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Policy Brief N. 1 Research Area: Europe Policy Brief N. 1 ANTONIO BONETTI Novembre 2013 LA PROGRAMMAZIONE DEL POR FSE LAZIO 2014-2020: DAL PROGETTO “LAZIO IDEEALLA SPERIMENTAZIONE DI NUOVI APPROCCI PER SOSTENERE IL LAVORO AUTONOMO E LIMPRENDITORIALITÀ SOCIALE

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The paper deals with the “participatory” formulation of the new 2014-2020 Regional Operating Programme co-financed from European Social Fund (ESF), adopted by the Region of Lazio. The author entirely agrees with this “participatory” approach, aimed at formulating the new Programme according to the stakeholders’ proposals. On the contrary, he argues about the actions co-financed from the ESF in order to uphold the startup of new enterprises. In particular, he puts forward the argument that policy makers should revise tools for and approaches to business creation. The ESF sustains the start-up of new ventures, by providing potential new entrepreneurs with technical assistance and financial aid. Potential new entrepreneurs are requested to formulate a business plan. The paper suggests a revision of the process adopted by policy makers to sustain the start-up of new companies. Consequently, it suggests the adoption of very hands-on approaches, such as the lean-start-up approach and the Business Model Canvas. Moreover, it makes a case for a wider use of new approaches to management, such as design driven and visual thinking.

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Policy Brief N. 1

Research Area: Europe

Policy Brief N. 1

ANTONIO BONETTI

Novembre 2013

LA PROGRAMMAZIONE DEL POR FSE LAZIO 2014-2020: DAL PROGETTO “LAZIO IDEE” ALLA SPERIMENTAZIONE DI

NUOVI APPROCCI PER SOSTENERE IL LAVORO AUTONOMO E

L’IMPRENDITORIALITÀ SOCIALE

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Policy Brief N. 1 Research Area: Europe*

La programmazione del POR FSE Lazio 2014-2020: dal progetto “Lazio Idee” alla sperimentazione di nuovi approcci per sostenere

il lavoro autonomo e l’imprenditorialità sociale

Antonio Bonetti

* Project SFERA PUBBLICA The acronym SFERA stands for: SF – Social Finance E – Europe R – Reforms A – Agriculture (and Rural Development). http://www.bonetti4reforms.com

Antonio BONETTI is an independent expert in Local Economic Development, Strategic Planning, and EU Policies and Funds. Mailto: [email protected]

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“A business plan is essentially a research exercise

written in isolation at a desk before an entrepreneur has even begun to build a product”

Steve BLANK, Imprenditore statunitense e

professore alla Stanford University Why the Lean Start-up Changes Everything (2013)

Indice

1. La rilevanza del principio di partenariato nella programmazione 2014-2020 dei Fondi Strutturali p. 4

2. Il progetto “Lazio Idee” della Regione Lazio: proposte e progetti per migliorare la vita delle persone,

valorizzando il partenariato

p. 5

3. Aree tematiche e azioni prioritarie del FSE 2014-2020: l’importanza delle azioni a sostegno dello

spirito imprenditoriale e del lavoro autonomo

p. 7

4. La sfida più ostica: dare ampio spazio nel POR FSE 2014-2020 alla Social Innovation e alla

promozione dell’imprenditorialità sociale

p. 9

Bibliografia p. 15

Key Words: Partenariato, FSE, Lean start-up, Business Model Canvas, Design-driven innovation, Social Innovation N.B. Il contributo è stato completato il 15 Novembre 2013

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1. La rilevanza del principio di partenariato nella programmazione 2014-2020 dei Fondi Strutturali1 Il principio di partenariato è uno dei quattro principi fondamentali dei Fondi Strutturali fin dalla riforma della politica di coesione (politica regionale europea) del 1988 (si vedano: Bagarani, Bonetti 2005; Bonetti 2005; Bonetti 2007; Manzella 2011). Tale principio va in primo luogo inquadrato correttamente nella sua dimensione “verticale”. Essa, in conformità al principio di sussidiarietà alla base del framework istituzionale dell’UE, prevede una suddivisione multi livello delle responsabilità di programmazione e spesa dei Fondi Strutturali, fra vari livelli giurisdizionali, secondo lo schema semplificato di relazioni riportato nella Figura 1. Come si evince dalla Figura 1, tale principio si concretizza in processi di cooperazione/concertazione tra i vari livelli di giurisdizione nella fase di definizione del quadro legislativo e in quella di programmazione, ma anche nella fase (eventuale) di revisione di medio termine dei programmi di spesa, di attuazione e di rendicontazione finale delle spese (si vedano: Bagarani, Bonetti 2005, 2012).

Fig. 1 – Partenariato “verticale”: lo schema semplificato delle relazioni istituzionali nel sistema di governo multi livello dei Fondi Strutturali

Fonte: Bagarani, Bonetti, 2005, p. 76 Nel corso del tempo, tuttavia, ha acquisito crescente rilevanza anche la dimensione “orizzontale” del principio di partenariato. La dimensione “orizzontale” del principio, in sostanza, si traduce in un forte coinvolgimento dei portatori di interesse (associazioni di categoria, sindacati e altri gruppi di pressione organizzati) nel processo di programmazione.

