La prosocialità tra didattica inclusiva e attività ludiche nella scuola … · 2020. 8. 10. ·...
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Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
DIPARTIMENTO DI EDUCAZIONE E SCIENZE UMANE
Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in
Scienze della Formazione Primaria
A. A. 2018/2019
La prosocialità tra didattica inclusiva e attività
ludiche nella scuola dell’infanzia:
studi e indicazioni didattiche
Relatore: Prof.ssa Maja Antonietti
Correlatrice: Elisabetta Roberti
Laureanda: Rosa Gioffrè
Indice
Introduzione...........................................................................................................5
Capitolo I La prosocialità: lo stato dell'arte........................................................7
1.1 Il sostantivo “prosocialità” e l’aggettivo “prosociale”..................................7
1.2 Lo stato dell'arte: lo studio della prosocialità dalle origini ai nostri giorni...8
1.3 Gli studi sulla prosocialità di Robert Roche Olivar....................................12
1.4 Un nuovo sguardo bibliografico: le ricerche sulla prosocialità attraverso la
banca dati ERIC................................................................................................15
Capitolo II Prosocialità tra gli Orientamenti del '91 e le Indicazioni
Nazionali del 2012 e 2018....................................................................................19
2.1 Gli Orientamenti del '91 e i campi d'esperienza..........................................19
2.2 Il campo di esperienza “Il sé e l'altro” e una prosocialità “in nuce”..........22
2.3 La prosocialità tra “Le Indicazioni Nazionali del 2012 e i “Nuovi scenari”
del 2018”...........................................................................................................24
Capitolo III Integrazione e prosocialità.............................................................27
3.1 L’inclusione favorisce la prosocialità..........................................................27
3.2 La prosocialità sostiene l’inclusività della scuola?.....................................31
3.3 Le abilità prosociali non sono innate...........................................................33
Capitolo IV Il gioco prosociale............................................................................35
4.1 L'importanza educativa del gioco................................................................35
4.2 I giochi prosociali........................................................................................39
4.3 Quando il gioco prosociale favorisce l'integrazione dei bambini con bisogni
educativi speciali...............................................................................................40
Capitolo V La mia esperienza di Tirocinio. Breve presentazione del contesto.
................................................................................................................................43
5.1 Il progetto....................................................................................................44
3
5.2 Alcune indicazioni didattiche......................................................................46
5.3 Interventi diretti in sezione..........................................................................48
5.4 Un bilancio dell’esperienza di tirocinio......................................................52
Conclusioni...........................................................................................................55
Bibliografia...........................................................................................................57
Sitografia...............................................................................................................61
Appendice.............................................................................................................63
Appendice bibliografica.......................................................................................71
Appendice relazione finale di tirocinio...............................................................89
4
Introduzione
5
Il seguente lavoro nasce dalla curiosità di approfondire le tematiche inerenti la
prosocialità. L'interesse verso questo campo di studi è nato durante il mio
percorso universitario e con precisione nella fase di preparazione dell'esame di
“Didattica e pedagogia speciale”. Prendendo spunto dal testo di Lucio Cottini,
“Didattica speciale e integrazione scolastica”, mi sono chiesta con sempre più
insistenza se e come si possa educare i bambini a sviluppare comportamenti
positivi, forieri di un'educazione “alla gentilezza” e di una maturità emotiva
indispensabile per ridurre i livelli di competitività e ansia che spesso
caratterizzano l'agire umano. Procedendo poi con l'approfondimento delle
tematiche sulla prosocialità, mi sono resa conto che dietro a questo termine,
spesso sconosciuto, si viene introdotti in un territorio di vastissime dimensioni,
che ho in qualche modo cercato di configurare in questa tesi seguendo rotte che di
seguito mi propongo di definire.
Nello specifico, il seguente lavoro si prefigge di approfondire il rapporto tra i
comportamenti prosociali in ambito educativo e le dinamiche della scuola
dell’infanzia con una particolare attenzione alla didattica inclusiva.
Nel primo capitolo viene illustrato lo stato dell'arte degli studi sulla prosocialità.
In particolare si evidenziano le principali piste investigative sull'argomento, dalle
origini ai giorni nostri, e presentati i più illustri studiosi di prosocialità, primo su
tutti Robert Roche Olivar, cattedratico dell'Università Autonoma di Barcellona.
Il secondo capitolo vuole essere una rilettura degli Orientamenti del 1991 per la
scuola dell'infanzia, delle Istituzioni Nazionali del 2012 e delle Nuove Indicazioni
del 2018 attraverso la lente di ingrandimento del concetto di prosocialità, per
verificare se i decreti ministeriali hanno in qualche modo accolto le tematiche
prosociali e, se sì, con quale intensità.
Il terzo capitolo mette in relazione la prosocialità con la didattica inclusiva,
chiedendosi se il loro rapporto si possa considerare bidirezionale. Ovvero se da un
lato l’inclusione favorisce la prosocialità, possiamo affermare anche che stimolare
la prosocialità favorisce una reale inclusione dei ragazzi con disabilità?
Il quarto capitolo vuole essere una riflessione sul tema del gioco prosociale,
declinato sotto il profilo della didattica inclusiva: in un’elaborazione personale,
risultato degli studi e dell’esperienza, questo tipo di gioco viene proposto come
metodologia in grado di favorire l'integrazione scolastica.
Il presente lavoro si conclude con il racconto di un'esperienza maturata sul campo:
durante il periodo di tirocinio formativo del IV anno di studi in Scienze della
Formazione Primaria, ho proposto ai bambini di 5 anni di una scuola comunale di
un paese della Val d'Enza un gioco prosociale, che si è rivelato un incentivo
positivo all’integrazione scolastica, come si è cercato di dimostrare in questo
lavoro.
Capitolo I
La prosocialità: lo stato dell'arte
Questo capitolo si propone di definire il concetto di prosocialità e di dar conto
degli studi sulla stessa utilizzando bibliografia tradizionale e bibliografia
aggiornata tratta dalla banca dati ERIC.
1.1 Il sostantivo “prosocialità” e l’aggettivo “prosociale”
Definire in un unico concetto cosa sia la prosocialità è un'operazione
estremamente difficile, perché sino ad oggi, malgrado gli studi sull’argomento
siano numerosi e diversificati per ambiti e focus, manca un'unica definizione che
riesca a mettere d'accordo gli esperti.
Se si tenta di realizzare una ricerca generale caricando sull'enciclopedia on-line
Treccani la parola “prosocialità”, non si ottiene nessun risultato mirato e si viene
rimandati al concetto di “volontariato”. Nel dizionario Treccani è presente
l'aggettivo prosociale, “che è a favore della società”, ma anche in questo caso
l'espressione non restituisce il senso di una parola molto più complessa e ricca di
significati.
1.2 Lo stato dell'arte: lo studio della prosocialità dalle origini ai nostri
giorni
Gli studi sulla prosocialità ebbero inizio, dal punto di vista temporale, negli anni
'50. Con l’impiego di giochi di coordinazione e di situazioni sperimentali, diversi
studiosi esplorarono i moventi della cooperazione e della competizione visti come
temi cruciali per lo studio delle interazioni e per l’analisi di un’ampia gamma di
processi cognitivo-decisionali-individuali, non del tutto focalizzati dalle ricerche
di matrice comportamentista1.
Prima di arrivare a studiare i comportamenti positivi, l’interesse degli scienziati
era incentrato soprattutto sullo studio dell’aggressività e delle possibili strategie
volte a ridurla o limitarne gli effetti negativi, perché questa era l’emergenza
sociale che andava affrontata2. La logica seguita era molto simile all’istinto di un
poliziotto che incontra un uomo intento a picchiare rabbiosamente qualcuno:
prima si blocca l’emergenza e, successivamente, si può pensare a dialogare per
capire cos’è successo, limitando così i danni.
L’interesse per la ricerca sull’aggressività raggiunse il suo culmine attorno agli
anni Sessanta. Prima che si trasformasse in studio dei comportamenti sociali
positivi – diremmo oggi prosociali – dovettero accadere due fatti che sconvolsero
l’opinione pubblica americana, stimolando domande alle quali erano necessarie
risposte scientifiche.
1 Cosimo Varriale, Sentimento sociale e approccio cognitivista alla prosocialità: una
lettura integrata dei contributi di ricerca, Riv. Psicol. Indiv., 2001, n. 49, pp. 47-63.
2 Mussen P., Eisenberg N., Le origini delle capacità di interessarsi, dividere ed aiutare.
Lo sviluppo del comportamento prosociale nel bambino, Bulzoni editore, Roma 1985.
Nel marzo del 1964 Il New York Times riporta l’assurda storia di Kitty Genovese
che, davanti agli occhi di 38 testimoni, fu aggredita ed uccisa a coltellate nel
parcheggio sottostante casa sua, senza che nessuno le prestasse alcun tipo di
soccorso. Per ben due volte l’assalitore si allontanò da Kitty temendo che le sue
urla facessero intervenire gli spettatori appostati alle finestre e, non vedendo
nessuna reazione del vicinato, ritornò a più riprese per straziare la sua vittima. La
prima telefonata fu fatta alla polizia da un anonimo dopo oltre 30 minuti. Quando
giunsero i soccorsi era ormai troppo tardi, perché Kitty era morta. Ci si chiese
allora perché nessuno fosse intervenuto e perché, nonostante la protezione offerta
dalle mura domestiche, tutti i testimoni esitarono nel chiamare la polizia
tempestivamente.
Le interpretazioni del periodo spiegarono il non intervento in termini di “sindrome
da disastro”, “apatia”, “soddisfazione degli impulsi sadici”, “indifferenza” ed
altro. Il non-intervento nei confronti di chi ha bisogno di aiuto è un problema che
riguarda tutte le culture occidentali. Gli psicologi Latané e Darley, mostrandosi
particolarmente sensibili a questo problema e non convinti dalle motivazioni
offerte dagli altri esperti, eseguirono una serie di esperimenti per giustificare il
processo di scelta individuale che conduce ad emettere un atto di aiuto o, al
contrario, a non intervenire3. Dal lavoro di questi ultimi autori, prese avvio la
ricerca empirica sull’aiuto e sull’altruismo.
Nel luglio del 1971, in maniera diametralmente opposta, invece, prese avvio il
programma “Action”, una sorta di volontariato civile4. L’ampia e inaspettata
adesione dei cittadini al programma fece sì che alcuni ricercatori cercassero di far
3 Latané B, Darley J. M., The unresponsive bystander: why doesn’t help?, Englewood Cliffs,
New Jersey, Prentice-Hall, Inc., 1970.
4 L'Agenzia Action è la fusione tra VISTA (Volunteers in Service to America), Peace Corps
(Organizzazione di Volontariato Internazionale) e il programma Senior Service. Cfr.
https://it.wikipedia.org/wiki/ AmeriCorps _VISTA
luce sul perché le persone siano disponibili a svolgere servizi di aiuto gratuito agli
altri. Il programma “Action” costituì un’occasione naturale di studio per molti
autori e, in tal modo, contribuì ad un rapido sviluppo della ricerca sui
comportamenti prosociali5.
Nel primo caso la mancanza di controllo sociale aveva in un certo modo
“legittimato” l’aggressore, mentre nel secondo era evidente una tendenza insita
nell’essere umano all’aiuto gratuito nei confronti dell’altro. L’avvento di questi
due episodi, indice di atteggiamenti diametralmente opposti, spostò l’interesse di
studio degli scienziati dalla ricerca sui rimedi per limitare e ridurre l’aggressività a
quella in grado di potenziare i comportamenti prosociali.
In un primo periodo, lo studio dei comportamenti prosociali è stato approfondito
soprattutto negli Stati Uniti. A cavallo degli anni Ottanta il tema è diventato di
importanza internazionale: in Polonia è stato trattato soprattutto per le sue
componenti altruistiche; in Germania, in Inghilterra e in Canada, particolarmente
analizzato per gli aspetti più teorici. In Italia, invece, lo studio sui comportamenti
prosociali è stato avviato verso la metà degli anni Ottanta, grazie ad una equipe di
psicologhe dell’università di Napoli6.
Attualmente, l’interesse verso tale ambito di ricerca è talmente grande che, in
campo nazionale ed internazionale, ogni anno vengono pubblicate centinaia di
ricerche in merito all’argomento. Tuttavia, a livello di cultura di massa, il concetto
di prosocialità stenta ancora a diffondersi, almeno in Italia. Fino al 2006, infatti, il
comportamento prosociale veniva completamente ignorato dai dizionari con una
buona reputazione sia per il sostantivo di “prosocialità” che per l’aggettivo di
“prosociale”) e ancora oggi la definizione non appare condivisa ed esaustiva.
5 Asprea A. M. e Villone Betocchi G., Studi e ricerche sul comportamento prosociale, Liguori
Editore, Napoli 1993.
6 Cattarinussi B., Altruismo e società. Aspetti e problemi del comportamento prosociale, Franco
Angeli, Milano 1991.
1.3 Gli studi sulla prosocialità di Robert Roche Olivar
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso il campione degli studi sulla
prosocialità nel Vecchio Continente diventa Robet Roche Olivar, professore
dell'Università Autonoma di Barcellona. Mosso dalla curiosità di comprendere lo
sviluppo dei comportamenti positivi, Roche, insieme ad una equipe di ricercatori,
si impegna in un progetto di ricerca che ha come obiettivi quelli di accompagnare
e risolvere le tendenze aggressive e di introdurre una nuova terminologia attorno
al macrotema della prosocialità. Lo studioso spagnolo è il primo ad introdurre
nelle lingue spagnola, italiana e slovacca il concetto di “ottimizzazione e
diffusione della prosocialità”7.
A Roche si deve la definizione di prosocialità maggiormente specifica e condivisa
da più parti. Così l’autore categorizza i comportamenti prosociali:
[Sono quei comportamenti che ndr] senza la ricerca di ricompense esterne,
favoriscono altre persone, gruppi o fini sociali e aumentano la probabilità di
generare una reciprocità positiva, di qualità, solidale nelle relazioni interpersonali
o sociali conseguenti, salvaguardando l’identità, la creatività e le iniziative degli
individui o gruppi implicati, sia che essi offrano o ricevano aiuto8.
Il merito di Roche è quello di avere dato una svolta agli studi sulla prosocialità
attraverso un programma di azione internazionale9, sostenuto da un solido
7 Dal blog dell'autore: https://robertroche.blog/
8 Robert Roche Olivar, L'intelligenza prosociale. Imparare a comprendere e comunicare i
sentimenti e le emozioni, Erickson, Trento 2002, pag. 24.
9 Roche ha insegnato in più di cento corsi, seminari e workshop internazionali. Direttore del
team LIPA (Laboratory of Applied Prosocial Reserch) dell'UAB, è impegnato in circa 15
impianto teorico10, descritto in 15 libri – tra cui spicca “L'intelligenza
prosociale”11 compendio delle sue ricerche – e decine di articoli.
