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> La cometa Shoemaker-Levy 9 incontra Giove A un anno di distanza dallo spettacolare impatto, le sue immagini continuano a stupire gli astronomi di David H. Levy, Eugene M. Shoemaker e Carolyn S. Shoemaker s tavamo lavorando sotto la cupola del piccolo telescopio Schmidt al Palomar Observatory in California, in una scomoda e ingom- bra stanzetta. Era il 22 maggio 1993. Carolyn Shoemaker era china sullo stereomicroscopio, lo strumento che le serviva per esami- nare foto di asteroidi e comete da oltre 10 anni, da quando cioè si era affiancata al marito Eugene (familiarmente Gene) nello studio di que- sti oggetti celesti. Gene ha loro dedicato una parte significativa della propria carriera. Negli anni cinquanta le sue ricerche permisero di di- mostrare che il grande cratere che si apre nel deserto a est di Flagstaff (Arizona) si era formato in seguito alla caduta di un piccolo asteroide. Più tardi egli studiò i crateri visibili sulla Luna e sui satelliti di altri pianeti, nonché i resti di antiche collisioni nell' outback australiano. Più di recente, Gene e Carolyn si sono dedicati alla ricerca sistematica di asteroidi le cui traiettorie passino molto vicino alla Terra. Quel giorno David Levy controllava la posta elettronica per vedere se era il caso di aggiungere al programma di osservazione qualche co- meta o asteroide scoperti da poco. Scrittore e conferenziere di giorno, astrofilo di notte, poteva vantare 21 successi nella caccia alle comete, g otto dei quali relativi a scoperte fatte con un telescopio da 16 pollici E montato in giardino. Dall'inizio della nostra collaborazione, risalente a -E 16 anni fa, abbiamo scoperto 13 comete. A dispetto della nostra espe- rienza combinata, però, l'anticipazione del maggio 1993 ci colse - in- .2 I sieme con il resto della comunità scientifica - totalmente di sorpresa. o. La posta elettronica conteneva una notizia sbalorditiva, comunicata 0 u dal Central Bureau for Astronomica! Telegrams dell'Intemational A- ; stronomical Union (una sorta di notiziario per astronomi): una cometa ,s . da noi scoperta due mesi prima avrebbe colpito Giove nel luglio 1994. o i Dopo aver passato tutta la carriera a studiare i crateri e i corpi che li avevano prodotti, Gene avrebbe finalmente potuto vedere un impatto. h La madre di tutte le collisioni Come sa chiunque abbia mai osservato la Luna anche con un picco- lo telescopio, la superficie del nostro satellite è tempestata di crateri da i impatto. La Luna stessa potrebbe essere nata dai resti di una collisione: cci quando la Terra si era appena formata, un oggetto delle dimensioni di Marte potrebbe averla colpita, causandone la fusione e scagliando in Al momento della sua scoperta, la cometa Shoemaker-Levy 9 appariva appiattita e allungata lateralmente; immagini più dettagliate hanno ri- velato che era costituita da nuclei separati. Questi sono caduti su Giove 16 mesi dopo la loro individuazione, lasciandovi ampie tracce scure. LE SCIENZE n. 326, otto pre 1995 53

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La cometaShoemaker-Levy 9incontra GioveA un anno di distanza dallo spettacolareimpatto, le sue immaginicontinuano a stupire gli astronomi

di David H. Levy, Eugene M. Shoemakere Carolyn S. Shoemaker

s

tavamo lavorando sotto la cupola del piccolo telescopio Schmidtal Palomar Observatory in California, in una scomoda e ingom-bra stanzetta. Era il 22 maggio 1993. Carolyn Shoemaker era

china sullo stereomicroscopio, lo strumento che le serviva per esami-nare foto di asteroidi e comete da oltre 10 anni, da quando cioè si eraaffiancata al marito Eugene (familiarmente Gene) nello studio di que-sti oggetti celesti. Gene ha loro dedicato una parte significativa dellapropria carriera. Negli anni cinquanta le sue ricerche permisero di di-mostrare che il grande cratere che si apre nel deserto a est di Flagstaff(Arizona) si era formato in seguito alla caduta di un piccolo asteroide.Più tardi egli studiò i crateri visibili sulla Luna e sui satelliti di altripianeti, nonché i resti di antiche collisioni nell' outback australiano.Più di recente, Gene e Carolyn si sono dedicati alla ricerca sistematicadi asteroidi le cui traiettorie passino molto vicino alla Terra.

Quel giorno David Levy controllava la posta elettronica per vederese era il caso di aggiungere al programma di osservazione qualche co-meta o asteroide scoperti da poco. Scrittore e conferenziere di giorno,astrofilo di notte, poteva vantare 21 successi nella caccia alle comete,

g otto dei quali relativi a scoperte fatte con un telescopio da 16 polliciE montato in giardino. Dall'inizio della nostra collaborazione, risalente a-E 16 anni fa, abbiamo scoperto 13 comete. A dispetto della nostra espe-

rienza combinata, però, l'anticipazione del maggio 1993 ci colse - in-.2I sieme con il resto della comunità scientifica - totalmente di sorpresa.o. La posta elettronica conteneva una notizia sbalorditiva, comunicata0u dal Central Bureau for Astronomica! Telegrams dell'Intemational A-; stronomical Union (una sorta di notiziario per astronomi): una cometa

,s. da noi scoperta due mesi prima avrebbe colpito Giove nel luglio 1994.o

iDopo aver passato tutta la carriera a studiare i crateri e i corpi che liavevano prodotti, Gene avrebbe finalmente potuto vedere un impatto.

h• La madre di tutte le collisioni

▪ Come sa chiunque abbia mai osservato la Luna anche con un picco-lo telescopio, la superficie del nostro satellite è tempestata di crateri da

i impatto. La Luna stessa potrebbe essere nata dai resti di una collisione:cci▪ quando la Terra si era appena formata, un oggetto delle dimensioni di

Marte potrebbe averla colpita, causandone la fusione e scagliando in

Al momento della sua scoperta, la cometa Shoemaker-Levy 9 apparivaappiattita e allungata lateralmente; immagini più dettagliate hanno ri-velato che era costituita da nuclei separati. Questi sono caduti su Giove16 mesi dopo la loro individuazione, lasciandovi ampie tracce scure.

