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LA LEADERSHIP EMOTIVA:
una risorsa cui prestare particolare attenzione
Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione ignora
(Pascal)
Introduzione
Il lavoro che mi accingo a svolgere chiude un percorso durato due anni che ha lasciato molto
nella mia vita, sia in termini personali che professionali.
Il tema oggetto della presente tesi è quello della leadership emotiva e trae spunto da un lavoro
di gruppo svolto durante il laboratorio di formazione. Vista la vastità e la complessità
dell’argomento trattato e i limiti di spazio consentiti in questa sede, attraverseremo insieme,
senza alcuna pretesa esaustiva in merito, la dimensione della leadership emotiva. Sarà una
sorta di viaggio immaginario, dove procederemo per tappe, cercando di toccare i punti più
importanti di quella che, in un mondo caratterizzato, com'è quello attuale, da un continuo e
repentino cambiamento degli scenari futuri, rappresenta, a mio avviso, una risorsa cui
prestare particolare attenzione.
Il nostro itinerario ha come sfondo un’ indagine condotta personalmente su un modesto
campione di dipendenti non esperti in materia; tra i risultati emersi dalla ricerca, assume
particolare rilievo il dato secondo cui solo il 25 % degli intervistati riesce a scorgere nel
proprio capo, o superiore gerarchico, la figura di un leader. Un elemento, questo, che invita a
riflettere e su cui torneremo nel corso del presente lavoro.
Per ragioni di completezza, prima di andare oltre, ritengo opportuno tuttavia soffermarmi
brevemente sull’evoluzione di quelli che sono considerati i principali studi condotti sulla
leadership, cui sarà pertanto dedicato il prossimo paragrafo. Un’evoluzione, questa, scandita
da una ricerca incentrata, inizialmente, sui tratti che identificano il profilo individuale di un
leader, più che sulle caratteristiche specifiche della leadership.
1) Gli studi sulla leadership: qualche cenno storico
Siamo nel 1904, quando Lewis M. Terman chiese ad alcuni insegnanti di descrivere le
caratteristiche distintive degli studenti “leader”; da questa intervista emerse che i tratti cruciali
evidenziati in tal senso furono quello dell’attività, della rapidità e dell’abilità nell’inventare e
partecipare a giochi. Nel 1948 fu Stogdill, che tentò di identificare i tratti distintivi del profilo
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individuale del leader riscontrando nella creatività, nella fiducia in sé, nel desiderio di
eccellere e nell’ambizione, quelli maggiormente significativi.
Un diverso filone di approfondimento fu invece orientato ad individuare quelli che potevano
essere definiti come gli “stili” della leadership (Lezin, Lippit e White) con particolare
attenzione all’influenza che questi potessero avere sul comportamento del gruppo, in
relazione sia al clima affettivo, sia alla realizzazione dei compiti. I risultati di questa ricerca
evidenziarono come la migliore prestazione di gruppo fosse connessa alla presenza di una
leadership democratica, mentre i risultati più negativi si riscontravano in presenza di una
leadership autocratica o laissez-faire.
Una distinzione, questa, che evidenziò principalmente una contrapposizione tra due stili di
leadership caratterizzati da una parte da uno spiccato orientamento al compito, dall’altra da
una maggiore attenzione alle persone.
Nell’intento di individuare lo stile di leadership ideale si arrivò successivamente a ritenere che
questo potesse essere quello caratterizzato sia da un alto coinvolgimento nelle relazioni che
da un’elevata attenzione al risultato; fu solo nel corso degli anni ottanta che si giunse, tuttavia,
ad affermare che lo stile di leadership più efficace risultava quello che veniva scelto in
funzione della situazione contingente.
2) Cambia la scenario globale : il ruolo della leadership
Con gli anni Ottanta si afferma un consistente aumento della complessità del quadro
economico globale. Un accelerazione che investe in particolare le organizzazioni e che
individua nella leadership l’ elemento capace di fare la differenza; ad essa viene chiesto
infatti di divenire una guida verso il raggiungimento degli obiettivi.
Da una parte, prima della citata accelerazione, è possibile identificare un tipo di economia se
vogliamo “più chiusa” , con profili cioè di globalizzazione, e dunque di interdipendenza dei
mercati, più contenuti rispetto a quelli attuali; un’economia che potremmo definire “frutto
moderno” della rivoluzione industriale, che influenza inevitabilmente l’anima delle
organizzazioni che operano in essa, ciascuna delle quali potrebbe essere ben rappresentata
metaforicamente come un grande macchinario di produzione, caratterizzato al suo interno da
un “regime normativo” e da un conseguente stile di leadership incentrato sul comando e sul
controllo; organizzazioni, queste, dove le persone rappresentano più un numero, uno dei
fattori della produzione, piuttosto che l’essenza stessa dell’organizzazione.
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Dall’altra parte troviamo, invece, un tipo di economia trasformata fortemente dalla
globalizzazione dei mercati1, dalla tecnologia dell'informazione e dunque da un continuo
mutare degli scenari futuri; di fronte all’insicurezza che ogni cambiamento comporta, e che
risulta ancor più evidente in uno scenario in continuo divenire, lo stile di leadership utilizzato
precedentemente, imperniato esclusivamente sul comando e controllo, non funziona più; la
relazione, e dunque l’interdipendenza all’interno delle organizzazioni, diviene la migliore
risposta al mutamento in atto, consentendo una gestione più efficace dell’insicurezza
generata proprio dal cambiamento continuo. Ecco allora che si profila una organizzazione
incentrata sulle relazioni, un’organizzazione che potremmo definire “vivente”, dove le
persone assumono un ruolo rilevante, tanto da caratterizzare la tipologia di leadership
utilizzata in tale contesto e che trova il suo fondamento, appunto, nella relazione.
Quello appena descritto è un passaggio cruciale per il tema di cui stiamo discutendo, che
evidenzia una dicotomia nel rapporto tra quantità e qualità da un lato e modi di esercitare il
potere nelle relazioni organizzative dall’altro, o, se vogliamo in modo ancor più specifico, una
dicotomia tra efficienza ed efficacia dell’azione organizzativa.
E’ in questo passaggio che si registra una maggior attenzione alla qualità della relazione ,
fortemente orientata a valorizzare quelle capacità individuali e di gruppo costituite dall'
apprendere e dal contribuire, mediante il coinvolgimento, all’efficienza e all’efficacia del
processo produttivo. E' un voler passare, in sostanza, da un modo di pensare e gestire il
disegno organizzativo esclusivamente in base ad organigrammi e job description, ad una
modalità di “costruzione quotidiana” dell’organizzazione, riferita alle persone, ai vincoli e
alle possibilità che scaturiscono dai loro comportamenti cooperativi. Ecco dunque emergere,
come rilevanti, le relazioni e i processi sociali attraverso i quali le persone “mettono in scena”
l’organizzazione, nonché la rilevanza del senso e del significato da cui l’azione organizzativa
è generata. L’organizzazione, dunque, diviene “forma di vita” e risulta essere costituita dalle
complesse relazioni tra coloro che la “abitano”.2 Si passa dunque da una forma di leadership
orientata al presidio della norma e della prescrizione ad un orientamento attento, invece, a
cercare vie di esercizio del potere atte a facilitare l’apprendimento e l’evoluzione, orientato a
moltiplicare le opzioni e le possibilità, capaci di tessere, attraverso un linguaggio condiviso,
trame di senso e di significato. E' un po' come entrare nel regno della possibilità, dove la
conoscenza si guadagna attraverso l’invenzione delle persone che costituiscono l’anima
dell’organizzazione.
1 Un fenomeno che, con i dovuti distinguo, è individuabile storicamente già al tempo della Roma Imperiale.
2 U.Morelli,La passione e la maschera
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Abbiamo visto sommariamente come nel periodo che precede il consistente aumento della
complessità del quadro economico globale, le organizzazioni fossero caratterizzate da un tipo
di stile incentrato sul comando e sul controllo e come la loro gestione fosse caratterizzata da
un esclusivo orientamento all'obiettivo. In tale contesto abbiamo rappresentato
metaforicamente questo tipo di organizzazioni come una macchina, che, in quanto tale, è
caratterizzata da sistemi semplici e precisi, programmabili e prevedibili. Ma la realtà non è
fatta soltanto di sistemi semplici. La mente degli esseri umani, che rappresentano il respiro
dell’organizzazione, non sembra funzionare infatti come una macchina. Mente e cervello,
sono sistemi complessi, che tendono a modificarsi nel tempo con cambiamenti non sempre
prevedibili e caratterizzati da adattamenti e discontinuità. Secondo questa prospettiva le
organizzazioni, proprio perché vive, più che essere, divengono3 e di fronte a tale mutamento,
le caratteristiche tipiche del governo imperniato esclusivamente sul comando e controllo non
producono più risultati apprezzabili nella maggioranza dei casi.
Nell’ambito del quadro appena descritto e di fronte all’insicurezza determinata dal richiamato
continuo mutare degli scenari futuri, è evidente, dunque, l’importanza che nelle
organizzazioni assumono le persone e le relazioni con e tra esse, e ciò vale, ancor più, nel
caratterizzare la leadership che su questo fa leva.
3) Le emozioni: elemento importante della nostra umanità
Nei paragrafi che precedono abbiamo cercato di descrivere, per sommi capi, il mutamento del
ruolo che le persone hanno assunto nel tempo nelle organizzazioni, il loro passare cioè da
semplice fattore della produzione ad elemento capace di distinguere un’organizzazione da
un’altra. Ma porre l’accento sulle persone vuol dire anche incentrare la leadership sulla
relazione con esse e prendere pertanto in considerazione quegli elementi che
contraddistinguono la natura umana, formandone parte integrante e che fanno di ogni essere
umano un unicum irrepetibile. E’ in questo contesto che vengono ad assumere un ruolo
decisivo le emozioni, alle quali ritengo doveroso, pertanto, dedicare il presente paragrafo, un
altra tappa del nostro viaggio verso la leadership emotiva. Sono convinto, d'altronde, che le
relazioni umane, concepite in un contesto di interdipendenza, consentano una più efficace
gestione dell'insicurezza generata da un situazione globale in continuo divenire, come quella
in cui oggi viviamo.
