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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA 1 ti. Il 90% circa dei cinesi vive in un territorio corrispondente a meno della metà della su- perficie della Cina, chiamato «Cina propria- mente detta» o «Cina delle 18 province». Si tratta di un’area dominata dalle pianure, dai grandi fiumi e dall’agricoltura, abitata dal «popolo degli Han», cioè da coloro che si considerano i cinesi veri e propri. Il resto del territorio, chiamato Cina «esterna», è invece Unità 28 Un grande Paese Stato e popolazione Le tracce della storia L’economia I rapporti con l’estero Le città Un bilancio provvisorio La Cina Un grande Paese ALTOPIANO DEL TIBET ALTAJ Zungaria Deserto di Taklimakan Gansu D E S E R T O D I G O B I Manciuria Pechino (Beijing) Ulan Bator Taipei I n d o C h a n g J i a n g Z a ngbo I N D I A KAZAKISTAN BIRMANIA (MYANMAR) COREA DEL NORD COREA DEL SUD VIETNAM LAOS MONGOLIA R U S S I A C I N A Hong Kong Macao Shanghai Lhasa Nanchino (Nanjing) Chengdu Ya’an Lanzhou Wuhan Chongqing Kunming Nanning Korla Xi’an Luoyang Taiyuan Jinan Hangzhou Suzhou Tianjin Anshan Shenyang Fushun Changchun Harbin Hohhot Canton Vladivostok Mar Cinese Meridionale Mar Cinese Orientale Mar Giallo Golfo del Bengala TAIWAN H I M A L A Y A K A R A K O R U M Lop Nur Everest 8846 Annapurna 8091 K2 8610 7817 Manda Devi X i n j i a n g T I A N S H A N Q I N L I N G M o n g o l i a I n t e r n a N a n L i n g Yunnan P e n i s o l a S h a n d o n g Mare di Bohai Qingdao Lüda (Dalian) Lüshun Fiu m e Giallo ( H u a n g H e ) F i u m e G i a l l o ( H u a n g H e ) P I C C O L O H I N G G A N G R A N D E H I N G G A N G r a n d e C a n a l e M U Z T A G Le dimensioni La Cina si estende per 9 milioni e mezzo di km 2 , all’incirca 30 volte l’Italia. In tutto il mondo essa viene superata per dimensioni solo dalla Russia, che è di gran lunga il paese più esteso del pianeta, e (di stretta misura) dal Canada. La Cina è il paese più popolato del mondo, con oltre un miliardo e 300 milioni di abitan- Penisola Liaodong T a ri m H e M e k o n g C h a n g J i a n g S i c h u a n

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Unità 16

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ti. Il 90% circa dei cinesi vive in un territorio corrispondente a meno della metà della su-perfi cie della Cina, chiamato «Cina propria-mente detta» o «Cina delle 18 province». Si tratta di un’area dominata dalle pianure, dai grandi fi umi e dall’agricoltura, abitata dal «popolo degli Han», cioè da coloro che si considerano i cinesi veri e propri. Il resto del territorio, chiamato Cina «esterna», è invece

Unità 28

Un grande Paese

Stato e popolazione

Le tracce della storia

L’economia

I rapporticon l’estero

Le città

Un bilancioprovvisorio

La CinaUn grande Paese

A L T O P I A N O

D E L T I B E T

A L T A J

Z u n g a r i a

Deserto di TaklimakanG a n s u

D E S E R T O D I G O B I

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Mar Cinese

Orientale

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M U Z T A G

Le dimensioniLa Cina si estende per 9 milioni e mezzo di km2, all’incirca 30 volte l’Italia. In tutto il mondo essa viene superata per dimensioni solo dalla Russia, che è di gran lunga il paese più esteso del pianeta, e (di stretta misura) dal Canada.

La Cina è il paese più popolato del mondo, con oltre un miliardo e 300 milioni di abitan-

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Foreste

Le zone climatiche della Cina.

una zona più vasta ma molto meno popola-ta, dominata da steppe, deserti e altopiani, e dalle catene di montagne più grandiose del mondo. La Cina «esterna», terra di allevato-ri nomadi, è abitata da minoranze etniche di origine turca, mongola, tibetana o altra.

La Cina propriamente dettaLa Cina «propriamente detta» si estende dal Fiume Giallo verso est e verso sud, fi no al mare e ai confi ni della penisola indocinese. In questa parte orientale del paese si trova-no le pianure formate dai due grandi fi umi: il Fiume Giallo a nord e più a sud il fi ume Chang Jiang (o Yang-tse Kiang, secondo una vecchia trascrizione), il più lungo dell’Asia e uno dei maggiori del mondo, con i suoi 5800 kilometri.

La parte settentrionale della Cina «pro-priamente detta» è la culla della civiltà cine-se. È qui che sorge la capitale politica, Pe-chino, che si trova pressappoco alla stessa latitudine di Napoli, ma con un clima molto più continentale e freddo. I prodotti princi-pali dell’agricoltura sono qui i cereali secchi: grano, orzo, miglio, sorgo. Inoltre, cotone, legumi e ortaggi.

A sud, il clima è tropicale, molto infl uen-zato dal monsoni, che in primavera e in estate portano piogge torrenziali, e a volte catastro-fi ci tifoni. Se il grano e in generale i cereali secchi sono tipici del nord (dal clima secco e freddo), il riso si afferma sempre di più come il prodotto più tipico di mano in mano che si

scende verso sud. Questo dipende dal fatto che il riso richiede grandi quantità di acqua (qui fornite soprattutto dal monsone) e mol-to lavoro fatto a mano dai contadini: i cinesi lo chiamano la «pianta accarezzata».

Per quanto riguarda il bestiame, esso è meno utilizzato che da noi in appoggio all’agri-coltura, perché per nutrirlo occorrerebbe im-piegare delle granaglie, sottraendole ai raccol-ti destinati agli uomini. Ci sono, certo, cavalli, muli, asini e bufali, adoperati come animali da tiro, ma in numero limitato. Sono invece alle-vati in grande quantità i suini e gli animali da cortile, e anche il pesce, del quale è assai dif-fusa la coltura nelle acque interne, a volte nel-le stesse risaie.

La Cina «esterna»Se la Cina dell’est è il regno dei contadini se-dentari, quella del nord e dell’ovest, la co-siddetta Cina «esterna», è tradizionalmente il regno dei nomadi, pastori e allevatori, ma spesso anche grandi conquistatori (come i Mongoli di Gengis Khan che conquistarono l’impero nel XIII secolo). Simbolo della divi-

Il simbolo del WWF. Il panda è un mammifero che si nutre soprattutto di vegetali e che vive allo stato naturale solo in Cina, sulle montagne del Tibet e del Sichuan. I cinesi ne hanno donato degli esemplari, in segno di amicizia, ad alcuni grandi giardini zoologici di altri paesi. Questo simpatico animale è diventato assai popolare anche da noi per essere stato assunto a simbolo dal WWF, un ente mondiale per la protezione della natura, e in particolare degli animali selvatici minacciati di estinzione. In Cina è particolarmente amato, soprattutto dai bambini che vanno spesso negli zoo a godere delle sue evoluzioni. La popolarità ha però nuociuto a questo animale. Già minacciato per il ritiro delle foreste, il panda è oggi anche oggetto dell’avidità dei bracconieri, che sfi dano la pena di morte per poterlo vendere a prezzi altissimi fuori dalla Cina. Per tutti questi motivi, il panda è ormai a rischio di estinzione. [Morty Stouffer Productions/Animals]

Deserti freddiclimi di alta montagna

Steppe e deserti

Clima subtropicale

Clima continentaletemperato

Clima tropicale

Venti freddie secchiMonsoni d’estate

Monsoni d’inverno

La Cina

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Un grande Paese

Stato e popolazione

Le tracce della storia

L’economia

I rapporticon l’estero

Le città

Un bilancioprovvisorio

sione tra questi due mondi è la Grande Mura-glia, che il primo imperatore costruì, secondo la tradizione, nel III secolo a.C. riunendo una serie di fortifi cazioni già esistenti.

La Cina «esterna» è un insieme di regioni molto diverse fra di loro. Cominciando da sud-ovest, il Tibet è un immenso altopiano la cui al-titudine media supera quella del Monte Bianco, percorso da gole profonde e da alte catene in direzione est-ovest, principale fra tutte l’Hima-laya. È qui che si trova il Monte Everest, il tetto del mondo (8846 m), che per i cinesi si chiama Qomolangma.

A nord del Tibet si trova il Xinjiang, la più vasta regione della Cina, che abbiamo già trat-tato nel capitolo sull’Asia centrale.

