“LA MIA NUOVA CASA” - unhcr.it · Tutti noi inseguiamo dei sogni e non ne esistono di migliori...
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I Notiziario riservato ai donatori italiani dell’UNHCR
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“LA MIA NUOVA CASA...”
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Informativa ai sensi dell’art. 13, d. lgs 196/2003I dati sono trattati da UNHCR - titolare del trattamento - ViaA. Caroncini 19, 00197 Roma (RM), per l’invio dellanewsletter su propri progetti, iniziative ed attività di raccoltafondi, come espressamente richiesto. I dati sono trattati, conmodalità prevalentemente elettronicamente e telematiche,dalla nostra associazione e da soggetti terzi che eroganoservizi connessi a quanto sopra; non saranno comunicati nédiffusi né trasferiti all’estero e saranno sottoposti a idoneeprocedure di sicurezza. Ai sensi dell’art. 7, d. lgs 196/2003,si possono esercitare i relativi diritti fra cui consultare,modificare, cancellare i dati trattati in violazione di legge erichiedere elenco dei responsabili scrivendo [email protected]. Per sospendere l’invio della newsletter,inviare una e-mail all’indirizzo: a [email protected],inserendo nell’oggetto: “unsubscribe newsletter”.
CopertinaMonicah, bambina rifugiataFoto: VICK/UNHCR
CoordinamentoredazionaleAdele Marzetta
RedazioneFederico ClementiLaura PerrottaPaolo PaciniGiulia Laganà
Progetto graficoEnrico CalcagnoAC&P Roma
StampaCEMIT InteractiveMedia
Per proteggerel’identità dei rifugiati, le fotografie nonrappresentanonecessariamente lepersone descritte nei testi.
Per le vostredonazioni
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Tramite bonificobancario: BNL Agenzia 63 viale Parioli 9 Roma IBAN:IT84R0100503231000000211000intestato a UNHCR
Tramite bollettinopostale: n. 298000intestato a UNHCR
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UNHCR Via Caroncini,1900197 RomaTel. 0680212304Fax [email protected]
Questo numero della newsletter ai donatori è quasi interamantededicato allo speciale Uganda. Ho partecipato ad una missionedell’Agenzia dell'ONU per i Rifugiati che mi ha portato a visitare alcuni
dei campi di rifugiati che hanno beneficiato della generosità degli italiani nelcorso del 2007. Tende, cibo, acqua, scuole e altri aiuti sono arrivati a destinazione e moltepersone oggi dicono grazie a quanti hanno deciso di impegnarsi e di dareloro una speranza per il futuro.
È stata un'esperienza bellissimaed indimenticabile. Ho incontratotante famiglie, tanti bambini ebambine che hanno voglia dicostruirsi una strada nuova edignitosa. Sono stato ospite in una casa dirifugiati ed ho ascoltato la storiadi John Peter, un rifugiatocongolese che vive in Uganda daoltre 10 anni, con sua moglie egli 8 figli. Ho parlato conMonicah, una bambina rifugiatadel Kenya, e le sue giovanissimecompagne di scuola e ho visto iloro occhi e la loro incredibiledeterminazione a voler diventaremedici o insegnanti per cambiarela loro condizione di vita.
Ho incontrato anche tanti colleghi sul campo che ogni giorno, da annilavorano duramente ed in condizioni molto difficili per aiutare i rifugiati. Hoavuto la fortuna di incrociare la mia strada anche con Roberta Russo, unacollega italiana che sta dedicando la sua vita ai bambini e alle bambinerifugiate in Uganda e li sta aiutando ad inseguire il sogno di una vita migliore.
Tutti noi inseguiamo dei sogni e non ne esistono di migliori o di peggiori.Esistono sogni che si avverano e sogni che restano tali. Oggi lei può aiutarci a far avverare i sogni di Monicah, di John Peter e dimigliaia di altri esseri umani che chiedono di non essere abbandonati e dipoter contare su degli amici, sui loro Angeli "protettori", che da lontano siimpegnano a stare loro vicino attraverso un gesto importante come unadonazione.
Federico ClementiRELAZIONI ESTERNE
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UGANDAL’Uganda è uno Statodell’Africa Orientale concapitale Kampala. Il Paeseha una superficie di 236,040chilomentri quadrati econta una popolazione di30.9 milioni.È uno fra i paesi più poverial mondo e come altri paesiafricani è tormentato dallaguerra civile.La situazione qui èparticolarmentedrammatica e instabile. Piùdi vent’anni di guerra civile
migliaia di rifugiatiprovenienti da diversi paesicome il Sudan (135,262), laRepubblica Democratica delCongo (42,420), il Ruanda(18,076) e il Kenia(12,000).Spesso le condizioni dirifugiati e sfollati,specialmente nel nord delpaese, sono quasi disperatea causa della mancanza diacqua potabile e di beni diprima necessità.L’Agenzia dell’ONU per iRifugiati è presente con 136membri del suo staff che sioccupano di assistere irifugiati e gli sfollati divisifra i campi e le zoneurbane.Gli obiettivi dell’UNHCR inUganda sono la protezionedei rifugiati, degli sfollati,particolare attenzione vienedata alla precaria situazionesanitaria, alla malnutrizione,alla lotta contro l’AIDS eall’istruzione dei bambini,perché solo grazieall’istruzione potrannocostruirsi un futurodignitoso.Fra gli obiettivi inoltre c’è il
rimpatrio di rifugiati efavorire il ritorno ai luoghid’origine degli sfollatiugandesi.