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La cronistoria della cometaa collisione di una grande cometa

con un corpo planetario è un e-vento di estrema rarità, ed è una verafortuna per la comunità astronomicache l'impatto della cometa Shoe-maker-Levy 9 con Giove sia avvenutonel 1994 e non in precedenza. Dopola scoperta che S-L 9 sarebbe preci-pitata sul pianeta gigante, gli scienzia-ti hanno potuto prepararsi a osservarel'impatto in maniera dettagliatissimautilizzando fra l'altro lo Hubble SpaceTelescope. Ricordiamo qui alcuni epi-sodi salienti della storia della cometa.

1929: Una cometa di bre-ve periodo viene cattura-ta in un'orbita polare in-stabile intorno a Giove.

1956: Eugene Shoemaker ter-mina la sua tesi di dottoratosull'impatto di un asteroideche 50 000 anni fa scavò unenorme cratere nel desertodell'Arizona.

1960: David Levy acquista ilsuo primo telescopio, un ri-flettore da 3,5 pollici. Peruna curiosa coincidenza, lasua prima osservazione a-stronomica riguarda Giove. 1986: La tragica esplosione

di Challenger al decolloblocca a terra la flotta deglishuttle e ritarda il lancio del-lo Hubble Space Telescopee della sonda Ga/ileo.

1990: Hubble vienemesso in orbita dalloshuttle Discovety epresenta subito unamiriade di problemitecnici, fra cui ungrave difetto dellospecchio principale.

1989: David Levy si unisce a Euge-ne e Carolyn Shoemaker nella cac-cia a comete e asteroidi con un te- glescopio del Mount Palomar Obser-vatory in California.

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1982: Carolyn Shoemaker inizia a collabo-rare con il marito nella ricerca di comete easteroidi. Essi utilizzano uno stereomicro-scopio appositamente costruito per con-frontare due immagini della stessa regionedi cielo ottenute in tempi diversi.

orbita un getto di detriti che finì peramalgamarsi e costituire la Luna (si ve-da l'articolo L'eredità scientifica dellemissioni Apollo di G. Jeffrey Taylor in«Le Scienze» n. 313, settembre 1994).Tettonicamente inattiva e priva di at-mosfera e di acqua, la Luna conserveràa tempo indefinito il proprio volto but-terato. L'erosione e la deposizione disedimenti invece rinnovano continua-mente la superficie della Terra, che diconseguenza mostra pochi crateri anchese il nostro pianeta è stato certamentecolpito molto più spesso della Luna. Peresempio, una vera pioggia di cometecadde sulla Terra nel periodo della suaformazione, fra 4,6 e 3,9 miliardi di an-ni fa, recando elementi - carbonio, idro-geno, azoto e ossigeno - fondamentaliper l'evoluzione della vita.

Simili collisioni possono anche avereeffetti disastrosi per i viventi. Circa 65milioni di anni fa un oggetto un pocopiù grande della cometa di Halleypiombò sull'attuale costa della penisoladello Yucatàn, in Messico. L'impattoscavò un cratere del diametro di 170chilometri e scagliò detriti in tutto ilglobo. Mentre la miriade di minuscolimissili balistici ricadeva sulla Terra, ilcielo si riempì di meteoriti e l'atmosfe-ra divenne incandescente. Grandi in-cendi scoppiarono su tutta la superficiedel pianeta, ma la catastrofe fu ben pre-sto seguita da un'oscurità persistentecausata dalla polvere sollevata nell'at-mosfera che bloccava i raggi solari.Mesi di raffreddamento globale lascia-rono poi il posto a secoli di riscalda-mento per effetto serra, dovuto all'ani-dride carbonica liberata dalle rocce almomento dell'impatto. Molte specie vi-venti si estinsero.

Quell'antica catastrofe dimostra che iproiettili provenienti dallo spazio pos-sono avere effetti assai rilevanti sul no-stro pianeta (per una trattazione più am-

pia si veda l'articolo Oggetti vicini allaTerra: scoperta e difesa di Andrea Ca-rusi in «Le Scienze» n. 317, gennaio1995). Il nostro programma di ricerchea Mount Palomar era uno dei tanti intesia valutare la frequenza delle collisionidi questi intrusi interplanetari con pia-neti e satelliti. Ciò che non ci aspettava-mo era di poter assistere a un impattocosì colossale nell'immediato futuro.

Una scoperta fortunata

La scoperta della nostra cometa nonparve all'inizio un fatto clamoroso: cer-tamente non potevamo immaginare chequella che stavamo facendo si sarebberivelata una delle osservazioni più im-portanti della nostra vita. Era una nottebuia e di lì a poco tempestosa - il 23marzo 1993 - e stavamo dedicandoci ainostri soliti compiti di osservazione conil più piccolo dei quattro telescopi rego-larmente utilizzati al Palomar Observa-tory, uno strumento con uno specchioda 26 pollici e una lente di correzioneda 18 pollici progettato per coprire va-ste aree di cielo. Per questa occasioneavevamo un ospite, Philippe Bendjoya,astronomo dell'Università di Nizza.

Il cielo si stava a poco a poco annu-volando e, anche se le nubi non nascon-devano completamente la volta celeste,sapevamo che avrebbero confuso sullapellicola le immagini di stelle deboli,asteroidi e possibili comete. Perciò in-terrompemmo la nostra normale routinedi osservazione e decidemmo semplice-mente di consumare delle pellicole cheerano state parzialmente esposte alla lu-ce. (Le pessime condizioni atmosferi-che non meritavano niente di meglio diquesto materiale poco affidabile.) Unodei nostri campi visuali standard conte-neva il pianeta Giove ed era sgombro dinubi. Riuscimmo a realizzare tre espo-sizioni - una con Giove e due di regioni

vicine del cielo - prima che anche que-sta zona si coprisse. Più tardi, quellastessa sera, una breve schiarita ci per-mise di ottenere una seconda foto delcampo che conteneva Giove.

