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LA DIAGNOSI PRENATALE: LE INFORMAZIONI, LA CONSAPEVOLEZZA E LE SCELTE Faustina Lalatta, Maria Francesca Bedeschi, Federica Natacci PREMESSE E DEFINIZIONE La diagnosi fetale o diagnosi prenatale è l’insieme delle indagini strumentali e di laboratorio finalizzate al riconoscimento di patologie genetiche e non genetiche prima della nascita. Lo sviluppo della diagnosi prenatale ha significativamente modificato il comportamento di molte coppie a rischio di procreare figli con malattie genetiche e/ o malformazioni consentendo loro di ottenere informazioni, spesso estremamente accurate, sulla presenza o assenza di una determinata patologia e di praticare la scelta che ritenevano migliore per sé. Nella maggior parte dei casi la scelta consiste nel valutare se proseguire la gravidanza, preparandosi ad accogliere un bambino affetto, oppure interromperla volontariamente. Sono infatti ancora molto limitati i casi in cui, alla diagnosi prenatale di una patologia genetica, è possibile far seguire un trattamento in utero! La diagnosi prenatale è un’attività multidisciplinare nella quale sono coinvolte diverse figure professionali la cui collaborazione è indispensabile affinché vengano fornite le corrette indicazioni, il procedimento diagnostico sia affidabile, comporti il minor rischio possibile per la gravidanza e la coppia si senta assistita nel processo di scelta. E’ obiettivo primario dei servizi di diagnosi prenatale garantire una completa informazione, praticare il rispetto dell’ autonomia di scelta della donna e favorire l’equità nell’accesso ai servizi stessi. Molti aspetti che vengono affrontati nell’ambito della diagnosi prenatale entrano nel percorso della consulenza genetica e richiedono che il medico genetista possieda specifica competenza ed ampia esperienza di questo particolare percorso assistenziale. I cinque principi che devono guidare l’attività di diagnosi prenatale definiti da Harper nel 1998 sono attualmente condivisi da tutti i centri di riferimento: 1. gravità della malattia di cui si esegue la diagnosi, 1

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LA DIAGNOSI PRENATALE: LE INFORMAZIONI, LA

CONSAPEVOLEZZA E LE SCELTE

Faustina Lalatta, Maria Francesca Bedeschi, Federica Natacci

PREMESSE E DEFINIZIONE

La diagnosi fetale o diagnosi prenatale è l’insieme delle indagini strumentali e di laboratorio

finalizzate al riconoscimento di patologie genetiche e non genetiche prima della nascita.

Lo sviluppo della diagnosi prenatale ha significativamente modificato il comportamento di molte

coppie a rischio di procreare figli con malattie genetiche e/ o malformazioni consentendo loro di

ottenere informazioni, spesso estremamente accurate, sulla presenza o assenza di una determinata

patologia e di praticare la scelta che ritenevano migliore per sé. Nella maggior parte dei casi la

scelta consiste nel valutare se proseguire la gravidanza, preparandosi ad accogliere un bambino

affetto, oppure interromperla volontariamente. Sono infatti ancora molto limitati i casi in cui, alla

diagnosi prenatale di una patologia genetica, è possibile far seguire un trattamento in utero!

La diagnosi prenatale è un’attività multidisciplinare nella quale sono coinvolte diverse figure

professionali la cui collaborazione è indispensabile affinché vengano fornite le corrette indicazioni,

il procedimento diagnostico sia affidabile, comporti il minor rischio possibile per la gravidanza e la

coppia si senta assistita nel processo di scelta. E’ obiettivo primario dei servizi di diagnosi prenatale

garantire una completa informazione, praticare il rispetto dell’ autonomia di scelta della donna e

favorire l’equità nell’accesso ai servizi stessi. Molti aspetti che vengono affrontati nell’ambito della

diagnosi prenatale entrano nel percorso della consulenza genetica e richiedono che il medico

genetista possieda specifica competenza ed ampia esperienza di questo particolare percorso

assistenziale.

I cinque principi che devono guidare l’attività di diagnosi prenatale definiti da Harper nel 1998 sono

attualmente condivisi da tutti i centri di riferimento:

1. gravità della malattia di cui si esegue la diagnosi,

1

2. assenza di un efficace trattamento,

3. accettabilità dell’interruzione di gravidanza da parte della coppia di genitori,

4. disponibilità di un test prenatale accurato,

5. presenza di un rischio riproduttivo definito ed elevato per la gravidanza 1.

Con questo capitolo non ci limiteremo alla diagnosi prenatale della sola sindrome di Down (SD),

ma cercheremo di fornire un’aggiornata panoramica di questo delicato e complesso problema,

affrontando i diversi aspetti della diagnosi prenatale: indicazioni, tecniche di prelievo, problemi di

laboratorio 2,3,4.

E’ utile rammentare le caratteristiche peculiari della diagnosi prenatale, così come vengono

precisate nel documento del Comitato Nazionale di Bioetica (19.09.1999 ) dal quale sono tratti i

seguenti punti 5.

a) La diagnosi prenatale viene effettuata non sulla persona che ne fa richiesta, bensì su un

soggetto, che nell'attuale legislazione, non ha riconoscimento giuridico.

b) La diagnosi prenatale, in considerazione dell'epoca in cui si effettuano le indagini, non permette

di correlare in tempo reale il fenotipo con il genotipo. Pertanto in alcuni casi (es. malformazioni

evidenziate tramite esame ecografico) non e' possibile formulare una precisa diagnosi.

Qualora vengano applicate indagini genetiche è possibile identificare la specifica mutazione (es.

anomalia cromosomica, difetto genico ecc.) e quindi il test ha un valore diagnostico anche se il

fenotipo potrà essere verificato con certezza solo al momento della nascita a termine o dopo

interruzione volontaria di gravidanza.

Nelle patologie ad insorgenza tardiva (es. malattia di Huntington, distrofia miotonica ecc.) il test

genetico si configura tra quelli di tipo "presintomatico"

c) La diagnosi prenatale deve essere eseguita entro tempi molto più brevi rispetto al periodo post-

natale.

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d) Molto spesso la diagnosi di feto affetto si basa sul referto di un solo test genetico e su questa

unica informazione la coppia deve scegliere se continuare o interrompere la gravidanza. Non vi è,

forse, altra situazione nella vita di un uomo in cui una malattia venga accertata sulla base di una

sola indagine; questo pone gli interessati ma anche il personale sanitario in una situazione

psicologica particolarmente complessa, delicata e drammatica.

e) La coppia deve essere informata dei rischi e deve ricevere indicazioni appropriate nell’ambito di

una consulenza genetica offerta prima e dopo l’indagine.

f) La diagnosi prenatale consente di attuare, ove possibile, interventi terapeutici per il trattamento

del feto/neonato affetto sia in utero che alla nascita.

g) La diagnosi prenatale consente alle coppie a rischio di realizzare il progetto di famiglia

attraverso scelte procreative consapevoli.