3 U.Morelli,op.cit.
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Il termine emozione richiama i sentimenti più profondi, le passioni e i desideri più intensi che
influiscono in modo decisivo sulle nostre vicende umane, guidano spesso le nostre azioni e i
nostri pensieri. Pensiamo a quella grande emozione che spinge un genitore a sacrificare la
propria vita per salvare quella del figlio amato, superando anche il proprio istinto di
conservazione. Se guardiamo ad un simile gesto sotto la luce della ragione potremmo
valutarlo come un atto discutibile ed irrazionale, ma se lo osserviamo con gli “occhi del
cuore” potremmo definirlo come l'unica scelta sensata possibile. Il termine “emozione”
affonda etimologicamente la propria radice nel verbo emoveo, dal latino scuotere ed è
declinato nel dizionario italiano4 come vivo e intenso turbamento, provocato da commozione
o da apprensione. Nel cercare di spiegare il ruolo fondamentale assunto nella psiche umana
dall'emozione, i sociobiologi indicano, come spiegazione possibile, il prevalere, nelle
situazioni più critiche della vita, del cuore sulla mente. Sono le emozioni a guidarci
nell'affrontare quelle situazioni e quei compiti che si configurano come troppo difficili e, allo
stesso tempo, particolarmente importanti per affidarne la gestione alla sola mente, al solo
intelletto. Emozioni, dunque, che nel corso della evoluzione umana hanno consentito la
sopravvivenza della specie, tanto da imprimersi nel nostro sistema nervoso come repertorio
comportamentale congenito e che trovano la loro sede nel “cuore”. E' innegabile pertanto che
l'uomo sia costituito da “mente e cuore” e omettere quest'ultima parte, vorrebbe dire
considerare l'essere umano per metà; molti avranno constatato come nei momenti in cui è
necessario decidere ed agire, i sentimenti giochino una parte importante, a volte decisiva.5
Non è questa la sede opportuna per passare in rassegna le singole emozioni ed i significati che
esse rivestono nel nostro vivere quotidiano, possiamo però concludere il presente paragrafo
facendo qualche breve considerazione in merito alla rapidità con cui le emozioni producono
un sentimento rispetto al tempo impiegato invece dal cervello ad organizzare una reazione ad
uno stimolo. La mente razionale, in effetti, ha bisogno di un tempo maggiore per registrare ed
elaborare le impressioni e scegliere l'azione più adatta; diverso invece è il meccanismo che
determina la produzione di un sentimento, specie quando ci si trova di fronte a quelle
situazioni di urgenza in cui è in gioco la sopravvivenza nostra o di persone a noi care. In
questi casi, infatti, la potenza da cui scaturiscono, con una rapidità senza pari, tali decisioni,
ci mobilita in un istante per fronteggiare quelle situazioni; in quei momenti i nostri sentimenti
più intensi non sono che reazioni involontarie, delle quali non possiamo decidere il momento
in cui insorgeranno. Esistono certamente tipi di reazioni emozionali più lenti di quella appena
4 Devoto-Oli, Vocabolario della lingua italiana
5 D.Goleman, Intelligenza Emotiva
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descritta, che crescono attraverso i nostri pensieri prima di esprimersi in un'azione; un
percorso che rimane, tuttavia, sempre più breve di quello elaborato dalla mente. Nel
concludere il presente paragrafo, possiamo riferire dunque il termine emozione ad un
sentimento e ai pensieri che da esso scaturiscono o in cui esso prende forma, alle condizioni
psicologiche e biologiche che lo contraddistinguono, nonché ad una serie di propensioni ad
agire; non è possibile tuttavia non condividere l'insufficienza delle parole di cui disponiamo
per esprimere appieno un'emozione.
4) L'intelligenza emotiva: cos'è
Abbiamo cercato, nelle righe che precedono, di dare un significato, seppure non esaustivo, al
termine emozione, di individuarne le principali finalità e ne abbiamo constatato la forza
prorompente. Ma perchè si è giunti a parlare di una “intelligenza” emotiva ? Quale è il
significato di tale termine ?
Abbiamo poc'anzi evidenziato la potenza delle emozioni, che in alcuni casi può trasformarsi
in una vera e propria tempesta interiore, capace di prendere il sopravvento e governare da sola
le nostre azioni. In questo caso si diventa schiavi di quell'emozione, si perde la libertà di
agire, di scegliere, per essere dominati da quel sentimento che prepotentemente si impossessa
e dirige i nostri pensieri e i nostri comportamenti.
Nell'antichità i romani consideravano una virtù la temperantia, termine con cui indicavano la
capacità di tenere a freno gli eccessi emozionali, una virtù che, nel pensiero cristiano,
assurgerà poi addirittura al ruolo di “dono dello Spirito Santo”. Appare però a questo punto
doverosa una precisazione in proposito. Se è legittimo considerare una virtù il mantenere in
equilibrio i propri sentimenti, ciò non equivale ad attribuire valore alla capacità di sopprimere
gli stessi. Pensiamo a quanto sarebbe opaca e piatta una vita priva di emozioni. Il significato
del termine “temperanza” sta, invece, proprio nel saper esprimere sentimenti proporzionati
alle circostanze, saper controllare le proprie emozioni, che è poi la chiave del benessere
psicologico di ogni individuo. D’altronde, a ben guardare, il controllo delle nostre emozioni è
un'attività che ci occupa molto spazio durante la giornata; pensiamo in proposito a come
molte nostre azioni (leggere, frequentare amici, andare a pesca), non siano altro che modalità
di controllo dei nostri stati d'animo.
Abbiamo affermato, nel precedente paragrafo, che ci è pressochè impossibile controllare
quando verremo travolti dalle emozioni e stabilire in anticipo quale di esse ci travolgerà.
E' possibile tuttavia controllarne la durata e l’intensità, visto che quando durano troppo a
lungo e risultano sproporzionate rispetto alla circostanza, le emozioni sono capaci di minare
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alla radice la nostra stabilità emotiva e dunque la nostra salute. Non è difficile che alcuni di
noi ricordino episodi, specie legati ad esami o concorsi sostenuti, durante i quali l'emozione
della paura abbia preso il sopravvento sulla concentrazione, annientando in tal modo la
capacità mentale; le risorse mentali impiegate nell'attività cognitiva della “preoccupazione”,
vengono infatti sottratte dalle risorse disponibili per elaborare altre informazioni; se in un
esame siamo preoccupati di non saper rispondere, presteremo meno attenzione alle risposte da
dare. D'altro canto è noto a molti di noi come i nostri sentimenti positivi quali l'entusiasmo, il
piacere, la speranza, la motivazione siano invece in grado di influire in modo, a volte
decisivo, sul successo del nostro agire. Questo meccanismo richiama un po' alla mente il
fenomeno della profezia che si autoavvera: quando cioè l’emozione induce pensieri capaci di
influire sulle nostre azioni e dunque sui risultati che da esse scaturiscono. Riflettiamo ad
esempio brevemente sugli effetti del sentimento positivo della speranza, vista come antidoto
ai mali della vita umana nella nota leggenda del vaso di Pandora che, per dovere di
completezza, riporto brevemente in nota6. La speranza rappresenta un emozione che si
esprime nel non cedere ad un ansia tale da sopraffarci, nel non assumere atteggiamenti
disfattisti, nel non arrendersi alla depressione di fronte ad imprese difficili o ancor più
all'insuccesso; un emozione, dunque, che ci da l’opportunità di proseguire il cammino per
realizzare quanto ci siamo prefissati.
Ma v’è di più. Dopo anni di studi e di sperimentazioni alcuni ricercatori hanno scoperto
l’esistenza di un legame tra il cervello e il sistema immunitario, un vero e proprio contatto
fisico che consente alle cellule nervose di liberare i neurotrasmettitori necessari alla
regolazione delle cellule immunitarie; una scoperta, questa, suffragata poi da ulteriori studi
che hanno evidenziato il collegamento che si esercita fra le emozioni e il sistema immunitario
attraverso l’influenza esercitata dagli ormoni liberati in condizioni di stress. Ciascuno di noi,
senza andare troppo lontano, può constatare il collegamento esistente tra le emozioni e gli
effetti che esse possono avere su tutta la persona; è il caso della meravigliosa emozione
rappresentata dall’innamoramento, quando i riflettori della nostra mente illuminano un’unica
immagine: quella di lei (o di lui) e tutto il resto rimane sullo sfondo. Di fronte a questa
“magica” condizione emotiva, nel nostro cervello aumenta il livello di dopamina, un
neurostrasmettitore responsabile dell’attenzione e dell’azione, che stimola e modula il
passaggio del segnale nervoso tra una cellula e l’altra. E’ dimostrato che alti livelli di
6Pandora era una principessa greca che ricevette in dono un vaso misterioso, la quale , nonostante l'ammonimento a non aprirlo, cedette alla
curiosità e ne sollevò il coperchio, liberando all'esterno le grandi piaghe del mondo come le malattie, i turbamenti e la follia; l'unico antidoto
a tutto ciò risiedeva sul fondo del vaso ed era rappresentato appunto dalla speranza.
