topography (Robson et al., 2002), and to de-scribe the substrate-water interface of streambeds. In this study we have analysed all the possible relationships occurring between macroinvertebrates diversity and abun-dances, substrate morphology and decomposition rates in a second order stream, taking into account the main chemical and physical parameters. he comprehension of the principles that link biodiversity, ecological processes and morphology as well as features of substrates could also improve new management systems of the freshwa-ter resources and the assessing of new stream health indicators.

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Late spring decomposition rates in a second order stream

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Methods

Study area

he river Sacco is located in the south-east of Latium (Italy), it lows along 84 km with an average slope ranging from 0.2 to 2.0 %. he headwater has an alti-tude of 226 m a.s.l., climate of this zone is properly of Mediterranean type with very rainy winter and spring and summer dough. River springs are still pristine while in the loodplain area there are strong pollution impacts due to industrial installation and urban discharge. River bed and substrates characteristics are heterogeneous and patchy with sandy areas and pebbly and stony zones. he riparian forest is mainly constituted by Alnus glutinosa L. (dominant), Salix alba L., Populus tremula L. and Populus nigra L. he stream channel in the river springs zone is partially shaded with some more lighted zone corresponding to conining crop cultivations. Water depth in river source ranges from 20 cm to 1 m due to the presence of sandy patch pools that can be deeply excavated during river lood. Width channel ranges from 2.5 to 3.0 m, river order range from two to three. hree sampling sites were selected in headwater area along 5 km stretch of the river. Each sampling station had 100 m length and showed homogeneous riverbed characteristics.

Field procedures

his study started on 21st May 2009 using litter bags technique and run over 3 weeks. Alder (Alnus glutinosa L.) autumn leaves were collected just before abscis-sion, stored air-dried, weighted into 3 gram (+/– 0.001) groups and placed in ine mesh (Graça et al., 2007) (0.2 mm, Esthal-Mono, Sefar) and coarse mesh (5 mm 10 x 15 cm) bags. Initial mass was corrected for both manipulation and humidity losses (Graça et al., 2007). A total of 150 bags were sealed and randomly distributed at the sampling sites. Coarse and ine mesh bags were positioned both in riles and pools areas, well submerged, tied to rocks and stones with ishing nylon wire. Dis-solved oxygen and water temperature were relieved at each sampling station and bag positioning point. Geographic coordinates were assigned to each bag. Triplicate of ine and coarse mesh bags were retrieved from each sampling site weekly.

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Gina Galante et al.

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Leaf mass loss estimation

he sampled litter bags were placed individually in plastic bags and then brought to laboratory. Leaves were removed from bags, rinsed with deionized water to remove sediments and adhering invertebrates. Leaf material was dried at 60 °C to constant mass for 72 h, weighted, burned in mule furnace at 500 °C for 6 h and weighted again at the nearest 0.01 (Graça et al., 2001; 2007). Leaf breakdown rate (k) was estimated by itting the amount of remaining leaf material data to the expo-nential model, Yt = Y0 e-kt, where Yt is the AFDM remaining at time t (days), and Y0 the AFDM at the beginning of the experiment (Petersen & Cummins, 1974). Leaf mass losses were estimated for each litter bag using the relation ln ( Yt/Y0) = – Kt. In decomposition rates the curve itting AFDM was expressed as percentage of the re-mains mass.

Biodiversity analysis

he leaves in coarse mesh bags were rinsed into a 400 µm mesh screen to re-tain the associated macroinvertebrates, which were sorted and collected in ethanol (70 % v/v) until identiication and counting. Macroinvertebrates were identiied by stereomicroscope to family, except for oligochaeta that were identiied at genus level in according to Merrit & Cummins (1996). SHDI (Shannon Diversity Index), SHEI (Shannon Evenness Index), S-species richness and total abundances per bags, collecting data and sampling station were determined. hree replicates of ine mesh bags were sent to microbiology laboratory to asses microbial and fungal diversity. he estimation of microbial community composition was performed by genetic in-gerprinting techniques. Scanning laser microscopy was used to examine the charac-teristics of the bacterial strains. Isolated bacteria were identiied by PCR ampliica-tion and sequencing. Phylogenetic analyses were conducted for inferring the evolutionary relationships of the examined taxa.

Substrates characteristic and Fractal Dimension estimation

Substrate characteristics were detected by overlaying a one meter wide plastic square upon each litter bag (litter bag in the geometric centre) and counting number and dimensions of stones, rocks and pebbles inside the square sediment characteris-tic were detected as well (gravel, sand or a mix of the two), then substrate selected

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Late spring decomposition rates in a second order stream

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areas were photographed. Five classes of rocks, stone and pebbles: rocks > 25 cm;

rocks = 20 cm; stones = 15 cm, pebbles = 10 cm and number of pebbles/cm2 were

identiied. he acquired images were imported in ArcGIS software and transformed

into grid formats. In the following step, images were processed to eliminate water

relex, exported as bitmap format and elaborated with Fractal 3 software to calculate

fractal dimension (FD) in gray scale using box-counting method, a quantitative

analysis of perimeter convolution to evaluate the degree of roughness of input im-

ages. Commonly known as the Hausdorf Dimension (H.D.), the algorithm is

Eq. (1)

and gives the aggregate perimeter roughness as a fractal dimension. he fractal di-

mension describes the complexity of an object (Carr & Benzer, 1991) (Fig. 1).

Procedure for acquisition Figure 1:

and elaboration of substrate fractal

dimension:

1: plastic square positioned on the

studied area;

2, 3, 4: elaboration steps. In the

bottom two graphical examples

of box counting method to

calculate FD.

Statistical analysis

Diferences in decomposition rates between ine and coarse mesh bags in the

three sampling stations were analysed by ANOVA, such as diferences in macroin-

vertebrates number of individuals and taxa, both for sampling date and station. A

correlation matrix was elaborated to relate inal AFDM to: substrate characteristics,

fractal dimension of substrate (FD), SHDI, SHEI, S-species richness, total abun-

dances, dissolved oxygen and water temperature. he same parameters, calculated

per bags, were used to perform a CCA (Canonical Correspondence Analysis). Before

proceeding to apply the CCA model a data pre-processing to reduce redundant in-

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Gina Galante et al.

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formation was executed. In this paper, the variables selection was carried out across the statistics techniques of the stepwise algorithm: an heuristic method that exam-ines variables, according to the well known “parsimony principle” (“entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”, or “entities should not be multiplied beyond necessity”).

Results

During the experimental period water temperature ranged from 16.0 to 13.2 °C. During the 1st week water temperature ranged from 14.0 to 15.5 °C while in the 2nd week there was an abrupt water temperature drop due to meteorological condition. In the 3rd week gradually water temperature increased until reaching the same values recorded in the irst week. Decomposition process was quite complete in three weeks. Breakdown rates of coarse mesh bags resulted to be: K = –0.0961 d –1 K = –0.1183 d –1 and K = –0.1056 d –1 respectively in sampling stations 1, 2 and 3. No statistically signiicant diferences were found comparing K among the three sampling stations for both ine and coarse mesh size litter bags. Statistically signii-cant diferences were found between coarse and ine litter bags decomposition rates (Tab. I).

ANOVA results for differences between fine and coarse mesh size decomposition rates.Table I:

Effect Univariate Tests of Significance, Effect Sizes, and Powers for k (matrice k fine-coarse.sta)

SS Degr. of Freedom

MS F p Partial eta-squared

Non- centrality

Observed power (alpha = 0.05)

Intercept 0.286786 1 0.287 20.95 0.000 0.344 20.950 0.994

Mesh-size 0.078070 1 0.078 5.70 0.022 0.125 5.703 0.645

Site 0.015444 2 0.008 0.56 0.573 0.027 1.128 0.137

Error 0.547572 40 0.014

he bacterial activity contributes to process for almost 40 %. On the basis of the 16S rRNA gene sequences analysis the isolated bacteria belonged to the follow-ing taxa: Serratia sp., Aeromonas sp., Citrobacter sp., Ochrobactrum sp., Flavobacteri-

um sp., Duganella sp., Acinetobacter sp., Stenotrophomonas sp., Pseudomonas sp., Ba-

cillus sp., Flavobacterium sp.,Rheinheimera sp., Agrobacterium sp. (Fig. 2).

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Late spring decomposition rates in a second order stream

51

Phylogenetic affiliations of the bacteria relived from leaf material (highlighted in Figure 2:

boldface). The tree was constructed by the NJ method, the nucleotide substitution rates were

calculated by using Kimura’s two-parameter model; only values >50 % are displayed.

All identiied bacteria are those characteristic of decomposition processes in

freshwater. Sampling station 1 showed the lower breakdown rate while the faster K

was recorded at station 2. For those who regard macroinvertebrates analysis 18 dife-

rent families were counted and the main biodiversity indices were elaborated (Tab.

II, III).

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Gina Galante et al.

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Identified families.Table II:

Taxa st1 st2 st3

Baetidae 41 123 83

Habropheliae 26 17 23

Heptageniidae 0 4 0

Leptophlebiidae 5 15 0

Caenidae 22 14 29

Ceratopogonidae 27 14 9

Chironomidae 8 3 12

Simulidae 10 14 29

Muscidae 1 0 0

Tupilidae 0 0 1

Culicidae 3 0 0

Rhyacophylidae 3 1 3

Polycentropodiae 21 13 8

Tubificidae 25 7 47

Lumbricilidae 1 0 0

Nemouridae 4 0 12

Anfiphipodae 1 0 2

Nepidi 0 0 1

Diversity indices.Table III:

st1 st2 st3

Shannon-Wiener Diversity Index 2.2872 1.6501 2.0206

Species Richness (S) 16 11 13

Total Abundance 199 225 259

Simpson Diversity Index 0.1228 0.3254 0.1752

Evenness 0.8249 0.6881 0.7877

Shannon Entropy 3.2997 2.3807 2.9151

Some signiicant diferences in species distribution and abundances were highlighted. Baetidae family (Ephemeropthera, ghatering collectors, scrapers) resulted the most representative group in terms of relative abundance. Fluctuations in species composition and relative abundances are showed in table IV and igure 3.

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Late spring decomposition rates in a second order stream

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Differences in species order’s relative abundances. Ephemeropthera, and Tricoptera Table IV:

show significant statistical variation in abundances. A more severe control of variance differen-

ces highlights a reasonable difference among sampling stations just for ephemeropthera

(Newman-Kauls test).

Effect

Multivariate Tests of Significance

Sigma-restricted parametrization

Effective hypothesis decomposition

Test Value F Effect ERROR p

Intercept Wilks 0.089 23.905 9 21.000 0.000

Sampling date Wilks 0.116 4.505 18 42.000 0.00003

Sampling station Wilks 0.164 3.422 18 42.000 0.0005

Date*Station Wilks 0.034 3.272 36 80.434 0.000005

Cell

No.

Newman-Keuls test; Ephemeropthera, alpha = 0.05

Error: Between MS = 59.667, df = 29.000

Date Station Ephemeropthera 1 2 3

4 2009/06/04 1 0.33333 ****

5 2009/06/04 2 3.00000 ****

9 2009/06/11 3 4.09091 ****

6 2009/06/04 3 7.66667 ****

7 2009/06/11 1 8.71429 ****

8 2009/06/11 2 11.00000 ****

1 2009/05/28 1 17.00000 **** ****

3 2009/05/28 3 26.00000 ****

2 2009/05/28 2 48.33333 ****

Relationship among factors (sampling location and date) and taxa abundances. Figure 3:

A, tricopthera; B, ephemeropthera.

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Gina Galante et al.

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Relationships among macroinvertebrates decomposers diversity indices, AFDM, temperature, dissolved oxygen, substrate characteristics and fractal dimen-sion (FD) were highlighted by correlation matrix: both total abundances and AFDM are correlated to fractal dimension of substrate. Substrate FD resulted negative cor-related both to the number of big rocks > 25 cm and to the evenness. he presence of big rocks seems to reduce FD. Finally AFDM resulted to vary in function of FD, pebbly substrate and total abundances (Tab. V).

Correlation matrix for quantitative data. Relationships among biotic and abiotc Table V: variables.

Variables

Marked correlation are signiicant at p <.05000

AFDM

Ox m

g/L

T °C

Rock

s > 2

5

Rock

s = 2

0 cm

Ston

es =

15

cm

pebb

les =

10

cm

pebb

les x

10

cm2

Subs

trat

e Fr

acta

l

Dim

ensi

on

SHDI

S, sp

ecie

s

richn

ess

SHEI

Tota

l

abun

danc

es

AFDM 1.000 0.130 –0.240 –0.161 –0.073 –0.250 0.194 0.329 0.423 0.066 0.172 –0.043 0.514

Ox mg/L 0.130 1.000 –0.533 0.133 0.343 –0.030 0.342 0.367 –0.111 –0.126 –0.063 –0.138 –0.030

T °C –0.240 –0.533 1.000 0.097 –0.179 0.138 –0.208 –0.300 0.060 –0.158 –0.087 –0.072 0.165

Rocks >25 –0.161 0.133 0.097 1.000 0.161 0.160 0.311 0.315 –0.362 –0.106 –0.103 0.013 –0.140

Rocks = 20 cm –0.073 0.343 –0.179 0.161 1.000 0.383 0.374 0.161 –0.036 –0.047 –0.050 –0.135 0.039

Rocks = 15 cm –0.250 –0.030 0.138 0.160 0.383 1.000 0.318 0.134 –0.065 0.161 0.088 0.126 0.072

pebbles = 10 cm 0.194 0.342 –0.208 0.311 0.374 0.318 1.000 0.559 0.058 0.203 0.211 –0.035 0.246

pebbles x 10 cm2 0.329 0.367 –0.300 0.315 0.161 0.134 0.559 1.000 0.061 0.099 0.050 0.093 0.089

Substrate Fractal

Dimension0.423 –0.111 0.060 –0.362 –0.036 –0.065 0.058 0.061 1.000 –0.227 –0.048 –0.367 0.367

SHDI 0.066 –0.126 –0.158 –0.106 –0.047 0.161 0.203 0.099 –0.227 1.000 0.849 0.742 0.253

S, species richness 0.172 –0.063 –0.087 –0.103 –0.050 0.088 0.211 0.050 –0.048 0.849 1.000 0.383 0.556

SHEI –0.043 –0.138 –0.072 0.013 –0.135 0.126 –0.035 0.093 –0.367 0.742 0.383 1.000 –0.076

Total abundances 0.514 –0.030 0.165 –0.140 0.039 0.072 0.246 0.089 0.367 0.253 0.556 –0.076 1.000

FD of substrate ranged from 2.189 (station 1) to 2.682 (station 3). CCA analysis (AFDM target variable) highlights for the irst axe a high statistically signii-cant value for total abundances and pebbles/10 cm2, thus conirming the correlation matrix results (Fig. 4). In particular, total abundances are positively correlated, while pebbles are negatively correlated. AFDM decreased at the total abundances increase and in presence of pebbly substrate. With regard to the second axe, it was found that stones = 15 cm, fractal dimension of substrate and temperature are negatively corre-

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Late spring decomposition rates in a second order stream

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lated with AFDM, while total abundances and pebbles are positively correlated.

Decrements of both temperature and fractal dimension of substrate inluence the

decomposition process. In other words, low temperature and low fractal dimension

of substrate inhibit the decomposition process.

CCA results: Figure 4:

A - dimension1 vs dimension3,

B - dimension 1vs dimension 2

Discussion

Although relationships among macroinvertebrates temperature and leaves

breakdown rates are already known since long time (Cummins, 1974) the connec-

tion between decomposition process and fractal dimension of substrates are not yet

properly investigated. he relationship among spatial heterogeneity of substrate (pat-

tern) and macroinvertebrates assemblage in a stream ecosystem were investigated in

a recent study (Boyero, 2003), but the fractal dimension of substrate was not taken

into account, and the efects of diferent patterns on litter breakdown processes were

ignored. Technical diiculties to detect substrates fractal dimension in situ, mainly in

an aquatic environment, have often limited researches in this ield. he new method-

ology developed in the present study makes easier the evaluation of this parameter.

he results of this work highlights new aspects connecting directly the breakdown

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Gina Galante et al.

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rates to the complexity and heterogeneity of substrate structure, and in particular makes possible to establish the type of substrate structure that more inluence de-composition. Low FD values were found in those substrates constituted by big stones (> 25 cm) and, although this kind of substrate promotes water turbulence and oxygenation, it resulted negatively correlated with leaves breakdown rates. We can argue that leaves’ physical fragmentation and high water oxygenation enhanced by big stones does not promote an increasing of decomposition rates. Otherwise, sub-strates constituted by small rocks and pebbles smaller than 10 cm showed bigger FD, and contributed to increase processing rates. Besides being connected to breakdown rates, substrate FD resulted negatively connected to the SHEI index (higher SHEI index in presence of big rocks). his study suggest that an high value of FD can inluence both species abundance and decomposition rates: probably due to its con-tribution to the availability of refuges, hanging and feeding surfaces for inverte-brates, but also because of the increased properties of substrate retention (Jefries, 1993). he more complex a substrate is, the more abundant are species (in this case ephemeropthera) and faster K. he heterogeneity of and abiotic factor seems to inluence directly an important ecological process as decomposition. Environmental heterogeneity (Wright & Li, 2002) at a variety of scales is often inluenced to a greater extent by local or small-scale heterogeneity (Archambault & Bourget, 1996; Bertness et al., 1996; Wright & Li, 2002). herefore, it could be interesting to inves-tigate more deeply substrate FD (characterized by scale invariance properties) and its relation with breakdown rates at diferent spatial scales, to highlights the hierarchical dominie of FD change. he knowledge of the level at which substrate heterogeneity ceases to inluence the decomposition process could be also useful for the river eco-logical management.

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Late spring decomposition rates in a second order stream

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An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia

plain (Northern Italy) from land-cover cartography: preliminary results

Uno strumento per valutare il valore agro-ecologico della pianura lombarda

a partire da cartografia di uso/ copertura del suolo: risultati preliminari

Marta Maggi1*, Giancarlo Graci3, Stefano Gomarasca2, Paolo Pileri1, Mirco Boschetti5, Stefano Bocchi3 & Anna Rampa4

1 Dipartimento di Architettura e Pianiicazione, Politecnico di Milano, Via Bonardi 3, 20131 Milano 2 Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Milano, Via Celoria 26, 20133 Milano

3 Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano, Via Celoria 26, 20133 Milano4 DG Qualità Ambiente-Regione Lombardia, Via Taramelli 1, 20124 Milano

5 IREA-CNR, Milano, Via Bassini 15, 20133 Milano*[email protected]

Abstract

he paper presents the preliminary results of the project ‘An environmental infor-mation system to estimate the agro-ecological value of the land cover in the Lombardy plain’, aimed to monitor and assess the agro-ecological value of a heavily human- impacted landscape. he idea of the project derives from the need of a cartographic product, based on reliable and spatially explicit indicators, to be used as support to land use planning and environmental decision-making processes. he proposed methodology is driven by an operational approach and is based on information gathered from land-use/cover databases. he paper proposes a set of indicators selected to assess the diferent aspects of the agro-environment and shows a method to visually synthesize the multiple information, summarizing the agro-ecological value of a territory at landscape level.

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Marta Maggi et al.

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Introduction

Knowledge of the ecological relevance of a landscape provides a useful input to land-use planning. Generally the assessment of the most ecologically valuable ar-eas, also known as ecological evaluation (Spellemberg, 1992), is used to identify con-servation priorities (Smith & heberge, 1986; Geneletti, 2004). More rarely, eco-logical evaluation is used to highlight areas of reduced ecological value because subjected to a foreseeable or existing human pressure (Zurlini et al., 1999).

he project ‘An environmental information system to estimate the agro-eco-logical value of the land cover in the Lombardia plain’, founded by the General Di-rection Quality of the Environment of the Lombardy Region (Northern Italy) was designed by an interdisciplinary group of researchers with the aim of illing this gap. he idea of the project derives from the need of a cartographic product to assess the agro-ecological dimensions using reliable, operational, scientiically based and spa-tially explicit indicators. hese instruments should represent an operational tool for the monitoring and assessment of the agro-ecological value of a heavily human im-pacted landscape. he agro-ecological dimensions include landscape characteristics, biodiversity, and ecological processes like primary production, water and nutrient cycling, energy use (Castoldi & Bechini, 2006; Castoldi et al., 2007).

Based on these premises, the paper proposes a set of indicators selected to as-sess the diferent aspects of the agro-environment and shows a method to visually synthesize the multiple information, summarizing the agro-ecological value of a ter-ritory at landscape level.

he project is driven by an operational approach based on information gath-ered from land-use/cover databases. his guarantees low costs, replicable analysis, harmonized results, high comparable indicators. Methods and indicators were se-lected with the aim to be clear, simple, scientiically founded and transferable to all the administrative levels (Gabrielsen & Bosch, 2003), as support to land-use plan-ning, environmental decision-making, Strategic Environmental Assessment (SEA) procedures, naturalness and biodiversity key areas identiication.

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An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain

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The study area: evolution and pressures

he study was carried out in the Po Valley of the Lombardy region (Northern Italy) (Fig. 1). Lombardy is the most populated region of Italy, with more than 9.6 million inhabitants equal to 16 % of the total Italian population (source: ISTAT 2009). he total area of Lombardy is more than 23,800 km2: 47 % is on the plain, 40 % mountains and 12.5 % hills.

The study area corresponds to the Lombardy plain (Northern Italy), highlighted with Figure 1: the grey colour.

he Lombardy landscape is very varied and includes the Alps to the north, the hilly chain between the mountains and the wide plain, which is known as the Po Valley. Further south, there is the river Po to the east and part of the Apennine mountains to the west. he Lombardy plain is one of the most urbanised areas in Italy, and even in Europe, with Milan metropolitan area alone having more than 5 million inhabitants. he particular geomorphologic coniguration gave this area a natural supply of water, coming from the north. his derives from the rivers and from the particular geological structure. his abundance of water inluenced agricul-

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Marta Maggi et al.

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ture practices by favouring certain types of land use, e.g. grazed pastures, and by

maintaining the permanent vegetation along ield boundaries and along the numer-

ous irrigation channels on the plain. he consequence of this was a landscape rich in

natural elements, with a high degree of biodiversity, and with a cohesive, rather than

difused, ecological network, which was also bolstered by an extensive system of for-

ested areas. his scenario more or less endured until about 1950. Over the last 50

years, farming and urbanisation have had a major impact on the landscape pattern of

the plain. he unsustainable level of urban and industrial settlements and of agricul-

tural development has disrupted the rural landscape. A lot of forests and hedgerows

disappeared, many springs dried up, parcels of land became larger and were managed

intensively. A dramatically simpliied landscape resulted, and biodiversity was drasti-

cally impoverished (Lassini et al., 2007). hese pressures, together with some unsus-

tainable planning policies and a lack of ecological foresight, transformed the Lom-

bardy Po Valley into one of the most critical environmental areas in Europe, where

urgent actions are needed.

Materials and methods

he mains source of data for the ecological evaluation was represented by the

oicial vector land-cover database of the Lombardy region, also called DUSAF2

(Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali), at the scale of 1:10,000. his da-

tabase, derived by photo-interpretation of aerial photographs dated from 2005 to

2007, represents an update of the former version referring to year 1999 and it has a

legend coherent with the Corine land cover program.

he DUSAF2 land cover map was subset using an hexagonal sampling grid,

which is often used in ecological studies (O’Neill et al., 1996; Griith et al., 2000).

Each hexagon has an area of 5 ha which provides a detailed representation of eco-

logical values at regional scales.

From the methodological point of view a three levels hierarchical approach

was adopted to estimate the agro-ecological value of the study area at an increasing

level of detail:

1) the irst level of analysis consists in a basic comprehensive agro-ecological assess-

ment, based on the description of the three characteristics of an ecological sys-

tem, i.e. structure, composition and function (Andreasen et al., 2001; Dale &

Beyeler, 2001);

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An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain

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2) the second level assesses the landscape value referring to diferent thematic issues such as biodiversity, agro-diversity, land-cover change. his level adds informa-tion to the irst level and can concur to answer to speciic issues, with the possi-bility to be upgraded in a second moment;

3) the third level represents the synthesis of the above-mentioned two, since as Fail-ing and Gregory (2003) say, ‘Mistake 6: avoiding summary indicators or indices

because they are considered overly simple: (…) despite summary indices may mask some important attributes (…), they can lead to better decisions’.

Level 1 : composition, structure and functionality

In this paper we will present the results obtained so far for the irst level of analysis.

As previously mentioned, for a irst general assessment of the ecological value at regional scale, we considered and evaluated the three key characteristics of an eco-logical system, i.e. structure, composition and function (Fig. 2).

The three key characteristics of an ecological system (after Dale & Beyeler, 2001).Figure 2:

hese characteristics may be considered at diferent spatial scales. In the framework of this study we focused at landscape level, therefore we identiied a land-scape indicator for each of the three features.

In particular for the compositional aspect we identiied the ‘bio-permeability indicator’, providing for each hexagon the proportion of land not interested by ur-banization or intensive agriculture (Romano & Paolinelli, 2007), therefore suitable for the presence of biological activity.

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Marta Maggi et al.

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he indicator is calculated as follows (eq. 1):Bio-permeability indicator = ∑(EAc coef.; FNc coef.) Eq. 1

whereEAc coef. = proportion of the agricultural cover, not interested by intensive produc-tion processes (i.e., olive trees, agro-forestry areas, pastures), within the analysis cell FNc coef. = proportion of the forest and natural cover (i.e., natural and semi-natural areas, moors and heatland), within the analysis cell (it includes also wetlands)

he structure, which tells about the spatial distribution of land cover, was de-scribed at landscape level using a diversity index, more precisely the ‘Simpson’s diver-sity index’. he index was considered as a proxy of the system complexity and a good descriptor of the landscape diversity. Actually the original index was appropriately modiied so that the urban cover presence is considered to reduce the diversity value of a cell. he structure value is calculated according to the following formula (eq. 2):

D = [1 – ∑(pi)2]/(1+1/pu) Eq. 2wherepi = proportion of the i patch within the cell analysis (it may belong to any land cover class)pu = proportion of the urban cover within the cell analysis

he function characteristic was quantiied through the ‘Aggregate functional-ity indicator’, speciically conceived in the framework of this project. his index es-timates the contribution of each land cover to the water cycle, the nutrients and en-ergy cycles and the erosion processes. It is calculated as follows (eq. 3):

F = ∑ (ai+ bi + ci)pi Eq. 3wherea = weight assigned to land cover class i relatively to its contribution to the water cy-cleb = weight assigned to land cover class i relatively to its contribution to the energy and nutrients cyclesc = weight assigned to land cover class i relative to its contribution to erosion proc-essespi = proportion of land cover class i within the analysis cell

All the indicators may assume values between 0 and 1, where 0 corresponds to the worst ecological value of the indicator and 1 to the best.

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An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain

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Synthetic representation

In order to integrate the three indicators and to spatially represent the agro-ecological value at the irst analysis level, a method based on RGB additive color syn-thesis was adopted.

According to this method, each indicator corresponds to a primary color, i.e. red, green or blue: the color of each hexagon is thus the result of the synthesis of the three primary colors and tells about the values of the three indicators. A white hexa-gon thus derives from the combination of high values for all the three indicators. herefore it corresponds to an area of very high agro-ecological value. A yellow, ma-genta or cyan hexagon derives from the combination of high values for only two in-dicators. A black hexagon, on the contrary, corresponds to an area of very poor agro-ecological value.

Results: evaluation of the agro-environmental quality

Each indicator was derived using the available land cover database as data source. In general the study area shows few hot spots of high ecological value in a medium/low matrix. In particular, highest values of the bio-permeability indicator are recorded along rivers, in the area of pastures east of Milan and in correspondence of forested and natural areas (Fig. 3). Intensely cultivated agricultural areas and ur-ban areas do not contribute to the bio-permeability of the analyzed territory. he ag-gregate functionality indicator presents an analogue spatial distribution, however lowest values correspond only to urban areas while intensely cultivated agricultural areas have intermediate values (Fig. 4). he diversity index presents a more complex spatial pattern, although highest values are noticed still along rivers, in correspond-ence of natural areas and in less intensely cultivated areas (Fig. 5).

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Marta Maggi et al.

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The spatial distribution of the bio-permeability indicator represented in grayscale. Figure 3: Highest values are recorded along rivers, in the area of pastures east of Milan and in correspon-dence of forested and natural areas.

The spatial distribution of the aggregate functionality indicator represented in Figure 4: grayscale. Lowest values correspond to urban areas while intensely cultivated agricultural areas have intermediate values.

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An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain

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The spatial distribution of the diversity indicator represented in grayscale. This index Figure 5: presents a complex spatial pattern, highest values are noticed along rivers, in correspondence of natural areas and in less intensely cultivated areas.

The spatial representation of the agro-ecological value as obtained by the additive Figure 6: color synthesis method. Triples of values refer to Functionality (F) loaded on the Red (R) channel, Bio-permeability (B) on the Green (G) channel, Diversity (D) on the Blue (B) channel. All indicators have values between 0 and 1.

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Marta Maggi et al.

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To aggregate the three indicators using the additive colour synthesis method, the Functionality indicator was loaded on the Red channel, the Bio-permeability in-dicator on the Green channel and the Diversity indicator on the Blue channel. Fig-ure 6 shows the results specifying for some of them the triple of indicator values. he map represents the spatial distribution of areas having diferent agro-ecological value at landscape level. It may be noticed that the magenta colour (e.g. R = 0.34, G = 0.01, B = 0.06) is the more dominant in the entire study area, highlighting that the higher values are provided by the Diversity and Functionality indicators. he study site presents a general lack of bio-permeable areas. Few areas, close to rivers, present high values for all the three indicators, therefore a white colour (e.g. R = 0.8, G = 0.9, B = 0.7). Sub-alpine hills are characterised by high value of Bio-permeability and Functionality as showed by the yellow colour (e.g. R = 0.8, G = 1.0, B = 0.04). Finally, some green spots (e.g. R = 0.4, G = 1.0, B = 0.0) are visible in the lower part of the plain correlated to the luvial system.

The ecological network overlaid on the RGB synthesis of the three landscape Figure 7: indicators, represented in grey tones. Corridors running in the north-south direction corre-spond to areas which have a high agro-ecological value (white areas). The overlay led also to assess which parts of the network present discontinuities in terms of agro-ecological value.

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An instrument to assess the agro-ecological value of the Lombardia plain

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As a irst application of the obtained results we overlaid the layer representing the ecological network, as delineated by the Lombardy region, to the RGB synthesis of the three landscape indicators (Fig. 7). his allowed to verify that many ecological corridors correspond to areas which have a high agro-ecological value, in particular the corridors running in the north-south direction. Moreover, the procedures led to assess which parts of the network present discontinuities and would need interven-tions in terms of land covers.

Conclusions

his document presents the preliminary results of a project aimed at evaluat-ing the agro-ecological value of a heavily human-impacted landscape.

he adopted methodology ofers the advantage of obtaining an harmonized evaluation over all the study area. Moreover, it allows to identify critical areas and to raise awareness on the existence, within the analyzed landscape, of areas that despite the high human pressure would be worth being preserved due to their ecological value. At the same moment the adopted methodology led to identify advantages and drawbacks of previous environmental and land-use planning decisions.

he indicators proposed so far, at the irst analysis level, are suiciently sim-ple. herefore they should hit the demand of those who need to apply such indica-tors in practice, such as administrations and policy makers.

Further developments of the project will concern the identiication of second level indicators referring to diferent thematic issues and the setting up of a method-ology for synthesizing them.

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Marta Maggi et al.

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Alpine-wide delineation of the potential treeline

Individuazione del limite boschivo potenziale nelle Alpi

Caroline Pecher1*, Erich Tasser1 & Ulrike Tappeiner1,2

1 Institute for Alpine Environment, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano2 Institute of Ecology, University of Innsbruck, Sternwartestraße 2, Innsbruck (A)

*[email protected]

Introduction

In many regions within the Alps a long-lasting and continuous demand for pastoral land has led to a signiicant downshift in the actual treeline-position (Ozenda, 1988; Ellenberg, 1996; Holtmeier & Broll, 2005). As a consequence, the potential treeline-position nowadays rarely coincides with the actual treeline-posi-tion. E.g. in the Swiss Alps, undisturbed and natural treelines are seldom, remaining on steeper and rocky surfaces (Gehrig-Fasel et al., 2007). However, land-use changes have recently had a considerable inluence on treeline dynamics (Didier, 2001; Geh-rig-Fasel et al., 2007; Holtmeier & Broll, 2007; Tasser et al., 2007; Vittoz et al., 2008). Within some Alpine regions, an upshift in the actual treeline-position, pri-marily as a consequence of land-use changes, has been observed (Gehrig-Fasel et al., 2007; Tasser et al., 2007; Vittoz et al., 2008).

In order to identify the dimension of human impact within these zones, the actual and the potential treeline for the entire Alps need to be delineated. he actual treeline-position can be directly identiied from recent land-cover maps. he poten-tial treeline, however, has not yet been deined for the whole Alpine arc. Within this study, we thus present for the irst time a method for the delineation of the potential treeline for the entire Alps. A mixed approach of GIS and statistical applications was followed in order to achieve this objective.

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Caroline Pecher et al.

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Study area

he study area covers the cooperation area of the Alpine Convention and it spans the countries of Austria, France, Germany, Italy, Liechtenstein, Slovenia, and Switzerland, covering an area of ca. 190,777 km². According to Ozenda (1988) the Alps can be subdivided into three main bio-geographic regions: he Alpine fringe, the inter-Alpine zone, and the continentality poles.

Material and Methods

Data sources

For the delineation of the potential treeline Corine land cover 2000 (CLC2000) in combination with Corine land cover Switzerland (CLC Switzerland) as well as processed data from the Shuttle Radar Topography Mission (SRTM) were utilized (EEA, 2005a; EEA, 2005b; Jarvis et al., 2008). CLC2000 provides data on land use and land cover for the entire Alps except from Switzerland, which is repre-sented by CLC Switzerland. CLC2000 has a 100 m resolution, and it was developed for the reference years 1999-2001 (Nunes de Lima, 2005). CLC Switzerland has a resolution of 250 m, and its reference years are 1979-1985 (Nippel & Klingl, 1998). he processed SRTM data-set has a resolution of 3 arc-seconds (Jarvis et al., 2008).

Potential and actual treeline

A combined approach of GIS and statistical applications was followed in or-der to identify the potential and the actual treeline-position. he method for the potential-treeline delineation is described in detail by Pecher et al. (forthcoming). For the delineation of the potential treeline the CLC class “Forest” was used which is deined by a density of 500 trees per ha or by a canopy cover of more than 30 % as well by a tree height of more than 5 m (EIONET, 2006). Assuming that the poten-tial treeline needs to be more elevated than the actual position of the treeline, only the most elevated forest incidents were used for the delineation of the potential treeline. he delineation was conducted in the following way: Seven transects of 100 km width were placed at the positions of geo-botanical proile lines, and were then subdivided into bio-geographic regions (both deined by Ozenda, 1988). For every

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Alpine-wide delineation of the potential treeline

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transect the most elevated 10 % of forest occurrences per bio-geographic region (cf. 2.1 Study area) were selected and the correlation among the data was then repre-sented by a polynomial function (Fig. 1). he position of the potential treeline was determined by a GIS-based implementation of the polynomial functions on 5 km raster cells covering the Alps.

he actual treeline-position was identiied by means of CLC2000, CLC Swit-zerland as well as by the processed SRTM data. All areas below the actual treeline-position were selected semi-automatically considering altitude as well as land-use and land-cover type. In a inal step, the zone between the potential and the actual treeline-position could be identiied.

Within seven transects of 100 km width, the highest 10 % of forest incidents were Figure 1: identified. The correlation among the selected forest incidents per transect was subsequently represented by a polynomial regression.

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Caroline Pecher et al.

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Results

he polynomial functions which have been identiied for the seven transects have the following characteristics: he vertex of all seven functions is positioned near the Alpine main ridge or south of it. he lowest vertex can be found within the transects 1 and 4 with ca. 2200 m a.s.l., within the transects 2 and 5 the vertex is at ca. 2400 m a.s.l., and the highest vertex is reached by the functions within the transects 3 and 7 with ca. 2500 m a.s.l. 88.0 % of the total study area, 96.7 % the Alpine fringe, 82.9 % of the inter-Alpine zone, and 63.3 % of the continentality poles are located below the potential treeline.

Figure 2a illustrates the study area below the actual treeline-position, and ig-ure 2b represents the study area below the potential treeline-position. he mean dif-ferences between the altitudes of the potential and the actual treeline increase from the Alpine fringe (187.7 m) and the inter-Alpine zone (336.3 m) to the continental-ity poles (377.9 m).

Study area below the actual (a) and the potential (b) treeline-position. Figure 2:

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Alpine-wide delineation of the potential treeline

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Discussion

he quality of the potential treeline delineated within this study is strongly inluenced by the quality of the underlying base data. he two CLC data-sets have some limitations that are mainly due to diferent resolutions and reference years. Whereas CLC2000 has a 100 m resolution the resolution of CLC Switzerland is 250 m; furthermore, the reference years of CLC2000 and CLC Switzerland difer be-tween 14 and 22 years (Nippel & Klingl, 1998; Nunes de Lima, 2005). hese difer-ences result in a reduced comparability of the data sets that probably lead to errors in their application. However, at the moment, CLC2000 and CLC Switzerland are the only pan-European data-sets on land cover and land use available at higher resolu-tion. he currently being produced Corine Land Cover 2006 will, for the irst time, cover the Alps consistently, which might be an improvement at least for the Swiss part of the data set (EEA, 2007; EIONET, 2009).

he potential treeline delineated within this study is shaped very evenly. In re-ality, the altitude of the potential treeline within the Alps is highly dependent e.g. on the relief as well as on local climatic conditions (Mayer & Ott, 1991). he validity of the potential treeline was tested by means of a comparison with potential-treeline al-titudes from the literature cited. Comparisons were carried out for the Berchtes-gadener Calcareous Alps (Germany), for various study sites within the Valais (Swit-zerland), and for the Maurienne Valley (France): Within the Berchtesgadener Calcareous Alps Mayer and Ott (1991) identiied the climatic treeline for Pinus cem-bra at 1910-1970 m a.s.l. Our data locate the mean-altitude of the potential treeline within this region at 1930-2010 m a.s.l. For diferent locations within the Valais, Tinner and heurillat (2003), Carnelli et al. (2004), and Heiri et al. (2006) found potential treelines at 2200-2300 m a.s.l., 2200-2300 m a.s.l., and 2350-2400 m a.s.l. Our data identify mean-altitudes of the potential treelines at 2230-2240 m a.s.l., 2160-2260 m a.s.l., and 2240 m a.s.l. for these sites. Within the Maurienne Valley the potential treeline was located by Didier (2001) at 2300-2400 m a.s.l., whereas we found the mean-altitude of the potential treeline at 2260-2340 m a.s.l. within this zone. hese indings lead to the conclusion that the delineated potential treeline is able to represent the real potential treeline, at least at a regional scale. he delinea-tion of the potential and the actual treelines for the entire Alps allow now for the irst time for an identiication of the dimension of human impact in formerly forested mountain areas. In future, updates of CLC or other applicable data sets will addition-ally provide an insight into changes in anthropogenic activities within these zones.

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Caroline Pecher et al.

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Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia

corporea sul processo di decomposizione fogliare in microcosmi di laboratorio: quanto contano realmente le specie?

Effects of species richness, evenness and body size on leaf-litter decomposition rates

in freshwater microcosm experiments: do species really matter?

Angela Pluchinotta1*, Julia Reiss2, Guy Woodward2 & Elisa Anna Fano1

1 Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, Università degli Studi di Ferrara, Via Luigi Borsari 46, 44100 Ferrara2 School of Biological and Chemical Sciences, Queen Mary University of London, London E1 4NS

*[email protected]

Abstract

Nell’ultima decade, l’incremento dei tassi di estinzione delle specie ha sollecitato ulteriori studi focalizzati prevalentemente sulla diversità speciica e sul modo in cui la sua diminuzione alteri l’eicienza delle comunità a mediare importanti processi ecosistemici. Sebbene la ricchezza speciica sia una delle metriche più utilizzate della biodiversità, non signiica che le specie siano le uniche componenti della forzante ad avere efetti sulle proprietà dell’ecosistema.Per tali ragioni, il presente lavoro è inalizzato all’analisi degli efetti della diversità a diversi livelli, dalla diversità tassonomica alla variabilità di caratteristiche individuali, sul processo di decomposizione di materiale fogliare alloctono in microcosmi di laboratorio. Sono state considerate tre specie di macroinvertebrati appartenenti al gruppo funzionale degli shredders e due classi di dimensione corporea. Combinando le sei diferenti “tipologie” in monocolture e bicolture, si sono creati diversi scenari di ricchezza speciica e di abbondanza relativa.I risultati ottenuti mostrano che la decomposizione fogliare dipende principalmente dalla biomassa totale dei consumatori, piuttosto che dalla ricchezza tassonomica o da fattori di dominanza numerica. Inoltre, non si osservano interazioni positive, come la facilitazione o interferenze inter- e intra-speciiche, in assemblaggi dove coesistono diverse tipologie. Nonostante l’assenza dei “tradizionali efetti” della biodiversità, si

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Angela Pluchinotta et al.

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riscontra che gli organismi di taglia “piccola” presentano una performance più elevata per unità di massa corporea rispetto agli organismi di taglia “grande”.I risultati del presente lavoro sottolineano l’importanza di valutare l’ipotesi che variazioni della diversità funzionale, data da caratteristiche individuali come la taglia, piuttosto che della diversità speciica, possano avere un impatto ecologico rilevante sulla funzionalità dei processi ecosistemici.

Introduzione

Negli ultimi decenni, numerose ricerche in ambito ecologico hanno registrato un chiaro collegamento tra biodiversità e funzionalità ecosistemica e hanno formula-to molteplici ipotesi riguardo la natura di queste relazioni (Chapin et al., 2000). In particolare, dagli anni ’90 una numerosa gamma di lavori, sia teorici che sperimen-tali, ha dimostrato come la biodiversità migliori generalmente la funzionalità dei processi ecosistemici, quali ad esempio l’uso della risorsa troica o la produzione di biomassa (Mittelbach et al., 2001; Balvanera et al., 2006). In queste ricerche, infatti, i tassi dei processi hanno mostrato un chiaro incremento all’aumentare della ricchez-za speciica, risultati che hanno portato gli autori a considerare la biodiversità come sinonimo di ricchezza tassonomica, senza prendere in considerazione altre compo-nenti importanti della biodiversità, come l’abbondanza relativa delle specie, le dife-renze tra caratteri funzionali, le interazioni tra specie e le variazioni temporali e spa-ziali di queste proprietà.

La ricchezza tassonomica certamente rappresenta un buon parametro per mi-surare la varietà di importanti caratteri, la stessa varietà che implica una correlazione positiva e asintotica tra ricchezza speciica e tassi del processo. Questo incremento può essere spiegato da una serie di meccanismi, quali:

l’uso complementare della risorsa, ossia l’equo contributo di tutte le specie in un dato •processo (Loreau & Hector, 2001);

la facilitazione, ossia quando le attività di una certa specie interferiscono positivamen-•te o negativamente sull’attività compiuta da altre specie (Cardinale et al., 2002);

il cosiddetto “sampling efect”, ossia la maggiore probabilità che in assemblaggi con •elevata ricchezza speciica siano incluse specie con efetti rilevanti sull’ecosistema stu-

diato (Cardinale et al., 2006).

D’altronde, non è detto che i tassi dei processi ecosistemici mostrino una netta correlazione con la ricchezza speciica. In alcuni casi, infatti, le caratteristiche funzionali di specie dominanti possono inluenzare il processo al punto tale di an-

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Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea

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nullare gli efetti della numerosità tassonomica della comunità stessa (Dangles & Malm qvist, 2004).

Cercando di deinire la vera chiave di lettura degli efetti della biodiversità sui processi ecosistemici, risulta interessante analizzare l’inluenza di speciici caratteri individuali, quali ad esempio la taglia corporea, l’eicienza nell’assumere l’alimento o la lessibilità nella dieta, piuttosto che la ricchezza speciica per se.

Un particolare tratto dell’organismo, come la dimensione corporea, può por-tare diferenze nel processo osservato. In accordo con la teoria metabolica di Brown et al. (2004), la massa corporea determina il metabolismo basale degli organismi (ad es. la domanda energetica, i tassi di ingestione, l’abbondanza, la produzione di bio-massa della popolazione), sino ad inluenzare i livelli più alti dell’organizzazione bio-logica, dal singolo individuo sino alla popolazione (Brown et al., 2004).

Con il presente studio si intende valutare l’impatto di importanti metriche della biodiversità, quali appunto la ricchezza speciica, le abbondanze relative e la ta-glia corporea, sul processo di decomposizione di materiale fogliare alloctono operato da assemblaggi macrobentonici detritivori in microcosmi di laboratorio.

Considerata l’elevata ridondanza speciica e la forte strutturazione in taglia che caratterizza le catene troiche d’acqua dolce (Woodward, 2009), attraverso i ri-sultati di questa ricerca si è voluto sottolineare l’importanza della taglia corporea come determinante dei processi ecosistemici, piuttosto che la composizione degli as-semblaggi o la ricchezza speciica per se.

Materiali e metodi

Set-up sperimentale

Gli efetti di diversità sul processo di decomposizione fogliare sono stati stu-diati in microcosmi di laboratorio durante la primavera 2008.

Sono state utilizzate tre specie di macroinvertebrati appartenenti al gruppo funzionale degli shredders (l’anipode Gammarus pulex, l’isopode Asellus aquaticus e le larve del tricottero Sericostoma personatum) e foglie di ontano (Alnus glutinosa) come riserva di cibo. Gli organismi considerati sono specie comuni nei iumi europei e possono coesistere in natura nello stesso habitat, così come ciascuna specie può do-minare la comunità locale in termini di abbondanza e biomassa (Biggs et al., 2007).

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I macroinvertebrati sono stati raccolti prima dell’inizio dell’esperimento da iumi nel Sud-Est dell’Inghilterra e tenuti in camera termostatata con foglie di piop-po (Populus nigra) come risorsa troica.

I microcosmi consistevano in recipienti cilindrici di vetro (volume 400 ml, diametro 11,6 cm, profondità 6 cm), areati singolarmente e chiusi con rete di nylon forata (diametro dei fori 1 mm). I recipienti sono stati riempiti con foglie di ontano (3 g di massa secca con picciolo rimosso) e successivamente immersi in contenitori di plastica contenenti 20 litri di acqua distillata e 7,5 litri di acqua di iume costan-temente ossigenate da due tubi Aqua Air (60 cm di lunghezza). In ogni contenitore sono stati posizionati 15 microcosmi (12 box per 180 microcosmi in totale). L’acqua di iume ha facilitato la colonizzazione microbica delle foglie. La scelta di utilizzare foglie della specie ontano è stata determinata dai veloci tassi di decomposizione, compatibili con la breve durata dell’esperimento. Inoltre, gli alti valori nutrizionali della foglia selezionata e il quantitativo immesso nei microcosmi, tale da rendere la risorsa alimentare illimitata (Cummins et al., 1989), hanno permesso che tutte tre le specie, pur coesistendo, mantenessero una preferenza nel processare CPOM ad ele-vato contenuto calorico sino al termine dell’esperimento.

L’esperimento è stato mantenuto a 15 °C in camera termostatata con un ciclo luce-buio di 8:16 ore e terminato dopo 4 settimane dall’ingresso dei macroinverte-brati.

Trattamenti sperimentali

In associazione alla diversità tassonomica è stata aggiunta la variabilità in caratte ristiche individuali, prendendo in considerazione la taglia corporea. Agli orga-nismi sono state assegnate due classi di taglia per ciascuna specie: individui rientran-ti nella classe di taglia “piccola” e “grande” della popolazione di A. aquaticus and G. pulex misuravano dai 4 agli 8 e dagli 8 ai 12 mm in lunghezza, rispettivamente. Individui rientranti nelle classi di taglia “piccola” e “grande” di S. personatum misu-ravano invece dai 9 ai 14 e dai 14 ai 19 mm in lunghezza, rispettivamente.

Le medie di massa corporea per individui di taglia “piccola” erano di 2,1 mg, 2,3 mg, e 8,7 mg per A. aquaticus, G. pulex, and S. personatum, rispettivamente e di 6,2 mg, 6,7 mg, e 16,1 mg per individui di taglia “grande” di A. aquaticus, G. pulex, e S. personatum, rispettivamente.

Mantenendo a dodici il numero totale di individui per microcosmo, si sono create combinazioni di macroinvertebrati assemblati in monocolture costituite da

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Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea

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organismi della stessa specie e in bicolture costituite da organismi appartenenti a due specie diverse con classi di taglia distribuite proporzionalmente o con una classe do-minante (6+6; 4+8; 8+4).

Tutti i trattamenti sono stati replicati 3 volte, ottenendo così 180 microcosmi distribuiti in 3 blocchi (Tab. I).

Colture N I T

S=1 12 a A g G s S 6

S=2 6+6 ag as gs AG AS GS sG 15

aA gG sS aG aS gA gS sA

8+4 Aaa AAa Ggg GGg Sss SSs AAG aag AAg aaG 30

AGG agg Agg aGG AAS aas AAs aaS ASS ass

Ass aSS GGS ggs ggS GGs GSS gss Gss gSS

Controllo microbiologico

1

Totale 52

Repliche X3

Totale 156

Design sperimentale ottenuto introducendo nei microcosmi tre specie di shredders Tabella I: con organismi appartenenti a due diverse classi di taglia per ciascuna specie.Numero di individui (N), identità degli assemblaggi (I), numero dei trattamenti (T),a = Asellus aquaticus taglia piccola / A = Asellus aquaticus taglia grande,g = Gammarus pulex taglia piccola / G = Gammarus pulex taglia grande,s = Sericostoma personatum taglia piccola / S = Sericostoma personatum taglia grande

Determinazione delle biomasse

La biomassa iniziale di ogni individuo è stata derivata attraverso misurazioni della lunghezza totale del corpo di ogni organismo utilizzando un software di analisi d’immagine (Image Pro Plus 6.3.Media Cybernetics, inc®), e successivamente calco-lata dalla regressione lunghezza – peso della biomassa secca derivata da un sub-cam-pione di 50 individui per ogni specie.

Dopo 4 settimane i macroinvertebrati sono stati rimossi dai microcosmi, se-parati dal materiale fogliare processato, fotografati e immediatamente congelati a –40 °C.

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Angela Pluchinotta et al.

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Con il calcolo delle biomasse inali degli shredders si è potuta calcolare la bio-massa acquisita dai macroinvertebrati durante l’esperimento.

La mortalità è stata compensata assumendo che gli individui morti hanno vis-suto almeno per metà del periodo sperimentale e i dati sono stati corretti in accordo a questa assunzione.

Il rimanente materiale fogliare è stato seccato a 80 °C e pesato secondo le cor-rezioni fatte per la perdita di massa fogliare dovuta alla lisciviazione e all’attività mi-crobica.

La perdita di massa fogliare è stata espressa in grammi di materiale fogliare secco per microcosmo e anche per unità di biomassa del consumatore.

Elaborazione statistica dei dati

Su tutti i dati è stata eseguita l’analisi della varianza mediante ANOVA (one-way Anova; α di signiicatività 0,05; software StatSoft Inc, 2001) e successivi test di Tukey-Kramer (Kramer, 1956) come confronti post-hoc, per veriicare la presenza di diferenze signiicative nei tassi di decomposizione (per 12 organismi e per unità di biomassa) in monocolture e in bicolture. Inoltre, sono state confrontate le risposte relative a questi trattamenti con i controlli microbici.

Prima di procedere alle indagini statistiche, i dati sono stati testati per l’omo-geneità della varianza tramite test di Levene e trasformati mediante log(x+1) quando opportuno.

Tutte le analisi efettuate sono state condotte mediante il programma STATI-STICA (v. 8 per sistemi operativi Windows®, applicazione StatSoft Inc®, 2001).

Risultati

Nei trattamenti si è registrata un’elevata percentuale di sopravvivenza (Serico-

stoma personatum 97,38 %, Gammarus pulex 91,34 %, e Asellus aquaticus 91,17 %).Si sono rilevate diferenze signiicative (p < 0,05) per quanto riguarda la perdi-

ta di massa fogliare tra i controlli e i trattamenti.I tassi di decomposizione fogliare sono risultati diversi tra le varie specie; S.

personatum ha mostrato in media il maggiore efetto sulla perdita di massa fogliare, mentre G. pulex e A. aquaticus hanno avuto efetti minori (Fig. 1).

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Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea

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Perdita di massa fogliare (±ES) per 12 shredders nelle monocolture di Figura 1: Asellus aquaticus (1), Gammarus pulex (2) e Sericostoma personatum (3).

La perdita di massa fogliare risulta signiicativamente diferente (p<0,001) nelle monocolture di S. personatum rispetto alle monocolture di G. pulex, che ha evi-denziato valori intermedi e di A. aquaticus i cui efetti sulla perdita di massa fogliare risultano i più esigui.

Le diverse performance rilettono principalmente le diferenze in biomassa tra le specie, anziché diferenze nella ricchezza speciica o nella distribuzione delle ab-bondanze. In efetti, la biomassa totale dei consumatori ha mostrato una forte corre-lazione positiva (r2 = 0,6125) (Fig. 2) con i tassi di decomposizione, mentre le singo-le specie non hanno inluenzato signiicativamente il processo, calcolato come media delle perdite di massa fogliare (g) in rapporto all’unità di massa corporea del singolo consumatore (mg) (Fig. 3).