L'attuazione di queste finalità deve avvenire nel rispetto dei principi etici:

- di autonomia della madre o della coppia;

- di beneficio ( bene facere) nei confronti dei genitori e del feto;

- della normativa vigenti.

Inoltre per offrire prestazioni corrette è necessario che le strutture impegnate negli interventi di

consulenza, di prelievo, di analisi genetiche e di assistenza abbiano elevati standard di qualità e

siano efficacemente coordinati.

LE INDICAZIONI ALLA DIAGNOSI PRENATALE

La presenza di un rischio di complicanze e la limitatezza delle risorse economiche del sistema

sanitario ha per decenni orientato la Sanità Pubblica all’utilizzo della diagnosi prenatale su una

precisa indicazione clinica. Questo è sempre stato motivato da quello che è l’obiettivo sociale,

anche se spesso non dichiarato della diagnosi prenatale, cioè individuare il numero più elevato

possibile di feti affetti con una percentuale minima di perdite fetali.

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Le indicazioni più frequenti riguardano un rischio riproduttivo aumentato rispetto alla popolazione

generale per una particolare patologia genetica (cromosomica o genica).

In questi casi, come già accennato, la diagnosi prenatale trova indicazione se il quadro clinico di cui

può essere affetto il feto sia grave ed incurabile oppure nei casi in cui sia necessaria una diagnosi al

fine di instaurare terapie precoci, anche in utero, o predisporre modalità particolari per

l’espletamento del parto.

In linea generale la diagnosi prenatale si pone in due situazioni di rischio:

a) gravidanze in cui il rischio procreativo aumentato sia prevedibile “a priori” , ad esempio: età

materna avanzata; genitore portatore eterozigote di anomalie cromosomiche strutturali; genitore o

genitori portatori di mutazioni geniche.

b) gravidanze in cui la probabilità che il feto sia affetto si evidenzia durante la gestazione. Ne sono

esempi: le malformazioni riscontrate all’ecografia; i valori degli screening ecografici (misurazione

della translucenza nucale fetale) oppure biochimici (effettuati su sangue materno) che evidenziano

un aumentato rischio di feto affetto da SD o da altra anomalia cromosomica; malattie infettive

contratte dalla madre in gravidanza.

Attualmente oltre l’80% delle diagnosi prenatali, eseguite per individuare patologie genetiche fetali,

interessano l’indagine citogenetica.

Le principali indicazioni all’indagine citogenetica sono:

- età materna avanzata (uguale o superiore a 35 anni),

- genitori con precedente figlio affetto da patologia cromosomica,

- genitore portatore di riarrangiamento strutturale non associato ad effetto fenotipico, cioè

bilanciato,

- genitore con aneuploidie dei cromosomi X o Y, compatibili con la fertilità,

- malformazioni fetali evidenziate mediante l’ecografia,

- probabilità di 1/250 o maggiore che il feto sia affetto da SD (o da alcune altre aneuploidie) sulla

base dei parametri di screening ecografici o biochimici (TN; duo-test, tri-test; ecc.),

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- sindromi mendeliane da rotture cromosomiche (Anemia di Fanconi; Atassia Telangiectasia) e

Sindrome di Roberts,

- indicazioni particolari valutate singolarmente da specialisti del settore.

Età materna avanzata (= > 35 anni)

La correlazione tra età materna avanzata ed aumento delle trisomie autosomiche e delle polisomie X

( tra cui XXY e XXX) è chiaramente documentata da numerosi studi epidemiologici relativi a nati

vivi, a feti in diagnosi prenatale e ad aborti spontanei. Il numero di neonati con SD o con una delle

altre patologie cromosomiche alla nascita è mediamente del 30% inferiore a quella riscontrata

anatomopatologicamente in epoca prenatale. Questa differenza è in parte motivata dal fatto che, tra

il secondo trimestre ed il termine di gravidanza, una percentuale di feti con anomalie del cariotipo

viene spontaneamente abortita.

La scelta dei 35 anni ed oltre, generalmente accettata quale limite per l’accesso gratuito ai servizi

di diagnosi prenatale del Sistema Sanitario Nazionale può sembrare arbitraria poiché il rischio di

figlio affetto aumenta gradatamente con l’età e quindi la valutazione di “maggiore o minore,

accettabile o no” è assolutamente soggettiva ed individuale. Tuttavia considerazioni relative alle

probabilità di aborto correlate alle tecniche di prelievo ed ai limiti posti dalla spesa hanno portato

all’identificazione di questa soglia.

L’età di 35 anni è anche il requisito minimo, almeno per alcune Regioni, per ottenere l’esame

cromosomico fetale quando l’analisi sia stata chiesta per altre indicazioni, ad esempio il rischio di

una malattia genica.

Tabella 1: rapporto tra età materna al concepimento e prole con trisomia 21 alla nascita (Nota

inserire la tabella di Gualandri)

Genitori con precedente figlio affetto da patologia cromosomica

Gli studi sulla diagnostica prenatale hanno messo in evidenza che genitori, di età inferiore ai 35

anni, che abbiano già avuto un figlio affetto da trisomia 21 o altra aneuploidia hanno una maggiore

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probabilità di ripetizione di anomalia numerica dei cromosomi rispetto a coppie di pari età con

anamnesi familiare negativa. L’aumento di rischio (circa 20 volte maggiore) potrebbe essere

dovuto alla presenza di un mosaicismo gonadico parentale, ad una predisposizione genetica alla

non-disgiunzione o a fattori esogeni non facilmente individuabili. Importante per la coppia è la

conoscenza del dato empirico per l’eventuale monitoraggio di successive gravidanze.

Genitore portatore di riarrangiamento cromosomico strutturale

Circa 1/400 individui è portatore di un riarrangiamento strutturale bilanciato dei cromosomi, quindi

a rischio, ad ogni concepimento, di generare un figlio con un’anomalia cromosomica sbilanciata.

Esempi di questo gruppo di anomalie sono le traslocazioni e le inversioni.

Questa indicazione rappresenta solo una piccola percentuale (< 5%) delle indagini citogenetiche

fetali, ma il rischio per questi genitori di generare prole con alterazioni clinicamente importanti è

significativamente più elevato rispetto a quello delle madri con età avanzata.

In base all’esperienza clinica, è noto che la percentuale dei neonati affetti da anomalia cromosomica

sbilanciata, derivata da una trasmissione parentale, è inferiore a quella che può essere calcolata

teoricamente, in quanto entrano in gioco meccanismi di selezione naturale quali: la selezione degli

spermatozoi o ovociti anche nella fase pre-impianto, a vantaggio di quelli con cariotipo normale,

oppure l’aborto spontaneo degli embrioni con cariotipo sbilanciato nel corso delle prime settimane

gestazionali.

E’ comunque necessario che in questi casi, la consulenza genetica in vista della diagnosi prenatale,

sia condotta da un genetista esperto. Infatti la valutazione dei rischi procreativi e le possibilità

diagnostiche, devono essere personalizzati ed il più possibile corrispondenti alla realtà dello

specifico riarrangiamento; l’estrema variabilità delle probabilità di figlio affetto (dall’ <1% al

100%) può condizionare le scelte procreative ed eventualmente modalità e tempi per l’effettuazione

della diagnosi prenatale.