hanno portato la morte dimigliaia di personeinnocenti e a 1.8 milioni disfollati; persone che a causadella violenza e dellabarbarie di questa guerrasono state costrette afuggire, ad abbandonare leloro case e i loro averi. Per queste persone la fugaera l’unico modo percercare di salvare la lorovita e quella dei propri figli.Il dramma degli sfollati èacutizzato poidall’impossibilità di avereun pezzo di terra da potercoltivare per il propriosostentamento.Intanto le tensioni etnichefra il Nord e il Sud nonfanno altro che contribuireall’instabilità, alle violenze ealla drammaticità dellasituazione.L’Uganda, nonostantequeste difficile situazioneinterna, ospita decine di
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Indice
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La mia nuova casa
A casa dei rifugiati
Dal Malawiall'Uganda
La mia vita per i rifugiati
GiornataMondiale del Rifugiato2008
EmergenzaBirmania
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LE BAMBINE E I PROGETTI PER L’ISTRUZIONE
In Uganda, così come in tanti altripaesi, garantire l’istruzione di base alle bambine rifugiate èuna priorità per l’UNHCR. Molto spesso all’età di 10/11 annile bambine sono costrette adabbandonare la scuola perché igenitori pretendono che restino acasa a fare i lavori domesticioppure per bambine poco piùgrandi la maternità precocepreclude ogni possibilità di studio.L’UNHCR lavora ogni giorno alfianco degli insegnanti perspiegare ai genitori l’importanzadell’istruzione per le bambine epromuove progetti disensibilizzazione sulle tematichesessuali e sulle malattiesessualmente trasmissibili comel‘AIDS.
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Durante la missione inUganda, abbiamo visitatodiversi campi e tante classiper capire meglio qualipotessero essere i bisogniprimari per le migliaia dibambine e bambini perchépossano costruirsi un futurodignitoso e pieno di speranze.In una di queste classi,abbiamo incontrato Monicahla cui storia e le cui aspirazionidevono essere ascoltate esostenute da tutti noi.
Avevo già visitato diversiinsediamenti in Uganda dovevivono in piena integrazione e da
diversi anni, migliaia di famiglie di rifugiatie moltissime famiglie locali (ugandesi).Avevo visto quindi anche le condizioni dimolte classi e scuole che ospitano bambinidi diverse nazionalità e mi ero reso contodi quante piccole grandi storie cisarebbero da raccontate per descrivere ledifficoltà e le speranze di tanti bambini e di
tanti insegnanti. Quando sono arrivato al campo diMulanda, nel distretto di Tororo nel sud-est dell’Uganda al confine con il Kenya hotrovato una situazione nuova. InfattiMulanda è un campo relativamente nuovo,allestito da pochi mesi dove sono ospitatirifugiati keniani fuggiti da villaggi in
fiamme e dalla violenta persecuzioneimprovvisamente esplosa a fine del 2007. Ilcampo di Mulanda è fatto solo di migliaiadi tende dove l’UNHCR sta fornendoriparo a tante famiglie che non hanno piùnulla. Sono arrivato nel campo di mattinapresto, intorno alle 8 e 30, di una giornatapiovosa. La prima cosa che ho visto è statauna classe di piccoli bambini raccolti sottoun albero con le loro maestre che listavano facendo giocare e disegnare. Cerco con lo sguardo altre classi, magari dibambini più grandi con i quali vorrei poterparlare per conoscere, direttamente daloro, i pensieri, le paure e le speranze. Miaccorgo che c’è una costruzionefatiscente dalla quale escono le voci dibambini e mi avvicino per vedereall’interno. Ci sono delle bambine e deibambini che stanno per iniziare unagiornata di scuola e stanno aspettando lamaestra. La classe è molto povera, ci sonopochi banchi, una vecchia lavagna e imuri di fango e mattoni sono aperti dacrepe giganti.La mia visita non era attesa e dunque nonintendevo essere invadente, così chiedoalla maestra se potevo disturbare perpochi minuti la lezione e parlare con ibambini. Mi avvicino a tre bambine chesiedono al primo banco e chiedo loro seposso mettermi seduto vicino a loro eparlare un pò. Non volevo crearespavento, né disagio e dunque ho cercatodi rompere il ghiaccio chiedendo loroquanti anni avevano e come sichiamavano, come facciamo tutti noi conqualsiasi bambino, soprattutto se timido.La timidezza degli sguardi era tale che
“LA MIA NUOVA CASA …”Monicah con Federico Clementi nella scuola del campo di Mulanda
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Le chiedo allora perché ha volutoscrivere solo quello nel suo quadernofino ad ora e Monicah mi dice: “Questa èla mia nuova casa…e quindi hodisegnato la mia casa sulla prima pagina”.Mi trovo assolutamente spiazzato e sonoio che ora ho difficoltà a trovare paroleper parlare con lei. Guardo la maestra
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L’UNHCR E LA SCUOLA NEI CAMPI
In Uganda, l’UNHCR deverealizzare dei progetti per lacostruzione di nuove scuole o la riabilitazione di classi fatiscenti.Ci sono campi dove non esistonoclassi o sono insufficienti: in alcunicampi ci sono addirittura classi di 150/170 bambini.Bambine come Monicah, nonavranno un futuro dignitoso se nonpotranno avere una scuola doveandare. Nel campo di Mulanda,così come nei campi di Adjumani,
di Palorinya, di Kyangwale ci sonomigliaia di bambini che non hannouna scuola, un banco, un libro, unquaderno o una penna. C’è bisogno urgente di fondi per lacostruzione di queste classi nelcorso del 2008. Ogni classe ha un costo dicostruzione pari a 10mila Euro.Ogni banco, completo di panca,ospita fra 3 e 4 bambini e costa 45Euro. Solo nei campi di rifugiati nelnord dell’Uganda c’è bisogno diacquistare più di 11mila banchi neiprossimi mesi.