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Relazione tra la biomassa totale di 12 shredders (g) e i tassi di decomposizione Figura 2: fogliare. La biomassa totale dei consumatori mostra una stretta correlazione positiva con i tassi del processo.

Variazioni in perdita di massa fogliare per 12 shredders nelle monocolture di Figura 3: Asellus aquaticus, Gammarus pulex e Sericostoma personatum, calcolata come media delle perdite di massa fogliare (g) per unità di biomassa del consumatore (mg).Le singole specie non hanno influenzato significativamente i tassi del processo.

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Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea

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Nelle monocolture invece i tassi di decomposizione sono stati generalmente più bassi per gli organismi di taglia “piccola” rispetto a quelli di taglia “grande” della stessa specie (Fig. 4a), ma sono risultati signiicativamente più veloci per unità di biomassa del consumatore (Fig. 4b).

Decomposizione fogliare (± ES) per 12 shredders e per unità di biomassa dei Figura 4: consumatori nelle monocolture con Asullus aquaticus di taglia “piccola” (a) e “grande” (A), Gammarus pulex di taglia “piccola” (g) e “grande” (G) e di Sericostoma personatum di taglia “piccola” (s) e “grande” (S).I tassi di decomposizione fogliare sono significativamente più bassi (p<0,001) per gli individui di taglia “piccola” rispetto agli individui di taglia “grande” (a), ma significativamente più alti (p<0,001) per unità di biomassa del consumatore (b).

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Conclusioni

I risultati mostrano che gli efetti della diversità speciica sull’eicienza di con-versione della risorsa in biomassa dipendono sostanzialmente dalla biomassa totale degli organismi, piuttosto che da altre misure tradizionali di diversità (ad es. ricchez-za speciica e abbondanza relativa).

Il mancato riscontro di una diferenza signiicativa nei trattamenti con diversi livelli di ricchezza speciica o con diferenti scenari di dominanza non supporta re-centi studi nei quali vengono evidenziate interazioni positive, come la facilitazione o interferenze inter- e intra-speciiche, all’interno di assemblaggi dove coesistono di-verse tipologie quanti-qualitative di organismi (Jonsson & Malmqvist, 2003).

Nonostante l’assenza dei “tradizionali efetti” della biodiversità si è riscontrato che gli organismi di taglia “piccola” presentano una performance più elevata per uni-tà di massa corporea rispetto agli organismi di taglia “grande”. In accordo con quan-to afermano Brown et al. (2004) relativamente alle esigenze metaboliche degli indi-vidui, gli organismi con massa corporea minore presentano tassi di assimilazione maggiori rispetto a quelli degli organismi con dimensioni più grandi, per unità di biomassa, nonostante abbiano consumato una quantità inferiore di risorsa. Si può quindi desumere che in riferimento a sistemi naturali l’incremento in taglia delle specie potrebbe causare una serie di efetti sul funzionamento degli ecosistemi analo-ghi a quelli derivanti dalla perdita in specie.

Ora lo scopo è quello di misurare la diversità funzionale in modo più esplici-to, raggiungendo il vero grado di ridondanza dei sistemi naturali e lasciando che si esprimano le potenziali risposte di compensazione alla perdita in specie. Inoltre le ricerche future necessiterebbero di maggior realismo, includendo sia la ricchezza in specie che in caratteristiche individuali, considerando più di un livello troico, e ana-lizzando più di un processo ecosistemico (Reiss et al., 2009; Woodward, 2009).

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Effetti della ricchezza specifica, delle abbondanze relative e della taglia corporea

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A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System to monitor climate aridity

and drought in Mediterranean area

Analisi preliminare di un sistema di supporto alle decisioni basato su GIS

per monitorare l’aridità climatica e la siccità in Paesi dell’area Mediterranea

Luca Salvati1*, Stefano Tersigni1, Simona Ramberti1, Marco Zitti2 & Luigi Perini2

1 ISTAT, Environmental Statistics Unit, Via A. Ravà 150, 00142 Rome 2 Council for Research in Agriculture (CRA), Unit for Climatology and Meteorology

applied to Agriculture (CMA), Via del Caravita 7a, 00186 Rome*[email protected]

Abstract

his paper illustrates a GIS-based information system aimed at monitoring drought conditions and land vulnerability to drought for Italy at a detailed spatial scale. he system is composed of three modules which include (i) a meteorological module which allows calculating climatic igures at a very detailed spatial scale over the whole Italian territory, (ii) a drought severity synthetic index, and (iii) a land vulnerability index based on a set of environmental variables describing climatology, soil properties, and land use in order to synthetically evaluate drought risk in potentially dry areas. he meteorological module produces cartographic outputs based on data from nearly 6,000 gauging stations whose data were collected on a daily basis over the whole country. he land vulnerability module produces an index, namely the LVI, measured in 1990 and 2000 and easily updatable. he LVI, which has a spatial resolution of about 1 km2, was built up through a multivariate approach aimed at assessing the importance of the various environmental indicators included in the synthetic index. Examples in the integration of the modules were illustrated through a GIS-based approach.

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Luca Salvati et al.

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Introduction

Drought is usually deined as a signiicant, temporary reduction in water availability below the expected amount for a speciied period and for a deined cli-matic zone. Diferent classiications of drought were developed according to the re-search ield of interest, e.g. meteorological drought, hydrological drought, and agri-cultural drought. he irst deinition is usually linked to an assessment of rainfall deicit only, the second one includes an evaluation of the water inlows and outlows balance, the third one, which is at our advice the most complete, separately evaluates diferent components of drought, namely the dimensions of duration and intensity, by providing assessment of the level of drought severity. In particular, drought dura-tion refers to the length of dry spells, whereas drought intensity refers to the amount of water deicit, taking into account a simpliied water balance with rainfall and ref-erence evapotranspiration, respectively as input and output variables (Ligetvari & Szalai, 2004). Drought severity is then estimated as an integrated index of duration and intensity (Venezian Scarascia et al., 2006).

he aim of this paper is to illustrate a procedure aimed at developing a GIS-based monitoring scheme for Drought Severity. he procedure is requested to pro-duce this information at a detailed geographical and time scale. his contribution is organised as follows: the statistical survey aimed at collecting a large data set of me-teorological observations in Italy was described in paragraph 2. he statistical ap-proach aimed at calculating indicators of drought duration and intensity, thus pro-ducing a composite index of drought severity, was detailed in paragraph 3. he integration of diferent data sources in order to estimate a synthetic index of land vulnerability to drought was discussed in paragraph 4. he conclusion paragraph completes the paper by discussing the implications of permanent assessment of drought on policies aimed at mitigating drought risk in the Mediterranean basin.

The National Institute of Statistics survey on meteorological networks in Italy

Since 1926, the Italian National Institute of Statistics (ISTAT) disseminates meteorological data collected from gauging stations located over Italy. In 2007 ISTAT carried out a research project entitled “Meteo-climatic and hydrologic indicators”. his project, which is included in the National Statistical Program (2008-2010) tends

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A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System

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to implement a geographical data-warehouse with meteorological, agro-meteorologi-cal, and hydrological daily values measured since 1951 from more than 6,000 gaug-ing stations, provided by several national, regional, and local institutions.

he project has the following objectives: (i) to provide a survey of the Italian institutions collecting meteorological data through the own network of gauging sta-tions and (ii) to collect these data into a geographical data-warehouse in order to im-prove procedures for environmental monitoring. Survey of meteorological networks was done on national services, regional services (e.g. rural development agencies), and local institutions (e.g. research institutes). Based on the results of statistical data collecting, checking and imputing lacking values, the data-warehouse will allow esti-mating the main climate variables at high spatial resolution. Finally, a set of indica-tors describing the interaction of climate with biological, agronomic, pedological, and hydrological themes will be estimated, through down-scaling approaches, at dif-ferent administrative spatial scales (e.g. municipalities, local labour systems, agricul-tural homogeneous regions) in order to achieve integration with socio-economic variables obtained at those scales.

he survey was conducted on more than 600 institutions which included me-teorological services working at national level, regional authorities, and local agen-cies operating in the environmental ield (Fig. 1).

m National services

m Regional networks

m Local institutions

14 %6 %

80 %

National services

Regional networks

Local institutions

0 20 40 60 80 100 120 140 160

133

125

2

Number of stations per network

Provisional (percent) number of gauging stations actually at work by type of Figure 1: meteorological network (left), and average number of station per network by network type (right).

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he respondent’s list was compiled by dedicated searches on the web, by col-lecting additional information through the main national meteorological services, and by interviews with experts working at regional and local level. Data were col-lected through a statistical survey in 2008 by using software tools and data captur-ing. Metadata from each considered station were collected through Computer As-sisted Technology Interviews CATI with holders of each network. he number of collected stations was rapidly increasing and it is expected to reach a size of about 6,000 gauging stations in a few months. A geo-database was developed in ORA-CLE/ARCGIS platforms in order to properly store collected time series data of all the climatic variables. A dedicated module calculates climatic indicators for environ-mental surveillance in agriculture, public health, tourism and water use on daily, weekly, monthly and yearly basis. At the moment, we are developing a geo-statistical module aimed to produce reliable climatic igures over the whole Italian territory at a afordable spatial scale.

Calculating an agricultural drought index for the Italian territory

Among the several methods proposed to describe drought incidence, the se-lected method appears as suitable to provide an objective characterisation of drought events. A simple drought index, obtained from only two input variables (rainfall and reference evapotranspiration), could be able to describe the diferent aspects of drought severity and to recognise ‘normal’ conditions, both in statistical and in eco-logical terms. Our goal is therefore to develop a drought index able to produce infor-mation on detailed spatial and temporal scales.

In this module a drought severity index (DSI) was calculated following the methodology illustrated in Salvati et al. (2008). DSI allows to monitor agricultural drought especially when data availability is poor and it concerns temperature and precipitation data only. he module chose meteorological stations with valid daily precipitation data > 97 % and daily temperature (max and min) data > 95 % across the considered period (1/1/1951–31/12/2007). ET0, daily estimated evapotranspira-tion (mm day –1) was computed using the Hargreaves–Samani approach (Hargreaves & Samani, 1985), by computation on minimum and maximum daily temperature.

Water deicit was obtained as the diference between precipitation and ET0 along a ixed time period. he procedure used to obtain the DSI consists of ive steps: (i) deinition of dry day and identiication of dry periods; (ii) computation of

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A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System

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dry period climatology; (iii) assessment of dry period anomaly by using climatic per-centiles, (iv) description of drought conditions by the way of partial indicators of drought duration and intensity, and (v) estimation of agricultural drought severity by the DSI index (Salvati et al., 2008). he DSI could be used to assess general cli-matic conditions occurring in a certain location. It allows a synthetic description of drought episodes in terms of both length of dry spells and water balance. Such fea-tures make this index suitable for studying the relationships between several environ-mental topics and climate changes.

Evaluating land vulnerability to drought

he third module, named ‘evaluating land vulnerability to drought’ produces cartographic layers needed to quantify the exposure of each territory to drought risk according to agriculture, population density, and other important human activities. his module develops the Land Vulnerability Index (LVI) illustrated in Salvati et al. (2009) (Tab. I). his easily updatable index, composed by 15 thematic indicators, was computed at a spatial resolution of 1 km2. he LVI was built up through a mul-tivariate approach aimed at assessing the importance of the various environmental indicators included in the synthetic index.

LVI dimensions, variables used (and their abbreviation), units of measurement, and Table I: data sources (S.C.: sensitivity classes).

Theme Variable Sign Unit of measure Source

Soil quality

Soil depth (DEP) – Mm Ministry of Agriculture

Organic carbon content (CAR) – % Ministry of Agriculture

Available water capacity (AWC) – Mm Ministry of Agriculture

Soil texture (TEX) + S.C. Ministry of Agriculture

Estimated erosion risk (ERO) + t ha-1 a-1 EU Joint Research Centre

Climate Aridity index (ARI) + mm mm-1 Meteorological statistics

Average annual rainfall (RAI) – Mn Meteorological statistics

Rainfall variability (RVA) + SD/mean( %) Meteorological statistics

Rainfall concentration (RCO) + mm mm-1 Meteorological statistics

Number of rainy days (NRD) – d a-1 Meteorological statistics

Land use

Vegetation quality (VEG) – S.C. CORINE Land Cover

Population density (POP) + Km-1 Household Census

Demographic variation (DEM) per ten years + % Household Census

Agricultural intensification (INT) + S.C. CORINE Land Cover

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Figure 2 illustrates the distribution of the index over Italy in 2000 (arrows in-dicate increasing land vulnerability). Increasing land vulnerability was observed dur-ing the last years, especially in dry areas of the southern regions. his is interpreted as a consequence of land management practices, agricultural intensiication, popula-tion pressure, and bio-physical degradation.

Distribution of the LVI in 2000 over Italy: darker colours indicate higher land Figure 2: vulnerability.

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A preliminary analysis of GIS-based Decision Support System

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Conclusion

his study proposes a synthetic index (the DSI) to estimate agricultural drought by way of a simpliied model of water balance which identiies the severity of dryness conditions during low-rainfall periods. Such an index uses as input vari-ables only daily measures of rainfall and temperature, thus resulting suitable when few agro-meteorological data are available (Motha & Sivakumar, 2001). Overall, DSI provides a drought estimation which is quite comparable to that obtained from more complex, integrated indices, like SPI and DRI (Salvati et al., 2009). he pro-posed methodology may thus summarise in one value the diferent climatic relation-ships involved in the occurrence of drought events for any considered period (In-certi et al., 2007). It follows that the DSI time proile is informative not only about drought risk at a single time step, but also about its persistence with time. According to recent tendencies to evaluate drought episodes through simultaneous use of sev-eral indices or variables (Wu & Wilhite, 2004), the procedure has been implemented by a Land Vulnerability Index (LVI). As a matter of fact, the complex evaluation methods of drought conditions need a comprehensive framework in which several aspects should be combined (Svoboda et al., 2002), including (i) climatic (hydro-meteorological) data and indices, (ii) soil quality and topography, (iii) crop cover (vegetation) conditions, and (iv) other human factors, like land use, population growth and density, urban sprawl and tourism pressure, as the LVI does. he next step will be the full integration of the three modules into a GIS environment. In such an integrated approach the proposed indexes will contribute to a better and more accurate evaluation of drought processes.

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Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera:

una metodologia basata su parere esperto e immagini LiDAR

High resolution map of connectivity and barrier effect estimation:

an expert-based approach using LiDAR data

Rocco Scolozzi1* & Daniele Vettorato2

1 Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Centro Ricerca e Innovazione, Via Edmund Mach 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN)

2 Dip. Ingegneria Civile ed Ambientale, Università degli Studi di Trento, Via Mesiano 77, 38050 Trento*[email protected]

Abstract

L’efetto barriera causato da elementi del paesaggio antropizzato è uno dei fattori che limitano maggiormente la mobilità di specie faunistiche e che possono aumentare le probabilità di estinzione di popolazioni già frammentate. Sebbene esistano numerosi studi sulla frammentazione degli habitat rimangono due fattori limitanti nell’applica-zione delle metodologie disponibili nelle procedure di Valutazione ambientale e Valutazione Ambientale Strategica. Il primo è la mancanza di un’univoca attribuzione scientiica all’efetto barriera di elementi isici e quindi la mancanza della deinizione di soglie altimetriche e tipologiche collegate alla capacità di mobilità delle diverse specie faunistiche. Il secondo è la complessità nel reperimento dei dati dettagliati riguardanti le caratteristiche isiche delle barriere, acquisibili solamente attraverso costosi rilievi sul campo e per piccole aree.Si presenta una metodologia speditiva basata sul parere esperto e sull’analisi di dati LiDAR (Light Detection and Ranging; o Laser Imaging Detection and Ranging) per fornire una valutazione dell’efetto barriera di elementi isici di paesaggio. Il LiDAR è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o l’altezza di una supericie utilizzando un impulso laser. Il parere esperto, raccolto attraverso un’indagine Delphi ha permesso di stimare l’efetto barriera di elementi del paesaggio (elementi lineari o areali) al movimento di un set di specie (target) (rana, moscardino, riccio, tasso, capriolo). Queste specie sono rappresentative della vagilità delle comunità animali presenti nell’area di studio, un’area del fondovalle della Valsugana (Trentino). I dati LIDAR hanno permesso un’analisi del Modello Digitale della Supericie (DSM) ad alta risoluzione (0,3 m). Da questo modello e la carta di uso

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Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato

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del suolo, sono state identiicate e caratterizzate le potenziali barriere isiche al movimento di specie faunistiche target.Tale approccio speditivo e semiautomatico può essere integrato eicacemente in analisi di paesaggio o procedure come la VIA e la VAS al ine di deinire gli efetti sulla connettività causati dai potenziali cambiamenti di uso del suolo. La metodologia forni-sce una valutazione degli impatti potenziali e supporta anche l’identiicazione di aree importanti per una successiva progettazione e monitoraggio di misure mitigative e/o compensative.

Introduzione

La connettività ecosistemica è un fattore cruciale per il mantenimento della biodiversità in territori antropizzati (Opdam et al., 2003). La connettività degli ha-bitat supporta veri e propri processi ecologici che svolgono un importante ruolo nel-la resilienza degli ecosistemi (Lundberg & Moberg, 2003). D’altra parte, nei fondo-valle alpini le aree naturali-formi sono generalmente disperse e sempre più isolate da infrastrutture e usi antropici del territorio. In questi ambienti la frammentazione an-tropogenica si aggrava a causa degli elementi geomorfologici quali pareti rocciose, ripidi versanti vallivi, reticoli idrograici che sinergicamente limitano la connettività degli habitat. Le popolazioni di specie di fauna terrestre legate a tali habitat o alle piccole aree protette di fondo valle (es. SIC, biotopi protetti), rischiano estinzioni locali se la gestione del territorio e la pianiicazione, pur conservando integre le aree, non prevedono una minima bio-permeabilità tra loro (La Rovere et al., 2006).

Gli strumenti disponibili per un’analisi della permanenza delle popolazioni (quindi delle specie) in un territorio, come la population viability analysis (Akçakaya & Sjögren-Gulve, 2000; Vos et al., 2001), sono spesso basati sulla teoria della meta-popolazione (Hanski, 1994) e richiedono risorse per campionamenti e tempi di mo-nitoraggio e raccolta dati (Coulson et al., 2001) diicilmente disponibili in ambito di pianiicazione territoriale e di valutazione ambientale (VIA, VAS). Recenti appli-cazioni della teoria dei grai alla connettività degli habitat (es. O’Brien et al., 2006; Pascual-Hortal & Saura, 2007; Minor & Urban, 2008) si sono mostrate eicaci nell’analisi della connettività intesa come conigurazione spaziale degli habitat. In questi sviluppi, tuttavia, sembra mancare un supporto operativo alla pianiicazione a scala locale (es. comunale). A questa scala, specialmente nelle regioni alpine, varia-zioni di uso del suolo anche molto localizzate possono modiicare irreversibilmente la possibilità di dispersione della fauna terrestre.

L’intento dello studio, di cui in questo testo presenta una parte, è quello di supportare decisioni e valutazioni nell’ambito della pianiicazione territoriale e della

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Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera

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valutazione degli impatti ecologici correlati al cambiamento di uso del suolo. Nello sviluppo, un’attenzione particolare è stata dedicata all’applicabilità del metodo in contesti di risorse limitate e alla comprensibilità dei risultati anche da parte di non-ecologi. Il contributo innovativo dell’approccio proposto si basa sull’utilizzo di dati altimetrici ad altissima risoluzione (0,3 m) prodotti tramite rilievo LiDAR e dei gra-i spaziali nella rappresentazione della connettività funzionale (specie-speciica) a sca-la ecosistemica locale.

Il metodo è stato applicato ad un contesto di fondovalle alpino, la Valsugana, nella parte alta del bacino del iume Brenta (in provincia di Trento), tra i comuni di Pergine e di Roncegno. In particolare l’area di studio è situata sotto i 700 m di quota, per una supericie totale di circa 100 km2. I conini dell’area di studio sono stati de-initi sulla base della geomorfologia e della presenza di aree urbane, fattori che costi-tuiscono presumibili discontinuità ecologiche del territorio.

Metodologia e procedura

La metodologia è composta dai seguenti passi: Selezione delle specie target e raccolta d’informazioni sulla capacità di movimen-1. to, di dispersione, deinizione delle esigenze di habitat (proili ecologici);foto-interpretazione e riclassiicazione delle classi di copertura secondo EUNIS 2. (Davies et al., 2004) (3° livello) in termini di idoneità di habitat sulla base dei proili ecologicideinizione delle categorie di elementi barriera e stima dell’efetto barriera da par-3. te di esperti a livello nazionale, coinvolti in un indagine Delphi (Scolozzi, 2008);Localizzazione delle barriere e loro caratterizzazione per l’area di studio, tramite 4. analisi dei dati altimetrici LiDAR e rilievi di campo; disegno del grafo spaziale delle connettività, caratterizzazione delle connessioni 5. (archi del grafo) ovvero deinizione della probabilità di connessione tra patch (Scolozzi & Geneletti, 2009).

Di seguito si presenta nello speciico solo il passo 4, relativo alla localizzazione e classiicazione delle barriere isiche lineari tramite dati LiDAR, per gli altri passi si rimanda ai lavori citati. Brevemente, gli elementi del paesaggio rurale e urbano che possono costituire barriere per la fauna sono stati identiicati sulla base della lettera-tura e assunzioni, poi localizzate in base all’uso del suolo e del rilievo in campo. Le dimensioni sono state individuate cercando un compromesso con l’esigenza di di-

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stinguere soglie signiicative per le diverse specie, la risoluzione del dato LiDAR e la facilità di rilevazione in campo.

Il dato LiDAR si presenta come una nuvola di punti vettoriali quotati ad al-tissima risoluzione (0,3 m) che descrive la supericie terrestre. In questo studio i dati LiDAR sono stati resi disponibili dalla Provincia Autonoma di Trento. Gli attuali strumenti di analisi dei dati LiDAR permettono due operazioni di base utilizzate in questo studio: la separazione e l’eliminazione degli oggetti che insistono sulla super-icie terrestre e quindi la creazione di un DTM che rappresenta la cosiddetta “nuda terra” e l’analisi delle discontinuità altimetriche e morfologiche al ine di identiicare spazialmente elementi con caratteristiche geometriche predeinite (Priestnall et al., 2000). In questo studio sono stati identiicati spazialmente gli elementi isici lineari del paesaggio caratterizzati da una signiicativa discontinuità altimetrica e morfolo-gica, per esempio muretti a secco, arginature di corsi d’acqua, strade e altre strutture in rilievo. Nello speciico la procedura di estrazione delle discontinuità è presentata nella igura 1, nelle successive si presentano i risultati intermedi, quali la mappa del-le pendenze (Slope) (Fig. 2a), la mappa dei proili di convessità (Proile Convexity)

(Fig. 2b), che sono stati integrati per ottenere la mappa delle barriere isiche classii-cate in quattro intervalli di altezza.

Diagramma della procedura di Figura 1: estrazione delle barriere fisiche dal dataset LiDAR.

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Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera

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a) b)

Mappe di Figura 2: Slope (a) e Profile Convexity (b).

Mappa delle barriere Figura 3: e definizione del grafo spaziale della connettività funzionale.

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Partendo dalla mappa delle barriere e da rilievi di campi sono state deinite unità di paesaggio: aree con copertura naturale o semi-naturale continue, delimitate da barriere naturali o artiiciali (Fig. 3). Queste unità sono state messe in relazione tramite un grafo spaziale, i cui legami sono stati caratterizzati da una probabilità di passaggio (complementare all’efetto barriera) specie-speciico. In igura 3 si presenta il risultato dello studio applicato a supporto della pianiicazione locale (studio per il PRG del Comune di Roncegno).

Risultati e discussione

La metodologia presentata, seppur ancora in via di sviluppo, contribuisce allo sviluppo di strumenti di analisi della connettività ecologica integrabili nelle procedu-re di VIA e VAS. È stato dimostrato come con gli strumenti di rilievo territoriale at-tualmente disponibili sia possibile minimizzare il tempo necessario per identiicare gli elementi del paesaggio che costituiscono barriere isiche al movimento di specie faunistiche target.

In particolare, dal punto di vista operativo è stata testata: L’utilità dei dati LiDAR e di alcuni algoritmi di analisi geomorfologica nell’estra-•zione di elementi isici, in questo caso: elementi lineari con discontinuità altime-trica rispetto al piano campagna;La possibilità di integrare un’analisi geomorfologica semiautomatica con il parere •esperto;La possibilità di derivare, dalle analisi precedenti, dei grai spaziali che descrivono •la connettività e le conigurazioni spaziali degli habitat e che siano utilizzabili nel-le procedure di VIA e di VAS.

Ovviamente la metodologia ha dei limiti di diverso tipo (teorici e operativi) e diversamente superabili. L’applicazione della metodologia presentata è vincolata alla disponibilità del dato LiDAR per l’area di studio. Dal punto di vista dei software uti-lizzati è stato riscontrato come non esista un unico programma (commerciale o open-source) che contenga tutti gli strumenti necessari all’applicazione della procedura.

D’altra parte, i processi modellati sono diicilmente misurabili e veriicabili, e caratterizzati da una signiicativa aleatorietà. L’efetto barriera è il risultato dell’intera-zione tra un manufatto umano (es. strada) e l’animale, che dipende dal contesto (es. stagione, condizioni atmosferiche, presenza e frequentazione dell’uomo), dalle condi-zioni dell’animale (es. fase migratoria o fase riproduttiva, età, equilibrio tra popola-

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Cartografia ad alta risoluzione della connettività e stima dell’effetto barriera

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zione locale e risorse alimentari locali), da altri fattori sinergici (es. fonti di rumore, una strada rumorosa può costituire una barriera invalicabile anche a distanza).

Un ulteriore fattore d’incertezza riguarda l’uso di una o più specie target a rappresentanza della comunità faunistica locale. Le specie target deinite per l’area di studio sono eterogenee per gruppo (anibi, mammiferi), per dimensione e per capa-cità di spostamento, quindi rappresentano una ampio range di sensibilità alla fram-mentazione, ma non necessariamente sono specie focali (Lambeck, 1997). La sele-zione delle specie signiicative può essere inluenzata dalla disponibilità di dati o di conoscenze, più che dal reale ruolo di specie indicatrici e rappresentative.

Potenziali sviluppi potrebbero riguardare sia la parte di analisi dati LiDAR e processamento in ambiente GIS sia la parte di modellazione. Nello speciico dell’ana-lisi si pensa al miglioramento della procedura di estrazione delle barriere isiche da dati LiDAR testando altri iltri morfologici e diversi algoritmi di estrazione di ogget-ti tridimensionali. Riguardo alla modellazione della connettività tramite grai spazia-li, un prossimo passo potrebbe essere volto verso lo studio e modellazione dei lussi potenziali d’individui. Da questi modelli si potrebbero trarre indicazioni sulla fun-zionalità o meno di scenari di pianiicazione a sostenere meta-popolazioni (popola-zioni frammentate), quindi valutare l’impatto ambientale d’ipotesi progettuali (es. infrastrutture stradali).

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Rocco Scolozzi & Daniele Vettorato

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Premio Marchetti

Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem

of Majella National Park, Abruzzo

Il lupo e la selezione della preda nell’ecosistema del

Parco Nazionale della Majella, Abruzzo

Azzurra Valerio1,2*, Antonio Antonucci2, Alessandro Giuliani3, Marina Cobolli1 & Teodoro Andrisano2

1 Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma

2 Ente Parco Nazionale della Majella, Via Badia 28, 67039 Sulmona (AQ) 3 Dipartimento Ambiente, Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 121, 00161 Roma

*[email protected]

Abstract

Prey selection is a critical component of foraging ecology of wolves (Canis lupus) that could aid in predicting the efects of these predators on preys populations. Our objective was to examine how habitat features and spatial relationships between wolves and ungulates may inluence selection and vulnerability of prey for providing a better prediction of the environmental impact of wolves in Majella National Park (MNP). Wolf food habits relative to nine diferent pack territories were assessed by scat analysis from November 2007 through November 2008. Wild ungulates resulted the main source of food and accounted in total for 91 % of occurrence frequencies, whereas livestock reached just 5.87 %. Percentage of occurrences of diferent prey types in scat samples of every wolf packs, were compared each other through Principal Component Analysis (PCA). Prey selection was investigated by correlating the Principal Compo-nents with seasonal patterns distribution and relative abundance of the most common wild ungulates of each wolf pack territory. Since selection for wild ungulate species (adults and juveniles comprised) resulted partially afected by their abundance, other factors that could inluence their vulnerability were investigated. hus, the physical features of the packs territories were analyzed by multidimensional statistics (PCA and Cluster Analysis) giving rise to few explanatory components that in turn were

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Azzurra Valerio et al.

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correlated with the principal components arising from the scat composition analysis. he two physical and food habits spaces were demonstrated to be correlated with each other and gave a consistent depiction of the wolves ecology in Majella National Park.

Introduction

Prey selection is a critical component of foraging ecology of wolves (Canis lu-

pus) that could aid in predicting the efects of these predators on preys populations. Wolves in MNP cohabit with a multi-speciic community of wild ungulates with whom they share, in large sectors of the Park, natural integral conditions and a low level of human settlements. hese unique conditions ofer the rare opportunity of studying wolf diet and possible selective processes for both given wild ungulate prey species as well as demographic categories related to their abundance and distribu-tion. Understanding of wolf-prey relationship has been intensively debated in the last twenty years and the efects of wolf predation resulted varied by area, weather conditions, prey species and human harvest. hus, our objective was to examine how habitat features and spatial relationships between wolves and ungulates may inlu-ence selection and vulnerability of prey, in order to provide a better prediction of the environmental impact of wolves in MNP.

Methods

Population structure and patterns distribution of wolves and ungulate

communities

Presence, number of wolves and potential range were constantly monitored since 2004 by wolf howling and snow tracking activity. Wolf howling census was made using the approach described as “saturation census” by Harrington and Mech (1982). Surveys were carried out between late July and early September. To verify and complete the information obtained by wolf howling, snow tracking census ses-sions were mainly concentrated in the areas around summer pack localizations, and were conducted by diferent teams operating at the same time in adjacent areas, usu-ally 24 to 36 h after a snowfall. A total of 60 transects (560 km) were used.

Density of wild ungulates was estimated by diferent census methods. Red deer were surveyed by counting roaring males, during the rut, in all the study areas. Counts were replayed twice in the middle of September. he total number of red

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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deer was extrapolated considering the number of roaring stags and the percentage of stags in the population, calculated by data on population age structure collected on established transects and by observations from vantage points. Data on roe deer and wild boar were collected on established transects and by observations from vantage points to estimate numbers of individuals, sex and age structure. For roe deer, den-sity after parturition was calculated on the basis of the relative frequencies of females in the population, and their fertility was obtained from females shot in areas close to Park boundaries (Antonucci & Valerio personal observations). For wild boar, density after birth was calculated by adding percentage of piglets, determined from data col-lected on ungulate community structure, to individuals >1 year of age. Chamois were surveyed by means block census method and their range was established by us-ing telemetry data.

Wolf food habits

Field collection. Wolf food habits were assessed by fecal analysis from Novem-ber 2007 to November 2008. In nine diferent pack territories of MNP, scat sample (N=530) were collected opportunistically by following wolf tracks in the snow and along a network of trails, paths, forest road regularly used and marked by wolves. Twenty six standardized transects for a total of 287 km were traced and covered on foot every two weeks. During the year of the study, seasonal shift of packs range was continuously monitored by snow tracking activity, wolf howling and by revisiting recurrent deposition sites during summer season. Anyway, because topographic fea-tures (i.e. mountain peaks, deep valleys, etc.) seem to be used as boundaries in the most MNP pack territories, wolf scats could be assigned to individual packs with conidence. Only scats (N=10) collected in the few bufer zones between neighbor-ing packs were excluded from analysis unless they were associated with tracks of the packs in the snow. he presence of presumable transient lone wolves scats, in the sample of each pack territory, was not accounted in consideration of pre-dispersal forays and single movements of pack members. Indeed, it would have been consid-ered negligible because lone wolves traversing wolf-inhabited ranges tend not to scent-mark for concealing their presence (Rothman & Mech, 1979). To avoid the possibility to mix up wolf scats with those of other Canids, dogs Canis familiaris and foxes Vulpes vulpes, additional criteria were used: scat dimension and composition, deposition site, tracks or sign of wolf activity. Mistake with dogs is more likely dur-ing summer period when livestock could graze in pastures, therefore some of these

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areas were excluded from sampling design according to a conservative approach. Two seasons, winter (November-April) and summer (May-October) were compared, con-sidering diferent environmental (presence/absence of snow) and ecological condi-tions of both wolf and ungulate populations (breeding season, distribution patterns, habitat use and presence of livestock). Estimate age of scat deposition was assured by rotational sampling efort occurred at intervals of 2 weeks. Scats weathered and non-collectible were discarded as well because they do not fulill scat-analysis criteria. For three packs (Porrara, Colle Papaccio, Gamberale) summer sample size was too lim-ited for a reliable diet assessment and consequently the collected scats were not in-cluded in the analysis.

Laboratory procedures and Scat-analysis methods. he analysis of scats followed standard procedure as reported by Reynolds and Aebischer (1991). Prior to scat-analysis, trained observer’s (AV) bias in identifying mammal hairs was assessed by means of a blind test on a sample of 120 hairs from local mammals. Scats preserved in labeled plastic bags at –23 °C were autoclaved prior to analysis. After washing through a sieve (5 mm meshes), macro-components were not hand separated before air-drying, in according to point-frame technique used in this study for quantifying diet composition; for details see Ciucci et al. (2004). his procedure allows system-atic sampling of the undigested remains of each fecal sample. Guard hairs were rec-ognized at a speciic level using reference key (Teerink, 1991) and reference collec-tion of local mammals hairs gathered from live specimens during this study. Among ungulates, the distinction into juvenile and adult was carried out due to the charac-teristic hair patterns of young animals from birth till the irst molt (≤ 5 months) and recognizable solid fragments (e.g. bones, teeth, nails) were identiied by referencing to museum specimens. For assessing the relative importance of particular food prey items in the diet, diferent scat-analysis methods commonly used for wolf were em-ployed: relative frequency of occurrence (FO), relative volume (RV) and ingested biomass (B) values, using Weaver’s (1993) linear regression model (y = 0.439 + 0.008x) for mammalian prey. Statistical comparison between these methods was made in order to evaluate bias and discrepancies in their quantitative assessment of the diet and to give an overall accurate depiction of wolf food habits. High positive correlation (0.95 ≤ rs ≤ 1; 5 < n < 9; p < 0.001) between all methods was reported. hen, for comparison with other studies, relative frequency of occurrence was cho-sen for the quantitative description of the diet and for the statistical analysis. Bias associated with frequency were not accounted in this study for absence in the wolf

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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diet of small and medium size mammals (rodents, hares, insectivores) together with the prevalence of prey items of similar size (87.19 % FO) (Weaver, 1993).

Spatial analysis

Habitat variables relative to nine wolf packs territories were measured by means of digitalized 1:25,000-scale land-use map of the study area. Vegetation types and land-use variables were reclassiied into six groups from a set of 10-15 initial cat-egories obtained directly by the Corine Land Cover classiication system (2000) and stored in ArcView3.2 (Environmental Systems Research Institute, Inc., Redlands, California, U.S.A.). hese new categories consist of woods, scrublands, agricultural lands, open areas, urban settlements and pasturelands. Using digital terrain model (square cell size of 1600 m2) physical variables of each wolf pack territory were meas-ured as well. Aspect consist of 8 categories: (1) 0-45°, (2) 46-90°, (3) 91-135°, (4) 136-180°, (5) 181-225°, (6) 226-270°, (7) 271-315° and (8) 316-360°. Altitude con-sists of 6 categories: (1) 0-500 m, (2) 501-1000 m, (3) 1001-1500 m, (4) 1501- 2000 m, (5) 2001-2500 m and (6) > 2501 m. Slope consists of 4 categories: plain, low slope, medium slope, high slope. Basic statistics for the nine wolf packs territo-ries were calculated for all the variables (mean values and standard deviation or per-centage of coverage). he areas considered in the analysis give rise to a speciic pat-tern of relation between the 24 variables that in turn generate spatial principal component scores: these allow to project the wolf packages into low dimensional space summarizing the physical features of their habitats. he correlation between spatial and diet components allows to sketch some explicative hypotheses about food habits.

Statistical analysis

Analysis of Variance (ANOVA) was used to check the statistical signiicance of diferences in the seasonal distribution of the most important food species.

Multidimensional analysis was applied to estimate diferences in the distribu-tion of FO ( %) values among wolf packs. Percentage of occurrences of diferent prey types in scat samples of every wolf pack were compared each other through Principal Component Analysis (PCA). PCA is a projection method used for exploiting the in-formation embedded in multidimensional data sets. A raw data set constituted by a matrix having as rows (statistical units) wolf packs and as columns (variables) fre-

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quency of occurrence of the diferent preys was generated. Two separate analyses were performed for winter and summer periods. Degree of wolf packs selection of diferent prey category within each species was evaluated for wild ungulates (wild boar, roe deer, red deer and chamois). he component scores obtained from PCA applied to the above deined matrix were correlated with the number of diferent wild ungulates prey species, counted in each pack territory for both periods, so as to check the consistency of the prey selection hypothesis. PCA was also used to analyze the same wolf packs in terms of twenty-four habitat variables, in order to comple-ment the diet proile with an ecological signature of the same packs. his second analysis gave rise to few explanatory ‘environmental’ components that in turn were correlated with the principal components arising from the scat composition analysis, suggesting some possible hypotheses about factors that could inluence wolf prey se-lection.

K-means non-hierarchical cluster analysis was applied to the component scores of the wolf packs so as to identify relevant classes of packs as for food habits. Linear discriminant analysis was applied to the characterization of the diferent packs groups.

Results

Population structure and patterns distribution of wolves and ungulate

communities

During wolf howling session relative to summer 2007 the presence of the 8 packs recorded in summer 2006 was conirmed and three new packs were detected. Density of reproductive units is 1.3 pack/100 km2. Pack size averaged 7.2 ± 1.3 dur-ing summer and 6.1 ± 1.1 during winter period, with packs constituted by 7-8 indi-viduals. Wild boar was the most abundant species in all MNP territory and in all wolf packs range with the exception of Fara pack, where density of chamois was wide abundant. Availability of roe deer and red deer was quite similar and chamois, re-introduced later than the others ungulates, was present with lower density. Tables with community structure of both wild ungulates and wolves as well as igures with their potential range overlapped are not shown in this paper.

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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Wolf food habits

From November 2007 to November 2008, a total of 530 scats was collected in nine diferent packs territories of MNP. With regard to the composition of diet, wild ungulates represented, during the whole year of the study, the main source of food for all wolf packs and accounted in total for 91 % of frequency of occurrence. On the other hand, livestock reached only just 5.87 % and fruits of Rosa canina (Rosa canina), that were common in scats only during the winter period, reached 3.13 %. Wild boar was the most abundant food item (67 %) of all prey items in the whole year and for all wolf packs. he others wild ungulates seemed to be less impor-tant in the wolf diet: roe deer and red deer made up in total 13.3 and 7.7 % respec-tively, whereas chamois accounted for 4 %. hese proportions undergo temporal and spatial changes according to a iner scale of analysis relative to diferent packs (Tab. I). here were signiicant seasonal variations of the most important food items in the wolf packs diet during the year of study (Tab. II).

Winter (November-April) and Summer (May-November) percentage of frequency of Table I: occurrences (FO %) of different prey types relative to nine wolf packs in the Majella National Park. Italics corresponds to the absence of this prey types in the pack territory. Win = winter period; Sum = summer period; * horses; ** bovids; # goat; § sheep; Ne = not evaluate.

Wolf Packs Food item (FO %)

Wild boar Roe deer Red deer Chamois Livestock Rosa canina

Win Sum Win Sum Win Sum Win Sum Win Sum Win

Orfento 52.5 39.0 33.3 27.2 4.2 12.0 0.0 0.0 10.0* 21.8*;** 0.0

Lama Bianca 83.4 48.0 0.0 32.3 3.1 0.0 6.3 19.7 0.0 0.0 6.8

Pretoro 81.0 65.0 11.0 16.6 0.0 18.4 0.0 0.0 0.0 0.0 8.0

Fara 65.0 31.0 0.0 0.0 0.0 0.0 34.0 53.0 0.0 15* 0.0

Salle 82.3 64.6 8.1 12.2 3.3 15.8 0.0 0.0 4.9* 7.4* ; # ; § 1.4

Gobbe 79.0 60.6 8.2 11.0 0.0 9.2 8.2 7.1 4.6** 10* 0.0

Porrara 80.6 Ne 12.0 Ne 4.7 Ne 2.5 Ne 0.0 Ne 0.0

C. Papaccio 55.4 Ne 17.2 Ne 5.4 Ne 0.0 0.0 18.3*;** Ne 0.0

Gamberale 52.0 Ne 16.3 Ne 9.1 Ne 0.0 0.0 22.6* Ne 0.0

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Seasonal variation in the use of the most important food categories, tested by Anova Table II: test, among six wolf packs sampled in the winter and summer periods.

Wolf PacksPrey item

Wild boar Roe deer Red deer Chamois

Orfento 0.001 0.11 0.53 –

Lama Bianca 0.01 0.09 0.49 0.01

Pretoro <0.0001 0.64 0.27 0.30

Gobbe <0.0001 0.66 0.006 –

Fara 0.28 – – 0.55

Salle 0.01 0.45 0.31 –

“–” corresponds to the absence of this prey types in the pack territory.

Multidimensional analysis of winter and summer wolf food habits. Data analysis begun with the computation of PCA to identify any clustering of data related to the diferences in the use of food categories among wolf packs during winter season. PCA applied to the original 9 units / 4 variables data set (wolf packs/food category) gave rise to a two component solution explaining about 79 % of the total variability in the system (56 % and 23 % for PC1 and PC2 respectively). he component score parameters were used to build Hotelling ellipse (95 % conidence interval) with the aim to identify possible outliers. In our case just one pack (Fara) was at limit of the conidence interval. In fact this pack was the only one to be characterized by signii-cant percentage of frequency of chamois occurrence in the diet. he application of cluster analysis to the component scores allowed us to highlight two groups of wolf packs. he irst group (A) was composed of Pretoro, Salle, Lama Bianca, Porrara, Gobbe, Orfento and Fara packs while the second one (B) of Gamberale and Colle Papaccio packs. To compare the two wolf packs groups, a t-test was applied to the component scores (PC1_A vs. PC1_B, etc.), highlighting signiicant diferences be-tween the wolf packs on both PC1 and PC2 (p < 0.0001). his can be appreciated in fugure I,A, where the component score plot is shown. he loading plot relative to the discriminating variables is shown superimposed over a score plot (Fig. I, A). his representation allows to contemporarily appreciate the discrimination power (posi-tion of the wolf packs in the plane) and the functional meaning (the loadings corre-spond to the correlation coeicients of the original variables with the components) of the proposed solution. When a statistical unit (wolf pack) goes in the vicinity of a variable (diet element) in the plot this corresponds to saying that the variable has a signiicantly high value in the unit. his allows to immediately appreciate the relative importance of the contribution of the diferent wild ungulates food categories in the

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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characterization of wolf packs groups. Subsequently, a linear discriminant analysis

was applied and allowed for a clear separation of the two groups (Fisher’s exact test,

p<0.0001 on the classiication matrix). he same procedure described above was ap-

plied to summer data. PCA applied to the original 6 units/4 variables data set (wolf

packs/food category) gave rise to a two component solution explaining about 72 %

of the total variability in the system (49 % and 23 % for PC1 and PC2 respectively).

he application of cluster analysis to the component scores allows to highlight two

groups of wolf packs: group (A) was composed of Pretoro, Lama Bianca, Orfento

packs, while group (B) of Gobbe, Fara and Salle packs (Fig. I, B).

A PC1 vs PC2 B PC1 vs PC2

Figure 1: A: Score Plot PC1/PC2 of the points representative of the food categories ()

recovered in the scats sample of Pretoro, Salle, Porrara, Lama Bianca, Gobbe, Orfento, Fara,

Colle Papaccio e Gamberale packs (), during the winter period. Confidence ellipse at 95 %

relative to T2 of Hotelling did not highlight outlier. The fact a given variable (prey type) is near

in space to a given pack implies the use of that prey discriminates that pack from the others.

Thus wild boar that is common to all the packs is distant from all the packs, chamois specifi-

cally identifies Fara pack and red deer, bovids and horses are peculiar of group B packs

(Papaccio, Gamberale).

B: Score Plot PC1/PC2 of the points representative of the food categories recovered in the scats

sample of Pretoro, Salle, Porrara, Lama Bianca, Gobbe, Orfento and Fara packs, during the

summer period. Confidence ellipse at 95 % relative to T2 of Hotelling did not highlight outlier.

Wolf prey selection. For investigating wolf prey selection, the irst two compo-

nent scores, that describe the diferences in the diet, were correlated with the num-

bers of diferent wild ungulates prey species, counted in each pack territory. he cor-

relation coeicients were reported in table III. his table shows the strong correlation

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between both PC1 and PC2 and the relative abundance of diferent prey types. As evident by comparing table III and igure I, the correlation structure linking compo-nent scores and prey abundances is highly variable across seasons and, most impor-tant, has nothing to do with the correspondent loadings structure. his implies an active selection of the prey by the wolf that makes the observed situation departing from the purely random model linked to the linear correlation between prey and correspondent species abundance. In order to go more in depth into the prey selec-tion problem, the physical features of each pack territory were correlated with the principal components arising from the scat composition analysis. Since physical var-iables were twenty-three, we analyzed them by PCA so to reduce the problem di-mensionality. PCA applied to the original 9 units/24 variables data set (wolf packs/ physical features) gave rise to a ive component solution explaining about 88 % of the total variability. In table IV the variance explained by each component is report-ed. hen, the loading plot relative to the discriminating variables is shown superim-posed over a score plot (Fig. II). he three ‘physical’ components obtained were in turn correlated with the principal components arising from the scat composition analysis (Tab. V). his table shows how the physical features of each pack territory could inluence the choice of wild ungulates preys by wolves.

Score Plot PC1-PC5 of the points Figure 2: representative of the habitat of nine different pack territories of the PNM, during the winter period. Confidence ellipse at 95 % relative to T2 of Hotelling did not highlight outliers.

m Wolf packs; Physical variables.

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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Correlation coefficients between the components extract from winter and summer Table III: PCA diet model and the number of the different wild ungulates prey species at disposal of each wolf pack.

Prey item PC1 PC2 PC1 PC2

Winter Summer

Wild Boar –0.58 –0.64 –0.86 0.38

Red deer 0.14 –0.65 0.59 0.26

Roe deer –0.77 –0.60 0.90 0.32

Chamois 0.70 –0.51 –0.70 –0.46

Component scores extracted from PCA model obtained by 24 physical variables of Table IV: each pack.

Wolf Packs PC1 PC2 PC3

Orfento –0.895 –0.076 0.049

Lama B. –0.036 –0.460 –0.306

Pretoro –0.400 0.177 –0.048

Fara 0.234 –0.360 0.336

Salle 0.112 0.396 –0.265

Gobbe 0.244 0.212 0.595

Porrara 0.099 –0.152 0.167

C. Papaccio 0.464 –0.201 –0.363

Gamberale 0.177 0.465 –0.163

Correlation coefficients between the components extract from winter PCA diet model Table V: and the components extracted from habitat features of each pack territory.

PC1 Diet PC2 Diet

PC1hab –0.64 –0.63

PC2hab 0.47 0.49

PC3hab 0.48 0.37

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Discussion

Wolves in MNP cohabit with a multi-ungulates community with whom they share, in large sectors of the Park, natural integral conditions and a low level of ex-ploited areas. his rich and abundant community is of great importance for MNP wolf population maintenance, accordingly to many studies performed in Europe (Mattioli et al., 1995; Okarma, 1995; Ciucci et al., 1996; Jędrzejewski et al., 2002; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004; Gazzola et al., 2005) and in North Amer-ica (review: Mech & Boitani 2003), pointing to wild ungulates as the main source of food of the wolf diet. Among wild ungulates, wild boar is by far the most exploited species as a food item throughout the annual survey in the whole territory of the Park and for all the considered packs. In terms of diferential prey spectrum, princi-pal component analysis allowed us to highlight chamois as the most relevant discri-minant species allowing us to get rid of the singularity of one of our packs (Fara), in terms of both animal populations and physical features of the territory. In general, the relative prey abundance was demonstrated to be independent from the use in the diet thus pointing to an active selection exerted by the wolf packs. he comparison between summer and winter diets allowed us to detect a marked seasonal distribu-tion in the use of wild boar. In six out of nine studied wolf packs, for which both seasons were sampled, we detected an increase of wild boar ratio in the winter diet compared to the summer one, when intake of the other wild ungulates became high-er. Actually, when snow falls occur, the severe climatic conditions and the resulting pulsed resources could enhance vulnerability of wild boar to hunting wolves. he deeper and denser snow makes its movements energetically expensive (i.e. escape from wolves and foraging) due to its shorter legs compared to other wild ungulates species. hus, the combination of impoverished nutrition and limited escape condi-tions could explain the major use of wild boar as a food category in MNP wolf packs diet during winter season. Cervids constituted a secondary fraction of MNP wolves diet, with percentages of occurrence much lower compared to the wild boar. his oc-curs also in diferent study areas in the northern Apennines (Mattioli et al., 1995; Capitani et al., 2003; Gazzola et al., 2005), in which anyway wild boar is not the bulk of the ungulate community as in MNP. he contribution of these secondary prey categories to the wolf diet was almost equivalent. Even so, a major use of roe deer than red deer was overall observed, although their availability is comparable in the whole territory of the Park. We suggest that some external factors, like particular habitat characteristics of wolf packs territories or winter severity or their combina-

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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tion, may play a relevant role in shaping these diferences. he susceptibility of roe deer was linked throughout the year to particular ecological characteristics. Indeed, mosaic of mixed forest, agricultural and pasture lands, could increase roe deer den-sity and group size because of its ability to exploit human dominated landscapes (Linnell & Andersen, 1995; Hewison et al., 1998). Actually, a major consumption of roe deer was reported in these particular environments (Jędrzrejewska et al., 1994; Glowacinski & Profus, 1997) and Mattioli et al. (2004) suggested that the grouping of roe deer especially at certain times of the day could increase wolf encounter rates enhancing the probability to be preyed by wolves (Huggard, 1993). his trend was also observed in our study area, as showed by the PCA-habitat model, wolf packs that inhabit areas characterized largely by these particular habitats correspond to a higher proportion of roe deer in the diet. A concordant result is the elevated group-ing patterns of roe deer in open habitats in our study area. Moreover, roe deer is more restricted by severe winter conditions. Besides being disadvantaged owing to its small size, roe deer, conversely to red deer, does not afect signiicant seasonal altitu-dinal migration to escape deep snow, as was found in our study area. hus, in peri-ods of strong and persistent deep snow, it could became a more vulnerable prey for wolves in two ways: 1) deeper snow can limit roe deer movements making foraging and escaping energetically expensive, as discussed above for wild boar; 2) the ob-served higher degree of territoriality of roe deer with respect to red deer makes roe deer highly sensitive to environmental accidents as the decrease of the trophic re-sources of its range, while at the same time it could increase encounter rates and probably attack success of wolves since predictably located (Huggard, 1993). Never-theless, in two wolf packs territories located in a southern sector of the Park, Gam-berale and Colle Papaccio, red deer resulted selected and used more than available by wolves during the winter period. he results of our analysis of physical features of wolf pack territories allowed us to suggest a possible solution for this apparent co-nundrum: the correlation we observed between diet and habitat PCs gave us a proof-of-concept of the hypothesis that wolves take advantage of the great percentage of forested cover, and less slope of the Gamberale and Colle Papaccio areas. his inter-pretation is consistent with Kunkel and Pletshel (2001), that in a study on winter hunting patterns reported that wolves killed deer in areas with greater hiding-stalk-ing cover and less slope. hey suggested that the element of surprise (i.e. stalking cover) was a very important factor afecting predation success of wolves. On the oth-er hand, in deer, whose main defense is light, the vigilance is an important factor to survive wolf predation (Mech, 1984); especially in forested areas, where it becomes

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more diicult to detect and avoid predators, an increment of alertness with respect to open areas was observed (LaGory, 1987). However, we suppose that the elevated percentage of less slope characterizing Gamberale and Colle Papaccio packs territo-ries (see PCA-habitat model) could reduce the detectability of predators and at the same time the probability to evade them. Moreover, in our two wolf packs territories the elevated percentage of warmer west-facing slopes (sun rays are in the west at the hottest time of the day) and the consequent less rigid conditions of snow cover may not afect vulnerability of roe deer, as discussed above. hus, in such circumstances red deer, providing more biomass than roe deer, could become a more proitable prey explaining its selection by wolves. A divergent result occurred during the winter period in other two wolf packs territories (Orfento and Salle, located in the northern part of MNP), where red deer gave a smaller contribution to the wolf diet although it is the second species in order of availability, with density much more abundant than roe deer. In this case, we hypothesized that red deer may take advantage of the great percentage of high slopes typical of these territories (see PCA-habitat model), but not roe deer and wild boar. In fact, the elevated percentage of north-facing slopes of these territories could intensify duration and depth of snow cover too, making the escape mobility of both roe deer and wild boar more diicult, owing to their shorter legs. Being less restricted by these local hard snow conditions, red deer seems to be less susceptible to hunting wolves. he seasonal pattern in the use of cer-vids was fairly stable between all wolf packs, however a general summer increase in the use of these prey types was observed. his increment seems consistent with the biological cycle of each prey species. Indeed, concerning diferent age classes, the contribution to the wolf diet of young animals is higher than that of adults, in the summer period, as observed in diferent areas of northern Apennine (Mattioli et al., 1995; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004). In the western Alps (Gazzola et al., 2005) and in Europe (Salvador & Abad, 1987; Jędrzejewski et al., 2002) the same trend was observed. Fawns are more vulnerable preys in terms of energetic costs and their selection in summer may be linked to the wolves need of changing hunting habits, being pups present at the den (Harrington & Mech, 1982). Actually, the travels of wolves breeding pairs are reduced, thus selection of fawns could imply the increased likelihood of both chasing singly and shortening the hunting time. Diferently from roe deer and red deer, the contribution in the wolf diet of young animals of wild boar and chamois was lower than those of adults, in both seasons (for wild boar) and in all packs of MNP. his trend may be explained in terms of en-ergy intake, but at the same time may also relect a common behavior related to the

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Wolf prey selection and food availability in the multi-prey ecosystem of Majella National Park

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parental protection of newborns. Wild boar piglets in their irst months of live are watchfully taken care by females of their family groups, resulting less proitable to wolf predation than sub-adults (individuals between 5 and 12 months) and adults, as reported in other studies performed in the Italian Apennines (Mattioli et al., 1995; Capitani et al., 2003; Mattioli et al., 2004). Chamois births take place in the most impervious areas of the territory attended by diferent packs. Females remain in these lands till when the newborns are able to follow the family group during its travels. Only when the females and the newborns have joined the original group, they form the so-called nurseries that represent a strategic tool of the chamois de-fense against the wolves. Indeed, chamois gave an inconsistent contribution to MNP wolf diet, either for inhabiting areas attended by just few packs territories or for pre-ferring wide-open meadows at high altitude. Actually, wolf packs that share part of their range with chamois population in MNP inhabit territories with a high percent-age of steep slopes and clifs. he topographic features of this territory advantage the light strategy of chamois that can climb quickly on steep clifs, making it diicult for wolves to catch them and thus limiting capture eiciency by wolves (Poulle et al., 1997). his occurs also in the Fara wolf pack territory where chamois is by far the most abundant prey species and fully represents, together with wild boar, the local wild ungulates community.