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Genitore con aneuploidie dei cromosomi X ed Y

Le più frequenti aneuploidie dei cromosomi del sesso compatibili con la fertilità sono: il fenotipo

femminile 47,XXX ed il fenotipo maschile 47,XYY con le rispettive forme a mosaico nelle quali la

linea cellulare con l’alterazione coesiste con la linea cellulare normale.

Malgrado non sia stato dimostrato un aumento del rischio procreativo per questa categoria di

persone, la diagnosi prenatale non viene rifiutata, qualora richiesta dalla coppia.

Malformazioni fetali evidenziate ecograficamente

Come descritto più avanti, l’indagine ecografica eseguita, nel I e II trimestre di gravidanza,

permette di evidenziare anomalie strutturali del feto e degli annessi, di valutare la crescita fetale e

variazioni della quantità del liquido amniotico. In questi ultimi 10 anni sono stati condotti ampi

studi 2,6 che hanno permesso di correlare malformazioni fetali, isolate o multiple, ed anomalie dello

sviluppo fetale (IUGR) con anomalie cromosomiche o geniche. La scelta del percorso diagnostico

da seguire dopo la diagnosi ecografica di malformazioni fetali è la conseguenza di un lavoro

d’equipe che unisce le competenze dell’ostetrico, del genetista e le risorse del laboratorio.

Si tratta di uno degli ambiti più problematici della diagnosi prenatale per la difficoltà alla

definizione prognostica nei casi in cui l’esame cromosomico sia negativo.

LE TECNICHE OSTETRICHE NELL’INDAGINE PRENATALE

E’ opportuno considerare separatamente le tecniche ostetriche tradizionali per la diagnosi prenatale

dalle tecniche che si sono affacciate più recentemente nella pratica clinica, mantenendo ancora

aspetti sperimentali o perlomeno poco routinari. Nel primo gruppo consideriamo l’ecografia,

l’amniocentesi, il prelievo di villi coriali, il prelievo di sangue fetale e le biopsie fetali. Nel secondo

gruppo sono incluse la diagnosi genetica preimpianto e l’identificazione di cellule fetali o del DNA

fetale, nel sangue materno.

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L’ecografia

L’ecografia ostetrica rappresenta una tecnica di estrema importanza in diversi ambiti della diagnosi

prenatale. Essa va considerata una tecnica diagnostica vera e propria quando è utilizzata per lo

studio morfologico fetale oppure una tecnica di ausilio nell’ambito di procedure di prelievo di

tessuti fetali.

L’ecografia come tecnica diagnostica

Le malformazioni congenite hanno una frequenza alla nascita nella popolazione generale del 3-5%

e si verificano, nell' 80-90% dei casi, in coppie senza un rischio identificabile a priori.

Mentre nella popolazione ad alto rischio l’indagine è mirata, essendo note le anomalie da ricercare,

in quella a basso rischio lo screening deve prevedere una valutazione accurata di tutta l’anatomia

fetale in un’epoca di gravidanza tale da consentire la visualizzazione del maggior numero di

malformazioni senza precludere la possibilità (in caso di patologie gravi per le quali non esista

attualmente terapia) di interrompere la gravidanza nei termini previsti dalla legge. Quest’epoca è

stata individuata dalla maggior parte degli autori 7 nel periodo compreso tra la 20a e la 22a

settimana di gestazione.

Sono stati effettuati diversi studi, prospettici e retrospettivi 8,9,10, sull’efficacia dell’indagine

ecotomografica prenatale nella diagnosi delle malformazioni congenite. I risultati sono stati spesso

contrastanti, con valori di sensibilità compresi tra 37.8% e 99% e con specificità sempre superiore

al 99%. L’ampia variazione della sensibilità è attribuibile a diversi fattori, tra cui il tipo e la gravità

dell’anomalia, il criterio di selezione delle pazienti, 1’esperienza degli operatori, il tipo di

ecotomografo utilizzato.

Quando 1’ecografia viene utilizzata come test diagnostico per anomalie selezionate, in pazienti ad

alto rischio, e non come metodica di screening, la sua sensibilità risulta sempre molto elevata (range

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compreso tra il 73% ed il 99%). Inoltre, in questi casi, 1’ecografia viene sempre eseguita in centri

specializzati (II e III livello) da operatori esperti e con ecotomografi dell’ultima generazione.

La sensibilità dell’ecografia nella diagnosi delle malformazioni fetali può variare

considerevolmente anche nell’ambito dei singoli studi anche per numerose altre cause:

• difficoltà tecniche che comportano una visualizzazione del feto non ottimale (obesità

materna, posizione fetale, oligoamnios, polidramnios, gravidanza multipla);

• assenza di segni ecografici della malformazione (fistola tracheo-esofagea, SD senza evidenti

anomalie strutturali);

• comparsa tardiva dei segni ecografici (atresia duodenale, ostruzione del piccolo intestino,

idrocefalia, microcefalia, uropatie ostruttive);

• scarsa collaborazione della paziente.

Da quanto detto risulta evidente come la sensibilità dell’indagine ecografica possa variare in

rapporto all’anomalia indagata e all’epoca di gravidanza in cui l’esame viene svolto.

In tutti gli studi la sensibilità ecografica risulta del 68.3-100% per quanto riguarda le anomalie del

SNC e del 64.1%-100% per l’apparato genito-urinario. E’ invece molto più bassa per le cardiopatie

congenite (16.5%-66.6%) e le anomalie scheletriche (8.2%-67.8%). 6

Bisogna quindi tenere presente che quando viene eseguita un’ecografia senza indicazioni specifiche,

cioè in donne che non hanno rischi particolari di difetti congeniti, almeno il 30% delle

malformazioni fetali potenzialmente diagnosticabili non viene riconosciuto, potendo così creare

delle false rassicurazioni sulla salute del nascituro. Questo dato contrasta con quelle che sono

normalmente le aspettative riguardo all’ecografia, e raramente viene spiegato quando si propone un

controllo ecografico in gravidanza. L’accuratezza dell’indagine ecografica, in ogni caso, aumenta

con l’aumentare dell’epoca gestazionale, indipendentemente dall’esperienza dell’operatore, dal

modello di ecografo utilizzato e dal tipo di anomalia. Sempre più spesso, in occasione del riscontro

ecografico di malformazione fetale, l’equipe del centro di diagnosi prenatale, discute collegialmente

la diagnosi ecografica, le sue implicazioni e le conseguenze per la qualità di vita del nascituro. In

9

questo ambito il medico genetista, quando convocato, deve collaborare alla costruzione di un

percorso di approfondimento diagnostico, proposta di test genetici, identificazione delle diagnosi

differenziali. E’ inoltre sua responsabilità condurre un’anamnesi familiare esaustiva, mirata con gli

strumenti specifici del colloquio di consulenza genetica.

