L'Alcazar - n. 1

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UNA FORTEZZA DA DOVE ATTACCARE di Luca Natali Con grande piacere diamo alle stampe il primo numero de “L’Alcazar”, il gior- nale universitario di Casaggì. La prova sfogliabile che in questa meravigliosa città non esistono solo arrivismo, cini- smo e arido conformismo. Un giornale che va per la sua strada. Non ammicca a niente e a nessuno, non cerca ricom- pense ne onori. Si fregia se non altro, di affermare verità scomode ai più e per- ciò il più delle volte taciute. Si occupa di trattare temi che nessun altro trattereb- be. Una spina nel fianco! (Ma non c’è rosa senza spine…) A dirla tutta dal punto di vista giovanile, il panorama culturale e politico del no- stro ateneo, salvo qualche rara eccezio- ne, è secondo noi piatto. Manca di que- gli entusiasmi e di quelle spinte ideali sane, tese alla conquista del futuro che dovrebbero essere proprie delle nostre generazioni. Cerchiamo di dimostrare che non esistono soltanto automi, ro- bottini, di quelli caricati a chiave per intenderci… L’alcazar, parola che deriva dall’arabo (“al qasr” dal latino castra, plurale di castrum), è una fortezza. Ma la scelta di questo titolo è tutto fuorchè un inno agli arroccamenti esistenziali sterili, alle fughe dal reale. Il nostro Alcazar è un maniero, allo stesso tempo ideale e fisico, nel quale resistono idee nuove. Una fortificazione del nostro cuore. Ma non solo. E’ un castello roccioso affacciato su un bellissimo mare, come “Le Chateau des Pyrènèes” di Magritte, da dove partono gli assalti culturali al grigiore di gran parte della società che ci circonda. Un fortilizio che non teme le calunnie di alcuni che non perdo- no mai l’occasione per annunciare al mondo la propria idiozia. Niente paura comunque, nessun dolore. Anzi ci si di- verte, se non si è capito. Ce la ridiamo, schiene diritte e facce al sole. Tutto quello che leggerete è scritto da- gli studenti di Casaggì. E per oggi può bastare. Buona lettura. UNIVERSITÀ carta straccia ecco che fine fanno le tesi 2 ESTERI Siria, un anno dopo 3 CINEMA le idi di marzo o delle miserie della politica oggi 6 QUANDO PREGARE FA BENE AL PORTAFOGLIO di Giuseppe Siccardi La Regione Autonoma della Sardegna ha stanziato, nella Finanziaria appe- na approvata, 8,3 milioni di euro a favore degli oratori. Dietro quest’obolo, versato dalla politica nelle casse (già piene) della Chiesa sarda e giustifica- to sulla base della funzione svolta dagli oratori nell’ambito delle politiche sociali, si nasconde il più cinico e assai poco cristiano interesse dei partiti al governo della Regione ad ottenere il sostegno della Curia, in vista delle prossime scadenze elettorali. Da parte sua, il mondo ecclesiastico ringra- zia. Se non altro, il poderoso finanziamento servirà a pagare l’IMU che, a scanso di colpi di coda dell’ultimo minuto, sarà (finalmente) esteso agli im- mobili di proprietà della Chiesa. Agli altri operatori sociali, intanto, restano soltanto le briciole. Converrà mettersi a pregare.

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Il giornale degli studenti di Casaggì Onlus

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UNA FORTEZZA DA DOVE

ATTACCAREdi Luca Natali

Con grande piacere diamo alle stampe il primo numero de “L’Alcazar”, il gior-nale universitario di Casaggì. La prova sfogliabile che in questa meravigliosa città non esistono solo arrivismo, cini-smo e arido conformismo. Un giornale che va per la sua strada. Non ammicca a niente e a nessuno, non cerca ricom-pense ne onori. Si fregia se non altro, di affermare verità scomode ai più e per-ciò il più delle volte taciute. Si occupa di trattare temi che nessun altro trattereb-be. Una spina nel fianco! (Ma non c’è rosa senza spine…)

A dirla tutta dal punto di vista giovanile, il panorama culturale e politico del no-stro ateneo, salvo qualche rara eccezio-ne, è secondo noi piatto. Manca di que-gli entusiasmi e di quelle spinte ideali sane, tese alla conquista del futuro che dovrebbero essere proprie delle nostre generazioni. Cerchiamo di dimostrare che non esistono soltanto automi, ro-bottini, di quelli caricati a chiave per intenderci…

