La pioggia

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Disponibile anche: Libro: 13,50 euro con audiolibro omaggio (dal 27/1/12) e-book (download): 7,99 euro e-book + audiolibro su CD in libreria: 7,99 euro

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Mariano Iaccarino, fantasociale

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Disponibile anche: Libro: 13,50 euro con audiolibro omaggio (dal 27/1/12) e-book (download): 7,99 euro e-book + audiolibro su CD in libreria: 7,99 euro

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Collana SELEZIONE 

Serie BIG‐C con Audio 

Grandi Caratteri con audiolibro allegato 

 

 

La serie Big‐C, Grandi Caratteri, grazie all’alta  leggibilità del carattere utilizzato  in  stampa  e  alle  sue  dimensioni  (generalmente  13  o  14), propone testi di agile lettura rivolti in particolare a lettori con problemi visivi (ipovedenti). 

La  serie  Big‐C  Audio,  Grandi  Caratteri  con  versione  vocale  allegata (audiolibro  su CD), oltre ad agevolare  la  lettura  tradizionale grazie al carattere ad alta leggibilità e grandi dimensioni, è rivolta in particolare a persone non vedenti o con problemi di dislessia, che possono quindi ascoltare  il racconto anziché  leggerlo. Precisiamo che per  i  lettori con problemi  di  dislessia  sono  in  commercio  pubblicazioni  a  stampa realizzate  con  caratteri  e  accorgimenti  particolari,  che  i  libri  della nostra serie non utilizzano. Tuttavia,    il carattere utilizzato nella serie Big‐C (Candara) si presta comunque molto bene allo scopo. 

 

La  presente  opera  è  stata  realizzata  SENZA  alcun  finanziamento  o contributo  statale,  pubblico  o  privato,  ma  esclusivamente  con  il capitale della Casa Editrice. 

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Gli  audiolibri  allegati,  offerti  a  scopo  promozionale  e  realizzati  in collaborazione con l’Associazione Servizi Culturali, sono narrati da non professionisti dalla voce chiara e gradevole. 

 

Grazie  a  una  particolare  e  rivoluzionaria  iniziativa,  JukeBook,  i  CD allegati ai libri possono essere scambiati con altri CD presso i JukeBook Point autorizzati. 

All’interno  del  CD  sono  presenti  tutti  gli  approfondimenti sull’argomento. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

www.jukebook.it 

www.0111edizioni.com 

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MARIANO IACCARINO      

LA PIOGGIA    

 

 

 

 

Serie Big‐C Audio Grandi Caratteri con audiolibro 

 www.0111edizioni.com 

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www.ilclubdeilettori.com  

   

   

   

   

   

  

LA PIOGGIA Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2012 Mariano Iaccarino 

ISBN: 978‐88‐6307‐410‐9 In copertina: Immagine Shutterstock.com 

    

Finito di stampare nel mese di Gennaio 2012 da Logo srl 

Borgoricco ‐ Padova 

   

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A Valeria 

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1.     Sono  le  cinque  e  trenta  del  mattino,  sulla  finestra  il ticchettio della pioggia continua  ininterrotto da settimane; Francesco è sdraiato sulla sua poltrona da ufficio e guarda i monitor con  le mani  incrociate dietro  la nuca.   Ha trentasei anni, un  fisico  scultoreo  a  testimonianza di un passato da decatleta.  La  passione  per  l’atletica  leggera  l’ha accompagnato  fino  ai  vent'anni,  quando  ha  dovuto abbandonare  lo  sport  professionistico  per  sbarcare  il lunario  e  aiutare  la  famiglia  in  difficoltà.  Quando  non  è impegnato  nel  turno  di  notte,  si  allena  nella  grande  sala: flessioni,  addominali…  nello  zainetto  porta  sempre  anche un tappetino e dei manubri, oltre al pranzo per risparmiare i soldi  della mensa.  Rasa  a  zero  i  pochi  capelli  rimasti  due volte  a  settimana,  indossa  un  paio  di  occhialini  tondi  alla John Lennon e porta dei baffetti appena accennati.  Tra  la  poltrona  e  la  parete,  sulla  scrivania,  un  piccolo televisore  a  led  trasmette  le  immagini  delle  Olimpiadi  di Machu Picchu. Cento anni dopo  le Olimpiadi che dovevano 