Due giorni dopo, Carolyn iniziò lascansione delle immagini riprese inquella notte nuvolosa. Con lo stereomi-croscopio cercava di individuare, in duefoto ottenute in momenti diversi, il lie-ve spostamento della posizione di unasteroide o di una cometa rispetto allestelle dello sfondo. All'improvviso alzòla testa ed esclamò: «Non so che cosasia, ma sembra una cometa spiaccica-ta». Non stava esagerando: l'oggettoaveva realmente l'aria di una cometache fosse stata calpestata. Una tipicacometa ha un nucleo di alcuni chilome-tri di diametro costituito da ghiaccio,materiale roccioso e composti organici.Quando si avvicina al Sole, il ghiacciosublima e la polvere così liberata formaun alone capace di diffondere la luce, lacosiddetta chioma: la pressione dellaradiazione solare spinge poi all'indietroquesto materiale, in una coda allungata.Ma invece di una singola chioma e diuna coda, la nostra cometa aveva un ag-glomerato di chiome a forma di barra,con una coda composita che si allunga-va verso nord. La caratteristica più stra-na era una linea luminosa sottilissimaall'altra estremità della barra.

Una scoperta così bizzarra richiedevauna conferma con un telescopio più poten-te. Ci rivolgemmo al collega James V.Scotti dell'Università dell'Arizona, chequella notte doveva eseguire osserva-zioni con lo Spacewatch Telescope invetta al Kitt Peak. Jim acconsentì a ri-prendere immagini televisive ad alta ri-soluzione della cometa, e ciò che videlo lasciò sbalordito. «Ci sono almenocinque nuclei cometari distinti, l'unoaccanto all'altro» ci spiegò al telefono«ma in mezzo a essi c'è dell'altro mate-

riale. Penso che quando il cielo sarà piùsgombro potrò vedere altri nuclei.»

Segnalammo immediatamente questastrana cometa a Brian G. Marsden,direttore del Central Bureau for Astro-nomical Telegrams presso lo Harvard--Smithsonian Center for Astrophysics,al quale Scotti a sua volta inviò le pro-prie osservazioni. Il giorno dopo la sco-perta fu annunciata ufficialmente e, da-to che l'oggetto descritto era così inso-lito, astronomi di tutto il mondo comin-ciarono subito a osservarlo. Jane Luudella Stanford University e David Je-witt dell'Università di Hawaii ottennerouna magnifica immagine usando il ri-flettore da 88 pollici dell'istituto di Je-witt. In seguito riuscirono a distingue-re 21 nuclei separati, disposti «come leperle di una collana».

Seguendo una tradizione iniziata piùdi due secoli fa con Charles Messier, lacometa ha preso il nome degli scoprito-ri, ed essendo la nona da noi trovata diuna serie di oggetti che seguono orbitedi breve periodo intorno al Sole, la suadenominazione formale è stata «Cometaperiodica Shoemaker-Levy 9». Per bre-vità la chiameremo S-L 9.

Incontri ravvicinati

A metà dell'aprile 1993, Marsden, ilgiapponese Syuichi Nakano e DonaldK. Yeomans del Jet Propulsion Labora-tory di Pasadena avevano determinatoche la nostra cometa orbitava in realtàintorno a Giove, non al Sole, e anzi erapassata molto vicina al pianeta circa ot-to mesi prima che la individuassimo.Questo passaggio radente spiegaval'esistenza dei molti frammenti.

Il 7 luglio 1992 S-L 9 arrivò fino acirca 20 000 chilometri dalla sommitàdelle nubi di Giove. Nel compiere unostrettissimo giro di boa intorno al piane-ta gigante, si spezzò perché le parti del

nucleo più prossime a Giove furono de-viate maggiormente di quelle lontane.La differenza delle traiettorie orbitali fucausata dalla diversa intensità dell'attra-zione gravitazionale gioviana fra il latovicino e quello lontano della cometa. Lasollecitazione avvertita da S-L 9 fuestremamente debole, ma sufficiente aspezzarla con facilità. Questo fenomenofa pensare che anche in origine il corponon fosse nient'altro che un aggregatodi frammenti tenuti insieme dalla deboleattrazione gravitazionale reciproca.

Sebbene fosse già noto che in passatoalcune comete avevano orbitato intornoa Giove, S-L 9 è stata la prima effettiva-mente osservata in orbita intorno a unpianeta; la vita del nuovo satellite (omeglio dei 21 nuovi minuscoli satelliti)era però destinata a essere effimera.Dopo ulteriori calcoli Marsden annun-ciò che la cometa spezzata sarebbe pre-cipitata sul pianeta nel luglio 1994.

Astronomi e planetologi si chieseroimmediatamente che cosa sarebbe acca-duto al momento degli impatti. Si sa-rebbero visti immensi fuochi d'artificiodurante le collisioni, o l'evento sarebbestato un fiasco cosmico? H. Jay Meloshdell'Università dell'Arizona, per esem-pio, ipotizzò che i frammenti della co-meta sarebbero penetrati così profonda-mente nell'atmosfera gioviana prima diesplodere che il pianeta li avrebbe inpratica inghiottiti senza lasciar tracce.Viceversa, secondo Thomas J. Ahrens eToshiko Takata del California Institu-te of Technology, Kevin Zahnle del-l'Ames Research Center della NASA eMordecai-Mark Mac Low dell'Univer-sità di Chicago, ciascun nucleo avrebbeaperto un «tunnel di fuoco» nell'atmo-sfera di Giove, sarebbe esploso e avreb-be scagliato una spettacolare palla difuoco nello spazio attraverso la ca-vità appena scavata. David A. Crawforde Mark B. Boslough dei Sandia Natio-

nal Laboratories supposero che si sa-rebbe visto soprattutto un immensopennacchio di gas uscire dal tunnel.

Ma, indipendentemente dalla corret-tezza di queste previsioni, la comunitàastronomica avrebbe potuto vedere lospettacolo? La risposta dipendeva dallaposizione dell'impatto dei nuclei conGiove. I primi calcoli non erano inco-raggianti: si prevedeva che i frammentidella cometa avrebbero colpito il latonotturno di Giove, dove sarebbero statinascosti alla vista dalla mole del piane-ta. Giove avrebbe dovuto ruotare versoest per circa un'ora prima che dalla Ter-ra si potesse vedere qualcosa. La natu-ra stava organizzando uno spettacolostraordinario e sembrava proprio che ilposto assegnatoci fosse dietro al palco.

Dovemmo rassegnarci a questa previ-sione per tutta l'estate e l'autunno del1993; Giove e il Sole erano troppo vici-ni nel cielo per poter effettuare ulterioriosservazioni di S-L 9. Ma, all'inizio didicembre, Scotti riuscì a determinare lenuove posizioni dei frammenti della co-meta mentre Giove sorgeva appena pri-ma dell'alba. Da tali misurazioni emerseche i nuclei avrebbero colpito Giove inprossimità del lato rivolto alla Terra.