All in all we can surely state that the multidimensional data analysis strategy we adopted allowed us to get fairly relevant emergent features from scat analysis of wolf packs. hese features could be of use for both ecological knowledge and wolf conservation goals.

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Impatto antropico:

eff etto di disturbo o

di controllo?

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The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany

L’impronta ecologica del turismo: Italia e Germania a confronto

Roberta Aretano1*, Irene Petrosillo1, Giovanni Zurlini1 & Felix Müller2

1 Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies, University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce

2 Ecology Centre, University of Kiel, Olshausenstrasse 75, 24118 Kiel (Germany)*[email protected]

Abstract

he understanding of the contribution of human activities to ecosystem change and how these activities might reduce ecosystems’ capacity to maintain a continuous low of services must be a primary social goal. To track human demand on these services, scholars have developed the account of Ecological Footprint (EF), which measures how much of the annual regenerative capacity of the biosphere is required to renew resource production useful for a deined population in a given year, considering the prevailing technology and resource management of that year. he EF is being increasingly applied in numerous economic sectors and at various scales. In this study the EF analysis was applied to residents of two European areas and after that these footprints were compared with their biocapacities to underline condition of ecological surplus or deicit. Since tourism is the most important economic sector in the areas investigated, an EF analysis was applied to estimate the contribution of tourists in terms of equivalent residents (ER) to the EF. he EF for tourists was also accounted on a monthly time scale to observe the efects of seasonality on ecological footprint. Moreover, the assessment of EF of two populations (residents and tourists) was applied at diferent spatial scales to ind out diferences regarding the contribution of tourism to EF among the study areas and within the same country. his information could be used by environmental managers to reduce tourism impacts and to predict more accurately the needs of tourist and resident populations.

Introduction

It is recognized that human activities stress ecosystems and reduce ecosystems’ capacity to maintain a continuous low of goods and services which can be described as supporting life, supplying materials and energy, absorbing waste products and

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Roberta Aretano et al.

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providing culturally valuable assets (Daily, 1997; Gössling et al., 2002). To track hu-man demand on these services, scholars have developed many indexes including the account of ecological footprint (EF), “an accounting tool that enables us to estimate the

resource consumption and waste assimilation requirements of a deined human popula-

tion in terms of a corresponding productive land area” (Wackernagel & Rees, 1996). he EF is a synthetic and efective index used to estimate the human impact on the environment with particular reference to resource’s consumptions. he key feature of the EF concept is that it provides an heuristic and understandable tool that captures current human resource use in an easily communicative form for policy and decision makers but also for general public (Costanza, 2000; Mofat, 2000). In spite of the debate on methodological shortcomings, during the last decade the use of EF assess-ment has witnessed an increasing attention by scientists, governments, agencies and institutions with many new applications proposed (Wackernagel & Yount, 2000), as well as the possibility of considering sector-speciic ecological footprints such tour-ism. It is a tool for promoting territory resources but, on the other hand, it is a driv-ing force which contributes to environmental pressure (Petrosillo et al., 2006). In sustainable tourism assessment the consumption based method of the EF is cited as a key environmental indicator (Hunter & Shaw, 2007), with several pioneering works extending its application (Peeters & Schouten, 2006).

Materials and methods

his work focuses on two European study areas: the Province of Lecce and the municipality of Gallipoli in the Apulia Region (southern Italy); the Nordfriesland and Dithmarschen districts and the municipality of Husum in Schleswig-Holstein State (northern Germany).

he EF of the people that live in a city is simply the sum of the EF of all its residents. To account the household EF data regarding food and iber consumption, housing, local transport, civil services, other consumed goods and waste product were collected and put into a “consumption by land use” matrix deducible from the calculation sheet1 developed by Wackernagel and colleagues. his matrix allocates the six major Footprint land uses (built-up areas, cropland, pasture, managed forest,

1 his calculation sheet developed by Wackernagel, Monfreda, Deumling, and Dholakia to account the EF of household is available on www.sbs.utexas.edu/resource/EcoFtPrnt/9-20-00ef_household_ evaluation.xls

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The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany

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ishing ground and energy land) to the ive Footprint consumption components (food, shelter, mobility, goods and services). All data collected are available at a na-tional level but not so regularly at local scales, therefore, in applying the EF tool at local level, estimations and approximations were necessary. he Ecological Footprint is usually measured in global hectare (gha) that is a hectare with world-average abil-ity to produce resources and absorb wastes (WWF, 2008).

An important component of the EF analysis is represented by the assessment of the biocapacity of an area under examination, that takes into account the surfaces of “ecologically productive land”. Biocapacity represents a measure of the biosphere’s regenerative capacity aggregating the production of diferent resources provided by various ecosystems in a certain area (e.g. arable land, pasture, forest, productive sea) also including built up or degraded land (EUROSTAT, 2006).

he comparison between biocapacity and ecological footprint allows evaluat-ing the ecological balance that relates the consumption rate of natural resources with the rate of their regeneration by local ecosystems. In this study the values of bioca-pacity relect the average national productivities of ecosystems present in Italy and Germany. Typical data sources are oicial census data without information about er-ror, so in the absence of this information conidence intervals for the EF cannot be quantiied (Monfreda et al., 2004).

Considering a tourist locality previous studies have provided the basis for us-ing the EF as a useful tool for tourism management. Although some authors docu-mented a case in which tourist and resident EF highlighted very diferent consump-tion patterns (Cole & Sinclair, 2002), there are other studies in which equivalent tourist and resident consumptions are considered at similar levels (Patterson et al., 2007). Since the lack of information regarding tourist consumptions from oicial civil estimates and the impossibility of interviewing tourists concerning their habits, in this study it was assumed that tourists show the same behavior of residents and that they can be considered in terms of equivalent residents (ER). he annual ER number is the total annual tourist arrivals multiplied by length of stay in days (pres-ence), divided by 365 days per year. To highlight in which period of the year and in which administrative level there is the greatest tourism pressure, the tourism EF was accounted at diferent time (annual and monthly) and spatial (regional and local) scales.

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All data were collected for the year 2005 and the main data sources are listed below:

Demographic census: ISTAT, 2008a; Der Norden zählt, 2008a•Tourism: APT, 2008; Der Norden zählt, 2008b•Consumption (goods and services): ISTAT, 2008b; Osservatorio prezzi e tarife, •2008; GENESIS, 2008aEnergy: TERNA, 2008 ; Der Norden zählt, 2008c•Waste: Provincia di Lecce, 2008; GENESIS, 2008b•Transportation: ISFORT, 2008; Mobilität in Deutschland, 2008•Equivalence and Yield factors: WWF, 2008•

Results

he table I shows the diferent contribution of consumption categories and land uses to the resident EF of Lecce province that is of 4.36 gha. Since this value is higher than the value of biocapacity (1.22 gha) (WWF, 2008) this indicates a condi-tion of ecological deicit for the province of Lecce. Concerning the two German dis-tricts, the table II shows a resident EF of 4.82 gha higher than the biocapacity per habitant value of 1.94 gha (WWF, 2008), indicating an ecological deicit.

The EF per habitant in the province of Lecce by the consumption by land use matrix.Table I:

Categories Energy land (gha)

Cropland (gha)

Grazing land (gha)

Forest (gha)

Built-up land (gha)

Fisheries (gha)

Total EF (gha)

Food 0.06 1.05 0.17 0.00 0.00 0.40 1.67

Housing 0.44 0.00 0.00 0.31 0.00 0.00 0.75

Transportation 0.40 0.00 0.00 0.00 0.11 0.00 0.50

Goods 0.37 0.14 0.02 0.07 0.01 0.00 0.61

Services 0.65 0.00 0.00 0.15 0.02 0.00 0.82

Total EF 1.92 1.19 0.19 0.52 0.13 0.40 4.36

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The evaluation of tourism ecological footprint: a comparison between Italy and Germany

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The EF per habitant in the two German districts by the consumption by land use Table II: matrix.

Categories Energy land (gha)

Cropland (gha)

Grazing land (gha)

Forest (gha)

Built-up land (gha)

Fisheries (gha)

Total EF(gha)

Food 0.06 0.91 0.22 0.00 0.00 0.60 1.79

Housing 0.60 0.00 0.00 0.36 0.00 0.00 0.96

Transportation 0.35 0.00 0.00 0.00 0.09 0.00 0.45

Goods 0.27 0.14 0.02 0.02 0.00 0.00 0.45

Services 0.83 0.00 0.00 0.32 0.02 0.00 1.17

Total EF 2.11 1.05 0.24 0.69 0.12 0.60 4.82

To assess the EF of the entire population (resident plus tourist), the number of ER was estimated. Moreover, to put in evidence how this value changes during the year, the yearly value of EF per habitant was divided by 12 and comparing the EF of residents and entire population was possible to evaluate the contribution of tourism to EF. Table III reports in an exhaustive way annual and monthly data con-cerning presences, ER, residents, entire population, EF of ER, residents, entire pop-ulation and the % EF that indicates the % of EF of ER on the EF of entire popula-tion. For the province of Lecce the contribution of tourists seems to be not relevant registering a % EF annual value of 1 % and a maximum in august of 5 %. In a difer-ent way in German districts the annual % EF is higher (7 %) than value registered for the province of Lecce (1 %) with a maximum in August of 14 %, so that at the same spatial scale (regional) there is more tourism pressure in the two German dis-tricts. At local scale for Gallipoli the annual % EF is 5 % with a maximum value of 21 % on August indicating that there is a relevant contribution of tourism to the EF in summertime, while in Husum it is meaningless accounting for only 2 % in the year and for 4 % in August.

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Roberta Aretano et al.

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Presences, ER, residents, Entire population, EF of ER, EF of residents, EF of entire Table III: population end % EF of Lecce province, Nordfriesland and Dithmarschen districts, Municipality of Gallipoli and Husum.

Study area Month Presence ER Residents Entire Popul. EF ER (gha) EF resid. (gha) EF entire

populat. (gha)

% EF

Lecce 2005 3,086,236 8,455 805,397 813,852 36,866 3,511,531 3,548,397 1%

Jun-05 397,726 13,258 818,655 4,816 292,628 297,444 2%

Jul-05 776,960 25,063 830,460 9,106 301,734 3%

Aug-05 1,218,182 39,296 844,693 14,277 306,905 5%

Sep-05 312,873 10,429 815,826 3,789 296,417 1%

German districts 2005 8,129,325 22,272 304,008 326,280 107,351 1,465,319 1,572,670 7%

Jun-05 902,539 30,085 334,093 12,084 122,110 134,194 9%

Jul-05 1,423,621 45,923 349,931 18,446 140,556 13%

Aug-05 1,546,336 49,882 353,890 20,036 142,146 14%

Sep-05 978,641 32,621 336,629 13,103 135,213 10%

Gallipoli 2005 392,101 1,074 20,935 22,009 4,683 91,277 95,960 5%

Jun-05 45,254 1508 22,443 548 7,606 8,154 7%

Jul-05 91,434 2949 23,884 1,072 8,678 12%

Aug-05 169,326 5462 26,397 1,985 9,591 21%

Sep-05 35,749 1192 22,127 433 8,039 5%

Husum 2005 158,997 436 20,884 21,320 2,100 100,661 102,761 2%

Jun-05 17,623 587 21,471 235 8,354 8,589 3%

Jul-05 22,573 728 21,612 291 8,645 3%

Aug-05 26,102 842 21,726 336 8,690 4%

Sep-05 19,871 662 21,546 265 8,619 3%

Discussion

he application of the EF methodology to two diferent countries has allowed to evaluate the household EF for residents in both areas and to get the EF distribu-tion in several consumption categories and land uses by the use of “consumption by land use” matrix. Furthermore the analysis has highlighted a condition of ecological deicit in both study areas.

Since in the two study areas the most important economic sector is represent-ed by tourism, an EF analysis was applied to assess the annual EF of the entire popu-lation (residents plus tourists). From an environmental management perspective,

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tourism means hosting an additional (non-resident) group over the registered popu-lation, which increases consumption of resources and emissions of waste and that has not received formalized attention in environmental planning eforts. Results highlight that in the province of Lecce tourism mostly shows the typical peculiarities of seaside tourism concentrating mainly in only two months of summer. However tourism is not evenly distributed in the province because it is concentrated in space afecting mainly coastal zones, such as the municipality of Gallipoli, which sufers from overcrowding, while inland municipalities show lack of visitors. For this reason it was necessary to develop the footprint evaluation at smaller scale and in particular in reference to a coastal municipality to ind out where tourism contribution has to be taken into account. Diferently, in the case of Dithmarschen and Nordfriesland districts where tourism results distributed more homogenously over the whole terri-tory, the total annual EF accounted for the entire population has highlighted that the contribution of tourism is more important at this district scale than at munici-pality level. Moreover the EF for tourists was also accounted on a monthly time scale to relect the rise and fall of tourism throughout the year because seasonal peaks are mainly problematic for environmental management, intensifying environmental pressures such as waste production, energy and water resources consumption (Gössling, 2001).

Conclusions

his study attempted to track human demand on goods and services account-ing the EF for two European populations. he analysis of their footprints has al-lowed to observe how much of the annual regenerative capacity of the biosphere is required to renew the resource’s production useful for these populations. he assess-ment of the tourism EF in this study has put in evidence that there is a need to im-plement the sustainable tourism research with analysis that consider linkages through time and between hierarchical management levels, such as the spatial understanding of tourism dynamics at municipal, provincial, regional and national scales. his in-formation could be used by environmental managers to reduce tourism impacts and to predict more accurately the needs of the tourist and resident populations in terms of natural resources and ecosystem good and services.

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Roberta Aretano et al.

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Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive

Human impacts on Lake Pusiano and its ecological condition: new perspectives

Elisa Carraro*, Gianni Tartari, Franco Salerno & Diego Copetti

Istituto di Ricerca sulle Acque, CNR, Via del Mulino 19, 20047 Brugherio (MI)*[email protected]

Abstract

Il Lago di Pusiano, un lago eutroico situato nella fascia sudalpina, è uno tra i piccoli laghi italiani meglio studiati. Nel presente lavoro vengono considerati i dati idro-chimici e biologici pregressi mentre gli impatti antropici vengono analizzati attraverso le relazioni idrologiche e troiche tra il lago e il suo bacino idrico. L’analisi limnologica del lago è stata recentemente arricchita da simulazioni basate sul modello ecologico CAEDYM, mentre viene utilizzato un modello idrologico per la simulazione del carico difuso, che risulta di origine prevalentemente civile. Questi dovranno integrarsi in un modello ecologico a scala di bacino. La variabilità legata alle dinamiche interne al lago e l’identiicazione delle ‘reference conditions’ sono i principali elementi che restano ancora da chiarire per una completa comprensione dei meccanismi di risposta del sistema lacustre alle pressioni esterne.

Introduzione

Da oltre trenta anni la principale causa di degrado del Lago di Pusiano si identiica in una persistente condizione di marcata eutroia. La situazione attuale è dovuta in parte ai carichi di nutrienti residui, provenienti dal bacino imbrifero attra-verso gli immissari diretti e la fascia perilacuale (Salerno, 2005), in parte è causata dall’instaurarsi di una condizione ecologica basata su equilibri diversi da quelli origi-nari o naturali (Schefer et al., 2001). Ulteriori fattori isici, morfologici e morfome-trici esercitano un ruolo fondamentale nell’esplicarsi dell’eutroizzazione del Lago di Pusiano, analogamente a quanto osservato in altri laghi poco profondi (Gulati & Van Donk, 2002).

La Direttiva 2000/60/CE (Water Framework Directive, WFD), che stabilisce l’obiettivo del raggiungimento di uno stato ecologico “buono” della qualità di tutte

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Elisa Carraro et al.

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le acque supericiali entro il 2015, indica come strumento prioritario la riduzione delle pressioni presenti nel bacino idrograico, con un chiaro orientamento verso una valutazione integrata delle relazioni tra le cause e gli efetti (Jeppesen et al., 2005). Sebbene negli ultimi decenni i carichi inquinanti esterni diretti verso i laghi siano diminuiti, grazie a normative più severe e al miglioramento dei sistemi di depurazio-ne, il raggiungimento degli obiettivi di qualità è ben lontano dall’essere raggiunto. In molti laghi poco profondi, ad esempio, i meccanismi di adattamento della biocenosi alle nuove condizioni abiotiche sono molto complessi (Ludwig et al., 2003) e oggi i più soisticati strumenti modellistici confermano che i tempi di risposta di un siste-ma ecologico complesso come un lago possono essere relativamente lunghi nel rag-giungimento di un nuovo equilibrio ecologico (Blenckner, 2008; Law et al., 2009; Pawlowski & McCord, 2009).

Evoluzione limnologica del Lago di Pusiano

Il Lago di Pusiano, di origine glaciale intermorenica, è situato tra i due rami del Lago di Como e si colloca tra i laghi subalpini di medie dimensioni (supericie 5,26 km2, profondità massima 24 m, profondità media 14 m e volume 69,2 106 m3). La descrizione del bacino imbrifero non è chiara, in particolare per quanto riguarda le fasce perilacuali. Il bacino idrograico, drenato principalmente dal Fiume Lambro, ha una supericie di 94,6 km2 (lago incluso). La fascia perilacuale, coincidente in buona parte con la Piana d’Erba, a nord-ovest del lago, costituisce un’area ad elevata pressione antropica, sia residenziale che industriale, ed occupa circa il 12 % dell’inte-ro bacino.

L’andamento stagionale del termoclino di questo lago non si è modiicato nel trentennio 1972-2004, nonostante l’incremento della temperatura alla circolazione di 2 °C circa, veriicatosi anche in altri ambienti lacustri italiani simili (Tartari et al., 2000). Il contenuto ionico non ha subito cambiamenti rilevanti della matrice di-sciolta che è inluenzata essenzialmente dalle caratteristiche geologiche del bacino imbrifero, caratterizzato come ambiente carsico (Salerno & Tartari, 2009).

Le caratteristiche limnologiche sono, invece, considerevolmente mutate negli ultimi 35 anni. I maggiori cambiamenti hanno riguardato le concentrazioni di nu-trienti ed in particolare quelle del fosforo totale (TP), diminuito dai valori massimi di circa 200 µg P l-1 a poco meno di 50 µg P l-1 nel 2009 (Fig. 1), mentre le concen-

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Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive

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trazioni di azoto totale (TN) sono rimaste costanti attorno ai 2 mg N l-1, durante la circolazione invernale.

Andamento delle concentrazioni medie di fosforo totale (TP µg P lFigura 1: -1) negli ultimi 35 anni, rilevate durante la massima circolazione invernale.

Il generale miglioramento delle condizioni troiche del lago, a partire dagli anni ’80 ad oggi, ha inluito sul popolamento itoplanctonico. La frammentarietà degli studi e la diversità dei metodi utilizzati non consentono di tracciare un’evolu-zione dettagliata delle comunità algali su scala pluriennale, parallela a quella dei dati di qualità delle acque. Nonostante ciò, in Bonomi et al. nel 1967, si afermava la quasi completa assenza di Cyanoprokaryota. Tale situazione è apparsa confermata anche nelle campagne di campionamento successive. Nel 1994-1995 (Tartari & Quattrin, 1998) la struttura del popolamento itoplanctonico si modiicava radical-mente, presentando un forte sviluppo del gruppo dei Cyanoprokaryota, con più di 25 specie presenti quasi ad ogni campionamento. Negli ultimi 15 anni questa situa-zione o situazioni analoghe sono state confermate da frequenti segnalazioni di inten-se ioriture di Planktothrix rubescens nei mesi autunnali, la cui intensa colorazione rosso-brunastra ha più volte messo in allarme le popolazioni rivierasche. Il migliora-mento troico del Pusiano è quindi accompagnato da un incremento dei cianobatte-ri, le cui ioriture hanno destato preoccupazione per la potenziale tossicità di Plankto-

thrix rubescens (Legnani et al., 2005).

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Impatto antropico e forzante idrologica

Attualmente il lago presenta ancora condizioni di eutroia con un contenuto di fosforo totale alla circolazione invernale di 50 µg P l-1, una ridotta trasparenza del-le acque e costante anossia degli strati profondi durante la stratiicazione, che perdu-ra da aprile a novembre.

Per studiare i carichi provenienti dal bacino, è stato applicato un modello idrologico (Salerno e Tartari, 2009), isicamente basato, per il trasporto dei nutrienti (SWAT, Neitsch et al., 2001), calibrato e validato su un sottobacino del Fiume Lam-bro (caratterizzante la porzione montana dello stesso), che si chiude a Caslino d’Erba (CO), punto in cui vi è un misuratore di livello. Ciò ha permesso di efettuare una simulazione iniziale del lusso idraulico con passo giornaliero ottenendo un errore assoluto, rispetto al lusso misurato dalla strumentazione, di circa il 30 %, che espri-me in sé anche la variabilità causata dal regime pluviometrico. Nel graico riportato in igura 2 si osserva, infatti, come nel periodo 1974-1982 le precipitazioni erano molto più accentuate in primavera, e in particolare a maggio, rispetto a quanto si os-serva ora. Questa diferenza trova una accentuazione anche nelle dinamiche di crea-zione del lusso idrologico. L’apporto annuale di precipitazioni che si è veriicato dal 1998 al 2003 mette infatti in rilievo che negli ultimi due anni si sono veriicate con-dizioni meteorologiche estreme rispetto alle caratteristiche medie del bacino. L’allu-vione veriicatasi nel novembre 2002 e l’anno siccitoso del 2003 pongono problemi nella modellizzazione idrologica su scala pluriennale e di conseguenza nella stima dei carichi di nutrienti. Allo stesso tempo lo studio delle dinamiche in condizioni estre-me ha portato ad evidenziare come l’ecologia del Pusiano sia particolarmente sensi-bile a questi eventi (Copetti et al., 2006).

L’analisi dell’impatto antropico sul lago ha portato ad evidenziare (Salerno, 2005) la parziale ineicienza della rete di collettamento dei relui urbani. L’attuale conigurazione riesce infatti ad asportare dal bacino soltanto il 68 % (0,50 kg P ab -1 rispetto a 0,74 kg P ab -1) dei relui civili, mentre il rimanente 32 % (0,24 kg P ab -1) viene rilasciato durante gli ‘overlow’ degli scaricatori di piena della rete fognaria. Il carico così generato è quindi da considerare tra le possibili cause del permanere del degrado della qualità delle acque del Lago di Pusiano.

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Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive

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Confronto tra le precipitazioni medie mensili rilevate nelle due stazioni meteorologi-Figura 2: che di Asso e Canzo (ubicate nel bacino del lago) in due periodi storici distinti. È preferibile un grafico a colonne in quanto non c’è continuità tra un dato e il successivo.

Per ridurre al minimo la pressione antropica generata dagli scolmatori è ri-chiesto l’approfondimento della conoscenza della rete di collettamento dei relui per individuarne le criticità (punti di massimo scolmo) e le possibili soluzioni per ridur-re le immissioni nella rete idrograica. Tali indagini, avviate nel Progetto PIRoGA (2009-2012), permetteranno di raccogliere le informazioni necessarie a condurre una modellizzazione speciica delle perdite dalla rete fognaria verso i corpi idrici su-periciali.

La modellizzazione ecologico-idrodinamica del lago

Parallelamente agli studi modellistici del bacino, in anni recenti Copetti et al. (2006) hanno implementato sul Lago di Pusiano il modello idrodinamico monodi-mensionale DYRESM (Antenucci & Imerito, 2002) e il modello ecologico CAE-DYM (Romero et al., 2003), che sono stati accoppiati alla modellizzazione del regi-me idrologico e dei carichi di fosforo ottenuta con il modello SWAT (Salerno, 2005). Le modellizzazioni idrodinamiche efettuate sono in generale in accordo con gli andamenti stagionali sperimentali, mentre a primavera si osserva una certa devia-zione della temperatura (1-2 °C) sul fondo durante la stratiicazione debole. Tra le possibili cause è stata avanzata l’ipotesi delle turbolenze idrodinamiche a scala sub-

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Elisa Carraro et al.

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giornaliera create dalle perturbazioni del vento alla struttura termica, come eviden-ziato nella igura 3, dove si confronta l’andamento della velocità del vento con le va-riazioni di temperatura rilevate nel lago a scala sub-oraria, per mezzo di una catena di sensori posti lungo la colonna d’acqua.

Struttura termica del Lago di Pusiano e andamento della velocità del vento (msFigura 3: -1) a scala oraria dal 21 Lug 2003 al 25 Lug 2003 (fonte Copetti, dati IRSA non pubblicati).

CAEDYM modellizza adeguatamente l’andamento delle specie del fosforo, considerando le deviazioni dovute ai possibili errori di rappresentatività del prelievo e le sensibili variazioni a livello del ‘boundary layer’ bentico. Durante il periodo di stratiicazione estiva il gradiente della forma reattiva del fosforo (considerata nel mo-dello come la forma disponibile per la crescita algale) raggiunge punte massime su-periori ai 450 µgP/l. Come è noto, il fosforo accumulato sul fondo durante il perio-do di stratiicazione delle acque rientra in circolo durante in inverno. Una certa diicoltà è stata riscontrata nella simulazione di questo delicato periodo del ciclo la-

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Pressioni antropiche e stato ecologico del Lago di Pusiano: nuove prospettive

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custre in cui, in pochi giorni, una grande quantità dell’elemento limitante entra in circolo e diventa potenzialmente disponibile per la crescita algale. Da un punto di vista modellistico infatti questo periodo rappresenta un momento di discontinuità, per cui piccoli errori nella simulazione delle condizioni iniziali si ripercuotono sulla simulazione dell’intero ciclo annuale successivo. Il modello riesce in tutti i casi a ri-produrre molto bene la forte dominanza di P. rubescens, che rappresenta circa il 70 % del contenuto totale di Chl-a nel periodo di simulazione. Per il restante comparto biologico diminuisce l’accordo dei dati sperimentali con quelli simulati (coeicienti di regressione di 0,3 e 0,4) ed il modello tende a trascurare i picchi di ioritura algale, dando una risposta media del comportamento itoplantonico (Copetti et al., 2006).

Applicabilità degli strumenti modellistici integrati

Gli strumenti modellistici disponibili per il lago di Pusiano, e per il suo baci-no, possono essere utilizzati per fornire un’ indicazione delle potenziali variazioni dello stato ecologico rispetto al cambiamento delle pressioni antropiche. La valuta-zione delle dinamiche interne al lago, ovvero le interazioni tra il comparto idrochi-mico e la catena troica che attualmente lo caratterizza (predominanza del phyto-plankton), l’alta variabilità e la scarsa capacità predittiva che ne derivano sono comunque i principali aspetti ancora da chiarire per una completa comprensione dei meccanismi di risposta del sistema lacustre alle pressioni esterne e rappresentano le tematiche emergenti in tema di modellistica ecologica.

L’integrazione tra i due livelli di modellizzazione (lago e bacino) richiede la risoluzione del problema su come si debbano raccordare scale spazio-temporali dife-renti (Blenckner, 2008). L’identiicazione delle ‘reference conditions‘, in linea con le indicazioni metodologiche contenute nella WFD 2000/60, richiede la comprensio-ne dei meccanismi ecologici che portano un ecosistema da uno stato stabile all’altro (Law et al., 2009). Oltre a ciò nel caso del Pusiano occorre uno studio paleolimnolo-gico che chiarisca quali siano state le reali vicende idromorfologiche e che fornisca, da un lato, le informazioni necessarie per una corretta individuazione dello stato di riferimento, mentre dall’altro permetta l’individuazione di eventuali episodi cata-stroici, ‘catastrophic shifts’ (Schefer et al., 2001). Tali episodi potrebbero aver carat-terizzato la storia recente del lago e il passaggio all’attuale stato ecologico.

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Elisa Carraro et al.

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139

La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico

Carrying capacity as a tool to support tourism planning

Valentina Castellani* & Serenella Sala

Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano

* [email protected]

Abstract

Il settore turistico genera circa il 10% del PIL in Europa ed è strettamente dipendente dalla qualità delle risorse naturali. Per individuare modelli di produzione e consumo sostenibili in grado di disaccoppiare crescita economica e impatti sull’ambiente è necessario conoscere i limiti isici e gestionali del sistema: il concetto di capacità di carico applicato al turismo può essere un utile supporto alla pianiicazione di sistemi turistici sostenibili. Il presente lavoro propone una metodologia per la valutazione della capacità di carico dei sistemi turistici che integri la valutazione dei limiti isici, correlati alle risorse, con quella della capacità gestionale in merito ai servizi pubblici e ambientali. Si presentano i risultati della valutazione efettuata in due realtà lombarde, mettendo in evidenza gli aspetti più critici da tenere in considerazione per la deini-zione di politiche di sviluppo turistico sostenibile in queste aree.

Introduzione

Il concetto di sviluppo sostenibile si fonda sulla consapevolezza che i sistemi sociali ed economici dipendono da risorse naturali inite, che inevitabilmente pongo-no dei limiti alle nostre possibilità di sfruttamento e alla possibilità di una crescita “ininita” delle attività umane. I fattori principali che agiscono nel determinare la so-stenibilità o l’insostenibilità a lungo termine delle attività umane in rapporto agli ecosistemi naturali sono: il numero di individui presenti in una determinata area in un determinato arco di tempo, i loro modelli di consumo e l’eicienza delle diverse componenti del sistema.

Il turismo è un settore economico che ha una forte relazione con le risorse na-turali, che rappresentano spesso uno dei principali elementi di attrattività del territo-rio, ma che possono anche subire forti pressioni in termini di consumo e degrado

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Valentina Castellani & Serenella Sala

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(Mathieson & Wall, 1982; Saarinen, 2006). Risulta dunque di fondamentale impor-tanza che la pianiicazione dell’oferta turistica sia preceduta da un’analisi delle con-dizioni dell’area nonché da una stima degli impatti che permetta di formulare ipote-si sugli efetti di un eventuale incremento del lusso turistico della destinazione e sulla capacità dell’ambiente di sopportare le relative pressioni.

Il primo passo per individuare gli ambiti in cui intervenire per ridurre la pres-sione sull’ambiente è rappresentato, infatti, dalla misura degli impatti generati e dal-la valutazione della sostenibilità del sistema considerato, attraverso il confronto con la sua capacità di carico. L’Organizzazione Mondiale del Turismo deinisce la capaci-tà di carico turistica come “il massimo numero di persone che può visitare una desti-nazione turistica nello stesso momento, senza causare una distruzione dell’ambiente isico, economico e socio-culturale e un peggioramento inaccettabile della soddisfa-zione dei visitatori riguardo alla qualità della visita” (WTO, 1999).

Questa deinizione sembra suggerire come obiettivo l’individuazione di un modello che permetta di stabilire qual è il numero massimo di turisti ammissibile in una determinata destinazione turistica al ine di garantire la sostenibilità del sistema e di tutelarne le risorse in una prospettiva di lungo termine. Tuttavia, questo approc-cio si scontra con alcuni limiti sia teorici che operativi connessi alla possibilità e all’opportunità di limitare l’accesso alle aree turistiche:

nella maggior parte delle situazioni (tranne che in alcuni casi particolari, come ad •esempio le aree protette, i siti archeologici o alcuni monumenti) non è pensabile limitare il numero dei turisti, sia perché l’accesso non avviene necessariamente da varchi prestabiliti, sia perché questo sarebbe in contrasto con l’obiettivo di liber-tà, ricreazione e svago insito nel concetto di turismo e con l’obiettivo economico che un’attività di questo tipo deve necessariamente avere;la determinazione del numero massimo di persone ammissibili in un determinato •sito dovrebbe basarsi sull’ipotesi di superamento di una soglia di capacità di cari-co in funzione della stima degli impatti che un determinato numero di persone produce sul territorio; tuttavia l’impatto di ogni turista dipende dalle sue scelte di consumo e dai suoi comportamenti durante la vacanza (ad es. scelta del mezzo di trasporto, della tipologia di struttura ricettiva, ecc.), quindi non è possibile valu-tare a priori l’impatto di ogni turista.

Inoltre, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di valutare gli impatti at-tuali e potenziali del sistema turistico al ine di indirizzare la pianiicazione; in questo senso quindi risulta molto più eicace una valutazione che non dia come risultato

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La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico

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solamente un numero massimo di turisti, ma piuttosto fornisca indicazioni su quali potrebbero essere gli aspetti di criticità del sistema.

Facendo riferimento a queste considerazioni, il presente lavoro propone una metodologia per la valutazione della capacità di carico turistica che integri le valuta-zioni relative alla capacità di carico isica, correlata alle risorse, con la valutazione del-la capacità gestionale in merito ai servizi pubblici e ambientali (fornitura di acqua potabile, gestione dei riiuti, disponibilità di infrastrutture, ecc).

Metodologia

Il presente lavoro fa riferimento alla metodologia “Limits of Acceptable Change” (Stankey & Cole, 1985) che considera la valutazione della capacità di cari-co come una base per deinire la soglia di impatto e/o di consumo che non può esse-re superata se si vuole tutelare l’integrità del sistema ed in particolare delle risorse naturali da cui dipende.

Seguendo questo approccio, la metodologia analizza separatamente i principa-li aspetti che caratterizzano l’ambiente naturale e i principali aspetti ambientali lega-ti alla vita quotidiana dei residenti e alle attività turistiche (es: aria, acqua, riiuti, suolo, etc.; v. Tab. 2); per ogni aspetto analizzato è stata delineata una procedura va-lutativa ispirata al modello concettuale DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Im-patti, Risposte) (Smeets & Weterings, 1999), allo scopo di individuare i fattori de-terminanti e i dati utili per valutare la situazione attuale e gli scenari futuri.

Le fasi del processo di valutazione sono le seguenti:scelta dell’aspetto da analizzare ed elenco dei relativi determinanti;1. scelta dei determinanti (sulla base di dati di letteratura e di eventuali studi speci-2. ici sulle caratteristiche dell’area oggetto di studio) e delle variabili ritenute più importanti per l’aspetto considerato, in relazione al turismo;valutazione e scelta dei fattori limitanti;3. sviluppo/applicazione di indicatori speciici per la variabile individuata;4. individuazione di valori di riferimento, massimi e minimi, e suddivisione in clas-5. si del risultati sulla base di: dati di letteratura, limiti di legge, confronto con altre realtà, expert judgement;raccolta dati locali per il popolamento degli indicatori individuati;6. valutazione della capacità di carico del comparto considerato sulla base del con-7. fronto tra i dati raccolti e le classi individuate, adottando il principio di precau-

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zione (in presenza di un fattore al limite, si assegna capacità di carico ridotta a tutto il comparto).

Per una prima applicazione della metodologia sviluppata, sono state scelte come aree di studio due realtà lombarde che rappresentano due diverse fasi nello svi-luppo della destinazione turistica, come deinite dal Modello del Ciclo di Vita delle Destinazioni (Butler, 1980; Agarwal, 1994): il Sistema dei Parchi dell’Oltrepo Man-tovano e la Comunità Montana Alpi Lepontine. L’Oltrepo Mantovano rappresenta un’area di turismo emergente, non ancora strutturata e con un lusso di turisti abba-stanza ridotto; le Alpi Lepontine rappresentano una destinazione più matura, anche se con aspetti contrastanti: nella stagione estiva infatti il lusso di turisti, sia italiani che stranieri, è molto consistente nelle aree lacuali e piuttosto ridotto in quelle montane.

Risultati e discussione

L’applicazione della metodologia ha permesso di realizzare, per ogni comparto considerato, uno schema di valutazione della capacità di carico, sul modello illustra-to in tabella 1.

Schema concettuale DPSIR applicato alle attività turistiche (Castellani et al., 2007).Tabella I:

DPSIR METODOLOGIA

1) DETERMINANTI Analisi dei dati disponibili e identificazione delle attività maggiormente rilevanti per la realtà locale (determinanti)

2) DETERMINANTI E VARIABILI SIGNIFICATIVI PER IL COMPARTO TURISTICO

Rispetto ai determinanti identificati precedentemente, selezione di quelli che possono essere influenzati dal settore turistico

3) FATTORI LIMITANTI Selezione delle pressioni più rilevanti generate dai determinanti identificati

4) INDICATORI Selezione di indicatori appropriati per misurare lo stato dell’ambiente

5) CLASSI Definizione di classi per la valutazione della capacità di carico, individuate sulla base degli indicatori e dei limiti identificati precedentemente

6) RISULTATO LOCALE Ricerca e analisi di dati locali

7) CAPACITÀ DI CARICO Valutazione della capacità di carico sulla base dei dati raccolti e delle classi individuate. La capacità di carico dell’intero comparto viene assegnata sulla base del principio di precauzione

8) RISPOSTE Elaborazione dei risultati per individuare risposte adeguate ai problemi evidenziati dall’analisi

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La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico

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Lo schema concettuale illustrato precedentemente, applicato a tutti i compar-ti considerati, ha fornito una valutazione complessiva della capacità di carico turisti-ca per ciascuna delle due aree considerate, sintetizzata nella tabella 2.

Risultati della valutazione della capacità di carico turistica effettuata nella Comunità Tabella II: Montana Alpi Lepontine e nel Sistema Parchi Oltrepo Mantovano.

Sono questi i famosi componenti ambientali?

Indicatore Stato – classi1 Oltrepo mantovano Alpi Lepontine

Valore

Cap

acit

à d

i car

ico Valore

Cap

acit

à d

i car

ico

Quantità acqua per uso potabile

1. consumi / dotazione idrica(litri / abitanti / g) / (litri / abitanti / g)

A < 1 n.d. – n.d. –

M = 1

B > 1

2. consumi giornalieri(litri / abitanti / g)

A < 200 l/ab n.d. – n.d. –

M 200 l/ab

B > 300 l/ab

3. prelievi / ricarica(m3/g) / (m3/g)

A < 1 1,35 B n.d. –

M = 1

B > 1

Qualità acque superficiali

4. popolazione servita da depuratore (popolazione servita / popolazione residente) *100

A 100 % - 75 % 75 % A 95 % A

M 74 % - 50 %

B < 50 %

5. AE potenziali / AE attuali

A > 1 >1 A 1 M

M = 1

B < 1

6. stato ecologico dei corpi idrici(parametro LIM)

A ottimo, buono sufficiente M buono A

M Sufficiente

B scadente, pessimo

7. stato trofico laghi (scostamento risp. alla condizione naturale)

A stato attuale = stato naturale

Dato non rilevante per l’area

-- stato attuale ≠ stato naturale

B

B stato attuale ≠ stato naturale

Consumi energetici

8. consumo energia medio comunale / con-sumo medio nazionale (MWh/ab) / (MWh/ab)

A < 1 0,78 A 1,42 B

M = 1

B > 1

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Valentina Castellani & Serenella Sala

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Sono questi i famosi componenti ambientali?

Indicatore Stato – classi1 Oltrepo mantovano Alpi Lepontine

Valore

Cap

acit

à d

i car

ico Valore

Cap

acit

à d

i car

ico

Produzione rifiuti

9. produzione pro-capite giornaliera (kg / abitanti / g)

A 1,8 - 2,2 Kg/ab*g 1,6 A 1,14 A

M 2,2 – 2,5 Kg/ab*g

B > 2,5 Kg/ab*g

10. disponibilità residua sistema di raccolta (volume raccolto g / volume raccoglibile g)

A vol. raccolto g/ vol. raccoglibile g: < 0,7

n.d. – n.d. –

B vol. raccolto g/ vol. raccoglibile g: 0,7 - 1

n.d. – n.d. –

11. % Raccolta differenziata

A > 45 % 39,80 % M 12,39 % BB

M 35 - 45 %

B < 35 %

Qualità aria

12. n° medio giornate in cui i parametri sono superati

limiti stabiliti per legge: non più di 35 gg di superamento/anno per il PM10, non più di 18 gg di superamento anno per NO2

PM10 : 108NO2 : 1

BB PM10 : 0NO2 : 0

A

Biodiversità

13. scomparsa di specie, disturbo(n° di visitatori tot aree/anno)

Non è possibile, in base alle informazioni disponibili, stabilire classi di capacità di carico turistica. La valutazione avviene tramite avviso d’esperto

4.000-5.000 A Area di rilev. Ambientale: 4.000-5.000

A

Riserva Lago di Piano: > 50.000

BB

Uso del suolo

14. densità ricettiva (posti letto / 1000 abitanti)

A 0-100 13,71 A 419 B

M 10-300

B > 300

15a. edificazione turistica (strutture complemen- tari / totale strutture ricettive)

A > 20 % 54,20 % A 60 % A

M 10 %-20 %

B < 10 %

15b. edificazione turistica (abitazioni non occupate da residenti / totale abitazioni)

A < 20 % 8 % A 29,07 % M

M 20 %-50 %

B > 50 %

16. affollamento siti naturali e sentieri

Non è possibile, in base alle informazioni disponi-bili, stabilire classi di ca-pacità di carico turistica. La valutazione avviene tramite avviso d’esperto

basso (le aree non sono ancora attrezzate)

A basso A

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La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico

145

Sono questi i famosi componenti ambientali?

Indicatore Stato – classi1 Oltrepo mantovano Alpi Lepontine

Valore

Cap

acit

à d

i car

ico Valore

Cap

acit

à d

i car

ico

Uso del suolo

17. escursionisti (E = n° escursionisti /n° turisti)

A E < 1 >2 B n.d. –

M 1 < E < 2

B E > 2

Efficienza economica del sistema turistico

18. utilizzo lordo delle strutture[(presenze / posti letto)*365] * 100

A Oltre 40 % 30,76 % M 7,5 % B

M 20 % - 40 %

B < 20 %

Mobilità

19. % di turisti che raggiungono l’area con mezzi privati

A < 40 % >70 % B >70 % B

M 40 %-70 %

B > 70 %

20. n° autoveicoli circolanti / abitanti

A 0-0,3 0,59 B 0,61 B

M 0,3-0,5

B 0,5-0,8

21. presenza di servizio ferroviario (n° comuni con stazione ferroviaria / tot comuni considerati)

A 0,8-1 0,6 M 0 B

M 0,4-0,7

B 0-0,3

Congestio-ne stradale

22. n° di veicoli nei mesi turistici(n° veicoli / g)

A < 16.000 n.d. -- 18.000 B

M 16.000

B > 16.000

Intensità turistica

23. intensità turistica alta stagioneI = (presenze alta stagione / g) / abitanti

A I < 0,5 0,002 A 0,1 A

M 0,5 < I < 1

B I > 1

I dati disponibili relativi al comparto acqua (Indicatori 1-7) mostrano un pro-blema relativo all’approvvigionamento di acqua potabile dal sottosuolo nell’Oltrepo Mantovano (I. 3), con una situazione già insostenibile che potrebbe essere ulterior-mente peggiorata dall’aumento della richiesta, determinato dall’incremento del nu-mero dei turisti; nelle Alpi Lepontine, invece, il problema riguarda la capacità di de-purazione degli impianti presenti sul territorio, che operano già al limite delle proprie potenzialità e non sarebbero in grado di garantire la continuità e la qualità del servizio in caso di aumento del volume delle acque da depurare (I. 5).

La mobilità rappresenta un problema per entrambe le destinazioni, sia perché il numero di auto circolanti appartenenti a residenti è elevato (I. 20), sia perché, a causa della scarsità e/o ineicienza dei sistemi di trasporto pubblico (I. 21), i turisti

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Valentina Castellani & Serenella Sala

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raggiungono le aree prevalentemente con mezzi propri (I. 19); questa circostanza in-cide sulla qualità dell’esperienza turistica, determinando una situazione di congestio-ne delle strade (I. 22), di inquinamento acustico (che può essere fonte di disturbo soprattutto per le aree protette) e, nel caso dell’Oltrepo Mantovano, anche una condi-zione aggiuntiva in un contesto molto critico in merito alla qualità dell’aria (I. 12).

Anche se non completamente esaustivi, i risultati ottenuti permettono una valutazione preliminare della capacità di carico turistica delle due realtà considerate, mettendo in evidenza gli aspetti più critici da tenere in considerazione per la deini-zione di politiche di sviluppo turistico sostenibile.

Conclusioni

L’aspetto più critico relativo alla valutazione della capacità di carico per le de-stinazioni turistiche è la diicoltà di ottenere risultati quantitativi (Bimonte & Pun-zo, 2005). Seguendo il punto di vista di Manning (2002) e di Stankey & Cole (1985), questa ricerca rappresenta un tentativo di quantiicare lo stato attuale di ogni comparto interessato dalla gestione del turismo, attraverso indicatori che considerino i principali aspetti ambientali e gestionali relativi al settore turistico e che permetta-no di indirizzare le future politiche di sviluppo turistico sostenibile.

L’applicazione della metodologia ha evidenziato alcuni elementi positivi e al-cune criticità, da approfondire in futuro:

La necessità di stabilire soglie di sostenibilità rappresentate da valori numerici •universalmente riconosciuti rappresenta uno degli aspetti più controversi perché, soprattutto per gli indicatori per i quali non esistono standard deiniti e ricono-sciuti, la scelta implica necessariamente un certo grado di soggettività da parte di chi efettua la valutazione.L’interazione della capacità di carico isica (determinata dalle caratteristiche •dell’ambiente naturale) e della capacità gestionale del sistema turistico rappresen-ta un elemento chiave per fornire informazioni utili a supportare la pianiicazione da parte dei decisori locali.La scelta di non aggregare i risultati in un unico valore ma di presentarli in modo •disaggregato fornisce indicazioni settoriali sullo stato e sulle possibili situazioni di criticità, nonché di evitare compensazioni tra i risultati dei diversi aspetti consi-derati.

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La capacità di carico come strumento di supporto alla pianificazione in ambito turistico

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Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX

ai boschi della Lombardia

Sustainability and bioenergy: an application of the CO2FIX

model to the forests of Lombardy

Giulia Fiorese*, Giorgio Guariso & Enrico Perego

Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano, Via Golgi, 20133 Milano

*[email protected]

Abstract

Le biomasse del comparto forestale possono costituire un’importante fonte rinnovabile per l’energia e contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e allo sviluppo delle bioenergie a scala locale. Tuttavia, l’utilizzo di risorse forestali a ini energetici può avere rilevanti impatti sugli ecosistemi e sul territorio nel suo complesso e richiede quindi un’analisi approfondita. Scopo di questo lavoro è confrontare diferenti modelli di gestione sostenibile della biomassa forestale con l’obiettivo di massimizzare la produzione di bioenergia e la rimozione di gas serra dall’atmosfera. Il modello utiliz-zato per l’analisi, CO2FIX, descrive i lussi di carbonio per unità di supericie della biomassa, del suolo e della bioenergia. Il modello è stato applicato ai boschi della Lombardia, che sono stati schematizzati in quattro macrosistemi forestali: boschi di conifere; boschi di latifoglie; boschi misti di conifere e latifoglie; impianti di arbori-coltura da legno. Per ogni macrosistema sono state analizzate diverse politiche di gestione che vanno dalla tutela assoluta al mantenimento costante dello stock a cicli di taglio di diversa lunghezza, ino alla massima produzione mantenibile. È stato quindi possibile confrontare le diverse gestioni e individuare quella più eiciente dal punto di vista del carbonio immagazzinato per ogni macrosistema forestale. Estendendo questi risultati all’intero territorio regionale si può valutare il contributo complessivo del comparto alla riduzione delle emissioni climalteranti.

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Giulia Fiorese et al.

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Il ruolo energetico delle biomasse forestali

I cambiamenti climatici impongono alla nostra società sia lo sviluppo di nuo-ve tecnologie in grado di ridurre le emissioni climalteranti sia la massimizzazione dell’eicienza con cui la biosfera è in grado di sequestrare il carbonio. I modelli pre-visionali indicano che, sebbene il potenziale di sottrazione di carbonio da parte del suolo e della vegetazione non sia da solo in grado di compensare gli aumenti delle emissioni, la capacità di accumulo di C nella biosfera nei prossimi 20-30 anni sarà essenziale per mitigare i cambiamenti climatici. Il bilancio del carbonio negli ecosi-stemi terrestri ha quindi acquisito negli ultimi anni una rinnovata importanza; i so-prassuoli forestali potranno giocare un ruolo determinante.

Occorre dunque guardare ai boschi come depositi di carbonio che devono es-sere salvaguardati, ma che, allo stesso tempo, hanno valore economico grazie alla produzione di energia rinnovabile, dato che possono fornire legna da usare in sosti-tuzione dei combustibili fossili per la produzione di energia. Gli ecosistemi terrestri svolgono un importante ruolo all’interno del ciclo globale del carbonio e di conse-guenza nelle strategie di controllo delle emissioni di gas serra (Ciccarese et al., 2005). Questo ruolo si concretizza attraverso tre tipi di intervento: creazione di nuove fore-ste; appropriata gestione delle foreste esistenti; uso della biomassa in sostituzione del-le fonti fossili e di altri materiali (Brown et al., 1996).

Tuttavia, le foreste di nuova formazione sequestrano carbonio intantoché sia raggiunto il limite massimo oltre al quale le perdite dovute a respirazione, morte del-le piante, cause esterne di disturbo o a utilizzazioni e altre operazioni forestali, arriva-no a bilanciare l’attività fotosintetica. Anche il legno estratto dal bosco e trasformato in prodotti legnosi costituisce una riserva inita di carbonio. Quando una supericie forestale non è ripiantata dopo la sua utilizzazione, oppure è perduta in modo per-manente, a causa di eventi naturali, la riserva di carbonio è dispersa; lo stesso accade se i prodotti legnosi degradati non sono sostituiti da analoghi prodotti. Al contrario, i beneici derivanti dalla sostituzione dei combustibili fossili con la bioenergia sono irreversibili: quando è prodotta energia da biomassa in sostituzione di una fonte fos-sile qualsiasi, si evita in maniera permanente l’emissione di una certa quantità di gas serra (Tuskan et al., 2001).

Il presente lavoro ha due obiettivi. Il primo consiste nella formulazione di un metodo per individuare politiche di gestione sostenibile dei boschi, avendo come ine ultimo la riduzione delle emissioni di gas serra e l’aumento del carbonio issato dal sistema forestale. Il secondo obiettivo è quantiicare i beneici ambientali che si

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Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia

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possono ottenere dalla gestione dei soprassuoli forestali della regione Lombardia at-traverso le politiche individuate.

Il software CO2FIX

CO2FIX V 3.1 (Masera et al., 2003; Schelhaas et al., 2004) è un modello di bilancio del carbonio costituito dai moduli della biomassa, del suolo, dei prodotti, della bioenergia (Fig. 1). Ciascun modulo descrive i lussi di ingresso e di uscita del carbonio, mentre il modulo inale calcola un bilancio complessivo nel sistema fore-stale.

Struttura modulare del modello CO2FIX. Figura 1:

Il modulo Biomassa descrive l’accrescimento della biomassa forestale a partire dal carbonio assorbito tramite fotosintesi distinguendo tra foglie, rami, fusto e radi-ci. Ognuno di questi comparti è regolato da opportune equazioni che descrivono l’accrescimento, la mortalità, il turnover e il taglio della biomassa. Mortalità, turno-ver e residui del taglio che restano sul terreno alimentano il modulo Suolo, in cui è descritta la decomposizione della biomassa e i relativi lussi di carbonio, dipendenti dalle condizioni climatiche e dalla lettiera. La biomassa rimossa alimenta il modulo

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Giulia Fiorese et al.