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celebrare  il  trionfo  della  razza  ariana  e  che  avevano incoronato  Jessie  Owens,  i  XXXVI  giochi  moderni  si svolgono  in  quella  parte  del  pianeta  che  in  tempi  non lontani chiamavano Terzo Mondo. Sotto  i monitor  si  susseguono  una  serie  di  luci  di  diverso colore:  prima  una  fila  di  luci  verdi  tutte  accese,  sotto  le gialle  e  poi  le  rosse,  tutte  fortunatamente  spente.  Sopra ogni luce c’è un indicatore di livello e tutti hanno superato la soglia di guardia. A Francesco è stato ordinato di segnalare qualsiasi  anomalia.  La  pioggia  costante  di  questi  giorni potrebbe  creare  problemi,  ma  i  sistemi  sono  efficienti  e avanzati; non c’è situazione che non sia stata prevista e per la  quale  non  sia  stata  codificata  una  procedura  di emergenza per affrontarla. Sopra  i monitor c’è una grossa mappa della città con linee colorate che disegnano le vie; le linee sono blu e rosse. Sono in partenza gli atleti dei cento metri piani, l’attenzione dell’uomo di guardia è completamente catturata dal piccolo televisore;  si  avvicina  per  aumentare  il  volume.  Lo  starter spara  il  colpo per  il via e gli uomini‐jet  schizzano  in avanti come molle.  Pochi metri  e  un  altro  sparo  li  ferma:  falsa partenza  alla  corsia  tre.  Si  ricomincia  con  la  chiamata  ai blocchi.  Ormai  per  Francesco  esistono  solo  lo  stadio,  la pista,  gli  atleti.  Sembrano  di  nuovo  pronti;  un’occhiata fugace al pannello di controllo e poi di nuovo concentrato sulla  gara.  Sono  tutti  in  ginocchio  con  le mani  a  terra  a ridosso della linea bianca di partenza. Il tifo assordante non permette di  sentire  le parole dello  starter. Gambe dritte e 

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busto  sollevato  con  le  sole  dita  che  restano  incollate  al terreno, di nuovo  il  rumore  sordo della pistola e… partiti! Gli  otto  avanzano  con  ampie  falcate,  c’è  un  testa  a  testa negli  ultimi  venti metri,  sul  filo  di  lana  arrivano  in  tre.  Il tempo  ufficioso  è  di  otto  secondi  e  sessantaquattro centesimi!  Nuovo  record  del  mondo,  anche  se  bisogna aspettare il fotofinish per capire chi ha vinto e ha stabilito il nuovo  inimmaginabile  record. Meno  di  nove  secondi  e… tutte  le  luci gialle hanno  iniziato a  lampeggiare.  Il suono di un  allarme  acuto  e  la  luce  intermittente  hanno  invaso  la sala,  non  c’è  tempo  per  capire  chi  è  il  nuovo  campione olimpico.  La  situazione  sta  precipitando.  Tutte  le  luci contemporaneamente! Non c’è una procedura specifica per un allarme di questo tipo e verrebbe quasi da pensare che ci sia  un  guasto  al  pannello  di  controllo,  se  non  fosse  per quella maledetta pioggia  che  cade  incessante da  ventidue giorni. Il capo Alessi era stato chiaro:  In caso di problemi potete anche svegliarmi.  Strano  da  parte  del  direttore:  le  sue  notti  in  ufficio  non dovevano essere disturbate “per nessun motivo al mondo”. Questa volta però c’erano di mezzo il prestigio della società, la quantità di capitali investiti in quella struttura, la sicurezza del presidente del gruppo. 

