La Luna Di Modena - Edmondo Berselli

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LEGGERE E GUARDARE L’EMILIA-ROMAGNA LEER Y MIRAR EMILIA-ROMAÑA

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LEGGERE E GUARDARE L’EMILIA-ROMAGNA

LEER Y MIRAR EMILIA-ROMAÑA

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Edmondo Berselli

La luna di Modena lasciatela stareDejen en paz la luna de Módena

... cui non fantastica testa. ... cuya cabeza no es fantástica.

Teofilo Folengo, Baldus

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I turisti per bene si fermano a contem-plare lo spettacolare rosone del duomo,

secondo le indicazioni dei migliori bae-deker, anche giapponesi, e riconoscono che effettivamente la cattedrale muti-niense rappresenta uno dei più squillanti esempi di romanico settentrionale, una meraviglia dell’umanità, un dono di Dio, un exploit architettonico irripetibile, una chiesa che, porca malora, è stata conce-pita direttamente nel settimo cielo, e poi recapitata generosamente lì, nella pia-nura, per quelle bestie di uomini. Quindi i bravi osservatori dedicano qualche oc-chiata ai bassorilievi scolpiti nella pietra dal maestro Wiligelmo. Ma alla fine sono pochi quelli che quando passano in piazza Grande, dopo avere sistemato nel catalogo visivo uno scorcio ulteriore della Ghirlandina, alzano lo sguardo per contemplare l’immagine di quella là, la Potta di Modena.Sarà per una convenzionale pruderie delle guide, se c’è un deficit di informazioni. Eppure la gittata rabdomantica dell’oc-chio del voyeur dovrebbe indirizzarsi a colpo sicuro, su quel capitello lassù in alto, dove immobile per l’eternità, una donna, anche lei in bassorilievo, se ne sta beata, o forse solo attonita, a cosce spalan-cate: mostrando la patacca – diceva più o meno Alberto Arbasino in Fratelli d’Italia

Los buenos turistas se detienen a con-templar el espectacular rosetón de

la catedral, según las indicaciones de las mejores guías, redactadas también en ja-ponés, y reconocen que, efectivamente, la catedral mutiniense (del latín Mutina, la actual ciudad de Módena) representa uno de los ejemplos más llamativos del estilo románico septentrional, una mara-villa de la humanidad, un regalo de Dios, una hazaña arquitectónica inigualable, una iglesia que, ¡demonios!, fue conce-bida directamente en el séptimo cielo, y luego generosamente entregada allí, en la llanura, a esas bestias llamadas hombres. Por lo tanto, los buenos observadores dedican una mirada a los bajorrelieves esculpidos en piedra por el maestro Wili-gelmo. Sin embargo, al final, son pocos los que al pasar por la plaza Grande, después de haber grabado en el catalogo visual un escorzo más del campanario Ghirlan-dina, levantan la vista para contemplar la imagen de ésa, la Panocha de Módena.Será por un convencional pudor de las guías si existe un déficit de informaciones. No obstante, el alcance rabdomántico del ojo del voyeur debería dirigirse dando en el blanco hacia aquél capitel en lo alto, donde, inmóvil para la eternidad, una mujer, también ella esculpida en bajorre-lieve, permanece radiante, o quizás sim-

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e nei suoi turbinosi anni Sessanta – al po-steggio dell’Aci. Aggiungendo, l’insigne jongleur lombardo, che tutto ciò, cosce e potta, lascia intendere di che materia fosse fatto il cristianesimo medievale in Italia, o almeno da queste parti:

Deviamo per Modena, per andare a mangiare fuori dell’autostrada; benissimo infatti questi classici, i tortellini alla panna e rane fritte leggere come libellule e bolliti intimi e una spuma di burro soavissima come salsa o come bavaroise; scendiamo nel duomo; e lo troviamo sconvolto, cinquanta perforatrici scuotono i Wiligelmi; installano i termosifoni, sotto la donna scosciata che allarga le ginocchia sulla piazza dall’alto del tetto...1.

E vabbe’, più o meno in quel periodo, sempre in quel Medioevo aspramente nature, dopo la battaglia di Legnano i ru-vidi milanesi fecero scolpire una formella in cui la moglie dell’odiato Barbarossa si pettinava il pelo proprio lì, sulla cosa: così, per gratuita ingiuria, per arbitrario oltraggio, oltre che per vendicarsi simbo-licamente di una inezia, come la distru-zione della città nel 11622. D’altronde, si

1 Cito dall’edizione Einaudi del 1976. Tutto perfettamente sceneggiato, a parte la panna nei tortellini che proprio classica non è, direbbe un purista, uno di quelli affezionati all’aceto balsamico «tradizionale» e al lambrusco di Sorbara non pastorizzato.

2 «La fama accrebbe poi questa calamità di Milano, essendo giunti alcuni a scrivere che Federigo vi fece condurre sopra l’aratro e la seminò di sale: tutte fandonie [...]. Certo intanto

plemente atónita, con los muslos abiertos de par en par: enseñando la medalla – decía más o menos Alberto Arbasino en el libro Hermanos de Italia y en sus turbu-lentos años Sesenta – al estacionamiento del ACI1. Destacando, el insigne malaba-rista lombardo, que todo eso, piernas y vulva, da a entender de qué pasta estaba hecho el cristianismo medieval en Italia, o al menos en estos lugares:

Nos desviamos hacia Módena, para ir a comer fuera de la autopista: muy ricos de hechos los platos clásicos: los tortellini con nata y las ranas fritas ligeras como libélulas y cocidos íntimos y una suave espuma de mantequilla como aderezo o bavaroise; bajamos a la catedral; y la hallamos estremecida, cincuenta perforadoras sacuden los Wiligelmos; instalan los radiadores, bajo la mujer esparrancada que abre las rodillas a la plaza desde el alto del techo…2.

Bien, más o menos en aquella época, siempre en aquel Medioevo ásperamente natural, después de la batalla de Legnano los rudos milaneses mandaron a esculpir una baldosa en la cual la mujer del odiado Barbarroja se peinaba el vello justo ahí, en

1 Acrónimo de Automobile Club d’Italia: asociación automovilística difundida extensamente por todo el país (n.d.T.).

2 Cito de la edición Einaudi de 1976. Todo perfectamente representado, a parte de la nata con los tortellini que no es tan clásica de verdad, según diría un purista, uno de aquellos aficionados al vinagre balsámico “tradicional” y al lambrusco de Sorbara no pasteurizado.

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sa che «Federico Barbarossa / quand’al chéga al fa d’la pòssa»: la filastrocca sca-tologica, dialettale e bambinesca, deve risentire della stratificazione popolare di disprezzo capriccioso verso l’impe-ratore tognino, anche oggi che l’ultima esibizione di cristianesimo veramente medievale la si è vista per l’ultima volta diversi anni fa, proprio nel duomo, con la preghiera solitaria di Karol Wojtyla, in-ginocchiato a mani strette e a capo chino accanto all’urna che conserva lo scheletro pietrificato di san Geminiano: con una fantastica prestazione di fede «dura», profetica e out-of-time, e anche se, a dirla definitiva, il Medioevo è passato remoto per tutti (con l’aggiunta, per non trascu-rare la contemporaneità, che anche il par-cheggio dell’Aci è stato smobilitato, e già da qualche decennio).Della luna, comunque, parliamo dopo.

A ricercare la sostanza antropologica emiliana e nella fattispecie modenese si pencola inevitabilmente verso la velleità di codificare la varietà umana e padana dentro certi stereotipi vecchissimi. Uffa,

e che la caduta e la rovina di Milano sparse il terrore per tutta l’Italia, ed ognuno tremava al nome di Federigo Barbarossa» (cronaca e commento del modenese Ludovico Antonio Muratori, negli Annali d’Italia, il quale annota: «A mio credere, i buoni principi fabbricano le città e i cattivi le distruggono»).

la cosa: así, por gratuita injuria, por arbi-trario ultraje, además de por querer ven-garse simbólicamente de una nimiedad, como la destrucción de la ciudad en 11623. Por otra parte, se sabe que «Federico Bar-barossa / quand’al chéga al fa d´la póssa»4: la cantilena escatológica, dialectal e infantil, resiente probablemente la estratificación popular de desprecio sin motivo hacia el emperador alemán, inclusive en la actua-lidad, cuando se asistió a la última exhi-bición de cristianismo verdaderamente medieval por última vez, hace algunos años, justo en la catedral, con el rezo soli-tario de Karol Wojtyla, arrodillado con las manos entrelazadas y la cabeza inclinada junto a la urna que conserva el esqueleto petrificado de san Geminiano: con una fantástica prestación de fe “sólida”, pro-fética y anacrónica, y no obstante, a decir la verdad, el Medioevo es pasado remoto

3 “La fama aumentó luego esta calamidad de Milán, ya que algunos llegaron a escribir que Federico hizo manejar el arado sobre la ciudad y la sembró con sal: todas patrañas […]. Por otra parte, es cierto que el derrumbe y la ruina de Milán difundió el terror por toda Italia, y cada uno temblaba al escuchar el nombre de Federico Barbarroja” (crónica y comentario del modenés Ludovico Antonio Muratori, en los Anales de Italia, quien apunta: “A mi parecer, los buenos príncipes construyen las ciudades y los malos las destruyen”).

