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LA RIFORMA DELLA FILIAZIONE
(L. 10 DICEMBRE 2012 N° 291)
(DECRETO LEGISLATIVO 28 DICEMBRE 2013 N° 154)
1. PREMESSA
La legge 219/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento un principio di civiltà giuridica
che da tempo fa parte del comune sentire e che era invocato oramai come ineludibile
norma positiva del nostro corpus normativo: “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”
(art. 315 c.c. novellato).
Si è così superata finalmente la tradizionale distinzione dello status filiationis a seconda
che il concepimento sia avvenuto o meno in costanza di matrimonio.
Il c.c. del 1942 distingueva tra filiazione legittima e illegittima, facendo ricadere su
quest’ultima le conseguenze di un minore apprezzamento sociale, legata ad una
circostanza (il concepimento fuori dalle nozze) che era contraria alla morale dominante
dell’epoca (si pensi peraltro che erano in vigore gli arrt. 559 e 560 c.p.., dichiarati
incostituzionali nel 1968 e 1969, che configuravano come reati l’adulterio della donna
sposata e il concubinato dell’uomo coniugato).
Già con la Carta costituzionale si è avuto un cambiamento radicale dell’impostazione
codicistica:
- Art. 30 Cost.: la legge garantisce i figli nati dal matrimonio ogni tutela giuridica
e sociale, pur prevedendo la compatibilità “con i membri della famiglia
legittima” (quindi non vi è totale equiparazione, continuando a legittimarsi un
favor nei confronti dei componenti della famiglia legittima);
- Art. 2 Cost: si riconoscono i diritti fondamentali dell’uomo, sia come singolo, sia
nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, tra cui non può non
ricomprendersi la famiglia, anche senza matrimonio;
- Art. 3 Cost.: uguaglianza di tutti i cittadini.
La riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva dato applicazione ai precetti
costituzionali, realizzando una tendenziale equiparazione tra figli legittimi naturali,
quantomeno nei rapporti con i loro genitori, a cominciare dall’eliminazione dei figli c.d.
“adulterini”.
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Tuttavia si era mantenuto il dualismo tra filiazione legittima e naturale: la norma
centrale di tale discriminazione era individuabile nell’art. 258 c.c., che prevedeva la
relatività degli effetti del riconoscimento della filiazione naturale (ed anche della
pronuncia giudiziale, che avesse dichiarato la paternità o maternità naturale): “il
riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvi i casi
previsti dalla legge”.
Con questa norma il legislatore negava rilevanza alla parentela naturale, con
rilevantissime conseguenze sul piano del diritto successorio e con la conseguenza che i
figli nati fuori dal matrimonio non potevano essere eredi, ad esempio, dei fratelli nati in
costanza di matrimonio.
Del resto già la Corte Cost. (sentenza 532/2000) ha ritenuto, con una sentenza
interpretativa di rigetto, che non si dovesse estendere la categoria degli eredi legittimi
oltre le persone verso cui produce effetti l’accertamento della filiazione naturale ex art.
258 c.c., sino a ricomprendervi, oltre ai genitori naturali, tutti i parenti naturali (si veda
in tal senso Cass. 2007 n° 19011).
In questo quadro di favor verso la filiazione legittima si innestava l’istituto della
legittimazione (di cui agli abrogati artt. 280 segg.) che poteva avvenire per susseguente
matrimonio dei genitori o per provvedimento del giudice, quando sussistesse un
gravissimo ostacolo o non fosse possibile il matrimonio.
Il diverso regime a seconda di diverse “categorie” di figli strideva, oltre che con i
precetti costituzionali, anche con i principi di diritto internazionale recepiti in Italia:
- Art. 21 Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea, vincolante
per gli stati membri a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ove è
vietata ogni forma di discriminazione fondata, tra l’altro, sulla nascita;
- -la Convenzione europea dei diritti dell’uomo: art. 14: divieto di qualsiasi
discriminazione.
La l. 219/2012 ha completato quindi il percorso iniziato dalla Costituzione e dagli
accordi internazionale, introducendolo status unico della filiazione, facendo scomparire
qualsiasi distinzione terminologica tra figli legittimi e naturali, sopprimendo l’istituto
della legittimazione.
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L’esistenza del matrimonio tra i genitori continua a mantenere tutta la sua rilevanza ai
fini dell’attribuzione dello status; il concepimento o la nascita in costanza di matrimonio
e l’operare della presunzione di paternità del marito della madre comportano di regola, e
in mancanza di diversa manifestazione di volontà della madre, l’instaurazione di un
vincolo di filiazione giuridicamente rilevante con entrambi i genitori.
Se invece il concepimento avviene fuori dal matrimonio, lo status filiationis continua a
essere acquisito a fronte del riconoscimento (da parte di uno o entrambi i genitori),
ovvero dell’esito positivo dell’azione giudiziale di paternità o di maternità.
La riforma della filiazione è stata attuata in tempi differenti:
- La l. 219/2012, agli artt. 1 e 3, ha introdotto norma precettive, di tipo sostanziale
e processuale, entrate in vigore il 1° gennaio 2013; l’art. 2 ha previsto una vasta
delega al Governo, che è stata attuata con il decreto legislativo 28.12.2013 n°
154, entrato in vigore il 7.2.2014.
Il decreto legislativo 154/2013 si compone di 4 titoli: I (modifiche al codice civile in
materia di filiazione: art. 1-92); II (modifiche al codice penale, di procedura penale e di
procedura civile in materia di filiazione: artt. 93,94,95); III (modifiche alle leggi speciali
in materia di filiazione: artt. 96-103); IV (disposizioni transitorie e finali: artt. 104-108).
La riforma ha:
- Modificato i diritti dei figli e le azioni di status;
- Ha rivisto tutte le norma in materia di potestà genitoriale, sostituita con la
diversa e più innovativa terminologia di responsabilità genitoriale;
- Sono stati abrogati gli artt. 155 bis ss, introdotti con la riforma attuata con l.
54/2006, come pure le corrispondenti previsioni di cui all’art. 6 l. 898/1970, e il
relativo contenuto è stato traslato nei nuovi artt. 337 bis ss. C.c., che prevedono
una disciplina uniforme dei rapporti tra genitori e figli, in tutti i casi di crisi della
coppia genitoriale;
- E’ stato novellato l’art. 38 disp. Att. C.c., con una conseguente redistribuzione
delle competenze tra Trib. Ordinario e T.M. e con un ampliamento delle
competenze del primo;
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- Ha inciso sul regime delle successioni.
2. PARENTELA
74 C.C.: la vecchia formulazione non distingueva tra parentela naturale e legittima,
cosicchè ampio è stato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’intepretazione della
disposizione: se da intendere cioè in senso restrittivo, con riferimento alla sola parentela
legittima, o estensivo , ricomprendendo quella naturale.
L’orientamento prevalente era nel primo senso, anche alla luce del disposto letterale di
cui all’art. 565 c.c. che escludeva la successione per i fratelli e sorelle naturali (la
disposizione è stata dichiarata incostituzionale con sentenze 1979 n° 65 e 184/1990, con
cui si è estesa la successione ai fratelli e sorelle riconosciuti e dichiarati e comunque a
quelli nei confronti dei quali sia stato giudizialmente accertato il relativo status).
La l. 219/2012 ha novellato l’art. 74 c.c., aggiungendo al testo originario la
specificazione che il vincolo di parentela sussiste indipendentemente dalla circostanza
che la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, ovvero al di fuori di esso:
quindi la parentela prescinde dal matrimonio dei genitori.
La regola viene estesa anche ai figli adottivi, con l’esclusione dell’adozione dei
maggiorenni, ex artt. 291 c.c.; ratio: i figli adottivi assumono tout court lo status di
figlio, l’adozione dei figli maggiorenni assolve a funzioni di trasmissione del cognome e
del matrimonio.
RINVIA CON RIFERIMENTO ALL’IPOTESI DI ADOZIONE IN CASI
PARTICOLARI (ART. 44 L. 184/1983).
3. MATRIMONIO
Gli effetti della riforma sono molto limitati:
87 c.c.: VIENE ELIMINATO IL RIFERIMENTO AI FIGLI LEGITTMI O
NATURALI
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128 C.C. (matrimonio putativo): VIENE MODIFICATO IL SECONDO COMMA: non
hA più senso la disposizione che distingueva tra figli naturali e legittimi o riconosciuti;
VIENE MODIFICATO IL QUARTO COMMA: viene eliminato il riferimento alla
bigamia, dal momento che lo status di figlio prevale sulle questioni relative allo status di
figlio legittimo, che avevano portato il legislatore a porre l’eccezione della bigamia;
VIENE MODIFICATO IL QUINTO COMMA: prima non erano riconoscibili i figli
incestuosi, quando entrambi i genitori fossero stati in malafede o avessero avuto
contezza del vincolo che li legava al momento del concepimento (vecchi art. 251); ora
gli effetti sui figli incestuosi vengono subordinati all’applicazione del nuovo 251
(autorizzazione del giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di
evitargli pregiudizio).
