La Leggenda Ritrovata (PARTE SECONDA)

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293 pag. NOTE AL CAP. 18 274. Le notizie su Don Valente sono tratte, oltre che dalla documentazione presente in archivio parrocchiale, da una pubblicazione appositamente uscita nel 1960 per ricordarne il suo 25° di presenza a Santa Croce. 275. Il quaderno è stato lasciato, dopo la morte di Don Domenico, dalla sorella Pia alle zie dello scrivente, il quale ne è attualmente in possesso. 276. Chiariamo che il sistema meccanico di trasmissione è semplice e diretto, come nel clavicembalo e nel pianoforte: il tasto abbassa, per mezzo di una stecca, li ventilabri che consentono il passaggio dell’aria all’interno della canna. 277. Il somiere è l’apparato più complesso dell’organo, perchè in esso si conclude ogni movimento di trasmissione e da esso le canne ricevono direttamento l’aria che dà loro la voce. È quindi una specie di “camera d’aria” che ha lo scopo di ricevere l’aria compressa per distribuirla direttamente alle canne. V. C. Moretti, L’Organo italiano, Casa musicale Eco Monza, 1973. 278. I resti del bersagliere Basso Giulio, disperso in Russia, dopo anni di ricerca da parte della sorella Marcella, furono ritrovati in Ucraina; riportati in Italia, con una solenne cerimonia nella chiesa di Santa Croce Bigolina, il 13 febbraio 2000, hanno trovato finalmente riposo nella tomba di famiglia del cimitero di Fontaniva. 279. È doveroso ricordare l’opera educativa e di volontariato prestata senza risparmio dalla sig. na Moschin, affabile e materna figura di maestra, che per molti anni visse a Santa Croce, abitando nel vecchio edificio delle Scuole Elementari. 280. La famiglia dei Chemin, insigni benefattori della Parrocchia, si trasferì a Santa Croce da Cartigliano nella seconda metà dell’Ottocento. Le sorelle Chemin Lucia e Luigia morirono entrambe in tarda età nel 1916. Angelica Buttafava, vedova di Chemin Marco, morì nel 1918, mentre Chemin Teresa nel 1935. Alcuni ricorderanno Chemin Enrico, morto nel 1955, e le sorelle Maria, morta nel 1957, e Ida, morta nel 1970. CAPITOLO 18 Don Domenico Valente e Santa Croce tra guerra e dopoguerra

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Storia della Comunità di Santa Croce Bigolina (seconda parte)

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NOTE AL CAP. 18

274. Le notizie su Don Valente sono tratte, oltre che dalla documentazione presente in archivio parrocchiale,

da una pubblicazione appositamente uscita nel 1960 per ricordarne il suo 25° di presenza a Santa Croce.

275. Il quaderno è stato lasciato, dopo la morte di Don Domenico, dalla sorella

Pia alle zie dello scrivente, il quale ne è attualmente in possesso.

276. Chiariamo che il sistema meccanico di trasmissione è semplice e diretto, come nel clavicembalo e nel pianoforte: il tasto abbassa, per mezzo di una stecca, li ventilabri che consentono il passaggio dell’aria

all’interno della canna.

277. Il somiere è l’apparato più complesso dell’organo, perchè in esso si conclude ogni movimento di trasmissione e da esso le canne ricevono direttamento

l’aria che dà loro la voce. È quindi una specie di “camera d’aria” che ha lo scopo di ricevere l’aria

compressa per distribuirla direttamente alle canne.

V. C. Moretti, L’Organo italiano, Casa musicale Eco Monza, 1973.

278. I resti del bersagliere Basso Giulio, disperso in Russia, dopo anni di ricerca

da parte della sorella Marcella, furono ritrovati in Ucraina; riportati in Italia, con una solenne

cerimonia nella chiesa di Santa Croce Bigolina, il 13 febbraio 2000,

hanno trovato finalmente riposo nella tomba di famiglia del cimitero di Fontaniva.

279. È doveroso ricordare l’opera educativa e di volontariato prestata senza risparmio

dalla sig. na Moschin, affabile e materna figura di maestra, che per molti anni visse a Santa Croce, abitando nel vecchio edificio delle Scuole Elementari.

280. La famiglia dei Chemin, insigni benefattori della Parrocchia, si trasferì a Santa Croce da Cartigliano

nella seconda metà dell’Ottocento.

Le sorelle Chemin Lucia e Luigia morirono entrambe in tarda età nel 1916.

Angelica Buttafava, vedova di Chemin Marco, morì nel 1918, mentre Chemin Teresa nel 1935.

Alcuni ricorderanno Chemin Enrico, morto nel 1955, e le sorelle Maria, morta nel 1957, e Ida, morta nel 1970.

CAPITOLO 18

Don Domenico Valentee Santa Crocetra guerra e dopoguerra

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CAPITOLO 18

Don Domenico Valentee Santa Crocetra guerra e dopoguerra

A sinistra: Don Domenico Valentecon il fratello, anch’egli Sacerdote,e le tre sorelle Suore.Sotto: il viale lungo la roggia Michelaabbellito dalle acacie e dalle panchine volute da Don Domenico.In basso: Don Domenico tra i bambini della Scuola Materna delle classi 1954, 1955, 1956.

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In basso:la facciata dell’Oratorio di San Gaetano

a Ca’ Micheli,recentemente restaurato.

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Gli Oratori a Santa Croce

APPENDICE 1

L’oratorio di San Gaetano a Ca’ Micheli

Com’era abitudine dei nobili, anche i Michiel281, una volta stabilita la loro residenza a Santa Croce, decisero di erigere un Oratorio per loro comodo, per non dovere spostarsi a sentir mes-sa nelle parrocchiali di Fontaniva o di Santa Croce. Richiesero pertanto dap-prima l’autorizzazione del Doge Pietro Grimani, il quale, con ducale datata 30 gennaio 1744, concesse loro “d’erigere un pubblico Oratorio sopra fondo pro-prio nella contrada di Santa Croce Bi-golina, distretto di Cittadella, per cele-brarvi la Santa Messa, ben meritando questa pubblica condiscendenza per esser la loro abitazione distante due miglia e mezzo dalla chiesa parroc-chiale, per la qualità delle strade e per il danno che ne risentono i vicini abi-tanti di restar talvolta privi nei giorni festivi della Santa Messa medesima, a condizione però che vi precedano le solite licenze ecclesiastiche…”.Ovviamente i fratelli Michiel, il 12 febbraio 1744, presentarono suppli-ca anche al Vescovo di Vicenza Ma-rino Priuli, di poter “fabbricare… so-pra fondo nostro proprio, nelle per-tinenze di Santa Croce Bigolina…

dentro i limiti della Parrocchiale di Fontaniva per nostra particolar di-vozione una chiesa ovvero Pubblico Oratorio sotto la venerazione della Gloriosa Vergine Maria del Carmi-ne… assicurandoLa che sarà da noi provveduta… per la… necessaria manutenzione, riparazione e prov-visione delle Sacre Suppellettili…”. Lo stesso giorno il Vescovo di Vi-cenza incaricava l’Arciprete di Ona-ra, Don Giovanni Battista Salvioni, allora Vicario Foraneo da cui dipen-devano Fontaniva e Santa Croce, di recarsi in sopralluogo e verificare se il sito fosse decoroso per la costruzio-ne di una chiesa e se questo portasse pregiudizio ai diritti della parrocchia di Fontaniva. Nella risposta il Vicario avrebbe dovuto allegare anche il pro-getto dell’Oratorio.Il 13 febbraio, con una celerità quasi stupefacente per quei tempi (e anche per i nostri), l’Arciprete di Onara scri-veva al Vescovo che era tutto in rego-la e questi, a sua volta, concedeva la licenza di erigere la chiesa, delegan-do Mons. Salvioni a benedire la prima pietra e a sorvegliare che tutto si svol-gesse secondo i canoni.Terminata la costruzione in breve tem-po, il 13 novembre il Vicario di Onara

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inviava una lettera al Vescovo, affer-mando di aver trovato tutto “in ottima disposizione”, soprattutto per quanto riguardava i paramenti e gli arredi sacri e chiedendo l’autorizzazione a bene-dire la chiesa per il giorno della Ma-donna della Salute, desiderando Alvise Michiel essere presente alla cerimonia.Intanto, il 15 novembre, i Michiel, con atto notarile, si impegnarono a dotare l’Oratorio di una rendita annua di cin-que ducati d’argento e dieci grossi.Finalmente, il 19 novembre, il Vescovo autorizzava il Vicario Foraneo di Ona-ra, o in sua assenza l’Arciprete di Fon-taniva Don Macario Antonio Disconzi, a benedire il nuovo Oratorio secondo la formula del Rituale Romano, con facoltà per i Michiel di potere poi farvi celebrare la Messa da qualun-que sacerdote avesse l’autorizzazio-ne a celebrare dalla Curia, “eccettua-ti però i giorni solenni di Pasqua di Resurrezione, Pentecoste, Natale ed Epifania… ed altri giorni più solen-ni dell’anno, nei quali proibiamo a qualunque Sacerdote di ivi celebrare sotto pena di sospensione a divinis… intendendo anche che nei giorni fe-stivi non si possa celebrare se non dopo la Messa Parrocchiale, o alme-no senza suonare alcuna campanella

sotto la stessa pena… ”.Due giorni dopo, festa della Madonna della Salute, l’Oratorio fu quindi be-nedetto dall’Arciprete di Onara.Nel 1754 fu dotato di un reliquiario contenente reliquie di San Gregorio Barbarigo, del legno della Santa Cro-ce, della veste di San Pio V, di San Lui-gi e di San Gaetano Thiene.Dopo i Michiel, l’Oratorio passò in proprietà, insieme con il palazzo e la campagna, dell’Arciduchessa Ma-ria Beatrice d’Este che, nel 1810, vi fece trasportare, per un certo periodo, le ceneri del padre Ercole Rinaldo III d’Este. Lo ricorda ancor oggi la lapide posta sul lato sinistro, che reca la se-guente iscrizione:“MEMORIAE HERCULIS RINALDII III ATESTINI MUTINAE REGIS ET MIRANDULAE DUCIS QUI AB AVI-TA SEDE INSTABILI HUMANARUM RERUM EVENTU DEPULSUS PIE DECESSIT TARVISII XVII KAL. NOV. A. D. MDCCCIII DUM ANNOS AGE-RET LXXV MENSES X DIES XXIV MARIA BEATRIX ATESTINA ARCHI-DUX AUSTRIAE FILIA ET HERES EX TESTAMENTO PATRIS AMANTISSI-MI CINERES HUC TRANSFERRI ET TITULUM APPONI IUSSIT XII KAL. SEXTILES ANNO MDCCCX”.

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(= In memoria di Ercole Rinaldo III d’Este, Re di Modena e comandante militare di Mirandola, che cacciato dal-la sede dei padri per l’instabile evolver-si delle cose umane282, piamente morì a Treviso il 15 ottobre del 1803 all’età di 75 anni, mesi dieci e giorni 24. Maria Beatrice d’Este, Arciduchessa d’Austria, figlia ed erede per testamen-to fece trasferire qui le ceneri dell’ama-tissimo padre e pose questa lapide il 20 maggio dell’anno 1810)283.L’Oratorio, dedicato, come si è vi-sto, alla Vergine del Carmine, fu po-sto in seguito sotto la protezione di San Gaetano, la cui festa una volta si celebrava con una messa solenne il 7 agosto e, per un certo periodo,

si fece anche una sagra. Fu sempre proprietà privata dei vari padroni della villa, finché, per interessamen-to della Pro Loco di Santa Croce, fu acquistato negli anni ’80 dal Comu-ne di Cittadella e finalmente restau-rato nel 1999.La costruzione, di stile barocco, pre-senta linee davvero armoniose, snel-lite, sul fianco sinistro, da un piccolo e grazioso campanile. All’interno, colpiscono il pavimento del coro, con fregi a mosaico di mar-mo a vivi colori, e in particolare le tre statue di stupenda fattura, in marmo di Carrara, che troneggiano sull’altare maggiore e rappresentano la Madon-na, San Gaetano e San Luigi.

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APPENDICE 1In basso:il grazioso campaniledell’Oratorio di Ca’ Micheliin una foto realizzatain epoca precedente al restauro.

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L’Oratorio di San Martino in Villa KoflerL’attuale Villa Kofler fu fatta costruire dai nobili veneziani Tron284, che intor-no al 1700 vi fecero erigere un Ora-torio privato, dedicato a San Martino. Ne divenne poi proprietario il Conte Antonio Remondini di Bassano del Grappa, che risulta dai documenti es-sersi interessato attivamente a Santa Croce e ai suoi problemi285.Proprio per risparmiare agli abitanti vicini l’incomodo di recarsi d’inver-no alla Chiesa parrocchiale, anche a causa dell’impraticabilità delle strade, egli chiese, nel 1784, di poter rende-re pubblico l’Oratorio, aprendo sulla strada una porta, che esiste ancora. Il 21 dicembre, ottenuto il consenso dal Senato Veneziano, il Conte scriveva al Cancelliere Episcopale, pregandolo di fargli avere anche la licenza del Ve-scovo e di estendere al massimo le fe-stività di utilizzo della cappella, e ciò soprattutto a causa della lontananza della chiesa parrocchiale e di ogni al-tra. La Curia inviò in sopralluogo il Parroco di Tezze, Don Pietro Giuppo-ni, nella cui giurisdizione ecclesiastica rientrava ancora Santa Croce; questi, il 4 gennaio 1785, fece sapere di aver ritrovato l’Oratorio “molto nobilmente

eretto di ben saldo muro… con una porta… su la via publica… e… potrà servire di molto comodo al caso della assistenza agli infermi al momento di soministrare la SS.ma Comunione, per cui non posso altro che lodare la pietà de’ detti Nobili Signori…”.L’Oratorio fu dotato dal Conte Remon-dini di una rendita annua di dieci ducati e il 7 gennaio il Vescovo concedeva il privilegio di renderlo pubblico e incari-cava il Parroco di Tezze di benedirlo so-lennemente. Le intenzioni del Conte sa-rebbero state quelle di intitolarlo a San Martino, e così lo nomina Don Antonio Santacatterina, ma in effetti nel decreto vescovile e nelle visite pastorali non si accenna ad un Santo titolare.Attualmente l’Oratorio viene utilizza-to una volta all’anno, per celebrarvi la Messa durante le Rogazioni.

