La scomparsa di Carlo Greppi accademico 6sir7 · tro,Attilia eGianna.Qui, eglimi accoglieva tra...

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| 39 LUNEDÌ 30 OTTOBRE 2017 | Eco di Biella VITA&ARTI EVENTO Il vocalist venerdì a Valdengo Jimmy’s - La Peschiera, Shary nel “tour dei 50” Un tour nel tour, nel mese di novembre alle porte, e un’organizzazione capilla- re che conta dodici serate in altrettante province, per festeggiare i cinquant’an- ni di Shary (in foto, al centro). La prima delle quali farà tappa nel Biellese ve- nerdì, 3 novembre, e precisamente al Jimmy’s - La Peschiera di Valdengo. Roberto Picatto in arte Shary, origina- rio di Ciriè, è animatore, conduttore, ballerino, dj e vocalist. Nel 2004, ha fondato il gruppo Sharyband e nel 2017 ha pubblicato la sua prima autobiogra- fia artistica. Ingresso a euro 10 con con- sumazione. Alla consolle, dj Trope. DELEGATO Carlo Greppi è stato tra i fondatori del- la Delegazione biellese dell’Accademia Italiana del- la Cucina: proverbiali la sua cultura e signorilità C redo mi avesse studiato per anni, prima di chie- dermi finalmente, nel 2008, di entrare nell’associazione più ermetica e selettiva del ter- ritorio: l’Accademia Italiana della Cucina. Lo fece dopo avermi sot- toposto, a suo modo, all’ultima prova, con la richiesta, apparen- temente banale in risposta a uno dei miei inviti a pranzo, di tra- lasciare i miei cavalli di battaglia culinari che già fin troppo bene conosceva (la finanziera con il flan di carciofi, la charlotte di ananas o il cappon magro) per preparare piuttosto un semplicissimo uovo al tegamino. Carlo Greppi - ri- cordo - apprezzò la mia accor- tezza di aver cotto l’albume se- paratamente dal tuorlo (scaldato a parte, a vapore leggero, e fatto poi scivolare, quasi all’ultimo mo- mento, sul bianco d’uovo fritto), di aver sgrassato l’insieme (monsieur Roger Vergé docet) spennellando il piatto di portata con un velo sottilissimo di aceto lieve e di non aver assolutamente salato l’insie- me, ma di aver piuttosto servito il sale, rigorosamente grosso, a par- te, in un apposito macinino. Solo molto più tardi, seppi che quello era uno dei suoi “scherzi”, perché - diceva Carlo Greppi - le cose facili sono le più difficili. Anzi: «È facile essere complicati - diceva testualmente -. Difficilissimo es- sere semplici». L’uomo. Quell’uovo al tegamino mi è tornato in mente due set- timane fa, alla notizia della morte di Carlo, avvenuta quasi alla vi- gilia del suo ottantanovesimo compleanno e alla vigilia della tra- dizionale Cena Ecumenica del- l’Accademia Italiana della Cucina che si celebra, ogni anno, il terzo giovedì di ottobre. Quasi cinquan- t’anni di vita ci separavano, ep- pure, la sensazione più netta e im- mediata, alla notizia del suo non esserci più, è stata la reificazione della perdita di un amico. Quel lungo spazio di esistenza vissuta, che tra noi correva come un fiume misterioso, carsico e profondo, ci faceva persone diverse: ma l’ami- cizia vera, non sta forse sempre nei “nonostante”? Fui, peraltro, io a cercarlo per primo, grazie ai buoni uffici di Rosy Gualinetti e agli inizi della mia storta professione di gaz- zettiere (come William Holden, in “Viale del Tramonto”, chiama spregiativamente i giornalisti), do- po aver letto, su una rivista, un suo articolo entusiasmante relativo agli agnolotti: una prosa bellissi- ma, nitida, rigorosa ma morbida, come rigoroso eppure morbido era il suo stile nutritissimo di Old England, con il tratto impeccabile di un gentleman di Oltremanica oppure di un qualche personaggio che sarebbe potuto benissimo uscire da un romanzo di Dickens o di Carrol. Cultura. Era per volontà di que- sto sir (di animo e di sentire, in assenza - ahimé! - di una regina che qui conferisca il titolo) che le porte della Delegazione di Biella si aprivano. E lui, Carlo, non badava a censo o a patrimonio, ma se- guiva, piuttosto, un fiuto tutto suo, molto british, per valutare il gusto, lo humour, la cultura delle reclute da arruolare in quel suo imma- ginifico esercito di golosi. Carlo Greppi, di questo