4. COGNOME DEL FIGLIO
IN COSTANZA DI MATRIMONIO: inalterata le norme dello stato civile che
prevedono che il figlio assuma il cognome del padre (Corte Cost 16.2.2006 n° 61, in Fa.
Pers. Success., 2006, 11, 898, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità cost.,
ritenendo che la materia rientri nella discrezionalità del legislatore); si veda però da
ultimo sent. CEDU 7.1.2014, che ha condannato l’Italia per violazione degli artt. 14 e 8
della Conv. Europea diritti dell’Uomo, nella parte in cui la legislazione interna preclude
l’attribuzione al figlio, nato in costanza di matrimonio, del solo cognome materno.
FUORI DAL MATRIMONIO: art. 262: VIENE MODIFICATO IL SECONDO
COMMA: se la filiazione nei confronti del padre viene accertata o dichiarata
successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il
cognome del padre, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre
(viene chiarito ciò che era già stato ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza nella
vigenza della precedente formulazione, in cui si parlava di aggiunta, e cioè che il
cognome del padre può anche essere posposto; COMMA 2 BIS: RECEPSICE
NORMATIVAMENTE SENTENZA CORTE COST. 23.7.1996, n° 297, che ha aveva
dichiarato in tal senso l’illegittimità del previgente 262; VIENE MODIFICATO IL
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TERZO COMMA: il giudice non decide più sul cognome del padre, ma sul cognome
tour court.
COMPETENZA MODIFICATA: CON LA MODIFICA DEL 38 (RINVIO) ORA E’
DEL T.O.
5. NOME DEL FIGLIO
MODIFICATO L’ART. 35 ORDINAMENTO STATO CIVILE (396/2000): si
ribadisce che il nome del figlio, a prescindere dal fatto che lo stesso sia nato fuori o
dentro il matrimonio, deve corrispondere al sesso e può essere costituito anche da un
solo nome o da più nomi, anche separati, non superiori a tre.
Molto si è discusso in dottrina e giurisprudenza circa l’attribuzione al figlio di nomi di
battesimo che solo nella lingua italiana non sono conformi al sesso: recentemente la
Cassazione (SENTENZA 20.11.2012 N° 20385) ha dichiarato l’illegittimità
dell’operato dle funzionario dello stato civile, che, rifiutando di attribuire ad una bimba
il nome di “Andrea”, richiesto dai genitori, aveva anteposto a quel nome “Maria”, per
renderne intellegibile il sesso femminile; la decisione muove dal presupposto che quel
nome, in altri Stati, assume valenza neutra, e quindi può far riferimento a persone di
sesso sia femminile che maschile.
6. ATTRIBUZIONE DELLO STATUS FILIATIONIS
Vecchia disciplina: distinzione tra figlio legittimo e naturale;
legittimo: presunzione di paternità del marito (231) e presunzione di concepimento
durante il matrimonio (262);
naturale: solo in seguito a riconoscimento o a sentenza dichiarativa della paternità o
maternità, perché il solo fatto biologico della nascita non determinava di per sé
l’instaurazione di rapporti giuridici con i genitori.
Quest’impostazione è rimasta sostanzialmente invariata, pur se con diversa
terminologia.
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FILIAZIONE ALL’INTERNO DEL MATRIMONIO
NUOVI 231 E 232: il marito è il padre del figlio concepito o nato durante il
matrimonio, e fino al 300° giorno dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o
della cessazione degli effetti civili del matrimonio; SCOMPARE LA REGOLA
SECONDO CUI LA PRESUNZIONE DELLO STATUS SI HA SOLO SE IL FIGLIO
SIA NATO ENTRO 180 GIORNI DALLA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO,
IN QUANTO Ciò CHE VALE (AI FINI DELLA PRESUNZIONE DI PATERNITA’
DEL MARITO, NON GIA’ COMUNQUE DELLO STATUS DI FIGLIO
LEGITTIMO, CHE NON ESISTE PIU’) LA NASCITA IN COSTANZA DI
MATRIMONIO, NON IL CONCEPIMENTO.
ABOLITO IL 233
FILIAZIONE FUORI DAL MATRIMONIO
Ho già detto che il mero fatto naturale della nascita, senza riconoscimento, non è di per
sé costitutiva del rapporto giuridico della filiazione; inoltre, la mancanza di matrimonio
esclude qualsiasi presunzione di paternità.
IL RICONOSCIMENTO
Rappresenta l’atto mediante il quale il genitore dichiara l’esistenza di un rapporto di
filiazione nata fuori dal matrimonio e determina l’attribuzione al figlio del relativo stato;
si tratta di un atto volontario e discrezionale del genitore, in cui la volontarietà è limitata
alla sola formazione dell’atto medesimo e non ai suoi effetti, che invece sono tipici e
sottratti alla disponibilità dei privati.
Condizione essenziale per il riconoscimento è che il figlio non abbia acquisito già lo
status di figlio nato in costanza di matrimonio, ovvero che non sia stato riconosciuto da
altri. In questi casi l’acquisizione dello status deve essere ottenuta attraverso il previo
disconoscimento di paternità o l’impugnazione del precedente riconoscimento.
COME E QUANDO PUO’ ESSERE FATTO: 254, I COMMA (INVARIATO A
PARTE LA SOSTITUZIONE DELLA PAROLA NATURALE CON “NATO FUORI
DAL MATRIMONIO”)
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250 ULTIMO COMMA: RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO DA PARTE DEL
GENITORE INFRASEDICENNE: PRIMA NO; ORA: AUTORIZZAZIONE DEL
GIUDICE
COMPETENZA: TRIB. ORDINARIO NO TRIB. MINORI;
GIURISPRUDENZA: TRIB. CATANZARO 5 MARZO 2013, IN IL CASO.IT:
COMPETENZA DEL GIUDICE TUTELARE, in quanto giudice specializzato su
questioni inerenti gli atti personalissimi di soggetti privi della piena capacità di agire (si
veda l’autorizzazione all’interruzione della gravidanza da parte della minorenne).
ASSENSI E CONSENSI
250, II COMMA, MODIFICATO: ora il riconoscimento può produrre effetto con il
consenso del figlio che ha compiuto 14 anni (non più 16)
Problemi complessi si pongono con riferimento all’incapacità: il tutore o
l’amministratore di sostegno possono prestare il consenso in vece dell’amministrato?
L’altro genitore del minore ultraquattordicenne ma incapace (visto che, ai sensi dell’art.
416 c.c. il minore può essere interdetto o sottoposto ad amministrazione di sostegno
solo nell’ultimo anno della sua minore età), può prestare il consenso al posto del
minore?
Se il figlio non ha ancora compiuto 14 anni il riconoscimento non può avvenire senza il
consenso dell’altro genitore che abbia provveduto al riconoscimento: III comma 250.
IV comma 250: il diritto potestativo al consenso del genitore che per primo abbia
esercitato il riconoscimento non è discrezionale: il dissenso deve essere finalizzato alla
tutela del minore e pertanto il giudice può emettere una pronuncia che tenga luogo del
consenso mancante: novella: più dettagliato procedimento di ascolto del minore.
GIURISPRUDENZA SUL DISSENSO
Si è ritenuto legittimo il diniego al consenso solo se e in quanto la condotta dell’altro
genitore sia tale che, se avesse già riconosciuto il figlio, sarebbe passibile di essere
destinatario di gravi e provvedimenti di decadenza o di limitazione della responsabilità
genitoriale.
Si tratta dunque di un giudizio prognostico di grande disvalore della capacità
genitoriale, con ripercussioni notevoli sull’equilibrio psicofisico del figlio; ciò nel
presupposto che, salvo ipotesi patologiche, sia comunque diritto del minore la bi
genitorialità (CASS. 3.2.2011 n° 2645).
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Sussiste quindi un generale favor nei confronti del secondo riconoscimento, ovvero una
sorta di presunzione legale di interesse del minore al secondo riconoscimento.
Mancato consenso: si deve adire il giudice: GIUR.: IN QUESTA SEDE OGNI
INDAGINE ATTINENTE ALLA VERIDICITA’ DEL RICONOSCIMENTO E’
INAMMISSIBILE, POTENDO SEMMAI FARSI VALERE NEL PROCEDIMENTO
EX ART. 263 (impugnazione del riconoscimento) (Trib. Milano 20.2.2011, in Gius,
2001, 2419).