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dopamina producono energia, iperattività, perdita del sonno e dell’appetito, batticuore e
tremore…non sono forse queste manifestazioni tipiche proprio di quell’emozione che va sotto
il nome di “innamoramento” ?7
Attraverso le righe che precedono abbiamo potuto renderci conto dell’importanza che le
emozioni hanno sulle persone, ma al contempo della potenza prorompente che esse possono
avere sulla nostra vita. Questo ci fa comprendere d’altro canto quale risorsa possa
rappresentare la capacità di dominare e gestire le proprie emozioni per poter raggiungere
qualunque obiettivo prefissato; una capacità in cui si sostanzia quel particolare tipo di
intelligenza che va, appunto, sotto il nome di intelligenza emotiva. Questa, come vedremo in
seguito, si compone di quattro dimensioni, che costituiscono poi i tratti tipici della leadership
oggetto del presente lavoro.
E’ interessante evidenziare, a questo punto, il risultato di numerose ricerche secondo il quale ,
sul lungo periodo, l'intelligenza emotiva determina in maniera più rilevante, rispetto
all'intelligenza mentale, l'efficacia della comunicazione, delle relazioni e della leadership;
Daniel Goleman nel suo libro “lavorare con l'intelligenza emotiva” dice in proposito che “in
ogni campo la competenza emotiva è due volte più importante della pura capacità cognitiva.
Per ottenere il successo ai massimi livelli , nelle posizioni di leadership, la competenza
emotiva rappresenta un vantaggio assoluto...Poichè le competenze emotive costituiscono due
terzi o più degli ingredienti necessari per un'esecuzione eccellente, i dati suggeriscono che
trovare persone che posseggano queste capacità, o svilupparle nei propri dipendenti,
aggiunga un valore formidabile ai profitti di un'azienda. Quanto ? In lavori semplici come
l'operaio o il commesso coloro che si trovano nel primo percentile dal punto di vista della
competenza emotiva, sono stati tre volte più produttivi. Per lavori di media complessità, come
gli addetti alle vendite o i meccanici la persona più competente emotivamente è dodici volte
più produttiva. Di certo la teoria dell'intelligenza emotiva è destabilizzante per coloro che
hanno ancorato la propria strategia di successo alla pura intelligenza mentale. Una persona
può avere un quoziente intellettivo da dieci punti, ma se a livello emotivo raggiunge solo due
punti può, per questo, non essere in grado di relazionarsi costruttivamente con gli altri.
Queste persone possono certamente compensare tale carenza facendo eccessivo affidamento
sul loro intelletto e facendosi prestare la forza dalla loro posizione formale. Ma così facendo
spesso esasperano la loro debolezza e, interagendo, anche la debolezza altrui. D'altronde,
prendere forza in prestito, crea debolezza in noi stessi, negli altri e dunque nelle relazioni.
7 P. Angela, Ti amerò per sempre, Milano, 2005
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Ritengo che sviluppare o rafforzare quella che abbiamo definito nel precedente paragrafo
come intelligenza emotiva, rappresenti una delle sfide più grandi che sono chiamati ad
affrontare non solo i leader, ma anche i genitori.8
La prossima tappa del nostro viaggio immaginario verso la leadership emotiva, ci condurrà
all’interno della nostra struttura cerebrale. Ritengo infatti opportuno dedicare ad essa, senza
alcuna pretesa esaustiva, qualche cenno a quelle parti del cervello che più da vicino
interessano il nostro tema. L’intento è quello di fornire al lettore alcuni elementi che gli
consentano di meglio comprendere il proseguo del nostro percorso.
5) Brevi cenni sulla nostra struttura cerebrale
Nel paragrafo che abbiamo dedicato alle “emozioni” abbiamo affermato come sia innegabile
che l'uomo sia costituito da “mente e cuore”. Questo binomio mi richiama alla mente
l'immagine di un aquila che si libra nell’aria utilizzando in modo perfetto, sapiente e
spettacolare le sue due ali, che gli consentono di sfruttare al meglio le correnti che incontra e
di dirigere il suo volo dove essa vuole. Allo stesso modo, l’uomo ha a disposizione le due ali
della “mente” e del “cuore”, che, se utilizzate in modo armonioso, possono consentirgli di
trarre il meglio da ogni tipo di “corrente” che la vita gli riserverà. E’ un discorso, questo, che
ci tornerà utile riprendere quando entreremo definitivamente nell’ultima tappa del nostro
viaggio: quella della leadership emotiva.
L’immagine appena richiamata mi consente, per il momento, di introdurre visivamente la
distinzione, in senso verticale, dei due emisferi che costituiscono il nostro cervello. Anni di
studi e di ricerca hanno confermato che l’emisfero sinistro è quello deputato alle operazioni
logico/verbali, mentre quello destro è il più intuitivo, quello deputato alla creatività. Il sinistro
ha a che fare con le parole, quello destro con le immagini. L’analisi, e in sostanza tutte le
operazioni logiche di scomposizione, sono deputate all’area cerebrale sinistra, mentre a quella
8 S.Covey, L'ottava regola., Milano 2008
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di destra compete la capacità di relazionarsi con l'intero, del mettere insieme le singole parti.
Se, infine, l’emisfero sinistro è vincolato dal tempo, il destro è invece libero dalle limitazioni
temporali.
E' evidente come la chiave stia tuttavia nel rispettare entrambi gli emisferi ed esercitare la
libertà di scelta nello sviluppo e nell'uso delle loro capacità peculiari. Coniugare in sostanza
pensiero e sentimento migliora l'equilibrio e il giudizio e aumenta la saggezza ( l'intuizione
dirà alla mente pensante dove guardare in seguito, afferma il dott. J. Salk, scopritore del
vaccino contro la poliomelite).
Alla distinzione strutturale del cervello in senso “verticale”, cui abbiamo fatto cenno nelle
righe che precedono, se ne affianca tuttavia un'altra che si sviluppa a livello orizzontale.
Sulla base dei dati raccolti per decenni, possiamo infatti oggi affermare che la parte più
primitiva del cervello dell’uomo è il tronco cerebrale che circonda l’estremità del midollo
spinale. Ad essa fanno riferimento tutte le funzioni vegetative fondamentali come il respiro e
il metabolismo degli altri organi, nonché le reazioni. A questa parte del cervello è deputata
soprattutto la responsabilità di mantenere il corretto funzionamento e l’appropriata reattività
dell’organismo, per assicurarne la sopravvivenza. E’ il tipo di cervello che dominava nell’Era
dei Rettili e , proprio per questo, quest’area cerebrale viene indicata come quella rettiliana. Da
questa struttura molto primitiva si svilupparono i centri emozionali, dai quali , milioni di anni
più tardi, nel corso dell’evoluzione umana, si evolsero le aree del cervello che costituiscono il
livello cerebrale superiore, quello pensante, quello che oggi chiamiamo sistema corticale
della struttura cerebrale.
In sostanza possiamo affermare che quest'ultima parte del cervello si è sviluppata proprio da
quella emozionale e questo ci fornisce una chiave di lettura importante dei rapporti che
intercorrono fra pensiero e sentimento.
Alla luce di quanto appena affermato è possibile, dunque, distinguere orizzontalmente tre
differenti aree del cervello poste a tre differenti livelli, che, per maggior chiarezza, riporto di
seguito:
Sistema corticale: è l'area del cervello in cui troviamo la capacità di problem solving, di
analisi, di correttezza della forma, di diplomazia; è la parte più alta, quella della corteccia
cerebrale, quella “storicamente” più recente.
Sistema rettiliano: è l'area posizionata alla base della nostra struttura cerebrale ed è quella più
primitiva; è la parte del nostro cervello che ci mette in reattività con l’ambiente (il fuggire al
rumore o all’olfatto);
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Sistema limbico: si è sviluppato dal sopradescritto sistema rettiliano e, a sua volta, ha dato
luogo allo sviluppo del sistema corticale. E’ la parte più critica di noi; è, se vogliamo, il nostro
problema; è infatti lì che attingiamo nell’istintività; questo sistema circonda e delimita il
tronco cerebrale come un anello e, proprio per questo, è stato denominato “sistema limbico”
(dal latino limbus che vuol dire anello). Questo nuovo territorio neurale, nel corso
dell'evoluzione dell'uomo, aggiunse al repertorio cerebrale, le emozioni che gli sono proprie.
Come già accennato, il sistema limbico rappresenta la fonte da cui si sono sviluppate le parti
“più recenti” del cervello. Nella parte inferiore del sistema limbico risiede l’amigdala,
costituita da un gruppo di strutture interconnesse poste poco sopra il tronco cerebrale. Questa
particolare parte del cervello, che assume per il nostro tema un rilevante significato, era una
delle parti fondamentali; è proprio da essa, infatti, che ebbe origine la neocorteccia, la parte
cioè “più alta” della nostra struttura cerebrale. Proprio per questo motivo, i centri emozionali
hanno l’immenso potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre aree del cervello,
compresi i centri del pensiero, cui sono strettamente collegate attraverso una miriade di
circuiti di connessione.
L'amigdala rappresenta, in particolare, la sede delle questioni emozionali, ma ad essa è legato
qualcosa di più dell’affetto: tutte le passioni, infatti, dipendono da questa parte del nostro
cervello; ciò che però assume maggior rilievo, nel contesto del presente lavoro, è che la sua
attività e la sua interazione con la neocorteccia, sono al centro di quella che abbiamo poc'anzi
definito come intelligenza emotiva.
6) La leadership
Nel presente paragrafo tratteremo della leadership in generale, l'ultima tappa che ci separa
dalla meta finale del nostro viaggio immaginario.