1 Le analisi riportate nel paragrafo 3 e le idee sulla debolezza del business plan quale strumento cardine delle iniziative di sostegno al lavoro autonomo dei pubblici poteri sono state già discusse nel corso di vari seminari che l’autore ha tenuto per il Centro Studi POLITEIA di Avigliano (PZ). A colleghe/i del Centro Studi va un ringraziamento per i loro stimoli intellettuali. Le metodologie presentate nel paragrafo 4 sono ampiamente discusse nell’ambito del Gruppo LinkedIn “Social startup Italia” di cui l’autore è co-amministratore insieme a Stefano Supino, fra i massimi esperti in Italia dell’approccio lean start-up e del Business Model Canvas.

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L’UE ha inteso rafforzare ulteriormente il principio di partenariato in sede di formulazione della base giuridica della politica di coesione 2014-2020 e dei nuovi Programmi di spesa (Commissione Europea 2012a). In particolare, le proposte legislative (generali e verticali) inerenti i Fondi Strutturali, prevedono alcune novità di grande interesse: � l’implementazione di un approccio citizen driven nella definizione delle politiche, che è parte di una

più ambiziosa strategia della Commissione volta ad ampliare il novero delle politiche elaborate secondo approcci realmente partecipativi (e non tramite semplici consultazioni pubbliche);

� un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni del terzo settore (gli organismi che rappresentano la società civile, inclusi gli organismi di promozione della parità e della non discriminazione);

� l’applicazione del principio di partenariato non solo nella fase di formulazione degli interventi (prima i programmi regionali e, poi, i piani e i progetti di spesa), ma anche in quella di implementazione, attraverso consultazioni ad hoc prima dell’emanazione di particolarmente rilevanti avvisi pubblici di finanziamento.

Indirettamente, spinge in una direzione del rafforzamento del principio di partenariato anche l’opzione strategica di rilanciare i processi di sviluppo locale improntati a un approccio bottom-up e partecipativo. Gli strumenti di sostegno alla sviluppo locale proposti per la nuova programmazione sono: (i) i Community Led Local Development (CLLD), previsti dagli artt. 28-31 della proposta di regolamento generale sulle politiche strutturali di sviluppo dell’UE; (ii) gli Integrated Territorial Investments (ITIs), ex art. 99 della proposta di regolamento generale. Lo strumento Community Led Local Development ricalca fedelmente il metodo LEADER – perfezionato per oltre venti anni nell’ambito della politica di sviluppo rurale della UE - che, inter alia, si fonda sulla promozione della partecipazione dal basso di cittadini ed Enti Locali. La scelta di rafforzare ulteriormente il ruolo del partenariato economico e sociale nella programmazione degli interventi è assolutamente condivisibile. Un coinvolgimento ampio ed effettivo dei portatori di interesse, infatti, consolida la trasparenza e la pubblicness delle Istituzioni e del processo di decision making e, di riflesso, il senso di fiducia nelle Istituzioni dei cittadini. Inoltre, le esperienze concrete di “democrazia partecipativa” possono anche potenziare l’efficacia degli interventi, in quanto: � garantiscono la creazione di un maggior senso di ownership delle politiche di sviluppo e dei progetti

da parte di cittadini e comunità locali. La maggiore ownership percepita implica, di riflesso un maggior commitment di tutti i portatori di interesse rispetto agli impegni assunti in sede di formulazione delle strategie;

� favoriscono la maturazione di un maggior spirito civico dei cittadini e delle comunità locali, in quanto, una volta coinvolti nel processo di formulazione delle politiche, si sentiranno anche maggiormente responsabilizzati nella veste di co-produttori dei servizi di pubblica utilità di cui necessitano (su questi temi, si veda Eggers, O’Leary 2009). Il rafforzato senso civico dei cittadini si potrebbe anche semplicemente manifestare con la segnalazione di problemi di manutenzione urbana o di tutela del verde attraverso le nuove piattaforme web 2.0 e apps per smartphones, attraverso i quali segnalare, quasi in tempo reale, problemi di comunità ristrette, quali un quartiere cittadino, come chiaramente evidenziato dal progetto finanziato dall’UE Periphèria, sulla cui base è stato stilato lo Human Smart Cities Manifesto (reperibile sul sito web del progetto www.peripheria.eu).