esercito, rias- sunto nella “sua” - è il caso di scriverlo davvero - Delegazione biellese dell’Accademia Italiana della Cucina, è stato il generale. Fu un punto di riferimento per quasi mezzo secolo, sin da quando, nel 1961, a 33 anni (era nato nel 1928), contribuì a fondare la Delegazio- ne di Biella, un sodalizio animato da personaggi di spessore come Paolo Negri, Gustavo Buratti, Beppe Testa, Clelio Angelino, i fratelli Caucino, Pietro Minoli, Beppe Pallanza, Giorgio Perardi, Guido Rivetti, Sergio Serralunga, Luigi Sunder e Aldo Zegna. Se, nella vita civile (uso questo ter- mine perché l’accademicità culi- naria ha sempre un qualcosa di vagamente sacerdotale), egli fu un importante rappresentante del commercio laniero biellese, tanto stimato per le sue doti di signorilità e onestà da presiedere anche, negli anni Settanta, il Lions Club Biella Host di cui faceva parte, nel pri- vato egli coltivava, con passione, il versante “goloso” del vivere, ap- procciandovisi però sempre dal la- to culturale, con una pubblicistica fervida in materia enogastronomi- ca, fatta di articoli, interventi, re- censioni e libri: tutte riconosciute competenze che lo portarono a diventare anche Consultore Ac- cademico e Coordinatore territo- riale per approdare poi, nel 1988, alla carica di Delegato. Una carica scandita, negli anni, da uno stile impeccabile nel rigoroso rispetto degli orari di inizio e fine delle conviviali, nella scelta raffinata delle occasioni di incontro e nei menù, nei suoi brevi e indimen- ticabili discorsi alle Cene Ecume- niche e alle Conviviali degli Au- guri, discorsi pieni di umorismo britannico e, tuttavia, pronunciati con la consumata impassibilità di un John Gielgud. Privato. Lo andavo, di tanto in tanto, a trovare nel su vasto ap- partamento, fattosi sempre più ampio dopo la morte della moglie, l’indimenticabile signora Mirella, e il matrimonio dei suoi figli, Pie- tro, Attilia e Gianna. Qui, egli mi accoglieva tra mobili antichi che mi apparivano come dei confes- sionali barocchi e, allora, Carlo mi sembrava un inquisitore gaudente di chef, cuochi e ricettari che esa- minava e giudicava, però, secondo la stessa aurea regola che egli con- sigliava a ogni buon accademico: «Generosi con le lodi, avari con le critiche”. La consigliava soprat- tutto a chi, come me, nel furor giovanile di chi non ha ancora vis- suto abbastanza, nei piatti - so- prattutto nei dessert - cercava la perfezione: «I piatti perfetti, se esi- stono, sono noiosi - mi diceva, allora, Carlo, con saggezza e iro- nia -: sono come le donne troppo belle. Le bruttine, invece, riserva- no sempre qualche sorpresa». E a stemperare la mia vena critica, mi metteva sempre tra le mani qual- che libro bello e raro, che senza Carlo, io non avrei mai letto, co- me, per esempio, “Misticanze. Pa- role del gusto, linguaggi del cibo” di Gian Luigi Beccaria. Su quei mobili, intanto, riluceva la sua va- stissima collezione di cavatappi antichi che, qualche volta, Carlo imprestava a mostre e musei e nel- la quale si condensava una parte della sua vita, perché ha ragione Gadda: a contare davvero, alla fi- ne, sono le cose penultime. Negli ultimi anni, la fatica e gli acciacchi ne avevano minato la fibra e, nel 2016, aveva passato la “campana accademica” alla nuova delegata, Maria Luisa Bertotto, decretando sostanzialmente la fine di una par- te di sè rappresentata dall’impe- gno pubblico e assumendo la ca- rica di “delegato onorario”. La parte sopravvissuta, invece, se ne è andata definitivamente un giorno di ottobre: una morte silenziosa e discreta, in sintonia con lo stile del personaggio. Che leggera sia ora per lui la terra di questo autunno: leggera come il suo stile, fatto di misura e di eleganza; leggera co- me la sua parola ricca di humour; leggera e piena di luce come la gioia che egli, nella sua vita lunga e operosa, ha saputo sempre dona- re. l Giovanni Orso [email protected] LA RECENSIONE Il nuovo libro di Alberto Girotto sulla cucina del riso edito da Aliberti Il giro del mondo in trecento risotti Sfoglio le pagine, indugio tra le fotografie