Le popolazioni che abitano nelle regioni di cui abbiamo ora parlato sono costituite solo in parte da cinesi veri e propri. Più antica è la pre-senza di minoranze etniche o religiose: tibetani, hui, turchi uiguri, mongoli. Le loro religioni sono il buddismo nel Tibet e nella Mongolia Interna, l’Islam nel Xinjiang.

Per completare il panorama della Cina «esterna» occorre parlare di una regione geo-grafi ca che costituisce un caso particolare: è la regione che si chiamava un tempo Manciuria, e che oggi comprende le tre province di Liaoning, Jilin e Heilongjiang. Qui si è sviluppata nel tem-po un’agricoltura assai simile a quella esistente nella pianura del Fiume Giallo, e la civiltà cinese si è imposta su quella delle originarie tribù man-ciù di cacciatori, pescatori, allevatori di renne.

Terrazzamenti fertili. Questo paesaggio di terrazzi è stato intagliato in anni recenti, col paziente lavoro di molti uomini, nel fi anco di una collina sull’altopiano del loess, nella provincia cinese dello Shaanxi. Questo terreno uniformemente giallastro è il loess: una fi ne polvere calcarea depositata qui dal vento che l’aveva sollevata, qualche centinaio di kilometri più lontano, nei deserti di Ordos e di Gobi. L’assenza di importanti ostacoli montuosi ha facilitato questo trasporto e il loess ricopre oggi 300 000 km2 di territorio cinese con un mantello di spessore variabile da qualche metro a trecento metri. Il loess è tenero e facilmente erodibile: l’acqua vi intaglia gole profonde e lo convoglia fra queste colline fi no al maggior corso d’acqua della regione, che si chiama «Fiume Giallo» proprio per la gran massa di sedimenti di loess che trasporta. Il loess è abbastanza resistente per non franare se tagliato in muri quasi verticali, come questi che seguono le ondulazioni delle curve di livello sul pendio della collina: i terrazzi orizzontali che ne risultano tratterranno acqua e permetteranno di avere un suolo abbastanza fertile da dare un prodotto agricolo. [M. Riboud/Magnum]

A est e a sud la Cina è limitata da quattro mari: il Mare di Bohai, il Mar Giallo, il Mar Ci-nese Orientale e il Mar Cinese Meridionale. Il primo è un mare interno, coperto in parte dai ghiacci d’inverno, chiuso dalle penisole del Liaodong e dello Shandong e comunicante col Mar Giallo: gli altri si aprono sull’Oceano Pacifi co. Più di 5000 isole grandi e piccole (le principali sono Taiwan e Hainan) sono disse-minate lungo la costa cinese, specie a sud.

La Cina ha oggi numerosi grandi por-ti di livello internazionale, come Shanghai, Canton, Tianjin (Tientsin), Qingdao, o come

quello fl uviale di Wuhan. La navigazione in-terna può usufruire di una rete gigantesca ed effi ciente di fi umi e canali navigabili: primo fra tutti il canale costruito nel VI secolo, che ancora collega il Fiume Giallo al Chang Jiang. Più tardi, sotto i Mongoli, un altro Grande Canale, o Canale Imperiale, venne costruito più a oriente: più lungo del precedente, esso scorreva (e scorre tuttora) da Pechino e Tian-jin, a nord, fi no a Hangzhou, a sud.

Dei moltissimi cinesi che nei secoli tra-scorsi, in ondate successive, hanno abbando-nato il paese per stabilirsi altrove (oggi, più

di 50 milioni di «cinesi d’oltremare» vivono a Singapore, in Indocina, in Indonesia, negli Stati Uniti), la grande maggioranza lo ha fat-to per mare. Tuttavia, i cinesi non sono con-siderati un popolo di navigatori, e in effetti la loro espansione è stata soprattutto terre-stre. Ma non sempre. Fra il XIV e il XV secolo, quando gli europei ancora esitavano a uscire dal Mediterraneo, i cinesi erano già arrivati in Africa, e secondo alcuni studiosi (ma la cosa è oggetto di discussione) avevano già rag-giunto la costa occidentale dell’America.

La Cina e il mare

La Grande Muraglia. Il tratto più frequentemente fotografato è quello più vicino alla capitale Pechino (dista circa 90 km), che quindi è anche il più visitato dai turisti. In questo tratto, la muraglia è alta circa 8 m, larga 6,5 alla base e un po’ meno (5,8 m) alla sommità. Quest’ultima è percorsa da un camminamento, che spesso, nei punti più ripidi, diventa una scalinata; sui due lati ci sono merli e feritoie. A intervalli regolari di circa 200 m sorgono fortifi cazioni e torri sulle quali, in caso di pericolo, le sentinelle accendevano un fuoco, trasmettendo così l’allarme, di torre in torre, anche a grandissima distanza. [David Sanger Photography/Alamy]

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partito stesso deve rappresentare non più solo il proletariato e i contadini, ma «le forze pro-duttive più avanzate», «la cultura più avan-zata», «gli interessi della schiacciante mag-gioranza del popolo cinese». E tra gli iscritti al partito sono diminuiti, in percentuale, gli operai e i lavoratori agricoli, mentre si sono aperte le porte agli imprenditori privati.

La popolazioneNel 1949 i cinesi erano 560 milioni; al cen-simento del 1990 erano diventati circa 1 mi-liardo e 130 milioni. Nel 2008 erano stimati in circa 1 miliardo e 320 milioni, e si calco-la che supereranno il miliardo e mezzo nel 2025.

Si ritiene che la popolazione della Cina, storicamente, sia stata sempre, all’incirca, un quarto dell’umanità. Ma l’esplosione dell’ul-timo quarantennio si lega a un forte miglio-ramento delle condizioni economiche e so-ciali, che ha comportato soprattutto il calo della mortalità, per il miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie. Al calo della mortalità si è accompagnato per molti anni un tasso di natalità elevato, non ostacolato in epoca maoista dal governo: in ogni nuo-vo nato si vedevano, potenzialmente, altre

due braccia destinate a servire il paese e a lavorare per i suoi successi. Solo dalla metà degli anni Settanta si è co-minciato a attuare un controllo delle nascite. Il tasso di incremento annuo della popolazione è infatti calato ne-gli ultimi anni, ed è oggi dello 0,6%; mentre l’indice di fecondità (e cioè il numero medio di fi gli per ogni don-na), che era del 5,8 nel 1970, è sceso ora all’1,7. Tuttavia le misure adottate dal governo per contenere la crescita demografi ca, come per esempio l’in-nalzamento dell’età del matrimonio e la politica del fi glio unico, non hanno dato i risultati sperati. Sono ora allo studio nuovi provvedimenti, ma solo profonde trasformazioni culturali e so-ciali potranno porre su nuove basi la questione demografi ca.

La Cina politicaPoliticamente la Cina si divide in 22 provin-ce, 5 regioni autonome (Mongolia Interna, Guangxi Zhuang, Tibet, Ningxia Hui, Xin-jiang) e 4 municipalità che dipendono di-rettamente dalle autorità centrali (Pechino, Shanghai, Chongqing e Tianjin). All’interno delle province e delle regioni autonome tro-viamo una piramide di livelli amministrativi: prefetture, distretti, città, cantoni; alla base, più di 5 milioni di villaggi.

Province, regioni autonome e municipa-lità eleggono i circa 3000 deputati dell’As-semblea popolare nazionale (il Parlamento cinese), che si riunisce una volta all’anno per un certo numero di giorni. Nell’intervallo tra le sue riunioni la sostituisce un Comitato permanente. L’Assemblea elegge il Presidente della Repubblica e il capo del governo. Esi-stono, oltre al PCC, numerosi partitini «de-mocratici», la cui presenza è però pressoché simbolica. Di fatto, non c’è elezione, a livello nazionale come a quello locale, che non sia il risultato di una designazione del Partito co-munista. Ed è all’interno del partito, più che negli organismi statali, che vengono prese le decisioni che contano.

Tuttavia, nel 2002, il XVI Congresso del Partito Comunista Cinese ha stabilito che il

Stato e popolazione

La Cina politica.

QINGHAI

XINJIANG UYGUR

TIBET XIZANG

SICHUAN

YUNNAN

GUIZHOU

GUANGXIZHUANG

HUNAN

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PechinoTianjin

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JIANGSU

TAIWAN

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Municipalità

La Cina

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dal Cielo, divinità suprema; o protagonisti di antichi miti; o uomini ritenuti santi e im-mortali a causa delle vicende della loro vita. Ci sono divinità protettrici dei grandi even-ti della vita, dalla nascita al matrimonio; o preposte al giudizio sui meriti e demeriti dei defunti. Ci sono divinità che fanno piovere sulle coltivazioni o benedicono i raccolti, che guariscono da malattie. Il mondo dell’oltre-tomba è popolato di spiriti benevoli e di de-moni minacciosi.