stavo pensando di salutarli ed uscirequando ho capito che una delle trebimbe sedute vicino a me stava per direqualcosa. “Monicah, mi chiamo Monicahe vengo dal Kenya. Sono arrivata pochesettimane fa e quando sono arrivata nonconoscevo nessuno. Mi manca la miascuola e le mie amichette. Ora ho anchequi le mie amiche di scuola” – mi dice. Mi avvicino a lei per stringerle la mano epresentarmi ancora una volta e vedo chela distanza che c’era fra noi èimprovvisamente scomparsa. Iniziamo aparlare e gli chiedo che cosa le piacestudiare e come si trova in questa nuovasituazione. Mi dice che le piace studiarela matematica e le scienze. Mentreparliamo le chiedo se ha dei libri dovestudiare, dei quaderni e delle penne.Con le mani cerca qualcosa sotto il bancoe mi porge un quaderno, il suoquaderno, il suo unico quaderno. Lechiedo se posso vedere cosa ha scritto ecosì inizio a sfogliarlo dalla fine verso laprima pagina e mi accorgo che ilquaderno è completamente vuoto. Nonc’è scritto ancora nulla.Mentre sto per chiederle perché non c’èscritto nulla, vedo che nella prima paginaha iniziato a scrivere qualcosa. Apro ilquaderno e vedo che l’unica cosa cheaveva scritto era il logo dell’UNHCR.
COME AIUTARE I BAMBINI
20 EURO penne, quaderni e libri
45 EURO1 banco
per 4 bambini
90 EURO 2 banchi per 8 bambini
225 EURO 5 banchi per 20 bambini
10.000 EUROper la costruzione
di una scuola
Qualsiasi donazione saràimportante per dare una
scuola ai bambini rifugiati.
che aveva un grande sorriso e gli occhipieni di emozione e dico a Monicah chedeve studiare e che è importante che siimpegni. Lei quasi mi interrompe e midice che vuole studiare per diventareanche lei un insegnante, come la suamaestra. Esco dalla classe, salutandoMonicah e i suoi compagni di scuola epenso davvero quanto sia incredibile laforza che hanno questi bambini e quantogrande sia il lavoro degli insegnanti per illoro futuro. Penso anche al logodell’UNHCR che ho visto sul quaderno diMonicah e alle tante scuole, ai libri e aiquaderni che noi dell’Agenzia dell’ONUper i Rifugiati dobbiamo ancora fornire amigliaia di bambini rifugiati che solo inquesto modo possono costruirsi unfuturo dignitoso e migliore. Pensoall’importanza dell’aiuto dei donatoriitaliani e penso che un giorno Monicahsarà una bravissima maestra.
Clare Rodger Direttore raccolta fondi internazionale UNHCR
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di Federico Clementi
P iove. Il fango della strada è rosso e scivoloso, la jeep si muove confatica.