IV COMMA 250: DISCIPLINA PIU’ ARTICOLATA; COMPETENZA TRIB ORD
(VEDI NUOVO ART 38 DISP ATT); IL GIUDICE, CON LA SENTENZA DI
ACCOGLIMENTO DEL RICORSO, ASSUME I PROVVEDIMENTI OPPORTUNI
SULL’AFFIDAMENTO E IL MANTENIMENTO DEL FIGLIO, OVVERO SUL SUO
COGNOME. LA DECISIONE DEL GIUDICE, IN QUANTO STRATTAMENTE
FUNZIONALE ALL’INTERESSE DEL MINORE, NON E’ VINCOLATA ALLE
DOMANDE DELLE PARTI E POTRA’ ESSERE ASSUNTA ANCHE IN
MANCANZA DI SPECIFICA DOMANDA SUL PUNTO.
IN PROPOSITO SI PUO’ PORRE UN PROBLEMA IN ORDINE ALL’EFFICACIA
DELLA SENTENZA CHE AUTORIZZA IL RICONOSCIMENTO E NEL
CONTEMPO PREVEDE PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI AFFIDAMENTO E
DI DETERMINAZIONE DEL MANTENIMENTO (MAGARI RICHIESTI
DALL’ALTRO GENITORE IN MANIERA PIUTTOSTO GRAVOSA E
STRINGENTE PER IL GENITORE CHE CHIEDE IL RICONOSCIMENTO): CHE
EFFICACIA HA SE IL GENITORE POI NON PROVVEDE AL
RICONOSCIMENTO. SI DOVREBBE CORRETTAMENTE RITENERE CHE
L’EFFICACIA SIA SOSPENSIVAMENTE CONDIZIONATA ALL’EFFETTIVO
RICONOSCIMENTO, CON LA CONSEGUENZA CHE, SE IL GENITORE CHE HA
CHIESTO IL CONSENSO AL RICONOSCIMENTO NON LO EFFETTUI (MAGARI
PERCHE’ NON SODDISFATTO DEI PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO), L’ALTRO GENITORE POTRA’ SOLO
ESPRIRE L’AZIONE DI DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITA’ (O
MATERNITA’) PER RICHIEDERE, INSIEME CON LO STATUS, IL
MANTENIMENTO DEL FIGLIO.
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LA FILIAZIONE INCESTUOSA
Si è già detto del 251: ora il riconoscimento può essere autorizzato dal giudice e
scompare la rilevanza degli stati soggettivi dei genitori al momento del concepimento.
La norma si è resa ancora più necessaria a seguito della sentenza della Corte
costituzionale 28.11.2002, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 278
c.c., nella parte in cui escludeva l’ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale
di paternità o maternità nei casi in cui non era ammesso il riconoscimento, ma non
aveva esteso gli effetti della decisione all’art. 251 c.c., cosicchè i figli incestuosi non
potevano essere di regola riconosciuti dai genitori, mentre il vincolo di filiazione poteva
essere dichiarato dal giudice.
La novella mantiene quindi la categoria dei figli incestuosi e subordina il
riconoscimento ad un provvedimento giudiziale che dovrà considerare un duplice
parametro: uno positivo (l’interesse del figlio all’instaurazione del rapporto di
genitorialità), l’altro negativo (l’insussistenza di pregiudizi per il minore, pregiudizi che
però dovrebbero essere in concreto e non legati alla conoscenza pubblica dell’origine
del minore).
Competenza: T.M. (art. 38 disp. Att. Come modificato con art. 96 d.lgvo 154/2013.
DISCIPLINA TRANSITORIA
L’ART. 104 D.LVO 154/2013 prevede che, fermi restando gli effetti del giudicato
formatosi prima dell’entrata in vigore della l. 219/2012, le nuove disposizioni del codice
civile sul riconoscimento dei figli si applicano anche ai figli, nati o concepiti prima della
suddetta entrata in vigore. In particolare la norma intende far riferimento alla modifica
dell’art. 251 c.c.
7. LE AZIONI DI STATO
236 novellato: prova della filiazione: atto di nascita o, in mancanza, possesso dello stato
di figlio.
Possesso di stato: 237 novellato (prima status di figlio legittimo, ora solo stato).
Prima della novella, la prova del possesso di stato si traeva da tre aspetti concorrenti:
nomen, tractatus, fama.
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Il nomen era il cognome del padre: ora questo non è più necessario, perché è venuto
meno l’automatismo del cognome.
Il tractatus consiste nell’essere sempre stato trattato come figlio e quindi, come tale,
mantenuto, educato e collocato. Il previgente testo del secondo comma dell’art. 237 c.c.
faceva riferimento solo ed esclusivamente al tractatus paterno; oggi invece si fa
riferimento al genitore, così estendendo la prova del possesso di stato nei confronti di
entrambi i genitori.
Quanto alla fama, l’esistenza del rapporto di filiazione presuppone anche la prova che la
persona sia sempre stata considerata come figlio nei rapporti sociali.
Il possesso di stato ha una funzione solo probatoria; se però si accompagna ad un valido
atto di nascita, esso assume funzione costituiva dello status, tanto è vero che non è
ammissibile reclamare uno status contrario, salvo specifiche eccezioni (128, 234, 239,
244).
RECLAMO DELLO STATO DI FIGLIO
Art. 239 c.c.: radicamente modificato, anche con riferimento alla rubrica,
Supposizione di parto: a un bambino viene attribuita come madreuna donna che non ha
partorito;
Sostituzione di neonato: viene attribuita la maternità a una donna che ha partorito un
altro figlio.
In entrambi i casi la madre effettiva è diversa da quella che risulta dall’atto di nascita.
II comma 239: legittimazione attiva (art. 249: spetta al figlio ed è imprescrittibile) e
passiva (249: entrambi i genitori; qui va però osservato che mentre prima la norma
riguardava la contestazione dello stato di figlio legittimo e quindi presupponeva il
coniugio dei genitori, ora la contestazione potrebbe riguardare anche un solo genitore,
cosicchè il confine con l’istituto della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità,
quanto meno sul piano processuale e probatorio, appare assai labile).
III comma. Esempio: la madre ha riconosciuto il figlio come nato da persona diversa dal
marito, acconsentendo al riconoscimento da parte di questi.
Prova: 241 (qualsiasi mezzo; prima: testimoni)
CONTESTAZIONE DELLO STATO DI FIGLIO
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ART. 240 C.C.: radicalmente modificato il precedente
L’art. 240 prevede che lo stato di figlio possa essere contestato nei casi di cui al primo
comma (supposizione di parto o sostituzione di neonato) e secondo comma del 239
(figlio nato nel matrimonio, ma iscritto come figlio di ignoti, fatta salva un’eventuale
sentenza di adozione).
Prima della riforma la norma prevedeva invece l’inammissibilità della contestazione
dello status di figlio legittimo, nato da due persone decedute, che avessero
pubblicamente convissuto come coniugi, pur mancando la prova della celebrazione del
matrimonio, quando vi fosse un conforme possesso di stato. Finalità della previsione era
quella di impedire che il figlio, dopo il decesso dei genitori, non potesse difendersi da
contestazioni sul suo status, per l’impossibilità di reperire l’atto di matrimonio.
La nuova formulazione chiarisce la demarcazione tra azione di contestazione di stato e
azione di disconoscimento della paternità: la prima si riferisce alla maternità, la seconda
alla paternità, in capo al marito della madre.
Legittimazione attiva: 248 (genitore che tale risulti dall’atto di nascita e a chi vi abbia
interesse: es: genitori “biologici”).
DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITA’ E MATERNITA’
269 Segg. (no modifiche di rilievo sostanziali, sì procedurali).
Prima il procedimento si strutturava in due fasi: quella dell’ammissibilità (274) e quella
di merito.
La fase di ammissibilità era finalizzata a far verificare dal giudice il fmus della
fondatezza della domanda.
La Corte Cost., con sentenza 20.7.1990 n° 341, ha dichiarato l’illegittimità del 274 nella
parte in cui non contemplava un necessario accertamento da parte del Giudice anche
sulla rispondenza dell’azione all’interesse del figlio; successivamente, con sentenza
10.2.2006 n° 50, la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità della norma perché poneva
limiti irragionevoli a diritti fondamentali attinenti allo status e alla realtà biologica.
In ogni caso le successive pronunce giurisprudenziali hanno ritenuto che la valutazione
della domanda con riferimento all’interesse del minore dovesse essere comunque fatta,
sia pur nella fase di merito; si veda Cass. 11.9.2012 n° 15158; cass.12.3.2012 n° 3935.
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La valutazione che deve essere dal Giudice attiene sempre all’interesse del minore ad
instaurare un rapporto giuridico con il minore (come per il 250).
269: può essere dichiarata in tutti i casi in cui è ammesso il riconoscimento.
270: imprescrittibilità
L’AZIONE NELL’INTERESSE DEL MINORE
273: può essere fatta dal genitore o dal tutore; consenso del figlio ultraquattordicenne.