A queste religioni tradizionali si aggiunse-ro nell’Ottocento le varie confessioni cristia-ne, portate dai missionari.

In epoca contemporanea, la religione po-polare venne tacciata di superstizione e com-battuta in nome del progresso dell’istruzione. Ma soprattutto dopo l’avvento al potere dei comunisti, nel 1949, il prevalere dell’ideo-logia marxista-leninista comportò l’avver-sione del governo a ogni forma di pratica religiosa. Ancora negli ultimi anni una dura persecuzione si è abbattuta sui seguaci del-la setta Falun Gong, assai diffusa. Nel caso delle confessioni cristiane, questa avversione si nutriva anche della diffi denza nei confron-ti di una religione legata all’Occidente; e nel caso del buddismo e dell’Islam era motivata anche dalla preoccupazione di controllare le tendenze autonomiste presenti nelle regioni (rispettivamente il Tibet e il Xinjiang) in cui esse erano più diffuse. Così, la stragrande maggioranza dei luoghi di culto, grandi e pic-coli, vennero distrutti o convertiti in musei (quando presentavano un grande interesse artistico), o addirittura in magazzini. Perfi no Confucio, il personaggio di maggior prestigio dell’intera tradizione cinese, cadde in disgra-zia e fu aspramente criticato come rappresen-tante delle vecchie classi dominanti: oggi è tornato a essere universalmente onorato.

Le religioniLe religioni praticate dai cinesi si possono distinguere in religioni indigene, come il con-fucianesimo o il taoismo o i molti culti popo-lari; e religioni nate invece fuori dalla Cina e diffuse quindi per importazione: in tempi antichissimi il buddismo, più tardi l’Islam, in epoca più recente le diverse confessioni cri-stiane.

Il confucianesimo è piuttosto un’etica so-ciale e un’arte del buon governo che una re-ligione vera e propria. Il suo stesso fondato-re, Kung Fu-tzu (europeizzato in Confucio), vissuto nel VI secolo a.C., fu soprattutto un politico; e il confucianesimo fu essenzialmen-te la religione della classe dirigente. Il popolo preferiva gli insegnamenti del taoismo o del buddismo, o di un insieme di culti e credenze nel quale elementi confuciani, taoisti, buddi-sti si univano ad altri ancora più antichi. Per questo molti studiosi parlano volentieri di una religione dei cinesi, dai confi ni non ben defi niti.

Le origini del taoismo sono pressoché contemporanee di quelle del confucianesimo. I suoi maestri erano poco interessati alla po-litica e molto alla Natura, cui cercavano di sottrarre i segreti della vita e dell’immortali-tà. Questo li portò a essere asceti e maghi, ma ben presto anche scienziati: si devono soprat-tutto a loro gli inizi della grande tradizione scientifi ca cinese, per esempio nel campo del-la chimica e della medicina (la stessa agopun-tura si fonda su princìpi elaborati da loro).

Il buddismo, nato in India, arrivò in Cina, portato da pellegrini, nel primo secolo della nostra era, e anch’esso ottenne un grande se-guito popolare.

In quella che abbiamo chiamato «religio-ne dei cinesi» (e che è la più praticata), c’è un Pantheon vastissimo di dei, a cominciare

Il 92% degli abitanti della Cina è Han. È que-sto il nome di un’antica popolazione e della sua cultura; è anche il nome della seconda delle dinastie dell’impero unifi cato, che resse la Cina (salvo un interregno) fra il III secolo a.C. e il III d.C. I cinesi veri e propri chiamano se stessi han. Tutti gli han parlano il cinese, che conosce tuttavia forti differenze regio-nali. La lingua uffi ciale è il cinese di Pechino, noto anche come «mandarino» o puton-ghua («lingua comune»). Il cinese del sud, quello di Canton, è la lingua prevalente tra i cinesi all’estero, per la ragione molto sem-plice che la maggioranza degli emigrati, in Asia come nelle Chinatown americane o nel-le comunità europee, proviene per l’appunto

dalla regione di Canton (è per la stessa ra-gione che la cucina cinese più nota all’estero è quella cantonese).

Gli Han, pur costituendo la stragrande maggioranza della popolazione, occupano tuttavia solo il 40% del territorio. Sul rima-nente 60% vivono altri gruppi etnici e lingui-stici. Quelli uffi cialmente riconosciuti sono 55 e vengono chiamati «minoranze nazionali».

Tra le minoranze nazionali, le più impor-tanti numericamente sono le popolazioni del gruppo altaico come i mongoli e i turchi (in prevalenza uiguri, ma anche kazaki, kirghizi, gli uzbeki). Appartengono invece al gruppo sino-tibetano non solo la lingua dei tibetani (e ovviamente quella dei cinesi), ma anche

quelle di numerose altre popolazioni im-parentate con alcuni gruppi etnici dell’Asia sudorientale. Tra queste, gli zhuang sono la minoranza più numerosa.

A completare il panorama, per lo meno delle popolazioni più importanti, troviamo circa 2 milioni di coreani a nordest; una mi-noranza a parte è quella costituita dagli Hui, che sono han, cioè cinesi a pieno titolo, ma di religione musulmana.

In alcune delle regioni o province nelle quali queste minoranze sono particolarmen-te numerose (per esempio nel Tibet e nel Xinjiang) sono presenti da sempre rivendica-zioni di maggiore autonomia nei confronti del governo centrale.

Gruppi etnici e lingue

Un grande Paese

Stato e popolazione

Le tracce della storia

L’economia

I rapporticon l’estero

Le città

Un bilancioprovvisorio

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Il Tibet (che i cinesi chiamano Xizang) è il più grande altopiano del mondo, chiuso su tre lati da montagne altissime, cioè dalle catene dei Kunlun, del Karakorum, dell’Himalaya. È in buona parte un «deserto freddo», nel senso che la natura impervia (rocce e nevi permanenti) e soprattutto le condizioni cli-matiche ne ostacolano il popolamento. Su un territorio vasto quattro volte l’Italia vivono infatti circa 2700000 abitanti, 2 per km2, che si addensano in alcune valli: soprattutto in quella del Brahmaputra nella quale un clima più favorevole offre pascoli e aree coltivabili.

La capitale Lhasa, celebre per i suoi mo-nasteri buddisti e in particolare per il più ma-estoso fra essi, il Potala, sorge a 3630 m.

Nel VII secolo, arrivò qui il buddismo, e un re ne fece la religione di stato. Il buddi-smo tibetano si affermò anche all’esterno del paese, come per esempio in Nepal, in Mongolia e nel nord della Cina.

Il buddismo tibetano è chiamato anche lamaista, con allusione al prestigio e alla ve-nerazione di cui sono circondati i suoi lama:

parola che vuol dire «maestri». Al vertice della gerarchia dei maestri e

dei monaci sono il Dalai Lama e il Panchen Lama: il primo residente nel Potala di Lhasa, il secondo nel grande monastero di Tashi-lumpo. Entrambi sono considerati reincar-nazioni del Buddha. In generale, il Panchen Lama è visto come un maestro spirituale e religioso, mentre il Dalai Lama incarna anche la suprema autorità politica.

Nel corso della sua storia, il Tibet ha visto alternarsi periodi di indipendenza a tempo-ranee occupazioni: per esempio, da parte di mongoli, turchi, cinesi (ma in qualche caso furono i tibetani a invadere regioni della Cina). In epoca moderna, il Tibet accettò per qualche tempo di essere considerato dall’im-pero cinese come una sorta di blando pro-tettorato, tuttavia largamente autonomo nei fatti. Il paese fu del tutto indipendente dal 1911 (l’anno della fi ne dell’impero cinese) fi no al 1950-51, quando i comunisti cinesi lo occuparono militarmente e vi avviarono un insieme di riforme politiche e sociali, so-

stenendo di voler combattere ed eli-minare la teocra-zia, lo strapotere anche economico dei monasteri e la

vecchia società feudale.Ma il buddismo era (ed è) fortemente radi-

cato nella cultura dei tibetani, identifi candosi nel loro senso profondo di indipendenza.

Nel 1959 ci fu una ribellione – che l’eser-cito cinese stroncò nel sangue – con migliaia di morti e decine di migliaia di tibetani im-prigionati. Il Dalai Lama abbandonò il paese fuggendo in India. La persecuzione religiosa fu molto dura, con la distruzione di miglia-ia di monasteri, una fortissima riduzione del numero dei monaci e soprattutto una forte pressione in favore dell’assimilazione degli abitanti alla cultura degli han. Attraverso una serie di migrazioni incoraggiate dal re-gime, questi ultimi hanno superato il nu-mero dei tibetani nella popolazione totale, o quanto meno nella capitale e nelle città maggiori. Molte migliaia di tibetani vivono all’estero, soprattutto in India, dove il Dalai Lama ha formato un governo in esilio. Nel Tibet, ci sono periodicamente movimenti di protesta (per esempio in coincidenza con le Olimpiadi di Pechino del 2008), repressi du-ramente dalle forze del regime. Il Dalai Lama ha dichiarato più volte di non volere l’indi-pendenza del Tibet, ma solo una sua reale autonomia. Ciò nonostante, il governo di Pechino resta ostile a ogni trattativa.