Una sessione di osservazione globale

Via via che si avvicinava la «settima-na degli impatti», nell'estate 1994, di-venne evidente che l'evento era cosìstraordinario da meritare la contempo-ranea osservazione sul maggior numerodi telescopi possibile. Una fortuna al-trettanto straordinaria aveva conces-so agli astronomi 14 mesi di tempo percoordinare i loro programmi. In testaall'elenco di potenti telescopi da punta-re su Giove vi era lo Hubble Space Te-lescope, le cui ottiche da poco corret-te avevano già colto immagini dellacometa di stupefacente chiarezza. Un

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1993: Gli astronauti dello shuttle En-deavor riescono a riparare i difetti diHubble stando in orbita a 600 chilo-metri di quota.

1994: Gli astronomi dello Space TelescopeScience Institute di Baltimora ricevono daHubble le immagini dei giganteschi pen-nacchi e delle tracce lasciate su Giove dal-le esplosioni e cominciano il lavoro di anali-si dei dati.

1992: Durante un'orbitafortemente ellittica, la co-meta Shoemaker-Levy 9passa a meno di 20 000chilometri da Giove e sispezza in una serie di fram-menti per effetto della gra-vità del pianeta. 1994: In un periodo di

quasi sei giorni. i 21frammenti della cometapiombano su Giove edesplodono. A particolarilunghezze d'onda, alcu-ni dei pennacchi dovutialle esplosioni appaio-no più luminosi dell'in-tero pianeta (a sinistra).Via via che Giove ruota,diventano visibili le trac-ce delle collisioni avve-nute sul lato notturno(qui sopra).

1993: Carolyn Shoemaker scopre quella che sembra una «co-meta spiaccicata» su una coppia di immagini che mostrano unaregione di cielo nei pressi di Giove. Si può vedere l'effetto tridi-mensionale tenendo la pagina vicina agli occhi e facendo fonde-re le due immagini.

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GIOVE

15 LUGLIO,44 OREPRIMA

DELL'INIZIODEGLI IMPATTI

1 LUGLIO

15 GIUGNO

15 MAGGIO

o

30 MARZO

27 GENNAIO 1994

10 MILIONI DI CHILOMETRI

SCOPERTADELLA COMETA25 MARZO 1993

1 LUGLIO

I frammenti della cometa, spezzatasi dopo aver sfiorato Giove nel 1992, mostra-no delicate chiome in questa immagine trasmessa dall'Hubble Space Telescope (a si-nistra). I 21 nuclei sono contrassegnati con lettere dell'alfabeto (I e O non sono stateusate per evitare confusioni con uno e zero). I deponenti dei nuclei P e Q indicanouna frammentazione successiva all'evento principale di disintegrazione. La lun-ghezza del treno di frammenti è aumentata continuamente dal momento della sco-perta del maggio 1993 a quello della collisione avvenuta l'anno successivo.

LE SCIENZE n. 326, ottobre 1995 57

gruppo diretto da Harold A. Weaverdello Space Telescope Science Institutedi Baltimora avrebbe utilizzato la Wi-de-Field Planetary Camera di Hubbleper seguire i nuclei cometari nel loroavvicinamento a Giove. Heidi B. Ham-mel e collaboratori del MIT si sarebbe-ro serviti del telescopio orbitante per ot-tenere immagini dettagliate dell'interopianeta il giorno precedente la collisio-ne, in modo da poter fare un confrontocon le fotografie eseguite nella settima-na degli impatti. Il telescopio avrebbeanche rilevato le «firme» spettroscopi-che di elementi e gas liberati durante leesplosioni; ammesso naturalmente chesi potesse scorgere ancora qualcosaquando i siti di collisione fossero diven-tati visibili dalla Terra.

Ma anche se i punti di impatto nonfossero stati rilevabili dal nostro piane-ta, ci sarebbe stato un altro modo perstudiarli. La sonda Galileo, in viaggioverso Giove, era in una posizione tale

da consentire ai suoi strumenti una vistadiretta dei siti di impatto. Il centro dicontrollo del Jet Propulsion Laboratoryriprogrammò la sonda in modo che in-viasse a Terra dati su parecchie dellecollisioni previste.

Molti dei maggiori telescopi terrestriavrebbero avuto un ruolo fondamentalenel registrare gli impatti e i fenomemicorrelati. Le collisioni sarebbero duratesei giorni e quindi sarebbe stato necessa-rio impiegare telescopi distribuiti su tut-to il pianeta. Vennero arruolati il venera-bile telescopio da cinque metri di MountPalomar, altri grandi strumenti in Spa-gna, Cile, Hawaii e Australia e una mi-riade di telescopi più piccoli. Il KuiperAirborne Observatory della NASA, par-tito da Melbourne, avrebbe eseguito mi-surazioni spettroscopiche; inoltre diver-si gruppi di radioastronomi si sarebbe-rò- dedicati a individuare gli effetti dellecollisioni sulla magnetosfera gioviana.

Utilizzando il telescopio da 10 metri

del Keck Observatory sulla vetta delMauna Kea, Imke de Pater dell'Univer-sità della California a Berkeley e colla-boratori si preparavano a registrare im-magini infrarosse alle lunghezze d'on-da assorbite dal metano freddo. (Poichél'atmosfera gioviana, ricca di metano,assorbe queste lunghezze d'onda, filtriche lasciassero passare solo la radiazio-ne della banda del metano avrebberooscurato la faccia del pianeta eviden-ziando ogni evento dell'alta atmosfera oal di sopra di essa.) Secondo il gruppo diricerca, queste misurazioni avrebberoindividuato tutti i siti degli impatti e,forse, anche i pennacchi prodotti dallecollisioni. Il telescopio South Pole Infra-red Explorer (SPIREX) era pronto acompiere osservazioni analoghe.

16 luglio 1994: comincia lo spettacolo

Dopo 14 mesi di attesa, la prima noti-zia fu entusiasmante: l'Osservatorio di

Calar Alto in Spagna aveva registrato lafirma infrarossa di un pennacchio in ri-caduta dovuto al primo impatto (quellodel nucleo A). L'osservazione fu con-fermata dallo European Southern Ob-servatory in Cile. La collisione, quindi,era stata non solo rilevabile, ma addirit-tura spettacolare. Come avremmo ap-preso ben presto, il pennacchio si eraformato circa 3000 chilometri al di so-pra delle nubi di Giove. Ma, nonostantela buona notizia, gli astronomi che at-tendevano i primi dati di Hubble eranopiuttosto nervosi: il telescopio impie-gava filtri e rivelatori diversi da quellidell'osservatorio spagnolo, e tutti sichiedevano che cosa sarebbe riuscito avedere il «grande occhio» nello spazio.

