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L’accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore nella disciplina del sovraindebitamento A cura di Nicola Vezzani www.ilsovraindebitamento.it

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L’accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore nella disciplina del sovraindebitamento

A cura di Nicola Vezzani

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Alessandro Torcini
Timbro

 

Indice

L’accordo di composizione della crisi e il piano del

consumatore nella disciplina del sovraindebitamento

Introduzione …………………………………………………………. 1

Capitolo primo

Aspetti generali della disciplina

1.1 La nascita della disciplina e il suo iter formativo ……………….. 7

1.2 Sovraindebitamento e Consumatore: finalità, iniziativa

e definizioni ……………………………………………………. 14

1.3 Ambito di applicazione e presupposti di ammissibilità .............. 23

1.4 L’organismo di composizione della crisi ..................................... 27

Capitolo secondo

L’accordo di composizione della crisi

2.1 Il contenuto dell’accordo ............................................................. 35

2.2 Il deposito della proposta e la documentazione allegata ............... 43

2.3 Il procedimento ............................................................................ 48

2.4 Raggiungimento e omologazione dell’accordo ........................... 53

2.5 Esecuzione dell’accordo .............................................................. 63

2.6 Patologia dell’accordo: impugnazione e risoluzione ................... 67

Capitolo terzo

Il piano del consumatore

3.1 Accordo e piano del consumatore: le due procedure

a confronto ................................................................................... 77

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3.2 Procedimento e omologazione del piano del consumatore .......... 81

3.3 La revoca e la cessazione degli effetti dell’omologazione

del piano del consumatore ........................................................... 92

3.4 Omologa e revoca del piano del consumatore: analisi

di un caso reale e successive osservazioni ................................... 94

Appendice normativa

Legge 27 gennaio 2012 n. 3

Capo I – Modifiche alla legislazione vigente in materia di

usura e di estorsione ......................................................................... 101

Capo II – Procedimenti di composizione della crisi da

sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio ...................... 108

Capo III – Entrata in vigore ............................................................. 139

Bibliografia

Riferimenti dottrinali ....................................................................... 140

Riferimenti giurisprudenziali ........................................................... 144

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Alessandro Torcini
Casella di testo
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  1  

Introduzione

La necessità di una disposizione che regolasse l’insolvenza del

soggetto non fallibile.

La crisi economica, che produce i suoi effetti, in particolare, sulla

vulnerabilità finanziaria delle famiglie e delle imprese, ha evidenziato

con maggiore intensità i fenomeni del sovraindebitamento delle

famiglie e, in generale, dell’insolvenza civile. La disciplina oggetto del

presente elaborato è diretta al tentativo di porre rimedio all’eccessiva

esposizione debitoria del consumatore, all’erosione delle disponibilità

economiche dei nuclei familiari e, quindi, all’incapacità di molti di tali

soggetti, di adempiere i propri obblighi finanziari.

L’attuale situazione economica ha fornito al legislatore forti

impulsi per colmare il deficit normativo vigente nel nostro paese

riguardo il problema del sovraindebitamento di tutti quei soggetti

esclusi dall’ambito di applicazione della legge fallimentare. Così nel

2012 anche l’Italia si è finalmente dotata di una disciplina legislativa

volta a favorire il superamento mediante composizione delle crisi e

delle insolvenze dei soggetti non fallibili, riproducendo istituti simili a

quelli introdotti con la riforma della normativa fallimentare. Il nostro

paese, dopo che anche la Grecia nel 2010 aveva colmato questo tipo di

lacuna nel proprio ordinamento giuridico, era rimasto l’unico a non

avere una legislazione a tal fine destinata. Per comprendere meglio il

ritardo nel munirsi di una disciplina che consentisse ai soggetti non

fallibili l’accesso a una procedura concorsuale, basti sapere che allo

stato attuale solamente pochi paesi al mondo non ne sono dotati:

Bulgaria, Cina, Ucraina, Ungheria, Vietnam ed alcuni paesi del sud

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America. Al tempo stesso i paesi anglosassoni hanno visto nascere le

prime forme di tale disciplina già nei secoli precedenti: infatti,

l’Inghilterra ne è dotata già dal 1705 e gli Stati Uniti dal 18411.

Il dibattito sulla necessità di introdurre nel nostro ordinamento

una procedura di regolazione dell’insolvenza civile, da affiancare alle

esistenti procedure concorsuali destinate agli imprenditori commerciali,

si è intensificato negli ultimi anni in ragione del progressivo

indebitamento di privati e famiglie, derivante dal ricorso crescente e

sistematico al credito al consumo, caratterizzato a sua volta dalla

destinazione di flussi reddituali futuri al rimborso del debito. Il credito

al consumo, a partire dagli anni ottanta ad oggi, si è imposto come

fenomeno di tendenza che ha interessato ogni settore dell’economia,

sino a divenire un fenomeno di massa. Tale fenomeno appare, oggi,

maggiormente evidente rispetto al passato ed è strettamente legato ad

una modificazione dello stile di vita e di consumo della società. L’art.

2740 c.c. prevede che il debitore risponda dell’adempimento delle

proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Tuttavia,

l’imprenditore commerciale può liberarsi dei propri debiti non

soddisfatti presentando una proposta di concordato preventivo o

fallimentare, e nel caso sia imprenditore individuale accedendo

all’istituto dell’esdebitazione2; mentre ai privati, fino all’introduzione

della disciplina oggetto del presente elaborato, non veniva concessa la

medesima opportunità3. Naturalmente il deficit normativo era evidente

già prima del manifestarsi dell’attuale situazione economica, la quale

                                                                                                               1 MICHELOTTI, Le funzioni dei professionisti e degli organismi di composizione della crisi nelle procedure di sovraindebitamento, ODCEC Pistoia, 2014. 2  L’istituto dell’esdebitazione, ex art. 142 l.f., consente al fallito, ove ricorrano determinate condizioni, di cancellare i debiti che non hanno trovato soddisfazione in ambito concorsuale.  3 GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, 21.

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non ha fatto altro che dare maggior rilievo alle problematiche in

oggetto. Considerando quindi come siano notevolmente modificate le

abitudini di consumo della società, si comprende come il credito al

consumo sia diventato il volano dell’economia, consentendo la

realizzazione di due obiettivi: l’aumento della produzione di beni e di

scambi, e la maggiore percezione di benessere da parte degli individui,

derivante dalla dilazione nel tempo delle spese sostenute. Proprio

quest’ultimo aspetto offre ai soggetti una capacità di acquisto sempre

maggiore, permettendo al consumatore di sostenere le proprie spese

tramite finanziamenti; basti pensare, ad esempio, alle modalità di

dilazione praticate da grandi catene di distribuzione o dalle case

automobilistiche. Il credito al consumo, quindi, consente l’immediata

acquisizione di beni e servizi, rinviando l’esborso monetario al

momento in cui il soggetto ha una maggiore disponibilità economica.

In questo contesto si collocano le banche e le finanziarie attraverso la

predisposizione di contratti di finanziamento proposti direttamente dal

venditore. L’operazione presenta indubbi vantaggi per ciascuno dei

soggetti coinvolti nell’operazione, infatti: al venditore è assicurato

l’assorbimento della merce, il consumatore ottiene l’acquisizione

immediata del bene e, il finanziatore persegue profitti attraverso

l’operazione di prestito4. La società in cui viviamo può essere così

definita come credit society, la quale si contrappone alla cash society,

incentrata sulla figura del consumatore-pagatore e, nella quale gli

individui per le proprie attività ricorrevano al finanziamento in misura

marginale, preferendo chiedere aiuto, in caso di mancanza di liquidità,

a familiari o amici. In passato si ricorreva al credito quasi

esclusivamente per l’attività imprenditoriale, poiché gli istituti di

credito confidavano nel patrimonio o nelle capacità dell’imprenditore.                                                                                                                4 G. PIEPOLI, Il credito al consumo, Napoli, 1974, 27.

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  4  

Oggi si è delineata una situazione tale per cui anche il consumatore più

avveduto potrebbe trovarsi in una situazione di eccessivo

indebitamento confidando sulle proprie capacità future di reddito. Non

vi è dubbio quindi che il costante ricorso al credito sia tra le cause

primarie dell’indebitamento, il quale tuttavia deve essere tenuto distinto

e separato dal sovraindebitamento, che è dovuto ad una causa

sottostante che rende eccessivamente elevato l’indebitamento rispetto

alle mutate condizioni economiche del debitore.

Le problematiche concernenti l’evolversi del credito al consumo e

al conseguente diffondersi del fenomeno del sovraindebitamento, non

sono state prese in considerazione dal nostro legislatore nel momento

in cui è stata riformata la legge fallimentare. L’introduzione d’istituti

quali gli accordi di ristrutturazione e l’esdebitazione, furono

inizialmente concepiti per essere applicati esclusivamente ai soggetti

che avevano i requisiti per accedere alla disciplina fallimentare. Proprio

dall’introduzione di quest’ultimo istituto all’interno della legge

fallimentare, che consentiva la liberazione del debitore fallito da tutti i

suoi debiti pregressi rimasti insoddisfatti, ha tratto nuova linfa il

dibattito dottrinario relativo alla opportunità, o meno, di consentire

anche a coloro che non erano assoggettabili alla disciplina fallimentare

la possibilità di accedere al c.d. fresh start5. Questa distinzione tra

insolvenza del debitore civile e debitore commerciale, e quindi la

limitazione soggettiva del fallimento ai soli commercianti o

imprenditori dimensionati, ha origine dal codice di commercio

napoleonico del 1807, in cui si faceva riferimento al fallimento del

debitore commerciale che cessa i pagamenti6. Essendo questo codice

                                                                                                               5 D. BENINCASA, Composizione della crisi da sovraindebitamento. L’istituto in rapporto alle procedure concorsuali, in Temi Romana. 6 D. SPAGNUOLO, L’insolvenza del consumatore, in La nuova legge fallimentare “rivista e corretta”, 2008, 441.

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stato utilizzato come modello, si comprende il motivo per il quale le

procedure concorsuali, fino ad oggi, si ritenevano applicabili solamente

a soggetti che possedevano le caratteristiche di imprenditore o

commerciante. In verità, l’opportunità di sottoporre alla procedura

fallimentare ogni debitore insolvente fu oggetto di un acceso dibattito

già nella fase della redazione del codice di commercio italiano del

1882. Tuttavia prevalse l’opinione di escludere il debitore civile in

quanto la legge stessa, come indicato nel titolo, disciplinava il settore

commerciale. Anche la successiva codificazione e la legge fallimentare

del 1942 conservarono questa caratteristica, sia per continuità con la

tradizione storica, sia come riconoscimento dell’importanza

fondamentale dell’economia industriale e commerciale7. Nel corso

degli anni più volte è stato richiesto un intervento della Corte

Costituzionale in merito, la quale ha sempre affermato che l’insolvenza

civile produce effetti pregiudizievoli solo per singoli rapporti

obbligatori, mentre quella commerciale si ripercuote sul sistema più in

generale8. Oggi tali argomentazioni, alla luce anche della mutata realtà

                                                                                                               7 così, ancora, D. SPAGNUOLO, op. cit., p. 443 ss. 8 Sul punto si riportano alcune sentenze della Corte Costituzionale: C. Cost., 23 marzo 1970, n. 43, in Foro it., 1970, I, 1017. “… nell’assoggettare alle procedure del fallimento gli imprenditori commerciali e non la generalità dei cittadini, la legge ha avuto riguardo alla natura dell’attività da essi esercitata, giacché lo svolgere attività organizzata in impresa costituisce una situazione obbiettivamente diversa da quella di chi svolge una attività di diverso tipo, e non è irrazionale l’avere limitato alla prima la disciplina concorsuale, né sono arbitrari i motivi di tale limitazione”. Secondo la corte, la diversa condizione dell’imprenditore rispetto al debitore civile, riposa sulla considerazione che l’insolvenza civile produce effetti pregiudizievoli solo per singoli rapporti obbligatori, mentre il dissesto commerciale si ripercuote sul sistema dei traffici più in generale, determinando, così, pregiudizio al ceto dei creditori, al sistema creditizio ed al fondamento della vita del commercio. C. Cost., 16 giugno 1970, n. 94, in Giur. Comm., 1970, III, 308. “… svolgere attività commerciale organizzata ad impresa costituisce una situazione obiettivamente diversa da quella di chi svolge un’attività di diverso tipo, e non è irrazionale l’aver limitato alla prima la disciplina concorsuale, né sono arbitrari i motivi di tale limitazione”.

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economica e della nuova disciplina, appaiono poco convincenti e

superabili.

Nel corso della prima parte di questo elaborato sarà illustrato

rapidamente il travagliato iter di formazione della legge e i principali

aspetti della disciplina, ponendo l’attenzione nella seconda parte in

particolare alla procedura dell’accordo di composizione della crisi e al

piano del consumatore, il quale rispetto all’accordo ne è un

sottoinsieme. Questa normativa è coerente con la necessità di attribuire

alle procedure di insolvenza del debitore non soggetto all’applicazione

della legge fallimentare, l’opportunità di beneficiare del fresh start,

cioè di ripartire da zero e ottenere nuovamente un ruolo attivo

nell’economia, senza il peso delle situazioni debitorie pregresse. Infatti

nel caso delle persone fisiche la responsabilità patrimoniale è

potenzialmente perpetua, in considerazione della possibilità dei

creditori di soddisfarsi anche sui beni e crediti futuri del debitore9: vi è,

quindi, il rischio che le persone fisiche si trovino costrette a convivere

per larga parte della loro esistenza con il peso di un insopportabile ed

irresolubile indebitamento.

                                                                                                                                                                                                                                                                                             C. Cost., 27 luglio 1982, n. 145, in Foro it., 1982, I, 3006. Il diverso trattamento fatto all’insolvenza commerciale e all’insolvenza civile sfugge al giudizio di conformità ai principi costituzionali, riservato al giudice dalle leggi, per rientrare nell’aria di scelte discrezionali proprie del legislatore. 9 così L. STANGHELLINI, Fresh Start: implicazioni di policy, in An. Giur. Ec., 2004, 2, 443.

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Capitolo primo

Aspetti generali della disciplina

1.1 La nascita della disciplina e il suo iter formativo.

La legge n. 3 del 2012, successivamente modificata con il d.l. 18

Ottobre 2012 n. 179 (decreto Sviluppo Bis, convertito nella l. 221 del

17 Dicembre 2012) ha, per la prima volta, introdotto nel nostro

ordinamento procedure di esdebitazione destinate a tutti quei soggetti

che non possono accedere alle procedure concorsuali1 previste dalla

Legge Fallimentare.

La Legge Fallimentare, disciplinata dal r.d. 16 marzo 1942, n.

267, fu emanata in un contesto socio economico nel quale le

dimensioni delle imprese erano contenute, le dinamiche commerciali

più locali e l’impresa era concepita come un bene prettamente

dell’imprenditore. Tale legge inoltre non era proprio compatibile con

molti principi costituzionali: si trattava, infatti, di una disciplina che

privava il fallito di diritti che poi la costituzione ha garantito, come ad

esempio il diritto di voto. Agli inizi degli anni ’80, si è iniziata a sentire

la necessità di apportare delle modifiche alla disciplina fallimentare, in

modo da renderla maggiormente aderente alla realtà socio economica.

Dopo vari tentativi finalmente si è giunti, a partire dal 2005, ad una

riforma organica della materia. Durante i lavori preparatori alla

riforma, la Commissione Trevisanato prese in considerazione una                                                                                                                1 Per procedure concorsuali si intendono: fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria. In dottrina, alcuni autori escludono dalle procedure concorsuali gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il piano attestato di risanamento e la transazione fiscale ex art. 182-ter.

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procedura che si rivolgeva a tutti i debitori civili non fallibili, inclusi i

piccoli imprenditori. Si trattava di un accordo di ristrutturazione

concordato con tutti i creditori e in caso di sua mancanza,

l’applicazione di una liquidazione dei beni semplificata a carattere

esdebitatorio per il debitore meritevole. In seguito però, la

Commissione Trevisanato-bis prese ugualmente in considerazione i

debitori civili, imprenditori e non, ma pose come possibilità di accesso

alla procedura, tre soglie dimensionali. Pertanto, nei lavori preparatori

si pose il problema dell’applicazione di meccanismi di esdebitazione

anche a favore dell’insolvente civile, ma infine si scelse di mantenere

la distinzione tra le due procedure e di applicare ai soli soggetti fallibili

questi istituti di favore, adducendo quale motivazione che si era fuori

dai limiti della delega. Così a seguito della riforma, l’imprenditore

commerciale non soggetto al fallimento e al concordato preventivo è

individuato in base agli investimenti e ai ricavi. Ai sensi dell’art. 1 l.f.2

non sono assoggettabili al fallimento e non possono far ricorso alla

procedura di concordato preventivo3: gli enti pubblici, coloro che non

                                                                                                               2  Art. 1 l.f. – Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.

3  In realtà l’art. 1 deve considerarsi esteso anche ai piani di risanamento e agli accordi di ristrutturazione dei debiti, perché entrambi perseguono l’obiettivo dichiarato dal legislatore di prevenzione del fallimento; sarebbe dunque impensabile

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rivestono la qualifica di imprenditori commerciali, gli imprenditori

commerciali “sotto soglia”.

In realtà, già prima della riforma del diritto fallimentare furono

presentati dei progetti legislativi in tema d’insolvenza civile. Il primo

fu quello depositato da Adiconsum presso il CNEL nel 20014, il quale

al fine di porre in essere una soluzione per i debiti contratti per scopi

non estranei ai bisogni della famiglia, faceva riferimento ad un

procedimento concordatario. Nella proposta Adiconsum forniva anche

una definizione di sovraindebitamento, inteso come una situazione di

difficoltà finanziaria, non temporanea, ad adempiere le obbligazioni

assunte.

Il secondo progetto, fu presentato dal gruppo dei D.S. alla Camera

dei Deputati nel 2004 e, prevedeva la possibilità per le persone fisiche,

anche non imprenditori, di ottenere l’esdebitazione o attraverso un

sistema di regolazione dei debiti approvato dalla maggioranza dei

creditori, ed omologato dal giudice; oppure mediante la liquidazione

concorsuale dell’intero patrimonio, affidato ad un curatore di nomina

giudiziale. In alternativa era prevista la possibilità di attivare una

preventiva procedura stragiudiziale da promuovere con istanza rivolta

ad un’apposita commissione5.

Tuttavia, nonostante la presentazione di questi primi progetti,

saranno necessari ancora alcuni anni, affinché nel nostro ordinamento

vengano introdotte le prime tutele a favore dei soggetti non fallibili.

                                                                                                                                                                                                                                                                                             che questi istituti siano destinati a soggetti non fallibili. Tuttavia è prevista un’eccezione, rappresentata dall’estensione dell’accordo di ristrutturazione all’imprenditore agricolo, soggetto non fallibile. 4 ADICONSUM, Proposta di legge sul concordato dei creditori di persone fisiche insolventi, 2011. Tale progetto richiedeva la valutazione della meritevolezza del debitore, l’accettazione di almeno il 50% dei creditori e la presenza di una commissione che aveva il compito di gestire la procedura. 5 Disegno di legge presentato dall’On. Fassino il 20 luglio 2004, n. C/5171 per la “delega al Governo per la riforma delle procedure della crisi di impresa”.

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Infatti, a seguito della riforma della legge fallimentare, la dottrina

rimproverava al legislatore, tra i vari aspetti, di non aver previsto un

procedimento di allerta o di prevenzione della crisi e di non aver esteso

la possibilità di fare ricorso a procedure di tipo concorsuale agli

imprenditori agricoli e, più in generale, al debitore civile. In particolare

quest’ultimo aspetto era indicato, da taluni soggetti, come il motivo

principale per il quale era ventilata la possibilità di una pronuncia di

incostituzionalità delle nuove disposizioni, per violazione del principio

d’uguaglianza. Ciò derivava dal fatto che la possibilità di ottenere la

soluzione della crisi e l’esdebitazione, era riservata solamente ad

alcune categorie di soggetti, e non ad altre. La crisi economica e il

conseguente indebitamento delle famiglie non hanno fatto altro che

ritenere sempre più urgente la necessità di trovare una soluzione a

quest’aspetto, portandolo alla ribalta dell’opinione pubblica e rendendo

necessaria la ricerca di una soluzione che impedisse l’emarginazione di

tali soggetti e migliorasse gli strumenti di protezione contro l’usura. E’

emersa sempre più insistentemente la necessità di sottrarre, dalle

esecuzioni da parte dei creditori e dalla stretta creditizia, quei soggetti

che, per loro natura o per dimensioni, non potevano conseguire una

soluzione per affrontare la situazione debitoria in cui si trovavano.

Hanno così avuto origine una serie d’iniziative parlamentari incentrate

principalmente su due aspetti: il sovraindebitamento del debitore civile

e l’esdebitazione del consumatore6.

L’iter di formazione di questa legge è stato molto travagliato e,

                                                                                                               6 G. TERRANOVA, La composizione della crisi da sovraindebitamento: uno sguardo d’insieme, in Composizione della crisi da sovraindebitamento, Il Civilista, 2012, 7. Il sovraindebitamento dei debitori civili è un tema che riguarda tutti quei soggetti sottratti alle procedure concorsuali, compresi i piccoli imprenditori e gli imprenditori agricoli. L’esdebitazione del consumatore, invece, interessa le persone fisiche divenute insolventi per debiti assunti nello svolgimento di attività non professionali.

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solo recentemente, può dirsi raggiunta una disciplina completa.

Una prima iniziativa in tema di composizione della crisi da

sovraindebitamento si ritrova nel disegno di legge 307-B7 presentato

dal senatore Centaro, nell’ambito dei provvedimenti in materia di

usura, approvata dal Senato della Repubblica che, però, non ha mai

terminato il proprio iter parlamentare.

Il corpus normativo di quel provvedimento fu utilizzato quale

struttura portante delle disposizioni contenute nel capo I del decreto

legge 22 dicembre 2011, n. 212, rubricato “Disposizioni urgenti in

materia di composizione della crisi da sovraindebitamento e disciplina

del processo civile”, con le quali è stato introdotto nel nostro

ordinamento, con legislazione d’urgenza, un sistema di composizione

della crisi che riguardava soggetti diversi dagli imprenditori fallibili. Il

Governo, infatti, riteneva sussistenti i motivi di urgenza propri dello

strumento normativo adottato, in quanto la necessità di disciplinare

l’insolvenza di tali soggetti era considerata una questione non più

rimandabile, sia alla luce della realtà socio economica, sia per

l’allinearsi agli altri paesi europei, i quali già disponevano di una tale

normativa. L’introduzione da parte del Governo della procedura di

composizione della crisi da sovraindebitamento con il d.l. 212/2011 ha

sollecitato l’approvazione della proposta di legge che è stata

definitivamente approvata con la legge 27 gennaio 2012, n. 3.

La legge 3/2012 aveva come finalità quella di porre rimedio alle

situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle

                                                                                                               7 Si tratta del così detto “disegno di legge Centaro”, dal nome del parlamentare proponente, approvato all’unanimità dal Senato della Repubblica il primo aprile 2009, e licenziata dalla Camera dei Deputati con modificazioni, il 26 novembre 2011, avente ad oggetto “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”. Con esso si inizia ad affrontare il problema dell’insolvenza civile e si predispongono dei rimedi finalizzati ad evitare il ricorso a forme di finanziamento illecite, come l’usura.

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procedure concorsuali, attraverso la possibilità data al debitore di

concludere un accordo con i creditori, e quindi di fornire uno strumento

di risoluzione delle crisi del debitore civile. Tuttavia tale legge, nella

sua stesura iniziale, non era idonea ad offrire una risposta efficiente a

tali situazioni, tant’è che in diversi tribunali è emersa la sua

inutilizzazione8.

                                                                                                               8 Ciò è riscontrabile dalla relazione illustrativa all’art. 18 della bozza di decreto, in cui si legge che “I dati in merito al numero delle procedure pendenti o già definite in sede giudiziale ai sensi della legge 3/2012, sono i seguenti: nessun procedimento pendente presso i tribunali di Milano, Torino, Bari, Brindisi, Pavia; un solo ricorso presentato al tribunale di Roma ed a quello di Firenze.” Riguardo alle difficoltà di applicazione della prima versione della disciplina si veda quale autorevole dottrina: M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in Il Caso.it, 2012. L’opzione di fornire al debitore civile uno strumento di regolazione del suo indebitamento con forme più articolate del processo esecutivo individuale era decisamente opportuna, forse tardiva visto il panorama internazionale sia continentale sia anglosassone. Tuttavia la soluzione adottata nella prima versione della legge è stata declinata con modalità tali che facevano fin da subito dubitare riguardo un impatto positivo sul sistema, aldilà delle lodevoli intenzioni. Il vero handicap derivava da due contaminazioni: i) in un unico contesto era stata strutturata la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento sia per l’imprenditore non fallibile che per il consumatore secondo modalità operative pienamente omogenee, quando è evidente che questa omogeneità non sussiste: basti considerare che nell’organizzazione di un’impresa, anche piccola, un fattore molto importante è costituito dal lavoro dipendente; ii) il procedimento configurato risultava essere una specie di compromesso fra il concordato e gli accordi di ristrutturazione, più con le reciproche debolezze che con le reciproche forze. A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, 21-22. La previsione di un’unica procedura per superare sia l’insolvenza civile, sia l’insolvenza commerciale presenta alcuni profili problematici che derivano dalla non assimilabilità tra l’insolvenza del debitore civile, che è di norma caratterizzata dal concetto statico di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., con l’insolvenza dell’imprenditore non fallibile, che è invece caratterizzata dall’incapacità del debitore, anche di matrice finanziaria e prospettica, di pagare regolarmente i propri debiti attraverso l’efficiente utilizzo della propria azienda. Il legislatore, evidentemente, aveva inizialmente inteso disciplinare con un unico provvedimento tutti i fenomeni di insolvenza non regolabili attraverso le procedure concorsuali, accorpando nella medesima disciplina fattispecie non sempre paragonabili e sacrificando, in parte, la coerenza delle specifiche disposizioni sull’altare dell’universalità dei destinatari. R. D’AMORA, Aristotele, Holmes e i creditori estranei (note a margine della legge n. 3 del 2012), 2012. Secondo l’autore sin dalle prime letture della procedura di cui

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  13  

A ciò ha inteso porre rimedio il corpo di modifiche di cui al

decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con legge 221/2012,

in vigore dal 18 gennaio 2013, che di quelle criticità, interpretative o

normative che fossero, si è dato carico. L’obiettivo quindi delle

modifiche apportate è quello di aumentare l’efficacia della disciplina e

consentire al debitore civile di beneficiare di questo strumento

innovativo per il nostro paese.

Con tali modifiche il governo ha optato per una normativa con

caratteristiche concorsuali con effetti esdebitativi, cambiando quasi

completamente la disciplina del sovraindebitamento, introducendo

nuovi provvedimenti ed istituti e, modificando la struttura del capo II

ora rubricato “Procedimenti di composizione della crisi da

sovraindebitmento e di liquidazione del patrimonio”. Tale capo è

suddiviso in tre sezioni, la prima intitolata “Procedure di composizione

della crisi da sovraindebitamento” ha ad oggetto: le disposizioni

generali; l’accordo di composizione della crisi; il piano del

consumatore; l’esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo di

composizione della crisi e del piano del consumatore. La seconda

sezione è invece rubricata “Liquidazione del patrimonio” e disciplina la

liquidazione dei beni e l’esdebitazione; la terza sezione, infine, è

intitolata “Disposizioni comuni” e tratta gli organismi di composizione

della crisi e le sanzioni9.

Alla luce del nuovo assetto normativo emerge con chiarezza la

                                                                                                                                                                                                                                                                                             alla legge 3/2012, i fantasmi dell’inutilità e la delusione per anni di attese aleggiavano sulla disciplina. Per d’Amora le ragioni dell’insuccesso risalgono non tanto alla patologia della norma, quanto alla sua interpretazione. 9 Per espressa previsione normativa, il testo modificato della legge 3/2012 si applica ai procedimenti instaurati dal trentesimo giorno successivo a quello della data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 18 ottobre 2012, 179. Considerato che la legge 221/2012, con la quale è stato convertito il d.l. 179/2012, è entrata in vigore il 19 dicembre 2012, le nuove disposizioni si applicano pertanto ai procedimenti instaurati dal 18 gennaio 2013.

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  14  

scelta del legislatore che, di fronte alla crisi e all’insolvenza del

debitore, ha predisposto due comparti normativi tra loro alternativi, ma

complementari: da un lato le imprese commerciali non sotto soglia,

destinatarie della normativa prevista dalla legge fallimentare, e

dall’altro, tutti gli altri debitori, destinatari delle disposizioni sul

sovraindebitamento, tra cui le imprese agricole, quelle commerciali

sotto soglia, le start-up, gli insolventi e i sovraindebitati civili, quali i

professionisti, i consumatori, i garanti e gli enti privati non

commerciali10. Il legislatore ha dunque ritenuto opportuno di migliorare

l’originaria procedura, aggiungendo un procedimento alternativo

dedicato ai consumatori e un autonomo procedimento volontario di

liquidazione, cui possa seguire un effetto esdebitatorio.

1.2 Sovraindebitamento e Consumatore: finalità, iniziativa e

definizioni.

Con il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 è stata modificata la rubrica

dell’art. 6 della disciplina in “Finalità e definizioni”. La modifica è

stata necessaria poiché è stato modificato il secondo comma, il quale

ora prevede al punto a) la definizione di sovraindebitamento, e al punto

b) la definizione di consumatore.                                                                                                                10 M. FERRO, L’insolvenza civile, in Sovraindebitamento e usura, Milano, 2012, 53. L’attenuazione della portata precettiva della norma in commento non impedisce tuttavia che già dalla sua articolazione risulti assai chiara la scelta ancora una volta dualistica operata dal legislatore italiano, che ha focalizzato il discrimen attorno all’impresa ed in particolare separando da quella assoggettata al fallimento la figura di ogni altro debitore, imprenditore o meno, attratto nella no failure zone, dunque conclusivamente dividendo in due comparti alternativi la disciplina dell’insolvenza, rispettivamente commerciale e civile. Si può pertanto impostare un primo studio della più organica procedura di composizione dell’insolvenza non fallimentaristica mettendo in luce come essa permetta di tenere insieme crisi d’impresa e crisi del consumatore, con il vantaggio di sottrarsi, per la semplicità di riscontro dei presupposti oggettivi, ad un altrimenti concreto rischio di impasse già nella fase di avvio.

