L'arte di progettare

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Io credo in Banksy L’Arte di progettare nella cultura occidentale, dal situazionismo ad oggi

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Io credo in Banksy

L’Arte di progettare nella cultura occidentale, dal situazionismo ad oggi

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Con il termine progetto si identifica il complesso di attività correlate tra loro e finalizzate a creare percorsi e/o prodotti, o a realizzare ser-vizi rispondenti a obiettivi specifici determinati.

In parole tecniche, potremmo definirla un’attività sistemica che, in ris-posta a un obiettivo specifico, prevede un percorso suddiviso in fasi e attività di lavoro con tempi prestabiliti.

Ogni progetto, da questo punto di vista, ha un inizio, uno sviluppo centrale e una conclusione: generalmente, dall’idea all’acquisizione di una forma espressiva esperibile.

È un dato di fatto che, se dovessimo scandire le fasi della progetta-zione, la stringa più comune che ne verrebbe fuori, sarebbe:

- analizzare uno scenario: leggere le informazioni che ci consentano di organizzare i contenuti in una forma causale più che casuale; - definire l’idea: comunemente intesa come fase di elaborazione creativa;- studiare una fattibilità: un momento delicato, che prevede l’impiego di uno criterio di conoscenza più di tipo tecnico e specialistico. In questa fase entrano in gioco considerazioni su aspetti economici;- pianificare l’organizzazione: è molto utile l’utilizzo di matrici tecni- che per la calendarizzazione e la gestione del piano lavoro.

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Lui è Anish Kapoor

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Piccola storia delle idee tra rivoluzione e consumo di massa

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Eppure un progetto, prima di essere un insieme di fasi e attività, è un modo di pensare il mondo, un modo per collegare la nostra interpretazione del quotidiano a una rappresentazione di ciò che è possibile modificare.

Un progetto, prima di tutto, è un’idea. Tutti, verrebbe da dire, hanno delle idee. Vero! Ma non tutti sanno realizzarle. Inoltre, potremmo anche dire che le idee sono di chi le realizza per primo, piuttosto che di chi le ha pen-sate per la prima volta.

UNA QUERELLE DI DIFFICILE SOLUZIONE

Maurizio Cattelan è un artista?

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COSA NE PENSA BONAMI?

La premessa: Tutti, almeno una volta nella vita, davanti a un’opera d’arte contemporanea abbiamo pensato: «Questo lo potevo fare anch’io!».

Il metodo: Con uno stile divertito e irriverente, Bonami ci aiuta a capire cosa distingue un grande da un pessimo artista. E se è vero che nell’ultimo secolo l’arte si è evoluta al punto da essere quasi irriconoscibile, ci spinge a capire perché non è vero che potevamo farlo anche noi.

Alcune frasi: Guttuso ci ha risparmiato le sculture, e di questo dobbiamo esser-gli profondamente grati [...] Ha continuato imperterrito a fare danno, forse coperto da uin’assicurazione ‘malus-malus’, convincendo qualche suo amico più bravo a dipingere a volte anche peggio di lui

Chia dipinge omoni infantili, Clemente principalmente autoritratti, piacendosi molto, Cucchi prima meravigliosi disegni e poi tragici accroccaggi con troppo colore sopra. Paladino invece trova la sua nicchia primitivista facendo figure a metà tra l’arte africana e le illustrazioni di Pinocchio

Se per capire l’arte di Matthew Barney ci vuole un bravo psicanalista, per capire quella di Damien Hirst ci vorrebbe un esperto di medicina criminale o magari semplicemente un bravo macellaio

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Questo è Marcel Duchamp

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Questo non è Marcel Duchamp

Ma questo è un ready made

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In questi esempi, così come nei giudizi di Francesco Bonami, viene fuori che:

- l’idea, patrimonio di tutti, appartiene a chi la realizza- se arrivi primo sei un ottimo creativo, non è detto che tu sia un creatore- tutti possono avere lo spunto, l’immaginazione è un tratto fisologico necessario della specie- la realtà, per sua propria configurazione, si presta alla continua rielabora- zione e re-invenzione dell’esistente (viviamo un continuo ready made)- spesso le idee artistiche si riconducono all’espressione individuale, sono il risultato lirico e critico di un’interpretazione del mondo soggettiva

Ma quand’è che l’idea si affranca dalle sue implicazioni di alto artgianato e diventa rappresentazione concettuale di una possibile lettura della realtà?