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APPENDICE 1A sinistra:interno dell’Oratoriodi San Martino presso Villa Kofler(foto di Cesare Gerolimetto).In basso:cortile di Villa Kofler.(foto di Cesare Gerolimetto).

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L’Oratorio (ora demolito) di San FrancescoProprio al centro del Paese, come ri-corderà chi ha una certa età, all’incro-cio tra la via principale e l’attuale via Michela, si trovava l’Oratorio più an-tico di Santa Croce, risalente al quat-tordicesimo secolo, detto di San Fran-cesco. Faceva parte del Convento dei Francescani ed era un piccolo gioiello. Non ho trovato su di esso documenti, se non i soliti accenni dell’avvenuto sopralluogo dei Cancellieri Vescovili durante le visite pastorali e un diplo-ma del Vescovo di Vicenza Mons. Fari-na, datato 10 giugno 1865, nel quale si dichiara che è stato visitato “secon-do il Ceremoniale prescritto dai Sacri Canoni l’Oratorio pubblico intitolato all’Immacolata Concezione di Ma-ria Santissima” e che è stata trovata “ogni cosa in ordine ed esattezza, per cui abbiamo decretato e decretiamo che venga rilasciato dalla nostra Cu-ria il presente Decreto di piena sod-disfazione al Sig. Paolo Bertoncello proprietario del suddetto Oratorio…”.Dal punto di vista della ricchezza storica di Santa Croce, fu una vera e propria disgrazia la distruzione del-l’Oratorio per consentire nei primi anni Sessanta l’allargamento e l’asfal-

tatura della strada. Senz’altro, se ci fosse stata una maggiore sensibilità, si sarebbero potute trovare altre so-luzioni. Meraviglia che allora gli Enti preposti abbiano dato il permesso alla demolizione, anche se in quegli anni, in nome del progresso, scomparvero o furono compromesse un po’ dapper-tutto molte importanti testimonianze antiche.

In basso: l’unica foto esistente del trecentesco Oratorio detto di San Francescoche sorgeva nell’angolo nord-est del Convento

(dove ora sono le tre aiole davanti al bar)e demolito negli anni Sessanta.

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L’Oratorio (ora demolito) di San Bellino in Via Volto La riscoperta della devozione al Santo e la costruzione di un nuovo capitelloNella parte ovest del vecchio palazzo dei Bigolini, demolito negli anni Sessanta, si trovava l’Oratorio di San Bellino.Si dice che la devozione al Santo ab-bia avuto origine dal suo passaggio per Santa Croce, forse per visitare il Monastero di Santa Lucia di Brenta, allora famoso, quando egli si recò a Fontaniva per far da garante al trat-tato di pace firmato nel 1147 tra Pa-dovani, Veronesi, Vicentini e Trevisani. In effetti la venerazione per San Belli-

no, proclamato più tardi compatrono della parrocchia, ha radici molto pro-fonde a Santa Croce. Già nella richie-sta al Doge di separazione da Tezze si parla dell’ esistenza di una sua antica reliquia (v. cap. 9). Sul soffitto della chiesa parrocchiale, come si è detto, un dipinto ne raffigura il martirio e a San Bellino è dedicata la campana più piccola. A Lui, nella seconda metà degli anni Settanta, è stata intitolata anche una via.Ma vediamo chi era San Bellino, se-condo quanto scrive il canonico G. A. Scalabrini286.Nato nel 1090 da famiglia tedesca nella Sassonia inferiore sulle sponde

Gli Oratori a Santa Croce

APPENDICE 1In basso:sullo sfondo di questa foto degli anni Cinquanta si può vedere l’ingresso dell’antico Oratorio di San Bellino(è la porta sovrastata da una decorazione triangolare)che esisteva all’interno della porzione del palazzo dei Bigolinidemolita negli anni Sessanta.

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del Baltico, per le sue virtù fu nominato vescovo già nella sua terra. Nel 1144 si recò a Roma, mentre a Padova il cle-ro non sapeva accordarsi sull’elezione del successore del vescovo Sinibaldo. Il Papa allora non permise più che Bellino ritornasse in Germania, ma lo nominò Vescovo di Padova. Qui egli promos-se la carità fra i sacerdoti, perfezionò l’organizzazione delle parrocchie, favorì l’emancipazione dei “servi della gleba”, collaborò per l’affermazione delle liber-tà comunali. Ma ebbe a patire anche molte sofferenze e si creò molti nemici, volendo recuperare, a favore dei poveri, molti beni della Chiesa padovana usur-pati dagli arroganti signorotti locali, in particolare i Capovacca, che lo denun-ciarono al Papa.Bellino vinse la causa e ciò rese più rabbiosi i suoi nemici, che si determi-narono ad assassinarlo. Infatti, dopo essere stato a Fontaniva quale garante, insieme agli altri Vescovi del Veneto, della pace firmata il 28 marzo 1147, alla fine dello stesso anno, mentre si trovava presso Fratta Polesine in viag-gio per Roma, il Vescovo Bellino fu as-salito dai sicari dei Capovacca, che gli aizzarono contro i loro cani mastini e, fattolo cadere da cavallo, lo trucidaro-no. Gli abitanti di Fratta, udito quanto

era accaduto, trasportarono con tutti gli onori il corpo e lo sepellirono col-locandolo in un’urna di marmo nella chiesa di San Giacomo. Cominciarono ad affluire i pellegrini alla sua tomba e molti furono i miracoli ottenuti per sua intercessione, tanto che il Papa Eugenio III lo proclamò Santo.Attorno al 1171 vi fu una grande inon-dazione del Po, che distrusse anche la chiesa di San Giacomo e la sepoltura di SanBellino restò insabbiata, così che se ne perse memoria. Si intraprese poi la bonifica di quelle terre e fu un certo Giovanni dalla Fratta a ritrovare, mentre arava il suo campo nel 1288, l’arca del Santo Vescovo. Egli voleva portarla ovviamente a Fratta, ma per quanti sforzi facesse utilizzando anche la forza di molti buoi, non gli riuscì di smuoverla di un centimetro. Alla fine ebbe l’ispirazione di far trascinare l’arca da due giovani giovenche e queste, senza alcuna dif-ficoltà, si diressero verso l’antica pieve di San Martino di Variano e, arrivate davanti alla porta della chiesa, si fer-marono nè fu più possibile farle muo-vere. Il contadino che le seguiva piantò allora a terra la frusta fatta con legno di pero e subito questa mise radici e germogliò con foglie trasformandosi

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in un fioritissimo albero di pero. Fu chiaro allora a tutti che nella Chiesa di San Martino doveva trovare riposo il corpo del Santo. Da allora San Marti-no in Variano fu denominato San Bel-lino, e così si chiama ancor oggi.San Bellino riprese a far miracoli, gua-rendo soprattutto chi era affetto dal mal di rabbia per il morso di un cane, quasi a voler dimostrare che Lui, as-salito e gettato a terra dai mastini dei suoi nemici, era divenuto rimedio e salute contro questo terribile male; anzi, la chiave arroventata della porta della sua chiesa aveva la stessa virtù di preservare gli animali dalla rabbia e la comunicava ad altre simili chiavi. Ecco perchè San Bellino viene sempre raffi-gurato con un cane ai piedi e le chiavi appese al pastorale.Legata a questa tradizione è anche un’usanza tramandata oralmente da-gli anziani di Santa Croce, secondo i quali per capire se un cane era malato di rabbia, bastava farlo passare davanti all’Oratorio di San Bellino: se l’anima-le passava tranquillamente significava che esso era sano, altrimenti voleva dire che era infetto per la rabbia.A Santa Croce la devozione al Santo Vescovo di Padova continuò ad essere tenuta viva dai Parroci fino alla scom-

parsa di Don Domenico Valente, poi fu lasciata cadere.L’idea di recuperare la tradizione in onore di San Bellino non poteva veni-re che a due “anziani” particolarmente sensibili alla memoria storica di Santa Croce Bigolina: Isidoro Basso e Dino Campagnolo. Su iniziativa della Pro Loco, fra i cui compiti principali c’è proprio quello di rivalutare le tradizio-ni e la storia di Santa Croce, si è crea-to un angolo che potesse accogliere l’immagine del Santo, proprio in Via Volto, a pochi metri dal luogo dove sorgeva l’antico Oratorio.Il piccolo spazio disponibile è stato si-stemato con piante ed aiole, la vecchia fontana è stata abbellita. Al centro è stato piantato un albero adulto di “oppio” (acero campestre), donato da Giovanni Prandin, i cui rami sono stati opportunamente intrecciati a forma di nicchia, nella quale è stato posto uno splendido tempietto in rovere, lavo-rato dall’abile artigiano Ottorino Biz-zotto. In esso è stata collocata un’ar-tistica statua in ceramica del Santo, opera del prof. Domenico Polloniato di Nove, che si è ispirato per la raffi-gurazione alla pala d’altare posta nella Chiesa di San Bellino.Si è voluto così riprendere anche l’an-

APPENDICE 1

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tichissima tradizione dell’albero sacro, tipica della nostra campagna, risalente a tempi immemorabili e “cristianiz-zata” poi dalla Chiesa. Non dimenti-chiamo che, durante le rogazioni, le croci di legno da spargere sui campi e sui tetti delle case venivano benedette proprio sotto un albero che sosteneva un’immagine sacra287.Per saperne di più su San Bellino, erano stati intanto presi contatti con l’omo-nima Parrocchia, in provincia di Rovigo, dove, come si è detto, è sepolto il San-to. Il Parroco, Don Bruno Segala, donò cortesemente alla Parrocchia di Santa Croce una reliquia del Santo Vescovo, che è anche l’unica ora esistente, con-tenente un frammento delle ossa.Con una solenne celebrazione, officia-ta dal Parroco Don Antonio Schiavo e dal suo predecessore Don Giantonio Cogo, a cui ha partecipato numero-sissima la Comunità, alla presenza di una delegazione dei Comuni di San Bellino e di Cittadella e di Mons. Mar-cello Rossi, già Arciprete di Fontaniva, domenica 13 settembre 1998 è stato benedetto il capitello al Santo com-patrono di Santa Croce. Ora c’è da au-gurarsi che San Bellino, la cui festa ri-corre il 26 novembre, non torni ancora una volta ad essere dimenticato.

Sotto: l’albero sacro eretto nel 1992dalla Pro Loco di Santa Croce

per ripristinare il culto di San Bellino.In basso: il dipinto esistente

sul soffitto della Chiesa di Santa Croceche ricorda il martirio del Santo.

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APPENDICE 1

NOTE ALL’ APPENDICE I

281. La documentazione relativa agli Oratori di Ca’ Micheli e di Villa Kofler è conservata negli Archivi della Curia di Vicenza.

282. Ercole Rinaldo III d’Este perse il ducato nel 1796, allorchè anche Modena entrò a far parte della repubblica cispadana creata da Napoleone.

283. D. M. Rossi, op. cit., p. 406-409.

284. I Tron appartenevano alle “case nuove” e potevano vantare una nobiltà meno antica dei patrizi delle “case vecchie”; ciò non toglie che essi avessero un grande potere a Venezia (Niccolò Tron fu doge dal 1471

al 1473) ed estesi possedimenti sulla terraferma. Da loro prende nome la roggia “Trona” che passa sotto la villa.

285. Nel cimitero di Santa Croce fu sepolta Laura Bellavitis, morta il 4 maggio 1849, vedova del Conte Antonio Remondini. La ricorda tuttora una lapide murata nel pilastro destro d’ingresso al Cimitero.

286. G. A. Scalabrini, Notizia degli uomini e donne illustri per santità e azioni cristiane che per origine o permanenza hanno illustrato la città e stato di Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara,

in: “San Bellino La storia ritrovata”, Biblioteca Comunale Comune di S. Bellino, 1991.

287. Per un approfondimento su questo argomento, si veda G. Franceschetto, “Immagini del sacro e capitelli nell’Alta

Padovana, in Cittadella, Saggi storici”, cit., pag. 173 - 206. Alberi sacri sorgevano una volta numerosi anche a Santa Croce. Ora ne resta uno, dedicato al Sacro Cuore, in Via Santa Lucia ed un altro in Via Ca’ Micheli.

Gli Oratori a Santa CroceSotto: il Prof. Domenico Polloniato con il figlioautori della splendida statua.In basso: Isidoro Basso e Dino Campagnologli instancabili fautori dell’iniziativadi recupero del culto al Santo,all’opera durante la costruzione del nuovo capitello di San Bellino.