Il Tibet

Il Potala, cuore del buddismo tibetano. A un kilometro da Lhasa, la capitale del Tibet, si leva a più di 3600 m di altitudine il Potala. È un grande complesso di edifi ci: residenze, monasteri, templi, santuari, pagode funerarie. Sul granito imbiancato delle imponenti pareti spicca il rosso del palazzo centrale; il tetto, di forma cinese (con gli angoli rialzati), è ricoperto di lastre dorate; grandi fi nestre si succedono lungo le mura. Il Potala sorge sul luogo in cui già esisteva un antico palazzo reale. Nella sua forma attuale, è il risultato di restauri e aggiunte fatte eseguire dal Quinto Dalai Lama a partire dalla metà del secolo XVII, quando il capo spirituale del buddismo tibetano divenne anche il sovrano temporale del paese. Da allora, tutti i Dalai Lama hanno vissuto e sono stati sepolti nel Potala, fi no al 1959, quando l’attuale Dalai Lama andò in esilio, per protesta contro l’occupazione militare cinese. [Robert Harding Picture Library Ltd./Alamy]

Dopo la morte di Mao, la situazione è al-meno in parte mutata, e si è reso possibile, benché con molte limitazioni, un ritorno alla pratica religiosa, sulla quale però il regime esercita un controllo attraverso delle «Asso-ciazioni patriottiche», una per ogni confes-sione, i cui dirigenti sono nominati dal gover-no o devono avere il suo benestare. Così, per esempio, ci sono due Chiese cattoliche. Una, «patriottica», è tollerata dal governo (che si preoccupa soprattutto di impedire i rapporti dei cattolici cinesi con il Vaticano). L’altra,

che insiste sulla propria fedeltà a Roma, è semiclandestina e perseguitata (spesso i suoi vescovi vengono imprigionati).

È certo che si assiste in questi ultimi anni a un forte ritorno a ogni tipo di pratica religio-sa. Un fenomeno molto evidente, per esem-pio, per quanto riguarda l’islam delle regioni dell’Ovest (che avrebbe dai 13 ai 26 milioni di fedeli, l’1-2% della popolazione). Anche i cristiani sono in crescita (sono il 6% circa dei cinesi, più o meno divisi a metà tra cattolici e protestanti).

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Unità 287

La Cina

Un grande Paese

Stato e popolazione

Le tracce della storia

L’economia

I rapporticon l’estero

Le città

Un bilancioprovvisorio

Nel quadro geografi co che abbiamo descritto si è svolta la storia millenaria di un impero che è tra i più antichi e certamente il più longevo del mondo: si pensi che il primo imperatore risale, secondo la leggenda, al III mil-lennio a.C., mentre l’ultimo venne detronizzato soltanto nel 1911.

In realtà la prima unifi cazione del paese (ma entro confi ni assai più ristretti di quelli attuali) risale al terzo se-colo a.C. I caratteri fondamentali dell’impero cinese, che si conservarono, con pochi mutamenti, per secoli, erano: 1. un potere centrale molto forte, rappresentato dal so-vrano e da un ristretto ceto di funzionari (noti in Occiden-te con il termine, di origine portoghese, di «mandarini»);2. alla base della piramide sociale, una miriade di villag-gi contadini autosuffi cienti, il cui principale rapporto con l’esterno era dato dal pagamento delle imposte; 3. una grande importanza dei lavori di controllo delle ac-que (dighe, canali ecc.), decisivi per la sopravvivenza delle attività agricole. A incaricarsi di organizzare tali lavori era-no i funzionari, e questo fatto aumentava il loro potere; 4. un dominio ideologico sull’intera società da parte della cultura confuciana, che prendeva il nome da un fi losofo vissuto nel VI secolo a.C., Confucio appunto. Si trattava di una cultura che teorizzava l’immobilità sociale, il primato del lavoro intellettuale su quello manuale, l’ubbidienza agli anziani e ai superiori nella famiglia e nella società, la subordinazione delle donne.La crisi, già in atto, di questa società venne accelerata nell’Ottocento dalla penetrazione imperialistica (commer-ciale e militare) delle potenze europee. Caduto l’impero nel 1911, e proclamata una repubblica, la Cina conobbe de-cenni di sanguinosa guerra civile tra forze di destra (i nazio-nalisti del Guomindang) e comunisti, conclusasi nel 1949 con la vittoria di questi ultimi (capeggiati da Mao Zedong) e con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

Dal 1949 prese l’avvio una politica di trasformazioni socialiste (nazionalizzazione delle industrie, collettivizza-zione dell’agricoltura, diffusione di una cultura uniforme

e controllata dall’alto, ispirata al «marxismo-leninismo»), contrassegnata in alcuni momenti da scontri interni di grande violenza e da una sostanziale chiusura verso il mondo esterno.

Già decenni di guerra civile avevano prodotto migliaia e migliaia di vittime. Altrettante, se non di più, ne ven-nero provocate da un regime autoritario e violento, sia con la repressione vera e propria di ogni forma di oppo-sizione, sia come risultato di scelte economiche sbagliate che determinarono carestie e fame. La storia della Cina di Mao è così la storia di un paese che da un lato riconquista la sua indipendenza e la sua dignità, ma dall’altro si ca-ratterizza per una totale intolleranza nei confronti di ogni forma di dissenso. È solo qualche anno dopo la morte di Mao (avvenuta nel 1976) che i suoi successori avviano una serie di riforme destinate a liberalizzare l’economia e a porre le basi per una crescita economica senza prece-denti. Rimane invece sostanzialmente intatta la struttura politica del regime, ancora caratterizzato dal rifi uto di riforme politiche in grado di introdurre metodi democra-tici e un maggior rispetto dei diritti umani. Se la società diviene più varia, e complessivamente più movimentata, tuttavia la vita politica resta caratterizzata da un forte e opprimente autoritarismo.

Lotta per la democrazia a Pechino. Le drammatiche vicende che hanno insanguinato la piazza Tian Anmen ai primi di giugno del 1989, mettendo fi ne a più di un mese di manifestazioni per la democrazia, hanno trovato un loro simbolo nella breve sequenza televisiva di cui questo fotogramma fa parte. Vi si vedeva un giovane che fermava una colonna di carri armati. Il comandante della colonna, colto di sorpresa, spostava la direzione di marcia cercando di evitare il giovane. Ma quest’ultimo si spostava a sua volta, si arrampicava sul carro armato e si metteva a parlare con i suoi occupanti. Il giovane si chiamava forse Wang Weilin: secondo alcune voci, sarebbe stato arrestato e ucciso a breve distanza dal luogo poco tempo dopo l’episodio; secondo altre, sarebbe ancora vivo. È rimasta quest’immagine a simboleggiare l’eroismo del singolo individuo che si offre a mani nude alla violenza armata dell’apparato statale autoritario. [S. Franklin/Magnum, 1989]

Le tracce della storia

L’esercito di terracotta. Nel 1974, scavando il terreno per costruire un pozzo, alcuni contadini di un villaggio presso Xian fecero una delle più sensazionali scoperte dell’archeologia cinese. Sotto di loro si trovava un intero esercito di guerrieri in terra-cotta (da 6000 a 8000: non lo si sa ancora con certezza, perché gli scavi sono in corso), a grandezza naturale e tutti diversi l’uno dall’altro! Questi guerrieri, insieme a cavalli,

carri ecc., anch’essi di terracotta, costituiscono il corredo della tomba di Qin Shi Huang Di, il grande imperatore che unifi cò la Cina nel III secolo a.C. In tempi molto antichi, i sovrani – soprattutto di alcuni popoli delle steppe asiatiche – si facevano seppellire con la loro guardia del corpo, ancelle, cavalli ecc., tutti in carne e ossa, perché potessero far loro compagnia nell’oltretomba. Al tempo di Qin Shi Huang Di questa usanza, diciamo così, piuttosto barbarica era fortunatamente tramontata: l’imperatore si contentava di sostituire persone e animali veri con dei facsimili. [Da «Geodes», n. 9, ottobre 1983]

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La vita politica e l’organizzazione dello stato

I successori di Mao, pur continuando a proclamare il marxismo-leninismo ideologia uffi ciale del paese, ne hanno attenuato alcuni degli aspetti più rigidi e dogma-tici. È stato stabilito un quadro di legalità, è diminuito il ruolo del Partito comunista – che rimane tuttavia for-malmente l’istituzione cui è affi data la direzione politica del paese. Invece non ha fatto molti passi avanti la de-mocratizzazione della vita politica. La Cina è tuttora uno stato socialista, retto da una «dittatura democratica del popolo» sotto la guida morale «del marxismo-leninismo e del pensiero di Mao Zedong». Assai scarse, se non del tutto assenti, sono le libertà di cui può godere il cittadi-no. La richiesta di riforme democratiche, di ampliamen-

to delle libertà civili e di un maggiore riconoscimento dei diritti umani è molto diffusa, specie tra gli studenti e gli intellettuali, ma viene repressa in genere con durez-za. Così fu, in particolare, nel 1989, quando le tensioni sociali, il malcontento creato dalla corruzione e soprat-tutto il desiderio di democrazia provocarono a Pechino la più imponente mobilitazione di protesta dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese. Essa passò alla sto-ria come «la Primavera di Tian Anmen», dal nome della piazza dove migliaia di studenti (ma anche intellettuali e operai) furono protagonisti di una coraggiosa e pacifi ca lotta schiacciata da una violenta repressione.