I numerosi contributi firmati dallo studioso dell'Università catalana si
caratterizzano in quanto combinano il tema della prosocialità ad altre tematiche
come, ad esempio, all'uso corretto dei mezzi di comunicazione di massa,
progetti europei, tra cui recentemente: il progetto MOST (Motivation to study: che cerca di
affrontare il fallimento scolastico e l'abbandono assumendo la scuola come un laboratorio di
cambiamento prosociale); CAMBIA (introducendo un modello di comunicazione di qualità
prosociale come contributo al miglioramento dell'assistenza sanitaria negli anziani); TRAIN
TO CHANGE (per una certa prosocializzazione della responsabilità sociale organizzativa nelle
aziende turistiche); PRIMAVERA (per affrontare la disuguaglianza tra le popolazioni di classe
economicamente alta e quelle medio-basse, coinvolgendo spazi prosociali nei circuiti
aziendali). Cfr. https://robertroche.blog/
10 Roche, La condotta prosociale. Basi teoriche e metodologiche d'intervento, in Quaderni di
Terapia del comportamento, Bulzoni editore, 1997, pp. 15-37.
11 La tesi sostenuta dall'autore spagnolo è che il rafforzamento delle abilità di comunicazione e
cooperazione, accanto a una forte attenzione rivolta ai sentimenti e alle emozioni proprie e
altrui, può contribuire a migliorare l'intelligenza delle persone e a creare così una società
migliore. Nel libro è presenta un ricco programma di attività rivolto agli alunni della scuola
secondaria di primo grado e degli istituti di secondo ciclo scolastico. Le proposte del volume,
improntate alla riscoperta di valori familiari e sociali, sono strutturate su tre livelli distinti -
sensibilizzazione cognitiva, esercitazione di abilità sociali, applicazione alla vita reale – per
fornire un intervento educativo organico e duraturo, e sono collegate a una o più discipline
curricolari: lingua, matematica, scienze, ecc. In questo modo, è possibile anche applicare in
classe un progetto di interdisciplinarietà, che consenta ai ragazzi di rafforzare l'assertività, la
creatività e l'iniziativa personale. Roche, L'intelligenza prosociale, cit.
televisione in primis 12, alle tematiche dell'integrazione13 e della didattica
inclusica14 .
Il panorama di studi sulla prosocialità grazie alle ricerche di Roche si è
notevolmente ampliato, dando ai ricercatori nuove idee e stimoli per intraprendere
inedite piste investigative.
12 Roche, El uso educativo de la television come optimizadora de la prosocialidad, Intervencion
Psicosocial, Vol. 7, n. 3, pp. 363-367.
13 Roche, L'insegnante di qualità: la prospettiva prosociale, in Ricci C., Handicap e scuola: dal
sostegno all'allievo al sostegno alla classe, Roma, Erickson, 1996, pp. 41-50. Ricci C., Roche
R., Prefazione in Coppa M., De Santis R., Il bambino ipovedente, Roma, Armando Editore,
1998, El uso educativo de la television come optimizadora de la Intervencion Psicosocial, Vol.
7, n. 3, pp. 363-377.
14 Roche e Pilar Escotorin Soza, Comunicazione prosociale in famiglie e figli con disabilità, in
Italian Journal of Special Education for Inclusion, anno II, n° 1, 2014, pp. 13-21.
1.4 Un nuovo sguardo bibliografico: le ricerche sulla prosocialità
attraverso la banca dati ERIC
ERIC è una banca dati bibliografica sulle scienze della formazione e
dell'educazione. Questo database fornisce l'accesso a riviste incluse nel “Current
Index of Journals in Education and Resources in Education”, che contiene più di
un milione di documenti a partire dal 1966.
Se vogliamo effettuare una ricerca attraverso il database ERIC sulla prosocialità
come prima operazione dobbiamo utilizzare il corrispondente sostantivo inglese:
prosociality.
Una volta inserita la parola chiave, è possibile accedere a 65 riferimenti, tutti
relativi ad articoli di giornale. Le ricerche in questione fanno riferimento al
concetto di prosocialità in senso lato e hanno come caratteristiche peculiari
l'attualità (sono presenti solo due contributi degli anni Ottanta) e l'eterogeneità dei
contenuti e della provenienza geografica dei ricercatori (Indonesia, Italia, Spagna,
Canada, Francia, Egitto, Cina...).
Per fornire una prima categorizzazione degli articoli, il criterio di partenza è per
fasce di etá.
Il 18,4% degli articoli parlano di bambini dai 0 ai 3 anni15: lo sviluppo del
comportamento prosociale inizia, infatti, nei primi anni di vita e continua sino
all'età adulta ed è influenzato da tanti fattori che ne modellano la forma, la
direzione e l'ampiezza. I segnali di attenzione che il neonato emette nei confronti
degli altri, sono presenti sin dai primi mesi di vita. In questa fase emerge una
forma primitiva di prosocialità che si manifesta in modo generalizzato, sottoforma
di rudimentali tentativi di consolazione dell’altro come, ad esempio, l'offerta di
15 Cfr. Tabella A in Appendice bibliografica
cibo. Questa tendenza spinge il bambino a comunicare con gli altri e ad
interessarsi alle attività delle persone che si trovano nel suo ambiente.
Il 26,1% delle ricerche tratta le tematiche inerenti l'infanzia dai 3 ai 5 anni16: è
proprio in questo periodo che inizia a svilupparsi l'avvicinamento alla prospettiva
degli altri, e la capacità di ricezione dei loro bisogni, a seguito dell'assimilazione
di nuove esperienze e situazioni, capacità che aumenta in funzione dell'età del
bambino, grazie all'acquisizione del concetto di “altro”.
Il 13,8% degli articoli propone un approfondimento degli anni della scuola
dell'obbligo dai 6 agli 11 anni17: secondo alcuni autori, in questa fase, la decisione
di prestare aiuto scaturisce dall'obbedienza alle figure autoritarie – le maestre, ad
esempio – e viene regolata dal timore di ricevere una punizione.
Il 30,7% dei contributi investiga il periodo dell'adolescenza dai 12 ai 1818: questa
stagione della vita è estremamente delicata da esaminare perché il repertorio
cognitivo dei soggetti sotto esame è notevolmente ampliato così come l'aspetto
comportamentale.
L’1,5% dei saggi dà uno sguardo agli anni oltre i 1819. Lo scarso interesse verso
la fase post-adolescenziale è probabilmente segno dell'incapacità di studiare i
comportamenti prosociali tra e negli adulti.
Un'altra tematica che i ricercatori hanno investigato è quella relativa ai temi della
prosocialità collegati alla religione: delle ricerche caricate in ERIC il 12,3%
affronta il tema “Prosocialitá e religione”20. Questo perché gli studiosi ritengono
che i comportamenti prosociali possano rappresentare una sorta di guida nella
condotta religiosa.
16 Cfr. Tabella B in Appendice bibliografica17 Cfr. Tabella C in Appendice bibliografica18 Cfr. Tabella D in Appendice bibliografica19 Cfr. Tabella E in Appendice bibliografica20 Cfr. Tabella F in Appendice bibliografica
Solo il 10,7 %, infine, si riferisce al discorso “famiglia”21: relazione tra fratello,
madre, padre, etc.
Esaminando, invece, le riviste che ospitano le ricerche, è possibile notare come
una parte di queste sia di matrice psicologica, mentre un'altra votata ai temi sociali
e, in particolare, dell'educazione.
C'è spazio anche per contributi che legano la Pedagogia agli studi di Medicina e
Logopedia, come nei casi degli articoli che associano la promozione di
comportamenti prosociali all'attività del nervo vago – principale rappresentante
delle fibre nervose che compongono il sistema nervoso parasimpatico – o alle
difficoltà linguistiche nei bambini parlatori tardivi.
Interessante, a mio avviso, è la ricerca spagnola sullo Yoga che investiga sulle
competenze socio-emozionali dei bambini in età scolare e la prevenzione della
aggressività attraverso questa antica pratica di meditazione.
Dal confronto tra le ricerche di Roche e i risultati ottenuti attraverso la banca dati
ERIC è possibile verificare quanto il concetto di prosocialità sia poliedrico e
riesca, per questo, ad essere declinato sotto molteplici aspetti quali l'educazione
delle emozioni, lo sviluppo dell'empatia, la moderazione delle relazioni di potere,
le regole dei sistemi familiari, le comunicazioni col partner, l'impatto psicologico
familiare della disabilità mentale, i protocolli per la socializzazione della società e,
in particolare, delle strutture educative, ecc. Tutti questi ambiti necessitano di una
conoscenza approfondita delle virtù del comportamento prosociale e dei vantaggi
che una condotta votata ai valori positivi può arrecare in una società caratterizzata
dal sopravvento di una cultura spesso competitiva e violenta.
21 Cfr. Tabella G in Appendice bibliografica
Capitolo II
Prosocialità tra gli Orientamenti del '91 e
le Indicazioni Nazionali del 2012 e 2018
Il seguente capitolo vuole proporre una rilettura degli Orientamenti del 1991 per
la scuola dell'infanzia, delle Istituzioni Nazionali del 2012 e delle Nuove
Indicazioni del 2018 attraverso la lente di ingrandimento del concetto di
prosocialità e verificare se i decreti ministeriali hanno in qualche modo accolto le
tematiche prosociali e, se sì, con quale intensità.
2.1 Gli Orientamenti del '91 e i campi d'esperienza
I “Nuovi orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali” sono
stati approvati con decreto ministeriale il 3 giugno del 199122 e hanno
rappresentato la carta programmatica della scuola dell’infanzia sino alle
Indicazioni Nazionali del 2012. Essi hanno portato la scuola materna ad un
cambiamento radicale e innovativo trasformandola in un ambiente educativo
complesso, capace di rispondere alle fondamentali esigenze di ordine materiale e
non materiale dei bambini.
La nuova carta programmatica nacque dall'esigenza di sostituire gli Orientamenti
del 1968 perché inadatti al contesto socio-culturale degli anni Novanta e sganciati
dalle teorie psicopedagogiche dell'epoca che prevedevano l’obbligo della
22 Cfr. https://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dm3691.html
programmazione, l’inserimento nelle classi di bambini portatori di handicap e un
nuova idea di continuità con la scuola dell'obbligo.
In un contesto in rapido mutamento sociale, con il diffondersi di logiche
consumistiche e il mutamento delle strutture familiari, tali orientamenti posero il
bambino in un inedito orizzonte storico, connotandolo come “bambino soggetto di
diritti”.
Le finalità della nuova scuola dell’infanzia vennero articolate sui binari
dell’educazione e dell’istruzione, con un accento posto sui processi di
maturazione dell’identità, direttamente intrecciata allo sviluppo corporeo,
intellettuale e psico-dinamico del bambino; sulla consapevolezza delle differenze
sessuali e razziali, per favorire la solidarietà e una maggiore comprensione.
La scuola dell'infanzia iniziò a promuovere la conquista dell’autonomia,
nell’ottica di un bambino capace di compiere scelte e interagire costruttivamente
con gli altri, nell’orizzonte di valori universalmente condivisibili.
Per quanto concerne la prospettiva curricolare, il curricolo venne sviluppato
secondo i campi d’esperienza, segnale forte della volontà pedagogicamente
innovatrice dei nuovi Orientamenti di prendere le distanze dal concetto di
disciplina. L’introduzione del termine campo di esperienza vuole sottolineare
come l’individuo non possa essere studiato in modo isolato, ma soltanto nelle sue
dinamiche relazionali con chi condivide con lui gli spazi quotidiani e come
l’apprendimento passi necessariamente attraverso l’esperienza. Essi infatti sono
spazi circoscritti della cultura umana che individuano diversi ambienti del fare e
dell'agire del bambino, e quindi i settori specifici ed individuabili di competenza,
nei quali il bambino conferisce significato alle sue molteplici attività.
Tali settori vennero individuati nel “Corpo e movimento” (ambito psicomotorio e
sociomotorio); “I discorsi e le parole” (linguaggio orale e primo contatto con la
lingua scritta); “Lo spazio, l’ordine e la misura” (capacità di raggruppamento,
ordinamento, quantificazione e misurazione di fatti e fenomeni della realtà per
potenziare le abilità metacognitive del soggetto); “Le cose, il tempo e la natura”
(esperienze di natura scientifica del bambino, a partire dalla conoscenza
dell’ambiente, con la valorizzazione della curiosità e della spinta ad esplorare e
capire); “Messaggi, forme e media” (attività inerenti alla comunicazione ed
espressione manipolativo-visiva, sonoro-musicale, drammatico teatrale,
audiovisuale e massmediale, nel loro continuo intreccio); e, infine, il campo di
esperienza “Il sé e l’altro”, con il quale ci si riferisce a tutte le esperienze che
favoriscono l’acquisizione di norme di comportamento e di relazione
indispensabili per la convivenza umana, con ricadute nello sviluppo affettivo ed
emotivo oltre che in quello sociale, della multiculturalità, in quello etico-sociale e
del rispetto di ogni forma di religiosità o ateismo23.
23 Sul punto cfr. Enzo Catarsi, L'asilo e la scuola dell'Infanzia. Storia della scuola “materna” e
dei suoi programmi dall'Ottocento ai giorni nostri, La Nuova Italia, 1999.
2.2 Il campo di esperienza “Il sé e l'altro” e una prosocialità “in nuce”
Il campo di esperienza “Il sé e l’altro” – quello che maggiormente interessa qui –
risente profondamente della spinta culturale e investigativa degli anni Ottanta. È
stato, infatti, interpretato come un luogo per lo sviluppo del senso morale, per la
costruzione di regole civili e, appunto, per un'educazione in nuce alla prosocialità.
Se, negli Orientamenti 1991 non c'è spazio per il sostantivo “prosocialità” né per
l'aggettivo “prosociale”, mancanze giustificate dai ritardi della ricerca nel dare
visibilità e caratterizzazione agli studi sul tema, i temi caratterizzanti la
prosocialità24 trovano invece voce e dignità nel decreto ministeriale.
Ad esempio, nella parte afferente al campo d'esperienza “Il sé e l'altro” gli
Orientamenti del 1991 recitano così: “Le finalità considerate … si rapportano
alla presenza nel bambino di una capacità non soltanto di stare genericamente
con gli altri, ma anche di comprendere condividere, aiutare e cooperare”.