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«Pronto dottor Alessi? Sono Parola dalla sala di controllo. Mi dispiace  di  aver  turbato  il  suo  sonno,  ma  il  quadro  di controllo  è  impazzito!  Tutte  le  luci  gialle  si  sono  accese contemporaneamente! Gli  indicatori dei  livelli continuano a salire  e  credo  che  a  questi  ritmi  in meno  di  tre  giorni  si arriverà all’accensione delle spie rosse.» «Parola? Ah, sì,  la postazione  in cima. Luci gialle? Tutte? Ha controllato che non si tratti di un banale guasto?» «Dottore, ho eseguito il check dell’intero pannello due volte prima  di  chiamarla,  sembra  che  tutto  funzioni correttamente.» «Tutto  correttamente?  Che  dice  il manuale  in  questi  casi? Parola segua il manuale! Nel frattempo mi vesto e vengo su da lei il più in fretta possibile.» Alla televisione stanno trasmettendo la premiazione. L’inno della Namibia quasi non si  riesce a sentire  tanto è acuto e forte  l’allarme  che  si  diffonde  nella  stanza.  Francesco attraversa  l’intera  sala.  Quasi  tre  secondi  per  arrivare dall’altro  lato  dove  si  trova  la  cassaforte  che  contiene  il manuale delle procedure di emergenza e le chiavi per aprire le  porte  blindate.  Controlla  nuovamente  l’indice  del manuale:  c’è  la  procedura  da  seguire  per  la  rottura  degli indicatori di livello, quella per affrontare l’emergenza di una, due,  tre  luci  rosse  accese  e  quella  per  far  fronte  a temperature  sotto  i  meno  cinquanta  gradi.  Niente sull’accensione di tutte le luci contemporaneamente. Torna alla  scrivania. Non è preoccupato per quello che potrebbe accadere alla struttura, pensa sia indistruttibile, teme solo di 

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non aver interpretato bene il manuale, di aver trascurato la procedura  prevista  proprio  per  casi  come  questo.  Il  suo contratto a tempo determinato sta per scadere: gli restano solo  due  giorni  e  se  dovesse  fare  ora  una  cazzata  addio rinnovo. Sono otto anni ormai che  lavora al centro. Dopo  i primi sei, nonostante  i rinnovi di tre mesi  in tre mesi, si era deciso  a  fare  il  grande  passo:  vincendo  la  sua  naturale reticenza a prendere  impegni economici cui non è certo di riuscire  a  far  fronte,  aveva  acquistato  casa  con  la compagna.  Anche  avere  un  figlio  lo  spaventava  e  non faceva altro che ripetere che non si può mettere al mondo una creatura senza essere sicuri di poter provvedere alla sua crescita.  Con  i  loro  lavori  da  precari  perenni  era  come giocare  al  lotto.  Lei  gli  ripeteva  quasi  ogni  giorno  che l’orologio  biologico  non  poteva  aspettare  che stabilizzassero  la  loro situazione. Tic‐tac, tic‐tac. Era riuscita a convincerlo e ora erano in attesa del loro primogenito.  Spegne  il  televisore  mentre  stanno  trasmettendo  la battaglia  a  colpi di  record del mondo del  salto  con  l’asta: giusto  il  tempo di meravigliarsi del  fatto  che  l’asticella  sia arrivata a  sei metri e quarantatré centimetri! Lo mette nel cassetto sotto  la scrivania e torna a guardare  il pannello di controllo.  Si  avvicina,  ticchetta  su  ogni  luce,  su  ogni indicatore. Niente,  tutto  funziona correttamente. Va verso 

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la  vetrata  che  si  affaccia  sulla  montagna;  dall’alto continuano a scivolare le gocce di pioggia. Guarda ammirato la struttura in basso e non si accorge nemmeno che Alessi è arrivato nella sala di controllo. 

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2.     Giovanni  si  è  svegliato  da  poco:  il  suo  turno  ha  inizio  alle sette  del  mattino.  Nonostante  sia  il  comandante  della stazione dei vigili del fuoco della città più ricca e importante del paese e abbia anni e anni di servizio alle spalle, arriva in ufficio sempre prima di tutti i ragazzi impegnati nello stesso turno. Il cellulare sempre acceso poggiato sul lavandino del bagno,  il viso già  imbiancato dalla  schiuma da barba, va a prendere dalla cucina  la pentola con  la quale ha  riscaldato l’acqua. Più volte nelle riunioni di condominio si è discusso per  trovare  una  soluzione  comune  per  il  riscaldamento dell’acqua,  ma  i  costi  elevati  hanno  sempre  frenato  la maggioranza.  Dopo  anni  erano  riusciti  a  far  costruire  un piccolo serbatoio per  l’acqua piovana e Giovanni, come gli altri, aveva smesso di andare sul terrazzo a recuperare uno dei  secchi  messi  apposta  per  raccogliere  la  pioggia.  Il serbatoio  è  troppo  grande  perché  si  riesca  a  riscaldare l’acqua  all’interno  e  la  quantità  variabile  non  permette  di mantenere  la  pressione  costante  nei  tubi  per  utilizzare 

