La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

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SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 9 DEL 4 MARZO 2012 NUMERO 2 SABATO 21 APRILE Giovani chiamati a vegliare Veglia di preghiera con i giovani per le vocazioni presieduta dal vescovo Beniamino Pizziol Cattedrale di Vicenza, inizio alle 20.30 info su www.vigiova.it Per informazioni contattare la segreteria diocesana allo 0444.544599 o visitare il sito www.acvicenza.it Weekend di Spiritualità Giovani Voce di silenzio sottile 9-11 marzo con don Aldo Martin oppure 16-18 marzo con Antonella Anghinoni A un certo punto del Vangelo Gesù pone ai suoi discepoli una domanda imbarazzante; vuole sapere cosa pensano di lui: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29). Il contesto in cui accade questo dialogo - secondo il racconto di Marco - è altamente significa- tivo per noi oggi: Cesarea di Fi- lippo, anticamente chiamata Banjas, città dedicata prima al dio “Pan” e poi a Cesare. Siamo nel cuore del paganesimo, in una terra religiosamente con- fusa, dove si mescolano templi e tradizioni spirituali molto di- verse. È una località che ci rap- presenta: abitiamo anche noi, in un certo senso, a Cesarea di Filippo! Se Gesù provasse a for- mulare la stessa domanda oggi, quale sarebbe la nostra rispo- sta? Cosa risponderebbero i giovani vicentini? Sfogliamo ancora una volta le pagine di C’è campo, l’indagine sulla religiosità dei giovani vi- centini. Alcuni hanno appreso a leggere il Vangelo nei gruppi e nei movi- menti, si fidano, è il loro punto di riferimento, in certuni la fonte cui ricorrere quando l’insegna- mento delle autorità religiose la- scia perplessi - si legge nel volume -. Quasi tutti gli altri, che pure non lo leggono, ne conser- vano l’idea che in esso siano cu- stoditi valori in cui si riconoscono, una buona sag- gezza, per qualcuno un codice delle leggi supreme. Ma quanto al contenuto di fede, sull’esi- stenza effettiva di Gesù, su quello che avrebbe operato e vissuto, sul fatto che sia realmente figlio di Dio, e infine (e soprattutto) che sia risorto, la situazione di stallo si ripresenta in molti (pag. 589). Mentre camminiamo verso il convegno ecclesiale di Aquileia 2 ci interroghiamo sul signifi- cato dell’espressione “Nuova Evangelizzazione”, che da de- cenni risuona nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica. Cosa significa nel 2012 educare i giovani alla vita buona del vangelo, comunicare loro il vangelo in un mondo che cam- bia? Lasciamo che a interrogarci sia ancora una volta lui, il fale- gname di Nazareth, che in punta di piedi attraversa i terri- tori pagani del mondo post- moderno, in attesa che qualcuno abbia fame e sete di una Parola viva, capace di aprire i sepolcri e guarire le fe- rite. Parole che in tempo di crisi riconsegnino, a chi si sente ab- battuto, un’inedita speranza. Don Andrea Guglielmi 1 La Parola ai giovani “Chi dite che io sia?” Un annuncio che si rinnova Il graffio di don Dario Vivian Gesù di Nazareth sta na- vigando, non nel lago di Tiberiade con i suoi di- scepoli, ma tutto solo in internet. Ha un profilo su face- book, non molto racco- mandabile, a dire il vero; d’altra parte la sua ami- cizia la dà e la chiede a tutti, con predilezione per le persone più strane, diverse, straniere. Ad un certo punto qual- cuno chatta con lui; un giovane, che vedendo dal profilo che si tratta di un rabbì, gli fa una domanda impegnativa: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» Continua a pag. 7

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SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 9 DEL 4 MARZO 2012NUMERO 2

SABATO 21 APRILE

Giovani chiamati a vegliare

Veglia di preghiera con igiovani per le vocazionipresieduta dal vescovo

Beniamino Pizziol

Cattedrale di Vicenza,inizio alle 20.30

info su www.vigiova.it

Per informazioni contattare la segreteria

diocesana allo 0444.544599 o visitare il sito

www.acvicenza.it

Weekend di SpiritualitàGiovani

Voce di silenzio

sottile9-11 marzo

con don Aldo Martin

oppure

16-18 marzo con Antonella Anghinoni

A un certo punto del VangeloGesù pone ai suoi discepoli unadomanda imbarazzante; vuolesapere cosa pensano di lui: “Mavoi, chi dite che io sia?” (Mc8,29).

Il contesto in cui accade questodialogo - secondo il racconto diMarco - è altamente significa-tivo per noi oggi: Cesarea di Fi-lippo, anticamente chiamataBanjas, città dedicata prima aldio “Pan” e poi a Cesare. Siamonel cuore del paganesimo, inuna terra religiosamente con-fusa, dove si mescolano templie tradizioni spirituali molto di-verse. È una località che ci rap-presenta: abitiamo anche noi,in un certo senso, a Cesarea diFilippo! Se Gesù provasse a for-mulare la stessa domanda oggi,quale sarebbe la nostra rispo-sta? Cosa risponderebbero igiovani vicentini?

Sfogliamo ancora una volta lepagine di C’è campo, l’indaginesulla religiosità dei giovani vi-centini.

Alcuni hanno appreso a leggereil Vangelo nei gruppi e nei movi-menti, si fidano, è il loro punto diriferimento, in certuni la fontecui ricorrere quando l’insegna-mento delle autorità religiose la-scia perplessi - si legge nelvolume -. Quasi tutti gli altri, chepure non lo leggono, ne conser-vano l’idea che in esso siano cu-stoditi valori in cui siriconoscono, una buona sag-gezza, per qualcuno un codicedelle leggi supreme. Ma quantoal contenuto di fede, sull’esi-stenza effettiva di Gesù, su quelloche avrebbe operato e vissuto,sul fatto che sia realmente figliodi Dio, e infine (e soprattutto) chesia risorto, la situazione di stallosi ripresenta in molti (pag. 589).

Mentre camminiamo verso ilconvegno ecclesiale di Aquileia2 ci interroghiamo sul signifi-cato dell’espressione “NuovaEvangelizzazione”, che da de-cenni risuona nei documentiufficiali della Chiesa Cattolica.

Cosa significa nel 2012 educarei giovani alla vita buona delvangelo, comunicare loro ilvangelo in un mondo che cam-bia?

Lasciamo che a interrogarci siaancora una volta lui, il fale-gname di Nazareth, che inpunta di piedi attraversa i terri-tori pagani del mondo post-moderno, in attesa chequalcuno abbia fame e sete diuna Parola viva, capace diaprire i sepolcri e guarire le fe-rite. Parole che in tempo di crisiriconsegnino, a chi si sente ab-battuto, un’inedita speranza.

Don Andrea Guglielmi

1

La Parola ai giovani

“Chi diteche io sia?” Un annuncio

che si rinnova

Il graffiodi don Dario Vivian

Gesù di Nazareth sta na-vigando, non nel lago diTiberiade con i suoi di-scepoli, ma tutto solo ininternet.

Ha un profilo su face-book, non molto racco-mandabile, a dire il vero;d’altra parte la sua ami-cizia la dà e la chiede atutti, con predilezioneper le persone piùstrane, diverse, straniere.

Ad un certo punto qual-cuno chatta con lui; ungiovane, che vedendodal profilo che si trattadi un rabbì, gli fa unadomanda impegnativa:«Maestro, che cosa devofare di buono per avere lavita eterna?»

Continua a pag. 7

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La Parola ai giovani

Si chiama GiAC, ma la prima pa-rola che mi viene in mente è: tes-suto, vale a dire fili diversi cheintessuti insieme si rinsaldano epossono creare colorate fantasie,vale a dire qualcosa che segue unatrama che instancabilmente si in-treccia, in un telaio potenzial-mente senza limiti. Ciascun filoresta tale, ma soltanto nell’incon-tro con altri fili può comporre di-segni, o anche soltanto riuscire ascaldare. Forse al GiAC ci sen-tiamo, o sempre più vorremmosentirci, proprio così, fili diversiche si incrociano, si conoscono, sirinsaldano, si aprono a nuove, in-cessanti tessiture; tra di noi, nelterritorio bassanese, nell’AC vica-riale.