L’alcazar, parola che deriva dall’arabo (“al qasr” dal latino castra, plurale di castrum), è una fortezza. Ma la scelta di questo titolo è tutto fuorchè un inno agli arroccamenti esistenziali sterili, alle fughe dal reale. Il nostro Alcazar è un maniero, allo stesso tempo ideale e fisico, nel quale resistono idee nuove. Una fortificazione del nostro cuore. Ma non solo. E’ un castello roccioso affacciato su un bellissimo mare, come “Le Chateau des Pyrènèes” di Magritte, da dove partono gli assalti culturali al grigiore di gran parte della società che ci circonda. Un fortilizio che non teme le calunnie di alcuni che non perdo-no mai l’occasione per annunciare al mondo la propria idiozia. Niente paura comunque, nessun dolore. Anzi ci si di-verte, se non si è capito. Ce la ridiamo, schiene diritte e facce al sole.

Tutto quello che leggerete è scritto da-gli studenti di Casaggì. E per oggi può bastare. Buona lettura.

UNIVERSITÀ

cartastracciaecco che fine fanno le tesi

2ESTERI

Siria, un anno

dopo

3

CINEMA

le idi di marzoo delle miserie

della politica oggi

6

QUANDO PREGARE FA BENE AL PORTAFOGLIO

di Giuseppe SiccardiLa Regione Autonoma della Sardegna ha stanziato, nella Finanziaria appe-na approvata, 8,3 milioni di euro a favore degli oratori. Dietro quest’obolo, versato dalla politica nelle casse (già piene) della Chiesa sarda e giustifica-to sulla base della funzione svolta dagli oratori nell’ambito delle politiche sociali, si nasconde il più cinico e assai poco cristiano interesse dei partiti al governo della Regione ad ottenere il sostegno della Curia, in vista delle prossime scadenze elettorali. Da parte sua, il mondo ecclesiastico ringra-zia. Se non altro, il poderoso finanziamento servirà a pagare l’IMU che, a scanso di colpi di coda dell’ultimo minuto, sarà (finalmente) esteso agli im-mobili di proprietà della Chiesa. Agli altri operatori sociali, intanto, restano soltanto le briciole. Converrà mettersi a pregare.

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2|L’ALCAZAR

Da qualche tempo hanno pre-so ufficialmente il via le lezioni dell’Università della Felicità. Il piano di studio non poteva che essere anticonformista. Il bino-mio rappresentato dal regista oristanese Filippo Martinez e dal critico d’arte Vittorio Sgarbi è sempre un’ottima garanzia. Specie per chi vuole combatte-re il “logorio della vita moder-na” con un po’ di filosofia, magari sfoderando un approccio diverso alla propria esistenza. I corsi prevedono ospi-ti d’eccezione – sardi e non – e lezioni su temi che solitamente non vengono trattati dal-le cattedre degli Atenei italia-ni. Questa nuova “Università” non ha infatti nulla a che spar-tire con le Accademie tradi-zionali. È un semplice evento culturale che ha deciso di darsi lo stesso nome che ebbe quella universitas che contribuì a fare grande l’Italia ed il Vecchio Continente. Una scelta sicu-ramente vincente dal punto di vista del marketing e della sostanza. Il brand ha iniziato a girare per bacheche e profili dei social network. Il successo ha fatto in modo che la noti-zia entrasse nella disponibilità di persone abituate a trattare ciò che li circonda con super-ficialità e pressapochismo. È bastato che una associazione di diritto privato si vestisse con le stellette ed i gambaletti di una università per generare una bufala transitata nel giro di pochi giorni sulle scrivanie di tante redazioni. Chi oggi

anima il gruppo cagliaritano di Azione Universitaria – quel-lo che una volta era il Fuan – ha pensato bene di produrre un comunicato stampa in cui si denunciava questa attività estemporanea del Rettorato. La voglia di visibilità a tutti i costi li ha portati a coinvolge-re un ignaro consigliere del Cnsu, il parlamentino degli

universitari italiani, che, suo malgrado,

ha fornito un commento sullo “spreco di de-naro pubblico”. Le loro dichia-

razioni hanno rapidamente fatto il

giro del web. Quotidiani e settimanali l’hanno ripresa senza fare nessun tipo di verifi-ca. Un danno d’immagine per l’Ateneo sardo che non avrà fatto piacere al Magnifico che attualmente siede sullo scran-no più alto di via Università. Per il momento, non si han-no notizie di reazioni da parte dell’Amministrazione. Ci con-soliamo però con gli sberleffi e le pernacchie che potrebbero coronare le prossime iniziati-ve del nucleo cagliaritano de-gli “universitari di destra”. In politica, ma anche nella vita, l’immagine conta sempre di più. Assumere le fattezze delle macchiette non potrà che ave-re risvolti negativi. Ci piace-rebbe che gli studenti del corso in Felicità applicassero a certi elementi le nozioni apprese durante le lezioni in cui si spie-gherà come si misura la “felici-tà interna lorda”. Ci sbilancia-

