LA VIA DEL NON RITORNO - VIAGGI AVVENTURE NEL MONDO · il più vecchio della yurta, abbassare il...

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.................. ....................................................... Avventure nel mondo 1 | 2013 - 95 . scoprire così preziosi rimedi naturali, tramandati da generazioni. Ormai si è fatto buio ed è ora della cena, ci avviamo verso il “ristorante”, siamo tutti curiosi e forse un po’ scettici sul menù e invece è stata ancora una gradita sorpresa. La grotta ristorante era stata perfettamente imbandita ed illuminata, appena seduti ci servono una calda zuppa di orzo leggermente aromatizzata di limone come è d’uso. E’ ottima, forse la migliore che abbiamo mangiato fino a quel momento. Come secondo hanno preparato del pollo arrosto sistemato sui piatti guarniti con fette di pomodoro, per le ostinate vegetariane del gruppo, hanno preparato frittelle di verdure dei monti e yogurt. A conclusione della cena ci hanno servito del tea. Solo più tardi abbiamo saputo che i locali consumano carne e uova soltanto in occasioni speciali. La loro dieta, infatti, è molto parca e semplice consiste in pane appiattito senza lievito, yogurt variamente aromatizzato con verdure, zuppe di legumi e frutta secca: per loro, quindi, noi siamo stati una “occasione speciale”. La notte in grotta è trascorsa tranquilla e, naturalmente, in perfetto silenzio, al mattino qualcuna di noi si alza a malincuore, ci laviamo ai vicini bagni e poi ritorniamo al ristorante per la colazione che, ancora una volta, non manca di nulla. Il pulmino è pronto dobbiamo ripartire e io, che ero la più dubbiosa del gruppo, indugio mi pento di non avere comprato nulla dalla vecchietta del bazar, sono tentata di correre al negozio per potermi in qualche modo sdebitare dell’ospitalità e benvenuto ricevuti, ma è tardi mi chiamano, manco solo io. Seduta vicino al finestrino do ancora un’occhiata e in cuore mi auguro che qualche nipote o pronipote degli abitanti abbia il coraggio di ritornare per abitare lì affinché un posto del genere continui a vivere. TACCUINO DI VIAGGIO | Asia Centrale Ci sono viaggi che si compiono nello spazio, come quelli in africa, nei parchi, Etosha, Ngorongoro, Savuti, o quelli nelle città asiatiche, Hong Kong, Seul, o Shangai, percorri degli itinerari, visiti luoghi, vedi persone o animali; leggendo l’impressionante sgranarsi di nazioni nella “Via del Ritorno” Cina, Kirghistan, Usbekistan, Turkmenistan, Iran, Turchia, anche noi pensavamo di compiere un viaggio nello spazio, ripercorrere il tracciato della via della seta di Marco Polo, non sapevamo che avremmo fatto un viaggio nel tempo, che ci saremmo immersi nelle atmosfere dell’alto medioevo asiatico. Cina Già l’autista del bus che ci avrebbe fatto attraversare il sud della Cina ci anticipò quella che sarebbe stata una costante del nostro viaggio: l’incomunicabilità. Pelato, tozzo, quadrato, la testa incassata tra le spalle, lo sguardo che filtrava tra 2 fessure, non parlava altro che cinese, comunicava con noi con grugniti e latrati, aveva una tabella di marcia che speravamo corrispondesse alla nostra in inglese. Il lago Karakoul fu la prima tappa, era a 4000 metri nel sud del paese, eravamo incerti se il feroce mal di testa che ci affligeva era da imputare all’altitudine o alla cronica incomprensione di tutti i cinesi: i gestori del camp parlavano naturalmente solo mandarino, ci assegnarono a gesti 2 yurte, 2 tendoni circolari di pelle di pecora con delle stuoie in terra; per ottenere sempre a gesti 2 bracieri per la notte il mal di testa si fece martellante, tentammo di ottenere dei cuscini, ci diedero dei mattoncini di legno.. Il posto però era bellissimo, una grande prateria verde costellata di yurte e di cinesi su questo grande lago turchese, le montagne chiazzate di pini sullo sfondo, i cammelli (quelli veri, con due gobbe!) parcheggiati a lato, disponibili a gite nei dintorni, ne prendemmo subito alcuni, ci portarono ad una fattoria su di una collinetta poco distante, ci fermammo subito, l’ondeggiare degli animali e l’altitudine faceva girare la testa; offrirono cocomeri e LA VIA DEL NON RITORNO Testo e foto di Patrizio Rimassa Ricordi, impressioni, appunti, flash disordinati... un viaggio fantastico. ........................................................... TACCUINO DI VIAGGIO | Iran Da La via del ritorno gruppo Rimassa 01 02

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......................................................................... Avventure nel mondo 1 | 2013 - 95.........................................................................