E ancora: lo sviluppo affettivo ed emotivo “ha come obiettivi la promozione
dell'autonomia e della capacità di riconoscere ed esprimere emozioni e
sentimenti, la canalizzazione dell'aggressività verso obiettivi costruttivi, il
rafforzamento della fiducia, della simpatia, della disponibilità alla
collaborazione, dello spirito di amicizia ed il sostegno nella conquista di una
equilibrata e corretta identità”. Questo passaggio appare di particolare interesse
perché tocca il tema delle tendenze aggressive e della necessità di accompagnarle
e risolverle a livello scolastico per prevenire il sopravvento di una cultura
dominante competitiva e violenta e scongiurare che tale cultura faccia presa sul
bambino. “Occorre ... ricordare l'importanza dei rapporti affettivi con i coetanei
24 Ovvero la socialità, la condivisione, la cooperazione il rispetto, l’accoglienza, il
riconoscimento di una ricchezza nella diversità, la pace, il benessere psicologico, l’unità, la
comunicazione di qualità e l’empatia
di entrambi i sessi, la necessità di non indurre né rafforzare stereotipi di genere,
la positività della coeducazione ed il valore dell'esperienza di una varietà di
assunzione di ruoli”: in questo frammento spiccano i richiami alla
demonizzazione di stereotipi e pregiudizi, soprattutto di genere, e alla
coeducazione ovvero al progetto pedagogico per educare insieme ragazzi e
ragazze al fine di insegnare le modalità più idonee per collaborare nel rispetto
delle peculiarità di ciascuno dei due sessi.
Ulteriori passaggi significativi sono quelli che fanno riferimento all'empatia
ovvero alla “capacità di comprendere i bisogni e le intenzioni degli altri e di
rendere interpretabili i propri, di superare il proprio esclusivo punto di vista, di
accettare le diversità (in particolare quelle legate a disabilità fisiche e mentali) e
ad assumere autonomamente ruoli e compiti”, alla multiculturalità che “esige la
maggior attenzione possibile per la conoscenza, il riconoscimento e la
valorizzazione delle diversità che si possono riscontrare nella scuola stessa e
nella vita sociale in senso ampio” e all'autostima: “L'itinerario educativo va
inteso e realizzato come un tirocinio morale non forzato, che conduce dalla
semplice scoperta dell'esistenza dell'altro e dall'adattamento alla sua presenza al
riconoscimento rispettoso dei suoi modi di essere e delle sue esigenze fino alla
acquisizione di una effettiva capacità di collaborazione regolata da norme in un
quadro di ideali condivisi. E' così possibile, all'interno di un positivo contesto
interpersonale, consolidare le prime capacità di scelta e di impegno della volontà
e, nello stesso tempo, sostenere la conquista dell'autostima in vista di una
progressiva autonomia”.
2.3 La prosocialità tra “Le Indicazioni Nazionali del 2012 e i “Nuovi
scenari” del 2018”
Le “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo
ciclo d'istruzione del 2012”– testo normativo di riferimento per tutte le scuole
italiane, che sostituiscono gli Orientamenti del 1991 – sono meno influenzate
dagli studi sulla prosocialità, rispetto al documento precedente: in esse vengono
sottolineati maggiormente gli aspetti socio-culturali del problema.
Anche nel nuovo documento non compaiono i termini “prosocialità” e
“prosociale” e il campo d'esperienza “Il sé e l'altro”, nella versione 2012,
malgrado la posizione di primo piano rispetto a tutti gli altri campi, appare più
sfumato e connotato in chiave socio-culturale: la coesistenza di diverse culture, di
stili di vita e storie familiari, di scelte diverse ai valori e alla dimensione religiosa,
implica un’attenzione alla conoscenza delle trasformazioni sociali, alle nuove
regole della cittadinanza attiva, ai problemi etici, al rapporto con la natura, alla
costruzione di senso del futuro25.
Il campo ha come oggetto la ricostruzione dell’ambiente di vita dei bambini, nelle
dimensioni storiche, spaziali, identitarie, linguistiche, antropologiche, religiose, da
curvare verso la consapevolezza di una storia “plurale”, di regole trasparenti di
convivenza e cittadinanza, di costruzione di un futuro da vivere insieme, nel
25 Cfr. Cerini G., Di Pasquale G., Serra P., Mazzoli F., La scuola dell'infanzia dentro le Nuove
Indicazioni per il Curricolo, Servizi Educativi e di protezione sociale, 2013, pp. 7-8.
http://archivio.comune.rimini.it/binary/comune_rimini/pubblica_istruzione/La_scuola_dell_inf
anzia_dentro_le_nuove_indicazioni_per_il_curricolo.1435922701.pdf
delicato equilibrio tra “grammatiche comuni” (da costruire) e diversità (da
riconoscere e rispettare)26.
Nel decreto ministeriale del 2012 non trovano spazio alcuni temi strettamente
connessi con la cultura prosociale: si fa riferimento all'empatia solo nella sezione
dedicata all'ambiente di apprendimento; si cita il multiculturalismo
esclusivamente nell'ambito della Storia come campo disciplinare; e vengono
banditi i concetti relativi al prevalere di una cultura aggressiva da neutralizzare e
scongiurare. Appare, dall'altro lato, ancora forte il rimando all'autostima: da
rafforzare nel delicato passaggio dalla scuola dell'infanzia alla scuola primaria e
nel paragrafo dal titolo “Educazione Fisica”27.
Trascorsi 5 anni dalla pubblicazione delle “Indicazioni nazionali per il curricolo
della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione”, si sente la necessità di
realizzare una sorta di revisione del decreto del 2012 e lo si fa attraverso le
“Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari”.
Ed è proprio in questa nuova sede normativa che la parola prosocialità trova,
finalmente, ragione d'essere28. Il testo, nella parte afferente “Le competenze
sociali, digitali, metacognitive e metodologiche”29, così recita: Tutti gli
apprendimenti devono contribuire a costruire gli strumenti di cittadinanza e ad
alimentare le competenze sociali e civiche. Un ambiente di apprendimento
centrato sulla discussione, la comunicazione, il lavoro cooperativo, la
26 http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_
Definitivo.pdf
27 Massimiliano Marino, Promozione di comportamenti prosociali e competenze trasversali
attraverso l'Educazione fisica, Università degli Studi di Padova, Ciclo XXIX. Come da Marino
dimostrato l'Educazione fisica è un'interessante area di intervento per la promozione di
comportamenti empatici e prosociali
28 https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Indicazioni+nazionali+e+nuovi+scenari/
3234ab16-1f1d-4f34-99a3-319d892a40f2
29 Ibidem.
contestualizzazione dei saperi nella realtà, al fine di migliorarla, l’empatia, la
responsabilità offrono modelli virtuosi di convivenza e di esercizio della
prosocialità30.
A rendere necessaria la riflessione del 2018 sono i numerosi cambiamenti a livello
nazionale, europeo e globale. Più precisamente: le migrazioni, l'avvento dei
populismi, gli scontri tra culture diverse hanno sollecitato organismi diversi, come
ad esempio il Consiglio d'Europa, a emanare importanti documenti sulla
convivenza civile e democratica. Su questi provvedimenti sono stati modellati i
“Nuovi Scenari”, che sebbene siano ancora lontani dalla società e dall'Istituzione
scolastica “ideale” che prospettano, rappresentano un importante passo in avanti
per i temi oggetto di questo lavoro. La semplice affermazione del sostantivo
“prosocialità” genera consapevolezza sull'argomento, così come la sua mancanza
nelle precedenti “Istituzioni del 2012” e l'errata, o inappropriata, scelta delle
parole aveva provocato mancanza di comprensione.
30 Ibidem.
Capitolo III
Integrazione e prosocialità
In questo capitolo si indaga il rapporto tra integrazione, quale si realizza in una
scuola inclusiva, e prosocialità, chiedendosi se si è di fronte a una relazione a
senso unico o piuttosto una relazione bidirezionale? E nel caso di una relazione
bidirezionale in che senso stimolare la prosocialità favorisce una reale
integrazione?
3.1 L’inclusione favorisce la prosocialità
Secondo Spavier31 la scuola è una micro-rappresentazione della società nella quale
è inserita e quindi utilizza gli stessi meccanismi della società sia in positivo che in
negativo. Pertanto, la scuola può essere riproduttrice di un sistema di vita che
esclude, ma può anche creare un’altra possibilità, può essere uno spazio di crescita
e di libertà per ogni alunno individualmente e per la società stessa32.
Nel tempo la scuola ha elaborato una pedagogia fondata sul diritto di essere
diversi: in Italia, a partire dagli anni 60 le accuse di don Milani mettono in
evidenza come la scuola sia un apparto dello Stato, guidata da un’ideologia
dominante classista ed escludente. Con il suo operato, il parroco di Barbiana
trasforma la scuola in un contesto di crescita e di libertà, partendo proprio da una
31 A. Spavier, Educare tra le diversità: i processi inclusivi del bambino immigrato con disabilità
nella Scuola primaria, Tesi di Dottorato in Culture, Disabilità e Inclusione, Dipartimento di
Scienze della Formazione per le Attività Motorie e dello Sport, Università degli Studi di Roma
“Foro Italico”, 2013.
32 Ibidem, pag. 130
pedagogia a favore degli esclusi. Questo è l’inizio di un cammino che, attraverso
diverse tappe legislative, ha portato la scuola italiana a scegliere l’inclusione come
caratteristica peculiare che la contraddistingue.
Diverse ricerche hanno messo in evidenza come l’abbattimento della separazione
fisica tra ragazzi con disabilità e ragazzi senza disabilità abbia avuto come
conseguenza un aumento delle abilità sociali e delle relazioni reciproche tra le due
categorie di studenti33. Gli studenti hanno migliorato il concetto di sé, hanno
sviluppato una maggiore comprensione interpersonale, diminuendo il timore delle
differenze umane e rafforzato la tolleranza reciproca34.La convivenza ha
perfezionato lo status sociale soprattutto dei ragazzi senza disabilità35, che grazie
all’aiuto di insegnanti e genitori hanno aumentato le loro abilità di comunicazione.
Caratteristiche quali la fiducia, la cura e il sostegno si sono sviluppate in entrambe
le categorie di studenti. Queste e altre ricerche confermano che una scuola
inclusiva sviluppa negli studenti importanti caratteristiche di prosocialità.
Affinché questo accada gli insegnanti devono rendere l’apprendimento sociale una
parte esplicita dal curricolo scolastico, insegnando direttamente i comportamenti
prosociali che permettono di costruire e mantenere comunità scolastiche che
funzionano bene, mentre attualmente buona parte dell’apprendimento di abilità
sociali è implicito nel curricolo o addirittura ignorato. Per fare questo gli
insegnanti devono concentrarsi sui comportamenti postivi degli alunni
33 Lombardi G., La scuola inclusiva come fattore di promozione sociale del comportamento
prosociale: uno sguardo trasversale tra il viaggio e la ricerca, in http://www.uniroma4.it/
sites/default/files/abstract%20in%20italiano.pdf
34 De Anna, Gardou, Ricci, Roche Olivar, Lombardi, Educare nelle differenze per una cultura
prosociale, in Revista Educaçao e Politicas em debate – v. 3, n.1 – jan/jul 2014 – ISSN 2238-
8346, pag. 120
35 Staub, Schwartz, Gallucci, Peck, Four portraits of freindship at an inclusive school, Journal of
the Association for Persons with Severe Handicaps, 19,1994, pp. 314-325.
trasmettendo così principalmente fiducia nelle loro capacità36.
Ianes e Macchia, nel loro testo del 200837, sostengono che gli ingredienti di base
sui quali gli insegnanti dovrebbero lavorare sono cinque:
L’interdipendenza positiva: si devono assegnare compiti chiari e un
obiettivo comune, in modo che gli studenti capiscano che non può esistere
successo individuale senza successo collettivo. Raggiunta questa
consapevolezza ogni alunno si impegnerà tanto per la riuscita degli altri
come per la propria, costruendo la basi per un vero lavoro cooperativo.
Responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo deve essere responsabile
del raggiungimento dei suoi obiettivi e ogni membro deve contribuire a
questi obiettivi con la sua parte di lavoro. La misurabilità sia degli
obiettivi collettivi sia di quelli individuali consente di identificare chi
richiede maggiore assistenza, sostegno e incoraggiamento nello
svolgimento dei compiti assegnati.
Interazione costruttiva diretta: gli alunni condividendo le risorse,
sostenendosi, incoraggiandosi e lodandosi a vicenda per gli sforzi che
compiono diventano un sostegno reciproco, sia scoalstico sia personale.
Questo aiuto reciproco si attua attraverso la spiegazione verbale delle
strategie di soluzione dei problemi, la discussione dei concetti che si
studiano e la condivisione delle proprie conoscenze con i compagni di
classe.
Insegnare agli alunni le abilità sociali necessarie nei rapporti
interpersonali all’interno del piccolo gruppo: le abilità sociali devono
essere insegnate con la stessa cura con cui si insegnano le discipline
scolastiche. I componenti del gruppo devono saper sostenere un ruolo
36 D. Ianes e V. Macchia, La didattica per i bisogni Educativi Speciali, Erikson, Trento 2008, pp.139-140
37 Ibidem, pp.164-166
guida, prendere decisioni, creare un clima di fiducia, comunicare gestire i
conflitti ed essere motivati a utilizzare le abilità richieste.
Valutazione del lavoro cooperativo del gruppo: i gruppi devono decidere
quali azioni dei membri mantenere o modificare. Per migliorare
progressivamente il processo di apprendimento occorre infatti analizzare
attentamente le modalità di lavoro collettivo del gruppo e la possibilità di
modificarne l’efficacia.
D’altronde, partendo dalla definizione di prosocialità, diventa legittimo chiedersi
se può essere vero anche il legame inverso: ovvero lavorando per sostenere la
prosocialità nei bambini fin da piccoli si gettano le basi per una scuola che sia
realmente inclusiva e non solo sulla carta?
3.2 La prosocialità sostiene l’inclusività della scuola?
La prosocialità è, come più volte sottolineato, la competenza a favorire, senza la
ricerca di ricompense esterne, estrinseche o materiali, altre persone, gruppi o fini
sociali oggettivamente positivi. Questo tipo di comportamento aumenta le
probabilità di generare una reciprocità solidale nelle relazioni interpersonali e
sociali, migliorando l’identità, la creatività, l’iniziativa positiva e l’unità delle
persone o dei gruppi implicati38. Perché un’azione si possa considerare prosociale,
il ricevente deve accettarla, approvarla ed esserne soddisfatto.
L’azione prosociale, in virtù della sua natura, riduce la violenza e l’aggressività, e
favorisce una migliore convivenza e armonia sociale.
I comportamenti prosociali hanno effetti molto positivi anche su chi li mette in
pratica, in quanto funzionali al raggiungimento e al mantenimento di una buona
salute mentale. La prosocialità, infatti, ha un ruolo fondamentale nella
prevenzione e nella gestione dello stress o della rabbia.
Dalle ricerche più recenti è emerso come i bambini educati alla prosocialità,
rispetto a quelli non educati alla prosocialità, siano maggiormente in grado di
decodificare correttamente i bisogni ed i sentimenti degli altri e di rispondere
adeguatamente ad essi. Dato un problema interpersonale, sono nella condizione di
collaborare con il proprio interlocutore per la soluzione del problema e,
nell’ambito di una discussione di gruppo, riescono a produrre un numero
maggiore di soluzioni alternative.