UNIVERSITÀ Le false accuse all’Università della Felicità

Au, burlette e pressapochismoTESI DA

BUTTARE?Vi siete mai chiesti che fine facciano le copie delle tesi consegnate in se-greteria, dopo la laurea? Casaggì lo ha scoperto alcuni mesi fa. Centinaia di tesi di ex studenti di Giurispruden-za sono state ritrovate nel cassonetto della carta di Viale Sant’Ignazio. La fa-coltà si è giustificata sostenendo che si trattava delle copie delle tesi desti-nate al correlatore. A noi sembra una cazzata. Ma, anche se fosse vero, vi sembra un buon motivo per eliminar-le? Per la facoltà è carta straccia, per noi sono tempo, soldi e fatica. Buttati.

ASSEGNI DI MERITO:

LA PROTESTAQualche settimana fa, la Regione ha pubblicato il bando per l’assegnazio-ne degli assegni di merito. Il che è una buona notizia. Non lo è il fatto di aver escluso, ingiustificatamente, gli studenti che, pur essendo meritevoli sulla base della media e dei crediti ed in regola con gli esami, risultavano iscritti, in precedenza, ad altri corsi di laurea. La situazione più grave, da questo punto di vista, è quella degli studenti di medicina. Nonostante la richiesta di modifica del bando, la Regione è rimasta inerte. Per questo Casaggì, insieme a UxS, continua a portare avanti la protesta.

L’Alcazar è realizzato dagli stu-denti di Casaggì Onlus, con il contributo dell’Università degli Studi di Cagliari.

Per collaborare con noi, scrivici a [email protected] o contattaci su Facebook, digitando nel campo di ricerca Casaggì Cagliari.

Se desideri maggiori informazioni su L’Alcazar e sulle altre attività di Casaggì Onlus, visita il nostro sito all’indirizzo www.casaggi.it.

mo. Le evidenze raccolte si potrebbero stagliare su un grafico inequivocabile. Sono proprio lontani anni luce i tempi di via Sommacampagna. Matteo Mascia

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L’ALCAZAR|3

Chi ha avuto la fortuna di cono-scere la Siria prima dell’inizio degli attuali sconvolgimenti non può non avere l’amaro in bocca per tutto ciò che sta avvenendo.

La cosiddetta “primavera araba”, che nel caso siriano si sta tradu-cendo in vera e propria guerra civile, ha corroso dall’interno e dall’esterno quel delicato equili-brio che regolava uno dei Paesi più riccamente diversificati in termini di comunità confessiona-li. I Balcani, a confronto, sono un monolite. La vita quotidiana nelle sue città, tra la sua gen-te ospitale e cortese, in una pacifica e armonio-sa convivenza – per fare un esempio – registra-va uno dei tassi di cri-minalità tra i più bassi al mondo. Una chiesa cattolica accanto a una moschea sunnita, tutto-ra, non suscitano stupo-re in un siriano medio; nemme-no se dall’altra parte della strada è presente una moschea sciita accanto ad una chiesa greca-or-todossa o di rito latino. Anzi, a dirla tutta, è sempre stata questa la forza della Siria: l’equilibrio or-dinato di un immenso mosaico di confessioni. Un equilibrio alimen-tato dal rispetto reciproco e dal riconoscimento da parte di uno Stato profondamente laico (ma non secolarizzato) dell’importan-za di ogni singola comunità, fino alla più piccola minoranza. Ma ora, dopo l’ennesimo tentativo oc-cidentale di “esportare la demo-crazia” (una bella espressione per mascherare l’ennesima espan-sione dell’egemonia imperialista) tutto ciò rischia di dissolversi in una drammatica guerra civile.