Rewind. Il GiAC è il gruppoGiovani di Azione Cattolica del vi-cariato di Bassano del Grappa,giunto al terzo anno di cammino.Il nome è venuto dalla sempliceconsuetudine d’uso, e siamo ungruppo di circa quindici giovaniche condividono un percorso fattodi incontri mensili dedicati al con-fronto, all’approfondimento ditemi e situazioni fra le più varie, alcammino di fede e ad allegre cenein compagnia (perché è propriointorno alla tavola che noi prepa-riamo che riusciamo a confron-tarci di più e meglio). Una tagcloud degli incontri del primo

anno conterrebbe parole come:accoglienza, culture, laicità, mi-granti, dialogo, convivenza. Iltema conduttore del secondoanno si è invece innervato a par-tire dalla parola “giustizia”. Ogniincontro un ospite, in parte rela-tore per il tema, in parte amicoper come la condivisione dellacena e di un felice stare insieme,restituiscano poi la bellezza delconfronto sincero. Economisti,persone impegnate nell’acco-glienza ai migranti, insegnanti, lacomunità islamica bassanese, ma-gistrati, Casa Progetto Jonathan,biblisti, sindacalisti, la carrellata diospiti è lunga e multiforme. Ilgruppo è nato come un piccoloesperimento, ma riteniamo ilGiAC un’esperienza realmente si-gnificativa, nella sua semplicità,proprio per la combinazione di in-contro, stile della compagnia, dia-logo, approfondimento dellacomplessità, con uno sguardo in-tegrale che valorizzi le cose all’in-terno del loro contesto;un’esperienza che è occasione im-portante di formazione come cri-stiani cittadini, e allenamento diun pensare insieme che sia ancheun ripensarsi – come persone,gruppo, associazione, società – inmodo aperto, liberandoci dagli or-pelli (pure talvolta nobili e inte-ressanti).

All’inizio di questo terzo annopensavamo di muoverci in una ga-lassia fatta di parole come: cittadi-nanza, lavoro, stili di vita,precarietà, giovani, valori... Mavisto che temi e proposte nasconoin uno spazio di disponibilità a farsiinterpellare dalle persone ed espe-rienze che incontriamo, abbiamoscelto di dedicare un’uscita al Con-cilio Vaticano II, cinquant’annidopo il suo inizio nel 1962. E dun-que: “Il ruggito del Concilio”. Que-sto il titolo di un weekend digennaio vissuto insieme in unacasa della parrocchia di Camporo-vere, sull’altopiano, accompagnati,come di consueto, dai giovani as-sistenti del vicariato e da don Si-mone Zonato, ospite del gruppoper aiutarci a lavorare sul tema.Non si è trattato di un discorso no-stalgico su un decisivo evento ec-clesiale, né ci siamo limitati ad unapprofondimento dei contenuti edei documenti. Abbiamo scelto di

dare priorità alla comprensionedello stile conciliare, metodo es-senziale per come custodisce in sél’idea di una Chiesa che si pone inatteggiamento di empatia e spe-ranza verso l’umanità, in rapportoad una verità che va vissuta piùche difesa, e con atteggiamento diascolto di venti secoli di Chiesa maanche di una modernità che gridaalla Chiesa stessa. Un insegna-mento di metodo anche per noicome gruppo, che con differentimodalità di approfondimento, cisiamo lasciati stimolare. Dal mo-mento che il Concilio dovrebbe es-sere un processo, uno stile cheinstancabilmente abita la chiesa,cosa potrebbe dire oggi? Il mondoanche oggi grida (in vario modo,va detto) alla Chiesa: come acco-gliamo quelle grida? Cosa fanno lenostre orecchie, come reagisce ilnostro cuore? Noi - anche inquanto gruppo, associazione, retedi relazioni - cosa facciamo risuo-

nare? Grazie a momenti personalidi riflessione e a laboratori, il con-fronto tra noi è stato addiritturaemozionante, per partecipazione,profondità, schiettezza, ascolto.Abbiamo individuato alcune que-stioni, ecclesiali e che proprio perquesto interpellano ciascuno dinoi, che ci paiono particolarmenteurgenti (capacità di ascolto dellepersone, senso di comunità, con-sapevolezza del laicato, forma-zione di coscienza e libertà discelta, i linguaggi che usiamo,ecc), germe e lavoro in prospettivaper i prossimi incontri del GiAC.

Quest’uscita rappresenta pernoi un gesto importante, e spe-riamo apra una strada nella qualeil gruppo possa investire tempo,creatività, intelligenza e voglia diconfronto e condivisione conquanti incontreremo. Fili diversi,pronti a lasciarsi intrecciare perrinsaldarsi in tessuto, instancabil-mente.

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Giustiza, dialogo, Concilio, cittadinanza,laicità: sono i temiaffrontati dai giovanidell’AC bassanese

Il GiAC di Bassano,un tessuto di relazioni

L’esperienza di Enrico Zarpellon

Appuntamento mensile per i giovani bassanesi con don Aldo Martin, biblista

Pregare Dio, come entrare in con-tatto con Lui, interpretazioni per-sonali e condivise delle SacreScritture, Vangeli canonici e Van-geli apocrifi... Sono questi alcunidegli argomenti “spinosi” finoratrattati nel corso dell’iniziativa“Un Dio di Parola”. Si tratta del ti-tolo dato agli incontri che si svol-gono una volta al mese al CentroGiovanile di Bassano del Grappa,e rivolti a tutti i giovani del vica-riato. A condurre le serate è donAldo Martin, biblista e insegnantedi Sacra Scrittura.

Aperte a tutti i giovani che vivolessero prendere parte (propriocosì, prendere parte: non somi-gliano affatto a noiose conferenze“frontali”), queste serate hanno loscopo di affrontare i temi riguardoai quali molti di noi, se non tutti,hanno numerosi punti interroga-tivi.

Un approccio che ci mette a nostro agio

«L’approccio di don Aldo cimette da subito a nostro agio, maprende poi una piega quasi sche-matica: passo passo ci spiegacome sarà strutturato l’incontro -è la testimonianza di Laura Ce-resa, una giovane che ha se-guito gli incontri - Ad aprire laserata è sempre un elemento vi-cino a noi, come un film o un sms,un qualcosa che conosciamo dacui far partire tante domande e ri-flessioni. Segue un momento cheha per protagonista la condivi-sione, prima a gruppetti e poi tuttiassieme, dei nostri dubbi, dellenostre opinioni. Si rivela così l’ete-rogeneità del gruppo: chi è piùsaldo nelle sue convinzioni, chi faancora fatica a capirci qualcosa,chi è troppo timido per esporsi epreferisce ascoltare. La conclu-sione di don Aldo, però, ci aiuta avederci un po’ più chiaro: con quelsuo modo di fare quieto, ma de-terminato, riesce a fissare deipunti di arrivo, che sono al tempostesso punti di partenza pernuove discussioni, per illuminare

ogni volta un po’ di più quegli an-goli bui della fede e segnare ilcammino da seguire alla scopertadella Scritture e dei loro significatipiù difficili e talvolta contraddit-tori».

Una propostache ha riempito un vuoto

«Tante volte, aprendo la Bibbia,mi sono posto domande quali “chiha scritto questi libri?”, “per qualemotivo sono stati scritti?”, “sonoracconti affidabili?”, o ancora,“cosa vogliono trasmettere o rac-contare questi scritti?”, “che si-gnificato possono avere per me?”.- racconta invece Giulio Zilio,un altro giovane bassanese -.Queste e altre domande, oltre aldesiderio di approfondire le Scrit-ture, mi hanno spinto a parteci-pare al cammino “Un Dio diParola”. È una proposta che, dalmio punto di vista, ha riempito unvuoto, offrendo a molti giovani lapossibilità di avvicinarsi a testiche ormai siamo più abituati a sfo-gliare che a gustare.

Tre le serate proposte finora,nelle quali abbiamo esplorato i si-gnificati che la Parola può assu-mere: la dimensione della ricerca,del mettersi in contatto, della pre-ghiera; il ricordare, il fare memo-ria di un avvenimento,un’emozione che ha lasciato unsegno; il raccontare una storia,anche da diverse prospettive.

Partendo da noi, dalle nostrestorie, siamo arrivati alle storie

narrate dalle Scritture e aglieventi che ne hanno segnato lepersone. Così da un messaggioconservato da anni, che ci ricordauna persona, un’emozione, si ar-riva alle Lettere e agli Atti, libriispirati che, facendo memoria, di-ventano testi fondanti e vere re-gole di vita per la comunità deicredenti. Un film visto e poi rac-contato da tanti di noi con moda-lità, prospettive e stili differenti,ci ha invece portati a scoprire gliscritti evangelici tanto nelle lorodifferenze quanto nella loro uni-cità.