Siamo diretti a Nakivale, un insediamentoche ospita trentamila rifugiati, praticamenteuna città, in cui convivono ruandesi,congolesi, eritrei, sudanesi. Andiamo lì perincontrare la famiglia di John Peter, unadelle tante che ricevono ogni giorno quellodi cui hanno bisogno per sopravvivereanche grazie al sostegno degli Angeli per iRifugiati. Molti degli ospiti di Nakivale sono lì dadiversi anni e si sono ricostruiti una vita,mantenendo sempre la speranza di potertornare nel proprio paese. Ogni capanna haun pezzo di terreno annesso, in modo chele famiglie possano coltivare ortaggi everdure. Ogni volta che arriviamo in un campo, allavista delle jeep dell’UNHCR decine dibambini spuntano dal ciglio della strada,incuranti della pioggia, corrono e urlano“jambo, jambo!”, un saluto festoso efamiliare come il nostro ciao. Ci fermiamo davanti alla capanna dellafamiglia di John Peter, fuggita dal Congo nel1997. Ci accoglie il padrone di casa. La suadignità è pari alla profondità dei sui grandiocchi neri arrossati dalla polvere e dallemalattie. Ci fa accomodare sull’unica panca
disponibile mentre lui si siede in terra, suun tappetino di stoffa. Con noi entra ancheun interprete perchè John Peter chiede dipoter parlare nella sua lingua, lo swahili. Ci racconta la storia della sua famigliacostretta a fuggire dalla regione del NordKivu, in Congo, a causa delle violenze edelle persecuzioni. Non pensa ti tornare abreve, perche' la situazione e' ancora moltograve. Lui, sua moglie e una figlia
piccolissima si sono trovati senza più nulla,hanno cercato rifugio in Uganda e sonoarrivati proprio qui: quando e' arrivato havissuto sotto dei teli di plastica, oggi vive in una nuova piccola casa.Hanno 8 figli, 5 dei quali sono nati nelcampo di Nakivale, non hanno mai visto laloro terra e non sanno nemmeno cosa ci
Con il programma Angeli dei Rifugiati - Famiglie - si può dare un supportoquotidiano alle famiglie ospiti dei campi, in modo che possano disporre di tutto
quello che serve loro per sopravvivere. Per aderire al programma con una donazione regolare basta compilare e
rispedire il modulo allegato, indicando la preferenza "Famiglie"
A CASA DEI RIFUGIATI
sia fuori dagli 84 km quadratidell’insediamento. Ha perso anche altri 4figli morti di malaria, il killer numero uno inquesta parte di mondo. Mentre ci raccontaquesti fatti, passano momenti lunghissimi disilenzio e gli sguardi che si incrociano sonomolto più potenti di qualsiasi parola.Alla domanda su come siano le condizionidi vita nel campo, John Peter dice che hanotato dei miglioramenti negli ultimi annigrazie agli aiuti dell’UNHCR, anche se cisono ancora dei bisogni urgenti: l’istruzioneper i figli, le cure mediche, una miglioredistribuzione dell’acqua. Attualmente sono ibambini a procurare l’acqua per la famiglia:vanno alla pompa 3 volte al giorno, 30minuti per andare e 30 per tornare. La capanna è piccola e un telo blu divide indue l’unica stanza; da dietro il telo arrivanovoci sommesse e movimenti,evidentemente l’altra parte della famiglia. John Peter acconsente alla mia richiesta diincontrarli e chiama la figlia maggiore di 15anni, Furaha, fuggita piccolissima dal suopaese. Lei ci racconta della scuola, diquanto sia difficile stare in una classe con100 studenti e un solo insegnante cheovviamente non riece a fare il suo lavorocome vorrebbe, con efficacia. Delladifficoltá di studiare perchè non ci sonolibri per tutti. Parla inglese, le piace studiarescienze perché pensa che possa esserleutile, da grande vuole diventare infermieraperché non vuole che malattie come lamalaria uccidano altri bambini, come i suoifratellini.Incrocio lo sguardo di John Peter,orgoglioso e fiero delle parole di Furaha emi ripete che è necessario avere più classiper aiutare i bambini a studiare e che senzala scuola e senza un’istruzione il futurodelle bambine e dei bambini è segnato. Restiamo più tempo del previsto perchél’atmosfera nella casa di John Peter è digrande tranquillità e, insieme alla mamma,arrivano uno ad uno anche gli altri membridella famiglia. Gli chiedo una foto insieme:mi si fanno intorno, John Peter alla miasinistra e Furaha alla mia destra; lentamenteappoggio le mie braccia sulle loro schienee sento che anche loro, lentamente,appoggiano le mani sulla mia.
John Peter e la sua famiglia con Federico Clementi
Questo cartello si trova all'entrata del campo di Nakivale
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di Laura Perrotta
I l campo di Mulanda si trova inUganda, vicino al confine con il Kenyae ospita circa 2mila rifugiati kenioti
che all’inizio del 2008 hanno lasciato ilPaese in seguito ai disordini di quei giorni.“Si tratta di un campo di transito”, spiegaKelvin Sentala, uno dei membridell’ERTeam coinvolti nella gestione delcampo. “Questo vuol dire che le personeche alloggiano qui non ci resteranno alungo, ma non per questo voglionorinunciare ad avere dei buoni servizi, comel’istruzione per i bambini, per esempio.Per chi lavora qui, la prova più difficile èsoddisfare le aspettative dei rifugiati”. Èdifficile dare a tutti loro un’accoglienzaadeguata, fornire servizi, beni, umanità, maKelvin ci prova, lavorando ogni giorno