Il riconoscimento di una malformazione maggiore, a carico di un qualsiasi organo fetale, costituisce

il punto di partenza da cui tentare una conoscenza più completa della situazione fetale. Si può

affermare che, in linea generale, non meno del 10% dei soggetti che presenta una malformazione

rilevata mediante l’ecografia, associa altri difetti congeniti. Appare pertanto cruciale, per definire la

prognosi ed informare correttamente i genitori, accertarsi che la coppia possa usufruire delle

tecniche di diagnosi (ad esempio esecuzione del cariotipo) e di approfondimento della morfologia

(ecografia 2-D e 3-D, ecocardiografia fetale)11. E’ infine importante che la donna comprenda che la

vita intrauterina del bambino è un continuo divenire e che l’immagine ecografica coglie solo un

momento delle modificazioni dinamiche che accompagnano lo sviluppo fetale. Un rilievo

ecografico può evolvere, ma anche essere transitorio ed andare incontro a regressione spontanea:

sarà quindi compito del medico fornire alla donna tutte le informazioni necessarie alla valutazione

del rischio e del suo significato, senza creare inutili allarmismi.

Nei casi di interruzione della gravidanza deve essere garantito un percorso di verifica diagnostica ed

approfondimento. In particolare è necessario che il feto sia sottoposto ad indagine radiologica ed

esame anatomopatologico. Il patologo ha il dovere di provvedere ad accantonare materiale fetale

(campione di cellule o tessuto) nel caso questo non sia stato eseguito in precedenza. Questo

materiale può essere di inestimabile valore quando venga generata un’ipotesi diagnostica e si

desideri la conferma mediante test genetico. Spesso la definizione del rischio di ricorrenza, la

possibilità di sorvegliare una successiva gravidanza e la consulenza ai familiari della coppia,

dipende proprio da questa risorsa.

LINEE GUIDA PER GLI SCREENING ECOGRAFICI IN OSTETRICIA

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In generale, si intendono per linee guida una serie di raccomandazioni di comportamento clinico,

prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere

quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche.

Gli obiettivi delle linee guida sono:

• miglioramento dello stato di salute della comunità,

• miglioramento dei comportamenti assistenziali,

• ottimizzazione delle prestazioni sanitarie sotto il profilo del rapporto costo/beneficio,

• formazione permanente del medico,

• probabile maggior tutela del medico in caso di contenzioso medico-legale.

In considerazione di quanto detto la Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica (SIEOG,

1996)12 ha elaborato le linee guida per gli screening ecografici.

E’ evidente che gli standard e le linee guida sono differenti a seconda delle finalità dell’esame

ecografico ostetrico e che queste cambiano in rapporto all’epoca di gravidanza.

Finalità dell’ecografia nel I trimestre dimostrazione dell’impianto della camera gestazionale in sede normale dimostrazione della presenza, vitalità e numero degli embrioni datazione della gravidanza

Nel II trimestre (preferibilmente tra la 18a e le 22a settimana) valutazione dell’ eco-anatomia fetale (screening delle malformazioni) valutazione della biometria fetale

Nel III trimestre (preferibilmente tra la 30 a e la 34 a settimana) individuazione dei ritardi di crescita individuazione delle malformazioni non rilevabili nel Il trimestre localizzazione della placenta valutazione del liquido amniotico

L’ecografia come tecnica di supporto:

In questo ambito la tecnica ecografica risulta cruciale per:

• corretta datazione della gravidanza,

• guida delle procedure di prelievo nel I e II trimestre,

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• identificazione di segni secondari (variazione del liquido amniotico, movimenti fetali,

biometria fetale ecc.).

LE TECNICHE DI PRELIEVO DI CELLULE FETALI

L’amniocentesi

L’amniocentesi è stata la prima ed è la più comune tecnica di prelievo di tessuti fetali. Consiste

nel prelievo di liquido amniotico (LA) mediante ago da spinale monouso (20G) introdotto per via

transaddominale sotto controllo ecografico continuo. E’ una metodica che viene eseguita

ambulatoriamente e non richiede precauzioni particolari prima o dopo il prelievo.

L’amniocentesi si esegue tradizionalmente oltre la 15a settimana di gravidanza, cioè dalla 15a alla

19a settimana, sebbene tecnicamente possa essere eseguita anche successivamente. In 15a e 17a

settimana la quantità di LA è valutata mediamente intorno a 200 ml di cui se ne prelevano circa 20.

Il prelievo di liquido amniotico deve sempre essere preceduto da un’accurata indagine ecografica

utile ai fini del prelievo stesso ma anche alla valutazione dell’anatomia fetale.

L’unica impossibilità all’esecuzione dell’amniocentesi è rappresentata dalla condizione di

anidramnios; in questo caso può essere necessario procedere ad una villocentesi tardiva.

Complicanze

Numerosissimi sono gli studi effettuati per verificare la sicurezza dell’amniocentesi e gli esiti feto-

neonatali 13,14,15. Essi definiscono l’amniocentesi come una procedura sicura, caratterizzata da una

bassa percentuale di complicanze che sono così riassunte:

- perdita fetale con una probabilità dello 0,5-1,5%, da sommarsi al rischio di aborto spontaneo

dopo la 16a settimana (0.7-1%). Attualmente il rischio di cicatrici fetali conseguenti a lesioni

prodotte dall’ago è estremamente basso;

- modiche perdite di liquido amniotico sono frequenti ma spesso transitorie e di poco significato

clinico;

- alloimmunizzazione Rh : in pazienti Rh negative, non sensibilizzate, con partner Rh positivo, é

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necessario somministrare globuline anti-D subito dopo la procedura.

Alcune situazioni, quali la contaminazione batterica o l’inquinamento ematico massivo, possono

determinare fallimento della coltura cellulare e costituiscono motivo di ripetizione dell’esame.

Cellule fetali utili all’analisi citogenetica e molecolare

Le cellule fetali presenti nel liquido amniotico hanno origine sia dai tessuti fetali che dagli annessi.

Devono essere di regola coltivate per 10-15 giorni affinché possa essere condotta l’analisi

cromosomica o le analisi biochimiche o anche nel caso sia necessario ottenere un quantitativo di

DNA sufficiente per specifiche indagini molecolari. Esse risultano comunque ottimali per

l’indagine citogenetica standard (identificazioni delle alterazioni numeriche e di struttura dei

cromosomi) e per le tecniche di citogenetica molecolare mediante FISH (identificazione di piccoli

riarrangiamenti, delezioni, marcatori di piccole dimensioni).

L’accuratezza diagnostica è molto elevata con falsi positivi e falsi negativi nettamente al di sotto

dello 0.5%. Come per tutti i tessuti fetali va sempre considerata la possibilità di contaminazione

materna.

Il prelievo dei villi coriali

La villocentesi, entrata nella pratica clinica nel 1984-85, ha costituito un grande avanzamento per la

diagnosi prenatale delle malattie geniche sia per l’epoca precoce di esecuzione sia per la possibilità

di ottenere, mediante il prelievo, diversi milligrammi di tessuto fetale.