4 En dialecto modenés: “Federico Barbarroja cuando caga / apesta” (n.d.T.).

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il dogma del cotechino e del tortellino, naturalmente esente dalla panna. Ma non bisogna cedere al criterio raziona-lista e individualista secondo cui tutti gli stereotipi sono solo la forma tassonomica di una schematica avarizia mentale.Basta un po’ di letteratura, per capirlo. Se infatti uno lascia le strettoie pietrose del Medioevo e si porta fin dentro le più morbide volute del Cinquecento, farà bene a gettare lì per lì uno sguardo sul-l’opera maggiore di Teofilo Folengo, ov-verossia il Baldus. Poema maccheronico, eroicomico, esagerato, una specialità dell’epoca, l’esatto contrario della legge-rezza ariostesca, per capirci. Anzi, quello, l’Ariosto, canta graziosamente «le donne, i cavalier, l’arme, gli amori», questo qua invece, il Folengo alias Merlin Cocai, una tracimazione di cuccagne e di indicibili pesantezze gastronomiche, inanellate in un latino così popolare che potrebbe par-larlo un mantovano o uno della Bassa di qua o di là del Po, così materiale com’è, così carnale, così grasso, panciuto e vi-tale: che squisitezza.Si sfoglia ordunque il «Liber secundus» del Baldus, con il dito indice opportuna-mente insalivato secondo il modo antico, e si trova ben presto una panoramica sulle città, le idiosincrasie locali e i tipi italiani d’allora:

para todos (añadimos, para no descuidar la contemporaneidad, que también el aparcamiento de la ACI desapareció, y hace ya algunas décadas).De la luna, de todas formas, hablamos luego.

Si investigamos la sustancia antropo-lógica emiliana y en el caso específico modenés, se cae inevitablemente en la veleidad de cifrar la variedad humana y padana dentro de ciertos estereotipos an-tiquísimos. ¡Basta! el dogma del cotechino

[embutido de carne de cerdo, típico de la comida de Módena, n.d.T.] y del tor-tellino, obviamente sin nata. Pero no hay que ceder al criterio racionalista e indivi-dualista según los cuales todos los este-reotipos son solamente la forma taxonó-mica de una avaricia mental esquemática.Sólo un poco de literatura es suficiente para comprenderlo. De hecho, si uno se aleja de los estrechamientos pedregosos de el Medioevo y se adentra en las más suaves volutas del siglo XVI, hará bien a echar una mirada a la obra más grande de Teófilo Folengo, o sea, el Baldus. Poema macarrónico, heroico-cómico, exagerado, una especialidad de la época, antitético a la levedad ariostesca, para entendernos. Más bien, aquél, el Ariosto, canta con gracia a “las mujeres, los caballeros, las

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Dat multam lanam pegoris Verona tosatis montibus ex altis evangat Brixia ferrum, bergamasca viros generat montagna gosutos, de porris saturat verzisque Pavia Milanum, implet formaio cuncta Piasenza paësos, Parma facit grossa scocias grossosque melones, trottant resanos cuncti sperone cavalli, Mantua brettaros fangoso bulbare pascit, si mangiare cupis fasolos vade Cremonam, vade Cremam si vis denaros spendere falsos, ingrassat Bologna boves, Ferraria gambas, non modenesus erit cui non fantastica testa, quot moschae in Puia tot habet Vegnesia barcas, mille stryas brusat regio Piamonta quotannis, villanos generat tellus padoana diablos, saltantes generat bellax Vincentia gattos, congruit ad forcam plus quam chiozottus ad orzam, antiquas Ravenna casas habet atque muraias, innumerusque salat per mundum Cervia porcos, sulphure non pocum facis, o Caesena, guadagnum, nulla faventinas vincit pictura scudellas, dat mioramentos vallis Commacchia salatos,intra ceretanos portat Florentia vantum,non nisi leccardos vestigat Roma bocones,Quantos per Napolim fallitos cerno barones,tantos huic famulos dat ladra Calabria ladros,Gennua dum generat, testas commater aguzzat,semper formosas produxit Senna puellas,Millanus tich toch resonat cantone sub omni,dum ferrant stringas, faciunt foramina gucchis;qui ponunt scarpis punctos, sparamenta zavattis,quive casas cuppis coprunt spazzantve caminosvel sum commaschi vel sunt de plebe Novarae3.

3 Così traduce l’edizione curata da Emilio Faccioli (Einaudi, Torino 1989): «Verona produce molta lana tosando le pecore / Brescia

armas, los amores”; por el contrario, éste, el Folengo alias Merlín Cocai, un desbor-damiento de abundancias e indecibles pesadeces gastronómicas, ensortijadas en un latín tan popular que podría hablarlo un mantuano o alguien de las tierras bajas adyacentes al Po, tan material como es, tan carnal, tan opulento, panzón y vital: ¡qué exquisitez!. Hojeando el “Liber secundus” del Baldus, con el dedo índice oportunamente ensa-livado según la costumbre antigua, muy pronto se encuentra una panorámica de las ciudades, las idiosincrasias locales y los tipos italianos de antaño:

Dat multa lana pegoris Verona tosatis,montibus ex altis evangat Brixia ferrum,bergamasca viros generat montagna gosutos,de porris saturat verzisque Pavia Milanum,implet formaio cuncta Piasenza paësos,Parma facit grossas scocias grossosque melones,trottant resanos cuncti sperone cavalli,Mantua brettaros fangoso bulbare pascit,si mangiare cupis fasolos vade Cremonam,vade Cremam si vis denaros spendere falsos,ingrassat Bologna boves, Ferraria gambas,non modenesus erit cui non fantastica testa,quot moschae in Puia tot habet Vegnesia barcas,mille stryas brusat regio Piamonta quotannis,villanos generat tellus padoana diablos,saltantes generat bellax Vincentia gattos,congruit ad forcam plus quam chiozottus ad orzam,antiquas Ravenna casas habet atque muraias,innumerusque salat per mundum Cervia porcos,

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sulphure non pocum facis, o Caesena, guadagnum,nulla faventina vincit pictura scudellas,dat mioramentos vallis Commacchia salatos,intra ceretanos portat Florentia vantum,non nisi leccardos vestigat Roma bocones,Quantos per Napolim fallitos cerno barones,tantos huic famulos dat ladra Calabria ladros,Gennua dum generat, testas commater aguzzat,semper formosas produxit Senna puellas,Milanus tich toch resonat cantone sub omni,dum ferrat stringas, faciunt foramina gucchis;qui ponunt scarpis punctos, sparamenta zavattis,quive casas cuppis coprunt spazzantve caminos,vel sum commaschi vel sunt de plebe Novarae5.

5 “Mucha lana produce Verona esquilando sus ovejas, /de sus altos cerros laya Brescia el fierro, / las montañas de Bérgamo engendran hombres de buche, /de puerros y coles Pavía satura Milán, / llena con su queso Plasencia todos los pueblos, / Parma ofrece grandes bastidores y grandes melones, / trotan todos caballos con espolones de Reggio, / Mantua cría sus gorreros con carpas cenagosas, / si quieres comer frijoles ve a Cremona, / ve a Crema si quieres hacer circular moneda falsa, / engorda Bolonia bueyes, Ferrara brutos, / no serás modenés cuya cabeza no es fantástica, / tantas moscas en Pulla cuantas hay en Venecia barcas, / miles de brujas la región de Piamonte quema al año, / la tierra de Padua aldeanos que se parecen a diablos genera, / listos a la huida son los gatos en Vicencia belicosa, / el de Chioggia es mejor para la horca que para la orza, / Rávena tiene casas y murallas antiguas; / Cervia sobre innumerables cerdos vierte su sal y los envía por el mundo, / no poco ganas con tu azufre, o Cesena, / no hay pintura que exceda las escudillas fayentas, / abastece de anguilas escabechadas el valle de Comacchio, / los Cerretanos hacen gala de Florencia, / sólo

Scusino la lunghezza smisurata della ci-tazione. Sarebbe che a Milano i bauscioni non fanno altro che laurà, con l’ago e il martello, a Vicenza i gatti sono allenati a saltare via rapidissimi (altrimenti i

cava il ferro dagli alti suoi monti / le montagne bergamasche danno vita a uomini col gozzo / di porri e verze Pavia satolla Milano / Piacenza riempie tutti i paesi col suo formaggio / Parma produce grosse scocce e grossi meloni / non c’è cavallo che trotti senza speroni fabbricati a Reggio / Mantova sazia i suoi berrettai con carpe che sanno di fango / se vuoi mangiare fagioli vai a Cremona, se vuoi spacciare soldi falsi vai a Crema / Bologna ingrassa buoi tardi di comprendonio, Ferrara gente buona a nulla / non c’è modenese che non abbia la testa un po’ balzana / quante mosche ha la Puglia, altrettante barche ha Venezia / ogni anno il Piemonte brucia migliaia di streghe / nella terra padovana nascono villani che sono dei diavoli / Vicenza bellicosa genera dei gatti pronti a scappare / quelli di Chioggia sono fatti per la forca più che per l’orza / Ravenna ha case e mura vetuste; Cervia mette sotto sale porcelli senza numero, venduti dappertutto / e non è poco ciò che guadagni col tuo zolfo, o Cesena / non esiste pittura che superi le scodelle faentine / la valle di Comacchio fornisce anguille marinate / Firenze porta il vanto fra i cerretani / Roma non cerca altro che ghiotti bocconi / quanti sono i baroni spiantati che vedo per Napoli, altrettanti sono i famigli ladri che vi manda la ladra Calabria/quando Genova mette al mondo un bambino, la comare gli fa la testa aguzza / Siena ha sempre prodotto belle figliole / in ogni cantone di strada Milano fa risuonare il suo tic toc, mentre ferrano cinghie o fanno fori negli aghi / quelli che danno punti alle scarpe o mettono fodere alle ciabatte, quelli che coprono le case con i coppi e spazzano i camini o sono comaschi o della plebe di Novara».