insieme alla sua collega Jolanda. Ma come è arrivato Kelvin a Mulanda? “Ilmio punto di partenza è il Malawi, da lìsono partito per la Svezia, dove ho ricevutola formazione necessaria per far partedell’Emergency Response Teamdell’UNHCR”. E poi? “E poi, alla fine delperiodo di formazione sono entrato a far
parte del gruppo di esperti a disposizionedell’Agenzia, pronti a partire da unmomento all’altro: avevo una grandissimavoglia di partire, di andare a mettere inpratica tutto quello che avevo imparato.Finalmente, i primi di febbraio, ho ricevutodal quartier generale di Ginevra laproposta di venire qui a Mulanda, alconfine tra Uganda e Kenya: avevo solo 48ore di tempo per arrivarci”. Quando Kelvin è arrivato, il 4 febbraioscorso, c’erano già dei rifugiati nel campo,che infatti era già attivo da tre settimane,grazie alla prontezza di intervento dellostaff UNHCR stabilmente presente inUganda e delle organizzazioni partner, chelavorano insieme all’UNHCR per larealizzazione pratica degli interventi sulterrtorio. Kelvin e gli altri membridell’ERTeam sono arrivati per rafforzare lapresenza dell’Agenzia in loco: “Il compitopiù importante dell’ERTeam nel campo siriassume in una parola: gestirlo! I rifugiatiarrivano qui da molti posti diversi, all’arrivodevono essere registrati e poi sistematinelle tende. Tutte la normale vita delcampo deve essere gestita e mandataavanti. Ma in realtà una parte consistentedel lavoro è anche quella del rapporto conle autorità locali, per migliorare iltrattamento dei rifugiati in loco, per fare inmodo che possano arrivare qui al campo.” Kelvin è contento di quello che sta facendoperchè, dice, “il mio lavoro è importanteper tutte le persone che vivono qui,influisce direttamente sulla loro vita. Peresempio non ci sono particolari problemimedici nel campo e questo è anche fruttodi una buona gestione. In poche parole,riusciamo a dare vita e speranza a 2milaesseri umani. Non è poco!”. Ma lavorare bene non basta: Kelvinsostiene che Mulanda sia un campofortunato perché ha trovato molti donatori,nel mondo, che contribuiscono asoddisfare i bisogni quotidiani dei rifugiatie invita a continuare a dare supporto al suoe agli altri campi, sa bene quanto sianecessario. Gli aiuti che l’UNHCR portadirettamente al campo sono i soliti, quellidella sopravvivenza: tende, set da cucina,coperte.
DAL MALAWI ALL’UGANDA, PASSANDO PER LA SVEZIAIntervista a Kelvin Sentala, membrodell’Emergency Response Team
Con il programma Angeli dei Rifugiati - Emergenze - si può dare un contributoal Team per le emergenze, in modo che possa mobilitarsi subito e raggiungere
i luoghi di crisi in poche ore. Per aderire al programma con una donazione regolare basta compilare e
rispedire il modulo allegato, indicando la preferenza "Emergenze"
Membro dell'ERTeam nel campo di Mulanda
Kelvin Sentala, membro dell'ERTeam, con un bambino rifugiato
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L’intervista che state per leggere è statafatta ad una collega dell’UNHCR, Roberta Russo. Roberta è una giovane donna che hadeciso di aiutare i rifugiati. È statainviata dall’organizzazione in Uganda,nell’ufficio dell’UNHCR a Kampala, e quiaiuta i rifugiati e gli sfollati raccontandole loro storie, le loro sofferenze e le lorosperanze. Con il suo lavoro vuole aiutarequeste persone facendo conoscere apersone come voi la situazione in cuivivono, perché possano essere aiutati esostenuti.
Da quanti anni lavori per l’UNHCR e in Uganda?Ho cominciato a lavorare in Uganda perl’UNHCR all’inizio del 2005. Mi ricordomolto bene il mio primo giorno di lavoro:l’ufficio era deserto perché tutti eranopartiti per la frontiera tra l’Uganda e laRepubblica Democratica del Congo: 30,000rifugiati erano entrati in Uganda nel giro didue giorni e quasi tutti i colleghi eranoandati alla frontiera per cercare di salvare lavita a quelle persone disperate. Più dell’ 80per cento erano donne e bambini.
Qual è il tuo ruolo esattamente,di cosa ti occupi? Il mio compito è quello di raccontare alpubblico quello che succede ai rifugiati quiin Uganda. Per questo motivo sono spessonei campi profughi, per raccontaresuccessi e sofferenze di due milioni dipersone. Mi piace specialmente parlare
con i bambini, ascoltare quali sono i lorosogni, realizzando che sono uguali a quellidi qualunque altro bambino al mondo, ma
purtroppo sapendo che saranno difficilida realizzare. Molti vogliono diventaredottori, infermiere, insegnanti e politici,per “fare qualcosa di buono per la lorocomunita’’ dicono. Ma come faranno se,in media, dividono le classi con 200 altribambini e non hanno libri né banchi?
Cosa ti piace di più del lavoro chefai? Il fatto che so che tutta la stanchezza chemi porto addosso servirà a qualcosa e checontribuisco, anche se in piccola parte, asalvare la vita di persone che non simeritano di vivere le tragedie che vivono.Non c’è incubo peggiore che doverfuggire di casa all’improvviso per salvarela vita dei propri figli, perdendo tutto ciòche si ha. Sono felice di lavorare per
un’organizzazione che fa di tuttoperché questo incubo sitrasformi in una via d’uscita, inqualcosa di positivo.