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I Parroci di Santa Croce Bigolina Dall’anno All’anno1 Don Francesco De Pretto 1795 18062 Don Giuseppe Pettenoni 1808 18213 Don Andrea Compostella 1822 18434 Don Francesco Bonato 1844 18665 Don Girolamo Zannonanto 1867 18686 Don Angelo Costantini 1869 18967 Don Sante Vangelista 1896 19038 Don Antonio Santacatterina 1904 19279 Don Silvio Mozzato 1928 193410 Don Domenico Valente 1935 196211 Don Tarcisio Biasin 1962 197912 Don Luciano Giacomuzzi 1979 198613 Don Giantonio Cogo 1986 199714 Don Antonio Schiavo 1997

Gli Economi Spirituali di Santa Croce Bigolina1 Don Francesco De Pretto da settembre 1794 ad aprile 17952 Don Giuseppe Pettenoni da maggio 1806 a maggio 18083 Don Andrea Compostella da dicembre 1821 a settembre 18224 Don Gio. Batta Ongaro da aprile 1843 a settembre 18435 Don Gaetano Danieli da settembre 1843 a novembre 18436 Don Antonio Bonato da novembre 1843 a gennaio 18437 Don Giovanni Pasinato da giugno 1866

e da febbraio 1896a settembre 1869ad agosto 1896

8 Don Sebastiano Centofante da novembre 1903da gennaio 1927

dal 15 agosto 1934

ad ottobre 1904 ad ottobre 1928

al 20 gennaio 19359 Don Davide Disconzi dal febbraio 1962 al giugno 1962

I Cappellani Dall’anno All’anno1 Don Giovanni Battista Crestani 1798 18032 Don Giuseppe Pettenoni 1803 18083 Don Domenico Lago 1808 18214 Don Francesco Saccardo 1821 18275 Don Antonio Sambugari 1827 18316 Don Francesco Bonato 1831 18347 Don Giuseppe Gervasio 1834 18368 Don Giovanni Battista Ongaro 1836 18459 Don Cristiano Valente 1845 185110 Don Luigi Lionello 1851 185411 Don Francesco Novelletto 1854 186612 Don Sante Vangelista 1866 189613 Don Sebastiano Centofante 1896 194814 Don Ottorino Fracasso 1948 195215 Don Florindo Ganassin 1952 195716 Don Giuseppe Cailotto dal gennaio 1959 al dicembre 195917 Don Davide Disconzi dal dicembre 1959 al giugno 1962

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Sacerdoti e religiosi originari di Santa Croce BigolinaDon Luigi Ferrari ordinato nel dicembre 1822, direttore delle Canossiane e cofondatore del Ricovero a Bassano; confessore della Beata Gaetana Sterni.

Don Sante Vangelista ordinato nel 1865

Padre Giovanni Bordignon (dei Minori Francescani) ordinato il 29 luglio 1941

Don Guerrino Fantinato (dei Canonici Lateranensi) ordinato il 29 luglio 1942

Don Antonio Sgarbossa (dei Canonici Lateranensi) ordinato sul letto di morte a Roma, dove si spense il 24 gennaio 1948

Padre Luciano Castellan (dei Servi di Maria) ordinato nel giugno del 1951

Padre Alfredo Spigarolo (dei Missionari Saveriani) ordinato il 13 ottobre 1963

Diacono Mario Sgarbossa (della Pia Società San Gaetano) ordinato il 22 gennaio 1972

Religiose originarie di Santa Croce BigolinaSuor Gonzaga Andriolo Suor Marcellina MarsanSuor Carla Barrichello Suor Domitilla MartinelloSuor Agata Boschetti Suor Giorgina MartinelloSuor Rachele Citton Suor AgostinaMerloSuor Anselma Fantinato Suor AnastasiaRebellatoSuor Emilia Fantinato Suor Fede RebellatoSuor Flavia Fantinato Suor Amalia SimioniSuor Giuseppa Fantinato Suor AntoninaSimonettoSuor Giustina Fantinato Suor Domenica TrentoSuor Ottavia Fantinato Suor Fiorina TrentoSuor Speranza Fantinato Suor Ramonda VangelistaSuor Maria Geremia Suor Erminia ZontaSuor Leonina Marsan

Elenco dei Parroci, degli Economi Spirituali, dei Cappellani, dei Sacerdoti, dei Religiosi e delle Religiose di Santa Croce Bigolina

APPENDICE 2

Page 18: La Leggenda Ritrovata (PARTE SECONDA)

LA LEGGENDA RITROVATA

310pag.

BRISTOL BEAUFIGHTERCacciabombardiere notturno

prodotto dalla britannica Bristol.Era lungo 12,70 metri

ed aveva un’apertura alare di 17,63 metri.Potenziato da due motori radiali da 1.794 CV ciascuno

portava due o tre uomini di equipaggio ed era armato con 4 cannoni da 20 mm

ed una mitragliatrice da 7,7 mm.Poteva trasportare due bombe da 119 kg.

ad una velocità massima di 488 kmh.

In basso:gli aeroplani utilizzati dai vari squadroni di “Pippo”

erano principalmente di quattro tipi,tutti cacciabombardieri notturni

bimotori pesantemente armati con capacità di bombardamento e attacco al suolo.

Erano quasi sempre dipinti di nero opaco, per risultare invisibili nel volo notturno.

DOUGLAS A-20 HAVOCCacciabombardiere notturno.

Prodotto in America dalla Douglas era lungo 14,63 metri

ed aveva un’apertura alare di 18,69 metri.Potenziato da due motori radiali da 1.621 CV ciascuno

portava tre uomini di equipaggio ed era armato con 4 cannoni da 20 mm

e due mitragliatrici da 12,7 mm sul muso più due o tre mitragliatrici dorsali.

Poteva trasportare fino a 1.815 kg. di bombead una velocità massima di 520 kmh.

DOUGLAS A-26 INVADERBombardiere notturno d’attacco.

Prodotto in America dalla Douglas era lungo 15,24 metri

ed aveva un’apertura alare di 21,35 metri.Potenziato da due motori radiali da 2.026 CV ciascuno

portava tre uomini di equipaggio e poteva avere fino a 16 mitragliatrici

da 12,7 mm sul muso più quattro mitragliatrici

nelle torrette dorsale e ventrale.Poteva trasportare fino a 2.715 kg. di bombe.

ad una velocità massima di 571 kmh.

DE HAVILLAND MOSQUITOBombardiere veloce d’attacco prodotto in Inghilterra

caratterizzato dall’essere costruito completamente in legno

Era lungo 12,45 metri ed aveva un’apertura alare di 16,51 metri.

Potenziato da due motori in linea Rolls-Royceda 1.656 CV ciascuno

portava due uomini di equipaggio ed era armato con 4 cannoni da 20 mm sul muso.

Poteva trasportare fino a 680 kg. di bombead una velocità massima di 612 kmh.

Page 19: La Leggenda Ritrovata (PARTE SECONDA)

311pag.

APPENDICE 3

Quando passava Pippo(di Giuliano Basso)

Fino a qualche anno fa anche a Santa Croce la seconda guerra mondiale era ancora oggetto dei racconti di quanti l’avevano vissuta in prima persona.Una figura immancabile nei raccon-ti che affascinavano noi bambini era quella di “Pippo” un misterioso ed invisibile aereo che, durante la notte, passava sui nostri paesi bombardando e mitragliando ogni luce che fosse ri-sultata visibile dall’alto.Quando “passava Pippo” tutte le misere luci in funzione nelle case di Santa Croce venivano spente, le tende tirate, le finestre sbarrate.Si narrava di qualcuno colpito dietro il pagliaio dove si era riparato per fu-marsi una sigaretta convinto di non essere visto... e poi di gente ferita e uccisa dalle “bombette a farfalla”, che “Pippo” seminava in quantità durante le sue scorribande notturne. Le “bom-bette”, infatti, raramente scoppiavano all’impatto col suolo: erano in effetti delle vere mine antiuomo che si ar-mavano durante la caduta e rimane-vano là a terra, pronte ad esplodere e ad uccidere non appena toccate, come avvenne allorchè un ingenuo soldato tedesco, dopo averne raccolte qualche decina le portò all’interno del salone di villa Kofler, sede del Comando Te-

desco, e dicendo ai presenti, tra cui alcuni civili di Santa Croce, “non avere paura, non fare niente” le gettò sul grande tavolo al centro della sala pro-vocando una vera carneficina.E poi ci fu chi, nell’intento di bonifi-care il proprio campo disseminato di questi minuscoli ma micidiali ordigni,rimase ferito ed a volte ucciso. La tecnica di bonifica, infatti, era al-quanto rudimentale: una volta accer-tato che a terra ci fossero le piccole bombe veniva scavata una buca in fondo al campo; poi una lunga corda stesa attraverso il campo e trascina-ta da due persone che camminavano ad una distanza che si presupponeva sicura lungo le due “piantae” (i filari di viti) raccoglieva i piccoli ordigni e li spingeva verso il fondo del campo: qualche bomba, durante l’operazio-ne, esplodeva ma la maggior parte veniva fatta cadere e sepolta nella profonda buca.Ma chi era, in realtà, il famoso “Pip-po”? Grazie alle ricerche del vicentino Giuseppe Versolato autore dell’inte-ressante volume “Bombardamenti Ae-rei Alleati nel Vicentino 1943-1945” siamo oggi in grado di identificare con precisione chi ci fosse dietro questo pseudonimo.

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LA LEGGENDA RITROVATA

312pag.

Nel periodo tra il 1943 ed il 1945 la 12a Forza Aerea americana dispone-va di diverse unità di “Pippo”: erano gli squadroni di caccia notturna 414°, 415°, 416° e 417°, in quel periodo ba-sati a Grosseto e poi a Pisa, che aveva-no in dotazione i bombardieri bimo-tori inglesi “Beaufighter”.C’era poi il 47° Gruppo da Bombarda-mento Leggero che utilizzava i bimo-tori americani “A-20 Havoc” e, alla fine del conflitto anche alcuni bimo-tori “A-26 Invader”.Anche l’aviazione inglese aveva i suoi “Pippo”, gli Squadroni 255°, 256°, 600° dotati dei velivoli, sempre bimo-tori, “Mosquito”.Tutti gli aerei impiegati erano dei cac-ciabombardieri, erano cioè in grado di bombardare e di mitragliare indif-ferentemente. Erano completamente dipinti di nero, per essere meno visi-bili di notte, ed essendo tutti bimotori erano caratterizzati dal tipico rumore vibrante originato dalla risonanza tra le due eliche, che tanto terrore incute-va nelle nostre famiglie.Sembra che il nome “Pippo” sia stato inventato e diffuso attraverso Radio Londra dagli stessi anglo-america-ni, nell’ambito di una vera e propria azione di guerra psicologica, avente

lo scopo di far credere alla popolazio-ne ed al nemico che i numerosi aerei in volo ogni notte sopra tutto il nord dell’italia fossero in realtà un unico, imprendibile, velocissimo e terribile cavaliere nero alato.Lo spirito gogliardico e sbruffone dei piloti, quasi tutti poco più che ven-tenni, aggiungeva spesso qualcosa alla leggenda di “Pippo”, come quando le nostre campagne furono trovate disse-minate di volantini, lanciati durante la notte, sui quali era scritto: “passa Re-nato perchè Pippo è ammalato”. In realtà la missione di queste unità aeree era definita “caccia libera not-turna”: numerosi “Pippo” venivano sguinzagliati ogni notte, senza un bersaglio predefinito, su tutto il nor-ditalia, dove erano ancora presenti le forze tedesche. Il territorio veniva diviso in aree di pattugliamento asse-gnate ad ogni singolo aereo che vola-va liberamente per cercare ed attacca-re qualsiasi cosa si muovesse o avesse delle luci accese al fine di impedire spostamenti di mezzi, truppe, convo-gli ferroviari che spesso si muovevano solo di notte, e ritardare o impedire le riparazioni notturne dei danni a ponti, ferrovie ed infrastrutture causati gior-nalmente dagli attacchi dei “P-47”,

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313pag.

i cosiddetti “picchiatelli”.Oltre a mitragliare gli obbiettivi ogni “Pippo” disponeva di un’arma di tipo “terroristico”: le famigerate “bombe a farfalla”.Erano ordigni di piccole dimensioni (circa 1.800 grammi) stivati in un con-tenitore (cluster) a forma di bomba che ne conteneva circa un centinaio.Una volta sganciato il cluster si apriva in due metà e faceva uscire le submu-nizioni contenute al suo interno. Gli ordigni in fase di caduta, grazie ad un semplice dispositivo a molla, aprivano il loro involucro cilindrico che, scorren-do lungo un’asta flessibile costituita da un cavetto rigido di acciaio, andava a collocarsi nella parte superiore del ca-vetto stesso. A questo punto i due “co-perchi” dell’involucro si disponevano come le pale di un’elica ed iniziavano a ruotare spinti dalla velocità di cadu-ta, stabilizzando così la bomba nella discesa; le parti laterali dell’involucro, disposte ad “ali di farfalla” come un piccolo paracadute rallentavano la ve-locità di caduta dell’ordigno.La rotazione indotta nell’asta dalla “farfalla” causava anche lo svitamento della stessa dal coperchio della spoletta che così si armava, scoppiando pochi secondi dopo l’impatto al suolo.