Il consenso del minore rappresenta non presupposto processuale, bensì condizione
dell’azione, cosicchè è sufficiente che sia attestato al momento della decisione (Cass.
14.5.2005 n° 10131).
LEGITTIMAZIONE PASSIVA
276 novellato: nel caso di mancanza di eredi del presunto genitore defunto, la domanda
per la dichiarazione di paternità o maternità deve essere proposta nei confronti del
curatore nominato dal giudice, davanti al quale il giudizio deve essere promosso; quindi
non vi è alcuna legittimazione passiva in capo agli eredi degli eredi, i quali, al più,
potranno intervenire in giudizio, ove abbiano interesse, ai sensi dell’ultimo comma della
norma.
La previsione ricalca l’intervento delle sezioni unite della cassazione che, a fronte di un
contrasto sorto tra le sezioni semplici, avevano affermato l’improponibilità di una
domanda avanzata, in difetto di eredi del presunto padre, nei confronti degli eredi degli
eredi (Cass. S.U. 3.11.2005 n° 21287).
Tra i genitori non sussiste litisconsorzio necessario dal lato passivo; ne consegue che il
figlio, ove non sia stato riconosciuto da alcuno, potrà agire anche nei confronti di un
solo presunto genitore.
L’art. 278 c.c. prevede che l’azione, nel caso di figli incestuosi, debba essere autorizzata
dal giudice.
COMPETENZA: tutta la competenza passa al giudice ordinario, indipendentemente
dalla minore o maggiore età del figlio (art. 3 l. 219/2012).
RITO: secondo giur. maggioritaria: rito ordinario (Trib. Varese 22.3.2013, in Il Caso.it;
Trib. Milano 29.4.2013, ivi); prima, con il trib. Minori, rito camerale.
MEZZI DI PROVA: CTU genetica, elementi di prova ex art. 116 c.p.c. dal rifiuto di
sottoporsi a operazioni peritali.
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IMPOSSIBILITA’ DELLA DICHIARAZIONE GIUDIZIALE E RESPONSABILITA’
GENITORIALE
279 C.C.: NOVELLATO SOPRATTUTTO IN RIFERIMENTO ALLA
DEMARCAZIONE TRA MANTENIMENTO E ALIMENTI.
Quando si ha impossibilità alla proposizione? Nel caso di filiazione incestuosa per cui il
tribunale non abbia emesso l’autorizzazione di cui agli artt. 278 e 251 c.c., ovvero
quando il figlio abbia già uno status filiationis, anche se non corrispondente al vero.
Potrebbe anche verificarsi quando i figli già quattordicenni abbiano negato il consenso
oppure quando il figlio, per scelte insindacabili, abbia ritenuto di non instaurare il
giudizio per la dichiarazione giudiziale; in questa prospettiva quindi la norma varrebbe
ad individuare la tutela minima, che non può essere negata al figlio che per qualsiasi
ragione sia privo di status.
Ai sensi dell’art. 279 c.c. il giudice si dovrà quindi pronunciare sullo status solo
incidenter tantum, al fine di quantificare l’obbligazione pecuniaria a carico del genitore
per il mantenimento del figlio.
Se il figlio è maggiorenne ed in stato di bisogno potrà agire per ottenere gli alimenti,
sempre senza rivendicare lo status.
L’art. 36 del d.lgsvo 154/2013 ha quindi, novellando il primo comma dell’art. 279 c.c.,
espressamente subordinato la domanda di alimenti alla condizione che il diritto al
mantenimento, di cui all’art. 315bis c.c., sia venuto meno.
Va quindi distinto il diritto al mantenimento (ora previsto, per i maggiorenni, all’art.
337 septies c.c.) da quello agli alimenti; in pratica il figlio maggiorenne potrà chiedere
gli alimenti al presunto genitore quando l’altro genitore non sia più tenuto al
mantenimento (sulle condizioni per il mantenimento anche dopo la maggiore età, la
giurisprudenza si è orientata nel senso che il figlio non sia autonomamente sufficiente
non per sua colpa; il mantenimento consiste nel garantire un adeguato tenore di vita, e
l’ammontare è parametrato alle condizioni reddituali del genitore tenuto al
mantenimento; gli alimenti consistono invece nel consentire il soddisfacimento delle
primarie esigenze di vita a chi si trova in stato di bisogno.
La domanda de qua è subordinata all’autorizzazione del giudice ai sensi del 251 c.c.
La precedente formulazione richiamava il 274.
15
Come si vede si tratta di riferimenti del tutto diversi: il 274 rappresentava la fase di
ammissibilità della domanda volta alla dichiarazione giudiziale, poi espunta
dall’ordinamento a seguito della sentenza della Corte cost.; il 251 è norma in materia di
riconoscimento della filiazione incestuosa.
La nuova formulazione è sicuramente infelice, perché l’azione de qua ha un ambito di
applicazione ben più di ampio della filiazione incestuosa e il rinvio all’art. 251 c.c.
appare del tutto fuori luogo.
Competente per l’autorizzazione è il T.M. nel caso il figlio sia minore, il T.O. nel caso
di maggiorenne.
Per la fase di merito è sempre competente il T.O.
Rimane la legittimazione attiva del curatore, nell’interesse del figlio minore.
NORMA TRANSITORIA
L’art. 104, 7° comma, d.lvo 154/2013, prevede che, salvi fatti gli effetti del giudicato, le
nuove previsioni normative si applicano alle azioni di reclamo e di contestazione dello
stato di figlio, relative ai figli nati (senza riferimento a quelli concepiti) prima
dell’entrata in vigore del decreto legislativo (7.2.2014). La stessa regola, pur in difetto
di una specifica previsione, sarà da applicare anche all’azione di dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità, secondo il principio generale per cui gli istituti di
diritto sostanziale si applicano dal momento della loro entrata in vigore.
IL DISCONOSCIMENTO DI PATERNITA’
Nell’impostazione originaria l’azione di disconoscimento della paternità era finalizzata
a privare il figlio dello stato di figlio legittimo, che conseguiva al concepimento in
costanza di matrimonio tra i genitori.
PRESUPPOSTI NELLA PRECEDENTE DISCIPLINA
L’istituto si articolava nelle disposizioni di cui agli artt. 235 c.c., relativo ai presupposti
dell’azione, e 244 c.c., sul versante propriamente processuale; ora il d.lvo 154/2013 ha
abrogato l’art. 235 c.c. e ha disciplinato l’istituto negli art. 243bis e 244 c.c., in
attuazione della delega contenuta alla lett. d) del comma 1 dell’art. 2 l.219/12.
L’azione è finalizzata a far accertare che il padre non è il marito della madre, superando
così la presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c.
16
Prima della riforma l’azione era ammissibile solo in presenza dei presupposti di cui ai
nn. 1,2 e 3 dell’abrogato art. 235 c.c.: mancata coabitazione dei coniugi nel periodo
compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita; impotenza,
anche solo generandi, del marito nel periodo predetto; adulterio della moglie nello
stesso periodo , o celamento della gravidanza).
Tutte le fattispecie erano accomunate quindi dall’intrattenimento, da parte della madre,
di rapporti sessuali con un uomo differente dal marito nel periodo di presumibile
concepimento.
PROBLEMATICA DELL’IMPUGNAZIONE DI RICONOSCIMENTO A SEGUITO
DI FECONDAZIONE ETEROLOGA
La Corte Cost. (26.9.1998 n° 347, in Dir. Fam. 1999,11) ha dichiarato inammissibile
una questione di legittimità dell’art. 235 c.c., sollevata sul presupposto che la norma non
avrebbe escluso l’azione di disconoscimento nel caso in cui la coppia, di comune
accordo, avesse fatto ricorso alla fecondazione assistita di tipo eterologo, e il marito,
successivamente, avesse mutato atteggiamento rispetto all’iniziale scelta.
La Corte ha affermato che la fattispecie non poteva rientrare in quelle previste dall’art.
235 c.c., poiché difettava il presupposto dell’adulterio, non potendosi considerare tale il
concepimento, in considerazione dell’originaria comune volontà dei coniugi di
sottoporsi alle tecniche di fecondazione.
Siffatto orientamento era stato seguito dalla Corte di Cassazione (sent. 16.3.1999 n°
2315, in Fam. Dir., 1999, 3, 233), che aveva dichiarato inammissibile l’azione di
disconoscimento di paternità del figlio, nato da fecondazione eterologa, effettuata con
l’adesione del marito (la sentenza ha cassato la pronuncia di accoglimento dell’azione
da parte dei giudici di merito).
Siffatti principi giurisprudenziali sono stati recepiti dal legislatore nella l. 40/2004, con
cui si è disciplinata la materia della procreazione assistita.