golose, leggo, trasa- lendo, “Nasi Goreng” e la mente fugge lontano, a una cara figura familiare che, vissuta a lungo in Olanda con il suo secondo ma- rito, era poi tornata in Italia por- tando con sè, oltre a una cultura molto radical e a una collezione vasta di cappelli che indossava con aristocratica nonchalance, anche una cucina fortemente im- pregnata di influenze indocinesi (l’Indocina fu, in passato, colo- nizzata dagli olandesi). Un pro- fumo di spezie, di salsa d’ostri- che e di pollo si leva, improvviso, da queste pagine scritte da Al- berto Girotto e mi ritrovo a in- seguire sapori che evocano ri- cordi. Capisco, allora, che anche un ricettario, pur dotto e arric- chito di note etnologiche e an- tropologiche, può condurre mol- to lontano, ai confini del mondo o, come nel mio caso, addirittura ai confini di una vita quando la zia stupiva i suoi ospiti prepa- rando il “Nasi Goreng”, in que- gli anni Settanta sconosciuto al- l’Italia provinciale: erano gli an- ni in cui Mario Soldati ben po- teva ancora scrivere che a Ver- celli le spighe di riso si usavano come a Saremo si usavano i fiori. Alberto Girotto, biellese, viag- giatore “del” mondo più che “nel” mondo, per motivi di la- voro oltre che di piacere, ha ca- pitalizzato le sue passioni nei campi della gastronomia, del- l’etnologia e della storia con que- sto “Tremila chicchi di riso” (Aliberti editore, 25 euro): una sorta di enciclopedia universale della cucina a base di riso. Del resto, Girotto ha collezionato ben 4.200 ricette a base di riso, raccolte in più di 170 Paesi del mondo, e ha un blog, dello stesso titolo del libro, che del riso tutto dice, compendia e divulga. Passione. Della sua passione, Girotto scrive nell’introduzione del testo, partendo dalla figura materna (“era una donna d’altri tempi, era una massaia e una grande cuoca” scrive) e paterna (“ricordo ancora con entusia- smo i racconti di mio padre sulla sua lunga permanenza africa- na”) e dai menù familiari (“si consumava soprattutto il riso, che veniva cucinato in molti mo- di come per le minestre, per le frittelle, per alcuni soufflé anche se la parte del leone era recitata dai risotti”) identificando nella buona tavola, nel viaggio e nel riso quell’imprinting su cui egli eserciterà, negli anni, la sua cu- riosità, viaggiando fra etnie e culture diverse e iniziando a sco- prire varietà rare di riso e a col- lezionare ricette. «Gli orientali - dice - sostengono che la loro cio- tola di riso contiene 3 mila chic- chi che corrispondono a circa 95 grammi, che rappresentano la porzione di un risotto di un oc- cidentale e sono all’incirca la ra- zione di un africano o un su- damericano». Testo. Questo background, op- portunamente fermentato e col- tivato, ha oggi permesso a Al- berto Girotto di portare il lettore per mano in un viaggio intorno al mondo scandito in circa 300 ricette, corredata ciascuna da no- te e fotografie. Diviso in capitoli che fanno riferimento alle varie zone del globo, il dotto ricettario restituisce nomi esotici come quello giapponese del Butaniku Chanan, il riso fritto con maiale, o quello indiano del Dhaniya Pu- lao, il riso al coriandolo, accen- dendo la curiosità del lettore, ma anche nomi più “domestici” co- me quello del francese del riz à la provençale , riso alla provenzale, o del Radetzkyreis (il riso alla Ra- detzky: un dolce austriaco squi- sito) o del Chicken & Rice (il riso e pollo) della Carolina del Sud: in- somma, dalla Cambogia alla Nuova Caledonia, passando per il Congo, l’Iraq, il Giappone, gli States e l’Europa, Girotto, nelle 281 pagine “saporite” del suo “Tremila chicchi di riso”, riesce nell’impresa di confermare il detto di Alain Ducasse: cucinare è sempre un fatto di amore, un amore che comincia dalla ma- teria prima. l G.O. LIBRO & BLOG Alberto Girotto (sopra), biellese e ap- passionato di gastronomia è l’autore del nuovo libro di Al- iberti. Ha un blog in 4 lingue: “3000 chicchi di riso” Lo scherzo dell’uovo fritto, la cucina italiana e una collezione d cavatappi IL PERSONAGGIO La scomparsa di Carlo Greppi accademico “sir”