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magnagàti se li màgnano, per l’appunto, quegli sfortunati felini così commestibili, soprattutto nei tempi di non grande cuc-cagna); che Bologna è ricca di studenti testoni come buoi, che Napoli è affollata di aristocratici falliti, che a Roma vale sempre il motto: «O Franza o Spagna purché se magna», mentre a Mantova sono abituati a mangiare carpe che sanno di pantano e Bergamo genera un gran numero di miserevoli gozzuti. Come rassegna sociologica è un campionario di luoghi comuni, qualcuno sopravvis-suto con lieto successo di pubblico fino ai tempi nostri.Quanto ai modenesi, non sfugga che per il Merlin Cocai sono tutti già da al-lora dotati di testa «fantastica», cioè bal-zana, cioè piena di grilli. Possediamo già qualche indizio che ciò sia vero, ma è vero nel contempo che la simpatia mode-nese ed emiliana si rivolge a quei mene-ghini che «agucchiant et martellant» fa-cendo risuonare ogni cantone di strada, altro che i napoletani spiantati e l’oppor-tunismo alla romana, nonché la sboccata ciarlataneria fiorentina.Non si è sempre detto, talvolta con mala-nimo, talora con rassegnazione, che Mo-dena è permeata (fino a esserne schiacciata psicologicamente), dalla «cultura della produzione»? Ma ci dev’essere anche

Disculpen la longitud desmedida de la cita. Sería que en Milán, los fanfarrones no hacen otra cosa que trabajar, con la aguja y el martillo; en Vicencia, los gatos están acostumbrados a escapar rá-pido (de lo contrario, los comegatos se los comen, claro, aquellos desafortunados felinos tan comestibles, principalmente en los tiempos de poca abundancia); que Bolonia está llena de estudiantes cabe-zones como bueyes, que Nápoles está repleta de aristócratas fracasados, que en Roma siempre vale el dicho popular: “O Francia o España con tal que se coma”, mientras que en Mantua están acostum-brados a comer carpas que saben a fango y Bérgamo produce un gran número de míseros buchones. Como reseña socioló-gica constituye un muestrario de lugares comunes, alguno sobreviviente con feliz éxito de público hasta nuestros días. Con respecto a los modeneses, no pase

bocados apetitosos busca Roma, / en Nápoles diviso tantos barones arruinados / cuantos son los fámulos ladrones que les envía Calabria ladrona, / cuando Génova dé a la luz un niño, la comadre le saca punta a la cabeza, / siempre produjo Siena mozas esculturales, / Milán hace resonar su ¡tic! ¡toc! en cada rincón, / mientras ferran correas y horadan agujas, / los que dan unas puntadas a los zapatos o forran chanclas, / los que los techos cubren con tejas de canal y limpian chimeneas, / o son de Como o del pueblo de Novara”.

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un’affinità spirituale, con i lombardi, una sintonia terrigna e padana, certificata a suo tempo dal teatrante Carlo Goldoni (studente a Modena nel 1728) che faceva dire a un suo commediante: tu parli di Lombardia, ma che cos’è Lombardia? Lombardia xe Venessia, xe Mantova, Lom-bardia l’è Bologna, l’è Modena, l’è Parma.La parola Lombardia fa «resonare» qual-cosa, insomma, non solo il tic e toc del lavoro. Sarà un suono mentale di pia-nura, di terra, di attrezzi e di modi di pensare. Con le debite distinzioni topo-grafiche, perché ad esempio quanto a Bologna, bah. La tradizione gaudente del capoluogo turrito, attestata classica-mente dal catulliano «Bononiensis rufa Rufulum fellat», e poi dalle cartoline con le tette formose accanto allo slancio gali-leiano delle torri, e dal calco tortellinesco dell’ombelico di Venere, e dalla fama di grassa e dotta, e dall’addome pingue del cardinal Lambertini e di Gino Cervi giù giù fino a quello del macellaio assunto nel cielo della politica Giorgio Guazza-loca, sembra quanto di più lontano si possa immaginare rispetto alla fisica e alla metafisica modenese. Non faciunt per nos bisteccas, si non in tabula, direbbe un maccheronico.Ecco qua: passi in centro a Modena e proprio sotto la Ghirlandina ti si para

inadvertido que para Merlín Cocai todos ya están, desde entonces, dotados de ca-beza “fantástica”, es decir, extravagante, o mejor, llena de pájaros. Ya poseemos algún indicio de que lo anterior sea cierto, pero es cierto al mismo tiempo que la simpatía modenesa y emiliana se dirige a aquellos milaneses que “agucchiant et martellant” haciendo retumbar cada rincón de la calle, y no a los napolitanos arruinados y al oportunismo a la romana, ni a la grosera charlatanería florentina.¿No se ha dicho siempre, algunas veces rencorosamente, otras con resignación, que Módena está permeada (hasta quedar aplastada psicológicamente por eso), por la “cultura de la producción”? Sin embargo, tiene que haber además una afinidad espiritual, con los lombardos, una sintonía térrea y padana, certificada en su tiempo por el autor teatral Carlo Goldoni (estudiante en Módena en 1728) que hacía decir a uno de sus comediantes: tú hablas de Lombardía, ¿pero que es Lombardía? Lombardia xe Venessia, xe Mantova, Lom-bardia l´è Bologna, l´è Modena, l´è Parma.La palabra Lombardia “hace resonar” algo, en resumen, no sólo el tic-toc del trabajo. Será un sonido mental de llanura, de tierra, de herramientas y de maneras de pensar. Con las debidas distinciones topo-gráficas, porque, por ejemplo, en cuanto a

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davanti la statua di Alessandro Tassoni. Proprio lui, l’autore secentesco della Sec-chia rapita, il codificatore della rivalità storica o leggendaria fra Modena e Bo-logna: dove per la verità la differenza on-tologica con i bolognesi non consiste in questioni territoriali o in baruffe militari, in un bellicoso orgoglio campanilistico contrapposto e speculare, bensì nella mentalità stessa del modenese, nella fi-losofia dell’Existenz di cui il Tassoni era uno smodato vessillifero.Il che sarebbe, considerando l’indole letteraria tassoniana, una «trista alle-grezza», come argomentò il romagnolo Giovanni Pascoli, fatta di sghignazzate in versi sul conte della rocca di Culagna, «filosofo, poeta e bacchettone» e sui fiati malevoli del di lui ventre (ma sì, plebee scorregge, «un velen mortifero ch’ap-pesta»), dislocate su una quinta teatrale di comicità fine a se stessa, dato che il fine del poeta è lo sghignazzo, più che la maraviglia, dove la caricatura della cavalleria trasforma le gesta dei poemi in un cabaret sconclusionato, o in uno stralunato balletto meccanico, insomma in un agitarsi di burattini e di burattinate al cui fondo c’è, già, che cosa c’è dietro quel sipario? La morte, annuncia a narici frementi il gran filosofo modenese Carlo Galli: anzi, la morte e la merda. Cioè una

Bolonia, ¡bah! La tradición gozosa de la ca-pital llena de torres, atestada clásicamente por el verso de Catulo “Bononiensis Rufa Rufulum fellat”, y luego por las tarjetas postales con las tetas abundantes junto a la esbeltez galileica de las torres, y por la imitación del ombligo de la Venus en los tortellini, y por la fama de gorda y culta, y por el abdomen pingüe del cardenal Lambertini y de Gino Cervi, y más abajo, por el del carnicero inmerso en el mundo de la política, Giorgio Guazzaloca, parece lo más lejano que pueda uno figurarse en comparación con la física y a la metafísica de Módena. Non faciunt per nos bisteccas, si non in tabula, diría un macarrónico.Por eso: pasas por el centro de Módena y justo bajo el campanario Ghirlandina, se te planta delante la estatua de Alessandro Tassoni. Precisamente él, el autor del siglo XVII de La Secchia rapita (El balde raptado), el codificador de la rivalidad histórica o legendaria entre Módena y Bo-lonia: donde, sinceramente, la diferencia ontológica con los boloñeses no radica en cuestiones territoriales o en riñas mili-tares, en un belicoso orgullo, provinciano, contrapuesto y recíproco, sino en la propia mentalidad de la gente de Módena, en la filosofía del Existenz de la cual Tassoni era un desmesurado portaestandarte.Ésta sería, considerando la índole literaria

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visione perfettamente e deliberatamente nichilista, modernissima in quanto total-mente disperata, priva di riscatto, collo-cata definitivamente in un Aldiquà mate-riale e senza la minima ubbia chiliastica (o soteriologica, fate vobis).Vuol dire che il «cavalliere» Alessandro Tassoni, rimatore e cortigiano, uomo in transizione inavvertita e segnaligna verso il barocco, il quale sembrerebbe confinato nel ruolo del poetucolo stitico, del cacasentenze bizzarro, del critico stiz-zoso ostile alla nascente borghesia, ov-vero del glossatore specioso dei classici che tuttavia al momento buono sforna sempre l’omaggio codino all’ipse dixit (condanna Omero, elogia il boia, si op-pone, ehilà, a Copernico), tende invece chissà quanto involontariamente a un suo assoluto eversivo: sicché il brio ma-nierista delle boutade, gli automatismi satirici, le barzellettacce in rima, e idem pure il conformismo cinico delle sue di-squisizioni politico-fìlosofiche, andreb-bero messi a fuoco come l’espressione di un tedium vitae senza scampo, e insieme di un temperamento splenetico che vede nel mondo non tanto la cuccagna del Fo-lengo quanto un disfarsi merdoso e irri-mediabile.Senza epos, naturalmente, non scher-ziamo. Ci si sfa e basta.