La legge 40/2004 vieta la fecondazione eterologa, prevedendo tuttavia che, nel caso in
cui una coppia vi si sottoponga ugualmente (in Italia, nonostante le sanzioni previste per
i sanitari, ma anche all’estero, dove in molti paesi, anche europei, è legittima), non potrà
essere esperita l’azione di disconoscimento di paternità: l’impegno assunto da entrambi
i coniugi per un progetto di genitorialità, esclude che un ripensamento successivo possa
poi mettere in dubbio lo status di figlio, che diviene così intangibile.
17
ONERE DELLA PROVA NELLA PREGRESSA NORMATIVA
a) Nel caso di allegata impotentia generandi sarebbe stata sufficiente la prova di
siffatta circostanza,
b) Nel caso di dedotto adulterio della moglie, il n° 3 dell’art. 235 c.c. subordinava
l’accesso alle prove biologiche (DNA) alla dimostrazione della relazione
extraconiugale; si trattava di una prova assai ardua, tant’è che sul punto è
intervenuta la Corte Cost (6.7.2006 n° 266) che ha dichiarato proprio
l’illegittimità della norma nella parte in cui subordinava la prova del DNA alla
previa dimostrazione della relazione extraconiugale.
A seguito della sentenza della Corte Cost. era pertanto sufficiente che la domanda di
disconoscimento venisse supportata direttamente con una richiesta di CTU tecnica
sul DNA, anche sarebbe quantomeno necessario allegare il fumus della dedotta
relazione extraconiugale, al fine di evitare azioni pretestuose o strumentali.
LA RIFORMA
I presupposti di fatto precedentemente previsti nell’art. 235 c.c. sono ora inseriti
nella nuova formulazione dell’art. 244 c.c.
In materia di onere della prova, l’art. 243 bis, 2° comma, c.c., non prevede limiti alla
prova, anche se naturalmente la prova regina è in materia l’accertamento della
compatibilità del DNA tra figlio e marito della madre.
LEGITTIMAZIONE ATTIVA: art. 243bis c.c.: l’azione può essere esercitata solo
dal marito, dalla madre e dal figlio. Non può essere intrapresa dal padre biologico,
che non può neppure intervenire nel processo (Cass. 15.11.2001 n° 14315).
L’ultimo comma dell’art. 244 c.c. prevede che l’azione possa essere intrapresa da un
curatore speciale del figlio nominato dal giudice, su istanza anche dello stesso figlio
ultraquattordicenne, del P.M. o dell’altro genitore (si dovrebbe intendere il genitore
non chiamato in giudizio ai fini del disconoscimento).
ATTENZIONE: permane la distinzione tra legittimati attivi nell’azione di
disconoscimento e in quella di impugnazione del riconoscimento (quest’ultima ha
come presupposto che il figlio sia nato fuori dal matrimonio): nella prima sono
legittimati solo madre, marito e figlio; nella seconda anche da “chiunque vi abbia
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interesse” (permane quindi, con scelta discutibile, il favor verso la filiazione in
costanza di matrimonio).
Art. 246: l’azione può essere proposta anche i discendenti o ascendenti del padre e
della madre, se questi muoiano prima della scadenza dei termini di cui all’art. 244
c.c.; i termini per gli stessi sono sempre quelli previsti rispettivamente per la madre
e il padre, con decorrenza dalla loro morte o, se si tratta di figlio postumo, dalla
nascita di questi.
Può essere proposta anche dai discendenti o dal coniuge del figlio, se muore; nel
termine di un anno dalla morte o dal raggiungimento della maggiore età da parte di
ciascuno dei discendenti.
TERMINI PER IL PROPONIMENTO DELL’AZIONE: vedi art. 244 c.c.
I termini sono piuttosto rigidi ed è stato aggiunto anche un termine decadenziale
assoluto di 5 anni dal giorno della nascita (questa previsione potrebbe dar luogo a
problemi di costituzionalità per eccesso di delega rispetto alla l. 219/2012).
L’esigenza di mantenere rigidi termini di decadenza è da individuare nell’interesse
del figlio a conservare il proprio status e un’identità personale, che ha già acquisito,
tant’è che invece l’azione è imprescrittibile per il figlio, che può invece disporre del
suo status e in relazione al quale è da ritenere prevalente il favor veritatis rispetto al
favor legittimitatis.
Il quarto comma dell’art. 244 c.c. non estende la decadenza quinquennale
dell’azione al terzo comma (cioè al caso in cui il marito si trovi lontano dal luogo
della nascita al momento della stessa; in questo caso il termine di un anno decorre
dal giorno del ritorno del marito nel luogo di nascita o di residenza, salvo che non
provi che, neppure al momento del ritorno, non abbia avuto conoscenza della
nascita, nel qual caso il termine annuale decorre dalla conoscenza della nascita).
E’ STATO MODIFICATA LA DISCIPLINA DEI TERMINI PER IL FIGLIO: ora
può essere proposta senza limiti temporali (l’azione non ha decadenza, non si tratta
di imprescrittibilità, come erroneamente stabilisce l’art. 244 c.c.), mentre prima
poteva essere proposta entro un anno dalla maggiore età o dal momento in cui fosse
venuto a conoscenza di fatti incompatibili con la presunzione di paternità del marito
della madre.
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ART. 245: sospensione dei termini nel caso di interdizione o condizioni di abituale
grave infermità mentale; possibilità di proposizione dell’azione da parte di un
curatore speciale del minore interdetto o dal tutore o, in mancanza di questo, da un
curatore speciale del genitore interdetto.
LEGITTIMAZIONE PASSIVA (247)
C’è sempre litisconsorzio necessario tra padre, madre e figlio; si estende comunque
la legittimazione passiva ai soggetti che hanno legittimazione attiva.
Cass. 24.2.2005 n° 4090: ai fini della sospensione dei termini decadenziali, non ha
efficacia l’istanza per la nomina di un curatore speciale del figlio, dovendosi
ricollegare l’effetto sospensivo alla notifica dell’atto di citazione nel giudizio di
disconoscimento.
L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO
Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio può essere impugnato per
difetto di veridicità, per violenza o per incapacità derivante dall’interdizione
giudiziale.
Le due ultime fattispecie (impugnazione per violenza o per incapacità derivante
dall’interdizione giudiziale) ricorrono in concreto alquanto di rado e sono rimaste
immutate rispetto alla previgente disciplina (artt. 265 e 266 c.c.).
IMPUGNAZIONE PER DIFETTO DI VERIDICITA’(ART. 263 C.C.)
E’ finalizzata a dimostrare l’insussistenza del rapporto di filiazione biologica,
contrariamente a quanto dichiarato in sede di riconoscimento.
LEGITTIMAZIONE ATTIVA: come detto sopra, permane una evidente differenza
nella categoria dei legittimati attivi tra l’azione di disconoscimento e quella di
impugnazione del riconoscimento, dal momento che in quest’ultimo caso la
legittimazione è prevista anche in favore di chiunque vi abbia interesse; sul punto la
Corte Cost. (sent. 30.12.1987 n° 625; nello stesso Cass. 15.4.2005 n° 7924) aveva
ritenuto inammissibile la questione di costituzionalità sollevata, ritenendo che il
legislatore avesse correttamente disciplinato in maniera diversa due situazioni
differenti, inerendo l’una alla filiazione legittima, l’altra alla filiazione naturale.
20
Quest’interpretazione appare oggi poco attuale, alla luce dei principi ispiratori della
riforma.
Va peraltro dato conto dell’orientamento giurisprudenziale in materia di
legittimazione attiva all’azione di impugnazione del riconoscimento: sul punto la
giurisprudenza ha affermato che l’interesse sotteso all’azione può essere di natura
patrimoniale (ad esempio, in capo ai possibili concorrenti all’eredità dell’autore del
riconoscimento) o morale (interesse a estromettere dalla cerchia parentale un
soggetto privo di vincoli di sangue), mentre è sempre stato escluso il P.M., sul
presupposto che l’interesse sia di tipo privatistico.
Con riferimento ai termini, la previgente disciplina prevedeva che l’azione fosse
imprescrittibile (anche sul punto, chiamata a pronunciarsi con riferimento alla
evidente disparità di trattamento rispetto all’azione di disconoscimento, che
prevedeva termine decadenziali molto stringenti, la Corte Cost. ha dichiarato la
questione inammissibile, ritenendo che la diversità di disciplina fosse
legittimamente conseguente alla discrezionalità del legislatore: da ultimo, Corte
Cost. 6.5.2005 n° 134).
RIFORMA: l’azione è rimasta imprescrittibile solo per il figlio mentre gli altri
soggetti è stato previsto il termine di un anno dall’annotazione del riconoscimento
sull’atto di nascita (art. 263), analogamente a quanto previsto nell’art. 244 c.c. con
riferimento all’azione di disconoscimento.