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  15  

Il primo comma del sopra citato articolo esplicita che la finalità

della procedura è quella di porre rimedio a situazioni di

sovraindebitamento, in cui si possono trovare tutti quei soggetti che il

legislatore ha individuato in coloro che non sono “assoggettabili a

procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla presente legge”.

E’ quindi chiarissimo l’intento del legislatore di offrire protezione a

tutti i debitori che non potrebbero essere sottoposti ad alcuna procedura

concorsuale, ed è altrettanto chiaro che la nuova formulazione

utilizzata attribuisce alla procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento l’inequivocabile natura concorsuale11. L’obiettivo

perseguito attraverso il tentativo di risolvere la situazione di

sovraindebitamento è di aiutare il soggetto a tornare in una situazione

di normalità e dunque sul mercato.

Il legislatore ha individuato i soggetti destinatari della disciplina

in maniera negativa, escludendo, cioè, coloro che sono assoggettabili a

procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dalla legge

3/2012 12 . Quest’ultimo aspetto, cioè l’aver previsto l’accesso in

maniera generica e in senso negativo, deve essere apprezzato, in quanto

fa venire meno una serie di questioni emerse nell’applicazione della

normativa speciale a tutela dei consumatori, quale ad esempio il                                                                                                                11 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, Napoli, 2013, 22. Il tenore letterale del primo comma dell’articolo in commento esplicita, a chiare note, che la finalità della procedura è quella di porre rimedio ad una situazione di sovraindebitamento in cui si possono trovare una pluralità di soggetti che ha individuato in tutti coloro che non sono assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quella regolata dalla presente legge, consentendo agli stessi di concludere un accordo con i propri creditori. 12 F. MACARIO, Finalità e definizioni, in La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, Il Civilista, 2013, 17. L’unicità della procedura aperta a tutti i debitori, esclusi gli imprenditori commerciali assoggettabili alla legge fallimentare, era stata criticata in considerazione della differenza sostanziale tra l’imprenditore non assoggettabile a procedura concorsuale e il debitore civile in senso stretto, sicché il legislatore ha introdotto con la recente novella la procedura incentrata sul piano appositamente per il consumatore, di cui si è reso necessario fornirne la definizione.

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  16  

concorso nella stessa persona della condizione di consumatore e di

professionista13. Infatti, si deve ritenere che rientrino nella disciplina

anche quegli imprenditori individuali che, pur essendo in astratto

assoggettabili alle procedure concorsuali, intendano proporre un

accordo ai propri creditori personali quando il credito non derivi

dall’esercizio dell’attività di impresa14.

La platea dei soggetti interessati è, pertanto, ampia ed eterogenea,

spazia dai piccoli imprenditori, ai professionisti, ai privati, regolando

per la prima volta l’insolvenza civile. Riepilogando, questa nuova

disciplina consente ai soggetti non fallibili, che si trovano nella

particolare situazione di sovraindebitamento, di trovare un rimedio

insieme ai propri creditori, in un ambito protetto, prevedendo

                                                                                                               13 Questa possibilità di consentire l’accesso alla procedura a qualsiasi debitore non fallibile, deve essere considerato una sorta di favor debitoris, cioè una tutela del debitore da parte dell’ordinamento giuridico. Inoltre l’eventuale dichiarazione di fallimento travolge l’accordo e la relativa procedura eventualmente in corso, stante il carattere assorbente dell’esecuzione concorsuale. Quanto detto vale nei confronti dell’imprenditore che attivi la procedura, essendo al di sotto delle soglie di fallibilità, ma poi, medio tempore, le superi e venga pertanto dichiarato fallito. 14 Riguardo al consumatore imprenditore è necessaria una riflessione: F. MACARIO, Finalità e definizioni, op. cit., p. 18. Si dovrebbe considerare che, trattandosi di una disciplina sulla responsabilità patrimoniale e non sul rapporto contrattuale, è difficile immaginare, a fronte dell’assunzione di “obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, un patrimonio separato, ossia beni e diritti assoggettabili in via esclusiva alla procedura instaurata con la presentazione del piano, e dunque destinati con priorità ai creditori quali soggetti attivi di quei rapporti obbligatori “non professionali”, ossia di “consumo”. Infatti, quando il legislatore ha inteso destinare una parte del patrimonio del debitore al soddisfacimento dei diritti dei creditori sorti in relazione ad obbligazioni assunte per un determinato scopo l’ha fatto espressamente, creando appunto una sorta di separazione patrimoniale, corrispondente alla rilevanza giuridica dello scopo dell’obbligazione assunta. Ne consegue che il rischio è quello che il soggetto che intenda conseguire l’esdebitazione facendo valere la sua condizione di consumatore potrà, in punto di fatto, accedere alla procedura semplificata soltanto quando non eserciti alcuna attività imprenditoriale o professionale, dovendo nel caso contrario sottoporsi, alternativamente, alle procedure concorsuali tradizionali o al procedimento che passa attraverso l’accordo di composizione della crisi (ove non sia assoggettabile alle prime) in modo che non siano pregiudicati i diritti dei creditori “commerciali”.

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  17  

l’intervento del giudice e di soggetti terzi.

Il soggetto legittimato a promuovere la procedura, cioè ad

avanzare una proposta di composizione della crisi ai propri creditori, è

il sovraindebitato non assoggettabile alle procedure concorsuali.

Nessun altro soggetto si può sostituire al debitore e farsi promotore

dell’iniziativa, come invece avviene nel caso di fallimento, dove oltre

al debitore l’iniziativa può essere promossa anche dal creditore o dal

pubblico ministero15.

Nella procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento il legislatore non usa termini già utilizzati nelle

procedure di fallimento e di concordato preventivo (stato d’insolvenza

e stato di crisi16), ma introduce un nuovo termine “sovraindebitamento”

che, quindi, deve definire.

Lo stato di sovraindebitamento è definito come una situazione di

perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio

prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante

difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva

incapacità del debitore di adempierle regolarmente17. Tale stato di

                                                                                                               15 Art. 6 l.f. – Iniziativa per la dichiarazione di fallimento – comma 1 Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero. 16 Lo stato di crisi può essere sia mera crisi, sia insolvenza. La mera crisi è il rischio notevole di insolvenza imminente, e si tratta di uno status che viene conosciuto per primo dal debitore, il quale è il solo che ha il potere di esternarlo. Quando la mera crisi si manifesta all’esterno si parla di stato d’insolvenza. Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5 l.f.). Lo status d’insolvenza è richiedibile all’autorità giudiziaria anche da soggetti diversi dal debitore, ovvero i suoi creditori o il pubblico ministero. 17 F. MAIMERI, Presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso, in Fallimento, 2012, 1035. La prima versione dell’art. 6 definiva il sovraindebitamento come “un perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni”. L’utilizzo dell’avverbio “nonché” poteva far intendere che le due situazioni dovevano ricorrere congiuntamente per dar luogo a una situazione di sovraindebitamento. Più probabilmente, invece, alla luce delle

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  18  

sovraindebitamento rappresenta il presupposto oggettivo per l’accesso

alle procedure e tale definizione può essere intesa quale sinonimo

d’insolvenza, fermo restando che è completata chiarendo che non si

tratta solo della definitiva incapacità del debitore di adempiere le

proprie obbligazioni in modo regolare, ma anche della rilevante

difficolta di adempierle. L’enunciazione utilizzata dal legislatore

ricerca faticosamente la sintesi tra l’insolvenza del debitore civile e

quella dell’imprenditore non fallibile, comprendendo in un’articolata

definizione i diversi canoni patrimoniali e finanziari che le

caratterizzano18.

La dottrina ritiene questo nuovo termine, anche se sinonimo, un

concetto diverso dall’insolvenza, poiché non prevede solo l’incapacità

definitiva e non transitoria di adempiere regolarmente i propri debiti,

ma fa anche riferimento ad una sproporzione tra il complesso dei debiti

e il proprio patrimonio prontamente liquidabile, seppur non specifichi il

rapporto di tale squilibrio19.

La definizione adottata dal legislatore è comprensibilmente basata

su una visione statica delle condizioni economiche in cui versa il

soggetto indebitato, dovendo riguardare il debitore comune e

comunque l’intera classe dei debitori, ad eccezione di quelli fallibili. In

tal senso, il presupposto oggettivo per l’accesso alla procedura è dato

dal perdurante squilibrio tra le obbligazioni e il patrimonio del debitore,

                                                                                                                                                                                                                                                                                             modifiche introdotte all’articolo in questione dal d.l. 179/2012, oltre che ad un auspicabile maggior rispetto delle regole sintattiche e grammaticali, il legislatore si riferiva sia alla insolvenza definitiva, sia a una situazione di difficoltà, riconducibile a quella della crisi. Ne consegue che il valore da attribuire al termine “nonché” non era quindi congiuntivo ma disgiuntivo. 18 A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, op. cit., p. 24. 19 FONDAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI FIRENZE, Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, in Libretto Giallo, 2014, 12.

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  19  

con la precisazione che quello da considerare, ai fini della procedura, è

il patrimonio prontamente liquidabile20, cioè quella parte di patrimonio

che consentirebbe di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni21.

Se ogni bene o diritto potrebbe dirsi, almeno in linea di principio,

astrattamente liquidabile, è evidente che il rapporto tra esposizione

debitoria e patrimonio ha un senso soltanto considerando il patrimonio

agevolmente monetizzabile22.

In dottrina pertanto si osserva che non è pacifica l’individuazione

di quale sia il presupposto oggettivo per l’ammissione alla procedura in

parola, proprio perché la norma definisce il sovraindebitamento, oltre

che nella definitiva incapacità di adempiere regolarmente le

obbligazioni assunte, cioè l’insolvenza, anche nella rilevante difficoltà

di adempierle. In questo senso sembrerebbe che il legislatore abbia

voluto considerare quale presupposto oggettivo anche la situazione di

                                                                                                               20 “Prontamente liquidabile” significa agevolmente trasformabile in denaro. Molte volte la legge lascia intenzionalmente termini generici per adattare la disposizione a situazioni differenti, si pensi ad esempio al famoso “senza indugio” che troviamo diverse volte nel codice civile. 21 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 25. La norma non specifica cosa si debba intendere per “prontamente liquidabile” ma è ipotizzabile che faccia riferimento al termine di centoventi giorni per il quale il giudice, in assenza di iniziative in frode ai creditori, dispone che, a pena di nullità, non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disporre sequestri conservativi né acquisire diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la domanda di accordo, da parte di creditori aventi titolo anteriore 22 F. MACARIO, Finalità e definizioni, op. cit., p. 19-20. Ci si avvicina notevolmente, in tal modo, alla valutazione di tipo finanziario dell’incapacità del debitore di adempiere, mentre il legislatore ritiene opportuno aggiungere, in via alternativa e per evitare formalistiche disquizioni sulla sussistenza dei requisiti preliminari di accesso, l’insolvenza come incapacità di adempiere con regolarità. Sembra confermarsi la tendenza dell’ordinamento ad ampliare quanto più possibile il raggio d’azione della normativa, destinata a coprire tutta l’area della crisi e dell’insolvenza che non sia già presidiata dalle procedure tradizionali, in funzione della sempre più radicata fiducia del legislatore nelle procedure negoziate di gestione della crisi.

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  20  

difficoltà riconducibile a quella della crisi che precede l’insolvenza23.

Sembra, dunque, esserci spazio per un’ipotesi di

sovraindebitamento reversibile nel caso in cui, non essendoci ancora

l’insolvenza definitiva, un tempestivo intervento di ristrutturazione del

debito del sovraindebitato può consentire la prosecuzione dell’attività

imprenditoriale 24 . Infatti, secondo quanto dispone la norma, il

perdurante squilibrio può avere due manifestazioni: la rilevante

difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni e la definitiva incapacità

di adempierle regolarmente. Entrambe sono idonee singolarmente a

fungere da presupposto per l’apertura di qualsiasi procedura di

composizione della crisi da sovraindebitamento. Inoltre, mentre la

definitiva incapacità è in pratica equivalente alla corrispondente

locuzione usata per definire lo stato d’insolvenza dell’imprenditore

fallibile, la rilevante difficoltà evoca una situazione di dissesto grave,

ma ancora suscettibile di essere sanata25. Tale squilibrio deve essere

                                                                                                               23 L. MODICA, Profili giuridici del sovraindebitamento, Napoli, 2012, 350. La formulazione in esame è frutto di un emendamento della II Commissione permanente della Camera, del 26 ottobre 2011, al testo già approvato al Senato che recitava: per sovraindebitamento si intende una “situazione di perdurante squilibrio economico tra le obbligazioni assunte e il patrimonio disponibile per farvi fronte”. Il senso dell’emendamento potrebbe infatti essere proprio quello di “rimediare non solo a situazioni già del tutto compromesse, ma anche a situazioni meno gravi, equivalente allo stato di crisi di cui all’art.160 l.f.. 24 F. MICHELOTTI, Le funzioni dei professionisti e degli organismi di composizione della crisi nelle procedure di sovraindebitamento, op. cit., 5. 25 E. SABATELLI, I creditori nella composizione delle crisi da sovraindebitamento del consumatore, in I Battelli del Reno, Università degli studi di Bari, 2013, 9. Rispetto alle crisi d’impresa, questa opzione normativa appare pienamente condivisibile, poiché è assolutamente coerente con tutte le scelte di politica legislativa effettuate negli ultimi anni in materia fallimentare, che appaiono univocamente orientate a favorire soluzioni preventive della crisi soprattutto al fine di salvaguardare l’integrità dei complessi produttivi, se necessario anche trasferendoli ad un soggetto diverso dall’imprenditore insolvente. Dal momento che, pur se con un minore impatto sulla collettività, le stesse motivazioni di ordine economico e sociale, oltre che giuridico, che hanno indotto il legislatore a privilegiare procedure che tutelino valori che andrebbero dispersi a seguito della cessazione dell’attività, sussistono anche per le imprese sottratte al fallimento, risulta del tutto comprensibile la scelta di muoversi in un’ottica unitaria,

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  21  

perdurante e non momentaneo e, per quantificarlo, devono essere

contrapposte due masse di valori: la sommatoria delle obbligazioni

assunte e la sommatoria dei valori patrimoniali prontamente liquidabili.

Ne consegue che le situazioni di sovraindebitamento momentanee non

possono essere superate attraverso la procedura in oggetto, poiché la

situazione debitoria non ha la caratteristica prevista dalla norma.

Invece, l’incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni assunte

è caratterizzata dalla irreversibilità, che la rende dunque una situazione

definitiva. Quindi riepilogando, la dottrina sostiene che il legislatore

abbia voluto comprendere in un’unica definizione due fenomeni

profondamente diversi tra loro quali l’insolvenza civile e l’insolvenza

commerciale26.

Secondo la dottrina prevalente, ciò che appare asintotico è che la

legge parli di squilibrio tra obbligazioni e patrimonio liquidabile,

ovverosia una concezione patrimonialistica che nel fallimento è

sconfessata salvo che per l’ipotesi delle società in liquidazione. Qui,

invece, è privilegiato l’aspetto statico del rapporto fra debiti e

patrimonio che ha probabilmente una sua giustificazione per il

consumatore, ma assai meno per l’imprenditore e forse anche per il

professionista. Tuttavia questo aspetto non sembra così rilevante alla

luce del fatto che al procedimento si accede solo per iniziativa del

debitore, talché solo il giudice potrebbe sollevare la questione

dell’assenza del sovraindebitamento, il che appare assai improbabile in

quanto si dovrebbe dimostrare prospetticamente la capacità del                                                                                                                                                                                                                                                                                              consentendo anche a queste ultime di accedere alle procedure di composizione della crisi, quando ancora essa possa essere sanata. E, pur se per motivazioni totalmente diverse da quelle fin qui esposte, la scelta appare parimenti condivisibile anche rispetto al dissesto del consumatore. In questo caso ci si trova di fronte a un patrimonio statico, inidoneo in sé alla produzione di nuova ricchezza, il quale, fra l’altro, in caso di crisi tende a depauperarsi, piuttosto che a mantenersi stabile o ad accrescersi nel tempo. 26 Così ancora, F. MICHELOTTI, op. cit., p. 5.

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  22  

debitore, proseguendo la sua attività, di riequilibrare l’esposizione

debitoria27.

All’articolo 6, secondo comma, lettera b), il legislatore introduce

il concetto di consumatore che è definito specificatamente come il

debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per

scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente

svolta. Tale specifica indicazione è da ricondursi alla volontà del

legislatore di distinguere nettamente la procedura relativa al

consumatore, rispetto a quella prevista per tutti i restanti soggetti non

fallibili. Tale volontà deriva dalla presa di coscienza del legislatore che

la procedura disciplinata primariamente dalla legge 3/2012 fosse

insostenibile per il consumatore. E’ stata quindi prevista una procedura

semplificata, veloce, efficiente e poco costosa poiché diretta a una

categoria diversa da quella degli imprenditori non fallibili. Il

consumatore, quindi, può essere anche un imprenditore o un

professionista ma la posizione debitoria che intende sistemare

attraverso la procedura in esame deve scaturire esclusivamente da

obbligazioni estranee all’attività eventualmente esercitata e non anche

dalle predette eventuali attività.

Preme precisare che nella prima versione della disciplina,

contenuta nel d.l. 22 dicembre 2011, il legislatore definiva il

sovraindebitamento del consumatore come il sovraindebitamento

dovuto all’inadempimento di obbligazioni da parte del soggetto

consumatore, così come definito dal codice di consumo di cui al d.lgs.

6 settembre 2005, n. 206; e quindi un sovraindebitamento generato

dall’incapacità di adempiere le obbligazioni contratte “dalla persona

fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale,

                                                                                                               27 M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), op. cit..

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  23  

commerciale, artistica o professionale eventualmente svolta”. Il

legislatore, dunque, nell’ultima versione della materia in oggetto, non

solo ha fornito direttamente la definizione di consumatore, i cui debiti

non devono derivare dall’esercizio di impresa o dalla professione, ma

ha voluto inequivocabilmente scindere la posizione del consumatore

rispetto agli altri soggetti non fallibili.

1.3 Ambito di applicazione e presupposti di ammissibilità.

Con le modifiche apportate con il Decreto Sviluppo Bis, per la

prima volta il legislatore definisce per esclusione le procedure di cui

alla legge 3/2012 come “procedure concorsuali”, introducendo nel

nostro ordinamento una procedura concorsuale anche nei confronti del

debitore persona fisica, attivabile, come già accennato, solo dal

debitore stesso e non dai creditori.

Il legislatore, con la norma oggetto di questa trattazione, ha inteso

disciplinare tutti i fenomeni d’insolvenza non regolabili attraverso le

procedure concorsuali. Pertanto, l’individuazione dei soggetti ai quali

applicare le disposizioni della legge sulla composizione delle crisi da

sovraindebitamento è effettuata facendo riferimento ai soggetti cui non

è applicabile la legge fallimentare28.

Escludendo il debitore consumatore e le start-up, i destinatari di

questa normativa non sono individuati espressamente dalla legge, la

                                                                                                               28 F. MICHELOTTI, Le funzioni dei professionisti e degli organismi di composizione della crisi nelle procedure di sovraindebitamento, op. cit., p. 3. Nonostante l’esplicito riferimento alle situazioni di sovraindebitamento, è da ritenere, tuttavia, che ciò non debba trarre in inganno l’interprete, in quanto il legislatore ha adottato una concezione soggettivistica per definire coloro che possono accedere alle procedure in esame, che si incardinano nei confronti di un debitore, quale soggetto passivo, con tutto il suo patrimonio, e non nei confronti di una mera situazione di sovraindebitamento, che potrebbe essere riferita anche ad un patrimonio separato.

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  24  

quale si applica ad una molteplicità di soggetti, non omogenei tra loro.

I debitori, quindi, che possono essere ammessi alle procedure in esame,

non appartengono ad una categoria unitaria come, per esempio, gli

imprenditori commerciali dimensionati, assoggettabili al fallimento e al

concordato preventivo, bensì vengono individuati negativamente con

riferimento non ad una o più tipologie di soggetti, ma alla nozione di

procedura concorsuale. Tali soggetti sono identificati con il termine

generalissimo di debitore e quello più contenuto di consumatore. La

scelta del legislatore è stata quella di tenere fermo il modello dualistico

e di dividere in due comparti alternativi la disciplina dell’insolvenza

rispettivamente commerciale e civile, introducendo, poi, l’applicazione

anche per i soggetti non fallibili, dell’istituto dell’esdebitazione,

subordinato a uno stringente giudizio di meritevolezza.

Come visto nel paragrafo precedente, per l’accesso a una delle

procedure introdotte, accanto al requisito soggettivo della non

assoggettabilità alle vigenti procedure concorsuali, è richiesta la

presenza anche di un requisito di carattere oggettivo, cioè il debitore si

deve trovare in stato di sovraindebitamento. Con riferimento al

requisito soggettivo, possono accedere alla disciplina sia le persone

fisiche sia le persone giuridiche, le quali hanno contratto, in buona

fede, obbligazioni eccedenti la propria capacità di rimborso e,

naturalmente come più volte accennato, non sono in possesso dei

requisiti previsti dall’art. 1 della legge fallimentare. Rientrano, quindi,

nel novero di coloro aventi titolo ad accedere alla procedura tutti i

soggetti, persone fisiche, società, enti, che: non svolgono attività

d’impresa, sono imprenditori commerciali sotto soglia di cui all’art. 1

della legge fallimentare, sono imprenditori o enti privati non

commerciali, sono imprenditori agricoli, sono start-up innovative

indipendentemente dalle loro dimensioni. La procedura è applicabile

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  25  

anche all’insolvenza del professionista intellettuale, la cui attività

risulta caratterizzata dall’utilizzo di un complesso organizzato di beni e

di rapporti giuridici, la cui configurazione non appare dissimile da

quella aziendale.

La legge non ha disposto nulla, invece, per quanto riguarda gli

enti pubblici, i quali, qualora si trovino in stato di sofferenza, sono

esclusi da un lato dalle procedure concorsuali e dall’altro lato dalla

disciplina in oggetto, non sembrando ad essi applicabile. La dottrina

prevalente ritiene, infatti, che gli enti pubblici non possano beneficiare

di tale procedura perché la realtà debitoria nella quale potrebbero

trovarsi ha connotati di tipo amministrativo e riguarda i rapporti che

essi hanno con l’amministrazione finanziaria dello Stato. Inoltre il

legislatore già consente alla pubblica amministrazione, ai sensi dell’art.

1, comma 1 bis, legge 241/90, di agire, nell’adozione di atti di natura

non autoritaria, secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge

stessa disponga diversamente. In linea di principio, dunque, potrebbe

essere possibile anche per gli enti pubblici ricorrere alla norma in

questione; però ciò non è possibile, poiché la stessa legge 3/2012

prevede l’esclusione dalla procedura di tutti quei soggetti per i quali è

disposta un’autonoma procedura di liquidazione.

I soggetti sopra indicati possono accedere a una delle tre

procedure che compongono la disciplina: accordo di composizione

della crisi, piano del consumatore e liquidazione del patrimonio. Tutte

e tre queste procedure sono alternative l’una all’altra e definite, per

esclusione, procedure concorsuali.

Coloro che si trovano in una situazione di sovraindebitamento

possono, dunque, concludere con i propri creditori un accordo di

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  26  

ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti29 sulla base di

un piano, oppure alternativamente possono decidere di non attivare tale

procedura, ma di accedere alla liquidazione del patrimonio. Con la

liquidazione il debitore non fa alcuna proposta ai creditori e mette tutti

i suoi beni a disposizione per la liquidazione. Quest’ultima è una

procedura simile al fallimento ma, a differenza di esso, può essere

messa in moto solamente tramite istanza volontaria e mai su istanza dei

creditori o dei terzi. L’esdebitazione nel caso di liquidazione del

patrimonio non è automatica ma, per ottenerla, il debitore deve essere

meritevole e cioè: cooperare, non ostacolare, non essere stato

condannato per determinati reati e non aver beneficiato di tale istituto

negli otto anni precedenti.

Inoltre per il solo soggetto consumatore è prevista la possibilità,

oltre che accedere alle procedure sopra citate, di proporre un piano per

la cui omologazione è sufficiente la positiva deliberazione del

tribunale, non richiedendo alcun consenso ai creditori.

Nei capitoli successivi saranno affrontate in maniera più

dettagliata le procedure dell’accordo di composizione della crisi e del

piano del consumatore, non focalizzando, quindi, l’attenzione sulla

terza procedura oggetto della disciplina in esame, ovvero la

liquidazione del patrimonio.

Infine, per accedere alle procedure sono previste delle condizioni

ostative. Secondo l’art. 7 comma due, non possono usufruire

dell’accordo di composizione della crisi e del piano del consumatore

coloro che: a) sono soggetti a procedure concorsuali diverse da quelle

previste dalla l. 3/2012; b) hanno già ricorso, nei precedenti cinque

                                                                                                               29 In realtà “creditori”. Trattasi probabilmente di un refuso nella legge, in quanto a rigor di logica i debiti si ristrutturano e si soddisfano i creditori, non i crediti. Infatti, tra creditori e crediti c’è una bella differenza, i primi è possibile soddisfarli, mentre i crediti casomai si incassano.

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  27  

anni, a procedimenti di composizione della crisi da

sovraindebitamento; c) hanno subito, per cause a loro imputabili, un

provvedimento di impugnazione, revoca o annullamento del piano; d)

hanno presentato una documentazione che non consente di ricostruire

compiutamente la loro situazione economica e patrimoniale. Invece, il

primo comma dell’art. 14-ter. prevede condizioni di accesso alla

procedura di liquidazione dei beni meno stringenti rispetto a quelle di

ammissione previste per le altre procedure. Infatti, un soggetto

sovraindebitato non può accedere alla liquidazione del patrimonio

solamente se è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle

previste dalla legge in questione e se ha già fatto ricorso nei cinque

anni precedenti a tali procedure.

1.4 L’organismo di composizione della crisi.

Con l’art. 15 il legislatore, dopo aver provveduto a descrivere nel

dettaglio le nuove procedure, si occupa di delineare le caratteristiche di

quei soggetti che rappresentano una delle innovazioni più significative

della disciplina, ossia gli organismi di composizione della crisi. Questi,

a seguito delle ultime modifiche apportate alla presente legge, sono tra

i principali protagonisti della disciplina, svolgendo un’importante

attività d’intermediazione fra i soggetti non fallibili e il tribunale. Tali

soggetti sono insostituibili, operano soltanto dopo che il debitore ha

chiesto di essere assistito in una delle procedure disciplinate dalla legge

3/2012 e, dunque, sono chiamati a svolgere una funzione di ausilio di

carattere generale al debitore che versa in stato di crisi. Dalla lettura

della norma è possibile intuire come tali organismi si pongano in una

posizione di terzietà rispetto al debitore e ai creditori coinvolti nel

procedimento e abbiano una posizione qualificata che consente loro,

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  28  

almeno in potenza, di perseguire proficuamente l’obiettivo generale cui

tende l’intera procedura: ovvero quello, chiaramente esplicitato dall’art.

6, di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette

né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali. All’interno della

legge è quindi evidente il ruolo svolto da tali organismi, in altre parole

quello di garanti del funzionamento dell’intera procedura, da svolgersi

anche in collaborazione con il giudice30.

L’organismo interviene durante le varie fasi del procedimento, ma

non ha la legittimazione per attivare alcuna procedura; dato che agisce

soltanto su mandato del soggetto sovraindebitato che soddisfa le

condizioni per accedere a una delle procedure regolate dalla legge

oggetto del presente lavoro. Prima delle modifiche introdotte dal d.l.

179/2012 i compiti dell’organismo di composizione della crisi erano

disciplinati dall’art. 17, ora abrogato. A seguito dell’ultime riforme

apportate alla disciplina, i compiti e le attività dell’organismo sono

regolati dai commi cinque, sei, sette e otto dell’art. 15. In particolare il

comma quinto precisa che tale organo assume ogni iniziativa

funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e

all’esecuzione dello stesso.

L’organismo di composizione della crisi svolge un compito

fondamentale nella fase iniziale di studio e di predisposizione del piano

assumendo il ruolo di advisor, sia legale che finanziario del debitore.

                                                                                                               30 Sul punto, si veda R. D’AQUINO DI CARAMANICO, Organismi di composizione della crisi, in La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 89. E’ di piena evidenza come il ruolo di garanti del funzionamento dell’intera procedura, da svolgersi, peraltro, anche in collaborazione con il giudice, attribuisca agli organismi la concreta possibilità di influenzare (auspicabilmente in maniera positiva) la composizione della crisi, per l’effetto trasformandosi effettivamente in strumenti espressione, in un certo qual modo, della longa manus pubblica. Questo viene ad essere confermato sin dal primo comma dell’art. 15 ove si attribuisce agli “enti pubblici” la possibilità di costituire tali organismi, purché essi siano forniti di adeguate garanzie d’indipendenza e professionalità.

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  29  

Rientrano, inoltre, tra le funzioni svolte dall’organismo: a) verificare la

veridicità dei dati contenuti nella domanda e nei documenti allegati alla

stessa; b) attestare la fattibilità del piano; c) trasmettere e relazionare al

giudice i consensi espressi dai creditori e il conseguente

raggiungimento o meno della maggioranza degli stessi, allegando le

eventuali osservazioni ricevute; d) relazionare ai creditori riguardo le

adesioni e il raggiungimento dell’eventuale maggioranza; e) eseguire la

pubblicità della proposta e dell’accordo come disposto dal giudice; f)

effettuare tutte le comunicazioni disposte dal giudice; g) risolvere i

conflitti sorti con i creditori in fase di esecuzione; h) sorvegliare

l’esatta esecuzione dell’accordo dopo l’omologazione.