Questo tipo di approccio, cheparte dalla semplicità della nostra

vita, ma arriva ad una grande pro-fondità, mi ha lasciato positiva-mente stupito. Oltre a ciò, questiincontri rappresentano, per i gio-vani, uno spazio inedito di appro-fondimento e confronto,un'occasione unica per la forma-zione personale. È un itinerarioche mi sento di suggerire ad altrigiovani, perché ritengo che siafondamentale, al giorno d'oggi, difronte ai tanti interrogativi che ilmondo e la società ci pongono, in-dagare e conoscere a le SacreScritture e non accontentarsi diuna conoscenza parziale e super-ficiale dei testi fondanti della no-stra Fede cristiana».

I prossimi

appuntamenti

Bassano del GrappaCentro Giovanile

(Piazzale Cadorna 34)inizio alle 20.30

15 marzo26 aprile

10 maggio7 giugno

Dio? Uno “di Parola”

Page 3: La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

La Parola ai giovani3

Educazione sessuale a cura di Manola Tasinato e Giampietro Borsato

«Dedichiamo tutti gran parte delnostro tempo e delle nostre ener-gie a cercare la persona giusta e cichiediamo se saremo in grado,quando ci innamoreremo, di ca-pire che si tratta proprio del-l'amore della nostra vita! C'è soloun problema: spesso (fin troppospesso) ci affanniamo in questa ri-cerca perché siamo convinti chequando troveremo la persona giu-sta, finalmente, potremo chiederledi rispondere alla principale do-manda della nostra vita»... Marcofa una pausa e mi guarda drittonegli occhi abbastanza a lungo dafarmi provare una strana emo-zione, quindi sposta lo sguardosugli altri giovanissimi del gruppodi cui faccio parte, al quale è statoinvitato a raccontare la sua adole-scenza.

Poi si alza dalla sedia, la fa sci-volare al centro del cerchio e diceindicandola con un cenno delmento: «Questo è il mio corpo. Io elui stiamo assieme da quando sononato. All'inizio non mi ha datomolti problemi, finché non mi sonoaccorto che si trasformava ad unavelocità impressionante, finchénon ho avuto la certezza che – di-versamente da quando ero bam-bino – gli altri si accorgevano dime soprattutto a causa del miocorpo: la mia voce stava cam-biando, il mio portamento, il mioodore, la mia forza... io stavo cam-biando: non ero più un bambino!Per tutta la mia infanzia non miero fatto nessun problema este-tico, abitavo il mio corpo e basta.Ma a un certo punto... è come seimprovvisamente fosse sorto unproblema nuovo: il mio corpostava cambiando, e io?

Questa trasformazione mi avevamesso in testa una domanda assil-lante: chi sono io? Sono la personagiusta? Mi vado bene così? Chivorrei diventare? Mi sembravache, come me, anche Ken il guer-riero e perfino Gesù cercasserocon tutte le forze di scoprire lapropria identità. “Chi dite che iosia?”... Beh, alla fine, per tutti que-sti motivi, forse senza saperlo,anzi... pensando di andare fuoritema... ho iniziato a ballare. Bal-lare, per me, significa tentare di ri-spondere in prima persona alla piùgrande domanda della mia vita: chisono? Sono la persona giusta perme?»

Marco preme un tasto dellostereo e inizia a ballare sui bassi diFreestyler. Balla dentro il cerchio,attorno alla sedia. La musica è po-tente e quello che fa mi costringea contrarre i muscoli delle cosce inspasmi così forti da non sentirmimeno coinvolto del cappucciodella sua felpa.

Poi si ferma, abbassa il volumee dice: «Prima di capire quantofosse importante per me tentare dirispondere a questo interrogativo,non ballavo. Muovevo il corpo...perché avevo un corpo e lo trat-tavo come qualcosa di altro da me.Era tutto più difficile. Ma quandoho iniziato a capire che devo sco-prire chi sono a partire dal miostesso corpo, quando ho intuitoche sono la persona giusta in que-sto tempio che cambia, che micontiene e che – limitandomi – mipermette di apprezzare ciò chenon ha limite, quando ho iniziato asentire e a sapere ciò che il miocorpo sente e sa, allora ho smesso

di agitarmi ed ho iniziato a dan-zare».

Marco alza la musica e conti-nua a ballare. Quando il pezzo fi-nisce, con il fiatone, va a prendereun oggetto dal suo zaino, ce lo mo-stra e ci chiede: «Sapete cos'è?». «Una trottola!» è la voce di Sofia.La bocca dello stomaco mi si spa-lanca improvvisamente. Mi eroquasi dimenticato della sua pre-senza. Ha gli occhi luminosi. Sivede che Marco le piace. E sonocontento, perché piace anche ame. Mi piace come balla e comeparla, è come se ti mostrasse lecose che racconta. È coinvolgente.

Marco si avvicina e le porgeuna vecchia trottola di legno, inta-gliata a mano, con una punta me-tallica. «Sai giocarci?» le chiede

Marco. Sofia appoggia la trottola aterra tenendola per il chiodo etenta di farla girare, ma questa ini-zia a dondolare sul dorso e a de-ambulare goffamente tra le nostregambe. Ridiamo di gusto. Marcoguarda Sofia e la incalza: «Al-lora?». Lei diventa un po' rossa edice: «Non so usarla». «Però sa-pevi che era una trottola – diceMarco – e ci hai appena dimo-strato che sapere un nome, sapereuna cosa non significa necessaria-mente conoscerla. Cosa nepensi?». Sofia è in difficoltà esento di doverla aiutare. «Serve ilfilo» sbotto. «Bravo!» mi fa l'oc-chiolino allungandomi un cordinorosso e bianco. Sono fregato. Miguardano tutti. Non posso più ti-rarmi indietro... mi viene in mentela trottola che mio padre mi ha in-tagliato quand'ero piccolo. Mel'aveva regalata come fosse unprezioso reperto della sua infanzia.È sulla mia scrivania e non ho maipensato che un giorno mi avrebbefatto comodo saperla usare. Men-tre cerco di avvolgere il filo at-torno a quel ruvido cono di legno,Marco mi tiene d'occhio e conti-nua a parlare: «La trottola è comeil nostro corpo: il fatto di posse-derne uno non ci garantisce di co-noscerlo. È come il sesso...». Aquesta parola la trottola mi saltadalle mani. Riesco a non farla ca-dere ma il filo è aggrovigliato.Marco prende il cordino, lo di-stende, mi sorride e mi incoraggiaa provare un'altra volta. Poi ri-

prende: «La trottola è come ilsesso: è un gioco molto antico, maciò non significa che noi saremodei buoni giocatori. Alla sua anti-chità non corrisponde la nostraabilità.» Finalmente riesco ad av-volgere tutto lo spago. Lui si na-sconde dietro Lucia, la nostraanimatrice e poi grida «Lancia!».Ridiamo tutti e io provo.

Cerco di sembrare disinvoltomentre scaglio con forza la trottolaverso il pavimento. A un certopunto tiro il filo verso di me: misembra che papà avesse fatto così.Qualcosa va storto. Si appoggia suun fianco e ruota in modo innatu-rale per un po', poi si ferma.

Poteva andare peggio. Marco af-ferra la trottola, mi consegna il filoe mi guarda mentre dice: «Ognunodi noi ha il compito di trovare ilproprio modo di far girare la trot-tola, il proprio modo di giocare ilgioco della vita, il proprio modo diamarsi e di amare. A me, peresempio, la trottola piace farla gi-rare così...». Accende la musica,parte un pezzo dei Beasty Boys,una canzone che adoro, è Sabo-tage... Sposta la sedia, tiene latrottola in mano e inizia a fare deipassi in mezzo al cerchio, poi va aterra e con una sforbiciata delle

gambe inizia a fare un numero cheavevo visto solo su Youtube, sichiama Windmill. Il suo corpo sicomporta come una gigantescatrottola che ruota prima sullespalle, poi sul busto e perfino suparte della testa di Marco, mentrele gambe leggermente divaricategli orbitano attorno, compiendo aogni giro una carpiatura, rilan-ciando a sempre maggior velocitàquell'impressionante rotazione.Improvvisamente il suo corpo siraccoglie e diventa una pallina cheruota velocissima su se stessacome se tra le spalle di Marco cifosse un perno invisibile.