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caldaie  autonome.  Per  il  riscaldamento  utilizzano  i condizionatori  e  l’acqua  di  questi  è  convogliata  nel serbatoio. Con questo silos riescono a gestire quasi tutto  il periodo  estivo,  solo  di  tanto  in  tanto  sono  costretti  a comprare acqua  imbottigliata per cucinare, ma almeno per le pulizie personali e della casa non ne hanno più bisogno. Un  rumore  strano  proviene  dal  bagno.  Giovanni  non abbandona  la  pentola  e  va  a  controllare:  il  cellulare  sta vibrando sul lavandino, si sposta sempre più verso il bordo, è quasi caduto ormai. Un gesto  rapido, versa  il  liquido nel lavandino e, prima che la pentola sia completamente vuota, ha già  staccato  la mano destra dal manico e  recuperato  il telefono. «Pronto?» «Comandante  sono  Cantalamessa.  Abbiamo  ricevuto  una chiamata  urgente  dalla  collina.  Sembravano  parecchio preoccupati. Vogliono un nostro  intervento sul posto  il più in fretta possibile.» «Va bene, parti subito, sarò pronto in tre minuti!» L’auto di servizio è parcheggiata proprio davanti al palazzo dove abita  il comandante. Al volante un ragazzo giovane,  il viso  ancora  segnato  da  acne  non  scomparsa  del  tutto. Lascia il motore acceso ed esce dall’auto per accendersi una sigaretta  perché  il  comandante  non  sopporta  la  puzza  di fumo. Giovanni  entra  nella  camera  da  letto,  si  china  verso  la moglie  che  dorme,  le  dà  un  bacio;  passa  alla  stanza  dei ragazzi e rimbocca le coperte al più piccolo.  

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Ha quindici anni, quando smetterò di fare sta cosa? Apre  la porta di casa e  la richiude  lentamente per non fare rumore, poi si precipita giù per le scale e dopo due minuti e cinquantotto secondi dalla telefonata è in strada.  Cantalamessa  butta  via  la  cicca  e  si  china  per  aprire  lo sportello.  Le  casse diffondono Rain dei Beatles:  “Can hear me that when it rains and shines. It's just a state of mind” Il comandante è già in auto.  «Insomma… Tutta quest’acqua! Sembra qualcosa di più di uno stato d’animo, non credi?» Gli ordina di partire. «Allora ragazzo, cosa hanno detto precisamente quelli della collina? Perché ci dobbiamo precipitare da  loro a quest’ora del mattino?» «Comandante, non sono stati molto precisi, giusto il tempo di dire di chiamarla e di far presto. Nessun dettaglio.» L’auto  attraversa  la  città  a  grande  velocità.  L’autista  è  un ragazzo  sveglio  appassionato  di motori  e  ha  seguito  vari corsi  di  guida:  veloce,  sicura  sul  bagnato  e  sportiva.  La domenica affitta, insieme agli amici, l’autodromo poco fuori città e corre per l’intera mattinata. Dice sempre che se fosse stato  ricco  avrebbe  fatto  il  pilota  di  formula  uno. Nonostante  la  quantità  di  pioggia  caduta  le  strade  sono percorribili:  il  sistema  fognario ha  retto.  Era  stato proprio 