2. Il progetto “Lazio Idee” della Regione Lazio: proposte e progetti per migliorare la vita delle persone, valorizzando il partenariato L’aspetto più problematico dei processi di formulazione “partecipativa” di programmi e progetti risiede nella circostanza che, sovente, la fase iniziale di definizione delle strategie di sviluppo si caratterizza come processo partecipativo solo sulla carta. Spesso, infatti, appare debole la capacità (se non la volontà) di valorizzare le istanze e le proposte di tutti i portatori di interesse e di creare quel

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senso di fiducia fra gli stakeholders che solo degli esercizi di democrazia “partecipativa” realmente aperti e inclusivi possono generare. La Regione Lazio, invece, attraverso il progetto (o, forse, sarebbe più corretto definirlo percorso) “Lazio Idee: proposte e progetti per migliorare la vita delle persone” sta seguendo un autentico approccio partecipativo per formulare il nuovo programma regionale 2014-2020 cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE). Gli elementi cardine di questo approccio sono tre: � il portale Lazio Idee (http://www.lazioidee.it) che supporta l’intero processo. Il portale, infatti,

funge sia da strumento di informazione sugli eventi partecipativi e sullo stato di avanzamento del processo di negoziazione del nuovo programma con la Commissione, sia da piattaforma per raccogliere tutti i contributi strutturati di cittadini e portatori di interesse organizzati (la Regione ha richiesto la compilazione, a scelta, di due questionari di raccolta di pareri e suggerimenti, uno più semplice e uno più ampio e articolato);

� il processo di consultazione pubblica, concretizzatosi nella compilazione on line di uno dei due questionari semi-strutturati caricati sul portale;

� un ampio processo di ascolto di cittadini e parti economiche e sociali (nel corso di eventi pubblici ampiamente pubblicizzati con congruo anticipo), avviato nel giugno 2013 e tuttora in corso.

All’incontro iniziale di presentazione del progetto, che si è tenuto il 25 giugno 2013 presso l’Auditorium di Roma, sono seguiti tre incontri nel mese di luglio presso la sede della Regione Lazio. Si potrebbe dire che nella fase iniziale, esperita nel mese di luglio, la Regione ha attivato un percorso di ascolto e formulazione condivisa del programma “su base tematica”, dal momento che i tre eventi di luglio erano dedicati alle tre aree tematiche cardine della programmazione 2014-2020 del FSE: � Occupazione e sostegno alla mobilità del lavoro (area tematica 8 del Quadro Strategico Comune

2014-2020); � Inclusione sociale e lotta alla povertà (area tematica 9 del Quadro Strategico Comune 2014-2020); � Educazione, competenze e life-long learning (area tematica 10 del Quadro Strategico Comune 2014-

2020). Nel mese di novembre la Regione ha riavviato il percorso di ascolto e di formulazione del nuovo programma FSE secondo un approccio people centred “su base territoriale”, in quanto sono stati organizzati cinque incontri nelle città capoluogo di provincia, secondo il calendario reso pubblico sul portale. Nel mezzo, cittadini e portatori di interesse hanno avuto a disposizione quasi due mesi di tempo per esprimere i loro suggerimenti, compilando uno dei due questionari semi-strutturati indicati sopra, nei quali si chiedevano pareri e indicazioni sulle priorità da perseguire riguardo le aree tematiche “dirette” di cui sopra e sull’area “orizzontale” Rafforzamento della capacità istituzionale e di una amministrazione pubblica efficace (area tematica 11). Il giudizio complessivo su questo percorso di programmazione “partecipativa”, al momento attuale, non può che essere positivo, in quanto l’Amministrazione regionale: � ha sensibilizzato ampiamente i portatori di interesse e i cittadini sulle opportunità offerte dal FSE

nel periodo di programmazione 2014-2020, ma ha anche, opportunamente, esplicitato gli stringenti vincoli regolamentari alla strategia e alla scelta delle singole azioni;

� ha realmente favorito la partecipazione di tutti gli interessati e, soprattutto, non ha utilizzato gli eventi pubblici come “passerella” per i decisori pubblici, ma bensì come momento di ascolto delle istanze e dei suggerimenti della cittadinanza;

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� ha affiancato al tradizionale questionario di consultazione pubblica, degli incontri pubblici di condivisione di idee e di linee strategiche a cui dare priorità in sede di negoziazione del nuovo programma FSE con la Commissione Europea;

� ha elaborato l’outline del nuovo programma FSE tenendo ampiamente conto dei risultati rilevati dai questionari semi-strutturati, disponibili sul portale;

� ha affidato ai Comuni (il livello istituzionale più vicino ai cittadini nel sistema di governo multi livello) la funzione di “catalizzare” il processo nei territori, in quanto dovranno sensibilizzare gli altri attori locali e raccogliere da questi istanze di sviluppo e prime proposte progettuali.

3. Aree tematiche e azioni prioritarie del FSE 2014-2020: l’importanza delle azioni a sostegno dello spirito imprenditoriale e del lavoro autonomo Il Fondo Sociale Europeo (FSE) è da un lato uno strumento cardine della politica di coesione dell’UE e, dall’altro, è il principale strumento delle politiche del lavoro comunitarie. La sua gestione, infatti, è delegata alla Direzione Generale Occupazione, Affari Sociali e Inclusione della Commissione (in partenariato con gli Stati Membri, secondo il principio di gestione “concorrente” dei Fondi dell’UE). La politica di coesione per il periodo 2014-2020 sarà contraddistinta da un forte ancoraggio strategico alla strategia Europe 2020 – approvata dal Consiglio Europeo nel giugno 2010 - e alle sue sette Iniziative Faro (si veda la Tabella che segue).