Di colpo si blocca in una posi-zione statuaria e noi tutti applau-diamo, perché ha fatto un numeroda paura. Per salutarci Lucia cifa pescare da una cesta un ciocco-latino e ci dice di provare a riflet-tere sulla domanda che ci ècapitata. Io lo scarto con cura eleggo: «Come puoi pretendere cheti creda quando dici che mi ami, senon sai amare nemmeno testesso?». Lì per lì non gli do peso,ma in questi mesi ho scoperto chealcune domande che ci scavanodentro come tarli, ci fanno sco-prire di possedere una profonditàche non sospettavamo.

LA STORIA

Marco balla la vita

Quando nel proprio cammino vo-cazionale ti fermi per dare unosguardo indietro sulla strada fatta,spesso ti accorgi che proprio nellesituazioni (raramente è un’occa-sione sola!) dove meno te loaspettavi Lui era là, discreto comeal solito, presente nei tuoi compa-gni di viaggio.

Mi chiamo Enrico, ho 26 anni eprovengo dalla parrocchia di Vil-labalzana in Arcugnano, una dellesette parrocchie che compongonol’unità pastorale “Valli Beriche”.Sono laureato in Architettura esono uno dei seminaristi del 2°anno di Teologia a Vicenza.

Come tanti giovani, anch’ioper molti anni sono stato anima-tore dei ragazzi delle medie e deigiovanissimi della mia u.p. ed è inquesto ambiente “di parrocchia”che si è giocata la mia dimensionedi fede. Fin qui tutto normale, di-rete voi. Ma nella mia storia enella scoperta dell’incontro conGesù – potrà sembrarvi strano –un aspetto importante per me loha rivestito la musica: da parecchianni suono il flauto traverso e lapassione per la musica mi ha por-tato a fare un’esperienza partico-lare. Nell’estate del 2006 hopartecipato ad una settimana di

formazione per animatori della li-turgia a S. Giuliana di Levico: è uncorso per musicisti, direttori, can-tori, aperto a persone di tutta Ita-lia. Qui ho conosciuto Riccardo,un ragazzo un anno più giovane dime, di Milano. Con lui è nata dasubito una bella amicizia, strettadalla comune passione per la mu-sica, ma anche dal percepire un“qualcosa” di più profondo che ciaccomunava, quel Gesù che da unpo’ mi affascinava e che avrebbespinto - come scoprii con curiositàe sorpresa - il mio nuovo amico,da lì a qualche mese, a entrare inseminario a Milano.

Quell’incontro per me è statoqualcosa di “spiazzante”, di quelliche in qualche modo ti lascianoun segno, proprio perché negliocchi di chi stava per compiere, avent’anni, una scelta così grandee bella, si leggeva tutto l’entusia-smo di decidersi per Qualcuno diimportante, senza nasconderel’incertezza per non avere giàtutte le risposte in mano. Grande,però, era la consapevolezza di nonessere da soli in questo “buttarsi”,perché fiduciosi del sostegno diDio.

L’esempio di Riccardo e il con-fronto in questi anni di amicizia a

distanza, mi sono serviti per in-terrogarmi profondamente suquale senso avesse per me Gesù,su che cosa concretamente michiamasse a fare della mia vita: sela scelta di una vita nel sacerdo-zio, a servizio degli altri, valesse lapena di essere presa in considera-zione. Questo mi ha dato la forzadi compiere alcuni “passi” per gio-carmi seriamente alla luce dellasequela del Maestro.

L’invito del suo «Seguimi!» dainiziale pensiero – anche scomodo– è diventato sempre più deside-rio di approfondire il mio cam-mino di fede, anche nellapossibilità di una vita come prete:da qui negli anni scorsi il con-fronto con il mio parroco, poil’esperienza di un anno di accom-pagnamento e discernimento vo-cazionale con il cammino delGruppo Sichem e il seguente annodi vita presso la comunità voca-

zionale “Il Mandorlo” del Semina-rio… fino ad arrivare (ora) allascelta di essere in Teologia, dove ilcammino continua.

Tra qualche mese (don) Ric-cardo sarà ordinato a Milano, e iospero di potergli essere accanto,soprattutto per rendere, assiemecon lui, grazie a quel Signore cheha incrociato le nostre strade eche in questi anni ha saputo starcivicino. E quando ripenso allaprima volta in cui ci siamo incon-trati, a quella prima stretta dimano con cui di solito distratta-mente ci si saluta, proprio nonriesco a non leggervi la presenzadi Dio, la bellezza del suosguardo, lo stesso con il qualeGesù semplicemente ci chiede diessere per i nostri fratelli dei te-stimoni autentici e luminosi delgrande amore che Egli nutre perciascuno di noi.

Enrico Posenato

Pro-vocazione

«Sai, entro in seminario...»

Mosaico di Rupnik, “Maestro dove abiti?”

Page 4: La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

La Parola ai giovani

La domanda che Gesù poneai suoi discepoli: “E voi chidite che io sia?”, risulta da

sempre efficace per il suo andaresubito, senza mezze parole, alcentro della questione del rap-porto fra il discepolo e Gesù.

È efficace perché non lasciavie di fuga, mettendo il credentedi ieri, come quello di oggi, difronte alla necessità di prendereposizione nei confronti del Mae-stro di Nazareth. Eppure qual-cosa in questo campo sembraindicare che i termini del pro-blema si stanno ulteriormentespostando. Oggi non è più soloquestione di “Chiesa no… Cristosi!”, ma “Chiesa certamente no…,Cristo forse…, spiritualità si!”.Ecco quella che sembra essere laversione 2.0 della ricerca dei gio-vani almeno alle nostre latitudini.

Cristo attira ancora, Gesù haancora il suo fascino, ma nel-l’epoca post-moderna il centro diquesto interesse non è tanto peril suo essere un “rivoluzionario”,un innovatore sociale quanto un“maestro spirituale”, capacecome altri (o forse più di altri) diindicare un modo per raggiun-gere il proprio “io interiore” e lafelicità.

Il nuovo interesse per il sacro,che a vari livelli sembra emergerein questo nostro tempo, è datodalla parola “spiritualità”, che as-sume di volta in volta significatidiversi e in continua evoluzione.Cosa significa? Nel tempo delweb basta scrivere la parola inquestione su di un motore di ri-cerca… ed ecco la risposta citatanaturalmente da Wikipedia: “Laspiritualità, termine che riguarda,a grandi linee, tutto ciò che ha ache fare con lo spirito, ha svariateaccezioni e interpretazioni.

Il suo significato più semplice èil concetto che, oltre alla materiatangibile esista un livello spiri-tuale di esistenza, dal quale la ma-teria tragga vita, intelligenza oalmeno lo scopo di esistere; tutta-via può arrivare a includere lafede in poteri soprannaturali(come nella religione), ma sem-pre con l’accento posto sul valorepersonale dell’esperienza. L’attri-buzione di spiritualità a una per-sona non implicanecessariamente che quella per-sona pratichi una religione ocreda, in generale, all’esistenzadello spirito; in questo caso, laspiritualità è vista piuttosto un“modo d’essere” che evidenzi

scarso attaccamento alla materia-lità”.

La spiritualità allora è vista inalternativa alla materialità e fa ri-ferimento a una dimensione altradella vita, non immediatamentetangibile, capace però di esserein una qualche relazione con lamateria, al punto che questa as-sume un senso e una pienezzaproprio a partire da questo livelloaltro.

Una persona spirituale è allorauna persona che ha un certomodo di essere e di vivere chepuò essere religioso, ma non lo ènecessariamente! In questo oriz-zonte la parola spiritualità ri-manda, non tanto a unatrascendenza, a un Dio o allo Spi-rito Santo, ma a una dimensionedella vita che può portare alla fe-licità, all’autorealizzazione, allapienezza di senso; spiritualità è ilcammino di ricerca, di purifica-zione che ogni uomo è chiamato afare per ritrovare se stesso inmodo più vero.

E per far questo si può far ri-ferimento a una serie di pratichedi vita considerate più sane, piùconsone all’uomo, che vannodalla gestione del tempo all’ali-mentazione, dalle pulizia nelle

relazioni al controllo sulle pro-prie emozioni, dall’attività fisicaalla meditazione.

Le prospettive? Il rischio èsempre quello di leggere tutto innegativo… Sento invece che inquesta nuova ricerca di spiritua-lità si nasconde il desiderio di au-tenticità con se stessi, di unità divita, di senso pieno non legatoalle cose, ma alle relazioni. Ilpercorso del ri-trovare l’autenti-cità della propria vita in profon-dità non è certamente facile e ilrischio di scappare, di far finta diniente, di non pensarci troppo,non è solo una pura possibilità.