Mi sono chiesta se queste caratteristiche possano favorire un’inclusione di qualità
dei bambini con disabilità e in che senso. Dall’esperienza di tirocinio che
illustrerò qui di seguito risulta evidente che sviluppando caratteristiche prosociali,
38 Roche, L'intelligenza prosociale, cit.
quali Aiuto, Condivisione, Empatia, Conferma dell’altro, Unità e Solidarietà, che
Roche individua come essenziali39, i bambini diventano capaci di valorizzare le
qualità positive di ognuno e di vedere le proprie caratteristiche positive
aumentando l’autostima. Questo migliora il clima della classe favorendo
sicuramente l’accettazione piena e sincera di tutti i bambini, anche di quelli con
disabilità.
Estrapolando leggermente dal presente lavoro, diventa anche ragionevole
ipotizzare che la presenza di un ambiente emotivamente accogliente e rassicurante
possa favorire l’esplicitarsi al meglio delle caratteristiche cognitive di ogni
bambino, consentendo ad ognuno di raggiungere il livello di apprendimento più
consono a lui. Come ricordano Johnson e Johnson40, dal momento che la
cooperazione e i conflitti sono strettamente correlati e le procedure e le abilità per
affrontare questi ultimi in maniera costruttiva hanno una rilevanza particolare per
il successo a lungo termine dei gruppi di apprendimento.
In questo senso possiamo affermare che prosocialità, lavoro cooperativo e
integrazione siano aspetti intrinsecamente collegati tra loro al punto che
incrementandone uno anche gli altri due ne ottengano dei benefici.
39 Roche, Intelligenza prosociale, cit.
40 Johnson e Johnson , 1991, 1992, cit. in D. Ianes e V. Macchia, La didattica per i bisogniEducativi Speciali, cit., pag. 165
3.3 Le abilità prosociali non sono innate
La capacità di interagire produttivamente con gli altri non è innata, ma si apprende
con l’esperienza41. Ianes e Macchia sostengono che se gli studenti non
acquisiscono le abilità sociali necessarie per collaborare tra loro, non potranno
lavorare in gruppo in modo efficace e i risultati che otterranno saranno inferiori
agli standard richiesti. Infatti, maggiori sono le abilità sociali dei membri e più
elevate e complete saranno la qualità e la quantità del loro apprendimento.
Il primo passo affinché gli studenti sviluppino abilità sociali consiste
nell’assicurarsi che capiscano l’importanza della abilità prosociali per il lavoro di
squadra. Ianes e Macchia affermano che si possa chiedere a loro di suggerire quali
siano le abilità sociali necessarie per lavorare insieme con maggiore efficacia. Una
volta che i ragazzi le abbiano esplicitate, se ne può scegliere una o più ed
evidenziarne l’utilità durante la lezione, oppure organizzare un gioco di ruoli che
fornisca un breve esempio di situazione in cui la mancanza dell’abilità e i
problemi che ne conseguono siano evidenti42.
Gli stessi autori identificano il secondo passo necessario da compiere
nell’assicurarsi, da parte dell’insegnante, che gli alunni capiscano il tipo di abilità
richiesta, come applicarla e quando improvvisando situazioni pratiche che
incoraggino gli alunni ad acquisire la padronanza delle abilità richieste. Se
l’insegnante fornisce poi un feedback che aiuti i ragazzi a migliorare
l’applicazione dell’abilità in questione, questa finirà con il consolidarsi fino a
diventare un naturale modo di fare dei ragazzi43.
Nel capitolo seguente approfondirò come il gioco possa rivelarsi una modalità
fondamentale per sviluppare nei bambini più piccoli queste qualità prosociali,
41 D. Ianes e V. Macchia, La didattica per i bisogni Educativi Speciali, cit., pp. 181-18442 Ididem, pp. 182-18343 Ibidem.
tanto importanti negli ordini di scuola superiore per favorire l’integrazione e
l’apprendimento, ma soprattutto fondamentali nella vita per vivere da cittadini
attivi nella società moderna.
Capitolo IV
Il gioco prosociale
Il seguente capitolo si propone di sviluppare in modo sintetico il tema del gioco
come utile metodologia per favorire gli apprendimenti, soprattutto nella scuola
dell’infanzia, con un affondo sul gioco prosociale applicato alla disabilità.
4.1 L'importanza educativa del gioco
L’importanza attribuita al gioco nei processi educativi si è molto modificata nel
corso del Novecento, soprattutto in seguito all’uscita, nel 1938, del testo Homo
ludens di Huzinga.
In questo testo l’autore definisce il gioco “un’azione o un’occupazione volontaria,
compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola
volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un
fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione di gioia della coscienza di
“essere diversi” dalla “vita ordinaria”44.
Secondo Huizinga, il gioco non è affatto un’attività di secondaria importanza, anzi
è addirittura in grado di creare cultura45. Egli infatti ritiene che in ogni attività
umana e in ogni aspetto della vita ci siano elementi riconducibili al gioco. Il gioco,
oltre a creare cultura, può divenire un contesto di incontro tra culture,
rappresentando uno spazio reale/virtuale in cui il simbolismo, la finzione,
l’assunzione di ruoli altri da sé implementano lo sviluppo del possibile e
44 J. Huizinga, Homo ludens, Il Saggiatore, Einaudi, Torino, (prima edizione 1964), ed 1983 pag.
55
45 Ibidem.
consentono di guardarsi reciprocamente in un atto volontario di scambio e
comunicazione.
Il gioco, una volta visto solo come attività riempitiva del tempo libero, diventa ora
il luogo dell’apprendimento. Nella disponibilità al gioco è insita una disponibilità
ad apprendere. Ogni conoscenza utile è insieme cognitiva ed emotiva: il gioco
attiva nel bambino la dimensione emotiva che consente di attribuire valore e
significato alle azioni e alle cose46.
Anche Vygotskij sottolinea l’importanza del gioco nello sviluppo del bambino.
Egli sostiene che il gioco sia l’occupazione principale dei bambini: rappresenta la
loro primaria fonte di crescita e di conoscenza. Nel gioco si origina una zona di
sviluppo prossimale che permette di agire in modo competente, sviluppando le
potenzialità e raggiungendo il livello successivo di sviluppo.
Tramite il gioco e la sperimentazione libera, i bambini possono realizzare
l’autonomia che consiste nel sapersi reggere sulle proprie forze partendo dalle
proprie capacità per acquisire, allo stesso tempo, la consapevolezza dei propri
limiti47.
Il bambino attraverso il gioco si rende conto che esistono ruoli e che si possono
assumere comportamenti collegati a uno stile.
“Il momento ludico richiama, infatti, a una serie di atteggiamenti socialmente
condivisi “non si tratta di imparare lo stile particolare richiesto da questo o quel
gioco, ma la flessibilità degli stili e il fatto che la scelta di uno di essi o di un ruolo
46 A. M. Venera, Let’s play with English, Erikson, Trento 2016, pag. 14
47 “La vera libertà si gioca nello sviluppo continuo di una piena autonomia che richiede
contemporaneamente due condizioni: la capacità di reggersi sulle proprie forze e la capacità di
riconoscere onestamente i propri limiti e di chiedere quindi aiuto”. Cfr Cunico M. Educare
alle emozioni. Riflessioni e proposte di attività per insegnanti e genitori, Città nuova, Roma
2004, pag. 99.
è collegata alla cornice e al contesto di comportamento. E il gioco stesso è una
categoria di comportamento, classificata in qualche maniera da un contesto” 48.
Nel gioco si dispone di un tempo dilatato, nel quale esperienza corporea,
cognitiva, affettiva e psichica sono in stretta unione: espressione delle
caratteristiche e della propria vicenda personale. Tramite la sperimentazione delle
proprie competenze motorie e la scoperta delle sensazioni emerse nella relazione e
conoscenza dei materiali, il bambino acquisisce la capacità di organizzare
rappresentazioni mentali delle persone, degli oggetti e delle azioni, cogliendo
soprattutto le tonalità emotive ed affettive che gli vengono trasmesse.
L’esperienza del gioco assume, quindi, il senso di una esplorazione globale, di
tipo senso-percettivo, che coinvolge tutto il corpo e la totalità della persona,
aiutando il bambino a interiorizzare schemi mentali che gli consentiranno di
organizzare in modo sempre più raffinato e complesso le conoscenze.
Nel gioco il bambino fa un’esperienza totalizzante, che vede coinvolti più canali
percettivi, diventa protagonista attivo e si mette in relazione con i compagni.
Attraverso la capacità di muoversi e agire anche in presenza di altre persone, il
bambino acquista consapevolezza della propria identità, che non è solo fisica, ma
anche psichica. Il gioco permette di conoscere se stesso, di imparare a rapportarsi
agli altri e a gestire con maggiore autonomia i conflitti, sperimentando gesti,
azioni e relazioni.
Nel percorso di crescita di ogni bambino, infatti, il momento ludico è
fondamentale perché consente di esplorare le proprie capacità, in una situazione
tutelata e controllata, in cui è possibile non avvertire la sensazione di pericolo.
Nel gioco il bambino ha la possibilità di collocarsi in una situazione di finzione,
48 Cfr. Bateson, “Questo è un gioco”. Perché non si può mai dire a qualcuno “gioca!”, Raffaello
Cortina Editore, Milano 1996, pag. 35.
per misurarsi anche nella relazione con altri, avvertendo una sorta di sfida nei
confronti di se stesso, interagendo con le proprie paure e con le proprie difficoltà,
senza che queste diventino dominanti.
Il gioco simbolico e inventato apre al bambino universi di possibilità e di
opportunità, con l’offerta di apprendimenti che consentono di comprendere il
mondo reale, partendo tuttavia dall’universo esperienziale di ognuno49.
Se assumiamo che il gioco crea cultura, come sostiene Huizinga, allora tutti i
giochi possono dirsi prosociali. Tuttavia, alcuni hanno caratteristiche che meglio
di altri favoriscono nei bambini un atteggiamento prosociale.
49 “Il gioco sembra cambiare le categorie logiche all’interno delle quali ha luogo un’interazione.
Il che conferisce al gioco un elemento di libertà, permettendo la novità e la creatività” Cfr.
Bateson, Questo è un gioco”, cit.
4.2 I giochi prosociali
I giochi prosociali consistono in una serie di esercitazioni, sviluppabili all'interno
dei curricoli di insegnamento delle diverse discipline, per incidere su fattori come
l'empatia, la valutazione positiva dell'altro, la non aggressività e non
competitività, l'aiuto e la condivisione.
L'azione ludica prosociale richiede la preparazione degli educatori attraverso un
percorso di ricerca e coordinazione. Gli obiettivi da raggiungere sono adattabili a
tutte le età e hanno lo scopo di sensibilizzare gli allievi all'importanza di
promuovere azioni di aiuto nei confronti degli altri e di acquisire gli strumenti per
metterli in pratica nel contesto scolastico e negli altri ambienti di vita.
Esempi di giochi prosociali sono quelli illustrati da Roche nelle sue numerose
ricerche e riproposti da Lucio Cottini in “Didattica speciale e integrazione
scolastica”50: come il gioco del “Vedo...Vedo” e il gioco “Le qualità di....” adatti ai
bambini della scuola dell'infanzia per incrementare la frequenza delle condotte di
attribuzione di valori positivi alle altre persone; il gioco del “May I help you”, per
ragazzi alla fine del percorso di scuola primaria, per mettersi al servizio degli altri
e in modo efficace; le rappresentazioni teatrali per tutte le età per aumentare e
rendere più sensibili le capacità empatiche degli allievi nelle loro relazioni con
l'insegnante e i compagni e tante altre ancora...
50 Carocci Editore 2016, pp. 105-157. Cottini nel suo lavoro riprende le tesi formulate da Roche
e dai suoi collaboratori, le sintetizza e mette in evidenza le parti che possono maggiormente
favorire l'integrazione dei bambini disabili.
4.3 Quando il gioco prosociale favorisce l'integrazione dei bambini
con bisogni educativi speciali
Il gioco prosociale può svolgere una funzione essenziale nel percorso di crescita
dei bambini con bisogni educativi speciali. Un'educazione alla prosocialità può,
infatti, se ben fatta, rappresentare una potenzialità di grosso rilievo per facilitare
un processo di reale integrazione del bambino con disabilità, non solo in ambito
scolastico, ma più in generale nella comunità.
Focalizzare l’attenzione sui deficit dei bambini disabili non favorisce la loro
integrazione. Se realmente vogliamo ridurre l’handicap, occorre organizzare
contesti di vita adeguati, consapevoli che l’integrazione scolastica non è uno stato
acquisito, ma un percorso in continua evoluzione, che necessita del
coinvolgimento e dell’impegno di tutti i soggetti in una prospettiva di studio e
ricerca.
Porsi nella prospettiva dell’integrazione significa passare da una logica del
sostegno individuale (l’adulto di riferimento) ad una pluralizzazione delle
interdipendenze (il contesto, le attività, i materiali, i coetanei). In questo percorso
gli adulti svolgono un ruolo di regia educativa, strutturando il contesto e
maturando la capacità empatica di allontanarsi quando la loro presenza rischia di
creare inutili dipendenze51.
L'educatore attraverso un programma basato sull'educazione alla prosocialità può
farsi promotore di interventi atti a favorire l'integrazione: attraverso la dimensione
51 Ricerca che parte dal sostegno (una persona, un insegnante, che rischia continuamente di
creare dinamiche di delega e di subordinazione) per arrivare ai sostegni (l’arredamento e i
segnali contenuti nell’ambiente, l’ambiente stesso, i materiali, i coetanei…). Canevaro
Handicap e scuola. Manuale per l’integrazione scolastica, Carrocci editore, Roma 1999, pag.
245
ludica può favorire la presa di coscienza del valore dell'integrazione scolastica dei
bambini disabili; la riflessione su cosa significa vivere con disabilità;
l'individuazione di comportamenti prosociali da attuare nei confronti di persone
disabili; la presa di coscienza dei diritti inalienabili di ogni persona.
Nei giochi proposti da Roche e dai suoi collaboratori, e rivisti da Cottini52,
sull'argomento sono ad esempio: “Mettiamoci nei panni di...” o il “Come
possiamo aiutarci”, adatti a bambini del primo ciclo di scuola primaria, si impara
a prestare attenzione ai bisogni e ai sentimenti degli altri; ad aiutare il prossimo
secondo le proprie possibilità; a condividere con i compagni le proprie esperienze.
In questo modo il gioco può diventare una preziosa opportunità di relazione e di
apprendimento per i bambini con disabilità, in quanto consente loro di mettere in
atto competenze diversificate, lontane dalla formalità richiesta dai saperi
scolastici. Il bambino ha così la possibilità di partecipare in prima persona come
protagonista, mettendo in gioco le proprie abilità mostrandosi ai coetanei in modo
differente.
In questo percorso è centrale la dimensione della scelta e del piacere: il rischio per
i bambini con deficit è di trasformare questo tipo di gioco in un percorso
riabilitativo e terapeutico, finalizzato al raggiungimento di determinate abilità
nell’ottica della riduzione dell’handicap. È invece importante restituire al gioco la
sua dimensione di piacere e di godimento, nella relazione reciproca e nella
condivisione di esperienze significative.