La legge assegna quindi agli organismi di composizione della

crisi funzioni e compiti che interessano tutte le fasi della procedura,

non svolgendo solamente una funzione di supporto nei confronti del

debitore. Il predetto organismo, quindi, sembra rivestire

congiuntamente i ruoli che nel concordato preventivo hanno il

professionista che assiste il debitore nella predisposizione della

domanda, l’attestatore, il commissario giudiziale e persino, se disposto

dal giudice, le funzioni di liquidatore 31 . Infatti, l’organismo di

composizione della crisi può essere chiamato ad assumere anche la

funzione di liquidatore. A tal proposito il piano può prevedere

l’affidamento del patrimonio del debitore a un gestore, individuato tra i

professionisti in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28 della legge

fallimentare, il quale svolga appunto le funzioni di liquidazione. Tale

nomina è altresì obbligatoria quando tra i beni da utilizzare per il

soddisfacimento dei creditori ve ne siano alcuni sottoposti a

                                                                                                               31 FONDAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI FIRENZE, Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, op. cit., p. 15.

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  30  

pignoramento, o per ricoprire la carica di liquidatore nella procedura di

liquidazione del patrimonio.

Il ruolo poliedrico assegnato all’organismo oggetto del presente

paragrafo presuppone che esso abbia i requisiti d’indipendenza,

professionalità e terzietà e che i soggetti che ne fanno parte, o chiamati

a svolgere tali funzioni, abbiano un’ampia e vasta conoscenza e operino

con la diligenza richiesta dal proprio incarico.

Il legislatore ha stabilito che possono essere organismi di

composizione della crisi o svolgere tali funzioni: gli enti pubblici,

purché iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero di

Giustizia, e professionisti o società tra professionisti (avvocati,

commercialisti, ragionieri, notai)32. Per svolgere tali compiti, questi

ultimi devono avere i requisiti idonei per assumere la carica di curatore

fallimentare 33 . Questi, se nominati dal Presidente del tribunale

territorialmente competente, o da un giudice da lui delegato, possono

                                                                                                               32 Attualmente siamo sempre nella fase transitoria, cioè gli organismi di composizione della crisi quali enti pubblici ancora non esistono e, pertanto, in attesa dell’adozione del regolamento attuativo, vige una disciplina transitoria in forza della quale il ruolo, i compiti e le funzioni degli O.C.C. sono svolte soltanto da professionisti, o società tra professionisti, in possesso dei requisiti per assumere la carica di curatore, purché nominati su istanza del debitore dal Presidente del tribunale o da un giudice da lui nominato. Preme tuttavia precisare che anche dopo che gli O.C.C. saranno costituiti tale ruolo potrà comunque essere ricoperto anche da un professionista. 33 Art. 28 l.f. – Requisiti per la nomina a curatore Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore:

a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci

delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;

c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.

Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.

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  31  

essere, dunque, chiamati ad assolvere tali funzioni e compiti.

L’art. 15 rimanda, per quanto riguarda la definizione dei requisiti

degli organismi nonché per le modalità di iscrizione nel registro

suddetto, ad un apposito regolamento del Ministero di Giustizia da

emanarsi entro 90 giorni dalla entrata in vigore del decreto legge, il

quale alla data di redazione del presente elaborato non risulta ancora

pubblicato.

Buona parte della dottrina ritiene che, dalla lettura della norma,

gli organismi di composizione della crisi possano essere costituiti

soltanto da enti pubblici e non da enti privati, società o persone fisiche.

Ne consegue che è possibile osservare criticamente un’irragionevole

disparità di trattamento: infatti, in quest’ottica, si ammette che un

soggetto possa essere nominato dal tribunale quale professionista

facente funzione di organismo di composizione della crisi, mentre lo

stesso non può costituirne uno, perché soggetto privato. Quale ulteriore

rafforzamento di questa tesi, si riporta che l’estensione agli enti privati

della possibilità di costituire tali organismi era prevista da un

emendamento alla legge di conversione del d.l. n. 212/2012, approvato

dal Senato ma poi soppresso dalla Camera. Alla luce di quanto esposto,

parte della dottrina ritiene quindi che la natura degli enti che possono

costituire questi organismi sia solamente di indole pubblicistica34.

                                                                                                               34 F. MICHELOTTI, Le funzioni dei professionisti e degli organismi di composizione della crisi nelle procedure di sovraindebitamento, op. cit., p. 11. Gli O.C.C. possono essere costituiti soltanto da enti pubblici, non da enti privati, ne da società o persone fisiche. Al riguardo, occorre rilevare che la profonda riforma della legge 3/2012, ad opera del d.l. n. 179/2012 non è intervenuta sulla natura degli enti che possono costituire gli O.C.C., che sono e restano di indole pubblicistica, per cui può considerarsi una scelta sufficientemente meditata da parte del legislatore. Nel merito, è da ritenere che il legislatore abbia voluto impedire alle agenzie del debito o alle associazioni dei consumatori di occupare un mercato in espansione, quale quello delle insolvenze civili, a causa della grave crisi economica e sociale in atto, alterando a favore del debitore il rapporto di credito. Il ruolo dell’O.C.C., infatti, si pone in una posizione intermedia tra il debitore ed i creditori, garantendo questi

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  32  

Resta comunque pacifico che, in base al dettato normativo, i

professionisti, o le società tra professionisti, possano dare la

disponibilità a operare in seno agli organismi di composizione della

crisi e, svolgere le funzioni in sostituzione dei medesimi. Inoltre è

altrettanto pacifico che, fino alla data in cui nel circondario del

tribunale non sia costituito almeno un O.C.C., effettivamente operativo,                                                                                                                                                                                                                                                                                              ultimi che le proposte loro avanzate non realizzino soltanto gli interessi del debitore, ma anche i loro, che in taluni casi, come nel piano del consumatore, non sono chiamati nemmeno ad esprimere il consenso alla proposta. Sul punto, si veda anche F. S. FILOCAMO, Gli organismi di composizione della crisi: l’assetto organizzativo, in Sovraindebitamento e usura, Milano, 2012, 236. A differenza di altri organismi analoghi, che possono far capo anche a privati, gli O.C.C. devono essere necessariamente costituiti da enti pubblici. La non attribuzione anche ai privati della facoltà di costituire organismi di composizione della crisi può destare perplessità, sia perché non consente di intercettare risorse che l’apertura al mercato avrebbe forse consentito di convogliare nei costituendi organismi, sia perché la stessa legge, sia pure in via transitoria, prevede l’affidamento a privati dei compiti e delle funzioni di tali organismi. Non si comprende, quindi, per quale ragione, ad esempio, un avvocato o una società tra professionisti possono essere nominati per fare le veci dell’O.C.C., mentre gli è impedito di costituire un organismo di composizione della crisi che dia le stesse garanzie di indipendenza e professionalità rispetto a quelli costituiti da enti pubblici. Così anche M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), op. cit., p. 18. La non attribuzione anche ai privati della facoltà di costituire organismi di composizione della crisi è considerata dall’autore una scelta felice da parte del legislatore. Infatti secondo Fabiani si tratta di una soluzione più restrittiva, ma al tempo stesso più corretta, di quanto accaduto con l’ingresso della media-conciliazione. Per la tesi contraria invece, vedere A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2012, 1285. D’ora innanzi, gli O.C.C. potranno essere costituiti non solo da enti pubblici, ma anche da anti privati purché dotati di indipendenza, professionalità e adeguatezza patrimoniale da valutarsi sulla base di un regolamento ministeriale da adottarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni. Perde, inoltre, ogni caratteristica di transitorietà il ricorso, in luogo degli O.C.C., a un professionista o a una società tra professionisti in possesso dei requisiti previsti per le funzioni di curatore fallimentare. Sempre per la tesi contraria, vedere anche G. LO CASCIO, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3), in Fallimento, 2013, 826. Gli organismi di composizione della crisi possono essere costituiti sia da enti pubblici, sia privati, dotati di requisiti d’indipendenza e professionalità, secondo norme regolamentari adottate dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze entro novanta giorni dall’entrata in vigore della normativa in esame. Si tratta di una delle innovazioni salienti che mira alla creazione di nuovi soggetti destinati ad assumere una posizione di terzietà rispetto al debitore e ai creditori.

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  33  

le sue funzioni sono svolte dai soggetti che dispongono dei requisiti di

cui all’art. 28 della legge fallimentare.

Non sono infine mancate notevoli perplessità di parte della

dottrina su questo nuovo organo che dovrebbe agevolare l’evoluzione

delle procedure di sovraindebitamento e che, invece, finisce per

svolgere compiti talvolta inconciliabili con la carica rivestita e, quindi,

fonti d’inevitabili conflitti d’interesse. Infatti, il legislatore ha

mescolato al loro interno compiti di ausilio al giudice delegato, al

consumatore nella predisposizione del piano e di tutela dei creditori. E’

probabile, quindi, che si possa aprire la strada al conflitto d’interessi,

essendo l’organismo al tempo stesso, il consulente del debitore,

l’attestatore della veridicità dei dati e della fattibilità del piano,

l’organo pubblico che procede all’accertamento dell’esito della

votazione, il controllore degli interessi dei creditori, e così via35.

                                                                                                               35 A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 1289. L’affievolirsi della connotazione pubblicistica dell’organismo, sebbene consenta la scelta da parte del debitore tra una pluralità di soggetti professionalmente qualificati che possano svolgerne le funzioni, rischia di acuire l’immanente conflitto di interessi che caratterizza, inevitabilmente, l’operato dell’O.C.C. in ragione delle molteplici, e talvolta contradditorie, funzioni che la legge gli attribuisce. Nonostante le modifiche, quindi, permangono, e per taluni aspetti si acutizzano, le perplessità e le problematiche sulla costituzione, la regolamentazione interna, la multi-professionalità e l’indipendenza, nonché sulla remunerazione degli organismi, già evidenziate dai primi commentatori della l. 3/2012. M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), op. cit., p. 17. Per quanto attiene ai compiti assegnati all’O.C.C., la legge gli affida funzioni caleidoscopiche lungo tutto l’arco temporale della procedura di composizione della crisi. Il legislatore ha così mescolato compiti di supporto al debitore, compiti di fidefacenza verso i creditori, compiti di ausilio del giudice e di controllore nell’interesse dei creditori. Una miscela esplosiva che evoca l’immanenza di ripetuti conflitti d’interesse, quei conflitti che nella legislazione concorsuale si vorrebbe drasticamente contenere e che la prassi di questi anni cercano di evitare. Sicuramente appare distonico rispetto agli altri strumenti di composizione negoziale della crisi che lo stesso soggetto prepari il piano, ne attesti la fattibilità, poi assuma funzioni di tutela dei creditori e di ausilio del giudice. E’ vero che le indennità che competono all’organismo sono a carico del debitore ma indirettamente anche dei creditori che vedono eroso il patrimonio del debitore loro

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  34  

Le problematiche sul conflitto d’interessi potrebbero in qualche

modo essere superate ove si addivenga alla conclusione che

l’organismo di composizione della crisi non operi come un soggetto

personificato, ma deleghi le varie funzioni a singoli e diversi

professionisti36.

L’importanza dei sopra descritti organismi è comunque

fondamentale per la disciplina e ciò è sottolineato anche dal notevole

spazio che il legislatore dedica agli stessi all’interno della legge.

                                                                                                                                                                                                                                                                                             destinato, e tuttavia questo non scoglie certo i possibili conflitti e le responsabilità che l’O.C.C. verrebbe ad assumere. Sul punto, si veda anche FONDAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI FIRENZE, Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, op. cit., p. 9. Sulla base di tali considerazioni, possono emergere dubbi relativi ai possibili conflitti di interesse insiti nel delicato ruolo assegnato all’organismo. Non può trascurarsi poi, il fatto che è necessario che l’organismo abbia i requisiti di indipendenza e terzietà, non potendo fare preferenze tra classi di creditori, sia nella redazione del piano che nella certificazione della sua fattibilità, fungendo nella successiva fase esecutiva anche da compositore di conflitti. 36 Così, ancora, M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), op. cit., p. 17. Orbene, per attenuare ma non per elidere queste commistioni, si può immaginare che l’organismo adotti un regolamento nel quale i diversi compiti vengano attribuiti a professionisti differenti (anche per meglio rispecchiare le diverse professionalità richieste); se, come pare, l’O.C.C. opera come un soggetto “personificato”, l’intera attività va imputata all’organismo e dunque il problema dei conflitti non viene risolto davvero. Ove, invece, si potesse prevedere che la designazione di singoli professionisti da parte dell’O.C.C. di fatto si risolve in una delega di funzioni, allora, forse, le commistioni potrebbero essere evitate con la nomina di più soggetti. Forse a favore di questa soluzione potrebbe addursi la disposizione transitoria che attribuisce provvisoriamente i compiti dell’O.C.C. a quei professionisti in possesso dei requisiti per la nomina a curatore. Infatti se le attività dell’organismo possono essere svolte direttamente da un professionista, non dovrebbe risultare problematico operare mediante delega non meramente interna. Così l’attività del delegato impegnerebbe tanto il professionista quanto l’O.C.C. che lo designa e tutto ciò andrebbe a tutelare di più coloro che sono coinvolti nella crisi, fermo restando che le indennità previste dovrebbero, in tal caso, essere frazionate.

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  35  

Capitolo secondo

L’accordo di composizione della crisi

2.1 Il contenuto dell’accordo.

Questa procedura era l’unica presente nella prima versione della

disciplina in oggetto; tuttavia oggi, per effetto delle modifiche

apportate dal d.l. 179/2012, non solo l’accordo si è tramutato in una

procedura con carattere concordatario, ma il nuovo impianto della

legge 3/2012 si completa anche con la previsione di un procedimento

simile, alternativo, di cui può avvalersi il debitore inteso come

consumatore, nonché con una procedura liquidatoria cui può seguire

eventualmente un effetto esdebitatorio.

Per quanto riguarda specificamente la prima delle procedure

citate, l’art. 7, al primo comma, stabilisce che il debitore, non

necessariamente persona fisica, in stato di sovraindebitamento può

proporre ai propri creditori, con l’ausilio degli organismi di

composizione della crisi, un accordo di ristrutturazione dei debiti che

preveda la soddisfazione dei crediti sulla base di un piano.

In primo luogo è necessario sottolineare che, con le modifiche

introdotte dal decreto legge di cui sopra, la procedura è qualificata

come concorsuale e, quindi, rivolta a tutti i creditori, per i quali vale il

silenzio-assenso. La conseguenza di ciò è che gli stessi non possono

più essere suddivisi in due classi (aderenti ed estranei), come invece era

nella legge originaria. Ne consegue che la necessità di assicurare il

regolare pagamento dei creditori estranei, prevista in precedenza,

decade, poiché gli stessi sono vincolati all’accordo raggiunto con i

creditori che rappresentano una maggioranza qualificata, come accade

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  36  

nel concordato. Inoltre, con la rivisitazione della legge, scompare anche

la necessità di assicurare il pagamento integrale ai creditori privilegiati.

Il piano deve prevedere le scadenze e le modalità di pagamento

dei creditori e deve assicurare il regolare pagamento dei crediti

impignorabili ex art. 5451 del codice di procedura civile.

I crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere

soddisfatti integralmente a condizione che sia assicurato il pagamento

in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di

liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o

ai diritti oggetto della prelazione. Questa possibilità è speculare a

quella disciplinata dalla legge fallimentare in tema di concordato

preventivo. In sostanza, anche nel caso di composizione della crisi da

sovraindebitamento si applica la regola prevista dall’art. 1602 l.f., con

                                                                                                               1 Art. 545 c.p.c. – Crediti impignorabili Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto. Non possono essere pignorati crediti aventi per soggetti sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell’ammontare delle somme predette. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge (c.c. 1881, 1923, 2571, n. 7; c.p.c. 514). 2 Art. 160 l.f. – Presupposti per l’ammissione alla procedura L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:

a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;

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  37  

la differenza che, in quest’ultima, tale valore dovrà essere oggetto di

specifica attestazione da parte dell’organismo di composizione della

crisi.

Spesso il debitore sovraindebitato, in particolare se imprenditore,

è inadempiente verso l’erario e gli istituti previdenziali in maniera

molto rilevante. A seguito dell’attuale crisi economica, solitamente i

debiti accumulati nei confronti di questi particolari soggetti arrivano ad

assumere importi elevati. Grazie alle ultime modifiche apportate alla

disciplina, è stato introdotto, in via indiretta, un istituto molto simile a

quello della transazione fiscale3 vigente in ambito fallimentare. Infatti, i

crediti erariali e previdenziali possono non essere soddisfatti

integralmente. Sono esclusi, invece, i crediti riguardanti tributi

costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’I.V.A. e delle

ritenute operate e non versate, per i quali il piano deve prevedere

l’integrale corresponsione. Per questi crediti potrà essere prevista

                                                                                                                                                                                                                                                                                             b) l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di

concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;

c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;

d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione. Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza. 3 La transazione fiscale consente al piano concordatario di prevedere il pagamento parziale, o dilazionato, del debito tributario (art. 182-ter. legge fallimentare). Non possono essere falcidiati, ma solamente dilazionati, i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute d’acconto.

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esclusivamente una dilazione di pagamento. Inoltre, ai sensi dell’art.11

quinto comma, in caso di mancato rispetto del termine di novanta

giorni dalle scadenze previste per questi crediti, l’accordo cessa di

diritto di produrre effetti.

Il piano deve prevedere i termini e le modalità di pagamento dei

creditori, i quali possono essere suddivisi in classi. La norma non

impone al debitore condizioni simili a quelle previste in ambito

concorsuale e, quindi, in linea teorica lascia piena libertà al soggetto

sovraindebitato di effettuare l’eventuale divisione dei creditori secondo

la propria volontà. Tuttavia la legge, indicando all’art. 7 secondo

comma lettera a) la procedura come concorsuale, fa ritenere alla

dottrina prevalente che la regola della par condicio creditorum4 debba

essere comunque applicata, visto che in mancanza di essa non avrebbe

ragione d’essere la previsione di classi e, conseguentemente, verrebbe

reso inefficace il principio della parità tra creditori5.

La suddivisione dei creditori in classi potrebbe anche essere

richiesta dall’organismo di composizione della crisi che, in sede di

attestazione del piano, potrebbe rilevare una certa disorganicità del

medesimo, tale da non renderlo fattibile o quantomeno da non

prevederne il buon esito.

                                                                                                               4 La locuzione latina par condicio creditorum esprime un principio giuridico in virtù del quale i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. 5 Sul punto, si veda V. FABBIANO, Procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, in www.ilsovraindebitamento.it, Studio Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti, 2013. Il piano, pertanto, può stabilire condizioni differenti soltanto tra le classi, fermo restando il principio che i titolari di crediti impignorabili, i crediti tributari ed i creditori privilegiati capienti debbono essere soddisfatti integralmente. Quanto alle classi, il legislatore ne ha prevista la possibilità, ma non ha previsto che esse raggruppino al loro interno crediti con natura giuridica e interessi economici omogenei (art. 160, primo comma, lettera c) legge fallimentare), anche se ovviamente al loro interno dovrà essere stabilito un trattamento economico uguale, in modo da favorire il consenso dei creditori.

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  39  

Sia le scadenze, sia le modalità dell’adempimento, sono elementi

fondamentali che devono emergere esplicitamente. Per quanto riguarda

i pagamenti non effettuati in denaro, è opportuno che sia indicata la

percentuale di soddisfazione del creditore in maniera che tutti possano

effettuare la loro valutazione e l’organismo di composizione della crisi

esprimersi sulla fattibilità del piano. Tale elasticità riguardo le modalità

di adempimento dovrebbe, secondo il legislatore, facilitare il

raggiungimento dell’accordo.

Qualora l’adempimento delle obbligazioni scaturenti dalla

proposta che il debitore propone ai suoi creditori siano garantite da uno

o più soggetti terzi, il piano deve esplicitamente darne atto. La norma

non pone alcuna limitazione al tipo di garanzia che può essere prestata

a favore del debitore per l’adempimento della proposta.

Anche le modalità di liquidazione dei beni debbono essere

indicate. Le indicazioni non devono riguardare soltanto le procedure da

adottare, ma anche i tempi nei quali si ritiene ipotizzabile la

liquidazione. E’ opportuno segnalare che il debitore potrebbe anche

non destinare tutti i suoi beni a soddisfare i creditori, lasciandone fuori

alcuni, come del resto può lasciare fuori dalla proposta alcuni soggetti

che vantano crediti nei suoi confronti. In tal caso, i creditori interessati

valuteranno la scelta del debitore e quindi decideranno se esprimere o

meno il loro assenso. In ogni caso la proposta deve essere fatta propria

da almeno una parte qualificata di creditori, attraverso voto favorevole.

Il piano può prevedere, altresì, l’affidamento del patrimonio del

debitore a un gestore, nominato dal giudice, per la liquidazione, la

custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori. Il gestore deve

essere individuato tra i professionisti in possesso dei requisiti per la

nomina a curatore, ex art. 28 l.f., ruolo che potrebbe, quindi, essere

assunto dallo stesso organismo di composizione della crisi. Al soggetto

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che esercita l’attività di custode, è inibita qualsiasi funzione dispositiva,

ma gli è attribuita quella di amministrare e conservare il patrimonio;

tali poteri saranno esercitati tenendo presente i poteri autorizzativi del

giudice. La figura del gestore è, dunque, simile a quella del liquidatore,

ma non identica. Infatti, la previsione dell’affidamento del patrimonio a

tale soggetto, non è compatibile in presenza di beni da utilizzare per il

soddisfacimento dei creditori sottoposti a pignoramento. In questo

caso, è il giudice che nomina un liquidatore, il quale può disporre, in

via esclusiva, dei beni e delle somme incassate. La nomina obbligatoria

del liquidatore si ha, quindi, soltanto nel caso in cui vi siano beni

sottoposti a pignoramento.

La proposta di accordo, ai sensi dell’art. 8, primo comma, che il

soggetto sovraindebitato può presentare per la ristrutturazione dei

debiti, è a contenuto aperto, nel senso che può prevedere qualsiasi

modalità per la soddisfazione dei crediti, anche mediante la cessione

dei crediti futuri. Per quanto riguarda questi ultimi, si ritiene che siano

apprezzabili quando possono essere in qualche modo stimati, cioè

riferiti a dati oggettivi. Tra questi si possono annoverare: i redditi da

lavoro dipendente; i redditi da pensione; le rendite, quali affitti di beni

immobili o titoli di stato.

La proposta deve essere valutata tenendo conto dei beni e diritti

che il debitore è in condizione di mettere a disposizione e della massa

dei soggetti cui la stessa è indirizzata, la quale deve, pertanto,

soddisfare i creditori. La soddisfazione può avvenire anche con forme

diverse dal pagamento, così come non è da escludere che la proposta

possa prevedere la corresponsione di alcuni creditori o la cessione di

beni e diritti a soggetti interessati a subentrarne nella titolarità.

Nel caso in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti

a garantire la fattibilità del piano, la proposta dovrà essere sottoscritta

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da uno o più terzi che ne garantiscano l’attuabilità. Questa garanzia

prestata dai terzi è atipica, nel senso che non deve rispettare canoni

particolari. Infatti, secondo la gravità dell’incapienza del patrimonio

del sovraindebitato l’intervento del terzo può configurarsi come

solutorio o a garanzia. Nei casi più gravi, sottoscrivendo la proposta, il

terzo si impegna a conferire beni o redditi in misura sufficiente a

rendere attuabile il piano. Invece, in presenza di una mera sfiducia dei

creditori nella capacità del debitore di porre in essere l’accordo, il terzo

si limita a conferire i suoi beni o redditi a garanzia del suo

adempimento. E’ quindi possibile il rilascio di garanzie tipiche reali e

personali previste dal codice civile. La previsione della possibilità di

prestare garanzia da parte di terzi per l’attuazione dell’accordo

consente di accedere alla procedura anche a soggetti che non hanno

alcun bene o reddito da mettere a disposizione dei creditori. Se la

garanzia è rilasciata da una persona giudicata solvibile, può essere

anche rappresentata da una fidejussione personale.

Le garanzie possono essere rilasciate: prima della presentazione

della proposta, contemporaneamente al deposito oppure nel corso della

procedura o dopo l’omologazione. Non sono, quindi, previsti dalla

legge limiti temporali per il loro rilascio. Tuttavia, bisogna notare che

la mancata costituzione della garanzia promessa è motivo di risoluzione

del piano come espressamente previsto dall’art. 146.

Il terzo comma dell’art. 8 statuisce che la proposta di accordo che

il debitore presenta ai propri creditori deve anche indicare eventuali

limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo, all’utilizzo                                                                                                                6 F. CERRI, L’intervento del terzo, in Composizione della crisi da sovraindebitamento, Il Civilista, 2012, 33. Con riferimento alla posizione del terzo, sembra doversi escludere qualsiasi tipo di collegamento tra questi e la figura dell’assuntore previsto nel concordato fallimentare, il quale sostituendosi al fallito, si obbliga direttamente ad assolvere gli adempimenti generati dal concordato proposto e in cambio ottiene la cessione dei beni fallimentari.

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  42  

degli strumenti di pagamento elettronico a credito e alla sottoscrizione

di strumenti creditizi e finanziari. Le limitazioni di cui sopra sono

facoltative ed è logico ritenere che il sovraindebitato può liberamente

decidere se e quali prevedere7. Tali disposizioni mirano a garantire una

quanto più possibile fedele rappresentazione della situazione

patrimoniale del debitore e a responsabilizzarlo in modo tale che non

possa ricadere nella situazione che cerca di superare con la procedura

in oggetto.

L’eventuale limitazione non sembra avere carattere punitivo,

perché in tal caso ne sarebbe stata prevista l’obbligatorietà ma,

semplicemente, impedisce al soggetto di peggiorare la propria

situazione contraendo nuove obbligazioni. Ciò rappresenta anche una

sorta di garanzia per i creditori che accettano l’accordo di

composizione della crisi.

Inoltre, nel caso in cui la proposta di accordo preveda la

continuazione dell’attività d’impresa, è possibile prevedere una

moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei

creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca. La sospensione, invece,

non è possibile se è prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali

sussiste la causa di prelazione. L’eventuale moratoria sembra

ricondursi alla volontà di concedere al debitore la possibilità di

                                                                                                               7 R. BELLE’, Il contenuto dell’accorso, in Sovraindebitamento e usura, Milano, 2012, 113. Si può osservare come, in mancanza di forme di pubblicità cd. costitutiva (anche l’iscrizione al registro delle imprese per i casi di debitori-imprenditori sembra rivestire la mera natura di pubblicità-notizia, priva come tale degli effetti di cui all’art. 2193 c.c.), i terzi creditori posteriori alla composizione del sovraindebitamento che contrattino con il debitore potrebbero non essere a conoscenza del divieto così imposto e la loro buona fede, da presumersi come per regola generale, non potrebbe che essere tutelata non applicando a loro pregiudizio alcuna conseguenza per la violazione dell’impegno altrui. In presenza di terzi in mala fede, che consentano il maturare di ulteriori debiti, pur essendo a conoscenza della limitazione imposta, la conseguenza appare essere quella dell’esclusione di essi dalla soddisfazione sui beni devoluti alla procedura di composizione.

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liquidare i beni da cui trarre le risorse per l’effettuazione dei

pagamenti. Tale orientamento sembra compatibile con quanto stabilito

nei concordati in continuità, ove è stata espressamente prevista una

moratoria fino a un anno nel pagamento dei creditori preferenziali8.

Questa possibilità è prevista anche nel caso in cui il piano sia

presentato da un consumatore, mentre, in tutti gli altri casi non è

possibile prevedere alcuna moratoria nei pagamenti.

2.2 Il deposito della proposta e la documentazione allegata.

La legittimazione processuale è lasciata all’esclusiva iniziativa del

debitore ed infatti l’avvio del procedimento è volontario, anche se è

richiesto l’ausilio dell’O.C.C.. Il soggetto che intende accedere alla

procedura deve depositare, presso il tribunale territorialmente

competente9, un’istanza di nomina di un professionista che svolge le

funzioni di tale organo10. L’organismo in questa fase è appunto di

ausilio al soggetto sovraindebitato nella predisposizione di una

proposta di ristrutturazione dei debiti da sottoporre ai creditori.

Nonostante ciò, anche se la norma non lo prevede espressamente, è

sempre bene che il debitore si faccia assistere anche da un proprio

                                                                                                               8 FONDAZIONE DOTTORI COMMERCIALISTI FIRENZE, Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, op. cit., p. 14. 9 Il tribunale competente è quello nella cui circoscrizione il proponente ha la residenza o la sede. La residenza, cioè il luogo dove il soggetto ha la dimora abituale, è da riferire al debitore persona fisica che non ha la qualifica d’imprenditore. Invece la sede, è da riferire al luogo dove l’imprenditore svolge la sua attività. 10 La richiesta al tribunale competente di nomina di un professionista che svolga le funzioni di O.C.C. avviene principalmente in questa attuale fase transitoria, poiché in futuro, quando la disciplina sarà a regime e gli O.C.C. saranno costituiti, un debitore potrà molto più semplicemente scegliersi e presentarsi ad un organismo di composizione della crisi; fermo restando comunque la possibilità di richiedere la nomina al tribunale.

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professionista che lo aiuti nella predisposizione del piano, in quanto,

come già accennato, all’O.C.C. spettano anche compiti di supporto al

giudice e ai creditori.

La procedura si apre con il deposito della proposta di accordo da

parte del debitore presso il tribunale competente, unitamente alla

documentazione a corredo. La legge, a differenza che nel fallimento,

non dice nulla a proposito del trasferimento della residenza o della sede

nell’anno anteriore all’iniziativa. Tuttavia, sembra ugualmente

applicabile alla procedura in oggetto, il principio adottato in ambito

fallimentare11.

Pur nel silenzio della legge, la dottrina ritiene che si tratti di una

domanda di tipo giudiziale, che ha la forma di ricorso rivolto al

tribunale, con cui si instaura un rapporto processuale tra debitore e

creditori12.