Ma ci sono anche persone, deigiovani che percorrendo questastrada fino in fondo ritrovano lavita a un livello nuovo e diven-tano capaci di essere segno di

speranza per tutti. Il tempo diQuaresima può essere un’occa-sione che ci è data per affrontarequesto cammino e per ri-trovareun volto nuovo di Gesù.

4

La fede di un artista molte volte haprodotto delle opere talmente lu-minose da far crescere, in chi le os-serva - o le ascolta -, il desiderio diguardare a Dio, fonte della bel-lezza, e di rivolgersi a lui con unapreghiera. Marc Chagall si com-muoveva quando intingeva i pen-nelli “in quell’alfabeto colorato cheè la Bibbia”. E lo faceva portandocon sé tutto il suo vissuto, a partiredalla sua infanzia vicino a Vitebsk,

odierna Bielorussia, dove frequen-tava la scuola ebraica cittadina e siavviava alla pittura. “I miei quadrisono i miei ricordi”, diceva.

Uno dei capolavori di Marc Cha-gall è il trittico Resistenza, Resurre-zione e Liberazione. L’opera è natain uno dei periodi più grigi dell’ar-tista: la sua arte era sconvolta,come lui, dalle rivoluzioni, dal do-lore, dalle guerre. Per superare ledifficoltà si aggrappava all’arte,

alla bellezza e agli affetti. Sono glianni difficili in cui i nazisti gli sta-vano sequestrando le opere espo-ste nei musei tedeschi. Gli anni incui, rifugiatosi in America, perde lamoglie Bella per una grave malat-tia e rimane dieci mesi senza toc-care un pennello.

Nel 1947 ritorna in Europa edopo qualche anno conosce esposa Valentina Brodskij. Riscoprefinalmente l’energia vitale del co-lore e riesce a portare a termine ilfamoso trittico con l’ultima opera:Liberazione. Nelle prime due teleChagall intreccia orrore e amicizia,attesa e sconforto, il furore della ri-voluzione e la pace della famiglia.Nella terza festeggia la liberazionecon danze e canti: da una parte sitrova la felicità del pittore per lafine dell’olocausto e dall’altra iltrionfo della vita e dell’arte sullamorte.

In alto a sinistra, l’immagine diMosè, che innalza i dieci comanda-menti e, accanto, un luminoso Cri-sto crocifisso e risorto, attorniatoda una moltitudine di gente: gio-colieri colorati, musici del circo. Inbasso, la madre sulla soglia di casa,la sorella alla finestra, il gallo, lacapra e le piccole case russe, quel“profumo” del paese natale che siritrova in ogni quadro. I ricordi piùgioiosi del pittore vengono fissatisulla tela: il matrimonio con Bella,una coppa di vino, le candele ac-cese e lo stesso Chagall che di-pinge l’amata.

Tutta l’energia del quadro giraattorno al rosso, il colore che ha

“il privilegio di racchiuderel’amore”.

I colori di Chagall cantanoquindi questa poesia, vero motoredel cambiamento. Il grande violi-nista dal cappotto verde diventa ilportavoce della festa che s’irradiadal grande sole. È proprio lui l’arti-sta, ponte fra Dio e gli uomini, checon la musica, il canto, il teatro o lapittura, porta scintille di divinità.Per Chagall, infatti, tutto quelloche procura gioia e arricchisce lavita religiosa, possiede un valoresacro. “Mi tuffo nelle mie riflessionie volo al di sopra del mondo”, di-ceva, perché la missione del pit-tore è cosa seria. E per questorivolgeva preghiere a Dio.Liberazione ci interroga:

- L’uomo cambia quando accoglieil calore di Dio e pecca quandonon lo accetta. E noi, desideriamonel nostro cuore questo affetto?- Chagall da piccolo veniva edu-cato a vivere e a servire Dio nellagioia e nella semplicità. Sonoanche i nostri valori?- “Dio tu che ti celi…dietro la casadel calzolaio”. Riconosciamo ilvolto di Gesù nelle persone a noivicine?

Marc Chagall diceva che la vita ècome la tavolozza di un pittoredove c’è un solo colore, capace didare significato alla vita e all’arte:il colore dell’amore.

Cerchiamo anche noi di dipin-gere la nostra quotidianità conquesto colore!

Il colore dell’amore, il solo capace di dare significato alla vita

Giovani e arte a cura di Francesca Rizzo

Il cammino di Quaresima a cura di Andrea Peruffo

L’autenticità del volto di CristoSpiritualità è il cam-

mino di ricerca, di puri-ficazione che ogni

uomo è chiamato a fareper ritrovare se stesso

in modo più vero

“Dio tu che ti celi nelle nuvole,

o dietro la casa del calzolaio,fa’ che la mia anima,

anima dolorosa di ragazzo balbuziente, si riveli,

mostrandomi la strada.Non vorrei essere uguale

a tutti gli altri;voglio vedere

un mondo nuovo”.Colui che cammina è l’artistache percorre la via della crea-

zione. Che soffre quando vedeattorno a sé il buio, che si ar-

rabbia quando la materia nonrisponde allo spirito, che non

cede quando il mondo lo ignora, che ringrazia

quando incontra la luce

Pittore veneto del XIX secolo,Volto di Cristo, olio su tela appli-cata su cartone

Marc Chagall, Liberazione (1937-1952), olio su tela, Centre Geor-ges Pompidou - Parigi.A fianco, una preghiera a Dio, diChagall

Marc Chagall (1937-1948), Resur-rezione, olio su tela, Centre Geor-ges Pompidou - Parigi

Marc Chagall (1937-1948), Resi-stenza, olio su tela, Centre Geor-ges Pompidou - Parigi

Page 5: La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

«Voi, chi dite che io sia?». Ladomanda è impegnativa,molto. È posta al plurale, non

al singolare. Ha come interlocutoreun “voi” e non un “tu”. Mentrechiede di guardare in faccia coluiche interpella - il Signore -, spingea cercare nel volto dei fratelli qual-che sillaba che possa comporre larisposta. Quello che io penso ecredo di Gesù non è semplice-mente affare mio, è affare nostro.Chi mi circonda è parte integrantedella professione di fede che usciràdalle mie labbra.

Credere è co-implicare, crearemaglie di relazioni nuove, reti dapescatore che raccolgono e ten-gono unito a partire dall’esperienzadi Cristo: «Vi ho dato l’esempioperché facciate altrettanto». È af-fare “di noi”, nel senso che ri-guarda, tocca, incide, segna,sconvolge la carne - il corpo - cheassieme agli altri, siamo. Nostronon perché lo possediamo, ma per-ché diventa parte integrante delmodo di vivere che abbiamo, discegliere e organizzare le amicizie,il lavoro, le frequentazioni. La ri-sposta chiede coralità, accordo,ritmo. Ha molto a che fare con lamusica, con il suono, con la sin-fonia, dove gli elementi più diversie sparpagliati diventano un’operaunica che avvolge e immerge. Conquali parole la liturgia ci aiuta a ri-spondere alla domanda del Si-gnore? Ne sottolineo tre.

La prima parola è semprequella non detta, anche in liturgia.E appartiene a Dio. Quandousciamo di casa per recarci allamessa domenicale stiamo obbe-dendo al Signore che ci “chiama-fuori” (casa? lavoro? sport?) e cimette in cammino per andare allaChiesa. Non ho detto andare “inchiesa” ma “alla Chiesa”: diffe-renza sostanziale perché non sitratta semplicemente di entrare in

un edificio, quanto di unirsi a quelpopolo radunato dal Padre nellapotenza dello Spirito Santo. È lacon-vocazione ecclesiale: voca-zione ricevuta assieme, vocazioneche si corrisponde assieme.Quanto dobbiamo crescere da que-sto punto di vista! Individualismo,se non addirittura solipsismo, ren-dono la nostra liturgia fredda e cal-colata, asettica e funzionale,impoverendola fino alla miseria diquella fraternità evangelica che è ildono e l’azzardo, offerto continua-mente da Dio.

