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VITTORIO NOTO L’ARCHITETTURA MEDIEVALE SICILIANA E LE DIVERSE ATTRIBUZIONI NELLA STORIA E NELLA STORIA DELL’ARTE Fino alla metà dell’800 la storiografia dell’architettura siciliana considera i palazzi della Zisa e della Cuba opere saracene. Questa attribuzione e la persistenza di alcune leggende sull’argomento, in quel periodo non erano dovute alla cancellazione nella memoria popolare del ricordo dell’età normanna (un ricordo che in realtà era presso il popolo più vivo e sentito di quello del periodo arabo), bensì dalla presenza delle descrizioni in caratteri cufici e nashi, non ancora decifrate sui monumenti. L’equivoco fu alimentato anche da uno pseudo codice arabo pubblicato nel 1789 da Ms. Airoldi nel quale si leggeva che la costruzione della Cuba era stata iniziata dall’emiro Kafagia Ben Savan e completata dal suo successore Aldarbas Ben Alfadli. Alla fine del Settecento la notizia fu ripresa anche dal Villabianca nei suoi diari, ma G. Di Marzo nello stesso periodo dimostra che il codice arabo era una fantasiosa invenzione del frate Vella priva di ogni fondamento. Fu l’Abate S. Morso che per primo, sempre nell’Ottocento, attribuisce la costruzione dei due monumenti ai Normanni, ma ancora influenzato dalla tradizione, ritenne che Guglielmo I ed il figlio Guglielmo II, abbiano solo completato i monumenti iniziati dagli Arabi.

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VITTORIO NOTO

L’ARCHITETTURA MEDIEVALE SICILIANA

E LE DIVERSE ATTRIBUZIONI

NELLA STORIA E NELLA STORIA DELL’ARTE

Fino alla metà dell’800 la storiografia dell’architettura siciliana considera i palazzi della Zisa e della Cuba opere saracene.

Questa attribuzione e la persistenza di alcune leggende sull’argomento, in quel periodo non erano dovute alla cancellazione nella memoria popolare del ricordo dell’età normanna (un ricordo che in realtà era presso il popolo più vivo e sentito di quello del periodo arabo), bensì dalla presenza delle descrizioni in

caratteri cufici e nashi, non ancora decifrate sui monumenti. L’equivoco fu alimentato anche da uno pseudo codice arabo pubblicato nel 1789 da Ms. Airoldi nel quale si leggeva che la costruzione della Cuba era stata iniziata dall’emiro Kafagia Ben Savan e completata dal suo successore Aldarbas Ben Alfadli. Alla fine del Settecento la notizia fu ripresa anche dal Villabianca nei suoi diari, ma G. Di Marzo nello stesso periodo dimostra che il codice arabo era una fantasiosa invenzione del frate Vella priva di ogni fondamento.

Fu l’Abate S. Morso che per primo, sempre nell’Ottocento, attribuisce la costruzione dei due monumenti ai Normanni, ma ancora influenzato dalla tradizione, ritenne che Guglielmo I ed il figlio Guglielmo II, abbiano solo completato i monumenti iniziati dagli Arabi.

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Si deve al Duca di Serradifalco la prima vera analisi archeologica dei solatia palermitani per i quali coniò la definizione di arabo-normanni non estendendola però a tutti monumenti coevi. Ma nel 1841 un saggio dell’architetto francese Girault De Prangey: Essai sur

l’architecture des Arabes et des Mores en Espagne

Sicile et en Berberie, mette in crisi le certezze del Duca e di quanti asserivano (come avviene a tutt’oggi) l’indubbia origine araba delle architetture siciliane. De Prangey fu un illustre storico dell’Architettura oltre che archeologo - pittore, quindi documentò di persona con splendide illustrazioni, i monumenti

medievali della spagna e del Nord Africa da lui studiati in situ. A conclusione del suo lungo tour, nel 1834 fu a Palermo e prima di scrivere il suo saggio studiò ed affrontò per primo l’analisi comparata dei monumenti di Palermo, attribuiti ai Saraceni ed i coevi dell’Andalusia e della Berberia. Nonostante notasse delle analogie tra la Cuba e la Torre de las Infantas nell’Alhambra di Granada scrisse che: <<…scorgevansi le diversità dell’arte settentrionale in mezzo alle tradizioni bizantine ed alle usanze arabe …>> ed ancora: <<… la maggior parte degli edifici eretti in Sicilia dai Normanni presenta all’esterno quel carattere particolare

di forza e grandezza e quel magistero regolare di costruzione che noi abbiamo notato nei palazzi della Zisa e della