Iran

scoprire così preziosi rimedi naturali, tramandati da generazioni.Ormai si è fatto buio ed è ora della cena, ci avviamo verso il “ristorante”, siamo tutti curiosi e forse un po’ scettici sul menù e invece è stata ancora una gradita sorpresa. La grotta ristorante era stata perfettamente imbandita ed illuminata, appena seduti ci servono una calda zuppa di orzo leggermente aromatizzata di limone come è d’uso. E’ ottima, forse la migliore che abbiamo mangiato fino a quel momento. Come secondo hanno preparato del pollo arrosto sistemato sui piatti guarniti con fette di pomodoro, per le ostinate vegetariane del gruppo, hanno preparato frittelle di verdure dei monti e yogurt. A conclusione della cena ci hanno servito del tea. Solo più tardi abbiamo saputo che i locali consumano carne e uova soltanto in occasioni speciali. La loro dieta, infatti, è molto parca e semplice consiste in pane appiattito senza lievito, yogurt variamente

aromatizzato con verdure, zuppe di legumi e frutta secca: per loro, quindi, noi siamo stati una “occasione speciale”.La notte in grotta è trascorsa tranquilla e, naturalmente, in perfetto silenzio, al mattino qualcuna di noi si alza a malincuore, ci laviamo ai vicini bagni e poi ritorniamo al ristorante per la colazione che, ancora una volta, non manca di nulla.Il pulmino è pronto dobbiamo ripartire e io, che ero la più dubbiosa del gruppo, indugio mi pento di non avere comprato nulla dalla vecchietta del bazar, sono tentata di correre al negozio per potermi in qualche modo sdebitare dell’ospitalità e benvenuto ricevuti, ma è tardi mi chiamano, manco solo io. Seduta vicino al finestrino do ancora un’occhiata e in cuore mi auguro che qualche nipote o pronipote degli abitanti abbia il coraggio di ritornare per abitare lì affinché un posto del genere continui a vivere.

TACCUINO DI VIAGGIO | Asia Centrale

Ci sono viaggi che si compiono nello spazio, come quelli in africa, nei parchi,

Etosha, Ngorongoro, Savuti, o quelli nelle città asiatiche, Hong Kong, Seul, o Shangai, percorri degli itinerari, visiti luoghi, vedi persone o animali; leggendo l’impressionante sgranarsi di nazioni nella “Via del Ritorno” Cina, Kirghistan, Usbekistan, Turkmenistan, Iran, Turchia, anche noi pensavamo di compiere un viaggio nello spazio, ripercorrere il tracciato della via della seta di Marco

Polo, non sapevamo che avremmo fatto un viaggio nel tempo, che ci saremmo immersi nelle atmosfere dell’alto medioevo asiatico.

CinaGià l’autista del bus che ci avrebbe fatto attraversare il sud della Cina ci anticipò quella che sarebbe stata una costante del nostro viaggio: l’incomunicabilità. Pelato, tozzo, quadrato, la testa incassata tra le spalle, lo sguardo che filtrava tra 2 fessure, non parlava altro che cinese, comunicava con noi con grugniti e

latrati, aveva una tabella di marcia che speravamo corrispondesse alla nostra in inglese. Il lago Karakoul fu la prima tappa, era a 4000 metri nel sud del paese, eravamo incerti se il feroce mal di testa che ci affligeva era da imputare all’altitudine o alla cronica incomprensione di tutti i cinesi: i gestori del camp parlavano naturalmente solo mandarino, ci assegnarono a gesti 2 yurte, 2 tendoni circolari di pelle di pecora con delle stuoie in terra; per ottenere sempre a gesti 2 bracieri per la notte il mal di testa si fece martellante,

tentammo di ottenere dei cuscini, ci diedero dei mattoncini di legno..Il posto però era bellissimo, una grande prateria verde costellata di yurte e di cinesi su questo grande lago turchese, le montagne chiazzate di pini sullo sfondo, i cammelli (quelli veri, con due gobbe!) parcheggiati a lato, disponibili a gite nei dintorni, ne prendemmo subito alcuni, ci portarono ad una fattoria su di una collinetta poco distante, ci fermammo subito, l’ondeggiare degli animali e l’altitudine faceva girare la testa; offrirono cocomeri e