La villocentesi consiste in pratica nel prelievo di un campione di tessuto trofoblastico mediante un

ago da spinale (20G) per via transaddominale sotto controllo ecografico continuo. Si esegue

prevalentemente tra la 10a e la 12a settimana, ma può essere eseguita anche nel secondo o terzo

trimestre di gravidanza, quando sia difficile o impossibile prelevare liquido amniotico o sangue

fetale, oppure in caso di pazienti giunte tardi alla diagnosi prenatale.

L’esecuzione del prelievo dei villi coriali richiede una valutazione immediata della quantità e della

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qualità del materiale prelevato. La quantità del materiale da prelevare può essere diversa in base agli

esami ed alle necessità dei rispettivi laboratori (citogenetica, analisi enzimatica, analisi del DNA).

In circostanze molto rare il prelievo di villi coriali non può essere eseguito (retroversione spiccata

dell’utero, perdite ematiche ricorrenti e recenti). In questi casi si attende un’epoca successiva ed

eventualmente si ricorre all’amniocentesi.

Il prelievo di villi coriali è la tecnica di elezione per la diagnosi prenatale delle malattie geniche. Il

DNA estratto dal trofoblasto può infatti essere rapidamente utilizzato per indagini dirette (ricerca di

mutazioni) o di linkage.

Complicanze

- Perdita fetale. Il rischio di perdita fetale relativo alla tecnica di prelievo dei villi coriali, eseguita

da operatori esperti ed in centri di II livello, non si discosta significativamente da quello legato all’

amniocentesi. Ciò nonostante esiste un rischio maggiore di aborto spontaneo (3-5%) per la precocità

di esecuzione dell’ esame. Pertanto la probabilità totale di aborto è maggiore dopo villocentesi.

- Ipogenesia oromandibolare e difetti traversi degli arti, sono stati segnalati in letteratura

nell’ambito delle complicanze in neonati di madri sottoposte a prelievo di villi coriali nelle fasi

precoci di gravidanza (6-8 s.g.). E’ quindi sconsigliato effettuare il prelievo prima della 10a

settimana prima cioè che siano terminati i processi di embriogenesi.

- Episodi di spotting si possono verificare dopo il prelievo e raramente rappresentano un vero

segnale di allarme.

- Alloimmunizzazione Rh in pazienti Rh negative. Le indicazioni alla profilassi sono le medesime

date per l’amniocentesi.

Cellule fetali utili per la diagnosi prenatale: le cellule che formano i villi coriali sono di due tipi:

citotrofoblasto (parte esterna del villo) e cellule del mesenchima (parte interna del villo).

Il citotrofoblasto ha la caratteristica di avere cellule in mitosi spontanea che vengono utilizzate per

le indagini citogenetiche con il metodo “diretto” o della “coltura a breve termine”. Le cellule del

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mesenchima vengono di regola utilizzate per generare colture di villi utili ad eseguire l’analisi

cromosomica dopo coltura a lungo termine. L’utilizzo contemporaneo delle due metodiche riduce

ad un livello minimo i falsi positivi ed i falsi negativi che complessivamente sono circa l’1-2%.

Sebbene i villi coriali costituiscano la fonte ottimale di DNA, possono contenere cellule materne

derivate dalla decidua che, se non riconosciute ed isolate mediante osservazione al microscopio

invertito, possono essere alla base di errori diagnostici a causa di contaminazione materna.

La funicolocentesi o prelievo di sangue fetale

Si effettua in centri di II livello e consiste in un prelievo di sangue funicolare eseguito mediante ago

introdotto per via transaddominale sotto guida ecografica continua. Permette il prelievo di sangue

fetale puro a partire dalla 20a settimana di gravidanza fino al termine16.

Può essere effettuata all’inserzione placentare del funicolo o all’emergenza addominale per via

intraepatica.

La funicolocentesi trovava ampia applicazione nella diagnosi prenatale di alcune malattie geniche,

in particolare la talassemia ed i deficit immunitari congeniti, prima dell’avvento delle tecniche di

analisi del DNA. Attualmente le indicazioni al prelievo di sangue fetale sono prevalentemente

correlate ad indagini citogenetiche urgenti, ad esempio dopo il riscontro tradivo di malformazioni

fetali, oppure ad indagini sul benessere fetale per sospette infezioni fetali, gravi ritardi di crescita,

disturbi metabolici, secondo il seguente schema.

INFEZIONI Toxoplasmosi Rosolia Citomegalovirus Varicella Parvovirus

BENESSERE FETALE Alloimmunizzazione Isoimmunizzazione Rh Trombocitopenia

IDROPE FETALE NON-IMMUNE

IUGR Equilibrio acido/base

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Substrati fetali TERAPIA FETALE Trasfusioni in vaso Emazia concentrate

Piastrine Farmaci Digitale Panctronio bromuro Tiroxina

Complicanze

Le complicanze materne dopo funicolocentesi sono rare, principalmente dovute a perdite di liquido

amniotico o sangue nello 0,2% dei casi; generalmente sono transitorie e risolvibili con terapia

tocolitica. La corion-amniosite invece è una complicanza grave sia per la madre che per il feto

(0,27%). L’isoimmunizzazione Rh è una complicazione teoricamente possibile a causa di

un’emorragia feto-materna; si può prevenire somministrando 300 mcg. di immunoglobuline anti-D,

controllando test di Coombs indiretto ed eseguendo il Kleihauer.

Per quanto riguarda le complicazioni fetali è necessario premettere che il rischio di perdita fetale

dopo funicolocentesi dipende da numerosi fattori tra cui l’indicazione al prelievo, l’epoca

gestazionale in cui è stato eseguito, la durata del prelievo, il numero di inserzioni dell’ago e

soprattutto l’esperienza dell’operatore.

Un transitorio sanguinamento si può verificare nel punto di inserzione dell’ago; mentre una

bradicardia può essere conseguente a riflesso dopo puntura dell’arteria ombelicale, ma può essere

causata, se persistente, da lacerazione dei vasi funicolari o da ematoma del funicolo. La perdita

fetale complessiva si verifica nel 2-3% dei casi.

Cellule fetali utili per la diagnosi prenatale

In generale, per l’esame cromosomico e per lo studio molecolare vengono utilizzati i linfociti fetali.

Nel primo caso si usano metodi colturali analoghi a quelli in uso per il cariotipo eseguito in epoca

post-natale sul sangue periferico. Nel secondo caso si procede all’estrazione del DNA con

micrometodi.

L’attendibilità diagnostica, in assenza di contaminazione materna (molto meno frequente di una

volta per l’approccio intraepatico) è molto elevata.

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Biopsie fetali

Si tratta di procedure con indicazioni molto limitate ed eseguite in pochissimi centri. La tecnica

prevede l’uso di pinze ed ago, per via transaddominale, sotto controllo ecografico continuo. Il

rischio di complicanze è simile a quello della funicolocentesi.