Un meccanismo ad orologeria poteva consentire l’armamento (e lo scoppio) anche parecchie ore dopo la caduta. Una sensibilissima spoletta antima-neggio, infine, causava l’esplosione al minimo spostamento della bomba.È comprensibile, quindi come un’area disseminata di tali ordigni (come pote-vano essere una stazione ferroviaria o un ponte bombardati), diventasse as-solutamente impossibile da riparare o da attraversare e come, di conseguenza, potessero venire ritardati i lavori di rico-struzione degli obiettivi attaccati.Qualche anno fa un nostro compaesa-no aveva rinvenuto nel Brenta alcuni strani e pesanti “pezzi di ferro” dalla forma cilindrica arrotondata; da ap-passionato giocatore di “cavapallino” aveva visto la possibilità, ripulendoli e lucidandoli, di ricavarne delle ottime bocce per questo gioco tipico dei no-stri bar di una volta. Le aveva raccolte e depositate sul se-dile posteriore della sua “Prinz” verde scuro e, per qualche giorno, se le era scarrozzate facendole vedere come un vero trofeo agli amici del bar.Fino a che, una domenica mattina, un anziano del paese di ritorno dalla “mes-sa seconda” dopo aver posata la bici al muro del bar “da Ceca” per entrare e

Quando passava Pippo(di Giuliano Basso)

APPENDICE 3

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LA LEGGENDA RITROVATA

314pag.

bere la solita “ombreta” non fu costret-to a passare tra il muro e la “Prinz” ad a sbirciare sul sedile dove facevano bella mostra i famosi trofei metallici.Non riuscì a bere l’ombreta ma la ve-locità con cui, dopo avere riconosciuto nei pezzi di ferro arruginiti le terribili “bombette di Pippo”, inforcò la bici ed imboccò Via Tre Case, fu degna del migliore Coppi.Fu così che il nostro campione di “cava-pallino” si vide costretto a disfarsi degli

ambìti ma pericolosi trofei, riportandoli in Brenta, dove li aveva trovati.La voce, però, era ormai circolata e chi scrive ebbe la possibilità di documen-tare con qualche foto l’attendibilità del racconto.Qualche giorno dopo, infatti, una unità di artificieri dell’Esercito prov-vedeva a far brillare le vecchie “bom-bette” facendo sentire ancora una volta a tutta Santa Croce la potente e tonante voce di “Pippo”.

In basso:una delle bombe a farfalla

rinvenute lungo il Brenta negli anni ‘90;è perfettamente riconoscibile, anche se

le alette della “farfalla” sono state parzialmente “mangiate” dalla ruggine.

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315pag.

Quando passava Pippo(di Giuliano Basso)

APPENDICE 3In basso:lo schema di lancio delle “bombe a farfalla”

dopo lo sgancio l’aereo si solleva leggermentementre il contenitore pieno di ordigniprecipita come una normale bomba

una volta lontano dall’aereoil contenitore si aprelasciando cadere le bombette contenute

durante la caduta le bombettecon le “ali” aperte si sparpagliano sul terreno investendo una zona molto ampia

l’involucro esterno di ogni bombettasi apre a petalo, formando una specie di paracaduteche risale lungo lo stelo

Il dispositivo delle “alette a farfalla”(a sinistra chiuso attorno alla bomba,a destra aperto)che, ruotando durante la caduta, provocava l’armamento della spoletta a tempo.Sopra: nel contenitore precipitato al suolo sono visibili le “bombette” parzialmente inesplose.

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LA LEGGENDA RITROVATA

316pag.

CONSOLIDATED B-24 LIBERATORCostruito negli Stati Uniti in 18.442 esemplari,

assieme al connazionale B-17 ed all’inglese Avro Lancaster

costituì la spina dorsale dei bombardamenti alleati. Era lungo 20,47 metri

ed aveva un’apertura alare di 33,53 metri.Potenziato da 4 motori radiali da 1.216 CV ciascuno

era armato con complessive10 mitragliatrici da 12,7 mm.distribuite nelle varie postazioni difensive.

Poteva trasportare fino a 4.000 kg. di bombead una velocità massima di 483 kmh.

In basso:i quattro tipi di aerei

impiegati principalmentedurante la seconda Guerra Mondiale

nei bombardamenti sui pontie sulle ferrovie del nostro territorio.

NORTH AMERICAN B-25 MITCHELLEccezionale bombardiere medio

con equipaggio di quattro uomini.Era lungo 15,54 metri

ed aveva un’apertura alare di 20,60 metri.Potenziato da due motori radiali

da 1.723 CV ciascunoera armato con 1 cannone da 16 mm sul musoe da complessive14 mitragliatrici da 12,7 mm.

distribuite nelle varie postazioni difensive.Poteva trasportare fino a 1.450 kg. di bombe

ad una velocità massima di 443 kmh.

REPUBLIC P-47 THUNDERBOLTChiamato “picchiatello” dalle nostre genti

era un cacciabombardiere monoposto pesanteprodotto negli Sati Uniti dalla Republic.

Era lungo 11 metri ed aveva un’apertura alare di 12,42 metri.

Il massiccio motore stellare sviluppava ben 2.568 CV .Era armato con 8 mitragliatrici alari da 12,7 mm.

Poteva trasportare fino a 1.135 kg. di bombead una velocità massima di 689 kmh.

LOCKHEED P-38 LIGHTNINGCacciabombardiere monoposto

prodotto in America dalla Lockheede caratterizzato dall’architettura a doppia coda.

Era lungo 11,52 metri ed aveva un’apertura alare di 15,85 metri.Potenziato da due motori turbocompressi

da 1.443 CV ciascunoera armato con 1 cannone da 20 mm.

e da quattro mitragliatrici da 12,7 mm.Poteva trasportare due bombe da 725 kg.

ad una velocità massima di 666 kmh.

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317pag.

APPENDICE 4

Bombe su Santa Croce(di Giuliano Basso)

Nel corso della Seconda Guerra Mon-diale Santa Croce non fu mai, fortu-natamente, teatro di azioni belliche.Gli enormi stormi costituiti da cen-tinaia di bombardieri quadrimotori B-17 e B-24 che partendo dalle basi nel meridione dell’Italia passavano per ore sopra il nostro paese diretti in Germania costituivano sopratutto una curiosità per i bambini che, per un pò, cercavano di contarli e poi, annoiati, passavano ad altri giochi.La presenza del Comando Tedesco nel complesso di Villa Kofler poteva costi-tuire un obiettivo piuttosto importan-te ma furono sopratutto i movimenti di veicoli legati a tale Comando che spesso attirarono dalle nostre parti le poco gradite “attenzioni” di “Pippo” di cui abbiamo narrato pocanzi.Verso la fine del conflitto nell’aprile 1945, però, con i Tedeschi in ritira-ta che attraversavano l’alta padovana diretti alla Valsugana ed al Brennero, le forze alleate avviarono una inten-sa campagna aerea avente lo scopo di tagliare le vie di comunicazione, ed impedire in ogni modo la ritirata delle truppe germaniche.Le missioni di bombardamento e mitra-gliamento erano generalmente affidate ai piloti brasiliani del “1° Squadron” ag-

gregato al 350° gruppo USAF con base a Pisa, equipaggiati con i possenti cac-cia P-47 Thunderbolt che la popolazio-ne chiamava “picchiatelli”.I P-47 erano in grado di trasportare due bombe da 500 libbre ed erano ar-mati con 8 mitragliatrici alari Brow-ning M-12 da 12,7 mm dotate di complessivi 3.400 colpi. Durante la seconda parte della guerra i “picchiatelli” erano divenuti una visio-ne consueta a Santa Croce dato che, nel corso dei quotidiani bombardamenti sul ponte ferroviario di Fontaniva, veniva-no ad iniziare la loro corsa di attacco proprio sopra il nostro paese. Come già detto, però, verso la seconda metà del-l’aprile 1945 cominciarono le azioni an-che contro zone a noi più vicine.Nel libro di Giuseppe Versolato, prece-dentemente citato, viene riportato, in-fatti, il rapporto di missione del quartier Generale del 304° wing (stormo) USAF dal quale si apprende che: “in data 24 aprile 1945 60 degli 84 aerei inviati in missione lanciarono 166 tonnella-te di bombe da 1.000 libbre del tipo RDX sul ponte stradale di Friola con un buon risultato”: poche scarne pa-role per descrivere un’azione che, riletta nei rapporti dei singoli equipaggi par-tecipanti, risulta invece decisamente più

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LA LEGGENDA RITROVATA

318pag.

caotica e complessa.Si trattò di una azione massiccia, mai vista prima di allora nelle nostre zone e condotta con l’impiego di un gran numero dei potenti quadrimotori americani B-24 Liberator. L’attacco al ponte della Friola, già bombardato in precedenza e rimpiaz-zato dai tedeschi con una passerella posta poco più a monte, venne por-tato in quattro tempi dai 42 grossi velivoli americani decollati fra le 8.10 e le 8.30 da San Giovanni Salentino in provincia di Foggia che, in fase di avvicinamento al bersaglio, si erano divisi in due gruppi d’attacco.Ognuno dei due gruppi era formato da 3 “box” o sezioni di 7 aerei ciascu-no (il “box” era una formazione stret-ta di 7 aerei disposti in modo che le mitragliatrici di ogni aereo petessero contribuire alla difesa di quelli vicini).I primi due “box” che attaccarono il ponte, a causa del malfunzionamento dell’apparato di puntamento del capo-squadriglia, sganciarono le 78 bombe da 1.000 libbre fuori bersaglio: quelle dei primi sette aerei finirono poco più a sud del ponte mentre quelle dei set-te aerei successivi finirono addirittura ad oltre un chilometro e mezzo di di-stanza in direzione sud (verso Santa

Croce). Erano le 12.09 del 24 aprile 1945. Forse furono queste le bombe che caddero, per errore, sui campi tra Santa Croce ed il Brenta? Lo vedremo più avanti.Il secondo gruppo di attacco ebbe maggior fortuna ed alle 12.23 colpì il ponte nella parte est con 74 bombe dello stesso tipo. Ma non era finita.Altri 42 bombardieri decollati da Stor-nara, sempre in provincia di Foggia, stavano arrivando: i primi 18 aeroplani attaccarono il ponte alle 12.28, sgan-ciando 100 bombe da 1.000 libbre e colpendo in pieno nuovamente il pon-te. L’unità successiva composta da 14 aerei sganciò alle 12.42 altre 80 bom-be su Friola ma gli ordigni finirono una parte a 1.500 piedi a nord del ponte e una parte a 2.500 piedi a nord-ovest. I rimanenti 10 aerei sbagliarono com-pletamente obiettivo e bombardarono una passerella sull’Astico poco a nord del ponte di Sarcedo.L’ora, le 12.09, e la data, il 25 aprile, sembrano coincidere con il racconto di alcuni testimoni che assistettero al bombardamento della campagna Ko-fler di Santa Croce Bigolina e sem-brano far supporre che il bombarda-mento di Santa Croce forse fu solo frutto dell’errore di un bombardiere

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319pag.

poco preciso.Altri testimoni, invece, raccontano di un attacco mirato alle strade che por-tavano al Brenta eseguito dai “pic-chiatelli”, aerei monomotori decisa-mente diversi, e difficili da confondere con i grandi quadrimotori B-24.Purtroppo gli elementi di cui siamo in possesso non ci consentono di stabi-lire con precisione l’esatta dinamica dell’accaduto.Possiamo solo fare alcune considera-zioni puramente teoriche.Grazie ai ricordi di Isidoro Basso che ha lavorato in quegli anni al riempimento dei crateri delle bombe, abbiamo po-tuto individuare su una foto aerea di Santa Croce, risalente al 1955, i punti di impatto degli ordigni (abbiamo scel-to una foto piuttosto vecchia perchè in quegli anni lo stato dei luoghi era rimasto sostanzialmente invariato dal dopoguerra). Guardando lo schema ot-tenuto risulta, in effetti, difficile pensa-re che un attacco portato da bombar-dieri in picchiata, generalmente molto precisi, possa aver dato origine ad una dipersione così ampia degli ordigni.Per contro. nel corso delle escavazioni condotte nella Cava San Paolo negli anni Novanta veniva rinvenuta una bomba d’aereo inesplosa, quasi cer-

tamente una di quelle cadute in quel giorno. Chi scrive ha avuto modo di vedere e fotografare la bomba, chia-ramente identificabile come “bomba di tipo GP da 500 libbre”, il tipo di bomba che normalmente imbarcavano i “picchiatelli”.Resta quindi ancora un’ombra di mi-stero su questo bombardamento che, fortunatamente, a parte una pioggia di schegge roventi caduta sul centro del paese insieme a qualche albero strap-pato dal Brenta e depositato perfetta-mente in piedi vicino al Patronato, ha lasciato come ricordo solo due profon-de buche rotonde nella porzione di bo-sco gestita dalla Pro Santa Croce.Riteniamo interessante un’ultimo ac-cenno al rapporto di missione riferito al 29 aprile 1945, riportato sempre nel libro di Versolato, che dice: “un altro “flight” (squadriglia) di 4 P-47 bra-siliani attaccò una colonna di circa un centinaio di soldati che stavano attraversando il fiume Brenta poco a nord di Friola, uccidendone diver-si, un secondo gruppo di 4 P-47 del 347° Squadron mitragliò, sempre nei pressi di Friola, una colonna motoriz-zata tedesca che stava attraversando il Brenta distruggendo 3 camionette, 1 mezzo semicingolato, 6 autocarri,

Bombe su Santa Croce(di Giuliano Basso)

APPENDICE 4

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LA LEGGENDA RITROVATA

320pag.

2 mezzi trasporto truppa a 6 ruote, un carro armato e una carretta. Altre due carrette, 6 camion, un car-ro armato pesante e un mezzo tra-sporto truppa furono danneggiati. Alcuni soldati uccisi (in realtà furono colpiti anche dei civili). Uccisi anche alcuni cavalli da tiro. L’azione ebbe luogo alla 12.30. Nel corso dell’azio-ne furono sparati 11.760 colpi di mi-tragliatrice calibro 12,7 mm.”.Era il 29 aprile 1945.La guerra era finita da cinque giorni.