L'intero gruppo che si occupava diHubble si ammassò intorno a un singo-lo schermo allo Space Telescope Scien-ce Institute non appena cominciaronoad arrivare le prime immagini. All'ini-zio non si notava niente di particolare, e

la tensione salì; solo quando una mac-chiolina apparve lungo il bordo del pia-neta si sentirono sospiri di sollievo.L'immagine seguente mostrò il pennac-chio che si sollevava sopra Giove diven-tando sempre più luminoso; la vistaspettacolare diede il via ai brindisi. Inquel primo magico giorno, fu chiaro chela meticolosa preparazione aveva fun-zionato. Il gruppo internazionale di os-

servatori era tenuto in stretto contatto daimessaggi elettronici di Marsden cosic-ché tutti sapevano in ogni momento checosa facevano gli altri e potevano varia-re i programmi in base alle necessità.

Un pianeta bombardato

Fin dall'inizio il comportamento deinuclei cometari fu particolarmente inte-

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2800

3200 3600 4000

4400

FREQUENZA (UNITA ARBITRARIE)

Composizione dello spettro di Giove nel corso degli impatti; è ben visibile la rigadell'acqua in corrispondenza dell'impatto E, e in minor misura degli impatti A e C.

Il radiotelescopio Croce del Nord del CNR, a Medicina (Bologna).

15 000

5000

o

E

II I

Sei numeri all'annoPrezzo di copertina L. 11.000.

Nel periodo luglio-agosto 1994 anche numerosi scienziati

italiani hanno partecipato al programma internazionaleper l'osservazione di quello straordinario evento che è statol'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove, otte-nendo risultati di altissimo interesse, addirittura unici al mon-do, in campo radioastronomico.

Sebbene la radioastronomia venga più comunemente uti-lizzata per indagini di corpi esterni al sistema solare, in que-sto caso ha potuto fornire dati preziosi perché Giove è un for-te emettitore di onde radio su un ampio spettro elettromagne-tico. Alle lunghezze d'onda inferiori al centimetro i meccani-smi di emissione sono prevalentemente termici, e la radiazio-ne proviene dal disco del pianeta. A lunghezze d'onda deci-metriche, Giove presenta un'emissione variabile dovuta al-l'effetto sincrotrone di cariche elettriche che si muovono a ve-locità relativistiche nel campo magnetico estremamente in-tenso del pianeta; questa componentedella radiazione proviene quindi dalle fa-sce magnetiche che si estendono oltredue diametri pianetari. L'effetto di sin-crotrone è riconoscibile in quanto caratte-rizzato da una dipendenza del flusso ra-dio (S) dalla frequenza di osservazione(a) del tipo S cc v-", dove a dipende dal-la distribuzione della velocità delle cari-che elettriche. A lunghezze d'onda anco-ra maggiori (dell'ordine delle decine dimetri), difficilmente osservabili da terra,l'emissione è estremamente variabile ederiva dall'interazione fra correnti elettri-che, campo magnetico e il satellite lo.

Per poter studiare gli effetti dell'impattodi SL-9 sull'emissione radio di Giove so-no stati utilizzati i grandi strumenti radioa-stronomici italiani, costruiti e gestiti dalConsiglio nazionale delle ricerche e si-tuati presso Medicina (Bologna) e Noto(Siracusa). A Medicina si trova il grandestrumento Croce del Nord, realizzato ne-gli anni sessanta e tuttora operativo allalunghezza d'onda di 74 centimetri. È for-mato da due bracci di circa 600 metri dilunghezza disposti a T, orientati in dire-zione nord-sud ed est-ovest: con una su-perficie di raccolta di circa 30 000 metriquadrati costituisce uno dei più grandistrumenti al mondo. Sempre a Medicinae a Noto operano inoltre, a diverse lun-ghezze d'onda (da 90 a 0,7 centimetri),due parabole completamente orientabilidi 32 metri di diametro; esse compionoanche osservazioni nell'ambito di una re-te internazionale di radiotelescopi chesi basa sulla tecnica dell'interferometriaintercontinentale.

In occasione dell'evento l'Istituto di ra-dioastronomia del CNR ha programmatol'osservazione dell'emissione continua diGiove alle lunghezze d'onda di 3,6 e 6centimetri (con le parabole di Medicina edi Noto) per tutto il periodo degli impatti,nonché dell'emissione continua a 74centimetri, con il radiotelescopio Crocedel Nord, e dell'emissione continua a11,7 metri, mediante un dispositivo speri-mentale formato da tre antenne Yagi (lenormali antenne televisive) collegate a ri-cevitori professionali.

Inoltre il pianeta è stato osservato an-

che per cercare righe di emissione nelle bande caratteristichedell'acqua, dell'ammoniaca e della formaldeide che cadononella regione radio (circa 1,3 e 6 centimetri). Per queste inda-gini è stato utilizzato uno spettrometro ad alta risoluzione disofisticata tecnologia, finanziato dal CNR appositamente perl'occasione.

Lo sforzo scientifico è stato premiato da importanti risulta-ti. I dati hanno dimostrato che la componente non termicadell'emissione radio è aumentata considerevolmente, fino al30 per cento, a causa dell'impatto, contrariamente alle previ-sioni teoriche che ipotizzavano un oscuramento dell'emissio-ne da parte di polveri. È stata rivelata inoltre una variazionedella distribuzione spettrale della radiazione (variazione di a)che indicava una forte riaccelerazione delle cariche elettrichenella magnetosfera. A bassa frequenza (con le antenne Ya-gi) sono state individuate varie esplosioni; quella coincidente

con l'impatto del frammento Q, hapermesso di misurare l'intensità deldisturbo radioelettrico prodotto.

I risultati più straordinari si sonoottenuti nelle misure delle righe diemissione, dove è stato possibile ri-levare, sul fondo radioemittente diGiove, una debole e sottile riga ca-ratteristica della molecola dell'ac-qua. Lo spettrometro utilizzato, ca-ratterizzato da un'alta velocità di ri-sposta e da una altrettanto elevatarisoluzione spettrale, ha consenti-to l'individuazione dei dati prove-nienti dai differenti punti di impattodei frammenti su Giove, attraversoun procedimento di «compensazio-ne spettrale».