Contestualmente al deposito presso il tribunale, e comunque non

oltre i tre giorni successivi, la proposta deve essere presentata, a cura

dell’organismo di composizione della crisi che assiste il debitore,

presso l’agente della riscossione e presso gli uffici fiscali, anche degli

enti locali. I predetti uffici sono individuati in relazione all’ultimo

domicilio fiscale del proponente. Per tale motivo la domanda deve

contenere, ex art. 9 primo comma, anche la ricostruzione della                                                                                                                11 F. S. FILOCAMO, Deposito ed effetti dell’accordo, in Fallimento, 2012, 1049. In ambito fallimentare, ma ciò vale anche ai fini della presentazione della domanda di concordato preventivo, è previsto che il trasferimento della sede nell’ultimo anno è irrilevante ai fini della competenza (art. 9 l.f.). L’irrilevanza del trasferimento della sede nel corso dell’ultimo anno è stata prevista per evitare che il debitore scegliesse il giudice ritenuto a lui più favorevole (c.d. forum shopping). Probabilmente, per evitare o scoraggiare fenomeni di forum shopping, è sufficiente anche applicare i principi espressi dalla giurisprudenza prima della riforma della legge fallimentare in ordine alla prevalenza della effettività della sede ed alla non vincolatività di trasferimenti fittizzi o posti in essere in prossimità temporale dell’inizio del procedimento. 12 G. LO CASCIO, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 817.

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situazione fiscale del debitore, indicando eventuali contenziosi

pendenti. Per fare ciò, l’O.C.C. deve indagare riguardo la posizione

fiscale del soggetto sovraindebitato, comprese eventuali controversie

per le quali sono pendenti ricorsi nei vari gradi di giudizio. Tali

informazioni, infatti, sono importanti non solo per gli enti che vantano

crediti tributari nei confronti del debitore, ma anche per tutti gli altri

creditori, i quali devono valutare se accettare o meno la proposta. La

norma, stranamente, non prevede il deposito della domanda agli enti

previdenziali e assistenziali che, in alcuni casi, vantano crediti elevati.

Il tribunale e i creditori devono essere messi in condizione di

conoscere la situazione debitoria e patrimoniale del proponente.

Pertanto, occorre fornire un idoneo supporto informativo e

documentale dettagliatamente indicato nel secondo comma dell’art. 9.

Il primo dei documenti da allegare alla domanda è l’elenco di tutti

i creditori, con la specifica indicazione delle somme dovute e delle loro

scadenze. La dottrina maggioritaria condivide la tesi che il suddetto

elenco deve comprendere anche i debiti contestati in tutto o in parte,

poiché il dato è necessario a rappresentare in maniera veritiera la

situazione reale dell’indebitamento, sia al fine di consentire al creditore

di esprimere il voto in base ad una valutazione informata, sia per la

corretta determinazione del quorum per l’approvazione13.

                                                                                                               13 Sul punto, si veda M. FERRO, L’avvio del procedimento: il deposito della proposta, in Sovraindebitamento e usura, Milano, 2012, p. 123. Si può discutere se siano da indicare anche i crediti contestati, dovendosi rispondere affermativamente ove ad essi corrispondano pretese già avanzate, anche se non in via giudiziale, verso il debitore, dovendo tale ammontare essere computato, oltre che per il calcolo della maggioranza, anche per i margini di tenuta delle offerte solutorie del piano. La contestazione, per come rendicontata, dovrà cioè essere tale da permettere l’espressione di un consenso pienamente informato da parte di tutti i creditori o almeno la spiegazione di dettaglio circa l’esclusione di taluni di essi dal novero dei destinatari della proposta, tenuto conto che nessuna controversia verrà definita entro questa procedura, mancando una specifica competenza ad hoc del giudice che vi è preposto.

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  46  

Unitamente alla proposta devono poi essere indicati tutti i beni del

debitore, compresi quelli che eventualmente intende trattenere e tutti

quelli che potenzialmente possono tradursi in un valore di liquidazione,

come per esempio un’eredità non ancora accettata. Tali beni, anche se

non previsto dalla norma, devono essere valutati al fine di quantificare

l’ammontare di ciò che è destinato al soddisfacimento dei creditori.

Insieme alla lista dei beni del debitore devono essere indicati anche gli

eventuali atti dispositivi posti in essere negli ultimi cinque anni, al fine

di verificare se il soggetto ha posto in essere operazioni finalizzate alla

spoliazione.

Infine il sovraindebitato deve allegare alla domanda le

dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, l’attestazione sulla

fattibilità del piano rilasciata dall’O.C.C., nonché l’elenco delle spese

correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa

indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del

certificato dello stato di famiglia. Se chi accede alla procedura di

composizione della crisi svolge attività d’impresa vi è, altresì, l’obbligo

di depositare unitamente alla proposta di accordo anche le scritture

contabili degli ultimi tre esercizi. Per quanto concerne il deposito

dell’attestazione sulla fattibilità del piano è opportuno tenere presente

che questa viene redatta dagli organismi di composizione della crisi.

Con essa l’organismo incaricato, muovendo da dati contabili veritieri,

articola un percorso logico-argomentativo serio e coerente a supporto

dell’effettiva capacità del debitore di rispettare gli impegni di

ristrutturazione conseguenti all’omologazione. Si tratta, quindi, di una

vera e propria relazione sulla fattibilità dell’accordo, comprensiva

anche dell’attestazione sulla veridicità dei dati. Lo scopo è di fornire al

ceto creditorio tutte le informazioni e tutti gli elementi necessari per la

valutazione della convenienza della soluzione proposta.

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  47  

Se il complesso d’informazioni non dovesse essere sufficiente, la

legge prevede la possibilità che il giudice possa concedere un termine

perentorio non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni

alla proposta o produrre nuovi documenti. Un aspetto non molto chiaro

riguarda il fatto se tra i nuovi documenti che il giudice può richiedere

siano compresi o meno anche quelli relativi la presentazione della

domanda presso l’agenzia della riscossione dei tributi e gli uffici

fiscali. E’ da ritenere che tali documenti non siano da qualificare come

nuovi e che devono essere depositati spontaneamente dall’organismo di

composizione della crisi che assiste il debitore. Riguardo a ciò, la

norma non prevede alcuna sanzione e, quindi, la mancata produzione

non dovrebbe incidere sulla procedura. Tuttavia nella prassi potrebbe

spingere il giudice ad eseguire accertamenti ed entrare nella

valutazione per l’emissione del provvedimento di revoca in sede

d’udienza14.

Dalla data del deposito sono sospesi, ai soli effetti del concorso, la

decorrenza degli interessi convenzionali o legali per tutti i crediti non

muniti di ipoteca, pegno o privilegio e salvo quanto previsto dagli

articoli 274915, 278816 e 285517, commi secondo e terzo c.c.. Ciò sta a

                                                                                                               14 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 81. 15 Art. 2749 c.c. – Estensione del privilegio Il privilegio accordato al credito si estende alle spese ordinarie per l’intervento nel processo di esecuzione. Si estende anche agli interessi dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento e per quelli dell’anno precedente. Gli interessi successivamente maturati hanno privilegio nei limiti della misura legale fino alla data della vendita. 16 Art. 2788 c.c. – Prelazione per il credito degli interessi La prelazione ha luogo per gli interessi dell’anno in corso alla data del pignoramento o, in mancanza di questo, alla data della notificazione del precetto. La prelazione ha luogo inoltre per gli interessi successivamente maturati, nei limiti della misura legale, fino alla data della vendita. 17 Art. 2855 c.c. – Estensione degli effetti dell’iscrizione – Commi 2 e 3 Qualunque sia la specie d’ipoteca, l’iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purché ne sia enunciata la misura nell’iscrizione. La collocazione degli interessi è limitata alle due annate anteriori e a

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  48  

significare che, salvo i casi previsti, il deposito della domanda blocca il

corso degli interessi.

2.3 Il procedimento.

La presentazione della proposta determina l’apertura di un

procedimento affidato a un giudice monocratico regolato dagli articoli

737 e ss. del codice di procedura civile, secondo le regole del rito

camerale. Contro i provvedimenti del giudice è ammesso reclamo di

competenza dello stesso tribunale, in composizione collegiale, di cui

non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Ai sensi dell’art. 10 il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti

dettati dagli articoli 7, 8 e 9, fissa immediatamente con decreto

l’udienza, disponendo che la comunicazione della proposta e del

provvedimento di ammissione deve essere effettuata a tutti i creditori

almeno quaranta giorni prima della data fissata per l’udienza per opera

dell’organismo di composizione della crisi che assiste il proponente. In

ogni caso, tra la data di deposito della documentazione e quella fissata

per l’udienza, non devono trascorrere più di sessanta giorni.

Il giudizio di ammissibilità non deve riguardare tanto la fattibilità

economica del piano posto a base della proposta di accordo, quanto la

logicità e la completezza della relativa attestazione. Pertanto, il giudice

dovrà verificare i requisiti di ammissibilità, il contenuto del piano e la

documentazione allegata. Ne consegue che il controllo che la legge gli

assegna è da ritenere prettamente documentale e di carattere sommario                                                                                                                                                                                                                                                                                              quella in corso al giorno del pignoramento, ancorché sia stata pattuita l’estensione a un maggior numero di annualità; le iscrizioni particolari prese per altri arretrati hanno effetto dalla loro data. L’iscrizione del capitale fa pure collocare nello stesso grado gli interessi maturati dopo il compimento dell’annata in corso alla data del pignoramento, però soltanto nella misura legale e fino alla data della vendita.

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e non sul merito; aspetto, quest’ultimo, che è verificato negli stadi

successivi quando la procedura entra nella fase cruciale18.

Se i controlli effettuati hanno esito positivo, il giudice emette

immediatamente un decreto di ammissione, con il quale detta la

scansione delle fasi successive della procedura, e fissa la data

dell’udienza19.

La comunicazione della proposta e del decreto ai creditori, presso

la residenza o la sede legale, è effettuata per telegramma, lettera

raccomandata con avviso di ricevimento, per fax o posta elettronica

certificata almeno trenta giorni prima del termine per il deposito del

consenso scritto alla proposta. Per quanto riguarda le modalità di

comunicazione, è necessario sottolineare che l’elencazione è preceduta

dall’avverbio “anche”, il che sta a significare che tale adempimento

potrà essere effettuato con modalità diverse, se così stabilito dal

giudice.

Con il decreto, così come disposto dalla lettera a) secondo

comma, ex art. 10, è stabilita un’idonea forma di pubblicità della

proposta e del decreto stesso, sempre per opera dell’organismo di

composizione della crisi. E’ il giudice, valutata la situazione del

soggetto che ha avanzato la domanda, a stabilire la modalità più

conforme a tale scopo. Può essere, per esempio, prevista la

pubblicazione in uno o più quotidiani, oppure su siti internet

specializzati, e così via. Nel caso in cui il proponente è un soggetto che

                                                                                                               18 P. PORRECA, L’insolvenza civile, in Le riforme della legge fallimentare, 2009, 2116. 19 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 82. La norma disciplina soltanto l’ipotesi in cui i controlli del giudice abbiano esito positivo mentre nulla dice nel caso in cui i controlli diano esito negativo. Anche nel silenzio della norma l’esito negativo dei controlli non può che portare al rigetto della domanda. Tale tesi è confermata dal tribunale di Firenze, che, riscontrata una carenza nella documentazione allegata alla domanda, ha rigettato la stessa per assenza dei requisiti di legge.

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  50  

svolge attività d’impresa, vi è l’obbligo di effettuare la pubblicazione

nel relativo registro. Con ciò s’intende ottenere la più ampia

divulgazione della proposta e del provvedimento giurisdizionale in

modo da informarne tutti i soggetti interessati, non esclusi coloro i cui

diritti o interessi sono coinvolti nella procedura. Nel determinare le

modalità per l’adempimento pubblicitario, il giudice dovrà tener conto

dei costi necessari per tale scopo, con l’obiettivo di non appesantire

troppo la procedura.

Qualora il piano preveda la cessione o l’affidamento a terzi di

beni immobili o mobili registrati, il decreto deve disporre la

trascrizione dello stesso, a cura dell’organismo di composizione della

crisi presso gli uffici competenti.

Con il medesimo decreto è inoltre stabilito che fino al momento

dell’omologazione non è possibile iniziare o proseguire azioni

esecutive individuali, disporre sequestri conservativi e acquistare diritti

di prelazione sul patrimonio del debitore da parte di creditori aventi

titolo anteriore. Tale sospensione non opera nei confronti dei titolari di

crediti impignorabili. Ciò consente di emettere un provvedimento di

protezione temporanea del patrimonio del debitore nei confronti dei

soggetti creditori aventi titolo anteriore all’emissione dello stesso, con

esclusione dei soli soggetti che vantano crediti impignorabili. Questo

costituisce una sorta di automatic stay e non è prevista alcuna specifica

istanza da parte del debitore, né alcuna discrezionalità del giudice nel

concederlo. Naturalmente il predetto provvedimento non ha alcun

effetto protettivo nei confronti di creditori aventi titolo o causa

posteriore al provvedimento. La sua finalità è quella di impedire che

alcuni creditori possano acquisire posizioni di vantaggio rispetto ad

altri, realizzando in sostanza una tutela di parità tra creditori. Questa

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  51  

disposizione si ispira all’art. 5120 della legge fallimentare, che prevede

la regola generale del divieto di azioni esecutive e cautelari individuali,

richiamato anche nell’art 16821 l.f. in tema di concordato preventivo.

Il terzo comma dell’art. 10 prevede che l’accertamento di

iniziative o atti in frode ai creditori implica, da parte del giudice, la

revoca del decreto e l’eventuale cancellazione della trascrizione dello

stesso, nonché la cessazione di ogni forma di pubblicità disposta. Tale

accertamento avviene in udienza e la decisione è assunta anche grazie

alle informazioni che in questa sede è possibile acquisire dai creditori.

La norma non precisa chi sono i soggetti che devono provvedere alla

cancellazione delle trascrizioni ma è lecito ritenere che non possono

essere soggetti diversi da quelli ai quali era stato assegnato l’onere

della trascrizione22.

                                                                                                               20 Art. 51 l.f. – Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento. 21 Art. 168 l.f. – Effetti della presentazione del ricorso Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano. I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato. 22 G. IVONE, L’ammissione alla procedura, in La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, Il Civilista, 2013, 36. Emerge, da questa disposizione, la matrice concordataria dell’accordo di composizione, essendo tale verifica tipica della procedura di concordato preventivo ex art. 173 l.f.. Questa norma, infatti, individua le categorie di atti alla base della revoca del provvedimento di apertura della procedura di concordato, i quali sono tutti diretti ad alterare la formazione genuina del consenso dei creditori in sede di votazione della proposta. Una prima categoria ricomprende una elencazione esemplificativa di atti di frode (occultamento, dissimulazione di parte dell’attivo, omessa dolosa denuncia di uno o più crediti, esposizione di passività inesistenti), nonché la commissione di altri atti di frode, tutti antecedenti l’apertura del concordato; una seconda categoria include,

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La dottrina si è interrogata se a carico del soggetto che ha

presentato la domanda possa essere presentata un’istanza per la

dichiarazione di fallimento. Ciò è possibile, poiché il dettato di legge

prevede che il provvedimento emesso dal giudice inibisce soltanto le

azioni esecutive individuali, la disposizione di sequestri conservativi e

l’acquisizione di diritti di prelazione. A carico del sovraindebitato

possono, quindi, essere avanzate richieste di fallimento e, se ne

ricorrono i presupposti, il tribunale può anche pronunciarsi in tal senso.

In sostanza, si applica anche alla disciplina in oggetto, quanto

affermato dalla giurisprudenza in merito alla fase esecutiva

dell’accordo di ristrutturazione dei debiti23.

A conferma di quanto sopra vi è poi l’ultimo comma dell’art. 12,

il quale dispone che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del

debitore risolve l’accordo.

Infine, il legislatore ha previsto nel comma 3-bis dell’art. 10 che

fino alla data di omologazione dell’accordo, gli atti di straordinaria

amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione del giudice, sono

                                                                                                                                                                                                                                                                                             invece, atti compiuti dal debitore nel corso della procedura senza la prescritta autorizzazione. Infine, una ulteriore ipotesi di interruzione è individuata dal legislatore nell’ultima parte dell’art. 173 l.f. nella mancanza delle condizioni prescritte per l’ammissibilità al concordato. Pertanto, non tutti gli atti di frode sono rilevanti ai sensi dell’art. 173 l.f., ma solo quelli idonei ad interferire negativamente sul processo formativo del consenso dei creditori, viziando ed alterando, per conseguenza la regolare formazione delle maggioranze. 23 Trib. Milano, 10 novembre 2009. Commento in Dir. fall., 2010, II, 213-217. Con questa sentenza del novembre 2009 il tribunale di Milano ha affermato che l’efficacia inibitoria delle azioni esecutive riguarda soltanto quelle individuali e non anche quelle tese a promuovere l’apertura di una procedura concorsuale quale il fallimento. L’art. 182 l.f., infatti, dispone la provvisoria sospensione delle procedure esecutive (e cautelari) sul presupposto che queste possano porre vincoli sul patrimonio a vantaggio di alcuni creditori, pregiudicando al contempo la libera disponibilità del patrimonio. Ma l’istanza di fallimento non è ex se idonea né a determinare tale pregiudizio, né a creare o consolidare posizioni di vantaggio per alcuni creditori soltanto. E’ evidente, quindi, che la norma fa riferimento solo alle azioni esecutive e cautelari dei creditori e non contempla né in modo esplicito, né per implicito i ricorsi ex art. 6 legge fallimentare.

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inefficaci nei confronti dei creditori anteriori alla pubblicità del decreto

di ammissione.

Dall’analisi dell’articolo 10, che disciplina il procedimento, è

quindi possibile rilevare forti analogie con la disciplina del concordato

preventivo, confermando la natura concordataria dell’accordo di

composizione della crisi da sovraindebitamento.

2.4 Raggiungimento e omologazione dell’accordo.

Una volta attivato il procedimento di composizione della crisi,

occorre rapidamente raccogliere le adesioni dei creditori. Il legislatore

demanda la raccolta delle dichiarazioni di voto dei creditori e la loro

valutazione all’organismo di composizione della crisi.

L’O.C.C. comunica ai creditori la proposta di accordo e il decreto

emanato dal giudice almeno quaranta giorni prima della data stabilita

per l’udienza. I creditori ricevuta la proposta e il provvedimento del

giudice, sono chiamati a valutarne la convenienza e a esprimere il

proprio voto che deve essere trasmesso all’organismo attraverso

dichiarazione sottoscritta mediante telegramma, lettera raccomandata

con avviso di ricevimento, telefax o posta elettronica certificata. Nel

precedente dettato normativo non era previsto un termine entro il quale

l’accordo dovesse intervenire, perciò, la procedura poteva rischiare di

protrarsi a tempo indefinito24. Con le modifiche normative intervenute,

è stata introdotta la regola del silenzio assenso, pertanto, se entro dieci

                                                                                                               24 G. LO CASCIO, La composizione delle crisi da sovraindebitamento (Introduzione), in Fallimento, 2012, 1026. Un’incongruenza della normativa riguarda la mancata previsione di un termine entro il quale l’accordo debba concludersi perché, se è vero che unitamente alla presentazione della dichiarazione di accordo in tribunale non è richiesta anche l’adesione dei creditori, che invece la fanno pervenire successivamente all’organismo di composizione della crisi, potrebbe accadere che la procedura si protragga indefinitamente.

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giorni prima della data fissata per l’udienza, non si provvede a far

pervenire all’O.C.C. la propria dichiarazione, si presume il consenso

alla proposta nei termini in cui è stata comunicata. In questo modo non

soltanto si è attribuita al procedimento una sorta di accelerazione della

prestazione del consenso da parte dei creditori, ma si è, altresì,

provveduto a rendere certi i tempi e le diverse fasi della procedura.

Il legislatore ha precisato che la dichiarazione deve essere

sottoscritta e, dunque, occorre la firma autografa o digitale del

creditore. Occorre, inoltre, che l’adesione corrisponda al contenuto

della proposta, come eventualmente modificata dal debitore in corso di

procedimento.

Naturalmente, qualora il creditore non valuti la proposta

conveniente e, quindi, voglia esprimere il proprio dissenso, può farlo

sempre in forma scritta, indirizzandolo all’organismo di composizione

della crisi.

L’O.C.C. non è tenuto a verificare l’autenticità della firma ma,

ove sussistano delle incertezze, è opportuno che vi provveda al fine di

evitare eventuali contestazioni ed in considerazione dell’obbligo di

dover trasmettere al giudice una relazione sui consensi espressi e sul

raggiungimento della maggioranza.

La norma prevede una maggioranza qualificata affinché il giudice

possa omologare la proposta. A tal fine quest’ultima deve essere

accettata da tanti creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti.

Il raggiungimento del quorum deve essere verificato dall’organismo di

composizione della crisi che assiste il soggetto sovraindebitato.

Ai fini del raggiungimento della maggioranza, non sono

computati i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca per i quali la

proposta prevede l’integrale soddisfacimento, salvo che non rinuncino,

in tutto o in parte, al diritto di prelazione. Infatti, per tali soggetti è

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indifferente quale sia la procedura di liquidazione, se concorsuale o

individuale, dei beni o del patrimonio del debitore, perché il loro diritto

di soddisfacimento è assicurato dal vincolo che hanno su quei beni. Per

questo motivo sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze.

Non hanno diritto a esprimersi sulla proposta e non sono

computati ai fini del raggiungimento della maggioranza il coniuge, i

parenti e affini entro il quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei

loro crediti da meno di un anno prima della proposta.

Al fine del raggiungimento dell’accordo di composizione della

crisi, la disciplina in oggetto richiama molte delle regole previste nella

legge fallimentare per le procedure di concordato fallimentare e

preventivo, confermando ancora una volta il carattere concordatario di

questa procedura. In particolare il legislatore ha preso spunto dagli

articoli 12825, 17726 e 17827 del regio decreto 267/1942, nei quali è

                                                                                                               25 Art. 128 l.f. – Approvazione del concordato Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nelle classi medesime. I creditori che non fanno pervenire il loro dissenso nel termine fissato dal giudice delegato si ritengono consenzienti. La variazione del numero dei creditori ammessi o dell’ammontare dei singoli crediti, che avvenga per effetto di una sentenza emessa successivamente alla scadenza del termine fissato dal giudice delegato per le votazioni, non influisce sul calcolo della maggioranza. 26 Art. 177 l.f. – Maggioranza per l’approvazione del concordato Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.

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previsto sia il silenzio assenso dei creditori alla proposta di concordato,

sia l’approvazione a maggioranza ad opera dei creditori chirografari,

mentre quelli muniti di garanzia sono esclusi dal voto nei limiti in cui

sono garantiti e purché non rinuncino alla garanzia stessa.

Inoltre, sempre in linea con quanto previsto per la disciplina del

concordato preventivo, l’accordo non pregiudica i diritti dei creditori

nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via

di regresso. Questa previsione ha escluso ogni incertezza riguardo

all’eventuale estensibilità degli effetti dell’accordo ai garanti e ai

condebitori, e ciò rappresenta un forte incentivo all’adesione da parte di

quei creditori che nell’incertezza sarebbero rimasti estranei per

assicurarsi la persistenza delle stesse garanzie.

Il legislatore ha precisato nel quarto comma dell’art. 11 che

l’accordo non determina la novazione28 dell’obbligazione, salvo sia

                                                                                                                                                                                                                                                                                             Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato. 27 Art. 178 l.f. – Adesioni alla proposta di concordato Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti. E’ altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro crediti. Il processo verbale è sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere. Se nel giorno stabilito non è possibile compiere tutte le operazioni, la loro continuazione viene rimessa dal giudice ad un’udienza prossima, non oltre otto giorni, dandone comunicazione agli assenti. I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a norma del presente comma, sono annotati dal cancelliere in calce al verbale. 28 Si definisce novazione l’estinzione di un rapporto di obbligazione tra due parti (creditrice e debitrice) con conseguente nascita di uno nuovo, rispetto al precedente mutato nel titolo o nell’oggetto. La novazione è disciplinata dall’art. 1230 del codice civile: L’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso.

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diversamente stabilito.

Se poi entro novanta giorni dalle scadenze stabilite il debitore non

esegue integralmente i pagamenti alle amministrazioni pubbliche e agli

enti previdenziali e assistenziali, l’accordo, ai sensi dell’ultimo comma

dell’art.11, cessa di diritto di produrre effetti; fermo restando quanto

disposto dal già citato art. 7, primo comma. Si tratta in questo caso di

una previsione normativa molto forte perché non è necessario alcun

intervento del giudice, giacché l’accordo cessa automaticamente. Esso

è inoltre revocato d’ufficio dal giudice, qualora, nel corso della

procedura, il debitore compia atti in frode ai creditori.

I creditori, dunque, devono esprimere il proprio consenso, o

dissenso, alla proposta del debitore. Nell’accettazione i creditori non

possono formulare variazioni a quanto proposto dal soggetto

sovraindebitato, facendo quindi una controproposta. Se ciò accade,

deve essere considerato come una forma di dissenso da parte del

creditore in questione e, quindi, da non conteggiare ai fini del

raggiungimento del quorum.

La legge disciplina la sola ipotesi di raggiungimento dell’accordo,

per cui nel caso in cui il quorum non sia raggiunto, l’organismo non è

obbligato ad effettuare alcuna comunicazione ai creditori.

Conseguito l’accordo, invece, l’organismo di composizione della

crisi trasmette ai creditori una relazione avente ad oggetto i consensi

espressi e il raggiungimento della maggioranza qualificata richiesta

dalla legge ai fini dell’omologazione, allegandovi inoltre il testo dello

stesso. Tale documento dovrà anche contenere la lista nominativa di

tutti coloro che hanno manifestato la volontà di accettare il progetto del

debitore.

                                                                                                                                                                                                                                                                                             La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco.

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  58  

I creditori nel termine di dieci giorni dal ricevimento della

relazione possono sollevare eventuali contestazioni. La norma non

specifica il tipo di obiezioni che possono essere sollevate. Si ritiene che

oggetto delle contestazioni possano essere il raggiungimento

dell’accordo, la fattibilità del piano e la capacità del debitore di

adempiere a quanto indicato nella proposta. In particolare, per quanto

concerne il raggiungimento dell’accordo, le contestazioni possono

riferirsi al calcolo della maggioranza qualificata, alla quantificazione

dei crediti ai fini del computo della percentuale dei consensi, oppure,

all’esclusione di alcuni crediti per la manifestazione del consenso. Non

dovrebbero invece coinvolgere altri aspetti oggetto delle fasi precedenti

della procedura, come ad esempio la sussistenza dei requisiti di cui agli

articoli 7 e 9, oppure l’inesistenza di atti in frode ai creditori, i quali

vengono accertati direttamente in udienza dal giudice. Il legislatore non

specifica nemmeno chi sono i creditori legittimati ad avanzare le

eventuali osservazioni. Sembra comunque logico ritenere che nel caso

in cui la proposta abbia ottenuto l’assenso di oltre il 60% dei creditori,

quelli legittimati sono quelli che hanno interesse a contestare la

conclusione della procedura. Viceversa, se la proposta non ha raggiunto

il quorum richiesto, i creditori legittimati sono quelli che hanno

interesse a che la maggioranza sia raggiunta. Anche se la norma tace, è

da ritenere che eventuali contestazioni possano essere legittimamente

avanzate anche dal debitore stesso, il quale ha interesse sia al

raggiungimento della maggioranza sia alla conclusione della

procedura29.

Trascorso il termine concesso ai legittimati per presentare

eventuali osservazioni, l’organismo di composizione della crisi

trasmette al giudice una relazione allegandovi le contestazioni ricevute                                                                                                                29 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 102.

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  59  

e l’attestazione definitiva di fattibilità del piano. Le attestazioni

effettuate dall’organismo di composizione sono due, ed entrambe

hanno lo stesso fine: cioè svolgono un ruolo fondamentale sia ai fini

dell’informativa ai creditori che riguardo al giudizio di omologazione

da parte del giudice. La differenza tra la prima attestazione e quella

definitiva, consiste nel fatto che in quest’ultima sono considerati anche

gli elementi sopravvenuti in seguito al deposito, alla luce delle

contestazioni sollevate dai creditori. Ne consegue che, qualora non si

siano manifestati nuovi documenti, l’organismo nel redigere

l’attestazione definitiva può richiamare anche quella precedente.

Altrimenti, l’O.C.C. deve rivedere la fattibilità del piano nella sua

complessità, alla luce dei nuovi fatti.

La relazione dell’organismo di composizione della crisi può

essere assimilabile alla relazione del curatore relativamente all’esito

della votazione nell’ipotesi di presentazione della proposta di

concordato fallimentare30.

Trasmessa la relazione al giudice, quest’ultimo esegue le verifiche

necessarie per procedere all’omologazione dell’accordo. Il giudice,

quindi, verifica: il raggiungimento della percentuale necessaria alla

                                                                                                               30 Sul punto, si veda A. CARON, L’Omologazione dell’accordo e del piano, in La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, Il Civilista, 2013, 45. La disposizione, nel precisare che l’organismo verifica (anche) la veridicità dei dati, riprende quanto stabilito in merito alla relazione del professionista nel concordato preventivo (ex art. 161 l.f.), ritenuto valido anche con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, ove manca la precisazione del contenuto della verifica dell’attestatore, avendo la giurisprudenza statuito che la relazione del professionista sugli accordi di ristrutturazione dei debiti deve contenere anche la valutazione di veridicità dei dati aziendali, oltre alla valutazione sull’attuabilità dell’accordo, costituendone il presupposto logico indefettibile. Dunque, analogamente a quanto stabilito in tema di concordato preventivo (e di accordi di ristrutturazione dei debiti), anche nel procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento l’attestazione del professionista svolge un ruolo fondamentale, ai fini tanto della completa informazione ai creditori in merito alla proposta, quanto in relazione al giudizio di omologazione da parte del giudice.

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  60  

conclusione dell’accordo31, l’idoneità del piano ad assicurare l’integrale

pagamento dei crediti impignorabili e di quelli tributari costituenti

risorse proprie dell’Unione Europea, dell’I.V.A. e delle ritenute operate

e non versate, per i quali il piano può prevedere esclusivamente la

dilazione del pagamento.