Cuba>>. In polemica col Serradifalco, assertore di una matrice islamica adottata nelle costruzioni palermitane, lo studioso francese insisteva caparbiamente nel dire: << Mais ç'est Normand >> Altre indagini condotte dall’ inglese Gally Knigth e dal tedesco Goldshmdt pervennero ad analoghe conclusioni con il De Prangey. Lo studio, l’analisi e le ipotesi relative all’impiego di tecniche architettoniche islamiche nella Sicilia normanna, ha coinvolto numerosi storici dell’architettura e critici d’arte: italiani, francesi, tedeschi ed inglesi, dal Settecento ad oggi. Oltre Girault de Prangey fu Georges Marçais, eminente arabista francese, a compiere delle analisi comparate tra i monumenti siciliani ed i coevi magrebini e spagnoli dei secoli XI e XII formulando l’ipotesi che gli edifici palermitani di questo periodo, alla luce delle considerazioni sopra esposte, siano impropriamente considerati, arabo-normanni, poiché con l’uso di questo termine, non solo si trascura l’origine e l’aspetto caratteristico nord europeo delle strutture in elevazione, ma altresì si definiscono di stile arabo, anche le architetture delle chiese bizantine che invece possiedono caratteri originali, diversi e storicamente ben definite. Va evidenziato altresì che diversi califfi impiegarono, o addirittura catturarono gli architetti cristiani, per la progettazione, realizzazione e decorazione delle loro moschee o palazzi (v. Creshwell, op. cit.). Influenze bizantine nell’architettura e nell’arte decorativa islamica si riscontrano altresì in tutto il Mediterraneo arabizzato: citiamo ad esempio: i mosaici del Mihrab di Cordova donati al Caiffo Ahakem dall’Imperatore Costantino VII. Oggi, dopo quasi due secoli siamo tornati allo stesso punto. Ad eccezione di Giuseppe Caronia al quale si deve il restauro della Zisa, pochissimi hanno approfondito l’argomento anche se riportano le illustrazioni di questi illustri studiosi senza tuttavia evidenziarne le conclusioni, che risultano incomprensibili e scomode per chi segue la sicura cultura dei luoghi comuni e non è mai stato in Normandia, in Ifriqiya ed in Andalusia, con lo scopo di approfondire e riscoprire la genesi dei monumenti di casa propria . Incredibili e molteplici, allora come oggi, sono le asserzioni di pan arabismo dei monumenti siciliani, da parte di alcuni storici dell’arte e da altri soggetti, che con una locuzione allargata, si considerano: addetti ai lavori. Di contro, molti esperti europei svelando le Cattedrali di Cefalù e Monreale, le ammirano come capolavori dell’arte romanica latina, cluniacense in particolare, e così, considerano la Sicilia: un pezzo di Normandia nel Mediterraneo.

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Lessay (Manche), Eglise abbatiale de la Trinité 1056

circa: volte a crociera nella navata centrale.

Cefalù,Cattedrale 1131-1148: Volta a crociera

ogivale

nel presbiterio, le nervature sono evidenziate

con pregevoli

decorazioni mosaicate.

Monreale Duomo 1172-76: braccio

meridionale del

transetto (diaconicon), volta a crociera

ogivale.

Le nervature sono evidenziate da una croce

di luce

proveniente dalle due finestre, focalizzata sul

tondo

raffigurante Gesù Emmanuele.

Monreale Cathédrale 1172-76: bras sud

Da: Vittorio Noto Architetture medievali normanne e siculo-normanne; (Architectures du moyen age entre la Sicile et la normandie). Palermo, Vittorietti 2012. Centro stampa F. Architettura Palermo