Un anno fa, subito dopo Tunisia, Egitto e Libia, i riflettori dell’in-formazione (o “propaganda”?)

occidentale sono stati indirizzati proprio sulla Siria, come nello scorrere di una lista della spesa. A dirla tutta, i giornalisti nostrani, acciecati dall’ossessione umani-tarista e dalle sue parole d’ordine (democrazia, libertà, ecc.), non si sono mai presi la briga di cono-scere direttamente la faccenda ma, al contrario, si solo limitati a rigirare le “spettacolari” noti-zie dei due canali satellitari ara-bi più occidentalizzati di quanto non lo siano TgCom24 o la Cnn.

Stiamo parlando di Al-Jazira e Al-’Arabiya. Il sostegno holliwo-odiano che queste due emittenti hanno “disinteressatamente” of-ferto alla causa democratica in Siria, però, è alquanto sospetto. Viene difficile immaginare un intento disinteressatemante de-mocratico da parte di due emit-tenti fondate e profumatamente finanziate da due monarchie as-solute, rispettivamente Qatar e Arabia Saudita. Basterebbe que-sto semplice dato per capire che qualcosa non va e comprendere la reale posta in gioco sulla Siria.

Tuttavia, occorre citare alcuni elementi che chiudono il quadro della comprensione. La posizione geopolitica della Siria baathista si è sempre ispirata agli ideali del socialismo arabo e del panarabi-smo, ponendosi di traverso ai plu-ridecennali desiderata occidentali

nella regione vicinorientale. La Si-ria è il principale alleato dell’Iran, l’altro “Stato canaglia” della re-gione, fungendo tra l’altro da cin-ghia di trasmissione tra questo e la resistenza libanese nel Sud del Libano. La Siria, soprattutto dopo la caduta di Saddam Hussein e, a maggior ragione, dopo la caduta di Mubarak e Gheddafi, è l’uni-co Stato arabo che si può porre a guida del mondo arabo in alter-nativa alle monarchie del Golfo. Bisogna infatti ricordare che la

Siria è stata la culla di tutte le più importan-ti ideologie del mondo arabo: dal nazionalismo al socialismo, passan-do per il panarabismo. Una volta venuto meno il peso politico dell’Egit-to, la Siria avrebbe do-vuto seguirne lo stesso ridimensionamento. Insomma, da una par-te le idee e gli ideali, dall’altra i petrol-dol-

lari. E la storia si ripete.

Mi ricorderò per sempre quan-do in un pomeriggio di maggio, passeggiando per le strade di Damasco, chiacchieravo con un amico siriano di origini libanesi e palestinesi. Passando da un quar-tiere musulmano a uno cristiano, gli chiesi quale fosse la sua reli-gione. Probabilmente il tono o la formulazione della mia domanda gli avevano dato la percezione che, più che la religione, stessi cercando di capire la sua “iden-tità”. La sua risposta fu lapidaria: «Io, prima di tutto, sono siriano». È in questa risposta che si con-densano la speranza di una Siria unita, al di là dell’appartenenza confessionale, e gli spettri di una pericolosa guerra civile su cui sof-fiano, di sinergico concerto, im-perialisti, umanitaristi e le nuove legioni islamiche della Nato. Jibril

ESTERI La Siria oltre la menzogna e la disinformazione

Siria, un anno dopo

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4|L’ALCAZAR

“Signor Generale, niente di nuovo qui all’Alcazar.” Così, con questo linguaggio stringato, essenziale, deciso e insieme ironico possiamo dire, un bel giorno di settembre di molti e molti anni fa, Josè Moscar-dò Ituarte salutò l’arrivo a Toledo delle truppe nazionaliste al se-guito di Francisco Franco e con esse la fine dell’assedio all’Alcazar, da parte dell’eser-cito governa-tivo repubbli-cano. Era il 27 settembre del 1936 e l’assedio era durato ininterrottamente da 66 giorni. Nonostante si fosse sul finire dell’estate era in arrivo la Pri-mavera. Lo sapeva bene Moscardò e con lui, le migliaia di cittadini spa-gnoli che da luglio avevano deciso di asserragliarsi all’interno dell’an-tica fortezza sede dell’accademia di fanteria dell’esercito. I cittadini erano donne e uomini, tra loro an-che molti vecchi e bambini per la maggiorparte abitanti di Toledo. Le mura dell’Alcazar erette quattro secoli prima dall’imperatore Carlo V protessero loro e i soldati di Mo-scardò dagli attacchi sconsiderati e per molti versi “terroristici” dei miliziani del Fronte Popular, i quali cercarono con ogni mezzo di spez-zare l’assedio e insieme le esili spe-ranze di vedere nascere una nuova Spagna. Se non che, non avessero fatto ancora i conti con l’audacia degli uomini presenti nell’Alcazar.