Tabella 1: il disegno strategico di Europe 2020 Linee strategiche

Iniziative Faro Presentazione sintetica dei contenuti

Smart Growth

Innovation

Union

Promuovere l’innovazione in senso lato nell’UE, sia nell’ambito del settore privato, sia nell’ambito delle politiche pubbliche.

L’iniziativa concerne in primis la promozione della R&ST e dell’innovazione, ma si riserva grande importanza anche alla “social innovation”.

Youth on the move

Migliorare la qualità dei percorsi formativi in Europa, potenziare la sua attrattività per i ricercatori di tutto il mondo e potenziare i processi di mobilità geografica e professionale dei giovani.

A digital agenda for Europe

Creare un mercato unico delle tecnologie digitali e coprire il territorio europeo con sistemi telematici superveloci.

Sustainable Growth

Resource Efficient Europe

Favorire la dematerializzazione dei processi produttivi e un uso efficiente di tutte le risorse, in primis quelle energetiche. Potenziare la produzione di energia rinnovabile e la “decarbonizzazione” dell’economia.

An industrial policy for the globalisation era

Potenziare la competitività, l’innovazione e l’efficienza energetica del sistema produttivo europeo.

Inclusive Growth

Employment and skills Creare nuovi e migliori posti di lavoro, migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e creare nuovi skills adatti ai nuovi modelli di competitività.

European platform against poverty

Potenziare la coesione economica, sociale e territoriale in Europa e contrastare le varie forme di povertà in Europa.

Fonte: elaborazione ns

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L’approccio strategico alla programmazione dei Fondi Strutturali è caratterizzato dall’approvazione di un documento di orientamento strategico a livello comunitario denominato Common Strategic Framework (CSF). Il Common Strategic Framework ha la finalità di garantire la massima coerenza possibile fra strategia Europe 2020, le riforme a livello di Stati Membri e gli interventi di policy attuati nei territori (Bonetti 2013). L’approccio strategico nel ciclo 2014-2020, di riflesso, implica un forte rafforzamento della concentrazione tematica degli interventi dei Fondi Strutturali. Nelle proposte regolamentari e nella bozza di CSF elaborata dalla Commissione, infatti, vengono indicate 11 aree tematiche prioritarie sulla cui base indirizzare la programmazione degli interventi, garantendone la coerenza con le Iniziative Faro di Europe 2020. Le aree tematiche indicate nel CSF come prioritarie per il FSE sono le aree 8, 9, 10 e 11 già presentate sopra2. Il FSE, inoltre, dovrebbe parimenti incidere in modo indiretto sulle aree tematiche da 1 a 6. Anche nel ciclo di programmazione 2014-2020 i programmi cofinanziati dal FSE saranno strutturati su un reticolo di priorità strategiche dirette e orizzontali (trasversali): � le priorità dirette (le aree tematiche del FSE già menzionate sopra); � alcune priorità trasversali comuni a tutte le politiche europee (il passaggio ad un’economia a bassa

emissione di carbonio; la promozione delle tecnologie digitali; il rafforzamento della ricerca e delle attività innovative, il sostegno della competitività delle PMI);

� alcune priorità trasversali specifiche al FSE, ossia creazione di partenariati per lo sviluppo (art. 6 della proposta di regolamento sul FSE); promozione della parità di genere (art. 7); lotta a ogni forma di discriminazione (art. 8); sostegno all’innovazione sociale (art. 9); promozione della cooperazione transnazionale (art. 10).

Anche nel nuovo ciclo, inoltre, avranno un peso di rilievo gli interventi volti a sostenere le attività autonome, lo spirito imprenditoriale e la creazione di impresa che, come si evince dalla Figura 2 riportata nella pagina successiva, rientrano in una delle sette Azioni prioritarie dell’area tematica 8. Il presente contributo si sofferma proprio sugli interventi di sostegno al lavoro autonomo e al rafforzamento dello spirito imprenditoriale. Tali interventi sono, correntemente, molto dibattuti a livello europeo e nazionale e sono stati indicati come prioritari anche dai portatori di interesse che hanno partecipato alla consultazione pubblica della Regione, come emerge dai risultati resi disponibili sul portale del progetto. Le Azioni 8.1 “Accesso all’occupazione” e 8.3 “Attività autonoma, spirito imprenditoriale e creazione di impresa”, infatti, son le Azioni che hanno raccolto maggior favore nell’ambito dell’area 8 sia fra Istituzioni e parti sociali, sia fra i cittadini.

2 Le 11 aree tematiche sono: (1) rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione; (2) migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dell'Agenda digitale; (3) favorire la competitività dei sistemi produttivi e in particolare delle piccole e medie imprese, del settore agricolo e della pesca; (4) promuovere un'economia a basse emissioni, in particolare attraverso la diffusione di fonti di energia sostenibile; (5) sostenere l'adattamento ai cambiamenti climatici e migliorare la prevenzione/gestione dei rischi ambientali; (6) tutelare l’ambiente e valorizzare le risorse culturali e ambientali; (7) promuovere la mobilità sostenibile di persone e merci; (8) sostenere l'occupazione e la mobilità dei lavoratori; (9) favorire l'inclusione sociale e contrastare la povertà; (10) investire nelle competenze, nell'istruzione e nella formazione; (11) rafforzare la capacità istituzionale e amministrativa.