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È con le avanguardie che l’idea si sgancia dalla sua implicazione neces-sariamente tecnica e si impone come rielaborazione estetica di tipo concet-tuale.

In L’Estetico e il Politico di Mirella Bandini, troviamo:

L’esplorazione lettrista segue tra gli anni ’50 e ’60 piste ramificate che si nutrono di un’elaborazione teorica particolarmente fertile: da un lato, attraverso l’estetica immagi-naria o infinitesimale, dischiude un “universo... composto da particelle prive di senso immediato che consentono di immagi-nare elementi inesistenti o possibili”, preannun-ciando le pratiche dell’arte concettuale; dall’altro l’inclusione di ogni tipo di supporto e l’apertura verso la dimensione-tempo sfocia “in un ritorno all’immediatezza, alla fisicità percettiva, sensoriale, estetica, dell’ambiente e del corpo” che precorre l’assemblage novorealista, la body art e la pratica dell’installazione.

Il lettrismo, così come il situazionismo, individuavano lucidamente il potenziale rivoluzi-onario della gioventù, unico soggetto realmente “esterno” alle dinamiche del sistema.

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Il lettrista Isidore Isou

Il situazionista Guy Debord

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Debord, Sanguinetti, il non convenzionale e il copyleft

L’Internazionale Situazionista nasce il 28 luglio del 1957 a Cosio di Arroscia, in provin-cia d’Imperia, dalla fusione di alcuni componenti dell’Internazionale lettrista, del Movi-mento internazionale per una bauhaus immaginista, o MIBI, del movimento CO.BR.A. e del Comitato psicogeografico di Londra.

Programma dell’Internazionale situazionista è il creare situazioni, definite come mo-menti di vita concretamente e deliberatamente costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi. Le situazioni vanno create tramite l’Urbanismo Unitario, un nuovo ambiente spaziale di attività dove l’arte inte-grale ed una nuova architettura possano finalmente realizzarsi. I situazionisti si pro-pongono di inventare giochi di una nuova essenza, ampliando la parte non-mediocre della vita, diminuendone, per quanto possibile, i momenti nulli.

Questo il programma d’azione adottato dagli artisti sperimentali del MIBI e dai lettristi al momento di confluire nella neonata Internazionale situazionista. Programma mo-dificato ed ormai abbandonato da tempo al momento della fine del movimento, avve-nuta nel 1972 a Parigi per autoscioglimento. Anagraficamente il gruppo dura circa 15 anni, durante i quali si sposterà dal terreno delle avanguardie artistico-letterarie da cui era partito, verso quello più ampio, ma non per nulla alieno, della critica rivoluzionaria.

Concetti fondamentali del programma dell’Internazionale situazionista al momento della fondazione furono il già citato Urbanismo unitario, la psicogeografia, ovvero l’esplorazione pratica del territorio attraverso le derive, e l’idea del potenziale rivolu-zionario del tempo libero. Un contributo importante fu dato da Debord alla liberaliz-zazione del copyright.

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Il maggio francese e l’inzio della società dei consumi

Durante il maggio francese, si leggeva sui muri:

Le rivoluzioni proletarie saranno delle feste oppure non saranno, poiché la vita che annunciano sarà essa stessa sotto il segno della festa. Il gioco è la razionalità ultima di questa festa, vivere senza tempi morti e godere senza limiti saranno le sue uniche leggi. (De la misère en milieu étudiant, 1966)

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Aveva ragione Guy Debord affermando che non c’è solo un’alienazione nel lavoro, ma soprattutto un’alienazione nel tempo libero, ovvero nei consumi.

Ma non possiamo fingere di essere stati plagiati: abbiamo preso alla lettera le parole d’ordine dei maîtres à penser del nuovo canone occidentale (tra i quali Debord stesso) e reso necessari i nostri lussi: la cultura, il bovarismo, la ribellione, i prodotti di nicchia, la libertà creativa, la conservazione del patrimonio artistico, eccetera.

Ed è per tutto questo che ci siamo indebitati fino al collo, in totale consape-volezza, perché ogni cosa ci sembrava necessaria, e in effetti lo era, ne-cessaria e bella, anche se non ce la potevamo permettere.