Le caratteristiche del gioco prosociale permettono di individuare ricche
opportunità e proposte, necessarie per riuscire ad entrare in relazione con i
bambini, entrando nel loro mondo, nei luoghi dei loro interessi, con l’aiuto e il
supporto offerto dalla mediazione dell'adulto.
La capacità dell’insegnante, e la sua abilità di svolgere un ruolo di regia educativa
52 Cottini, Didattica speciale ,cit.
nel predisporre le situazioni, ha a che fare con la possibilità di modificare il gioco
adattandolo alle caratteristiche dei partecipanti e del contesto, mettendosi in gioco
su un piano immaginario che resta comunque vincolato alla realtà.
Il gioco prosociale consente di costruire contesti volti all’integrazione e
all’autonomia dei bambini “l’istanza a esplorare, a costruire, a comunicare, ad
avere avventure può facilitare il raggiungimento di un’educazione all’autonomia
intesa come creazione autonoma di materiale e di spazi ludici”53. L’adulto deve
svolgere un ruolo di supporto, di sostegno e di facilitazione senza mai sostituirsi
all’azione autonoma dei bambini, indirizzandoli verso nuovi vissuti ed esperienze.
53 Chade J. J., Temporini A, 110 Giochi per ridurre l’handicap. Attività di gruppo per
l’integrazione, Erickson, Trento 2000, pag. 15.
Capitolo V
La mia esperienza di Tirocinio. Breve presentazione del contesto.
Il mio progetto di tirocinio è nato dal desiderio di realizzare una ricerca sui temi
della pedagogia speciale e della diversità, e sviluppare un lavoro sulla prosocialità
nella scuola dell'infanzia.
Ho realizzato il tirocinio del quarto anno presso una scuola comunale dell'infanzia
della provincia di Reggio Emilia.
La sezione 5 anni, nella quale ho svolto il T4, era composta da 25 bambini, 2
maestre e un' educatrice sul sostegno (15 ore). I discenti erano quasi tutti italiani,
le uniche eccezioni erano rappresentate da due bambini di nazionalità rumena e un
bambino marocchino, unitosi al gruppo a metà ottobre. Molti i casi di alunni, nati
in Emilia, con i genitori di origine meridionale. La sezione ospitava, inoltre, una
bambina disabile, affetta dalla sindrome di Rubistein Taybi, una rara malattia
genetica caratterizzata da ritardo mentale e deficit linguistico. R., infatti, per
esprimersi utilizza la lingua dei segni.
Il tirocinio si è protratto per quasi tre mesi: dalla prima decade di settembre sino
alla fine di novembre. Svolgendo le mie prime ore di osservazione nel periodo
successivo alle ferie estive, e dopo un confronto con la docente tutor, ho pensato
di porre al centro del progetto l' “educazione alla prosocialità” e in particolare la
“valutazione positiva dell'altro”.
5.1 Il progetto
Gli elementi costitutivi del mio lavoro sono stati presi in prestito dalla pedagogia
di Roche54e successivamente modificati e adattati. Nello specifico, Roche ha
elaborato un programma educativo molto dettagliato che si articola su un sistema
di valutazione degli atteggiamenti prosociali e su una serie di esercitazioni, per
incidere su determinati fattori quali l'empatia, la creatività, l'aiuto, la condivisione,
l'espressione dei propri sentimenti... e, appunto, la valutazione del positivo.
Il concetto di fondo di quest'ultimo item fa riferimento alla concezione per cui la
persona umana è di per sé degna di valore e rispetto. Le persone sono in possesso
di qualità positive, anche solo potenziali, che vanno espresse e stimolate. Il
riconoscimento di qualità positive, così come il confidare nella capacità di agire in
positivo da parte di compagni e maestre, rappresenta un fattore fondamentale
nello sviluppo dell'autostima dei bambini.
Durante questo percorso di studio, mi sono posta nell'ottica delle maestre e mi
sono interrogata su quale sistema avrei potuto scegliere per affrontare il tema della
valutazione del positivo con bambini di 5 anni, incapaci, sotto certi aspetti, di
cogliere e dialogare sugli aspetti caratteriali, andando oltre le differenze fisiche,
per potenziare qualità e diversità dei compagni.
Partendo da un gioco “Le qualità di” ho poi sviluppato un progetto che, sebbene
abbia subito delle modifiche in itinere sul piano delle metodologie e
dell'organizzazione del lavoro a causa di impedimenti di tipo organizzativo, ha
portato alla produzione di un video multimediale e di un album da disegno frutto
54 Cfr. Roche, L'intelligenza prosociale, cit. e Cottini, Didattica speciale e integrazione
scolastica, cit.
della collaborazione con i bambini e le maestre.
Ho cercato di lavorare tenendo conto delle singole difficoltà, le quali hanno
tuttavia impedito il coinvolgimento dell'intera sezione in alcune delle attività
proposte. Il bambino di origini marocchine, ad esempio, a causa delle ripetute
assenze non ha partecipato all'intervista iniziale né al momento ludico a grande
gruppo, perdendo così l'occasione di facilitare le conoscenze reciproche.
La difficoltà nella realizzazione del programma mi ha portato a riflettere
sull'importanza e sull'arduo compito del docente di pensare e progettare in
dettaglio scelte e strategie per facilitare e coinvolgere tutti i bambini. E ciò anche
in accordo con i temi affrontati durante gli incontri di formazione che mettevano
l'accento sull'integrazione, sulla relazione educativa che prevede la necessità di
mettersi in gioco con uno stile comunicativo assertivo, attraverso l'utilizzo delle
tecniche dell' ascolto attivo55.
55 Gordon T., Relazioni Efficaci, Come costruirle, come non pregiudicarle, La Meridiana,
Firenze 2005.
5.2 Alcune indicazioni didattiche56
Nel progettare l’attività di tirocinio, mi sono chiesta quali abilità sociali fosse
importante sostenere per favorire l’integrazione della bambina disabile presente in
sezione e attraverso quali metodologie.
Ho scelto di focalizzare la mia attenzione su queste abilità:
Capacità conversazionali: stimolare l’utilizzo di formule di cortesia, quali i
saluti e l’utilizzo di formule come “per favore” e “grazie”; sorridere per
entrare in contatto con l’amico; mantenere il contatto visivo durante la
conversazione; utilizzare espressioni facciali appropriate alle situazioni;
usare un corretto tono di voce; sapere rispettare i turni di parola; mostrare
di attuare un ascolto attivo.
Abilità legate alle relazioni amicali: saper fare amicizia; accettare scuse
e/o ringraziamenti; saper cogliere l’umore di un amico e rispettarlo;
favorire relazioni di sostegno.
Queste semplici, ma fondamentali abilità, possono essere stimolate già nei
bambini di scuola dell’infanzia attraverso alcune delle seguenti metodologie:
Modelling: per primo l’insegnante deve avere nei confronti dei bambini un
atteggiamento prosociale.
Giochi di ruolo: chiedere ai bambini di provare a mettersi nei panni di un
amico attraverso il gioco di ruolo, per riflettere sulle emozioni che l’altro
può provare in una determinata situazione.
Mimo: utilizzare il mimo senza l’utilizzo della parola verbale, lasciando
così spazio al linguaggio corporeo.
56 Le informazioni contenute in questo capitolo sono state estrapolate dal capitolo 5 del testo di
D. Mitchell, What really works in Special and Inclusive Education, Routledge, 2014, pp. 58-65
Aiutare i bambini a riflettere su avvenimenti realmente accaduti
all’interno della sezione: ripercorrere con i bambini come sono andate le
cose e aiutarli a riflettere su quello che i vari protagonisti hanno provato.
Dando istruzioni verbali
Raccontando storie: nelle quali sono evidenti comportamenti prosociali e
nelle quali vengono esplicitate le conseguenze anche non visibili di questi
comportamenti.
Giocando: il gioco soprattutto nella scuola dell’infanzia è un’ottima
metodologia per veicolare gli apprendimenti.
5.3 Interventi diretti in sezione
Il mio progetto di Tirocinio è stato suddiviso in 4 fasi, precedute da una pre-fase
alle attività vere e proprie.
Durante la pre-fase è stata porposta ai bambini la lettura di alcuni libri a tema per
avvicinarli agli argomenti trattati.
Fatto questo, anche su consiglio delle maestre, per evitare di giungere al momento
ludico, cuore del progetto, sprovvisti di una terminologia di base da utilizzare coi
bambini e di una consapevolezza sull'argomento, ho progettato un momento
individuale: L'intervista.
Gli scopi dell'intervista sono stati, in primis, riflettere sulle proprie qualità ovvero
conoscere se stessi per comprendere meglio gli altri e, in secundis, valutare le
proprie competenze prosociali confrontandosi con l'inventario dei comportamenti
prosociali proposto da Roche. Questi due aspetti sono stati poi arricchiti dal
questionario per la valutazione del comportamento prosociale nella scuola
proposto alle maestre.
Per ragioni legate alla giovane età dei discenti, gli strumenti progettati da Roche
sono stati proposti in forma ludica. Nello specifico, dell'ampio inventario ho
utilizzato esclusivamente la parte afferente alla valorizzazione positiva dell'altro
con riferimento agli item “smentire un compagno che tende a sottovalutarsi” e
“incedere in caso di punizione inflitta ad un compagno”57.
Per ottenere dei riscontri e per rendere più accattivante e divertente l'attività ho
57 Si veda in Appendice1 la storia degli Incredibili. Partendo dalla storia di Timidina (che crede
che il suo dono non valga nulla e piange) e Vulcanino (che si ribella alla punizione data
dall’arbitro) ho chiesto ai bambini come di sarebbero comportati loro in casi simili: cosa
avrebbero detto a Timidina per consolarla e cosa e cosa avrebbero fatto al posto di Vulcanino.
raccontato delle favole58 in cui i protagonisti erano supereroi e ho chiesto di
immaginare loro stessi nei panni degli Incredibili. L'idea di puntare sui supereroi è
stata anche motivata dal fatto che, a mio avviso, il super eroe è il prototipo di
persona prosociale, cioè di colui che si spende per il benessere altrui senza
secondi fini.
Con l'intervista è stata data la possibilità di parlare delle proprie qualità e di
immaginare se stessi in una situazione irreale in cui era richiesto di mettere in
pratica un atteggiamento empatico e prosociale.
Questa prima fase mi ha permesso di conoscere i bambini e poter svolgere in
modo più efficace il resto del programma. L'attività si è conclusa con uno scatto
fotografico in cui i bambini si sono cimentati in una posa da supereroe. Tale scatto
è stato modificato al pc e riproposto come fumetto, che hanno successivamente
colorato. La fase 1 è stata documentata mediante la trascrizione delle interviste.
Una volta concluse le interviste, è partita la fase 2: “Le qualità di...” o anche “Il
gioco delle cose belle da dire agli amici”. Per realizzare questa attività in grande
gruppo ci sono voluti 5 incontri, a causa dell’elevato numero di bambini presenti
in sezione. Prima di presentare il gioco, grazie all'aiuto delle maestre, abbiamo
rispolverato i temi trattati con le letture e le interviste, e poi, in base a un ordine
che ho ritenuto importante seguire per la riuscita del gioco, abbiamo fatto partire il
momento ludico, chiamando un bambino per volta.
L'alunno posto al centro dell'attenzione sedeva su una sedia di fronte all'assemblea
riunita a mezza luna. A questo punto utilizzando la tecnica dell'alzata di mano,
ogni bambino doveva dire una caratteristica positiva del bambino seduto al centro
dell'attenzione. In un primo momento, i discenti hanno fatto molta fatica a
sganciarsi da quelle che potevano essere descrizioni sull'aspetto fisico o notizie e
curiosità sui compagni. Dopo un po' di pratica e numerosi chiarimenti da parte
58 Sul punto si veda l'Appendice
degli adulti presenti, che hanno cercato di porre l'accento sulle abilità proprie
degli alunni e in particolare sulle condotte prosociali, l'attività è risultata di forte
gradimento, soprattutto per quelli al centro dell'attenzione.
Durante i cinque incontri solo un bambino ha mostrato insofferenza nei confronti
del gioco, ritenendolo noioso, mentre il resto della sezione ha partecipato in modo
entusiastico. Anche questa seconda fase è stata documentata mediante la
trascrizione dei dialoghi.
Uno dei momenti più significativi del gioco è stato, secondo me, il caso di L. un
bambino di 5 anni con un evidente ritardo linguistico problematica che aveva reso
difficile anche l'intervista). Durante le prime battute del gioco “Le qualità di...” L.
era rimasto in silenzio. Spronato dalle maestre a dire la sua, L non aveva proferito
parola. Sino a quando, giunto il suo momento, tra le tante cose belle dette dai
bambini su di lui è saltata fuori la sua capacità di imitare i versi degli animali.
Abbiamo a questo punto spiegato che tale abilità può essere definita di
“drammatizzazione”, tipica ad esempio degli attori. L. ha accolto con grande gioia
i complimenti degli amici e, in particolare, questo paragone con gli attori. Subito
dopo il suo momento da protagonista del gioco, L. ha iniziato a dire la sua,
elargendo complimenti ai compagni.
La terza fase del progetto ha avuto come focus il caso della bambina con
disabilità. Per favorire la sua partecipazione all'attività e la presa di coscienza
delle qualità di R, la maestra è partita dal concetto che nel mondo esistono dei
bambini con abilità e diritti speciali (agganciandosi, in tal modo, al tema sui
diritti, trattato nello stesso periodo). Subito dopo, abbiamo chiesto ai bambini di
indicare ciò che rende R speciale ovvero le sue qualità.
I bambini, ormai abili in questo gioco, hanno iniziato a parlare del suo essere
affettuosa e solare. Si è cercato di far riflettere l'assemblea sull'abilità tipica di R.,
vale a dire sul suo esprimersi attraverso la lingua dei segni. È stato, infine,
organizzato un lavoro a grande gruppo per ripassare le espressioni gestuali che R
usa quotidianamente. È stato bello osservare la soddisfazione di R di essere al
centro dell'attenzione e la conoscenza che i bambini avevano della sua lingua,
arricchita quel giorno da alcuni nuovi gesti proposti dal neuropsichiatra.
La quarta fase, infine, ha portato a due diversi tipi di restituzione. Il primo tipo di
restituzione è stato ad un tempo personale e di gruppo: sono stati trascritti tutti i
dialoghi dell'attività ed è stato realizzato una sorta di album all'interno del quale
ad ogni fotografia/disegno di supereroe è stato affiancato il rispettivo dialogo sulle
“qualità” a grande gruppo.
Una seconda restituzione è stata pensata per la sezione, prendendo spunto dalle
conversazioni a grande gruppo e dalle interviste individuali ho realizzato una sorta
di favola corale59 che ho poi presentato ai bambini sotto forma di video
multimediale. La scelta di ricorrere al video animato è stata dettata dal desiderio
di proporre ai bambini qualcosa di fresco e divertente per conquistare la loro
attenzione e curiosità.