de Tassoni, una «triste alegría», como ar-gumentó el poeta de Romaña, Giovanni Pascoli, hecha de risotadas en versos acerca del conde de la roca de Culagna, «filósofo, poeta y santurrón» y acerca del aliento malévolo del vientre del mismo (pues sí, plebeyos cuescos, «un veneno mortífero que apesta»), desplazadas en los bastidores de una comicidad gratuita, dado que el fin del poeta es la carcajada, más que la maravilla, donde la caricatura de la caballería transforma las hazañas de los poemas en un cabaret deshilvanado, o en un trastornado ballet mecánico, en resumen, en una agitación de marionetas y payasadas, en el fondo de los cuales se encuentra, ya, ¿qué hay detrás de ese telón? La muerte, presagia furioso el gran filósofo modenés Carlo Galli: más bien, la muerte y la mierda. O sea, una visión per-fectamente y deliberadamente nihilista, modernísima porque totalmente deses-perada, libre de redención, colocada defi-nitivamente en un Más Acá material y sin la más mínima aprensión milenarista (o soteriológica, fate vobis).Quiere decir que el “caballero” Alessandro Tassoni, rimador y cortesano, hombre en transición inadvertida y sutil hacia el ba-rroco, que parecería condenado al papel del poetastro de lenta producción, del cagasentencias bizarro, del crítico colé-

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Ecco, se provate ad accennare a uno di quei modenesi svelti di crapa di cui è popolato il vasto mondo4 le glorie di quella lontana Bologna e i suoi splendori capitali, sarà facile che quello si stufi e riconosca sbrigativamente un accento di verità nelle velenose parole del cardi-nale Biffi sul conformismo connaturato all’anima felsinea: «I bolognesi? Papalini con il cardinal legato, fascisti col duce, comunisti con Stalin». Questo è parlar chiaro, sembra neanche un prete: uno di Mod’na sembra, dio cànta! A Bologna saranno di casa i moderatoni come Pier-ferdinando Casini, con quella faccia che se fosse solo un po’, appena un po’, un niente più bolognese, sembrerebbe una maschera. Mentre il modenese nature, uno di quelli facili a concludere una trat-tativa a forza di bestemmie, si sentirà più vicino a quel pezzo di Emilia che giace fra il borgo conteso di Castelfranco e l’e-strema provincia reggiana a Occidente, e pazienza se la testa formidabile di Ro-mano Prodi sembra la conferma perfetta della quadratura della scatola cranica

4 Diceva Mario Melloni, alias Fortebraccio, che quando un modenese esce di città, lo fanno subito presidente di qualcosa, e se uno passa in piazza Grande, sotto la Potta, e chiama «Presidente!», si voltano tutti tranne i bambini e i socialdemocratici che non capiscono (absit iniuria per i socialdemocratici di allora e di oggi).

rico adverso a la naciente burguesía, es decir, del glosador especioso de los clá-sicos que, sin embargo, en el momento oportuno, saca siempre el homenaje reac-cionario al ipse dixit (condena a Homero, elogia al verdugo, se opone, nada más y nada menos que a Copérnico), tiende, en cambio, quizás de manera involuntaria, a un absoluto subversivo suyo: así es que el brío manierista de las ocurrencias, los automatismos satíricos, los chistes de mal gusto en rima, e idem también el confor-mismo cínico de sus disquisiciones polí-tico-filosóficas tendrían que ser percibidos como la expresión de un tedium vitae sin salvación, y además de un temperamento melancólico que ve en el mundo no tanto la abundancia del Folengo sino una des-composición mierdosa e irremediable.Sin épica, por supuesto, no es cosa de risa. Se deshace uno y punto.

Ahora, si intentan mencionar a uno de aquellos modeneses espabilados, de los cuales está poblado el vasto mundo6, las glorias de aquella remota Bolonia y

6 Decía Mario Melloni, alias Fortebraccio, que cuando un modenés sale de la ciudad, enseguida lo hacen presidente de algo, y si uno pasa por la plaza Grande, bajo la Panocha, y grita “¡Presidente!”, se vuelven todos excepto los niños y los socialdemócratas que no entienden (absit iniuria para los socialdemócratas de aquel tiempo y de hoy).

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che i modenesi attribuiscono all’antro-pometria reggiana, cioè ligure, celta, non come noi, cosi classicamente dolicocefali (e giù ghignate, alla Tassoni, eroicomiche e matte).Lasciamo anche perdere, detto per inciso, la Romagna, con le favole dei suoi motori e la storia dei suoi crani pelati, secondo il paradigma antropometrico di Benito Mussolini (volendo, anche Arrigo Sacchi e Marco Pantani, tutta gente che a vario titolo ha messo nei guai l’Italia). Il cava-lier Muslèn era il «fassismo», il socialista impaziente dalla blindatura cranica esa-gerata secondo cui «governare gli italiani non è diffizzile, è inuttile!», e giù pugni da caporione arrabbiatissimo sulla scrivania di Palazzo Venezia, e qualche pugno au-toinflitto anche sulla suddetta blindatura cranica (così, per disperazione facinorosa e gusto fanatico della teatralità, perché si sa che l’ora scandita dal destino batte sull’orologio della storia, oppure vice-versa).Mentre noi: la Resistenza, i partigiani, il comandante Claudio, alias il democri-stiano di sinistra Ermanno Gorrieri, la Repubblica di Montefiorino, certi sindaci comunisti tutti d’un pezzo che si chiama-vano Alfeo e Rubes, gli stendardi volonte-rosi dell’Anpi, qualche notevole funerale civile con la banda che intonava Bandiera

sus esplendores capitales, será fácil que el mismo se fastidie y conceda con mo-dales bruscos un velo de veracidad a las venenosas palabras del cardenal Biffi con respecto al conformismo connatural del alma boloñesa: “¿Los boloñeses? Papa-linos con el cardenal, fascistas con el dic-tador Mussolini, comunistas con Stalin”. Esto es hablar claro, ni fuera un cura: uno de Mod´na sembra, dio canta!7. En Bolonia serán de casa los moderados como Pier Ferdinando Casini, con esa cara que si fuera sólo un poco, apenas un poco, un nadita má boloñés, parecería una más-cara. En cambio, el modenés natural, uno de aquellos que típicamente concluyen una negociación a fuerza de blasfemias, se sentirá más parecido a aquel pedazo de la Emilia que yace entre el burgo con-tendido de Castelfranco y la extrema pro-vincia de Reggio a oeste, y poco importa que la formidable cabeza de Romano Prodi parezca la confirmación perfecta de la cuadratura de la cavidad craneal que los modeneses atribuyen a la antropo-metría de los de Reggio Emilia, es decir, ligur, celta, no como nosotros, que somos clásicamente dolicocéfalos (y aquí se ríe con carcajadas a la manera de Tassoni, he-roico-cómicas y locas).

7 En dialecto modenés: “Parece uno de Módena, ¡por Dios!” (n.d.T.)

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rossa, e poi cooperative, gemellaggi con città jugoslave terremotate, vacanze prolet e apparatcik in Slovenia e Croazia, la coscienza di classe e lo spirito civico come carta d’identità del socialismo dal volto emiliano.Dice infatti quel famoso sociologo ame-ricano, quel tale Robert Putnam, che nel paese italico segnato dalla dorsale ap-penninica, fra Emilia e Toscana, si è ac-cumulata, fin dal Medioevo dei comuni, una quota di «capitale sociale» molto superiore rispetto al resto della penisola e delle isole. Può darsi, ammesso che ci si intenda sul significato di «capitale so-ciale». Ma va anche detto che la socialità di questo lembo di Emilia sconta anche la convivenza con frammenti di marginalità umana irriducibili al sentimento collet-tivo e socialista. Quando il sole martella le zucche, scriveva Giovanni Guareschi, e il grande fiume scorre grigio e lento, i cervelli ci mettono poco a bollire. Succede che le stramberie naturali degli individui si cuociono in caratteri forsennati, in fis-sazioni paranoidi, in manie esuberanti come quelle di uno colpito da insolazione, o in tristezze melanconiche come il velo di nebbia che svapora sui poderi in no-vembre. O non ci ricordiamo delle stram-palerie del pittore Antonio Ligabue, con la sua moto rossa e i suoi quadri replicati