Leadership deriva dal verbo inglese to lead, traducibile in italiano con “andare per primo”,
che è poi l'esatto contrario di quanto a volte, purtroppo, accade tra i “capi”, quando questi
mandano avanti, invece, i propri collaboratori, in modo che siano questi ultimi ad esporsi,
magari attraverso un “opportuno” utilizzo dell’istituto della delega nelle funzioni più
“scomode”; leadership, dunque, vuol dire crescere insieme per raggiungere un determinato
risultato e mantenerlo.
A tal proposito, vorrei partire anzitutto da una considerazione in merito ai leader attuali, o
presunti tali. E' facile constatare oggi quanto sia difficile sentir utilizzare dai collaboratori
parole di sincero apprezzamento verso il proprio capo. Quello che solitamente si ascolta,
invece, sono una serie di continue lamentele nei confronti del proprio superiore (se qualcuno
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di noi utilizza il trasporto pubblico potrà rendersi conto di quanto sto affermando). Questo ci
induce a riflettere su quanto oggi sia difficile individuare la leadership nel proprio superiore.
Potremmo affermare, dunque, che in più di un caso, alla nomina di “Capo” non corrisponde
poi, da parte dei suoi collaboratori, il riconoscimento “sul campo” dello stesso come leader,
un riconoscimento che non può essere attribuito “formalmente”, ma che si “guadagna”
quotidianamente: mentre infatti il capo è nominato dai vertici, il leader è scelto, approvato e
gradito. Quanto appena affermato trova, purtroppo, ulteriore conferma nei risultati
dell'indagine da me condotta su un modesto campione di dipendenti pubblici; come già
evidenziato all'inizio del presente lavoro, dalla suddetta ricerca è emerso che solo il 25 %
degli intervistati ha ritenuto di poter riconoscere nel proprio superiore gerarchico un leader.
Oggi alla leadership di qualsiasi organizzazione, si richiede di guidare le persone verso il
cambiamento, mentre è lasciato al management il compito di gestire il denaro, i flussi di
cassa, i costi, gli inventari e dunque di esercitare il controllo e assicurare la continuità della
stessa. E' opportuno evidenziare in proposito come leadership e management siano due realtà
ben distinte tra loro, con ruoli e responsabilità differenti, ma ugualmente importanti. In
un'epoca di grandi e continui cambiamenti degli scenari futuri come quella attuale, alla
leadership si chiede infatti di gestire il cambiamento, di sviluppare l'autonomia delle persone e
la loro coesione. Potremmo affermare in definitiva che, se il management è incentrato sulle
cose, la leadership è focalizzata sulle persone: mentre le cose si gestiscono, le persone si
conducono. Questo è dunque il risultato atteso oggi da chi esercita la leadership, un risultato
che, come abbiamo accennato nel secondo paragrafo del presente lavoro, è mutato nel corso
del tempo: se infatti alla leadership era chiesto inizialmente il rendimento e dunque la
garanzia del rispetto della disciplina, si passò, in un secondo momento storico, a chiedere ad
essa di garantire le buone relazioni umane, per assicurare il rendimento e, al contempo, il
morale alto nel personale.Quello che oggi è invece richiesto alla leadership è qualcosa in più:
garantire, oltre al rendimento, la partecipazione dei lavoratori attraverso il loro
coinvolgimento.
Ma in che modo è possibile coniugare il termine leadership e quali sono le azioni che ne
costituiscono l'accezione profonda? Quale definizione possiamo darle ?
Per rispondere alle domande poste, passeremo in rassegna alcuni dei principali aspetti
attraverso i quali la leadership si esprime e cercheremo, in tal modo, di toccarne le
caratteristiche più importanti.
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6.1) Le coniugazioni della leadership: leadership è ...determinare il corso degli eventi (Chi non conosce l'obiettivo non può sapere come raggiungerlo, Morgenstern)
Nell'organizzazione della nostra vita, talvolta, perdiamo di vista la natura della vita stessa,
oppure, come dice Aristotele, ci addentriamo in uno spazio senza limiti. In questi casi, gli
obiettivi e la direzione da seguire per raggiungerli non sono così scontati, né predeterminati.
E' necessario non solo scegliere gli obiettivi, ma individuare il percorso che ad essi conduce.
La determinazione degli obiettivi e l’individuazione della direzione da seguire, richiede al
leader una percezione chiara della possibile destinazione. Senza determinare l'obiettivo e la
direzione da seguire non è possibile orientare il corso degli avvenimenti. Quando i
partecipanti ad un processo non hanno ben chiaro l'obiettivo comune verso cui dirigere le
proprie “energie”, il suo raggiungimento diventa, infatti, un compito impossibile. Obiettivo e
direzione si determinano, dunque, reciprocamente in un'interazione costante.
6.2) Le coniugazioni della leadership: leadership è...comunicazione (“Il dialogo rinfranca ancor più della luce” Goethe)
Leadership significa comunicare con le persone. In un rapporto gerarchico la comunicazione è
unilaterale e dunque non può essere, a mio parere, definita tale, proprio perchè manca una
parte fondamentale: quella dell'ascolto reciproco, del dialogo. Oggetto di questo tipo di
comunicazione può essere l'assegnazione di un compito, la discussione su un lavoro svolto e
sui risultati ottenuti o, ancora, la valutazione delle prestazioni. Rimane però una
“comunicazione” che potremmo definire di tipo “verticale”. Il leader può tuttavia svolgere il
proprio ruolo anche in un rapporto non gerarchico e instaurare una comunicazione di tipo
“orizzontale”. In questo caso, l'oggetto della comunicazione può essere la professionalità e la
qualità del processo lavorativo, la collaborazione con i colleghi, lo scambio di conoscenze.
Comunicazione orizzontale significa dialogo e un dialogo è un processo che produce valore
solo quando tutti gli interlocutori si arricchiscono. Ma v'è di più: attraverso il dialogo è
possibile raggiungere una maggiore consapevolezza anche delle proprie opinioni.
6.3) Le coniugazioni della leadership: leadership è...movimento (L'arte scaturisce dalla gioia. Ehrlich)
Leadership non significa “darsi molto da fare”, non significa lavorare sodo, ma piuttosto “non
fare”. Vediamo in che termini. Si tratta in sostanza di attivare un processo al quale altri
possano partecipare. Essere leader significa mettere gli altri “in movimento”, significa
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incoraggiarli a partecipare e a dare il proprio contributo al processo di crescita e di
cambiamento dell'organizzazione. Se i collaboratori non vengono incoraggiati a partecipare,
essi vengono privati di un'opportunità di crescita. Leadership dunque significa incoraggiare i
propri collaboratori affidando loro compiti specifici, coinvolgerli in un nuovo processo ed
introdurli in una nuova “comunità” di persone. In tal modo si crea un nuovo campo di
esperienze nel quale gli individui vengono messi in condizione di compiere dei progressi,
rimanendo al contempo al passo con i continui cambiamenti del mondo che li circonda.
6.4) Le coniugazioni della leadership: leadership è...dare un senso (“tutto ciò che noi essere umani realizziamo non ha alcun senso se non quello che noi stessi vi
attribuiamo”Bekman)
Siamo noi a dover dare forma e significato alle cose, compreso il risultato del nostro lavoro.
Se qualcuno costruisce una casa, quella costruzione avrà senso solo se ci sarà un altro che la
abiterà e che, abitandola, darà così valore al lavoro di chi l’ha edificata. Attraverso le nostre
idee e i nostri pensieri possiamo dare senso e significato alle nostre azioni. Nel dirigere
un’organizzazione, il leader formula una missione e una visione e dà forma concreta al
processo di elaborazione della visione stessa.
6.5) Le coniugazioni della leadership: leadership è...creare le condizioni quadro (“Il maestro si manifesta nelle difficoltà”. Shiller)
Il leader infine è colui che pone le basi e crea le condizioni quadro delle attività da svolgere e
ne delimita i confini. Il quadro mentale che il leader deve possedere può giocare un ruolo
particolarmente influente verso i propri collaboratori. In tutte le cose potremmo dire che esiste
una prima creazione, quella mentale, ed una seconda creazione, quella fisica in cui la prima si
traduce e si realizza. Nel creare le condizioni quadro, quelli anzidetti rappresentano due
passaggi imprescindibili. Il leader, prima delinea nella sua mente il progetto di ciò che vuole
costruire (prima creazione) e, successivamente, determina le condizioni quadro perché questo
si realizzi (seconda creazione). Obiettivi, direttive, presupposti, strategia, missione: sono
questi gli elementi che compongono il quadro mentale, la forma mentis del leader, il suo
orientamento, la sua “via percorribile”; in poche parole la sua prima creazione; una sorta di
carta geografica mentale, che si distingue nettamente da quello che potremmo invece definire
come il quadro fisico e materiale che comprende la postazione di lavoro, la tecnologia, gli
strumenti a disposizione e i sistemi operativi. Il dirigente leader è colui che indica dunque ai
propri collaboratori un orizzonte per raggiungere il quale essi svilupperanno autonomamente
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processi personali9, attraverso i quali si realizzerà quella che abbiamo definito seconda
creazione.
6.6) La leadership: proviamo a darne un definizione
Ritengo doveroso, nel chiudere il presente paragrafo, cercare di elaborare una definizione di
leadership che sappia raccogliere in gran parte le principali azioni con cui l'abbiamo coniugata
nei paragrafi precedenti. A mio parere potremmo a tale scopo definirla come un processo di
influenza, caratterizzato dalla capacità di guidare le persone, attraverso un percorso condiviso,
verso obiettivi efficacemente indicati e creando intorno ad essi un consenso volontario e
motivato 10
.