In basso: la bomba inesplosa rinvenuta negli anni ‘90

durante l’escavazionedella Cava San Paolo

a Santa Croce Bigolina.

A destra: i crateri scavati dalle bombe cadute a Santa Croce

nella ricostruzione effettuata sulla base dei ricordi di Isidoro Basso.I due contrassegni neri si riferiscono

ai crateri tuttora esistenti.

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VOLTO

VIA DEL BRENTA

VIA BASSE DEL BRENTA

CHIESA

CASE SIMIONI

FORNACE

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LA LEGGENDA RITROVATA

322pag.

FIUME BRENTA

FONTANIVAPONTE DI FONTANIVA

S. CROCE

TEZZE

CARTIGLIANO

NOVE

STROPPARI

CASONI

BATTISTEIV. KOFLER

29 marzo 1945: i B-25J del 310° Gruppo Bombardieri Medi USAAF

hanno sganciato da pochi secondi il loro carico di bombe

sul ponte di Carturo.Sullo sfondo si vede chiaramente

il corso del Brentache si snoda dalla Valsugana

attraverso il territorio di Cittadella e Fontaniva.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

323pag.

VIA POSTUMIA

CITTADELLA

LAGHI

BASSANO

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LA LEGGENDA RITROVATA

324pag.pag.

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325pag.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Cartoline dal passatoLe immagini di questa pagina mostrano la casa colonica ricavata dai Kofl ernel complesso edilizio di Via Volto,antica dimora dei Bigolini.Le foto risalgono ai primi anni Settantae mostrano il fabbricato prima degli interventi di sistemazioneche lo hanno trasformatoin abitazione privata.

Nelle successive sei pagine:alcune delle cartoline ricordo di Santa Croce(rigorosamente stampate su carta fotografi ca)edite dalla cartoleria Toniolotra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta.Sono immagini ingenue che ci consentono oggidi riscoprire un mondo ormai scomparsoe l’identità povera ma dignitosa del nostro paese.Nella terza cartolina, in particolare,si possono rivedere le armoniose ed eleganti proporzioni della vecchia piazza di fronte alla chiesa.

pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

326pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

327pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

328pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

329pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

330pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

331pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

332pag.

Le ricorrenze importanti erano anche le uniche occasioni

in cui ci si poteva permettere il lusso di qualche fotografia, ed è grazie a queste foto

se oggi possiamo rivedere Santa Croce com’era allora.Questo corteo nuziale risale ai primi anni Sessanta

e si snoda lungo il viale alberato che divideva via Chiesa dalla roggia Michela; a nord della strada, ancora in terra battuta,

ci sono solo campimentre a sud un’alta mura di sassi

racchiude l’area del convento, già proprietà Dal Sasso.

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333pag.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Cartoline dal passatoL’unica casa, in primo piano a destra,è quella di Virginio, il sarto di Santa Croce.Alcune persone si affacciano lungo la stradanella speranza che dalle macchine degli invitativengano lanciati in strada i tradizionali confetti, come si usava in quegli anni.Vicino al ponte sulla Michela si può notare il “laveo”l’attrezzo in legno usato dalle donneper inginocchiarsi lungo la roggia a lavare i panni.Alcuni carretti ed attrezzi agricolisono parcheggiati vicino al fabbricato dei Dal Sassodove aveva la propria officina un fabbro.

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LA LEGGENDA RITROVATA

334pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

335pag.

Siamo ormai nei mitici anni Sessanta, in pieno “boom” economico.A Santa Croce arriva la “strada asfalto” che travolge e distrugge, assieme al viale alberato,alla roggia Michela e alla mura del Conventoanche l’Oratorio di San Francesco.Appaiono i primi lampionie cominciano ad essere costruitele prime case lungo via Chiesa(oggi Via Santa Croce).Il Bar, vero centro di vita sociale del paese,abbandona la vecchia sede, ormai inadeguata,e si sposta in un nuovo anonimo fabbricatocostruito a pochi metri.

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LA LEGGENDA RITROVATA

336pag.

Questa cartolina dei primi del Novecento fa parte di una serie

di tre cartoline del paesevolute e commissionate

da Don Domenico Valenteal fotografo Restelli di Cologna Veneta.

L’immagine, fortemente sgranata in quanto realizzata

con la tecnica litografica dell’epoca,mostra la “via principale”,

il tratto di strada che, partendo dall’angolo nord-est del Convento

e dopo aver attraversato il ponticello sulla Michela,si dirigeva verso via Roverate e via Tre case.

Lungo questo tratto non esistevano costruzioni.Gi unici edifici visibili sul fondo sono,

a partire da destra,la casa di Don Sebastiano Centofante,

il palazzo della famiglia Chemine la chiesetta della “Regina Pacis”

costruita da Don Antonio Santacatterina.In primo piano, a destra,

il fabbricato della “Casona”uno dei più vecchi nuclei edificati del paese

in cui si trovava già il bar, come si può desumeredall’insegna dipinta sulla facciata.

Al centro il ponticello in mattoni che scavalcava la roggia Michela.

Sulla sinistra, dietro gli alberi in primo pianovi era un campo da bocce

gestito dai proprietari del bar.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

337pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

338pag.

Ancora una vista della via Centrorisalente, però, agli anni Sessanta.

L’edificazione ha ormai creato due fronti continui ai lati della strada.Il bar è diventato “l’Osteria al Centro”

(meglio conosciuta come “bar da Mao”) e, all’ombra della sua tenda, alcuni giovani avventori,

sotto lo sguardo dissenziente di un anziano,stanno probabilmente tramando l’ennesimo scherzoai danni del “sior Ettore”, il severo barista di allora.

Un motorino “Giulietta”, antesignano degli attuali scooters,

fa bella mostra di sé davanti al portico che conduce nel cortile della “Casona”.

Sono apparse le prime insegne pubblicitarie.ed il tipico disco giallo

segnala l’esistenza del primo “posto telefonico pubblico”

a Santa Croce Bigolina.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

339pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

340pag.

È sempre la via Centro in una foto scattata lo stesso giorno

di quella della pagina precedente.Vi si vede, tra l’altro,

affacciata al cancello e con il suo cappello di paglia,

la mitica “Nea”che molti ricorderanno

per i suo caratteristico chioscodi frutta e dolciumi.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

341pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

342pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

343pag.

I “sette pini” secolari che si ergevano maestosidietro all’Oratorio di San Francescosopravvissero alla sua demolizionefino ai tardi anni Settanta, quandola vecchiaia ed i fulmini li abbatterono definitivamente.Ancora una volta una cartolinadella cartoleria Toniolo, pubblicata nel 1968,ci consegna una Santa Croce ormai scomparsain cui vediamo le due ampie curve a senso unico che raccordavano via Chiesa con via Michelacircoscrivendo la collinetta su cui svettavano le sette vetuste conifere.

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LA LEGGENDA RITROVATA

344pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

345pag.

Ancora una veduta di via Centro(oggi via Michela) negli anni Sessanta.In primo piano il Panificiocon il tipico portabicicletteche sopravvive anche ai giorni nostri.Lungo la strada si allineanoi lampioni dell’illuminazione pubblicada poco installati.

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LA LEGGENDA RITROVATA

346pag.

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Cartoline dal passato

APPENDICE ICONOGRAFICAA sinistra: le aule della Dottrina Cristiana, costruite nel 1954 da Don Domenico Valentea ridosso del vecchio asilo Parrocchiale.Nel cortile che si era così venuto a creareera stato realizzato un cinema all’aperto(del quale si vede lo schermo dipinto sul fabbricato a sinistra)dove al sabato ed alla domenica sera,con un proiettore “16 mm” acquistato dal Parroco,venivano proiettati grandiosi film mitologicicome “I Dieci Comandamenti” oppure “Quo Vadis”oltre alle coloratissime e popolari avventuredei vari “Maciste”, “Ercole” ed “Ursus”.

In basso: una numerosissima scolaresca tutta femminilerisalente alla prima metà del Novecento, posa di fronte all’Asilo Parrocchialeassieme ad un giovane Don Domenico Valenteed alle insegnanti della scuola.

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LA LEGGENDA RITROVATA

348pag.

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349pag.

Cartoline dal passato

APPENDICE ICONOGRAFICAAncora una scolaresca risalente agli anni tra le due guerre.

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LA LEGGENDA RITROVATA

350pag.

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351pag.

In quegli anni la Scuola Maternanon aveva il problemadella scarsità di iscrizioni...

Cartoline dal passato

APPENDICE ICONOGRAFICA

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LA LEGGENDA RITROVATA

352pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

353pag.

Il nuovo Asilo Parrocchialerealizzato durante gli anni 1955-1956 da Don Domenico Valentecon il contributo della famiglia Chemina fianco del palazzo abitato dagli stessi Chemin.I bambini nel cortile sono quelli delle classi 1954, 1955 e 1956.

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LA LEGGENDA RITROVATA

354pag.

Ancora la foto di un corteo nuzialeci consente di gettare uno sguardo

nel passato di Santa Croce.Sullo sfondo, a sinistra,

la casa costruita da Don Sebastiano Centofantecon l’esterno elegantemente decorato.

A destra, il palazzo dei Chemin e l’annessa casa colonica

che sarà successivamente trasformatanell’attuale Scuola Materna.

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355pag.

Cartoline dal passato

APPENDICE ICONOGRAFICA

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LA LEGGENDA RITROVATA

356pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

357pag.

Un’altra cerimonia, questa volta un funerale,per ritornare ai tempi in cui via Tre Case non era ancora asfaltata.Il corteo funebre segue la disposizione tradizionale di quegli anni, con gli uomini del paese, alcuni avvolti nel tradizionale “tabarro”, allineati davanti su due lunghe file ai lati della stradae donne e bambini raggruppati dietro.

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LA LEGGENDA RITROVATA

358pag.

In alto: gruppo familiare dei primi del Novecento.In basso: i numerosi abitanti del “Volto”

si affollano attorno al gelataio,l’uomo con il camice e con la tromba in mano

in piedi al centro della foto.Tutti hanno in mano un recipiente pieno di latte

che il gelataio accettava come moneta,a volte assieme anche a uova,

in cambio del gelato.

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359pag.

Altre due foto che illustrano gruppi familiari di Santa Croce.Degni di nota le acconciature ed i vestiti che denotanolo stato sociale delle persone ritratte.In quegli anni i nuclei famigliari (gavassi)erano notevolmente consistentie abbracciavano diverse generazioni.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Cartoline dal passato

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LA LEGGENDA RITROVATA

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361pag.

Le “brentane”, così sono chiamate le piene del Brenta,hanno sempre influito profondamentenell’evoluzione del territorio delle “basse”.Le due foto a sinistra mostrano l’alluvione del 1959.In quell’anno il fiume distrusse le terre coltivateche la famiglia Fantin lavoravaall’interno del suo alveo.La foto in basso mostra alcune delle pecore che i Fantin possedevano e che venivano fatte pascolare nel Brenta sotto la custodia di piccoli pastori.In tutte queste foto si può notarecome in quell’epoca il letto del fiumesi trovasse alla stessa quota della campagna circostante, ben più in alto, quindi, di quello attuale.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Cartoline dal passato

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LA LEGGENDA RITROVATA

362pag.

Foto aerea di Santa Croce ripresa nel1935.Gli unici edifici visibili, oltre al complesso della chiesa,

sono l’attuale macelleria, la casa Mazzochin, vicino al Cimitero,la casa di Don Sebastiano Centofante

ed il palazzo dei Chemin.

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363pag.

La stessa zona ripresa nell’anno 2004.L’edificazione si è notevolmente sviluppataed è mutata in maniera rilevante l’intera fisionomia del paese.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Ieri e oggi

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LA LEGGENDA RITROVATA

364pag.

In basso:mappa del Catasto Austriaco

(anno 1831). I fabbricati esistenti

evidenziati in neronon raggiungono le cinquanta unità,

a fronte di una popolazione di oltre mille abitanti.

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365pag.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Ieri e oggiIn basso: Carta Tecnica Regionale.Rilievo aerofotogrammetricodel territorio, realizzato dall’Ufficio Cartografico della Regione Venetonell’anno 1974.A Santa Croce le case si sono notevolmente moltiplicatementre la popolazione raggiunge a fatica le mille unità.Il confronto con la mappa austriacaconsente di individuare gli edificipiù vecchi del paese.

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LA LEGGENDA RITROVATA

366pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

367pag.

In questa vista aerea del paese,ripresa da sud, risulta evidente,in primo piano, il complessodi Villa Michiel (Ca’ Micheli)dal tipico impianto caratterizzatoda corpo centrale e barchesse laterali

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LA LEGGENDA RITROVATA

368pag.

Fotografia aerea di Santa Croce risalente al 1955.Il territorio agricolo è ancora caratterizzato dalla

suddivisione in campi delimitati da filari di vigne (le piantae).

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369pag.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Ieri e oggi

Lo stesso territorio in una foto aerea del 1979.I filari e le alberature hanno lasciato il posto alle coltivazioni a mais.Sul Brenta risultano evidenti i segni delle escavazioni selvagge.

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LA LEGGENDA RITROVATA

370pag.

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371pag.

APPENDICE ICONOGRAFICA

Ieri e oggi

Antica mappa settecentesca che illustra il sistema di roggederivate dal Brenta a valle di Bassano del Grappa.Vi si possono contare ben 6 molini, 2 seghe, un folo e 2 filarogi, tutti azionati dall’acqua.In basso a destra la roggia Michela,dopo aver aggirato il Convento, va ad azionare il molino e la sega di Santa Croce Bigolina.

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LA LEGGENDA RITROVATA

372pag.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

373pag.