MA QUAL È OGGI LA CONSEGUENZA DI TUTTO QUESTO?

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Questo era il ‘68

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Questo è oggi

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Vanessa Beecroft

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Potremmo dire che il lusso da mantenere di cui parlava Debord ha “droga-to” le masse, spingendole alla ricerca del gesto estetico e all’affermazione di sé a tutti i costi. La libertà creativa ha perso il legame critico e politico con la realtà da rifondare e con la società possibile da ricostruire.

L’edonismo artistico, l’individualismo, hanno portato la rappresentazione a perdere l’elemento causale con il processo di continuo miglioramento del nostro sistema di vita.

La società dello spettacolo di cui parlava Debord ha realizzato la sua di-mensione.

Le idee esplodono in una flusso espressivo incontrollato e si torna a riflet-tere su:

“LA NECESSITA’ DEI PROGETTI, COME STRUMENTI PER RIFON-DARE L’ESISTENTE”

“COME SUPERARE IL CATERING CULTURALE “ - C. SEGANFREDDO

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«Mai come oggi la creatività è stata usata coì tanto da così tanti per dire così poco...» Banksy

NELL’ATTUALE CONTESTO C’È UN VERO E PROPRIO AB-USO DEL-LA PAROLA CREATIVITA’

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David Lynch

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La creatività, questa sconosciuta

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In questa specie di iper-mercato delle idee che è diventata la nostra realtà, tutto si è tramutato in un esercizio linguistico. La postmodernità spinge al riciclaggio dei signiicati in nuove combinazioni possibili. Spesso si arriva a fare della necessità di esprimersi l’unico movente, a giocare con il mezzo prima ancora che sentire l’urgenza del messaggio.

Tutti devono poter dire qualcosa. Ma non esistono ricette per farlo.

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David Lynch, un artista che ha che fare molto con l’arte contemporanea, dice nel suo libro In Acque Profonde:

Le idee sono simili ai pesci. Se vuoi prendere un pesce piccolo, puoi restare nell’acqua bassa. Se vuoi prendere il pesce grosso, devi scendere in acque profonde. Laggiù i pesci sono più forti e più puri. Sono enormi e più astratti. Davvero stupendi. Più la tua coscienza è dilatata, più scendi in profondità verso questa sorgente e più grosso è il pesce che puoi pescare...

Il libro non è solo una riflessione sul personalissimo stile del regista, è an-che un passaggio continuo dall’aleatorietà delle idee e delle ispirazioni alla concretezza del progetto da realizzare, condizionato da tecnicalità e com-petenze specialistiche vincolanti. Molte delle digressioni dell’autore vanno nella direzione delle macchine da presa, delle tecniche di illuminazione, della regia in termini di gestione degli attori.

COMINCIA IL RIFERIMENTO ALLA PROGETTAZIONE E TECNICA

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Terry Gilliam

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Che cos’è lavorare su un progetto se non coordinare una regia, fare in modo di favorire la convergenza di più parti per raggiungere un insieme?L’accostamento del progettista alla figura del regista ci offre lo spunto per una riflessone. Non esiste al mondo dimensione progettuale e tecnica (pro-duzione) più complessa della realizzazione di un film.

Lost In La Mancha è il resoconto, girato da Keith Fulton e Louis Pepe, del fallimentare progetto di film sulle gesta di Don Quixote di Terry Gilliam. Non più benevolmente visto dalle produzioni di Hollywood, Gilliam nel 2000 de-cide di avviare una produzione in Spagna con un budget di oltre 20 milioni di euro e con una cordata di soci finanziatori.

Il documentario, che inizia con la stesura di uno storyboard dell’idea, è un’immersione nel backstage di una grande produzione (sopralluoghi, sce-nografie e set, costumi, relazioni con importanti attori), studio delle regia; Lost in la Mancha è, soprattutto, una metafora dell’estrema difficoltà di concretizzazione di una visione che, il più delle volte, deve confrontarsi con un piano produzione di fasi lavoro, tempi, risorse e costi che pressano per costringere l’idea all’interno di realistici schemi.