7) La leadership emotiva
Siamo giunti all'ultima tappa del nostro viaggio immaginario e ci apprestiamo pertanto ad
entrare definitivamente nella dimensione della leadership emotiva. Riserveremo ai prossimi
due paragrafi la descrizione delle singole dimensioni che la contraddistinguono e
accenneremo agli stili attraverso i quali la leadership può essere esercitata. Tutto il percorso
che ci siamo lasciati alle spalle, ogni singola tappa che abbiamo condiviso, ci tornerà utile per
comprendere meglio il significato della dimensione che ora andremo ad esplorare.
Abbiamo cercato di declinare prima, e definire poi, il concetto di leadership e abbiamo anche
visto, nei paragrafi precedenti, quale ruolo questa è chiamata a svolgere nelle organizzazioni.
Con il conforto di alcuni dati abbiamo avuto modo di constatare come nella realtà l' essere
capo può non corrispondere anche all'essere leader. Certamente ci sono dei comportamenti
che identificano un buon leader e che abbiamo cercato di delineare nel paragrafo precedente.
Dobbiamo però ammettere che esistono delle persone che hanno la particolare capacità di
esercitare una forza tangibile sulle reazioni emotive di coloro che li circondano. Sono quelle
persone che riescono a “trasmettere” agli altri il proprio stato d'animo e il proprio orizzonte.
Chi ha avuto l'opportunità di incontrare queste persone riesce certamente a visualizzare
concretamente ciò di cui parlo. Mi rimase impresso, a tal proposito, quanto detto da un mio
dirigente riguardo al capo del personale dell'azienda per cui lavoro: “..dopo averci parlato
qualche minuto, ti senti carico di entusiasmo e di ottimismo...”; nel proseguo del tempo, ho
potuto constatare, attraverso l'esperienza personale, la veridicità dell'impressione rivelatami
da quel dirigente.
9 Adrian Bekman, la leadership si rivolge alle persone
10 Sarchielli
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Le persone di cui discutiamo sono quelle che trasmettono dunque entusiasmo e positività a
chi sta intorno, che lasciano negli altri la convinzione e la volontà di proseguire la loro
opera11
. Potremmo definirli come coloro che hanno la capacità di generare quella che va sotto
il nome di risonanza emozionale, che hanno la capacità di mantenere alto il morale dei propri
collaboratori, favorendone la motivazione e l'impegno.12
Abbiamo parlato precedentemente delle emozioni e di cosa vuol dire intelligenza emotiva, ne
abbiamo compreso l'importanza. Ebbene, la funzione emotiva del leader, e tutto ciò che è ad
essa collegato, può essere considerata fondamentale, in quanto costituisce l'elemento più
importante della leadership. Vediamo insieme il perché di quanto ho appena affermato.
Fin dagli albori dell'umanità i leader hanno sempre ricoperto un ruolo emotivo nel gruppo, sia
che esso fosse una tribù o un diverso tipo di comunità di persone. Ma cosa cercano gli altri nel
leader ? Qual'è il bisogno che spinge i membri di un gruppo ad identificarne e sceglierne
uno? Nella figura del leader si cerca un riferimento, qualcuno che rassicuri e al contempo
guidi di fronte all'incertezza, al pericolo o, più semplicemente, di fronte alla necessità di
portare a compimento un progetto. Nel leader le persone cercano un contatto che possa dare
loro un sostegno emotivo, cercano in sostanza l’“empatia”. Vedremo in seguito più da vicino
il significato di questa parola, che costituisce uno degli elementi portanti della leadership
emotiva. Possiamo affermare con certezza che, seppure un capo riesce ad eseguire tutto alla
perfezione, a far rispettare le prescrizioni, ma non è in grado di orientare le emozioni nella
giusta direzione, tutto quello che ha intrapreso non funzionerà come avrebbe potuto o dovuto
e non resisterà all'erosione del tempo.
Nel paragrafo dedicato alla struttura del cervello, abbiamo parlato del sistema limbico come la
sede dei nostri centri emozionali, che, più precisamente, “abitano” l'amigdala. Daniel
Goleman definisce il sistema limbico come un “circuito aperto”, un circuito, cioè, che
dipende, in larga misura, dagli influssi esterni. Una conferma in tal senso viene da alcune
ricerche condotte nelle unità di terapia intensiva che hanno dimostrato come il conforto
costituito dalla presenza di un'altra persona, oltre ridurre la pressione sanguigna del paziente,
rallenti la produzione degli acidi grassi responsabili dell'occlusione delle arterie. Ma v’è di
più: è stato dimostrato che il tasso di mortalità di persone che abbiano subito tre o più eventi
di particolare intensità stressogena nel corso di un anno e che sono rimaste isolate, è tre volte
superiore rispetto a quello di coloro che, pur avendo vissuto il medesimo stress, potevano
contare invece su una fitta rete di relazioni sociali. Nel linguaggio scientifico il sistema
11
Walter Lipmann. 12
D.Golemann,Essere leader
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limbico viene descritto come una funzione di “regolazione interpersonale”, attraverso la
quale l'individuo trasmette segnali in grado di modificare i livelli ormonali, le funzioni
cardiovascolari, i ritmi sonno-veglia e persino la funzione immunitaria di un'altra persona. E'
lo stesso meccanismo che si innesca quando gli innamorati influenzano nel partner, l'aumento
di ossitocina nel cervello. Questa interrelazione tra le persone non si innesca ovviamente
soltanto nelle relazioni amorose, ma si esplica in ogni aspetto della vita sociale dove, il nostro
sistema limbico, ci rende permeabili agli influssi esterni, consentendo agli altri di modificare
la nostra fisiologia e, dunque, di influenzare le nostre emozioni. E' facile comprendere, alla
luce di quanto appena affermato, quanto possa essere decisiva, per il successo di un'azienda,
la capacità di un leader di infondere entusiasmo, spirito di corpo, energia, fiducia
nell'organizzazione. Un leader che riesce a spingere il proprio gruppo verso l'obiettivo,
attraverso la costruzione di un clima positivo, rappresenta, infatti, una risorsa preziosa per
ogni azienda.
Nel suo libro “essere leader”, Goleman parla di leadership risonante, individuando con essa
la capacità di un leader di entrare in sintonia con i suoi interlocutori, di “vibrare” alla loro
stessa frequenza e orientarli, perciò, verso uno stato d'animo positivo. Grazie ai miei genitori,
entrambi musicisti, ho avuto l'opportunità di studiare uno degli strumenti più belli e
“risonanti” esistenti: il violoncello. Se facciamo vibrare a vuoto una delle quattro corde di cui
è composto, ad esempio quella accordata sul suono più grave, il Do, è possibile vedere come
tutte le altre vibrino anch'esse; si dice, in gergo musicale, che le altre corde vibrano “per
simpatia”. Ma v'è di più: quando suona quello strumento, l'artista sembra che vibri alla
“stessa frequenza” delle note della sua esecuzione, diviene un tutt’uno con il suo strumento; è
come se la “risonanza” della cassa armonica (nel nostro caso del violoncello) trovi
un'ulteriore risonatore nei centri emozionali dell'artista medesimo. Ma non finisce qui.
Quando si crea questa risonanza “a due” tra l'artista e il suo strumento, l'effetto che ne
consegue si propaga intorno ed è capace di generare, in chi ascolta, un'ulteriore risonanza, che
rafforza e prolunga l'emozione generata. Quante volte durante le esecuzioni di un brano
cantato, dove la risonanza che si crea non passa per uno strumento esterno ed è pertanto ancor
più “diretta”, mi è capitato di veder gente commuoversi. In quel momento l'artista ha messo
le corde del suo “cuore” in sintonia con quelle di chi ascolta ed è avvenuto qualcosa di
inspiegabile e al contempo di meraviglioso: si è innescato un “intimo scambio di sentimenti”,
un dialogo profondo, un ascolto reciproco, “qualcosa” che va oltre il suono. Ecco, credo che
questo possa aiutarci a descrivere un po' quello che succede e che si intende con il termine
“risonanza”.
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Il leader che riesce a toccare le corde giuste, sintonizzando le proprie con quelle dei suoi
collaboratori crea l'effetto sopra descritto, crea cioè risonanza; un fenomeno fisico grazie al
quale un suono viene rafforzato o prolungato per riflessione o, più specificamente, per
vibrazione sincrona. A livello umano potremmo ritrovare lo stesso fenomeno tutte le volte che
due persone siano emotivamente sulla medesima lunghezza d'onda, tutte le volte che ci
sentiamo in sintonia con qualcuno; una “sintonia” che risuona, prolungando l'intensità
dell'emozione. Un leader che è in grado di mettere in atto e gestire questo complesso
“dialogo emotivo”, genera entusiasmo, energia, senso di appartenenza e riduce al minimo il
rumore all'interno dell'organizzazione in cui opera. Condizione essenziale, perché ciò
avvenga, è però l’autenticità delle emozioni espresse dal leader.
Abbiamo visto nel paragrafo dedicato alla leadership in generale, che questa richiede al
leader di avere la percezione chiara della possibile destinazione verso cui guidare i
collaboratori, di avere la capacità di comunicare, ma quando parliamo di leadership emotiva
andiamo oltre tutto questo...una cosa è infatti ascoltare, un'altra è ascoltare empaticamente;
una cosa è conoscere l'obiettivo da raggiungere, altro è avere una visione di ciò che deve
essere realizzato e ancora, un conto è incoraggiare gli altri, altro è ispirare gli altri,
svilupparne le potenzialità e comunicare ai propri collaboratori il loro valore e il loro
potenziale in maniera tanto chiara, da far sì che li “vedano” in loro stessi.
La leadership appena descritta, che Goleman definisce “risonante”, affonda le sue radici
nell’intelligenza emotiva. La persona che esercita una leadership “risonante”, in definitiva,
utilizza l’intelligenza emotiva nelle sue quattro dimensioni ed è per questo che ritengo che
quella leadership possa essere, a giusto titolo, anche denominata” leadership emotiva”.