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Giovanni  anni  prima  a  dare  le  indicazioni  per  renderlo efficiente. Usciti dalla città,  si dirigono verso  la collina che dista una quarantina di  chilometri di  curve e  saliscendi  fra boschi,  pascoli,  capannoni  abbandonati  e  piccole  casette utilizzate come magazzini per  la  legna. Le strade fuori città sono in pessime condizioni. Ci sono tanti piccoli torrenti che vengono  giù  con  veemenza.  Anche  Cantalamessa  è costretto ad  alzare un po’  il piede dall’acceleratore. Dopo un  paio  di  curve  fatte  scodando  con  un  pericolosissimo effetto  planning,  il  comandante  gli  ha  ricordato  che  la macchina  sulla  quale  viaggiano  non  è  una  di  quelle  che guida  la  domenica.  Nonostante  la  velocità  ridotta  c’è bisogno  di  tutta  l’abilità  del  pilota  per  non  finire  fuori strada.  Impiegano  un’ora  e  due minuti  prima  di  giungere davanti al cancello che regola l’accesso alla collina.  Quando  il Presidente aveva acquistato quel pezzo di terra, prima  di  tutto  lo  aveva  fatto  recintare  impedendo  il passaggio  a  curiosi,  cacciatori  e  cercatori  di  tartufi.  Poi, quando aveva dato il via ai lavori per l’impianto, aveva fatto elettrificare la recinzione e installare telecamere e sistemi di allarme  con  rilevatori  di  movimento.  Ora  è  possibile accedere  solo  attraverso  l’enorme  cancello  che  si  para davanti  all’auto. Un  cartello  giallo  con  lettere  nere  avvisa “Sito  d’interesse  nazionale”.  Aveva  ottenuto  che  la sicurezza all’esterno fosse garantita dallo stato. All’ingresso due militari armati, un terzo si avvicina e chiede i documenti al  conducente.  Il  comandante  si  sporge  dal  lato  del passeggero  invadendo  lo  spazio di Cantalamessa e  spunta 

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dal finestrino stringendo  in mano  il tesserino. La guardia  lo esamina  con  attenzione,  torna  nel  gabbiotto  e  fa  una telefonata;  pochi  secondi  ed  esce  correndo  verso  l’auto mentre già ha azionato il comando di apertura del cancello. «Tenga, comandante, e scusi per l’attesa.» Superato il cancello, il bosco di pini s’infittisce sempre più, la strada  si  stringe  fino  a  diventare  percorribile  in  un  solo senso. Cantalamessa accende gli abbaglianti. Pochi metri e trovano  un  semaforo  con  passaggio  a  livello  e  un  altro uomo  di  guardia.  La  sbarra  si  alza  ancor  prima  dell’arrivo dell’auto;  la guardia  tiene  in mano un walkie  talkie che ha appena  finito  di  gracchiare  annunciando  il  passaggio dell’uomo che Alessi ha autorizzato di persona. Ora il viale è illuminato  a  giorno  e  la  luce  è  tanta  che  non  si  formano ombre. Dopo poco giungono in un piazzale con una fontana gigantesca al  centro.  Il getto d’acqua è altissimo,  si perde nel  buio  della  notte  e  sembra  quasi  che  non  ricada  più  o forse  si  confonde  con  la  pioggia.  L’auto  si  ferma  proprio davanti  all’ingresso  dell’edificio.  Una  porta  a  vetri scorrevole si apre prima che  il comandante si sia avvicinato abbastanza  da  toccarla.  Cantalamessa  resta  in  auto.  Il comandante gli ha detto che si sbrigherà  in  fretta; non ha alcuna voglia di restare un minuto più del necessario. 