GUARDA IL DOCUMENTARIO

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Un bravo “regista” deve conoscere almeno in parte gli strumenti di cui ha bisogno per la realizzazione di un progetto. La cosiddetta FATTIBILITA’ è data dallo scarto tra il desiderio di concretizzare un’idea nel modo più vicino possibile a come la si è immaginata, e la rispondenza pratica alle questioni di tipo tecnico. Insomma, si passa dal pensare al cosa ad affron-tare il come.

La smaterializzazione dell’opera ha portato anche questa conseguen-za: il lavoro intellettuale (spesso ideale) non ha garantito di pari passo l’evoluzione del sapere pratico. Paradossalmente, pur avendo moltissime competenze, a tornare indietro non saremmo in grado di risolvere alcun problema di contingenza tecnica.

Nel suo importantissimo libro L’Uomo Artigiano, Richard Sennet scrive:

Voglio dimostrare che le persone possono conoscersi meglio attraverso le cose che fabbricano, che la cultura materiale è importante, che è possibile realizzare una vita materiale più umana, se solo si comprende meglio il processo del fare.

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Ricahrd Sennett

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Non è necessario tornare all’entusiasmo positivista ottocentesco, che reagiva all’industrailizzazione per mezzo dell’esaltazione delle arti appli-cate, come nel caso dell’Arts & Craft, né fare uno scontato riferimento alla convergenza delle arti, tra estetica ed espressione, design e produzione industriale del Bauhaus dell’avanguardia del Novecento. Basterà pensare a oggi, e a quanto è importante l’aspetto tecnico nella produzione di alcuni dei più grandi artisti in circolazione.

Tanto importante, rispetto al dissolversi di questo tipo di competenze, che la maggior parte serra le file rispetto alla proprie modalità di lavoro e tende a proteggere i processi di lavoro come fossero formule magiche.

LA DOMANDA È: OLTRE A CIO’ CHE SIGNIFICA, COME AVRA’ FATTO?

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Ron Mueck al lavoro

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Alberto Burri al lavoro

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Tomas Saraceno al lavoro

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Richard Serra al lavoro

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La costruzione de I Sette Palazzi

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In un bel libro, il filosofo Matthew Crawford descrive l’importanza di un ritor-no alla cultura manuale. In Il Lavoro Manuale Come Medicina per l’Anima, Crawford contrappone lo spirito artgianale (saper fare una cosa molto bene) all’ideale della new economy (il vantarsi di saper attraversare ogni campo senza avere alcuna competenza realmente specifica), e sottolinea come mentre la prima cultura miri all’eccellenza, l’altra non fa che esaltare il potenziale senza arrivare mai al dunque.

In un lavoro di puntuale ricostruzione storica che ripercorre le fasi della smaterializzazione del lavoro e delle professioni dalle attività manuali a quelle di concetto, il filosofo descrive il perché, secondo lui, per mezzo del lavoro artigianale si riescono a individuare più facilmente soluzioni con-crete, si va necessariamente più a fondo nella conoscenza dei rapporti tra le cose e nella valutazione di criteri oggettivi.

La consapevolezza della meterialità delle attività di lavoro, ci rende più re-sponsabili nei confronti di ciò che ci circonda.

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Matthew Crawford

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Il sapere tecnico nell’artista si identifica con l’idea da realizzare. A se-conda del tipo di “creazione” è chiaro che vengono coinvolte competenze diverse. In tutti, però, è presente un tratto comune: l’artifex, il creatore, ha dimestichezza con le utilità necessarie a dare forma concreta alle proprie idee.

Potremmo dire, in questo senso, che la curiosità nei confronti del mondo materiale e delle soluzioni tecniche è un modo per gestire efficacemente il proprio lavoro.

Un buon project manager che lavora in un ambito culturale (mostre, even-ti, talk, festival) prenderà atto della grande differenza tra queste tipologie di intervento. Ognuno implica modalità di progettazione molto specifiche e aspetti di fattibilità orgnizzativa diversi. Ogni progetto obbedisce, cioé, a una sua speciale liturgia di cose da fare e da non fare.

Il project manager, proprio in quanto “regista”, deve saper affrontare al-meno in linea generale i problemi tecnici (il che non significa sostituirsi al sapere artigiano degli addetti ai lavori).