Y pasemos por alto, dicho sea de paso, la Romaña, con los mitos de sus motores y la historia de sus cráneos calvos, de acuerdo con el paradigma antropométrico de Be-nito Mussolini (y de Arrigo Sacchi y de Marco Pantani también, sendas personas que, por diferentes razones, han puesto a Italia en aprietos). El caballero Muslén era el “fassismo”, el socialista impaciente del blindaje craneal exagerado según el cual «¡gobernar a los italianos no es difícil, es inútil!», ¡y dale! con puñetazos de cabe-cilla enfadadísimo sobre el escritorio del Palacio Venecia, y con algún golpe más autoinfligido sobre el susodicho blindaje craneal (así, por facinerosa desesperación y gusto fanático por la teatralidad, porque se sabe que la hora marcada por el destino da sobre el reloj de la historia, o viceversa). Al contrario, nosotros: la Resistencia, los partisanos, el comandante Claudio, alias el democristiano de izquierda Ermanno Gorrieri, la República de Montefiorino, ciertos alcaldes comunistas de una pieza que se llamaban Alfeo y Rubes, los estan-dartes voluntariosos de la ANPI8, algún funeral civil notable con la banda que entonaba Bandiera rossa9, y luego coope-

8 Acrónimo de la Asociación Nacional Partisanos de Italia (n.d.T.).

9 Bandera roja, tradicional canción popular de la Izquierda italiana (n.d.T.).

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a usura: a cominciare dall’autoritratto, per riprodurre di continuo un io percosso e straripante, schiacciato e furente, dolo-rante e amoroso, e per distinguerlo dalla natura, fra le sue belve scattanti e il lusso meraviglioso e azteco dei pavoni.Naïf, più o meno: ma come se l’ingenuità fosse lo strumento spontaneo di una vo-glia espressiva irreprimibile, quel desi-derio di raccontare che induce un altro di quei fenomeni di campagna, Pietro Ghizzardi, contadino e stradino, a riem-pire quaderni su quaderni di uno strepi-tante «quasi-italiano», e a ripetere osses-sivamente «mi richordo», per cercare di fermare chissà che cosa, probabilmente il fluire impreciso del tempo, ogni istante la perdita smisurata di vita: «C’è un uomo nella Bassa sui settant’anni che si chiama Pietro Ghizzardi ed è un grande uomo...», ha scritto un bassaiolo più fortunato, Ce-sare Zavattini: «Io lessi le sue memorie quando erano in boccio e dissi; “Corro su-bito ad abbracciarlo”... Lo incontrai dopo la prima mostra luzzarese dei naïf, al pranzo invernale dopo la mezzanotte, di-ventato ormai rituale, tutti avevamo tro-vato il nostro posto a tavola e Ghizzardi no, ricordo ancora che se ne stava in piedi in un angolo con la paura di disturbare, sdentato, il paletò abbottonato male»5.Insomma, si può dire che basta uscire

5 Si veda P. Ghizzardi, Mi richordo anchora, a c. di G. Negri e G. Marchesi, Einaudi, Torino 1976.

rativas, hermanamientos con ciudades yugoslavas devastadas por terremotos, vacaciones prolet y apparatcik en Eslo-venia y en Croacia, la conciencia de clase y el espíritu cívico como carné de iden-tidad del socialismo de sabor emiliano.Dice, en efecto, el famoso sociólogo ame-ricano, el Robert Putnam ése, que en el país itálico, marcado por la cadena mon-tañosa de los Apeninos, entre Emilia y Toscana, se acumuló desde el Medioevo de las primeras ciudades comunales, una cuota de «capital social» muy superior al resto de la península y de las islas. Puede ser posible, con tal que quede claro el sig-nificado de «capital social». Pero hay que precisar que la sociabilidad de esta franja de Emilia además expía la convivencia con fragmentos de marginalidad humana irreducibles al sentimiento colectivo y socialista. Cuando el sol golpea las cala-bazas, escribía Giovanni Guareschi, y el gran río corre gris y lento, los cerebros no tardan en asarse. Acontece que las extra-vagancias naturales de los individuos se traducen en caracteres locos, en fijaciones paranoicas, en manías vivarachas como las de uno golpeado por una insolación, o en tristezas melancólicas como el velo de niebla que se evapora en las fincas en noviembre. ¿O no nos acordamos de las excentricidades del pintor Antonio Li-

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dalle città, da Modena e da Reggio, e fi-lare verso la Bassa, lì dalle parti assolate o viceversa nebbiose di Guastalla e di Gualtieri, ma anche di Mirandola e Finale, vicino all’argine, per trovare non troppo casualmente certi tipi che lo spleen lo in-terpretano en plein air, come libera voce di ciò che resta dell’anima, quando l’anima è smorta e dolente, e più ancora come istintivo atteggiarsi del corpo, quando il corpo è imbestialito. Con oscillazioni psichiche e umorali talmente enfatiche da spingerli ai margini delle comunità, preda disarmata di una lunaticità che li rende strambi per tutta la gente normale, e qualche volta così ubriachi e cattivi che al vederli le donne si segnano in fretta per lo spavento.Uno come Zavattini scappa via, perché si sa che i poveri sono matti (gnéss un càncher ai puvrätt, infierisce l’esorcismo sacrilego del popolo): se ne va a Roma e contribuisce al neorealismo lavando in piazza i panni sporchi e finendo nelle ci-neteche e nei libri di storia della cultura. E allora, visti i tipi, considerati i caratteri, si capisce qualcosa in più del Poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, con quel suo paese incerto fra il mondo lunare e la clandestinità sotterranea, e assume una consistenza addirittura visiva, ico-nografica, la contrada sublunare in cui

gabue, con su motocicleta roja y sus cua-dros repetidos con usura: comenzando por el autorretrato, para reproducir de continuo un yo golpeado y desbordante, aplastado y furioso, dolido y amoroso, y para diferenciarlo de la naturaleza, entre sus fieras veloces y el lujo maravilloso y azteca de los pavones?Naïf, más o menos; pero como si la inge-nuidad fuera el instrumento espontáneo de un deseo expresivo irreprimible, ese deseo de contar que induce otro de los fenómenos típicos del campo, Pietro Ghi-zzardi, campesino y peón caminero, lle-nando cuadernos tras cuadernos de un sensacional «casi italiano», y repitiendo obsesivamente «me acuerdo», buscando detener quién sabe qué, probablemente el fluir impreciso del tiempo, cada ins-tante la pérdida desmesurada de vida: «Hay un hombre en las tierras bajas alre-dedor del Po, con setenta y pico años, que se llama Pietro Ghizzardi y es una gran hombre…», escribió otro habitante de aquellos lugares más afortunado, Cesare Zavattini: «Yo leí sus memorias cuando estaban en capullo y dije: “Corro ense-guida a abrazarlo”…Lo encontré después de la primera exposición de los artistas naïf en Luzzara, en la cena invernal pa-sada la media noche, ya un ritual, todos habíamos ocupado nuestro puesto en

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si agitano e vaneggiano i morti di quel reggiano finito a insegnare in qualche posto in America, ma sì, Daniele Be-nati: quelle ombre defunte obbligate da un loro destino paranoico a ripercorrere senza ragione e per sempre la via Emilia e le carrarecce fra i campi, tra i filari dei pioppi, nelle bocciofile di notte, in una città divenuta spenta e fredda, in una pe-riferia azzerata, in un panorama che è un angolo ottuso, ma così ottuso che di più farebbe male anche alla geometria, non solo al cuore dei viventi (e dei morti). «Io mi richordo che mi sembrava un sogno...».

Eh già: anche il più grande scrittore mo-denese d’ogni tempo, Antonio Delfini, coltiva la sua lunacy con una determi-nazione infrangibile. Dice e ripete (ogni volta che può) il panoramico letterato Roberto Barbolini che l’introduzione al Ricordo della basca è la più straordinaria «vanvera» della letteratura nazionale del Novecento. Chi non sa che cos’è una van-vera, faccia uno sforzo di immaginazione. Mentre non ci vogliono troppi sforzi di fantasia per immaginarlo, Delfini, lo scrittore straniato e orfano che conobbe il volto di suo padre vedendolo uscire intatto dalla terra il giorno dell’esuma-zione («lui, mio padre, aveva 33 anni; e

la mesa y Ghizzardi aún no, todavía re-cuerdo que estaba de pie en un rincón, con miedo a importunar, sin dientes y con el abrigo mal abrochado»10. En conclusión, se puede decir que basta salir de las ciudades, de Módena y de Re-ggio, y dirigirse hacia las llanuras cerca del Po, a los lugares soleados o, por el contrario, neblinosos de Guastalla y de Gualtieri, pero también a los de Miran-dola y Finale, cerca de la ribera, para encontrar no tan casualmente a ciertos tipos que el spleen lo interpretan en plein air, como libre voz de lo que queda en el alma, cuando el alma está pálida y do-lida, y sobre todo como instintiva actitud del cuerpo, cuando éste está enfurecido. Con oscilaciones psíquicas y humorales tan enfáticas como para empujarlos a los márgenes de la comunidad, presas desar-madas de una posesión lunática que los vuelve estrafalarios ante toda la gente normal, y de vez en cuando tan ebrios y malos que las mujeres al verlos hacen el signo de la cruz por el espanto.Alguien como Zavattini se marcha, porque se sabe que los pobres están locos (gnéss un càncher ai puvrätt, infiere el exorcismo sacrílego del pueblo): se va a Roma y con-tribuye al neorrealismo lavando pública-