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Prodotti, che descrive gli utilizzi dei prodotti legnosi, tra cui l’uso energetico. Questo alimenta il modulo Bioenergia che valuta le emissioni di carbonio evitate grazie alla sostituzione di energia prodotta da combustibili fossili con energia prodotta da bio-masse. Il modulo inale di Bilancio del carbonio somma tutti i lussi in ingresso e in uscita dall’atmosfera. CO2FIX è uno strumento lessibile e può essere applicato ad una varietà di specie forestali. Il modulo Biomassa è in grado di descrivere sia pianta-gioni mono-speciiche sia boschi con più specie arboree e con una struttura non omogenea di età (attraverso il Modello coorti).

Tutte le variabili utilizzate sono masse di carbonio per ettaro di bosco (tC/ha); per la simulazione della dinamica si utilizza un passo temporale pari a un anno. È possibile convertire le quantità di carbonio della itomassa arborea in tonnellate di sostanza secca per ettaro (tSS/ha) o in metri cubi (m3/ha). L’output del modello è co-stituito da due indicatori: il primo esprime le emissioni medie annue di anidride car-bonica evitate grazie all’utilizzo della biomassa come fonte energetica alternativa al gas naturale e il secondo esprime la quantità media annua di gas serra sequestrato dal sistema forestale (biomassa forestale e suolo).

I boschi della Lombardia

La supericie forestale totale lombarda si estende su 665.702 ettari, più di un quarto della supericie regionale. Il 58 % della supericie forestale è costituita da po-polamenti puri di latifoglie, il 17 % da formazioni pure di conifere, il 13 % da boschi misti; la parte restante risulta non classiicata (INFC, 2005; ERSAF, 2007). La cate-goria forestale più difusa tra i boschi di conifere è l’abete rosso, tra i boschi di latifo-glie le più difuse sono castagneti, ostrieti e carpineti. Circa due terzi della supericie forestale è di proprietà pubblica, il restante è di proprietà privata. Quasi tutta la su-pericie forestale è soggetta a strumenti di pianiicazione forestale e un quarto della supericie è soggetta a vincoli di tipo naturalistico. Solo un quinto dei boschi ha ori-gine naturale, mentre la gran parte ha origine semi-naturale, dovuta a interventi sel-vicolturali o a rinfoltimenti. Il 6 % dei boschi presenta un’origine artiiciale (rimbo-schimenti, imboschimenti, piantagioni derivate da semina o da impianto di specie indigene o introdotte). Secondo i dati raccolti nell’Inventario Nazionale, circa l’8 % dei soprassuoli forestali si trova in uno stadio giovanile o di rinnovazione, il 61 % in uno stadio adulto e il rimanente 31 % in uno stadio invecchiato.

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Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia

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I boschi della Lombardia sono oggi in uno stato di parziale abbandono, che ha fatto seguito a secoli di utilizzo spesso eccessivo, con conseguenti situazioni di invecchia mento e di degrado. I prelievi di legname dai boschi sono drasticamente diminuiti dal dopoguerra, anche se c’è stata una lieve ripresa dopo gli anni ’80. I prelievi variano molto di anno in anno e in Lombardia oscillano tra un minimo di 0,8 nel 2004 e un massimo di 1,8 milioni di m3 nel 1999 (ISTAT, 2006). La dimi-nuzione del prelievo riduce la pressione a carico degli ecosistemi forestali; tuttavia una ripresa delle attività produttive correttamente svolte potrebbe signiicare la ine dell’attuale stato di abbandono.

Applicazione di CO2FIX ai boschi della Lombardia

Per studiare le alternative di gestione dei boschi della Lombardia sono stati in-dividuati 4 macrosistemi forestali che ricalcano la divisione usata nella cartograia di uso del suolo (ERSAF, 2007): boschi di conifere, boschi di latifoglie (cedui semplici, cedui composti e boschi fustaia-ceduo in cui non è riconoscibile una forma di gover-no prevalente), boschi misti di conifere e latifoglie (consociazioni di piante di specie diverse in cui non è riconoscibile una prevalenza dei tipi, sia a ceduo sia ad alto fu-sto), impianti di arboricoltura da legno (impianti ad alto fusto per la produzione del legname e altre legnose agrarie). Per ogni categoria forestale sono stati identiicati i parametri che regolano lo sviluppo della biomassa e i lussi di carbonio, sulla base di dati di letteratura il più possibile vicini ai sistemi forestali individuati.

Per quanto riguarda i parametri per il modulo Biomassa, sono stati adottati i valori di capacità portante dello stand e i tassi di crescita, turnover e mortalità ricava-ti da uno studio APAT (2002). Per il modulo Suolo, il contenuto iniziale di carbonio e la sua evoluzione nel tempo sono stati rielaborati da uno studio che ha stimato il contenuto di carbonio organico negli strati di suolo su tutta la regione (Progetto Kyoto Lombardia, 2008). I parametri sono stati ricavati anche dalle caratteristiche climatiche dell’area di studio che determinano l’umidità e controllano i fenomeni chimici, isici e biologici all’interno del suolo. Nel modulo Prodotti è stato ipotizzato che tutto il tronco sia utilizzato e che solo una parte di rami e foglie sia rimossa (pari al 90 % nel caso della arboricoltura da legno e pari al 70 % per le altre categorie), la-sciandone quindi una parte al suolo. Sono stati considerati i lussi di gas climalteran-ti dovuti alle operazioni di taglio (0,5 kgCO2,eq/tss) e di trasporto (0,25 kgCO2,eq/tss/

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Giulia Fiorese et al.

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km). Per il modulo Bioenergia è stato ipotizzato di usare le biomasse per produrre energia termica che va a sostituire energia termica prodotta da gas naturale.

In tutte le analisi, si é assunto che il contenuto medio di carbonio sia 0,5 tC/tss di biomassa e il potere caloriico inferiore pari a 16 MJ/kg per tutte le categorie forestali. La massa volumetrica (tss/m3) invece varia da specie a specie (Tab. I).

Valori delle variabili all’istante iniziale dell’intervallo di simulazione. Tabella I:

macrocategoria forestale

Massa volumetrica del

legno secco (IFNI, 2005)

Capacità Portante

(APAT, 2002)

volume Iniziale

(IFNI, 2005)

contenuto di carbonio

iniziale

Valori medi di carbonio organico 100 cm (elab.

da Progetto Kyoto Lombardia, 2008)

kg/m3 m3/ha m3/ha tC/ha tC/ha

Boschi di conifere 526 339 321 84 154,7

Boschi di latifoglie 705 65 160 56 126,1

Boschi misti di conifere e latifoglie

615 80 241 74 137,2

Impianti di arbori-coltura da legno

515 – 115 30 108,0

Politiche di gestione dei boschi della Lombardia

La gestione dei sistemi forestali si può deinire sostenibile quando avviene in forme e a un tasso tali da mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di rin-novazione, vitalità, nonché la loro capacità di fornire, ora e in futuro, rilevanti fun-zioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza cau-sare danni ad altri ecosistemi (APAT, 2002). Gli scenari di gestione considerati sono sostenibili per quanto riguarda la conservazione della biomassa: la quantità di bio-massa al termine dell’intervallo di simulazione è pari o superiore alla quantità inizia-le. Le politiche di gestione analizzate sono:1. Tutela assoluta: si suppone che il bosco evolva in modo naturale, senza efettua-

re alcun tipo di intervento.2. Conservazione: ogni anno si rimuove dal bosco una quantità di biomassa che

garantisce il mantenimento dello stock di carbonio; si taglia quindi tutto quanto è cresciuto nel corso dell’anno.

3. Ciclo lungo, medio e breve: con il primo taglio si porta la densità forestale ad un valore inferiore a quello che permette la massima crescita, in modo da garantire

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Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia

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una crescita elevata negli anni successivi. Dopo il primo taglio, si hanno tagli ci-clici ogni 20, 10 o 5 anni.

4. Massima produzione mantenibile: si porta la biomassa forestale alla densità tale da permettere la massima crescita tra un anno e il successivo. Ogni anno si taglia quanto è cresciuto durante l’anno stesso.

È quindi possibile formalizzare il problema di ottimizzazione che, per ogni categoria forestale, seleziona la gestione forestale ottima (u°) nell’insieme delle sei po-litiche di gestione U. L’obiettivo è massimizzare la somma della quantità media an-nua di CO2 issata dal sistema bosco (Ibosco) e la quantità media annua di CO2,eq evi-tata grazie alla sostituzione di energia da gas naturale (Ievitate). Per ogni categoria forestale la gestione ottima è quindi determinata risolvendo il problema:

maxu [Ibosco(u) + Ievitate(u)] u U

Tutte le simulazioni sono state svolte su un intervallo temporale di durata 100 anni, suicientemente lungo da rendere irrilevante il valore dello stato iniziale, non-ché aidabile la stima dei valori medi. La tabella II riporta, a titolo di esempio, i va-lori degli indicatori per la categoria forestale prevalente (boschi di latifoglie) e per ogni politica di gestione.

Valori degli indicatori (t COTabella II: 2,eq/anno) per politica di gestione per i boschi di latifoglie.

Ievitate Ibosco Ibosco + Ievitate

Tutela assoluta 0,00 –1,06 –1,06

Conservazione 0,72 0,51 1,24

Massima produzione mantenibile 3,38 0,71 4,09

Ciclo lungo 3,41 0,16 3,57

Ciclo medio 3,31 0,23 3,54

Ciclo breve 3,25 0,93 4,18

Potenzialità dei boschi della Lombardia

Nota la politica di gestione ottimale per le singole categorie dei boschi della Lombardia, per stimare quale può essere il contributo complessivo alla riduzione del-le emissioni di gas serra è necessario valutare le superici interessate. Queste sono sta-te ricavate dalla cartograia di uso del suolo (ERSAF, 2007) ponendo dei vincoli sul-la massima pendenza (inferiore al 30 %) e sulle distanze della rete stradale (inferiori

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Giulia Fiorese et al.

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ai 200 metri). Si tratta di vincoli che possono essere facilmente valutati elaborando la cartograia digitale con un GIS. La tabella III mostra, per ogni categoria forestale, la supericie forestale, la supericie disponibile, la forma di gestione ottimale e la ridu-zione di gas climalteranti.

Superficie forestale totale e disponibile per categoria forestale e riduzione delle Tabella III: emissioni climalteranti per ogni categoria secondo la politica di gestione ottimale.

Categoria forestale Superficie forestale regio-

nale (ha)

Superficie disponibile

(ha)

Politica ottima di gestione

Emissioni evitate

(tCO2,eq/anno)

CO2 sequestrata(tCO2/anno)

Boschi di conifere 134.352 10.647 Ciclo lungo 41.841 2.662

Boschi di latifoglie 340.137 97.253 Ciclo breve 316.071 90.445

Boschi misti di conifere e latifoglie

91.555 14.989 Massima produzione mantenibile

66.401 11.092

Impianti di arbori-coltura da legno

39.323 39.323 SRF 918.591 –16.123

Totale 605.367 162.212 – 1.342.904 88.076

Discussione e conclusioni

I prelievi storici dai boschi della Lombardia interessano una supericie pari a circa 11 mila ettari ogni anno e portano alla raccolta di poco meno di un milione di m3. In media si raccolgono 90 m3 per ettaro. Secondo le politiche di gestione propo-ste, invece, i tagli interesserebbero ogni anno una supericie pari a 35 mila ettari cir-ca, per una raccolta totale di poco meno di 500 mila m3, ovvero circa 14 m3 per et-taro l’anno.

Nel quadro di una gestione sostenibile delle superici forestali non c’è contrad-dizione tra lo sviluppo del bosco come accumulatore di CO2 e l’uso del bosco a ini energetici, anzi la sinergia può essere positiva. Non efettuare interventi di taglio non signiica ottenere un ambiente migliore. Dalle analisi condotte è infatti emerso che, lasciando seguire ai boschi le proprie dinamiche evolutive, e rinunciando a qualsiasi attività selvicolturale, si va incontro ad una fase in cui il bosco può addirittura emet-tere carbonio in atmosfera. La diferenza tra l’assorbimento complessivo associato alla soluzione ottima e quello associato alla soluzione senza taglio, costituisce il “prezzo”, in termini di mancato assorbimento, che la società paga per l’abbandono dei boschi.

La gestione sostenibile dei boschi lombardi proposta in questo lavoro potreb-be dare un contributo signiicativo al raggiungimento dell’obiettivo regionale di ri-

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Sostenibilità e bioenergia: un’applicazione del modello CO2FIX ai boschi della Lombardia

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duzione delle emissioni di gas serra indicato dal Protocollo di Kyoto, con una ridu-zione di circa 1,46 milioni di tonnellate annue di CO2,eq, pari a circa il 15 % della riduzione totale necessaria (Progetto Kyoto Lombardia, 2008).

Ringraziamenti

Il lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto Consolidamento ECATE – Eicienza e Compatibilità Ambientale delle Tecnologie Energetiche inanziato da Regione Emilia-Romagna.

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La realtà dei commons in Trentino e Cumbria: Governance sostenibile e resilienza

dei sistemi socio-ecologici

Commons in Trentino and Cumbria: Sustainable governance and resilience

of the social-ecological systems

Alessandro Gretter* & Rocco Scolozzi

Area Ambiente e Risorse Naturali , Fondazione Edmund Mach, IASMA Research and Innovation Centre, Via Edmondo Mach 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN)

*[email protected]

Abstract

A livello internazionale col termine “Commons” si indicano tutti quei beni la cui proprietà è della collettività, ossia caratterizzati dagli aspetti del “bene pubblico” sotto un proilo economico (disponibili in larga misura, proprietà non esclusiva ed escludi-bilità all’utilizzo limitata). A livello globale si può pensare a beni quali l’atmosfera oppure le risorse degli ecosistemi marini, ma anche molte altre risorse naturali e servizi ed infrastrutture tecnologiche. La possibilità di diferenziazione spaziale permette di declinare il termine anche su scala nazionale, regionale e locale. In questo caso si può parlare di un insieme di risorse di proprietà collettiva (“Common-pool resource”). La limitazione spaziale della trattazio-ne sarà svolta nel contesto Europeo, ed in particolare al caso delle Alpi Italiane e delle Uplands Inglesi, approfondendo così il confronto tra territori caratterizzati prevalente-mente dalla presenza di ecosistemi terrestri montani.Relativamente alle Common Lands di questi territori si è cercato di analizzare le risorse naturali nella loro complessità, mediante un approccio ecosistemico, mettendo in evi-denza le relazioni connesse ai beni e servizi forniti dalle risorse naturali. Gli ambiti sono caratterizzati da ecosistemi montani (declinati nelle forme di foreste, aree agricole e collinari) e dalla ricorrenza di una crisi a livello socio-ecologico (spopolamento, margi-nalità economica e/o sociale, perdita di identità culturale, impatti sulla biodiversità). Per il territorio del Trentino si è realizzata una valutazione economica del patrimonio dei beni di proprietà collettiva applicando i principi del Millennium Ecosystem Assessment. Il caso inglese della regione Cumbria è stato valutato per la capacità del sistema locale di rispondere ai mutamenti imposti dalle dinamiche del mercato. Le evidenze hanno permesso di confrontare gli strumenti atti alla tutela delle risorse naturali e della conservazione dei paesaggi culturali tradizionali.

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Le crisi: elementi esogeni ed endogeni

Le attese espresse dalla società relativamente alle utilità derivanti dai beni di proprietà collettiva si sono radicalmente modiicate in questi ultimi anni. Se una vol-ta i beni derivanti dalle proprietà delle comunità erano di “primaria necessità” (le-gname e allevamento), ora una parte rilevante del loro valore deriva dai nuovi servizi oferti (come la issazione dell’anidride carbonica) o attribuendo una valenza a fun-zioni che erano scarsamente considerate. I beneici derivanti da queste nuove moda-lità di beni e servizi sono di rilievo non solamente per le comunità locali, che hanno perso il loro status di chiusura ed autarchia, ma anche per gruppi sociali che a volte vivono molto distanti da questi territori.

Le politiche ed azioni che, principalmente, i governi locali e le comunità do-vrebbero adottare per preservare le caratteristiche delle risorse collettive sono quelle legate ad una modalità di gestione sostenibile delle risorse, seguendo quanto deline-ato in contributi come Dourojeanni (1993). Ossia contemplando la sostenibilità dell’ambiente e delle risorse naturali, la crescita economica delle comunità interessa-te e l’equità sociale. Il non conseguimento in modo simultaneo delle tre precedenti condizioni genera conlitti, tendenzialmente legati ad una visione di ottimizzazione che non ha nel lungo periodo il suo obiettivo e che risulta parziale.

In questa prospettiva, innovazioni di tipo gestionale hanno dato lusinghieri risultati in campo ambientale; tra queste ha ricevuto un crescente sostegno l’attribu-zione dei diritti di proprietà sulle risorse forestali ed idriche alle comunità locali (Ba-land & Platteau, 1996). Esse hanno infatti forti incentivi nel proteggere l’ambiente locale e posseggono al loro interno suicienti risorse per monitorarne l’uso in modo eicace. Sotto la guida della FAO e dell’UNEP negli ultimi anni molti governi, tra cui India e Nepal, hanno adottato dei modelli di gestione congiunta per le risorse forestali, trasferendo il controllo dallo stato a degli organi localmente eletti.

L’attività ricreativo-turistica rappresenta uno dei maggiori elementi di conlit-to. Facendo riferimento ai servizi ecosistemici, essi sono maggiormente utilizzati pro-prio dal settore turistico. Nel caso della stazione turistica svizzera di Davos un aumen-to del 10 % nel settore turistico richiede un aumento dei servizi ecosistemici del 6 % dovuto ad una maggiore domanda per i servizi di protezione idro-geologica e di assor-bimento del carbonio (Grét-Regamey & Kytzia, 2007). Questa valutazione risulta però distorta nei confronti della popolazione residente: ad essa, infatti, non viene as-sociato nessun valore diretto come invece succede ai turisti. Infatti “il turismo è l’in-contro tra una popolazione stabile e permanente (i residenti) ed una mutevole (turi-

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sti), le quali debbono trovare un accordo, simultaneo, su come usare e/o condividere le risorse locali” (Bimonte, 2008). A volte approcci volti alla conservazione, rispetto allo sfruttamento, ed in assenza di evidenti tendenze al free riding possono portare a modalità turistiche deinibili come “insostenibili”, tali da causare il degrado o la scomparsa della risorsa; questo avviene quando i fruitori hanno diferenti attitudini o attese nei confronti della stessa (Bimonte, 2008). In questa prospettiva la capacità socio-economica rappresenta la soddisfazione sociale ed economica della popolazione che risiede nella destinazione rispetto al fenomeno turistico ivi insistente. Una situa-zione che a volte non viene soddisfatta portando ad avere degli esempi di coesistenza conlittuale attraverso l’espulsione dei residenti, specialmente nelle località a maggiore attrazione turistica. Infatti trattare di “capacità di carico signiica anche (se non so-prattutto) trattare di conlitti sociali, reali o potenziali” (Bimonte & Punzo, 2004).

Nuovi “design principles” per validare una gestione efficiente

Come appare evidente nelle norme inglesi e trentine recentemente adottate, due sono le priorità da afrontare nel prossimo futuro per gestire i common: da un lato un nuovo modello di sviluppo che tenda a facilitare la “self-governance”, valoriz-zando anche nuove esigenze, e dall’altro il confronto con designazioni prevalente-mente ambientali quali NATURA 2000, imposte dall’alto, che potrebbero limitarne le attività. Soluzioni di tipo ottimale non possono essere individuate facilmente e senza alcun costo da autorità esterne; invece “ottenere la soluzione giusta” è un pro-cesso diicoltoso e lungo, che richiede innumerevoli informazioni di tipo temporale e spaziale, nonché una profonda conoscenza delle norme socio-culturali in vigore. La forma ottimale di gestione non è né strettamente privata né pubblica, bensì, come molte organizzazioni di gestione dei common hanno dimostrato, sono un insieme di istituzioni pubbliche e private.

Bisogna investire verso soluzioni di gestione multifunzionale dello spazio ru-rale nate e legate alle comunità locali (Short, 2008). Il crescente interesse ed il rico-noscimento dei beni pubblici aferenti ai common richiedono l’adozione di pratiche partecipative al ine di ridurre le tensioni esistenti ed incrementare il dialogo. In mol-ti casi si è sperimentato l’indebolimento del meccanismo di cooperazione esistente, il deterioramento dell’aidabilità delle relazioni di lungo periodo tra i beneiciari delle risorse, che ha scoraggiato gli investimenti (Seabright, 1993). Il ricorso ad approcci innovativi, legati alle comunità depositarie delle conoscenze e capacità locali, potrà

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avvenire attraverso la partecipazione, che realizzerà così la gestione adattiva e l’ap-proccio ecosistemico.

Le tradizionali funzioni economiche non dovranno essere rimosse, anzi per loro sono state sviluppate nei common le forme di gestione più eicienti e sostenibili ed a loro deve essere riconosciuto un ruolo cruciale come fonte di conoscenza per le altre, emergenti, funzioni.

I soggetti gestori di beni di proprietà collettiva possono raforzare, attraverso un “processo di mediazione”, la coerenza delle politiche di gestione delle risorse na-turali. L’identità collettiva, la auto-percezione e, di conseguenza, le preferenze dei soggetti vengono allora traslati verso gli scopi principali. I “design principles” deline-ati da Ostrom (1990) si possono mutare ampliando il concetto di dipendenza dai beni materiali di tipo economico, andando ad estenderla a quelli immateriali e sim-bolici, ricomprendendo anche le opportunità su scala sociale ed ecologica (Gerber et al., 2008). Inoltre le comunità, sempre più aperte e connesse con il mondo esterno, debbono poter ancora contare sui principi di auto-regolamentazione, perseguendo anche un ampio coinvolgimento degli stakeholders (compresi quelli “emergenti”) e sviluppare, congiuntamente ad altri enti e soggetti, politiche adeguate (Short, 2008). La loro eicienza sarà ancora garantita dal basso costo alla comunità nazionale, dall’indipendenza rispetto ai conini istituzionali, dalla loro legittimità riconosciuta e dalla profonda conoscenza delle condizioni locali (Gerber et al., 2008).

La resilienza dei sistemi socio-ecologici nelle regioni indagate

In teoria, nei common le funzioni ecologiche vengono conservate grazie a due condizioni favorevoli: il tradizionale uso estensivo delle risorse che non genera grandi impatti, permettendo il raggiungimento di un equilibrio stabile (o quantomeno ga-rantito dall’intervento umano) e la necessità di avere un largo consenso all’interno della comunità, relativamente alle regole di gestione, alla base della mancata introdu-zione di profondi cambiamenti (con conseguenze imprevedibili).

I cambiamenti nel tessuto socio-economico e la minor rilevanza delle tradizio-nali attività di produzione hanno però indebolito questo sistema. La progressiva scomparsa delle attività tradizionali e gli equilibri secolari ad esse collegati potrebbe-ro stimolare lo sviluppo di attività a forte impatto ambientale; inoltre, la prossimità di taluni di questi territori con altri ad elevato tasso di urbanizzazione genera una se-rie di pressioni, a volte molto intense.

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D’altro canto, però, il ritorno ad uno stato di wilderness potrebbe causare una riduzione in molte delle funzioni non di mercato che oggi la società tende a valoriz-zare. Nelle Alpi, l’abbandono della pratica del pascolo e della silvicoltura comporta l’afermarsi di un paesaggio meno attraente e la creazione di habitat con una minore biodiversità e maggiore rischio di incendi (Gios, 2004; Gretter et al., 2010).

In questa chiave di lettura, lo sviluppo di scenari, con ipotesi di cambiamenti nell’uso del territorio, qualità della vita, popolazione, aspetti climatici e condizioni economiche, può fornire una rappresentazione del possibile futuro. Per valutare la resilienza dei sistemi socio-ecologici si possono ipotizzare dei possibili scenari, per ognuno dei quali sarà individuata la variabile rilevante in termini di politica e di ge-stione, collegata (Walker & Meyers, 2004). Per i common, essi sono legati per esem-pio all’abbandono, all’intensiicazione o all’estensivazione di pratiche agro-silvo-pa-storali.

Gli scenari potranno essere anche inseriti, quale elemento predittivo presunto del futuro, in esercizi di valutazione della resilienza dei sistemi socio-ecologici, deli-neando così come si evolverà lo spostamento lungo gli stadi di equilibrio e gli shocks che si potranno registrare. Una prima sommaria valutazione della resilienza per i due territori indagati si presenta di seguito, non applicando però in questo frangente molti degli aspetti metodologici precedentemente presentanti, in particolare trala-sciando la parte relativa alla prospettiva futura ed alla elaborazione degli scenari.

Le aree di indagine

Partendo dai principi sopra elencati si è allora cercato di indagare due territo-ri dove la presenza di Commons fosse rilevante rispetto al contesto, individuando il Trentino per la zona alpina e la Cumbria nelle Uplands inglesi (Tab. I).

Alcuni dati sui territori indagati.Tabella I:

Cumbria Trentino

Superficie 6.823 km² 6.203 km²

Popolazione (2008) 496.000 519.000

% superficie definibile come Commons 17 57

% superficie designata NATURA 2000 25 19 (30 con aree protette)

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Le aree hanno caratteristiche similari sul piano di estensione (Cumbria 6.823 km², Trentino 6.203 km²) e di popolazione presente (Cumbria 496.000, Trentino 519.000), oltre che in termini di supericie designata come NATURA 2000 (Cum-bria 25 %, Trentino 30 % circa). Il sistema normativo di riferimento rispetto ai terre-ni e beni classiicabili come Commons è diversiicata ma la loro importanza, sia in termini di supericie (Cumbria 17 % della supericie totale; Trentino 57 %) che di riconoscimento nel contesto sociale e culturale, è preponderante.

In sintesi di seguito viene rappresentata in forma di diagramma una prima va-lutazione della resilienza dei sistemi socio-ecologici di maggiore riferimento, quello forestale per il Trentino e quello degli agro-ecosistemi pascolivi in Cumbria.

Trentino

Prendendo come variabili di riferimento la consistenza delle foreste trentine e la loro composizione in termini di specie, la vulnerabilità degli ecosistemi forestali ha registrato una diminuzione nell’arco di uno spazio temporale della durata di quasi due secoli (Fig. 1).

Il ricorso al legname per motivi di opera e, largamente, per le esigenze di ri-scaldamento ha caratterizzato tutto il periodo del XIX secolo; la pressione maggiore è stata però raggiunta in occasione del primo conlitto mondiale.

Già durante il periodo post-bellico sono state poste in essere delle attività di ripristino della consistenza del patrimonio forestale trentino, proseguite anche dopo il secondo conlitto. Proprio a partire dagli anni Cinquanta si sono afermati approc-ci gestionali che hanno fatto prevalere il ceduo rispetto alla latifoglia e la adozione di pratiche silvicolturali di tipo naturalistico; i risultati si sono visti a distanza di quasi cinquanta anni quando la maggior parte delle foreste trentine ha raggiunto livelli di-mensionali, di diversità e di maturità al suo interno in grado di poter resistere alle pressioni ed agli impatti che la colpiscono.

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La realtà dei commons in Trentino e Cumbria

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Sistemi

Socio

Ecologici

Valo

re d

el c

apita

le

Vulnerabilità

Shock

elevato uso

I Guerra Mondiale

II Guerra Mondiale

Selvicoltura naturalistica

Bosco maturo

Variazione della vulnerabilità nel tempo in Trentino.Figura 1:

Cumbria

Il capitale dei sistemi socio-ecologici della Cumbria può essere rappresentato dai 3 elementi di maggior rilievo per l’attività del “Hill-farming”: la dimensione dei pascoli disponibili, il numero di addetti e di aziende ed il numero di capi allevati.

Il sistema della Cumbria ha assistito ad una riduzione marcata del numero de-gli addetti nel corso degli ultimi 150 anni, comportando anche l’abbandono di aziende e terreni (Fig. 2). Questo si può rappresentare con una forte riduzione del capitale locale ed un costante aumento della vulnerabilità sancita da un tessuto rura-le più fragile. Infatti; negli ultimi 30 anni il sistema del “Hill farming” (e del hefting) ha evidenziato una tendenza che sembra condurlo al collasso. Come indicato in pre-cedenza da Jones (2007), alla luce degli strumenti di politica rurale esistenti oggi non converrebbe infatti mantenere un gregge di pecore e proseguire con le attività tradi-zionali.

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Alessandro Gretter & Rocco Scolozzi

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Sistemi

Socio

Ecologici

Valo

re d

el c

apita

le

Vulnerabilità

Shock

sussidi

I Guerra Mondiale

II Guerra Mondiale - spopolamento

2001 afta

epizootica

Alto numero occupati

Terreni in utilizzo

Variazione della vulnerabilità nel tempo in Cumbria.Figura 2:

Nonostante queste condizioni, il sistema sembra però essersi ristabilito positi-vamente dall’epidemia di afta epizootica che ha colpito l’Inghilterra nel 2001, deno-tando che il livello della resilienza non è del tutto compromesso.

Il futuro per la Cumbria presenterà nuove side; infatti secondo le previsioni dei cambiamenti climatici nel 2050, congiuntamente alle azioni socio-economiche del “Regional Stewardship”, vi sarà una riduzione della supericie a pascolo ed una perdita di biodiversità, specialmente a livello di lora, il tutto a scapito di nuove mo-dalità di uso del territorio come i seminativi o le coltivazioni di biomassa a scopo energetico (Audsley et al., 2008).

Il contributo sociale del Hill Farming include l’impatto sulla qualità della vita e le opportunità sociali oferte sia alla popolazione locale sia ai visitatori (ricreazione, salute, educazione, ecc…), fattori che condizionano la salute e la qualità della vita degli agricoltori, delle loro famiglie e il coinvolgimento dei contadini nelle comunità locali ed il ruolo delle donne in agricoltura. In questa prospettiva, diviene allora an-cora più pressante attivare iniziative su scala di comunità per proteggere i beni pub-blici, anche attraverso l’ottenimento di nuove risorse inanziarie per le attività agro-ambientali, congiunte non accessibili spesso ai singoli che ne hanno diritto.

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La realtà dei commons in Trentino e Cumbria

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Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

Trend of Cyanophyte Blooms in the Trasimeno Lake (1992-2007)

Rosalba Padula* & Linda Cingolani

ARPA Umbria, Via Pievaiola str.San Sisto, 06074 Perugia *[email protected]

Abstract

Il lavoro ha come obiettivo la valutazione dell’evoluzione delle comunità algali nelle acque del lago Trasimeno e lo studio delle possibili cause del fenomeno. È stato osservato come dal 1990 si siano veriicate ioriture di Cianobatteri, con modiicazioni nella composizione delle comunità nel corso degli anni. Nel 1990 la maggior parte delle popolazioni algali erano costituite principalmente da Phormidium spp e Oscillatoria tenuis; attualmente le specie individuate con più frequenza risultano Cylindrospermopsis raciborskii e Planktothrix agardhii, potenziali produttori di tossine. La concentrazione di cloroilla “a”, indicatore della presenza di cianoicee, durante gli anni ha subito costantemente delle impennate durante le ioriture di alghe azzurre in tutte le stazioni di controllo. Le prove di tossicità su topo, tuttavia, non hanno mai mostrato situazioni di pericolosità per la balneazione. Il ritrovamento, in alcuni anni, di microcistina ha indotto le autorità sanitarie a dismettere l’uso idropotabile delle acque del lago. Le cause delle ioriture algali sono state individuate negli scarichi civili trattati e non, immessi nel lago e nelle pratiche di fertirrigazione praticate dalle attività zootecniche. Vengono indicate alcune proposte per limitare il degrado del lago Trasimeno.

Introduzione

Il problema delle ioriture algali conseguente ai fenomeni di eutroizzazione è sotto l’attenzione delle autorità nazionali ed internazionali. È noto, infatti, come mol-te specie di cianobatteri possano produrre sostanze altamente tossiche o cancerogene per l’uomo e gli animali in particolari condizioni ambientali (Carmichael, 1989). L’ARPA Umbria è impegnata in dal 1988 in programmi di sorveglianza sull’eutroiz-zazione del lago Trasimeno. Una delle attività più signiicative riguarda il controllo delle cianoicee, con particolare riguardo alle ioriture estive e alla eventuale produzio-

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Rosalba Padula & Linda Cingolani

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ne e rilascio nell’ambiente acquatico di sostanze tossiche e/o cancerogene. Scopo del presente lavoro è quello di veriicare l’evoluzione delle comunità cianobatteriche negli anni, segnalare eventuali incrementi di popolazioni potenzialmente tossiche, indivi-duare le cause che ne scatenano i bloom estivi. La presente indagine si inquadra in un disegno di prevenzione più ampio volto alla tutela della salute pubblica e ambientale.

Materiali e metodi

Area di Studio

Caratteristiche idrologiche e morfologiche

Il lago Trasimeno con i suoi 124 km2 di supericie rappresenta, per ampiezza, il quarto lago italiano e il primo dell’area peninsulare. È un lago laminare di origine tettonica, poco profondo (h max. 6,5 m) e privo di emissari. Dagli anni novanta il lago non raggiunge la quota di sioro e non ha pertanto un eluente, fenomeno che annulla il ricambio delle acque. Le ridotte dimensioni dell’area di drenaggio, la scar-sità di precipitazioni atmosferiche sull’area (700-800 mm pioggia /anno) e la mode-sta portata dei corsi d’acqua tributari concorrono a ridurre gli apporti idrici al lago.

Pressioni Antropiche

Popolazione

La pressione inquinante esercitata dalla popolazione residente nel bacino (cir-ca 30.000 abitanti, Fonte ISTAT 2001) tende ad aumentare notevolmente nel perio-do estivo a causa delle presenze turistiche. In tale stagione, pertanto, le condizioni del lago diventano più problematiche.

Scarichi civili ed industriali

Gli scarichi civili vengono trattati da 5 impianti di depurazione a fango attivo per circa 21.000 a.e. Il rapporto tra popolazione e abitanti trattati indica la presenza sul territorio di frazioni e case sparse servite da fosse Imhof per circa 8.000 abitanti.

Per quanto riguarda gli scarichi industriali, negli ultimi anni si è rilevato un incremento delle piccole imprese e una progressiva sostituzione delle attività mani-fatturiere, con aziende artigianali delocalizzate in tutto il bacino (Bozza Piano di tu-tela delle Acque della Regione Umbria, 2006). Il loro contributo all’inquinamento è comunque di tipo organico, similmente ai carichi apportati dai relui civili.

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Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

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Aziende zootecniche

L’impatto derivante dai relui provenienti dagli allevamenti zootecnici è legato soprattutto alla presenza di circa 40.000 capi di suini concentrati prevalentemente nel comune di Castiglione del Lago. Entro il bacino sono stati registrati anche alle-vamenti di tacchini con 182.000 capi, polli con 38.000 capi, bovini con 1.500 capi ed equini con 80 capi (Fig. 1).

Localizzazione delle Figura 1: aziende zootecniche e delle aree utilizzate per la fertirrigazione.

Prelievi idrici

L’uso della risorsa idrica avviene sia per prelievi diretti che per attingimento dalle falde circumlacuali, destinati prevalentemente al settore agricolo.

Settore agricolo

Le aree più interessate dall’agricoltura intensiva, richiedente l’uso di presidi sanitari, sono situate nella zona pianeggiante tra Castiglione del Lago e S. Arcangelo, coltivata prevalentemente a seminativi.

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Rosalba Padula & Linda Cingolani

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Aree vulnerabili

Tutto il bacino idrograico del lago Trasimeno è stato dichiarato vulnerabile ai nitrati.

Programma di sorveglianza

Il controllo dell’eutroizzazione è stato attuato secondo il D.M. 17 giugno 1988 su sette punti di campionamento (Tab. I), mediante prelievi quindicinali nel periodo giugno-settembre e mensili nel periodo ottobre-marzo.

Elenco stazioni di campionamento.Tabella I:

Cod. Arpa Stazione Comune

TRS30 Centro lago Castiglione del lago

TRS7 Anguillara Castiglione del lago

TRS9 Macerone Tuoro

TRS11 Paganico Castiglione del lago

TRS23 Rio Pescia Castiglione del lago

TRS25 Lido Arezzo Pineta Castiglione del lago

TRS19 Spiaggia Albaia magione

Il monitoraggio prevede il rilevamento di parametri chimico-isici (pH, tem-peratura, trasparenza, conducibilità a 25 °C, alcalinità, % saturazione, DO, azoto totale, azoto ammoniacale, azoto nitroso, azoto nitrico, ortofosfato, fosforo totale, cloroilla a, silice, cloruri, solfati, solidi disciolti) e indagini sulle popolazioni di cia-nobatteri. I parametri presi in considerazione nel lavoro sono quelli ritenuti più si-gniicativi per deinire lo stato di eutroizzazione del corpo idrico: cloroilla a, popo-lazioni itoplanctoniche e trasparenza.

Il conteggio e il riconoscimento delle specie algali potenzialmente tossiche e la determinazione della cloroilla a, principale pigmento fotosintetico delle cianoicee, vengono eseguiti secondo le indicazioni contenute nella Nota del Ministero della Sanità IX 400.4/13.1/3/562 del 9 aprile 1998. La trasparenza è determinata secondo il metodo APAT CNR IRSA 2120 Man.29, 2003.

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Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

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Risultati

Dal 1992 è stato notato come le comunità itoplantoniche del lago tendessero ad arricchirsi sempre più di alghe azzurre ilamentose nel periodo tardo-estivo, ino alla manifestazione di vere e proprie esplosioni per tutto lo spessore dello specchio lacustre (h. max 6,5 m).

Dall’analisi dei valori riscontrati per ogni stazione di campionamento risulta che, nel periodo in esame, le concentrazioni di Chl-a e cianobatteri hanno raggiunto valori signiicativamente elevati (Fig. 2). A partire dal 2003 i valori estivi di Chl-a aumentano pressoché contemporaneamente in tutti i punti di campionamento.

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Rosalba Padula & Linda Cingolani

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Andamento della Chl-A e delle cianoficee nei sette punti di campionamento.Figura 2:

Più di una volta i valori di Chl-a hanno superato i 20 µg/l nei mesi di agosto e settembre. Negli anni 2004-2005 addirittura le concentrazioni massime registrate hanno superato i 50 µg/l, nelle stazioni di fronte a Monte del Lago e ai fossi Anguil-lara e Macerone,

Nella tabella II vengono mostrate le specie riscontrate più frequentemente: Cylindrospermopsis raciborskii, Planktothrix agardhii, Aphanizomenon spp., Geitlerine-

ma spp, Leptrolyngbya spp.

Popolazione di cianobatteri più frequentemente rilevati durante gli anni 1997-2007.Tabella II:

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Anabaenopsis spp. X X X X X

Aphanizomenon spp. X X X X X X X

Aphanizomenon flos-aquae X X X

Aphanizomenon issatschenkoi X

Phormidium spp. X X X X

Planktothrix agardhii X X X X X X X

Oscillatoria tenuis X X X X

Microcystis spp. X X

Microcystis aeruginosa X X X

Cylindrospermopsis raciborskii X X X X X X X X

Anabaena circinalis X

Geitlerinema spp. X X X X X X X

Leptolyngbya spp. X X X X X X X

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Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

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Poiché Cylindrospermopsis raciborskii è stata notata solo a partire dal 2002, in igura 3 viene mostrato l’andamento della cianoicea dal momento della sua compar-sa ino all’anno 2007.

Andamento del Figura 3: Cylindrospermopsis raciborskii nel periodo 2002-2007.

Poiché i campioni non conformi per trasparenza sono andati aumentando ne-gli anni, è stata efettuata una correlazione lineare tra il numero medio stagionale (giugno-settembre) dei campioni non conformi e i valori medi stagionali di Chl-a; ciò allo scopo di veriicare se la torbidità dell’acqua fosse legata alle insorgenze delle esplosioni algali (Fig. 4).

Confronto tra andamento della Clorofilla a e % di campioni non conformi per trasparenza.Figura 4:

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Rosalba Padula & Linda Cingolani

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I carichi inquinanti misurati sui fossi aferenti al lago sono mostrati in igu-ra 5. I carichi inquinanti veicolati dagli impianti di depurazione vengono mostrati in tabella III.

Carichi medi annuali di COD, azoto e fosforo veicolati dai fossi tributari nel lago Figura 5: (2004-2005).

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Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

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Stima dei carichi annuali immessi (kg/anno) dai depuratori nel lago Trasimeno – Tabella III: Anni 2001/2002.

SottobacinoTrasimeno

Abitanti serviti di progetto

Abitanti serviti di esercizio

BOD5

2001Ntot

2001SS

2001Ptot

2001BOD5 2002

Ntot 2002

SS 2002

Ptot 2002

Passignano - Le Pedate 9000 2.233 10.045 1.675 4.822 558 11.560 7.712 5.621 1.716

C.del Lago - Pineta 4000 740 785 2.208 1.004 95 872 814 704 47

C.del Lago - Bonazzoli 6500 3.500 23.382 33.828 30.098 1.989 11.443 3.234 4.975 248

Magione - S. Arcangelo 1800 622 n.d. n.d. n.d. n.d. 1.971 4.508 3.139 482

Totale 21.300 7.095 34.211 37.712 35.923 2.643 25.846 16.268 14.439 2.493

Discussione

Dai dati ottenuti risulta che la ioritura delle cianoicee è stata più elevata nel-le aree lacustri antistanti i punti di conluenza del Fosso Macerone, Rio Pescia, Fosso Paganico, e nella zona centrale del lago. L’esplosione algale si manifestava in modo considerevole per tutto lo spessore dell’acqua. I periodi critici, in cui la crescita di cianobatteri raggiungeva valori molto elevati, si manifestavano da agosto e settem-bre, a volte con picchi bimodali trascinati ino al periodo invernale. Dal 2002 la pre-senza del Cylindrospermopsis raciborskii si è consolidata, raggiungendo valori partico-larmente elevati negli anni 2004, 2005 e 2006, con un andamento medio stagionale vicino ai 10.000.000 il-col/l e valori puntuali superiori a 20.000.000 il-col/l.

A partire dal 1997 le rilevanti presenze estive di Planktothrix agardhii, Apha-

nizomenon spp., Geitlerinema spp., e Leptrolyngbya spp. sembrano essersi stabilizzate, almeno ino al termine del periodo esaminato.

La rilevante presenza di cianobatteri potenzialmente tossici ha imposto di provvedere ogni anno all’esecuzione di test di tossicità. I test su topo sono sempre risultati negativi. Solo nel 2003 e nel 2004 alcuni campioni in entrata al potabilizza-tore hanno presentato presenza di Microcistrina–LR, sebbene in concentrazioni non superiori a 0,21 µg/l, al di sotto del limite di pericolosità stabilito dall’OMS (1 µg/l). Tuttavia, per motivi di prevenzione, il potabilizzatore dell’acqua lacustre è stato di-sattivato.

I valori estivi particolarmente elevati di Chl-a (presente in modo rilevante nei cianobatteri), hanno avvalorato l’insorgenza, la stabilizzazione e, quindi, la rilevanza sanitaria dei “bloom” di cianoite. L’andamento delle concentrazioni di Chl-a, infat-ti, ha accompagnato quasi fedelmente quello delle colonie algali, tanto che i valori

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Rosalba Padula & Linda Cingolani

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maggiori sono stati riscontrati proprio presso le stazioni in cui le ioriture si mostra-vano più consistenti (aree di fronte ai fossi e centro lago). Il fenomeno si era già ma-nifestato durante gli anni ’90, quando alla prevalenza di cloroicee nel itoplancton estivo (Moretti, 1958; Cingolani, 2000) si andava sostituendo una netta dominanza di cianoicee. In quegli anni, evidentemente, si stavano veriicando le condizioni fa-vorevoli alle esplosioni di alghe azzurre: alta temperatura dell’acqua, illuminazione prolungata e immissione consistente di nutrienti.

Il trattamento statistico dei dati relativi al numero dei campioni non confor-mi per la torbidità e i corrispondenti valori di Chl-a ha messo in evidenza una corre-lazione lineare positiva (r = 0,8). Benché il valore non risulti particolarmente signii-cativo, tuttavia, l’indice di correlazione risulta abbastanza elevato se si considera il grande range di variabilità insito nelle indagini svolte in campo. Non sarebbe fuori luogo sostenere l’esistenza di un rapporto tra la proliferazione delle cianoicee (non di rado visibili ad occhio nudo per la formazione di densi iocchi e schiume) e l’in-torbidamento estivo delle acque del Trasimeno.

In sintesi, le principali cause delle ioriture estive di cianoicee possono essere attribuite:

alle peculiarità del bacino (ridotta profondità, scarsità di precipitazioni atmosfe-•riche, modestissima portata dei corsi d’acqua aferenti, mancato ricambio delle acque);al consistente alusso di nutrienti e carichi organici veicolati dagli scarichi civili •che, se pur trattati, convogliano continuamente inquinanti nel lago, come mo-strato nella tabella II;al notevole carico zootecnico localizzato nelle aree agricole per efettuare pratiche •di fertirrigazione;ai fenomeni di lisciviazione derivanti dall’uso del liquame utilizzato in fertirriga-•zione (Cingolani et al., 2005). Dagli studi efettuati nel lavoro citato risulta chia-ramente come la contaminazione derivante dalla fertirrigazione rivesta un’impor-tanza cruciale, dato che pesanti carichi di contaminanti vengono veicolati dai fossi tributari come già mostrato in igura 6, da cui risulta evidente come i carichi azotati risultino molto elevati in quei fossi nelle cui vicinanze sono situati alleva-menti suinicoli (Fig.1).

Per la salvaguardia del lago, che da qualche anno è stato designato Parco Regio-nale (Regione Umbria, 1995-agg.2007), occorrerebbe intervenire con azioni che, an-

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Andamento delle fioriture di cianoficee nel lago Trasimeno (1992-2007)

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che gradualmente, riportino se non alle condizioni degli anni ’50-’60 almeno ad una signiicativa diminuzione dei bloom di alghe potenzialmente tossiche. Ciò potrebbe essere raggiunto, con minori preoccupazioni per la salute pubblica, attraverso:

promozione e incentivazione di sistemi innovativi di compostaggio che non pre-•vedono emissioni di relui, da sostituire alle pratiche di fertirrigazione (già in uso in modo molto limitato nel bacino); graduale eliminazione dell’immissione diretta degli scarichi dei depuratori civili;•promozione di ricerche inalizzate all’utilizzo dei relui civili per uso irriguo;•applicazione del Codice di Buona Pratica Agricola;•una sorveglianza più stringente dell’evoluzione dell’ecosistema lacustre, inalizza-•ta alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione delle vocazioni tipiche del lago e alla tutela della salute pubblica.

Bibliografia

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Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato

Photosynthetic response of some algal species to water acidification

Lucia Porzio1,2 *, Maurizio Lorenti1, Carmen Arena2 & Maria Cristina Buia1

1 Laboratorio di Ecologia Funzionale ed Evolutiva, Stazione Zoologica Anton Dohrn, Villa Comunale, 80121 Napoli

2 Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II, Via Cinthia 4, 80126 Napoli

*[email protected]

Abstract

A causa delle continue emissioni di biossido di carbonio nell’atmosfera, è stata stimata per il 2100 una diminuzione del pH della supericie oceanica di circa 0,5 unità. Le ricerche efettuate ino ad oggi in questo ambito non consentono di trarre conclusioni univoche sugli efetti che l’acidiicazione del mare può provocare sulle comunità bentoniche. Per fornire un contributo a questa tematica, uno studio di tali efetti sulla componente macroalgale, particolarmente vulnerabile alle modiicazioni di origine antropica, è stato intrapreso in un sito naturalmente acidiicato per la presenza di emissioni di CO2 sottomarine. In questo lavoro è stata caratterizzata l’attività fotochi-mica, come marcatore di eicienza fotosintetica, di alcune specie macroalgali presenti lungo il gradiente naturale di acidiicazione. I dati preliminari mostrano che le specie studiate hanno una diversa capacità di utilizzare la radiazione luminosa assorbita nei processi fotochimici ed una diferente ripartizione di tale energia nei processi non- fotochimici.

Introduzione

Il continuo aumento della concentrazione di biossido di carbonio in atmosfe-ra, per efetto delle sempre più abbondanti emissioni antropiche, sta determinando un cambiamento signiicativo della temperatura con efetti sul clima a livello pla-netario. Ripercussioni sono attese anche per quanto riguarda i sistemi acquatici. È stato infatti stimato che l’incremento di CO2 in ambiente marino potrebbe provo-care fenomeni di acidiicazione, ovvero un abbassamento del pH del mare di circa

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Lucia Porzio et al.

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0,5 unità entro il 2100 (IPCC, 2001), portando a conseguenze incontrollabili negli oceani.

L’ambiente bentonico costiero risulta essere particolarmente vulnerabile alle perturbazioni di origine antropica (Airoldi et al., 2007). In tale sistema le macro-alghe giocano un ruolo strutturale e funzionale molto importante, poiché costitui-scono la base della rete troica; pertanto ogni modiicazione nella loro abbondanza e composizione provoca alterazioni non solo a carico delle comunità ad esse associate ma dell’intero ecosistema. Fino ad oggi pochi studi sono stati realizzati per valutare gli efetti a lungo termine del cambiamento di pH sulle comunità macroalgali ben-toniche e per lo più hanno riguardato esperimenti efettuati in laboratorio su pochi organismi chiave (Beer et al., 1996; Kübler et al., 1999; Menéndez et al., 2001).

Nell’isola di Ischia (Golfo di Napoli) è presente un sito caratterizzato da emis-sioni naturali sottomarine di CO2, a temperatura ambiente che determinano un gra-diente di pH (Hall-Spencer et al., 2008). Tale sito, unico nel suo genere, è da consi-derarsi come un laboratorio naturale in cui studiare le risposte a lungo termine dell’acidiicazione sulle comunità bentoniche costiere. In questo lavoro è stata valu-tata, sia in situ che in laboratorio, l’inluenza del pH sull’eicienza fotosintetica di alcune specie macroalgali presenti in zone a diferente grado di acidiicazione.

Materiali e metodi

Il sito di studio

L’area in cui è stato condotto questo studio è situata a Ischia, nel Golfo di Napoli presso il Castello Aragonese (40° 043.84’ N; 13° 57.08’ E). La particolarità del sito è dovuta all’emissione sottomarina di CO2 di origine vulcanica che determi-na un gradiente di pH da circa 8,1 a 6,7 unità (Hall-Spencer et al., 2008). In questo sito sono stati identiicati 3 sub-siti con diferente grado di acidità dove, a specie come Dictyota dichotoma var. intricata, presente lungo tutto il gradiente, si contrap-pongono taxa con una ripartizione più limitata, come Sargassum vulgare, presente solo nella zona più acidiicata, e Jania rubens, presente quasi esclusivamente a pH maggiore di 8 (Porzio et al., in preparazione).

Misure di eicienza fotosintetica. Lo stress indotto dall’acidiicazione sull’ap-parato fotosintetico è stato valutato, sia in laboratorio che in situ, misurando alcuni

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Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato

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indici fotochimici in funzione dell’irradianza per mezzo di un luorimetro a luce mo-dulata (Diving-PAM, Walz, Germany). Prima di efettuare le misure di luorescenza in situ, il luorimetro è stato tarato in laboratorio, impostando alcuni parametri come: intensità e durata del pulse saturante, il range di irradianze utilizzate per cia-scuna specie e distanza del campione dalla ibra ottica. La caratterizzazione fotochi-mica è stata condotta in laboratorio su cinque specie macroalgali, due alghe brune (Phaeophyceae) Dictyota dichotoma var. intricata e Sargassum vulgare, e tre alghe rosse calcaree (Corallinaceae) Jania rubens, Corallina elongata e Amphiroa rigida; la caratte-rizzazione in situ è stata condotta su Dictyota dichotoma var. intricata, Sargassum vul-

gare e Jania rubens, per la maggiore abbondanza nel loro ambiente naturale.L’attività fotochimica, misurata in funzione dell’irradianza (Photosynthetic

Photon Flux Density, PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1), è stata analizzata attraverso i seguenti indici: resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di tra-sporto elettronico (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non fotochimi-co (qN). qP e qN sono stati calcolati secondo van Kooten e Snel (1990) mentre FP-SII secondo Genty et al. (1989). La massima eicienza fotochimica del PSII (rapporto Fv/Fm) è stata misurata su campioni adattati al buio per 10 minuti e rap-presenta un importante indicatore per valutare l’insorgenza di eventuali condizioni di stress in organismi autotroi. La signiicatività delle diferenze è stata saggiata at-traverso l’analisi della varianza (ANOVA ad una via).

Risultati e discussione

L’analisi degli indici fotochimici ha permesso, per le diferenti specie macroal-gali, di valutare l’eicienza di conversione della luce nel processo fotosintetico e la ripartizione dell’energia luminosa assorbita dai fotosistemi nei processi fotochimici e non fotochimici.

Dalle misure condotte in laboratorio si evince che le Phaeophyceae presenta-no valori signiicativamente più elevati (P < 0,01) di FPSII, ETR e qP rispetto alle Co-rallinaceae (Fig. 1). L’attività fotochimica più elevata riscontrata nelle Phaeophyceae è indice del fatto che tali gruppi algali posseggono un apparato fotosintetico che si mostra più eiciente nell’utilizzare la radiazione luminosa assorbita in processi foto-chimici rispetto alle specie calcaree. I più alti valori di qN riscontrati nelle due Co-rallinaceae suggeriscono che le specie calcaree possano dissipare in processi non-foto-chimici la radiazione luminosa assorbita in eccesso.