59 Si rimanda all'Appendice
5.4 Un bilancio dell’esperienza di tirocinio
L'esperienza di tirocinio mi ha permesso di entrare nel mondo della didattica per
l'infanzia e dell'educazione emotiva e mi ha dato molti spunti di riflessione relativi
a come organizzare la didattica nel mio futuro da insegnante.
Fondando il mio progetto su una base teorica importante, ho capito l’importanza
di focalizzare l’attenzione sulle varie abilità dei bambini per non lasciare “fuori”
nessuno, stimolando al tempo stesso la loro motivazione e il loro interesse. I
risultati dell’esperienza di tirocinio lasciano a mio avviso intendere le potenzialità
di un progetto sulla prosocialità. I bambini messi al centro dell’attenzione,
sentendosi “visti” nelle loro qualità positive dai compagni, hanno mostrato di
essere in grado di tirare fuori le loro risorse e, contagiati da uno sguardo positivo,
sono stati capaci di guardare i compagni con occhi nuovi.
In un’ottica inclusiva un lavoro di questo tipo si mostra necessario e utile: aiutare i
bambini a cogliere “abilità altre” nei compagni con disabilità aumenta al tempo
stesso la capacità dei bambini di valorizzare ogni persona e di vedere in se stessi
qualità che in un primo momento potevano non avere notato. Così facendo si
migliorano le relazioni tra i compagni e il clima della classe.
In questo modo prosocialità e inclusione si sostengono reciprocamente: se da un
lato potere godere di una prossimità fisica con bambini con disabilità ha reso
possibile e necessario lo sviluppo di abilità prosociali da parte dell’intero gruppo
classe, dall’altro lo sviluppo di abilità prosociali rende possibile un’integrazione
di qualità, che non si limita ad essere auspicata nei documenti, ma uscendo dalla
carta si colora della vita e della freschezza di cui i bambini sono particolarmente
capaci.
Infatti, un ambiente di apprendimento efficace deve necessariamente tenere in
considerazione l’aspetto affettivo-emotivo dei bambini e non solo quello
cognitivo. Così è plausibile che in un clima positivo di accettazione e
valorizzazione reciproca i bambini possano più facilmente mettere in gioco le loro
abilità cognitive per raggiungere un apprendimento significativo. In questo senso
possiamo ipotizzare che un’educazione alla prosocialità aiuti a realizzare
pienamente l’integrazione perché permettere al bambino disabile, che si sente
accettato e visto nelle sue qualità peculiari, di mettere in gioco le sue abilità
cognitive per raggiungere l’apprendimento personalizzato che le insegnanti hanno
pensato per lui.
Possiamo quindi affermare che prosocialità e integrazione si completano
vicendevolmente in un circuito virtuoso a favore di tutti i bambini, compresi
quelli con disabilità.
Un'eventuale evoluzione di questo lavoro potrebbe essere quella di mettere in
relazione le risposte al questionario di valutazione con le condotte dei bambini in
sezione, per verificare la corrispondenza tra i responsi e il grado di prosocialità
delle condotte dei bambini stessi. Questo potrebbe dare inizio ad interventi mirati
(lavori a piccolo gruppo, laboratori...) per aumentare il livello di prosocialità delle
loro azioni.
Conclusioni
Questo lavoro mi ha dato la possibilità di avvicinarmi ad una tematica di studio, la
prosocialità, che ritengo di grande attualità in termini di importanza teorica e con
enormi potenzialità di azione nel campo dell'agire scolastico.
La difficoltà maggiore che ho riscontrato durante il mio percorso di studio per la
stesura della seguente tesi è stata quella di individuare delle strade maestre per
circoscrivere i temi trattati. Alla prosocialità sono infatti sottesi numerosissimi
argomenti che, di volta in volta, aprono a scenari sempre nuovi. A mio avviso il
risultato ottenuto risente di queste contaminazioni che da un lato sono limite
perché inoculano troppi argomenti, dall'altro sono risorsa perché propongono
spunti di riflessione. Tra i tanti, quello che vorrei riproporre a chiusa di questo
lavoro è la personale convinzione che nella scuola sia necessario dare prestigio a
tutte le attività ispirate e sorrette dalla prosocialità e che sia utile impegnare
risorse e persone per creare spazi specifici per l'apprendimento della prosocialità,
strada sicura per un rafforzamento ad un'educazione emozionale.
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Appendice
N. 1 Favole narrate durante l'Intervista
In un minuscolo asteroide, sperduto nella galassia, vivono 25 incredibili.
Ognuno di essi ha un super potere che lo rende diverso e speciale.
Gli Incredibili 25 ogni tanto litigano e si fanno i dispetti. Ma, tutto sommato, nel
loro piccolo pianeta regna la pace e l'allegria.
Un giorno però a Timidina, un incredibile col potere di essere particolarmente
gentile ed educata – non parla, infatti, mai a sproposito, rispetta i turni di parola
e li fa rispettare – le passa per la testa un pensiero buffo: Non si è mai visto in
nessun altro pianeta un super eroe con un potere come il mio!
Comincia così a credere che il suo potere non valga nulla e a desiderare di essere
diversa.
Timidina inizia a piangere e scivola in una profonda tristezza.
(Item: Smentire un compagno che tende a sottovalutarsi)
Un giorno Vulcanico un incredibile con un carattere un po' irascibile, ma buono
come il pane – grazie al suo super potere, quello di lanciare getti di vapore, in
tutto l'asteroide c'è l'acqua calda per lavarsi e cucinare – viene pesantemente
punito dall'arbitro durante una partita di pallone per la sua condotta aggressiva.
Durante il gioco Vulcanino, in preda ad uno scatto d'ira, si scaglia contro un
compagno di gioco e fa qualcosa che non avrebbe dovuto fare.
Così l'arbitro gli proibisce di giocare a calcio per un anno malgrado sia il suo
gioco preferito.
(Item: Incedere in caso di punizione inflitta ad un ompagno)
N. 2 Esempio di Intervista a una bambina della sezione C., 5 anni.
Cos'è un asteroide? Palla di fuoco che cade dal cielo.
Chi sono i super eroi? Sono le persone che hanno un costume e una maschera e
salvano il mondo quando ci sono i cattivi.
Se tu fossi un supereroe quale sarebbe il tuo super potere? Un flauto per salvare
le persone che fa illusioni per sconfiggere i cattivi.
Pensando alle tue qualità, quelle cose speciali che appartengono solo a te e ti
rendono diversa/o dagli altri, quale sarebbe il tuo super potere? So fare le
coccole e sono un po' buffa.
E come useresti il tuo potere? Farei le coccole per tirare su il
morale a quelli che sono un po' tristi.
Se tu fossi il suo miglior amico cosa le diresti per farla smettere di piangere? Le
direi che quando cade giù si deve rialzare. Poi le darei un abbraccio e le farei
sentire il suo super potere come è forte.
Secondo te il super potere di Timidina è utile o non serve a nulla?
Perché?
Se tu fossi l'arbitro dell'incontro lo puniresti così severamente? No, un anno
intero è troppo.
Se fossi il miglior amico di Vulcanino diresti qualcosa all'arbitro per convincerlo
a ridurre la punizione? Io direi che non è stata colpa sua ma colpa mia.
Perché vuoi prenderti colpe non tue? Perché è il mio miglior amico.
N. 3 Esempio di Questionario per la valutazione prosociale del contesto
didattico
Questionario per la valutazione prosociale del contesto scolastico.
Valuta il bambino su ognuno dei comportamenti indicati, utilizzando una scala da
0 a 4
0 indica che il comportamento non si è mai verificato;
1 ….................................si è verificato qualche volta;
2 ….........................................................abbastanza spesso;
3................................................................spesso;
4.................................................................sempre o quasi sempre.
Aiuta un compagno con un problema fisico a svolgere un'attività.
Aiuta un compagno ad evitare situazioni pericolose.
Lascia le strutture della scuola in ordine.
Aiuta a spostare materiale della classe.
Presta i suoi giochi o altri oggetti personali ai compagni.
Racconta ai compagni qualche esperienza personale.
Spiega agli altri le regole dei giochi quando non le hanno capite bene.
Informa i compagni delle decisioni prese nelle assemblee.
Parla con chi è triste e lo consola per tutto il tempo necessario.
Tranquillizza un compagno agitato.
Valuta positivamente il lavoro altrui.
Ringrazia gli altri della collaborazione.
Difende i lati positivi dei compagni nelle conversazioni.
Incoraggia i compagni ad esprimere le loro opinioni e dà valore alle loro
idee.
Ascolta i compagni e gli insegnanti mentre spiegano qualcosa.
Sta zitto quando parlano gli altri.
Si rallegra della felicità altrui.
Si siede accanto ad un compagno emarginato e lo aiuta.
Si comporta in maniera adeguata con tutti, indipendentemente dal sesso,
razza, posizione sociale...
Fa da mediatore nei conflitti di gruppo.
N. 3 Album Fotografico
N. 4 Favola multimediale. “Gli incredibili 25”
Nello spazio infinito c'era un pianeta piccolo piccolo.
Il suo unico villaggio era pieno di casette in legno colorato poste attorno alla
piazza rotonda. Surfinie bellissime a cascata pendevano dai balconi.
In questo pianeta vivevano 25 incredibili, ognuno di essi con un super potere
diverso e speciale.
Benchè fossero amici ltigavano dall'alba al tramonto. “Tu non sai fare nulla”
gridava un supereroe al suo amico durante il gioco delle costruzioni. “Mentre tu
sei un disastro con le macchinine” ribatteva l'altro. “Tu non hai gusto nel vestirti”
urlava una supereroina alla sua compagna di giochi. E l'altra di contrappunto
dichiarava stizzita: “e tu non sei capace di acconciarti i capelli”. “I so contare sino
a 100”. “Io invece so scrivere il mio nome con la sinistra”.... “Io qua, io là...Tu
giù, tu su”.
Un bel giorno un anziano e saggio principe, che viveva nel pianeta vicino, sbucò
all'improvviso. “Io vivo nel pianeta di fianco al vostro” disse “e tutto il giorno non
sento che strillare. A causa dei vostri continui litigi non c'è più pace. Non si può
vivere così! Un giorno ve ne pentirete!”. Detto questo l'anziano principe si girò e
sparì, così come era venuto.
Non appena se ne fu andato gli incredibili 25 ripresero a litigare. E litigarono e
litigarono, così furiosamente che non la smisero più. Lentamente il loro grazioso
villaggio andò in rovina. La piazza divenne un cumulo di sporcizia e le surfinie,
un tempo splendenti, si seccarono e appassirono.
Così l'anziano principe, che osservava dall'alto la situazione, decise di intervenire
un'ultima volta. Ritornò sul pianeta e si recò dalla supereroina più saggia e le
disse: “invece di litigare per ciò che non vi piace dell'altro, fate che siano le cose
che ammirate dei vostri amici ad unirvi”.
La supereroina così chiamò tutti i suoi amici e li radunò nella piazza rotonda. “Vi
insegno un nuovo gioco” disse “Le cose belle da dire agli amici. Ciascuno di noi
dirà quello che ci piace di più dell'altro e che lo rende unico e speciale. Le qualità,
non solo fisiche, soprattutto caratteriali”
Oggi dimenticheremo ciò che ci divide e daremo importanza a ciò che ci unisce”.
Gli incredibili 25 iniziarono così, e non senza fatica, a dire “amo la tua
gentilezza”, “mi rassicura la tua presenza”, “mi dà allegria averti accanto”, “la tua
fantasia è senza limiti”...
A poco a poco sul Pianeta ritornò la pace, la piazza ritrovò il suo aspetto pulito e
ordinato di sempre e sulle casette il sole illuminava fiorellini dai mille colori. Di
tanto in tanto gli incredibili litigarono ancora e si fecero i dispetti. Tutto sommato,
però, nel loro piccolo pianeta adesso regna la pace e l'allegria.
N. 5 Illustrazioni della favola
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
Appendice bibliografica
Tabella A
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Relazione finale di tirocinio
Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
DIPARTIMENTO DI EDUCAZIONE E SCIENZE UMANE FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
ANNO ACCADEMICO 2018/2019
RELAZIONE FINALE DI TIROCINIO
NOME Rosa
COGNOME Gioffrè
NUMERO MATRICOLA 93160
NUMERO TELEFONO 3493953554
E MAIL : [email protected]
TUTOR Elisabetta Roberti
INDICE
CAPITOLO I: Breve storia del mio tirocinio ...............................................pag. 93
CAPITOLO II: Presentazione di una mia esperienza di tirocinio svolta, a scelta fraIV o V anno e fra modulo libero o modulo a progetto ................................pag. 103
CAPITOLO III: Le mie prospettive future ..................................................pag. 107
Capitolo I
Breve storia del mio tirocinio
Nel corso della mia carriera universitaria, a partire dal secondo anno di corso, ho
avuto modo di svolgere diverse esperienze di tirocinio che di seguito riassumo
1. Tirocinio del II e del III anno
I tirocini del secondo e del terzo anno di carattere osservativo sono stati svolti, per
motivi personali, l'uno di seguito all'altro ed entrambi presso un Istituto
comprensivo di un paese della Val d'Enza.
1.1. T2 e T3. La scuola dell'infanzia
La scuola dell'infanzia nella quale ho realizzato i Tirocini del secondo e del terzo
anno è una piccola realtà educativa situata nel cuore del paese.
Il plesso che ospita la scuola dell'infanzia statale è un edifico costruito nel 1927
durante il Ventennio fascista per scopi educativi. Lo spazio, se pur pensato in
origine per accogliere e ospitare bambini, oggi appare in parte inadeguato per le
nuove generazioni – malgrado due interventi del comune, il primo venti anni fa e
il secondo nell'estate del 2012, abbiano tentato di modernizzare la struttura per
renderla meno obsoleta60.
Gli ambienti della scuola dell'infanzia statale, che ospitano solo 3 Sezioni (3 anni,
4 anni e 5 anni), non risultano spaziosi e confortevoli, sebbene luminosi e puliti.
Durante la mia esperienza di tirocinio i bambini, per mancanza di spazio,
dovevano dormire nelle stesse sezioni in cui trascorrevano la maggior parte delle
giornate. Il piccolo cortile della scuola non permetteva alle maestre di organizzare
attività all'aperto: la sola cosa possibile era quella di lasciare i bambini giocare
60 Per un affresco sull'educazione durante il Ventennio fascista e per una panoramicadell'evoluzione del mondo scuola cfr. Franco Cambi, Manuale di Storia della Pedagogia,Laterza, Roma 2011.
fuori con i pochi giochi a disposizione durante le belle giornate e comunque per
solo 30 minuti prima dell'arrivo del pranzo.