Fetoscopia

Eseguita solo in pochissimi Centri trova indicazione in rari casi in cui sia necessaria la valutazione

della morfologia di distretti poco visibili con l’ecografia (volto, estremità ecc). Il miglioramento

delle tecniche ecografiche ha portato ad un restringimento delle indicazioni. Il rischio delle

complicanze è simile a quello della funicolocentesi.

Quale tecnica utilizzare?

La scelta della procedura ostetrica di prelievo di cellule fetali è il risultato di una serie di

considerazioni e circostanze che devono guidare il medico e la paziente, all’interno di un rapporto

di fiducia, alla scelta “ottimale”.

In linea di massima è possibile affermare che:

- La villocentesi è da utilizzare in modo praticamente esclusivo per tutte le indicazioni di diagnosi

prenatale di malattie geniche, indagabili con tecniche molecolari o biochimiche. In questi casi è

possibile abbinare l’analisi del cariotipo fetale, considerando che il quantitativo di villi

necessario non è inferiore ai 15mg.

- La villocentesi , in linea generale, è giusto prospettare alle coppie che affrontano un rischio di

anomalie fetali superiore al 5% come avviene per esempio per i portatori di anomalie

cromosomiche bilanciate, oppure per età materna avanzata, superiore ai 40 anni.

- La villocentesi, consentendo di offrire una eventuale interruzione della gravidanza in un’epoca

molto più precoce rispetto a quella prevista dopo l’amniocentesi, è in genere richiesta dalle

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coppie che hanno sperimentato una pregressa gravidanza patologica ed eventualmente un aborto

volontario nel II trimestre.

- Per le coppie con rischi di anomalie cromosomiche solo lievemente superiori a quelli della

popolazione generale è senza dubbio consigliabile l’amniocentesi che è una tecnica molto

diffusa, praticata in tantissimi centri, di facile esecuzione e con elevatissima affidabilità

diagnostica, soprattutto per una bassa percentuale di falsi positivi rispetto alla villocentesi.

La nostra opinione è che, comunque, la valutazione dei vantaggi o svantaggi della procedura del I e

del II trimestre debba essere condivisa dalla donna/coppia alla luce delle opinioni personali,

aspettative riguardo la diagnosi prenatale e percezione (anche soggettiva) del proprio rischio

riproduttivo.

La tabella seguente riassume le caratteristiche delle procedure ostetriche tradizionali

di diagnosi prenatale

Epoca

gestazionale

Metodo e accuratezza Rischio per la

madre

Rischio per il feto

Ecografia I-II-III

trimestre

Transvaginale o

transaddominale 30-70% in

base al tipo di difetto e

all’esperienza dell’operatore

Falsa rassicurazione Non noto

Prelievo dei villi

coriali

10-13 s.g. ma

anche epoche

successive

Prelievo transaddominale, 99%

di successo, accuratezza

diagnostica 98%

Perdite ematiche

infezioni

1-2%

Amniocentesi 15-17 s.g. ma

anche

epoche

successive

Prelievo transaddominale,

99.6% di successo accuratezza

diagnostica 99%

Perdita di liquido

amniotico infezioni

0.5%-1,5%

Funicolocentesi o

Prelievo di sangue

fetale

20 s.g. ma

anche epoche

successive

Prelievo intraepatico, 98% di

successo, accuratezza

diagnostica circa 100%

Emorragia fetale

infezioni

2-3%

(esperienza

dell’operatore!)

Biopsia cutanea del

feto

20-22 s.g. Ago o pinza Infezioni 2% (perdita fetale

cicatrici)

Biopsia renale o

epatica del feto

20-22 s.g. Ago sottile Infezioni 2%

Embrioscopia o

fetoscopia

I-II trimestre Fetoscopio a luce fredda Infezioni emorragie 2-3%

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I possibili esiti dell’analisi citogenetica prenatale in riferimento alla diagnosi di SD

Trisomia 21 primaria

Si tratta dell’esito più frequente. Viene indicato con la seguente formula cromosomica

47.XX,+21 nel caso di soggetto di sesso femminile

47,XY,+21 nel caso di soggetto di sesso maschile l

Trisomia 21 secondaria,

E’ conseguente ad una traslocazione di un cromosoma 21 su un cromosoma acrocentrico (13; 14;15

o il 21 stesso). Viene indicato con la seguente formula cromosomica :

46,XX,t(14;21)(q10;q10) nel caso di soggetto femminile

46,XY,t(14;21)(q10;q10) nel caso di soggetto maschile.

Mosaicismo cromosomico

Con il termine di mosaicismo cromosomico si intende la presenza nello stesso organo, nello stesso

tessuto o nello stesso individuo, di due linee cellulari che si differenziano sulla base del cariotipo.

Il mosaicismo si realizza con due meccanismi principali: correzione di un concepimento trisomico

(“trisomic rescue”) oppure per un errore mitotico. In entrambi i casi l’evento avviene nelle

primissime fasi dello sviluppo embriologico ed è frutto di un errore occasionale, non ereditario.

Le conseguenze cliniche del mosaicismo sono variabili ed in parte dipendenti dalla percentuale di

cellule con l’alterazione citogenetica e dalla distribuzione della linea patologica nei diversi tessuti

fetali.

Il riscontro di un mosaicismo per la presenza di una linea cellulare con trisomia 21 in diagnosi

prenatale costituisce sempre una fonte di allarme e di dilemma interpretativo. In linea generale si

puo’ affermare che il riscontro del mosaicismo nel primo trimestre, nell’ambito delle cellule

derivate dai villi coriali, rende indicata l’esecuzione di un secondo prelievo, specificamente

l’amniocentesi per la ripetizione del cariotipo su un tessuto fetale di diversa origine embrionaria.

19

Nei casi di riscontro di mosaicismo su cellule del liquido amniotico è importante prospettare alla

coppia di genitori un controllo ulteriore, mediante la funicolocentesi, sulle cellule del sangue fetale.

In tutti i casi il punto di partenza resta la percentuale delle cellule trisomiche rispetto a quelle

normali il cui valore serve per orientare la consulenza alla coppia.

Il mosaicismo placentare si riscontra in circa 1 caso ogni 50 campioni di villi coriali. Il mosaicimo

su amniociti si riscontra in circa 1 caso ogni 300 campioni di liquido amniotico. Il mosaicismo su

linfociti e, in definitiva alla nascita, si riscontra molto più raramente, circa in un soggetto ogni 2000.

Nuove tecniche di diagnosi prenatale

QF PCR

La PCR fluorescente (QF PCR) si è affiancata alle tecniche citogenetiche tradizionali come ausilio

diagnostico rapido e mirato delle più importanti aneuploidie fetali (cromosomi 21, 13, 18, X e Y), in

sostituzione della tecnica di ibridizzazione fluorescente in situ (FISH)17,18,19. La metodica è basata

sull’amplificazione fluorescente (QF-PCR) di sequenze di DNA ripetute altamente polimorfiche

(Short Tandem Repeat - STR) localizzate sui cromosomi oggetto di studio e successiva elettroforesi

capillare. La QF-PCR, eseguita su DNA estratto da cellule del liquido amniotico, villi coriali e

sangue fetale, permette di definire l’esatto assetto numerico dei cromosomi presi in considerazione.