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Lucia Porzio et al.

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Caratteristiche intrinseche diverse tra Phaeophyceae e Corallinaceae emergo-no anche dall’analisi della massima eicienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) (Fig. 2).

Dictyota dichotoma var. intricata Sargassum vulgare Corallina elongata Amphyroa rigida Jania rubens

Resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico Figura 1: (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non-fotochimico (qN), nelle specie D. dichoto-ma, S. vulgare, J. rubens, C. elongata e A. rigida in funzione dell’irradianza (PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1) misurate in laboratorio a pH > 8. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 4.

Fv/Fm

J. rubens

C. elongata

D. dichotoma

S. vulgare

A. rigida

Massima efficienza fotochimica del PSII (FFigura 2: v/Fm) misurata in laboratorio, a pH > 8, nelle specie D. dichotoma, S. vulgare, J. rubens, C. elongata e A. rigida. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 4.

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Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato

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Infatti le Phaeophyceae hanno mostrato valori di Fv/Fm signiicativamente più elevati (P < 0,05) rispetto alle Corallinacee, indicando una maggiore potenzialità di conversione della luce nei centri di reazione.

Diversamente dai dati raccolti in laboratorio, dove le variazioni degli indici fotochimici non erano imputabili al pH ma solo a diferenze intrinseche tra specie, le misure in situ hanno permesso di valutare l’efetto dell’acidiicazione sull’apparato fotosintetico. In igura 3 sono mostrati i valori di FPSII, ETR, qP e qN registrati in

situ: per D. dichotoma a pH normale (8.06) ed acido (6.72), per S. vulgare a pH aci-do e per J. rubens a pH normale.

Dictyota dichotoma var. intricata pH 6.72 Dictyota dichotoma var. intricata pH 8.06 Sargassum vulgare pH 6.72 Jania rubens pH 8.06

Resa quantica del trasporto elettronico lineare (FPSII), attività di trasporto elettronico Figura 3: (ETR), quenching fotochimico (qP) e quenching non-fotochimico (qN), misurati in rapporto all’irradianza (PPFD, µmol di fotoni m-2 s-1) in situ nelle specie: D. dichotoma cresciuta a pH acido (6,72) e normale (8,06), S. vulgare cresciuto a pH acido e J. rubens cresciuta a pH normale. I dati riportati sono medie ± errore standard di n = 9.

Dai dati raccolti in situ si evince che le tre specie esaminate non mostrano dif-ferenze signiicative per gli indici FPSII e ETR. In D. dichotoma l’attività fotochimica non risulta inluenzata dalle variazioni di pH; i valori degli indici misurati in D. di-

chotoma sono simili a quelli per S. vulgare, indicando una equivalente capacità di

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convertire energia luminosa nel processo fotosintetico. J. rubens mostra invece valori signiicativamente più elevati (P < 0,05) di qP e qN rispetto alle due Phaeophyceae in tutto il range di PPFD esaminato, discostandosi dal comportamento osservato in la-boratorio. Una possibile spiegazione potrebbe derivare dal fatto che questa alga rossa occupa nel sito di studio una zona più supericiale, trovandosi pertanto più esposta alla radiazione luminosa. Ciò potrebbe aver indotto un fenomeno di acclimatazione dell’apparato fotosintetico alla luce che potrebbe essere alla base della maggiore atti-vità fotochimica riscontrata.

Per quanto riguarda la massima eicienza fotochimica del PSII (Fv/Fm) misu-rata in situ, nessuna diferenza è emersa tra D. dichotoma cresciuta a diferenti valori di pH e S. vulgare cresciuto a pH acido, indicando una eicienza fotochimica poten-ziale comparabile per le due specie (Fig. 4). Al contrario valori signiicativamente più bassi (P < 0,05) sono stati misurati in J. rubens.

Fv/Fm

J. rubens pH 8.06

D. dichotoma pH 8.02 D. dichotoma pH 6.72

S. vulgare pH 6.72

Massima efficienza fotochimica del PSII (FFigura 4: v/Fm) misurata in situ, nelle specie: D. dichotoma cresciuta a pH acido (6,72) e normale (8,06), S. vulgare cresciuto a pH acido e J. rubens cresciuta a pH normale. I dati riportati sono medie ± errore standard di n=9.

I dati, pur se preliminari, suggeriscono che la diversa attività fotochimica riscon trata nei campioni analizzati in laboratorio rilette caratteristiche intrinseche proprie delle diferenti specie. In situ, l‘eicienza fotochimica maggiore di 0,60 (Fig. 3) in D. dichotoma ad entrambi i valori di pH suggerisce l’indiferenza di questa spe-cie all’acidiicazione e la sua plasticità nell’adattarsi ai diversi ambienti. I valori com-parabili di Fv/Fm in S. vulgare e D. dichotoma indicano che entrambe le specie risul-tano ben adattate a pH acido poiché il loro apparato fotosintetico non mostra una situazione di stress.

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Risposta fotosintetica di alcune specie macroalgali in ambiente acidificato

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Con questo studio sono state poste le basi per ulteriori approfondimenti sugli efetti dell’acidiicazione sulla funzionalità dell’apparato fotosintetico. La molteplici-tà delle variabili che intervengono in situ rende necessari ulteriori esperimenti per fornire una risposta univoca sull’inluenza che il pH esercita sui processi fotochimici e non fotochimici nelle diverse specie.

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Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas

to quantify and monitor the human impact on biodiversity

Verso la definizione di una “Zona di Interazione” delle aree protette

per quantificare e monitorare l’impatto antropico sulla biodiversità

Francesco Rovero1* & Ruth DeFries2

1 Biodiversità Tropicale, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento2 Ecology, Evolution, and Environmental Biology, Columbia University, New York (USA)

*[email protected]

Abstract

he current biodiversity crisis imposes to understand the efects of human activities on biodiversity. Yet, studies that include human impact in analysis of biodiversity changes remain scant. It appears especially critical to formalize how biodiversity monitoring data, obtained from local scales (plot), can be integrated in the broader context (landscape), potentially global, where the anthropogenic efects fall. In the attempt to ill this gap, a working group of scientists called by the pan-tropical programme TEAM (Tropical Ecology, Assessment and Monitoring) of Conservation International – established to monitor humid tropical forests through standard protocols – proposed a framework to delineate a “Zone of Interaction” (ZoI) that includes human inluence in biodiversity monitoring. he present contribution summarizes the approach and criteria to delineate the ZoI, which is potentially applicable to any coupled human-natural system. It also summarizes the results from a practical example of ZoI in an area in Tanzania, the Udzungwa Mountains, which is of extraordinary importance for biodiversity. he case study shows that diferences between forest mammal popula-tions, especially primates, are related to anthropogenic disturbance in the ZoI, thus validating the relevance of such approach. From a methodological perspective the need emerges for integrating human disturbance data taken on the ground (e.g. hunting, tree cutting) with satellite data derivable for larger scales (e.g. ires, human density, land use).

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Francesco Rovero & Ruth DeFries

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Introduction

he negative impact of human activities on biodiversity is widely recognized, and as such eforts have been made to analyse changes in biodiversity while incorpo-rating the efect of human inluence. However, the processes through which human activities around biodiversity areas afect species and populations at particular sites remain often poorly understood, and more work is clearly needed. Despite the tradi-tional separation between disciplines studying human and ecological processes, it is clear that these processes are intertwined through exchanges of energy, materials, and organisms (Liu et al., 2007a-b). Relevant background work in this context especially focussed on the efects on protected areas and biodiversity of land-use changes (see Hansen & DeFries, 2007, and other contributions in the same volume). It remains especially critical to formalize how biodiversity monitoring data, obtained at local scales (plot), can be integrated in the broader context (landscape), potentially global, where the anthropogenic disturbance acts.

In the attempt to ill this gap, a framework to delineate a “Zone of Interac-tion” (ZoI) that includes the human inluence in the biodiversity monitoring has been recently proposed by Conservation International in the framework of the pan-tropical programme TEAM (Tropical Ecology, Assessment and Monitoring; see http://www.teamnetwork.org) (DeFries et al., 2009) with the aim to monitor humid tropi-cal forests through standardized protocols. he present contribution summarizes the criteria adopted to delineate the ZoI and provides a practical example from an area in Tanzania, the Udzungwa Mountains, which is of extraordinary importance for biodiversity. he focus on sites in the biodiversity-rich humid tropics derives from the evidence that in this biome deforestation and other human activities destroyed biodiversity at unmatched rates.

Methods and Results

Delineating the Zone of Interaction

DeFries et al. (2009) describe in details the pragmatic approach proposed for delineating ZoI associated with biodiversity measurement sites. hese are based on remote sensing data and other sources of information such as local expert knowledge

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Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas

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of ecological and socioeconomic features. If the measurement plots are located with-in a protected area, which is often the case, the protected area deines the minimum extent of the area to be monitored. hus, four criteria are proposed to incorporate ecological and human interactions that afect biodiversity at the biodiversity plots (Fig. 1). Here, these criteria are listed and their application and mapping in the Ud-zungwa Mountains is described (see Rovero et al., 2009 for details on the area, and DeFries et al., 2009 for full details on mapping the ZoI).

Extent of contiguous habitat surrounding the measurement site

Habitat contiguous to the measurement site potentially extends the range and number of species within a protected area. he contiguous habitat might be deined by topographic features (e.g. a deep valley of dry habitat separating moist forests), rivers, roads, or boundaries of human land use. Watershed boundaries may also be a natural boundary to delineate the zone of interaction where anthropogenic or topo-graphic boundaries are not clear. In the Udzungwa, contiguous forest habitat outside the protected areas is highly fragmented, with some key, forest-dependent species such as the Udzungwa red colobus extending their range to insulated fragments. On the eastern side, the contiguous habitat is constrained by the sharp topographic boundary. On the western side, the ZoI includes a periphery coincident with the ex-tent of the remaining forest fragments (Fig. 1a).

Migration corridors present and boundary deinition

Migration corridors can be used by species to travel from the measurement site to other habitats. he corridors can be critically important for survival. Exam-ples include relatively narrow strips of land used by elephants to access feeding areas and seasonally-used paths for ungulates that lead to water holes. In the Udzungwa, this criterion considers the movements of elephant populations towards other eco-systems. he corridors are narrow and highly threatened by growing human en-croachment. A 10 km-wide strip along the corridor that leads to adjacent protected areas is mapped as the second component of the ZoI (Fig. 1b).

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Zone of Interaction (demarcated by Figure 1: the black and white-shaded line) defined for the Udzungwa Mountains of south-central Tanzania, combining spatial extent for criterion 1 (contiguous habitat) (3a), criterion 2 (migration corridors) (3b), and criterion 4 (human influences) (3c). Criterion 3 (watershed boundary) does not apply in this case. The background is the black and white transposi-tion of a satellite image (Landsat ETM+ scenes), darker areas representing forest patches. Figure by Jenny Hawson, adapted from DeFries et al. (2009).

Watershed boundaries

he area inluenced by major water lows will likely impact many ecological patterns and processes around the measurement site. Whether the site is in the upper reach of the watershed (water moves out of the site), the middle or the bottom (wa-ter moves through the site) is a key control of these processes. In the irst case, the site itself is the source of water for other areas in the landscape so that this compo-nent of the ZoI is contained within the site. In the second case, it is important to determine the boundaries of the watershed because changes in water lows and qual-ity will impact the site. In the Udzungwa, the protected area is in the upper reach of the watershed. he criterion does not apply in this case.

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Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas

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Boundaries of human activities with strong inluence on the measurement site

he designation of the spatial extent of human inluences on biodiversity in the measurement sites is the most diicult and subjective of all the criteria. People living around the site will likely have a direct impact on its biodiversity, through processes such as hunting, land conversion, extractive activities, domestic animals, and pollutants from factories and other sources. In the Udzungwa, human settle-ments that directly inluence the biodiversity are conined in a peripheral 5 km zone, that along the eastern side of the mountains is constrained by intensive cultivation and geophysical settings (Kilombero river and Selous Game Reserve). For areas where settlements are present along a larger zone we also identiied a 40 km-wide outer zone of indirect human inluence (Fig. 1c). he resulting ZoI component rep-resents the combined direct and indirect human inluence zones.

Monitoring primates and other mammals in the Udzungwa Mountains

Zone of Interaction

he validity of the ZoI as delineated in the Udzungwa Mountains was tested by analysing the correlation between the abundance of forest mammal populations and potentially disturbance factors measured both on the ground and from remote sensing. Two forest sites were chosen to assess the efects of disturbance on mammal populations: these sites are relatively similar in terms of habitat but clearly in con-trast in terms of protection, with the northern site being inside a National Park, and the southern site being an unmanaged Forest Reserve.

Primate and forest antelope abundance census method followed established transect methodology that allows estimating the encounter rate (in this case the number of primate groups or individual antelope seen per km walked). Signs of hu-man disturbance were also counted along “disturbance transects” walked from the forest edge to forest interior. In particular, for each forest an index of freshly-cut pole and timber stems was computed as the ratio of cut stems to the total number of both cut and live stems. his gives an estimation of disturbance comparable across forest habitats that may vary in stem density as a result of old management regimes or hab-itat type. See DeFries et al. (2009) for all methodological details.

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Indices of human disturbance (above) and mammal encounter rates (below) for Figure 2: Mwanihana forest (National Park) and Uzungwa Scarp (Forest Reserve) in the Udzungwa Mountains, Tanzania. Values are mean and standard deviation from transects running from forest edge towards the interior. Transects for disturbance signs were 20 to 25 and 0.5 km-long (repeated once), whereas transects for mammals were 3 and 4 km-long (repeated 23 to 48 times each). See details in DeFries et al. (2009).

he results of census for four species of primates and one species of forest an-telope and the results of disturbance transects are both shown in igure 2. As hypoth-esized, disturbance was low, or very moderate, in Mwanihana forest in the National Park, while it was high in the southern Uzungwa Scarp Forest Reserve. Comparison of primate and duiker census results between Mwanihana and Uzungwa Scarp shows lower abundance in the latter for all species but the Sykes’ monkeys (Cercopithecus

mitis); this trend was especially clear for the two canopy-dependent species of colobus monkeys (ANOVA: F1,205 = 102.74, P < 0.001 and F1,205 = 82.20, P < 0.001 for red colobus and Angolan colobus, respectively), and for the red duiker Cephalophus har-

veyi (F1,64 = 4.53, P = 0.035), a common forest antelope.

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Towards the definition of a “Zone of Interaction” of protected areas

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Mammals’ counts, that were collected from 2003 until 2005 through 23-48 repetitions of three transects 4 km in length, are negatively correlated with distur-bance indicators collected along 20 and 25 randomly-placed 0.5 km transects. hus, colobine monkeys’ abundance was negatively correlated with gaps in the forest can-opy (Spearman’s test: r = –0.39, P = 0.006 and r = –0.45, P = 0.001 for Angolan colobus and red colobus, respectively) and positively correlated with the distance from the forest edge (r = 0.40, P = 0.004 and r = 0.35, P = 0.013, respectively). Moreover, red colobus observations were negatively related to the number of distur-bance signs (r = –0.28, P = 0.048). he exception was Sykes’s monkey, a primate that prefers secondary forest habitat: counts were positively related to gaps (r = 0.36, P = 0.009) and negatively related to the distance from the forest edge (r = –0.27, P = 0.057).

Conclusions

Monitoring a zone of human inluence around biodiversity sites appears a critical and pragmatic strategy for interpreting biodiversity changes. Despite being developed and tested for tropical forest sites, the ZoI concept is widely applicable to a variety of habitats where human and natural systems co-exist. he case study in the Udzungwa Mountains shows that without collection of data on human activities in the ZoI along with mammal abundance, it would not be possible to interpret difer-ences in mammal abundances at these sites. Data from remote sensing corroborate the pattern emerged from ground data. For example, ire activities derived from sat-ellite data show that ire incidence is greater in the southern, unprotected site. Simi-larly, changes in forest cover over the last few decades have also been greater around the southern site, causing complete fragmentation of this site in comparison to northern forests (DeFries et al., 2009). Monitoring of primates and forest antelope is ongoing, and the most updated data show that the decline experienced by these pop-ulations only in the southern forest is dramatic and could potentially lead to local extinction. his applies especially to the colobine monkeys and the forest antelope that are particularly vulnerable to hunting (Rovero et al., in press).

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Acknowledgements

he TEAM programme (funded by the Gordon and Betty Moore Foun-dation) sponsored the workshop that led to the design and publication of the ZoI concept. he work in the Udzungwa Mountains by Francesco Rovero was mainly funded by the Museo Tridentino di Scienze Naturali and by the Critical Ecosystem Partnership Fund.

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The effectiveness of different management policy to support

the Natural Capital

L’efficacia di differenti politiche di Gestione nel supportare il Capitale Naturale

Teodoro Semeraro*, Irene Petrosillo, Nicola Zaccarelli & Giovanni Zurlini

Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies, University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce

*[email protected]

Abstract

he identiication of areas that are worthy of protection (SPZ, CIS etc.) and the subsequent institution as natural protected areas are instruments that society uses to preserve Natural Capital (NC). he aims of this paper are to analyse the efectiveness of diferent management strategies in maintaining the low of the NC in the context of protected area. herefore a retrospective analysis of land-cover/land-use mosaics was carried out in the natural protected area “Torre Guaceto”. he analysis of land-use and land-cover temporal dynamics was based on the economic valuation of ecosystem goods and services proposed by Costanza et al. in 1997, used as surrogate of NC. he results showed that not all environmental conservation management strategies have played an equal role in fostering NC. his research highlighted that the recognition of the natural value of a site according to the European Directives (NATURA 2000 network) is not suiciently efective for the conservation of the NC, but it is necessary to identify a management authority that can monitor the landscape transformations, setting, where necessary, the appropriate limitations.

Introduction

Natural and semi-natural ecosystems and landscapes provide beneits to hu-man society now and in the future, which consist of a mix of goods and services, both private and public, provided by multifunctional landscapes, which are referred to as “Natural Capital” (NC) (de Groot, 2006; Haines-Young et al., 2006). he idea of NC is a useful framework in which one can consider as a whole the output of

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goods and services associated with an entire landscape, viewed as a mosaic of difer-ent land cover elements (Haines-Young, 2000).

One of the most successful strategies for NC conservation is the creation of oicially and legally recognized terrestrial and marine protected areas. hese areas should reduce intensive and direct use of ecosystems in terms of frequency and ex-traction of resources, considering the diferent requirements of diferent stakehold-ers, and guarantee the persistence of the processes and function that sustain the eco-system services.

hese areas support NC and, consequently, security and human well-being. Natural protected areas can be considered part of the so-called “critical social natural resource”, representing natural areas that are of critical value largely as a result of their social value to local communities, rather than of any outstanding ecological or scientiic value. Such habitats might be critical because of their location and their value as amenities, for recreation and education and for bringing people into regular contact with the natural world (Chiesura & de Groot, 2003).

he crucial aspect of natural protected areas is their management, which has predominantly focused on individual ecosystems almost in isolation. However, man-agement is increasingly confronted with the problem of managing the entire land-scape, which often consists of complex, interacting mosaics of diferent habitat patches and ecosystems (Potschin & Haines-Young, 2001), and integrating phe-nomena across multiple scales of space, time and organizational levels (Berkes & Folke, 1998; Levin, 2006).

Within this framework this research, conducted in the selected natural pro-tected area in southern Italy, based on the assessment of natural capital change, re-sulting from two diferent kinds of management over time, can be performed by es-timating and comparing the changes in the economic value of ecosystem services. Undoubtedly this approach is not very accurate since both the area under study and the economic valuation system are dynamic, changing in time and space. In addi-tion, the same type of ecosystem could have very diferent values in diferent loca-tions due to diferences in ecological role, economic activities, cultures, and the life-styles of local people. Values depend on current market prices and preferences, so that past generations could value a particular service diferently from the current generation. However, the approach introduced by this paper helps to arrange a irst attempt of the change of overall natural capital low under the current and the past management regimes.

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The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital

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Materials and methods

he study area is the natural protected area of “Torre Guaceto” in the Apulian region, southern Italy (Fig. 1). Even if this area stretches for only 1500 ha, it repre-sents an administrative unit where the management authority constantly takes plan-ning and management decisions.

Study area: the protected Figure 1: area of Torre Guaceto, southern Italy.

In 1987 it was declared a Wetland of International Importance according to the “Convention on Wetlands of International Importance especially as a water low habitat”, the so-called Ramsar Convention (1971). In 1995, in the context of the European Program “NATURA 2000”, the area of “Torre Guaceto” was proposed as a Site of Community Importance (European code: IT9140005) according to the European Directive 92/43, and in 1998 as an Important Bird Area (European code: IT9140008) according to the European Directive 79/409. In 2000 it was designated as a national protected area according to Italian Law 394/1991.

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In this study, we compiled a time series of land-use and land-cover maps refer-ring to the month of July for the years 1954, 1987, 1997 and 2004 by interpreting 1m×1m orthorectiied aerial photos. We identiied 16 terrestrial land-use and land-cover categories to describe both spatial and temporal landscape dynamics and to as-sess changes in natural capital values based on Costanza et al.’s (1997) ecosystem services valuation biomes model. he most representative biome was used as a proxy for each category and the corresponding ecosystem services coeicient (US $×ha-1 per year), as proposed by Costanza et al. (1997), is shown in table I.

Land-use/land-cover categories identified in the study area; the most representative Table I: biome used as a proxy for each land-use/land-cover category, and the corresponding ecosys-tem services coefficient (US $×ha−1 per year), as proposed by Costanza et al. (1997).

Land cover categoriesThe most representative

BiomeEcosystem services coefficient

($ ha-1 per year)

Urban

Urban0

Railroad

Street

Rocky coast Rock

Sow-able-ground Cropland 92

Uncultivated groundGrassland 232

Grassland

Mediterraneam Scrub

Forest 969

Almond land

Olive grove

Reforestation area

Tamarisk

Juniper

Coastal beach Coastal beach 4052

Periodically under

Wetlands 14785Inundation land

Watland

In terms of proxy identiication, the classiication of permanent cultivations, such as Mediterranean scrub, Almond and Olive groves, Reforestation area, Tama-risk and Juniper as “Forest” and not as “Cropland” depends on the ecological role they play, based not only on the intuitive production of goods and services, but also on the role of sink played by permanent cultivation that is similar to that played by

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The effectiveness of different management policy to support the Natural Capital

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forest and natural areas in facing disturbance across scales (Zurlini et al., 2006). Al-though land-use intensiication is at issue as source of disturbances, permanent cul-tivations are not detrimental to biodiversity. On the contrary, they apparently can bufer landscape dynamics and disturbances across scales in southern Italy (Zurlini et al., 2006).

We estimated the Natural Capital Value (NCV) at time T using the following relationship, modiied after Costanza et al. (1997):

NCV = Ak x VCk

where Ak is the area (ha) for land-use/cover class ‘k’, and VCk is Costanza’s Value coeicient (US $×ha−1 per year), which we assumed constant during the tem-poral range under study.

Change in NCV is estimated over time by calculating, for each class, the dif-ference between the estimated values for 2-year period with reference to 1954, 1987, 1997 and 2004.

Results

he change in the total Natural Capital Value of the protected area shows an average decreasing trend from 1954 to 1997 (Fig. 2), followed by an increasing trend from 1997 to 2004. Surprisingly, despite the protected area being declared in 1987 International Important Zone according to the Ramsar Convention and in 1995 Site of Community Importance, neither oicial recognitions apparently pro-duced any relevant positive efect on the NCV (Fig. 2). Conversely, the increase in the NCV from 1997 to 2004 might very well be attributed to a “conservation” efect determined by the institution of the protected area of Torre Guaceto in 2000 (Fig. 2). We were not able to detect any efect related to its recognition as an Important Bird Area in 1998 because photos for the year 2000 were not available.

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Temporal changes of Natural Capital Value (NCV) in the study area, highlighting the Figure 2: different temporal recognitions of its natural value (IIW: international important wetland; SCI: site of community importance; IBA: important bird area; PA: institution of the natural protected area). Bars represent the NCV variability range due to an estimated 2m average digitalization error.

Discussion

We use the economic coeicients proposed by Costanza et al. (1997) and al-though these estimates of the value of ecosystem services are biased, and we lay no claim to their veracity, they at least provide not only a novel insight into the complex patterns of land-use dynamics, but also a way to quantify the comprehensive change in the lux of natural capital in the natural protected area of “Torre Guaceto”.

he speciic contribution of this paper is to show that those coeicients can be used not only to address purely economical issues, as they are frequently used. On the contrary, even if their values are considered constant during the temporal range under study, they could play a role as operational surrogates to evaluate the recent temporal dynamics of the overall lux of natural capital in the study area; this repre-sents a irst attempt where ield data and information are not available, but addition-al work is required to relect changes in value across space and time. his is particu-larly relevant for the study of ecosystem goods and services, given that their complexity makes it diicult to forecast their future in any meaningful way (Carpen-ter et al., 2005). In this respect, retrospective analyses help us to understand the past trajectory of the system that is at the basis for tracing future scenarios, in that the ap-

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proach here adopted focuses on real change processes instead of the arbitrary and random information of landscape patterns (Käyhkö & Skånes, 2006). Additionally, retrospective analyses help identify the possible driving forces behind changes, main-ly due to human activity in the study area, and the main consequences of these proc-esses on natural capital security, intended as the persistence of the overall amount of ecosystem goods and services provided by the natural protected area.

Conclusion

Policy analysis is a critical element in the appraisal of the efectiveness of any public policy including nature conservation policy.

While the literature abounds with approaches to the evaluation of conserva-tion eiciency at the ecosystem level (e.g., Ramirez Sanz et al., 2000; Brody et al., 2003), it is also useful to carry out a critical analysis of conservation policy at the in-dividual natural protected area level, while at the same time considering its wider contexts (Zurlini et al., 2006). Successful conservation of biodiversity is not only a function of how much nature and what kind of nature is being protected or the var-ious types of designations, but most importantly a function of the rigour with which conservation policy is pursued in practice by the competent authorities. At the poli-cy level, it is increasingly obvious that natural capital conservation cannot be sustain-able simply by extending the protected area and designations. his is crucial in Eu-rope where in each partner country there are great eforts in designation of areas that, for their natural value, have to be considered for inclusion in the NATURA 2000 network, and where the concept of national park, among others, difers radi-cally from the American model, because people and their activities have, over millen-nia, shaped and sculpted landscapes with a distinctly human touch.

As a result, European parks and areas included in the NATURA 2000 net-work are not conceived as wilderness preserves, but rather explicitly as multifunc-tional landscapes (Mander et al., 2007), where people and land have become insepa-rable and are considered worthy of protection as such.

In line with the multifunctional character of the NATURA 2000 sites, con-servation policy and management should be interdisciplinary. hey should build on solid knowledge of ecological, social and economic processes and deine opportuni-ties and priorities with a view to achieving both the conservation objectives of the sites and sustainable socio-economic development.

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Teodoro Semeraro et al.

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205

The integrated information system on water supply and wastewater services:

the Italian experience in the urban water survey

Il sistema informativo integrato sui servizi idrici: l’esperienza italiana della rilevazione sulle acque urbane

Stefano Tersigni*, Marilena A. Ciarallo, Renato Torelli & Luca Salvati

ISTAT, Environmental Statistics Unit, Via Adolfo Ravà 150, 00142 Roma*[email protected]

Abstract

ISTAT has carried out a survey on water supply and wastewater statistics since 1951 with the aim of describing the state of urban water services in Italy. A new census survey is being carried out in 2009 in order to acquire detailed information on water quantity/use at municipality and plant scales. Diferent questionnaires were sent to the water management companies for each typology of managed water services. Question-naires collect information on abstracted water, water supply systems, sewerage systems and wastewater treatment plants. he new survey is arranged through the Web Based Survey solutions for data capturing. A dedicated web site, protected by the network protocol SSL (Secure Sockets Layer), was prepared in order to facilitate respondents in downloading the personalized questionnaires and uploading completed questionnaires in form of electronic spreadsheets. he web site also ofers respondents with technical assistance. Open source tools were used in order to acquire and load data received by water management companies. Finally, data integration procedures from other statistical sources were discussed.

Introduction

In the last years water statistics have acquired a growing importance in envi-ronmental monitoring. Assessing state of water supply and changes in water availa-bility may be carried out at various temporal and spatial scales by either remote sens-ing/ield monitoring strategies or statistical collections of quantitative data from water service/system holders. Statistical surveys on water supply and wastewater may be census or sampling surveys. In this contribution, we intend to present the Italian

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Tersigni Stefano et al.

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experience with water resource statistics provided by the Italian National Institute of Statistics (ISTAT). In particular, this paper focuses on recent advance in the ield of water surveys referring to data capturing phase.

The ISTAT system of water surveys

ISTAT has carried out surveys on water statistics since 1951 with the aim of describing the state of urban water services in Italy. he survey chronology (1951, 1963, 1975, 1987, 1993, 1999, 2005, 2008) has allowed to develop an information basis that is progressively updated by considering both the new water country/EU directives and the increasing demand of information from public institutions and private stakeholders. After the edition of 1999, both the contents and the produc-tion process have been deeply renewed. In fact, as a result of preliminary studies con-ducted by ISTAT the survey has become a “system of surveys” composed of diferent sub-surveys. his system is named Water Surveys System (Ciarallo et al., 2005).

In particular, the survey was developed with the aim to collect information according to the scheme illustrated in igure 1. Abstracted water is collected by water pipes and delivered to the municipal water supply system. hrough this system each inal potable water user will be supplied. Wastewater is collected in the sewage sys-tem and treated before the eluent is discharged into water body (e.g. watercourse, natural lake, artiicial reservoir, sea and transitional waters).

Urban water use scheme.Figure 1:

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The integrated information system on water supply and wastewater services

207

he cyclical nature of water phenomena and the complex characteristic of

utilities supply (e.g. presence of networks) make the way of collecting statistics on

these issues diicult. In the precedent water surveys, Istat already adopted various

kinds of questionnaires and in 1999, for the irst time, six contextually-supplied

questionnaires and a separate sewerage system questionnaire were developed. his

was done with the aim to optimise productive processes of water statistics in order

to pursue objectives of standardisation in both the deinitions and methodologies

in the medium-long term. It requires the deinition of a common reference for urban

water services indicators, as well as an adequate model of aggregation that its the

basic common needs of the main user categories (Matos et al., 2003; alegre et al.,

2006).

The 2008 census survey

In 2009 a new census survey is being carried out to acquire detailed informa-

tion on water quantity/use at municipality scale referring to 2008. Four diferent

questionnaires were sent to water management companies identiied by a prelimi-

nary survey. Each management company has received speciic questionnaires for

each type of managed water service. he four questionnaires collect information on

(i) abstracted and transmitted water, (ii) water supply systems, (iii) sewerage and (iv)

wastewater treatment plants. In every questionnaire information on individual man-

aged plants are required. he list of questionnaires and the related responding units

are reported in table 1.

Questionnaires of the Table I: ISTAT Water survey system by responding unit.

Questionnaire Responding Unit

Abstracted and transmitted water Water pipes system management companies

Water supply system Water supply system management companies

Sewerage Sewerage system management companies

Municipal wastewater treatment plants Municipal waste water management companies

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Tersigni Stefano et al.

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In more detail, the four types of questionnaire are:

Abstracted and transmitted water

his questionnaire requests information on the principal inputs and outputs of drinking water of a typical water transmission system. Collected variables include water abstracted by sources, water delivered to each municipality, raw water import-ed or exported, water distributed wholesale for industrial and agricultural purpose.

Water supply system

his questionnaire refers to the public water network which supplies water to the inal users. Each water supply system is related with its municipality. he col-lected information regard the water volume, the structural characteristics of network and the water pipes plants connected to the municipality water supply system. In particular, collected variables include total invoiced water, invoiced water by uses, total supplied water, total water poured in the water supply system.

Sewerage

Data about management companies of sewage system are requested in this questionnaire. he aim is to obtain basic information about the type of plant and the existence of waste water treatment, the percentage of waste water collected through waste water treatment plants and the percentage and the destination of not treated waste water (water bodies).

Wastewater treatment plants

his questionnaire investigates on the main characteristics of urban waste wa-ter treatment plants. he aim of this survey is to get information about management of treatment plants, type of treatment (primary, secondary or tertiary) and localisa-tion of plants. Other pieces of information regard the estimation of inhabitant equivalent (design capacity and actual occupation), municipalities connected to waste water treatment plants, sewage sludge production, as well as disposal and waste water quality of treatment process.

Concerning control and validation processes, the survey beneits from a pro-cedure of data integration from various other statistical sources, including speciic regional registers conducted by Environmental Protection Agencies on water quan-

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The integrated information system on water supply and wastewater services

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tity/quality and administrative sources from regional administrations and National

Research Institutes.

The technological solution for the data capturing phase

technological innovation brings new opportunity, ofering new ways to con-

duct water surveys (Nicholls II et al., 1997). he survey edition conducted by

Istat in 1999 was carried out through a paper self administrated questionnaire.

after having evaluated some aspects related to the experience of census survey, a new

strategy for the edition of 2005 was deined. In detail, the data capturing phase was

based on the integration of two techniques: CaPI (Computer assisted Personal In-

terviewing) and CatI (Computer assisted telephone Interviewing). In particular,

CaPI was used with integrated water management companies and big companies

for whom a telephone interview would have been too long. CatI was used for the

remaining respondents. Both these techniques make possible to implement two im-

portant tools aimed at improving quality data as the introduction of checking rules

during the interview and the comparison of values captured during the interview

with data captured in 1999 census, so as to verify the signiicant discrepancies di-

rectly with the respondent (Di Bella et al., 2005).

he new 2008 survey was arranged through web solutions for data capturing.

a dedicated web site was prepared to ofer respondents technical assistance and (per-

sonalised) spreadsheets for easy and rapid reply. hese technologies facilitate the au-

tomation of self-administered survey and ofer the control tools typical of computer

assisted interviewing such as branching, edits, randomization, etc., together with the

beneits of self-administration (e.g. mitigation of interviewer efects, reduced survey

costs).

Data capturing and uploading stages

his part of the survey, more closely related to computer science, was devel-

oped starting from the institutional web portal “indata.istat.it”, which is dedicated

to data capturing (Fig. 2).

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Tersigni Stefano et al.

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Distributed system scheme of Figure 2: ISTAT water survey.

he transfer protocol is https. User-id and a temporary password is issued to each user. During the irst login the user has to select his working password. By mak-ing multiple selections from a checkbox, the user can download one or more excel questionnaires. Each questionnaire may be compiled of-line by the user and subse-quently completed and uploaded. he uploading phase triggers a check process that veriies, on the application server, some irst consistency checks (e.g. compliance with the electronic format of ile and with the track record deinition). If this process was successful, the excel ile is given a meaningful name (username+questionnaire+date) and stored on an apposite directory of another server. On this server the DBMS Or-acle runs, that holds raw data tables and the tables containing data subjected to edit and imputation processes.

According to a scheduled daily time, a C program reads each excel ile and up-loads the suitable (generally more than one) raw data tables. he above mentioned C program uses Pro*C and libxls libraries. Pro*C is a software library supplied by Ora-cle, while libxls is an open software, downloadable from sourceforge.net, that can read MS Excel iles. Libxls can also read MS Excel formulas results saved in iles.

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The integrated information system on water supply and wastewater services

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Conclusions

he progression from self-administered questionnaire to a computerized self-

administration of surveys is argued to reduce survey errors and to improve data col-

lection quality. survey results will be available in 2010 through a GIs-based data

warehouse inside the institutional web portal from Istat (http://acqua.istat.it/).

Results include several indicators depicting state and changes in water resource of

Italy at a very detailed level. a new survey will be scheduled in 2013, thus obtaining

a very long time series on water resource data.

Acknowledgements

We wish to thank David Hoerl, maintainer of open sources libxls libraries, for

his precious debugging work according to our reports about libxls library.

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The management of the marinas in the context of environmental security

La gestione dei porticcioli turistici nell’ottica della sicurezza ambientale

Donatella Valente*, Irene Petrosillo, Nicola Zaccarelli & Giovanni Zurlini

Landscape Ecology Laboratory, Dept. of Biological and Environmental Sciences and Technologies, University of Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce

*[email protected]

Abstract

In the context of Environmental Security the management of Socio-Ecological Landscapes (SEL), complex and adaptive systems that are made up of social and ecological components, must take into account that both of these components are mu-tually interactive and for this the ecological component is inluenced by social component characterized by perceptions and human behavior. However, if on the one hand it is necessary to recognize that perception of security is fundamental at all levels of human organization, on the other hand, it is of primary importance to admit that only the decision-makers make decisions and assign management priorities on the basis of their perception of risks with real consequences on the environment in terms of environmental risk. So far the management of marinas has been conducted without considering the environmental awareness of managers about the potential consequenc-es connected to their decisions. On these assumptions the research is carried out (i) at provincial scale, comparing the perception of the environmental risk of the managers of 8 marinas in the province of Lecce and (ii) at local scale, analyzing the perception of the environmental risk of the managers of one of the ports studied (subjective analysis), assessing the potential environmental risk of the pressures through the creation of scenarios (objective analysis) and comparing the results of the objective and subjective analysis to cause assessment of environmental security. he results obtained allowed to highlight that the management of the SEL must include necessarily the environmental perception of the decision makers, beyond the economic, social and ecological components. In addition the results provided early spatial indications about the state of potential risk of a port, constituting a valid support for the realization of the efective programs of environmental monitoring in diferent areas of the harbor.

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Donatella Valente et al.

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Introduction

Marinas represent one of the possible coastal uses and the activities carried out in these structures are also likely to cause the deterioration of local coastal land-scape and the quality of marine water in the surrounding areas (Petrosillo et al., 2009). In terms of ecological risk, the management of a marina can play an impor-tant role in reducing or strengthening environmental pressures and, consequently, environmental security for much wider coastal areas. Consequently, it is necessary to highlight the signiicant role played by human perception of the environment in the context of the decision-making process. It is also true that in addition to public per-ception management success depends on the perception of decision makers, because they take a decision and assign management priority on the basis of how they per-ceive the risks with real consequences on the environment (Simoni & Allen, 1998). he focal task of the landscape security approach is to identify and assess the overall risk due to the diference between subjective and objective environmental assess-ments and to igure out possible ways to minimize it.

As an example, the environmental security of the same marina might be eval-uated diferently in both objective and subjective terms (Fig. 1).

Possible combination to Figure 1: compare objective and subjective assessment in the framework of environ-mental security (Zurlini & Müller, 2008).

In the case (a) and (d) there is concordance between objective and subjective evaluations of environmental state; for case (a) both agree on positive (high) envi-ronmental quality, whereas for case (d) both agree on negative (low) environmental quality of the marina under study. In particular, if we consider the quality of water, in case (a) the perception of managers matches the parameters established by the ref-erence law, while in case (d) there is a very low awareness of environmental pressure that is conirmed by the parameters. On the other hand, cases (b) and (c) are dis-cordant; in the irst case there is no perception of environmental pressures even if the

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The management of the marinas in the context of environmental security

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values are not within the parameters established by the law of reference. his situa-tion is the most dangerous but also the most common in the real world because peo-ple are often unaware of the environmental degradation they cause. In this case man-agers will not initiate activities to mitigate the environmental risk. In contrast, in case (c) there is low perception of environmental security without any objective rea-son for such concern. In this case managers will initiate activities to mitigate this perceived risk with negative economic consequences, because they will invest money in activities that are not needed, but with positive ecological efects, because this be-havior will keep the risk low.

Materials and methods

his work focuses on two study areas: at provincial scale, on the 8 marinas of the Province of Lecce (Apulia Region, southern Italy) (Petrosillo et al., 2009) and at local scale, on the San Foca marina, located in the Province of Lecce (Apulia Region, southern Italy).

To perform the subjective assessment at this spatial scale data were collected by means of questionnaires administered to managers of the ports. For the statistical analysis, the sample was divided into two groups on the basis of the number of boat slips (less than 200 boat slips and more than 200 boat slips, respectively), and a Kol-mogorov–Smirnov Test for small samples (Sokal & Rohlf, 1994) was applied to de-termine whether statistically signiicant diferences were present between the two samples. A Principal Component Analysis (PCA) was then used to identify common behaviors/patterns in the answers given by the managers involved in each harbor.

For the local scale, the environmental risk in San Foca marina was assessed subjectively by the use of questionnaires inalized to evaluate the environmental per-ception of environmental risk, and consequently of environmental security, shown by the six managers of the port. For the objective analysis, we use a mathematical model useful to map the critical areas in the harbor. he model uses three main pa-rameters: (i) the distance between the site and the waste sources; (ii) the distance be-tween the site and the port mouth; (iii) the presence and position of a wharf. he algorithm is reported in Fabiano et al. (2006) and Vassallo et al. (2006). As inal out-put, the tool can produce risk maps automatically, using Matlab interface (Math-Works, Inc.) or a suitably developed user-friendly Java interface (Jmarinas, free download at http://jfmarinas.sourceforge.net/).

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Donatella Valente et al.

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Results and discussion

At provincial scale, considering the level of perception of the managers, we can report that in most cases managers showed a low perception of environmental risks associated with the activities carried out in their harbors (for more details see Petrosillo et al., 2009).

Signiicant statistical diferences among the managers of marinas with either more or fewer than 200 boat slips were found for three environmental pressures re-lated to four activities (Petrosillo et al., 2009). Further, to see if management choices were consistent, we performed a PCA analysis activities. In particular, the irst prin-cipal component was ‘‘environmental risk perception related to recreational activi-ties” and represented 33.2 % of the sample variability, while the second principal component was ‘‘environmental risk perception related to harbor facilities,” which represented 22 % of the sample variability. he third component, ‘‘environmental risk perception related to yachting services,” represented 16 % of sample variability and explained 72 % of the total sample variability (Petrosillo et al., 2009). In general, this part of the research demonstrates that the environmental awareness of managers can play a crucial role in increasing or mitigating the environmental pressures linked to the diferent activities carried out in marinas. In addition, where diferent manag-ers with diferent perceptions are present in the same harbor, it is likely that difer-ent, or even contrasting, decisions will be made with problematic consequences for that harbor. In these situations, the environmental security of a harbor can only be guaranteed by choices against potential environmental risks that are made uniformly by the managers involved.

At local scale, the 6 managers of San Foca harbor showed strong mismatches in the perception of risk. In igure 2 the total environmental risk perception is re-ported for each manager according to the frequency of answers.

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The management of the marinas in the context of environmental security

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The total environmental risk perception for each manager according to the Figure 2: frequency of answers, and the mean of the scores represented by the black line (0 = null perception; 1 = low perception; 2 = medium perception; 3 = high perception). (A) the frequency of answers of Manager 3; (B) the frequency of answers of Manager 4; (C) the frequency of answers of Manager 2; (D) the frequency of answers of Manager 1; (E) the frequency of answers of Manager 5; and (F) the frequency of answers of Manager 6.

On the left there are managers showing a low perception of the total environ-mental risk (A, B, and C graphs), while the cases D, E and F represent managers who display higher risk perception (Fig. 2). he general indication emerging from igure 2 is that cases A and C show the lowest perception of environmental risk as-sociated with the activities carried out in the harbor under study, highlighted by the mean that is on the 0-value (absence of perception).

Moving to the results of the “objective” assessment of total environmental risk, the application of the model allows us to assess diferent risk levels in San Foca harbor. In particular, the new part of the harbor displays the lowest levels of harbor risk (Fig. 3).

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Donatella Valente et al.

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Map of the total environmen-Figure 3: tal risk with different risk levels in San Foca harbor.

Comparison between the subjective Figure 4: and objective assessments of environmental risk in the framework of environmental security (M1 = Manager 1; M2 = Manager 2; M3 = Manager 3; M4 = Manager 4; M5 = Manager 5; M6 = Manager 6).

On the other hand, the “inner harbor” shows the higher levels of environ-mental risk. his is further worsened by increased distance from the harbor mouth and by decreased water turnover rate. Considering the harbor as a socio-ecological system, where humans are an essential part of it, the results of subjective and objec-tive assessments need to be integrated to evaluate the environmental state of San Foca marina. he comparison between subjective and objective results allows the tracing of a more solid estimate of environmental security in diferent areas of the harbor (Fig. 4).

First of all, the environmental security of the diferent parts of the harbor is characterized by a mismatch between objective and subjective assessments. his di-vergence is relevant in the inner part of the harbor, where managers 1, 2, 3 and 4 show a high perception of security while, objectively, environmental risk is high. In the framework of environmental security these conditions can be attributed to case (b) (Fig. 1), which can be considered as the most risky, because even though environ-mental quality is at risk, managers are not aware of it and, consequently, they might not take efective decisions. In the new part of the harbor, that mismatch is less dan-gerous because even though environmental quality is high (low environmental risk), manager 5 perceives quality to be low (case c, Fig. 1), so that he could make poten-tial preventive choices that are not really needed, but that nevertheless keep environ-mental risk low. Luckily, manager 6, which is an institutional body regarding moni-toring and control activities of the whole harbor, shows a high perception of environmental risk, representing a guarantee for the environmental security of San Foca marina.

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The management of the marinas in the context of environmental security

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Conclusions

In management processes, there are multiple environmental perceptions in-troduced by the diferent actors: decision-makers, public, media, and all the relevant stakeholders. Among all these actors, decision-makers are the most directly involved in evaluating options and perceiving problems when a decision is taken. When nu-merous decision-makers have to take decisions in the context of the same system (e.g., marinas), the situation becomes even more complicated. Understanding the diferent perceptions of managers is crucial in the context of marinas where people making the decisions play an important role in increasing or mitigating the environ-mental pressures related to the activities carried out. Managers play an important role in the context of environmental security, because they can mitigate the environ-mental risk, increasing the security of a particular harbor and, more in general, of the surrounding environment. To this aim, spatially explicit assessments of environ-mental risk and an awareness of such risk by managers are essential and represent an integration of traditional ecological risk assessment that gives less attention to spatial characteristics. In addition, the presence of ecological risk thresholds can be mean-ingless if nobody perceives them. Consequently, to cope with the problem of the risk in a more efective manner is better to think of it as socio-ecological risk. By means of the production of maps and scenarios, a irst indication about potential environ-mental risk can also support the possible program of monitoring activities, making them more efective. Furthermore, the simple reading of maps can improve manag-ers’ perception of environmental risk, supporting them in the decision process, with suggestions about where and how much it is necessary to mitigate the risk. Marinas are an economic opportunity existing in places characterized by a high value in terms of recreational ecosystem services, such as serenity, beauty, cultural inspiration and recreation (Costanza et al., 1997). All these services are heavily dependent on biodi-versity, so that the maintenance of species and habitat diversity becomes of primary importance for the quality of human life (Vitousek et al., 1997). hus, the mainte-nance of environmental security of marinas can be a guarantee for the maintenance of the security of essential ecosystem services.

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Donatella Valente et al.

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Come apprezzare

i “servizi” off erti

dagli ecosistemi?

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Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali: un caso di studio nel comune di Trento

Forest values in local communities’ perception: a case study in the municipality of Trento

Maria Giulia Cantiani1*, Isabella De Meo2, Federica Maino3 & Alessandro Paletto2

1 Laboratorio di Ecologia, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università di Trento, via Mesiano 77, 38050 Trento

2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per il Monitoraggio e la Pianiicazione Forestale (CRA-MPF)

3 Istituto per lo Sviluppo Regionale e il Management del Territorio, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano

*[email protected]

Abstract

Il presente contributo illustra i risultati di una ricerca volta ad evidenziare il valore attribuito alle diverse funzioni del bosco da parte degli abitanti del Comune di Trento. L’indagine è stata condotta con un processo di tipo incrementale-partecipativo, per mezzo di un questionario autocompilato. I risultati mostrano che alla macro-categoria che raggruppa i valori economici del bosco viene attribuito un valore sensibilmente più basso, rispetto ai valori sociali ed ambientali.

Introduzione

Il bosco è un ecosistema complesso, in grado di svolgere una molteplicità di funzioni e di fornire beni e servizi utili alla società (Führer, 2000). Il concetto di multifunzionalità delle foreste, nonostante abbia subito svariati sviluppi e perfezio-namenti a partire dalla formulazione originaria data da Viktor Dieterich nei primi anni ’50 (Hytönen, 1995), resta uno dei paradigmi principali della gestione delle fo-reste in Europa (Vyskot et al., 2003). Le foreste assolvono a quattro tipi di funzioni (Fernand, 1995): di utilità, di realizzazione, percettive e protettive. La funzione di utilità considera la foresta come una fonte di materie prime e redditi, mentre la fun-zione di realizzazione comprende le attività ricreative in foresta (sportive, caccia, pe-

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sca e raccolta di prodotti del sottobosco). La funzione percettiva è soggettiva per cia-scun individuo e include la percezione sociale attribuita all’esistenza della risorsa o all’esperienza diretta passata in foresta. La funzione protettiva riguarda la protezione delle specie loristiche e faunistiche e dell’ecosistema, così come la protezione idro-geologica.

La valutazione dell’ecosistema forestale è il processo attraverso il quale viene attribuito un valore ai beni e servizi forniti dalle foreste (Farber et al., 2002). Attri-buire un valore signiica, in termini riduttivistici, stimare il valore monetario di cia-scun bene e servizio oppure, in termini olistici, risalire alla scala di valori che ciascun individuo attribuisce ai singoli aspetti del bosco.

Nella scienza economica neoclassica, ed in particolare secondo la scuola mar-ginalista, attribuire un valore ad un bene signiica valutare l’importanza dell’ultimo bisogno, in ordine d’importanza, che suddetto bene riesce a soddisfare considerando la sua disponibilità limitata (Menger, 1976). Questa scuola di pensiero male si appli-ca alla valutazione dei beni ambientali per una serie di caratteristiche intrinseche a questi beni, ma consente di comprendere come la valutazione, per gli economisti, signiichi attribuire un valore monetario attraverso un approccio dall’alto di stampo tecnocratico-razionalista (Buttoud & Yunusova, 2002). La multifunzionalità, secon-do questo approccio, si riferisce al fatto che un processo produttivo può fornire mol-teplici outputs e in virtù di questo soddisfare molteplici bisogni della società (OECD, 2001). Pertanto, la gestione forestale è concepita come un’attività economica in gra-do di produrre beni e servizi riconducibili, direttamente o indirettamente, ad un va-lore monetario (Krieger, 2001; Pearce, 2001).

Nelle scienze sociologiche attribuire un valore signiica fare riferimento ad un sistema di valori o meglio alla costellazione di norme e precetti che guidano i giudizi e le azioni umane (Farber et al., 2002). I valori, in quanto fatti sociali, vengono fatti propri da individui e gruppi sociali orientando il loro agire ultimo, pertanto la loro valutazione può avvenire soltanto attraverso un approccio dal basso di tipo incre-mentale-partecipativo (Buttoud & Yunusova, 2002). I valori possono essere univer-salmente condivisi oppure possono essere legati a particolari contesti culturali come la foresta, che è portatrice di un pluralismo di valori fortemente variabile a seconda delle condizioni culturali, sociali ed economiche. Un’ulteriore distinzione, speciica per le risorse naturali, è quella che diferenzia il valore intrinseco da quello strumen-tale (Vilkka, 1997). Il valore intrinseco di un bene o di un’azione è misurato sulla base del contributo che esso fornisce al mantenimento dell’integrità dell’ecosistema di per sé, indipendentemente dalla soddisfazione umana (Leopold, 1949). Viceversa,

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il valore strumentale è un concetto fortemente antropocentrico che prende in consi-derazione le preferenze umane (Justus et al., 2009).

A partire da queste considerazioni il presente lavoro, seguendo un approccio di tipo sociologico, si focalizza sulla messa a punto di un sistema di valutazione dei valori strumentali del bosco attraverso un processo di tipo incrementale-partecipati-vo, basato sulle preferenze espresse da un campione di cittadini nei confronti delle funzioni del bosco.

Materiali e metodi

La metodologia di valutazione è stata sperimentata in un caso studio nel co-mune di Trento. Il comune, caratterizzato da un’estensione territoriale di 15.792 ha e da una popolazione residente pari a 114.236 abitanti (densità demograica di 723 abitanti/km2), per le caratteristiche ambientali e socio-economiche del territorio è stato considerato adatto ad una valutazione delle funzioni del bosco di tipo parteci-pativo. Infatti tale processo, in cui i valori sono il frutto delle preferenze espresse dal-la popolazione e non il risultato di una valutazione fatta da esperti, bene si presta ad essere condotto in realtà come quella trentina, in cui il bosco connota profondamen-te il contesto socioeconomico e culturale e il legame degli individui con il territorio poggia su una ben radicata consuetudine alla frequentazione del bosco, sulla buona conoscenza degli ecosistemi forestali e sulla consapevolezza che essi sono il frutto di una lunga interazione tra l’uomo e il bosco (Betta et al., 2009).

La città di Trento si sviluppa lungo le rive dell’Adige, la cui valle costituisce il cuore del sistema insediativo e produttivo trentino, accogliendo attività e servizi di livello superiore, con forti relazioni a scala provinciale e sovralocale. Il nucleo cittadi-no localizzato nella zona di fondovalle è densamente ediicato ed accoglie funzioni residenziali, produttive e di servizio, mentre il sistema collinare è a prevalente desti-nazione residenziale. Questa distinzione di tipo geograico-insediativo è stata valuta-ta rilevante anche in termini sociali, pertanto si è deciso d’indagare 6 Circoscrizioni di cui 4 appartenenti all’area collinare (Povo, Villazzano, Oltrefersina e Argentario) e 2 al centro cittadino (San Giuseppe – Santa Chiara, Centro Storico – Piedicastello).