Ci racconti una tua giornata in un campo?Molto spesso in Uganda ci sonoemergenze legate al flusso di rifugiati daipaesi vicini, di conseguenza la maggiorparte dello staff dell’UNHCR va ad aiutarei nuovi arrivati. La sveglia di solitoprecede il sorgere del sole alle 7 e giàun’ora dopo si è con i rifugiati. Durantegli arrivi, sembra sempre che le 24 oredella giornata non bastino a fare la metàdi quello che si vorrebbe fare. Donneincinta che hanno bisogno di assistenza,bambini e neonati che piangono, affamatie impauriti dall’ansia che leggono nei visidei genitori, altri rifugiati spesso malati dimalaria che hanno urgente bisogno dicure mediche. È difficile spesso riuscire a
scegliere chi aiutare perprimo. Tutti i colleghi coinvoltinell’emergenza di solitonon hanno nemmeno iltempo di pranzare esolo verso le 10 di serariescono a mangiarequalcosa e riposare perrecuperare le forzenecessarie peraffrontare un nuovagiornata.
Hai qualche episodio che hai vissuto direttamente che ti ha fatto capire ancora di più quanto sia decisivo il lavorodell’UNHCR per i rifugiati?In Uganda ho assistito all’arrivo di diverseondate di rifugiati, dal Congo, dal Sudan edal Kenya. Nel 2005, un giorno, visitandole decine di migliaia di persone appenaarrivate dal Congo, ho incontrato unadonna che aveva partorito tra i cespugli,mentre scappava da casa per raggiungerela salvezza in Uganda. Durante il tragittoha perso gli altri due suoi figli, che ormaipensava fossero morti. Ma era felice.Felice almeno che il bambino che aveva ingrembo fosse nato vivo. I miei colleghihanno aiutato l’unica cosa che rimaneva aquella donna, quel neonato, asopravvivere e a crescere con dignità.
LA MIA VITA PERAIUTARE I RIFUGIATI
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Roberta Russo con una bambina rifugiata
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PPeerrcchhéé uunnaa GGiioorrnnaattaa MMoonnddiiaallee ddeell RRiiffuuggiiaattooPer anni, molti paesi e regioni hanno celebrato le lorogiornate, o anche settimane, del rifugiato.Di queste celebrazioni, una delle più famose e sentiteera l’Africa Refugee Day, che in diversi paesi delcontinente si celebrava il 20 giugno. Comeespressione di solidarietà con l’Africa, che ospitamilioni di rifugiati e che ha sempre tradizionalmentemostrato grande generosità verso di loro, nel 2000l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottatoall’unanimità una speciale Risoluzione che hadesignato il 20 giugno di ogni anno come la GiornataMondiale del Rifugiato. La Giornata Mondiale delRifugiato si prefigge lo scopo sia di celebrare lastraordinaria forza d’animo con cui i rifugiati di tutto ilmondo affrontano la loro drammatica condizione chedi sensibilizzare l’opinione pubblica sulle cause chespingono queste persone a fuggire.
IIll ddiirriittttoo aallllaa pprrootteezziioonneeA costringere i rifugiati ad abbandonare la propriacasa, la propria terra ed i propri cari può essere unapersecuzione individuale di natura politica, culturale,sociale o religiosa, una guerra o massicce violazionidei diritti umani. Quale che sia la causa primaria cheli spinge alla fuga, tutti i rifugiati hanno diritto aricevere protezione, sia dalle entità statali o non stataliche li minacciano che dalla mancanza di cibo, alloggi,cure mediche e scuole per i più piccoli.È per questo motivo che quest’anno, nelsessantesimo anniversario della Dichiarazioneuniversale dei Diritti umani e, in Italia, dellaCostituzione repubblicana, l’UNHCR ha deciso didedicare la Giornata Mondiale del Rifugiato al temadella protezione, intesa sia come difesa del dirittod’asilo che come riparo ed aiuto umanitario.Nei campi profughi del Darfur come negliinsediamenti di sfollati interni colombiani o sulle costeeuropee dove approdano le imbarcazioni cheattraversano il Mediterraneo, chi fugge da guerre epersecuzioni ha diritto sia ad accedere alla procedurad’asilo che a ricevere assistenza materiale.
La protezione deve poter essere assicurata ovunque,anche nei paesi in cui essa è garantita sulla carta ma dove il diritto d’asilo rischia di essere erosodall’inasprimento dei controlli di frontiera, da tendenzexenofobe o da preoccupazioni legate alla sicurezza.
OOffffrriirree uunn rriippaarroo aaggllii ssffoollllaattii:: ll’’eesseemmppiioo ddeellllaa BBiirrmmaanniiaaDa qualche anno, nel quadro di una riorganizzazionedelle competenze all’interno delle Nazioni Unite,l’UNHCR partecipa ad alcune delle operazioniumanitarie che vedono coinvolte le vittime di catastrofinaturali e non solo coloro che hanno subìtopersecuzioni o violenze. Così come era già successodopo lo tsunami nel sud-est asiatico nel 2004 ed inoccasione del devastante terremoto in Pakistan nel2005, l’UNHCR è stato coinvolto negli sforzi perportare assistenza agli sfollati sopravvissuti al cicloneNargis, abbattutosi sulla Birmania a maggio.L’esperienza decennale nel gestire campi profughi intutti i continenti ha fatto sì che l’UNHCR venisseindicata come l’agenzia responsabile per gli alloggid’emergenza in Birmania. L’UNHCR ha dato inizio allapropria operazione umanitaria nel paese appena duegiorni dopo che il ciclone aveva devastato il paese,quando l’ufficio di Yangon (ex Rangoon) ha acquistatoteli impermeabilizzati, alimenti in scatola e biscotti inloco, provvedendo poi a farli distribuire nelle zone
colpite. Nei giorni e nelle settimane successive, unaserie di voli dal deposito di emergenza dell’UNHCR aDubai e di convogli dal confine tailandese hannotrasportato decine di tonnellate di aiuti umanitari inBirmania. I teli di plastica, le coperte, i set percucinare e le zanzariere sono stati poi distribuiti daorganizzazioni non governative e da piccoleassociazioni messe in piedi dalle comunità locali amigliaia di famiglie colpite dal ciclone nel delta delfiume Irrawaddy.