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La hall ha un soffitto alto più di venti metri. Giovanni alza  il capo  e  pensa  sia  necessaria  la  scala  dei  pompieri  per sostituire  i  faretti.  Sulla  sinistra,  dietro  un  banchetto,  un uomo della vigilanza lo invita ad avvicinarsi. «Potrebbe avvicinare l’occhio sinistro al lettore per favore?» «È proprio necessario eseguire  lo scanner della mia  retina? Non  può  semplicemente  farmi  accompagnare  da  un  suo uomo?» «Mi dispiace comandante. Il dottor Alessi ha ordinato di far salire solo lei.» Pochi  secondi e  l’immagine della  retina è memorizzata nel database  dei  visitatori.  L’uomo  della  vigilanza  tocca  lo schermo davanti a  sé, autorizzazione n. 3814751  ‐ Libertà di movimento: illimitata. Giovanni  attraversa  la  hall  con  passo  svelto,  lasciandosi  a destra  l’enorme  statua  di  bronzo  del  presidente.  Il piedistallo è alto più di dieci metri e il capo sfiora il soffitto. Viene da  ridere a pensare quanto  sia alto quello originale. Sulla  base  le  lettere  in  oro:  “IL  PRESIDENTE”.  Si  avvicina all’ascensore le cui porte si aprono prima che lui sia riuscito a  trovare  il pulsante per  compiere  la  chiamata. All’interno non c’è alcuna pulsantiera,  l’uomo al banco gli  fa cenno di chiedere  al mezzo  di  essere  portato  al  piano  desiderato. Stranito, dice: «Secondo piano… per favore.» Una  voce  metallica  proveniente  dal  soffitto  gli  ordina: «Avvicini  l’occhio  sinistro  al  lettore  per  il  riconoscimento della retina prego.» 

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Alza  la  testa  in  cerca  della  fonte,  poi  scuotendo  il  capo avvicina  la  faccia  al  lettore  e  con  voce  incerta  ripete: «Secondo piano… per favore.» «Riconoscimento  avvenuto.  Benvenuto  comandante Esposito.» 

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3.     Sophie  attraversa  il  cortile dell’università di  corsa  come  al solito. Sono  le nove e ventidue e  la sua  lezione  inizierà  fra otto minuti. È arrivata come sempre con la sua bicicletta da corsa:  ora  deve  salire  nel  suo  ufficio  al  terzo  piano, cambiarsi e andare nell’altro edificio dove tiene la lezione di fisica  nell’aula magna  che  è  già  gremita  da  più  di  un’ora. Anche correndo non riesce a non chinare il capo e arrossire quando passa vicino alla statua di ebano che  la  raffigura e che  il  rettore  ha  voluto  al  centro  del  cortile.  Entra nell’edificio,  sale  le  scale,  spalanca  la  porta  dello  studio  e butta  la  borsa  sul  divano  posto  di  fronte  alla  scrivania. Toglie via gli abiti da ciclista, entra  in bagno e ne esce  tre minuti dopo in tailleur color pesca. Chiude la porta a vetri e tocca per un attimo le lettere che compongono il suo nome e  che  il  padre  aveva  intarsiato  quando  aveva  ricevuto  i Nobel. Sì, è  stata  l’unica  scienziata ad avere  ricevuto nello stesso  anno  il  Nobel  per  la  fisica,  per  la  straordinaria invenzione,  e  per  la  pace,  perché  aveva  donato  la  sua macchina  all’umanità.  Vola  giù  per  le  scale  e  attraversa  a passo  svelto  il  cortile  dirigendosi  verso  l’aula.  In  testa ancora il caschetto da ciclista. 

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Sophie  era  diventata  l’eroina  della  nazione  e  una  delle donne  più  famose  al  mondo.  La  sua  invenzione  aveva salvato migliaia di persone da morte sicura.  Tutto era  cominciato quando aveva  circa dieci anni. Come spesso capitava, nel suo paese scarseggiava l’acqua. Anche i pozzi  più  grandi  e  più  lontani  dal  villaggio,  quelli  che  di solito  riuscivano  a  dissetare  la  popolazione,  quelli  che costringevano  la  madre  a  tre  ore  di  cammino  per raggiungerli  con  un’anfora  pesantissima  sul  capo,  erano secchi.  Il  padre  aveva  deciso  di  razionare  l’acqua  e soprattutto aveva ordinato di non dare da bere al cagnolino che  le  avevano  regalato  quando  era  nata.  Non  riusciva  a pensare ad altro: un  sistema  che permettesse di produrre acqua e conservarla per  i periodi di siccità. Aveva fatto due coni  rovesciati  con  la  plastica  e  li  aveva  uniti  tra  loro incollando  un  bastoncino  di  legno  alla  base  e  un  altro  al vertice. Con un filo di nylon, rubato alla canna da pesca del padre,  infilato alla base dei coni e legato intorno alla testa, riusciva a tenerli fermi proprio sugli zigomi, sotto gli occhi. Aveva trattenuto tutte le lacrime di rabbia e di dolore fino a quando il suo marchingegno non era finito, poi finalmente si era  lasciata  andare  a  un  pianto  liberatorio.  Le  lacrime scendevano copiose lungo il viso e finivano la loro corsa nei coni  di  plastica.  Sophie  di  tanto  in  tanto  li  svuotava  e 