L’indagine, volta a far emergere i valori del bosco attribuiti da parte della po-polazione residente, è stata condotta nel periodo tra novembre 2005 e giugno 2006, utilizzando come strumento d’indagine il questionario strutturato autocompilato. La numerosità campionaria è stata calcolata a partire dalle 47.615 famiglie presenti in

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anagrafe al 31 dicembre 2004, stratiicato per Circoscrizione in modo proporzionale. L’estrazione è stata efettuata in modo casuale dall’Anagrafe della popolazione del Comune di Trento il 18 luglio 2005. La somministrazione del questionario è stata efettuata per via postale lasciando sei settimane di tempo per la compilazione; al questionario sono state allegate le istruzioni per la compilazione e una lettera di pre-sentazione riportante le inalità dell’indagine.

Il questionario è stato strutturato ripartendo le domande in 4 blocchi (infor-mazioni personali del rispondente; la sua visione del bosco; bosco e società; informa-zioni sul bosco) al ine di evitare l’afaticamento dei rispondenti (Adamowicz et al., 1998). Complessivamente sono stati proposti 56 quesiti inalizzati ad indagare i se-guenti cinque temi d’indagine (Maino et al., 2006): il legame della popolazione con il territorio montano e la frequentazione del bosco; le funzioni attribuite al bosco ed in particolare il valore che viene ancora oggi riconosciuto alla risorsa legno; la perce-zione della gestione forestale e dei cambiamenti del paesaggio; conoscenze, emozioni e suggestioni dei cittadini rispetto al bosco; la volontà e il desiderio di partecipazio-ne. All’interno del blocco “bosco e società” è stata predisposta una speciica domanda (“Secondo lei, quale ruolo riveste il bosco per la società?”) volta a far emergere la per-cezione da parte dell’intervistato delle singole funzioni forestali ed indagarne il siste-ma di valori. Tale domanda, formulata a risposta chiusa così come tutte le altre pre-senti nel questionario, lasciava all’intervistato la possibilità di esprimere, nei confronti delle diverse possibilità di risposta, il proprio accordo/disaccordo secondo una scala di valori da 0 (per niente d’accordo) a 10 (pienamente d’accordo). Tra i “ruoli” del bosco venivano riportate, in forma semplice e comprensibile agli intervi-stati, le principali funzioni assolte dal bosco (Tab. I).

Le singole funzioni sono state successivamente ricondotte, attraverso un pro-cesso logico-deduttivo, ai principali gruppi di valori forestali. Secondo Ritter e Dau-ksta (2006) è possibile ricondurre le funzioni assolte dalle foreste a tre gruppi fonda-mentali di valori:

valori economici: comprendono tutte quelle funzioni inalizzate a creare reddito 1. e/o opportunità lavorative;valori sociali: fanno riferimento a quegli aspetti che hanno un impatto positivo 2. sul benessere umano e sulla qualità della vita;valori ambientali: includono tutte quelle funzioni strettamente legate alla prote-3. zione degli ecosistemi naturali, degli habitat e della biodiversità loristica e fauni-stica.

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Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali

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Secondo questa impostazione gli aspetti estetici (contemplazione del paesag-gio) e ricreativi sono stati ricondotti ai valori sociali, quelli legati al mercato del le-gname e allo sviluppo dell’economia turistica locale ai valori economici ed inine la conservazione della diversità naturale, la protezione idrogeologica, il miglioramento della qualità dell’aria e la mitigazione dei cambiamenti climatici a quelli ambientali.

Funzioni forestali investigate nel questionario.Tabella I:

Codice Descrizione

a Un importante elemento del paesaggio

b Un luogo di rigenerazione e svago

c Un luogo dove ricavare legname da poter utilizzare

d Un importante elemento per lo sviluppo del turismo

e Un ambiente necessario per la sopravvivenza di molte specie viventi

f Un importante fattore di protezione contro frane, valanghe, inondazioni, …

g Un sistema utile per migliorare la qualità dell’aria

h Un sistema utile per contrastare l’effetto serra

Risultati

L’indagine ha coinvolto 721 nuclei famigliari (352 della zona collinare e 369 del centro cittadino) con un tasso di risposta del 35 %. Il risultato è stato ritenuto sod-disfacente considerando che in ricerche di questo tipo generalmente tale tasso si attesta sul 20-30 % (Montini, 2001), mentre l’ISTAT riporta una percentuale media delle re-stituzioni dei questionari postali in autocompilazione pari al 10 % (Buratta & Sabba-dini, 1989). Per quanto riguarda la domanda concernente le funzioni forestali, hanno risposto 242 individui, mentre è stata lasciata in bianco dal 33,5 % degli intervistati.

È interessante osservare il tasso di non risposta interno a ciascuna funzione espressa dal bosco, poiché si denota come alcune funzioni risultino meno conosciute dagli intervistati rispetto ad altre. Ad esempio il 7,9 % non si è espresso in merito al ruolo del bosco per contrastare l’efetto serra, mentre soltanto l’1,7 % si trova in ana-loga situazione di non risposta per il ruolo del bosco nel migliorare la qualità dell’aria.

L’analisi descrittiva dei risultati, considerando le funzioni aggregate nelle tre macro-categorie di valori (Tab. II) fa emergere come la popolazione del comune di Trento tenda ad attribuire un valore maggiore agli aspetti ambientali del bosco (me-

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dia macro-valori ambientali = 9,36), mentre il valore più basso è espresso nei con-fronti degli aspetti economici (media macro-valori economici = 6,94), con un picco negativo nei confronti della funzione di produzione legnosa (media funzione c = 6,42). Il valore più elevato per funzione è espresso nei confronti della protezione idrogeologica (media funzione f = 9,52) che, seguendo l’impostazione dell’UNCED Forest Principles (1992), è stata fatta rientrare nei valori ambientali.

I dati riportati in forma aggregata per macro-categoria di valori sono stati messi in relazione con la zona di residenza degli intervistati (circoscrizione del centro città o della collina), al ine di valutare se la vicinanza isica col bosco possa in qualche modo inluenzare l’attribuzione del valore alle diverse funzioni da questo espresse. I valori illustra ti in tabella III indicano che le persone che vivono nelle zone collinari assegna-no un valore superiore solo alle funzioni sociali (8,55 rispetto a 8,91) rispetto alle per-sone residenti nel centro della città, ma non è stata rilevata diferenza signiicativa.

Statistiche descrittive per funzioni e macro-categorie di valori (242 questionari).Tabella II:

Funzioni a b c d E f g h

Macro-categorie valori Sociali Economici Ambientali

Media funzioni 8,97 8,38 6,42 7,45 9,24 9,52 9,46 9,20

Dev.St. funzioni 1,78 1,95 2,77 2,48 1,58 1,07 1,33 1,54

Media macro-categorie valori 8,68 6,94 9,36

Valori forestali per circoscrizione (242 questionari).Tabella III:

Circoscrizione Valore economico Valore ambientale Valore sociale

Centro 7,02 9,38 8,55

Collina 6,83 9,35 8,91

Discussione e conclusioni

Il limitato valore che viene attribuito alla funzione economica del bosco, sem-bra essere in linea con la tendenza comune a tutti i paesi industrializzati in cui, a par-tire dall’immediato dopoguerra, si è assistito al crescere dell‘interesse verso la compo-nente sociale ed ambientale delle foreste, mentre contemporaneamente andava a diminuire l‘interesse verso la produzione legnosa (Tarrant et al., 2003; Kumar & Kant, 2007).

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Il valore delle funzioni del bosco nella percezione delle comunità locali

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In particolare, come molte aree dell’arco alpino, anche il Trentino negli anni ’50 è stato interessato da un cambiamento dei modelli di sviluppo e da profondi mu-tamenti che hanno riguardato anche la percezione del bosco e dei suoi valori da par-te delle comunità locali, trasformando l’ordine di priorità nelle aspettative ed esigen-ze espresse dalla popolazione nei confronti del settore forestale (Cantiani et al., 1999).

Nell’attribuzione dei valori alle funzioni del bosco non emerge una diferenza di rilievo tra gli individui che vivono in centro città e quelli residenti nella fascia col-linare, che – come emerso in altra parte dell’indagine (Betta et al., 2009) – risultano invece frequentare assai maggiormente il bosco e fanno decisamente maggior ricorso all’uso di legna come combustibile (40 % contro il 19 % del centro). La vicinanza i-sica sembra quindi inluenzare abitudini e comportamenti ma non tanto la sfera emotiva e percettiva degli intervistati.

La possibilità di misurare dati qualitativi e giudizi di valore attraverso un’in-dagine, quale quella illustrata nel presente contributo, può essere di grande utilità per chi si occupa della tutela e della gestione del patrimonio forestale della regione. Capire come la gente comune vede e “usa” il bosco, infatti, costituisce una base di conoscenze importante per orientare la gestione ed instaurare una proicua comuni-cazione tra autorità e cittadini.

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Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto

a strategie di sostenibilità

Evaluation of ecosystem services at regional scale as support

to sustainability strategies

Maria Angela Cataldi1, Elisa Morri2, Rocco Scolozzi3*, Nicola Zaccarelli1, Riccardo Santolini2, Daniela Silvia Pace4,

Marco Venier4 & Claudia Berretta2

1 Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali, Università del Salento, Prov.le Lecce - Monteroni, 73100 Lecce

2 Dip. di Scienze dell’Uomo dell’Ambiente e della Natura, Università degli studi di Urbino, Campus scientiico Sogesta località Crocicchia, 61029 Urbino

3 Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Centro Ricerca e Innovazione, Via Edmund Mach, 1, 38010 S. Michele all’Adige (TN)

4 Systema Naturae – Fondazione per la Biodiversità Onlus (Roma),Accademia Nazionale dei Lincei, Via della Lungara 229-230, 00165 Roma

*[email protected]

Abstract

I servizi e i beni erogati da ecosistemi (servizi ecosistemici, SE) sono essenziali al benessere dell’uomo e allo stesso tempo supportano economie dalla scala locale a quella regionale e nazionale. D’altra parte, solitamente, le valutazioni economiche tradizionali non considerano l’insostituibilità o l’irriproducibilità di tali risorse. La contabilità ambientale dovrebbe valutare il loro ammontare e specialmente la loro dinamica per supportare strategie di sostenibilità, anche a fronte di variazioni clima-tiche nel breve, medio e lungo periodo. In questo contributo si propone una prima stima dei servizi ecosistemici a scala nazionale, su base regionale, relativa a due inestre temporali, 1990 e 2000. Tale stima si basa su una revisione della letteratura riguardante la valutazione economica dei SE e una correzione “locale” per gli ecosistemi italiani. Tale calibrazione è stata costruita con un approccio expert-based attraverso il metodo dell’indagine Delphi. Tra i fattori di correzione sono considerati la quota e la distanza da sorgenti di pressione (aree urbanizzate). Questi sono stati selezionati perché ritenuti tra i più inluenti sulla capacità degli ecosistemi di erogare SE tra quelli relativamente disponibili per l’intero territorio italiano.

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Il risultato di questa stima rappresenta in modo spazialmente esplicito un primo “censimento” dei SE a livello italiano, su base regionale. Tali informazioni, da ainarsi in seguito in termini di risoluzione spaziale e tematica, costituiscono già una base conoscitiva utile a deinire il capitale naturale italiano e a supportare strategie di sviluppo sostenibile.

Introduzione

I processi svolti dagli ecosistemi naturali supportano la vita sulla Terra, dal punto di vista antropocentrico, questi processi erogano beni e servizi (Servizi Ecosi-stemici, SE) da cui dipende il benessere umano. L’erogazione di questi SE è sempre più minacciata, come recentemente riconosciuto nel Millennium Ecosystem Asses-sment (2005), dall’impatto ecologico delle attività umane. I SE raramente sono con-tabilizzati o inclusi nelle priorità di politiche o di sviluppo, nonostante contribuisca-no ad una parte rilevante dell’economia e del valore economico dei territori in cui viviamo (Wilson et al., 2004). Esplicitare il valore economico di SE potrebbe facili-tare l’integrazione di aspetti ambientali nelle decisioni e scelte economiche. Soprat-tutto di fronte a piani e progetti, che modiicheranno le coperture e gli habitat (quindi gli ecosistemi), conoscere eventuali perdite in termini di funzioni o servizi può aiutare a operare scelte più sostenibili, sia in senso ecologico sia economico.

Ormai sono numerosi le valutazioni sul valore economico dei SE a livello mondiale (da Costanza et al., 1997). Recentemente diversi autori rilevano la necessi-tà di un’integrazione della valutazione dei SE nei processi decisionali di pianiicazio-ne e gestione sostenibile del territorio, a diferenti livelli scalari di analisi (de Groot et al., 2002). Per la realtà italiana sembrano piuttosto scarsi gli studi condotti, e solita-mente limitati per area considerata e numero di SE considerati. La valutazione dei lussi di SE è un’area di ricerca relativamente recente (Santolini 2008; Chiabai et al., 2009; Petrosillo et al., 2009). In particolare, sembra mancare una caratterizzazione esaustiva dei diversi SE alla scala regionale, alla quale operano gli strumenti di piani-icazione, che possa orientare i decisori verso scelte più consapevoli di un uso soste-nibile delle risorse e dei territori.

D’altra parte, la valutazione economica di SE per vaste aree (es. sovra provin-ciali) è complessa e costosa. In questi casi si ricorre a una stima mediante il metodo detto ecosystem value transfer (Navrud & Bergland, 2001), un approccio estesamente applicato per ottenere una stima del valore economico di beni e servizi erogati dagli ecosistemi qualora non si disponga di dati e informazioni suicienti a causa di vin-coli temporali o economici (NRC, 2005). Tale approccio si basa su analogie tra eco-

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Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità

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sistemi valutati direttamente e quelli oggetto di valutazione (Nijkamp et al., 2008). I risultati sono credibili nella maniera in cui si riesce a provare queste analogie o si mo-diicano e adattano i valori di letteratura al caso in esame.

L’obiettivo del presente contributo è mostrare una prima stima dei servizi eco-sistemici a scala nazionale, su base regionale, basata su un’analisi della letteratura in-ternazionale e una calibrazione locale. Nella prima parte è descritta la metodologia sviluppata per calibrare il value transfer sugli ecosistemi delle regioni italiane, a parti-re dai dati Corine Land Cover. Dopo aver esempliicato alcuni risultati, il lavoro si conclude con alcune osservazioni sulle future applicazioni dell’approccio adottato a livello nazionale e sulle implicazioni nel campo della pianiicazione e gestione del territorio.

Materiali e metodi

Nel presente studio la valutazione dei SE è consistita in un adattamento del metodo ecosystem value transfer, sulla base di dati di letteratura derivati dal database ECOVALUE (2004, http://ecovalue.uvm.edu) e dei dati di copertura CORINE LAND COVER (CLC) riferiti al 1990 e al 2000. In dettaglio, il valore dei servizi ecosistemici è ottenuto mediante una sorta di somma pesata, in misurato in lusso annuo (€/anno):

Dove: Ak area totale uso del suolo k (in ha) Pkf funzionalità dell’uso del suolo k di erogazione del servizio fVf valore economico del servizio ecosistemico f (in €/ha · anno-1)

Il valore Vf è ricavato dalla letteratura economica. Il peso Pkf, o fattore di fun-zionalità (tra 0 e 1), è stato deinito sulla base del parere degli esperti, tramite il me-todo dell’indagine Delphi. Tale metodo prevede un questionario somministrato in-dividualmente e reiterato in più turni. A ogni turno sono forniti al rispondente le stime e i commenti di tutti gli altri. Il processo dovrebbe portare a una convergenza delle opinioni.

I dati della letteratura economica sono stati ricavati dal database di ECO-VALUE, integrato con una revisione ed estensione della letteratura al 2009. Da que-

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sta collezione di studi si sono selezionati quelli più pertinenti o più analoghi al caso di studio. Nello speciico sono stati raccolti o dedotti valori monetari espressi in € 2007/ha di 10 servizi ecosistemici (come classiicati in ECOVALUE) potenzial-mente erogati da ciascuna categoria di uso del suolo.

Nella tabella I si presentano i valori medi derivati da letteratura dei SE poten-zialmente “erogati” dalle diverse coperture, tale matrice non è completa poiché alcu-ni tipi di uso del suolo possono fornire solo alcuni SE, o non sono disponibili le re-lative valutazioni.

Estratto della matrice dei valori medi (in € 2007/ ha all’anno) dei diversi SE per Tabella I: differenti usi del suolo.

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Crop land € 23 € 58 € 145 € 1.548 € 31 € 31 € 28

Pasture - grassland

€ 7 € 3 € 1 € 24 € 2 € 76

Forest € 124 € 87 € 317 € 629 € 2 € 302 € 60 € 76

Barren Land

Urban Green

€ 624 € 10 € 4.609

Beaches € 8.788 € 760.298

Fresh-water - Wetland

€ 232 € 5.260 € 212 € 80 € 3.484 € 1.310 € 1.454

Salt-water-wetland

€ 117 € 1.672 € 267 € 219 € 30 € 6.779

Fresh-water

€ 621 € 129 € 1.067 € 685 € 583

Saltwater € 33 € 134 € 9.298 € 582 € 617 € 243

La deinizione del peso Pkf, speciico per ciascuna coppia copertura e servizio (CLC-SE), ha tenuto conto della diversa funzionalità dell’uso del suolo k di eroga-zione del servizio f rispetto alle classi più generali di copertura usate nella letteratura (vedi Tab. I) e di uno dei due fattori locali, calcolati per ogni poligono CLC: quota e distanza da aree urbane. Così, l’adattamento al caso Italia ha comportato una prima

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Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità

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diferenziazione tra sotto-categorie di uso del suolo, distinguendo una diversa fun-zionalità di erogazione di SE ad esempio tra diversi tipi di bosco (latifoglie, conifere, misto), e una seconda calibrazione per distinguere diverse condizioni del contesto territoriale a parità di copertura. Le variabili quota e distanza sono state selezionate in base ad alcune assunzioni e alla limitata disponibilità di dati spaziali omogenei per tutto il territorio italiano. Si assume che la quota a scala nazionale possa discriminare a parità di uso del suolo una diversa capacità di erogare servizi ecosistemici, ad esem-pio si pensi al servizio di “nutrient regulation” di due aree boscate a latifoglie alla quota 0-800 metri e 800-1500. Si assume che a parità di uso del suolo una diversa distanza da aree urbane abbia ripercussioni specialmente su alcuni servizi ecosistemi-ci. Queste ripercussioni possono essere sia negative, si pensi alla funzione di habitat di un’area umida a una distanza tra 0-500 m o maggiore di 1500 m da una città, sia positive, si pensi al valore ricreativo di un bosco vicino alle abitazioni o remoto e dif-icilmente accessibile.

Risultati

La stima del peso, o funzionalità, è stata deinita da un gruppo di dieci esper-ti. Il gruppo ha svolto due focus group (a distanza) per concordare la variabile (tra quota e distanza) più signiicativa più rilevante per ciascun SE, gli intervalli numeri-ci degli attributi quota e distanza, la qualità della relazione (positiva vs. negativa) tra il servizio e l’attributo (quota-distanza). Dopo la prima deinizione è stata compiuta una seconda stima autonoma degli esperti (secondo il metodo dell’indagine Delphi). La seconda stima ha portato a una certa convergenza dei pareri esperti, quindi a una deinizione più robusta dei fattori di correzione.

Per brevità si riportano solo alcuni risultati della valutazione su base esperta dei SE a scala regionale. Nello speciico ci si riferisce ai servizi “Regolazione climatica e dei gas atmosferici” (Clima) e “Regolazione dei nutrienti” (Nutrienti). Il primo consiste nell’insieme di processi biotici e abiotici supportati da componenti naturali o semi-naturali degli ecosistemi che inluenzano il bilancio chimico d’atmosfera in svariati modi (es. bilancio CO2/O2, regolazione dei livelli di SOx). Il secondo servizio consiste nella capacità da parte di piante e animali, supportati da taluni ecosistemi, di utilizzare e trasformare (accumulare) azoto, potassio e zolfo (es. processo di nitri-icazione per opera di batteri azoto-issatori).

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Maria Angela Cataldi et al.

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Nella igura 1 si mostra l’evoluzione dei lussi di valore dei citati SE per l’Italia tra il 1990 e il 2000. Nello speciico, si può notare (Tab. II) che generalmente il ser-vizio Nutrienti è diminuito e in misura maggiore rispetto al servizio Clima, soprat-tutto in Liguria (–34,5 %) e Molise (–19,2 %). Le uniche regioni in cui tale lusso di valore è aumentato sono la Sardegna (+1,1 %) e la Calabria (+0,9 %). Il servizio Cli-ma è diminuito in modo poco signiicativo, con un massimo di perdita per l’Umbria (–0,7 %), altrove è invece aumentato, specie in Piemonte (+5,1 %).

Valore complessivo regionale (in kilo-euro per ettaro) per il servizio di “Regolazione Figura 1:

climatica e dei gas atmosferici” (sopra) e del servizio “Regolazione dei nutrienti” (sotto) e sua variazione fra il 1990 e 2000 sulla base dell’elaborazione dei dati CORINE Land-cover.

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Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità

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Andamento regionale e nazionale del valore economico in kilo-euro per i due servizi Tabella II: di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici” (Clima) e del servizio “Regolazione dei nutrienti” (Nutrienti) e sua variazione percentuale rispetto all’anno 1990.

Discussione

La valutazione economica dei SE ha assunto dal 1997 (Costanza et al., 1997) un’importanza applicativa crescente, diventando strategica nella salvaguardia di quei processi territoriali che mantengono beni e servizi funzionali al benessere dell’uomo e delle sue attività. Nonostante ciò, i SE in genere non sono ancora inclusi nei crite-ri di pianiicazione e gestione del territorio, i quali non tengono conto dei costi deri-vanti dal degrado e dalla perdita degli ecosistemi e delle loro funzioni.

Esiste una controversia concettuale riguardo all’uso di approcci economici ap-plicati agli ecosistemi (Pimm, 1997; Norgaard et al., 1998). L’approccio economico, infatti, è di natura antropocentrica e valuta gli ecosistemi secondo l’utilità per l’uo-mo. La stima del valore dei SE è inevitabilmente soggettiva in quanto i SE possono

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Maria Angela Cataldi et al.

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essere percepiti in modo diferente da diversi soggetti in diversi contesti. Tuttavia, utilizzando strumenti e metodi dell’economia è possibile giungere a indicazioni ge-nerali e condivisibili. Il termine monetario costituisce un metro comune che facilita le analisi dei costi e beneici e permette di valutare le criticità o le potenzialità asso-ciate a particolari misure di gestione da intraprendere e ai possibili scenari d’inter-vento.

I primi risultati presentati, relativi alla variazione del valore economico dei SE su base regionale, consentono di associare ai cambiamenti di uso del suolo modiiche nella fornitura potenziale di SE. Da queste informazioni si possono dedurre indica-zioni su vulnerabilità e potenzialità tra regioni, che dovrebbero essere considerate nella deinizione di strategie di sviluppo futuro così come nella gestione attuale.

Dai risultati preliminari emerge, ad esempio, che in alcune regioni i cambia-menti di uso del suolo hanno portato a una diminuzione importante del servizio di “Regolazione dei nutrienti”, con potenziale impoverimento della disponibilità per le attività agricole. Per il servizio di “Regolazione climatica e dei gas atmosferici”, invece, la variazione di coperture CLC 1990-2000 non evidenziano signiicative variazioni.

Lo studio presentato, ancora in via di sviluppo, presenta dei limiti, alcuni concernenti i dati disponibili, altri di tipo metodologico. Per esempio il dato di base, la copertura per l’Italia secondo la classiicazione CORINE Land Cover, essendo sta-to prodotto per una scala di riferimento di 1:100.000 non permette di individuare le moltissime aree umide inferiori ai 25 ha e trascura la itta rete idrograica nazionale. Queste aree, anche se di ridotte dimensioni, sostengono molti SE e in modo molto eiciente. Dal punto di vista metodologico un limite consiste nello stimare l’eroga-zione di SE solamente sulla base delle coperture di uso del suolo e di fattori di corre-zione topograici. Molte altre variabili, correlate a processi ecologici complessi, in-luenzano la produttività di SE da parte di una stessa copertura. Un primo esempio è la supericie, alcuni processi sono sostenuti solo da aree con una minima estensione (efetto “massa critica”): si pensi a un piccolo bosco, ad esempio, esso non svolge gli stessi servizi (es. regolazione del clima) svolti da una foresta.

Un possibile sviluppo futuro di quest’approccio è di introdurre ulteriori coef-icienti di correzione, per considerare altri processi sottesi all’erogazione di SE e per contestualizzare meglio il loro valore economico. Lo stesso approccio potrebbe essere ainato per alcune regioni target con l’uso di altri dati, attualmente non disponibili per tutta Italia, quali la carta degli habitat derivati dal progetto Carta della Natura (ISPRA, 2009) e altri indicatori più signiicativi come l’indice di valore ecologico e l’indice di pressione, applicati alla carta degli habitat.

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Stima dei servizi ecosistemici a scala regionale come supporto a strategie di sostenibilità

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Conclusioni

La valutazione dei servizi ecosistemici (SE) in un dato territorio può essere di grande utilità per i decisori nel valutare gli efetti del cambiamento di uso del suolo sullo stesso benessere umano, legato inevitabilmente all’erogazione dei SE. Nel pre-sente studio si sono presentati i primi risultati di una stima di SE per tutto il territo-rio nazionale, tramite l’approccio value transfer spazialmente esplicito. I risultati riguar dano i cambiamenti nell’erogazione di SE a scala regionale dovuti al cambia-mento di uso del suolo intercorso tra il 1990 e il 2000.

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Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino,

caso della Val di Ledro (TN)

Toward an evaluation of ecosystem services within alpine tourism,

a case study at Ledro Valley (TN)

Rocco Scolozzi1*, Alessandro Gretter1, Cristina Orsatti1 & Ilaria Goio2

1 Area Ambiente e Risorse Naturali, Fondazione Edmund Mach, IASMA Research & Innovation Centre, Via Edmund Mach, 1, 38010 S. Michele all’Adige, (TN)

2 Facoltà di Economia, Università di Trento, Via Inama 5, 38122 Trento *[email protected]

Abstract

Considerando la spesa totale dei turisti (2007) nella Valle di Ledro, divisa per la sua super icie, si potrebbe dedurre che il paesaggio ledrense sostiene in media “entrate” dell’ordine di 400.000 € per km2. Da quali variabili dipende questo “valore territoriale”? È possibile individuare aree o ecosistemi che maggiormente contribuiscono a tale valore?Nelle Alpi l’industria turistica usa e consuma risorse del territorio che dipendono direttamente, o in modo mediato dalla cultura locale, dai servizi ecosistemici (SE). Questi servizi sono “prodotti” del funzionamento degli ecosistemi presenti nel territorio. Cosicché funzioni ecosistemiche di regolazione, di habitat, di produzione di beni locali, i valori d’uso (es. ricreativo) e di non-uso (es. estetico) supportano le pubblicizzate “risorse” del territorio (i cosiddetti “attrattori” turistici), riassunti nello slogan “natura, salute, arte e tempo libero”. Stimare il valore economico di questi servizi, inteso come metro comune di misura e non come valore di vendita, permette di confrontare alternative di sviluppo (es. nuove infrastrutture vs. conservazione/ripristino di ecosistemi), quindi orientare scenari di sviluppo concretamente sostenibili.In questo lavoro si propone un primo tentativo di localizzare lussi di utilità (o valori) provenienti dal funzionamento degli ecosistemi in un territorio. Nello speciico, partendo dal presupposto che gli utenti-fruitori dei SE sono quelli che determinano, con le loro scelte, gran parte del valore dei SE, si presentano i risultati di una prima campagna d’indagine rivolta ai turisti della Valle di Ledro, fruitori esterni di risorse territoriali e servizi ecosistemici derivanti. La valle di Ledro, posta nella parte meridio-nale della Provincia Autonoma di Trento, ha caratteristiche geograiche che la rendono rappresentativa di molti processi socio-ecologici comuni in tutta la bio-regione alpina.

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Rocco Scolozzi et al.

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Introduzione

Il valore dei servizi ecosistemici, un concetto antropocentrico, dipende dall’“oferta” di lussi di utilità “erogati” dagli ecosistemi e dalla “domanda” dell’uo-mo-fruitore. Domanda e oferta sono eterogenee nello spazio e nel tempo, così lussi di utilità possono avere sorgenti difuse o puntiformi. La distinzione e deinizione delle sorgenti di valore è incerta e sfumata soprattutto per quei SE che dipendono in qualche modo dalla percezione dell’utente-fruitore e dalla mediazione culturale del contesto (Plummer, 2009). Per questo motivo la complessità spaziale dei SE costitu-isce una frontiera e sida della ricerca applicata nell’ambito della loro valutazione e quantiicazione. Ad ogni SE può essere associato un attributo spaziale e una modali-tà di fruizioni (Costanza, 2008; Tab. I).

Caratterizzazione di servizi ecosistemici secondo attributi spaziali (Costanza, 2008).Tabella I:

Ecosystem Service Spatial characteristic Code

Carbon sequestration (NEP), Carbon storageCultural/existence value

Global non-proximal (does not depend on proximity)

NProx

Disturbance regulation/ storm protectionWaste treatment, PollinationBiological control, Habitat/rifugia

Local proximal (depends on proximity) Local

Soil formation, Food production/non-timber forest products, Raw materials

In situ (point of use) InSitu

Water regulation/flood protectionWater supply, Sediment regulation/erosion control, Nutrient regulation

Directional flow related: flow from point of production to point of use

Dir

Genetic resources, Recreation potentialCultural/aesthetic

User movement related: flow of people to unique natural features

UserMov

Alcuni SE esistono in quanto mediati dal contesto culturale e dipendono dal-le pratiche di gestione e dalle modalità di valorizzazione da parte dei soggetti che co-struiscono e mantengono il contesto di questi SE, o “paesaggio culturale”. Un esem-pio riconosciuto a livello europeo sono le formazioni erbose a Nardus (codice 6230, in base alla direttiva Habitat Natura 2000), le quali dipendono da un pascolamento tradizionale, purché non eccessivo. Spesso è il paesaggio culturale, e il suo insieme di pratiche e risorse sociali, che ospita e sostiene una risorsa territoriale (nell’esempio, un habitat “prioritario” per la conservazione ma anche sito ricercato dal turismo na-turalistico). Si possono riconoscere così sistemi socio-ecologici (Alessa et al., 2008) in cui il paesaggio culturale sostiene taluni SE e ne è a sua volta inluenzato. Special-

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Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino

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mente il turismo delle Alpi dipende fortemente sia dalla dimensione culturale sia dalla dimensione ecologica dei paesaggi, che, d’altra parte, hanno una lunga storia di gestione.

Lo studio si colloca nell’ambito dell’analisi dei sistemi socio-ecologici, l’obiet-tivo generale è quello di esplicitare processi socio-ecologici (Alessa et al., 2008; Laci-tignola et al., 2007), frutto dell’interazione tra processi ecologici e sociali in un dato contesto, per distinguere e modellare possibili elementi di resilienza e innovazione di questi sistemi. Nello speciico, l’intento di questa prima fase è di esplicitare spazial-mente e qualitativamente funzioni del territorio/paesaggio. Si tratta, quindi, di dei-nire i fattori che determinano un “valore” per il fruitore-turista, o funzionalità, e di identiicare le aree che supportano questi “valori”. Una domanda di ricerca successiva sarà quella di deinire relazioni qualitative tra intensità d’uso di una risorsa e sua fun-zionalità, dove sullo sfondo vi è il concetto di uso sostenibile del territorio e delle sue funzioni.

Materiali e metodi

Per esplicitare spazialmente e qualitativamente funzioni e “valori” del territo-rio si è adottata una metodologia interdisciplinare, derivando cioè metodi e approcci dalle diferenti discipline dell’antropologia, dell’economia e dell’ecologia del paesag-gio e integrando (dove possibile) gli eterogenei risultati con strumenti propri dei si-stemi informativi geograici (Geographical Information System, GIS). Nello specii-co della prima campagna d’indagine l’attenzione è stata rivolta verso gli utilizzatori esterni del sistema valle di Ledro, in altre parole ai turisti e visitatori.

In una fase preparatoria sono state raccolte informazioni sui principali “attrat-tori” turistici, tramite un esame dei materiali pubblicitari di analoghe valli alpine nella provincia di Trento (Valle di Non, Valle di Sole, Valli Giudicarie). Gli “attratto-ri” sono intesi come “fattori” di attrattività del luogo turistico, deiniti come catego-rie di elementi territoriali (es. il castello, il borgo storico, il prodotto locale) o di va-lori astratti (es. l’ospitalità, la tranquillità).

Questi fattori attrattivi possono avere una collocazione territoriale e attributi spaziali che inluenzano la loro fruibilità. Ogni fattore sottende a un particolare uso o fruizione con o senza consumo, ad esempio il camminare lungo la costa del lago (fruizione senza consumo), il raccogliere funghi nei boschi (fruizione con consumo). Il valore (o anche attrattività) dipende dal tipo di uso e dall’intensità di uso, in en-

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Rocco Scolozzi et al.

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trambi i casi. Nell’esempio camminare con molti altri turisti lungo il lago può dimi-nuirne il valore. Con la presenza di molti raccoglitori ci saranno meno funghi, così il bosco diventa meno attraente. I diversi usi sono connessi a processi naturali (es. cre-scita dei funghi) e culturali di riconoscimento (nell’es. del lago: qualità percepita dell’acqua, quindi condizioni troiche del lago).

Oggetto dell’indagine è la Valle di Ledro, territorio della dimensione di circa 150 km2, posto nel Trentino Meridionale ai conini con la Lombardia e poco distan-te dal Lago di Garda. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di un bacino semi-artiiciale (il lago di Ledro) e da un’estesa copertura forestale; il tutto organizzato at-traverso la realtà amministrativa di sei comuni che dal gennaio 2010 hanno deciso di raggrupparsi in unica unità, il comune di Ledro. La presenza antropica in Valle è ca-ratterizzata da circa 6000 abitanti residenti e da un lusso turistico annuo di quasi centomila unità, concentrato prevalentemente nel periodo estivo (Fig. 1).

Due vedute della Valle di Ledro: Tiarno di Sotto (sinistra), lago di Ledro (destra).Figura 1:

Per la deinizione dei fattori più importanti per la Valle di Ledro sono stati contattati alcuni turisti attraverso un lavoro di campo (Cliford & Marcus, 1986), utilizzando 11 osservazioni partecipanti 1 e 85 interviste etnograiche (Wolcott, 2004). Per avere un’omogenea distribuzione del “campionamento” tra diverse tipolo-gie di turista (es. sportivo, naturalista, in famiglia, pensionato) le interviste e le osser-vazioni sono state svolte in diferenti luoghi della valle in conformità a diverse frui-zioni presupposte sulla base di una pre-analisi.

Per la localizzazione dei “valori” come importanza percepita dai turisti è stato proposto un esercizio di mappatura dei valori, o value preference mapping (es. Ray-

1 L’osservazione partecipante (shadowing) è parte del Lavoro di campo. È fondamentale strumento di distinzione tra ciò che viene detto e ciò che chi osserva e partecipa vede e attesta attraverso la propria presenza e esperienza dei fenomeni sul campo (Corbetta, 1999).

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Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino

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mond et al., 2009). Tal esercizio è consistito nel chiedere di segnalare, tramite dieci adesivi verdi, su una stampa plastiicata di un’ortofoto aerea i luoghi considerati, in base alla propria esperienza e conoscenza, più importanti o cui è attribuito il maggior valore. Per i luoghi più importanti potevano essere usati più di un adesivo, ino a esaurimento dei dieci disponibili. Il rispondente doveva riferirsi a una propria sog-gettiva deinizione di valore (es. d’uso, di non-uso, afettivo) dei luoghi, questo per non inluire sulla valutazione. In seguito si chiedeva di individuare (con cinque na-stri arancioni) i luoghi percepiti “a rischio” di perdita del valore attribuito, luoghi in qualche modo vulnerabili. L’esercizio di cartograia è stato ripetuto 62 volte coinvol-gendo 105 persone. Per aggregare le valutazioni si è calcolata una somma pesata del-le preferenze, in cui il peso è stato deinito dal numero di nastri verdi sullo stesso luogo.

Risultati

I fattori di attrazione turistica principali, più pubblicizzati (vedi analisi mate-riali pubblicitari) e maggiormente riconosciuti (vedi consultazione dei turisti) si pos-sono riassumere in cinque categorie astratte tra loro parzialmente sovrapponibili: “muoversi/sport”, “vedere/panorama”, “sapori/prodotti locali”, “esperienza/scoperta culturale”, “ospitalità” (Fig. 2). Questi attrattori o categorie possono essere proiettati su oggetti del territorio. Ad esempio, il sistema malga-pascolo costituisce il luogo per “sapori/prodotti locali” e “esperienza/scoperta culturale”. Agli stessi oggetti possono corrispondere uno o più servizi ecosistemici, per l’esempio precedente: dal sistema malga emerge un valore o funzione di habitat (per la biodiversità dei pascoli alpini) e una funzione di produzione alimentare.

La spazializzazione delle preferenze dei luoghi ha comportato una digitalizza-zione di oggetti territoriali come riferiti dai rispondenti, in genere toponimi o siti ben riconoscibili (Fig. 3). Ovviamente tali aree (poligoni) sono da intendere sola-mente indicative di aree aventi una maggior “concentrazione” di valore, i cui conini sono incerti e possono essere ambigui.

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Rocco Scolozzi et al.

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Schema concettuale delle relazioni tra “attrattori” turistici, elementi di paesaggio e Figura 2: servizi ecosistemici, con specifiche relazioni spaziali.

Oggetti-luoghi del paesaggio Ledro riconosciuti dai turisti.Figura 3:

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Verso una mappatura dei servizi ecosistemici in ambito turistico alpino

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Discussione e conclusioni

In questa fase esplorativa d’indagine si sono deiniti i principali “attrattori”, questo ha permesso di ipotizzare le diverse fruizioni del paesaggio/sistema turistico della Valle di Ledro. Le ipotesi derivate dalla letteratura sono state validate e ainate in base ad una consultazione estesa dei turisti. L’uso di diversi approcci ha permesso una sorta di triangolazione tra riferimenti e dati. I primi risultati delle interviste e delle osservazioni dei partecipanti hanno permesso di interpretare e codiicare le mappe di valore deinite dagli stessi turisti.

La percezione dei valori ambientali da parte dei fruitori fonda l’attribuzione di valori a luoghi, intesi come elementi del paesaggio. A sua volta la percezione di tali valori è inluenzata da elementi culturali (non esplorati in questa fase) e da funzioni ecosistemiche.

Il riconoscimento e l’uso di talune o altre risorse territoriali, insieme alla loro gestione, modiicano il paesaggio stesso e i processi sociali ed ecologici che lo sosten-gono. Ad esempio al pascolo di sussistenza si sostituisce lo sfalcio incentivato da sus-sidi, motivati dalla frequentazione/attrazione turistica. L’esplicitazione e deinizione di “attrattori” turistici come oggetti del paesaggio supporta l’assunzione che i sistemi turistici nelle Alpi sono dei moderni sistemi socio-ecologici.

La deinizione di attrattori turistici e la localizzazione dei processi di supporto a questi attrattori è un esercizio complesso. I limiti diicilmente riducibili derivano principalmente dal fatto che tali attrattori e processi non hanno una precisa colloca-zione territoriale e che dipendono dalla percezione soggettiva di fruitori e attori/ge-stori del paesaggio. Inoltre, la funzionalità degli ecosistemi è diicilmente determina-bile e di conseguenza la produttività dei servizi ecosistemici derivanti può essere solo stimata e con signiicativi gradi d’incertezza.

In ogni caso, localizzare tali attrattori può orientare l’attenzione sulle relazioni tra processi ecologici e quelli cognitivi del turismo, specie nel disegno di strategie di gestione o di sviluppo. Se i valori di una risorsa/processo di paesaggio sono mediati dal riconoscimento, anche la capacità portante può dipendere da percezioni e riferi-menti cognitivi, vedi il caso di congestione di un sentiero o un’area pic-nic. Indivi-duare tali possibili conlitti o semplicemente competizioni con metodi multidiscipli-nari può contribuire a comprendere le dinamiche di trasformazione in atto e orientare azioni per gestire la loro evoluzione.

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Ringraziamenti

Quanto presentato in questo contributo rientra nel primo anno di attività del progetto di ricerca “Public policies and local development: innovation policy and its ef-

fects on locally embedded global dynamics” (OPENLOC), inanziato dalla Provincia Autonoma di Trento (“Linea Grandi Progetti”) e diretto dall’Università degli Studi di Trento, Facoltà di Economia (www.openloc.eu).

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Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)

delle aree costiere tropicali di Veracruz, Messico

Reconstruction of a lagoon environment (mangroves) of tropical coastal areas of

Veracruz, Mexico, in Naples Botanical Garden

Bruno Menale, Giancarlo Sibilio* & Gioacchino Vallariello

Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi Federico II, Via Foria 223, 80139 Napoli *[email protected]

Abstract

Nel presente lavoro, vengono presentati i mangrovieti dell’area tropicale del Messico in prossimità delle lagune di Catemaco ed è descritto il nuovo settore espositivo dell’Orto Botanico di Napoli dedicato a questi ecosistemi ed a quelli delle foreste tropicali messicane. Vengono descritte le caratteristiche tecniche del nuovo spazio espositivo ed elencate le specie attualmente messe in coltivazione. Inine viene proposta una rassegna dei beni e dei servizi ecosistemici che è possibile trattare durante le visite guidate, al ine di sensibilizzare il pubblico verso le tematiche concernenti la conservazione di questi importanti ma delicati ecosistemi. La ricostruzione del mangrovieto nell’Orto Botanico di Napoli ha consentito di realizzare uno nuovo spazio multisensoriale ed un laboratorio multidisciplinare dove afrontare i temi della conservazione.

Introduzione

I mangrovieti rappresentano ecosistemi complessi delle aree costiere e dei del-ta dei iumi delle zone a clima tropicale del pianeta. Sono foreste costituite da gruppi di piante non strettamente imparentate tra loro e con diverso habitus, in grado di tollerare la presenza di acqua salmastra con diferenti livelli di salinità e suoli regolar-mente soggetti al lusso delle maree. Le mangrovie sono formazioni uniche e signii-cative; la loro collocazione e le caratteristiche proprie di questi ecosistemi ne deter-minano una polifunzionalità nei confronti degli ecosistemi terrestri e marini. Purtroppo le aree occupate dalle mangrovie sono soggette ad una conversione in altre attività produttive, divenendo superici agricole, foreste da legna, saline e soprattutto

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impianti di acquacoltura per l’allevamento dei gamberi (Ronnback, 1999). Nell’am-bito di una sempre più spinta globalizzazione, le tematiche di conservazione si esten-dono oltre i conini di un paese. Molte comunità biologiche di importanza planeta-ria sono spesso ubicate in aree del pianeta depresse economicamente, dove l’uso delle risorse del territorio come fonte di sussistenza è maggiormente marcato e non esistono o non è possibile attuare piani di conservazione eicaci. La ricostruzione di un mangrovieto nell’Orto Botanico di Napoli vuole fornire un laboratorio didattico per favorire la conoscenza di un ecosistema poco conosciuto e lontano dalla realtà del Mediterraneo e promuoverne la conservazione.

Il mangrovieto della Laguna di Alvarado (Veracruz)

Il mangrovieto realizzato nell’Orto Botanico di Napoli è dedicato all’area del-la laguna di Alvarado, uno dei sistemi estuario-lagunari più produttivi della parte orientale del Golfo del Messico (Fig. 1). Questa laguna si estende lungo le coste del Golfo occupando un’area di circa 62 km2. La laguna è interamente circondata da mangrovieti prevalentemente costituiti da mangrovie rosse (Rhizophora mangle L.), mangrovie nere (Avicennia nitida Sessé & Moc.) e mangrovie bianche (Laguncularia

racemosa Gaertner il.).La laguna di Alvarado gioca un ruolo cruciale nella produttività delle aree cir-

costanti. Essa costituisce un importante sito di conservazione, ospitando molte spe-cie minacciate di estinzione ed oltre 100 lagune minori ed interne occupate da fore-ste di mangrovie. Inine l’intero sistema lagunare sostiene una delle più grandi popolazioni al mondo di lamantino (Trichechus manatus L.) e naturalmente costitu-isce un hotspot di diversità faunistica in generale (Vazquez-Yanes, 1980; Bronzo & Barney Guillermo, 1995-1996, Finn et al. 1999; Cruz-Escalona et al., 2007).

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Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)

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Mangrovieto delle lagune interne di Alvarado, 2007 (A); segni delle variazioni del Figura 1: livello dell’acqua sulle radici a trampolo (B); vista da satellite della laguna di Alvarado, Veracruz, (foto satellitare di Google Maps) (C).

Il mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli

Il mangrovieto dell’Orto Botanico di Napoli è stato realizzato all’interno di una nuova serra che a completamento sarà interamente dedicata alla coltivazione di specie viventi nelle foreste pluviali tropicali del Messico.

La nuova struttura, ubicata accanto alla Serra “Merola”, sostituisce una co-struzione realizzata nel 1820 e dotata di una vasca per la coltivazione delle piante ac-quatiche nel 1913 (Pisano, 1992; Zecchino, 2005). All’interno della serra, ampio spazio è occupato da una vasca ovoidale della profondità di 1,6 m (livello dell’acqua: 1,4 m), della lunghezza di 9,9 m e larga 6,5 m. Al ine di collocare correttamente le mangrovie, all’interno della vasca sono state realizzate tre aiuole in mattoni con pa-reti forate ad intervalli regolari così da permettere l’uniforme distribuzione dell’ac-qua e la sua circolazione.

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Le mangrovie messe in coltivazione appartengono a specie comuni nell’area di Veracruz, ad eccezione di Conocarpus erectus L. Esse sono nate da semi, ovvero da em-brioni essendo le specie vivipare, raccolti in alcune spedizioni botaniche; gli esempla-ri più vecchi collocati nella nuova serra misurano circa 2,5 m di altezza, hanno un’età di circa 10 anni ed erano tutti precedentemente coltivati nel complesso delle Serre Califano. Gli esemplari più giovani sono invece nati da piante già presenti nell’Orto Botanico di Napoli; dopo numerosi sforzi, infatti, è stato possibile mettere a punto un protocollo di coltivazione cha ha consentito la ioritura e la fruttiicazione delle piante adulte ino a produrre nuovi embrioni utilizzati per la moltiplicazione.

Nella serra la temperatura dell’aria e dell’acqua della vasca, l’umidità e l’irrag-giamento solare sono gestiti da un sistema computerizzato che ne consente un moni-toraggio costante. La temperatura dell’aria può variare da 15 °C notturni a 30 °C diurni (in estate la temperatura diurna raggiunge i 38 °C). La temperatura dell’acqua della vasca è impostata a 22 °C, l’umidità relativa tra 50 e 75 %. Tali valori sono mol-to simili a quelli adottati nel progetto Biosphere 2 del Dipartimento di Biologia dell’Università Georgetown di Washington (Finn, 1996).

In relazione alla salinità dell’acqua, al ine di ospitare specie galleggianti, som-merse e semisommerse, si è preferito utilizzare acqua dolce. Le mangrovie non ri-chiedono acqua salata per sopravvivere, anzi il sale costituisce fonte di stress; in ac-que povere di sali il tasso di crescita tende ad aumentare. La stessa viviparia presente in alcune mangrovie sembra essere correlata al miglioramento delle capacità di so-pravvivenza in acque salate; i sali tendono a ridurre la capacità di sviluppo dell’appa-rato radicale dei giovani embrioni (Ball et al. 1998; Takemura et al. 2000; Ye et al. 2005).

La vasca presenta un circuito misto per la regolazione della temperatura ed il iltraggio dell’acqua. Attraverso una pompa sommersa parte dell’acqua ritorna ad un impianto di riscaldamento e decalciicazione, previo passaggio in un iltro a centrifu-ga; un sensore misura la temperatura e se questa è inferiore a quella stabilita invia l’acqua alla caldaia, facendo entrare nella vasca nuova acqua calda e decalciicata. Al ine di evitare il proliferare delle alghe e per favorire la pulizia supericiale dello spec-chio d’acqua, è stato predisposto un iltro “a caduta” riempito unicamente con lana vetro. In tabella I viene riportato l’elenco delle specie ospitate nella vasca.

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Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)

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Elenco delle specie ospitate nella vasca: alcune specie hanno una provenienza Tabella I: “esotica” rispetto al biotopo prescelto; sono state tuttavia inserite per scopi didattici o in taluni casi per le caratteristiche comuni degli ambienti di provenienza.

Mangrovieto Sommerse e semisommerse Epifite Fauna

Avicennia nitida Jacq. Bacopa caroliniana B. L. Rob. Cryptocereus anthonya-nus Alexander

Anableps anableps L.

Conocarpus erectus L. B. monnieri (L.) Wettst. Epiphyllum oxypetalum (DC.) Haw.

Anodonta cygnea L.

Laguncularia racemosa L. Cabomba aquatica DC. Myrmecodia platytyrea Becc.

Cambarellus montezumae Saussure

Rhizophora mangle L. C. caroliniana A. Gray Rhipsalis capilliformis F.A.C. Weber

C. patzcuarensis Villabos

Acrostichum aureum L. C. piauhyensis Gardner Tillandsia aeranthos Desf. ex Steud.

Gambusia affinis Baird & Gilard

Ceratophyllum demersum L. T. argentea Griseb. Hyphophorus helleri Heckel

Ripariale Ceratopteris siliquosa (L.) Copel.

T. bailey Rose ex Small Hypostomus plecostomus L.

Pachira aquatica Aubl. Echinodorus cordifolius (L.) Griseb.

T. bulbosa Hook. Uca burgersi Holthius

E. tenellus Buchenau T. butzii Mez

Galleggianti Egeria densa Planch. T. caput-medusae E. Morren

Aeschynomene fluitans Pete

Eichhornia azurea (SW.) Kunth T. cyanea Linden ex K. Koch

Azolla caroliniana Willd. Eichhornia crassipes Buchenau

T. duratii Vis.

Higrorhiza aristata Nees; Eleocharis parvula Nees & Schauer

T. ionantha Planch.

Lemna major Griff. Fontinalis antipyretica Hedw.

T. ionantha scaposa L.B. Sm.

Limnobium laevigatum Heine

Hydrocotyle leucocephala Cham. & Schltdl.

T. juncea Willd. ex Steud

Pistia stratiotes L. H. verticillata Turcz T. magnusiana Wittm.

Salvinia natans Pursh Lobelia cardinalis L. T. oaxacana L.B. Sm.

S. oblongifolia Martius Ludwigia glandulosa Walter T. recurvata L.

Lysimachia nummularia L. T. schiedeana Steud.

Micranthemum micranthemoides Wetts.

T. seleriana Mez

Riccia fluitans L. T. stricta Sol. ex Sims

Victoria regia Lindl. T. streptophylla Scheidew ex C. Morren

T. usneoides (L.) L.

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“Infopoint” dei beni e dei servizi ecosistemici offerti dai mangrovieti

Il nuovo spazio espositivo dell’Orto Botanico di Napoli dedicato al mangro-vieto (Fig. 2), oltre a costituire un laboratorio multidisciplinare per studi botanici, anatomici e di isiologia vegetale, rappresenta uno “strumento” utile per illustrare te-matiche legate ai servizi ecosistemici oferti da questo tipo di foreste. Non sono inol-tre da trascurare gli aspetti etnobotanici: sono infatti molteplici i prodotti utilizzati dall’uomo e provenienti dai boschi di mangrovie. L’immagine 6 di igura 2 riporta degli aghi in legno di mangrovia utilizzati per la tessitura delle reti; alcuni di questi aghi sono attualmente conservati presso la sezione di Etnobotanica del Museo di Paleo botanica ed Etnobotanica dell’Orto.

Ronnback (1999) e Walters et al. (2008) hanno illustrato dettagliatamente i servizi ed i beni prodotti dagli ambienti di mangrovia. In particolare negli studi con-dotti da Walters et al. si è cercato di quantiicare economicamente i servizi oferti da tali ambienti, un approccio spesso necessario al ine di promuovere adeguati piani di conservazione.

1) Vista del Mangrovieto Figura 2: dell’Orto Botanico di Napoli 2) “Prop root” di Rhizophora mangle 3) Giovane embrione in fase di sviluppo 4) Infiorescenza di Laguncularia racemosa 5) Foglie di Acrostichum aureum e isola galleg-giante a Salvinia oblongifolia 6) Ago (cucella) in legno di man-grovia rossa per la tessitura delle reti da pesca ad Antigua, Verca-cruz, Messico. Alcuni di questi manufatti sono attualmente con-servati presso la sezione di Etnobotanica del Museo di Paleo-botanica ed Etnobotanica dell’Orto Botanico di Napoli.