L’elettroforesi capillare viene eseguita mediante sequenziatore automatico a tecnologia

fluorescente, a seguito della quale per ciascun prodotto di PCR vengono calcolate le dimensioni,

l’altezza e l’area di ciascun picco fluorescente. La verifica in termini qualitativi e quantitativi della

segregazione degli alleli parentali permette di poter evidenziare nel feto la presenta di eventuali

trisomie.

I tracciati che si ottengono, per ogni STR, in caso di un assetto cromosomico normale sono 2 picchi

di uguale area ed altezza. In caso di trisomia si possono verificare 2 differenti situazioni: presenza

di 3 picchi per la trisomia triallelica o 2 picchi con rapporto aree 1:2 per la trisomia diallelica. Per

quanto riguarda i cromosomi sessuali viene impiegata una sequenza relativa al gene

20

dell’amelogenina. In questo caso un amplificato con un solo picco indica un assetto cromosomico

femminile (XX), mentre uno con 2 picchi di differente dimensione un assetto maschile (XY).

L’impiego di più marcatori con un alto indice di eterozigosità per ciascun cromosoma porta ad una

frequenza molto bassa del pattern allelico non informativo (unico picco) per tutti i loci investigati.

A B

Figura 1: Tracciato elettroforetico di un feto con trisomia 21 (A) e un feto normale per lo stesso

cromosoma (B)

La valutazione molecolare delle aneuploidie rappresenta un utile supporto diagnostico nei casi di

fallimento della coltura cellulare, referti ecografici dubbi in gravidanze inoltrate, riscontro

immediato di sindromi polimalformative (es. triplodie), conferma di ITG per trisomie 13, 18, e 21.

Inoltre, i costi analitici contenuti della procedura permettono di poter offrire ai pazienti un test

diagnostico altrettanto affidabile come la FISH, ma rispetto a quest’ultima molto meno costoso e,

soprattutto, completamente automatizzato.

La diagnosi genetica preimpianto

E’ stata realizzata per la prima volta con successo nel 1990 da Handyside e coll. per la

determinazione del sesso embrionario per coppie a rischio di malattie legate alla X. Da allora la

21

diagnosi genetica preimpianto è stata utilizzata per un numero ancora limitato di pazienti con

tecnologie diverse nei diversi centri. Nella maggior parte dei casi è stata comunque realizzata

attraverso una biopsia dello zigote allo stadio di 6-10 cellule. Una o due cellule, rimosse con

tecniche di micromanipolazione vengono utilizzate per l’indagine genetica mediante PCR o FISH.

Un numero variabile di embrioni non affetti (massimo 2 secondo i più recenti orientamenti)

vengono poi inseriti nella cavità uterina sperando in un impianto regolare.

Nei lavori che analizzano l’uso della diagnosi preimpianto, è stato riportato che due terzi dei

pazienti hanno ricevuto una diagnosi per anomalie cromosomiche mentre solo un terzo si è

sottoposto ad indagini per malattie geniche (Fibrosi cistica, Distrofia muscolare Duchenne,

βTalassemia, Malattia di Tay-Sachs, Immunodeficienza severa combinata).

Gli studi compiuti finora non hanno dimostrato un incremento del numero di anomalie congenite

dopo l’uso della diagnosi preimpianto. Bisogna però sottolineare che non sono ancora chiariti i

limiti e i rischi di errore della tecnica (falsi negativi sono stati riportati prima dell’utilizzo della

tecnica ICSI, a causa di contaminazione con spermatozoi o altre fonti di DNA). Certamente la

percentuale di gravidanze che si ottengono in pazienti fertili, usando tecniche di fecondazione

assistita è molto più bassa di quella che si avrebbe attraverso la fecondazione naturale. E’

importante quindi che la prospettiva di questo tipo di diagnosi venga sempre accompagnata da una

consulenza rigorosa e completa che analizzi le motivazioni personali, le indicazioni e le aspettative

della coppia nei confronti della diagnosi genetica preimpianto.

Cellule fetali o DNA fetale nel sangue materno

E’ stato per decenni un desiderio dei clinici coinvolti nella diagnosi prenatale quello di offrire

tecniche non invasive che fossero utilizzate da tutte le gestanti a prescindere dal loro rischio

riproduttivo e dal loro orientamento nei confronti dell’interruzione della gravidanza.

22

Fin dal 1969 era stato documentato che linfociti fetali circolavano nel sangue materno, ma la

separazione e concentrazione di un numero sufficiente di tali cellule ha presentato problemi tecnici

quasi insormontabili.

Lo sviluppo recente di tecniche di “cell sorting” e di amplificazione genica ha dato nuovo impulso

alle ricerche consentendo ad esempio di individuare il tipo di cellule fetali più adeguato per

l’analisi. I linfociti fetali, infatti, come anche le cellule del citotrofoblasto, già da tempo dimostrate

nel sangue materno, permangono a lungo nell’organismo della madre e un loro reperimento può

riferirsi a gravidanze precedenti. Dal 1994 diversi lavori hanno dimostrato una fattibilità di

diagnosi soprattutto per le aneuploidie cromosomiche20.

Si è però ancora lontani da una concreta possibilità di diagnosi che si mostri sufficientemente

riproducibile e praticabile in un numero ampio di centri. E’ indubbio che questo ambito della

diagnosi prenatale venga visto tra i più promettenti e ambiziosi.

SCREENING PER ANOMALIE CROMOSOMICHE

Test di screening

Si tratta di indagini eseguite per definire una probabilità “personalizzata” che l’embrione sia affetto

dalla SD e, in misura minore, da altre anomalie cromosomiche o da difetti del tubo neurale se si

prende in considerazione la sola alfa-feto proteina.

Esistono due metodi consolidati: il metodo biochimico, duo-test o in misura molto minore il triplo

test ed il metodo ecografico, o misurazione della translucenza nucale (TN)21.

Il duo test, si esegue sul siero materno intorno alla 11a -12a settimana di gestazione, valutando i

valori di due analiti (la frazione beta libera della Coriogonadotropina Umana (HCG) e la PAPP-A

cioè la Proteina Associata alla Gravidanza) che vengono computati con altri parametri materni (età,

peso, presenza meno di diabete, fumo, ecc.).

23

Qualora la probabilità ottenuta superi un valore soglia, in genere quello corrispondente al rischio

delle donne di 35 anni, viene indicata la diagnosi prenatale citogenetica. Generalmente il duo-test

viene associato alla misurazione della TN e la valutazione della probabilità individualizzata è

formulata sulla base di entrambi i parametri.