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| 39LUNEDÌ 30 OTTOBRE 2017 | Eco di Biella

VITA&ARTIE VENTO Il vocalist venerdì a Valdengo

Jimmy’s - La Peschiera,Shary nel “tour dei 50”Un tour nel tour, nel mese di novembrealle porte, e un’organizzazione capilla-re che conta dodici serate in altrettanteprovince, per festeggiare i cinquant’a n-ni di Shary (in foto, al centro). La prima

delle quali farà tappa nel Biellese ve-nerdì, 3 novembre, e precisamente alJ i m my ’s - La Peschiera di Valdengo.Roberto Picatto in arte Shary, origina-rio di Ciriè, è animatore, conduttore,ballerino, dj e vocalist. Nel 2004, hafondato il gruppo Sharyband e nel 2017ha pubblicato la sua prima autobiogra-fia artistica. Ingresso a euro 10 con con-sumazione. Alla consolle, dj Trope.

D E L E G ATO Carlo Greppi è stato tra i fondatori del-la Delegazione biellese dell’Accademia Italiana del-la Cucina: proverbiali la sua cultura e signorilità

C redo mi avesse studiatoper anni, prima di chie-dermi finalmente, nel

2008, di entrare nell’associazionepiù ermetica e selettiva del ter-ritorio: l’Accademia Italiana dellaCucina. Lo fece dopo avermi sot-toposto, a suo modo, all’ultimaprova, con la richiesta, apparen-temente banale in risposta a unodei miei inviti a pranzo, di tra-lasciare i miei cavalli di battagliaculinari che già fin troppo beneconosceva (la finanziera con il flandi carciofi, la charlotte di ananas oil cappon magro) per prepararepiuttosto un semplicissimo uovoal tegamino. Carlo Greppi - ri-cordo - apprezzò la mia accor-tezza di aver cotto l’albume se-paratamente dal tuorlo (scaldato aparte, a vapore leggero, e fatto poiscivolare, quasi all’ultimo mo-mento, sul bianco d’uovo fritto), diaver sgrassato l’insieme (monsieurRoger Vergé docet) spennellandoil piatto di portata con un velosottilissimo di aceto lieve e di non

aver assolutamente salato l’insie -me, ma di aver piuttosto servito ilsale, rigorosamente grosso, a par-te, in un apposito macinino. Solomolto più tardi, seppi che quelloera uno dei suoi “scherzi”, perché- diceva Carlo Greppi - le cosefacili sono le più difficili. Anzi: «Èfacile essere complicati - dicevatestualmente -. Difficilissimo es-sere semplici».

L’u o m o. Quell’uovo al tegaminomi è tornato in mente due set-timane fa, alla notizia della mortedi Carlo, avvenuta quasi alla vi-gilia del suo ottantanovesimocompleanno e alla vigilia della tra-dizionale Cena Ecumenica del-l’Accademia Italiana della Cucinache si celebra, ogni anno, il terzogiovedì di ottobre. Quasi cinquan-t’anni di vita ci separavano, ep-pure, la sensazione più netta e im-mediata, alla notizia del suo nonesserci più, è stata la reificazionedella perdita di un amico. Quellungo spazio di esistenza vissuta,che tra noi correva come un fiumemisterioso, carsico e profondo, cifaceva persone diverse: ma l’ami -cizia vera, non sta forse sempre nei“nonostante”? Fui, peraltro, io acercarlo per primo, grazie ai buoniuffici di Rosy Gualinetti e agli inizidella mia storta professione di gaz-

zettiere (come William Holden, in“Viale del Tramonto”, chiamaspregiativamente i giornalisti), do-po aver letto, su una rivista, un suoarticolo entusiasmante relativoagli agnolotti: una prosa bellissi-ma, nitida, rigorosa ma morbida,come rigoroso eppure morbidoera il suo stile nutritissimo di OldEngland, con il tratto impeccabiledi un gentleman di Oltremanicaoppure di un qualche personaggioche sarebbe potuto benissimouscire da un romanzo di Dickens odi Carrol.