La vicenda è un episodio poco noto della guerra civile spagnola ma fu un vero e proprio simbolo della conquista del potere da parte nazio-nalista. Tanto che il regime fascista di Benito Mussolini le dedicò anche un film, “L’assedio dell’Alcazar” di Augusto Genina girato tra Cine-

città e Toledo e uscito nelle sale nel 1940, vincitore in seguito della Coppa Mussolini (l’antesignano del Leone d’oro) come miglior film italiano alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. E’ attraver-

so questo documento stori-co che possiamo com-

prendere meglio quanto successe in quei 2 mesi di assedio. Men-tre la vita della città si era spo-stata all’inter-no della fortez-

za e lì scorreva con le sue piccole

quotidianità (con giochi di bimbi, storie

d’amore, nascite, morti) all’esterno infuriava la guerra.

L’esercito governativo era determi-nato a sedare la rivolta (Moscardò e gli altri ufficiali erano a tutti gli effetti dei rivoltosi nei confronti del regime repubblicano) con ogni arma a sua disposizione. Non esitò a far bombardare dall’alto utilizzan-do l’aviazione e quando questo non bastò a far cannoneggiare le mura del palazzo con un getto continuo di artiglieria pesante. Getto che una volta approntato un impianto d’illu-minazione all’uopo non cessò mai neppure la notte. Di più, noncuran-te della presenza di civili, escogitò uno scavo di parecchie centinaia di metri al di sotto della fortezza che doveva servire come corridoio da armare di esplosivo; l’obbiettivo era quello di far saltare in aria la costru-zione con tutti dentro. Miracolosa-mente gli assediati uscirono quasi indenni anche da questa trappola.

Ma il film ci regala anche altre te-stimonianze della crudeltà di quei giorni. Tra tutte spicca senz’altro la vicenda che vede protagonista in prima persona il Generale Moscar-dò stesso e suo figlio. Per costrin-gere le truppe alla resa i miliziani

rossi rapiscono il giovane Luis Mo-scardò, sedicenne figlio del Gene-rale. Moscardò riceve la notizia di-rettamente dai rapitori al telefono. Rapidamente questi gli intimano la resa e in caso contrario annuncia-no la messa a morte per fucilazio-ne del ragazzo. Moscardò, che non poteva consegnare i propri uomini per salvare il proprio figlio, una vol-ta chiesto e ottenuto di comunicare con il figlio pronuncia le seguen-ti parole: “Figliolo, raccomanda la tua anima a Dio e muori come un patriota. Gridando, viva Cristo, viva la Spagna!” e il figlio per tutta risposta “Così farò papà”. Effetti-vamente il ragazzo verrà fucilato poco più tardi quello stesso giorno.

Una delle ultime scene, nel mo-mento in cui i repubblicani apertisi una breccia tra le mura e in netta superiorità numerica riescono a portare il conflitto tra le macerie del fortilizio, risulta tra le più significa-tive. Un gruppo di miliziani riesce a salire sulle mura e a issare una bandiera rossa. Al che il Capitano Vela, esempio di soldato valoroso, alla testa di un manipolo di volon-tari che porta con sé la bandiera nazionale spagnola, riesce a farsi largo tra i nemici (dosando con “accuratezza” le bombe a mano) e a portarsi la dove era stata po-sta la bandiera e a cambiarla. E’ il vero trionfo. All’arrivo delle truppe franchiste giunte dall’Africa le mi-lizie repubblicane sono in rotta. Gli assediati escono in festa da quello che rimane delle mura dell’Alcazar.

Per ultimo segnaliamo che l’epi-sodio dell’Alcazar è stato di recen-te spunto per il gruppo di musica non conforme romano “Insedia”. Un brano del loro ultimo cd uscito nell’estate del 2011 s’intitola pro-prio “L’Alcazar” e vede descritte proprio le vicende dell’assedio. Non ci resta che dire con loro che “esisterà per sempre nel mio cuore un Alcazar”. Un caballero

CULTURA La vicenda dell’assedio de L’Alcazar di Toledo

Arriba España!