A sinistra: mappa del 1769 conservata presso l’Archivio di Stato di Veneziache mostra il complesso del Convento Francescano.Sotto: mappa del Comune di Santa Crocerisalente al periodo Napoleonico(Archivio di Stato di Padova).Nei riquadri ingranditi si legge ancora la denominazione di “Santa Lucia Vecchia” esi può intravedere il portico che univa le due parti del palazzo dei Bigolini.

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LA LEGGENDA RITROVATA

374pag.

Cartolina dei primi del secolo acquerellata a manoche mostra le Scuole Elementarie la Trattoria Fantin.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

375pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

376pag.

C irca 3300 anni fa in Veneto abi-tavano poche migliaia di persone:

gli Euganei sulle colline e i Reti sulle montagne. In quel periodo le civiltà Cretesi e Mesopotamiche, in piena età del bronzo, attraversavano un periodo di grande declino.Forse proprio da quei luoghi partì la migrazione dei “Veneti”.I primi stanziamenti furono all’imboc-co delle valli, collegate da una “pista” lungo tutta la pedemontana. Poi lungo i fiumi come l’Adige (Este) e il Brenta (Padova e Altichiero), dove in prossimi-tà delle anse erano realizzate facili ope-re di difesa, e nei “villaggi arginati” tra i boschi di querce della pianura. Subito sopra la fascia delle risorgive, sorsero quelli di Cittadella e di Campa-gnalta ancora visibile si può vedere in località “le motte” tra San Martino di Lupari e Castello di Godego.A San Pietro in Gù è osservabile, in lo-calità Castellaro, una struttura analoga ma più piccola, una “terramare”; la sua datazione è incerta. Il villaggio era costituito da un fossato esterno, da un argine con sopra un’alta e fitta palizza-ta e un campo interno.Generalmente le capanne erano su palafitte con la parte esterna in le-gno e paglia.

I “Veneti”, ricordati anche da Omero, erano bravi artigiani e si dedicavano più alla pastorizia che all’agricoltura erano esperti allevatori di cavalli venduti an-che ai Greci per le gare olimpiche.Nel Brenta di Carmignano è stata trovata un’ascia in bronzo (l’unico utensile del tempo che permetteva la lavorazione del legno), a Grantorto un’urna funeraria.Sui bordi di un antico ramo del fiume, vicino alla zona umida di Bolzonella, sono state trovate punte di frecce e ra-schiatoi in selce.Potrebbe trattarsi del più antico luogo abitato della zona. Qui il Brenta doveva essere navigabile e si potevano raggiungere Padova o Alti-chiero con piroghe di tronchi scavati.Da Padova partiva il sentiero della lana che attraversava la nostra zona.

Villaggio fortificato circondato da palizzate costruito frequentemente in zone palustri e rese inaccessibile dalle acque.

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377pag.

Euganei, Reti e Veneti

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

378pag.

A nord del ponte di Friola sono pre-senti blocchi di conglomerato natu-

rale (puddinghe) molto duri e di dimen-sioni notevoli.Affioramenti di questo materiale, di cui non si conosce ancora la genesi, sono visibili sul ramo, mezzo chilometro a nord del ponte.Queste strutture, in questa epoca, pote-vano costituire lo spartiacque che divi-deva il fiume in due come vuole la tradi-zione: il Medoacus Maior per San Pietro in Gu ed il Minor lungo il corso attuale.Forse seguendo vecchie piste di quelli che noi chiamiamo Paleoveneti, i Ro-mani costruirono la via Postumia, che portava ad Aquileia, loro colonia dal 180 a.C. Era una strada militare e per mille anni fu percorsa da molti eserciti. Era l’asse di riferimento per la “centu-riazione” delle nostre campagne: l’agro Cittadella-Bassano che dipendeva dal municipium di Padova. Strade e canali di scolo dividevano il territorio in appez-zamenti quadrati di 710 m di lato (cen-turia), ulteriori suddivisioni portavano al lotto da assegnare in premio ai veterani alla fine delle campagne militari. Tutto il territorio fu centuriato e segni evidenti ne sono rimasti a Cittadella e a Fonta-niva; meno a Grantorto che appartene-va ad un’altra centuriazione. Incerte le

tracce di Carmignano e Pozzoleone. Co-loni provenienti da vari territori e culture si stabilirono nella zona, disboscandola prima e costruendo poi un numero in-credibile di canali e strade che modifica-rono drasticamente il paesaggio.La centuriazione si è conservata nel Cit-tadellese perché questo territorio poggia su un vecchio “terrazzo” Pleistocenico risparmiato dalle divagazioni fluviali che hanno invece interessato la destra Brenta fino alla zona di Grantorto. Degli edifici di allora non sono rimaste tracce. Sono stati invece rinvenute monete, an-fore, macine per cereali, pesi per telaio e cippi; in particolare il cippo gromatico di Grantorto trovato nel Brenta.

L’agro centuriato Romano:una perfetta organizzazione del territoriosuddiviso in maniera precisa e regolare da una maglia di strade e canalispesso conservatasi fino ai giorni nostri.

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379pag.

Epoca Romana200 a.C. - 476 d.C.

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

380pag.

I bellicosi popoli nomadi che viveva-no fuori dell’impero erano chiamati

barbari dai romani. Cambiamenti del clima, il crollo dell’impero, tattiche militari o “spinte” da altri popoli fa-vorirono le loro invasioni.La Postumia, costruita per permettere rapidi spostamenti degli eserciti romani e quindi difendere il territorio, finì col diventare la strada preferita da Van-dali, Unni e Goti nelle loro incursioni. Specialmente la nostra zona, saccheg-giata di continuo, in preda a carestie e pestilenze, letteralmente si spopolò per migrazioni verso le montagne e le lagune ridiventando il regno del bosco e della palude (terre vegre).Ne nacque una situazione di estrema insicurezza sociale destinata a durare secoli. I pochi coloni rimasti abbando-narono l’agricoltura per dedicarsi alla pastorizia che era l’attività dei popoli invasori. Solo i Longobardi si ferma-rono in Italia e vi arrivarono nel 568. Tracce evidenti dei loro insediamenti sono la località “Fara” e le chiese de-dicate a San Giorgio e San Michele, mentre della loro lingua sono rima-ste parole come: scafa, rosta, gripia, straco ecc.Le loro famiglie mantennero il con-trollo del territorio per alcuni secoli.

Forse, in concomitanza con una pie-na catastrofica, nel 589 il fiume Ci-smon, ex affluente del Piave, confluì nel Brenta raddoppiandone la portata. Una nota rima popolare dice:“El Brenta nol saria Brenta se non fusse el Cismon che el ghe dà un spinton”.Il Medoacus diventò Brenta che pare voglia dire “acqua di neve sciolta”.Alla fine del millennio i monaci Bene-dettini iniziarono la bonifica del ter-ritorio favorendo così il sorgere delle prime piccole comunità e un lento ri-torno all’agricoltura.

Un carro trainato da buoi:l’abitazione dei popoli nomadi,antesignano dei nostri camper.

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381pag.

Alto medioevo477 - 900 d. C.

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

382pag.

Cessate le terribili invasioni degli Ungari che avevano sconfitto re

Berengario I sul Brenta (tra Fontaniva e Cartigliano), gli imperatori Germa-nici favorirono i Vescovi assegnando loro la difesa del territorio. E proprio per difendersi dalle frequenti scorrerie vennero costruite torri e piccoli castel-li, prima in legno, poi in muratura.Le terre “vegre”, paludose e incolte, erano riservate alla pastorizia che era l’attività più praticata: la lana veniva pestata nei “folli” e commercializza-ta anche a Padova sfruttando l’asse di comunicazione (l’arzere della regina) tra questa città e gli altipiani. Il nostro territorio, ancora poco popolato, era un bosco fitto abitato da lupi, cinghiali e numerosi altri animali. Iniziò un pe-riodo di relativa sicurezza sociale che favorì l’agricoltura e lentamente sorse un nuovo paesaggio sulle tracce della centuriazione romana. La popolazione crebbe grazie anche all’aumento della produzione agricola dovuto a nuo-ve tecniche d’aratura. Sorsero nuove costruzioni riutilizzando tutto il ma-teriale dei ruderi tanto che dei vecchi edifici romani non rimane traccia. Si diffusero i mulini ad acqua e le fornaci per i mattoni e la calce ottenuta dalla calcinazione dei sassi del Brenta.

Nel XII secolo i comuni di Padova, Vi-cenza e Treviso si contendono il ter-ritorio del Brenta a partire dal Bassa-nese. La pace di Fontaniva del 1147 mette provvisoriamente fine alla guer-ra. In questo periodo sorgono anche i nostri comuni rurali attorno alle loro chiese o ai castelli. Cittadella sorge nel 1220 ad opera del comune di Padova che ne fa edificare le mura, forse, so-pra l’argine del villaggio paleoveneto.Il territorio, dominato dagli Ezzelini prima, dai Carraresi e dagli Scaligeri poi, fu per breve tempo anche di Gian Galeazzo Visconti. Questì tentò di usare il Brenta come arma da guerra. Furono iniziati i lavori per dirottare il fiume in un canalone a sud di Marosti-ca con l’intento di allagare il territorio padovano ma l’ennesima “brentana” ne impedì la realizzazione.

Sorgono i primi “casoni” con il tetto di paglia ed un foro al centro da dove esce il fumo del focolare; nell’unico ambiente interno convivono contadini ed animali.

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383pag.

Basso medioevodopo il 1000

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

384pag.

In questo periodo i castelli medievali persero la loro funzione militare e le

torri furono trasformate in colombare o abitazioni.Iniziò un lungo periodo di relativa pace che favorì la nascita di piccoli villaggi diffusi (ville).Restano le difficoltà legate al ciclo della terra che è proprietà di pochi: comuni, nobili e il clero. I nobili vene-ziani investono i loro capitali in vaste proprietà terriere introducendo nuove colture come il riso, i bachi da seta e più tardi, dopo la scoperta dell’Ameri-ca, il mais.La polenta diventa il piatto obbligato dei poveri contadini e la pellagra ne è la conseguenza. Il paesaggio si carat-terizza per la veneta “piantà”: campi divisi da filari di viti sostenute da olmi e morari (gelsi) per la bachicoltura. Il tutto sotto il controllo dei fattori dei nobili che abitavano nella casa “do-minicale”, un vero e proprio centro economico locale e, spesso, anche un centro di piacere. Il nome “villa” era dovuto alla vicinanza con il borgo (in latino villa); i nobili andavano a fare la “villeggiatura” e chi ci abitava tutto l’anno erano i “villani”. Il popolo non era ammesso alle decisioni importanti e la vita era limitata a “Ciesa-casa-vache”.

Tanto lavoro trasformerà il territorio in un paesaggio bello, ordinato, bu-colico, ancora godibile in alcune zone delle nostre campagne.Le rogge del Brenta o di risorgiva con-cesse dai Provveditori ai Beni Inculti a scopo di irrigazione presero il nome dal nobile proprietario: Grimana, Rez-zonica, Dolfina, Michela ecc.L’acqua impetuosa azionava muli-ni, magli, segherie, pile da riso ecc.; le omonime vie lo ricordano ancora. Dove serviva, sulle sponde del Bren-ta, venivano eseguiti piccoli argini di protezione in legno. La corrente por-tava zattere di legname dalla monta-gna alla pianura. Le sponde erano un tratturo per mandrie e greggi in tran-sumanza dai pascoli alpini d’estate al litorale d’inverno.

Il “casone” si organizza:casa e stalla sono due unità distinte anche se comunicanti;molti di questi edifici sopravviveranno anche se in forma più evolutafino agli anni ‘30 del secolo scorso.

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385pag.

Periodo Veneziano1405 - 1797

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

386pag.

Dopo l’umiliante fine della Serenis-sima (1797), ad un breve dominio

Francese seguì quello Austriaco dal 1813 al 1866. Nel 1799 venne costrui-to il primo ponte a Fontaniva. Prima di allora il Brenta veniva guadato o attraversato su “passi” gestiti dal bar-carolo. Lievi differenze dialettali testi-moniano i ridotti scambi tra le rive.Le ghiaie portate dalle piene alzaro-no il letto del fiume tanto da rendere necessaria la costruzione di robusti argini sulla sponda destra a partire da Friola. La sponda sinistra era ri-parata dalla scarpata naturale. Gli argini, di ghiaia con fianchi rivestiti di grossi ciottoli, evitarono le inon-dazioni anche quando il letto del Brenta diventò, dopo il 1900, pensile nei pressi di Friola. Il fiume, più alto della pianura, portò più acqua alle risorgive aumentandone il numero e la portata. Le tasse erano pesanti, la giustizia severa e gli assassini erano condannati all’impiccagione. A Spes-sa di Carmignano c’era una forca.L’arrivo dei Savoia non modificò le condizioni di povertà estrema e, in soli 25 anni, un quarto della popolazione fu costretta all’emigrazione verso Bra-sile e Argentina prima, poi Australia, Francia, Svizzera , Belgio e Germania.

Questo fenomeno, iniziato nel 1870, continuò per cent’anni. A Carmignano la nuova cartiera limitò la fuga ma fu un fatto locale.La cartiera di Carmignano sorse su un’area di un mulino sull’omonima roggia Molina documentata fin dal 1310. Nel 1877 venne costruita la fer-rovia Vicenza - Treviso che attraver-sava il Brenta su un nuovo ponte in ferro parallelo a quello in legno della strada statale.

Il tetto in paglia del “casone” è stato sostituito dai coppi.La stalla comunica direttamente con la cucina, mentre per salire alle camere da letto è spesso necessario passare per il cortile.Generalmente orientato a sud, è l’edificio rurale tipico delle nostre zone.