Essendo la procedura di tipo concorsuale, i creditori che non

aderiscono alla proposta devono sottostare alla volontà della

maggioranza e a quanto disposto dal debitore nel piano. Tuttavia la

norma consente al creditore dissenziente, mutuando da quanto previsto

nell’istituto del concordato preventivo, di contestare la convenienza

dell’accordo. In tal caso, il giudice può comunque procedere

all’omologazione se ritiene che il credito possa essere soddisfatto in

misura non inferiore a quanto risulterebbe dalla procedura alternativa di

liquidazione, disciplinata sempre dalla legge oggetto della trattazione.

La presenza di contestazioni dei creditori consente al giudice, in

sede di omologa, di estendere il proprio giudizio sulla convenienza del

piano.

Il procedimento, iniziato con il deposito della domanda, termina

con il provvedimento motivato emesso dal giudice. Il decreto può

prevedere sia l’omologazione, sia il diniego della stessa. In ogni caso i

provvedimenti sono impugnabili con reclamo da proporre al tribunale,

che decide in composizione collegiale, del quale non farà parte il

giudice che ha pronunciato il provvedimento. In caso di omologazione i

legittimati a proporre reclamo sono tutti i creditori che vi abbiano

interesse, mentre nel caso di diniego la legittimazione a reclamare è del                                                                                                                31 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 104. La legge non prevede alcun obbligo, in capo all’O.C.C., nel caso in cui le adesioni alla proposta del debitore non raggiungano la maggioranza richiesta. Ciò nonostante la dottrina prevalente ritiene che l’organismo di composizione della crisi sia tenuto a comunicare al giudice il mancato raggiungimento del quorum, il quale emetterà un provvedimento motivato di improcedibilità.

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  61  

proponente.

Richiamando, ancora una volta, la disciplina dettata per il

concordato preventivo, il legislatore ha stabilito che la procedura di

omologazione si deve esaurire nel termine di sei mesi dalla

presentazione della proposta.32

Il decreto di omologazione attribuisce efficacia giuridica

all’accordo raggiunto tra il debitore e i creditori consenzienti, e produce

gli effetti già affrontati nell’analisi del secondo comma dell’art. 10.

L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori

al momento in cui è stata eseguita la pubblicità della proposta e del

provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza. I creditori che

hanno titolo o causa posteriore a tale data non possono procedere

esecutivamente sui beni oggetto del piano. Ciò risponde alla finalità di

garantire l’esecuzione dell’accordo, secondo le modalità e le condizioni

indicate. In sostanza, come nel concordato preventivo, i beni inseriti nel

piano e messi a disposizione dei creditori, subiscono un vincolo di

destinazione specifico: la soddisfazione dei creditori vincolati al piano.

Gli effetti dell’accordo omologato vengono meno se ricorrono le

ipotesi della risoluzione dell’accordo o quella del mancato pagamento

dei crediti impignorabili e di quelli tributari previsti dall’articolo 7,

primo comma.

L’accertamento del mancato pagamento dei suddetti crediti, causa

della cessazione degli effetti dell’omologazione, deve essere richiesto,

ai sensi dell’art. 737 c.p.c., al tribunale con ricorso deciso in camera di

consiglio.                                                                                                                32 G. LO CASCIO, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3), op. cit., p. 819. Mancano, tuttavia, conseguenze sanzionatorie per l’inosservanza della durata temporale, né è pensabile che la procedura possa cessare, senza avere esaurito le operazioni ancora richieste, cosicché si deve ritenere che il legislatore si è semplicemente ispirato alle solite enunciazioni di vetrina.

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  62  

Come già anticipato nel paragrafo precedente, qualora intervenga

la sentenza dichiarativa di fallimento in capo al debitore, l’accordo si

risolve. Ne consegue che gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in

essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti

all’azione di revocatoria fallimentare 33 . Al contrario l’azione

revocatoria è possibile nel caso di fallimento prima dell’omologazione.

Infine, sempre a seguito della sentenza che dichiara il fallimento, i

crediti sorti in occasione o in funzione dell’accordo omologato sono

soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, ai sensi del richiamato

articolo 11134 l.f.. Si ritiene che tale prededuzione riguardi le spese di

procedura, il compenso del liquidatore o del gestore e gli eventuali

crediti dell’organismo di composizione della crisi connessi                                                                                                                33 L’azione revocatoria è uno strumento utilizzabile dal curatore fallimentare allo scopo di ricostituire il patrimonio del fallito destinato alla soddisfazione dei suoi creditori, facendovi rientrare quanto ne era uscito nel periodo antecedente al fallimento. Essa, disciplinata dall’art. 67 l.f., consente di colpire gli atti del debitore insolvente che hanno inciso sul suo patrimonio in violazione del principio della par condicio creditorum. Il curatore può così rendere inefficaci gli atti dispositivi, i pagamenti e le garanzie poste in essere dal fallito nell’anno o nei sei mesi antecedenti al fallimento. A tal fine il curatore può imporre ai terzi che hanno ottenuto beni o denaro di restituire quanto ricevuto, o, se hanno ottenuto garanzie, può retrocederli al rango di chirografario. Affinché possa essere esperita l’azione di revocatoria fallimentare è necessario che il terzo al momento dell’atto fosse a conoscenza dell’insolvenza della sua controparte (scientia decoctionis). La revocatoria deve essere esercitata a pena di decadenza entro tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque non oltre cinque anni dalla data dell’atto. Non tutti gli atti compiuti dal fallito possono essere colpiti da revocatoria, infatti la legge prevede un ampio numero di esenzioni. 34 Art. 111 l.f. – Ordine di distribuzione delle somme Le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo sono erogate nel seguente ordine:

1) per il pagamento dei crediti prededucibili; 2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute

secondo l’ordine assegnato dalla legge; 3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare

del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.

Sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali debiti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma.

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  63  

all’istruttoria relativa alla presentazione della proposta.

2.5 Esecuzione dell’accordo.

Il legislatore ha dettato, all’art. 13, specifiche disposizioni per

regolare la fase di esecuzione dell’accordo di composizione della crisi.

Preme precisare che quanto disposto dall’articolo sopra menzionato

vale anche per il piano del consumatore, procedura che sarà affrontata

nel prossimo capitolo.

Il primo aspetto da evidenziare è che il debitore, salvo alcune

ipotesi, non viene spossessato dei suoi beni e diritti come nel caso del

fallimento e provvede direttamente alla liquidazione del patrimonio ed

al soddisfacimento dei creditori.

Qualora la soddisfazione dei creditori sia realizzata mediante

l’utilizzo di beni sottoposti a pignoramento, o se previsto dall’accordo,

il giudice nomina, su proposta dell’organismo di composizione della

crisi, un liquidatore. In queste ipotesi il giudice designa, con il

provvedimento di omologazione, un soggetto in possesso dei requisiti

necessari per assumere la carica di curatore.

L’esecuzione dell’accordo compete, quindi, a seconda dei casi, al

debitore stesso oppure a un liquidatore.

Inoltre, come già anticipato nel primo paragrafo del presente

capitolo, nei casi in cui la nomina del liquidatore non sia obbligatoria,

il patrimonio del debitore può essere affidato a un gestore.

Quest’ultimo è nominato dal giudice ed è incaricato della liquidazione,

custodia e distribuzione del ricavato ai creditori.

Il ruolo del liquidatore è per molti aspetti assimilabile a quello del

curatore, per cui, anche se la norma richiama solamente l’art. 28 l.f., è

opportuno che il soggetto che assume tale ruolo accetti l’incarico, come

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  64  

previsto dall’art. 2935 l.f., con comunicazione scritta indirizzata al

giudice nella quale dichiari di possedere i requisiti richiesti e di non

trovarsi in condizione d’incompatibilità.

Il liquidatore, quando nominato, è l’unico soggetto legittimato a

disporre dei beni del proponente in via esclusiva e a ripartire le somme

ricavate. Dalla lettura della norma però non è chiaro se quest’ultimo è

investito della liquidazione di tutti i beni e diritti, o soltanto di quelli

sottoposti a pignoramento. In mancanza di specifiche disposizioni in

merito da parte dell’organo giudicante mediante il decreto di

omologazione, la dottrina prevalente ritiene che il liquidatore si debba

occupare della liquidazione di tutti i beni. Dopo l’accettazione della

carica, il medesimo dovrà pertanto procedere ad un inventario per

individuare esattamente i beni del debitore da liquidare36.

Il liquidatore opera sotto la vigilanza dell’organismo di

composizione della crisi e del giudice. Per la vendita dei beni e dei

diritti esso deve attenersi a quanto previsto dal piano. Qualora

quest’ultimo non preveda specifiche modalità di realizzazione, il

soggetto incaricato della liquidazione può adottare quelle ritenute più

idonee al fine di ottenere un maggior ricavo.

Tale soggetto non riveste la qualifica di pubblico ufficiale e può

essere sostituito per giustificati motivi che il giudice deve esplicitare in

uno specifico provvedimento. Naturalmente, per le funzioni svolte è

previsto un compenso, le cui modalità non sono indicate dalla norma

ma che evidentemente saranno previste di volta in volta dal decreto di

nomina.                                                                                                                35 Art. 29 l.f. – Accettazione del curatore Il curatore deve, entro i due giorni successivi alla partecipazione della sua nomina, far pervenire al giudice delegato la propria accettazione. Se il curatore non osserva questo obbligo, il tribunale, in camera di consiglio, provvede d’urgenza alla nomina di altro curatore. 36 E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 125.

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  65  

Il giudice, verificata la conformità dell’atto dispositivo

all’accordo, autorizza lo svincolo delle somme. Queste devono essere

utilizzate per il pagamento dei creditori, secondo quanto previsto

dall’accordo. A tal fine, è predisposto un piano di riparto simile a

quello previsto in ambito fallimentare, tenendo conto dei creditori

privilegiati che non hanno rinunciato al diritto di prelazione.

Le somme provenienti dalla vendita dei beni sottoposti a

pignoramenti possono essere distribuite solamente dopo che il giudice

ne ha disposto lo svincolo e ordinato la cancellazione della trascrizione,

oltre alla cessazione di ogni altra forma di pubblicità. Tale

provvedimento è emesso dal giudice solo dopo che quest’ultimo si è

consultato con il liquidatore e ha verificato che la vendita del bene

abbia seguito le disposizioni previste dall’accordo.

Il giudice ha, quindi, un potere di vigilanza sull’esecuzione

dell’accordo in virtù del quale può sospenderne l’esecuzione quando

ricorrono gravi e giustificati motivi. Tale valutazione può riguardare sia

il merito, quanto il danno, che l’esecuzione dell’accordo potrebbe

arrecare ai creditori.

Per quanto concerne i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni

eseguiti in violazione dell’accordo, sono inefficaci rispetto ai creditori

anteriori alla data in cui è stata eseguita la pubblicità. Pertanto, tali atti

sono validi ma improduttivi di effetti nei confronti dei propri creditori.

L’inefficacia può essere fatta valere solo dai creditori che abbiano

iscritto o trascritto il titolo anteriormente alla data in cui è stata eseguita

la pubblicità del procedimento. Invece, l’azione di nullità può essere

proposta, secondo i principi generali, da chiunque vi abbia interesse. La

scelta dell’inefficacia operata dal legislatore, invece che come

originariamente previsto della nullità, è coerente con l’assimilazione

della procedura come concorsuale.

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  66  

Al comma 4-bis, sempre dell’art. 13, è previsto che i crediti sorti

in occasione o in funzione della procedura siano soddisfatti con

preferenza rispetto agli altri, ad eccezione di quanto ricavato dalla

vendita dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai

creditori garantiti.

In questa fase un ruolo molto importante è svolto dall’organismo

di composizione della crisi. In primo luogo si adopera per risolvere

eventuali difficoltà sorte durante l’adempimento dell’accordo, il che

dovrebbe comportare, nonostante l’espressione generica usata dal

legislatore, anche la possibilità di intraprendere la strada

dell’amichevole composizione delle controversie eventualmente

insorte. L’organismo può inoltre affrontare le difficoltà afferenti alla

liquidazione anche attraverso l’individuazione di modalità alternative

di liquidazione che comunque non siano incompatibili con le previsioni

contenute nell’accordo.

Il predetto organismo è poi chiamato a vigilare sull’esatto

adempimento dell’accordo e deve comunicare ai creditori l’insorgere di

ogni irregolarità, affinché gli stessi possano azionare le previste

iniziative a tutela dei propri diritti. Al fine di eseguire al meglio il

compito di vigilanza, è da ritenere che l’organismo possa chiedere

notizie e documenti al debitore, al liquidatore o al gestore, se presenti.

Tale compito riguarda le modalità, le procedure di alienazione dei beni,

nonché i termini di pagamento e di soddisfazione.

Infine, se l’esecuzione dell’accordo è impossibile per cause non

imputabili al debitore, è prevista la possibilità per quest’ultimo di

modificare, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, la

proposta. In tal caso la modifica equivale a una nuova proposta, con

conseguente instaurazione di un nuovo procedimento.

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  67  

2.6 Patologia dell’accordo: impugnazione e risoluzione.

Le vicende patologiche della composizione della crisi da

sovraindebitamento sono disciplinate nell’art. 14 della legge 3/2012, il

quale fa riferimento alle consuete categorie dell’annullamento e della

risoluzione.

In materia, il legislatore ha ampiamente attinto dalla

corrispondente disciplina del concordato fallimentare e preventivo ed

ha inoltre previsto due fattispecie, in precedenza già trattate, che

determinano ex lege la perdita di efficacia dell’accordo. Innanzitutto,

l’accordo cessa, di diritto, di produrre effetti se il debitore non esegue

integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste e nella

misura prevista dal piano, i pagamenti dovuti alle amministrazioni

pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza

obbligatorie. La disposizione normativa è forte in quanto al verificarsi

di tale previsione non c’è alcuna necessità d’intervento del giudice

poiché l’accordo cessa di diritto e non produce più effetti giuridici. In

secondo luogo è la dichiarazione di fallimento del debitore a risolvere

l’accordo. Queste due fattispecie tendono a tutelare gli interessi

pubblici sottesi al prelievo fiscale e contributivo e, alla prevalenza della

procedura fallimentare, sancita anche dalla definizione del presupposto

soggettivo della procedura di composizione della crisi.

Mutuando, quindi, da quanto previsto dalla legge fallimentare agli

articoli 13737 e 13838 per il concordato fallimentare, e all’articolo 18639

                                                                                                               37 Art. 137 l.f. – Risoluzione del concordato Se le garanzie promesse non vengono costituite o se il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato, ciascun creditore può chiederne la risoluzione. Si applicano le disposizione dell’art. 15 in quanto compatibili. Al procedimento è chiamato a partecipare anche l’eventuale garante.

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  68  

per il concordato preventivo, il legislatore ha previsto gli istituti

dell’annullamento e della risoluzione anche per la presente procedura.

Il primo comma dell’art. 14 prevede tassativamente le ipotesi

nelle quali i creditori possono chiedere l’annullamento dell’accordo.

Queste ricorrono quando è stato dolosamente o con colpa grave

aumentato o diminuito il passivo, sottratta o dissimulata una parte

rilevante dell’attivo, oppure dolosamente simulate attività inesistenti40.

                                                                                                                                                                                                                                                                                             La sentenza che risolve il concordato riapre la procedura di fallimento ed è provvisoriamente esecutiva. La sentenza è reclamabile ai sensi dell’art.18. Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato. Le disposizioni di questo articolo non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti dal proponente o da uno o più creditori con liberazione immediata del debitore. Non possono proporre istanza di risoluzione i creditori del fallito verso cui il terzo, ai sensi dell’articolo 124, non abbia assunto responsabilità per effetto del concordato. 38 Art. 138 l.f. – Annullamento del concordato Il concordato omologato può essere annullato dal tribunale, su istanza del curatore o di qualunque creditore, in contraddittorio con il debitore, quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo. Non è ammessa alcuna altra azione di nullità. Si procede a norma dell’articolo 137. La sentenza che annulla il concordato riapre la procedura di fallimento ed è provvisoriamente esecutiva. Essa è reclamabile ai sensi dell’articolo 18. Il ricorso per l’annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato. 39 Art. 186 l.f. – Risoluzione e annullamento del concordato Ciascuno dei creditori può richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento. Il concordato non si può risolvere se l’inadempimento ha scarsa importanza. Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato. Le disposizioni che precedono non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore. Si applicano le disposizioni degli articoli 137 e 138, in quanto compatibili, intendendosi sostituito al curatore il commissario giudiziale. 40 R. GIORDANO, L’impugnazione e la risoluzione dell’accordo, in La “nuova” crisi da sovraindebitamento, Il Civilista, 2013, 61. E’ evidente che tale norma ricalca le disposizioni in tema di concordato fallimentare e preventivo, scelta che appare coerente con la circostanza che l’accordo viene raggiunto tra il debitore ed i creditori in forme procedimentalizzate dalla legge in commento. Tale analogia con

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  69  

Si tratta di fattispecie tutte incidenti sul principio di universalità,

patrimoniale e soggettivo, dell’accordo: il doloso aumento del passivo

e/o la diminuzione del passivo offrono una visione falsata dell’effettiva

composizione del ceto creditorio; la sottrazione o la dissimulazione di

una parte rilevante dell’attivo e/o la dolosa simulazione di attività

inesistenti danno una rappresentazione falsata del patrimonio destinato

e/o destinabile alla soddisfazione delle ragioni creditorie. Si è di fronte

a fatti la cui rappresentazione può incidere sulla valutazione di

convenienza, o più in generale, di fattibilità della proposta avanzata dal

debitore che ha intenzionalmente e oggettivamente viziato il consenso

prestato dai singoli creditori, in modo che non si sarebbe formata la

maggioranza, presupposto dell’omologazione.

Inoltre, è importante evidenziare che gli elementi che determinano

l’annullamento sono per un verso quello soggettivo, della coscienza e

volontà di falsificazione da parte del debitore, e per altro verso quello

oggettivo, dell’alterazione rappresentativa del passivo e/o dell’attivo

del patrimonio del debitore41. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo

                                                                                                                                                                                                                                                                                             le previsioni operanti per il concordato rende opportuno ricordare che la giurisprudenza, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’annullamento dello stesso, ha tradizionalmente affermato una posizione rigorosa ritenendo, in generale, che l’annullamento del concordato preventivo può aversi solo in presenza di una dolosa esagerazione del passivo o di una dissimulazione di parte dell’attivo, tali da integrare una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale dell’imprenditore in base alla quale i creditori sono indotti ad approvare la proposta ed il tribunale ad omologarla (Trib. Milano, 9 gennaio 1992, in Fall., 1992, 643). Sulla scorta di tale presupposto, si è evidenziato, da un lato, che l’occultamento del passivo non può essere addotto a causa di annullamento del procedimento di concordato e, da un altro, che la dissimulazione di parte rilevante dell’attivo, ai sensi dell’art. 138 l.f., non consiste nella semplice indicazione di un prezzo o valore inferiore al reale del bene, ma è ravvisabile quando il debitore compie atti diretti dolosamente a far apparire fittiziamente alienato il bene a terzi per sottrarlo ai creditori ovvero per indurli ad accettare una percentuale minore. 41 Sul punto, si veda F. SABINO, L’accordo da sovraindebitamento nei suoi profili patologici, Convegno internazionale su La composizione delle crisi da sovraindebitamento, Roma, 2012, p. 7. “L’alterazione deve, a mio avviso, essere significativa, insomma investire una “parte rilevante” del passivo e/o dell’attivo,

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  70  

appare chiaro che il dolo cui fa riferimento la norma non è il dolo

contrattuale, ma il dolo generico che, unitamente alla colpa grave,

costituisce presupposto dell’azione generale di risarcimento dei danni

ex art. 2043 c.c.42.

Il comportamento doloso del debitore si sostanzia in fatti che

alterano oggettivamente i termini sulla cui base i creditori sono stati

indotti ad aderire alla proposta, e quindi tali da indurre in inganno gli

                                                                                                                                                                                                                                                                                             benché tale requisito sembri letteralmente espresso con riferimento alla sola sottrazione o dissimulazione dell’attivo. Mi sembra evidente che profilo quantitativo e qualitativo dell’alterazione, l’uno rispetto all’entità della diminuzione o aumento del passivo ovvero della diminuzione o aumento dell’attivo e l’altro rispetto alla idoneità di quella alterazione a incidere sul giudizio di convenienza dei creditori, si combinino nella valutazione del vizio genetico dell’accordo. Ma soprattutto credo che la valutazione sia da condurre pur sempre in termini oggettivi, avendo presente la figura del creditore medio, più che la situazione soggettiva in cui versi il creditore che abbia in concreto agito per l’annullamento. Ed in questo senso la disciplina concorsuale esprime la sua vera specialità. Il raffronto con le ipotesi di dolo determinante e di dolo incidente delineate dal diritto comune (art. 1439 e 1440 c.c.) induce a compiere alcune riflessioni che evidenziano la specialità della disciplina in oggetto. Qui i raggiri sono per così dire tipizzati nelle condotte di alterazione ricordate, e l’unica valutazione riguarda la “rilevanza” di quelle alterazioni in termini di determinazione del consenso della “maggioranza” qualificata ai fini dell’intera composizione negoziale della crisi. Ancora, rispetto ai contratti plurilaterali con comunione di scopo la valutazione investe non tanto la essenzialità della partecipazione di un contraente alla operazione complessiva, bensì la essenzialità di una corretta rappresentazione di attivo e/o passivo a incidere sulla partecipazione di ciascun creditore alla conclusione dell’accordo, partecipazione di ciascuno valutata nella sua oggettività secondo criteri di media ragionevolezza. Il comportamento doloso del debitore (o di terzi, come già precisato) si sostanzia in fatti che alterano oggettivamente i termini sulla cui base i creditori sono stati indotti ad aderire alla proposta, anche se questa proposta fosse stata articolata in maniera differenziata per ciascun creditore. In questo senso si potranno pure avere una pluralità di contratti bilaterali o se si vuole “un contratto plurilaterale analogo alla deliberazione concordataria”. Ma ciò che preme evidenziare è che il legislatore ne considera comunque il carattere unitario sul piano funzionale”. 42 Così, ancora, R. GIORDANO, op. cit., p. 61. A seguito delle modifiche introdotte dal decreto Sviluppo Bis (d.l. 179/2012) anche la colpa grave e non soltanto il dolo, nel compimento delle indicate attività, potrà condurre alla proposizione dell’azione di annullamento, con la conseguenza che, sebbene appaia corretta la considerazione per la quale l’impugnativa dovrebbe essere accolta dal giudice soltanto nelle ipotesi più gravi e non anche in presenza di condotte del debitore che siano in realtà irrilevanti ai fini del raggiungimento dell’accordo, il dolo cui fa riferimento la norma non è il dolo contrattuale bensì quello generico.

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  71  

stessi e gli organi della procedura43. I comportamenti dolosi devono

riguardare specificatamente l’aumento del passivo o la diminuzione

dell’attivo, oppure una combinazione delle due, in modo tale che la

situazione patrimoniale rappresentata sia peggiore di quella effettiva e,

in tal modo, possa influenzare la decisione dei creditori. Il passivo può

essere aumentato esponendo debiti inesistenti, mentre l’attivo può

essere diminuito non inserendovi, in tutto o in parte, beni o diritti

esistenti.

Anche la simulazione di attività inesistenti è caratterizzata dal

dolo. In questo caso il debitore rappresenta una situazione patrimoniale

migliore di quella reale e quindi fornisce una rappresentazione non

veritiera che influenza i creditori nella scelta di aderire alla proposta.

La colpa, invece, rileva solamente in presenza di azioni

caratterizzate dalla gravità.

Il ricorso per l’annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi

dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del

termine fissato per l’ultimo adempimento previsto, in linea con quanto

stabilito nella legge fallimentare in materia di concordati.

La norma prevede espressamente che, a seguito dell’istanza di

annullamento ad opera di uno o più creditori, sia instaurato il

contraddittorio con il debitore. Nel caso in cui il giudice abbia

nominato un liquidatore, o i beni siano stati affidati a un gestore, pur

non essendo tali soggetti parti necessarie del giudizio, potrebbe essere

opportuno estendere il contraddittorio anche nei loro confronti. Lo                                                                                                                43 Cass. 19 gennaio 1987, n. 396, in Giust. Civ., 1987, I, 594. Sulla questione, la suprema corte ha affermato che il comportamento doloso del debitore, quale ragione di annullamento del concordato preventivo o fallimentare, non è di per se ravvisabile nell’allegazione, con la proposta di concordato, di una relazione di stima di un immobile per valore inferiore a quello di mercato, ove l’immobile medesimo sia fedelmente indicato nelle sue esatte caratteristiche. Ne consegue che il suddetto comportamento non integra un raggiro idoneo a trarre in inganno i creditori e gli organi della procedura.

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  72  

scopo di questa opportunità è quello di evitare effetti distorsivi

irreversibili in conseguenza della buona fede degli acquirenti non

essendo previsto alcun meccanismo di sospensione dell’esecuzione

dell’accordo in pendenza dell’azione di annullamento44.

L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 14 precisa

espressamente che non sono ammesse altre azioni di annullamento

dell’accordo; pertanto, le ipotesi sopra indicate devono ritenersi

tassative.

Anche le fattispecie al manifestarsi delle quali uno o più creditori

possono chiedere la risoluzione sono rigorosamente indicate dalla

norma: il proponente non adempie agli obblighi derivanti dall’accordo;

non vengono costituite le garanzie promesse; l’esecuzione diviene

impossibile per ragioni non imputabili al debitore. Pertanto, la

risoluzione colpisce i vizi funzionali dell’accordo che eventualmente si

manifestano nella fase esecutiva sotto forma dell’inadempimento o

dell’impossibilità sopravvenuta. In entrambi i casi, il punto di

riferimento è costituito dall’accordo, il quale può assumere il contenuto

più vario. Ne consegue che è difficile predeterminare in astratto i

possibili inadempimenti, dovendo quindi di volta in volta fare

riferimento alle previsioni della proposta.

La prima ipotesi di risoluzione è, dunque, legata al non

adempimento degli obblighi derivanti dall’accordo. La norma, rispetto

al concordato preventivo, non precisa che l’inadempimento non debba

essere di scarsa importanza ma, tenendo conto che il legislatore a

                                                                                                               44 F. S. FILOCAMO e P. VELLA, L’annullamento e la risoluzione dell’accordo, in Sovraindebitamento e usura, 2012, 221. E’ il caso di ricordare il principio desumibile dalla giurisprudenza che nega la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra la domanda di annullamento di un contratto e la domanda tendente a far valere medio tempore gli effetti dello stesso contratto, atteso che l’eventuale accoglimento della prima non è incompatibile con la provvisoria efficacia del contratto, salvo il diritto delle parti alle restituzioni.

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  73  

seguito delle modifiche apportate ha eliminato l’avverbio

“regolarmente” con riguardo al mancato inadempimento, e in

conformità al principio sancito in sede di risoluzione contrattuale ex

art. 145545 c.c., è da ritenere che l’inadempimento non possa che essere

quello di particolare importanza, cioè connotato da gravità. Tale

soluzione è stata avallata dalla dottrina maggioritaria anche tenendo

conto della natura contrattuale dell’accordo in questione46.

Un altro interrogativo concerne il dubbio se l’importanza

dell’inadempimento debba essere individuata riguardo all’interesse

individuale del debitore oppure a quello generale dei creditori aderenti

o addirittura alla generalità di tutti i creditori. Secondo la maggior parte

della dottrina sembra che la gravità dell’inadempimento debba essere

                                                                                                               45 Art. 1455 c.c. – Importanza dell’inadempimento Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra. 46 Sul punto, si veda R. GIORDANO, L’impugnazione e la risoluzione dell’accordo, op. cit., p. 62. Tale disposizione nella formulazione originaria faceva riferimento anche al “mancato regolare adempimento” e quindi si discostava significativamente dalla corrispondente norma stabilita per il concordato preventivo, che non consente la risoluzione dell’intero concordato laddove il denunciato inadempimento sia di scarsa importanza. La circostanza che il legislatore, mediante la riforma in esame, abbia eliminato l’avverbio regolarmente con riguardo al mancato adempimento delle obbligazioni potrebbe confortare un’interpretazione del tutto opportuna della disposizione nel senso di ritenere sottintesa la necessità di un inadempimento di non scarsa importanza, anche in omaggio alla regola generale sancita in materia contrattuale dall’art. 1455 c.c. per la quale il negozio non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte, consentendo il travolgimento dell’accordo soltanto a fronte di un inadempimento connotato da gravità. G. LO CASCIO, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n.3), in Fallimento, op. cit., p. 821. Rispetto al concordato preventivo, non è stato precisato che l’inadempimento non debba essere di scarsa importanza, ma il richiamo nella specie ai principi sulla risoluzione del contratto induce a ritenere che l’inadempimento non possa che essere quello di particolare importanza. E. SOLLINI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, op. cit., p.139. Si deve giungere ad una conclusione diversa nel senso che l’inadempimento, per legittimare un’azione di risoluzione, deve essere concretamente apprezzabile e, come tale, da incidere sull’interesse dei creditori all’esatto adempimento degli obblighi derivanti da quanto concordato.

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  74  

valutata avendo riguardo all’interesse individuale dei singoli creditori

che hanno proposto l’azione di risoluzione47.

La mancata costituzione delle garanzie promesse costituisce il

secondo motivo di risoluzione dell’accordo. Anche la non costituzione

della garanzia nel tempo previsto è equiparata alla mancata costituzione

della stessa per cui legittima la proposizione dell’azione di risoluzione.

Infine, la medesima azione può essere promossa quando

l’esecuzione dell’accordo diventa impossibile per ragioni non

imputabili al debitore. Questa ipotesi si concretizza per esempio

quando il bene sul quale si faceva affidamento è andato perduto per un

fenomeno straordinario. Ne consegue che in questo caso l’impossibilità

di eseguire la proposta come accettata dai creditori dipende da ragioni

estranee alla volontà del debitore.