Approfondiremo, nel paragrafo successivo, le dimensioni in cui si coniuga l’intelligenza
emotiva, poiché sono esse che, in ultima analisi, caratterizzano la leadership emotiva
8) Le dimensioni dell'intelligenza emotiva: i tratti che contraddistinguono la leadership
emotiva.
Con le pagine seguenti faremo un altro passo all'interno di quella leadership che, per i motivi
poc’anzi esposti, abbiamo denominato “emotiva”.
Vedremo cosa un leader deve mettere in atto per creare risonanza, esercitando dunque la
leadership emotiva.
Preme evidenziare, tuttavia, che l'ordine in cui prenderemo in considerazione ogni singola
dimensione non è casuale; ognuna, infatti, rappresenta una tappa di una sorta di percorso
logico, attraverso il quale passa la costruzione della leadership emotiva.
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Le prime due dimensioni che considereremo (Consapevolezza di sè e Gestione di sé) sono
incentrate sul “sé”, mentre le ultime due (Consapevolezza sociale e Gestione delle relazioni
interpersonali) sulla relazione con gli altri.
8.1) La consapevolezza di sé (“Ciò che abbiamo dietro di noi e ciò che abbiamo davanti a noi, è irrilevante rispetto a ciò che abbiamo
dentro” Oliver Wendell Holmes)
Avere consapevolezza di sé vuol dire possedere una profonda conoscenza dei propri valori e
delle proprie emozioni, dei propri punti di forza e di debolezza; tutto questo genera e rafforza
la fiducia in sè.
Prendere coscienza anzitutto dei propri valori vuol dire gettare le fondamenta di qualunque
piano di crescita personale. E’ questo il motivo per cui ritengo opportuno riservare qualche
riga in più alla dimensione della “consapevolezza di sé”. I leader consapevoli hanno piena
coscienza dei propri valori e obiettivi, sanno cos'è che trovano giusto e sono capaci, per
esempio, di rifiutare con fermezza e determinazione un'offerta particolarmente vantaggiosa,
proprio perchè in conflitto con quelli che sanno essere i propri valori. Ma quali sono i nostri
valori ?
Per individuare i propri valori, il leader, come ciascuno di noi, deve mettersi in ascolto, deve
stabilire un contatto con il proprio sistema interiore di guida, che, come abbiamo visto, è
situato nel “cuore” del nostro “cervello”. “Là dove è il tuo tesoro, recita il vangelo, sarà
anche il tuo cuore”13
. In poche parole dobbiamo trovare il “centro” della nostra vita, il luogo
attorno al quale tutto acquisisce per noi significato. Per fare la “propria conoscenza” ciascuno
di noi deve prendere in considerazione ciò che indica la direzione ai propri passi, alle nostre
scelte; deve trovare la lente attraverso cui, in sostanza, vede il mondo.
Diverse sono le occasioni e le opportunità che consentono di prendere coscienza dei valori
che muovono la nostra esistenza: una di queste potrebbe essere quella di “cominciare
pensando alla fine”, iniziare cioè con il comprendere la nostra destinazione. Questo vuol dire,
in poche parole, prendere in considerazione il nostro “capolinea”, sapere dove è diretta la
nostra vita e individuare ciò che di noi vorremmo restasse. Questo ci consentirebbe di
comprendere meglio dove ci troviamo ora e far sì che i passi da noi compiuti siano sempre
verso la direzione giusta.
Pensiamo quante volte le persone ottengono vittorie vuote di significato, spesso a spese di
cose a cui, improvvisamente, si riconosce poi un valore di gran lunga più grande. Queste
13
Lc 12,34
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stesse persone sono determinate nel raggiungere l'obiettivo di un reddito più alto, di un
maggior riconoscimento o di un certo grado di competenza professionale, profondendo
impegno ed energie, per scoprire poi che, quanto speso per conseguire tali obiettivi, è stato
sottratto a ciò che in realtà contava di più e che è divenuto, ormai, irrimediabilmente perduto.
Questo purtroppo è ciò che accade a chi non ha piena consapevolezza dei propri valori. Può
accadere infatti, di prendere decisioni capaci di scatenare delle vere e proprie tempeste
interiori, proprio in quanto contrarie a quei valori che albergano comunque dentro ciascuno di
noi, ma dei quali non si è preso coscienza.
Una volta individuato invece ciò che conta veramente per noi, la nostra vita assume una veste
diversa. Quei principi costituiscono il nostro “centro” e, dunque, la nostra “bussola”.
Condurre una vita in linea con i valori di cui abbiamo consapevolezza, accresce la fiducia in
sé, che è uno degli elementi fondamentali per raggiungere una piena “consapevolezza di sé”.
I principi o valori di cui parliamo rappresentano verità profonde, fondamentali, verità eterne,
denominatori comuni universali e, per questo, possono essere definiti come “giusti principi”.
Sono questi che dobbiamo andare ad intercettare. Quei principi, infatti, diversamente da altri
“centri” basati su persone o cose soggette a frequenti cambiamenti, non cambiano mai e su
essi è possibile fare sempre affidamento; non divorziano da noi, né fuggono con il nostro
miglior amico, non cercano di ingannarci, non ci facilitano la strada con scorciatoie e non
dipendono dal comportamento di terzi, dall'ambiente o dalla moda del momento per essere
validi. I nostri valori non muoiono e non possono essere rubati. Essi, anche in mezzo a
persone o circostanze che sembrano ignorarli, possiamo essere certi che sono più grandi degli
uomini e delle circostanze e che migliaia di anni di storia li hanno visti trionfare infinite volte.
Ancora più importante, per il tema che affrontiamo, è però la certezza di poterli convalidare
nella nostra vita attraverso la nostra esperienza; questo ci consente, inoltre, da una parte di
prendere coscienza dei nostri limiti ed dei nostri punti di forza e, al contempo, di continuare
ad accrescere la fiducia in sé. Se ciascuno di noi è però libero di scegliere le proprie azioni
sulla base della conoscenza dei propri principi, non è però altrettanto libero di scegliere le
conseguenze di queste azioni. Esse saranno positive quando vivremo in consonanza con i
principi, negative quando li ignoreremo. E' infatti attraverso quei principi che noi vediamo
ogni cosa nella vita e, tenendoli fissi nella “mente” e nel “cuore”, ci sforziamo ogni giorno di
essere e di fare quello che, in base ad essi, per noi conta realmente di più. Se la scala non è
appoggiata al muro “giusto”, ogni piolo che saliremo, non farà che farci arrivare più in fretta
nel posto sbagliato. Il “cominciare pensando alla fine” può essere dunque un metodo per
scoprire i valori che sono dentro di noi. Quando agiremo in linea con essi ci sentiremo forti,
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sentiremo crescere la fiducia in noi stessi, in caso contrario si verificherà quella “dissonanza
cognitiva” che il professor A.Cascioli richiama nel suo libro “percorso magico”; con essa si
esprime un senso di non coerenza con i propri valori, che si ripercuote proprio sulla fiducia in
noi stessi e nel rapporto con gli altri.
8.2) La gestione del sé (“Il più potente è colui che ebbe se stesso in proprio potere” Seneca)
Una volta raggiunta la consapevolezza di sé, nei termini che abbiamo sopra espresso, altro
elemento fondamentale per la costruzione della leadership, è rappresentato dalla capacità di
gestire i propri sentimenti, le proprie emozioni e di non essere in balia di esse, specie se
negative (rabbia, frustrazione, ansia, panico). La consapevolezza di sé rappresenta pertanto
una tappa obbligata, un prerequisito se vogliamo, per poter poi passare a gestire il sé.
Abbiamo visto precedentemente come l’emozione, se non governata, sia capace di prendere il
sopravvento sulla nostra parte razionale, guidando pensieri e comportamenti. La gestione di
sé, pertanto, consente al leader di affrancarsi dalla schiavitù delle emozioni e di agire
indipendentemente da queste. Riflettiamo insieme sull’importanza di questa dimensione della
leadership emotiva: come può d’altronde un leader che sfoghi la propria rabbia, che diventi
preda delle emozioni negative, condurre i propri collaboratori su una frequenza “positiva”,
che è poi essenziale per svolgere un buon lavoro ? Come può un leader, del genere appena
descritto, creare risonanza ? I leader che riescono a conservare uno stato d’animo allegro e
ottimista, anche in condizioni di estrema tensione, irradiano sentimenti positivi che creano
“risonanza”. Grazie dunque alla gestione delle proprie emozioni essi “costruiscono” un clima
di fiducia, di rispetto e di armonia. Altro elemento essenziale nella gestione del sé, risulta
essere la trasparenza, che si richiama, ancora una volta, a quei valori di cui abbiamo discusso
nel precedente paragrafo. Il concetto di trasparenza, che possiamo tradurre anche con il
termine più appropriato di integrità, può essere espresso con la coerenza delle proprie azioni
ai propri valori. Integrità vuol dire vivere nel rispetto dei propri principi e i leader che
adottano questo atteggiamento, suscitano negli interlocutori un’impressione di schiettezza e
generano in essi fiducia, poiché appaiono quello che realmente sono. E’ qui che torna in
gioco quanto riportato dal prof. Cascioli in merito alla “dissonanza cognitiva”. Secondo
questa teoria, infatti, elaborata da L.Festinger, nel corso della propria esistenza, l’uomo tende
ad esprimere un comportamento coerente con i propri valori. Un contrasto tra questi e le
proprie azioni comporta una dissonanza che genera ansia, che rende a sua volta scadente la
qualità della nostra vita e, cosa che interessa più da vicino il nostro tema, si manifesta
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all’esterno. “Gestire sé stessi” vuol dire anche essere capaci di adattarsi al mutare delle
situazioni e agli ostacoli che inevitabilmente ci troveremo ad affrontare; vuol dire essere
spinti a migliorare il proprio grado di professionalità e avvicinarsi al proprio modello di
eccellenza; vuol dire, infine, coniugare la consapevolezza di sé con l’ottimismo; quest’ultimo,
in particolare, ha il potere di predisporci a considerare le persone o gli eventi in una luce
positiva, infondendo in noi maggiore fiducia nelle nostre capacità di raggiungere un
obiettivo, accrescendo la nostra creatività e le nostre abilità decisionali e rendendoci, infine,
più disponibili ad aiutare gli altri. In questo si sostanzia l’ottimismo ed è facile immaginarne
la potenza positiva e l’effetto che può derivarne all’organizzazione.