Per il ben noto processo fisico de-nominato effetto Doppler, se unasorgente di onde elettromagneticheè in movimento rispetto a un «ascol-tatore», questi osserverà (o misu-rerà) una frequenza più bassa diquella effettivamente emessa nel ca-so la sorgente si allontani, oppureuna frequenza più alta qualora si av-vicini. Durante il periodo degli impat-ti, la rotazione di Giove e della Ter-ra e i moti orbitali dei due pianeti in-torno al Sole producevano sposta-menti di frequenza della riga emes-sa che variavano nel tempo, perchévariabili erano le velocità relative deidue corpi. L'alta risoluzione dellostrumento ha permesso di compen-sare istante per istante, con moltaprecisione, le variazioni di frequenzadovute al moto rispetto alla Terra deisingoli punti di impatto sulla superfi-cie di Giove; è stato così possibileottenere lunghe integrazioni del de-bole segnale.

Il risultato ottenuto è stato unico almondo in campo radio: si è potuta ri-velare la sottile riga (a 22 235 me-gahertz) caratteristica della moleco-la dell'acqua in corrispondenza delframmento E. È stato così dedottoche questo frammento si è disinte-grato a una profondità di 30 chilome-tri nell'atmosfera gioviana, liberandoacqua che ha formato una nube gas-sosa di 1500 chilometri di diametromentre risaliva nell'alta atmosfera diGiove. Inoltre l'analisi della strutturadella riga (larghezza, brillanza, profi-lo) rivela un effetto maser (l'analogodell'effetto laser nella banda radio)che permetterà di dedurre importantiinformazioni sullo stato fisico dell'at-mosfera di Giove. La grandissima ri-levanza della scoperta è data dalladimostrazione che le comete sonorealmente in grado di depositare ac-qua e altre molecole nelle atmosfereplanetarie.

Lucia PadrielliDirettore dell'Istituto

di radioastronomia del CNR

Alle radici della rivoluzione tecnologicadel mondo moderno c'è la scopertadei principi di un ramo della fisica,

LA TERMODINAMICA.La costante attualità di questa disciplinaè illustrata nel quaderno di «Le Scienze»

curato da Enrico Bellone.

In questo numero:11 mondo della termodinamica di E. BelloneDiavoletti, macchine e il secondo principiodi C.H. BennettLa freccia del tempo di D. LlayzerMoto browniano e teoria del potenzialedi R. Hersh e G.J. GriegoRicomparsa di fasi di J.S. Walker e C.A. VauseLe fasi fluide della materiadi J.A. Barker e D. HendersonIl vuoto classico di T.H. BoyerGli effetti dello spin nei gas di F. Lala e J.H. FreedLa memoria degli atomi di R.G. Brewer e E.L. HahnReazioni chimiche quantistiche di V.I. GoldanskiiDeterminismo e predicibilità di D. Ruelle«Vetri di spin» di D.L. SteinCaos quantistico di M.C. Gutzwiller

Gli effetti dell'impatto nella banda radio

LE SCIENZE n. 326, ottobre 1995 5958 LE SCIENZE n. 326, ottobre 1995

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DAVID H. LEVY, EUGENE M. SHOEMAKER e CA-ROLYN S. SHOEMAKER collaborano dal 1989 nello studiodel cielo. Levy è scrittore e conferenziere oltre che appassio-nato astronomo. Eugene Shoemaker lavora presso lo US Geo-logical Survey e il Lowell Observatory. Carolyn Shoemaker èanch'ella ricercatrice al Lowell Observatory nonché docentedi astronomia alla Northern Arizona University.

LEVY DAVID H., The Quest for Comets, Plenum Press, 1993.Impact! : Comet Shoemaker-Levy 9 Collides with Jupiter,

numero speciale di «Slcy & Telescope», 88, n. 4, ottobre 1994.Comet Shoemaker-Levy 9, sezione speciale di «Science»,

267, pp. 1277-1323, 3 marzo 1995.LEVY DAVID H., Impact Jupiter: The Crash of Comet Shoe-

maker-Levy 9, Plenum Press (in stampa).

Diario di un evento unico

ono stato affascinato dalla somiglianza degli impatti piùgrandi dei nuclei di S-L 9 e da ciò che possono rivelare gli

eventi correlati a ciascuna esplosione. Prima di ogni collisioneuno sciame di minuscole particelle è penetrato nell'atmosfera diGiove; è stato questo pulviscolo a produrre la lieve luminositàinfrarossa osservata dalla Terra presso il bordo visibile di Gio-

ve, al di sopra del sito di impatto. Poila massa principale del nucleo come-tario ha colpito in pieno l'atmosferagenerando una meteorite brillante.Nel caso del nucleo W, l'evento nonha potuto essere osservato dallo Hub-ble Space Telescope e dai telescopiterrestri, ma è stato perfettamente ri-levato dalla sonda Galileo .

Quando un nucleo affondava nel-

l'atmosfera di Giove, gas caldissimi erompevano dal «tunnel difuoco» a velocità superiori ai 10 chilometri al secondo; questogetto produceva un enorme pennacchio che finiva per elevarsifino a circa 3000 chilometri sopra le nubi di ammoniaca di Gio-ve. Salendo, il pennacchio si raffreddava, fino a che la sua tem-peratura scendeva a poche decine di gradi sopra lo zero asso-luto. La condensazione di particelle submicroscopiche lo rende-va allora visibile in luce riflessa mentre si stagliava sopra l'om-bra di Giove.

Circa sei minuti dopo una collisione, il pennacchio eruttatocominciava a ricadere, e continuava a scendere per una decinadi minuti. Il pennacchio che collassava e l'atmosfera sottostan-te si riscaldavano per compressione e cominciavano a liberareviolenti lampi di energia nell'infrarosso. Questi impulsi sono sta-ti gli eventi più luminosi.

Lavorando con Paul J. Hassig, allora alla Titan Corporation,e David J. Roddy dello US Geological Survey,ho studiato le proprietà fisiche di questi pennac-chi mediante un modello numerico al calcolato-re. Il nostro lavoro aiuta a spiegare le nubi scu-re osservate nelle prime due ore successive aun impatto. La simulazione al calcolatore ripro-duce molte caratteristiche di un pennacchio inevoluzione, come quello associato al nucleo Gosservato chiaramente da Hubble.