La richiesta di risoluzione può essere proposta da ciascun

creditore entro sei mesi dalla scoperta del vizio funzionale e, in ogni

caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo

adempimento previsto dall’accordo. I termini di decadenza, che

incidono sulla sola proposizione del ricorso, non sono rilevabili

d’ufficio e pertanto la decadenza non opera se non espressamente

eccepita dal debitore. Il dies a quo del termine annuale è riferito invece

all’ultimo adempimento previsto dal piano, per cui la sua concreta

individuazione deve essere verificata di volta in volta analizzando le

previsioni stabilite nell’accordo.

Sia l’azione di annullamento che quella di risoluzione, regolate                                                                                                                47 Così, ancora, R. GIORDANO, op. cit., p. 62. La gravità dell’inadempimento dovrà essere valutata, onde evitare vuoti di tutela, avendo riguardo all’interesse individuale dei singoli creditori che hanno proposto l’azione di risoluzione. G. LO CASCIO, op. cit., p. 821. Un altro interrogativo concerne il dubbio se l’importanza dell’inadempimento debba essere individuata riguardo all’interesse individuale del debitore oppure a quello generale dei creditori aderenti o addirittura alla generalità di tutti i creditori. Sembra prevalere la soluzione che individua l’interesse in quello del creditore individuale.

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  75  

dal rito camerale, devono essere presentate al tribunale che ha

omologato l’accordo con specifico ricorso. E’ da ritenere che, sia per

presentare il ricorso, sia per la costituzione in giudizio, le parti hanno

bisogno dell’assistenza di un legale.

A seguito del ricorso il tribunale si pronuncia con decreto

motivato rigettando o accogliendo la richiesta.

Gli effetti conseguenti all’accoglimento della domanda avanzata

dal ricorrente sono costituiti dalla caducazione retroattiva degli effetti

modificativi dei rapporti obbligatori previsti dall’accordo, nonché da

effetti collaterali, di inibitoria, nei confronti dei creditori estranei. Tali

effetti si producono quindi erga omnes, ossia nei confronti di tutte le

parti dell’accordo medesimo e comportano il venir meno, ex tunc, dei

diritti reciprocamente acquisiti. Ne consegue che, dopo la risoluzione o

l’annullamento, tutti i creditori anteriori alla proposta potranno agire

nei confronti del debitore per l’intero credito originario, decurtato di

eventuali pagamenti ricevuti.

Il quarto comma dell’articolo 14 prevede espressamente che sia la

risoluzione che l’annullamento, pur avendo in linea di principio

efficacia retroattiva, non pregiudicano i diritti dei terzi acquisiti in

buona fede, in coerenza con gli articoli 144548 e 145849 c.c., salvo che

non sia stata trascritta la domanda.

La norma, infine, è silente sulla possibilità di impugnare il

                                                                                                               48 Art. 1445 c.c. – Effetti dell’annullamento nei confronti dei terzi L’annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento. 49 Art. 1458 c.c. – Effetti della risoluzione La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati da terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.

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  76  

provvedimento emesso dal tribunale riguardo il ricorso per

l’annullamento o la risoluzione. Tuttavia, la dottrina ritiene che questa

eventualità sia ammessa ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della

Costituzione. Infatti, il provvedimento pronunciato all’esito del

reclamo è equiparato ad una sentenza sostanziale, intesa quale

provvedimento giurisdizionale che sebbene emesso in forma di

ordinanza o decreto sia definitivo ed idoneo ad incidere con efficacia di

giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale, in quanto

idonea a decidere in modo definitivo su diritti soggettivi contrapposti e,

in particolare, sui diritti del debitore, del creditore ricorrente e dei

creditori resistenti50.

                                                                                                               50 R. GIORDANO, L’impugnazione e la risoluzione dell’accordo, op. cit., p. 65-66. Deve ritenersi ammesso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. avverso il provvedimento pronunciato all’esito del reclamo, potendo tale decisione essere equiparata ad una sentenza c.d. in senso sostanziale.

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  77  

Capitolo terzo

Il piano del consumatore

3.1 Accordo e piano del consumatore: le due procedure a confronto.

Tanto sotto il profilo contenutistico, quanto sotto il profilo degli

effetti, il piano del consumatore è soggetto ad una disciplina analoga a

quella dell’accordo. Questa procedura si rivolge ai soggetti

consumatori, ossia alle persone fisiche, che hanno contratto debiti solo

per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale

eventualmente svolta. Ne consegue che, quando il debitore, in possesso

dei requisiti per proporre l’accordo di composizione della crisi, riveste

anche la qualità di consumatore, ha la facoltà di scegliere se proporre al

giudice un piano di risanamento dei suoi debiti, anziché ricorrere

all’accordo con i propri creditori. Infatti, il comma 1-bis dell’articolo 7

dispone che, fermo restando il diritto di proporre ai propri creditori un

accordo, il consumatore in stato di sovraindebitamento possa proporre,

con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, un piano

contenente le previsioni di cui all’articolo 7 primo comma. Rispetto al

debitore, dunque, il consumatore in stato di sovraindebitamento

dispone di un’opzione ulteriore, alternativa all’accordo.

La prima differenza da rilevare riguarda quindi il presupposto

soggettivo: mentre l’accordo è esperibile sia dal debitore sia dal

consumatore, la procedura oggetto del presente capitolo è uno

strumento riservato solo a quest’ultimo soggetto.

Le altre differenze non riguardano il contenuto della proposta,

analogo a quanto previsto per l’accordo di composizione della crisi, ma

parte del procedimento, poiché la formazione del piano del

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  78  

consumatore assume, come unico e diretto destinatario, il giudice, non

richiedendo l’accordo con i creditori.

Il piano del consumatore, quindi, non sembra avere carattere

negoziale poiché per la sua omologazione non occorre il consenso della

maggioranza dei creditori, ma è il giudice a decidere se il debitore

consumatore merita, tenendo presente il piano, di essere ammesso alla

procedura. Si può dire, in altri termini, che quest’ultima consiste in un

atto unilaterale del debitore, difettando totalmente della fase di

espressione del voto da parte del ceto creditorio. Il legislatore, tuttavia,

ha lasciato ai creditori la possibilità di intervenire nel momento della

formulazione delle eventuali contestazioni.

L’assenza di votazione in merito alla proposta formulata dal

soggetto consumatore è un fenomeno atipico rispetto alle procedure

concorsuali regolate dalla legge fallimentare, nelle quali invece la

partecipazione e l’approvazione dei creditori è fondamentale e

rispecchia il nuovo orientamento inteso a limitare l’intervento

giurisdizionale ed attribuire natura privatistica agli istituti che regolano

la crisi e l’insolvenza delle imprese1.

La manifestazione di volontà dei creditori è sostituita da una

valutazione discrezionale del giudice riguardo la fattibilità della

proposta, l’assenza di atti in frode ai creditori e la meritevolezza del

soggetto consumatore.

Poiché il piano del consumatore non necessita di un accordo con i

propri creditori, il terzo comma dell’articolo 9 impone, a garanzia

dell’interesse di quest’ultimi, che alla proposta venga allegata una

relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi,

                                                                                                               1 A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, op. cit., p. 1287. Si può ritenere che la previsione del legislatore sia dovuta all’intento di superare il disinteresse dei creditori, desumibile dall’esperienza pratica e dalle dinamiche del mercato del credito, al salvataggio del consumatore.

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  79  

contenente: l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della

diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le

obbligazioni; l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di

adempiere le obbligazioni assunte; il resoconto sulla solvibilità del

consumatore negli ultimi cinque anni; l’indicazione dell’eventuale

esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori.

La relazione, oltre a contenere una valutazione sul

comportamento pregresso del consumatore, deve esprimere anche un

giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione

depositata a corredo della proposta, nonché sulla fattibilità e sulla

probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Infatti, il piano del consumatore deve essere conveniente, cioè

assicurare ai creditori una soddisfazione maggiore di quella che

avrebbero attraverso la procedura di liquidazione dei beni.

Quest’ultima, a differenza delle procedure oggetto del presente

manoscritto che possono prevedere volontariamente la liquidazione

solo di una parte dei beni costituenti il patrimonio del debitore, deve

coinvolgere tutto il patrimonio del soggetto sovraindebitato, con

eccezione dei beni indicati dal comma sesto dell’articolo 14-ter2.

Questi giudizi sono vincolanti per la prosecuzione della

procedura: infatti, in caso di valutazioni negative, il tribunale non

procede all’omologazione, dichiarando la proposta inammissibile.

Tuttavia, se il piano presentato dal debitore viene respinto dal giudice,

il consumatore ha in ogni modo la possibilità di accedere alla procedura

alternativa di liquidazione del patrimonio.

Il piano del consumatore ha ad oggetto gli stessi elementi

                                                                                                               2 Tra questi beni, esclusi dal patrimonio del debitore, sono indicati i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia, come indicato dal giudice.

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  80  

prescritti per l’accordo di composizione della crisi e pertanto, in molti

casi, la disciplina è regolata dalle medesime disposizioni già affrontate

nel capitolo precedente. In particolare gli articoli 7, 8, 9 e 13 della

legge 3/2012 sono comuni ad entrambe le procedure.

Quindi, anche in questo caso, la proposta deve contenere

l’assicurazione del regolare pagamento, secondo i termini e le modalità

previste dalla legge, dei crediti impignorabili; garantire il pagamento

integrale, ancorché dilazionato, dei tributi costituenti risorse proprie

dell’Unione Europea, dell’I.V.A. e delle ritenute operate e non versate;

il soddisfacimento, anche parziale, dei creditori muniti di privilegio,

pegno o ipoteca, purché previsto in misura non inferiore a quella

realizzabile in caso di liquidazione. Così come stabilito per l’accordo di

composizione della crisi, il piano deve altresì indicare la previsione

delle scadenze e delle modalità di pagamento dei creditori, con

l’eventuale indicazione delle garanzie rilasciate per l’adempimento dei

debiti e delle modalità per l’eventuale liquidazione dei beni.

Anche il piano del consumatore può prevedere una moratoria fino

a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di

privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei

beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

In linea con quanto già affrontato riguardo all’accordo, il piano

con la relativa documentazione deve essere depositato presso il

tribunale competente e, contestualmente, presso l’agente della

riscossione e gli uffici fiscali ad opera dell’organismo di composizione

della crisi. I documenti unitamente depositati devono riguardare: le

dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; l’elenco di tutti i

creditori, dei beni del debitore e degli eventuali atti dispositivi compiuti

negli ultimi cinque anni e l’elenco delle spese correnti necessarie al

sostentamento del consumatore e della sua famiglia, indicando a tal

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  81  

fine la composizione del nucleo familiare.

Anche il piano del consumatore può prevedere l’eventuale

affidamento del patrimonio ad un gestore per la custodia, liquidazione e

distribuzione delle somme ricavate.

Infine, per quanto riguarda la fase relativa all’esecuzione del

piano, si rimanda integralmente a quanto già detto nel relativo

paragrafo del secondo capitolo del presente elaborato.

3.2 Procedimento e omologazione del piano del consumatore

L’art. 12-bis, introdotto dal d.l. 179/2012, è il primo dedicato

esclusivamente alla procedura del piano del consumatore. L’espressa e

separata regolamentazione del procedimento di omologazione rafforza

e sottolinea il fatto che questa procedura è dedicata a soggetti differenti

rispetto a quelli che possono accedere alle altre procedure disciplinate

dalla legge 3/2012.

Anche nell’ambito del procedimento di omologazione del piano

del consumatore è il giudice, la cui competenza è individuata

all’articolo 9, il soggetto chiamato ad emettere il provvedimento di

apertura della procedura.

Il giudice, prima di emettere il suddetto provvedimento, verifica

che la proposta soddisfi quanto previsto dagli articoli 7, 8 e 9, inerenti

rispettivamente ai requisiti soggettivi e oggettivi di accesso, al

contenuto e alla completezza documentale del piano. Qualora non li

ritenga soddisfatti può concedere un termine perentorio non superiore a

quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta.

Riguardo all’ammissibilità il giudice deve controllare che il

consumatore si trovi in una situazione di sovraindebitamento; non sia

assoggettato a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla

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  82  

presente legge; non abbia fatto ricorso, nei cinque anni precedenti, ad

una delle procedure disciplinate dalla stessa legge 3/2012 e non abbia

subito, per cause a lui imputabili, provvedimenti di revoca,

impugnazione o risoluzione dell’accordo.

Riguardo, invece, il contenuto e la completezza documentale del

piano, il giudice, oltre a verificare che la proposta contenga determinati

elementi, comuni anche all’accordo di composizione della crisi, deve

controllare che il debitore abbia prodotto una documentazione idonea a

ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale e

che sia residente nel circondario del tribunale presso cui ha depositato

la domanda.

Il giudice verifica inoltre l’assenza di atti in frode ai creditori, di

cui può averne notizia, in questa fase, solo attraverso la relazione

particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi.

Se il controllo è positivo, il giudice emette immediatamente un

provvedimento nel quale indica la data dell’udienza3, che non può

essere fissata oltre sessanta giorni a decorrere dal momento in cui è

stata depositata la proposta, o eventualmente dalla data di deposito

delle integrazioni nel perentorio termine di quindici giorni. Con il

medesimo decreto il giudice ordina, all’organismo di composizione

della crisi che assiste il consumatore, di comunicare a tutti i creditori,

almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza, la proposta e

il decreto di ammissione. L’O.C.C. deve effettuare tali adempimenti

con la massima tempestività attraverso le solite modalità previste                                                                                                                3 F. AGOSTINI, Il piano del consumatore. Dall’omologa alla cessazione, ODCEC Pistoia, 2013, 3-4. Il decreto di fissazione dell’udienza può essere considerato equivalente al decreto di apertura della procedura di concordato preventivo. Dalla formulazione dell’articolo 12-bis sembra che il decreto di avvio, a differenza di quanto previsto per l’accordo, non richieda alcuna forma di pubblicità. Nonostante il silenzio della norma, è da ritenere che ciò sia solamente una mancanza normativa e, pertanto, è opportuna un’idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto, sempre per opera dell’organismo di composizione della crisi.

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  83  

all’articolo 15, settimo comma, cioè mediante posta elettronica

certificata, telefax o lettera raccomandata.

Alla data ed ora prevista nel provvedimento di ammissione si

tiene l’udienza dinanzi al giudice. Anche se la norma non lo specifica,

è da ritenere che possano partecipare il debitore, assistito

dall’organismo di composizione della crisi, e tutti i creditori ed ogni

altro soggetto che vi abbia interesse.

Anche il procedimento in esame è fondato su un’unica udienza e

l’omologa deve intervenire nel termine massimo di sei mesi dal

deposito della domanda per l’ammissione alla procedura del

sovraindebitamento. Tuttavia, nonostante le numerose affinità

segnalate, la procedura del piano del consumatore agisce secondo una

ratio diversa rispetto a quella di cui all’art. 10, avendo il legislatore

disposto che, ai fini dell’approvazione del piano, non sia richiesta

alcuna maggioranza e ponendo, quale condizione necessaria e

sufficiente per l’omologa, la valutazione da parte del giudice sulla

fattibilità del piano riguardo ai presupposti di cui ai già citati articoli 7,

8 e 9 ed al complessivo atteggiamento del consumatore.

In udienza il giudice verifica la fattibilità del piano e l’idoneità

dello stesso ad assicurare l’integrale pagamento dei crediti

impignorabili, dei tributi costituenti risorse dell’Unione Europea,

dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute operate e non versate

per le quali il piano può prevedere soltanto una rateizzazione.

In questa fase l’organo giudiziario cerca altresì di risolvere ogni

contestazione, anche a proposito dell’effettivo ammontare dei crediti.

Ne consegue che nella procedura del piano del consumatore i creditori

possono opporsi alla proposta solamente all’udienza di omologa.

Questi possono contestare la convenienza del piano, ma possono anche

fornire elementi comportamentali del debitore tali da influire sulla

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  84  

valutazione che il giudice dovrà eseguire per giungere all’omologa.

Nonostante le eventuali contestazioni, il giudice approva comunque il

piano quando lo ritiene più conveniente rispetto all’alternativa

liquidatoria, ai fini della soddisfazione dei crediti4.

Va altresì rilevato che il decreto mediante il quale viene fissata

l’udienza, a differenza di quanto previsto dalla procedura di cui all’art.

10, non comporta automaticamente la sospensione od il blocco per le

azioni esecutive o cautelari esperite dai creditori, almeno fino alla data

di emissione del decreto di omologazione del piano. Infatti, ai sensi

dell’art. 12-bis, secondo comma, è il giudice a valutare se, nelle more

della convocazione dei creditori all’udienza di omologa, sono pendenti

procedure di esecuzione forzata la cui prosecuzione potrebbe

pregiudicare la fattibilità del piano. Solamente in tal caso, il giudice

può disporre la sospensione di tali procedimenti sino al momento in cui

il provvedimento di omologazione diventa definitivo5.

Pertanto, nel periodo tra la pronuncia del provvedimento del

giudice e la data dell’udienza, l’inibizione per le azioni esecutive

individuali costituisce una mera facoltà ed è espressione della

discrezionalità del giudice. Preme precisare che tale provvedimento di

sospensione deve essere valutato con riferimento alle specifiche

procedure e quindi non opera sospendendo tutti i processi esecutivi.

Dal tenore letterale del secondo comma sembra che sia possibile

per il consumatore chiedere la sospensione di eventuali esecuzioni

individuali già in corso alla data di deposito della proposta, nel caso in

cui queste possano pregiudicare la fattibilità del piano. Sorge invece il                                                                                                                4 Tale meccanismo è noto anche con il nome cram down. 5 Circolare ABI, Sovraindebitamento – Crisi d’impresa, n.3 25 gennaio 2013; Relazione illustrativa al d.l. 179/2012. La scelta di non anticipare gli effetti protettivi sul patrimonio del debitore è dovuta al carattere di maggiore semplificazione del procedimento, nonché all’assenza dell’esigenza di conservazione dell’unità produttiva, propria esclusivamente dei debitori non consumatori.

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  85  

dubbio a proposito di quelle che iniziano dopo, le quali altrimenti

procedono normalmente fino all’eventuale omologa6.

L’udienza è quindi fondamentale affinché il giudice possa

procedere all’omologazione della procedura oggetto di analisi del

presente capitolo. E’ in questa sede, infatti, che viene verificata la

fattibilità del piano, valutate e risolte le eventuali contestazioni

ricevute.

Il giudice, eseguiti i controlli e risolte le controversie, procede

all’omologazione della proposta, per il cui scopo è necessario una

valutazione giudiziale di fattibilità e meritevolezza. I creditori non sono

quindi chiamati all’adesione, ma possono soltanto intervenire

contestandone la convenienza.

Mentre la valutazione sulla fattibilità è caratterizzata dagli

elementi in precedenza già individuati, per la meritevolezza devono

ricorrere determinate condizioni comportamentali del debitore. Infatti,

riguardo alla meritevolezza il giudice esegue una valutazione

discrezionale utilizzando criteri interpretativi non oggettivi, che

dipendono dall’apprezzamento di volta in volta fatto dal giudice stesso.

Per procedere con l’omologazione è quindi necessario che l’organo

giudicante escluda che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza

la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, causando

colposamente il sovraindebitamento, anche mediante un ricorso al

credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali. In

sostanza il giudice, per omologare la proposta, deve ritenere il

consumatore meritevole per il suo comportamento.

                                                                                                               6 F. AGOSTINI, Il piano del consumatore. Dall’omologa alla cessazione, op. cit., p.3. Sorge il dubbio se non sia invece possibile chiedere la sospensione anche di azioni individuali iniziate dopo se le stesse possono pregiudicare la fattibilità del piano. Ovviamente ciò avverrebbe con un decreto ulteriore e specifico da parte del giudice.

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  86  

E’ evidente che questo punto rappresenta lo snodo cruciale

dell’intera procedura del piano del consumatore poiché la possibilità di

ottenere o meno l’omologa dipende prevalentemente proprio

dall’interpretazione che l’organo giudiziario fornisce riguardo agli

aspetti sopra menzionati.

Il consumatore meritevole deve essere esente da colpe nella

determinazione del sovraindebitamento. La ragionevolezza della

condotta e l’assenza di colpa, secondo una visione restrittiva del

concetto di meritevolezza, possono essere riassunti nel termine

diligenza che quindi sarebbe richiesta al consumatore per usufruire

della procedura a lui favorevole. Qualificare però il consumatore

meritevole come diligente sembra essere eterodosso rispetto al nostro

sistema giuridico. Infatti, tanto in ambito contrattuale, quanto in ambito

extracontrattuale, un comportamento negligente assume rilevanza

soltanto se lede un interesse altrui giuridicamente protetto, perché solo

in tal caso il soggetto al quale la condotta colpevolmente dannosa è

imputabile è tenuto a risarcire il pregiudizio arrecato ad altri.

Una parte minoritaria della dottrina, secondo un’ottica restrittiva,

ritiene che nella fattispecie in esame venga imputato al consumatore di

avere assunto obbligazioni in una situazione nella quale sapeva, o

avrebbe dovuto ragionevolmente sapere, che non sarebbe stato in grado

di onorarle. Per i sostenitori di questa tesi, i soggetti ai quali si sarebbe

dovuta offrire tutela da parte dell’ordinamento sono i creditori esposti

alla pressoché sicura insolvenza della controparte a causa della

colpevole condotta di questa. Ne consegue che una parte della dottrina

ritiene che il procedimento riservato al consumatore produca effetti

paradossali: il consumatore diligente ricava dalla sua condotta un

concreto vantaggio a scapito dei creditori, potendo attivare una

procedura di composizione della crisi tutta orientata a suo favore; di

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  87  

conseguenza per i creditori è meglio avere a che fare con un debitore

negligente, e perciò escluso da questa procedura. In questo caso,

l’unica strada percorribile per il consumatore, che aspira

all’esdebitazione, è quella di ricorrere all’accordo7.

Molte possono essere le cause del sovraindebitamento del

consumatore: ad esempio l’enfatizzazione dei vantaggi della

rateazione, che non permette all’utente di conoscere il prezzo effettivo

del bene o del servizio acquistato; oppure contrarre un finanziamento

senza la certezza di essere in grado di restituirlo. Esempi di questo tipo

nella nostra società, anche a causa della crisi economica che ormai da

anni imperversa nel nostro paese, sono sempre più frequenti.

E’ evidente però che da un punto di vista restrittivo nessuno dei

soggetti sopra menzionati avrebbe titolo per accedere alla procedura

riservata ai consumatori, poiché la condotta da essi tenuta non può

certo essere definita diligente. Ne consegue che il consumatore

meritevole prefigurato dal legislatore corrisponderebbe a quello che nei

paesi anglosassoni viene definito well educated middle-class consumer,

cioè colui che è capace di tutelarsi da solo, poiché in grado di

comprendere le informazioni che gli vengono fornite. Evidentemente,

un soggetto con tali caratteristiche ha bisogno di questa procedura solo

in ipotesi marginali, in genere a seguito di accadimenti del tutto

imprevedibili, verificatesi in seguito all’assunzione del credito, come

ad esempio morte, malattia o perdita del lavoro. Secondo questa

                                                                                                               7 E. SABATELLI, I creditori nella composizione delle crisi da sovraindebitamento del consumatore, op. cit., p. 17. Come noto, l’accordo richiede che la proposta riscuota il consenso dei creditori rappresentanti la maggioranza richiesta dalla legge. Se ciò non accade (e, come risulta dalla relazione al d.l. 179/2012, lo stesso legislatore è pienamente consapevole di quanto sia difficile che tale circostanza si verifichi) la posizione giuridica dei creditori resta immutata: essi conservano la piena disponibilità delle azioni a tutela del credito, non possono essere sottoposti ad alcuna moratoria e soprattutto non corrono il rischio che il debitore possa usufruire del beneficio dell’esdebitazione.

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  88  

visione, resterebbero fuori dalla tutela, perché immeritevoli, proprio chi

ne avrebbe più bisogno, cioè le fasce sociali più fragili, che spesso non

hanno alternative, se non il ricorso al credito. La conseguenza di quanto

sopra esposto è che ben pochi, fra i soggetti consumatori

sovraindebitati, sarebbero effettivamente in grado di accedere alla

procedura8.

Tuttavia, alla luce di quanto sopra esposto, la dottrina prevalente

ritiene che un’interpretazione restrittiva si ponga in contrasto con lo

spirito della presente legge poiché, soprattutto per i consumatori, il

sovraindebitamento è provocato nella quasi totalità dei casi proprio da

un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità

patrimoniali, anche a causa della carente educazione finanziaria dei

debitori e della disinvoltura con cui gli enti finanziatori hanno fino ad

oggi concesso finanziamenti, tanto da far ipotizzare una co-

responsabilità dei creditori nell’eccesso di indebitamento del debitore9.

Inoltre, per opinione comune, il termine diligente è un concetto

relativo, cioè suscettibile di variare in rapporto alle qualità soggettive e

al contesto sociale all’interno del quale opera il debitore. Infatti, la

dottrina e la giurisprudenza più recenti tendono ad attribuire ad essa

una sempre più accentuata connotazione solidaristica. Ne consegue che

sembra più corretto considerare il consumatore come un soggetto non                                                                                                                8 Così ancora E. SABATELLI, op. cit., p. 19. Ovviamente non si intende con ciò sostenere la legittimità e nemmeno l’opportunità di costruire percorsi normativi che riversino l’insolvenza dei consumatori su coloro che hanno fornito ad essi beni, servizi o credito; si vuole semplicemente rimarcare che la strada prescelta dal d.l. 179/2012 non pare assolutamente idonea a costituire uno strumento efficace per consentire ai debitori di uscire dalla crisi. Insomma, nonostante le premesse sembrino essere tutte a favore del consumatore, si deve concludere che la situazione dei creditori, e fra questi segnatamente dei finanziatori professionali, i cui crediti costituiscono normalmente la parte più rilevante (e garantita) dell’esposizione debitoria, in concreto non risulterebbe, poi, sostanzialmente peggiorata a seguito dell’entrata in vigore di una normativa così congegnata. 9 F. AGOSTINI, Il piano del consumatore. Dall’omologa alla cessazione, op. cit., p. 4.

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  89  

in grado di gestire adeguatamente le risorse di cui dispone, il quale fa

ricorso al credito sopravvalutando le proprie capacità patrimoniali.

Una prima indicazione di natura quantitativa per l’individuazione

e valutazione del giudizio di meritevolezza può essere rintracciata nel

criterio della proporzionalità tra reddito e debiti. La dottrina, così come

gli istituti finanziari nella valutazione del merito creditizio, ritiene

generalmente che tale rapporto non debba superare la soglia di un

terzo, al fine di evitare problematiche riguardo all’incapacità di

rimborso.

Il giudice, vista l’importanza della valutazione di meritevolezza

del consumatore ai fini dell’omologazione del piano, si avvale anche

della relazione particolareggiata redatta dall’organismo di

composizione della crisi allegata alla proposta.

Nel caso in cui il giudice non addivenga ad una valutazione di

meritevolezza oppure, nel caso di contestazione sulla convenienza del

piano, non ritenga che il credito possa essere soddisfatto

dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa della

liquidazione, emette un’ordinanza di diniego dell’omologazione, nella

quale dispone l’inefficacia del provvedimento di sospensione delle

azioni individuali eventualmente adottate precedentemente.

Il decreto, di omologa o di diniego, deve ricevere idonea forma di

pubblicità. Inoltre, se il piano prevede la cessione o l’affidamento a

terzi di beni immobili o mobili registrati, il decreto deve essere

trascritto a cura dell’organismo di composizione della crisi.

Sia il decreto di omologa, che l’ordinanza di diniego, sono

reclamabili, ai sensi dell’articolo 737 del codice di procedura civile,

davanti al tribunale competente con procedimento in camera di

consiglio, della quale non deve far parte il giudice emittente.

Ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 12-bis, il decreto di

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  90  

omologazione produce effetti che consentono di equipararlo all’atto di

pignoramento, rispetto ai singoli beni oggetto del piano, con

conseguente applicazione delle disposizioni disciplinate agli articoli

491 e seguenti del codice di procedura civile, in quanto compatibili.

Ciò non rispecchia quanto previsto per la procedura dell’accordo, nella

quale invece tale equiparazione è prevista già con il decreto di

ammissione.

Gli effetti dell’omologazione possono distinguersi tra inibitori e

obbligatori. A proposito dei primi, dalla data dell’omologa si produce

un effetto preclusivo del diritto di compiere azioni esecutive

individuali. Pertanto, i creditori con causa o titolo anteriore non

possono, dalla data di omologazione del piano, iniziare o proseguire

azioni esecutive individuali, azioni cautelari o acquisire diritti di

prelazione sul patrimonio del debitore. Il termine patrimonio è

utilizzato dal legislatore, nel primo comma dell’articolo 12-ter., proprio

per riferirsi specificatamente a tutti i beni del consumatore, anche quelli

che eventualmente non sono oggetto del piano.

L’effetto inibitorio suindicato viene meno nell’ipotesi di mancato

pagamento dei titolari di crediti impignorabili, nonché dei crediti

tributari di cui all’articolo 7 primo comma. L’accertamento del

mancato pagamento deve essere richiesto al tribunale, con ricorso

deciso in camera di consiglio. La ratio della disposizione è di

consentire a tali creditori, meritevoli di maggior tutela, di poter agire

individualmente per il recupero del proprio credito.

Per quanto concerne la seconda tipologia di effetti, così come

previsto nel concordato preventivo, il piano omologato è obbligatorio

per tutti i creditori con causa e titolo anteriore alla proposta, dal

momento in cui il decreto del giudice è oggetto di idonea forma

pubblicitaria. Questa data è fondamentale perché indica il momento dal

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  91  

quale il piano inizia a produrre effetti.

L’omologazione quindi mette un punto fermo per coloro che

vantano crediti per causa o titolo anteriore alla presentazione della

domanda: devono sottostare a quanto previsto nel piano e non possono

iniziare o proseguire azioni esecutive. In altre parole il piano del

consumatore omologato, così come l’accordo di composizione della

crisi, produce un effetto esdebitatorio automatico delle obbligazioni del

debitore: tali debiti rimangono, ma è come se non esistessero perché il

creditore non può agire per recuperarli.