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Vademecum del progettista

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Partire dalle idee

Un artista è il regista di se stesso.Un project manager, anche quando ha sopra di sé un direttore artistico, coordina il lavoro degli altri.

Sia che si parli del proprio talento piuttosto che della gestione di quello degli altri, quello che viene richiesto è il coraggio delle proprie posizioni e la capacità di saper scegliere soluzioni improvvise e prendere decisioni anche scomode.

Quando si coordinano lavori complessi, diventa fondamentale sentirsene pienamente responsabili. È questo il motivo per il quale a un buon project manager si richiede ottima predisposizione all’analisi di ogni aspetto di fattibilità delle idee e dei progetti di cui si occupa. A partire, è naturale, dal budget:

fattibilità dei contenuti - sono davvero realizzabili? è la migliore interpre-tazione possibile del progetto? possono essere migliorati?fattibilità organizzativa - cosa serve per realizzare l’idea? che tipo di com-petenze spcialistiche? come è possibile ammortizzare i costi mantenen-do alto il livello dell’effetto da ottenere?fattibilità gestionale - come si divide un piano di lavoro? quante persone di staff servono per realizzare un progetto? con che mansioni e per quali attività?

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AVREI POTUTO SPARARE NEL MUCCHIO PER FARE ESEMPI DI GRANDI PROGETTISTI E CREATIVI CHE HANNO AVUTO IL CORAG-GIO DELLE PROPRIE IDEE.

POTEVO CITARE ANDY WAHROL O STANLEY KUBRIC, MARINA ABRAMOVIC O JOSEPH BEUYS, LENNY BRUCE O WOODY ALLEN, DAVID BYRNE O STEVE JOBS O CHISSA’ CHI ALTRO.

SONO TANTI QUELLI CHE, FATTA PROPRIA UNA VISIONE E OTTE-NUTO IL SUCCESSO, DICONO COSE INTELLIGENTI.

SONO TANTI QUELLI CHE PROPONGONO UNA RICETTA PER ES-SERE EFFICIENTI NEL PROPRIO LAVORO ED EFFICACI NEL MON-DO ESTERNO.

E INVECE VI PARLERO’ DI:

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Renzo Rosso, patron Diesel

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Diventato famoso come fondatore e manager di uno dei più importan-ti marchi di fashion al mondo. Ha creato un prodotto, uno stile e, non contento, ha imposto un linguaggio che ha toccato il mondo dell’opinion making per mezzo di arte contemporanea, feste up to date, advertising creativo e trasgressivo.

Ha pubblicato, con il coordinamento el Professor Guido Corbetta della Bocconi, Be Stupid, un libro che illustra la filosofia di Rosso, e che può venire riassunta così:

Quando Diesel ha lanciato la campagna Be Stupid, Renzo ha capito che non era solo una provocazione, ma che illustrava, con parole semplici, quello che lui e i suoi colleghi facevano da anni: correre rischi, sfidare le convenzioni, seguire la passione, agire d’istinto, essere coraggiosi. In 18 episodi Renzo Rosso racconta il suo percorso, divertente, creativo, ma analitico e pragmatico.

La differenza tra un analista e un progettista è nella capacità che ha quest’ultimo di rendere concreto un percorso di realizzazione di una vi-sione. Anche stupida.

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Punto 1 .

SE SEI UN BUON PM, HAI ABBASTANZA STRUMENTI CULTURALI PER VALUTARE LE IDEE E I PROGETTI DI CUI TI OCCUPI.

a) i riferimenti storici in uno scenario professionale sono fondamentali (esempio: la storia del settore di cui ti occupi - storia dell’arte contempo-ranea);b) i riferimenti storici devono essere stimoli, non timori reverenziali; c) la curiosità è fondamentale: non puoi occuparti di ciò che non ami pro-fondamente;d) il famoso “mi muovo, vedo gente, faccio cose”, se non interpretato in modo parodistico, ha un suo fondamento: più esperienze si fanno, più cose si conoscono, più persone si incontrano (in un ideale nostro per-corso di maturazione) più si hanno stimoli per crescere;e) la scelta dei propri opinion maker culturali: leggere riviste di settore riconosciute, seguire progetti e piattaforme di ent, istitui, fondazioni, mu-sei, imprese o agenzie che si ritengono innovativi per la ricerca e la pro-duzione di contenuti;f) aggiornarsi rispetto alle opportunità di uscire dalla chiusura mentale del nostro sistema-paese: utilizzare, ad esempio, strumenti tecnologici. Non usare il web o non usare facebook, per quanto virtuoso possa sembrare, è come avere una finestra sul mondo e non aprirla mai.