Una particolarità fondamentale, presente sianella simulazione sia nelle riprese di Hubble, èche, mentre ciascun pennacchio principale ri-cadeva verso il pianeta, alla sua base si è svi-luppata una «gonna» a forma di mezzaluna che

Il pennacchio in espansionecausato dal nucleo G è rivela-to nelle immagini di Hubble.

si espandeva lateralmente.Questa struttura era assaiasimmetrica a causa dell'in-clinazione del tunnel di fuocoda cui proveniva il materialeincandescente. Il flusso late-rale è continuato attraversola sommità dell'atmosfera percirca 45 minuti, durante i qua-li il margine anteriore del loboha percorso una distanza su-periore al raggio terrestre.

Gran parte della pioggiadi frammenti ha finito per di-sperdersi nella nube esternaa forma di mezzaluna, insie-me con gas compressi pro-venienti dalla parte superio-re del tunnel aperto nell'at-mosfera di Giove. Immaginidettagliate del sito di impattodel nucleo G mostrano 16 li-nee radiali distinte che per-corrono la mezzaluna e chepotrebbero essere state pro-dotte da altrettanti frammentidel nucleo.

A seguito di ciascuna del-le grandi collisioni, nubi mol-to scure hanno formato u-na chiazza nel centro del sitodi impatto. Da questo punto

centrale un'alta colonna si è innalzata dalla troposfera fin nellastratosfera gioviana. La zona scura conteneva probabilmentecomponenti originate nelle profondità dell'atmosfera del pianeta,forse nello strato di nubi di idrogenosolfuro di ammonio che giacesotto la coltre più esterna di nubi di ammoniaca. Perché fra cia-scuna chiazza centrale e la relativa mezzaluna si è formata unazona trasparente? Il meccanismo resta sconosciuto, così comela composizione delle particelle scure che rendono tanto visibili lenubi da impatto. Clifford N. Matthews dell'Università di Chicagoha proposto che il materiale scuro sia poli-HCN, un polimero bru-nastro. lo ritengo che la materia della zona più interna contenes-

TEMPO

Un modello numerico simula l'evoluzione di un pennacchio.

se composti dello zolfo, mentre le regioni trasparenti potrebberoessere state costituite da gas provenienti da parti dell'atmosferagioviana poste sopra le nubi di idrogenosolfuro di ammonio. Unasimile composizione potrebbe spiegare l'aspetto a «occhio dibue» degli impatti: le zonazioni laterali rappresenterebbero le ve-stigia della struttura stratificata dell'atmosfera conservatesi dopole perturbazioni prodotte dal passaggio della cometa. (ems)La posizione della sonda Galileo, in viaggio verso Giove, ha fortunatamente

permesso agli studiosi una vista diretta delle collisioni non rilevabili da terra.

ressante. La rotazione di Giove portò invista un'ampia chiazza lasciata dal nu-cleo A, costituita da tre parti distinte:una striscia centrale, un anello in espan-sione e una strana nube esterna a formadi mezzaluna. Nel visibile queste tracceapparivano straordinariamente scure,ma viste nella radiazione infrarossa diuna banda di assorbimento del metanospiccavano luminose sullo sfondo piùcupo del pianeta. L'intera chiazza eragrande quanto la Terra. Diverse ore do-po il nucleo B colpì Giove con effettiassai diversi. Sebbene questo nucleofosse stato assai più luminoso di A, ilpennacchio dovuto al suo impatto fucosì modesto che solo il più grande te-lescopio del mondo, il Keck da 10 me-tri, riuscì a rivelarlo facilmente. Puòdarsi che il nucleo B fosse composto dauno sciame di frammenti più piccoli,del diametro di qualche decina di metri,staccatisi dal nucleo C dopo la fram-mentazione iniziale. Un osservatore suGiove avrebbe visto un fantasmagoricosciame di meteoriti, ma dalla Terra sipoté osservare ben poco.

La caduta dei nuclei C ed E produssepiù o meno gli stessi effetti causati da A.Due giorni più tardi vi fu grande attesamentre il nucleo G - che aveva una chio-ma molto brillante e, presumibilmente,una grande massa - iniziava la sua ulti-ma discesa. Hubble aveva un'ottima vi-suale di Giove, ma quella notte tutti i te-lescopi dei Mauna Kea Observatorieserano chiusi a causa della nebbia e di

una leggera pioggia. Miracolosamente,però, solo un minuto prima dell'impatto,le nubi sul Mauna Kea si diradarono. Lecupole dell'osservatorio furono aperte atempo di record e i telescopi riuscironoa cogliere le immagini della collisioneprima che il maltempo costringesse dinuovo, 10 minuti dopo, a sospendere leosservazioni. Questa schiarita insperatafu un vero colpo di fortuna: il nucleo Gcolpì Giove con un'energia così enormeche il pennacchio risultò molto più bril-lante dell'intero pianeta nella banda in-frarossa del metano. Il nucleo G lasciòle stesse tracce dei precedenti grandi im-patti di A, C ed E, ma la «cicatrice» fumolto più grande. L'immenso lampo furegistrato in Australia e al Polo Sud.

A questo punto, Hubble aveva rileva-to anelli in espansione dovuti agli impat-ti A, E e G nelle regioni intermedie tra lenubi scure al centro dei siti di collisionee le «mezzelune» più esterne, anelli chesi andavano allargando alla velocità dicirca 450 metri al secondo. L'interpreta-zione delle strutture toccò ad Andrew P.Ingersoll del Caltech. Ben presto eglicomprese che gli anelli non si muoveva-no abbastanza velocemente per essereonde sonore, come aveva pensato in unprimo tempo; tuttavia la loro velocità erala stessa per tutti gli impatti. Alla fineIngersoll e Hiroo Kanamori, pure delCaltech, scoprirono che era stata prodot-ta un'onda di «gravità interna», qualcosadi simile alle onde formate da una pietragettata nell'acqua.