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versava  il  liquido  in una  ciotola vicina alla  cuccia del  cane. Raccoglieva anche  la pipì,  la filtrava e poi  lasciava  il  liquido ottenuto  in un recipiente di plastica coperto da una specie di  cupola.  La  volta  terminava  in  un  secondo  recipiente. Dopo un’ora nel primo recipiente erano rimasti solo granelli di  sale  minuscoli,  che  poteva  osservare  con  il  piccolo microscopio regalatole dal padre, e nel secondo c’era acqua limpida.  Dopo  quell’espediente  era  certa  che  non bisognasse rassegnarsi al fatto che  in Somalia si morisse di sete,  oltre  che  di  fame.  Era  convinta  che  si  potesse  fare qualcosa  anche  senza  avere  l’aiuto  dei  paesi  ricchi,  come diceva  il  papà. Non  si  doveva  aspettare  che  altre  nazioni venissero  a  dissetarli.  Quell’ostinazione  l’avrebbe  portata molti  anni  dopo  a  inventare  la macchina magica,  come  la chiamavano gli anziani del villaggio.  Anche questa volta è riuscita ad arrivare in perfetto orario. Attraversando  il  parco  ha  evitato  curiosi,  giornalisti, emissari  di  governo  ed  ex  studenti  ed  è  entrata  nell’aula dalla  porta  sul  retro.  Camminando  verso  la  cattedra  e  le lavagne  dall’altro  lato  dell’aula  si  produce  uno  strano effetto:  il brusìo che proviene dai banchi s’intensifica poco prima  del  suo  passaggio,  cessa  quando  è  proprio  in  linea con  la  fila e  riprende  subito dopo.  I  ragazzi alzano  il  capo per  ammirare  la  sua  bellezza  e  per  guardare  la  luce  negli occhi di quella donna. Lo sguardo sempre un po’ perso nei propri  pensieri,  ma  al  quale  non  sfugge  ogni  minimo movimento,  un’aria  sempre  a metà  tra  la  sognatrice  e  la donna pragmatica  che  è  riuscita  a  tradurre  i  suoi  sogni  in 

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realtà.  Giunta  al  proprio  posto,  dalle  prime  file  le  fanno notare che ha ancora il caschetto in testa. Non si scompone. Sorride e se  lo sfila,  lasciando  i capelli raccolti  in un piccolo chignon, tenuto da una matita, sulla nuca. La  lezione  è  interessante  come  sempre,  il  coinvolgimento degli  studenti  è  totale:  Sophie  ama  interagire  con  loro, soddisfa  ogni  più  strana  curiosità  e  non  si  tira  indietro neanche quando  le chiedono delle sue  intuizioni o dei suoi metodi, piuttosto che di leggi, compendi e teoremi. Finita  la  lezione, è di nuovo di corsa per  il parco e segue  il percorso  inverso, con  tanto di cambio d’abito nello  studio per  tornare  a  essere  la  ciclista  del  mattino.  Recupera  la bicicletta  e  attraversa  il  vecchio  villaggio  sul mare  che  è cresciuto intorno all’impianto fino a diventare una cittadina. Le  strade  sterrate  di  un  tempo  sono  state  asfaltate,  c’è l’illuminazione grazie al parco di pannelli solari che circonda l’impianto  e  all’altra  diavoleria  che  ha  inventato  Sophie. Superata  la  parte  nuova  della  città,  giunge  alle  vecchie baracche  sul mare  oltre  le  quali  sorge  l’impianto.  Sophie aveva  voluto  che  fosse  costruito  senza  deturpare  il paesaggio: doveva essere attraente per i più piccoli e quindi aveva pensato di farlo somigliare a un castello di sabbia.  FINE ANTEPRIMACONTINUA...