8.3) La consapevolezza sociale e la risonanza limbica: empatia e ascolto empatico (“Abituati ad ascoltare attentamente ciò che gli altri dicono, e cerca di penetrare il più possibile nell’animo di
chi ti parla.” Marco Aurelio)
Il termine più indicato per poter tradurre appieno il concetto di consapevolezza sociale è
certamente quello di “empatia”, dove entra fortemente in gioco anche il concetto di
“comunicazione” e dunque di “ascolto empatico”. Prima di vedere il significato di
quest’ultima espressione, è opportuno dedicare qualche riga al concetto di empatia,
competenza indispensabile per un leader efficace: un concetto, questo, che non può essere la
traduzione del “vogliamoci bene”, nè del “far proprie le emozioni altrui e cercare di
accontentare tutti”. Empatia significa, invece, considerare con rispetto e attenzione i
sentimenti dei collaboratori e quindi prendere decisioni intelligenti che tengano conto di quei
sentimenti; significa capacità di uscire dai propri “panni” e mettersi in ascolto dell’altro. Essa
trova il suo presupposto nella gestione di sé, nella capacità, cioè, di gestire le proprie
emozioni in modo adeguato alle circostanze. Potremmo più semplicemente dire che empatia
significa sapersi sintonizzare sulla stessa lunghezza d’onda degli altri; ciò consente al leader
dotato di tale capacità, di riconoscere e soddisfare le esigenze del o degli interlocutori,
prestando particolare attenzione a ciò che ha compreso preoccuparli maggiormente. La
“risonanza”, di cui abbiamo parlato nelle righe precedenti, trae la sua origine proprio
dall’empatia. In mancanza di quest’ultima, infatti, il rischio è che il comportamento possa
essere in contrasto con i sentimenti altrui, generando pertanto dissonanza. Attraverso
l’empatia si diffondono emozioni positive, si scuotono le persone e si diviene capaci di
trasmettere loro un sogno che stimola l’ottimismo e l’entusiasmo verso un obiettivo che, per
questo, diviene visione comune. Ho ancora nelle orecchie la potenza dello slogan utilizzato
nell’ultima campagna elettorale dal candidato democratico B. Obama – We can believe in- e il
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fragore che esso ha scatenato tra la folla di elettori. Un obiettivo, un “sogno”, una visione
comunicata con una potenza emotiva tale, da risuonare nei cuori di milioni di persone. Creare
risonanza è il compito principale di ogni leader e questo è possibile solo se c’è “empatia”.
Empatia è la causa, risonanza è l’effetto. Rimanendo in sintonia con i sentimenti delle persone
che lo circondano, infatti, un leader può esprimersi o agire in modo adeguato, può
pronunciare le parole che “sente” essere quelle che colgono i sentimenti delle persone che lo
ascoltano generando così risonanza; sa, in poche parole, “suonare le corde giuste”. Ma tutto
questo è vero finché quei sentimenti “albergano” in modo autentico nel leader.
Al concetto di empatia si lega fortemente il concetto di ascolto empatico e dunque di
comunicazione empatica . Leggere, scrivere, parlare e ascoltare, sappiamo essere i quattro tipi
fondamentali di comunicazione. Sono convinto che la capacità di comunicare sia nella vita
una delle competenze più importanti. Abbiamo impiegato anni per imparare a leggere e
scrivere e altrettanto per apprendere la capacità del parlare. Ma se riflettiamo un poco, quanti
di noi hanno ricevuto una formazione diretta ad insegnarci ad ascoltare in modo da poter
comprendere profondamente un altro essere umano ? Forse abbiamo imparato a “sentire” con
le orecchie, ma difficilmente qualcuno ci ha insegnato ad “ascoltare”. Eppure l’ascolto
rappresenta la base per poter interagire con gli altri in modo efficace. Se infatti un leader
vuole esercitare la propria influenza su altri, è necessario che prima capisca, e, per far questo,
la tecnica da sola non basta. L’unico modo per creare dialogo, per trovare persone disposte ad
aprirsi, è anzitutto essere realmente la persona che noi siamo, quella persona che mette in atto
azioni in linea con i propri valori. Ma non è tutto: l’ altro sarà disposto ad aprirsi con noi solo
quando si sentirà capito e apprezzato. Per comunicare in modo efficace, dunque è necessario
sviluppare la capacità di ascoltare empaticamente, è necessario costruire un forte Conto
Corrente Emozionale con gli altri. Vediamo insieme di cosa si tratta.
Anzitutto, per ascolto empatico, si intende l’ascoltare con l’intento di comprendere davvero
l’altra persona, non solo le sue parole. Significa guardare attraverso il “quadro di riferimento”
dell’altro e osservare il mondo nel modo in cui l’altro lo osserva, capire cosa prova. Ascoltare
empaticamente una persona vuol dire, in sostanza, guardare l’altro con i “suoi occhiali”, porsi
in ascolto della comunicazione profonda di un’altra anima umana, mettendo completamente
da parte i nostri schemi mentali, il nostro modo di vedere le cose, i nostri pregiudizi.
Attraverso l’ascolto empatico ascoltiamo non solo con le orecchie, ma anche e soprattutto con
gli occhi e con il cuore. Significa, in sostanza, avere a che fare con la realtà che si trova dentro
la testa e il cuore di un’altra persona. Quando un leader è capace di porsi in ascolto empatico
di un suo collaboratore, guadagna la fiducia di quest’ultimo. Va ricordato, in proposito, che i
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bisogni soddisfatti non motivano le persone e che sono solo quelli insoddisfatti a generare
motivazione. Dopo la sopravvivenza fisica, il più grande bisogno di un essere umano è la
sopravvivenza psicologica e dunque l' essere compreso, l'essere affermato, l'essere approvato,
l'essere apprezzato. Quando ascoltiamo con empatia un’altra persona, colmiamo questi
bisogni e il leader prepara in tal modo la strada per una comunicazione efficace e influente.
Una mia cara amica, tempo fa, mi parlò di una “Banca delle Carezze” una sorta di “Conto
Corrente Emozionale”; è un concetto, questo, che può aiutarci a comprendere meglio
quest’ultima dimensione della leadership emotiva. Tutti sappiamo cosa sia un conto corrente.
Potremmo definirlo come il “luogo” dove facciamo depositi di denaro, creando una riserva da
cui possiamo attingere ogni volta che ne abbiamo bisogno. La metafora del conto corrente
emozionale consente di vedere la possibilità concreta di fare depositi in termini di “fiducia”,
quella fiducia che costruisce, giorno dopo giorno, una relazione e che la rende duratura nel
tempo. Il conto corrente emozionale raffigura metaforicamente, infatti, proprio la relazione
con un altro essere umano. Se a suo favore si “depositano”, in modo autentico attenzione,
lealtà, cortesia, mantenimento degli impegni presi, si crea una riserva di emozioni positive,
accrescendo la fiducia del “beneficiario” verso il “depositante”; questo “saldo positivo” rende
possibile a quest'ultimo attingere fiducia ogni volta che ne ha bisogno, un saldo capace di
compensare anche eventuali errori commessi dal depositante nel corso della relazione. In
sostanza ogni deposito, oltre ad arricchire chi lo riceve, arreca vantaggio a chi lo fa. Visto in
quest’ottica, l'ascolto empatico rappresenta un “cospicuo deposito”, un'apertura di credito
verso il destinatario; un versamento che si sostanzia nella nostra autentica attenzione nei
confronti dell’altra persona e che accresce, al contempo, la fiducia nei confronti del leader
che lo mette in atto.