Analogamente a quanto stabilito nell’ambito della disciplina di

cui all’articolo 10, il secondo periodo del secondo comma contiene una

differente previsione per i creditori con causa o titolo posteriore, i quali

non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

Questi vengono quindi “segregati” poiché destinati al soddisfacimento

dei creditori in base alle modalità indicate dal piano. Il fatto che la

legge faccia riferimento a questi beni, lascia intravedere la possibilità,

come già accennato, che non tutti i beni del patrimonio del debitore

possano far parte della proposta e, quindi, è possibile ritenere che i beni

estranei al piano possano subire l’aggressione da parte dei creditori

posteriori.

Infine, così come previsto in materia di concordato preventivo, ex

articolo 18410 della legge fallimentare, ed in linea con la procedura

dell’accordo di composizione della crisi, il terzo comma dell’articolo

12-ter. dispone che l’omologazione del piano non pregiudichi i diritti

                                                                                                               10 Art. 184 l.f. – Effetti del concordato per i creditori. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.

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  92  

dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori e obbligati in via

di regresso del debitore.

3.3 La revoca e la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano

del consumatore.

Il primo comma dell’articolo 14-bis regola la revoca e la

cessazione di diritto degli effetti dell’omologazione del piano del

consumatore non direttamente ma rinviando a quanto previsto per gli

altri soggetti al quinto comma dell’articolo 11 della disciplina in esame,

in tema di accordo di composizione della crisi. Ne consegue che il

piano cessa di diritto nel caso di mancato pagamento, entro novanta

giorni dalle scadenze previste, dei debiti verso la pubblica

amministrazione e gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza

obbligatorie. La previsione normativa è molto forte poiché il giudice

procede d’ufficio, senza necessità di iniziativa da parte dei creditori o

dell’organismo di composizione della crisi, anche se, verosimilmente, è

quest’ultimo, quale organo di vigilanza, a dare tempestiva notizia al

giudice dei fatti che possiedono gli estremi per la cessazione o la

revoca. Perché accada ciò è comunque necessario che il consumatore

non paghi integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze stabilite e

nella misura prevista nel piano, quanto dovuto ai soggetti sopra

menzionati. La norma quindi concede al debitore una proroga di

novanta giorni per ottemperare ai predetti obblighi.

Il piano è altresì revocato se durante la procedura vengono

compiuti atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Al secondo comma, sempre dell’art.14-bis, sono previste ulteriori

ipotesi di cessazione degli effetti dell’omologazione, con

legittimazione attiva in capo ai creditori, mediante ricorso da presentare

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  93  

al tribunale, e in contraddittorio con il debitore. Il legislatore nella

stesura della norma ha distinto e raggruppato tali ipotesi nel modo

seguente: con la lettera a) sono indicati il compimento di atti di frode,

ne consegue che i creditori possono richiedere la cessazione quando è

stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo,

sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, oppure se

dolosamente simulate attività inesistenti. Con la lettera b) invece la

norma prevede che il tribunale possa dichiarare la cessazione degli

effetti dell’omologazione del piano anche quando il proponente non

adempie gli obblighi derivanti dal piano stesso, se la sua esecuzione

diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore e, se le

garanzie promesse non vengono costituite.

Le ipotesi per le quali il creditore può presentare ricorso al

tribunale sono chiuse e quindi non è possibile adire l’autorità

giudiziaria per altre cause. Il ricorso per la cessazione degli effetti deve

essere proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla scoperta

dell’evento legittimante, e comunque non oltre due anni dalla scadenza

del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal piano, per i

motivi di cui alla lettera sub a); non oltre un anno per le ipotesi sub b).

Nel caso in cui il ricorso proposto dinanzi al tribunale sia accolto

e, quindi, gli effetti dell’omologazione del piano del consumatore siano

dichiarati cessati, la norma prevede esplicitamente che tale cessazione

non pregiudichi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Svolgendosi il procedimento ai sensi degli articoli 737 e seguenti

del codice di procedura civile, ne consegue che contro il

provvedimento di revoca o cessazione è proponibile reclamo, da

presentare allo stesso tribunale, il quale decide in composizione

collegiale, di cui non può far parte il giudice che ha pronunciato il

provvedimento stesso.

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  94  

Infine, secondo quanto disposto dall’articolo 14-quater, il giudice

può disporre con decreto la conversione di una delle due procedure di

composizione della crisi, di cui alla sezione prima della presente legge,

in quella di liquidazione del patrimonio. Questa previsione, introdotta

dal d.l. 179/2012, cerca di trovare una soluzione alla situazione di

sovraindebitamento, laddove le procedure di accordo e del piano non si

siano potute realizzare. La conversione della procedura non è

automatica, ma deve essere esplicitamente richiesta al giudice e, i

soggetti legittimati sono sia il debitore che i creditori.

Tale richiesta è ammissibile soltanto quando si verificano una

delle ipotesi di annullamento, risoluzione o cessazione degli effetti

dell’omologazione dell’accordo o del piano, ex articolo 11, quinto

comma, e articolo 14-bis commi primo e secondo.

3.4 Omologa e revoca del piano del consumatore: analisi di un caso

reale e successive osservazioni.

I provvedimenti del tribunale di Pistoia del 27 dicembre 2013 e

del 28 febbraio 2014 sono i primi emessi in applicazione della nuova

procedura del piano del consumatore. I suddetti provvedimenti

riguardano rispettivamente l’omologazione e la successiva revoca, a

seguito di reclamo di un creditore, della procedura oggetto del presente

capitolo. Questi offrono uno spaccato della realtà con riguardo alle

cause del sovraindebitamento e consentono di vagliare i criteri cui è

subordinata l’applicazione della nuova normativa.

La lettura del decreto del giudice delegato, con il quale è concessa

l’omologazione, risulta particolarmente utile per comprendere le cause

dell’indebitamento e la conseguente incapacità di adempiere alle

obbligazioni assunte dal consumatore. Dall’analisi del suddetto decreto,

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  95  

è possibile riscontrare anche il prezioso ruolo svolto dall’organismo di

composizione della crisi, che nel caso specifico è assunto da un singolo

professionista, come consentito dal comma nove dell’articolo 1511.

Inizialmente è riportata l’esposizione debitoria della signora, la

composizione del nucleo familiare, l’indicazione delle spese medie

mensili necessarie al sostentamento della debitrice e della sua famiglia

e, la proposta di ristrutturazione dei debiti offerta ai creditori.

I dati suddetti sono raccolti dall’organismo di composizione della

crisi che assiste il consumatore, sulla base della documentazione

fornitagli e dagli elementi rinvenuti nelle banche dati ISTAT.

Molto importante, non solo ai fini dell’omologazione ma anche

per comprendere a fondo quanto richiesto dalla legge, è la relazione

particolareggiata redatta dal professionista che ha assunto il ruolo di

organismo di composizione della crisi. E’ infatti possibile venire a

conoscenza che, con riferimento alle cause dell’indebitamento e alla

diligenza prestata nell’assumere le obbligazioni, i finanziamenti in

essere sono stati contratti per mancanza di liquidità e per fornire aiuti

economici al figlio, nonché per acquistare un’utilitaria e per spese

mediche dentistiche. Quanto alla diligenza nell’adempiere le

obbligazioni, è rilevata la mancanza di protesti e di esecuzioni

individuali negli ultimi cinque anni e la regolarità degli adempimenti.

Inoltre dalla lettura della relazione dell’O.C.C. si evince come la

regolarità degli adempimenti sia venuta meno solo in tempi recenti,

individuando le cause nell’incapacità di adempiere al progressivo

accumularsi di debiti, all’aumento delle spese correnti necessarie per la

vita quotidiana e nel venir meno del contributo del figlio al pagamento

                                                                                                               11 Preme ribadire che attualmente, essendo sempre nella fase transitoria e in attesa dei decreti ministeriali che dovranno istituire e regolare gli organismi di composizione della crisi, tale ruolo è assunto esclusivamente da professionisti.

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  96  

dei debiti assunti per la sua sopraggiunta malattia. Inoltre è

meticolosamente ricostruita la crescita progressiva dell’esposizione

debitoria, evidenziando l’iniziale compatibilità dell’indebitamento con

le capacità reddituali della debitrice, compatibilità poi venuta meno a

seguito della malattia del figlio e della conseguente contrazione degli

introiti realizzati.

Il piano viene giudicato fattibile perché l’importo mensile offerto

ai creditori costituisce circa il 21% del reddito netto percepito, ed

appare sostenibile per il debitore tenuto conto delle spese correnti per il

sostentamento del nucleo familiare. Infine il piano è ritenuto

conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria,

attraverso la quale le somme ricavate risulterebbero inferiori rispetto a

quanto offerto dalla debitrice ai propri creditori. La convenienza è

anche data dal tempo contenuto di definizione delle pendenze, misurato

in circa otto anni, compatibile con la speranza di vita del soggetto

sovraindebitato, calcolata in circa diciannove anni.

Per i motivi sopra indicati, il giudice omologa il piano del

consumatore predisposto dalla debitrice e, dispone che quest’ultima

effettui i pagamenti nella misura e secondo le modalità previste dal

piano omologato.

Tuttavia di avviso diverso, rispetto al giudice delegato, è in sede

di reclamo il tribunale di Pistoia. Il reclamo è adito da un creditore, il

quale si era già opposto all’omologazione, deducendo l’assenza delle

condizioni di meritevolezza per negligenza del debitore il quale, al

momento dell’assunzione delle obbligazioni, ed in particolare al

momento della stipula dell’ultimo contratto di finanziamento, non

poteva non essere consapevole delle proprie difficoltà economiche. Il

collegio accoglie quindi il reclamo, ritenendo fondato il motivo di

contestazione portato avanti dal creditore.

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  97  

Dalla lettura del decreto di revoca, è possibile comprendere che la

decisione assunta dal tribunale è dovuta al fatto che i calcoli della

complessiva redditualità familiare della debitrice sono ritenuti errati. La

conseguenza di ciò è che per il collegio sono considerate sbagliate: la

valutazione circa la sostenibilità del progressivo indebitamento, e

l’individuazione del residuo disponibile, detratto l’ammontare

complessivo dei debiti da pagare per le necessità della vita quotidiana.

Si legge nel decreto di revoca che l’errore, di fatto, è stato quello

di calcolare nel reddito familiare disponibile anche quello del figlio

della debitrice derivante da una pensione di invalidità, quando invece

risulta pacifico e assunto nello stesso decreto di omologa, che tale

somma era completamente assorbita da assegni di mantenimento per la

figlia minore. Dunque, l’ammontare pecuniario a disposizione della

famiglia è ridotto ad una somma inferiore al minimo vitale

ragionevolmente calcolato, tale da comportare un inadempimento certo

delle obbligazioni assunte. Secondo il tribunale pistoiese, quindi, si è di

fronte ad una situazione di sovraindebitamento non eticamente

censurabile, in considerazione della incapacità lavorativa del figlio

della resistente e dei conseguenti riflessi negativi sull’economia

familiare; ma certo non incolpevole, nel senso che quantomeno

l’assunzione dell’ultima obbligazione è avvenuta senza la ragionevole

certezza di poterla adempiere, ovvero nella consapevolezza di

determinare, ove la si fosse adempiuta, l’inadempimento di quelle

pregresse. La conferma di ciò, sempre secondo il tribunale, deriva dalle

stesse dichiarazioni della debitrice in sede di udienza collegiale, nella

quale aveva ammesso di aver fatto fronte ai primi mesi di pagamento

solo grazie ai propri risparmi, presto esauriti. Ne consegue che gli

introiti ordinari erano insufficienti al regolare adempimento e di ciò la

debitrice ne aveva piena consapevolezza.

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  98  

La revoca dell’omologazione non preclude tuttavia al

consumatore l’accesso ad una delle altre procedure di composizione

della crisi da sovraindebitamento.

Leggendo i decreti oggetto di analisi nel presente paragrafo, non

si può non segnalare un aspetto quanto meno paradossale: il decreto di

omologazione è revocato sulla base del ricorso del creditore che ha

erogato l’ultimo e più cospicuo finanziamento.

Il creditore nel ricorso afferma l’assenza delle condizioni di

meritevolezza per palese negligenza della debitrice, che al momento

della stipula del finanziamento, concesso dallo stesso reclamante, non

poteva non essere consapevole delle proprie difficoltà economiche e

finanziarie. Tuttavia, anche il creditore non poteva non sapere o quanto

meno ipotizzare che il consumatore che chiedeva il finanziamento

difficilmente avrebbe potuto restituirlo. La conseguenza di questo

paradosso è il rischio di verificarsi un cortocircuito tra le discipline del

sovraindebitamento e del credito al consumo12.

                                                                                                               12 E. PELLECCHIA, Composizione delle crisi da sovraindebitamento: il “piano del consumatore” al vaglio della giurisprudenza, in Diritto Civile Contemporaneo, 2014. Rischia di verificarsi un cortocircuito tra la disciplina del sovraindebitamento e la disciplina del credito al consumo: l’una, severa nella valutazione della “meritevolezza” del debitore con riguardo alla natura non colposa del sovraindebitamento; l’altra, generica e indeterminata sul piano dei rimedi con riguardo alla negligente valutazione, da parte del creditore, del c.d. merito di credito del richiedente il finanziamento. La disciplina del credito al consumo ha optato per la moltiplicazione degli obblighi di informazione, cercando di responsabilizzare il debitore, rendendolo edotto il più possibile circa le scelte che sta effettuando. Sembra pertanto prevalere un approccio responsible borrowing a discapito dell’approccio responsible lending, il quale è orientato a sanzionare i finanziatori che procedono alla concessione del credito senza un’adeguata valutazione della solvibilità del consumatore. L’approccio responsible lending si può in parte rinvenire nell’articolo 124-bis del T.U.B., che dispone che “prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente”. Nulla è specificato circa i riflessi della valutazione negativa, infatti, il finanziatore non è obbligato ad astenersi dal concedere prestiti in caso di precarie condizioni

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  99  

Infatti, da un lato c’è la disciplina del sovraindebitamento che,

secondo l’interpretazione del tribunale di Pistoia, nega l’accesso alla

procedura dedicata al soggetto consumatore a chi ha chiesto e ottenuto

un finanziamento, quando già versava in una situazione economica

precaria, proprio dal creditore che chiede la revoca dell’omologazione.

Dall’altro lato, invece, c’è la disciplina del credito al consumo che

impone ai finanziatori di valutare, in fase precontrattuale, il merito

creditizio del richiedente, ma non specifica niente nel caso in cui

quest’ultimo sia considerato non meritevole.

Inoltre, non si può non considerare che il sovraindebitamento è un

processo graduale, nel quale talvolta ha un peso importante proprio il

finanziamento erogato ad un soggetto già indebitato.

Per evitare questo cortocircuito bisogna lavorare

sull’interpretazione di entrambe le discipline, cercando di trovare un

punto d’incontro ed evitando zone grigie, dove si verrebbero a

manifestare condotte azzardate e, di conseguenza, la concessione di

finanziamenti a soggetti non meritevoli.

In conclusione, le condotte opportunistiche dei debitori vanno

scoraggiate, precludendo loro l’accesso a procedure come il piano del

consumatore, nel caso in cui hanno assunto colposamente obbligazioni

superiori alla loro capacità di poterle adempiere. Al tempo stesso deve

essere prestata attenzione anche alla condotta dei creditori, soprattutto

nel caso di contratti di credito ai consumatori. In questo modo

l’obiettivo è fare emergere tutte le fattispecie nelle quali la valutazione

del merito di credito del consumatore non è stata eseguita o compiuta

correttamente, comportando l’erogazione del credito a soggetti in

condizioni economiche già precarie e, di conseguenza, configurando

                                                                                                                                                                                                                                                                                             economiche del richiedente, ma non ha neppure libertà assoluta di erogare finanziamenti a soggetti non meritevoli.

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  100  

fattispecie di responsabilità.

Ecco allora che, anche dall’analisi di fattispecie reali, quali i due

decreti emanati dal tribunale pistoiese e oggetto di questo paragrafo, è

ancora più evidente che il punto fondamentale e cruciale di tutta la

procedura del piano del consumatore è rappresentato dal giudizio di

meritevolezza riguardo il comportamento del soggetto sovraindebitato.

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Alessandro Torcini
Casella di testo
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA © La presente pubblicazione ed i materiali riportati sul sito sono tutelati dal Diritto d’Autore e sono destinati all’utilizzo da parte dei singoli operatori del diritto, che hanno le più ampie facoltà di utilizzo a titolo esclusivamente personale di lavoro e di studio. Ad eccezione di detta modalità di utilizzo, sono riservati tutti i diritti di riproduzione e di adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo ivi compreso la pubblicazione, in tutto o in parte, in riviste, libri, giornali, siti internet o su altri mezzi di diffusione. Eventuali utilizzi diversi da quello autorizzato, potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione preventiva e scritta rilasciata dagli Autori.

  101  

Appendice normativa

Legge 27 gennaio 2012, n. 3

Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di

composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Vigente al: 1-11-2014

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Capo I

MODIFICHE ALLA LEGISLAZIONE VIGENTE IN MATERIA DI

USURA E DI ESTORSIONE

Art. 1

Modifiche alla legge 7 marzo 1996, n. 108

1. All'articolo 14 della legge 7 marzo 1996, n. 108, e successive

modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti:

«2-bis. Fermo quanto previsto dal comma 7, l'erogazione dei mutui di

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  102  

cui al comma 2 è consentita anche in favore dell'imprenditore

dichiarato fallito, previo provvedimento favorevole del giudice

delegato al fallimento, a condizione che il medesimo non abbia

riportato condanne definitive per i reati di cui al titolo VI del regio

decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero per

delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica,

l'amministrazione della giustizia, il patrimonio, l'economia pubblica,

l'industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi

degli articoli 178 e seguenti del codice penale. Avverso il

provvedimento contrario del giudice delegato è ammesso reclamo al

tribunale fallimentare, del quale non può far parte il giudice che ha

emanato il provvedimento reclamato.

2-ter. Le somme erogate a titolo di mutuo ai sensi del comma 2-bis non

sono imputabili alla massa fallimentare né alle attività sopravvenute

dell'imprenditore fallito e sono vincolate, quanto a destinazione,

esclusivamente all'utilizzo secondo le finalità di cui al comma 5»;

b) il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Il mutuo può essere concesso, anche nel corso delle indagini

preliminari, previo parere favorevole del pubblico ministero, sulla base

di concreti elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari

medesime»;

c) al comma 5, primo periodo, dopo la parola: «data» sono inserite le

seguenti: «di presentazione della denuncia per il delitto di usura ovvero

dalla data»;

d) il comma 7 è sostituito dal seguente:

«7. I mutui di cui al presente articolo non possono essere concessi a

favore di soggetti condannati per il reato di usura, anche tentato, o per

taluno dei reati consumati o tentati di cui agli articoli 380 e 407,

comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero sottoposti a

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  103  

misure di prevenzione personali o patrimoniali ovvero alla speciale

misura di cui all'articolo 34 del codice delle leggi antimafia e delle

misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.

159. Nei confronti dei soggetti indagati o imputati per taluno di detti

reati ovvero proposti per le suddette misure, la concessione del mutuo

non può essere consentita e, ove sia stata disposta, è sospesa fino

all'esito dei relativi procedimenti»;

e) al comma 9, la lettera a) è sostituita dalle seguenti:

«a) se il procedimento penale per il delitto di usura in relazione al quale

il mutuo o la provvisionale sono stati concessi si conclude con

provvedimento di archiviazione, salvo quanto previsto dalla lettera a-

bis), ovvero con sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento

o di assoluzione;

a-bis) quando il procedimento penale non possa ulteriormente

proseguire per prescrizione del reato, per amnistia o per morte

dell'imputato e il giudice debba emettere per tali motivi il

provvedimento di archiviazione o la sentenza, in qualsiasi fase o grado

del processo, ai sensi dell'articolo 129, comma 1, del codice di

procedura penale, quando allo stato degli atti non esistano elementi

documentati, univoci e concordanti in ordine all'esistenza del danno

subito dalla vittima per effetto degli interessi o di altri vantaggi

usurari».

2. All'articolo 15, comma 8, della citata legge n. 108 del 1996, le

parole da: «rappresentanti» fino alla fine del comma sono sostituite

dalle seguenti: «due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle

finanze, di cui uno con funzioni di presidente, da due rappresentanti del

Ministero dell'interno, di cui uno nella persona del Commissario

straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-

racket ed antiusura, da due rappresentanti del Ministero dello sviluppo

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  104  

economico e da due rappresentanti del Ministero del lavoro e delle

politiche sociali. E' previsto un supplente per ciascuno dei

rappresentanti. I componenti effettivi e supplenti della commissione

sono scelti tra i funzionari con qualifica non inferiore a dirigente di

seconda fascia o equiparata. La partecipazione alla commissione e' a

titolo gratuito. Le riunioni della commissione sono valide quando

intervengono almeno cinque componenti, rappresentanti, comunque, le

quattro amministrazioni interessate. Le deliberazioni sono adottate a

maggioranza dei presenti e in caso di parità di voti prevale quello del

presidente».

3. All'articolo 16, comma 9, della citata legge n. 108 del 1996, le

parole da: «con l'arresto» fino alla fine del comma sono sostituite dalle

seguenti: «con la reclusione da due a quattro anni».

4. All'articolo 17 della citata legge n. 108 del 1996, dopo il

comma 6-bis è aggiunto il seguente:

«6-ter. Ove sussistano tutte le condizioni indicate nel comma 1, è

consentita la presentazione di un'unica istanza di riabilitazione anche in

riferimento a più protesti, purché compresi nello spazio temporale di un

triennio».

Art. 2

Modifiche alla legge 23 febbraio 1999, n. 44

1. Alla legge 23 febbraio 1999, n. 44, sono apportate le seguenti

modificazioni:

a) all'articolo 3:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. L'elargizione è concessa agli esercenti un'attività imprenditoriale,

commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera

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  105  

arte o professione, che subiscono un evento lesivo in conseguenza di

delitti commessi allo scopo di costringerli ad aderire a richieste

estorsive, avanzate anche successivamente ai fatti, o per ritorsione alla

mancata adesione a tali richieste, ovvero in conseguenza di situazioni

di intimidazione anche ambientale. Per evento lesivo si intende

qualsiasi danno a beni mobili o immobili, ovvero lesioni personali,

ovvero un danno sotto forma di mancato guadagno inerente all'attività

esercitata»;

2) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis. Fermo quanto previsto dall'articolo 4, l'elargizione è consentita

anche in favore del soggetto dichiarato fallito, previo parere favorevole

del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo

soggetto non abbia riportato condanne per i reati di cui agli articoli 216

e 217 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero per delitti contro

il patrimonio, l'economia pubblica, l'industria e il commercio, a meno

di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del

codice penale, ne' sia indagato o imputato per gli stessi reati. In tale

ultimo caso la concessione dell'elargizione non è consentita e, ove sia

stata disposta, è sospesa fino all'esito dei relativi procedimenti.

1-ter. Le somme erogate a titolo di elargizione ai sensi del comma 1-bis

non sono imputabili alla massa fallimentare ne' alle attività

sopravvenute del soggetto fallito e sono vincolate, quanto a

destinazione, esclusivamente all'utilizzo secondo le finalità di cui

all'articolo 15. Il ricavato netto è per la metà acquisito dal curatore

quale attivo sopravveniente del fallimento, e per la residua metà deve

essere impiegato a fini produttivi e di investimento»;

b) dopo l'articolo 18-bis è inserito il seguente:

«Art. 18-ter (Sostegno degli enti locali alle attività economiche a fini

antiestorsivi). - 1. Al fine di sostenere e incentivare la prevenzione e la

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  106  

tutela delle attività economiche dalle richieste estorsive, gli enti locali

possono disporre, tramite appositi regolamenti, l'esonero, parziale o

totale, dal pagamento o il rimborso, parziale o totale, del pagamento

effettuato di tributi locali, tariffe locali e canoni locali, in favore dei

soggetti di cui all'articolo 3, comma 1.

2. All'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 gli enti

locali provvedono, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica ad

essi assegnati ai fini del patto di stabilità interno, a carico dei propri

bilanci»;

c) all'articolo 19, comma 1, la lettera d) è sostituita dalla seguente:

«d) da tre membri delle associazioni od organizzazioni iscritte

nell'elenco di cui all'articolo 13, comma 2. I membri sono nominati

ogni due anni con decreto del Ministro dell'interno su designazione

degli organismi nazionali associativi maggiormente rappresentativi. Il

Ministro dell'interno, su proposta del Commissario straordinario del

Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed antiusura,

determina con proprio decreto i criteri per l'individuazione della

maggiore rappresentatività»;

d) all'articolo 20:

1) il comma 7 è sostituito dal seguente:

«7. Le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di

cui al comma 2 hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole

del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine

ai delitti che hanno causato l'evento lesivo di cui all'articolo 3, comma

1. In presenza di più' procedimenti penali che riguardano la medesima

parte offesa, anche ai fini delle sospensioni e della proroga anzidette, è

competente il procuratore della Repubblica del procedimento iniziato

anteriormente»;

2) dopo il comma 7 sono aggiunti i seguenti:

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  107  

«7-bis. Il prefetto, ricevuta la richiesta di elargizione di cui agli articoli

3, 5, 6 e 8, compila l'elenco delle procedure esecutive in corso a carico

del richiedente e informa senza ritardo il procuratore della Repubblica

competente, che trasmette il provvedimento al giudice, o ai giudici,

dell'esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto.

7-ter. Nelle procedure esecutive riguardanti debiti nei confronti

dell'erario, ovvero di enti previdenziali o assistenziali, non sono poste a

carico dell'esecutato le sanzioni dalla data di inizio dell'evento lesivo,

come definito dall'articolo 3, comma 1, fino al termine di scadenza

delle sospensioni e della proroga di cui ai commi da 1 a 4 del presente

articolo».

Art. 3

Modifica all'articolo 1, comma 881, legge 27 dicembre 2006, n. 296

1. All'articolo 1, comma 881, della legge 27 dicembre 2006, n.

296, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatta eccezione per i

soggetti di cui all'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 11 giugno 1997, n. 315, per i quali

permangono i vincoli di destinazione previsti dalla legge 7 marzo 1996,

n. 108».

Art. 4

Modifiche all'articolo 629 del codice penale

1. All'articolo 629 del codice penale sono apportate le seguenti

modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «con la multa da euro 516 a euro 2.065»

sono sostituite dalle seguenti: «con la multa da euro 1.000 a euro

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  108  

4.000»;

b) al secondo comma, le parole: «da euro 1.032 a euro 3.098» sono

sostituite dalle seguenti: «da euro 5.000 a euro 15.000».

Art. 5

Modifica all'articolo 135 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163

1. All'articolo 135, comma 1, del codice dei contratti pubblici

relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12

aprile 2006, n. 163, dopo le parole: «passata in giudicato» sono inserite

le seguenti: «per reati di usura, riciclaggio nonché».

Capo II

PROCEDIMENTI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA

SOVRAINDEBITAMENTO E DI LIQUIDAZIONE DEL

PATRIMONIO

SEZIONE PRIMA

Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

§1

Disposizioni generali

Art. 6

Finalità e definizioni

1. Al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento

non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da

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  109  

quelle regolate dal presente capo, è consentito al debitore concludere

un accordo con i creditori nell'ambito della procedura di composizione

della crisi disciplinata dalla presente sezione. Con le medesime finalità,

il consumatore può anche proporre un piano fondato sulle previsioni di

cui all’articolo 7, comma 1, ed avente il contenuto di cui all’articolo 8.

2. Ai fini del presente capo, si intende:

a) per «sovraindebitamento»: la situazione di perdurante squilibrio tra

le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi

fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie

obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle

regolarmente;

b) per «consumatore»: il debitore persona fisica che ha assunto

obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività

imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Art. 7

Presupposti di ammissibilità

1. Il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai

creditori, con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui

all'articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai

sensi dell'articolo 9, comma 1, un accordo di ristrutturazione dei debiti

e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che, assicurato il

regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi

dell'articolo 545 del codice di procedura civile e delle altre disposizioni

contenute in leggi speciali, preveda scadenze e modalità di pagamento

dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie

rilasciate per l'adempimento dei debiti e le modalità per l'eventuale

liquidazione dei beni. E' possibile prevedere che i crediti muniti di

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  110  

privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti

integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non

inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione

preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al

valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa

di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della

crisi. In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie

dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute

operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la

dilazione del pagamento. Fermo restando quanto previsto dall'articolo

13, comma 1, il piano può anche prevedere l'affidamento del

patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e

la distribuzione del ricavato ai creditori, da individuarsi in un

professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28 del regio

decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il gestore è nominato dal giudice.

1-bis. Fermo il diritto di proporre ai creditori un accordo ai sensi

del comma 1, il consumatore in stato di sovraindebitamento può

proporre, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di

cui all’articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai

sensi dell’articolo 9, comma 1, un piano contenente le previsioni di cui

al comma 1.

2. La proposta non è ammissibile quando il debitore, anche

consumatore:

a) è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal

presente capo;

b) ha fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui al

presente capo;

c) ha subito, per cause a lui imputabili, uno dei provvedimenti di cui

agli articoli 14 e 14-bis;

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  111  

d) ha fornito documentazione che non consente di ricostruire

compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale.

2-bis. Ferma l'applicazione del comma 2, lettere b), c) e d),

l'imprenditore agricolo in stato di sovraindebitamento può proporre ai

creditori un accordo di composizione della crisi secondo le disposizioni

della presente sezione.

Art. 8

Contenuto dell'accordo

1. La proposta di accordo o di piano del consumatore prevede la

ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso

qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri.

2. Nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano

sufficienti a garantire la fattibilità dell'accordo o del piano del

consumatore, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che

consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni

sufficienti per assicurarne l'attuabilità.