LLaa pprrootteezziioonnee lleeggaallee,, aacccceessssoo aallllaa ssaallvveezzzzaa ppeerr ii rriiffuuggiiaattii iirraacchheenniiCirca 2,7 milioni di persone sono sfollati all’internodell’Iraq, mentre altri 2 milioni hanno lasciato ilproprio paese, diventando quindi rifugiati e fuggendoperlopiù nei paesi vicini, soprattutto in Siria ed inGiordania. Questi rifugiati vivono prevalentementenelle aree urbane e non in campi profughi, gravandoquindi sui servizi di paesi già molto poveri esopravvivendo solo grazie ai propri risparmi o ailavori irregolari che riescono a trovare.Per facilitare l’accesso ai servizi come le curemediche e l’istruzione per i più piccoli, l’UNHCR staregistrando decine di migliaia di iracheni residentinei paesi della regione e dotando queste persone didocumenti che ne indicano lo status di rifugiati.Il ritorno in Iraq, per ora, non è possibile. Adimpedirlo, le condizioni di sicurezza ancoraproibitive, la paura di vendette e ritorsioni ed il fattoche le case di molti rifugiati siano state occupate daaltri o si trovino in zone divenute etnicamente oreligiosamente omogenee. Il reinsediamento – iltrasferimento in paesi terzi dei rifugiati che nonpossono essere rimpatriati e che non godono disufficiente sicurezza nel loro primo paese d’asilo - èuna soluzione possibile per i rifugiati iracheni esoprattutto per quelli più vulnerabili, come donnesole e vittime di tortura. L’UNHCR sta effettuando laregistrazione di migliaia di iracheni i cui casivengono poi sottoposti ai governi che aderiscono alprogramma di reinsediamento, offrendo a questepersone la speranza di una nuova vita in un luogosicuro.
GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO 2008
PROTEGGERE I RIFUGIATI
È UN DOVERE.ESSERE
PROTETTI UN DIRITTO.
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di Giulia Laganà
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Rifugiati News 10
di Laura Perrotta
I l 2 maggio 2008 il ciclone Nargis si èabbattuto sulle coste del Myanmar, exBirmania. Per due giorni il vento ha
soffiato alla velocità di 200 chilometri all’orae il mare, sospinto dal vento, è penetratoper chilometri nel territorio costierodell’Irrawaddy, mescolandosi all’acquadolce del delta. Nargis è arrivato anchenella grande città di Yangon, la ex capitaleda sei milioni di persone. Le conseguenze immediate sono statedevastanti: l’Onu valuta che ci siano quasiun milione di persone senza casa, più di100mila morti, due milioni e mezzo dipersone colpite dal ciclone in un modo onell’altro. Ma quello che è peggio è lasituazione che il ciclone si è lasciato allespalle: i sopravvissuti non hanno nulla concui ripararsi dalla pioggia battente, sonoisolati perché le strade non sono praticabilie quindi non dispongono di acqua potabilené di cibo; i loro terreni agricoli sono invasidall’acqua salata e dunque non piùcoltivabili per chissà quanto tempo. Ecome se non bastasse, la situazione attualefaciliterà la diffusione della malaria, giàmolto presente nella zona del delta. Nell’ambito dei vari attori che hanno avutola possibilità di intervenireimmediatamente dopo il disastro, il ruolodell’UNHCR si è immediatamentedelineato come Agenzia a capo delleoperazioni per i ripari di emergenza:
abbiamo portato tende, teli di plastica,coperte, set da cucina, zanzariere. I primi camion di aiuti dell’UNHCR sonopartiti dalla Thalandia, dove la nostraAgenzia è presente vicinissima al confine,proprio per accogliere i rifugiati birmaniche da anni varcano la frontiera per fuggiredal Paese: 140mila persone che vivono innove campi, alcuni anche da più di ventianni, a causa delle persecuzioni subite inpatria. Dopo le prime incertezze dovute auna scarsa chiarezza sulla possibilità realedi distribuire gli aiuti, la macchinadell’emergenza si è attivata senza piùremore e ora funziona a pieno ritmo:finora (26 maggio) l’UNHCR ha fattogiungere - oltre al primo convoglio dicamion - quattro voli carichi di 134milatonnellate di aiuti, che daranno riparo a70mila persone. Gli aiuti arrivano daidepositi dell’Agenzia all’aeroporto diYangon, il personale dell’UNHCR in loco liprende in consegna e si occupa delladistribuzione capillare sul territorio, grazie
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ECCO COME AIUTARE
31 EURO 8 coperte
52 EURO una tenda per una
famiglia di 5 persone
75 EURO 12 reti anti zanzare
120 EURO10 teli in plastica