La seconda parola, dopo i salutidel celebrante, ha un sapore anticoe viene da lontano, fiorisce dallabocca di tutti i presenti ed è rivoltaal Signore: Kyrie eleison!L’espressione viene dal greco (iVangeli sono stati scritti in greco,la liturgia dei primi secoli era ingreco) e non è un sinonimo di “Si-gnore pietà!” bensì un’acclama-zione a Cristo vittorioso sullamorte in tutte le sue forme, com-preso il peccato. L’atto peniten-ziale, posto all’inizio della messa,non è, quindi, in primo luogo unesame di coscienza, ma una stupitaprofessione di fede: tu sei il Ky-rios, il vincitore della tenebra cherinnova l’universo nella luce dellarisurrezione. Al contempo si con-fessa di essere peccatori, ma senzaavvilimento e commiserazione.

Siamo, infatti, alla presenza diColui che rialza: il Signore rialzadalla morte che è il peccato delmondo, dalla morte che è il pec-cato della comunità, dalla morteche è il nostro peccato personale.

Infine, la professione di fedepiù bella, concisa, densa, corag-giosa e totalizzante, la compiamodurante i riti di comunione. Chi èper noi Cristo, lo scopriamo di-

cendo Amen, quando andandoall’altare per ricevere la comu-nione, ci viene offerto il corpo diCristo, il pane eucaristico, Lui cheè l’Amen di Dio, il libero sì, checompie le promesse di Dio. DicoAmen davanti alla Chiesa e davantia Dio Padre: lo dico perché accettoe partecipo alla logica di misericor-dia e condivisione inaugurata dalSignore; dico che la risurrezione diCristo è entrata fino nelle midolla

del mondo per scardinare la vio-lenza e il sopruso che soggiogava lastoria; riconosco che questa terrae questa carne - l’umanità tutta - ri-vela la presenza dell’Onnipotentequando fa del vangelo la regola divita; dico che il senso della mia vitae dell’esistere è divenire un panespezzato e un vino versato.

«Voi chi dite che io sia?»: Tu seicolui che ci rende membra del suocorpo.

Più che un laboratorio vi propongoqualche spunto di riflessione. La-sciamo che alcuni aspetti della vitadi Gesù, del suo essere e del suoagire, diventino provocazione pernoi che siamo animatori, educatori,attivi nella pastorale giovanile.

Gesù di Nazareth è stato rico-nosciuto come Maestro con dotistraordinarie di autorità e potenza;ha scatenato lo stupore e l’ammira-zione delle folle e nei vangeli ri-torna più volte la domanda: “Chi èmai costui?” (Mt 8,27; 12,23; 13,54;21,10. Cfr. i passi paralleli). All’iniziodel vangelo di Marco la folla di-chiara: “Non abbiamo mai vistonulla di simile” (Mc 2,12).

Ci facciamo anche noi la stessadomanda: perché Gesù aveva unasimile forza? Da dove gli venivanoqueste energie? Chi ha letto e ri-letto i quattro vangeli non ha alcundubbio sulla risposta: Gesù ha po-tuto parlare e agire in modo cosìsorprendente perché era un uomoprofondamente radicato in Dio!Gesù era costantemente radicatonell’amore di Dio, che egli ricono-sceva e sentiva come Padre.

Lo testimoniano i continui rife-rimenti dei vangeli al suo ritirarsi inpreghiera (Lc 3,21; 6,12; 11,1).Prima ancora di essere un uomod’azione, Gesù è stato un contem-plativo, capace di pregare in modo

contagioso.Dovremmo proiettare la stessa

domanda sulla nostra vita perso-nale: noi che in parrocchia, nelle as-sociazioni e nei gruppi abbiamo unruolo educativo, in cosa siamo radi-cati? Quale tempo nelle nostre gior-nate dedichiamo alla preghiera,all’ascolto della Parola, al silenzio,all’incontro con una guida spiri-tuale?

Rispondere a questa domanda

è di vitale importanza: ne va dell’ef-ficacia del nostro lavoro. A tal ri-guardo, dovremmo rileggerci glispunti di meditazione che ci hadato papa Benedetto XVI nel suomessaggio per la GMG di Madrid –che aveva per titolo “Radicati e fon-dati in Cristo, saldi nella fede”.

Osserviamo il modo con cuiGesù entra in relazione. La do-manda che ci poniamo è: come ha

vissuto gli incontri con le persone?Con quale ottica Gesù si è avvici-nato e si è lasciato avvicinare?

Gesù è un tipo pratico e ci tienea incontrare uomini e donne cosìcome sono, con la loro storia, nellasituazione concreta in cui si tro-vano, con le loro risorse e i loro pro-blemi. Non idealizza mai nessuno enon tollera le maschere (Gesù è abi-lissimo a far crollare qualsiasi ma-schera con i suoi occhi semprepenetranti). Però non lo condizio-nano nemmeno i pregiudizi. Vaoltre le apparenze e le convenzioni;va addirittura oltre i precetti pur diincontrare l’uomo nella sua realtà. L’animatore è attento ai ragazzi cheha di fronte e li accoglie così comesono.

Gesù vuole incontrare le per-sone una alla volta; per vivere que-sto faccia a faccia a volte sceglie diallontanarsi dalla folla insieme acolui che ha di fronte, lo porta in di-sparte e gli dedica tempo, entra indialogo con lui prima di compiere ilmiracolo (Mc 7,33; Mc 8,23). Questaattenzione al singolo significaanche disponibilità a cambiare opi-nione, a lasciarsi modificare dalleinterazioni che vive.

Pensiamo, ad esempio, alladonna di origine siro-fenicia (Mc7,24-30), che inizialmente avevatrattato con durezza. Gesù mostrain questo episodio tutta la sua

umanità; essere pienamente uo-mini significa anche lasciarsi met-tere in discussione. L’animatore è colui che dedica tempoalle relazioni personali.

Però Gesù guarda ogni uomo eogni donna con lo sguardo di Dio,sapendo che ciascuno può com-piere nella propria vita una trasfor-mazione e diventare nuovacreatura. È quanto accade a Zac-cheo (Lc 19,1-10) o alla donna adul-tera (Gv 8,1-11). Gesù crede nellapossibilità che ogni persona cambi,si converta, diventi migliore.Ogni relazione educativa deve essereispirata da uno sguardo di speranzanei confronti dell’altro: in lui, anchenell’adolescente che può sembrare ir-recuperabile, agisce lo Spirito Santo.

Infine Gesù ci insegna a non es-sere neutrali; lui ci chiede di faredelle preferenze! Gesù ha sempreavuto un occhio di riguardo per co-loro che non sono preferiti da nes-suno, gli emarginati e i rifiutati. Ilsuo punto di vista ci spiazza ancorauna volta: a noi non sarebbe maicapitato di preferire i lebbrosi e gliindemoniati! Ci vuole una conversione profondaper riuscire – come comunità cri-stiana – ad avere una preferenza neiconfronti di quei ragazzi e quegliadolescenti che fanno più fatica deglialtri ad essere simpatici, coloro che cigratificano di meno.

Gesù continua a fare scuola...Laboratorio della fede a cura di don Andrea Guglielmi

Chi dite che io sia?Liturgia a cura di don Gaetano Comiati

Credere è co-impli-care, creare maglie direlazioni nuove, retida pescatore che rac-

colgono e tengonounito, a partire dal-

l’esperienza di Cristo

La Parola ai giovani5

L’icona dell’amicizia

Page 6: La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

La radio passa la canzone che Eu-genio Finardi al recente Festivaldi Sanremo ha cantato: “E tu lochiami Dio / io non do mai nomi/ acose più grandi di me…”.

A noi di RadioViGiova, invece,piace usare i nomi giusti; e la can-zone E tu lo chiami Dio non ècerto un’eccezione nel panoramapop: Dio e Gesù non mancano nelvocabolario del pop, dopo sole,

cuore e amore. Kid Rock recen-

temente ha intito-lato un suo

disco Rock’n’Roll Jesus,

anche sei suoi

t e s t in o nsonosem-p r e

e d i f i -c a n t i ;

qualche mese faKurt Vile è uscitocol singolo JesusFever; Lenny

Kravitz, forse il più ispirato, hacantato un Liquid Jesus: “La-vami, voglio essere salvato, o Gesùliquido… sto pregando per ilgiorno in cui vorrai venire a libe-rarmi”; nel passato, poi, Gesù èstato anche personale (DepecheMode) e persino americano (Badreligion). In genere la figura diGesù è cantata soprattutto nellasua umanità, per la sua carica ri-voluzionaria.

Così ce l’ha dipinto anche laletteratura, da Io, Gesù di Sinouéa Il vangelo secondo Gesù Cristodi Saramago: “Come tutti i figlidegli uomini, il figlio di Giuseppee Maria nacque sporco del sanguedi sua madre, vischioso delle suemucosità e soffrendo in silenzio”.Ma nei testi delle canzoni in parti-colare, Gesù è colui che salva dallasofferenza che ci accomuna tutti,anche nei panni del metallaro diJesus Saves dei Savatage: “Gesùsalva, ascoltalo attraversare lanotte su queste onde radio not-turne”.