3. Nella proposta di accordo sono indicate eventuali limitazioni

all'accesso al mercato del credito al consumo, all'utilizzo degli

strumenti di pagamento elettronico a credito e alla sottoscrizione di

strumenti creditizi e finanziari.

4. La proposta di accordo con continuazione dell'attività d'impresa

e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un

anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di

privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei

beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Art. 9

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  112  

Deposito della proposta di accordo

1. La proposta di accordo è depositata presso il tribunale del

luogo di residenza o sede del debitore. Il consumatore deposita la

proposta di piano presso il tribunale del luogo ove ha la residenza. La

proposta, contestualmente al deposito presso il tribunale, e comunque

non oltre tre giorni, deve essere presentata, a cura dell'organismo di

composizione della crisi, all'agente della riscossione e agli uffici fiscali,

anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio

fiscale del proponente e contenere la ricostruzione della sua posizione

fiscale e l'indicazione di eventuali contenziosi pendenti.

2. Unitamente alla proposta devono essere depositati l'elenco di

tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del

debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi

cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre

anni e dell'attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l'elenco delle

spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia,

previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata

del certificato dello stato di famiglia.

3. Il debitore che svolge attività d'impresa deposita altresì le

scritture contabili degli ultimi tre esercizi, unitamente a dichiarazione

che ne attesta la conformità all'originale.

3-bis. Alla proposta di piano del consumatore è altresì allegata

una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della

crisi che deve contenere:

a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza

impiegata dal consumatore nell'assumere volontariamente le

obbligazioni;

b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere

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  113  

le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque

anni;

d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati

dai creditori;

e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione

depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla

probabile convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria.

3-ter. Il giudice può concedere un termine perentorio non

superiore a quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta e

produrre nuovi documenti.

3-quater. Il deposito della proposta di accordo o di piano del

consumatore sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli

interessi convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti

da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli

2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile.

§2

Accordo di composizione della crisi

Art. 10

Procedimento

1. Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli

articoli 7, 8 e 9, fissa immediatamente con decreto l'udienza,

disponendo la comunicazione, almeno trenta giorni prima del termine

di cui all'articolo 11, comma 1, ai creditori presso la residenza o la sede

legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di

ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della

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  114  

proposta e del decreto. Tra il giorno del deposito della documentazione

di cui all'articolo 9 e l'udienza non devono decorrere più di sessanta

giorni.

2. Con il decreto di cui al comma 1, il giudice:

a) stabilisce idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto,

oltre, nel caso in cui il proponente svolga attività d'impresa, la

pubblicazione degli stessi nel registro delle imprese;

b) ordina, ove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di

beni immobili o di beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a

cura dell'organismo di composizione della crisi, presso gli uffici

competenti;

c) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di

omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità,

essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali ne' disposti

sequestri conservativi ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio

del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei

creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei

confronti dei titolari di crediti impignorabili.

3. All'udienza il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti

in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto di cui al comma 1 e

ordina la cancellazione della trascrizione dello stesso, nonché la

cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta.

3-bis. A decorrere dalla data del provvedimento di cui al comma 2

e sino alla data di omologazione dell'accordo gli atti eccedenti

l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice

sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata

eseguita la pubblicità del decreto.

4. Durante il periodo previsto dal comma 2, lettera c), le

prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

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  115  

5. Il decreto di cui al comma 1 deve intendersi equiparato all'atto

di pignoramento.

6. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti

del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del

collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il

provvedimento.

Art. 11

Raggiungimento dell'accordo

1. I creditori fanno pervenire, anche per telegramma o per lettera

raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta

elettronica certificata, all'organismo di composizione della crisi,

dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come

eventualmente modificata almeno dieci giorni prima dell’udienza di cui

all’articolo 10, comma 1. In mancanza, si ritiene che abbiano prestato

consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata.

2. Ai fini dell'omologazione di cui all'articolo 12, è necessario che

l'accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il sessanta

per cento dei crediti. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca

dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati

ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di

esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al

diritto di prelazione. Non hanno diritto di esprimersi sulla proposta e

non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza il

coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i

cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima

della proposta.

3. L'accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei

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  116  

coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso.

4. L'accordo non determina la novazione delle obbligazioni, salvo

che sia diversamente stabilito.

5. L'accordo cessa, di diritto, di produrre effetti se il debitore non

esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i

pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e

agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

L’accordo è altresì revocato se risultano compiuti durante la procedura

atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. Il giudice provvede

d’ufficio con decreto reclamabile, ai sensi dell’articolo 739 del codice

di procedura civile, innanzi al tribunale e del collegio non può far parte

il giudice che lo ha pronunciato.

Art. 12

Omologazione dell'accordo

1. Se l'accordo è raggiunto, l'organismo di composizione della

crisi trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi e sul

raggiungimento della percentuale di cui all'articolo 11, comma 2,

allegando il testo dell'accordo stesso. Nei dieci giorni successivi al

ricevimento della relazione, i creditori possono sollevare le eventuali

contestazioni. Decorso tale ultimo termine, l'organismo di

composizione della crisi trasmette al giudice la relazione, allegando le

contestazioni ricevute, nonché un'attestazione definitiva sulla fattibilità

del piano.

2. Il giudice omologa l'accordo e ne dispone l'immediata

pubblicazione utilizzando tutte le forme di cui all'articolo 10, comma 2,

quando, risolta ogni altra contestazione, ha verificato il raggiungimento

della percentuale di cui all'articolo 11, comma 2, e l'idoneità del piano

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  117  

ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché

dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo. Quando uno dei

creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro

interessato contesta la convenienza dell'accordo, il giudice lo omologa

se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall'esecuzione dello

stesso in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata

dalla sezione seconda. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli

737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo, anche avverso

il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non

può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

3. L'accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori

al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all'articolo 10,

comma 2. I creditori con causa o titolo posteriore non possono

procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

3-bis. L'omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi

dalla presentazione della proposta.

4. Gli effetti di cui al comma 3 vengono meno in caso di

risoluzione dell'accordo o di mancato pagamento dei crediti

impignorabili, nonché dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo

periodo. L'accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto

al tribunale con ricorso da decidere in camera di consiglio, ai sensi

degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo,

anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del

collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il

provvedimento.

5. La sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore

risolve l'accordo. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in

esecuzione dell'accordo omologato non sono soggetti all'azione

revocatoria di cui all'articolo 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n.

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  118  

267. A seguito della sentenza che dichiara il fallimento, i crediti

derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione

dell'accordo omologato sono prededucibili a norma dell'articolo 111 del

regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

§3

Piano del consumatore

Art.12-bis

Procedimento di omologazione del piano del consumatore

1. Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli

articoli 7, 8 e 9 e verificata l'assenza di atti in frode ai creditori, fissa

immediatamente con decreto l'udienza, disponendo, a cura

dell'organismo di composizione della crisi, la comunicazione, almeno

trenta giorni prima, a tutti i creditori della proposta e del decreto. Tra il

giorno del deposito della documentazione di cui all'articolo 9 e

l'udienza non devono decorrere più di sessanta giorni.

2. Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la

prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe

pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto,

può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il

provvedimento di omologazione diventa definitivo.

3. Verificata la fattibilità del piano e l'idoneità dello stesso ad

assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di

cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo, e risolta ogni altra

contestazione anche in ordine all'effettivo ammontare dei crediti, il

giudice, quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni

senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha

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  119  

colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di

un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità

patrimoniali, omologa il piano, disponendo per il relativo

provvedimento una forma idonea di pubblicità. Quando il piano

prevede la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o di beni

mobili registrati, il decreto deve essere trascritto, a cura dell'organismo

di composizione della crisi. Con l'ordinanza di diniego il giudice

dichiara l'inefficacia del provvedimento di sospensione di cui al comma

2, ove adottato.

4. Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta

la convenienza del piano, il giudice lo omologa se ritiene che il credito

possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non

inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda

del presente capo.

5. Si applica l'articolo 12, comma 2, terzo e quarto periodo.

6. L'omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla

presentazione della proposta.

7. Il decreto di cui al comma 3 deve intendersi equiparato all'atto

di pignoramento.

Art. 12-ter

Effetti dell’omologazione del piano del consumatore

1. Dalla data dell'omologazione del piano i creditori con causa o

titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive

individuali. Ad iniziativa dei medesimi creditori non possono essere

iniziate o proseguite azioni cautelari né acquistati diritti di prelazione

sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano.

2. Il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori

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  120  

al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all'articolo 12-bis,

comma 3. I creditori con causa o titolo posteriore non possono

procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

3. L'omologazione del piano non pregiudica i diritti dei creditori

nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via

di regresso.

4. Gli effetti di cui al comma 1 vengono meno in caso di mancato

pagamento dei titolari di crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui

all'articolo 7, comma 1, terzo periodo. L'accertamento del mancato

pagamento di tali crediti è chiesto al tribunale e si applica l'articolo 12,

comma 4.

§4

Esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo di composizione

della crisi e del piano del consumatore

Art. 13

Esecuzione dell'accordo

1. Se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti

a pignoramento ovvero se previsto dall'accordo o dal piano del

consumatore, il giudice, su proposta dell'organismo di composizione

della crisi, nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli

stessi e delle somme incassate. Si applica l'articolo 28 del regio decreto

16 marzo 1942, n. 267.

2. L'organismo di composizione della crisi risolve le eventuali

difficoltà insorte nell'esecuzione dell'accordo e vigila sull'esatto

adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale

irregolarità. Sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di

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  121  

diritti soggettivi e sulla sostituzione del liquidatore per giustificati

motivi decide il giudice investito della procedura.

3. Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità

dell'atto dispositivo all'accordo e al piano, anche con riferimento alla

possibilità di pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti di cui

all’articolo 7, comma 1, terzo periodo, autorizza lo svincolo delle

somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento,

delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro

vincolo, ivi compresa la trascrizione del decreto di cui agli articoli 10,

comma 1 e 12-bis, comma 3, e la cessazione di ogni altra forma di

pubblicità. In ogni caso il giudice può, con decreto motivato,

sospendere gli atti di esecuzione dell’accordo qualora ricorrano gravi e

giustificati motivi.

4. I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in

violazione dell'accordo o del piano del consumatore sono inefficaci

rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la

pubblicità di cui agli articoli 10, comma 2, e 12-bis, comma 3.

4-bis. I crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei

procedimenti di cui alla presente sezione sono soddisfatti con

preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla

liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata

ai creditori garantiti.

4-ter. Quando l'esecuzione dell'accordo o del piano del

consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore,

quest'ultimo, con l'ausilio dell'organismo di composizione della crisi,

può modificare la proposta e si applicano le disposizioni di cui ai

paragrafi 2 e 3 della presente sezione

Art. 14

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  122  

Impugnazione e risoluzione dell'accordo

1. L'accordo può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni

creditore, in contraddittorio con il debitore, quando è stato dolosamente

o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o

dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simulate

attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento.

1-bis. Il ricorso per l'annullamento deve proporsi nel termine di

sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla

scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto.

2. Se il proponente non adempie agli obblighi derivanti

dall'accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se

l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili

al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione

dello stesso.

3. Il ricorso per la risoluzione è proposto, a pena di decadenza,

entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, entro un anno dalla

scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto

dall'accordo.

4. L'annullamento e la risoluzione dell'accordo non pregiudicano i

diritti acquistati dai terzi in buona fede.

5. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano, in quanto

compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il

reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il

giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Art. 14-bis

Revoca e cessazione degli effetti dell'omologazione

del piano del consumatore

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  123  

1. La revoca e la cessazione di diritto dell'efficacia

dell'omologazione del piano del consumatore hanno luogo ai sensi

dell'articolo 11, comma 5.

2. Il tribunale, su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con

il debitore, dichiara cessati gli effetti dell'omologazione del piano nelle

seguenti ipotesi:

a) quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito

il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo

ovvero dolosamente simulate attività inesistenti;

b) se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano, se le

garanzie promesse non vengono costituite o se l'esecuzione del piano

diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore.

3. Il ricorso per la dichiarazione di cui al comma 2, lettera a), è

proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni

caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo

adempimento previsto.

4. Il ricorso per la dichiarazione di cui al comma 2, lettera b), è

proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni

caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo

adempimento previsto dall'accordo.

5. La dichiarazione di cessazione degli effetti dell'omologazione

del piano non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede.

6. Si applica l'articolo 14, comma 5.

SEZIONE SECONDA

Liquidazione del patrimonio

Art. 14-ter

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  124  

Liquidazione dei beni

1. In alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il

debitore, in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le

condizioni di inammissibilità di cui all'articolo 7, comma 2, lettere a) e

b), può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni.

2. La domanda di liquidazione è proposta al tribunale competente

ai sensi dell'articolo 9, comma 1, e deve essere corredata dalla

documentazione di cui all'articolo 9, commi 2 e 3.

3. Alla domanda sono altresì allegati l'inventario di tutti i beni del

debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli

immobili e delle cose mobili, nonché una relazione particolareggiata

dell'organismo di composizione della crisi che deve contenere:

a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza

impiegata dal debitore persona fisica nell'assumere volontariamente le

obbligazioni;

b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore persona fisica

di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi

cinque anni;

d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati

dai creditori;

e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione

depositata a corredo della domanda.

4. L'organismo di composizione della crisi, entro tre giorni dalla

richiesta di relazione di cui al comma 3, ne da' notizia all'agente della

riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti

sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante.

5. La domanda di liquidazione è inammissibile se la

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  125  

documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la

situazione economica e patrimoniale del debitore.

6. Non sono compresi nella liquidazione:

a) i crediti impignorabili ai sensi dell'articolo 545 del codice di

procedura civile;

b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi,

pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei

limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia

indicati dal giudice;

c) i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni

costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto

dall'articolo 170 del codice civile;

d) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

7. Il deposito della domanda sospende, ai soli effetti del concorso,

il corso degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della

liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da

pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e

2855, commi secondo e terzo, del codice civile.

Art. 14-quater

Conversione della procedura di composizione in liquidazione.

1. Il giudice, su istanza del debitore o di uno dei creditori,

dispone, col decreto avente il contenuto di cui all'articolo 14-quinquies,

comma 2, la conversione della procedura di composizione della crisi di

cui alla sezione prima in quella di liquidazione del patrimonio

nell'ipotesi di annullamento dell'accordo o di cessazione degli effetti

dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14-

bis, comma 2, lettera a). La conversione è altresì disposta nei casi di cui

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  126  

agli articoli 11, comma 5, e 14-bis, comma 1, nonché di risoluzione

dell'accordo o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano

del consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera b), ove

determinati da cause imputabili al debitore.

Art. 14-quinquies

Decreto di apertura della liquidazione

1. Il giudice, se la domanda soddisfa i requisiti di cui all'articolo

14-ter, verificata l'assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi

cinque anni, dichiara aperta la procedura di liquidazione. Si applica

l'articolo 10, comma 6.

2. Con il decreto di cui al comma 1 il giudice:

a) ove non sia stato nominato ai sensi dell'articolo 13, comma 1,

nomina un liquidatore, da individuarsi in un professionista in possesso

dei requisiti di cui all'articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n.

267;

b) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di

omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità,

essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive ne' acquistati

diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei

creditori aventi titolo o causa anteriore;

c) stabilisce idonea forma di pubblicità della domanda e del decreto,

nonché, nel caso in cui il debitore svolga attività d'impresa,

l'annotazione nel registro delle imprese;

d) ordina, quando il patrimonio comprende beni immobili o beni mobili

registrati, la trascrizione del decreto, a cura del liquidatore;

e) ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio

di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche

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  127  

ragioni, di autorizzare il debitore ad utilizzare alcuni di essi. Il

provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del

liquidatore;

f) fissa i limiti di cui all'articolo 14-ter, comma 5, lettera b).

3. Il decreto di cui al comma 2 deve intendersi equiparato all'atto

di pignoramento.

4. La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del

programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui all'articolo 14-

undecies, per i quattro anni successivi al deposito della domanda.

Art. 14-sexies

Inventario ed elenco dei creditori

1. Il liquidatore, verificato l'elenco dei creditori e l'attendibilità

della documentazione di cui all'articolo 9, commi 2 e 3, forma

l'inventario dei beni da liquidare e comunica ai creditori e ai titolari dei

diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, su immobili o cose

mobili in possesso o nella disponibilità del debitore:

a) che possono partecipare alla liquidazione, depositando o

trasmettendo, anche a mezzo di posta elettronica certificata e purché vi

sia prova della ricezione, la domanda di partecipazione che abbia il

contenuto previsto dall'articolo 14-septies, con l'avvertimento che in

mancanza delle indicazioni di cui alla lettera e) del predetto articolo, le

successive comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante

deposito in cancelleria;

b) la data entro cui vanno presentate le domande;

c) la data entro cui sarà comunicata al debitore e ai creditori lo stato

passivo e ogni altra utile informazione.

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  128  

Art. 14-septies

Domanda di partecipazione alla liquidazione

1. La domanda di partecipazione alla liquidazione, di restituzione

o rivendicazione di beni mobili o immobili è proposta con ricorso che

contiene:

a) l'indicazione delle generalità del creditore;

b) la determinazione della somma che si intende far valere nella

liquidazione, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la

restituzione o la rivendicazione;

c) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che

costituiscono la ragione della domanda;

d) l'eventuale indicazione di un titolo di prelazione;

e) l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata, del numero

di telefax o l'elezione di domicilio in un comune del circondario ove ha

sede il tribunale competente.

2. Al ricorso sono allegati i documenti dimostrativi dei diritti fatti

valere.

Art. 14-octies

Formazione del passivo

1. Il liquidatore esamina le domande di cui all'articolo 14-septies

e, predisposto un progetto di stato passivo, comprendente un elenco dei

titolari di diritti sui beni mobili e immobili di proprietà o in possesso

del debitore, lo comunica agli interessati, assegnando un termine di

quindici giorni per le eventuali osservazioni da comunicare con le

modalità dell'articolo 14-sexies, comma 1, lettera a).

2. In assenza di osservazioni, il liquidatore approva lo stato

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  129  

passivo dandone comunicazione alle parti.

3. Quando sono formulate osservazioni e il liquidatore le ritiene

fondate, entro il termine di quindici giorni dalla ricezione dell'ultima

osservazione, predispone un nuovo progetto e lo comunica ai sensi del

comma 1.

4. In presenza di contestazioni non superabili ai sensi del comma

3, il liquidatore rimette gli atti al giudice che lo ha nominato, il quale

provvede alla definitiva formazione del passivo. Si applica l'articolo 10,

comma 6.

Art. 14-novies

Liquidazione

1. Il liquidatore, entro trenta giorni dalla formazione

dell'inventario, elabora un programma di liquidazione, che comunica al

debitore ed ai creditori e deposita presso la cancelleria del giudice. Il

programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura.

2. Il liquidatore ha l'amministrazione dei beni che compongono il

patrimonio di liquidazione. Fanno parte del patrimonio di liquidazione

anche gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni del

debitore. Il liquidatore cede i crediti, anche se oggetto di contestazione,

dei quali non è probabile l'incasso nei quattro anni successivi al

deposito della domanda. Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti

in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati

dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di

soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni

di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con

adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e

partecipazione degli interessati. Prima del completamento delle

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  130  

operazioni di vendita, il liquidatore informa degli esiti delle procedure

il debitore, i creditori e il giudice. In ogni caso, quando ricorrono gravi

e giustificati motivi, il giudice può sospendere con decreto motivato gli

atti di esecuzione del programma di liquidazione. Se alla data di

apertura della procedura di liquidazione sono pendenti procedure

esecutive il liquidatore può subentrarvi.

3. Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli

atti dispositivi al programma di liquidazione, autorizza lo svincolo

delle somme, ordina la cancellazione della trascrizione del

pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché

di ogni altro vincolo, ivi compresa la trascrizione del decreto di cui

all'articolo 14-quinquies, comma 1, dichiara la cessazione di ogni altra

forma di pubblicità disposta.

4. I requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti

specializzati e degli operatori esperti dei quali il liquidatore può

avvalersi ai sensi del comma 1, nonché i mezzi di pubblicità e

trasparenza delle operazioni di vendita sono quelli previsti dal

regolamento del Ministro della giustizia di cui all'articolo 107, settimo

comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

5. Accertata la completa esecuzione del programma di

liquidazione e, comunque, non prima del decorso del termine di quattro

anni dal deposito della domanda, il giudice dispone, con decreto, la

chiusura della procedura.

Art. 14-decies

Azioni del liquidatore

1. Il liquidatore esercita ogni azione prevista dalla legge

finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel

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  131  

patrimonio da liquidare e comunque correlata con lo svolgimento

dell'attività di amministrazione di cui all'articolo 14-novies, comma 2.

Il liquidatore può altresì esercitare le azioni volte al recupero dei crediti

compresi nella liquidazione.

Art. 14-undecies

Beni e crediti sopravvenuti

1. I beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della

domanda di liquidazione di cui all'articolo 14-ter costituiscono oggetto

della stessa, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la

conservazione dei beni medesimi. Ai fini di cui al periodo precedente il

debitore integra l'inventario di cui all'articolo 14-ter, comma 3.

Art. 14-duodecies

Creditori posteriori

1. I creditori con causa o titolo posteriore al momento

dell'esecuzione della pubblicità di cui all'articolo 14-quinquies, comma

2, lettere c) e d), non possono procedere esecutivamente sui beni

oggetto di liquidazione.

2. I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di

uno dei procedimenti di cui alla precedente sezione sono soddisfatti

con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato

dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte

destinata ai creditori garantiti.

Art. 14-terdecies

Esdebitazione

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  132  

1. Il debitore persona fisica è ammesso al beneficio della

liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e

non soddisfatti a condizione che:

a) abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura,

fornendo tutte le informazioni e la documentazione utili, nonché

adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;

b) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo

svolgimento della procedura;

c) non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni

precedenti la domanda;

d) non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno

dei reati previsti dall'articolo 16;

e) abbia svolto, nei quattro anni di cui all'articolo 14-undecies,

un'attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie

competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, abbia cercato

un'occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo,

proposte di impiego;

f) siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa

anteriore al decreto di apertura della liquidazione.

2. L'esdebitazione è esclusa:

a) quando il sovraindebitamento del debitore è imputabile ad un ricorso

al credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità

patrimoniali;

b) quando il debitore, nei cinque anni precedenti l'apertura della

liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai

creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio,

ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni

creditori a danno di altri.

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  133  

3. L'esdebitazione non opera:

a) per i debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari;

b) per i debiti da risarcimento dei danni da fatto illecito

extracontrattuale, nonché per le sanzioni penali ed amministrative di

carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti;

c) per i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di

apertura delle procedure di cui alle sezioni prima e seconda del

presente capo, sono stati successivamente accertati in ragione della

sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

4. Il giudice, con decreto adottato su ricorso del debitore

interessato, presentato entro l'anno successivo alla chiusura della

liquidazione, sentiti i creditori non integralmente soddisfatti e verificate

le condizioni di cui ai commi 1 e 2, dichiara inesigibili nei suoi

confronti i crediti non soddisfatti integralmente. I creditori non

integralmente soddisfatti possono proporre reclamo ai sensi

dell'articolo 739 del codice di procedura civile di fronte al tribunale e

del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il decreto.

5. Il provvedimento di esdebitazione è revocabile in ogni

momento, su istanza dei creditori, se risulta:

a) che è stato concesso ricorrendo l'ipotesi del comma 2, lettera b);

b) che è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il

passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo

ovvero simulate attività inesistenti.

6. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti

del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del

collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il

provvedimento.

SEZIONE TERZA

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  134  

Disposizioni comuni

Art. 15

Organismi di composizione della crisi

1. Possono costituire organismi per la composizione delle crisi da

sovraindebitamento enti pubblici dotati di requisiti di indipendenza e

professionalità determinati con il regolamento di cui al comma 3. Gli

organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio,

industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell'articolo 2 della legge 29

dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, il segretariato

sociale costituito ai sensi dell'articolo 22, comma 4, lettera a), della

legge 8 novembre 2000, n. 328, gli ordini professionali degli avvocati,

dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto,

a semplice domanda, nel registro di cui al comma 2.

2. Gli organismi di cui al comma 1 sono iscritti in un apposito

registro tenuto presso il Ministero della giustizia.

3. I requisiti di cui al comma 1 e le modalità di iscrizione nel

registro di cui al comma 2, sono stabiliti con regolamento adottato dal

Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo

economico ed il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi

dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro

novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Con

lo stesso decreto sono disciplinate le condizioni per l'iscrizione, la

formazione dell'elenco e la sua revisione, la sospensione e la

cancellazione degli iscritti, nonché la determinazione dei compensi e

dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che

ricorrono alla procedura.

4. Dalla costituzione e dal funzionamento degli organismi indicati

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  135  

al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della

finanza pubblica, e le attività degli stessi devono essere svolte

nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a

legislazione vigente.

5. L'organismo di composizione della crisi, oltre a quanto previsto

dalle sezioni prima e seconda del presente capo, assume ogni iniziativa

funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e

all'esecuzione dello stesso.

6. Lo stesso organismo verifica la veridicità dei dati contenuti

nella proposta e nei documenti allegati, attesta la fattibilità del piano ai

sensi dell'articolo 9, comma 2.

7. L'organismo esegue le pubblicità ed effettua le comunicazioni

disposte dal giudice nell'ambito dei procedimenti previsti dalle sezioni

prima e seconda del presente capo. Le comunicazioni sono effettuate a

mezzo posta elettronica certificata se il relativo indirizzo del

destinatario risulta dal registro delle imprese ovvero dall'Indice

nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e

dei professionisti e, in ogni altro caso, a mezzo telefax o lettera

raccomandata.

8. Quando il giudice lo dispone ai sensi degli articoli 13, comma

1, o 14-quinquies, comma 2, l'organismo svolge le funzioni di

liquidatore stabilite con le disposizioni del presente capo. Ove

designato ai sensi dell'articolo 7, comma 1, svolge le funzioni di

gestore per la liquidazione.

9. I compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione

della crisi possono essere svolti anche da un professionista o da una

società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28

del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni,

ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice

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  136  

da lui delegato. Fino all'entrata in vigore del regolamento di cui al

comma 3, i compensi sono determinati secondo i parametri previsti per

i commissari giudiziali nelle procedure di concordato preventivo,

quanto alle attività di cui alla sezione prima del presente capo, e per i

curatori fallimentari, quanto alle attività di cui alla sezione seconda del

presente capo. I predetti compensi sono ridotti del quaranta per cento.

10. Per lo svolgimento dei compiti e delle attività previsti dal

presente capo, il giudice e, previa autorizzazione di quest'ultimo, gli

organismi di composizione della crisi possono accedere ai dati

contenuti nell'anagrafe tributaria, compresa la sezione prevista

dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della

Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, nei sistemi di informazioni

creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, ivi

compreso l'archivio centrale informatizzato di cui all'articolo 30-ter,

comma 2, del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, nel rispetto

delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati

personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del

codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi

gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e

puntualità nei pagamenti, di cui alla deliberazione del Garante per la

protezione dei dati personali 16 novembre 2004, n. 8, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2004.

11. I dati personali acquisiti a norma del presente articolo possono

essere trattati e conservati per i soli fini e tempi della procedura e

devono essere distrutti contestualmente alla sua conclusione o

cessazione. Dell'avvenuta distruzione è data comunicazione al titolare

dei suddetti dati, tramite lettera raccomandata con avviso di

ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici

giorni dalla distruzione medesima.

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  137  

Art. 16

Sanzioni

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la

reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro

il debitore che:

a) al fine di ottenere l'accesso alla procedura di composizione della crisi

di cui alla sezione prima del presente capo aumenta o diminuisce il

passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell'attivo ovvero

dolosamente simula attività inesistenti;

b) al fine di ottenere l'accesso alle procedure di cui alle sezioni prima e

seconda del presente capo, produce documentazione contraffatta o

alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la

documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la

propria documentazione contabile;

c) omette l'indicazione di beni nell'inventario di cui all'articolo 14-ter,

comma 3;

d) nel corso della procedura di cui alla sezione prima del presente capo,

effettua pagamenti in violazione dell'accordo o del piano del

consumatore;

e) dopo il deposito della proposta di accordo o di piano del

consumatore, e per tutta la durata della procedura, aggrava la sua

posizione debitoria;

f) intenzionalmente non rispetta i contenuti dell'accordo o del piano del

consumatore.

2. Il componente dell'organismo di composizione della crisi,

ovvero il professionista di cui all'articolo 15, comma 9, che rende false

attestazioni in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta o

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  138  

nei documenti ad essa allegati, alla fattibilità del piano ai sensi

dell'articolo 9, comma 2, ovvero nella relazione di cui agli articoli 9,

comma 3-bis, 12, comma 1 e 14- ter, comma 3, è punito con la

reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro.

3. La stessa pena di cui al comma 2 si applica al componente

dell'organismo di composizione della crisi, ovvero al professionista di

cui all'articolo 15, comma 9, che cagiona danno ai creditori omettendo

o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio.

Art. 17

Compiti dell’organismo di composizione della crisi

((Articolo non più previsto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179,

convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221)).

Art. 18

Accesso alle banche dati pubbliche

((Articolo non più previsto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179,

convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221)).

Art. 19

Sanzioni

((Articolo non più previsto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179,

convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221)).

Art. 20

Disposizioni transitorie e finali

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  139  

((Articolo non più previsto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179,

convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221)).

Capo III

ENTRATA IN VIGORE

Art. 21

Entrata in vigore

1. La presente legge entra in vigore il trentesimo giorno

successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella

Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto

obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge

dello Stato.

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Alessandro Torcini
Casella di testo
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  140  

Bibliografia

Riferimenti dottrinali

ABI, Sovraindebitamento – Crisi d’impresa, circolare n. 3 del 25

gennaio 2013, Relazione illustrativa al d.l. 179/2012.

ADICONSUM, Proposta di legge sul concordato dei creditori di

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