Assai più rilevanti, come vedremo, furono le innova-zioni introdotte in campo economico.

l’effetto di stimolare lo spirito d’iniziativa dei contadini, che hanno aumentato la produ-zione, accrescendo i propri redditi. Tuttavia alcuni inconvenienti sono nati dal passaggio alla libera iniziativa delle famiglie contadine. La superfi cie coltivata si è venuta riducendo, perché i contadini hanno via via trascurato i terreni più improduttivi: ciò ha aumenta-to i fenomeni di erosione, già gravi a causa dell’intensa attività di deforestazione. La superfi cie coltivata a cereali è diminuita del 9-10% (comportando un calo della produ-zione), perché i contadini preferiscono ora dedicarsi a colture più pregiate e redditizie. Nelle città i prezzi sono aumentati, con gran-

Le campagneDopo la morte di Mao, a partire dal 1978-79, si cominciò a smantellare l’organizzazione collettiva del lavoro e dell’intera vita sociale, che deprimeva eccessivamente l’iniziativa dei contadini e interferiva nelle consuetudini fa-miliari, turbando antiche tradizioni.

Oggi la forma di gestione prevalente nelle campagne è la piccola conduzione familia-re: lo stato resta nominalmente il proprieta-rio della terra, ma ne concede il libero uso ai contadini. Questi vendono in cambio una parte dei loro prodotti allo stato (a prezzi fi ssati dal Centro) e smerciano il resto sui mercati liberi. Queste riforme hanno avuto

L’economia

Il raccolto degli agrumi (arance e mandarini) in una campagna della provincia centro-orientale del Zhejiang. Le lontane origini degli agrumi si collocano nell’Asia meridionale e orientale: dall’India, attraverso l’Indocina, fi no alla Cina meridionale. Quest’ultima, in particolare, fu quasi certamente la patria del mandarino, che arrivò in Italia per la prima volta nel 1850, suscitando pressappoco la stessa curiosità prodotta, in tempi recenti, dall’arrivo di frutti esotici come il mango o la papaya. Per inciso, non ha nulla a che vedere con gli omonimi frutti il termine «mandarini», affermatosi in Europa per designare i membri della classe dei letterati-funzionari (in cinese shenshi). Si trattò, in questo caso, di una cattiva pronuncia portoghese di una parola malese – derivata a sua volta dal sanscrito – che voleva dire «consiglieri», o «conoscitori delle formule magiche».

Canna

ArachidiGelso

Canna

Canna Cotone

Tè Tè

Cotone

Soia

CAVALLICAMMELLI

CAMMELLI

PECORE

PECORE

BUFALI

YAK

Aree con prevalenzadi colture secche (grano, miglio, sorgo)Aree con prevalenzadi colture inondate (riso)

Aree miste

Limite settentrionaledel grano d,invernoLimite settentrionaledel cotoneLimite settentrionaledel tèLimite settentrionaledel doppio raccolto di riso

Le principali zone agricole della Cina e i principali allevamenti.

La Cina

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Geografi a dell’industriaI cinesi inventarono la carta, la polvere da sparo, la stampa a caratteri mobili, la busso-la, il sismografo, l’orologio meccanico e mol-te altre cose, e nei secoli del nostro Medioevo la scienza e la tecnologia cinesi furono deci-samente all’avanguardia nel mondo. Tutta-via, l’industria moderna fece la sua comparsa in Cina per opera degli Occidentali e poi dei giapponesi, i quali investirono soprattutto lungo la costa e in Manciuria: vale a dire, in regioni dotate di buoni porti per il commer-cio e – nel caso della Manciuria – ricche di materie prime.

Nel 1949, al momento della fondazione della Repubblica popolare, il 90% dell’in-dustria moderna era concentrato in Manciu-ria e nelle cinque città di Shanghai, Tianjin, Qingdao, Pechino e Nanchino. Queste città rimangono ancora tra i maggiori centri indu-striali. Tuttavia, negli ultimi decenni, a essi se ne sono aggiunti altri, in qualche caso sopra-vanzandoli per importanza.

Non meno dell’agricoltura, l’industria cine-se ha subìto grandi vicissitudini dopo la fon-dazione della Repubblica popolare. In pochi anni, essa venne tolta ai privati e nazionalizza-ta, passando sotto la gestione dello Stato.

A partire dal 1978 venne dato uno spa-zio sempre maggiore all’iniziativa privata e al libero mercato. Si introdussero nuovi criteri di produttività e di effi cienza. Inoltre, si aprì la porta agli investimenti stranieri, all’inizio istituendo a questo scopo delle «zone econo-miche speciali», aperte a esperienze capitali-stiche e a investimenti stranieri. Una di esse, Shenzhen, ha conosciuto uno sviluppo incre-dibile: era, nel 1979, una cittadina di 100 000 abitanti, e ne ha ora 2 milioni e mezzo, che vivono e lavorano in una selva di grattacieli. Tende a formare un’unica enorme conurba-zione con la vicina ex colonia britannica di Hong Kong, tornata alla Cina.

In seguito, il libero mercato e l’iniziativa privata sono stati sempre più apertamente fa-voriti; a Shanghai e a Shenzhen è stata riaper-ta la Borsa. Si è assistito a un fi orire di inizia-tive imprenditoriali in ogni settore, a opera di privati, di società miste statali-private e anche con la partecipazione di capitali stranieri.

Dal punto di vista della geografi a, lo svi-luppo dell’industria è stato particolarmente intenso e concentrato nelle zone vicine al mare nel Sudest, da Shanghai a Canton, e lungo il fi ume Chang Jiang. Negli ultimi anni, però, si cerca di estendere lo sviluppo industriale anche verso l’interno, e fi no a regioni lontane come il Xinjiang.

de disagio dei consumatori. Il governo è tut-tora costretto a importare derrate alimentari dall’estero. La legge del mercato ha provo-cato, con il successo dei più fortunati e in-traprendenti, l’espulsione dalla terra dei più deboli. Si calcola che la disoccupazione nelle campagne riguardi più di 150 milioni di per-sone. Molti di costoro, soprattutto giovani, si riversano disordinatamente nelle città, in cerca di impieghi nell’industria, la cui pur ra-pida crescita non è tuttavia in grado di assor-bire questa imponente offerta di manodope-ra. Soprattutto dopo la crisi del 2008-2009, molti milioni di questi giovani emigrati nelle città hanno dovuto compiere il cammino op-posto, tornando nei loro villaggi.

E ancora, la diminuzione degli investimen-ti statali e della cooperazione ha comportato a volte che venissero trascurati quei lavori in-frastrutturali – argini, dighe, canali, serbatoi e altri sistemi di irrigazione, opere di conser-vazione dei suoli – su cui si regge da sempre l’agricoltura cinese.

Il nuovo sistema di gestione ha ottenuto, nel complesso, progressi innegabili. Tuttavia, l’agricoltura cresce a un ritmo notevolmen-te inferiore a quello dell’industria, e le sue diffi coltà restano gravi. Il mondo contadino è quindi comprensibilmente percorso dallo scontento, pronto a sfociare periodicamente in agitazioni e tumulti.

Principali risorse del sottosuolo e zone industrializzate della Cina.

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UranioU

Petrolio

Raffinerie

Carbone

Regioni industrialiZone economichespeciali

Oleodotti

U

U

U

UU

Pechino

Tianjin

CantonShantou

Shanghai

Urumqi

Hainan

Xiamen

Shenzhen

Zhuhai

Pudong

Chongqing

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vestire sul futuro). Oggi, la Cina è il terzo paese al mondo nella classifi ca degli investi-menti in ricerca e sviluppo, dopo Stati Uniti e Giappone, e prima della Germania.