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In particolare, la finalità precipua del contributo è sensibilizzare Amministrazione regionale e stakeholders sulla necessità di dare maggiore peso, nel nuovo POR FSE, sia agli interventi di sostegno all’imprenditorialità sociale, sia alla sperimentazione di nuovi approcci alla creazione di impresa.

Figura 2: le Azioni prioritarie dell’area tematica “Occupazione e sostegno alla mobilità del lavoro”

4. La sfida più ostica: dare ampio spazio nel POR FSE 2014-2020 alla Social Innovation e alla promozione dell’imprenditorialità sociale Stante i vincoli dell’approccio strategico di cui sopra e della normativa europea, a fronte degli effetti molto pesanti della crisi economica sia sul tessuto produttivo che su quello sociale del Lazio, appare auspicabile che l’Amministrazione regionale provi ad impostare il nuovo programma FSE quale leva di un forte cambiamento sia del paradigma regionale di sviluppo, sia di alcuni approcci tradizionali al sostegno all’auto-impiego. In altri termini, la Regione Lazio dovrebbe, in accordo con il partenariato, rafforzare le sinergie fra il POR FSE 2014-2020 e l’Iniziativa Innovation Union. In questa luce, tre passi sembrano davvero importanti e innovativi: 1. la Regione dovrebbe, in accordo con il partenariato, valorizzare quanto più possibile l’obiettivo trasversale social innovation. Negli anni recenti, infatti, la Commissione ha posto una definizione ampia di innovazione al centro dell’ambiziosa strategia di rilancio dell’UE Europe 2020. Come ben evidenziato nel Rapporto sulla social innovation del Bureau of Economic Policy Advisors della Commissione (Hubert 2010) e poi nella Guide to Social Innovation del 2013 (Commissione Europea 2013), l’UE nei prossimi anni deve puntare contestualmente su ricerca e innovazione tecnologica e su innovazione sociale.

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La perdita di competitività dell’industria europea e gli effetti nefasti della drammatica crisi economica che flagella l’Europa da diversi anni evidenziano, infatti, come un approccio fortemente centrato sull’innovazione tecnologica quale “motore” della crescita economica e sociale, in realtà, non contribuisce a risolvere tutti i problemi sociali e, anzi, può creare finanche rilevanti fratture territoriali e sociali nei processi di sviluppo. In merito, va in primo luogo rimarcato che il tema social innovation è di non facile definizione. In secondo luogo, tale tema è molto rilevante nell’agenda politica europea, ma lo è molto meno in quella degli amministratori locali. Questo significa che, sull’argomento in questione, la Regione dovrebbe anzitutto definire un’ampia campagna di sensibilizzazione, volta soprattutto a spiegare due caratteristiche ampiamente qualificanti dei progetti di social innovation: � i progetti realmente informati ai principi della social innovation sono fortemente incentrati su

problemi e bisogni del gruppo target e sulla volontà di “fare la differenza” per le loro condizioni lavorative e di vita. In altri termini, si adotta realmente il Results-Based Management approach e ci si chiede come “si possa fare la differenza” per i beneficiari finali dei progetti, quando, purtroppo, in sede di definizione dei progetti candidabili a un finanziamento del FSE, nel passato, si è sovente adottato un metodo di formulazione dei progetti “per attività”;

� i progetti di social innovation, inoltre, dovrebbero “fare la differenza” anche per la stessa Pubblica Amministrazione (PA), in quanto, in genere, si richiede a quei progetti di garantirle dei rilevanti risparmi di spesa rispetto all’opzione alternativa che sia la PA stessa a realizzare quegli interventi direttamente.

Per quanto concerne la valorizzazione a livello di intero programma FSE della social innovation quale obiettivo trasversale, la Regione Lazio potrebbe, in una prospettiva di benchmarking, fare tesoro dell’interessante percorso di capacity building e di programmazione partecipativa che, su questo tema, sta portando avanti la Regione Sicilia, ampiamente presentato sul sito http://www.euroinfosicilia.it/innovazione-sociale/; 2. si dovrebbe puntare decisamente su una articolata strategia a sostegno all’avvio e alla crescita di nuove unità produttive (orientate al profitto e nonprofit), come richiesto, peraltro, da coloro che hanno partecipato alla consultazione pubblica. La Regione, tuttavia, non dovrebbe restare abbagliata dell’intenso dibattito, a parere di chi scrive alquanto manicheo, sulle startups digitali e sulla realizzazione di un eco-sistema favorevole per la creazione di impresa nel settore digitale. Innovazione si può fare in qualsiasi comparto produttivo e imprese innovative possono nascere e consolidarsi in qualsiasi settore, adottando anche forme legali ibride, quali ad esempio le Community Interest Companies, ampiamente diffuse nel Regno Unito. L’identificazione dell’imprenditorialità innovativa come quella imprenditorialità che nasce e si consolida nel settore dell’Information & Communication Technology (ICT), come continuano a martellarci alcuni pubblicisti e diversi media, è assolutamente opinabile. Sarebbe opportuno riflettere con pragmatismo, invece, su due questioni su cui non ci si può soffermare oltre in questa sede, ma che appaiono davvero rilevanti, se non dirimenti, per comprendere quanto l’opzione di favorire lo start-up di imprese digitali da parte dei giovani, considerata da diversi pubblicisti avvincente e vincente, possa portare in Italia ad esiti deludenti: � dal lato dell’offerta, a parte dei problemi strutturali dell’economia italiana che frenano la creazione