anche alla preziosa collaborazione di varieorganizzazioni non governativeinternazionali e associazioni locali. Si stimache tutti gli aiuti giunti a Yangon nei giorniscorsi siano già stati consegnati. Ma la corsacontro il tempo continua, per poterraggiungere tutte le persone che ancoranon hanno ricevuto nulla, prima che siatroppo tardi. La generosità della comunitàinternazionale non è mancata, comespesso accade in caso di calamità naturali.È arrivata molta solidarietà da tutto ilmondo, compresa l’Italia, ma far atterraregli aerei carichi di aiuti non è la parte piùdifficile del lavoro. Ci vuole tutta lacompetenza di chi sa come gestire leemergenze per fare in modo che gli aiutiarrivino prima a chi ne ha più bisogno enon a chi è più vicino. Ci voglionocomplesse valutazioni logistiche peraffrontare giorni e giorni di trasporti sustrade distrutte. Ci vuole uncoordinamento stretto tra tutti gli attoricoinvolti, per dare agli aiuti il massimodell’efficacia, per evitare sovrapposizioni dauna lato e mancanze dall’altro. A questo punto una riflessione ènecessaria: il mandato dell’UNHCR èquello di proteggere chi fugge dalle guerre,dalle persecuzioni, dalle violenze, e Nargisnon è nulla di tutto questo. Si è parlatospesso, ultimamente di rifugiati climaticidel ruolo che deve avere l’UNHCR nellaprotezione di queste persone. Ma stavolta la realtà ha bussato alla portaben prima che il dibattito fosse concluso. Eci ha trovati pronti a intervenire,comunque. I motori dei camion e degliaerei si sono accesi nel giro di pochissimigiorni, alimentati anche dalle donazioni deinostri sostenitori che, insieme a noi, nonhanno avuto dubbi su come risponderealla richiesta di aiuto dei birmani.
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LA RAGAZZA DEL VILLAGGIO DINKA di Alek Wek231 pagineRizzoli Editore pubblicato nel gennaio 2008
Alek ha solo otto anni quando la guerracivile travolge la sua terra, il Sudan, e la
sua infanzia si trasforma in unincubo. Sfollata assieme allafamiglia, attraversa a piedi ildeserto sfuggendo a milleinsidie: il caldo, i guerriglieri,gli animali selvatici. Ma nonesistono più luoghi sicuridove rifugiarsi: né la cittànatale Wau, né la capitaleKhartoum dove laconvivenza tra lamaggioranza arabamusulmana e i dinka sifa sempre più difficile.
Un giorno Alek decide di cambiare lasua vita e raggiunge la sorella maggiorea Londra. Inizia in questo modo unnuovo capitolo della sua vita, fatto didifficile integrazione, di lavori umili, disveglie all'alba per conciliare il lavorocon gli studi alla scuola d'arte. Finché,grazie all'intuito di una talent scout,arriva il grande balzo nel mondo dellamoda. Parigi, Milano, New York: sullepasserelle, sui set dei fotografi piùblasonati, sulle copertine dei magazinepiù prestigiosi, la ragazza del villaggiodinka rivoluzionerà gli stereotipi dellabellezza nordica e bianca.
Alek oggi è impegnata nella battaglia perporre fine alla tragedia del Darfur e non èsolo la protagonista di una favolamoderna: è un ponte gettato tra un’Africasanguinosa e stupenda e un’Europa ancoraincapace di comprenderla.
DONAZIONI DAL WEBdi Paolo Pacini A poche ore dall’emergenza causata dal ciclone inMyanmar, molti di voi hanno risposto al nostroappello online inviato tramite e-mail. Grazie alvostro aiuto, abbiamo potuto reagire conprontezza alla richiesta di soccorso provenientedalla Birmania. Vi ringraziamo di cuore per esserestati ancora una volta al nostro fianco.Vorrei indirizzare inoltre, uno specialeringraziamento a chi ci ha aiutato inoltrando ilnostro messaggio ad amici e conoscenti.Divulgare il più velocemente possibile le nostreattività di emergenza, ci permette di rendereancora più incisivo il nostro intervento. Ancora unavolta, il vostro sostegno è stato di vitaleimportanza.
Lo sviluppo delle nostre attività online, ci porteràpresto a condividere con voi alcuni video, registratidirettamente in quei luoghi dove sono destinati ivostri aiuti. È un progetto a cui teniamo molto, econfidiamo molto sul vostro apprezzamento.
Grazie ancora a tutti.
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BUONA LETTURA... a cura di Laura Perrotta
www.unhcr.it
Con questa nuova rubrica,dedicata ai libri, vi consiglierò
un libro che narri storie dirifugiati perché possiate capire
meglio chi siano le personeche ogni giorno aiutate.
Auguro una buona lettura a tutti!
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