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Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)

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Prodotti naturali

Il numero di prodotti naturali che è possibile ricavare da un mangrovieto è notevole e può variare in funzione della ricchezza in specie. Di seguito viene presen-tato solo un elenco sintetico dei materiali principali:

Carburanti (carbone, alcool, legna), materiali da costruzione di vario tipo, prodotti alimentari (crostacei, molluschi, pesci, tartarughe ed altra fauna, frutti e fo-glie commestibili, zucchero, miele, olio da cucina, bevande sostitutive del tè, aceto, bevande fermentate), utensili domestici (legno, colle, cere, incenso, ibre naturali, tinture, tannini), principi attivi (molecole farmacologicamente attive ed ancora poco studiate). Inoltre, le mangrovie forniscono materiali fertilizzanti, pesticidi naturali, carta e materie prime utili per le lavorazioni artigianali.

I mangrovieti, inoltre, sono tra i principali ambienti da cui provengono pesci, piante ed altri materiali che vengono normalmente commercializzati nel prospero mercato dell’acquarioilia.

Servizi ecosistemici

I mangrovieti forniscono una grande varietà di servizi ecosistemici che posso-no essere suddivisi in servizi di supporto, di consumo, di regolazione e culturali.

Sui servizi ecologici forniti dai mangrovieti, Ronnback (1999) riporta che tali ambienti proteggono da maree, uragani e inondazioni, riducono l’erosione litorale e dei iumi e forniscono un supporto bioisico ad altri ecosistemi, ad esempio bloccan-do i sedimenti sottili ed evitando così l’intorpidimento delle acque più al largo che altrimenti comprometterebbe gli ecosistemi di barriera corallina. Lo stesso autore, inoltre, aferma che i mangrovieti costituiscono luoghi per la crescita degli avannotti e per l’accoppiamento e l’alimentazione di molte specie ittiche; si stima che in Au-stralia il 67 % delle specie ittiche sia dipendente dai mangrovieti (NTGA, 2009). Tali ambienti costituiscono anche luogo di riparo, nidiicazione e crescita di molte specie di uccelli stanziali e migratori, sostengono la biodiversità e le risorse genetiche, se-questrano e riciclano materiali organici, nutrienti ed inquinanti, esportano materiale organico e nutrienti, ofrono una regolazione biologica dei processi e delle funzioni ecosistemiche, costituiscono un sistema biologico di resilienza, producono ossigeno e sequestrano carbonio. Costituiscono bacini d’acqua e di ricarica delle falde sotter-ranee, promuovono la formazione di suolo e ne mantengono la fertilità, inluenzano

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a livello globale e locale il clima, costituiscono un habitat per le popolazioni indige-ne, garantiscono la sussistenza delle popolazioni costiere, rappresentano un patrimo-nio culturale, spirituale, religioso ed artistico e costituiscono sia una fonte di infor-mazioni scientiiche e di educazione ambientale, sia attrattori turistici e luoghi di ricreazione.

Una quantiicazione economica di alcune delle funzioni ecosistemiche dei mangrovieti ci è fornita da Walters et al. (2008). Si stima, ad esempio, un valore nell’attività di iltri biologici naturali delle acque di 1193 – 5820 $ per ha/anno, mentre nella prevenzione dalle catastroi, erosione ed inondazione il loro valore può essere quantiicato in 3600 e 4700 $ per ha/anno. Inine, i mangrovieti hanno una capacità di sequestrare il carbonio stimata in 1500 kg per ha/anno.

Conclusioni

Attualmente si ritiene che gli ecosistemi di mangrovieto occupino una super-icie inferiore ai 15 milioni di ha (stima del 2000) ed abbiano perso un quarto della loro estensione a partire dal 1980, quando era stata stimata una supericie di 19,8 milioni di ha (Wilkie et al. 2003).

Le stime sulla loro estensione segnano ancora un trend negativo; soprattutto in passato molte aree sono state completamente distrutte. Nelle Filippine, tra il 1951 ed il 1988, il 67 % dei mangrovieti sono stati distrutti a favore dell’allevamento dei gamberi (Kautsky et al. 2000).

Tuttavia sono numerosi gli studi che evidenziano la possibilità di operare degli interventi di ripristino degli ambienti di mangrovieto con costi contenuti e buoni risultati nell’arco di 15-30 anni. In tal caso occorre sottolineare che sarebbero neces-sari maggiori studi al ine di catalogare le varie tipologie di mangrovieto; tali ambien-ti, infatti, assumono caratteristiche diverse in funzione delle varie combinazioni di idrologia e condizioni climatiche (Lewis III, 2005).

L’Orto Botanico di Napoli, nella realizzazione di un’area espositiva di foresta di mangrovieto, cerca di aprire una inestra spazio-temporale al ine di illustrare a studenti e visitatori una realtà poco conosciuta. Le mangrovie e le aree lagunari rap-presentano un bene comune e la partecipazione alla loro conservazione deve essere condivisa. Oltre a rivestire una funzione didattica, l’area espositiva del mangrovieto dovrà pertanto sensibilizzare il pubblico sulla necessità di conservare questo tipo di ambiente.

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Ricostruzione nell’Orto Botanico di Napoli di un ambiente lagunare (mangrovieto)

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Ringraziamenti

Si ringraziano: il Prof. Paolo De Luca per aver fortemente promosso questo progetto; il Dottor Mario Vazquez Torres, dell’Università Veracruziana, per l’aiuto fornito in Messico ed in Italia; il Sig. Mario Riccio, che si dedica costantemente alla nuova area espositiva e tutto il personale delle Serre Califano che da anni segue con cura le mangrovie dell’Orto.

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Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici nel Parco Naturale Regionale

“Litorale di Ugento” (Lecce, Italia)

Seaside tourism and perception of ecosystem’s services in the “Litorale di Ugento”

Regional Natural Park (Lecce, Italy)

Nicola Zaccarelli1*, Simone Zecca1, Marco Dadamo2, Irene Petrosillo1 & Giovanni Zurlini1

1 Laboratorio di Ecologia del Paesaggio, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali, Università del Salento, Prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce

2 Scuola Superiore ISUFI – Settore Patrimonio Culturale: Conoscenza e Valorizzazione, Università del Salento, Ex Convento dei Padri Domenicani, Corso Umberto I, 73020 Cavallino (LE)

*[email protected]

Abstract

Il turismo balneare e la conservazione della natura in Provincia di Lecce dipendono pesantemente dalla disponibilità, dalla qualità e dalla quantità di un ampio spettro di servizi ecosistemici (SE) e dal capitale naturale (CN) del sistema della fascia costiera. Un’indagine sulla percezione dei SE e del CN rilevanti per l‘attività turistica balneare è stata avviata nell’estate del 2009 attraverso il coinvolgimento dei gestori degli sta-bilimenti balneari e sviluppando un apposito questionario improntato sullo schema D-P-S-I-R (Driving forces, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte). La popolazione indagata include tutti gli stabilimenti lungo il tratto di costa sabbiosa del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento”, uno dei tratti più importanti della Provincia di Lecce. I risultati mostrano come esistano diverse incongruenze nella percezione soggettiva dei SE e del CN, in particolare: i) i gestori valutano in modo errato il valore e l’importanza di diversi habitat della fascia costiera oltre che il servizio di prevenzione dall’erosione delle foglie di Posidonia oceanica; ii) esiste una valutazione incoerente fra impatti e pressioni associate alle attività di uno stabilimento balneare; iii) una scarsa sensibilità nella partecipazione ai programmi ed attività del Parco sul valore e l’importanza del CN e dei SE. Le implicazioni di queste incoerenze di percezione sono discusse nel contesto della sicurezza ambientale (environmental security) e delle strategie di conservazione, sottolineando come l’Ente Gestore debba operare al ine di superare tali problematiche per raggiungere non solo un maggior consenso ma anche una reale eicacia nelle azioni di gestione.

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Introduzione

I servizi ecosistemici sono generati a scale ecologiche diferenti, a volte sovrap-poste (MEA, 2003) e sono utilizzati a scale sociali multiple (Berkes et al., 2002), dando luogo a possibili discordanze e interazioni tra scale.

Una situazione di discordanza si veriica quando non vi è allineamento fra le scale di variabilità ambientale e le scale sociali dell’organizzazione responsabile per la gestione (Cumming et al., 2006). Si può assistere, ad esempio, ad una mancata con-cordanza, in termini di scale spaziali, tra i livelli gerarchici di azione degli enti di go-verno e le scale di variabilità ambientale; problematiche di scala provinciale, vengono afrontate, invano o in maniera errata, a livello comunale. In altre situazioni, i tempi di azione degli enti di governo, condizionati da speciiche scadenze, diicilmente ri-escono ad operare in linea con le scale della variabilità ambientale.

Ma fenomeni di discordanza spazio-temporale si veriicano altresì quando non vi è concordanza tra le scale di variabilità ambientale e le scale di azione degli utilizzatori o dei fruitori di un territorio. Una percezione discordante delle interazio-ni che possono stabilirsi tra le modalità di svolgimento di una attività economica o di utilizzazione di un territorio e le reali dinamiche ambientali, può generare o am-pliicare problematiche di ‘governance’.

Il mancato allineamento tra le scale di variabilità ambientale e quelle sociali di azione delle autorità politiche o degli utilizzatori di un territorio può inquadrarsi nell’ottica della sicurezza ambientale, qualora si coniguri una situazione di rischio o fragilità per i servizi ecosistemici (ES) o per il capitale naturale (CN). In tal caso si evidenzia la necessità di analizzare, sia in senso oggettivo che soggettivo, le potenzia-lità di perdita di ES o di CN, dovute ad una discordanza scalare (Zurlini & Müller, 2008).

Un sistema turistico basato sulle risorse naturalistiche rappresenta un esempio di sistema socio-ecologico (SES); (Gunderson & Holling, 2002) particolarmente complesso, in cui si assiste ad una stretta interazione di problematiche sociali, econo-miche ed ambientali, che non possono essere valutate isolatamente (Vitousek, 1997; Funtowicz & Ravetz, 2001).

Il CN e numerosi ES ad esso associato costituiscono il fondamento dell’attrat-tività di una località turistica. Una loro perdita determinerebbe il declino di un sito turistico. Nel caso in cui sia necessario contemplare esigenze di conservazione e tute-la della biodiversità, in quanto trattasi di aree protette di particolare pregio e di esi-genze di fruizione turistica, si rivela estremamente utile un continuo monitoraggio

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Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici

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degli impatti ambientali dovuti al turismo e dell’eicienza delle politiche e degli stru-menti adottati per gestirli (analisi oggettive) nonché, allo stesso tempo, della perce-zione delle risorse ambientali, della consapevolezza dell’impatto ambientale e della eventuale volontà a mitigarlo da parte dei portatori di interessi (analisi soggettive).

È in quest’ottica che il presente lavoro ha inteso valutare la percezione dei ES e del CN da parte dei gestori degli stabilimenti balneari operanti lungo la fascia co-stiera del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento” (P.N.R.). Obiettivo di tale analisi è l’identiicazione degli aspetti problematici connessi alla visione di tipo “aziendale” del portatore di interessi (lato soggettivo), per poter identiicare i possibi-li rischi connessi alla sicurezza dei servizi e supportare lo sviluppo di un’adeguata re-golamentazione da parte dell’Ente Parco. Ai ini di una corretta interpretazione dei risultati dell’indagine percettiva, è stato fondamentale realizzare preliminarmente un’attenta analisi di caratterizzazione oggettiva dell’area di studio per ciò che concer-ne gli aspetti ambientali e socio-economici.

Area di studio

L’indagine ha coinvolto i gestori degli stabilimenti balneari ricadenti all’inter-no dei conini del P. R. N. “Litorale di Ugento” (L.R. n. 13 del 23/05/07) (Fig. 1). L’economia del Comune di Ugento è legata al settore agricolo ed a quello dell’acco-glienza turistica, che presenta caratteri di marcata stagionalità e di forte specializ-zazione nelle tipologie di servizi oferti (Zecca, 2006). L’area presenta un campeggio, 6 villaggi turistici ed appartamenti privati nelle marine di Torre San Giovanni, Torre Mozza e Lido Marini, con un totale di circa 23.000 posti letto contro una popolazio-ne residente al 2008 di 12.073 unità. Nei suoi otto chilometri il tratto di costa inda-gato ospita 25 stabilimenti balneari a gestione principalmente familiare (Fig. 2), che operano da almeno 10 anni e presentano un totale di circa 2.700 ombrelloni.

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Inquadramento del P.N.R. “Litorale di Ugento” e dettaglio della località di Figura 1: T. San Giovanni con indicazione delle principali fonti di pressione che agiscono sull’arenile. Sono indicati i perimetri degli stabilimenti balneari dell’area (in nero), i varchi nel cordone dunale (pallini rossi), la posizione dei parcheggi retrodunali (in viola) e nell’inserto un esempio delle strutture degli stabilimenti.

Localizzazione degli stabilimenti balneari lungo la costa del P.N.R. “Litorale di Figura 2: Ugento” che hanno (in verde) e non hanno (in rosso) compilato il questionario. In viola l’area del parco.

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Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici

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La costa di Ugento mostra i caratteri tipici delle spiagge della Provincia di Lecce per dimensione, servizi ed infrastrutture per l’accoglienza, esempliicando le problematiche croniche dell’uso balneare delle coste leccesi (Fig. 1): elevato livello di afollamento sia di turisti che di stabilimenti; danni difusi al cordone dunale con formazioni di tagli per l’accesso alla spiaggia; degrado della fascia dunale e retrodu-nale per abbandono di riiuti; presenza di “parcheggi temporanei” (ad es. incolti o campi non coltivati) in area retrodunale in assenza di uno speciico reticolo stradale; forte dinamicità della linea di costa con gravi processi erosivi in atto; depositi stagio-nali ingenti di foglie di Posidonia oceanica (circa 3.000 m3 su km x anno).

Il pregio del Parco è dimostrato dall’elevata diversità loristica (400 taxa sui 1300 dell’intero Salento, con 251 generi, 70 famiglie e 12 endemismi; Marchiori et al., 1996), da una forte rappresentatività degli habitat tipici dell’area mediterranea, dalla presenza di un sito della Rete NATURA 2000, e dal ruolo di stepping stone per l’avifauna assunto dall’area palustre e dai bacini artiiciali di boniica per le rotte di numerosi migratori.

Materiale e Metodi

Per valutare la natura ed il grado della percezione dei gestori degli stabilimen-ti balneari in merito al CN ed ai SE è stato predisposto un questionario a scelta mul-tipla compilato direttamente dal soggetto intervistato, somministrato ai 25 gestori dell’area all’inizio della stagione turistica (aprile-giugno 2009). L’espressione della preferenza poteva avvenire attraverso la selezione di un’alternativa e con l’indicazione su scala ordinale. L’intervistatore ha presentato genericamente l’attività di ricerca ed ha indicato l’ailiazione universitaria e con l’Ente Gestore del Parco. Non sono state fornite informazioni relative ai quesiti se non al termine della compilazione. Sono state elaborate 17 domande, formulate in un linguaggio piano e non specialistico.

Il questionario è stato organizzato in tre sezioni. La prima per la raccolta di dati generali sul gestore (es. età, sesso e livello di istruzione). La seconda per la raccol-ta di informazioni relative al CN e SE del contesto territoriale nel quale l’attività del gestore si inserisce. La terza per indagare gli elementi speciici del CN e dei SE legati direttamente all’attività economica del gestore. La seconda e terza parte presentano domande in blocchi che seguono lo schema D-P-S-I-R (EEA, 1995).

Fissato dalla scelta del settore economico del turismo balneare (cioè il deter-minante), troviamo domande relative alle possibili forme di pressione, ai caratteri

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degli elementi naturali (cioè lo stato), agli impatti ed alle modalità di coinvolgimen-to dei gestori nelle azioni di tutela e valorizzazione del parco.

Per le diverse domande e per blocchi di domande (in base allo schema D-P-S-I-R) sono state calcolate le proporzioni delle risposte rispetto al totale. Mentre il test di Kolmogorov-Smirnov per due campioni indipendenti è stato impiegato per con-frontare le distribuzioni delle risposte.

Solo una parte dei risultati è presentata in questo contributo, mentre per mag-giori dettagli si rimanda al corresponding author.

Risultati e Discussione

Sul totale di 25 stabilimenti, 5 hanno riiutato di compilare il questionario con rimostranze varie legate alle attività condotte dall’Ente Gestore del Parco (Fig. 2). Dei partecipanti 15 erano uomini e 5 donne. Dieci gestori avevano un’età supe-riore ai 36 anni, mentre 2 maggiore di 50. Il livello di istruzione prevalente è il diplo-ma, con un solo laureato e 6 titolari di una licenza media.

a-f: Risultati di alcune domande presenti all’interno del questionario somministrato.Tabella I:

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Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici

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Le tabelle 1-a e 1-b riportano le proporzioni di risposte ottenute in merito a quesiti inerenti lo stato del CN rispetto ad una valutazione di contesto generale del parco e della speciica zona dello stabilimento, rispettivamente. Valori elevati sulla qualità e consistenza del CN sono molto frequenti quando si guarda all’intero Parco, con l’eccezione dello stato dei bacini che presentano tendenze opposte. Mentre a li-vello di stabilimento la percezione cambia, con punteggi meno elevati ed una decisa

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stroncatura dei bacini (cioè puzza ed insetti sono le cause principali). Inoltre intervi-stati sul valore delle foglie spiaggiate di Posidonia, più della metà dei gestori le con-sidera un problema (0,60) poiché “non piace ai bagnanti” e meno di un terzo ne ap-prezza l’importanza quale indicatore di qualità delle acque e fattore di difesa dall’erosione costiera.

Le tabelle 1-c e 1-d mostrano le risposte per i quesiti relativi al blocco di do-mande sulle pressioni e le minacce a livello di parco e di stabilimento che possono degradare il CN ed i SE. Vi è una marcata coerenza nei punteggi globali nel conside-rare le sorgenti di pressione come reali cause di trasformazione del territorio poiché poco meno della metà delle risposte identiica le opzioni come reali minacce. Mentre nel dettaglio delle voci emerge come aspetti legati al traico veicolare ed all’afolla-mento della spiaggia non siano considerati pressioni, probabilmente perché diretta-mente legati all’attività dello stabilimento.

Le tabelle 1-e e 1-f mostrano le risposte per i quesiti relativi al blocco di do-mande sugli impatti che deteriorano il CN ed alterano il livello dei SE considerati sia a livello di parco che di stabilimento. Per entrambi i livelli, la maggiore proporzione di risposte (superiore a 0,67) individua i fattori proposti come elementi di impatto nell’immediato (risposta “Sì”). Importante è però il dato a livello di stabilimento che vede nella “qualità delle acque del mare” un elemento degradato, rilevando una pre-cisa distorsione nel giudizio mediato dalla percezione del gestore che si contrappone al giudizio di balneabilità delle acque espresso dalle misurazioni di ARPA Puglia e che è dettata principalmente dalla presenza di foglie di Posidonia e da riiuti spiag-giati.

Confrontando la distribuzione dei punteggi globali per i blocchi di domande relative a pressioni ed impatti per i due livelli di indagine emerge una diferenza sta-tisticamente signiicativa (probabilità inferiore a 0,05): la percezione presenta livelli superiori per gli impatti, mentre è inferiore per le fonti di pressione che possono in seguito trasformarsi in impatto, questo sia a livello di parco che di stabilimento.

Inine, nel blocco di domande relativo alla sezione “risposte” emerge a livello generale che i gestori preferirebbero essere coinvolti nelle attività di tutela e valoriz-zazione del parco principalmente o attraverso la loro associazione di categoria (0,28) o con incontri pubblici (0,32). Mentre intervistati su cosa farebbero loro per meglio gestire le bellezze naturali del parco la risposta più frequente è stata “rimuovere i par-cheggi retrodunali ed attivare un servizio navetta” (0,40), seguita da “regolamentare ed attrezzare gli accessi al mare sulle dune” (0,38).

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Turismo balneare e percezione dei servizi ecosistemici

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Conclusioni

I risultati mostrano l’esistenza di diverse incongruenze nella percezione sog-gettiva dei SE e del CN; in particolare: i) i gestori valutano in modo errato il valore e l’importanza di diversi habitat della fascia costiera oltre che il servizio di prevenzio-ne dall’erosione delle foglie di Posidonia oceanica; ii) esiste una valutazione incoe-rente fra pressioni e impatti associati alle attività di uno stabilimento balneare; iii) esiste pure una scarsa sensibilità nella partecipazione ai programmi ed attività del Parco sul valore e l’importanza del CN e dei SE. La lettura del territorio, emersa dai risultati dei questionari, evidenzia una situazione di discordanze scalari, ove si con-trappone una “visione utilitaristica” di breve termine in contrasto con le diverse en-tità temporali delle dinamiche ambientali. Le implicazioni di queste incoerenze di percezione, discusse nel contesto della sicurezza ambientale e delle strategie di con-servazione, devono indurre l’Ente Gestore ad operare non solo attraverso una mag-giore regolamentazione delle attività, ma anche con strumenti partecipativi e con attività di sensibilizzazione. In tal modo, nell’ottica del superamento di tali proble-matiche, sarà possibile raggiungere un maggior consenso ma anche una reale eicacia nelle azioni di gestione.

Un primo passo per afrontare le discordanze spazio-temporali è la consapevo-lezza dell’esistenza di un’incoerenza fra scale ecologiche dei servizi e scale sociali (Cumming et al., 2006). La soluzione ai problemi ambientali dei sistemi costieri, odierni e futuri, non può prescindere da uno studio ed un’analisi trans- e interdisci-plinare delle diferenti modalità di interazione, succedutesi nel tempo, tra la compo-nente antropica e quella naturale.

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Educazione

ambientale oggi

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Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze in ambiente

mediterraneo

Local approach to environmental education: lessons from two Mediterranean experiences

Lucia Fanini1*, Mohamed ElGtari2, Soumia Fahd3 & Felicita Scapini1

1 Dipartimento di Biologia Evoluzionistica, Università di Firenze, via Romana 17, 50125 Firenze2 Dipartimento di Biologia, Università di Gafsa, Cité Ennour, Route Kasserine, 2100, Gafsa (Tunisia)

3 Dipartimento di Biologia, Università Abdelmalek Essaâdi, Faculté des Sciences de Tétouan, BP 2121, Tétouan (Marocco)

*[email protected]

Abstract

Sono riportate due esperienze di educazione ambientale rivolte alle scuole primarie in Tunisia e Marocco. Partendo da un approccio all’ambiente locale e “domestico” sono state analizzate a) le fonti di informazione disponibili ai bambini e alle bambine di città e campagna per la formazione di una coscienza ambientale e b) la conoscenza dei concetti proposti loro dalle fonti di informazione: programmi scolastici, TV e contesto sociale. Dai risultati emerge l’importanza dell’integrazione e dell’aggiorna-mento delle conoscenze in ambito ecologico, per formare nei cittadini di domani una coscienza ambientale corretta e al tempo stesso legata al dominio afettivo.

Introduzione

Alcuni dei risultati ottenuti in progetti euro-mediterranei di ricerca MED-CORE e WADI sono stati difusi direttamente nelle scuole primarie dei siti di stu-dio, per favorire la comunicazione diretta tra ricercatori, insegnanti e bambini e for-nire loro informazioni che li riguardano da vicino (che altrimenti, se difuse esclusivamente con articoli internazionali e comunicazioni a congressi, rimarrebbero a loro precluse). Le esperienze riportate di seguito hanno quindi carattere locale, ma possono essere considerate in un’ottica più ampia, permettendo attraverso un proces-so di upscaling la considerazione di eventuali proprietà emergenti dell’intero sistema (sensu Marten, 2001). L’ambiente trattato è quello “domestico” per i bambini e le

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loro famiglie: la spiaggia nel caso della città tunisina di Nefza e gli habitat dell’erpe-tofauna endemica nel caso della valle di Oued Laou in Marocco. Nel primo caso, la spiaggia è fonte di ingressi economici attraverso le attività turistiche, ma è anche le-gata ad attività tradizionali come la pesca di sussistenza e l’artigianato (che utilizza piante della duna, come Ammophila arenaria). Nel secondo caso, il passaggio della gestione dell’acqua dalle autorità tradizionali di villaggio (jma’a) alla gestione gover-nativa sta mettendo a rischio le infrastrutture tradizionali (pozzi, sorgenti e canali di irrigazione – saquìas), a loro volta legate al biota locale e nello speciico all’erpetofau-na (Campo Muñoz, 2007). In questo contesto, già ricco di contrasti, è stato istituito nel 2006 il Parco Nazionale di Talassemtane, riserva Man And Biosphere (MAB) dell’UNESCO, ma ben poco percepito dagli abitanti che vivono all’interno dell’area del Parco. In entrambi i casi è evidente un contrasto tra modelli di sviluppo estrema-mente diversi, che riportano a dinamiche comuni a buona parte delle zone costiere del Mediterraneo, andando oltre la dimensione locale: pressioni (spesso esterne, come il turismo stagionale e la costruzione improvvisa e sregolata di nuove infra-strutture) insistono sull’ambiente ecologico e socio-culturale, che viene a trovarsi in un contesto diicile, in cui tradizione e modernità vengono presentate come incon-ciliabili anziché mutuamente utili per una gestione sostenibile dell’ambiente locale.

L’educazione ambientale agisce spesso su concetti già esistenti nel background culturale individuale, ma che possono essere errati o obsoleti. Un’azione di educazio-ne ambientale dovrebbe identiicare innanzitutto i concetti e le informazioni proble-matiche, e sostituirli con concetti ed informazioni corretti ed aggiornati (Elamé, 2002). Scopo generale delle nostre attività era proporre una visione aggiornata dell’interazione uomo-ambiente, in cui l’azione umana non è più contrapposta alle dinamiche naturali, ma vi è integrata: le caratteristiche ecologiche di un ambiente, integrate dalla conoscenza del contesto socio-culturale ed economico, portano alla considerazione dell’ecologia come parte integrante del sistema sociale che in quell’am-biente si è sviluppato (Marten, 2001).

In entrambi i casi, la scuola pubblica è stata considerata essenziale per il coin-volgimento della maggior parte dei bambini in età scolare, che probabilmente, alme-no nelle zone rurali, abbandoneranno gli studi prima della scuola secondaria.

Sono state quindi analizzate le fonti di informazione disponibili e utilizzate dai bambini, così come la conoscenza dei concetti relativi all’ambiente locale ed alle relazioni uomo-ambiente. Dai risultati ottenuti nei contesti locali sono state derivate indicazioni per l’integrazione delle conoscenze relative alle relazioni uomo-ambiente in un contesto più ampio.

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Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze

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Materiali e metodi

Sono state coinvolte scuole primarie pubbliche (sia in Marocco che in Tunisia sono in atto crescenti sforzi per far rispettare l’obbligo scolastico, sia per i bambini che per le bambine, UNSD, 2008). Attività e questionari sono stati sono stati discussi con i ricercatori e gli insegnanti locali per garantire la pertinenza e l’adattamento al conte-sto locale e sono stati sottoposti dagli insegnanti ai bambini degli ultimi due anni del-la scuola primaria, che da programma scolastico avevano già efettuato lezioni di edu-cazione ambientale. I questionari comprendevano una caratterizzazione del bambino partecipante (genere e provenienza da ambiente urbano o rurale) e domande raggrup-pabili secondo temi ecologici generali. Nel caso di Nefza, il questionario è stato pro-posto ai bambini prima e dopo l’esperienza di educazione ambientale, per un’analisi post-hoc. Inoltre, una parte introduttiva chiedeva di indicare eventuali fonti di in-formazione ambientale oltre i programmi scolastici, suddivise in “generali” (TV, libri) e “locali” (andare in spiaggia, parlare in famiglia, partecipare a clubs culturali della scuola). Nel caso di Oued Laou, il questionario era volto all’analisi delle fonti di in-forma zione ambientale, perciò è stato proposto una volta sola, in occasione dell’espe-rienza di educazione ambientale e della consegna del libro. I questionari completi sono scaricabili da: http://www.medcore.unii.it/methodologies_medcore.htm e http://www.wadi.unii.it/methodology_children_questionnaire_herpetofauna.pdf.

La gita al mare (Nefza)

Abbiamo considerato la gita scolastica come uno strumento di apprendimen-to preferenziale, attendendoci un maggiore coinvolgimento emotivo e l’aumento della predisposizione all’approccio inquiry-based (Hargreaves, 1994); in questo caso la meta della gita era la spiaggia a pochi chilometri di distanza dalla scuola e i bam-bini erano accompagnati dai ricercatori, con cui discutevano le domande del test. Dettagli in Fanini et al. (2007). La diferenza tra le risposte alla stessa domanda pri-ma e dopo la gita in spiaggia è stata analizzata mediante ANOVA per genere e am-biente di provenienza (urbano e rurale) dei bambini. Nei questionari era inoltre pre-sente l’opzione “non so”, la cui scelta è stata utilizzata come indicatore di incertezza/di concetti non chiari (Fanini et al., 2007).

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Il libro illustrato (Oued Laou)

Abbiamo considerato lo storytelling come l’approccio più adatto a temi così complessi come la situazione di transizione che si sta veriicando nella valle di Oued Laou: una storia raccontata permette di integrare dati quantitativi e qualitativi e di spiegarli, associandoli sia alla realtà che all’immaginario (Zellmer et al., 2006). Nel racconto erano presentati anibi e rettili, il wadi Laou (un wadi è un corso d’acqua con variazioni stagionali di portata), il Parco Nazionale di Talassemtane. Per realizza-re un libro che raccontasse una storia sull’ambiente locale sono stati coinvolti i dise-gnatori dell’Accademia di Belle Arti di Tétouan (Fanini, 2008; libro disponibile su richiesta all’autore). Nel caso di Oued Laou, per l’identiicazione delle fonti di infor-mazione utilizzate è stata analizzata la similarità per genere e ambiente di provenien-za tra le risposte al test mediante le routines del software PRIMER (generalmente utilizzato per l’analisi di biodiversità, in questo caso rappresentata dalla diversità di risposte ottenute nei questionari) (Fanini & Fahd, 2009).

Risultati

A Nefza il campione includeva 34 maschi e 24 femmine; 42 bambini prove-nienti da zone urbane e 16 da zone rurali. Tutti i partecipanti all’attività utilizzavano fonti di informazione extrascolastiche sia di tipo generale che locale. L’analisi non ha riscontrato diferenze signiicative né per genere né per provenienza dei bambini, né per l’interazione dei due; i risultati sono quindi riportati relativamente all’intero campione.

Le domande sull’ambiente isico della spiaggia (Tab. I, domande 1-3) hanno registrato un rilevante aumento di risposte corrette nel test efettuato dopo l’attività. I temi delle domande relative al biota della spiaggia (Tab. I, domande 4-6) sono in-vece risultati piuttosto chiari già prima dell’attività, quindi l’aumento di risposte cor-rette è stato inferiore rispetto al primo gruppo. Le risposte alle domande sugli impat-ti e sull’utilizzo della risorsa spiaggia (Tab. I, domande 7-10) sono risultate il gruppo con variazione più eterogenea tra risposte fornite prima e dopo il test.

Nella valle di Oued Laou, il campione includeva 38 maschi e 38 femmine; 25 bambini provenienti da zone urbane e 49 da zone rurali. L’analisi della similarità (su matrice Bray-Curtis) ha evidenziato un background comune tra risposte del 60,62 %; per questo motivo anche in questo caso l’analisi delle risposte fornite al questionario è stata efettuata sull’intero campione.

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Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze

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Risultati (valori riportati in percentuali arrotondate) del test sottoposto ai bambini Tabella I: prima e dopo la gita in spiaggia. Accanto alle risposte corrette è stato riportato il valore della risposta “non so”, utilizzato come parametro di incertezza e di mancanza di concetti chiari.

Domanda prima dell’attività dopo l’attività aumento di risposte

corrette risposta corretta

non so risposta corretta

non so

1. Cos’è una spiaggia? 39 12 96 2 57

2. Da dove viene la sabbia? 16 14 70 3 54

3. Come si formano le dune? 49 3 95 0 46

4. C’è vita in una spiaggia?° 67 12 100 0 33

5. Esistono animali che passano tutta la loro vita in spiaggia?°

67 16 97 0 30

6. Ci sono esseri viventi che contribuiscono alla conservazione della spiaggia?

72 12 95 2 23

7. Ci sono cose che puoi trovare sulla spiaggia, anche se sono estranee a questo ambiente?

21 31 66 7 45

8. Quali sono le cose e le attività che possono danneggiare una spiaggia?

51 2 74 10 23

9. Cosa possiamo fare per mantenere una spiaggia di buona qualità?

84 0 89 0 5

10. Quali sono i comportamenti corretti da tenere durante una gita al mare?

23 4 63 0 40

I risultati hanno evidenziato una prevalenza dell’esperienza diretta per quanto riguarda l’informazione sulle componenti dell’ambiente (Tab. 2, gruppo a.), una pre-valenza dell’informazione proveniente dalla scuola per quanto riguarda le connessio-ni tra componenti dell’ambiente, uomo incluso (Tab. 2, gruppo b) e, nonostante un Parco Naturale sia ritenuto un beneicio sia per l’uomo che per l’ambiente, l’infor-mazione sull’esistenza del Parco Nazionale di Talassemtane, di cui le due scuole rura-li fanno parte, è risultata molto scarsa (Tab. 2, gruppo c). In entrambi i casi un risul-tato indiretto ma degno di nota è stata la grande attenzione rivolta dalle autorità locali alle esperienze di educazione ambientale e la richiesta di riproporle.

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Risposte ai questionari proposti agli scolari della valle di Oued Laou (valori riportati Tabella II: in percentuali arrotondate). La percentuale di risposte affermative, su cui sono poi state calcolate le altre percentuali, è riportata a fianco della prima domanda. In grassetto la risposta più frequente.

Gruppo a. componenti dell’ecosistema

Hai mai visto… Se sì, dove:

si in natura TV In vendita al mercato

una tartaruga 93,2 70,4 63,3 17,0

una salamandra 37,5 28,4 11,4 NA

un rospo 60,0 50,0 27,3 NA

Gruppo b. connessioni tra componenti dell’ecosistema. Acqua e uomo.

Sapevi che… Se sì, come l’hai imparato?

si famiglia scuola amici osservazione personale

TV

gli anfibi hanno bisogno di acqua per sopravvivere

86,4 15,9 43,2 12,5 17 23,9

le persone hanno bisogno di acqua per sopravvivere

80,7 23,9 46,6 14,8 12,5 23,9

ci sono problemi dovuti alla mancanza d’acqua

100,0 30,7 60,2 14,8 14,8 38,6

ci sono problemi dovuti all’inquinamento dell’acqua

100,0 30,7 60,2 16,0 21,6 44,3

Gruppo c. un esempio di gestione dell’ambiente: istituire un Parco naturale

Un Parco naturale è…

un’area in cui tutte le attività umane sono proibite 10,2

un’area che lo Stato ha deciso di gestire 21,6

un’area dedicata alla tutela ambientale 29,5

un’area dedicata alla tutela dell’uomo e dell’ambiente 79,5

Sapevi che… Se sì, come l’hai saputo?

famiglia scuola amici osservazione personale

TV

è stato istituito il Parco Nazionale di Talassemtane 50,0

14,8 5,7 10,2 30,7 29,5

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Approccio locale all’educazione ambientale: lezioni da due esperienze

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Discussione

Tutti i bambini coinvolti hanno mostrato la stessa predisposizione all’appren-dimento e le stesse occasioni di esperienza diretta a prescindere da genere e prove-nienza da zone di città o di campagna, nonostante in contesti come quello tunisino e marocchino i ruoli sociali maschili e femminili determinino diferenti ranges d’azione (ad esempio, le bambine delle zone rurali generalmente aiutano le madri nell’approvvigionamento di acqua potabile). L’età scolare è probabilmente un fattore che predomina su questi aspetti. Si tratta infatti di un’età in cui i bambini comincia-no a rivolgere l’attenzione all’ecosistema nella sua interezza, per comprenderne le componenti e le dinamiche (Kidd & Kidd, 1996). I risultati indicano un utilizzo dei diversi strumenti disponibili per la formazione del bagaglio individuale di conoscen-ze ambientali, tra di essi la TV svolge un ruolo rilevante, anche se limitato ad alcuni ambiti (immagini di animali; buone pratiche ambientali). Tuttavia i media tendono a dare un’immagine generica (e in alcuni casi decisamente esotica) dell’ambiente, e i programmi scolastici non prevedono applicazioni locali dei concetti trasmessi. Di conseguenza questo tipo di informazione, se non mediata e adattata al contesto do-mestico, rischia di perdere eicienza (Iozzi, 1989). Una possibile integrazione a livel-lo locale poteva essere svolta dalle famiglie, ma il loro ruolo in questo è risultato poco rilevante, probabilmente perché le pressioni contrastanti che insistono sugli abitanti delle zone considerate, riguardanti i loro modelli di sviluppo, hanno creato una si-tuazione di confusione, per cui le famiglie hanno smesso di fornire informazioni sull’ambiente, non ritenendole più valide.

Considerando le lezioni derivanti da entrambe le esperienze, emerge la neces-sità di una maggiore attenzione alle realtà locali anche da parte di quegli strumenti che, come scuola e TV, spesso forniscono informazioni esclusivamente di tipo gene-rale. Le conoscenze ambientali, oltre ad essere acquisite per esperienza diretta dai bambini, dovrebbero essere integrate sia da mezzi potenti come la scuola e i media, sia dalle famiglie e comunità locali, per facilitare l’interiorizzazione dei concetti e cre-are la possibilità di stabilire legami tra ambiente e dominio afettivo (Vaughan et al., 2003). Per una corretta integrazione delle informazioni e un eiciente utilizzo di mezzi di comunicazione molto diferenti tra loro dovrebbe essere evitata per quanto possibile la settorializzazione in ambito formativo (Morin, 2000): i bambini, futuri cittadini, se educati a percepire i legami esistenti tra vita sociale, economia, approc-cio scientiico ed ecologia, avranno la possibilità di efettuare delle scelte consapevoli. Infatti in assenza di una completa consapevolezza del proprio ambiente e delle rela-

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tive dinamiche, è probabile che continuino a sfuggire alcuni concetti che vanno oltre la sfera prettamente ecologica, come il fatto che la qualità ambientale rappresenta la base per un’equità sociale.

Gli articoli pubblicati relativamente ai singoli casi di studio sono scaricabili da

http://www.iopan.gda.pl/oceanologia/49_1.html#A9 e http://www3.interscience.wiley.com/cgi-bin/fulltext/122414072/PDFSTART La metodologia relativa all’attività in spiaggia è stata inoltre presentata dal CORDIS come risultato da promuovere

nel Technology Marketplacehttp://cordis.europa.eu/fetch?CALLER=NEW_RESU_TM&ACTION=D&QF_EN_RCN_A=43544

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Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici

A guide for observing and studying freshwater microorganisms

Annastella Gambini*, Alfredo Broglia & Antonella Pezzotti

Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, 20126 Milano

*[email protected]

Abstract

Utilizzare un microscopio a scuola è indubbiamente afascinante per gli studenti, attirati dalla potenzialità dello strumento e dalla curiosità di scoprire un mondo che non si vede a occhio nudo. Tuttavia questa attività è spesso diicile da afrontare, sia per gli insegnanti della scuola di base sia per quelli delle scuole superiori senza una speciica formazione in biologia. Se il vetrino non è ben preparato, se l’insegnante non sa bene dove eseguire i prelievi, e non riconosce le peculiarità delle “particelle” che si spostano spesso molto velocemente si assiste in breve tempo ad una perdita di attenzione da parte degli studenti e nel rapido svanire di qualunque interesse per l’osservazione. La guida qui descritta vuole essere un valido supporto alle osservazioni di microrganismi che si trovano frequentemente in pozze, stagni, fontanili, ecc.. Le fotograie riproducono gli organismi a diversi ingrandimenti e spesso in situazioni diverse (mentre si spostano alla ricerca del cibo, mentre mangiano, mentre cambiano forma, ecc.).Il riconoscimento avviene confrontando quello che si vede al microscopio con quanto riportato nelle schede della guida che fornisce inoltre alcune informazioni sulla biologia degli organismi e sull’ambiente acquatico in cui vivono. L’utilizzo di questo strumento didattico, ancora in fase sperimentale, consente di organizzare il lavoro al microscopio anche senza la guida di un esperto. Alla ine dell’attività è possibile scoprire che una vorticella, un rotifero, un ciliato… hanno moltissime cose in comune con noi: si nutrono, adottano strategie peculiari per procurarsi il cibo, sono sensibili a stimoli, ecc.. Organismi tanto piccoli e osservati con poco interesse, spesso solo attraverso le pagine di un libro, possono così diventare un po’ più familiari, far sorgere nuove domande e discussioni fondamentali sugli ambienti in cui vivono: ecosistemi da rispettare e conservare sul territorio vicino a noi.

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Annastella Gambini et al.

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Introduzione: ideazione e realizzazione della guida “Vita e segreti dei microrganismi acquatici. Guida per l’osservazione e lo studio”

Il fascino subito dagli studenti quando sono invitati a utilizzare il microscopio consiste principalmente nell’avvicinarsi allo strumento usato dai ricercatori, nell’an-dare nello spazio “magico” del laboratorio, attirati, forse solo in parte, dalla curiosità di scoprire oggetti che non si vedono a occhio nudo.

Capita spesso che gli insegnanti della scuola di base impieghino i pochi fondi a disposizione per il laboratorio per l’acquisto di microscopi. Vengono convinti ad acquistare strumenti obsoleti, talvolta pagati più di quel che valgono, li preparano allineati sul bancone e (spesso) conducono i ragazzi al loro utilizzo senza averli mai provati prima. Fanno osservare capelli, ali di mosca, petali di iori… talvolta osserva-no vetrini già preparati in dotazione allo strumento, ma dopo qualche tempo si ren-dono conto che utilizzare i microscopi per attività che suscitino interesse richiede una preparazione speciica e li mettono sotto chiave nell’armadio dimenticandoli per sempre. Una delle diicoltà per gli insegnanti è la mancanza di una adeguata forma-zione sia sui contenuti (conoscenze di base delle strutture cellulari e dei principali gruppi di viventi che si possono osservare) sia nell’utilizzo pratico della strumenta-zione (quali accorgimenti adottare nel fare i prelievi, come preparare i vetrini, come scegliere la luce con cui illuminare il preparato, ecc.). Anche gli insegnanti delle scuole superiori che non hanno una speciica formazione in biologia si trovano ad afrontare queste diicoltà.

L’osservazione dei microrganismi acquatici, tuttavia, è un’attività didattica che si fa con una certa frequenza in tutti gli ordini di scuola. Ma, se il vetrino non è ben preparato, se l’insegnante utilizza prelievi che non sono densi di organismi, se non riconosce le peculiarità delle “particelle” che si spostano spesso molto velocemente, si assiste in breve tempo ad una perdita di attenzione da parte degli studenti e nel rapi-do svanire di qualunque interesse per l’osservazione. I manuali che si trovano in commercio sono diicilmente utilizzabili a scuola perché troppo speciici: classiica-no per gruppi tassonomici come il genere o la specie e utilizzano un linguaggio tec-nico non facilmente comprensibile dai non-esperti. Sono fatti, in poche parole, per altri scopi (Streble & Krauter, 2002). Abbiamo perciò pensato di realizzare una guida per aiutare insegnanti e studenti a interpretare i vetrini, dando l’idea di entrare in un vero e proprio ambiente naturale corredato da tutte le caratteristiche di quelli visibi-li a occhio nudo (Gambini et al., 2009).

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Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici

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Come proporre l’osservazione al microscopio da parte di insegnanti con limi-tate competenze nella preparazione dei vetrini, nelle colorazioni e nella reperibilità del materiale da osservare? Indubbiamente le strutture più adatte a tale scopo sono rappresentate da cellule che presentano pigmenti (non sono necessarie colorazioni) e da cellule libere (non sono necessarie sezioni). Sono pertanto da privilegiare cellule vegetali e microrganismi acquatici che, inoltre, si trovano praticamente sempre, salvo oscillazioni stagionali, in luoghi facilmente accessibili.

Descrizione della guida e del suo utilizzo

Come è fatta la guida

La guida è costituita da circa 50 schede organizzate come in igura 1.

La guida è costituita da schede organizzate nel seguente modo:

il titolo riporta il nome dell’organismo. Ogni colore dello sfondo rappresenta un diver-•

so gruppo: l’azzurro i cianobatteri, il rosso gli animali e i protozoi, il verde le alghe verdi,

l’arancio le alghe rosse, il giallo le altre alghe.

il sottotitolo riporta il nome scientifico dell’organismo o del gruppo a cui appartiene.•

il corpo centrale della scheda riporta alcune brevi note sulle caratteristiche principali •

dell’organismo. In corsivo, sottolineate, si trovano le parole contenute nel glossario.

le fotografie sono state effettuate a diversi ingrandimenti, gli stessi utilizzati con i micro-•

scopi di un comune laboratorio di biologia.

le didascalie riportano l’ingrandimento e descrivono brevemente le immagini.•

Organizzazione delle schede della guida.Figura 1:

Al centro di ogni scheda è riportata una breve descrizione delle principali ca-ratteristiche biologiche dell’organismo riconosciuto e di quelle dell’ambiente in cui vive. In internet si trovano abbondanti informazioni su questi organismi che abbia-mo ritenuto superluo inserire in una guida di questo tipo. Abbiamo voluto realizza-re uno strumento didattico, privilegiando quindi nella stesura delle descrizioni gli aspetti percettivi (quelli che abbiamo provato noi stessi) e le sensazioni all’atto del prelievo (mucillaginoso, ruvido, verde chiaro, ecc.).

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Annastella Gambini et al.

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Il linguaggio utilizzato è facilmente comprensibile anche agli studenti e agli insegnanti della scuola di base; i termini più speciici (es. specie, colonia, lagello, nu-cleo…) sono spiegati in un glossario posto alla ine della guida.

Le fotograie sono tutte originali e provengono da prelievi fatti in luoghi d’ac-qua del territorio lombardo diversiicati e facilmente fruibili da tutti, come stagni, laghetti, fontanili con acqua ferma e acqua corrente, rive di iumi, ecc., dove gli or-ganismi rappresentano specie cosmopolite, mai endemiche. Le fotograie sono state fatte a diversi ingrandimenti e spesso in situazioni diverse (mentre si spostano alla ricerca del cibo, mentre mangiano, mentre cambiano forma, ecc.) brevemente de-scritte nelle didascalie. Anche lo sfondo in cui si trovano gli organismi è stato lascia-to per rappresentare il pullulare della vita inserita sui substrati abituali, quali si ritro-vano osservando i vetrini nella realtà. In igura 2 è riportata come esempio una delle schede della guida.

Esempio di scheda presente nella guida.Figura 2:

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Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici

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Come si utilizza

Una volta preparato il vetrino, bisogna sfogliare la guida ino a trovare l’im-magine più somigliante (la rilegatura ad anelli favorisce questa operazione), control-lare all’ingrandimento successivo se compaiono nuove caratteristiche che confortano il riconoscimento, leggere le didascalie che spesso guidano ad un’osservazione a un ingrandimento maggiore completando così l’identiicazione. Ora si può dare un nome all’organismo visualizzato: questo “nome” risulta così essere la conclusione di un lavoro (pratico e intellettuale) che hanno fatto gli studenti stessi, insieme e sotto la guida del proprio insegnante.

“Si muove, scappa fuori dal campo! Cosa mai starà facendo? Dove andrà? Cosa lo

spingerà a correre incessantemente o a ruotare le proprie ciglia?”. Queste sono le doman-de che dovrebbero sorgere tra i ragazzi, questa è la base di un osservazione scientiica che mira a far emergere domande piuttosto che a chiudere le curiosità mettendo un “nome inale” a risoluzione del percorso (Oldfather et al., 2001)

Così si stimola anche il senso del scoperta. A questo proposito anche le do-mande che pone l’insegnante sono importanti, nell’ottica di una metodologia socio-costruttivista che noi adottiamo in linea con le più recenti indicazioni pedagogico-didattiche (Varisco, 2002; Nigris, 2009). Egli non dichiara ai suoi studenti “Ora

guardiamo i parameci che si muovono”, ma chiede “Cosa saranno e come vivranno quel-

le palline che corrono qua e là? Cosa stanno facendo? Chi sono?”.

Dopo aver riconosciuto l’organismo si possono leggere alcune informazioni sulla sua biologia ed ecologia. Questo è un punto fondamentale che esula dal dare un nome agli organismi, per inserirli invece in modo diretto nella complessa catena di relazioni in cui la loro nicchia ecologica si è sviluppata.

Metodologia applicativa e risultati della sperimentazione

L’utilizzo di questo strumento didattico consente di organizzare il lavoro al microscopio anche senza la guida di un esperto. Tuttavia nelle prime due sperimen-tazioni, rivolte a studenti di diverse età, è stato presente un ricercatore universitario.

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Annastella Gambini et al.

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Laboratorio didattico sul campo (Laboratorio Didattico del Laghetto)

Da anni abbiamo in gestione per conto della Provincia di Milano – Direzione Centrale Risorse Ambientali – alcune attività didattiche di educazione ambientale in un luogo d’acqua restaurato e conservato a sue spese, il Laboratorio Didattico del La-

ghetto (Gambini et al., 2007; Gambini, 2008). In quest’area sono presenti tre luoghi d’acqua diversi: un laghetto alimentato dalla falda, uno stagno artiiciale e una vasca di acqua corrente. Dopo aver osservato liberamente i tre ecosistemi acquatici e aver-ne descritto le caratteristiche macroscopiche (odore, colore, presenza di piante e ani-mali…) gli studenti (sia della scuola di base, sia universitari) efettuano alcuni prelie-vi per analizzare l’acqua al microscopio all’interno del laboratorio appositamente allestito. La presenza di un microscopio dotato di telecamera e videoproiettore con-sente una visione collettiva. In questo modo gruppi di 7-8 ragazzi sono invitati a ri-conoscere i microrganismi presenti e le loro caratteristiche e a collegare alcuni adat-tamenti che essi presentano alle caratteristiche del luogo del prelievo (Fig. 3).

Le vorticelle … sembrano aquiloni! È come se si lasciassero trasportare dall’aria, però dall’acqua. E poi c’è il filo che le tiene attaccate, come quello degli aquiloni. Andiamo a vedere sulla guida se si parla di quel filo … sì, dovrebbe essere il peduncolo.

a sinistra: disegno di uno studente universitario; a destra: descrizione di un bambino Figura 3: di scuola primaria.

Si possono in tal modo porre a confronto ecosistemi acquatici diversi e capire, tra l’altro, che l’ambiente microscopico risente di caratteristiche comunemente rileva-bili come l’illuminazione, la temperatura dell’acqua, la presenza di una itta vegeta-zione ripariale, ecc. (Gomarasca, 2002). Questo non è inutile se si pensa che nell’im-maginario delle persone i microrganismi acquatici vivono in una specie di ambiente uniforme, costante e sconosciuto perché invisibile, immaginato come omogeneo.

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Laboratorio didattico ad ampia diffusione – Vita nell’acqua presente e futura

Il laboratorio didattico Vita nell’acqua presente e futura è stato organizzato in occasione del Festival della scienza 2009 svoltosi a Genova nel novembre 2009. Nel-lo spazio dedicato (dotato di ampie superici per raccogliere tutti i materiali prodotti) i conduttori, formati dal nostro gruppo di ricerca, hanno esaminato insieme ai par-tecipanti (classi scolastiche prevalentemente nei giorni feriali, ma anche ragazzi e adulti arrivati spontaneamente al laboratorio) gli organismi prelevati in precedenza. Il microscopio corredato da un sistema di proiezione ha mostrato gli organismi invi-sibili, un panorama pullulante di cui ci si diverte a riconoscere i protagonisti. Fonda-mentale è stato l’utilizzo della guida e lo stimolo sia a riconoscere organismi scono-sciuti che a cercarne di nuovi.

Il risultato positivo di questa attività deriva non solo dal numero di visitatori pervenuti, ma anche dal lavoro che essi hanno svolto: i numerosi disegni sono arriva-ti a coprire le intere pareti dell’enorme spazio in cui abbiamo allestito il laboratorio (Fig. 4), la creatività nel rappresentarli, l’attenzione mostrata ai particolari, le do-mande sorte durante l’attività mostrano il successo di questa iniziativa.

Laboratorio “Vita nell’acqua presente e futura”. Festival della Scienza. Genova 2009. Figura 4: A sinistra: una delle pareti del laboratorio ricoperta dai disegni realizzati; a destra: particolare del disegno di un visitatore.

L’attività del laboratorio didattico è stata accompagnata dalla realizzazione di un blog che in futuro prevediamo di aprire a tutti. Attraverso questo strumento si potranno raggiungere due scopi: rispondere alle domande poste dagli interlocutori e favorire una forma di apprendimento collettivo che, sia pur virtuale, sarà comunque possibile sperimentare.

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Annastella Gambini et al.

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Conclusioni

Si invoca oggi da più parti un cambiamento della scuola, sempre più criticata riguardo alla sua efettiva eicacia per una formazione moderna e sostenibile (Ster-ling, 2006). Se da un lato si discute e ci si confronta, soprattutto a livello internazio-nale, sull’attuazione di un’educazione veramente sostenibile, dall’altro ci si trova ad avere a che fare con strumenti che appaiono completamente inadeguati. I cardini dell’innovazione dei curricula uniicano, tra gli altri, due aspetti fondamentali, rico-nosciuti a livello internazionale: la complessità e gli aspetti della percezione sistemica (della società, dell’ambiente, della complessità dei viventi) e l’applicazione di meto-dologie attive che dovrebbero sostituire l’apprendimento trasmissivo tuttora impe-rante, ecc. (Trombulack et al., 2004). Per attuare questa trasformazione occorrono consapevolezza, studio (formazione degli insegnanti) e strumenti.