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L’ALCAZAR|5

Autore di drammi memorabili sia in prosa che in versi (tra cui I masnadieri, 1781, Don Carlos, 1787, Guglielmo Tell, 1804), delle famose Ballate (1798), di nume-rosi epistolari e saggi storici, F. Schiller non soltanto incarna una delle figure più rappresentative del panorama letterario tedesco, a cavallo tra preromanticismo e romanticismo, ma si dedica an-che alla stesura di numerosi non-ché complessi trattati di estetica.

Dalla sua ricca produzione emer-ge da un lato un’ importante con-tinuità rispetto alla riflessione kantiana, sia teorica che termino-logica e, dall’altro, l’anticipazione di alcuni importanti nuclei tema-tici sui quali sarà Hegel a soffer-marsi con particolare interesse.

Al fine di cogliere il filo condut-tore della riflessione estetica portata avanti dal grande po-eta e drammaturgo d’oltralpe, risultano senz’altro paradig-matici gli scritti alla cui stesura F. Schiller attende tra gli anni 1790 e 1795 : Della ragione del godimento procurato da ogget-ti tragici (1791), Del sublime (1793), Grazia e dignità (1793), Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795), Della poesia ingenua e sentimentale (1795).

Un primo sguardo ai titoli sopra-citati suggerisce i temi stessi sui quali l’attenzione di Schiller prin-cipalmente si focalizza : l’atmo-sfera generale che caratterizza il momento culturale in cui il poeta vive, e alla cui fioritura contribu-isce in prima persona, proclama infatti la centralità estetica del sublime e non più del bello, ca-tegorie alle quali si accostano gli affini concetti di grazia e dignità. Il tutto é avvalorato dall’esigenza di un’educazione estetica dell’uo-mo nell’età moderna della scis-sione e, come tale, si accompa-

gna all’irrinunciabile confronto storico tra due diverse modalità di fare poesia (antica e moderna).

Morali sono le esigenze che muovono Schiller a privilegia-re il sublime rispetto al bello, e morali sono gli effetti che l’arte produce, ma non i suoi scopi, ravvisati invece nell’attitudine a dispensare felicità e godimento per l’essere umano: si tratta infat-ti di due finalità che si conciliano solo ed esclusivamente con la libertà stessa dell’arte, che pro-prio da questa caratteristica trae tutta la sua potenza ed efficacia.

La superiorità del sublime ri-spetto al bello e la differenza tra grazia e dignità sono temi rispet-tivamente trattati nelle opere intitolate Del sublime (1793) e Grazia e dignità (1793), tuttavia le conclusioni finali di quest’ul-tima verranno riprese e nuova-mente affrontate nello scritto del 1795, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo. Ed è proprio a quest’opera che occorre adesso prestare particolare attenzione.

In questo testo, infatti, il poeta affida proprio al bello il compito di sostituire al dominio dell’utile il primato della libertà, raggiun-gibile solo in virtù dell’ arte e non mediante rivoluzioni politiche. Il termine scissione si riferisce alla frammentarietà a cui è costretto l’io dell’individuo, continuamen-te diviso e “strattonato” da impul-si della più varia natura e dun-que contrastanti l’uno con l’altro: è questa l’essenza della società moderna, radicalmente opposta all’armonia che nel mondo greco regnava tra sensibilità e spiritua-lità, intimamente legate da una reciproca concordia, e identifica-bile in fondo, agli occhi dei classi-ci, con la natura stessa. Tuttavia il progresso culturale comporta di norma l’accentuazione della

capacità che l’intelligenza ha di scindere ogni aspetto della re-altà e conseguentemente della conoscenza: è questo l’inevita-bile prezzo da pagare in cambio dei passi avanti che l’umanità nei secoli ha prodotto, e che del resto non avrebbe potuto compiere al-trimenti. Si tratta ora di vedere se e in che modo sia possibile non tanto il ritorno a un passato vi-sto con gli occhi della nostalgia, quanto piuttosto il superamento di questa frammentazione che assorbe ormai ogni aspetto della realtà, e che produce atomismo sociale, divide il mezzo dallo sco-po e il piacere dal lavoro, separa cittadini e governo, e così via. L’unica strada percorribile agli occhi di Schiller è l’educazione estetica o del sentimento, la qua-le, nobilitando il carattere me-diante la ridefinizione degli spazi da attribuirsi rispettivamente all’ istinto sensuale e all’istinto for-male, garantisce ad essi eguale dignità e restituisce all’essere umano quell’armonia delle facol-tà che ormai sembrava perduta, influendo in tal modo sulle sorti stesse della politica, nel miglio-rarne struttura e funzionamento. L’arte, per sua natura libera e por-tatrice essa stessa di libertà, non può per definizione essere asser-vita al potere politico (quantome-no in linea di principio!), ma deve poter influire positivamente sulla sua organizzazione e armonizza-re in tal modo il funzionamento complessivo dell’intera società.