Le improbabili descrizioni mediatiche dei solatia come la Cuba, la Zisa e Fawara sono forse gli esempi più evidenti di una persistente cultura locale che tende ostinatamente ad autodefinirsi araba. I re normanni di Sicilia impiantarono, tra i monti ed i giardini che circondano Palermo, (la cosiddetta Conca D’Oro) un vasto sistema di parchi, tra di loro contigui, per la caccia, integrando le tradizioni venatorie anglo- normanne, con quelle arabo - bizantine che prevedevano sofisticate tipologie palazziali, auto climatizzanti naturalmente, per il riposo dopo le battute di caccia o per difendersi dalle calure estive. Il vivarium della Fawara (Maredolce), costruito intorno al 1160 da Ruggero II è composto da una vasta corte, circondata da monovani serviti da un portico, secondo le

consuete tipologie islamiche, ma con l’inserimento di una piccola cappella, coperta con una cupola posta su di un alto tamburo cilindrico, che richiama, ma non imita, analoghe strutture bizantine: Cattolica di Stilo, (X s.) e Cappella di S. Michel nel coevo Palazzo di Ruggero ad Altofonte. Nell’impianto planimetrico è inserita anche un’aula règia con una pseudo abside dotata di una volta pieghettata a conchiglia di probabile origine siro bizantina, similmente presente, nel palazzo regio di Caronia (Me) e nel solatium dello Scibene (Pa). Contigui alla sala dei ricevimenti, vi sono gli appartamenti con la camara reale. Nonostante la fabbrica, nel suo complesso planimetrico, mostri un tipico impianto islamico con volte a crociera bizantina, vi si nota un adattamento alla tradizione dei palazzi normanni che comprendevano: la sala per le udienze, con una retrostante camara per il riposo, la cappella (quì in stile bizantino); ambienti per il personale di corte, oltre a scuderie ed impianti logistici. (v. Caen Echiquier). Il sito della Fawara, ricco di acque provenienti dalla vicina sorgente dei tre archi o San Ciro, era conosciuto in epoca pre-normanna e probabilmente appartenne a qualche emiro, tuttavia è indubbio che il complesso architettonico, con l’annesso lago artificiale, sia stato realizzato da Re Ruggero II. Lo testimonia, Romualdo Guarna vescovo di Salerno nel suo Chronicon:

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… Perché a tanto uomo (Ruggero II) in nessun tempo mancassero le delizie della terra e delle acque, in un sito che dicesi Favara, scavando molta terra e contemporaneamente diversi canali, fece un bel vivaio, nel quale ordinò che fossero riposti pesci di ogni natura e di varie regioni. Fece pure dappresso al detto vivaio edificare un assai bello e specioso Palagio…... “scavando molta terra e contemporaneamente diversi canali”…, Romualdo Guarna, Chronicon

Intorno alla metà dell’Ottocento lo storico arabista Michele Amari, decifrando le iscrizioni in caratteri arabi della Zisa e della Cuba, provò in modo inconfutabile che la Zisa era stata iniziata da Guglielmo I nel 1165 e completata dal figlio Guglielmo II che a sua volta , nel 1180 edificò la Cuba. Date computate e riportate secondo il calendario cristiano … di Nostro Signore il Messia… Inoltre le scritte recitavano lodi, benedizioni, ed auguri per i due re cristiani. L’Amari, (prima d’allora assertore convinto di una identità araba della Sicilia tra i secoli XI e XII), ancora sorpreso per la scoperta, scrive una lettera ad un celebre archeologo - orientalista francese: Adrien de Longpérier direttore del Museo del Louvre e storico dell’Architettura; nella missiva pubblicata nel 1852 sulla Révue Archéologique, dando notizia della decifrazione della epigrafe della Cuba, trae dalla acquisizione storica, acute considerazioni critiche e parla di <<felice connubio tra committenza normanna e

tradizione culturale ed architettonica del tipo islamica sicilianizzata>>.