Quello qui presentato è uno di questi strumenti che non solo serve a ricono-scere, a dare un nome, ai diversi componenti della fauna e lora microscopiche, ma stimola anche il fare attivo degli studenti, la collaborazione all’interno di piccoli gruppi, la visione sistemica, ecc. (De Vecchi & Carmona-Magnaldi, 2006). Alla ine dell’attività si diventa consapevoli che una vorticella, un rotifero, un ciliato… hanno moltissime cose in comune con noi: si nutrono, adottano strategie peculiari per pro-curarsi il cibo, sono sensibili a stimoli, ecc.. Conoscere un ambiente sconosciuto e imparare a interpretarne le caratteristiche peculiari è forse l’obiettivo principale. Un altro tuttavia potrebbe essere quello di avvicinarsi a percepire un mondo lontano (in questo caso perché invisibile) in modo diverso. Si riporta in igura 5 una frase di M. Roland, naturalista francese del secolo scorso (Roland, 1950).

È un umile stagno in seno ad un piccolo bosco senza pretese […] Prenderò un po’ di

quell’acqua per osservarla più da vicino […]

La preparazione del miracolo è una creazione in miniatura. Si tratta di far uscire dalle

nostre dita un oceano, la sua fauna e la sua flora. La fauna di prima del diluvio, che aveva

bisogno dell’immenso oceano planetario per spassarsi, si contenta ora di pochi millimetri

quadrati […] In selve inestricabili, fatte di erbe fini come fili di ragno, tale fauna si muove, vive e

muore con istinti simili a quelli degli animali giganteschi delle antiche ere: solo le dimensioni

differiscono […]

Pensiero di Marcel Roland tratto da Figura 5: “Le meraviglie del microscopio”.

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Una guida all’osservazione e allo studio dei microrganismi acquatici

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Quando ci si rende conto della presenza di organismi viventi nell’acqua, se ne può facilmente riconoscere il valore ecologico e ambientale (Cunningham et al., 2004). L’inquinamento delle acque non signiica solo un rischio per la nostra salute ma incide anche sulla futura sopravvivenza delle creature microscopiche che la abitano.

Avvicinandosi alla straordinarietà della vita si getta, inoltre, una delle basi fon-damentali per portare avanti scelte e azioni future, tenendo conto anche della loro so-stenibilità (Mayer, 2003). Occorre conservare il bene prezioso della vita in tutte le sue forme, anche in quelle che non sono così facilmente alla portata dei nostri sensi ma che comunque svolgono un ruolo importante nell’ecosistema al quale appartengono.

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Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici

Ecology in the lab: aquatic microcosm experience

Annastella Gambini1*, Silvana Galassi2 & Stefania Barmaz1

1 Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Milano 20126

2 Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Biologia*[email protected]

Abstract

Il laboratorio “Microcosmi acquatici” è rivolto a studenti di Scienze della Formazione Primaria per proporre loro esperienze pratiche su alcuni concetti fondamentali dell’ecologia quali la crescita di popolazione, le catene alimentari e le altre interazioni tra organismi. I microcosmi da noi allestiti sono contenitori aperti in cui sono presenti un produttore primario (Selenastrum capricornutum o Pseudokirchneriella subcapitata) e un consumatore di primo ordine (Daphnia magna); in altri contenitori è aggiunto anche sedimento prelevato da un acquario in uso per valutare il ruolo dei decomposi-tori. Gli studenti realizzano diverse condizioni sperimentali che forniscono la base per una discussione di gruppo. Le fasi che costituiscono il percorso laboratoriale sono:

osservazione e descrizione dettagliata degli organismi a disposizione •formulazione di ipotesi relative alle loro esigenze di crescita•preparazione di microcosmi per la veriica delle ipotesi•osservazioni periodiche degli organismi presenti•discussione inale e conclusioni•

La discussione, correlata all’esperienza pratica, è mirata a far rilettere sulle trasforma-zioni dei microcosmi e sui concetti di ecologia correlati. A partire da strumenti e materiali a costo relativamente contenuto è così possibile far lavorare e rilettere gli studenti su alcuni concetti chiave dell’ecologia. Le conoscenze scientiiche si devono considerare irrinunciabili per un’educazione ambientale consapevole; occorre pertanto formare insegnanti in grado di promuovere non solo nuove conoscenze ma anche esperienze concrete da proporre in futuro ai propri studenti della scuola primaria. I risultati ottenuti sono consistiti nella valutazione da parte nostra dei quaderni di laboratorio degli studenti in cui essi hanno registrato tutte le proprie esperienze e dei poster allestiti per mostrare all’esterno i risultati del proprio lavoro.

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Introduzione

Le conquiste tecnologiche, soprattutto negli ultimi tempi, ci rendono talmen-te lontani dall’ambiente naturale da farci dimenticare il nostro legame con il mondo naturale (Odum, 1988). Le conoscenze scientiiche si devono considerare una delle basi irrinunciabili per un’educazione ambientale consapevole; diventa così impre-scindibile l’insegnamento dell’ecologia, a partire dalla scuola primaria, anche per in-staurare un nuovo rapporto con l’ambiente. Occorre pertanto una formazione degli insegnanti in grado di promuovere non solo conoscenze ma anche esperienze concre-te da proporre ai propri studenti.

Il Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Milano Bicocca propone nel curriculum universitario, oltre alle lezioni fron-tali in aula, esperienze basate sul rapporto diretto con animali, funghi e piante da svolgersi in laboratorio e sul campo. Tali esperienze didattiche devono condurre a due diversi tipi di competenze: la conoscenza dell’oggetto di studio e la competenza da mettere in gioco per proporre temi analoghi ad allievi della scuola primaria (Gam-bini et al., 2006; Roberts & Gott, 2008).

Le caratteristiche fondamentali di tali attività sono:Lavoro a piccoli gruppi: il lavoro di gruppo permette l’instaurarsi di un dialogo 1. costruttivo tra gli studenti. La dimensione del gruppo è critica ai ini di realizzare un’efettiva partecipazione da parte di ogni studente, gruppi troppo grandi por-tano all’isolamento di alcuni elementi, mentre la sola attività individuale com-porta la mancanza di un dialogo costruttivo (De Vecchi & Carmona Magnaldi, 2000).Introduzione allo studio degli organismi: l’osservazione degli organismi, l’analisi 2. del rapporto struttura/funzione di ogni elemento osservato, il disegno dal vero favoriscono l’acquisizione di alcuni concetti base della biologia. Attraverso il dise-gno gli studenti sono portati a osservare in modo approfondito ogni parte dell’oggetto in studio e a rilettere sulla sua funzione.Raccolta di domande durante l’osservazione: domande del docente atte a sondare 3. le conoscenze pregresse degli studenti e domande che sorgono tra gli studenti dal lavoro di osservazione e favoriscono l’elaborazione di ipotesi. Costruzione di ipotesi, sulla base delle quali verrà costruita l’esperienza di labora-4. torio: questo aspetto, risultato di discussioni di gruppo, è fondamentale per tene-re alto l’interesse degli studenti (si consideri il fatto che si tratta di studenti iscrit-ti a un corso di laurea sostanzialmente umanistico).

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Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici

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Confronto delle ipotesi fra vari gruppi guidato del docente: ogni gruppo imposta 5. la propria esperienza sulla base delle proprie ipotesi confrontando i propri risulta-ti con quelli degli altri.Realizzazione di un prodotto inale: la preparazione di un prodotto inale è ina-6. lizzata alla rielaborazione di quanto appreso da parte dello studente e alla sua va-lutazione.

In questo lavoro è presentato un esempio di laboratorio pedagogico-didattico basato sulla costruzione di microcosmi acquatici, svolto nel corso degli anni accade-mici 2006-2008. In igura 1 e in igura 2 sono riportate due foto dei microcosmi realiz zati.

Visione d’insieme dei Figura 1: microcosmi preparati durante il laboratorio. Al centro un microcosmo mantenuto al buio.

Esempi di microcosmi.Figura 2:

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Materiali e metodi

I materiali di partenza per lo svolgimento di questa esperienza sono a costo relativamente contenuto e sono stati utilizzati strumenti che fanno parte della dota-zione base di un laboratorio di biologia:

Acqua San Benedetto•Becher•Pompe d’acquario•Vetrini e piastre Petri•Lente di ingrandimento •Stereomicroscopi e microscopi ottici•

Gli organismi di partenza sono comunemente utilizzati per saggi ecotossico-logici e completamente caratterizzati da un punto di vista biologico (IRSA, 1991):

un produttore primario (• Selenastrum capricornutum o Pseudokirchneriella subcapi-

tata) un consumatore di primo ordine (• Daphnia magna)sedimento prelevato da un acquario d’acqua dolce.•

L’esperienza inizia con l’osservazione a occhio nudo seguita da osservazione a ingrandimento crescente accompagnata da una breve discussione e dal disegno degli organismi e delle strutture riconosciute come riportato in igura 3.

Esempio di disegno Figura 3: realizzato durante il laboratorio.

Nel caso della Daphnia magna, oggetto dell’osservazione, prima con lente di ingrandimento e poi con uno stereo microscopio (da 10 x a 40 x), sono le principali strutture corporee e la modalità di movimento e alimentazione. Anche le alghe ven-

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Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici

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gono osservate prima ad occhio nudo e in seguito con il microscopio ottico (da 100 x a 400 x).

Ogni gruppo formula delle ipotesi sulle esigenze per la sopravvivenza degli or-ganismi in esame e sulle possibili interazioni tra gli stessi. A partire dalle ipotesi ven-gono costruiti i microcosmi. Ogni microcosmo è costituito da un becher aperto la cui composizione è variabile e viene decisa e discussa con gli studenti, mantenendo isso il volume inale. Ogni sistema è fotografato e monitorato al ine di veriicarne i cambiamenti. Al microcosmo da testare è aiancato un microcosmo di controllo, in condizioni ottimali contenente in un volume inale di 200 ml:

5 individui di • Daphnia magna adulti300.000 cell/ml di sospensione algale •acqua•sedimento•luce•agitazione costante•

Dal confronto con il controllo gli studenti possono confutare o riiutare le ipotesi iniziali. Al termine dell’attività ogni gruppo prepara un poster in cui ha rias-sunto le ipotesi e i risultati ottenuti e lo espone a tutta la classe. Durante tutta la du-rata del laboratorio le osservazioni vengono puntualmente registrate su un quaderno di laboratorio individuale.

Risultati

L’esperienza qui descritta è stata svolta durante tre successivi anni accademici (2006-2008). Si tratta di un’esperienza della durata di 20 ore, svolta in giorni succes-sivi per consentire un’osservazione costante dei microcosmi da parte di ogni gruppo. Dall’analisi dei quaderni di laboratorio raccolti al termine di ogni anno di attività è stato possibile valutare (per lo meno qualitativamente) l’efettiva utilità dell’esperien-za. Ogni studente ha, infatti, annotato le sue ipotesi iniziali e ogni fase del percorso che lo ha portato a scartare o accettare l’ipotesi iniziale.

In genere, le ipotesi formulate dagli studenti riguardavano le esigenze degli organismi (“le alghe fanno la fotosintesi, quindi necessitano di luce”, “la Daphnia

magna si nutre di alghe”). L’utilizzo di sedimento d’acquario ha permesso di aprire una inestra sul mondo dei decompositori, anello fondamentale dell’ecosistema (“nel sedimento ci sono i decompositori”). La veriica delle ipotesi sopra riportate è avve-

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Annastella Gambini et al.

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nuta mediante l’osservazione di microcosmi alterati (senza luce, senza Daphnia ma-

gna e senza sedimento). Le osservazioni nel corso di 3-5 giorni hanno riguardato i cambiamenti del colore dell’acqua del campione esaminato (osservazione a occhio nudo dell’intensità del verde, come indice della densità delle alghe) e le diferenze giornaliere tra il campione e il suo controllo.

I parametri selezionati per l’osservazione dei cambiamenti si sono rivelati suf-icienti: i cambiamenti di colore dell’acqua, per esempio, erano molto evidenti so-prattutto dopo 4 giorni di osservazione, riconfermando la possibilità di svolgere quest’esperienza anche senza il supporto di strumenti per la conta algale o camere di Burker non sempre facilmente reperibili, soprattutto considerando un eventuale adattamento dell’esperienza alla scuola primaria. I tempi di osservazione si sono rive-lati adeguati anche se averli più dilatati favorirebbe una migliore osservazione della crescita algale. L’utilizzo di un controllo si è rivelato strumento indispensabile per una migliore interpretazione dei risultati. L’osservazione dei risultati e la discussione collettiva hanno messo in luce maggiori informazioni sorte dall’esperienza.

Discussione

La costruzione di microecosistemi rappresenta una notevole sempliicazione di quello che avviene negli ecosistemi reali ma permette di approfondire e interpre-tare le relazioni che avvengono anche nei sistemi complessi. Di solito a scuola l’argo-mento “ecosistema” è trattato in modo teorico: è liquidato con la conoscenza di elen-chi (brevissimi) di elementi legati da relazioni alimentari, spesso poco correlati ai fattori abiotici, il ruolo dei decompositori è solo accennato, i sussidiari riportano modelli estremamente riduttivi della complessità degli ecosistemi (Gambini et al., 2009). Si vanno a visitare luoghi naturali protetti, o all’acquario a vedere come è sta-ta ricostituita la barriera corallina, si guardano documentari sul deserto, sulle savane, sulle zone alpine, ma raramente sono proposte attività didattiche “per capire” alcuni aspetti delle relazioni tra gli elementi degli ecosistemi.

Mediante la costruzione di microcosmi sono stati afrontati argomenti base della biologia (fotosintesi, rapporto struttura/funzione negli organismi viventi) e dell’ecologia (predazione, crescita di popolazione, ruolo dei decompositori, ecosiste-mi). La valutazione del prodotto inale da parte del docente, rappresentato dal qua-derno di laboratorio e dal poster realizzato dagli studenti, ha permesso di veriicare sia l’utilità dell’esperienza sia l’eicacia della metodologia proposta. In particolare, è

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Ecologia in laboratorio: l’esperienza dei Microcosmi Acquatici

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stata valutata la capacità di rielaborare i concetti alla base dell’esperienza e il livello di comprensione. Sarebbe interessante riproporre tale esperienza all’interno della scuola primaria per veriicare le diferenze di apprendimento tra adulti e bambini e la com-petenza didattica acquisita dopo la partecipazione al laboratorio (spiegazioni e con-duzione di discussione attorno al tema) che le future insegnanti acquisiscono attra-verso queste pratiche di laboratorio.

Bibliografia

De Vecchi, G. & Carmona Magnaldi, N. (2000) Aiutare a costruire le conoscenze. La Nuova Italia, Firenze.Gambini, A., Pezzotti, A. & Ardemagni, A. (2006) Il laboratorio della vasca tattile: un approccio alla biologia che

parte dall’esperienza personale. Le Scienze Naturali nella scuola, Anno XV, 28, Lofredo Editore.Gambini, A., Pezzotti, A. & Broglia, A. (2009) Sussidiari ed esperienze didattiche di tipo pratico: due modi con-

trapposti con cui afrontare a scuola la complessità dei temi ambientali. Atti del XVIII Congresso Nazionale

della Società Italiana di Ecologia.IRSA (1991) Saggio di tossicità con Daphnia. Quaderni IRSA n.93.Odum, E. P. (1988) Basi di Ecologia, Piccin-Nuova Libreria.Roberts, R. & Gott, R. (2008) Practical work and the importance of scientiic evidence in science curricula.

Education in Science, 230, 8-9. ASE (Association for Science Education). Available at: www.ase.org.uk/htm/members_area/journals/eis_nov_2008/8-9.pdf

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Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici

facendo di conto

A website to help student’s hands-on appreciation of climate changes

Giovanna Ranci Ortigosa1*, Giorgio Guariso1 & Antonio Bossi2

1 Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano, Via Ponzio 34/5, 20133 Milano2 WWF Italia, Programma Educazione, Via Orseolo 12, 20144 Milano

*[email protected]

Abstract

Il progetto “Consumi amici del clima”, promosso dal WWF Italia e sviluppato dal Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano grazie al contributo della Fondazione Cariplo, è un progetto di didattica avanzata e interattiva rivolto alle Scuole Secondarie di secondo grado. Suo scopo principale è quello di sensibilizzare gli studenti al problema dei cambiamenti climatici stimolandoli ad adottare comportamenti e stili di vita che producano meno emissioni di gas serra.Il progetto si concretizza nel sito Internet www.consumieclima.org che accompagna le classi in un viaggio in sei tappe lungo il percorso dell’anidride carbonica, partendo dalle emissioni individuali per arrivare alla variazione della temperatura media terrestre. Caratteristica peculiare del corso è quella di chiedere agli allievi di valutare personalmente le diverse problematiche legate ai cambiamenti climatici, utilizzando dati reali e strumenti matematici implementati attraverso fogli di calcolo strutturati ad hoc. Lo studente passa quindi dalla stima delle proprie emissioni all’analisi statistica delle temperature, dalla valutazione delle conseguenze sugli ecosistemi ino a speri-mentare un modello climatico globale sempliicato per simulare gli efetti di diverse politiche di riduzione delle emissioni climalteranti. Alla ine del percorso ogni classe è invitata a comunicare la propria esperienza e le proprie scoperte attraverso la prepara-zione di materiale multimediale che viene pubblicato sul sito web.Il progetto, già segnalato dalla Commissione Europea, nell’anno scolastico 2008-2009 è stato seguito da undici classi di varie scuole della Lombardia.

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Giovanna Ranci Ortigosa et al.

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Introduzione e obiettivi del progetto

I cambiamenti climatici pongono l’urgente necessità di azioni eicaci di edu-cazione alla sostenibilità che promuovano stili di vita e modelli di consumo a minor impatto ambientale (UNESCO, 2005). Tali azioni sono fondamentali per poter for-nire ai giovani le conoscenze scientiiche necessarie per intraprendere scelte consape-voli (Lenzen & Murray, 2001) e possono eicacemente avvalersi di Internet e delle nuove tecnologie della comunicazione (UNESCO, 2007). I cambiamenti climatici, dal canto loro, sono un ottimo argomento dal punto di vista didattico per favorire un approccio scientiico ai problemi ambientali che ne evidenzi l’intrinseca comples-sità (Dahlberg, 2001).

In questo ambito si colloca il progetto “Consumi amici del clima” promosso dal WWF Italia e sviluppato dal Dipartimento di Elettronica e Informazione del Po-litecnico di Milano grazie al contributo della Fondazione Cariplo. L’obiettivo centra-le del progetto è quello di sensibilizzare gli studenti delle Scuole Secondarie di secon-do grado al problema dei cambiamenti climatici, rendendoli maggiormente consapevoli delle conseguenze dei propri comportamenti e stimolandoli a trovare e ad attuare coscientemente comportamenti che riducano le proprie emissioni.

Le tematiche del progetto sono state afrontate seguendo due linee guida pe-culiari e per molti versi innovative:

rendere gli studenti protagonisti del proprio apprendimento e delle proprie sco-1. perte proponendo loro le diverse problematiche come domande a cui devono cer-care essi stessi risposte (European Commission, 2007);introdurre, in modo semplice e operativo, competenze che diicilmente entrano 2. a far parte del bagaglio scolastico e personale degli studenti delle scuole seconda-rie ma che sono utili per rispondere alle domande stesse e, più in generale, per comprendere appieno la complessità delle problematiche ambientali. In partico-lare, si introducono:a) l’analisi di ampi insiemi di dati ambientali reali che mette gli studenti a di-

retto confronto con situazioni vere, diverse dagli esercizi che si utilizzano nor-malmente in classe, consentendo loro di ripercorrere, almeno in parte, l’efet-tivo lavoro degli scienziati e di rendersi conto dell’estrema complessità dei fenomeni e della conseguente impossibilità di una loro descrizione esaustiva;

b) l’utilizzo di strumenti quantitativi, quali semplici modelli e metodi di analisi dei dati, che, seguendo procedure chiaramente deinite, trasparenti e ripercor-ribili, permettono agli studenti di leggere e confrontare dati, di stimare gli ef-

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Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto

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fetti conseguenti a diversi stili di vita/scenari, stimolandoli così ad una mag-gior responsabilizzazione verso le proprie scelte individuali;

c) l’uso di modelli dinamici che, tenendo conto dell’evoluzione nel tempo di un processo, forniscono agli studenti nuove chiavi di lettura di fenomeni am-bientali, spesso studiati a scuola unicamente in condizioni di equilibrio, e per-mettono di comprendere le conseguenze di una certa azione anche molto in là nel tempo;

d) l’introduzione al concetto di incertezza, strettamente legato allo sviluppo scientiico perché insito nei dati che vengono utilizzati, nei modelli che descri-vono i processi reali e nelle previsioni dei fenomeni. Si propone così ai ragazzi l’idea che non esistono modelli o soluzioni esatte ma che, come diceva Leo-nardo da Vinci, “nelle cose confuse, l’ingegno si desta” e occorre quindi impa-rare a navigare nella complessità, uscendo da schemi consolidati per sviluppa-re un pensiero creativo e soluzioni operative innovative.

Il sito web “Consumi amici del clima”

Il progetto si è concretizzato nella realizzazione del sito web (www.consumie-clima.org) dedicato a studenti e docenti delle Scuole Secondarie di secondo grado, a cui propone un percorso didattico speciico, ma accessibile a tutti.

L’area principale del sito è “Il nostro percorso” (Fig. 1) che consiste in sei modu-li, più quello introduttivo, che accompagnano gli studenti, passo passo, nella scoper-ta del fenomeno dei cambiamenti climatici. Il percorso parte dalle nostre emissioni di gas serra, prosegue verso l’atmosfera dove esse si accumulano dando luogo ad un aumento dell’efetto serra e dove si scopre che la crescita della concentrazione dei gas serra è legata all’aumento della temperatura atmosferica. Inseguendo le conseguenze del riscaldamento globale, si torna quindi sulla Terra per scoprire quali azioni e cam-biamenti concreti sono necessari per una sua riduzione.

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Giovanna Ranci Ortigosa et al.

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Una pagina del percorso di www.consumieclima.org. Sulla sinistra il menu delle Figura 1: sezioni del modulo. I punti di domanda nel testo rimandano alle voci del glossario.

Ogni modulo è composto dalle medesime sezioni che forniscono sia i concet-ti teorici che gli strumenti quantitativi per afrontare le esercitazioni pratiche ineren-ti all’argomento trattato. Le sezioni sono le seguenti:

Il problema: • delinea il problema centrale del modulo ponendo agli studenti una domanda concreta a cui devono trovare risposta;Mettiti alla prova: • fornisce i dati per svolgere piccoli studi guidati che, analizzando un problema reale, permettano di dare una risposta alla domanda posta nella se-zione iniziale. L’esercitazione consiste in un foglio elettronico (Microsoft ® Excel) in cui tutte le celle sono bloccate e non modiicabili tranne quelle utili allo studen-te per inserire dati e formule necessarie alla soluzione degli esercizi (Fig. 2);Strumenti utili: • contiene le schede operative che descrivono i metodi quantitativi da utilizzare per lo svolgimento dell’esercitazione;Trai le conclusioni:• permette di accedere, tramite un test a risposta multipla sull’esercitazione svolta, alla discussione dei risultati, collegandoli a conclusioni più generali.

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Presentazione del problema

Dati del caso reale (non modificabili)

Risposte aperte degli studenti (celle libere in cui devono essere inserite formule)

Risposte chiuse degli studenti (da selezionare tra le opzioni)

Spazio di lavoro per calcoli intermedi e note

Un foglio di calcolo per le esercitazioni del progetto “Consumi amici del clima” con le Figura 2: varie tipologie di celle utilizzate.

La tabella I riporta i contenuti dei moduli, mette in evidenza il processo logi-co e di apprendimento che caratterizza ciascuno di essi (problema – esercitazione per risolverlo – conclusioni) e come essi siano concatenati logicamente tra loro (la do-manda di un modulo parte dalle conclusioni del modulo precedente). Ciascun mo-dulo contiene tutte le nozioni e gli strumenti necessari per il suo svolgimento anche in maniera indipendente dagli altri. Si può quindi scegliere di svolgerli in maniera consequenziale, ma anche di svolgerne solo alcuni o di seguire percorsi diversi che mettano in maggiore evidenza alcuni aspetti, quali la comprensione scientiica del fenomeno piuttosto che il tema dei consumi. Proprio in questa libertà di fruizione sta il grande vantaggio dell’approccio adottato, nonché il ruolo attivo che l’insegnan-te può assumere nel guidare gli studenti lungo il percorso e anche nelle singole eser-citazioni.

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Sintesi dei contenuti dei moduli didattici del progetto “Consumi amici del clima”.Tabella I:

IntroduzioneNotizie dal mondo

Una sequenza di immagini e titoli di giornali per incuriosire e interrogarsi sui cambiamenti climatici

Il problema Mettiti alla prova Trai le conclusioni

Modulo 1 Noi, produttori di CO2

Tutti noi emettiamo gas serra, quanto ne emettiamo?

Calcolo e lettura critica della carbon footprint individuale e di classe.

Il nostro stile di vita e molte attività umane causano notevoli emissioni di gas serra in atmosfera.

Modulo 2Anidride carbonica dove vai?

Dove va l’anidride carbonica che emettia-mo?

Bilanci numerici del ciclo del carbonio; stima degli alberi necessari per assorbire le nostre emissioni di gas serra.

Le emissioni antropiche di anidride carbonica non riescono ad essere “smaltite” dal ciclo del carbonio: in atmosfera entra più CO2 di quanta ne esca.

Modulo 3 Ma quanta CO2 c’è in atmosfera?

Se la CO2 si sta accumu-lando in atmosfera, quanto aumenta la sua concentrazione? Come conoscere le concen-trazioni di CO2 attuali e del passato?

Lettura e analisi di serie reali di dati di concentra-zione atmosferica di CO2

Misurazioni effettuate nella nostra atmosfera ci confermano che la concentrazione di CO2 sta aumentando e ha raggiunto livelli mai toccati negli ultimi 650.000 anni.

Modulo 4 Troppo caldo in arrivo?

L’aumento di gas serra in atmosfera ha conseguen-ze sulla temperatura terrestre?

Analisi di dati reali per verificare il legame tra concentrazione di CO2 e temperatura media terrestre.

Studi scientifici dimostrano che l’aumento di concentrazione di CO2 è legata ad un aumento della temperatura media terrestre.

Modulo 5Cosa sarà di noi?

Quali saranno le conseguenze dell’au-mento della temperatura terrestre? Come preve dere il clima del futuro?

Ghiacciai che scompaio-no, città che vengono sommerse, animali che emigrano: misura di alcune conseguenze dei cambiamenti climatici.

Le conseguenze del riscaldamento globale riguarderanno molte variabili climatiche e molti aspetti della nostra vita. Alcuni cambiamenti sono già in atto!

Modulo 6 … e ora cosa possiamo fare?

Cosa possiamo fare per arre stare i cambiamenti climatici? Serve ridurre le nostre emissioni di gas serra in atmosfera?

Utilizzo di un modello climatico globale semplificato per simulare gli effetti di diversi scenari di emissione di gas serra sulla temperatura media terrestre.

Le nostre emissioni influenzano la variazione della temperatura media terrestre. Individuare politiche e scelte amiche del clima è possibile.

A titolo di esempio, il modello climatico globale sempliicato contenuto nel modulo 6 permette diversi modi di utilizzo. Basato sulle equazioni sviluppate da Joos et al., (2001) attualmente implementate nel Java Climate Model (www.climate.unibe.ch/jcm), esso consente di stimare la variazione di temperatura prevista nel 2050 e nel 2100 in corrispondenza di diversi tassi di variazione delle emissioni di

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CO2 equivalente ed aerosol. Lo studente, intervenendo direttamente sul foglio di calcolo, può quindi valutare gli efetti di diversi scenari di emissione in termini di concentrazioni, di forzanti radiativi, di andamento delle temperature. Ma, grazie alla lessibilità del software, può anche porsi e risolvere il problema inverso (quale do-vrebbe essere la variazione delle emissioni per raggiungere in un certo anno una certa temperatura?) o sperimentare gli efetti di una misura di contenimento delle emissio-ni che venga applicata solo da un certo anno in avanti.

Sul sito sono presenti anche:l’area • “Abbiamo scoperto che…” che raccoglie i materiali (video, presentazioni, te-sti) prodotti dalle classi;l’area • “Per i docenti” speciicatamente dedicata a fornire supporto agli insegnati riguardo l’articolazione del percorso didattico, i prerequisiti necessari per afron-tarlo, i contenuti dei moduli e le soluzioni degli esercizi (protette da password); un glossario accessibile direttamente dai testi (Fig. 1);•bibliograia scientiica, elenco di siti web tematici e materiale di approfondimen-•to scaricabile (video, banche dati, articoli scientiici e divulgativi).

Il sito web è stato sviluppato ponendo grande attenzione alla sua chiarezza e facilità d’utilizzo ainché tutti i contenuti fossero usufruibili in maniera autonoma e lessibile da docenti e studenti nonché all’uso di una comunicazione (sia linguistica che graica) chiara, stimolante e adatta all’età, ottenuta anche attraverso la prepara-zione di materiali multimediali e igure interattive.

Erogazione del progetto nell’anno scolastico 2008/2009

Nel corso dell’anno scolastico 2008/09 il progetto è stato proposto a undici scuole secondarie della Lombardia (3 licei scientiici e 8 istituti tecnici) per un totale di 12 classi o gruppi (3 classi del biennio, 7 del triennio e 2 gruppi di interclasse).

Il percorso didattico è iniziato con una conferenza di presentazione aperta a tutti, seguita da due incontri di formazione e veriica per i soli docenti con i curatori del progetto, e ha visto la disponibilità di un tutor contattabile via posta elettronica da docenti e studenti.

Undici classi hanno seguito il progetto ino alla ine dell’anno scolastico af-frontando alcuni o tutti i moduli. Un questionario di valutazione inale compilato da studenti e docenti ha evidenziato che:

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l’interesse della maggior parte dei docenti è stato molto alto; •tra gli studenti, il 18 % ha trovato il progetto molto interessante, il 74 % abba-•stanza interessante e solo l’8 % per nulla interessante;sono state apprezzate soprattutto la chiarezza con cui sono trattati gli argomenti, •il metodo di lavoro proposto e l’organizzazione del sito web;la principale diicoltà incontrata è stata la mancanza di tempo (il progetto è ini-•ziato solo a febbraio 2009);le classi del biennio hanno incontrato diicoltà ad usare alcuni degli strumenti •matematico-quantitativi proposti e i fogli elettronici.

Nel periodo di erogazione del corso (febbraio-maggio 2009) gli accessi al sito sono stati oltre 2000 con una media giornaliera di 45 visite e 28 visitatori, le pagine web visitate oltre 24000 di cui circa 9000 visitate più volte, mediamente ogni visita è durata quasi 6 minuti e ha comportato la visione di circa 7 pagine. Il tutor è stato contattato quasi esclusivamente dai docenti circa 50 volte, sia sui contenuti del corso che per questioni tecniche e organizzative.

Dieci classi, sulle undici partecipanti, hanno prodotto video, presentazioni e testi sui temi del progetto o hanno svolto e commentato gli esercizi proposti, contri-buendo anche al loro miglioramento.

Discussione

La scommessa alla base del progetto non era semplice data la più volte rilevata avversione di molti studenti alle materie scientiiche e alla matematica, in particola-re. Tuttavia il corso ha trovato un riscontro molto positivo da parte dei docenti e in-dubbiamente soddisfacente da parte degli studenti, malgrado le diicoltà incontrate. A riprova di ciò, il fatto che molti dei docenti riproporranno il progetto in maniera autonoma a nuove classi.

L’esperienza ha dimostrato che sarebbe utile mettere a punto una guida detta-gliata agli esercizi per i docenti, rivedere alcune schede “Strumenti” risultate di più diicile comprensione ed eventualmente creare un livello di esercizi più semplice ri-volto alle classi del biennio.

La lessibilità della struttura proposta si è rivelata molto importante per i do-centi che hanno potuto adattarla alla loro speciica situazione creando percorsi ad hoc per le diverse classi o anche per i diversi studenti. Proprio in questo senso i do-

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Consumi amici del clima: capire i cambiamenti climatici facendo di conto

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centi hanno espresso la preferenza per una formazione speciica sui contenuti rivolta a loro, piuttosto che direttamente agli studenti.

Per difondere il progetto nell’anno scolastico 2009-10 è stato distribuito ad altre Scuole Secondarie e agli Uici Scolastici un CD-ROM contenente l’intero sito e si sta valutando la sua traduzione in inglese.

Credits

Il sito web del progetto è stato realizzato da Invisibile Studio (www.invisible-studio.it), la segreteria organizzativa è stata curata dall’Associazione Idea (www.ide-ainrete.net).

Bibliografia

Dahlberg, S. (2001) Using Climate Change as a Teaching Tool. Canadian Journal of Environmental Education, 6, 9-17.

European Commission (2007) Science Education NOW: A renewed Pedagogy for the Future of Europe. Oice for Oi-cial Publications of the European Communities, Luxembourg.

Joos, F. I. C., Prentice, S., Sitch, R., Meyer, G., Hoos, G.-K., Plattner, S., Gerber & Hasselmann, K., 2001. Global warming feedbacks on terrestrial carbon uptake under the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) emission scenarios, Global Biogeochemical Cicles, 15, 891-907.

Lenzen, M. & J., Murray (2001) he Role of Equity and Lifestyles in Education about Climate Change: Experien-ces from a Largescale Teacher Development Program. Canadian Journal of Environmental Education, 6, 32-51.

Unesco (2005) United Nations Decade of Education for Sustainable Development (2005-2014): International Imple-

mentation Scheme. UNESCO, Paris.Unesco (2007) he UN Decade of Education for Sustainable Development (DESD 2005-2014). he First Two Years.

UNESCO, Paris.

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Ecologia: raccontami la storia del mio futuro

Ecology: tell me the history of my future

Serenella Sala* & Valentina Castellani

Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano

*[email protected]

Abstract

La scienza della sostenibilità (Sustainability Science) sta delineando il suo paradigma scientiico integrando aspetti ambientali, economici e sociali in una prospettiva di innovativa relazione tra uomo e sistemi naturali, economici, sociali ed istituzionali nei quali esso vive. In questo contesto l’ecologia rappresenta una delle discipline fonda-mentali per comprendere cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consape-volezza nelle scelte di produzione e consumo. Il contributo proposto illustra modalità e ragioni per far evolvere l’educazione ambientale, attraverso la maggior integrazione di principi ecologici, verso una educazione alla sostenibilità.

Introduzione

La scienza della sostenibilità (Sustainability Science) sta delineando il suo pa-radigma scientiico integrando aspetti ambientali, economici e sociali in una pro-spettiva di innovativa relazione tra uomo e sistemi naturali, economici, sociali ed istituzionali nei quali esso vive. Ma al di là del paradigma scientiico – inteso come “una costellazione di conclusioni, concetti, valori, tecniche condivise da una comu-nità scientiica, e usate dalla comunità per deinire problemi e soluzioni lecite” (Kuhn, 1962), la scienza della sostenibilità richiede di deinire anche un nuovo para-digma sociale – inteso come “una costellazione di concetti, valori, percezioni e com-portamenti condivisi da una comunità, che dà forma ad una visione particolare della realtà come base del modo in cui la comunità si organizza” (Capra, 1996).

La ragione di questa necessità di nuovi paradigmi nasce proprio dalle specii-cità della scienza della sostenibilità: problemi e soluzioni lecite possono essere deini-te solo muovendo da alcuni principi base relativi alla initezza delle risorse a disposi-zione, alla capacità di carico dei sistemi naturali, al ruolo delle reti e alla loro

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Serenella Sala & Valentina Castellani

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complessità (Buchanan, 2004). Le cosiddette soluzioni lecite non investono però la sola sfera scientiica ma anche il paradigma sociale, i modelli di produzione e consu-mo e, in ultima analisi, le scelte economiche e sociali di coloro che sulle risorse am-bientali basano la propria sopravvivenza. Appare logico, quindi, che il paradigma sociale che determina scelte di produzione e consumo e comportamenti rappresenti la dimensione delle soluzioni lecite dei problemi riguardanti la sostenibilità, sia essa intesa come debole o forte (Daly & Farley, 2004).

In questo contesto la scienza della sostenibilità rappresenta una scienza di sin-tesi che integra diverse discipline al ine di comprendere i cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per comprendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consumo. Non è ancora una disciplina scientiica matura (Komiyama & Takeuchi, 2006) con chiare componenti concettuali e teoriche, ma una convergenza transdisciplinare di rilessio-ni e ricerche derivanti da discipline diverse, che cercano di analizzare le interazioni dinamiche tra sistemi naturali, sociali ed economici e di comprendere i modi miglio-ri per “gestirle” (Bologna, 2008).

Importanti istituzioni universitarie hanno avviato programmi di ricerca inter-disciplinare nella scienza della sostenibilità “per migliorare la comprensione delle di-namiche dei sistemi uomo-ambiente, per facilitare la progettazione, l’implementa-zione e la valutazione di pratiche di intervento che promuovano la sostenibilità in particolari luoghi e contesti e per migliorare il collegamento tra ricerche rilevanti e comunità innovative da una parte e rilevanti politiche e comunità di management dall’altra” (Harvard Univerrsity, 2009).

In questo scenario l’ecologia può rappresentare efettivamente la “scienza gui-da” (Dellavalle, 2003) dello sviluppo armonioso tra società umana e ambiente ed es-sere una fondamentale disciplina di educazione non solo “ambientale” ma anche di “sostenibilità” (Castellani & Sala, 2008) come verrà chiarito in seguito.

Educazione ecologica ed educazione ambientale non sono sinonimi

Le potenzialità dell’educazione ambientale come strumento di cambiamento culturale per un futuro sostenibile sono note già da tempo ma, perché questo sia re-almente possibile, occorre ampliare gli orizzonti educativi, introducendo una serie di prospettive multidisciplinari, trasversali e globali, che investano le modalità di pen-

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Ecologia: raccontami la storia del mio futuro

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siero, le conoscenze, ma anche i comportamenti e le relazioni sociali (Falchetti & Caravita, 2005).

Nello speciico, occorre porre l’accento sulla diferenza tra educazione am-bientale ed educazione ecologica. Nonostante spesso usati come sinonimi, non lo sono afatto. L’educazione ecologica supera la descrizione dei comparti ambientali e il mero trasferimento di nozioni e prevede, sia nei contenuti che nei metodi, l’inte-grazione di alcuni principi ecologici di base.

Un elenco non esaustivo ma indicativo di tali principi ecologici è quello for-nito dalle correnti della cosiddetta “Ecoliteracy” che ritiene l’attuale crisi ecologica in parte una crisi legata ai sistemi e ai contenuti educativi delle società moderne (Stone & Barlow, 2005) e che insegna agli studenti ad individuare connessioni tra problemi apparentemente disgiunti, immaginare “pattern” anziché parti disgiunte, a vivere se stessi come comunità di apprendimento in interrelazione con tutta la rete della vita.

I concetti di base sviluppati dall’educazione ecologica possono essere sintetiz-zati come:

Reti.• Tutti i membri di una comunità ecologica sono interconnessi in una rete vasta e intricata di relazioni (la rete della vita) da cui derivano le loro proprietà essenziali.Sistemi nidificati. • In tutta la natura si trovano a più livelli strutture dei sistemi nidiicati che contengono altri sistemi ed allo stesso tempo sono parte di un tutto più grande. Ciascun livello può sviluppare un insieme di proprietà emergenti.Cicli. • Le interazioni tra i membri di una comunità ecologica si basano sullo scambio di energia e di risorse in continua ciclicità. Flussi.• Tutti gli organismi sono sistemi aperti, il che signiica che hanno bisogno di un lusso continuo di energia e di risorse per rimanere vivi. Sviluppo ed evoluzione. • Il dispiegarsi della vita, che si manifesta come lo svilup-po e l’apprendimento a livello individuale e come l’evoluzione a livello di specie, comporta un gioco di creatività e di adattamento reciproco, in cui gli organismi e l’ambiente coevolvono.Equilibrio dinamico. • Tutti i cicli ecologici agiscono come anelli di retroazione, e questa è la modalità di regolazione e organizzazione delle comunità ecologiche che mantengono così uno stato di equilibrio dinamico caratterizzato da continue luttuazioni (Centre of Ecoliteracy, 2009).

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Dall’educazione ecologica all’educazione alla sostenibilità e ad un nuovo concetto di “cittadinanza”

Le side poste dallo sviluppo sostenibile ci richiedono di evolvere i paradigmi scientiici, sociali ed educativi e in questa evoluzione il ruolo dell’ecologia è quanto mai cruciale.

Non dobbiamo inventare da zero comunità umane sostenibili. Possiamo im-parare dalle società che hanno vissuto sulla terra per centinaia di anni. Ma soprattut-to possiamo modellizzare e comprendere gli ecosistemi, che sono comunità sosteni-bili di piante, animali e microorganismi. Dal momento che la primaria caratteristica della biosfera è quella di sostenere la vita, una comunità umana sostenibile dovrebbe essere tale da utilizzare il proprio potenziale culturale, sociale e tecnologico per ono-rare, supportare e cooperare con la natura nel suo ruolo di sostenere la vita (Centre of Ecoliteracy, 2009).

Infatti, le più note deinizioni di sostenibilità (IUCN/UNEP/WWF, 1991) ri-guardano per lo meno quattro dimensioni: oltre quella ambientale sono contemplate quella economica, quella sociale e quella istituzionale. Questa visione richiede, quin-di, di coinvolgere anche il sistema sociale ed economico nella transizione verso la so-stenibilità ed in questo coinvolgimento si sostanzia la transizione tra educazione am-bientale ed educazione alla sostenibilità. Aumentare la complessiva consapevolezza ecologica per arginare “l’atteggiamento incurante e rapace verso la vita” (Lorenz, 1974) che caratterizza l’archetipo del cittadino consumatore compulsivo. Se l’attuale crisi economica la immaginassimo come un fattore limitante dell’attuale sviluppo, e prendessimo ad esempio le dinamiche dei sistemi ecologici per capire cosa succederà alla “popolazione”, la selezione naturale ci insegnerebbe che i più resistenti saranno coloro che avranno sviluppato maggiori capacità di adattamento, che con nuove risor-se riusciranno a continuare a soddisfare i propri bisogni. Se questo in natura avviene per via istintiva, in una società fatta di uomini è frutto anche di conoscenza e di nuo-va conoscenza. Può sembrare estremamente utopistico ma il “sapere” può diventare la chiave di volta e la formazione, l’istruzione e la ricerca in ecologia e nella scienza della sostenibilità, le leve fondamentali dell’evoluzione della nostra era, l’antropocene.

Ecco perché l’ecoalfabetizzazione rappresenta un modo per sviluppare il senso critico e per comprendere i principi ecologici che gli ecosistemi hanno sviluppato per sostenere la rete della vita, sviluppando un nuovo concetto di cittadinanza: se conosce-re la Costituzione è uno degli elementi per essere un consapevole abitante di una nazio-ne, conoscere i principi ecologici lo è per essere un consapevole abitante della Terra.

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Ecologia: raccontami la storia del mio futuro

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La transizione verso l’educazione alla sostenibilità

L’educazione alla sostenibilità riveste un ruolo chiave nell’evoluzione dell’at-tuale contesto culturale, basata su una profonda conoscenza tecnico-scientiica, inse-rita in una visione sistemica ed olistica dell’ambiente, tale da permettere di cogliere le relazioni di causa-efetto tra gli elementi che lo compongono e tra ambiente, eco-nomia, società, cultura, tradizioni e storia.

Lo sviluppo di percorsi di educazione alla sostenibilità ad oggi è una sida aperta, che richiede:

di tradurre il sapere relativo ad una varietà di discipline e di aspetti, spesso tra •loro fortemente correlati;di non trasferire solo nozioni ma di intervenire sui comportamenti dei singoli, •corresponsabilizzandoli;di integrare degli aspetti precipui dell’educazione ambientale con quelli dell’edu-•cazione al consumo, in quanto le tematiche dello sviluppo sostenibile e della pro-tezione dell’ambiente sono strettamente correlate a tutti gli aspetti della vita quo-tidiana e alla necessità di nuovi modelli di sviluppo della società;di sviluppare modelli di formazione formale ed informale capaci di coinvolgere •ed educare non solo studenti delle scuole primarie e secondarie ma di aprirsi all’intera comunità. Ad esempio estendendosi alle Università, dove si formano i decisori del futuro ma anche al resto della società civile (cittadini, imprese ecc).

L’impianto educativo in relazione alla sostenibilità si fonda, quindi, su almeno tre aspetti:

conoscitivo (principi ecologici da un lato e impatti sull’ambiente di prodotti e •processi dall’altro);formativo (sviluppo delle capacità di operare per problemi, comprendendone la •complessità e sviluppo della creatività per l’elaborazione di un’ampia varietà di soluzioni);orientativo (basato sulla stimolazione delle attività cognitive ainché i soggetti •risultino costruttori della propria conoscenza e consapevoli dei propri comporta-menti).

L’obiettivo inale non è quindi il mero trasferimento di nozioni ma lo svilup-po di empowerment e di capacity building.

In quest’ottica emerge l’esigenza di una più ampia formazione ai formatori perché si possa passare da un’educazione “episodica” e molto spesso svolta da sogget-ti esterni alla scuola (quali ad esempio associazioni ambientaliste, cooperative che

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Serenella Sala & Valentina Castellani

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propongono percorsi formativi e laboratori), ad una vera integrazione nell’attività didattica svolta durante l’anno. Si rivela quindi necessaria una formazione multilivel-lo al ine di completare la preparazione tecnico–scientiica degli educatori e di dare loro adeguate competenze circa gli aspetti umanistici, pedagogici, etici, comunicativi e psicologici fondamentali per la traduzione del “sapere” in un “agire” e in un “saper fare” consapevole e compatibile con l’ambiente.

Alcune esperienze di educazione alla sostenibilità

Le rilessioni contenute in questo scritto derivano dall’esperienza di ricerca in-terdisciplinare del Gruppo di Ricerca sullo Sviluppo Sostenibile e dalle esperienze di educazione alla sostenibilità realizzate negli ultimi 3 anni, sperimentando metodi e approcci alla formazione formale ed informale e relazionandosi con esperienze nazio-nali ed internazionali. Documentazioni relative a queste attività sono disponibili sul sito www.disat.unimib.it/griss. L’esperienza ha permesso di delineare un orizzonte nel quale l’educazione allo sviluppo sostenibile richiede il ripensamento dei modelli classici di educazione ambientale al ine di mettere in relazione aspetti scientiici ed aspetti di cultura civica e di cittadinanza, per evolvere dalla comprensione dei pro-blemi alla modiica dei comportamenti. Le iniziative consistono in una serie di progetti focalizzati sul tema del ciclo di vita di prodotti e processi, indirizzati a tre categorie chiave di soggetti: studenti delle scuole primarie e secondarie, cittadini-consumatori ed imprese. Per ognuna di queste categorie di soggetti sono state indivi-duate modalità di interazione ad hoc, partendo da attività di sensibilizzazione, infor-mazione ed educazione incentrate sulla difusione di modelli di produzione e consumo sostenibili, con l’obiettivo di intervenire sui modelli culturali di riferimen-to nonché sugli stili di vita e sui valori dei destinatari (Castellani & Sala, 2009; Hawken et al., 1999), prendendo parte anche alle Attività di Educazione all’ambien-te e allo Sviluppo Sostenibile 2008-2010 della Regione Lombardia, patrocinate dall’UNESCO nell’ambito del decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile.

Sono, inoltre, presentati i risultati di una serie di giornate di studio promosse dal GRISS sul tema dello sviluppo sostenibile, come momento di confronto tra i do-centi e i ricercatori aferenti a diversi ambiti disciplinari (ecologia, economia, socio-logia, psicologia, scienze della formazione, ecc.) che hanno sviluppato linee di ricerca sui diversi aspetti della sostenibilità.

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Ecologia: raccontami la storia del mio futuro

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Conclusioni

Il mondo accademico in generale e quello ecologico in particolare hanno un ruolo e una responsabilità fondamentali nella ricerca e nella difusione della cultura della sostenibilità. In primis, l’integrazione (mainstreaming) dei concetti e principi della sostenibilità nei vari ambiti disciplinari, la formazione degli studenti alla soste-nibilità e, inoltre, la possibilità di considerare gli atenei stessi quali luoghi di speri-mentazione di politiche e azioni di sostenibilità. In questo contesto, si può conside-rare l’ecologia una delle discipline fondamentali per comprendere cicli di materia ed energia, dinamiche e proprietà delle reti, evoluzione dei sistemi e, quindi, per com-prendere il futuro e accrescere la consapevolezza nelle scelte di produzione e consu-mo, non solo in coloro che hanno una formazione scientiica con un percorso di studi in cui l’ecologia è prevista quel materia di studio, ma trasversalmente: dalle di-scipline tecnico-scientiiche a quelle economiche e sociali.

Ed è cruciale anche il ruolo delle modalità e dei contenuti della comunicazio-ne della scienza in questo contesto. Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio abu-so dei termini “ecologico/sostenibile/sostenibilità” con signiicati e contesti di utiliz-zo molto diversiicati e con una scarsa condivisione dei concetti fondanti ad essi sottesi. Dal momento che proprio nella comunicazione pubblica e pubblicitaria si usano molti “slogan”, la ricerca nell’ambito della scienza della sostenibilità dovrebbe anche individuare modalità nuove per la comunicazione dei propri risultati per di-stinguersi e non sovrapporsi al dilagante impoverimento di signiicato. La comunica-zione della scienza in tale ambito favorirebbe quella formazione “informale” nei con-fronti della società civile nel suo complesso, assolutamente auspicabile nel nostro attuale contesto sociale.

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Serenella Sala & Valentina Castellani

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Bibliografia

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Castellani, V. & Sala, S. (2009) Investigating stakeholders’ perspectives about local development and business stra-tegies. Proceedings of Easy-Eco (Evaluation of Sustainability) Conference 16-18 ottobre 2009, Budapest.

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Books, San Francisco.

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Autori

Andrisano, Teodoro … 105

Antonucci, Antonio … 105

Arena, Carmen … 37, 181

Aretano, Roberta … 123

Barmaz, Stefania … 289

Berretta, Claudia … 231

Bocchi, Stefano … 59

Boschetti, Mirco … 59

Bossi, Antonio … 297

Broglia, Alfredo … 279

Buia, Maria Cristina … 181

Cantiani, Maria Giulia … 223

Carraro, Elisa … 131

Castellani, Valentina … 139, 307

Cataldi, Maria Angela … 231

Cazzolla, Roberto … 25

Ciarallo, Marilena A. … 205

Cingolani, Linda … 169

Cobolli, Marina … 105

Copetti, Diego … 131

Cotroneo, Rossana … 45

Dadamo, Marco … 259

Dal Bello, Luca … 19

Davolos, Domenico … 45

De Marco, Anna … 37

De Meo, Isabella … 223

DeFries, Ruth … 189

ElGtari, Mohamed … 271

Fahd, Soumia … 271

Fanini, Lucia … 271

Fano, Elisa Anna … 77

Fiorese, Giulia … 149

Galante, Gina … 45

Galassi, Silvana … 289

Gambini, Annastella … 279, 289

Giordano, Maria … 37

Giuliani, Alessandro … 105

Goio, Ilaria … 241

Gomarasca, Stefano … 59

Graci, Giancarlo … 59

Gretter, Alessandro … 15, 159, 241

Guariso, Giorgio … 149, 297

Lorenti, Maurizio … 181

Maggi, Marta … 59

Maggi, Oriana … 45

Maino, Federica … 223

Maiolini, Bruno … 19

Menale Bruno … 249

Meola, Angela … 37

Morri, Elisa … 231

Müller, Felix … 123

Notarnicola, Claudia … 25

Orsatti, Cristina … 241

Pace, Daniela Silvia … 231

Padula, Rosalba … 169

Paletto, Alessandro … 223

Panetta, Silvia … 45

Pecher, Caroline … 71

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Perego, Enrico … 149

Perini, Luigi … 89

Petrosillo, Irene … 123, 197, 213, 259

Pezzotti, Antonella … 279

Pietrangeli, Biancamaria … 45

Pileri, Paolo … 59

Pluchinotta, Angela … 77

Porzio, Lucia … 181

Ramberti, Simona … 89

Rampa, Anna … 59

Ranci Ortigosa, Giovanna … 297

Reiss, Julia … 77

Rovero, Francesco … 189

Sala, Serenella … 139, 307

Salerno, Franco … 131

Salvati, Luca … 89, 205

Santolini, Riccardo … 231

Scapini, Felicita … 271

Scepi, Edoardo … 45

Scolozzi, Rocco … 97, 159, 231, 241

Semeraro, Teodoro … 197

Sibilio, Giancarlo … 249

Tappeiner, Ulrike … 71

Tartari, Gianni … 131

Tasser, Erich … 71

Tersigni, Stefano … 89, 205

Torelli, Renato … 205

Valente, Donatella … 213

Valerio, Azzurra … 105

Vallariello, Gioacchino … 249

Venier, Marco … 231

Vettorato, Daniele … 97

Virzo De Santo, Amalia … 37

Woodward, Guy … 77

Zaccarelli, Nicola … 197, 213, 231, 259

Zecca, Simone … 259

Zitti, Marco … 89

Zurlini, Giovanni … 123, 197, 213, 259

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