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387pag.

Dominio straniero e unità d’Italia1798/1899

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

388pag.

Il clima, lentamente, è divenuto più caldo. Le piazze si popolano di mo-

numenti ai caduti a memoria della grande guerra e di tante giovani vite spezzate. Sorgono le prime industrie dei prefabbricati in cemento grazie alle pregiate ghiaie del Brenta. Si pro-duce di tutto: recinzioni, lavabi, cessi, cisterne, porte, telai per finestre ecc. Non sappiamo se ciò dimostra la ver-satilità del materiale o la bravura degli operai. Fontaniva è il paese simbolo di questa attività. Il business dell’estra-zione della ghiaia inizia nel 1920. Ri-cordiamo la seconda guerra: i rastrel-lamenti ad opera dei nazi-fascisti, le deportazioni nei “lager”, i bombarda-menti del ponte di Fontaniva e della statale a opera degli anglo-america-ni con “Pippo” e la liberazione con la partecipazione dei partigiani. La nostra società da povera e contadina diventa industriale e ricca grazie sia alla laboriosità che alla libertà di poter costruire case e fabbriche ovunque. Lo sviluppo avviene su un tessuto urbano adatto all’agricoltura non predisposto alle nuove esigenze dove la campagna si confonde con l’abitato.Una palla al piede per il futuro perché• rende difficile e costosa la sistema-zione della precaria rete viaria;

• aumenta le lunghezze e quindi i costi di esecuzione e di gestione delle reti fognarie, gas, ecc. eseguite, spesso, su tracciati obbligati ma non idonei (es. elettrodotti);• porta a una cementificazione ecces-siva e diffusa con aumento del rischio idraulico;• il territorio perde la sua tipicità; • favorisce lo spreco del terreno.Nel Brenta, nonostante i ponti crollati, l’abbassamento delle falde, le cave mai ripristinate ecc. continua il business della ghiaia con dissesto dell’assetto idrogeologico dell’alto Brenta.Da emigranti diventiamo una zona di immigrati mentre il clima continua a cambiare. Cinquant’anni fa la famiglia era ancora patriarcale. Si viveva “in tan-ti” in case senza riscaldamento, senza acqua, senza gabinetto. L’elettricità era arrivata da poco; qualche radio, nessun elettrodomestico, pochi rumori. Le rare auto correvano su strade bian-che dove, d’estate, si andava anche scalzi tra carri trainati da buoi, cavalli o asini. Non abbiamo alcun rimpianto per queste cose ma il nostro grande desiderio è quello di uno sviluppo eti-co e sostenibile che garantisca anche alle future generazioni le stesse nostre opportunità.

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389pag.

1900/2000un secolo di cambiamenti

LA STORIA IN QUATTORDICI PAGINE

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LA LEGGENDA RITROVATA

390pag.

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I COLORI DI SANTA CROCE

Foto di Cesare Gerolimetto

pag.

391

A sinistra:Cascina Sant’Andrea, una delle settecostruite dai Kofler dopo la bonifica delle “basse”.Sotto:due suggestivi scorci del Brenta.

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LA LEGGENDA RITROVATA

392pag.

Lo splendido altare in marmo di Carraraall’interno dell’Oratorio di San Gaetano

a Ca’ Micheli

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

393pag.

Il suggestivo cortiletto da cui si accede all’Oratorio di San Martino presso villa Kofl er.

Il ballatoio visibile in alto consentiva ai nobili proprietari della villa di accedere ad una porzione della chiesetta, chiusa da grate ed a loro riservata,

senza entrare in contatto con i popolani.

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LA LEGGENDA RITROVATA

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I COLORI DI SANTA CROCEGiochi di luci ed ombree fascinose prospettivenei granai di Villa Kofler. Foto di Cesare Gerolimetto

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LA LEGGENDA RITROVATA

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

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Villa Kofler: il “sèlese”, l’aia in mattoni ricoperti di catramesu cui venivano essiccate le granaglie.

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LA LEGGENDA RITROVATA

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Come attraverso il periscopio di un sommergibile,l’”occhio” rivolto a norddei granai di Villa Koflerinquadra l’imbocco della Valsugana.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Crocelungo la Via Postumia

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LA LEGGENDA RITROVATA

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Il campanile di Santa Crocesi staglia contro le pendici del Grappasovrastato da un cieloche sembra dipinto da Tiepolo.

Anche se certamente resta ancora molto da dire, con la nostra storia

ci fermiamo qui. Vogliamo, però, sperare che questa non sia una storia conclusa, altrimenti vor-rebbe dire che sarebbe solo un’epigrafe per un paese moribondo. E se è vero che Santa Croce arriva oggi a malapena a mille abitanti e che da decenni è quasi ferma nel suo sviluppo edilizio ed eco-nomico, siamo convinti che nessuno dei suoi abitanti voglia neanche per un momento pensare che questa Comunità, dal passato così ricco, debba essere av-viata ad una lenta ma inesorabile estin-zione, dopo quanto hanno fatto per essa i nostri padri.Il presente lavoro, dunque, vuol essere anche un invito a tutti, soprattutto ai giovani, ad amare questo luogo e a dar-si da fare, insieme, perché Santa Cro-ce Bigolina sia sempre più una realtà viva e, pur nelle inevitabili difficoltà, possa offrire ai nostri figli, proprio qui, con adeguate strutture, la possi-bilità di un avvenire sereno e prospero, isprato agli intramontabili valori che hanno guidato chi ci ha preceduto.Piace pensare che, fra qualche decen-nio, altri riprenderanno questa ricerca da dove è stata lasciata, per integrarla e per raccontare ancora le memorabili e, ci auguriamo, belle vicende della piccola, grande storia di Santa Croce Bigolina.

CONCLUSIONE

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LA LEGGENDA RITROVATA

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Vi siete mai chiesti qual è il significato dei cognomi delle famiglie che abitano Santa Croce e dintorni? Ecco una risposta, anche se non completa, che ci viene da Dario Soranzo, noto studioso veneto, che ha pubblicato le sue ricerche sui “Cognomi dei Veneti” in fascicoli allegati ai quotidiani “Il Mattino di Padova”, “La Tribuna di Treviso” e “La Nuova Venezia” , dal “Dizionario dei cognomi italiani” di Emidio De Felice e dalle ricerche di U. Simionato in “Cognomi padovani e antiche famiglie di Padova e del suo territorio”.

Quando è nato il cognome?I cittadini romani avevano tre nomi: il primo, detto prenome, era personale e corrispondeva al nostro nome proprio; il secondo, il nome, derivava dal capostipite della famiglia e indicava a quale “gente” si apparteneva; il terzo, il cognome, equivaleva al nostro soprannome.Con la caduta dell’impero romano, l’usanza latina andò perduta, le persone cominciarono ad essere chiamate col loro semplice nome, e bisognerà aspettare l’epoca medievale prima che si arrivi ad attribuire un cognome per distinguere una persona dall’altra.

L’origine del cognome può generalmente essere fatta risalire:- al nome del padre o di un antenato (ad es.: Alberti, Sandri, Martinello...);- ad antichi nomignoli, passati a soprannomi di famiglia diventati poi normali cognomi (ad es.: Bevilacqua, Gobbo, Bonomo, ...);- ai paesi di provenienza che, spesso, si presentano anche come semplice nome di città, di borgo o di località (ad es.: Bassani, Noventa, Pavan, Trevisan...);- ai mestieri svolti (ad es.: Fabris, Favaro, Marangon...);- a nomi di origine longobarda, germanica, greca, latina o anche ebraica.

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“Cio’, come te ciamito ti?”

APPENDICE 5

Il significato di alcuni cognomi di S.Croce Bigolina e dintorni.Ecco da dove derivano o cosa vogliono dire i più comuni cognomi delle nostre famiglie, soprattutto se sono di origine veneta (ci scusiamo se qualcuno non troverà il suo; vuol dire che non siamo riusciti a trovarne l’origine): AGOSTINELLI: può risalire sia al latini Augustus (favorito da buoni auspici) sia da Agostus (nato nel mese di agosto). La grande diffusione del nome fu dovuta al culto di San Agostino.

ALBERTI, ALBERTON, ALBERTONI: dal nome Alberto, che i Longobardi introdussero in Italia, ed è composto dalle parole germaniche “athala” (nobiltà di stirpe) e “bertha” (illustre, famoso).

ANDRETTA, ANDREATTA, ANDRIOLO: da Andrea, nome di uno dei dodici Apostoli, che viene dal latino “Andreas” il quale a sua volta riprende la parola greca “andròs” (uomo).

ANTONELLO, ANTONIACOMI: sono derivati dal nome Antonio, ed hanno conosciuto una larghissima diffusione dopo la morte del Santo, avvenuta nel 1231.

ANDRIOLO: ha alla base il personale Andrea (uomo), diffusosi per il prestigio dell’apostolo, fratello di San Pietro.

BAGGIO: la derivazione più probabile è quella

del latino “badius”, (bajo) colore rossastro scuro del mantello di certi cavalli; starebbe ad indicare quindi una persona dai capelli rosso-bruni.

BALLIN: dal veneto “bala”, palla.

BARICHELLO: pare probabile una derivazione dall’italiano antico “barica” (barile), di cui Barichello potrebbe essere il diminutivo maschile; si riferirebbe quindi a chi faceva il mestiere di bottaio.

BASSO: dall’aggettivo “bassus”, basso, originariamente riferito alla statura.

BASTIANELLO: deriva dal nome Sebastiano, di cui è diminutivo, e che significa “venerabile”.

BATTISTELLA: da Battista, appellativo di San Giovanni, cugino di Gesù.

BELTRAMELLO: avrebbe alla base il nome “Bertramus”, composta da “bertha” (famoso, splendente) e “hrabhan” (corvo). Giunto dalla Francia, il nome si sarebbe contaminato con forme italiane che presuppongono l’accostamento a Beltrame.

BENETELLO: da Benetto, forma abbreviata di Benedetto, largamente popolare nel Medioevo con riferimento a San Benedetto da Norcia.

BERGAMIN: richiama la provenienza dalla città lombarda di Bergamo.

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BERNARDI: da Bernardo, che risale ad un composto germanico “beran” (orso) e “hardu” (forte, valoroso). Viene reso popolare grazie alla devozione a San Bernardo di Chiaravalle (sec. XII).

BERNO: è contrazione del nome proprio Bernardo.

BERTON, BERTONCELLO: alterato di “Berto” dal germanico “bertha” (famoso, illustre).

BEVILACQUA: appare in vari paesi d’Europa e pare accertata l’origine umoristica e canzonatoria del soprannome.

BIGOLIN: il cognome non esiste a Santa Croce, ma è comune a Galliera Veneta; vale comunque la pena di citarlo, visto che Santa Croce prende l’appellativo dalla famiglia dei nobili Bigolini. Bigolin viene dalla voce dialettale “bigolo”, il cui significato, confermato dall’accrescitivo “bigolon” sembra essere quello di sempliciotto, sciocco. Ricordiamo però che i Bigolini di Santa Croce avevano all’origine un altro cognome, quello di “De Mainardis” (che viene dal nome proprio Mainardo, che vuol dire “terribile per la sua forza”), e che il successivo epiteto fu loro dato poichè provenivano da Bigolino, una località in comune di Valdobbiadene.

BIZZOTTO: dal nome germanico Albizo.

BODO: di origine incerta, non si può escludere

che derivi dal germanico, col significato di messaggero.

BOARO: dal soprannome di mestiere dell’ addetto alla custodia del bestiame.

BONALDO: dal francone “Bonwald”, composto di “bon” (buono) e “vald” (regnare), cioè colui che è buon re.

BONAMIN: può derivare da una variante di Bonomo, nome augurale dato con la speranza che il nuovo nato diventi un uomo buono; oppure potrebbe essere una variante di Bonamico, altro nome augurale di trasparente significato.

BORDIGNON: dal termine “bordiglione”, che indica un tipo di filato; ma potrebbe anche voler dire “borgognone”, proveniente cioè dalla regione francese della Borgogna.

BOSCHETTI, BOSCO: cognome connesso con il lavorare e con il vivere nei boschi. Come soprannome, può indicare anche una persona scontrosa.

BRAGAGNOLO: il cognome potrebbe alludere al termine commerciale “bragagna”, che si riferisce al patteggiare il prezzo; alluderebbe quindi a chi faceva il mestiere di mediatore.

BROTTO: forse dalla radice germanica “buri” (abitazione), oppure dalla voce veneta

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“borra” (oggetto rotondo), o forse ancora dai nomi propri Bruccio o Brehus.

BUBBOLA: probabilmente deriva dall’italiano “Bubbola” (upupa, nome di un uccello), quindi originariamente fu un soprannome.

BULLA: forse un soprannome derivato dal nostro dialetto “bulo” (bellimbusto, smargiasso); ma può anche riferirsi al nome di due specie di conchiglie che in laguna si indicano come “bulo de mar”.

CAMPAGNARO, CAMPAGNOLO: dall’ovvio significato riferentesi a chi abita o proviene dalla campagna.

CAPPELLARI: indicava il fabbricante o venditore di cappelli.

CARNIELLO: originario della regione alpina della Carnia, che a sua volta deve la sua denominazione alla tribù dei Galli Carni.

CARRARO: la diffusione del cognome si spiega con l’importanza avuta in passato dal mestiere del “carraro”, costruttore di carri.

CASTELLAN: da castello; nella nostra area rappresenta l’appellativo di chi è originario di Castelfranco.

CAVALLARO: guardiano di cavalli.