Se si tengono presenti questi elementi,si può capire come la Cina produca il 70% delle macchine fotocopiatrici di tutto il mondo, il 65% delle biciclette, il 55% delle macchine fotografi che, il 50% dei computer e delle cal-zature, il 40% dei televisori, il 30% delle lava-trici, il 25% dei frigoriferi. Come si vede, non si tratta più solo di prodotti poveri (come i giocattoli o le biciclette o le calzature), ma an-che di prodotti di alta tecnologia. Si aggiunga che l’industria cinese si sta sviluppando velo-cemente anche in settori come la microinfor-matica e le biotecnologie: tra i telefoni cellu-lari, il marchio Ningbo Bird ha soppiantato da poco Motorola, Samsung e Nokia. E nel 2003, per la prima volta, un cosmonauta ci-nese è andato in giro nello spazio.

Ancora una trentina d’anni fa, le città ci-nesi erano percorse da autentiche maree di biciclette, mentre le automobili private non esistevano. Oggi le biciclette sono ancora nu-merosissime (9 milioni nella sola Shanghai), ma si assiste anche a un boom dell’auto. I modelli più venduti sono Volkswagen e To-yota, ma fabbricate in Cina e con nomi cinesi (Santana, Xiali), e un terzo delle vendite del 2003 era costituito da auto di lusso (Merce-des, Audi, Maserati, Ferrari, BMW), destinate ai nuovi ricchi.

Per alimentare l’industria, il sottosuolo cinese possiede ingenti risorse di materie pri-me, fra cui carbone (la cui produzione è oggi quasi 3 milioni di tonnellate annue), petrolio (oggi 189 milioni di tonnellate), minerali di ferro, manganese, tungsteno, zinco, stagno, antimonio, rame. L’uranio e altri minera-

Che cosa produce l’industria cineseFino a pochi decenni fa, i prodotti cinesi co-nosciuti in Occidente erano quelli di un pre-zioso artigianato tradizionale: dalla lacca alla porcellana, dagli ombrelli ai ventagli di carta; e poi i tessuti, soprattutto la seta. Quando, alla fi ne degli anni Settanta dello scorso se-colo, ebbe inizio il grande sviluppo dell’in-dustria cinese, a quegli antichi prodotti se ne affi ancarono di nuovi. Prodotti poveri, per lo più, come i giocattoli (oggi, la Cina produce il 70% dei giocattoli di tutto il mondo).

Negli ultimi anni, la situazione è radical-mente cambiata, grazie a una serie di fattori che si possono così riassumere.

Un’apertura agli investimenti stranieri: oggi la Cina è il paese del mondo che ne ri-ceve di più (53,5 miliardi di dollari nel 2003, più degli stessi Stati Uniti). Nel 2002 erano presenti in Cina 420 000 aziende straniere. Questi capitali vengono da Hong Kong, da Taiwan e dalle altre ricche comunità cine-si sparse per il mondo; ma anche dagli Sta-ti Uniti, dal Giappone, dalla Corea del Sud, dall’Europa. A richiamarli sono sia la presen-za di un vastissimo serbatoio di manodopera a buon mercato, sia quella di un mercato po-tenziale immenso.

Un forte aumento delle esportazioni. Oggi la Cina è il secondo esportatore dopo la Ger-mania, seguita da Stati Uniti e Giappone.

Un graduale aumento del reddito pro ca-pite anche all’interno del paese, con la forma-zione di un ceto sociale benestante e lo svi-luppo di un mercato interno. Vale a dire che le industrie cinesi che producevano beni da esportare possono vendere oggi almeno una parte della loro produzione nella stessa Cina.

Una grande attenzione a investire anche in ricerca e sviluppo (che equivale a dire: in-

La febbre edilizia a Pechino. Edifi ci modernissimi, grattacieli e larghe arterie di circolazione sorgono rapidamente su aree prima occupate da parchi o da vecchi quartieri. [Da «L’Express», n. 2194, 29 luglio 1993]

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Molti villaggi sono privi di elettricità e acqua corrente.

Le differenze sociali si acuiscono non meno di quelle geografi che. Si ritiene che in Cina ci siano oggi dai 60 ai 130 milioni di ricchi (nel senso che noi diamo a questa parola). All’op-posto, sarebbero almeno 60 milioni i contadini che hanno a malapena di che sfamarsi e vestir-si, mentre poco meno di metà della popolazio-ne vivrebbe con meno di due dollari al giorno. La vita quotidiana degli indigenti soffre anche della diminuzione dei servizi sociali. Un’altra causa dell’aggravarsi delle tensioni sociali è la disoccupazione, che nelle città si aggirerebbe sul 4,5%, anche se esistono valutazioni di 3 o 4 volte superiori. L’accentuarsi delle differenze sociali è spesso aggravato dall’arroganza dei nuovi ricchi. Questi ultimi, gli imprenditori emersi con le riforme economiche, si identifi -cano per lo più con lo strato tradizionalmente dominante, e cioè i burocrati, i «quadri» del partito e dell’amministrazione statale, e i loro fi gli e nipoti.

Le contraddizioni dello sviluppo di questi anni non si fermano qui. La crescita non riguar-da in maniera omogenea tutti i settori, alcuni dei quali restano arretrati e insuffi cienti, facen-do da freno allo sviluppo. È il caso dell’ener-gia, tuttora inadeguata e mal distribuita, mal-grado gli sforzi del governo in questo campo.

Ancora più grave, forse, è il caso dei tra-sporti, del tutto insuffi cienti in rapporto alla superfi cie. I grandi progetti lanciati dal gover-no (come quello di una linea ferroviaria ad alta velocità da Pechino a Shanghai) sono ancora lontani da una soluzione adeguata del proble-ma.

La disordinata rapidità dello sviluppo di questi anni produce, soprattutto nelle aree in-dustriali, un forte inquinamento atmosferico, sicché i problemi dell’ecologia cominciano ad apparire all’ordine del giorno, in tutta la loro gravità. L’abbandono di molte campagne e il disboscamento dissennato favoriscono l’ero-sione dei suoli e le alluvioni. All’inquinamento provocato dagli scarichi delle fabbriche che si moltiplicano, si aggiunge, nelle grandi città, quello prodotto da un traffi co cittadino fi no a poco tempo fa sconosciuto.

La disoccupazione, gli spostamenti di masse di persone in cerca di lavoro e spesso prive di una casa, hanno portato con sé un aumento della criminalità, soprattutto nelle aree urba-ne. L’improvviso apparire della possibilità di facili ricchezze non stimola solo l’inventiva e la capacità d’iniziativa dei singoli, ma anche una corruzione sempre più diffusa, malgrado il governo la combatta duramente, per esempio facendo un uso frequente della pena capitale.

li radioattivi abbondano nel Xinjiang, dove hanno sede i maggiori impianti nucleari. La produzione dell’acciaio è passata da 158 000 tonnellate nel 1949 a 513 milioni nel 2008.

Le contraddizioni dell’economiaComplessivamente, l’economia cinese ha co-nosciuto negli ultimi anni un ritmo di crescita annua (tra l’8 e il 10%) che ha fatto gridare al miracolo. Gli esperti hanno calcolato che il Prodotto Interno Lordo della Cina (il suo valo-re globale, non quello pro capite, ovviamente) raggiungerà e supererà quello degli Stati Uniti entro il 2040.

Ma, se queste sono le luci, non si possono però dimenticare le ombre di questo straordi-nario sviluppo economico.

In quello che ancora pochi decenni fa era il paese dell’egualitarismo più rigoroso, oggi le differenze sociali e regionali sono fortissime, e tendono a crescere.

Malgrado gli sforzi del governo per ottene-re uno sviluppo più equilibrato tra le diverse aree del paese, lo squilibrio tra fascia costiera e interno resta molto forte. Ci sono province e città come Shanghai molto ricche e altre che hanno invece un PIL pro capite da paese sotto-sviluppato.

Le famiglie contadine hanno condizioni di vita più povere e culturalmente limitate; ad-dirittura arcaiche in alcune zone più isolate.