di impresa (si veda il più recente Rapporto della Banca Mondiale Doing Business 2013), si pone il problema specifico che la maggior parte dei c.d. “giovani nativi digitali” approcciano nuove tecnologie informatiche e apps per smartphones come dei giochi oppure senza avere adeguata

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contezza di come esse vadano trasformando anche vecchie professioni (si veda: Ministero dello Sviluppo Economico, 2012). Di conseguenza, faticano a “leggervi” delle opportunità di business e, quindi, di creazione di impresa. Le indagini periodiche dell’OCSE sulle competenze degli studenti (Indagini PISA - Programme for International Students Assessment) e degli adulti (Indagine PIAAC - Programme for International Assessment of Adults Competences), sulle quali si rimanda alle informazioni riportate sui siti http://www.oecd.org/pisa/keyfindings/ e http://www.oecd.org/site/piaac/, peraltro, dimostrano chiaramente come i giovani italiani (e gli adulti) denotino palesi carenze in matematica, logica e materie scientifiche. A fronte di carenze così macroscopiche nel capitale umano dei giovani italiani (anche quelli neo-laureati), appare ampiamente sottostimata, da parte degi apologeti delle startups digitali, la questione della mancanza delle necessarie core competences per lanciare startups di successo nel settore ICT. E’ ben noto, infatti, che le “nuove tecnologie” hanno fortemente ampliato il bagaglio di competenze tacite e codificate che debbono possedere i nuovi imprenditori del XXI secolo3;

� dal lato della domanda, a parte il calo generale dei consumi che si protrae ormai da diversi anni e che, dall’inizio del 2013, interessa anche smartphones ed altri prodotti elettronici, ci sarebbe da considerare il fatto che la popolazione italiana tende sempre più ad invecchiare. La grande fiducia nell’apertura di nuovi mercati legati ai servizi basati su applicativi multimediali e/o interattivi in Italia, quindi, appare ampiamente mal riposta. Questo per il fatto che una popolazione italiana sempre più anziana incontrerà inevitabilmente delle difficoltà nell’utilizzare con disinvoltura nuovi servizi basati su nuovi software e applicativi per smartphones/tablet, anche quando pensati soprattutto per persone avanti nell’età, quali i servizi di e-health.

Invece, si dovrebbe favorire la nascita di nuove unità produttive nei settori dei servizi di cura alla persona e alla comunità (servizi alla persona, servizi di tutela ambientale, servizi nel campo della cultura e altri servizi che contribuiscono a migliorare la qualità della vita). E’ ben noto, infatti, che è in quei settori che si manifesta una domanda sempre più differenziata da parte di singoli cittadini e comunità locali. Tale domanda, spesso, resta inevasa per limiti intrinseci sia al sistema di welfare tradizionale (sovente burocratizzato) sia al sistema delle imprese di mercato. Per tutti, basta citare l’annosa questione della mancanza a Roma di un numero sufficiente di asili nido. Dopo la lunghissima fase di recessione economica, peraltro, certi bisogni insoddisfatti sfociano in vecchie e nuove forme di povertà materiale e disagio sociale. In merito, si evidenzia come anche dai risultati della consultazione pubblica emerge nitidamente l’istanza di rafforzare il sostegno all’imprenditorialità sociale e all’economia sociale. Infine, preme ricordare che, sovente, è in questi settori dei servizi citati sopra che emergono le esperienze più interessanti e utili di innovazione sociale (si vedano, a tale proposito, i vari casi esemplari presentati nella già citata Guide to Social Innovation della Commissione Europea). Sempre tenendo conto del dibattito più avanzato su queste tematiche, va rimarcato che queste unità produttive, peraltro, non debbono necessariamente essere identificate in associazioni, cooperative sociali e altre organizzazioni del terzo settore, ma possono anche essere imprese di mercato, nate tuttavia con la finalità di privilegiare la “missione” e i risultati sociali della loro attività, rispetto ai risultati economici, secondo il modello di “social business” delineato dal premio Nobel Yunus (2007).