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QUESTA È LA PSICOGEOGRAFIA, L’ESPLORAZIONE DEL NUOVO MILLEN-NIO.

IN TEORIA POTREI CONTINUARE A VIAGGIARE NELL’INFOSFERA A CASAC-CIO, SEMPLICEMENTE SEGUENDO GLI HYPERLINK CHE MI RIMANDANO DA UNA PAGINA ALL’ALTRA, DA UN’INFORMAZIONE ALL’ALTRA.

FINO A PERDERMI.

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Proprio per evitare di perdersi, occorre stabilire un metodo di orientamen-to nella sfera delle informazioni (chiaramente non solo web). Orientarsi vuol dire:

1) partire dal presupposto che la realtà è un organismo complesso;2) considerare che, spesso, siamo noi stessi a percepire la realtà in modo più o meno complicato. Una mappa di una metro per alcuni è intuitiva, per altri non lo è affatto e prescinde da uno studio accurato delle di- rezioni da prendere;3) crearsi nella presa di possesso della quantità di opzioni possibili, una mappa dei riferimenti possibili al raggiugimento dei propri obiettivi.

Esempio:

il settore

a) conosco le riviste di settore e so distinguerle rispetto al taglio (Drome lavora molto sulla compostezza iconografica e risulta più tradizonale) ai temi (alcune come Artribune ed Exibart fanno informazione giornalistica), agli obiettivi (Mousse e Cura si occupano di aspetti curatoriali) - insomma so capire le differenzeb) riesco a maturare una curiosità per il mondo esterno. Ci sono anche riviste di settore internazionali (come Frieze)

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c) intuisco le trasformazioni del settore. L’arte contemporanea nel tempo sta superando la forma museale in direzione di eventi di massa, come fiere, festival, ecc. Tengo d’occhio le principali manifestazioni e cerco di appuntarli come appuntamenti imperdibili;d) faccio in modo di restringere il campo a ciò che davvero mi interessa. Dire arte contemporanea è riferirsi a un universo multiforme. E, per quan-to scomodo tornare alle classificazioni, occorre mirare a un qualcosa di specifico (non basta classificare arte di ricerca ma, semmai, individuare quel famoso fil rouge). Sapreste definire cosa tratta Gagosian? Sapreste raccontare cosa propone Lia Rumma?e) creo un sistema di relazioni e appuntamenti, sia rispetto a quegli spazi che mi serve seguire, sia rispetto a quei professionisti, colleghi, amici che possono apportare un valore aggiunto al mio modo di guardare il settore e di essere aggiornato su ciò che accade.

fuorisettore

l’arte esprime un’interpretazione critica (oltre che estetica) del mon-do attorno

f) mantengo un ascolto attivo su ciò che succede rispetto al contesto contemporaneo (politica, economia e società). Quello che a me serve per sentirmi informato.

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Max Papeschi

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g) lavoro con un taglio interdisciplinare, che non vuol dire rinunciare a competenze specialistiche (il project manager deve fare il project manag-er), semmai saper ricollegare un fenomeno artistico ad altri mondi, come l’architettura, la letteratura, la musica. Ogni operazione artistica si rap-porta a una temperie culturale di cui è, in qualche misura, espressione.A quale libro fa pensare l’opera di Max Papeschi? h) non rinuncio ad ampliare le mie conoscenze viaggiando, andando a vedere dei posti, musei o piattaforme di progetto che ritengo utili alla mia crescita personale.

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Punto 2.

SE SEI UN BUON PM, SAI ABBOZZARE LE IDEE DA UN PUNTO DI VISTA DI PROGETTO.

a) siamo in un periodo saturo di idee e contenuti. Spesso riescono a stare in piedi quelli che colpiscono l’immaginario delle persone. Un buon pro-getto è un buon racconto;b) un progetto, proprio come un racconto, implica un set up inziale (cosa, quanto), uno sviluppo centrale (perché e come), una conclusione finale (chi);c) un progetto obbedisce a delle regole. Ha una forma sintetica che lo descrive, una forma più approfondita che lo spiega, una forma più sofisti-cata che lo comunica. Una buona presentazione è il modo più diretto per conquistare l’interesse di stakeholders e interlocutori con obiettivi chiari e facilmente comprensibili.