Mao e la ciminiera. In questa foto del 1971, il «Grande Timoniere», come il Presidente Mao era chiamato quando era in vita, sembra benedire dall’alto lo sviluppo industriale della città di Wuhan. I cinesi erano un tempo orgogliosi del fumo delle loro ciminiere, simbolo della crescita economica del paese. Ma in molte città industriali (a cominciare dalla stessa capitale Pechino) l’inquinamento atmosferico ha raggiunto punte assai gravi e pericolose, soprattutto per l’uso di grandi quantità di carbone. Solo negli ultimi anni si è cominciato ad affrontare anche i problemi dell’inquinamento e dell’ambiente, a lungo interamente sacrifi cati alle esigenze della produzione. Contemporaneamente, si riducono poco per volta i ritratti e le statue di Mao, che un tempo dominavano ogni angolo della Cina. [M. Riboud/Magnum, 1971]

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Stati Uniti si sono determinate per l’appoggio degli americani a Taiwan, o per l’accusa alla Cina (che è uno dei maggiori mercanti di armi del mondo, soprattutto in direzione di molti paesi africani e asiatici) di aver fornito a Iran e Pakistan, malgrado gli accordi internazio-nali lo vietassero, parti di armamenti nucleari (la Cina possiede l’atomica già dal 1964).

Momenti di crisi e di tensione contrasse-gnano anche i rapporti con il Giappone, no-nostante gli intensi rapporti economici tra i due paesi. Al loro vicino insulare i cinesi rimproverano di non aver mai apertamente condannato la politica di conquista imperia-lista, spesso assai dura e sanguinosa, da esso perseguita nei confronti della Cina negli anni Trenta dello scorso secolo; e ne temono il possibile ritorno a tendenze espansioniste.

Nell’insieme, si può dire che i successi eco-nomici degli ultimi anni abbiano accompa-gnato la rinascita di un diffuso nazionalismo cinese, e soprattutto una crescente aspirazio-ne a recitare un ruolo sempre più importan-te, adeguato alle proprie dimensioni, nelle relazioni internazionali. C’è chi prevede, per i prossimi decenni, una crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti per il predominio sull’area del Pacifi co, con altre potenze (il Giappone, la Russia, l’Indonesia) a fare da comprimari.

Un aspetto importante dell’apertura inter-nazionale della Cina è quello rappresentato oggi dal commercio con l’estero, il cui tasso di aumento annuo, a partire dal 1978, è stato sempre assai elevato: nel 2001, le importazio-ni sono aumentate del 39,9% e le esportazio-ni del 34,6% (per la prima volta meno delle importazioni, ma sempre con una forte ecce-denza commerciale della Cina nei confronti degli altri paesi). Il principale partner com-merciale sono gli Stati Uniti, seguiti da Hong Kong e Giappone poi dalla Corea del Sud e dai paesi della UE (Germania in testa). Nel 1993, la Cina è diventata il secondo partner commerciale del Giappone, preceduto solo dagli Stati Uniti. Le importazioni riguardano soprattutto materie prime, macchinari e tec-nologie avanzate, ma anche, sia pure in non grande misura, generi alimentari. Le esporta-zioni principali sono rappresentate soprattut-to da macchinari e veicoli, tessili, macchinari elettrici, macchine per uffi cio.

Oltre all’ingresso nel WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio (2001), un altro presti-gioso successo internazionale della Cina è l’aver ospitato a Pechino le Olimpiadi del 2008.

La politica estera cinese fu caratterizzata, nei primi anni dopo la fondazione della Re-pubblica popolare, dall’alleanza con l’URSS e dalla partecipazione al blocco comunista. Truppe cinesi intervennero, in appoggio ai comunisti coreani, nella guerra di Corea. Ma già alla fi ne degli anni Cinquanta ci fu una rottura con l’URSS, e la Cina di Mao si pro-pose come il paese-leader della rivoluzione mondiale e delle lotte di liberazione del Terzo mondo. Seguirono anni di rigida chiusura e di ostilità nei confronti sia dell’URSS, accusa-ta di aver tradito gli ideali rivoluzionari, sia dell’«imperialismo» occidentale. Ci furono anche scontri armati con l’India e l’Unione Sovietica, nei cui confronti i cinesi avanzano tuttora annose rivendicazioni confi narie.

Risalgono al 1971 i primi segni di un «di-sgelo» nei confronti degli Stati Uniti, cui se-guì poco per volta il ristabilimento di norma-li rapporti con gli altri paesi occidentali, con il Giappone, più tardi anche con la Russia e con l’India.

I cinesi non hanno mai cessato di rivendi-care Taiwan come parte integrante del terri-torio nazionale. Questo ha comportato più volte, anche di recente, momenti di tensione e minacce militari. Ma, contemporaneamente, i rapporti sono migliorati: cittadini di Taiwan possono recarsi regolarmente in Cina a visi-tare i propri parenti o per turismo, e ci sono anche relazioni commerciali.

Si è risolta invece, nel 1997, la questione di Hong Kong, tornata alla Cina dopo essere stata per più di un secolo colonia britanni-ca. Si è attenuata anche, con la riapertura nel 1992 di regolari relazioni diplomatiche, una lunga ostilità verso la Corea del Sud, con la quale la Cina intrattiene ora importanti rap-porti economici e commerciali.

Nel suo complesso, quella cinese è ora una politica estera di buon vicinato con i paesi con-fi nanti e, soprattutto, di apertura nei confronti dell’Occidente e del Giappone, di cui si cerca la collaborazione al proprio sviluppo econo-mico. Ma non mancano, all’interno di queste buone relazioni, periodici momenti di crisi.

Per esempio, dopo la sanguinosa repres-sione della «Primavera» del 1989, e l’incar-cerazione di migliaia di oppositori politici, i paesi occidentali hanno temporaneamente interrotto i loro rapporti economici con la Cina in nome della difesa dei diritti umani e civili: un tema sul quale il governo cinese rifi uta ogni discussione. Altre crisi fra Cina e

I rapporti con l’estero

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miche, o dei moderni alberghi richiesti da un turismo in espansione. E anche questa febbre ha le sue vittime: per esempio, parchi e giardini (ma anche le tipiche case tradizionali a un pia-no) che scompaiono, coperti dal cemento.

Suzhou e Hangzhou sorgono su un in-trico di fi umi e canali, al punto che Suzhou venne defi nita «la Venezia dell’Oriente», e Hangzhou impressionò Marco Polo per la sua bellezza. Anche se a poca distanza ci sono le nuove fabbriche, in queste città, che affasci-nano i turisti, si producono ancora i pregiati tessuti di seta, i ventagli dipinti, il tè, le essen-ze profumate, le porcellane.

Shanghai, con i suoi oltre 10 milioni di abi-tanti (oltre 18 nell’intera municipalità), è oggi non solo la maggiore città cinese, ma una delle maggiori del mondo. Insieme ai suoi sobbor-ghi e alle sue città satelliti, Shanghai è anche la principale concentrazione industriale e opera-ia di tutta la Cina. Il nome della città signifi ca «sul mare»: un secolo fa era solo una modesta cittadina che sorgeva nella zona deltizia del Chiang Jiang, nei pressi di un affl uente, a una sessantina di kilometri dal mare aperto. Era una posizione ideale per un porto, e gli eu-ropei vi si installarono costruendovi i propri quartieri indipendenti (le «concessioni»).

Altre città importanti sono Luoyang e Xi’an, le più antiche capitali della Cina; Wuhan, che

Pechino o Beijing (il cui nome signifi ca «ca-pitale del Nord») era una città importante già nell’antichità, ma il suo abitato si spostò più volte, sia pure di poco. Divenne capitale sotto i Mongoli, eredi di Gengis Khan: Mar-co Polo la visitò allora, quando si chiamava Cambaluc, o meglio Khanbaliq, «La città del Khan». La città che vediamo oggi (per essere più precisi, la sua parte più antica) fu però progettata e costruita dai Ming, la dinastia cinese che cacciò i Mongoli. Si deve a loro la costruzione, nel XIV secolo, di una specie di gigantesca reggia lussuosa che si chiama-va un tempo «la città proibita» perché solo i privilegiati potevano entrarvi. Oggi, invece, la «città proibita» è, insieme, un museo e un parco pubblico, in cui gli abitanti di Pechino vanno in gran folla nei giorni di festa ad am-mirare i suoi tesori artistici.

Dove fi nisce la città proibita, una grande porta, la Tian Anmen (la «Porta della pace celeste»), immette oggi su una moderna piaz-za omonima, di dimensioni gigantesche: mi-sura poco meno di 50 ettari, l’equivalente di 45 campi di calcio.