3 Se da un lato è vero che le statistiche internazionali dimostrano quanto le imprese avviate dai giovani sono fondamentali per la creazione di nuova occupazione (per tutti, si veda OCSE 2013), dall’altra è parimenti vero che ancor prima che incentivare la creazione di impresa (auspicabilmente in tutti i settori e non solo in quello ICT), bisognerebbe avviare già nelle scuole superiori una campagna di sensibilizzazione fra i giovani sull’imprenditorialità e su come anche competenze e funzioni di un imprenditore cambino nel corso del tempo. Inoltre, bisognerebbe sempre più favorire la creatività dei giovani e la loro propensione ad acquisire competenze in più ambiti disciplinari, come richiesto nel Rapporto Restart, Italia! del Ministero delle Sviluppo Economico.

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Anche la Commissione Europea, peraltro, sta indirizzando la stessa politica industriale comunitaria verso un maggior sostegno a forme di imprenditoria alternativa (organizzazioni senza scopo di lucro, imprese sociali e “social businesses” à la Yunus), capaci di combinare obiettivi economici e sociali, attraverso la Social Business Initiative (SBI), lanciata nel novembre 2011 dalla Commissione Europea. La SBI è incentrata sui seguenti tre obiettivi generali:

� migliorare l’accesso ai finanziamenti delle imprese senza scopo di lucro; � incrementare la visibilità degli imprenditori sociali; � migliorare il quadro legislativo del settore e delle attività di imprenditoria sociale4;

3. infine, in sede di implementazione di iniziative di sostegno alla nascita di nuove imprese, si dovrebbe rivedere il modello generalmente adottato nell’ambito della programmazione FSE (sintetizzato con il processo “a cascata” riportato nella Figura 3).

Figura 3: approccio tradizionale alla creazione di impresa nella programmazione FSE

4 La strategia di sostegno alla Social Business Initiative (SBI) era stata tratteggiata nella Comunicazione di lancio della stessa (si veda: Commissione Europea, 2011). Per approfondire strategia e azioni della SBI si rimanda alla presentazione sul portale http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en.htm. Per una conferma della rilevanza del sostegno all’imprenditorialità sociale nell’agenda politica europea si veda anche Commissione Europea-OCSE (2013).

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In questo modello, ampiamente discutibile, la formulazione del business plan da parte dei potenziali neo-imprenditori costituisce una autentica pietra angolare del processo di creazione di impresa. Lo strumento business plan, tuttavia, presenta diversi elementi di criticità, che vanno dalla sua complessità al fatto che, in tempi di grande incertezza economica e di incessanti mutamenti degli scenari tecnologici e di quelli geo-politici, appare uno strumento troppo statico. Va parimenti osservato che, sovente, si richiede ai potenziali neo-imprenditori la formulazione di business plan complessi (soprattutto nella loro parte finanziaria), a fronte della possibilità di accedere a sovvenzioni di importo molto limitato per l’avvio di impresa, a causa della stringente normativa dell’UE sugli aiuti di Stato. Infine, va considerato il fatto che, a fronte della richiesta di business plan con rigorose analisi dei trend di mercato e dei loro cambiamenti, gli aiuti pubblici, molto spesso, vengono distribuiti ai beneficiari in tempi molto lunghi. Questo significa che, spesso, le analisi di mercato (e le conseguenti proiezioni finanziarie) sviluppate nel business plan, risultano già obsolete al momento della effettiva erogazione degli aiuti. Questi ultimi due elementi, oltre che indebolire l’efficacia degli interventi agevolativi, possono finanche dare luogo a comportamenti di “rent seeking”. In altri termini, i potenziali neo-imprenditori beneficiari dell’assistenza del FSE elaborano il business plan senza avere realmente un chiaro “modello di business” e senza credere veramente nell’utilità del business plan, ma solamente per ricevere le sovvenzioni pubbliche. In alternativa a questo modello si dovrebbero adottare approcci/metodi più “leggeri”, secondo tre direttrici:

i. adottare l’approccio lean start-up, dopo aver maturato la consapevolezza che un business plan, anche se corroborato da analisi rigorose (in primis quella di mercato) può risultare alla prova dei fatti (“alla prova del mercato”) fallace. Questo approccio, i cui principali esponenti sono Steve Blank (2005, 2013) ed Eric Ries (2011), si inserisce nel solco dei lavori che sin dalla fine degli anni Ottanta hanno criticato un approccio alla pianificazione strategica troppo rigido (fra i contributi principali, si vedano: Mintzberg 1987, Porter 1996), e trova ispirazione e validazione nella concreta esperienza degli “imprenditori seriali” nel comparto informatico e delle telecomunicazioni della Silicon Valley. Tali imprenditori lanciano sul mercato diverse startups (sovente come spin-off dell’Università di Stanford o di altre aziende del settore già affermate) favoriti dal particolare clima “competitivo-cooperativo” che caratterizza il sistema produttivo locale (si veda, per tutti, Saxenian 1994). Sovente, grazie al successo di una sola di queste, essi possono ripagare i costi di quelle che falliscono. L’approccio lean start-up, in alternativa alla lunga fase di pianificazione strategica e finanziaria che porta alla formulazione definitiva del business plan, conferisce un ruolo decisivo alla fase di market discovery (o meglio, per usare le parole di Blank, alla fase di “customer development”). Il presupposto logico, in altri termini, è che una idea innovativa va “portata sul mercato” e va migliorata attraverso un processo iterativo guidato dai feedback dei potenziali clienti. Sarà sulla base di questi feedback e dei risultati – eventualmente anche fallimentari – di mercato, che quella idea dovrà essere corretta, adattata e, se del caso, riproposta ex novo;