Nella seconda metà dell’Ottocento nuove ricerche sull’Architettura Bizantina hanno indotto alcuni studiosi a minimizzare o addirittura ad escludere il protagonismo arabo nell’Architettura Siciliana dell’XI e del XII secolo. Tra questi l’Abate Gravina che nel suo ponderoso volume sul Duomo di Monreale afferma esplicitamente che l’Architettura Siciliana dell’XI e del XII secolo non è araba ed evidenzia che gli stessi cronisti musulmani che scrissero durante l’arabo dominio in Sicilia non osarono attribuire quelle glorie (edifici) alla loro terra d’origine così come, in seguito: nessuno degli edifici dei re normanni. In effetti il l geografo viaggiatore di Bagdad, Ibn Hawaqal nel 973, nel descrivere Palermo nel suo Kitab’al masalik (Libro delle vie e dei reami), scrisse che la città capitale dell’Isola, era famosa e molto popolata e che aveva <<la moschea maggiore>>, in quella che un tempo era stata la chiesa dei Rûm (La Cattedrale) e che in questa chiesa era, in una cassa sospesa alla copertura, il corpo di Aristotele che i cristiani portavano in processione per invocare la fine dei periodi di siccità. Annovera altre trecento moschèe, un numero apparentemente esagerato che in quel tempo poteva riscontrarsi soltanto a Cordova, tuttavia specifica che si trattava generalmente di edifici di culto privati, per lo più riservati ai familiari ed ai clienti di fedeli facoltosi. Non ne enfatizza la descrizione architettonica, ma si limita a dire che erano forniti dell’indispensabile, cioè: tetti muri e porte. Cita tra le altre cose, una moschea capace di ospitare circa settemila persone, disposte in trentasei file di duecento persone ciascuna. Una descrizione alquanto dubbia, perché indicherebbe se coperto, un edificio con le dimensioni interne di circa di mt. 200x32, un’area urbanisticamente molto estesa, della quale non rimane alcuna traccia o altra notizia indiretta. Afferma infine che i borghi si trovavano devastati a causa dalle guerre civili; ed è forse questo il motivo che non permetteva ai vari emiri, succedutisi con frequenza nel governo dell’Isola, di dedicarsi ad un’attività edilizia degna della nascente tradizione fatimida del Cairo o del resto del Maghreb. Si può anche ipotizzare ragionevolmente, un riutilizzo dei grandi edifici romani allora esistenti all’interno della Paleapoli, come: l’Aula Verde e la Curia. Un altro cronista arabo spagnolo: Ibn Jubair disse che nei suoi viaggi verso la Mecca ed al ritorno non aveva mai visto nulla di più bello delle architetture siciliane. In particolare rimase talmente affascinato dalla Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio (Martorana), che visitò nel 1180 durante una funzione di vigilia natalizia, da essere tentato di apostasia. GLI ARABI IN SICILIA: NOMADI O ARCHITETTI? Gli Arabi, in quanto nomadi per natura, non hanno mai espresso una specifica architettura nel periodo preislamico; i monumenti più antichi ad essi attribuiti, non rimontano oltre VII s. ed in genere, rispecchiano tipologie regionali persiane, siriane, egiziane e bizantine. Per lungo tempo, durante la loro espansione, restarono estranei alle arti alle scienze ed alle lettere. (G. De Prangey, Essai.. op cit.)

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Anche K.Creswell, scrisse che il termine arabo, non dovrebbe mai essere usato per designare l’architettura dell’Islam, poiché quest’ultima, tra i secoli VII e IX, sincretizzò e sviluppò con accenti originali, i fermenti nuovi ed antichi, delle architetture e delle culture regionali presenti nei paesi conquistati. <<Architettura islamica delle origini >> In questo periodo la Sicilia bizantina, nella quale erano ancora vive le testimonianze

culturali linguistiche ed architettoniche greche e romane, non aveva visto sorgere nuove grandi opere, simili a quelle di Costantinopoli o di altri territori neo ellenici, nonostante che per breve tempo, fosse stata sede della corte imperiale. La conquista araba dell’Isola, avvenuta ad opera di un contingente eterogeneo, composto soprattutto da Berberi, Spagnoli e Persiani, in seguito integrato con altre etnìe, non ebbe effetti diversi nel campo dell’edilizia aulica, mentre nell’altra sponda del Mediterraneo nascevano le nuove opere dell’architettura islamica maghrebina. Scrive in proposito Adalgisa De Simone: ... La cultura nordafricana vedeva in quel periodo, da circa centocinquant’anni, un’immissione di cultura orientale nella componente “occidentale tardo-romana”. Nell’ Africa settentrionale la cultura araba, raffinata grazie al contatto con culture più orientali (quella persiana a sua volta collegata con un Oriente più lontano e quella greco-bizantina), si era incontrata in Egitto con la cultura cristiana dei Copti e, nel resto del Nord Africa, con quella berbera… (ADALGISA DE SIMONE “ TERRE DI FRONTIERA TRA BISANZIO E BAGDAD : IL CASO DELLA SICILIA MUSULMANA “ , ATTI, CONVEGNO DEL 17 NOVEMBRE 2003 , MILANO)