Ai tempi della mia esperienza osservativa, le due maestre e l'educatrice, che
seguiva un bambino autistico, facevano i conti quotidianamente con tutte le
problematiche derivanti dalla mancanza di spazio. Situazioni che venivano di
volta in volta affrontate e ovviate. I bambini, ad esempio, erano soliti fare delle
gite fuoriporta o andare nella biblioteca comunale, limitrofa alla scuola, per
scegliere testi da leggere in classe. E ancora, ai bambini venivano proposte
passeggiate in paese, mostre e gite in campagna.
Le maestre si impegnavano a portare avanti percorsi orientati sulle relazioni
interpersonali e all'integrazione, valorizzando il melting pot presente in sezione.
Su 17 bambini, infatti, 7 erano di origini africane (tra questi il bambino autistico)
e 2 di orgini slave. Le maestre, quindi, privilegiavano un tipo di lavoro incentrato
sulla conversazione, sulle letture, sull'ascolto della musica, sullo stare bene
insieme. I bambini dal canto loro non sembravano a disagio e in sezione si
respirava un clima sereno e accogliente.
1.2. T2 e T3. La scuola primaria
La scuola primaria nella quale ho svolto il tirocinio è un grande plesso situtato nel
centro del paese.
La costruzione, risalente al 1937, e quindi realizzata secondo i canoni stilistici
imposti dal regime, ha nella monumentalità la sua caratteristica principale. La
scuola ha un'utenza numerosa e diversificata, dal punto di vista socio-culturale: vi
sono classi a tempo pieno e classi a modulo. Sono presenti spazi di
socializzazione come il grande cortile e la palestra, che ai miei tempi fungeva
anche da refettorio. L'aula che ospitava la biblioteca era dismessa, mentre la sala
computer (con una grande quantità di apparecchiature) veniva poco valorizzata e
sfruttata dal personale docente e dai bambini per scopi didattici.
Il tirocinio del III anno, durante l'anno scolastico 2016-2017, si è intrecciato con
la mia prima esperienza di maestra nella stessa scuola primaria. Grazie alla messa
a disposizione, infatti, era stato possibile inserirmi all'interno del mondo scuola.
Una parte del tirocinio osservativo era stata svolta in una classe prima durante le
ore di matematica e italiano. In questa situazione avevo fatto da supporto alla
maestra e seguito un bambino di origini slave con difficoltà nella letto-scrittura.
La restante parte era stata, invece, coperta dalle mie ore di supplenza nelle classi
seconde e quinte primarie come docente di scienze, tecnologia, geografia ed
educazione fisica.
2. Tirocinio del IV anno
Il Tirocinio del quarto anno, sempre per motivi personali, è stato spezzato in due
anni accademici. La prima tranche, corrispondente al modulo libero, si è svolta in
una realtà educativa statale della Val d'Enza, mentre la seconda, e legata al
progetto “Gancio, la stanza di Dante”, recuperata nei mesi di settembre, ottobre e
novembre del 2018, in una scuola dell'infanzia comunale.
2.1. T4. La scuola primaria
La scuola primaria in cui ho svolto il T4 è una piccola e graziosa realtà, immersa
nella zona verde e residenziale di un paese a metà strada tra le province di Reggio
e Parma. L'edificio ospita 10 classi, tutte a tempo pieno, e dispone di numerosi
spazi interni (aula inglese, laboratorio attività espressive, palestra, aula
informatica, mensa, biblioteca) ed esterni (ampia zona verde e attrezzata) ben
organizzati.
La classe che ho avuto modo di osservare era una terza, composta da 22 bambini
seguiti da 3 maestri: una maestra sulle materie umanistiche, un maestro su quelle
scientifiche e logico-matematiche e una maestra sul sostegno.
La classe aveva una composizione eterogenea: molti i casi di bambini di culture
"altre", presente un caso di disabilità intellettiva, frequenti situazioni di dislessia,
disortografia, discalculia e, infine, presenza di un bambino iperattivo con
certificato ADHD.
Nonostante le molte difficoltà, il gruppo classe lavorava a pieno regime,
mostrando grande concentrazione durante lo svolgimento delle lezioni, soprattutto
di quelle umanistiche. Durante i due mesi di tirocinio il focus dell'osservazione
sono state le materie scientifiche: nello specifico matematica e scienze.
Superate le ore di osservazione, il mio lavoro con la classe si era basato sul
supporto ad un bambino di origine turca con carenze nella sfera comunicativa.
Sebbene nelle materie logico-matematiche questo bambino non avesse grandi
problemi, le sue difficoltà linguistiche gli impedivano di interagire pienamente
anche durante le ore di matematica e di integrarsi col gruppo classe.
2.2. T4. La scuola dell'infanzia comunale
Ho realizzato il tirocinio del quarto anno presso la scuola comunale dell'infanzia
di un paese della provincia di Reggio Emilia. La scuola, ai tempi della mia
esperienza, ospitava in tutto 103 bambini, suddivisi in tre sezioni di 26 bambini a
tempo pieno (3, 4 e 5 anni) e una sezione mista di 25 bambini part-time solo
mattina. Il personale educativo era composto da 8 insegnanti e da 3 insegnanti di
sostegno. All'interno della scuola era previsto un atelierista per incentivare i
linguaggi dell'espressività e della creatività nel processo di crescita del bambino.
Dal punto di vista strutturale la scuola comunale è molto bella. Le sezioni sono
grandi e luminose, ordinate e pulite. La piazza è anch'essa molto grande e piena di
libri. L'atelier è piccolo, ma trasmette una grande quantità di stimoli per la
presenza di numerossime opere di fantasia e di ingegno e un enorme quantità di
materiali di svariato genere. Il giardino è grande e ben tenuto. Affascinante la
presenza del giardino pensile. La mensa interna, infine, rappresenta un valore
aggiunto.
La sezione 5 anni, nella quale ho svolto il T4, era composta da 25 bambini, 2
maestre e un'educatrice sul sostegno (15 ore). I bambini erano quasi tutti italiani,
le uniche eccezioni erano rappresentate da due di nazionalità rumena e un bimbo
marocchino, giunto in sezione a metà ottobre. Molti i casi di nati in Emilia con i
genitori di origine meridionale. La sezione ospitava, inoltre, una bambina disabile,
affetta dalla sindrome di Rubistein Taybi, una rara malattia genetica caratterizzata
da ritardo mentale e deficit linguistico.
Il tirocinio si è protratto per quasi tre mesi: dalla prima decade di settembre sino
alla fine di novembre. Essendo un tirocinio a progetto, ho avuto modo di proporre
alla pedagogista, alle maestre e ai bambini un lavoro incentrato sui temi della
prosocialità61. Di questo progetto si discuterà nella mia tesi di laurea.
3. Tirocinio del V anno
3.1. T5. La scuola primaria
La parte del modulo a progetto del tirocinio del quinto anno, “Un credito di
fiducia al bambino che apprende”, è stata svolta in una piccola scuola primaria
statale nel cuore di un paesino della provincia di Reggio Emilia. La scuola è cinta
da un bellissimo giardino nel quale i bambini realizzano attività out-door (ad
esempio la cura dell'orto). La scuola possiede un piccolo laboratorio, ben fornito,
che funge anche da sala computer e un'aula di musica. L'androne è abbastanza
grande per favorire momenti di socializzazione tra le diverse classi durante le
attività in-door. La palestra è esterna alla scuola e raggiungibile mediante un
pulmino.
Nell'edificio sono presenti sia classi a tempo pieno che a modulo. L'utenza non è
molto variegata dal punto di vista socio-culturale. Nella classe prima primaria
nella quale ho svolto il tirocinio a progetto vi erano 20 bambini, tutti madrelingua
italiana, ad eccezione di due bambini: uno madrelingua cinese ed un'altra
madrelingua tedesca. Di questa esperienza parlerò nel prossimo capitolo.
61 Sui temi della prosocialità cfr., dal punto di vista generale, Robert Roche Olivar, L'intelligenzaprosociale. Imparare a comprendere e comunicare i sentimenti e le emozioni, Erikson, Trento2002, e L. Cottini, Didattica speciale e integrazione scolastica, Carocci Editore, Roma 2016, pp.105-157, per una sintesi dell'argomento.
3.2. T5. La scuola dell'infanzia statale
La scuola dell'infanzia statale in cui ho svolto il tirocinio del quinto anno è
costituita da 5 sezioni tutte miste che accolgono bambini e bambine (circa 26
bambini per ogni sezione) dai due ai sei anni d’età. Tutte le sezioni sono ampie
luminose e ben strutturate e con servizi igienici; la sezione A attualmente è
collocata in uno spazio destinato a salone, in attesa del nuovo intervento edile,
pertanto è l’unica sezione a non avere i servizi igienici all’interno.
Sullo stesso piano si trova anche un mini atelier, spazio destinato al ricovero
materiali didattici di facile consumo.
Il piano di sotto ospita il refettorio e la stanza del sonnellino pomeridiano. La
mensa non è interna e questo non depone a favore della scuola.
La scuola è dotata di un ampio cortile e di ampi giardini anteriori e posteriori,
entrambi allestiti con giochi da esterno.
Le insegnanti sono due per sezione con una compresenza dalle ore 10.30 alle ore
12.30 , più due insegnanti di sostegno.
Dal punto di vista socio-culturale la scuola è un prezioso melting pot. Bambini di
diverse nazionalità arricchiscono con la loro presenza, naturalmente portatrice di
diversità, la scuola.
Nella Sezione dei Rossi, in cui ho svolto il tirocinio, ho potuto constatare che
traspare un clima positivo e tranquillo. I bambini hanno dato prova di vivere
serenamente all'interno di una Sezione mista. Le maestre, lavorando assiduamente
sulle relazioni personali, hanno abituato i bambini a lavorare insieme, confrontarsi
e discutere.
4. Per ciascuna annualità di tirocinio, descrivere in modo sintetico le peculiarità
di ciascun contesto nei quali si sono realizzate le esperienze
Per il secondo anno era previsto un tirocinio solo osservativo e di breve durata (36
ore totali suddivise nei due ordini di scuola), con lo scopo di iniziare pian piano ad
entrare nella scuola in qualità di osservatori e vedere da vicino l’organizzazione
della scuola e le modalità didattico-pedagogiche fino a quel momento studiate
solo teoricamente. Come ho avuto modo di spiegare, il tirocinio del terzo anno
può considerarsi un continum del secondo, sebbene il monte ore (100 suddivise
nei due ordini di scuola) e l'impegno profuso siano stati differenti. Il tirocinio del
terzo anno, infatti, ha avuto come focus l’osservazione sistematica, che era
supportata questa volta da strumenti e griglie di osservazione messi a disposizione
dall’università: un diario strutturato AVSI62 e una griglia di osservazione
dell’attività didattica.
Nelle scuole (primaria e dell’infanzia) in cui ho svolto il tirocinio della terza
annualità era molto alta la percentuale di bambini figli di migranti.
Come prime esperienze, ciò che mi ha colpito maggiormente nella scuola
dell’infanzia è stata l’organizzazione della sezione, pensata per i bambini e a
misura di bambino.
L'aula che ospitava la sezione dei 3 anni era la più piccola della scuola e di
dimensioni ridotte, tanto è vero che i vari spazi strutturati parevano sovrapporsi
gli uni sugli altri: l'angolo dei giochi da tavolo; l'angolo travestimenti; l'angolo
dell'assemblea (al cui interno vi erano i cassetti delle costruzioni); la libreria;
l'angolo per le attività grafico pittoriche; l'angolo cucina e l'angolo delle bambole.
Come ho avuto modo di apprendere durante la mia esperienza da tirocinante, una
sezione di una scuola dell'infanzia si pone l'obiettivo di ricostruire la vita reale
nelle sue dimensioni63. Attraverso questa imitazione avviene il gioco-simbolico64,
importante per l'educazione dei bambini, per la loro maturazione e per la
condivisione con i compagni di sezione.
Per quanto riguarda, invece, i materiali, i bambini maneggiavano oggetti in parte
di proprietà della scuola e in parte di “riciclo” ovvero, una volta effettuata una
cernita dei giochi o dei libri donati dai genitori dei bambini, questi diventavano
parte della sezione. Questi oggetti prima di entrare in sezione dovevano, però,
62 Becchi, E., Bondioli, A., Ferrari, M., Gariboldi, A., Savio, D., AVSI - autovalutazione dellascuola dell’infanzia, Edizioni junior, Milano 2008.
63 Considerazioni di carattere generale anche su Caterina Satta, La nuova sociologia dell'infanzia,Carocci, Roma 2012.
64 Antonella Marchetti, Davide Massaro, Capire la mente: la psicologia ingenua del bambini,Carocci, Roma 2012; Anna Emilia Berti, Anna Silvia Bombi, Psicologia del bambino, IlMulino, Bologna 1994.
superare un severo controllo di sicurezza. In primis, dovevano essere sicuri e
adatti a bambini di 2 anni e mezzo; e poi i materiali dovevano essere naturali. Il
legno, ad esempio, si preferiva alla plastica. La cucina, la libreria, i tavolini, le
sedie, i cassettoni dell'angolo assemblea... erano completamente realizzati in
legno. Anche se gli accessori erano di plastica!
Nel modulo libero, realizzato in una scuola statale, la collaborazione tra le due
insegnanti di classe, in cui ho svolto la parte osservativa, è stato uno degli aspetti
che mi ha maggiormente colpito. Nonostante insegnassero discipline differenti
erano collaboranti tra loro e non solo nella programmazione, ma anche nella
conduzione delle loro attività cercando gli aspetti multidisciplinari degli
argomenti proposti, in modo da poter lavorare insieme. Essendo in classe presenti
alcuni bambini con difficoltà dell’apprendimento ho avuto modo di osservare
come venivano organizzati i materiali e gli strumenti ad hoc per loro e come
venivano progettate e condotte le attività didattiche affinché fossero comprensibili
per tutti i bambini.
Decisivi per il mio percorso di tirocinio sono stati gli ultimi anni (quarto e quinto).
Il tirocinio del quarto anno consisteva in un totale di 150 ore, svolte per metà nella
scuola primaria e l’altra metà nella scuola dell’infanzia. Per la prima volta, da
tirocinante, ho avuto modo di mettermi alla prova, collaborando in prima persona
con le insegnanti, pensando e progettando varie attività.
In particolare, nel quarto anno ho effettuato il tirocinio del modulo libero presso la
scuola primaria statale di un piccolo paese emiliano. In questo caso le particolarità
principali riscontrate sono state: dal punto di vista della scuola in generale,
l'efficiente organizzazione degli spazi, e, nello specifico, l'abilità del giovane
docente di materie logico-matematiche di mantenere alte l'attenzione e le
prestazioni dei suoi alunni in un clima disteso e gioviale. Il maestro durante le ore
di matematica utilizzava il metodo "Analogico Bortolato" con contaminazioni
provenienti dalla didattica tradizionale. Il supporto della LIM era preponderante. I
bambini mostravano grande confidenza con gli strumenti multimediali messi a
disposizione dal maestro.