Ascolto, questo merita Gesù,anche tra le note di un ritornello

rock o pop; e piuttosto di censu-rare queste canzoni perché dannola loro visione personale di Cristo,forse è meglio ascoltarle, in casocriticarle o amarle, con le orecchiedella fede.

Quante canzoni che chiedonola salvezza sentiamo in radio? Leprime che vengono in mente sonoSalvami dei Modà (esplicita-mente una preghiera del cantanteKekko Silvestre in un momentodifficile), Salvami di Jovanotti,Salvami di Gianna Nannini conGiorgia, Salvami dei Sonhora. Echi più ne ha più ne metta! Anchequando non si rivolgono esplicita-mente a Gesù o a Dio, in genere sirivolgono all’amore, e per un cri-stiano dov’è amore lì c’è Dio. CosìFinardi a Sanremo ha cantato “maconosco l’amore / io che ho vistocome te dritto in faccia il dolore”.

Dallo Staff di Radio Vigiova

Quando Jesussuona pop

Il cinema italiano ed europeo havisto negli ultimi anni una vera epropria rivincita del film religioso.L’interesse per la spiritualità e lasfera del divino, la ricerca di unsenso ultimo, che sappia dare ar-monia ad una vita spesso perce-pita come caotica, la presa dicoscienza dell’insufficienza del-l’approccio scientifico matematicoall’esistenza, hanno evidente-mente portato ad una nuova con-sapevolezza di quanto questa sferadell’esistenza umana sia in realtàprimaria e ineludibile.

Ciò che sorprende, tuttavia, èla quasi totale assenza di film “cri-stiani”, che parlino cioè espressa-mente di Gesù Cristo. Anche inquesto il cinema è probabilmentespecchio della sensibilità comunee della situazione di una società incui pochi si dicono del tutto atei,ma forse altrettanto pochi dicendo

“Dio” pensano espressamente aGesù e al messaggio evangelico.Moltissimi oggi, soprattutto gio-vani, affermano di credere, ma inun Dio dal volto sfumato, imperso-nale, risultando così molte voltesolo nominalmente “cristiani”. Pernon ridurre la fede a vago sensoreligioso, resta centrale dunquel’esperienza dell’incontro con ilCristo; esperienza questa che, tral’altro, in molti casi costringe anzia scardinare la mentalità religiosae a rivedere le idee sbagliate checi si era fatti su Dio e sul suo mododi essere presente tra gli uomini.

L’impatto che tale incontropuò avere nella vita di una per-sona, è ben reso dal film di Clau-dio Malaponti 7 Km daGerusalemme (Italia, 2006). Il ti-tolo rimanda al racconto pasqualedei discepoli di Emmaus, ma ilfilm è ambientato ai giorni nostri,

a dire la possibilità di una con-temporaneità del Cristo Risortocon gli uomini di ogni tempo. Ilprotagonista è un pubblicitarioquarantenne in profonda crisi esi-stenziale, che, per una serie di cir-costanze misteriose, si trova acompiere un viaggio in Palestina.Qui, tra stupore e scetticismo, ini-zia a parlare con un uomo che sidice Gesù. Così attraverso unaserie di flashback legati alla vi-cenda umana del protagonista, legrandi domande della vita(l’amore, la sofferenza, la morte,la fama) trovano spazio nel film.Alla fine le diverse situazioni si ri-compongono in modo inaspettato,mostrando così la forza e la novitàdel cristianesimo. Il film, che nonbrilla per il ritmo e che a tratti ri-sulta eccessivamente didascalico,ha sicuramente il pregio di mo-strare in modo concreto il legametra fede e vita, presentando il Van-gelo come la risposta alle que-stioni esistenziali più profonde.

Più evocativo è il penultimo la-voro di Ermanno Olmi Cento-chiodi (2007). Anche questo filmsi interroga su Gesù (senza mainominarlo apertamente) e su cosaegli avrebbe da dire al mondo dioggi. Il Cristo di Olmi prende lesembianze di un giovane profes-sore di filosofia che, nauseato dalvuoto intellettualismo, accade-mico e fine a se stesso, fugge -dopo un gesto simbolico eclatante- in Polesine, dove si dedica ad unavita semplice e diviene progressi-vamente punto di riferimento peri contadini della zona.

Da scriba dotto e distaccato, amaestro autorevole di vita, capacedi parlare al cuore: forse è propriocosì che l’uomo di oggi dovrebberiscoprire Gesù e la perenne no-vità del suo insegnamento, anzidella “strada” da lui indicata. Olmi- per sua stessa dichiarazione -vuole liberare il Cristo “dagli in-censi e dagli altari” per rifarne uncompagno di viaggio degli uomini.

Peccato che alla fine il protagoni-sta del film scompaia, mentrel’esperienza cristiana ci dical’esatto contrario, e cioè che la Suaresta una presenza reale, che nondelude.

Per concludere possiamo ci-tare infine un bel film documen-tario firmato di recente da SergioBasso Il viaggio di Gesù (2010).Un uomo si mette in viaggio e ri-percorre, oggi, i luoghi delle tappeprincipali della vicenda terrena diGesù. Da Betlemme al Santo Se-polcro, tocca i luoghi visitati ognianno da milioni di pellegrini, in-contra tante persone che lì vivonoe lavorano (scrittori, musicisti,studenti, madri) per capire se laParola ha ancora qualcosa da direa partire da dove tutto è nato.Anche qui è proprio attraversol’ascolto di esperienze vive che siscopre come il cristianesimo nonsia lettera morta, ma esperienzavitale e vivificante, anche per gliuomini e le donne di oggi.

C’è chi sbanca il botteghino...

Centochiodi. Raz Degan nei panni del Cristo di Ermanno Olmi

E tu lo chiami Dio(Eugenio Finardi)

Vorrei volare ma non posso e resto fermo qua su questo piano che si chiama terra ma la terra si ferma appena mi rendo conto di avere perso la metà del tempo. E quello che mi resta è di trovare un senso ma tu, sembri ridere di mesembri ridere di me.E tu lo chiami Dio io non do mai nomi a cose più grandi di me perché io non sono come tema conosco l’amore io che ho visto come tedritto in faccia il dolore...

Vorrei volare ma non posso e spingermi più in là adesso che si fa silenzio attorno ma il silenzio mi parla devo combattere con le mie lacrime, mica con una poesia. E non c’è ordine nei letti d’ospedale come in una fotografia rivedo dritta sulle spalle la mia figura... E tu lo chiami Dio io non do mai nomi a cose più grandi di me perché io non sono come te. E tu lo chiami Dio io non do mai nomi a cose più grandi di me perché io non sono come te ma conosco l’amore io, che ho visto come te dritto in faccia il dolore.

Kekko Silvestre dei Modà

La Parola ai giovani6

7 km da Gerusalemme. Una scena con Luca Ward e Alessandro Etrusco

Finardi a Sanremo

Buio in sala a cura di Alessio Graziani

Page 7: La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

Oggi ho appuntamento conAndrea, capo scout inAGESCI (per chi non la co-

nosce è l’Associazione Guide eScout Cattolici Italiani).

Che dire di lui? Fa servizio conuna trentina di ragazzi che hannodagli 11 ai 15 anni, in un grupposcout della città. Studia all’uni-versità, fa sport, ha la morosa, traun po’, dopo la riunione del sa-bato pomeriggio e dopo il tempodedicato alla mia intervista, ha ap-puntamento con gli amici per unabirra al bar. Tanto per farvi capireche è uno di noi!

E allora subito entriamo nelvivo della questione.

Andrea, ma tu chi dici che Lui sia?«Per me non avendolo cono-

sciuto, è una Parola, quella deiVangeli, che si legge, ma è una Pa-rola particolare, antica, scritta piùdi duemila anni fa, ma attuale,leggibile alla luce dell’oggi. Cipenso, sai! Cristo non era, ma è!»

Ma per te cosa vuol dire che Lui èoggi?

«Contestualizzarlo è possibile;tanti pensano a Gesù come a qual-cosa di diverso, distaccato da sé,ma per me è attuale, è l’oggi, è ilpresente.