Cultura. Era per volontà di que-sto sir (di animo e di sentire, inassenza - ahimé! - di una reginache qui conferisca il titolo) che leporte della Delegazione di Biella siaprivano. E lui, Carlo, non badavaa censo o a patrimonio, ma se-guiva, piuttosto, un fiuto tutto suo,molto british, per valutare il gusto,lo humour, la cultura delle recluteda arruolare in quel suo imma-ginifico esercito di golosi. CarloGreppi, di questo esercito, rias-sunto nella “sua” - è il caso discriverlo davvero - Delegazionebiellese dell’Accademia Italianadella Cucina, è stato il generale. Fuun punto di riferimento per quasimezzo secolo, sin da quando, nel1961, a 33 anni (era nato nel 1928),contribuì a fondare la Delegazio-ne di Biella, un sodalizio animatoda personaggi di spessore comePaolo Negri, Gustavo Buratti,Beppe Testa, Clelio Angelino, ifratelli Caucino, Pietro Minoli,Beppe Pallanza, Giorgio Perardi,Guido Rivetti, Sergio Serralunga,Luigi Sunder e Aldo Zegna. Se,nella vita civile (uso questo ter-mine perché l’accademicità culi-naria ha sempre un qualcosa divagamente sacerdotale), egli fu unimportante rappresentante delcommercio laniero biellese, tantostimato per le sue doti di signorilitàe onestà da presiedere anche, neglianni Settanta, il Lions Club BiellaHost di cui faceva parte, nel pri-vato egli coltivava, con passione, ilversante “goloso” del vivere, ap-procciandovisi però sempre dal la-to culturale, con una pubblicisticafervida in materia enogastronomi-ca, fatta di articoli, interventi, re-censioni e libri: tutte riconosciutecompetenze che lo portarono adiventare anche Consultore Ac-cademico e Coordinatore territo-riale per approdare poi, nel 1988,alla carica di Delegato. Una caricascandita, negli anni, da uno stileimpeccabile nel rigoroso rispettodegli orari di inizio e fine delleconviviali, nella scelta raffinatadelle occasioni di incontro e neimenù, nei suoi brevi e indimen-ticabili discorsi alle Cene Ecume-niche e alle Conviviali degli Au-guri, discorsi pieni di umorismo

britannico e, tuttavia, pronunciaticon la consumata impassibilità diun John Gielgud.

P r iva t o. Lo andavo, di tanto intanto, a trovare nel su vasto ap-partamento, fattosi sempre piùampio dopo la morte della moglie,l’indimenticabile signora Mirella,e il matrimonio dei suoi figli, Pie-tro, Attilia e Gianna. Qui, egli miaccoglieva tra mobili antichi chemi apparivano come dei confes-sionali barocchi e, allora, Carlo misembrava un inquisitore gaudentedi chef, cuochi e ricettari che esa-minava e giudicava, però, secondola stessa aurea regola che egli con-sigliava a ogni buon accademico:«Generosi con le lodi, avari con lecritiche”. La consigliava soprat-tutto a chi, come me, nel f u ro rgiovanile di chi non ha ancora vis-suto abbastanza, nei piatti - so-prattutto nei dessert - cercava laperfezione: «I piatti perfetti, se esi-stono, sono noiosi - mi diceva,allora, Carlo, con saggezza e iro-nia -: sono come le donne troppobelle. Le bruttine, invece, riserva-no sempre qualche sorpresa». E astemperare la mia vena critica, mimetteva sempre tra le mani qual-che libro bello e raro, che senzaCarlo, io non avrei mai letto, co-

me, per esempio, “Misticanze. Pa-role del gusto, linguaggi del cibo”di Gian Luigi Beccaria. Su queimobili, intanto, riluceva la sua va-stissima collezione di cavatappiantichi che, qualche volta, Carloimprestava a mostre e musei e nel-la quale si condensava una partedella sua vita, perché ha ragioneGadda: a contare davvero, alla fi-ne, sono le cose penultime. Negliultimi anni, la fatica e gli acciacchine avevano minato la fibra e, nel2016, aveva passato la “campanaaccademica” alla nuova delegata,Maria Luisa Bertotto, decretandosostanzialmente la fine di una par-te di sè rappresentata dall’impe -gno pubblico e assumendo la ca-rica di “delegato onorario”. Laparte sopravvissuta, invece, se ne èandata definitivamente un giornodi ottobre: una morte silenziosa ediscreta, in sintonia con lo stile delpersonaggio. Che leggera sia oraper lui la terra di questo autunno:leggera come il suo stile, fatto dimisura e di eleganza; leggera co-me la sua parola ricca di humour;leggera e piena di luce come lagioia che egli, nella sua vita lunga eoperosa, ha saputo sempre dona-r e.

l Giovanni Orsoor [email protected]

LA RECENSIONE Il nuovo libro di Alberto Girotto sulla cucina del riso edito da Aliberti