La scuola dell'infanzia comunale in cui è stato svolto il modulo a progetto
“Gancio, la stanza di Dante” mi ha incuriosito per la grande partecipazione ai
progetti di cittadinanza e salute, tutto ciò reso possibile grazie alle risorse
economiche destinate alla scuola dal comune. Per quanto riguarda l’approccio
didattico e le attività didattiche proposte dalle insegnanti, ho avuto modo di
osservare molti progetti innovativi organizzati che le insegnanti perseguivano, tra
cui il percorso “Una notte al Castello” e quello sulla psicomotricità; inoltre, la
sezione era ricca di materiale per svolgere qualsiasi tipo di attività e organizzata in
angoli specifici in cui i bambini potevano svolgere lavori differenti.
Nell’ultimo anno il modulo a progetto “Un credito di fiducia al bambino che
apprende” (75 ore), previsto per la scuola primaria, è stato svolto presso una
scuola statale. Di quest'ultima esperienza mi riservo di parlarne nel capitolo
successivo di questa relazione.
La scuola dell'infanzia in cui è stato svolto il modulo libero (75 ore), ha, a mio
avviso, la straordinaria caratteristica di essere una scuola di sole sezioni miste.
Sebbene per le maestre la didattica sia molto impegnativa, perchè continuamente
differenziata in tre fasce, ai bambini viene offerta la possibilità di trascorrere parte
del giorno in un luogo di socializzazione che ricorda la famiglia. Molta
importanza è data alla promozione dell’apprendimento sociale, cioè la possibilità
che i bambini imparino gli uni dagli altri attraverso il “mutuo aiuto” e la “spinta
all'emulazione”. Talvolta il metodo prevedeva che un piccolo venisse affidato ad
un medio o grande e che questi si occupasse di lui proteggendolo, aiutandolo e
passandogli le consegne.
Capitolo II
Presentazione di una mia esperienza di tirocinio,
a scelta tra IV o V anno e tra modulo libero o modulo a progetto
Durante il quinto anno di università ho avuto modo di svolgere il modulo a
progetto “Un credito di fiducia al bambino che apprende” presso una scuola
primaria di un paese della provincia di Reggio Emilia.
Il progetto “Credito di fiducia” coinvolge diverse istituzioni del territorio che
collaborano insieme per fornire formazione, accompagnamento e consulenza ai
docenti delle classi prime delle scuole primarie e ai tirocinanti del Corso di laurea
di Scienze della Formazione primaria per supportare i bambini che presentano
difficoltà o ritardi nell'acquisizione della letto-scrittura. Tali difficoltà vengono
osservate e rilevate attraverso due screening diagnostici che hanno il compito,
inoltre, di modificare l'approccio didattico-metodologico attraverso laboratori di
potenziamento ed evitare, così, che eventuali insuccessi si ripercuotano sul piano
della motivazione dei bambini.
Le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere questo percorso sono state la
curiosità verso l'insegnamento e l'acquisizione della letto-scrittura e le eventuali
problematiche connesse. Per raggiungere tali obiettivi personali, durante i
laboratori di potenziamento, ho cercato di individuare strategie e metodologie
incentrate sulle peculiarità dei bambini, atte a rafforzare eventuali debolezze
nell’acquisizione del codice della letto-scrittura e, al contempo, particolarmente
stimolanti per garantire il coinvolgimento e la partecipazione dei bambini
interessati e di proporre attività e usare modalità di varia natura orientate alla
specifica finalità educativa.
Il contesto con cui ho lavorato era costituito da una sola classe prima composta da
20 alunni. Tra questi vi erano due bambini bilingue: una bambina madrelingua
giapponese e tedesca (con grandi competenze in Italiano) e un bambino
madrelingua cinese (con pochissime competenze in lingua italiana).
Dallo screening di gennaio è emersa una situazione abbastanza tranquillizzante
dato che su 19 bambini (il bambino madrelingua cinese era assente) solo due sono
rientrati all'interno della fascia rossa ovvero a solo due bambini sono state
riscontrate delle “debolezze” nella transcodifica dal codice orale a quello scritto
Sulla base delle teorizzazioni di Ferreiro e Taberosky65, è stato possibilie collocare
questi due bambini a cavallo tra gli stadi sillabico convenzionale e alfabetico al
momento dello screening iniziale. Il bambino madreligua cinese, dopo un
confronto con la maestra prevalente, è stato, invece, ricondotto a cavallo tra lo
stadio degli scarabocchi e quello preconvenzionale.
Per motivi organizzativi e di gestione della classe, è stato deciso, sentiti i pareri
delle docenti, di organizzare un unico gruppo misto composto: dai due bambini in
fascia rossa, il bimbo cinese e un altro bambino, nello stadio alfabetico
convenzionale. La presenza di quest'ultimo alunno era giustificata dall'esigenza di
alleggerire il lavoro delle maestre sulla classe e di avere un elemento da traino per
stimolare il lavoro degli altri compagni di classe.
Durante il mio percorso ho realizzato 8 laboratori (distribuiti su 2 giorni alla
settimana) a piccolo gruppo di circa 30-40 minuti ciascuno, realizzati nella piccola
aula di informatica della scuola. Nonostante il gruppo fosse misto, ai bambini ho
proposto attività diversificate, seguendo un percorso graduale e privilegiando la
didattica digitale a quella cartacea. Ai 3 bambini, tra gli stadi preconvenzinali e
convenzionali, ho presentato: giochi di parole, dettati di “parole sciocche”, puzzle
di sillabe, letture, produzioni libere e creative, riflessioni sulle regole
grammaticali e fonologiche della sillaba e, su tutto, grazie all'ausilio di software
didattici (come “Sillabe” di Anastasis o “Completa le parole” di Ivana Sacchi),
abbiamo imparato a studiare in una modalità nuova ed affascinate per i bambini.
Al bambino madrelingua cinese ho consigliato invece pregrafismi, disegni liberi e
letture ad alta voce. I laboratori a piccolo gruppo hanno avuto quasi sempre un
momento ludico ad inizio o chiusura dell'attività. I giochi proposti sono stati: “io
sono il tuo specchio parlante”, “facciamo finta che...”, “è arrivato un trenino
carico di...”, “il gioco delle parole assurde”, “le rime baciate”...
A grande gruppo ho portato avanti un'opera di supporto dell'attività del docente e
65 Ferreiro, Taberosky, La costruzione della lingua scritta, Giunti Editore, Firenze 1994. Cfr.anche Ferreiro, Alfabetizzazione, Cortina Raffaello, Milano 2003.
di tutoring con i bambini con difficoltà maggiori attraverso un sostegno emotivo e
cognitivo. Soprattutto durante le ore di Italiano, insieme con la maestra
prevalente, preziosa tutor di tirocinio, che mi ha insegnato l'arte di insegnare
nell'atto di farlo, abbiamo proposto ai bambini esercizi con riflessioni
metafonologiche (segmentazione e fusione sillabica, riconoscimento della sillaba
iniziale delle parole, riconoscimento di quelle finali, divisione orale delle parole
composte...) e realizzato lavoretti di scrittura libera e creativa. Ho, infine,
sottoposto all'attenzione della classe video didattici, reperibili sul web, alla fine
delle lezioni allo scopo di trovare, grazie al supporto della LIM, un momento di
relax nella didattica digitale.
Nel mese di maggio lo screening ha confermato e, in parte, migliorato i risultati
dello screening iniziale. Molto buona la prestazione dei due bambini in fascia
rossa. Il bambino madrelingua cinese non è stato in grado di affrontare il test,
perchè – a suo dire – non aveva compreso la consegna. Su invito dell'insegnante
ha scritto paroline sparse a caso. Il dato positivo è, pertanto, un iniziale
miglioramento rispetto al punto di partenza, data la gran quantità di lettere scritte.
Il progetto “Credito di fiducia al bambino che apprende” è stata tra le esperienze
di tirocinio più importanti della mia carriera universitaria, perchè mi ha dato la
possibilità di mettermi alla prova in prima persona. Il tirocinio mi ha messo di
fronte a difficoltà crescenti (ad esempio la difficilissima gestione dei gruppi a
livello comportamentale ed emotivo e la scarsa padronanza della lingua italiana
del bambino cinese) che hanno sicuramente rallentato i lavori e, a volte, anche
impedito. Ho trovato, tuttavia, molto stimolante e costruttivo impegnarmi a
cercare le migliori strategie per fronteggiare le varie problematiche. Per ogni
attività svolta ho riflettuto su come avrei potuto svilupparla se avessi avuto un
tempo più lungo, per renderle parte di un progetto educativo più ampio e non
lasciarle come una piccola parentesi senza un seguito. L’idea di partenza era
quella di realizzare una sorta di «Sillabario» personale sul quale appuntare,
incollare, trascrivere tutti i lavori di volta in volta realizzati nei laboratori, con
l’aggiunta di materiale mio che i bambini avrebbero, se avessero voluto,
completare a casa o durante le vacanze estive (sorta di potenziamento a
posteriori). I bambini, tuttavia, hanno privilegiato lo strumento multimediale e la
discussione orale, realizzata attraverso lezioni frontali in cui ho lasciato molto
spazio alla conversazione, stimolata da domande germinative sull’argomento
trattato. Per il bambino madrelingua cinese avrei dovuto realizzare delle attività
improntate sul gioco creativo: dargli, ad esempio, la possibilità di modellare le
lettere con la creta o di scrivere le sillabe sulla sabbia.
Capitolo III
Le mie prospettive future
Entrare a scuola per la prima volta non da studente, ma da tirocinante è stato utile
per avere una prima idea di cosa fosse la scuola, di chi ci lavora e con quali
modalità; mi ha fatto comprendere le problematiche di tutti, rafforzando in me la
convinzione che questa sia la mia strada professionale e umana.
I tirocini sono stati passaggi indispensabili poichè provenivo da studi e ambienti
lavorativi completamente diversi e dopo un primo percorso universitario, in
Scienze politiche, non avevo idea di come la scuola fosse organizzata e di come si
operasse quotidianamente dall’altra parte della cattedra.
In questi quattro anni di università i tirocini svolti mi hanno consentito di
conoscere bene il territorio in cui ho messo radici, di cogliere la varietà
dell’utenza scolastica e di rendermi conto delle risorse che il territorio destina alle
diverse istituzioni scolastiche, quest'ultime con le loro peculiarità, i pregi e i
difetti.
L’aver svolto tirocini ogni anno in una scuola differente e aver seguito per ogni
anno docenti diversi è stato uno degli aspetti più interessanti e significativi di tutto
il mio percorso di specializzazione. Ogni insegnante ha il proprio metodo
didattico, segue pensieri pedagogici differenti e svolge le lezioni seguendo il
proprio “credo didattico-pedagogico”. Ogni docente ha una formazione e un
vissuto umano e professionale differente che mette in campo nelle ore di
insegnamento.
Ho, quindi, potuto osservare metodologie didattiche diversificate: ho incontrato
insegnanti fedeli seguaci della didattica tradizionale e altri che invece facevano
ricorso alle nuove tecnologie e si impegnavano, in maniera innovativa, a
coinvolgere i bambini durante le lezioni (attraverso il cooperative learning,
outdoor learning, problem solving, business game, CLIL durante le ore di
inglese...). Da tutte queste esperienze mi sono sforzata di cogliere il buono, per
farne tesoro, e il cattivo, per scongiurarlo nel caso dovessi ritrovarlo lungo il mio
prossimo futuro da maestra.
Ho prestato particolare attenzione ai casi di disabilità presenti nelle classi e nelle
sezioni che ho visitato per notare se fosse stata garantita l'integrazione del bimbo
diversamente abile ovvero portata avanti una didattica inclusiva attraverso un
Piano didattico Personalizzato ben formulato a seconda delle caratteristiche non
solo cognitive, ma anche emotive e relazionali dell'allievo.
Ho imparato ad avere uno sguardo critico riguardo ai problemi spaziali e
strutturali delle scuole. Ho compreso la ratio delle sezioni delle scuole
dell'infanzia e sviluppato un personale gusto rispetto all'abbellimento delle classi
di scuola primaria, comprendendo l'importanza dei lavori manuali per sviluppare
le competenze artistiche dei bambini e potenziare la motricità fine.
La mia esperienza mi ha reso più consapevole dell’agire didattico in tutte le sue
sfaccettature, essendo coinvolta in prima persona nella conduzione delle attività.
Credo che instaurare un clima sereno, di fiducia, di rispetto reciproco, in cui
vengono nettamente definiti ruoli e regole sia un passaggio fondamentale
dell'essere maestra. Ritengo, inoltre, che sia doveroso un continuo aggiornamento
delle conoscenze attraverso corsi e collaborazioni tra scuole ed enti di ricerca.
Indispensabile, a mio modo di vedere, avere un atteggiamento di solidarietà con il
corpo docente e di grande responsabilità nei confronti di tutti i soggetti del mondo
scuola.
Mi impegno a diventare una maestra competente e riflessiva che cerca
continuamente di problematizzare le varie situazioni, sospendendo il giudizio, ma
esaminando e decostruendo le dimensioni, alla ricerca di nuove ricerche di
senso66.
Cercherò di gestire adeguatamente i tempi, di pormi domande come strategie per
comprendere, di autovalutarmi e di valutare i prodotti della mia attività didattico-
educativa, di rianalizzare le esperienze per trarne “regole d'azione”, di risolvere i
problemi con sufficiente padronanza, mobilitando risorse personali e di contesto.
Mi impegno, infine, a prestare massima attenzione alla crescita cognitiva, emotiva
e personale di tutti i bambini che incontrerò durante il mio percorso, perchè,
66 Sul tema delle competenze cfr. MIUR, Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuoladell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, DPR 254, 2012.
fortemente, penso che un'ottima educazione – intesa non solo come
apprendimento dei contenuti delle singole discipline, ma come educazione alla
convivenza civile – possa essere il migliore investimento per il futuro di tutti noi.
Bibliografia
Becchi, E., Bondioli, A., Ferrari, M., Gariboldi, A., Savio, D., AVSI -
autovalutazione della scuola dell’infanzia, Edizioni junior, Milano 2008.
Anna Emilia Berti, Anna Silvia Bombi, Psicologia del bambino, Il Mulino,
Bologna 1994.
Franco Cambi, Manuale di Storia della Pedagogia, Laterza, Roma 2011.
L. Cottini, Didattica speciale e integrazione scolastica, Carocci Editore, Roma2016.
Ferreiro, Alfabetizzazione, Cortina Raffaello, Milano 2003.
Ferreiro, Taberosky, La costruzione della lingua scritta, Giunti Editore, Firenze
1994.
Antonella Marchetti, Davide Massaro, Capire la mente: la psicologia ingenua del
bambini, Carocci, Roma 2012.
MIUR, Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del
primo ciclo d’istruzione, DPR 254, 2012.
Roche, R., L’intelligenza prosociale. Imparare a comprendere e comunicare i
sentimenti e le emozioni, Erikson, Trento 2002.
Caterina Satta, La nuova sociologia dell'infanzia, Carocci Roma, 2012.