PROBLEMATICA DEL RICONOSCIMENTO CHE SIA STATO EFFETTUATO
CON LA CONSAPEVOLEZZA DELLA SUA FALSITA’
Succede non di rado che un uomo riconosca come proprio un figlio, pur sapendo di
non essere il padre dello stesso; accade poi che con il passare l’autore del falso
riveda la sua posizione, per lo più in concomitanza con una crisi di coppia.
In più occasioni si è così assistito a procedimenti di impugnazione del
riconoscimento, promosso proprio dal genitore già inizialmente consapevole della
falsità del riconoscimento.
Sul punto la giurisprudenza ha in taluni casi dichiarato l’inammissibilità della
domanda, sul presupposto del prevalere del favor filiationis rispetto al favor
veritatis, soprattutto quando il rapporto tra padre e figlio si sia connotato da un
21
duraturo tractatus di figlio (si veda Trib. Roma 17.10.2012, in Foro It. 2012, 12, I,
3349; Trib. Napoli 11.4.2013, in Corr, mer. 2013, 6, 596; sentenza Trib. Palmi in
senso contrario ma in applicazione dello stesso principio).
Il legislatore non è intervenuto sul punto, ma avrebbe potuto escludere la legittimità
della domanda, in termini analoghi a quanto previsto nella l. 40/2004 a proposito
della fecondazione eterologa, per l’azione di impugnazione del riconoscimento.
In ogni caso questi riconoscimenti per compiacenza sono ora soggetti al termine
annuale di decadenza (e tutto sommato l’ammissibilità della domanda nel caso di
specie può essere ricondotta alla carenza di un favor filiationis da tutelare, visto il
ristretto lasso di tempo decorrente dal riconoscimento).
Anche per nell’art. 263 c.c. è previsto il termine quinquennale massimo di
decadenza (e le questioni interpretative sono analoghe a quelle che si pongono per
gli artt. 244 e 245 c.c.).
NOVELLA ART. 264 C.C.: viene abolita la legittimazione del maggiorenne
incapace, essendo rimasta la previsione solo del curatore speciale nominato dal
giudice nel caso di minorenne ultraquattordicenne.
Nel caso di figlio minore infraquattordicenne, l’azione potrebbe essere proposta dal
P.M., ovvero dall’altro genitore, che abbia già effettuato il riconoscimento.
L’art. 267 c.c. ricalca la disciplina sulla trasmissibilità dell’azione prevista dall’art.
246 c.c.; la novella sul punto si è resa necessaria a fronte dell’intervenuta
imprescrittibilità dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità, solo in riferimento al figlio.
ONERE DELLA PROVA: la giurisprudenza aveva inizialmente affermato che
l’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio avrebbe potuto
articolarsi con qualsiasi mezzo di prova, anche presuntivo (Cass. 5.11.1997 n°
10838).
Recentemente tuttavia Cass. 2009/10585 e Cass. 2013 n° 17095 richiede la prova
dell’assoluta impossibilità che l’autore del riconoscimento sia il padre biologico; ciò
pone problemi ove il convenuto si rifiuti di sottoporsi all’esame del DNA, dal
momento che, sulla base del più recente orientamento della Cassazione, ciò
porterebbe ex se al rigetto della domanda, non essendo sufficiente l’applicabilità
dell’art. 116 c.p.c. al rifiuto dell’autore del riconoscimento.
22
DISCIPLINA TRANSITORIA
IMPORTANTE: il settimo comma dell’art. 104 del d.lvo 154/2013 dispone che,
fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore della riforma, le
nuove disposizioni sul disconoscimento di paternità si applicano anche ai figli nati
prima dell’entrata in vigore del decreto.
Il nono comma dispone che i termini per l’impugnazione del riconoscimento del
figlio nato al di fuori del matrimonio, anche se annotato sull’atto di nascita prima
dell’entrata in vigore del d.lvo 154/2013, decorrono dall’entrata in vigore del
decreto stesso.
8. LA RESPONSABILITA’ GENITORIALE
L’art. 2 della l. 219/2012 ha attribuito al governo un’ampia delega, per realizzare,
tramite decreto legislativo, la completa equiparazione dello status filiationis (art. 2,
lett. h): la delega è relativa alla “unificazione delle disposizioni che disciplinano i
diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli
nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale, quale
aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale”.
Con la novella si passa quindi dalla centralità della nozione di potestà genitoriale
(che discende dalla patria potestas di tradizione romanistica) a quella della
responsabilità genitoriale.
Il concetto di potestà appariva oramai desueto nel nostro ordinamento, in quanto
richiama una situazione di supremazia di un individuo rispetto ad un altro.
Al contrario, con l’espressione responsabilità genitoriale si fa centrale riferimento al
munus, ossia all’obbligo che i genitori assumono in relazione alla crescita e
all’educazione dei figli, più che alla potestas.
Il termine responsabilità genitoriale trae fondamento dalla normativa comunitaria: in
particolare, il regolamento CE n° 2201/2003, all’art. 2 n° 7, definisce la
responsabilità genitoriale come “I diritti e i doveri di cui è investita una persona
fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo
23
in vigore riguardanti la persona o i beni del minore. Il termine comprende in
particolare il diritto di affidamento e il diritto di visita”.
Va osservato che se nella legge delega la “responsabilità genitoriale” era considerata
un aspetto dell’esercizio della potestà (cosicchè le due nozioni, in sede di delega,
apparivano destinate a coesistere, essendo la seconda più ampia della prima), nel
decreto delegato il legislatore ha invece sostituito completamente la responsabilità
alla potestà, operando quindi su un piano diverso rispetto alla delega.
La scelta si deve ritenere tuttavia condivisibile, anche in riferimento alla nozione di
responsabilità elaborata in sede comunitaria, come si è detto.
I DOVERI DEL FIGLIO: 315bis, IV c., c.c.
La rubrica del titolo IX del primo libro del codice, appena novellata con la l.
219/2012 (“Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio”, al posto della
previgente “Della potestà dei genitori”), è stata nuovamente novellata con il d.lvo
154/2013 (“della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri dei figli”), in
conseguenza della sostituzione della nozione di potestà a quella di responsabilità,
come si è detto.
Gli artt. 315 ss. c.c. hanno subito diverse modifiche.
Il vecchio art. 315 c.c.: (rispetto dei genitori e obbligo di contribuzione del figlio al
mantenimento della famiglia) è stato trasfuso nell’art. 315bis c.c., quarto comma.
Art. 324 c.c. novellato, in tema di usufrutto legale, specifica che i genitori lo hanno
sino alla maggiore età del figlio.
I DIRITTI DEL FIGLIO
Art. 315: “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.
E’ la norma-manifesto della novella.
Art. 315-bis c.c.: enuncia i diritti del figlio.
Il diritto al mantenimento, all’educazione, all’istruzione e all’assitenza morale da
parte dei genitori, prima previsto nell’art. 147 c.c., e quindi nell’ambito delle
disposizioni relative al matrimonio, ora è stato trasfuso nell’art. 315-bis c.c. e l’art.
147 c.c., con riferimento ai doveri dei coniugi, non fa che richiamare i generali
diritti del figlio, così come enunciati nell’art. 315-bis c.c.: in questo modo si attua
24
pienamente il precetto costituzionale di cui all’art. 30 Cost., I comma (“E’ dovere e
diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal
matrimonio”).
IMPORTANTE: Nel nuovo art. 147 c.c. è stato introdotto il dovere dei genitori
dell’assistenza morale verso i figli; la disposizione è importante perché si collega
all’art. 8 l. 184/1983, che prevede che siano dichiarati in stato di abbandono i minori
privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a
provvedervi.
Va poi notato che con la novella i genitori non devono più “tenere conto” delle
capacità, inclinazioni e aspirazioni dei figli, ma “rispettare” le stesse: è evidente il
diverso approccio del legislatore al figlio, tenuto conto del cambiamento dei modelli
educativi di riferimento.
VIOLAZIONE DELL’OBBLIGO DI ASSISTENZA MORALE E
RESPONSABILITA’ CIVILE
La dottrina e la giurisprudenza più recenti ammettono la configurabilità del c.d.
illecito endofamiliare, con applicabilità dell’art. 2043 c.c., quando la violazione dei
doveri connessi alla genitorialità provochi un danno ingiusto.
Sul punto si veda Cass. 7713/2000, in Danno e resp., 2000, 8-9, 835, che ha
affermato l’esistenza di un danno patrimoniale in re ipsa, meritevole di tutela
risarcitoria, a carico del figlio, allorquando il padre si sia totalmente disinteressato di
lui (si veda recentemente anche Cass. 20137/2013, Cass. 5652/2012).