10 Se vea P. Ghizzardi, Mi ricordo anchora, a c. de G. Negri e G. Marchesi, Einaudi, Torino, 1976.

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io, suo figlio, 54»), non ci vuole una gran fatica per immaginarlo mentre straparla, per l’appunto a vanvera, verosimilmente sbracciandosi fino a disarticolarsi, sotto i portici del collegio davanti al Caffè na-zionale: per spiegare al pubblico estem-poraneo e ai presenti informatori del-l’Ovra un immaginario quanto delirante fascismo surrealista, con Elsa Barocas nei panni di Mussolini e viceversa: «In-somma il surrealismo è la dottrina della follia sistemata in un’analisi anagrafica e armata»; finché uno di quelli dell’Ovra scrolla la testa e si libera con una scrol-lata di spalle dei sospetti di antifascismo su quell’intellettuale in pieno dérapage se-mantico: «Sei matto te Delfini».Matti erano matti, come no. I sociologi americani venuti a studiare i distretti in-dustriali alla corte di Sebastiano Brusco, come Charles «Chuck» Sabel, chissà se sapevano che la fissazione industria-lista e l’autonomia politica dei comunisti emiliani «pinker than red» si nutrivano anche di queste remote strampalerie anarchiche, venute giù con la piena della tradizione: talché agli albori dell’Otto-cento, quando l’orribile e vieto estense Francesco IV, porco reazionario imbro-glione, vuole spedire in esilio, «fora da Mod’na», il patriota movimentista Ciro Menotti, ci vuole precisa precisa la verve

mente los trapos sucios y acabando en las cinematecas y en los libros de historia de la cultura. Y así, considerando los tipos y los carácteres se entiende un poco más del Poema de los lunáticos de Ermanno Cavaz-zoni, con su reino incierto entre el mundo lunar y la clandestinidad subterránea, y asume una consistencia incluso visiva, icnográfica, el paraje sublunar donde se agitan y desvarían los muertos de aquel ciudadano de Reggio que acabó ense-ñando en algún lugar de América, Da-niele Benati, claro: esas sombras difuntas obligadas por sus destinos paranoicos a recorrer sin razón y por siempre la vía Emilia y los carriles entre los campos, entre las hileras de chopos, en las canchas de bochas por la noche, en una ciudad ya apagada y fría, en una periferia anulada, en un panorama que es un ángulo obtuso, pero tan obtuso que serlo aún más afec-taría a la geometría, no sólo al corazón de los vivos (y de los muertos). «Yo me acuerdo que me parecía un sueño…».

Ya: incluso el más grande escritor de Módena de todos los tiempos, Antonio Delfini, cultiva su lunacy con una deter-minación infrangible. Dice y repite (cada vez que puede) el panorámico literato Roberto Barbolini que la introducción al

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politica di un futuro martire del Risorgi-mento per rispondere: «Va’ via te, duchín e’d merda», vai via te, duchino eccetera. Sempre la cacca, per non perdere il filo.Tanto per storicizzare, il «Menòti» l’era un protoindustriale del «truciolo»6, quelle strisce sottili di paglia di salice tutta colorata che, intrecciate dalle vec-chie sulla soglia di casa, in tutte quelle lunghe estati giunte fino ai nostri anni Cinquanta, servivano poi a fabbricare misteriosi cappelli di paglia per qualche altrettanto misterioso mercato nazionale o estero (a Firenze, forse, dove dicevano che i cappelli andassero di gran voga, op-pure chissà). Tutte nere, con il fazzoletto in testa, all’ombra delle case, un occhio pettegolo alla piazza del paese, quelle donne antiche concedevano in regalo ai più piccoli qualche pagliuzza per ingan-nare il tempo e imbrogliare le dita: e i piccoli imparavano a intrecciare a tre (e qualcuno persino a quattro, i più abili), molto prima dello scubidù, che era roba artificiale, moderna e inutile.

6 Ma non solo: «Ciro Menotti, per la svegliatezza dell’ingegno e la non comune operosità, acquistò nel commercio singolare perizia, dedicandosi a varie imprese industriali. Nel 1823 impiantò in villa Saliceto-Panaro una macchina a vapore per la filatura della seta, ed altre macchine a vapore introdusse nel modenese, per raffinare l’acquavite». Così si legge nella Storia di Modena compilata da Angelo Namias (1894).

Ricordo della basca es el más extraordinario «nonsense» de la literatura nacional del siglo XX. Quien no sepa que es un non-sense, haga un esfuerzo con la imagina-ción. En cambio, no se requieren muchos esfuerzos de la fantasía para imaginarlo, a Delfini, el escritor perdido y huérfano que conoció el rostro de su padre vién-dole salir intacto de la tierra, en el día de su exhumación, («él, mi padre tenía 33 años; y yo, su hijo 54»), no hace falta un gran empeño para imaginarlo mientras desvaría, precisamente a tontas y a locas, verosímilmente desbrazándose hasta desarticularse, bajo el pórtico del colegio frente al Café nacional: para explicar al público extemporáneo y a los presentes informadores del Ovra11 un imaginario y delirante fascismo surrealista, con Elsa Barocas en el papel de Mussolini y vice-versa. «En conclusión, el surrealismo es la doctrina de la locura organizada en un análisis de censo y armado»; hasta que uno de los del Ovra sacude su cabeza y se zafa, encogiendo los hombros, de las sospechas de antifascismo sobre aquel in-telectual en pleno dérapage semántico: «Tú estás loco, Delfini».Locos lo estaban, cómo no. Los sociólogos estadunidenses que vinieron para estu-

11 Acrónimo de Organización de Vigilancia y Repre-sión del Antifascismo (n.d.T.)

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Cosicché quando sempre negli anni Cinquanta il padronato licenzia i po-liticamente impegnati, gli agitprop, i sindacalisti rossi, i proletari in attesa dell’ora X, viene naturale al proletariato stesso mandare le eccellenze loro a farla nei malghetti, e mettere su per converso la fabbrichina comunista in un garage, per sperimentare la propria furibonda propensione pratica allo start up. Ed ecco subito la fioritura dei villaggi artigiani, degli istituti professionali, dei servizi sociali, per arrivare molto presto, bell’e pronti, all’inaugurazione della celebre via emiliana al socialismo. Tutti ossessionati dal lavoro ben lavorato, dalla perfezione del manufatto, dal poter manipolare so-vranamente i materiali traendone un guadagno giusto, e dalla certezza della riscossa sociale.Non ci si stupisce affatto che l’eroe spetta-colare di questa avventura industrialista sia riconoscibile nella durezza umana di Enzo Ferrari, con la sua fissità crudele e la sua determinazione feroce, letale, chi-rurgica per esattezza. L’esattezza, veh, supremo Moloch meccanico. Per cui non ci si sorprende neanche un po’ che a due passi da Modena, a Campogalliano, ci sia la storica fabbrica Crotti, «bilance dal 1860», strumenti di precisione mec-canica pura e quasi immateriale nei loro

diar los distritos industriales a la corte de Sebastián Brusco, como Charles «Chuck» Sabel, quién sabe si sabían que la fijación industrialista y la autonomía política de los comunistas emilianos «pinker than red» se nutrían también de estas remotas excentricidades anárquicas, legado de la tradición: de manera que en los albores del siglo XIX, cuando el horrible y anti-cuado Francisco IV, puerco reaccionario embustero, quiso mandar al exilio, «fora da Mod’na» al patriota del movimiento, Ciro Menotti, se necesitaba precisamente el brío político de un futuro mártir del Resurgimiento para responder: «Va’ via te, duchin e’d merda12», tú vete, duquito, etc. Siempre la mierda, para no perder el hilo.Justo para situar la situación dentro de un contexto histórico, el “Menòti” era un proto-industrial de la “viruta”13, aque-llas tiras sutiles de paja de sauce, todas coloreadas que, entrelazadas por las an-

12 En dialecto modenés: “¡Véte tú, duquito de mierda!” (n.d.T.).

13 No sólo: “Ciro Menotti, por su vivo ingenio y su laboriosidad poco común, logró en el comercio una singular pericia, dedicándose a diversas empresas industriales. En 1823, implantó en villa Saliceto-Panaro una máquina a vapor para hilar la seda, y otras máquinas a vapor introdujo en el territorio modenés, para refinar el aguardiente”. Así está escrito en la Historia de Módena redactada por Angelo Namias (1894).

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equilibri di staffe e leve e pianali. Perché è vero che quelli di Campogalliano «ca-gano in piedi», come diceva il genius loci Guglielmo Zucconi, padre dell’ameri-cano Vittorio. Tentativo di traduzione: la fanno cadere dall’alto. Però precisi. Infatti: «Facevamo delle stadere a ponte di diciotto metri, quelle che servono a pesare i camion a rimorchio... E l’ispet-tore al collaudo maneggiava con severità il marco e il romano, e controllava che la pesata fosse giusta, perché la misura della stadera non deve sballare neanche di un chilo: un chilo, hai capito?».Normale pure che una frazione di bilan-ciai onestamente rossi se ne uscisse, nel corso degli anni Sessanta, per creare una cooperativa concorrente, fino a spadro-neggiare sul mercato e costringere alla chiusura l’azienda madre: per poi con-cludere, una trentina d’anni dopo, dato l’umanesimo socialista e l’amore per il mestiere, che valeva la pena di mettere su un museino della bilancia che è un gioiello di storia della civiltà materiale, per un verso, ma anche un incommen-surabile tributo laico alla sostanza del lavoro, e a quell’esattezza che ha piegato l’acciaio per farne un arnese con cui misu-rare pezzi di mondo.In sostanza bisogna immaginare nella provincia quel passaggio abbastanza

cianas en el umbral de la casa, durante todos aquellos largos veranos hasta nues-tros años Cincuenta, servían luego para fabricar misteriosas sombreros de paja para algún mercado nacional o extranjero también misterioso (en Florencia, quizás, donde decían que los sombreros gozarían de gran aceptación, o quién sabe dónde). Todas de negro, con pañuelos en la ca-beza, bajo la sombra de las casas, una mi-rada curiosa a la plaza del pueblo, aquellas antiguas mujeres concedían como regalo a los más pequeños alguna pajilla para engañar al tiempo y enredar los dedos: y los pequeños aprendían a entrelazar en tres (y algunos, los más hábiles, hasta en cuatro), mucho antes del scubidú14, que era algo artificial, moderno e inútil. Así que, cuando, siempre durante los años Cincuenta, el empresariado despide a los comprometidos políticamente, a los agitadores, a los sindicalistas comunistas, a los proletarios en espera de la hora X, es natural que el mismo sector laboral co-mience a hacer sus excelencias en los ba-rrios bajos, y al contrario lleve adelante la pequeña fabrica comunista en un garaje, para experimentar la propia furibunda propensión práctica al start up. Y aquí está el rápido florecimiento de las escuelas de