In questi ultimi anni si assiste a una nuova febbre edilizia, la stessa che ha contagiato tutte le principali città cinesi. Si costruiscono soprat-tutto grattacieli, destinati a essere la sede dei nuovi centri dirigenziali delle imprese econo-

Un grande Paese

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I rapporticon l’estero

Le città

Un bilancioprovvisorio

Le città

Aree amministrativee commerciali

Parchi

Aree industriali

Aree residenziali

Ampliamento successivo(mura della Città Cinese)

Mura della Città Tartara

Mura della Città Imperiale

La Cina

La pianta di Pechino. Si vedono molto bene la «Città tartara» (il quadrato), con al suo interno la Città imperiale (o «Città proibita»), e la «Città cinese» (il rettangolo). L’ingresso meridionale della città proibita è costituito dalla Tian Anmen, o «Porta della pace celeste», che si apre sulla «Via della pace perpetua». Il grande parco che si vede nella parte sudorientale della Città cinese è il «Tempio del Cielo».

G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA

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è in realtà un insieme di tre città; Nanchino (Nanjing, che signifi ca «capitale del Sud»); Chongqing. Quest’ultima ha 4 milioni di abi-tanti, che diventano 31 in quella che è la più grande municipalità del mondo.

La più meridionale delle grandi città, Can-ton o Guangzhou (oltre 4 milioni di abitanti), grande emporio commerciale fi n dal Medio-evo, sorge nel punto in cui più corsi d’acqua confl uiscono nel «Fiume delle perle», poco sotto il Tropico del Cancro.

Vecchia Canton. La foto mostra il volto tradizionale di Canton, che fu importante città portuale, aperta ai traffi ci con l’estero, fi n dai secoli del nostro Medioevo: questo spiega la sua originalità e le molte infl uenze, asiatiche ed europee, presenti nell’architettura. A Canton prevalgono le case alte, a più piani, mentre le vecchie case delle altre città cinesi erano di solito a un piano.

Abitazioni «in via d’estinzione». In molti quartieri di Pechino, le case tradizionali vengono oggi demolite per sostituirle con moderni palazzi e grattacieli. La foto mostra la casa tradizionale, bassa, a un piano. Come si vede, le case non danno direttamente sulla strada, ma su cortili interni, ravvivati da alberi e piante. Abitazioni di questo tipo sono oggi sempre più rare nella capitale cinese. [Fu Zhongging/Panorama Media (Beijing) Ltd./Alamy; rochaphoto/Alamy]

Un bilancio provvisorio

Shanghai, capitale economica. Grande porto sul fi ume Huangpu, tradizionale capitale economica della Cina, Shanghai ha visto ribadire tale suo ruolo negli ultimi decenni. Sull’altro lato del fi ume, a Pudong, è sorto un nuovo centro commerciale, fi nanziario e industriale. Le due rive dello Huangpu sono state unite nel 1992-93 da due ponti, uno dei quali è lungo 7658 m. E come altre grandi città cinesi, anche Shanghai è stata trasformata negli ultimi anni (e continua a esserlo) dal diffondersi dei nuovi grattacieli. Lo sviluppo «verticale» rende ormai le metropoli cinesi più simili alle loro sorelle giapponesi, europee o americane. [Panorama Media (Beijing) Ltd./Alamy]

Sessant’anni fa, al termine di un lungo perio-do di declino economico, di guerre civili, di occupazioni straniere, la Cina era un paese prostrato e assai povero, nel quale si moriva di fame. Oggi la situazione è profondamente mutata. La Cina è avviata a essere (o a tornare a essere) – inevitabilmente, date le sue dimen-sioni – una delle maggiori potenze mondiali.

La vita media dei cinesi, che era di 36 anni prima della Liberazione, oggi è di 68,5 anni. Il reddito pro capite (nel 2007) è di

3315 dollari l’anno: più dei 1016 dell’India, ma incomparabilmente meno dei 38972 di Singapore, dei 38996 dell’Italia, dei 38559 del Giappone, dei 46859 degli Stati Uniti. La Cina, insomma, è ancora in buona parte un paese povero, caratterizzato da forti squilibri anche dopo la forte crescita economica degli ultimi anni, anche se questa situazione si sta modifi cando abbastanza velocemente.

Si diffondono nelle famiglie beni di consu-mo moderni, come televisori e frigoriferi.

Taiwan è un’isola un po’ più grande della Si-cilia, di fronte alla provincia cinese del Fujian, su cui vivono quasi 23 milioni di persone. La densità è di 634 abitanti per km2. La capitale, Taipei, ha 2600000 abitanti.

Quando, nel 1948, l’esercito dei nazionalisti del Guomindang venne sconfi tto dall’Armata rossa di Mao Zedong, i suoi resti (circa 2 milioni tra militari e funzionari) si rifugiarono a Taiwan.

Da allora, il governo cinese rivendica i propri diritti su Taiwan, alternando minacce militari a momenti di relativa distensione. Per questa ragione, il governo di Taiwan è rico-nosciuto da pochissimi paesi, anche se gode della protezione degli Stati Uniti. Taiwan ha conosciuto un notevole sviluppo industria-le ed è diventata uno dei territori più ricchi dell’Asia.

Hong Kong è invece tornato alla Cina nel 1997. Esso consta di una serie di territori, tra cui l’isola di Hong Kong appunto, ceduti dalla Cina agli inglesi nel corso dell’800. Con-serva, rispetto al governo cinese, una certa autonomia che gli garantisce maggiori libertà politiche e civili. Gli abitanti sono per il 95% cinesi. Hong Kong è uno dei maggiori centri commerciali e fi nanziari dell’intera Asia.

Taiwan e Hong Kong

La Cina

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te sottomesse al regime, e la censura politica è ancora attiva. Sono state instaurate norme di legalità, è stato emanato un nuovo codice penale e si è ridato potere agli organi giudizia-ri togliendolo ai tribunali politici. Ma la Cina rimane ancora uno stato autoritario: si teo-rizza, anzi, un «neo-autoritarismo» nel quale confucianesimo e marxismo-leninismo si dan-no la mano. Il regime rifi uta (ma per quanto ancora?) ogni concessione alla «democrazia all’occidentale». Dopo la Primavera del 1989, le speranze in una evoluzione rapida e indolo-re verso la democrazia sono per il momento messe da parte; molti oppositori del regime restano in prigione o in esilio. In prigione si trova, per esempio, Liu Xiaobo, un illustre intellettuale dissidente cui nel 2010 è stato assegnato il premio Nobel per la pace.

La Cina detiene anche il triste primato del maggior numero di condanne a morte eseguite nel mondo (alme-no 5000 nel 2008). Dal 1980 a oggi i crimini punibili con la pena di morte sono passati da 21 a 69. Le esecuzioni avvengono spesso secondo barbari rituali che mira-no alla mortifi cazione pubblica dei condannati.

Questo uso della pena di mor-te, insieme allo scarso rispetto dei diritti umani e civili, rappresenta una delle maggiori contraddizioni di questo grande paese che torna oggi tra i protagonisti della storia mondiale.

Per i ricchi ci sono anche i negozi e le sfi la-te dei più celebri creatori di moda parigini o italiani; ci sono gli orologi digitali, il karaoke e i telefonini cellulari; le strade sono piene di cartelloni pubblicitari. Quello che fi no a po-chi anni fa era un paese austero, dominato da una disciplina quasi militare, è oggi la preda più recente (e potenzialmente la più gigante-sca) dei consumi di massa.

È il frutto dell’apertura al mondo esterno. Minori sono invece i cambiamenti nella vita politica. Si è certo attenuata, col «nuovo cor-so», la pressione ideologica, è minore il grado di indottrinamento politico, si è allentato il controllo che alcuni anni fa veniva esercitato su ogni aspetto della vita quotidiana. C’è una maggiore possibilità di accesso a beni culturali prima vietati, dalla musica ai libri e ai fi lm, anche se stampa e televisione sono interamen-

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CINA TAIWAN HONG KONG ITALIA

Capitale Pechino Taipei – Roma

Superficie (km2) 9572900 (2008) 36188 (2008) 1104 (2008) 301317 (2008)

Popolazione (ab.) 1321290000 (2008) 22958360 (2008) 6989000 (2008) 60045068 (2008)

Densità (ab. per km2) 138 (2008) 634 (2008) 6330 (2008) 199 (2008)

Reddito nazionaleper ab. (in dollari USA) 3315 (2008) 17040 (2008) 30755 (2008) 38996 (2008)

Consumo di energiaper ab. (in kWh) 2040 (2006) – 5768 (2005) 5332 (2008)

Calorie (per ab./giorno) 2990 (2003-2005) 2889 (2006) – 3680 (2003-2005)

Speranza di vita (anni) M 67 F 70 (2006) M 75 F 82 (2007) M 79 F 85 (2008) M 79 F 84 (2008)

Analfabetismo % 6,7 (2007) 2,8 (2008) 6,5 (2008) 1,1 (2007)

Numero di medici(per 1000 ab.) 1,5 (2005) 1,7 (2006) 1,7 (2008) 3,7 (2006)

Popolazione urbana % 43 (2008) 75 (2006) 100 (2007) 68 (2008)

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