L’attuale espressa previsione del diritto all’assistenza morale da parte del figlio
recepisce le istanze della dottrina e della giurisprudenza e pertanto apre scenari
ancor più ampi in prospettiva risarcitoria (in ogni caso la giurisprudenza è stata
accorta nell’enucleazione delle condotte fondanti il risarcimento; da ultimo Cass.
8862/2012 precisa che i comportamenti che possono fondare un risarcimento sono
solo quelli lesivi dei diritti inviolabili della persona.
RAPPORTI CON I PARENTI
Art. 315 bis , II comma, c.c.: il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di stabilire
rapporti significativi con i parenti.
Nel caso in cui venga leso il diritto del figlio ad avere rapporti con i parenti, se ciò
avviene nella fisiologia del rapporto tra la coppia genitoriale, si potrà eventualmente
25
applicare l’art. 333 c.c. (limitazione della potestà genitoriale, provvedimento di
competenza del T.M.); se ciò avviene dopo la crisi della coppia, dispone il 337ter
c.c. (si vedrà dopo).
ASCOLTO DEL MINORE
Art. 315bis, III comma, c.c.: RINVIO (ne parlerò in sede di provvedimenti in favore
del figlio in sede di crisi della coppia genitoriale).
ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITA’ GENITORIALE
Art. 316 I COMMA: ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITA’ GENITORIALE
E RESIDENZA ABITUALE DEL MINORE
Si passa dalla potestà genitoriale (che a sua volta sostituiva la patria potestà,
abrogata con la riforma del diritto di famiglia del 1975) alla responsabilità;
IMPORTANTE L’ULTIMO COMMA: “i genitori di comune accordo stabiliscono
la residenza abituale del minore”; l’innovazione è importante perché già l’art. 144
c.c. disponeva l’obbligo per i coniugi di fissare la residenza della famiglia, ma ora è
prevista la residenza del minore.
La nuova previsione prescinde quindi non solo dal matrimonio, ma anche da una
famiglia coesa, con la conseguenza che si applicherà anche quando i genitori non
abbiano contratto matrimonio, o siano separati o divorziati.
La disposizione viene confermata dal nuovo art. 337ter c.c., III comma, che,
confermando il disposto di cui al III comma dell’art. 155 c.c. previgente, prevede
che, in presenza di una crisi della coppia, la responsabilità genitoriale è esercitata da
entrambi genitori e che le questioni di maggior interesse, tra cui è espressamente
inserita anche la scelta della residenza abituale del minore, sono assunte di comune
accordo.
Art. 317bis c.c.: integralmente novellato.
La precedente formulazione dell’art. 317bis c.c. era stata introdotta con la riforma
del diritto di famiglia del 1975 e prevedeva che la potestà genitoriale, nel caso di
genitori non conviventi, spettasse al genitore con il quale il figlio conviveva, oppure,
se non conviveva con alcuno di essi, al genitore che per primo aveva effettuato il
riconoscimento.
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Si è discusso in dottrina e giurisprudenza sulla compatibilità di tale norma con la
formulazione dell’art. 155 c.c., II comma (ora trasfusa nell’art. 337-ter c.c.), così
come riscritto dalla legge 54/2006, che prevedeva l’affidamento condiviso, con il
correlato esercizio condiviso della potestà genitoriale, anche nell’ipotesi in cui il
minore fosse collocato presso uno dei genitori; infatti l’art. 4 della legge 54/2006
estendeva le norme ex novo introdotte sia ai giudizi di divorzio e di annullamento
del matrimonio, sia alle controversie tra genitori non coniugati, con una previsione
generalizzata, quindi, dell’affido condiviso in ogni situazione di crisi della coppia
genitoriale.
La prevalente dottrina e giurisprudenza escludeva che l’art. 317bis c.c. fosse stato
abrogato dalla l. 54/2006, nel senso che il T.M. (allora competente) poteva stabilire
l’affidamento condiviso se uno dei genitori lo avesse richiesto e se siffatta modalità
di affidamento non fosse stata pregiudizievole per il minore (in tal senso Cass.
8362/2007, in Fam., pers., succ., 2007, 6, 509); tuttavia qualche pronuncia più
recente ha concluso per l’aborgazione dell’art. 317bis (Cass. 10265/2011, in Corr.
Giur., 2012, 1, 91).
RIPARTO DI COMPETENZA TRA T.O. e T.M. NELLA PREVIGENTE
DISPOSIZIONE DI CUI ALL’ART. 317BIS: PRIMA E DOPO LA L. 54/2006.
Si riteneva che il T.M. fosse competente sull’affidamento e le modalità di esercizio
dello stesso, mentre il trib. ordinario dovesse conoscere i profili di carattere
patrimoniale, relativi alla quantificazione del contributo al mantenimento in favore
del genitore presso il quale il minore era collocato.
Ciò comportava una dilazione dei tempi del procedimento, anche se la Corte Cost.
aveva ritenuto infondata la questione di legittimità sollevata, per disparità di
trattamento dei figli, ritenendo che la disciplina della materia rientrasse nella
discrezionalità del legislatore.
Successivamente all’entrata in vigore della l. 54/2006, la Cassazione, investita dal
regolamento di competenza, aveva stabilito, con l’ordinanza 8362/2007, i criteri
distributivi della competenza: il T.M. sarebbe stato competente a conoscere i profili
sia personali che patrimoniali relativi all’affidamento dei figli nati fuori dal
matrimonio, mentre il T.O. avrebbe avuto la competenza (oltre che nei giudizi di
separazione e divorzio) sui soli profili patrimoniali relativi al rapporto tra genitori e
27
figli nati fuori dal matrimonio, quando non ci fossero questioni controverse
sull’affidamento (vis actrativa sulle questioni patrimoniali della competenza del
T.M. in ordine ai profili personali).
Nel caso di affidamento di figli nati fuori dal matrimonio si era ritenuto che il T.M.
dovesse considerare l’applicabilità della regola generale dell’affidamento condiviso,
residuando quello esclusivo nel caso di motivato grave pregiudizio per il figlio.
La riforma del 2012 modifica radicalmente la disciplina, sia sul versante sostanziale
che processuale, demandando tutta la competenza al T.O. (quindi anche per i figli
nati fuori dal matrimonio).
316 II COMMA: IL CONTRASTO SU QUESTIONI DI PARTICOLARE
IMPORTANZA
Il procedimento, introdotto con la riforma del 1975, ha avuto sempre una scarsa
applicazione, in quanto, nel caso di contrasti tra genitori su profili così importanti, la
questione è quasi sempre sfociata in giudizi di separazione, (nel caso di coppia
coniugata, giudizi nei quali è possibile anche il ricorso al rimedio speciale di cui
all’art. 317bis c.c.) o relativi all’affidamento dei figli (nel caso di coppia non
coniugata).
316 III COMMA: ASCOLTO DEL MINORE
316 IV COMMA: ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITA’ GENITORIALE
(ricalca il previgente 317bis)
RESPONSABILITA’ GENITORIALE E MANTENIMENTO DEI FIGLI:
316BIS
Mentre prima della novella il concorso al mantenimento dei figli era disciplinato
dall’art. 148 c.c., con riferimento quindi ai coniugi, ora il nuovo art. 148 c.c. si
limita a prevedere che i coniugi debbano adempiere all’obbligazione di cui all’art.
147 c.c. secondo quanto previsto dall’art. 316bis c.c.
Quindi anche con riferimento al mantenimento cessa di esistere una disciplina
specifica per i figli nati in costanza di matrimonio.
L’obbligazione degli ascendenti ha natura sussidiaria.
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Come si valuta l’inadempimento del genitore?
Secondo parte della giurisprudenza per inadempimento si deve intendere la
corresponsione da parte del genitore di una somma inferiore rispetto a quella
richiesta dall’interessato; altra parte ritiene invece che per inadempimento si debba
intendere l’assenza assoluta di corresponsione.
La procedura prevista dal 316bis è la stessa di quella già disciplinata dall’art. 148
c.c. previgente.
9. I PROCEDIMENTI IN MATERIA DI RESPONSABILITA’
GENITORIALE (330 SEGG. C.C.)
La novella ha apportato modifiche assai marginali alle disposizioni in parola, in
quanto negli artt. 330 e 332 c.c. si è sostituita la locuzione “responsabilità
genitoriale” a “potestà”, mentre gli artt. 333,334 e 335 c.c. sono rimasti immutati.
La decadenza comporta la sospensione di tutti i diritti verso il figlio (in primis,
quello di assumere decisioni per lui), nonché la cessazione dei poteri di
rappresentanza.
Se il comportamento del genitore non è così grave da portare alla decadenza dalla
responsabilità genitoriale, il Giudice potrà adottare i provvedimenti opportuni in
favore del minore, che presuppongono una limitazione della stessa (art. 333 c.c.;
esempio: affidamento del figlio ai servizi sociali o a terzi, prescrizioni varie,
collocamento temporaneo del minore in una casa – famiglia).