Se si trattasse di convincerequalcuno, non è per me, tuttaviala testimonianza, quella sì. Il darel’esempio a partire dalle piccolecose; io non “vendo” Gesù Cristo,ma la mia quotidianità ne parla.Vivere cose, esperienze insieme,condividere strada, fatiche, que-sto è il modo in cui Cristo che è inme, esce verso gli altri.

L’esempio è il servizio di caposcout. I miei ragazzi sono nell’etàin cui iniziano a pensare con lapropria testa, anche sulla testi-monianza di fede, con loro cercodi essere testimone nelle piccolecose, come ad esempio vivere lamessa domenicale nella nostraparrocchia, oltre alla preghierache si prepara e si vive con loronelle riunioni o nelle uscite, è unesempio di quel che intendo come

testimonianza. Anche saper ve-dere che dietro a questo palco-scenico meraviglioso che è lanatura, c’è Dio, è un ottimo mezzoper parlare di Lui con i ragazzi».

Ma al di là del servizio, torniamoancora a te, e a Gesù nella tuaquotidianità. Com’è concreta-mente che Lui prende forma?

«La vita, lo stile, le scelte sonotestimonianza concreta, l’essen-zialità, l’aver cura dell’altro…

L’altro da me è un’occasione,intendiamoci, non in senso op-portunistico, ma di bellezza, diconfronto. Cristo nell’altro, di-verso da me, è una risorsa, una

ricchezza. È un modo per impa-rare ad essere rispettosi della di-versità, sia pur nella difficoltà deidiversi rapporti».

E ci vedi Cristo nell’altro?«No. O almeno non sempre

riesco a vederci Cristo, a voltesono accecato dal pregiudizio,dalle difficoltà».

È questione di allenamento?«Non si tratta di allenamento.

È alla sera o quando ho un attimodi pausa, che ci penso su, non cimetto intenzionalità prima, né èuna forzatura della mia persona.La partecipazione e la vicinanzadella comunità sicuramente miaiutano, ma mi ci vuole comunquela verifica».

Potremmo pensare a Cristo comea qualcuno che ci cammina afianco?

«A dirti la verità, sento piùforte il fatto che sia una testimo-nianza di vita vissuta, che hoscelto per la forza della bontà e latestimonianza della mia famiglia,ma l’ho scelta per me. Quella diCristo è una storia scritta che valela pena di vivere e testimoniare!»

E dunque di questa storia, cosa ticolpisce di più?

«Farsi ultimi è il messaggio diCristo che ho sentito più forte perme, è saper vedere il bisogno,avere occhi e orecchie aperti, es-sere persone disponibili, pren-dersi il tempo per gli altri.

È rinunciare unpo’ a se stessi,che tanto noi dasoli non ci ba-stiamo! Rinunciamoun po’ a noi stessi, manell’altro troviamo unaricchezza, una bellezza,un completamento. Etutto ciò se guar-diamo bene, ci dàuna lettura di-versa anche di noistessi».

E negli altri ambiti della tua vita?Forse agli scout e in parrocchiapuò sembrare più agile…

«Beh effettivamente, in altriambienti è più difficile. La vitauniversitaria non dà occasioni ditestimonianza esplicita, ma èsempre la quotidianità a offrirebuone occasioni anche con gliamici e i compagni di studio.Quando si “indossa il vestito” dicapo scout è più facile, ma allafine se cambi identità ogni voltache cambi ambiente, perdi testesso. Io non ce la faccio. Sentospesso che c’è il rischio di essereframmentato, ma personalmentenon penso di esserlo. Certo, avolte perdo colpi, ma ci pensoanche molto su».

Non ti sembra che a volte tuttoquesto essere attenti, disponibili,testimoni di fede, di valori, nonsia un po’ troppo per i tuoi 23anni?

«Certo che mettersi in gioco è

faticoso e ci fa rischiare di sba-gliare! E che lo scoutismo mimette in gioco a 360° nei con-fronti dei ragazzi e delle loro fa-miglie. Ma il fare negli scout mi faessere persona piena, non fine ase stessa; lo scoutismo è statal’occasione che mi ha dato lachiave di lettura della mia fedenella mia vita, a partire dalla pro-fonda testimonianza della mia fa-miglia. Ho vissuto e vivo altriambienti e situazioni, ma hoscelto di testimoniare l’esempiodi Gesù facendo servizio in Age-sci».

Carissimo Andrea, devo direche forse è proprio come dici tu: èla forza della testimonianza di unavita vissuta, a parlare di Cristo,senza parlarne troppo! Anche e so-prattutto grazie a questa occa-sione che ci ha dato per dialogarcisu insieme. Grazie e Buona Strada(come si dice nella parlata scout)!

Elena Piccoli

«Per me, non avendoloconosciuto, Cristo èuna Parola, quella deiVangeli, che si legge,ma è una Parola parti-colare, antica, scrittapiù di duemila anni fa,ma attuale, leggibilealla luce dell’oggi. Cipenso, sai! Cristo nonera, ma è!»

La Parola ai giovani7

Coffee break quattro chiacchiere con Andrea

Parlare di Gesùcon la propria vita

Gesù di Nazareth sta navigando,non nel lago di Tiberiade con i suoidiscepoli, ma tutto solo in internet.Ha un profilo su facebook, nonmolto raccomandabile, a dire il vero;d’altra parte la sua amicizia la dà e lachiede a tutti, con predilezione perle persone più strane, diverse, stra-niere.

Ad un certo punto qualcuno chattacon lui; un giovane, che vedendo dalprofilo che si tratta di un rabbì, gli fauna domanda impegnativa: Maestro,che cosa devo fare di buono per averela vita eterna?

Gesù ha un moto di stizza. Questoqui vuole avere la vita eterna, comefosse un possesso; in più chiedecosa deve fare di buono, quando acercare davvero una vita autenticasono molto spesso i poco di buono!La risposta è brusca: Perché mi inter-roghi su ciò che è buono? Buono è unosolo.

Pensa che ora il giovane chiuderà ilcontatto, d’altra parte sicuramente

sta davanti al computer a perderetempo. Meglio che esca, trovi amici,cerchi lavoro, si dia da fare... Invecela conversazione continua; parlanodelle scelte di vita, di ciò che è au-tentico, dell’impegno che il ragazzosembra metterci in quello che fa. In-fatti confida a Gesù: Tutte questecose le ho osservate; che altro mimanca?

La stizza di Gesù sparisce, subentraun altro sentimento. Il giovane è allaricerca, non è superficiale comesembrava. Gli viene addirittura daamarlo. Gesù decide di tentare iltutto per tutto: Una cosa sola timanca. La proposta è di decidersisul serio, di lasciare le sicurezze chegli impediscono di spiccare il volo.L’avventura della libertà è davanti a

lui, può fare della sua vita qualcosadi significativo; deve solo prenderecoraggio e gettare il cuore oltrel’ostacolo.

Ed è in quel momento che il con-tatto si chiude: Udita questa parola, ilgiovane se ne andò, triste; possedevainfatti molte ricchezze. Chi glielo fafare di lasciare la sua casa, dovetrova pronto, la madre gli lava e glistira, un po’ di euro per il diverti-mento settimanale, il padre glieli al-lunga, gli presta anche l’auto peruscire con gli amici... Con la ragazzanon c’è problema: condividono imomenti belli, ma quando gli girastorta ciascuno sta per conto suo.Una relazione ideale, disimpegnataquanto basta; d’altra parte, l’amoreè eterno finché dura! È vero, c’è la

questione del lavoro, si rischia distare precari a vita; ma finché la fa-miglia garantisce, meglio non pen-sarci.

Gesù di Nazareth si rattrista pure luie scrive sul suo blog una considera-zione, sperando che qualcuno lalegga e ci pensi: Quanto è di!cile,per quelli che possiedono ricchezze,entrare nel regno di Dio!

Le sicurezze, alle quali si preferiscerimanere aggrappati, impedisconodi vivere fino in fondo le autentichericchezze, di cui è portatore ognigiovane: l’entusiasmo, la voglia di fu-turo, il sogno di un mondo migliore,le doti che possiede e la sua stessagiovane età.

Ma non tutti i giovani sono bamboc-cioni! Ci sarà sicuramente chi il mes-saggio lo accoglierà e, forte dellasua libertà, prenderà le decisioni divita.

(trovi il racconto evangelico in Matteo 19,16-26, Marco 10,17-27, Luca 18,18-27)

La libertà di prendere decisioni di vita Il graffio

di don Dario Vivian

Page 8: La parola ai giovani n.3 - Anno 2012

La Parola ai giovani8

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