Della Sicilia araba, nel periodo compreso tra le due conquiste, non ci sono pervenute notizie concrete di grandi architetture: moschée o complessi palazziali, paragonabili agli edifici coevi egiziani, maghrebini o spagnoli. A parte alcuni reperti epigrafici, ed i supposti resti di una moschea negli ipogei di S. Giovanni degli Eremiti a Palermo, non esistono tali testimonianze, prima dei Normanni. Con l’arrivo dei Normanni nel s. XI la situazione cambiò radicalmente, nella capitale, ed in altri centri della nuovo regno, iniziò una frenetica attività edilizia, mentre le contemporanee iniziative califfali nord africane stavano per affievolirsi; ciononostante i costruttori siciliani, seppero cogliere e sviluppare l’essenza tecnica e gli aspetti più aulici delle architetture sino ad allora realizzate: sintesi di culture medio orientali e bizantine talvolta eredi della civiltà romana. Tutto ciò mentre fiorivano a Palermo, Cefalù e Monreale i grandi capolavori dell’architettura romanica e bizantina. Sono estremamente rari, nomi o notizie dirette, inerenti le maestranze e gli architetti (occidentali, od orientali) che nei secoli XI e XII, lavorarono in Sicilia per volere dei Re siculo normanni e dei personaggi della loro corte; all’inizio furono maestri cementari da dovunque aggregati (G. Malaterra, Imprese del Conte Ruggero e del fratello R. il Guiscardo); di essi si conosce soltanto il nome del capo mastro Gerardo il Franco, probabilmente un normanno che costruì la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Casalvecchio (Me), secondo i canoni dell’architettura neo bizantina, con evidenti stilemi normanni. Si conosce inoltre, il nome di un abate esperto di architetture normanno - cluniacensi: Robert di Grantmesnil che esule dalla Normandia, ebbe affidato da Ruggero il Gran Conte, il compito di realizzare un nuovo programma di edilizia sacra in Italia Meridionale. Frequenti furono i rapporti tra la corte di Palermo ed i grandi abati costruttori di cattedrali di quel periodo come: Suger di St. Denis, Thomas Becket di Canterbury, Odone di Baieux. Nel chiostro di Monreale è documentata la presenza di un artigiano scultore, che ha lasciato inciso il suo nome nel diciottesimo capitello del lato nord: Romanus filius Costantinus marmurarius; ma rimane il dubbio sulla sua origine: latina, bizantina o verosimilmente siciliana? Notizie e nomi insufficienti ad avvalorare una cultura egemone in Sicilia, tra le diverse, che in quel periodo fiorivano o tramontavano ad Occidente come ad Oriente, travolte dalle devastanti quanto incomprensibili guerre di religione. Anche se appare sempre più plausibile l’esistenza di una scuola architettonica siciliana fiorita in età normanna che sviluppò autonomamente, i dettami tecnici e stilistici, delle altre civiltà contemporanee. Furono dunque i Normanni di Sicilia che per un incredibile paradosso, costruirono con tecniche latino-bizantine, alcuni tra gli esempi più importanti dell’architettura islamica. Poiché non si può esaurire la centralità di questo importante argomento, in una molteplicità seppur affascinante, di dubbi e certezze, pensiamo sia doveroso approfondire brevemente il contesto storico architettonico nel quale nacque e si sviluppò l’architettura siciliana medievale. Delle connotazioni romanico latine dei monumenti siciliani tra i secoli XI e XII, abbiamo già scritto nel volume: Architetture medievali normanne e siculo normanne (Palermo 2012), mostrando con metodo cronologico comparato, gli indubbi legami cluniacensi e normanni nelle architetture siciliane della contea e