L’arte realizza così l’essenza più propria dell’essere umano, re-stituendogli quella libertà che sola è in grado di elevarlo a una dimensione autenticamente morale e che come tale trascen-de la sfera delle scissioni pro-dotte dall’avvento della società moderna. Francesca Adriano

FILOSOFIA Friedrich Schiller e l’età della scissione

L’educazione estetica dell’uomo

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6|L’ALCAZAR

Le Idi di marzo è un thriller poli-tico che, oltre ad avere una trama avvincente e ben costruita, offre più di uno spunto di riflessione sullo stato comatoso in cui versa la politica oggi, in America come anche in Italia. I protagonisti sono Mike Morris (interpretato da Ge-orge Clooney che del film è anche il regista) e Stephen M e y e r s (Ryan Go-sling). Que-sta la trama.

Mike Morris è il gover-natore della Pennsylva-nia ed è in corsa per la nomination democratica alla presi-denza degli Stati Uniti d’America.

S t e p h e n Meyers è il suo addetto stampa. Sul lavoro è un talento: giovane, brillante e argu-to, giorno dopo giorno conquista, nell’ambiente degli spin doctor, la fama di enfant prodige. La politica è la sua ragione di vita. Ama quello che fa al punto che ne dipende. Se non facesse politica, sarebbe per-so, senza più un senso verso cui orientare la sua esistenza. Nella politica crede ciecamente, senza riserve. Nutre, nei confronti della politica, la fiducia del ragazzino in-namorato che non riesce a trova-re un difetto nella donna che ama.

Ha successo anche con le donne. Durante la campagna elettorale, conosce e va a letto con Molly, una delle stagiste che seguono Morris nel corso delle primarie. La rela-

zione prosegue finché Stephen non scopre che Molly si scopa-va Morris ed era rimasta incinta. Profondamente ferito dalla notizia e nel contempo deluso dal com-portamento del suo candidato che credeva persona trasparente e ir-reprensibile, sceglie comunque di aiutare la ragazza ad abortire e di

non rivelare a nessuno quello di cui era venuto a conoscenza.

Nei giorni che pre-c e d o n o i caucus dell ’Ohio, contattato dal respon-sabile della campagna dell’avversa-rio di Mor-ris, accetta di incontrar-lo in segre-to. Duffy gli propone di lavorare per loro ma Ste-

phen rifiuta. Poi, preso dai sensi di colpa per aver contravvenuto alla regola che vieta la conni-venza con l’avversario, decide di rivelare al suo capo, Paul Zara, il contenuto dell’incontro. Sembra che il ravvedimento di Stephen metta la parola fine all’incre-sciosa vicenda. Ma Paul prima rivela alla stampa dell’incontro, poi, davanti ad uno Stephen in-credulo e in lacrime, lo licenzia.

In preda alla collera, Stephen è fuori di sé. Sotto la minaccia di ri-velare la relazione extraconiuga-le con Molly, ottiene da Morris la testa di Paul Zara che sostituisce come responsabile della campa-gna. Nel frattempo, però, Molly,

temendo che Stephen vada fino in fondo, si suicida. Di lì a poco, se-guendo i consigli di Stephen, Mor-ris diventa il candidato democrati-co alla presidenza degli Stati Uniti. L’annuncio della vittoria spetta a Stephen che è pronto a rilasciare un’intervista per un’emittente te-levisiva. Ma il film si chiude prima di poter sapere cosa Stephen dirà.

Così, dalle atmosfere ovattate e cariche di buoni sentimenti che fanno da sfondo alla competizione elettorale, il giovane Stephen pre-cipita rovinosamente nella realtà della politica. La politica lo ha tra-dito, illudendolo che possa essere diversa da quello che in realtà è: cinica, spietata, senz’anima. Qui le miserie umane si affollano. Ar-rampicatori sociali, bari, mentitori di professione, disinibite stagiste che spacciano amore per denaro o potere, armadi che strabordano di scheletri, mediocri elevati al ran-go di migliori e migliori degradati alla parte di comparse, invidiosi, relazioni torbide e teste vuote.