ii. adottare un approccio alternativo alla definizione del piano strategico e del “modello di business”, in grado di valorizzare maggiormente tanto “capacità di visione”, creatività e “core competences” dell’imprenditore (o dell’impresa), quanto una adeguata identificazione dei vantaggi effettivi della “proposta di valore” per la clientela (o, come si potrebbe anche affermare, della capacità di “fare la differenza” per i beneficiari finali di quel progetto particolare che è una impresa). Tale approccio è il Business Model Canvas, perfezionato soprattutto da Osterwalder e dai suoi

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collaboratori (2005, 2010), che individua quattro “macro aree” intorno alle quali definire il modello di business (si vela il template disponibile all’indirizzo http://www.businessmodelgeneration.com/canvas): � infrastruttura (risorse chiave, attività chiave, partners chiave), � offerta di valore per la clientela (benefici materiali e immateriali), � clientela (gruppo target, relazioni con il target, canali di distribuzione), � fattibilità finanziaria.

Tale approccio, peraltro, valorizza ampiamente tecniche di visual thinking e può essere facilmente applicato anche alle social startups, aggiungendo alle “macro aree” di cui sopra una “macro area” volta a inserire nel modello le variabili relative all’impatto sociale e ambientale (Moscatelli, Supino 2012). Maggiori delucidazioni su questo modello si possono trovare in vari siti e blog internazionali, che, soprattutto dopo la pubblicazione di “business model generation” nel 2010, sono ormai autentiche “comunità di pratiche”, quali:

� http://www.marsdd.com/entrepreneurs-toolkit/workbooks/ � http://www.businessmodelgeneration.com � http://www.businessmodelalchimist.com � http://businessmodelhub.com

In merito a queste notazioni sulla maggiore semplicità del Canvas e sulla sua capacità di valorizzare maggiormente la creatività e la “visione” de neo-imprenditori, va anche aggiunto che il business plan convenzionale, specialmente nella fase attuale di crisi economica e di “credit crunch”, non sembra destinato ad assolvere adeguatamente quella che dovrebbe essere la sua funzione principale, ossia convincere i potenziali finanziatori (in primis le banche) a fornire i necessari finanziamenti per l’avvio di impresa. Questo vale, in particolare, per (a) i giovani neo-imprenditori e (b) le imprese senza scopo di lucro (siano esse organizzazioni del terzo settore o “social businesses” à la Yunus), a causa del loro peculiare sistema di governance, informato a principi di compartecipazione su base paritaria alle decisioni, e della mancanza, de facto, di una base patrimoniale. La Regione, pertanto, in sede di implementazione delle azioni di sostegno all’auto-impiego dovrebbe proporre ai potenziali nuovi imprenditori, come strumento di pianificazione di impresa, anche il Business Model Canvas, insieme o in alternativa al modello più tradizionale di business plan;

iii. valorizzare tecniche di pianificazione strategica basate sul visual thinking (Sibbet 2012), sulla creatività

e sul c.d. “design driven” di modelli di business e di prodotti/servizi (Florida 2003, Verganti 2009, Kimbell 2010, Commissione Europea 2012b, De Brabandere, Iny 2013). Tali tecniche sono volte a valorizzare tanto la capacità di “visione” e la creatività dei designers quanto il punto di vista degli utilizzatori finali delle tecnologie e/o dei fruitori dei servizi, consentendo così di passare da un approccio “value-in-exchange” a un approccio “value-in-use” (Kimbell 2010). Preme evidenziare che la “design driven innovation” è ormai parte del set di strumenti che la Commissione si è data negli anni recenti per rinnovare la politica industriale europea. L’importanza di tale approccio era già stata enfatizzata nella Comunicazione di lancio dell’Iniziativa Faro Innovation Union (Commissione Europea 2010). Poi nel 2011 il Commissario Tajani (DG Industria e Imprese) aveva lanciato la European Design Innovation Initiative (sulla quale si rimanda alla documentazione e alle informazioni riportate sul portale http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/policy/design-creativity/index_en.htm). Tale Initiative è volta a tratteggiare i legami fra l’applicazione dell’approccio tipico dei “creativi” al design dei prodotti, anche ai servizi, ai processi di innovazione e alle stesse politiche pubbliche e il rilancio della competitività economica del sistema produttivo europeo.

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Le attività della DG Industria e Imprese e del Gruppo di esperti costituito ad hoc hanno condotto alla stesura della prima bozza del Piano di Azione per la Design Driven Innovation (http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/files/design/design-swd-2013-380_en.pdf). E’ auspicabile che la Regione Lazio tragga anche da questo Piano idee innovative su come reimpostare gli interventi a sostegno del lavoro autonomo e dell’imprenditorialità giovanile, attraverso l’applicazione dell’approccio “design driven” e del visual thinking alla pianificazione strategica.

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