Intanto gli impatti continuavano, e ilnucleo L lasciò una traccia ancora piùgrande, anch'essa completa di zonascura centrale e nube esterna a mezza-luna. Ormai i segni sulla superficie diGiove erano così grandi e densi che an-che gli astronomi dilettanti di tutto ilmondo potevano osservarli con i loropiccoli telescopi. I nuclei H, K e L furo-no tutti preceduti da un lungo sciame diparticelle il cui ingresso nell'atmosferaprodusse una luminosità infrarossa cre-scente prima dell'arrivo della parteprincipale del nucleo. La sonda Galileoottenne una splendida serie di «istanta-nee» del nucleo brillante di W, l'ultimoframmento a cadere, e del pennacchioincandescente prodotto dal suo impatto.La sequenza di immagini dello stessoevento realizzate da Hubble terminòcon la visione del pennacchio che rica-deva proprio sul punto della precedentecollisione del nucleo K.

I risultati continuano ad arrivare

Nonostante le estese osservazioni diquesto episodio spettacolare, vi sonodomande importanti a cui non è statadata ancora risposta. Quanto eranograndi i nuclei? Si trattava di aggregatidi piccoli corpi oppure di frammenti piùgrandi? Quanta energia hanno liberatoal momento dell'impatto? La diversitàdegli effetti e la mole stessa dei datiraccolti - superiore a quella relativa aqualsiasi altro evento nella storia del-

l'astronomia - rendono complessa l'a-nalisi. Proprio come nelle discussioni enegli incontri scientifici precedenti agliimpatti era stata sottolineata la neces-sità di coordinare le osservazioni, leriunioni organizzate dopo l'evento sisono concentrate sul confronto dei datiper stabilire le teorie più adatte.

La cometa S-L 9 probabilmente ini-ziò i suoi vagabondaggi nel sistema so-lare esterno, oltre l'orbita di Nettuno.Una serie di incontri ravvicinati conGiove ne alterò a poco a poco il periododi rivoluzione intorno al Sole, portan-dolo da alcune migliaia di anni a circa10 anni. I più recenti calcoli orbitali,eseguiti da Paul W. Chodas del Jet Pro-pulsion Laboratory, indicano che, pro-babilmente verso il 1929, la cometa siavvicinò lentamente a Giove fino a es-sere catturata e a diventare un satellite.L'orbita risultante, con periodo di circadue anni, era però instabile: in alcunerivoluzioni la sua forma era quella diuna ellisse allungata, in altre era quasicircolare. Nel 1992, durante un'orbita

altamente ellittica, la cometa passò cosìvicino a Giove da venire frantumata.

La disgregazione iniziale disperse ilmateriale cometario in un lungo sciamedi detriti. Erik I. Asphaug dell'AmesResearch Center della NASA e WillyBenz dell'Università dell'Arizona han-no dimostrato che dall'aggregato di«ciottoli» sparsi si formarono poi nucleidistinti per attrazione gravitazionale re-ciproca. Riteniamo che grandi fram-menti coerenti del nucleo cometario ini-ziale fossero presenti in alcuni di questinuclei, ma non in altri.

Dopo l'evento di disgregazione prin-cipale, ulteriori frammenti si separaro-no da alcuni dei primi nuclei formati,anche se non è ben chiaro come sia av-venuto il processo. A staccare grandipezzi di materiale potrebbe essere statala pressione dei gas interni, oppure laforza degli urti fra i nuclei dello sciame.Singolarmente i nuclei più grandi del-l'intero gruppo probabilmente non ave-vano dimensioni superiori a un paio dichilometri. I resti della cometa non riu-

scirono neppure a compiere un'altra or-bita completa prima di schiantarsi suGiove; l'energia liberata da ciascunodegli impatti maggiori è probabilmentestata pari a quella emessa nell'esplosio-ne simultanea di centinaia di migliaia dibombe a idrogeno.

Le grandi cicatrici scure lasciate suGiove si sono via via ampliate fino afondersi e a svanire lentamente nei mesisuccessivi agli impatti. Tuttavia, ancoraun anno dopo, una lieve fascia che col-lega i siti degli impatti è rimasta visibileanche con piccoli telescopi.

La frequenza degli impatti dipendedalla scala dei corpi coinvolti, e nonsappiamo ancora con certezza quantofosse grande la cometa prima di frantu-marsi. Facendo alcune assunzioni ra-gionevoli possiamo stimare che unevento come la caduta di S-L 9 avvenganon più di una volta in migliaia di anni.Siamo dunque stati davvero fortunati adaver avuto l'opportunità di individuarela cometa mentre si dirigeva su Giove ead aver assistito alla sua gloriosa fine.

LE SCIENZE n. 326, ottobre 1995 6160 LE SCIENZE n. 326, ottobre 1995

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Una farfalla liberty

Lafamiglia dei papilionidi, alla qualeappartiene la specie raffiguratain queste pagine, comprende al-

cune tra le più belle - e vistose - farfalledel mondo, eppure la nostra scelta è ca-duta su uno dei suoi rappresentanti piùsobri: Papilio (o Ornithoptera) hypoli-tus. Ci è piaciuto il raffinato contrastotra le grandi ali anteriori scure (simili aquelle di un uccello, come dice il secon-do nome del genere), ornate solo da undisegno che accompagna, sottolinean-dole, nervature e trachee, e le ali poste-riori armoniosamente decorate con in-tarsi gialli e azzurri su un fondo brunosfumato. È immediato il riferimento al-lo stile liberty o floreale che ha trovatonella natura i suoi motivi ispiratori re-galando all'umanità un'arte leggera efantasiosa, proprio come una farfalla.

Purtroppo questa farfalla diurna dinotevoli dimensioni, che vive nel Sud--est asiatico e in particolare nelle isole

Tavole a colori di Eva Hiilsmann

dell'Arcipelago indonesiano svolazzan-do sulle spiagge e tra gli alberi, ha comepeggior nemico proprio l'uomo. Le suequotazioni tra i collezionisti sono assaialte e le autorità locali hanno dovutostabilire forti sanzioni per impedire ladistruzione della specie.

Di una protezione ope legis questafarfalla ha particolarmente bisogno inquanto non è in grado di difendersi co-me fanno invece altre specie di Papilio,i cosiddetti Papilio delle aristolochie omangiatori di veleni, come li chiamanole popolazioni locali. La diffusione diquesti lepidotteri è limitata ai luoghinei quali crescono le aristolochie, pian-te i cui succhi velenosi difendono sia ibruchi sia gli adulti che di essi si nutro-no. I primi diventano a loro volta vele-nosi mentre i secondi, se vengono af-ferrati da un predatore, uomo o animaleche esso sia, emettono una linfa acre egiallastra. (ag)

ARTE NELLA NATURA