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del regno. Nel lodevole intento di riconoscere alla cultura araba quel ruolo che indubbiamente le spetta, molti disattendono l’incontestabile dato storico che i monumenti in oggetto vennero costruiti quando alla dominazione araba si era già sostituita da oltre un secolo quella dei conquistatori normanni ornai sicilianizzati; altri sottovalutano l’inoppugnabile circostanza che la Sicilia, prima di appartenere all’Oriente Musulmano (IX XI s.) era appartenuta per quattro secoli all’Oriente Cristiano, ed aveva conservato tracce non effimere della cultura bizantina. La stessa cattedrale di Palermo venne divisa tra cristiani e musulmani. Inoltre, seppure la critica architettonica locale attuale rifiuti le posizioni antiarabe del Gravina e degli altri studiosi citati, altri illustri storici come Virgilio Titone e il Peri confutano anche le tesi dell’Amari relative ad una identità araba della Sicilia tra i secoli XI e XII. Scrisse i proposito, Giuseppe Caronia autore del restaro della Zisa: Nella storiografia dell’Architettura Siciliana lo scrupolo filologico non è sempre vigile. Anche importanti scrittori contemporanei francesi ed inglesi come il Mack Smith affermano che la Sicilia normanna fu europea ed occidentale nella cultura. Nelle intenzioni della corte di Palermo il Regno di Sicilia doveva essere uno stato composito: dall’incontro di tre culture doveva scaturire il modello di una civiltà mediterranea perseguito da Ruggero, e da lui contrapposto allo sterminio della avversa << parte infedele>> allora sostenuto sia da parte cristiana che da parte musulmana.La grande occasione storica perduta in Sicilia , terra senza crociati <<Rizzitano – Giunta>>, trova riscontri nel destino di altri popoli; così come l’ambizioso ideale ruggeriano di rendere compatibile la cultura cristiana con quella islamica può tenere il confronto con quello di Alessandro Magno, che intendeva fondere la cultura greca con quella persiana: i loro disegni, seppure non portati a termine, affascinano ancora per la loro originalità e grandiosità.

CONCLUSIONE Itinerario arabo- normanno? ... Le Cattedrali sono tra le più belle realizzazioni dell'Arte e dell'Architettura

europea, le altre chiese sono annoverate dagli studiosi internazionali tra gli

esempi più eccellenti dell'Arte e dell'Architettura bizantina, così come il

ponte costruito dall'Ammiraglio Giorgio di Antiochia ; mentre la Zisa e la

Cuba (è stata ignorata), sono le uniche espressioni sincretiche dei sistemi

costruttivi medio orientali interpretati ai massimi livelli dai costruttori

siciliani per volere dei re di

Sicilia. Tranne il gioiello dei bagni di Cefalà Diana, ( anch'essi ignorati) non

esiste nessuna testimonianza certa di monumenti arabi a Palermo prima dei

Normanni. Ed infine :

perchè non figurano esplicitamente i Siciliani e la loro originale civiltà

artistica? Non sarebbe stato più giusto per noi, definire questi monumenti :

itinerario medievale siciliano, normanno- bizantino?

Tuttavia occorre dire che il riconoscimento è senz'altro prestigioso per noi,

ed arriva anche in ritardo.

Ma è necessario che i parametri per aumentare nei Palermitani e nei Siciliani

tutti, l’amore per le tradizioni della propria terra e di arricchire, anzi formare,

alla luce di esse la coscienza di appartenere ad una grande etnìa storica,

poggiano su di una serie di informazioni sul passato – scientificamente

controllate e storicamente esatte, mai parzializzate.

Quindi mi chiedo: come si farà a spiegare ai visitatori (ed a chi continua a

definirle arte araba) che le cattedrali di Palermo Cefalù e Monreale non sono

state costruite dagli arabi ma da monaci- architetti di cultura cassinese e

cluniacense? e sopratutto: che le cupole rosse ed i mosiaci delle chiese

medievali di Palermo non sono arabe ma bizantine, così come gli esempi

calabri e greci ? Ciò nonostante Il riconoscimento UNESCO rimane in tutta la sua importante realtà ...

Palermo, con la sua composita quanto unica realtà di arte e cultura occidentale ed orientale, se riconosciuta autonoma e scevra da forzate appartenenze, può aspirare alla definizione di Capitale Euro Mediterranea. Palermo 4 Giugno 2016, VITTORIO NOTO Estratto dal libro di prossima pubblicazione di Vittorio Noto dal titolo: DONJONS PALAZZI E GIARDINI DEI RE SICULO NORMANNI. Tutti i diritti

riservati, vietata la riproduzione e diffusione anche parziale con qualsiasi mezzo senza l'autorizzazione o la citazione dell'autore e della fonte.

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...questi monumenti sono davvero frutti dell'unica e grandiosa cultura siciliana - europea, bizantina,

cristiana, normanna. Rimane sempre questa etichetta "arabo-normanna" e ci vorranno davvero molti sforzi

per disfarsene!! …. Diana Kaley

Helsinki

On 10 Jul 2015, at 12:27, Associazione Internazionale per i Monumenti Siciliani - Secretary General of the Studium Catholicum