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Per cominciare a stendere il progetto, è necessario appropriarsi di al-cune tecniche che possono contribuire a migliorare le nostre capacità di coodinamento del lavoro:

1) occorre saper scrivere e lavorare sulla sintesi descrittiva (una scheda progetto deve già contenere ogni informazione);2) è necessaria la conoscenza di alcune tecniche di visualizzazione del piano lavoro;3) si consiglia l’uso di software come il power point, l’excel, in taluni casi i software di progettazione, il web e i social media.

Esempio:

le competenze

a) nella mia scheda progetto indicherò in modo sintetico (una cartella word - 30 righe x 60 battute), titolo, oggetto, attività, programma, dot-azioni tecniche, costi, strategie di comnunicazione;b) per la visualizzazione della dinamica della mostra o evento, si lavora spesso con le piantine, sopralluoghi, o disegni preparatoric) anche le fasi di lavoro possono essere visualizzate per mezzo di or-ganigrammi che scompongono il piano lavoro in attività diverse (work breakdown structure);

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Mostra, evento, festival

Staff

LA WBS SERVE A DARE UNA VISIONE PLANIMETRICA DELLE ATTIVITA’

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d) nella creazione del team, prima di compilare la cosiddetta MATRICE DI RESPONSABILITA’ (ovvero chi fa cosa), sarà utile conoscere il mec-canismo di lavoro che intendo mettere in piedi. Se organizzo una mostra, quali sono le attività a cui pensare e che figure mi possono servire? Artista, curatore, allestitore, redattore per il catalogo, ufficio stampa, eccSe realizzo un evento? Cast artistico, location, allestimento tecnico, ri-storazione, accoglienza, sicurezza, comunicazione, ecce) una volta scritta la scheda progetto, scorporate le parrti tramite WBS e analizzato chi fa cosa (team di riferimento, consulenti esterni, tecnici), posso predisporre un PIANO LAVORO. Utilizzo un sistema, il GANTT, per creare una sorta di calendario delle attività che mi consenta di tenere sotto controllo FASI DI LAVORO, ATTIVITA’ NEL DETTAGLIO, CHI LE SVOLGE, IN CHE TEMPI E CON QUALI OBIETTIVI.f) il sistema di GANTT è un ottimo aiuto nella gestione di aspetti orga-nizzativi complessi, che implicano il coordinamento della logistica, dei fornitori, degli allestimenti e dello smontaggio, della comunicazione, degli inviti e dell’accoglienza.

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L’EFFETTO FINALE È UN CALENDARIO CHE METTE FASI LAVORO E ATTIVITA’ IN ORDINE DI PRIORITA’ E RENDE IMMEDIATMENTE VISI- BILE A CHI È ATTRIBUITO IL COMPITO E IN CHE TEMPI

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g) l’ultimo aspetto riguarda la comunicazione. Un buon PM riesce a lavorare su più codici. In genere, la presentazione di un’idea segue una mdoalità di tipo narrativo sequenziale. C’è un inizio, un punto centrale cardine, una chiusura. Se penso di presentare la mia idea a uno sponsor o altro partner, questa dovrà essere molto molto chiara:

LA SCALETTA SOLITAMENTE È:

- introduzione - il contesto - oggetto dell’intervento - descrizione dell’idea/ contenuti - attività - il programma, il calendario - strategie - partner e interlocutori vari - organizzazione - location, aspetti tecnici - comunicazione - off line e on line, ufficio stampa - budget al dettaglio - lettera agli sponsor

LA PRSENTAZIONE DEVE ESSERE MOLTO CHIARA, POCO SCRITTA E PUNTARE DECISAMENTE A SUGGESTIONI VISIVE. IL COMPLE-TAMENTO DELLE INFORMAZIONI PUO’ ESSERE FATTO A VOCE IN SOVRAPPOSIZIONE ALLO SCORRIMENTO DELLE IMMAGINI.

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La famosa presentazione di un’idea di Yves Klein