14 Juego infantil en el que se entrelazan en diferentes maneras hilos de plástico coloreado (n.d.T.).

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storico dai polverosi e assolati anni Cin-quanta ai primi Sessanta, quando le case si riempivano di macchine da maglieria, e le ragazze da marito e da cellula, le Katie e le Meris, le Nives e le Mirke, su-davano d’estate nelle loro camicie stam-pate a fiori, smacchinando tutto il giorno fra spole colorate, matasse e gomitoli alla rinfusa; mentre in poche notti, lì a Carpi, venivano su laboratori artigiani ambigui urbanisticamente ma piuttosto ben tollerati dall’amministrazione, e si creavano ricchezze diffuse e si diffon-deva un primo benessere, con i tedeschi belli ciunti che piombavano in Mercedes da Monaco a comprare sull’unghia tutti i campionari.Venivano anche gli inviati dei grandi giornali, a registrare nel taccuino il mi-racolo, il boom sul campo. Arrivava Giorgio Bocca per restare stupefatto di fronte alla quantità di Ferrari davanti ai garage, e per chiedere ai capi comunisti, ai pezzi grossi delle coop, agli ammi-nistratori rossi (gente pratica, poco in-cline alle utopie), che cosa era per loro il socialismo. E allora? «Quelli mi guarda-vano con l’occhio smorto, come per dire ma questo è venuto o l’hanno mandato? e alla fine sbottavano: “Il socialismo? Ma è il capitalismo gestito da noi, an-diamo!”».

artesanos, de los institutos profesionales, de los servicios sociales hasta llegar rá-pidamente, ya listos, a la inauguración de la célebre carrera emiliana del socia-lismo. Todos obsesionados por el trabajo bien hecho, por la perfección de la ma-nufactura, por poder manipular sobera-namente los materiales sacando de éstos una ganancia justa, y por la certidumbre de la revancha social.No nos asombra para nada que el héroe espectacular de esta aventura industria-lista sea reconocible en la obstinación humana de Enzo Ferrari, con su cruel firmeza y su determinación feroz, letal, quirúrgica, para ser exactos. La preci-sión, ya, supremo Moloch mecánico. Por eso, no nos sorprende para nada que, en Campogalliano, a dos pasos de Módena, esté la histórica fábrica Crotti, «balanzas desde 1860», instrumentos de precisión mecánica pura y casi inmaterial en sus equilibrios de estribos y palancas y ta-blados. Porque es verdad que los de Cam-pogalliano «cagan de pie», como decía el genius loci Guglielmo Zucconi, padre del estadounidense Vittorio. Tentativa de tra-ducción: la hacen caer desde lo alto. Pero precisos. En efecto: «hacíamos puentes de báscula de 18 metros, esas que sirven para pesar los camiones de remolque… Y el inspector durante la prueba manejaba

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Andiamo pure. Purché non si pensi a una società velocemente pacificata, sotto l’om-brello protettivo delle cooperative, della Camera del lavoro, dei servizi sociali, delle polisportive. Quando mio padre, cattolico povero e quindi di classe sociale incerta, uno di quelli delle bilance Crotti di Campogalliano, torna finalmente a casa dalla prigionia in Inghilterra (nel febbraio del 1946, perché la guerra l’hanno vinta loro, gli inglesi, «micca noi», e gli italiani li rimandano in patria quando possono e vogliono), per prima cosa si compra una Bernardelli calibro 6 e 75, capito il clima? E il capo democristiano Gorrieri, sempre lui, il comandante Claudio venuto dalla montagna con un alone di leggenda, al-lorché si torna a parlare con piglio revi-sionista dei triangoli della morte e delle spinte insurrezionali dei comunisti nel primo dopoguerra, e dunque dei depositi di armi nascoste per fare come in Russia, con la massima naturalezza dice: «Mo’ ce le avevamo anche noi, le armi imbo-scate, e all’occorrenza le avremmo tirate fuori».Come in Russia? Fatto è che se si prova a parlare con qualche professore della pregiata facoltà di Economia, metti uno dei due Cavazzuti, quello ti spiega che allora (già, «allora», quando l’università

con severidad el pilón y la pesa y contro-laba que el pesaje fuera justo, porque la medida de la báscula no debía sobrepa-sarse ni siquiera de un kilo: ¿un kilo, en-tiendes?».Era normal que una aldea de fabricantes de balanzas honestamente de izquierdas decidiera, en el curso de los años Sesenta, crear una cooperativa concorrente, hasta señorear el mercado y llevar al cierre la empresa madre: para luego determinar, treinta años después, considerando el hu-manismo socialista y el amor por el oficio, que valía la pena construir un pequeño museo de la balanza que, por un lado, es una joya de la historia de la civilización material, por el otro, un inconmensurable tributo laico a la esencia del trabajo, y a aquella exactitud que ha torcido el acero para convertirlo en un instrumento con el cual medir trozos de mundo.En sustancia, es necesario imaginar en la provincia ese pasaje tan histórico de los polvorientos y desolados años Cincuenta hasta los primeros años Sesenta, cuando las casas se llenaban de máquinas de ca-misas, y las muchachas de maridos y de célula, las Katie y las Meris, las Nives y las Mirke, en el verano sudaban en sus camisas de flores, cosiendo todo el día entre canillas coloreadas, madejas y ovi-llos en desorden; y en pocas noches, allí

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modenese era pura avanguardia socio-politica, seconda in Italia solo alla so-ciologia rivoluzionaria di Trento), l’idea non era affatto quella di fare le riforme e i riformisti: la prospettiva vera era di fare la rivoluzione, cominciasse pure con la microeconomia, per rovesciare almeno concettualmente i rapporti di classe e in-staurare si spera definitivamente il socia-lismo.Poi in verità c’è la nemesi, perché anche il socialismo in terra, malgrado le più volonterose analisi accademiche, trova il suo antidoto e il suo sperpero inaspettato in quelle cattedrali secolarizzate che sono le grandi strutture del consumismo coo-perativo, dove un’intera pedagogia civile viene piano piano lessata fra i banchi di salumi e di pesce, e via via dispersa fra pneumatici in offerta speciale, mountain bike, televisori, impianti hi-fi, telefonini. Roba da ricchi, o da proletari emancipati, tant’è che nella Festa «nassionale» del-l’Unità, fra il suono eterno dei Nomadi e l’eco dell’Equipe 84 (ma tutti questi già surclassati dalle urla sballate di Vasco Rossi), ci sono anche i ristoranti francesi, ouibiensûr, con le ostriche e il foie gras, e le salse che risentono alla lontana della le-zione magistrale di Paul Bocuse (il quale sa che tutta la grande cucina francese tende fatalmente alla merde), e i bianchi

en Carpi, nacían talleres artesanales am-biguos urbanísticamente, pero bien tole-rados por la administración, y se creaban riquezas difusas y se difundía un prin-cipio de bienestar, con los alemanes bien gorditos que bajaban con Mercedes desde Munich para comprar sin regatear todos los muestrarios.Venían además los enviados de los grandes periódicos, a grabar en su libreta de apuntes el milagro, el boom de campo. Llegaba Giorgio Bocca, estupefacto ante la cantidad de Ferrari delante de los ga-rajes, para preguntar a los jefes comu-nistas, a los peces gordos de las coopera-tivas, a los administradores de izquierdas (gente poco práctica, poco propensa a las utopías), qué era para ellos el socialismo. ¿Y entonces? «Aquellos me observaban con los ojos inexpresivos como diciendo: ¿este vino por su cuenta o lo enviaron? Y en conclusión estallaban: ‘¿El socialismo? ¡Pero si es el capitalismo hecho por noso-tros, vamos!’».