Nei provvedimenti che presuppongono la decadenza del genitore, il giudice può
anche disporre l’allontanamento dalla casa familiare del minore oppure del genitore
o del convivente che maltratta o abusa il figlio (art. 330, u.c., c.c.): la norma
concorre con quella di cui all’art. 342bis c.c. (ordini di protezione), introdotta dalla
l. 154/2001.
Art. 334 c.c.: mala gestio del patrimonio
Art. 335 c.c.: reintegra nella gestione.
Art. 336 c.c.: competenza T.M.: procedimento: legittimazione in capo all’altro
genitore, ai parenti del minore, al P.M. Non è prevista un’iniziativa d’ufficio del
T.M., se non nei casi urgenti, nel corso di procedimenti già aperti.
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COMPETENZA: l’art. 38 disp. att. c.c., come modificato dall’art. 3 l. 219/12,
prevede che la competenza per questi procedimenti permanga in capo al T.M.,
eccetto per i procedimenti ex art. 333 c.c., nei casi in cui, tra le stesse parti, penda
giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.: in questo
caso è del T.O.
La norma è quindi intervenuta per disciplinare un aspetto procedurale finora assai
controverso, che ha dato origine anche a numerosi interventi della Cassazione, in
sede di regolamento di competenza.
Accade infatti che, una volta iniziata la separazione tra i genitori, pendano
contemporaneamente due procedimenti: uno dinanzi al T.M., ex artt. 333 c.c.,
l’altro di separazione dinanzi al T.O., i cui confini appaiono spesso labili, essendo
l’istruttoria e le domande delle parti spesso coincidenti.
Può accadere infatti che il giudice della separazione e del divorzio, allorquando
assume provvedimenti in materia di affidamento dei figli, può non limitarsi a
decidere sull’affidamento, ma può anche emettere statuizioni che limitano
concretamente la potestà genitoriale (affidamento etero familiare, previsione di
incontri protetti con previsione di regimi di frequentazione rigidi).
Di fatto, quindi, nonostante l’astratta chiarezza della ripartizione delle competenze
in base alla causa petendi (richiesta di provvedimenti limitativi della potestà
genitoriale in un caso, regolamentazione dell’affidamento dei figli nell’altro), è
accaduto che il trib. ord. abbia emesso, nell’ambito di giudizi di separazione
divorzio, provvedimenti di fatto riconducibili all’art. 333 c.c.
La Cassazione del resto ha ribadito la facoltà per il trib. ord. di emettere
provvedimenti di limitazione della potestà, affermando che la competenza è del
T.M. nei casi di richieste finalizzata ad una vera e propria declaratoria di decadenza
(Cass. 3529/2004, in Fam. e dir. 2005, 1, 102; da ultimo, Cass. 20352/2011, in Foro
It., 2013, I, 333).
La novella recepisce quindi questi orientamenti, ma andando oltre, eliminando cioè,
nei casi di procedimenti ex art. 333 c.c durante la pendenza di un giudizio di
separazione, la competenza del T.M.
PROBLEMI:
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a) Cosa accade in punto di competenza nel caso in cui il giudizio dinanzi al T.M.
sia stato incardinato prima del giudizio di separazione?
b) La vis actractiva del Trib. Ord. Vale vale anche se il giudizio dinanzi al T.O. è in
grado di appello? Dovrebbe darsi risposta positiva, sempre che in grado di
appello sia pervenuta anche la domanda relativa all’affidamento dei figli (si
pensi all’ipotesi di sentenza non definitiva sullo status poi appellata, o di
appello su questioni meramente patrimoniali). Si potrebbe obiettare che in
questo caso verrebbe meno un grado di giudizio, ma in realtà la questione non
appare decisiva, trattandosi sempre di provvedimenti rebus sic stanti bus (come
avviene per i reclami in corte d’appello avverso i provvedimenti ex artt. 330 e
333 c.c. emessi dal T.M.: si possono in questa sede far valere motivi
sopravvenuti),
c) Il nuovo art. 38 disp. att. Si dovrebbe applicare anche all’ipotesi in cui siano
pendenti dinanzi al T.O. procedimenti di modifica delle condizioni di
separazione o divorzio, ex art. 710 c.p.c. o 9 l. 898/1970.
d) Dal momento che la norma fa riferimento al giudizio pendente “tra le stesse
parti” e considerato che, mentre nei giudizi di separazione e divorzio, le parti
sono solo i coniugi (dal momento che i figli maggiorenni possono solo
intervenire a tutela del diritto al mantenimento, così come pure possono fare gli
ascendenti; interveniente è anche il P.M.), ai sensi dell’art. 336 c.c. sono invece
legittimati attivi, oltre ai genitori, anche i parenti e il P.M., la vis actractiva si
applica anche nel caso di giudizio ex art. 336 c.c. promosso, ad es., dai nonni o
dal P.M.? Due soluzioni: una restrittiva e negativa, legata all’interpretazione
letterale; una più ampia e sistematica, in senso affermativo. In giurisprudenza,
recentemente, in senso negativo, Trib. Milano 7.5.2013, in Il caso.it, 2013, che
ha escluso la via actractiva in caso di ricorso de potestate proposto dai nonni.
e) Non è chiaro l’ultimo inciso del primo comma dell’art. 38 disp.att. , ove prevede
che “in tali ipotesi per tutta la durata del processo, la competenza anche per i
provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo
spetta al giudice ordinario”, perché la norma sembra estendere la competenza
del tribunale ordinario anche ai procedimenti di decadenza, ex art. 330 c.c., in
pendenza di giudizio di separazione o divorzio.
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DAL MOMENTO CHE ORA IL TRIBUNALE ORDINARIO E’
COMPETENTE ANCHE PER LE DOMANDE RIGUARDANTI
L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO, OVE
VENGA PROPOSTO UN GIUDIZIO EX ART. 336 C.C. AL TRIBUNALE PER
I MINORENNI QUANDO SIA GIA’ PENDENTE UN PROCEDIMENTO DI
AFFIDAMENTO DI FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO, LA
COMPETENZA PASSERA’ AL TRIB. ORDINARIO (L’ART. 38 DISP. ATT.
NON LO PREVEDE ESPRESSAMENTE MA SI RICAVA DAL FATTO CHE
LA DISCIPLINA RELATIVA ALL’AFFIDAMENTO DEI FIGLI E’ ORA
UNIFORME, INDIPENDENTEMENTE DAL RAPPORTO DI CONIUGIO DEI
GENITORI: V. ART. 337BIS C.C.)
IN PRATICA AL TRIB. PER I MINORENNI RIMANGONO COMPETENZE
DEL TUTTO RESIDUALI, A PARTE I PROCEDIMENTI DI ADOZIONE, E
CIOE’:
- PROCEDIMENTI DE POTESTATE FUORI DALLE IPOTESI SOPRA
DESCRITTE (DI RARA CONFIGURAZIONE PRATICA);
- AUTORIZZAZIONE ALLE NOZZE DEL MINORE (84 C.C.);
- NOMINA DI UN CURATORE SPECIALE PER L’ASSISTENZA DEL
MINORE NELLA STIPULA DI CONVENZIONI MATRIMONIALI (90 C.C.);
- INTERDIZIONE E INABILITAZIONE DEL SOGGETTO NELL’ULTIMO
ANNO DI MINORE ETA’
RITO DEI PROCEDIMENTI DE POTESTATE DINANZI AL TRIB. ORD.
Dovrebbe essere camerale: art. 38, terzo comma, disp. att.: “il tribunale competente
provvede in ogni caso in camera di consiglio”. Tuttavia, quid iuris, nel caso di
domanda proposta dinanzi al G.I. in sede di giudizio di separazione e/o divorzio? Si
dovrebbe ritenere che il Giudice debba istruire la domanda in un sub-procedimento
camerale, inserito nel procedimento principale, ma a decidere dovrebbe essere il
tribunale in composizione collegiale (Se decide prima della definizione del giudizio
principale, lo fa con ordinanza o con sentenza non definitiva?).
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Se invece si ritiene che la domanda ex art. 333 c.c. debba essere instaurata
autonomamente, il procedimento verrà trattato dal Collegio in sede camerale, e il
provvedimento finale avrà la forma del decreto, reclamabile ex art. 739 c.p.c.
EFFETTI SOSTANZIALI DELLA DECADENZA DALLA
RESPONSABILITA’ GENITORIALE
Art. 448 bis cc. (introdotto ex novo dalla riforma): il genitore decaduto non ha più
diritto agli alimenti: novità di diritto sostanziale della riforma, di carattere
sanzionatorio, coerente con la ritenuta natura di munus della responsabilità
genitoriale