LA VIA DEL NON RITORNO

Testo e foto di Patrizio Rimassa

Ricordi, impressioni, appunti, flash disordinati... un viaggio fantastico.

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Da La via del ritorno gruppo Rimassa

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uova sode, non sapevamo se era un ristorante o una gentile offerta, nel dubbio lasciammo una manciata di yuan, sorrisero molto. Dormimmo vestiti rannicchiati nelle yurte, i bracieri luccicavano nella notte ma scaldavano pochino, e la mattina nella yurtona per mangiare tornarono i problemi per fare colazione: il thè va bene, “tchai”, lo sapevamo, ma come chiedere, come mimare “10 uova” ad un cinese attonito?! Meglio tralasciare quello che abbiamo fatto…. Sempre vivido il ricordo del tavolone della mensa nel tendone semioscuro tra i fuochi ed i fumi della colazione, punto fermo tra i turisti spaesati e affamati, emergeva al centro, nero, in legno massiccio, intagliato da decine di ideogrammi, intarsiato di caratteri cirillici, altri strani, bislacchi, non c’era una lettera conosciuta.Non so come, ma il corrucciato autista cinese riuscì a portarci di venerdì puntuali alla famosa fiera di Kashgar, dove tutti intuimmo, capimmo di essere nella stessa scena che si ripeteva da secoli, comprendemmo di essere tornati negli stessi posti della via della seta di Marco Polo, la stessa gente, lo stesso mercato di pecore, cammelli, gelsi, asce, pugnali, barbieri, cavalli, noodless, bufali tenuti fermi tutti insieme dalla corda che passava nei lori nasi, un caleidoscopio di colori, odori, sapori uguali nel tempo; nessuno badava a noi, tutti occupati nel concludere affari con uno smanacciare di mani, noi girovagavamo a casaccio, sapevamo che ben difficilmente saremmo tornati lì, risucchiavamo tutte le immagini possibili come spugne nell’oceano.

KirghistanAlla frontiera cinese lasciammo il nostro autista con sorrisoni e pacche sulle spalle, lui un barrito e scomparve, prendemmo in cambio due pulmini Toyota, gli autisti magri e allampanati che ci aspettavano, non parlavano però inglese… ma va?! Eravamo rassegnati ormai, in Kirghistan comunque c’era poco da vedere, tante piccole vallate verdi costellate di yurte, greggi di pecore, montoni, ancora freddo.Ci portarono in tre ore in un villaggetto kirghiso, case vere, niente yurte, mattoni; ci parcheggiarono vicino al municipio, avremmo dormito in uno

stanzone affittato e riscaldato per noi, ci fecero capire a gesti che tra un po’ avremmo mangiato qualcosa; una moltitudine di kirghisi ci aveva accerchiato, tutti con un colbacco in testa, stupiti dalle nostre giacche multicolori, da noi soprattutto penso, ci guardavano timidi sorridendo; mia moglie distribuì a bambini dalle facce rosse dal freddo e dai capelli nerissimi dei lecca-lecca multicolori portati dall’Italia: stupore, gioia, piccole risse per accapararsi i tesori, poi, dopo un quarto d’ora, una delegazione di mamme e bambini seri e accigliati che chiedono spiegazioni… insegnamo loro a scartare i lecca-lecca.Dopo una cena a base di frutta, tchai e borsch (la zuppa russa con un pezzo di carne, una carota, una patata, una cipolla) ci accampiamo nello stanzone, dormiremo calducci finalmente tutti insieme, belle stuoie soffici in terra, divertente alla fine, sembrava di essere tornati alla “mili”, scarpe che volano “basta russare!” “ora silenzio!” “ridatemi il cuscino subito!”L’indomani dirigendoci verso l’Uzbekistan visitammo alcune yurte sparpagliate tra le colline, e ogni volta varcando la soglia della tenda ci pareva di entrare in un altro mondo, strana questa sensazione della macchina del tempo, di varcare una barriera temporale: imparammo molte regole dell’ospitalità kirghisa, che bisognava sempre ossequiare il più vecchio della yurta, abbassare

il capo, entrando bisognava girare subito a destra, non rifiutare mai il latte d’asina fermentato che ti offrono… inutile dire che noi di queste regole nemmeno una mettemmo in pratica, ma i kirghisi, sospirando sorridendo, furono molto comprensivi.