Vamos, pues. Con tal que no se piense en una sociedad velozmente pacificada, bajo el amparo de las cooperativas, de la Cámara del trabajo, de los servicios sociales, de los centros multideportivos. Cuando mi padre, católico pobre y por eso de clase social incierta, uno de los de

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un po’ noiosi passati in barrique: comme-il-faut, va bene: «ma, cameriere!, ci sarà micca una boccia di Sorbara?».Chi insiste a restare marginale malgrado il trend, per una sua vena provinciale senza né occlusioni né deviazioni, persegue la sua mite eccentricità come il poeta sasso-lese Emilio Rentocchini, che fra gli sche-letri incombenti delle aziende ceramiche, nella famosa valle delle piastrelle e fra i suoi fanghi argillosi, in un paesaggio di piombo che certe notti sembra un cratere, insiste a pubblicare poesie in dialetto, tutte rigorosamente in ottava, e non se ne accorge nessuno tranne Giovanni Giu-dici, finché la poetessa Patrizia Valduga, elegantissima, noir, schifata di tutto, non schiaffa su qualche giornale un paio di articoli in cui scrive che praticamente quel Rentocchini lì è il più grande poeta italiano, si dà il caso.E allora si capisce che aveva ragione quel povero ragazzo disgraziato di Correggio, Pier Vittorio Tondelli, a dire che il casello dell’A22 è più che l’ingresso in un’auto-strada, è un’ipotesi europea di libertà, se lorsignori capiscono i simboli:

Correggio sta a cinque chilometri dall’inizio dell’autobrennero di Carpi, Modena che è l’autobahn più meravigliosa che c’è perché se ti metti lissù e hai soldi e tempo in una giornata intera e anche meno esci sul Mare del Nord, diciamo Amsterdam, tutto senza fare una sola curva, entri a Carpi ed esci lassù. Io

las balanzas Crotti de Campogalliano, regresa finalmente a casa del encarcela-miento en Inglaterra (en febrero de 1946, porque la guerra la ganaron ellos, los ingleses, “no nosotros” y a los italianos les envían de vuelta a la patria cuando pueden y quieren), lo primero que hace es comprarse una Bernardelli calibre 6 y 75, ¿se entiende el punto? Y el jefe demo-cristiano Gorrieri, siempre él, el coman-dante Claudio bajado de la montaña con un halo de leyenda, cuando se vuelve a hablar con tono revisionista de los trián-gulos de la muerte y de los empujes in-surreccionales de los comunistas en la primera posguerra, y entonces de los de-pósitos de armas escondidos para hacer como en Rusia, con la máxima natura-lidad dice: «Claro, las armas emboscadas las teníamos nosotros también, y even-tualmente las habríamos sacado». ¿Cómo en Rusia? Es seguro que si se in-tenta hablar con cualquier profesor de la preciada facultad de Economía, con uno de los dos Cavazzuti, por ejemplo, él te explicará que antaño (ya “antaño”, cuando la universidad de Módena era pura vanguardia sociopolítica, segunda en Italia sólo a la sociología revolucionaria de Trento), la idea no era para nada la de crear reformas y reformistas: la verdadera perspectiva era la de hacer revolución,

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ci sono affezionato a questo rullo di asfalto {...]. Ma ci son notti o pomeriggi o albe o anco tramonti, anche questo dovete imparare, che succede il Gran Miracolo, cioè arriva sul quel rullo l’odore del Mare del Nord che spazza le strade e la campagna e quando arriva senti proprio dentro la salsedine delle burrasche e dell’oceano e persino il rauco gridolino dei gabbiani e lo sferragliare dei docks e dei cantieri e anche il puzzo sottile delle alghe che la marea ha gettato sugli scogli, insomma t’arriva difilato lungo questo corridoio l’odore del gran mare, dei viaggi...7.

Finale. «Modana siede in una gran pia-nura...», scrisse mediocremente il «ca-valliere» Tassoni. Se uno rimane, se non se ne va, può sempre fermarsi una sera qualsiasi (meglio le mezze stagioni) in piazza Grande e alzare lo sguardo verso la Potta. Così, per abitudine. Magari gli scappa l’occhio più in alto, e nel cielo un po’ afoso, nel blu affumicato della pia-nura, può esserci anche, tutta gialla, la luna. Grande come una forma di parmi-giano, che ti sembra di poter prenderla in mano e mangiarla.È la luna di Modena, e qualche volta, se sei sul sentimentale, può anche ve-nirti voglia di metterti a ululare: come un cane, come un matto, come un Ghiz-zardi. Sì, lo so che Ghizzardi e quel tale Ligabue erano matti speciali, sperduti in

7 La citazione si trova nel racconto Autobahn, pubblicato in Altri libertini, Feltrinelli, Milano 1980.

empezando por la microeconomía, para derrocar al menos conceptualmente los vínculos de clases e instaurar, se esperaba definitivamente, el socialismo. Luego, en verdad está la némesis, porque también el socialismo en tierra, no obs-tante los análisis académicos más vo-luntariosos, encuentra su antídoto y su despilfarro inesperado en esas catedrales secularizadas que son las grandes es-tructuras del consumismo cooperativo, donde toda una pedagogía civil se hierve, poco a poco, entre los tenderetes de em-butidos y pescados, y lentamente se di-sipa entre neumáticos en oferta especial, bici de montaña, televisores, equipos hi-fi y celulares. Cosas de ricos, o de prole-tarios emancipados, así que en la fiesta “nacional” de la Unidad, entre el sonido eterno de los Nomadi y el eco del Equipe 84 (todos estos ya superados por los gritos descabellados de Vasco Rossi), están tam-bién los restaurantes franceses, ouibiensûr, con las ostras y el foie gras, y las salsas que siguen desde lejos de la clase magis-tral de Paul Bocuse (que sabe que toda la gran cocina francesa tiende fatalmente a la merde) y los vinos blancos, un poco abu-rridos pasados en barrique: comme-il-faut, está bien, «pero mesero, habrá alguna bo-tella de vino tinto de Sorbara?».Quien insiste en permanecer marginal

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un pezzo d’Emilia che non si può chia-mare Modena: eppure, la luna è la stessa, e lunatici, siamo lunatici uguali, dal Po fino a Zocca. Probabilmente con la ma-lattia dell’organizzazione, del partito, del progresso, delle macchine, del metallo, delle acciaierie, e poi del software, del-l’innovazione, della competitività sui più primari mercati. Ma la luna, eh già, quella luna lì, bisogna lasciarla stare, va’.Perché l’è così poetica, ma così poetica, così tanto poetica... C’è solo da stare at-tenti in quelle sere, guardando lassù, di non pestare una merda di cane, quaggiù.

pese al trend, por su vena provincial sin oclusiones ni desviaciones, persigue su apacible excentricidad como el poeta de Sassuolo, Emilio Rentocchini, que entre los esqueletos inminentes de las em-presas cerámicas, en el famoso valle de las baldosas y entre sus lodos arcillosos, en un paisaje plomizo que en ciertas no-ches parece un cráter, insiste en publicar poemas en dialecto, todos rigurosamente escritos en octavas, y nadie se da cuenta de eso, excepto Giovanni Giudici, hasta que la poetisa Patrizia Valduga, elegantí-sima, noir, hastiada de todo, no publica en algún periódico un par de artículos en los que escribe que prácticamente el Rentoc-chini ése es el más grande poeta italiano, se da el caso. Y entonces se comprende que tenía razón aquel pobre muchacho desgraciado de Correggio, Pier Vittorio Tondelli, al decir que la caseta de cuota de la A22 más que la entrada en una autopista, es una hipó-tesis europea de libertad, si ustedes en-tienden los símbolos:

Correggio está a cinco kilómetros del comienzo del autopista de Carpi, Módena que es la autobahn más maravillosa que existe porque si vas hacia arriba y tienes dinero y tiempo, en sólo un día e incluso menos, llegas al Mar del Norte, digamos Ámsterdam, todo sin hacer ni siquiera una curva, entras en Carpi y sales hacia arriba. Yo me aficioné a este corredor de asfalto […] Pero hay noches o tardes, amaneceres o atardeceres, esto

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también tienen que aprender, que acontece el Gran Milagro, es decir, llega sobre ese pasillo el olor del Mar del Norte que barre las calles y el campo y cuando llega sientes dentro el salitre de las tormentas y del océano y hasta el áspero grito de las gaviotas y el rechinar de las dársenas y de los astilleros y también el hedor sutil de las algas que la marea lanzó sobre los riscos, en conclusión te llega rápidamente, a lo largo de este corredor, el olor del gran mar, de los viajes… 15.

Final. «Módena se sienta en una gran lla-nura…», escribió de forma mediocre el “caballero” Tassoni. Si uno permanece, si no se va, puede siempre detenerse una tarde cualquiera (mejor las medias esta-ciones) en la plaza Grande y levantar la mirada hacia la Panocha. Así, por cos-tumbre. Quizás se le escape la mirada aun más alto y en el cielo un poco car-gado, en el azul ahumado de la llanura, además puede estar, toda amarilla, la luna. Grande como un queso parmigiano entero, que te parece poder tomarla con la mano y comértela. Es la luna de Módena, y alguna vez, si te sientes sentimental, pueden darte ganas de ponerte a aullar: como un perro, como un loco, como un Ghizzardi. Sí, ya lo sé que Ghizzardi y el tal Ligabue eran locos especiales, despistados en un trecho de Emilia que no se puede llamar Módena:

15 La cita se encuentra en el cuento Autobahn, pu-blicado en Otros libertinos, Feltrinelli, Milán, 1980.

no obstante, la luna es la misma y los lu-náticos somos todos iguales, desde el Po hasta Zocca. Probablemente con la enfer-medad de la organización, del partido, del progreso, de las máquinas, del metal, de las acerías, y luego del software, de la innovación, de la competitividad en los mercados más primarios. Mas la luna, eh ya, esa luna allí, hay que dejarla en paz, vamos. Porque es tan poética, pero tan poética, tan tan poética… Sólo hay que tener cui-dado en esas noches, mientras se mira hacia arriba, y no pisar una mierda de perro, acá abajo.

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