Il giro del mondo in trecento risottiSfoglio le pagine, indugio tra lefotografie golose, leggo, trasa-lendo, “Nasi Goreng” e la mentefugge lontano, a una cara figurafamiliare che, vissuta a lungo inOlanda con il suo secondo ma-rito, era poi tornata in Italia por-tando con sè, oltre a una culturamolto radical e a una collezionevasta di cappelli che indossavacon aristocratica nonchalance,anche una cucina fortemente im-pregnata di influenze indocinesi(l’Indocina fu, in passato, colo-nizzata dagli olandesi). Un pro-fumo di spezie, di salsa d’ostri -che e di pollo si leva, improvviso,da queste pagine scritte da Al-berto Girotto e mi ritrovo a in-seguire sapori che evocano ri-cordi. Capisco, allora, che ancheun ricettario, pur dotto e arric-chito di note etnologiche e an-tropologiche, può condurre mol-to lontano, ai confini del mondoo, come nel mio caso, addiritturaai confini di una vita quando lazia stupiva i suoi ospiti prepa-rando il “Nasi Goreng”, in que-gli anni Settanta sconosciuto al-l’Italia provinciale: erano gli an-ni in cui Mario Soldati ben po-teva ancora scrivere che a Ver-celli le spighe di riso si usavanocome a Saremo si usavano i fiori.Alberto Girotto, biellese, viag-giatore “del” mondo più che“nel” mondo, per motivi di la-voro oltre che di piacere, ha ca-pitalizzato le sue passioni neicampi della gastronomia, del-l’etnologia e della storia con que-sto “Tremila chicchi di riso”(Aliberti editore, 25 euro): unasorta di enciclopedia universaledella cucina a base di riso. Delresto, Girotto ha collezionato

ben 4.200 ricette a base di riso,raccolte in più di 170 Paesi delmondo, e ha un blog, dello stessotitolo del libro, che del riso tuttodice, compendia e divulga.

Pa s s i o n e. Della sua passione,Girotto scrive nell’introduzionedel testo, partendo dalla figuramaterna (“era una donna d’altritempi, era una massaia e unagrande cuoca” scrive) e paterna(“ricordo ancora con entusia-smo i racconti di mio padre sullasua lunga permanenza africa-na”) e dai menù familiari (“siconsumava soprattutto il riso,che veniva cucinato in molti mo-di come per le minestre, per lefrittelle, per alcuni soufflé anchese la parte del leone era recitatadai risotti”) identificando nellabuona tavola, nel viaggio e nelriso quell’imprinting su cui eglieserciterà, negli anni, la sua cu-riosità, viaggiando fra etnie eculture diverse e iniziando a sco-prire varietà rare di riso e a col-lezionare ricette. «Gli orientali -dice - sostengono che la loro cio-tola di riso contiene 3 mila chic-chi che corrispondono a circa 95grammi, che rappresentano la

porzione di un risotto di un oc-cidentale e sono all’incirca la ra-zione di un africano o un su-damericano».

Te s t o. Questo background, op-portunamente fermentato e col-tivato, ha oggi permesso a Al-berto Girotto di portare il lettoreper mano in un viaggio intornoal mondo scandito in circa 300ricette, corredata ciascuna da no-te e fotografie. Diviso in capitoliche fanno riferimento alle variezone del globo, il dotto ricettariorestituisce nomi esotici comequello giapponese del Butaniku

Chanan, il riso fritto con maiale,o quello indiano del Dhaniya Pu-lao, il riso al coriandolo, accen-dendo la curiosità del lettore, maanche nomi più “domestici” co -me quello del francese del riz à lap ro v e n ç a l e , riso alla provenzale, odel Radetzkyreis (il riso alla Ra-detzky: un dolce austriaco squi-sito) o del Chicken & Rice (il riso epollo) della Carolina del Sud: in-somma, dalla Cambogia allaNuova Caledonia, passando peril Congo, l’Iraq, il Giappone, gliStates e l’Europa, Girotto, nelle281 pagine “saporite” del suo“Tremila chicchi di riso”, riescenell’impresa di confermare ildetto di Alain Ducasse: cucinareè sempre un fatto di amore, unamore che comincia dalla ma-teria prima.

l G.O.

LIBRO & BLOG Alber toGirotto (sopra), biellese e ap-passionato di gastronomia èl’autore del nuovo libro di Al-iberti. Ha un blog in 4 lingue:“3000 chicchi di riso”

Lo scherzodell’uovo fritto,la cucina italianae una collezioned cavatappi

IL PERSONAGGIO

La scomparsadi Carlo Greppiaccademico “sir”