UzbekistanCalammo dalle colline verso la pianura dell’Uzbekistan, regalammo agli autisti le nostre felpe e i giacconi usati, sapevamo che ora cominciava il caldo e non sarebbe più finito, loro ne furono felicissimi, ci aiutarono a superare i doganieri astuti e famelici di moneta pregiata.Questa volta ad attenderci c’era un bel bus rosa, l’uzbeko che parlava l’autista era comprensibile come il kirghiso precedente; facemmo tre tappe, tre notti e quattro giorni, e solo a pronunciare i nomi ci si riempiva la bocca di secoli e di storia: Samarkanda... Gengis Khan e Tamerlano, Bukhara.. tutti i tappeti del mondo, Khiva.. caravanserragli e minareti.Gli hotels prenotati dal corrispondente erano tutti nei centri storici, che poi erano isole pedonali, quindi passeggiavamo con somma felicita’ direttamente tra le madrasse sbrillucicanti di stucchi e maioliche, i siti archologici, il minareto tronco, la tomba di Tamerlano, tutto era a portata di passo, pulito, perfetto, abbagliante, senza falle o crepe, forse avevano restaurato da

poco, ma dava un’impressione di splendore, di maestosità; le mura ciclopiche che avvolgevano le città risuonavano ancora di battaglie, di assedi, di corpi a corpi sanguinosi, qui l’orda mongola che aveva creato il più grande impero della storia si era fermato un attimo.Gli hotels erano puliti, immersi nel verde, l’Uzbekistan vive solo di turismo, niente petrolio, tutti erano pronti a farti passare giorni felici, ti aprivano i siti anche fuori orario, i ristorantini pieni fi focacce morbide, tenere bistecche di agnello, anche una bottiglia di vodka era comparsa tra vari ammiccamenti.L’occupazione russa cinquantennale aveva stemperato il loro islamismo, nessuna donna portava il velo, ragazze e ragazzi in giro mano nella mano come fidanzatini di Peynet, il muezzin era distrattamente ascoltato, le birre circolavano senza problemi, l’unica collera integralista che sentii era quella ancora contro Materazzi, colpevole di aver insultato la sorella di Zidane, qui la collera era feroce, la “fatwa” era scagliata! TurkmenistanIl Turkmenistan è praticamente un deserto che galleggia su di un mare di gas, gli autisti che ci presero alla frontiera con due uaz nuovissime, forse ebbri di betel, forse tremendamente annoiati, cominciarono una incredibile, incessante, folle corsa nella sabbia rossa del deserto, mentre si

01 madrassa a Samarcanda02 minareto di Khiva03 lagoKarakul

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avvicinava il tramonto vedevamo i turbini di polvere che l’altra macchina a fianco lasciava nei tentativi di sorpasso, di virate repentine, di tagliuzzamenti di percorso; quando oramai non urlavamo più, non eravamo più certi di schiantarci nel deserto fiammeggiante, e ci eravamo abituati ai sobbalzi e alle dune e cominciava a piacerci, i due autisti (che non parlavano alcuna lingua conosciuta) si fermarono presso una immensa voragine fiammeggiante, un buco di circa cento metri di diametro, pareva l’inferno, centinaia di fiammelle uscivano dalla terra, una probabile fuga di gas, come le chimere in Turchia, la luce ed il calore erano devastanti, le nostre facce stupefatte erano illuminate nella notte solo da questi fantastici fuochi fatui. Dopo le ottomila doverose foto alla voragine ci portarono in un accampamento nel deserto, una ventina di tende accerchiate da cammelli, il primo impatto era fantastico, i bagliori dei fuochi, le facce annerite dei turkmeni, i dondolare dei cammelli, una suggestione infinita, ci batteva forte il cuore, Marco Polo e le sue carovane ci erano accanto. Ci avevano riservato un tendone tutto per noi, da cui cacciarono una torma di predoni che si erano acclimatati dentro, la puzza però, il fetore, le colonie di insetti ci riportarono alla famosa dura realtà locale, optammo per dormire fuori sulla sabbia con i cammelli; ricorderò sempre quella strana notte, a cercare una duna