La prova più dura, per Stephen, è resistere alla delusione e non essere travolto dal moto tumul-tuoso delle passioni. Nella tela del ragno, inevitabilmente, ci finisce anche lui. Ma, mentre la pancia lo induce alla vendet-ta, resta, in fondo al suo cuore, l’inconscio desiderio di rendere giustizia a chi, ingenuamente ma con sincerità, si è donato alla politica con autentica passione.

Il destino dei sognatori, in politica, è la sconfitta. Perdono perché non sono capaci di rinnegare se stessi.

Stephen Meyers è un sognato-re. La vittoria di Stephen è nelle parole che non ha detto ma che possiamo immaginare. Perché, in fondo, lui, come noi, non ha mai smesso di credere. Giulio Uras

CINEMA Un film che insegna a sopravvivere alla politica

Le Idi di Marzo

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L’ALCAZAR|7

Dalla Chiesa al referendum sul-la legge elettorale, dalla Grecia al senso della vita, il Molleggia-to non ha risparmiato niente e nessuno. Atteso e annunciato fin dall’inizio della puntata, Celen-tano ha pontificato per sessanta minuti intervallati dai suoi noiosi silenzi e qualche break musicale in una scenografia che ricorda uno scenario bellico ma (guarda caso) anche la copertina del suo ultimo album “Facciamo finta che sia vero”. I brani musicali, tra cui uno in inglese-celentanesco, face-vano tirare un sospiro di sollievo illudendoci di essere arrivati alla fine, invece no, riprendeva il suo sermone delirante. I primi e facili bersagli sono la Chiesa e i preti, escluso l’amico Don Andrea Gallo il quale ringrazia con una nota su Facebook e apprezza la sua ome-lia definendola “una puntuale lezione sul concetto della morte corporale”, ma la stoccata è con-tro Famiglia Cristiana e Avvenire auspicando una chiusura defini-tiva delle testate. Parole forti da parte di un detentore di democra-zia e libertà di espressione. E par-

la di ipocrisia, lui, il ragazzo della via Gluck che si spende in difesa dell’ambiente ma che un anno fa, per puntiglio, declina l’invito alla trasmissione di Vittorio Sgarbi per un intervento sulla salvaguardia del paesaggio. Non manca la nota romantica sulla vita e la morte, il paradiso e cristiani e musulmani che ballano il tango della felici-tà, pena di morte e Gesù: delira.

Ma tutto questo farneticare cosa c’entra con la musica? Nulla. La prima puntata del Festival è stata evidentemente cucita attorno al superospite con il solo ed unico intento di sbancare gli ascolti re-gistrando il 48% di share a sca-pito della musica e degli artisti.

Le polemiche erano già scop-piate contro l’eccessivo compen-so destinato al Molleggiato, ben 350.000 euro a serata, dei quali 200.000 euro verranno incassati da Emergency e i restanti 500.000 euro saranno devoluti a sette co-muni, o meglio, sette sindaci che a loro volta li destineranno a fa-miglie che vivono in condizioni di povertà. I sindaci scelti (non a

caso) sono: Giuliano Pisapia, Fla-vio Tosi, Matteo Renzi, Gianni Ale-manno, Luigi De Magistris, Mi-chele Emiliano e Massimo Zedda. Intanto il sindaco di Cagliari ren-de noto che il compenso andrà all’Assessorato dei Servizi Sociali intitolando l’iniziativa “I passi che facciamo”, titolo di una canzone dello stesso Celentano. Tutto an-nunciato in pompa magna, tant’è che anche Le Monde lo pizzica per messa in scena di generosi-tà. In realtà l’atto di beneficienza è di tutti i cittadini che pagano il canone Rai e che non avrebbero elargito un compenso così spro-positato e nemmeno scelto come destinataria l’associazione di Gino Strada. Così la Rai da ente pubblico, si traveste da azienda privata e sceglie di sperperare i soldi pubblci per un tale che va-neggia su temi di cui non ha nes-sun titolo per parlare. Insomma, che il Molleggiato torni ad esse-re cantante e si esibisca piuttosto in un Prisincolinensinainciusol bis dato che il suo nonsense ac-contenta tutti. Daniela Fanari

TELEVISIONE La beneficienza del Molleggiato con i soldi nostri

Celentano, poco show molto biz

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