CECCHIN:da Cecco, a sua volta alterati di Francesco.

CELADINATO:viene da “celada”, variante veneta di “celata”, antico tipo di elmo; può significare quindi “soldato”.

CERCHIARO: si riferisce al mestiere di fabbricante di cerchi di botte.

CERVELLIN: potrebbe venire dal diminutivo dialettale di cervello, ad indicare forse come soprannome una persona bizzarra o un po’ sventata.

CHIMINAZZO: probabilmente ha alla base il nome proprio Clemente, del quale potrebbe essere un’alterazione (Clementinazzo).

COCCO: è una voce familiare che oltre al significato di “uovo” ha anche la funzione di appellativo affettivo di bambini e persone care; potrebbe però anche essere un soprannome derivato da “cucco”, col significato di uomo molto vecchio, rimbambito.

CONTE, CONTE BONIN: dal latino “comes”, (compagno). Non sembra indicare la trasmissione di un titolo, ma a identificare gli uominidel seguito dei nobili. “Bonin” è diminutivo di buono.

COSTA: richiama una delle numerose località con questo nome.

“Cio’, come te ciamito ti?”

APPENDICE 5

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LA LEGGENDA RITROVATA

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CUSINATO: da “cusin” (cugino), derivato dal francese “cousin”, a sua volta deformazione del latino “consobrinus”.

DE TONI: anche alla base di questo cognome c’è il nome Antonio (Di Antonio, dialettizzato).

DIDONE’:all’origine di questo cognome potrebbe esserci il nome francese “Dieudonnè”, corrispondente all’italiano “Diodato”, il cui significato è “donato da Dio”.

FABRIS: risale al soprannome di mestiere di fabbro.

FACCO: dal germanico; la radice del nome significa: letizia, godere.

FANTIN, FANTINATO: dal sostantivo latino “infans” (fanciullo); nell’italiano antico indicava il bambino e poi il giovane, il servitore e infine il soldato a piedi.

FERRARO: si riferisce al mestiere di fabbro ferraio.

FIOR: dal latino “flos” (fiore).

FRIGO: dal nome germanico “Federico”, composto da “frithu” (pace) e “ricija” (re), quindi: signore della pace.

FURLAN: che viene dal Friuli.

FUSARO: cognome esistente a Santa Croce nell’Ottocento, ora scomparso; si riferiva al mestiere di chi fabbricava o vendeva fusi per la filatura.

GASPARIN, GASPERIN, DE GASPERI: dal nome “Gaspare”, derivato dall’iranico “Gathaspar” (splendente), riferito al Dio dell’Aria. Si diffonde da noi in riferimento al nome di uno dei Re Magi.

GEREMIA: di origine ebraica, significa “esaltazione del Signore”.

GIARETTA: potrebbe trattarsi del diminutivo dialettale veneto di “giara” (ghiaia); è tuttavia più probabile che derivi dall’italiano antico “giara” (grosso vaso).

GNOATO: contrazione di “Agnolato”, che ha alla base il nome Angelo, con la variante veneta Agnolo.

GOLO: viene dalla voce veneta “golo” (sensale).

GRIFALCONI: deriva dall’accrescitivo dell’italiano antico “grifalco” (uccello da preda della famiglia dei falchi).

GRIGOLON: deriva dal nome greco Gregorio, che vuol dire intelligente.

GUIDOLIN: diminutivo di Guido, dal longobardo “Wido” (legno, bosco, foresta).

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LABADI: ha alla base la parola “abate”, ma può anche avere il significato di “capo di una festa; chi dirige i balli in feste popolari”.

LAGO: indica la provenienza da una delle molte località che prendono il nome dalla vicinanza di un lago.

LANZA: dal veneto “lanza” (lancia).

LESSIO: dal nome personale Alessio, che in greco significa “difensore, protettore”.

LORO: di origine incerta, non si può escludere una derivazione dall’italiano antico “loro” (fascia, cinghia di cuoio).

MARSAN: forse da una contrazione di Marchesan, cioè originario delle Marche o dipendente, nel Medioevo, da un marchese.

MARTINELLO: vezzeggiativo derivato dal nome Martino, che vuol dire “sacro al dio Marte”.

MAZZOCHIN: variante di Mazzon, dal germanico “Mazo” o “Mado”, che deriva da “mathal” (onore).

MENEGON: derivato dalla dialettizzazione del nome Domenico in Menego, di cui è l’accrescitivo.

MERLO: da “merlo”, che risale al latino “merula”; probabilmente deriva da un soprannome, già documentato nel Medioevo e utilizzato nei due significati opposti di ingenuo o furbo.

MILANI: può derivare dal nome Emiliano oppure può riferirsi a chi proviene dalla capitale lombarda.

MION: può derivare dalla forma abbreviata dei nomi Simeòn o Bartolomìo.

MORLIN: probabilmente forma contratta di Morellin, variante di Moro, derivato da Maurus, che indicava l’abitante del Marocco, con riferimento ad una persona dalla pelle molto scura.

MOSELE: alterato di Mosè, col significato di “salvatore, liberatore”.

MUNARI: variante di “molinaro”, soprannome del mestiere di mugnaio.

NARDELLO: diminutivo dal nome Nardo, a sua volta derivato dai nomi Bernardo o Leonardo.

NICHELE: dal nome Nicola, che in greco significa “popolo che vince”.

NORDIO: da un nome germanico; significa: che viene dal nord.

APPENDICE 5

“Cio’, come te ciamito ti?”

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LA LEGGENDA RITROVATA

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OLIVO, OLIVETTO: il punto di partenza da cui si sono formati questi cognomi, può essere l’oliva come frutto, con riferimento a chi le produce o le vende, o all’oliva come colore, riferito a persone di carnagione olivastra.

PANDIN: forse abbreviazione di Pandolfin, dal nome Pandolfo, che vuol dire“guerriero valoroso che porta la bandiera”; potrebbe essere anche variante del nome Bandino, che vuol dire “bandiera”.

PAROLIN: dal veneto “parolo” (paiolo), che a sua volta viene dal latino “pariolum”, che l’ha preso dal gallico “parium”; insomma, chi faceva il mestiere del calderaio.

PASIN, PASINATO: deriva da pace e si spiega con l’auspicio che il neonato porti in casa la pace.

PAN: deriva dal soprannome medievale “pane”, che indica una persona buona oppure si riferisce al mestiere di fornaio.

PAVAN: padovano, che viene da Padova.

PETTENON, PETTENUZZO: alterato dal veneto “petene” (pettine).

PIOVAN: dal veneziano “piovan” (parroco). Il cognome appartiene alla serie dei soprannomi dati a persone in relazione di servizio

con autorità varie o in rapporto di parentela con persone del clero.

PIOTTO: probabilmente contrazione di “Pilotto” che viene dal latino e vuol dire “freccia”.

PIVATO: alterato di “Piva” (piffero), che risale al latino “pipa” (fischio); indica chi faceva il mestiere di zampognaro.

PRANDIN: ha alla base il nome di origine germanica Prando, corrispondente di Brando, che vuol dire “spada risplendente”.

RAMPAZZO: dalla voce germanica “rampo”, che significa forte.

REBELLATO: dal nome tedesco “rebe” (tralce, vite); indicava quindi chi faceva il vignaiolo.

RIGATO (cognome del vecchio gestore del bar centrale, soprannominato “Mao”): dal nome germanico Enrico, che significa dominatore della casa o della patria.

SANDRI: ha alla base il nome Alessandro.

SARTORE: chiaramente riferito al mestiere di sarto.

SCAPIN: dal latino medievale “scabinus”, che indicava una categoria di funzionari minori del sistema giudiziario carolingio.

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SCHIAVO: risale all’aggettivo “sclavus” con cui si indicò nel passato chi apparteneva all’etnia slava.

SERAFIN: nome di tradizione biblica, riferito alle creature angeliche dei Serafini.

SGARBOSSA: connesso col verbo “sgarbare”, che definisce l’operazione di togliere le erbe.

SIMEONI, SIMIONI, SIMONETTO:derivano dal nome Simeone.

SPIGAROLO: dovrebbe essere riferito a chi faceva il mestiere dello spigolatore, cioè del raccoglitore di spighe dopo la mietitura.

STOCCO: nome di un’arma da punta con lama di media lunghezza, che presumibilmente richiama un soprannome di mestiere(armaiolo, soldato).

TESSAROLO: dal mestiere di tessitore, in latino “texarius”.

TOFFANIN, TOFFOLI, DE TOFFOLI: derivato dal nome Cristoforo (colui che porta Cristo).

TONIOLO: vezzeggiativo di Antonio.

TOSETTI: ha alla base il soprannome “toso”, che continua il latino “tonsus” (tosato), con il significato estensivo di “ragazzo, giovane”.

TRENTIN: originario di Trento o del Trentino.

TREVISAN: che viene dal territorio o dalla città di Treviso.

VALLOTTO: che viene da località situate in una valle.

VANGELISTA: da Evangelista, nome sorto dall’appellativo dei quattro autori dei Vangeli e in particolare di S.Giovanni Evangelista.

VIEL: ha alla base il nome personale Vito, che riflette il longobardico Wido, dal quale si è formato il nome italiano Guido.

VISENTIN: che viene dal territorio o dalla città di Vicenza.

ZACCHIA: può avere alla base il nome biblico del profeta Zaccaria, che significa “Dio si è ricordato”, oppure potrebbe essere una variante di Zaccheo, che ha lo stesso significato.

ZAMBOLIN, ZANON: varianti che derivano dal nome Giovanni e dalla sua alterazione in Zanni.

ZONTA: può essere un soprannome (che aggiunge) oppure potrebbe derivare dalla dialettizzazione del cognome Giunta, il quale a sua volta viene da Bonaggiunta, riferito a un figlio desiderato.

“Cio’, come te ciamito ti?”

APPENDICE 5

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410pag.

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411pag.

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BIBLIOGRAFIA

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Non avrei mai potuto scrivere e pubblicare questo “libro” senza l’aiuto e la collaborazione di molti.

Devo quindi rivolgere un vivo e sincero ringraziamento:- a Settimo Basso, Presidente della Pro Loco fino al 2002, e alla Pro Loco stessa, che mi hanno appoggiato e stimolato in questa iniziativa, contribuendo anche alle spese di ricerca;- all’architetto Giuliano Basso, che ha dedicato molto del suo tempo, e non solo, alla realizzazione grafica e all’apparato iconografico di questo lavoro.- al prof. Alberto Golin di Carmignano di Brenta, ricercatore infaticabile di documenti, senza la cui indispensabile consulenza mi sarei perso non solo tra le carte degli archivi, ma anche tra le calli di Venezia, e che, fra l’altro, ha il grandissimo merito di aver ritrovato il testamento di Alessandro Bigolino;- al Chiarissimo Professor Sante Bortolami, Docente di Storia Medievale all’Università di Padova e Autore di moltissimi testi e saggi storici, persona di profondissima cultura ma anche di straordinaria cortesia, che ha avuto la bontà e la pazienza di leggere e correggere, con preziosi suggerimenti, i capitoli riguardanti gli avvenimenti relativi al Medioevo e mi ha fornito inoltre inediti documenti, frutto delle sue ricerche;- alla dott.ssa Stefania Nicoletto di Padova, che gentilmente mi ha permesso con tutta calma di consultare e attingere alla sua tesi di laurea sulla Famiglia dei Bigolini;- a Luciano Bon di Grantorto, storico ed epigrafista per passione, che mi ha fatto conoscere il Prof. Bortolami e mi ha dato importanti indicazioni, interessandosi attivamente a questo lavoro; - all’ ex Sindaco di Cittadella, dott. Lucio Facco, e agli Assessori Comunali, che hanno reso più agevoli le pratiche con gli archivi;- a Mons. Mario Dalla Via, che con grande disponibilità e affabilità mi ha facilitato nella consultazione dei documenti conservati nell’Archivio della Curia;- a Don Giantonio Cogo, già Parroco di Santa Croce, promotore dei lavori di restauro della Chiesa e del campanile e del rifacimento del pavimento, che mi ha introdotto nell’archivio della Curia e mi ha consentito di rovistare per l’intero mese del luglio 1997 nell’archivio parrocchiale;- a Don Antonio Schiavo, attuale Parroco di Santa Croce, sempre disponibile a consentirmi la revisione di qualche documento; - al signor Oscar Carraro, responsabile della biblioteca del Convento dei Padri Francescani di Cittadella, che mi ha segnalato e messo a disposizione un lavoro inedito su quel Convento e sui rapporti con quello di S.Croce;- a tutti i paesani che hanno messo a disposizione le loro foto di famiglia;- a Cesare Gerolimetto, valente fotografo, che ha interpretato in maniera sapiente i colori di Santa Croce;- a Franco Lionello, editore cittadellese, che ci ha reso disponibile l’archivio fotografico Biblos;- al Gruppo Tam-Tam di Carmignano che ha realizzato l’inserto “La Storia in quattordici pagine”- a mio figlio Michele, che mi è stato utile collaboratore;- a quanti, in qualsiasi modo, hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro.

Esprimo la mia più viva gratitudine, infine, a Sua Eccellenza Mons. Pietro Nonis, già Vescovo di Vicenza, che mi ha fatto l’onore di leggere e presentare questa ricerca.

RINGRAZIAMENTI

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LINO GEREMIA

la Leggendaritrovata

viaggio nella piccola, grande storia della comunità di Santa Croce Bigolina di Cittadella

LINO GEREMIA

la Leggenda ritrovata

viaggio nella piccola, grande storia

della comunità di Santa Croce

Bigolina di Cittadella