soffice e riparata, il deserto era ancora caldo, ma tirava un vento gelido e maligno, capimmo alla fine che dove erano i cammelli, lì era il posto migliore e più confortevole.La mattina dopo tentammo invano di farci restituire i soldi del tendone, la colazione l’abbiamo dimenticata.Ashgabad, capitale del Turkmenistan, dove arrivammo in tarda mattinata invece sembrava Disneyland: il dittatore dello stato, pensando di dover trattare con centinaia di emissari mondiali per la vendita del gas tirkmeno, aveva fatto costruire decine di palazzi di marmo, contornati da prati di fine erba sintetica, da viali, piscine celesti, finte palme di plastica marrone, finti cespugli verdi, e la sua statua dorata che seguiva nel giorno il volgersi del sole: eravamo con la mascella sulle ginocchia, era follia pura, il kitch più pacchiano, falso, inverecondo possibile, mancava solo Roger Rabbit. Il vantaggio però era che, vendendo tutto il gas alla Russia, i palazzi, la città, tutto era deserto, non c’era nessuno ad abitare queste magnificenze: ci portarono a visitare la città, e poi in un palazzone marmoreo scintillante di fontane, con un atrio di tre piani, ed una hall da reggia di Versailles, le annoiate recepcionist turkmene in minicoscia ci assegnarono suites da cinque stanze, con divani, marmi, bagni, tendaggi, il tutto per 10 (dieci!) Dollari a testa! Ripensando ai cammelli precedenti, veramente dalle stalle alle stelle….

IranDopo l’indifferenza alla religione di tutti questi paesi visitati, l’iran ci fece paura, qui per strada si sentiva la diffidenza, il timore aleggiava nell’aria, più degli uomini erano le donne che si avvicinavano, ci sorridevano, ci chiedevano notizie, ci invitavano a bere un thè, ci ricordavano che non erano arabi “we are persian!” E fino a trenta anni fa si truccavano, andavano alle corse dei cani, ballavano.. Ecco, era la musica quello che mancava di più, e mentre parlavamo queste bellissime ragazze dagli occhi vellutati e scintillanti mi ricordavano “don’t touch me!” Non mi toccare, se mi tocchi, se mi sfiori anche una mano, verrò frustata.Seguendo il consiglio della Lonely andammoa mangiare a Teheran da gilac, vicino al parco, ottimamente ad un tavolo addossato alla piscina interna, pasticci di riso, pesci farciti, tutto a pochi soldi, la sorpresa culinaria fu il consiglio del cameriere, groppi di spicchioni di agli cotti, fritti, assaggiati con molto timore si rivelarono ottimi, delicati, perso tutto il loro furore e afrore, incredibili. TurchiaOrmai siamo a casa, l’autista parla inglese e italiano, anche nell’hotel, tentano di venderci tappeti con condizionali e congiuntivi perfetti, il tram n. 8 ci porta velocemente a Sultahamet, la moschea blu e di Suleiman ci sono familiari, i ristorantini sotto il galata bridge

ti infinocchiano come quelli di Sperlonga, 15 euro tutto compreso, poi se va bene ne tiri fuori 45. Boutique e negozi con nomi italiani improbabili (Mizzoni, Giordani, Versaccia) vendono modelli unici e spettacolari di Lacoste, Dior e Hermes che a Parigi se li sognano.Noi siamo rilassatissimi, gasati dalla vicinanza a cas, forse non vorremmo tornare, anche se è passato un mese ”ma facciamo la via del non ritorno! Proseguiamo!” Anche se ho perso cinque chili, forse anche Marco Polo, vicino a Venezia, carico di bachi da seta, anche lui scherzava con gli amici “ma ti ricordi, scemo, quando sei caduto dal cammello?!” “e tu che bevevi l’acqua per lavarsi le mani?!” “ nooo!! Facevo finta, lo sapevo!!”

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