La misurazione della TN, che consiste nella valutazione dello spessore della regione retronucale

come rappresentato nella figura n.1, si effettua tra l’11a e la 14a settimana e consente anch’essa di

ottenere una probabilità personalizzata di feto affetto da anomalie cromosomiche. Ad un valore di

falsi positivo del 6-9% la capacità del test di individuare feti affetti da anomalie cromosomiche è

dell’80%.

La positività del test della TN, in presenza di un cariotipo fetale nella norma, non consente però di

annullare la probabilità di patologie fetali che possono riguardare il cuore (cardiopatie congenite nel

3-5% dei casi) l’apparato scheletrico, alcune malformazioni viscerali quali l’ernia diaframmatica.

Nei casi in cui la TN sia stata “allarmante” è quindi indicato, oltre il cariotipo, eseguire in epoche

successive della gravidanza, una valutazione morfologica fetale e un’ecocardiografia fetale. Anche

a fronte di una negatività di questi successivi accertamenti è prudente considerare un rischio residuo

di anomalie congenite lievemente superiore a quello della popolazione generale (5%).

I destinatari “ottimali” dello screening mediante TN e duo test sono le donne di età inferiore ai 35

anni, che non sono candidate in prima istanza alla diagnosi prenatale invasiva, e permette di

identificare circa il 70-80 % delle gravidanze con feto affetto, con una percentuale di falsi positivi,

cioè di procedure “inutili” di circa il 5-6%.

Data la peculiarità del risultato dello screening, che a differenza di altri esami non dà una certezza

di feto affetto o non affetto, è doveroso che la gestante venga informata preventivamente circa il

tipo di esame, i vantaggi e le conseguenze che questo può comportare in modo che possa scegliere

in modo informato se effettuare o meno l’indagine.

L’informazione, che è a cura del ginecologo curante, deve includere che:

24

- in caso di risultato a rischio “aumentato”: questo non significa che il feto sia affetto, occorrerà

eseguire ulteriori accertamenti diagnostici se si vuole confermare con certezza la presenza di un feto

patologico,

- gli eventuali iter diagnostici da affrontare in caso di risultato “allarmante” riguardano procedure

invasive delle quali vanno chiariti benefici e rischi; in questo caso alla gestante va garantita la

possibilità di sottoporsi ad ulteriori accertamenti diagnostici nella struttura pubblica (D.M. 10.9.98)

a meno che decida di rivolgersi volontariamente ad una struttura privata,

- il test di screening è mirato alle anomalie cromosomiche, non può dare indicazioni su altre

alterazioni genetiche, quali ad esempio le malformazioni o le malattie ereditarie.

Lo screening è, per definizione, un esame volontario e deve essere collegato all’espressione di un

consenso informato.

I valori ottenuti in un’epoca compresa tra l’8a e la 12a settimana di gestazione, computati con l’età

materna, consentono di formulare una probabilità di feto affetto con una specificità e sensibilità

analoghe a quelle descritte per il triplo test 4,22,23,24.

E’ importante sottolineare il ruolo della corretta informazione pre-test e successiva al test per

evitare aspettative irrealistiche nei confronti dello screening che sono alla base delle gravi

conseguenze psicologiche legate alla nascita di un bambino con SD dopo screening fetale

rassicurante 25.

Ruolo del medico genetista nell’ambito dell’equipe della diagnosi prenatale

Nel corso degli ultimi dieci anni la figura del medico genetista ha acquisito maggiore rilevanza

all’interno dell’equipe di diagnosi prenatale. Il suo ruolo è articolato e può essere schematizzato nei

seguenti punti, sebbene ogni realtà possa di fatto differenziarsi per circostanze, priorità di

intervento, tipologia di casi seguiti ecc.

• Intervento al momento della programmazione della diagnosi prenatale (verifica dell’

indicazione, fattibilità, raccordo con servizio di laboratorio, definizione del percorso).

25

• Commento ed interpretazione egli esiti dei test genetici o delle indagini ecografiche,

• Intervento nella valutazione del rischio riproduttivo dopo una gravidanza patologica esitata

in interruzione volontaria o nella nascita del bambino.

LA COMUNICAZIONE E L’ ASSISTENZA ALLE SCELTE

Il percorso della diagnosi prenatale non dovrebbe mai essere svincolato dalla possibilità, per la

donna e la coppia, di compiere scelte consapevoli, incluso considerare l’opzione di interruzione

della gravidanza nei casi di diagnosi di grave patologia fetale. Bisogna sottolineare che la richiesta

di diagnosi prenatale è sempre e in ogni caso un atto volontario e può essere avanzata da chiunque,

anche in assenza di uno specifico incremento del rischio fetale.

La regolamentazione dell’accesso ai servizi di diagnosi prenatali, voluta dal Ministero della Sanità

con il decreto DM 10 settembre 1998 26 riflette precise scelte di politica socio-sanitaria che

riguardano da un lato le risorse economiche che si è deciso di destinare a questi servizi e dall’altro

un bilancio tra i rischi delle procedure di indagine e la probabilità di identificare feti affetti. Esiste

però un rischio naturale, che riguarda tutte le gestanti e che non è legato a fattori identificabili in

base all’anamnesi. Quando la richiesta di indagini viene posta dalla donna/coppia sulla base delle

informazioni possedute riguardo il loro rischio e le tecniche disponibili per identificare anomalie

fetali, è cruciale che la consulenza sia condotta in modo obiettivo, completo e con il preciso scopo

di assistere la donna nel valutare i pro ed i contro dell’uso della diagnosi prenatale.

L’induzione di indagini prenatali senza i requisiti di conoscenza della patologia e in presenza di

rischi estremamente bassi, rappresenta una responsabilità professionale molto forte che bisogna

saper riconoscere, vista la situazione di “fragilità emotiva” che caratterizza la donna in gravidanza e

vista la generale ansietà che accompagna oggi il percorso di scelta della donna in età riproduttiva.

La nostra esperienza infine ha confermato negli anni quale sia la rilevanza del lavoro

multidisciplinare in questo ambito. Un lavoro di equipe che possa veramente integrare le

competenze per assistere al meglio la donna e la coppia nel difficile percorso di scelta che precede e

26

segue la diagnosi prenatale. Tra gli elementi determinanti riteniamo debba essere considerato

l’aspetto psicologico ed emotivo che affianca gli aspetti clinici rendendo spesso impossibile

percepire questi ultimi se non nel rispetto dei primi.

Ogni scelta che implichi decisioni di fare o non fare, di proseguire o interrompere, di accettare o

rifiutare tocca in modo profondo ed unico l’intero essere e richiede un’attenzione senza eguali da

parte dei medici che scelgono di lavorare nei servizi di diagnosi prenatale. Questi servizi devono

offrire tutte le procedure disponibili, tutti gli accertamenti diagnostici praticabili ma soprattutto

devono saper assistere la donna/coppia nei casi di scelta di interruzione della gravidanza così come

nei casi di prosecuzione.

Qualunque aspetto sia praticato al di sotto degli standard ottimali di cura, compresa l’informazione

e il sostegno, rappresenta una responsabilità con la quale è necessario confrontarsi.

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