8.4) Gestione delle relazioni interpersonali (“Il modo migliore per ispirare gli altri a ottenere risultati superiori è convincerli ogni giorno, attraverso ogni
vostra azione e ogni vostro atteggiamento, che li sostenete di tutto cuore”. Harold S. Geneen, ex pres. di ITT)
Le tre dimensioni che abbiamo ora esplorato trovano la loro naturale confluenza nell’ultima
delle quattro realtà che abbiamo visto compongono l’intelligenza emotiva: la gestione delle
relazioni interpersonali. L'efficace gestione di queste dipende dalla capacità di persuasione,
dalla capacità di gestire situazioni conflittuali e trarre da queste un opportunità di crescita. Ma
il saper gestire in modo efficace le relazioni con gli altri è legato allo spirito collaborativo,
alla capacità di interagire e guidare le emozioni altrui. Se un leader agisce in modo poco
sincero o manipolativo, il “radar emozionale” dei suoi collaboratori registrerà una nota di
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falsità e questi saranno istintivamente portati a negargli la propria fiducia. Una volta che il
leader è entrato invece in sintonia dapprima con i propri valori e poi con lo stato emotivo dei
propri collaboratori, catalizzerà la risonanza proprio attraverso la capacità di gestire le
relazioni interpersonali. In quest’ultima dimensione della leadership emotiva, la capacità del
leader di ispirare e mobilitare le persone comunicando la propria visione, il proprio sogno, i
propri ideali in modo coinvolgente, si rivela in tutta la sua potenza e ne rappresenta il
fondamento. Ispirare è un verbo che ha un significato “prorompente” nella vita degli altri ed è
una delle capacità indispensabili per un leader. Esso deriva dal latino inspirare e significa
“infondere un soffio di vita dentro un’altra persona”. Nella vita di ognuno di noi, d’altronde,
arrivano momenti in cui il “fuoco” interiore si spegne, poi l'incontro con un altro essere
umano lo riaccende14
, lo ravviva. Il leader capaci di ispirare i propri collaboratori, suscitano
infatti loro l'entusiasmo per un obiettivo che diviene comune e condiviso, attraverso la
capacità di vedere in essi molto più di quanto loro stessi non vedano. Essi riescono a rendere
visibile agli altri uno scopo che va ben oltre i compiti di routine o gli obiettivi trimestrali che
spesso prendono invece il posto di un ideale realmente significativo. Questi leader sono ben
consapevoli che più di ogni altra cosa, a motivare nel lavoro, saranno i valori più profondi e
non gli obiettivi imposti dal vertice. Questi leader riescono a suscitare un profondo senso di
missione collettiva, e riescono a guidare gli altri con fermezza. Le abilità relazionali del leader
assumono poi un ruolo ancor più cruciale, quando gli obiettivi della leadership diventano più
complessi. E’ attraverso le abilità relazionali che il leader esprime la propria intelligenza
emotiva. Ecco l’importanza della dimensione che stiamo esaminando: è attraverso di essa,
infatti, che le altre tre dimensioni che abbiamo toccato, assumono “corpo”; quando giunge il
momento di agire, questi leader hanno già costruito una fitta rete di relazioni che gli
consentono di realizzare il proprio progetto, la propria visione. Quando si tratta di ottenere
determinati risultati, le caratteristiche che contraddistinguono il leader migliore procedono
all'unisono, concorrendo a formare peculiari stili di leadership cui accenneremo brevemente
nel prossimo e ultimo paragrafo, stili che si contraddistinguono per un prevalere di una o più
caratteristiche sulle altre. Potremmo affermare, nel concludere il presente paragrafo, che il
leader è colui che è capace di tradurre la visione in realtà attraverso la gestione delle relazioni
interpersonali.15
14
Alebert Schweitzer 15
Warren Bennis
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9) Gli stili della leadership emotiva
Chiudiamo il presente lavoro, dedicando pochi cenni agli stili attraverso i quali può
esprimersi la leadership emotiva. I leader migliori e più efficaci agiscono ispirandosi allo stile
di leadership più confacente alla situazione, passando con abilità dall’uno all’altro anche nel
corso della stessa giornata. Gli stili di cui parliamo, per chi è appassionato di “pesca a
mosca”, rappresentano un po’ la serie di insetti che il bravo pescatore porta con sé nella
battuta di pesca; starà a lui scegliere la “mosca” adatta a seconda dell’ambiente, della
stagione, dei colori che caratterizzano quel luogo determinato e della preda che si vuole
insidiare; da questa sua capacità dipenderà il suo successo.
Passerò ora, per dovere di completezza, a fornire quindi un breve cenno su quelli che
Goleman definisce i sei stili della leadership.
9.1) Gli stili della leadership: il visionario
Questo stile di leadership imprime un forte orientamento positivo al clima emotivo di
un’organizzazione spingendo le persone verso un ideale comune. Il leader, nel mettere in atto
tale stile, individua l’obiettivo motivante ed i valori comuni e li indica come meta da
raggiungere dando ai propri collaboratori la possibilità di stabilire un contatto con i loro sogni
e le loro motivazioni. Nel far questo, tuttavia, si guarda bene dall’ indicare la strada da seguire
per realizzare “quel sogno” che hanno “visto” insieme; in tal modo, infatti, lascia libero
ognuno di innovare, sperimentare e assumersi rischi calcolati. Questo modo di esercitare la
leadership crea risonanza e senso di appartenenza . Alla base di questo stile, tuttavia, sta la
necessità che il leader sia davvero convinto dei propri ideali, della propria visione. Solo così
riuscirà a trasmetterla e condividerla. D’altronde leadership significa creare un ambiente in
cui le persone vogliono essere parte dell’organizzazione e non solo lavorarci; un ambiente
dove le persone “vogliono”, e non “devono”, fare. Il leader visionario si appoggia molto sulla
fiducia in sé, oltre che sulla trasparenza e sull’empatia
9.2) Gli stili della leadership: il coach
E’ lo stile che consente di stabilire un collegamento fra le aspirazioni del singolo e gli
obiettivi dell’organizzazione; per potere operare in tal modo, questo leader cura i rapporti
personali con i propri collaboratori, stabilendo con essi un rapporto di fiducia. In questo
contesto fa da vero e proprio allenatore aiutandoli a riconoscere i propri punti di forza e quelli
di debolezza su cui lavorare, mettendoli in relazione con le aspirazioni personali e
professionali dei singoli. Il leader che adotta questo stile fa leva soprattutto sulla
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consapevolezza di sé e su quel tipo di consapevolezza che abbiamo poc’anzi definito
“sociale”.
9.3) Gli stili della leadership: l’affiliativo
E’ uno stile di leadership che crea armonia e favorisce le relazioni interpersonali. Dà valore
alle persone e ai loro sentimenti, dando minor enfasi alla realizzazione dei compiti e degli
obiettivi e attribuendo invece più importanza ai bisogni emozionali dei collaboratori. Questo
stile punta molto sul lavoro di gruppo, sulla capacità di gestire i conflitti guardando ad essi
come un’opportunità e, soprattutto, fa leva, anche in questo caso, sull’empatia, che, come
abbiamo potuto constatare, è una costante fondamentale nel comportamento di un vero leader.
9.4) Gli stili della leadership: il democratico
Lo stile democratico valorizza l’apporto dei singoli e crea coinvolgimento attraverso la
partecipazione. Il leader che mette in campo un tipo di leadership simile, dedica il suo tempo
ad incontri e riunioni in cui si mostra disponibile ad ascoltare le preoccupazioni dei
dipendenti. Punta in particolare anche lui sul lavoro di gruppo, sulla collaborazione, sulla
capacità di gestione dei conflitti, sull’influenza e, ancora una volta, sull’empatia.
9.5) Gli stili della leadership: il battistrada
Lo stile che denominiamo “battistrada” è invece diretto al conseguimento di prestazioni
elevate e si concentra solo su obiettivi immediati, avvalendosi di una tecnica che potremmo
definire di “microgestione” puntuale del dipendente. Punta soprattutto sulla consapevolezza e
sulla gestione del sé e sull’iniziativa.
9.6) Gli stili della leadership: l’autoritario
E’ lo stile che si esprime con il dare direttive chiare in situazioni di emergenza, placando così
eventuali timori. Richiede certamente un’immediata obbedienza, ma non si preoccupa di
spiegare gli ordini. Non delega, ma accentra e controlla ogni situazione verificando ogni
dettaglio. Questo stile ha come competenze fondamentali quella della capacità di influenzare
gli altri, di essere consapevole di sé e di gestire le proprie emozioni.
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Anche se brevemente, abbiamo cercato di fornire una rapida visione dei sei stili in cui può
esercitarsi la leadership. A questo punto è legittimo chiedersi quale stile possa essere
considerato quello più efficace. In realtà non possiamo ritenere uno stile migliore di un altro,
ma, come già detto, la scelta dovrà essere fatta in base alla situazione, in base al contesto. E’
un po’ quello che abbiamo descritto in merito al pescatore fornito di una serie di esche, tanto
che anche gli ultimi due tipi di stili, che non creano risonanza, possono tornare utili in certe
situazioni. Certamente il leader migliore è colui che ha nel suo “zaino” l’ assortimento di stili
più completo, in modo da poter scegliere la “mosca” più appropriata, che potrà determinare il
suo successo.
Conclusioni
Oggi si sente molto parlare della necessità di rendere efficiente la pubblica amministrazione e
si discute sulle modalità con cui raggiungere tale obiettivo. Poiché credo che la leadership
emotiva possa rivestire un ruolo di primo piano in tale contesto, ritengo opportuno dedicare
ad esso la mia riflessione conclusiva.
E’ giusto, a mio parere, prendere in seria considerazione il fenomeno dell’assenteismo nel
pubblico impiego; fenomeno che deve essere però considerato anche come un possibile
segnale di malessere, che dovrebbe far riflettere sotto diversi punti di vista. In proposito,
ritengo senza dubbio sia opportuno premiare il merito, il che non significa erogare incentivi
esclusivamente in termini di denaro; premiare il merito può anche essere tradotto con
opportunità di crescita professionale e di carriera.
La nostra carta costituzionale, ultimo baluardo per la salvaguardia dei profondi valori di cui è
intrisa, chiede, nell’articolo 97, un’organizzazione degli uffici pubblici che assicuri il buon
andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, e questo fornisce la profondità del
significato dell’azione amministrativa.
Sono fortemente convinto che la pubblica amministrazione italiana possa seriamente
rappresentare una risorsa per la nazione e per il cittadino, possa essere il punto da dove partire
per riformare la coscienza civica del nostro paese; un paese dove è auspicabile che
l’adempimento dei doveri iscritti nella nostra carta costituzionale, possa divenire una regola
impressa nelle coscienza di ogni cittadino.
In tale contesto trovo corretto responsabilizzare il dipendente pubblico che, in quanto tale, è
chiamato assicurare un alto livello di servizio al cittadino, alla nazione, all’Unione Europea.
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